1-15/16-31 ottobre 2010 - anno xlv - nn. 89 - 90 - nuovo patto di stabilità ue

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di governo suggelleranno l’accordo politico. Giustamente Tremonti fa notare che il Patto così ridisegnato ci consente di recepire gli insegna- menti della crisi: che non è nata dai debiti pubblici ma dalla finanza privata visto che nel testo del Patto si terrà conto di alcuni fattori rile- vanti come il debito privato, come fortemente voluto dall’Italia. La nostra sfida, dunque, sarà quella di sfruttare i sei mesi di intervallo che intercorrono tra la minaccia di sanzione e l’applicazione della stes- sa nel mezzo della quale se l’Italia dovesse trovarsi in deficit eccessivo dovrebbe apportare tutte le misure correttive necessarie al decremento dello stesso. Tremonti su questo ribadisce che il Patto è un buon testo perché sono state trovate for- mule flessibili, e gestibili da parte del nostro Paese. L’auspicio è che abbia ragione Tremonti ma sarà davvero così? Solo il tempo potrà fornirci qualche indicazione in più. Intanto godiamoci questa ragione- volezza ed elasticità delle formule concordate a Lussemburgo. Avanzino Capponi Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Ottobre 2010 - Anno XLV - NN. 89-90 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Estrema destra in Europa — a pagina 3 — ESTERI Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIO www.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 7 — APPROFONDIMENTI Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti In questo momento ritengo che Il tempo delle scelte per il PDL non sia minimamen- te basato sul problema tra “falchi” e “colombe”; credo invece che debba interro- garsi se aprire a un nuovo soggetto, che ho definito in altre occasioni liberale, oppure no. Dopo aver capito se provare ad intraprendere un percor- so insieme a questa nuova formazione, che sicuramente ha una politica diversa in termini di principi e pro- grammi rispetto alla PDL, bisogna domandarsi se il progetto politico del “FLI” sia e soprattutto voglia essere compatibile con il progetto del Popolo della Libertà. Nei governi di coalizione, per definizione, le parti devono concordare su pro- grammi ben definiti e por- tarli avanti; in poche parole se questo “matrimonio s’ha da fare”, i due leader devo- no tornare a parlarsi diretta- mente per chiarire ed agire senza intermediari oppure è meglio tornare al voto subito e con grande velocità. il Paese però Di tutto ha bisogno ora tranne che stare fermo per un lungo periodo “a causa di crisi politiche”, soprattutto in un momento di incertezza e crisi econo- mica. Dare risposte economiche, fiscali, sociali, e in partico- lar modo occupazionali alla nostra Italia, ora è quello che la gente si aspetta; tra l’altro non dimentichiamoci che esiste un’opposizione popu- lista e qualunquista, fino ad oggi senza una leadership carismatica, e senza risposte e proposte che invece per il suo ruolo dovrebbe dare. Che fare? A mio avviso dare una tempistica certa e soprattutto portare in aula parlamentare le proposte di riforma che abbiamo presen- tato nel 2008 agli elettori e vedere se si può lavorare per portare a “casa” i risultati su questioni tanto importanti. In caso contrario tutti imme- diatamente al lavoro per le elezioni sapendo benissimo che chi ha causato questo ha un nome e cognome: Gianfranco Fini. Ad Maiora Erich Maria Remarque Il tempo delle scelte Nuovo patto di stabilità UE Accordo tra i ministri finanziari dell’Ue sulla revisione del patto di stabilità Il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha annunciato l’accor- do tra i ministri delle finanze Ue sulla revisione del patto di stabilità nella riunione tenutasi a Lussemburgo. L’annuncio è avve- nuto in questi termini: “habe- mus novum pactum”. Nel nuovo patto di stabilità ci sono “formule flessibili, ragionevoli e gestibili da parte del governo italiano”, ha spiegato Tremonti. “È un testo molto buono, non ha elementi di rigidità come da voi auspicato”, ha detto Tremonti a Lussemburgo, polemizzando in maniera amiche- vole con i giornalisti e immagi- nando “la grande delusione della stampa italiana”. “Questo patto ridisegnato e rideli- neato ci consente di recepire alcu- ni insegnamenti che sono venuti dalla crisi”, riconosce ancora il Ministro, che parla del documen- to della task force che sarà presen- tato ai capi di Stato e di governo dell’Ue a fine ottobre come di “una costruzione armoniosa”. Il nuovo patto ci sarà tra “più o meno di cinque mesi, quanti ce ne sono voluti dall’avvio della task force a oggi, ha spiegato Tremonti ai giornalisti, oggi è finita la fase tecnico-politica, nei prossimi gior- ni ci sarà la fase politica”, in occa- sione appunto del vertice dei capi di Stato e di governo a Bruxelles il 28 e 29 ottobre. “Nessuna richie- sta italiana è stata accolta, perché quello che alla fine è stato siglato raccoglie il consenso di tutti: non c’è stata alcuna richiesta di dilazio- ne, alcuna richiesta di estensione della valutazione del debito ai fattori rilevanti, solo una posizio- ne italiana perfettamente coerente con quanto deciso con il consenso di tutti”. “Noi ci riconosciamo nel testo”, ha insistito Tremonti, per il quale, in particolare, sull’auto- matismo delle sanzioni c’è “un grande grado di flessibilità”. Tremonti precisa però che, “sulla base del testo vigente, per noi resta fondamentale la correzione del deficit”. Il Ministro conferma che nel testo concordato oggi “non c’è alcuna formula numerica”, in particolare la richiesta di ridurre di un ventesimo la differenza tra il livello raggiunto dal debito e quello stabilito dal Patto (60% del Pil), contenuta nelle proposte della Commissione. La Commissione europea chiede che chi è indebi- tato oltre il 60% del Pil riduca il debito del 5% l’anno. Il Direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli ha sottolineato un aspetto chiave all’Italia, cioè l’inclusione del debi- to privato nel calcolo dell’indebi- tamento. Rimane da precisare in quale misura verrà tenuto conto del debito delle famiglie. Se sarà incluso alla pari o quasi con il debito pubblico, l’Italia vedrebbe diminuire drasticamente i rischi di violare il Patto la cui riforma viene riconosciuta necessaria da anni. Il compromesso di Lussemburgo è frutto di mesi di trattative tra due gruppi. Da una parte la Germania e altri Paesi nordici, fautori di un meccanismo di sanzioni come deterrente assoluto per i Paesi che sgarrano. Sull’altro fronte, con Italia e Francia in prima fila, che paventa un “Panzer Pakt” capace sì di imporre il rigore con il rischio di strangolare le non proprio solide aspettative di ripresa economica. A Lussemburgo tutti hanno fatto concessioni. Berlino accettando l’idea di un intervallo di sei mesi tra la minaccia e l’applicazione delle sanzioni. Francia e Italia hanno accettato un meccanismo che fac- cia scattare sanzioni contro i Paesi che in quei sei mesi di prova non accogliessero le raccomandazioni dei partner. La non totale automa- ticità sta nel fatto che le sanzioni potrebbero essere bloccate da un voto del Consiglio Ecofin a mag- gioranza qualificata. Quindi si può dire che il pressing della Francia ha avuto la meglio sul rigore della Germania. Infatti sono state accor- date regole più morbide e alleggeri- to il meccanismo automatico delle sanzioni. In pratica un Paese con deficit o debito eccessivo che non prende le misure necessarie, entro sei mesi sarà sanzionato. L’Italia intanto si appresta ad una ulteriore correzione del deficit, ad una riforma del sistema fiscale che miri a ridurre le tasse sui lavoratori, sui pensionati e sulle imprese, in grado di contribuire a rilanciare la domanda, consu- mi e occupazione. Accompagnata da una intensificazione della lotta all’evasione. Nell’ambito del vertice di Lussemburgo prendono quindi corpo anche le politiche di bilan- cio ed economiche del Governo italiano, che proprio al termine della riunione ha iniziato a deli- neare gli indirizzi strategici per far ripartire la crescita. Ora che il patto di stabilità ha previsto un meccanismo sanzionatorio meno automatico con regole più flessi- bili, non si può ancora dire che il nostro Paese può tirare un sospiro di sollievo ma sicuramente potreb- be usufruire di questo differimento temporale sanzionatorio per poter correggere il deficit più rapidamen- te. C’è da sottolineare comunque il buon risultato raggiunto nel verti- ce di Lussemburgo, frutto di una coesa negoziazione istituzionale attendendo il vertice del 28 e 29 ottobre nel quale i capi di Stato e

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Il tempo delle scelte - Nuovo patto di stabilità UE - Scricchiolii - Nasce il partito di Fini - Estrema destra in Europa - L’incertezza della guerra valutaria - La crisi economica polverizza il gettito fiscale - Allarme di Bankitalia su lavoro ed entrate fiscali - La BCE promuove la finanza pubblica italiana - Centralizzare o decentralizzare il fisco? - Cassa integrazione e crisi occupazionale - Erich Maria Remarque: uno scrittore, una vita - La politica regionale di sviluppo - Christofer Nolan - Nasce la Carta del Vino Biologico

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di governo suggelleranno l’accordo politico. Giustamente Tremonti fa notare che il Patto così ridisegnato ci consente di recepire gli insegna-menti della crisi: che non è nata dai debiti pubblici ma dalla finanza privata visto che nel testo del Patto si terrà conto di alcuni fattori rile-vanti come il debito privato, come fortemente voluto dall’Italia. La nostra sfida, dunque, sarà quella di sfruttare i sei mesi di intervallo che intercorrono tra la minaccia di sanzione e l’applicazione della stes-sa nel mezzo della quale se l’Italia

dovesse trovarsi in deficit eccessivo dovrebbe apportare tutte le misure correttive necessarie al decremento dello stesso. Tremonti su questo ribadisce che il Patto è un buon testo perché sono state trovate for-mule flessibili, e gestibili da parte del nostro Paese. L’auspicio è che abbia ragione Tremonti ma sarà davvero così? Solo il tempo potrà fornirci qualche indicazione in più. Intanto godiamoci questa ragione-volezza ed elasticità delle formule concordate a Lussemburgo.

Avanzino Capponi

Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Ottobre 2010 - Anno XLV - NN. 89-90 E 0,25 (Quindicinale)

In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romaninaper la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy

— Fondato da Turchi —

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— a pagina 3 —

ESTERI

Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727

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Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina

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di FRANZ TURCHI

— a pagina 7 —

APPROFONDIMENTI

Ricco, continuamente aggiornato:arriva finalmente sul web il nuovo punto

di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia

www.lapiazzaditalia.itUna Piazza di confronto aperta aldibattito su tutti i temi dell’agenda

politica e sociale per valorizzare nuoveidee e nuovi contenuti

In questo momento ritengo che Il tempo delle scelte per il PDL non sia minimamen-te basato sul problema tra “falchi” e “colombe”; credo invece che debba interro-garsi se aprire a un nuovo soggetto, che ho definito in altre occasioni liberale, oppure no.Dopo aver capito se provare ad intraprendere un percor-so insieme a questa nuova formazione, che sicuramente ha una politica diversa in termini di principi e pro-grammi rispetto alla PDL, bisogna domandarsi se il progetto politico del “FLI” sia e soprattutto voglia essere compatibile con il progetto del Popolo della Libertà.Nei governi di coalizione, per definizione, le parti devono concordare su pro-grammi ben definiti e por-tarli avanti; in poche parole se questo “matrimonio s’ha da fare”, i due leader devo-no tornare a parlarsi diretta-mente per chiarire ed agire senza intermediari oppure è meglio tornare al voto subito e con grande velocità.il Paese però Di tutto ha bisogno ora tranne che stare fermo per un lungo periodo “a causa di crisi politiche”, soprattutto in un momento di incertezza e crisi econo-mica.Dare risposte economiche, fiscali, sociali, e in partico-lar modo occupazionali alla nostra Italia, ora è quello che la gente si aspetta; tra l’altro non dimentichiamoci che esiste un’opposizione popu-lista e qualunquista, fino ad oggi senza una leadership carismatica, e senza risposte e proposte che invece per il suo ruolo dovrebbe dare.Che fare? A mio avviso dare una tempistica certa e soprattutto portare in aula parlamentare le proposte di riforma che abbiamo presen-tato nel 2008 agli elettori e vedere se si può lavorare per portare a “casa” i risultati su questioni tanto importanti.In caso contrario tutti imme-diatamente al lavoro per le elezioni sapendo benissimo che chi ha causato questo ha un nome e cognome: Gianfranco Fini.Ad Maiora

Erich Maria Remarque

Il tempo delle scelte

Nuovo patto di stabilità UEAccordo tra i ministri fi nanziari dell’Ue sulla revisione del patto di stabilità

Il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha annunciato l’accor-do tra i ministri delle finanze Ue sulla revisione del patto di stabilità nella riunione tenutasi a Lussemburgo. L’annuncio è avve-nuto in questi termini: “habe-mus novum pactum”. Nel nuovo patto di stabilità ci sono “formule flessibili, ragionevoli e gestibili da parte del governo italiano”, ha spiegato Tremonti. “È un testo molto buono, non ha elementi di rigidità come da voi auspicato”, ha detto Tremonti a Lussemburgo, polemizzando in maniera amiche-vole con i giornalisti e immagi-nando “la grande delusione della stampa italiana”.“Questo patto ridisegnato e rideli-neato ci consente di recepire alcu-ni insegnamenti che sono venuti dalla crisi”, riconosce ancora il Ministro, che parla del documen-to della task force che sarà presen-tato ai capi di Stato e di governo dell’Ue a fine ottobre come di “una costruzione armoniosa”. Il nuovo patto ci sarà tra “più o meno di cinque mesi, quanti ce ne sono voluti dall’avvio della task force a oggi, ha spiegato Tremonti ai giornalisti, oggi è finita la fase tecnico-politica, nei prossimi gior-ni ci sarà la fase politica”, in occa-sione appunto del vertice dei capi di Stato e di governo a Bruxelles il 28 e 29 ottobre. “Nessuna richie-sta italiana è stata accolta, perché quello che alla fine è stato siglato raccoglie il consenso di tutti: non c’è stata alcuna richiesta di dilazio-ne, alcuna richiesta di estensione della valutazione del debito ai fattori rilevanti, solo una posizio-ne italiana perfettamente coerente con quanto deciso con il consenso di tutti”. “Noi ci riconosciamo nel testo”, ha insistito Tremonti, per

il quale, in particolare, sull’auto-matismo delle sanzioni c’è “un grande grado di flessibilità”.Tremonti precisa però che, “sulla base del testo vigente, per noi resta fondamentale la correzione del deficit”. Il Ministro conferma che nel testo concordato oggi “non c’è alcuna formula numerica”, in particolare la richiesta di ridurre di un ventesimo la differenza tra il livello raggiunto dal debito e quello stabilito dal Patto (60% del Pil), contenuta nelle proposte della Commissione. La Commissione europea chiede che chi è indebi-tato oltre il 60% del Pil riduca il debito del 5% l’anno. Il Direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli ha sottolineato un aspetto chiave all’Italia, cioè l’inclusione del debi-to privato nel calcolo dell’indebi-tamento. Rimane da precisare in quale misura verrà tenuto conto del debito delle famiglie. Se sarà incluso alla pari o quasi con il debito pubblico, l’Italia vedrebbe diminuire drasticamente i rischi di violare il Patto la cui riforma viene riconosciuta necessaria da anni.Il compromesso di Lussemburgo è frutto di mesi di trattative tra due gruppi. Da una parte la Germania e altri Paesi nordici, fautori di un meccanismo di sanzioni come deterrente assoluto per i Paesi che sgarrano. Sull’altro fronte, con Italia e Francia in prima fila, che paventa un “Panzer Pakt” capace sì di imporre il rigore con il rischio di strangolare le non proprio solide aspettative di ripresa economica. A Lussemburgo tutti hanno fatto concessioni. Berlino accettando l’idea di un intervallo di sei mesi tra la minaccia e l’applicazione delle sanzioni. Francia e Italia hanno accettato un meccanismo che fac-cia scattare sanzioni contro i Paesi

che in quei sei mesi di prova non accogliessero le raccomandazioni dei partner. La non totale automa-ticità sta nel fatto che le sanzioni potrebbero essere bloccate da un voto del Consiglio Ecofin a mag-gioranza qualificata. Quindi si può dire che il pressing della Francia ha avuto la meglio sul rigore della Germania. Infatti sono state accor-date regole più morbide e alleggeri-to il meccanismo automatico delle sanzioni. In pratica un Paese con deficit o debito eccessivo che non prende le misure necessarie, entro sei mesi sarà sanzionato.L’Italia intanto si appresta ad una ulteriore correzione del deficit, ad una riforma del sistema fiscale che miri a ridurre le tasse sui lavoratori, sui pensionati e sulle imprese, in grado di contribuire a rilanciare la domanda, consu-mi e occupazione. Accompagnata da una intensificazione della lotta all’evasione.Nell’ambito del vertice di Lussemburgo prendono quindi corpo anche le politiche di bilan-cio ed economiche del Governo italiano, che proprio al termine della riunione ha iniziato a deli-neare gli indirizzi strategici per far ripartire la crescita. Ora che il patto di stabilità ha previsto un meccanismo sanzionatorio meno automatico con regole più flessi-bili, non si può ancora dire che il nostro Paese può tirare un sospiro di sollievo ma sicuramente potreb-be usufruire di questo differimento temporale sanzionatorio per poter correggere il deficit più rapidamen-te. C’è da sottolineare comunque il buon risultato raggiunto nel verti-ce di Lussemburgo, frutto di una coesa negoziazione istituzionale attendendo il vertice del 28 e 29 ottobre nel quale i capi di Stato e

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Della Vedova che formeranno una sorta di “Direttorio” del partito il cui comitato promo-tore si è riunito per la prima volta il 5 ottobre scorso.Nella riunione - tenuta stret-tamente al riparo da teleca-mere e taccuini neppure fosse un convegno di “carbonari” - l’ex Presidente di Alleanza Nazionale, pur auspicando la continuazione della legi-slatura da parte del Governo Berlusconi, ha ribadito ai suoi seguaci di essere comunque pronti ad eventuali elezioni anticipate. Per Fini, Futuro e Libertà non dovrà strutturar-si come un partito tradizio-nale - “pesante” - ma dovrà possedere un’organizzazio-ne agile assimilabile a quella di un moderno movimento d’opinione il cui assetto finale tuttavia non dovrà ripercor-rere gli errori compiuti nel passato da AN: insomma non si dovranno creare di nuovo le logiche spartitorie ed egoisti-che del vecchio partito in cui le lotte tra “colonnelli” tar-parono le ali alla formazione politica figlia del MSI.Riemerge quindi già da que-sti primi vagiti del nuovo sodalizio politico l’eterna questione della contrapposi-zione tra partito “pesante”, frutto delle ideologie e della storia del Novecento e quello agile, liquido di veltroniana memoria e di più modernista visione. Visione che tuttavia il Presidente della Camera non più di qualche mese fa, quan-do era ancora all’interno del PdL e prima ancora quando guidava con pugno d’acciaio Alleanza Nazionale, rifuggiva schifato e sdegnato.Chi non ricorda le esternazioni ironiche di Fini riguardo Forza Italia definito partito di plasti-ca, o i giudizi di sufficienza

nei confronti dei Circoli della Libertà, di quelli del Buon Governo o dei Promotori della Libertà?Allora un Partito doveva esse-re l’espressione del territorio, organizzato capillarmente regione per regione, comu-ne per comune, solidamen-te strutturato in tutte le sue

sezioni periferiche e con una gerarchia piramidale ben defi-nita in cui Lui avrebbe dovuto rappresentarne l’apice.Adesso invece, fatta compiere al proprio pensiero politico l’ennesima capriola, ecco che si ritrova a incensare e ricopia-re una forma organizzativa di partito che il suo rivale-alleato Berlusconi ha per primo idea-to tra i frizzi e i lazzi dei “par-rucconi” della politica italiana quindici anni or sono.Più recentemente Veltroni aveva provato a trasformare il Partito Democratico in un partito più snello, giovane, tutto web, blog ed internet tv, ma i risultati elettorali, quel-li che contano in definitiva, furono disastrosi e l’ex sindaco di Roma è stato costretto ad abbandonare, almeno per il

momento, ogni sogno di gloria politica. Che Veltroni l’ameri-cano tentasse di scopiazzare l’organizzazione partitica d’ol-treoceano era nel novero delle cose ma che Fini, proveniente da una storia politica e cultu-rale diversa, ricevesse in dono questa folgorazione sulla via di Damasco in pochi se lo sareb-

bero aspettato.Del resto crediamo che la riu-scita creazione di un movi-mento politico di largo con-senso popolare come è stato Forza Italia e come si accinge ad essere il PdL sarebbe potu-to riuscire solamente ad un uomo come Berlusconi, privo dei lacci e lacciuoli ideologici caratterizzanti i professioni-sti della politica della Prima Repubblica e quindi lontano miglia dalla forma mentis di persone come Veltroni e Fini cresciuti da poppanti nelle sezioni di via delle Botteghe Oscure o di via Della Scrofa. Il tentativo di Fini di creare un partito leggero è dovuto essen-zialmente al fatto che è da un lato incerto riguardo il nume-ro reale di cittadini e simpatiz-zanti che realmente lo segui-

ranno, è insicuro di quando ci saranno le elezioni, e perciò si deve far trovare pronto con una “sigla” nel caso si vada alle urne già nella prossima pri-mavera, ma soprattutto è per-plesso riguardo la capacità dei propri attuali seguaci e com-pagni di cammino a radicare sul territorio il nuovo partito

e per questo deve attrarre su di se una grande attenzione ed attesa mediatica che surroghi l’oggettiva debolezza dell’of-ferta politica del FLI.L’incertezza evidentemente ha così sopraffatto il Presidente della Camera che a coloro i quali gli chiedevano se non fosse stato giusto dimetter-si dallo scranno più alto di Montecitorio dato il ruolo politico che ha ricoperto in merito alla scissione dal PdL e che gli impedirebbe una sostanziale equidistanza tra le parti, ha risposto che non essendo il leader del FLI può continuare a stare seduto sul posto che occupa grazie ai voti e al peso posseduti dal PdL che poi ha rinnegato.Insomma coloro i quali spera-vano di sfuggire dal controllo

del Cavaliere si devono accon-tentare di galleggiare intor-no all’orbita di Bocchino e Granata: non c’è che dire!Fini in ogni caso è costretto a fare quello che egli ha sem-pre rimproverato a Berlusconi: “medializzare” lo scontro con l’avversario. L’unico neo è che oramai non dispone più di un partito ben radicato sul territo-rio, Alleanza Nazionale, attra-verso il quale avrebbe potuto contrastare la supremazia di Arcore e neppure possiede il carisma, tantomeno la capa-cità o le risorse del Cavaliere per cercare di raggiungere il proprio obiettivo: quello di scalzare Berlusconi alla guida del centro-destra italiano.Al momento, al netto di ulteriori futuri trasformi-smi ideologici e culturali sempre in agguato con Fini, l’ex Presidente di Alleanza Nazionale può aspirare ad esse-re il nucleo d’aggregazione per quella galassia di “lib- dem” esistente i Italia che comun-que nulla ha a che vedere con una destra più tradizionale e popolare.I prossimi appuntamenti di Futuro e Libertà, a novembre a Perugia e a gennaio a Milano per il primo vero congresso del partito, sapranno dirci se la nuova formazione politi-ca sarà alleata leale dell’asse PdL - Lega come afferma-to in occasione del voto di fiducia parlamentare o sarà uno strenuo competitore della maggioranza di governo come paventato da Bocchino al momento di dichiarasi pron-to a nuove alleanze trasversali allo scopo di cambiare la legge elettorale in vista di una cadu-ta del Governo Berlusconi e di conseguenti elezioni politiche anticipate.

All’indomani del voto di fidu-cia al Parlamento ottenuto dal Governo Berlusconi riguardo le linee programmatiche da por-tare avanti nei prossimi anni, i fedelissimi del Presidente della Camera hanno ufficializzato quello che da mesi era dive-nuto il “segreto di Pulcinella”: la fuoriuscita dal Popolo della Libertà e la formazione di un nuovo soggetto politico.Futuro e Libertà potrà contare sull’apporto di 35 deputati, 10 Senatori e 4 europarlamentari di Strasburgo. Tra gli espo-nenti di spicco della neonata formazione politica ci sono i “falchi” Bocchino, Granata , Briguglio, ma anche Urso, Menia, Viespoli, Moffa e

Acque ancora agitatissime all’in-terno dei partiti di centro-destra che compongono la maggioranza di governo all’indomani dell’uf-ficializzazione della nascita del nuovo soggetto politico “finiano”, Futuro e Libertà. L’aria che tira non deve essere proprio delle migliori se anche un “cattivo” per eccellenza come Calderoli, ha lanciato l’idea di un nuovo patto tra Berlusconi, Fini e Bossi che allontani lo spettro di elezioni politiche anticipate o ribaltoni parlamentari dell’ultimo momento.Il patto del “trampolino” - così lo ha definito il pittoresco Ministro della semplificazione - avrebbe lo scopo di siglare un’intesa di legisla-tura oltre che di rilanciare l’azione del Governo Berlusconi evitando continue frizioni e strappi tra ex alleati che porterebbero inevitabil-mente ad un ulteriore aggravarsi della crisi politica; questo passag-gio a 3 andrebbe poi a rafforza-re ulteriormente il voto con cui Senato e Camera dei Deputati hanno accolto favorevolmente i cinque punti programmatici di Berlusconi. E’ evidente che a parte le prime dure dichiarazioni a caldo favore-voli alla cacciata dei finiani dalla maggioranza e l’invito fatto al Cavaliere di ricorrere immediata-mente alle urne, gli esponenti di primo piano della Lega stanno cercando di rimettere insieme i cocci della coalizione temendo non tanto elezioni anticipate quanto l’avvento di un governo tecnico che faccia decantare la situazione politica e metta in primo piano l’approvazione di una nuova legge elettorale accantonando la riforma federalista dello Stato. A confliggere contro tale auspi-cabile riappacificazione ci sono i comportamenti ondivaghi di

Fini e le dichiarazioni dei rappre-sentanti dell’ala più oltranzista di Futuro e Libertà in netta contrap-posizione con le dichiarazioni fatte da alcune “colombe” di FLI. Infatti, se da un lato il sottosegre-tario al commercio estero nonché vice presidente di Futuro e Libertà Urso tende la mano all’eventualità immaginata da Calderoli definen-dola utile, tanto più se si riusci-rà a fare delle riforme condivise,

dall’altro lo stesso Presidente della Camera, durante una serie di con-ferenze di presentazione del FLI in Nord Italia, non ha mancato di stilettare ai fianchi l’asse PdL- Lega. Secondo Fini - nella sua nuova veste di “giacobino” difensore della Magistratura - se non sarà il Lodo Alfano a creare tensioni con gli altri due alleati di Governo potranno essere alcune questioni riguardanti il riordino del sistema giudiziario a poter far scaturire la possibilità di una crisi di gover-no, a causa ad esempio di una riforma della giustizia punitiva nei confronti delle “toghe” o sotto-

ponendo le stesse al controllo di altri poteri. La sola evocazione da parte dell’ex presidente di Alleanza Nazionale di una possibile crisi di governo ha dato naturalmente il via alle dichiarazioni di guerra da parte di Bocchino e a ruota da tutti i partiti di opposizione.Il braccio destro di Fini ha infat-ti auspicato, in caso di eventuale caduta del Governo Berlusconi,

non l’immediato ritorno alle urne ma la ricerca di una maggioranza diversa in Parlamento che oltre a ratificare una nuova legge elet-torale pensi ad affrontare la crisi economica e finanziaria del Paese. Franceschini a tal proposito si è spinto oltre affermando che in caso di “caduta” del Cavaliere, il Partito Democratico dovrebbe cercare un’alleanza “costituzionale” con UDC e Futuro e Libertà non limitata solo a rifare la legge elet-torale come auspicano Di Pietro e Vendola ma anche per affrontare insieme a Fini e Casini le elezioni politiche in quanto né l’alleanza PD-IdV-Sinistra e Liberta né tan-

tomeno UDC e FLI sono auto-sufficienti in termini di voti per sbaragliare l’asse Berlusconi - Bossi. Lo stesso Casini rimanendo sem-pre all’interno dello stesso solco si è detto possibilista riguardo una con-vergenza con Partito Democratico e FLI per concludere non solo tale legislatura - sempre che l’at-tuale maggioranza di centro-destra crolli - ma anche per cercare di creare una nuova maggioranza che

porti fuori dalle secche il Paese senza però ricorrere all’alleanza con Di Pietro o la sinistra radicale di Vendola.A rendere la situazione ancora più esplosiva sono state le parole del Presidente Berlusconi il quale, dopo una settimana di riposo per ristabilirsi dalla recente operazione occorsagli al polso, ha affermato che oltre ad essere improcrastina-bile una legge che regoli tutto il sistema giudiziario, urge appro-vare in breve tempo un lodo che protegga le alte cariche dello Stato per tutto il periodo in cui svol-gono le loro mansioni a causa del comportamento di magistrati

politicizzati contro i quali potreb-be ben presto essere varata una commissione parlamentare d’in-chiesta, dichiarazioni queste ulti-me che allontanano ancora di più i due ex alleati Berlusconi e Fini.In ogni caso su tutti i fronti la confusione regna sovrana.Nel centro-destra il Popolo della Libertà sembra aver un po’ smar-rito la “verve” dei primi mesi. Esso stenta a trovare una configurazio-ne organizzativa interna stabile ed al momento è riuscito - almeno in parte - a frenare l’emorragia di parlamentari verso le sirene di Futuro e Libertà, ma variando la situazione politica, con l’eventuale caduta del Governo Berlusconi, per essere più chiari, non si sa sinceramente fino a che punto tale “diga” possa reggere.Il Partito Democratico si dibatte ancora in una drammatica crisi interna che dura dalla sconfitta alle elezioni politiche del 2008 e solo adesso una classe politica nuova con a capo il sindaco di Firenze sembra voler emergere dalla palude venutasi a creare a causa degli imperituri contrasti tra gli schieramenti vicini a Veltroni e D’Alema che stanno imbalsaman-do pure l’azione di Bersani. Di tale momento d’empasse sembra voler di nuovo approfittare come avvenuto già due volte in Puglia Vendola, il quale sta cercando di far coagulare intorno alla sua per-sona tutte le anime oramai disperse della sinistra radicale. Il disegno è chiaro: emergere a sinistra come l’unico vero esponente con ampia popolarità per sparigliare le carte nella coalizione di centro-sinistra e per raggiungere tale scopo deve sperare in rapide elezioni anticipate che non consentano al PD di rior-ganizzarsi intorno ad una propria figura politica “pesante” oppure impedirgli di fare alleanze - anco-

ra comunque osteggiate da molti Democratici - con UDC e FLI. I “finiani” invece puntano sempre più - le colombe Menia, Viespoli e Urso sembrano purtroppo essere state messe all’angolo - alla rottura con PdL e Lega per cercare in Parlamento le convergenze utili alla formazione di un Governo tecnico anche perché cercare con-sensi tra la gente al momento sembra difficile per la formazione politica creata da Fini, tanto che il presidente della Camera - spoglia-tosi definitivamente del suo abito di “super partes” - sembra essere esclusivamente occupato ed orien-tato alla creazione di un partito fluido: più fondazioni e associa-zioni e meno sezioni e forse meno forza di attrazione tra la gente.L’UDC è ancora indecisa sulla stra-da da percorrere poiché se da una parte, come ricordato in preceden-za, Casini si dice disposto a creare una alleanza coi Democratici ed i “finiani”, dall’altra annuncia che alle amministrative della prossima primavera i centristi correranno da soli per far risaltare meglio agli occhi degli Italiani la loro scelta anti bipolarista. Al tirar le somme crediamo che gli spazi di manovra di Berlusconi siano diventati strettissimi e evi-dentemente anche il Cavaliere scommette poco sulle reali inten-zioni di riappacificazione di Fini, anzi è convinto che il Presidente della Camera intende logorare lui ed il suo Governo fino alle estre-me conseguenze. Poche settimane ancora e causa la discussione in Aula della riforma della Giustizia e Lodo Alfano, sapremo se Berlusconi sarà riu-scito nell’ennesimo miracolo o se i riti dei sacerdoti della Prima Repubblica avranno preso di nuovo il sopravvento.

Giuliano Leo

I dissidenti del PdL uffi cializzano la loro nuova formazione politica

Nasce il partito di Fini

Berlusconi, Bossi e Fini stentano a ritrovare l’unità che ha portato a vincere delle politiche 2008

Scricchiolii

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I vergognosi fatti di Genova impongono riflessioni che ovviamente esulano dal calcio ed investono ampi settori della società. Partiamo proprio dai Serbi e dalla Serbia.Il movimento “Obraz”, cono-sciuto per aver recentissima-mente picchiato i partecipan-ti al Gay Pride di Belgrado, prima dei fatti di Genova s’era principalmente mostrato con scritte sui muri a contenuto nazionalista o nelle campagne contro gli omosessuali. Nei raduni pubblici i suoi mem-bri sempre più di frequen-te insistono sull’affermazio-ne della religione ortodossa, come l’unica giusta, e della patria, così come insistono sulla necessità che la Serbia venga definita mediante la Costituzione non come stato dei suoi cittadini, ma bensì come “stato del popolo serbo e degli altri che vi abitano”.Il forte richiamo alla Chiesa ortodossa - o cattolica come in Polonia - è una costante dei movimenti xenofobi slavi. Ne sanno qualcosa i radicali italia-ni, in primis Marco Cappato, che manifestando a Mosca per i diritti degli omosessuali furono aggrediti da un contro corteo in cui figuravano espo-nenti della chiesa e skinhead.In Serbia “Obraz” ha organiz-zato più volte delle campagne contro i diritti degli omoses-suali, considerando che un tale tipo di amore sia innaturale e senza religione, e ai suoi mem-bri piace il richiamo ai valo-ri introdotto dall’ex vescovo serbo Nikolaj Velimirović.È difficile dire con precisione quante e quali conseguenze abbiamo i movimenti nazio-nalistici sulle relazioni intra-nazionali nei territori misti, vero è però che sono di norma presenti e urlano ad ogni mini-ma “situazione critica”.Nonostante l’ignoranza - non ultima quella di giornalisti che scambiano il saluto dei cet-nici coi 3 punti che avrebbe perso a tavolino la nazionale serba - che germoglia attorno a questi combattivi movimenti di estrema destra, il fenome-no cresce, prende piede non solo in realtà arretrate cultu-ralmente e in grave empasse economica, ma anche in paesi come la Svezia.A proposito degli svede-si, popolo nell’immaginario collettivo aperto e sorriden-te, lontano anni luce dalle dispute da vecchia “Europa”, la destra xenofoba ha oggi il nome di Jimmie Akesson. Sverigedemokraterna, parti-to nato nel 1988 ad opera di ex neonazi del Partito Nazionalista del Nord e ed ex membri del “Bevara Sverige Svenskt” altrimenti detto “Manteniamo la Svezia sve-dese” o “Svezia agli svedesi”, testè entrato in parlamento.È il classico movimento radi-cale, che cavalca lo scontento degli strati più bassi o più inermi della società, come gli anziani. Alla domanda su dove intervenire, la risposta dei militanti è priva di interroga-tivi: “l’immigrazione sicura-mente perché da quello dipen-de tutto il resto. Noi abbiamo

un progetto chiaro: mettere un punto alle richieste di asilo e ai ricongiungimenti. Il nostro obiettivo concreto è diminuire l’immigrazione del 90%”.L’estrema destra svedese, rical-ca molto le istanze della Lega in Italia: anticomunismo, ter-ritorialismo, Cristianesimo contro Islam, xenofobia e anti-centralismo.La polemica contro “Stoccolma ladrona” che risucchia le risor-se del Paese a discapito dei lavoratori - udite, udite - del sud è emblematica.Come detto, a Est è la chiesa - cattolica od ortodossa che sia

- a cavalcare istanze xenofobe e di chiusura che caratterizzano i movimenti di estrema destra. In Italia ad esempio è assai diverso. Esemplare in tal senso è l’infinita diatriba in fatto di immigrazione. Laddove lo Stato chiude, la Chiesa sotto spoglie Caritas, apre.Più in generale, a cominciare dagli inizi degli anni Novanta l’estrema destra europea ha proceduto ad una profonda revisione ideologica indivi-duando nei mali sociali, nel malcontento popolare e nei timori derivanti dai cambia-menti economici e culturali di questo XXI secolo, il terreno fertile per fare proseliti in tutti i paesi europei.A questi problemi, che grava-no sulla maggior parte delle moderne società europee, la destra radicale ha poi aggiunto una buona dose di sfiducia verso i governi in carica, nei confronti dei partiti tradizio-nali, verso l’Unione Europea, ma soprattutto l’ostilità nei confronti dell’immigrato.Il punto di riferimento ide-ologico della attuale estrema destra europea poggia, sul giornalista e filosofo francese Alain de Benoist, il fondatore della Nouvelle Droit, il padre del “differenzialismo etnico”, la nuova frontiera del pensiero razzista in salsa dolce.De Benoist auspica esplicita-

mente ad una società antie-gualitaria, il filosofo francese immagine una “Europa delle Regioni”, una “Europa dei popoli, le “piccole patrie”, basate rigorosamente sul fede-ralismo etnico - o per dirla in un altro modo sul “differen-zialismo etnico” - per rendere possibile il non-inquinamento etnico dei luoghi preservando le diverse identità culturali, nazionali e religiose contro ogni “ibridazione”.Roba vecchia insomma, ma che non perde fascino. Il fasci-no del Vintage macabro.Il “contaminatore” è l’immi-

grato extracomunitario, nono-stante venga riconosciuto che esso fugge dalla miseria di tutti i Sud del mondo, è visto come un vero e proprio spet-tro. L’immigrato viene così ad essere il nemico numero uno da combattere, in quanto oltre ad intaccare l’identità dei popoli è ritenuto il responsa-bile dell’aumento della disoc-cupazione e dell’incremento della criminalità.L’”invasione” di immigrati, secondo il “nuovo pensiero”, viene permessa dalla globa-lizzazione economica - deno-minata anche con il nome di “mondialismo” - che causa l’omologazione culturale e l’incontro fra i popoli, di con-seguenza non riconoscendo le diversità tra i popoli, opera così ad una sorta di pulizia etnica, la quale a sua volta non porta altro che alla tanto odia-ta società multirazziale.La destra radicale europea, grazie alla sua svolta ideolo-gica, ha subito un processo di “proletarizzazione”. Ossia i movimenti dell’estrema destra riescono a trovare terreno fer-tile per le proprie ideologie, e soprattutto riscuotere consen-si, nelle classi meno abbienti, un tempo orientate di solito a sinistra. Mutamento, que-sto, legato molto legato molto all’imborghesimento della sinistra europea che l’ha pro-

gressivamente allontanata dai ceti popolari.Al netto dei succitati dettami ideologici comuni - la estre-ma destra europea evidenzia comunque numerose differen-ze. Nell’analisi generale pos-siamo dividere i soggetti in tre principali categorie.Troviamo movimenti e partiti dichiaratamente neofascisti ed certuni casi con caratteristi-che addirittura neonaziste. Nel primo caso rientrano le nume-rose compagini dell’estrema destra spagnola, portoghese, greca ed italiana. Le relati-ve compagini tuttavia hanno

aggiustato un pò il tiro con-centrandosi sull’attualità, visto che l’ostinato attaccamento al passato non ha prodotto nes-sun risultato elettorale rile-vante, anzi, il nostalgismo ne ha pregiudicato il consenso, l’esempio di casa nostra Forza Nuova è illuminante. Nella seconda tipologia troviamo i partiti dell’estrema destra tedesca, che ai classici temi dell’estrema destra europea aggiungono una buona dose di antisemitismo e di riferimenti al passato hitleriano.A questi partiti, se ne sono afiancati altri. È il caso dei movimenti del nord Europa, nati per la protesta antitasse che hanno ripiegato negli ulti-mi anni sulla xenofobia, l’op-posizione all’euro e all’Unione Europa. Esempi più rilevan-ti Pim Fortuyn in Olanda, Blocher in Svizzera, Haider in Austria e Bossi in Italia.Soggetti che con alterne for-tune - anche di vita - hanno saputo ritagliarsi uno spazio notevole nelle relative poli-tiche nazionali con ruoli di governo. La terza ed ultima categoria è quella dei parti-ti dei paesi dell’Est, che ai temi cari alla destra radicale aggiungono una buona dose di ultranazionalismo. Infatti, le compagini bulgare, ungheresi, rumene ed anche russe, hanno tra i propri obiettivi quelli di

realizzare un “grande Stato” che non prevede la presenza di nessuna minoranza etniche e perché no, anche di ebrei.Prendiamo la Bulgaria il parti-to Attacco Unione Nazionale, noto anche come Ataka, può essere considerato il partito più a destra attualmente pre-sente in Parlamento. Sostenuto da molti ex militari, Ataka si è caratterizzato per il rifiuto all’ingresso della Bulgaria nella Nato e nell’Unione Europea. Il partito ha proposto il rico-noscimento della religione cristiana ortodossa come reli-gione di Stato ed ha critica-

to i “privilegi” per le mino-ranze linguistiche presenti in Bulgaria, in particolare turchi e rom. Ataka è uno dei tanti partiti ultranazionalisti euro-pei coi quali condivide antise-mitismo e antieuropeismo cui aggiunge l’odio contro i Rom, elemento comune d’area, che riguarda pure Slovacchia, Ungheria e Romania. Non più tardi di 4 anni fa il leader di Ataka, Siderov, prese addirit-tura il 21,5% dei consensi alle presidenziali, e nonostante la netta sconfitta al ballottaggio, trattasi di risultato incredibile.La situazione ungherese è gra-vida di conseguenze se non controllata. Alle recenti ele-zioni dopo anni di socialde-mocrazia si è abbattuta sul paese la valanga Fidesz, destra moderata.La quale come la storia anche d’Italia insegna, si è fatto largo attraverso l’estrema destra e le sue sortite provocatorie e forti per rottamare il gover-no socialdemocratico ed ora ha intenzione di procedere da solo, accantonando di fatto Jobbik. Anche se, la destra moderata ungherese ama per così dire il doppio petto, essendo compatibile in molti casi con i radicali (taglio delle tasse, sicurezza).Ma è soprattutto in tema di difesa dell’identità unghe-rese che i due partiti sem-

brano parlare con una voce sola, specialmente per quanto riguarda la protezione delle proprie minoranze all’estero e in particolare in Slovacchia, Romania e Serbia. Non a caso, Orban ha cominciato il suo primo discorso dopo il trion-fo elettorale rivolgendosi “a tutti gli ungheresi, dentro e fuori i confini” mentre il suo ministro degli Esteri ha subi-to annunciato che il nuovo governo starebbe pensando di concedere la doppia citta-dinanza agli ungheresi etnici residenti oltre confine. Il mito della “nazione da 15 milio-ni” di anime (l’Ungheria non arriva a 10 milioni di abitanti) ultimamente è diventato mar-tellante e in un Paese in cui le due destre totalizzano quasi l’80 per cento dei consensi, il segnale va preso con le molle.La destra radicale europea, al fine di render più efficace la promozione delle proprio istanze ha tentato di struttu-rarsi a livello europeo coor-dinandosi. Questo coordina-mento ha avuto origine nel 2002, su iniziativa soprattutto della Falange spagnola e dello storico fascista iberico Blas Piñar.Dopo vari incontri ed innu-merevoli discussioni si giunge, nel novembre 2003, a pro-gettare un Fronte Nazionale Europeo per la difesa dell’Eu-ropa delle patrie. La prima conferenza officiale del FNE si tiene l’anno dopo in ottobre a Varsavia (Polonia) alla quale partecipano le delegazioni di Forza Nuova (Italia), Noua Dreapta (Romania), Nacionala Speka Savieniba (Lettonia), Narodowe Odrodzenie Polski (Polonia), Slovenska Pospolitost (Slovacchia), Narodni Sjednoceni (Repubblica Ceca) e Alliantie (Olanda). Dopo solo un mese, il 20 novembre 2004, presso l’Hotel Chamartín di Madrid, viene firmato dai rappresentan-ti presenti un accordo che pone le basi per la costituzione di un Fronte Nazionale Europeo. All’incontro erano presenti le delegazioni di Forza Nuova (Italia), NPD (Germania), Noua Dreapta (Romania), Terre et Peuple (Francia), BNS (Bulgaria), England First (Inghilterra), Slovenska Pospolitost (Slovacchia), e naturalmente il FE (Spagna), oltre ai camerati polacchi ed alla straordinaria partecipazio-ne del prelato italiano e lefre-viano don Giulio Maria Tam, che chiude il cerchio.Tra i punti caratteristici dei soggetti aderente al FNE ci sono alcuni vecchi adagi: la difesa della sovranità, dignità ed indipendenza dell’Europa, di un’Europa delle patrie con-tro il mercantilismo e la globa-lizzazione; difesa della cultura, delle tradizioni e dell’identità cristiana di fronte alla globa-lizzazione culturale, all’immi-grazione ed all’ingresso della Turchia in Europa; difesa della vita e della famiglia tradiziona-le di fronte ai crimini quali l’aborto, i matrimoni omoses-suali e le adozioni da parte di quest’ultimi.

Francesco di Rosa

La Piazza d’Italia - Esteri

Estrema destra in EuropaAttualità e casi signifi cativi

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La Piazza d’Italia - Economia

Il vertice del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale tenu-tosi a Washington ha avuto al centro dei colloqui i rischi di una guerra valutaria e commerciale. Sotto accusa da parte degli Stati Uniti si trova la Cina che non è disposta a rivalutare più di tanto lo yuan per non vedere interrotto il suo boom eco-nomico che dura da anni.Il direttore generale del Fmi, Khan, ha manifestato la sua preoccupazione. Manca la cooperazione internazionale, ha lamentato, e quello che è più grave è che ci troviamo in un momento difficile per l’economia globale. Il tec-nocrate francese ha avvertito che i Paesi a rischio mettono sotto pressione la ripresa eco-nomica globale se usano le loro monete per cercare di stimolare la crescita interna. Si sta rischiando l’esplosione di una guerra valutaria che lascerà dietro di sé soltanto macerie. Si sta facendo strada l’idea che le valute possano essere usate come arma poli-tica. Una simile idea, tradot-ta in azioni, potrebbe rap-presentare un rischio molto grave per la ripresa globale, un impatto negativo e molto dannoso nel lungo periodo. A giudizio di Khan, la Cina deve accelerare l’apprez-zamento dello yuan, anche se questo avrà un impatto negativo sulle sue esportazio-ni. La sottovalutazione dello

yuan, ha insistito, rappre-senta una fonte di tensione che rischia di trasformarsi in una minaccia. Questo perché troppe risorse stanno affluen-do verso Pechino e questo finisce inevitabilmente per squilibrare il resto dell’eco-nomia globale. In ogni caso, è poco probabile che l’eco-nomia scivoli in recessione, ma la crisi, ha ricordato, non è finita fin quando l’occupa-zione non riparte. La crescita

da sola non basta, ci vuole un calo del numero dei disoccu-pati. Analogo il giudizio del Presidente della Bce, Trichet, che, interpretando l’opinione dei governi europei, con in testa Angela Merkel, ha invi-

tato Pechino a tenere fede al suo impegno di rendere più flessibile il cambio della propria moneta.Osservazioni che sono del tutto corrette e manifestano sicuramente molte perplessità sui meccanismi di cooperazio-ne internazionale, soprattutto quando si tratta di risolvere problemi monetari o più in generale problemi che riguar-dano le singole economie. La minaccia di questa guerra

valutaria è reale, e provoca seri rischi per i mercati. Non è chiaro per esempio se il forte balzo del tasso Euribor allo 0,97% sia il sintomo di una normalizzazione sul mercato del credito, oppure

di una accresciuta incertezza tra gli operatori. Nell’area dell’euro c’è meno liquidità, o, meglio, c’è un po’ meno di liquidità in eccesso, visto che le banche stanno riducen-do la dipendenza dalla Bce. In questo senso, il segnale dell’Euribor suona positivo ed è in sintonia con un pro-cesso di normalizzazione e con la prospettiva di una exit strategy (graduale abbando-no di una politica moneta-

ria ultra espansiva) segnalata dalla Bce. Ma, mentre l’Eu-ropa sta accarezzando il ritor-no alla normalità, negli Stati Uniti e in Giappone si sta invece percorrendo la strada opposta. Si potrebbe pensare

che il nuovo “Quantitative easing” della Fed, ossia l’ul-teriore massiccia iniezione di liquidità attraverso l’acquisto di bond sul mercato serva a sostenere un’economia che procede al rallentatore, in parte è vero: perché compri-mendo i già bassi tassi d’in-teresse di mercato, si spera di favorire le imprese e i consumatori. Ma se le prime non investono, perché non c’è domanda, e i consumatori non consumano, perché tanti sono disoccupati o non vedo-no crescere la loro ricchezza, tutta la nuova liquidità creata dalla Fed finisce per far gola ai mercati finanziari. Lo si è visto a Wall Street che, alla sola prospettiva di un nuovo Qe, è volata dell’11% in poco più di un mese. È diffi-cile capire quanto bene possa fare il Qe all’economia, ma è chiaro che la creazione di nuova liquidità fa soprattutto deprezzare la moneta. E in un mondo globalizzato, con una produzione in eccesso rispet-to ai consumi della “nuova normalità” occidentale, le “economie avanzate” riesco-no a stare a galla svalutando la propria valuta. Quella cui stiamo assistendo è di fatto una guerra valutaria: non più giocata con le svalutazioni di un tempo, ma indirettamente creando liquidità in eccesso. L’euro vola e il dollaro con-tinua a scendere; il mercato del lavoro americano è pres-soché immobile per cui la

impossibilità di consumare da parte delle famiglie crea un eccesso di liquidità nel sistema che provoca a sua volta un deprezzamento della valuta che sicuramente giova alla bilancia commerciale degli Stati Uniti sul fronte delle esportazioni, i cui pro-dotti appunto costando di meno sono più competitivi sul mercato internazionale rispetto a quelli di altri Paesi che hanno, invece, subìto un apprezzamento della moneta.Come si nota, la partita si sta giocando sul mercato valuta-rio nell’ambito di una econo-mia mondiale che sta ancora patendo la crisi. Sicuramente questa minaccia di guer-ra valutaria non fa bene al sistema economico globale, e sicuramente la Cina finchè non accetterà di apprezzare la sua moneta costituirà un vero problema per gli scambi internazionali spostando gli equilibri dell’intera econo-mia mondiale. Questo squi-librio non può che non avere un impatto negativo sui sin-goli sistemi economici e non può che aggravare la crisi già in corso. Pechino dovrebbe comprendere che rispettare gli equilibri internazionali soprattutto a livello econo-mico è un dovere morale ed istituzionale, se si vuole ritenere membro onesto di un sistema economico glo-balizzato.

L’incertezza della guerra valutariaLe economie del pianeta rischiano di mettere sotto pressione la ripresa economica

È questo l’effetto reale della crisi economica sui conti pubblici dell’Italia secondo i calcoli della Cgia di Mestre. “Meno ricchezza prodotta e più disoccupazione hanno colpito non solo i bilanci delle aziende e delle famiglie italia-ne, ma, anche, le casse dello Stato”. In realtà la perdita cumulata in questi ultimi 3 anni è stata di 35,8 miliardi di euro. Da un punto di vista statistico si attiva a questo risultato (-35,8 mld) som-mando le perdite di gettito di ciascun anno preso in esame rispetto al 2007: vale a dire 4,337 mld del 2008; 18,716 mld del 2009 e i 12,788 mld stimati per il 2010.Che i conti pubblici dello Stato siano in disequilibrio è ormai un fatto già noto, come già noto è il danno che ha provocato la crisi economica al bilancio pubblico. Questa effetto negativo della congiun-tura sui conti pubblici negli ultimi tre anni oltre ad essere ormai nota non era non pre-ventivabile, per cui le misure per controbilanciare questa situazione avrebbero dovuto prendersi con una tempistica diversa da quella attuale. Cosa può fare un Governo a fronte di uno squilibrio di bilancio dal lato delle entrate tributa-rie? Sicuramente non è oppor-tuno, in tempi di stagnazione e/o di recessione aumentare la pressione fiscale, perché que-

sta finirebbe per aggravare la già precaria situazione reddi-tuale delle famiglie, oltre tutto in condizioni di disoccupazio-ne crescente. L’unica misura che può prendere un Governo in questa situazione di grave squilibrio è di tenere sotto controllo la spesa pubblica. Quindi, a fronte di meno entrate, bisogna controllare attentamente e prudentemen-te la spesa pubblica, anche se questa operazione non è molto agevole perché si tratta di spendere di meno in servizi alla collettività. Di qui, l’esi-genza del Governo di tagliare in alcuni settori per rispar-miare e per drenare risorse. I tagli alla spesa pubblica costi-tuiscono sempre oggetto di dibattiti politici molto acce-si nei quali, maggioranza ed opposizione, non si trovano quasi mai d’accordo. Questo Governo di centro- destra ha ritenuto strategico ed oppor-tuno effettuare tagli al settore dell’istruzione ed alla ricerca scientifica ed allo sviluppo tecnologico.Conviene sottolineare che un Governo, quando deve neces-sariamente tenere sotto con-trollo la spesa pubblica veden-dosi contrarre le entrate deri-vanti dal gettito fiscale, non si trova a svolgere una semplice operazione contabile perché queste poste del bilancio pub-blico producono degli effetti importanti sulla collettività

nazionale differenziata per categorie, imprenditori, fami-glie e lavoratori. Infatti, nella fattispecie italiana, il controllo della spesa pubblica ha pro-vocato altra disoccupazione proveniente soprattutto dal settore dell’istruzione. Questo incremento della disoccupa-zione andandosi ad aggiunge-re al tasso di disoccupazione preesistente alla manovra del taglio alla spesa pubblica ha prodotto un notevole incre-mento della disoccupazione su scala nazionale incidendo ancor di più sia sulla ricchez-za nazionale che sulle casse dello Stato. Da quanto appe-na detto sembrerebbe che il Governo avesse sbagliato politica, invece, c’è da dire, purtroppo, che tutto questo meccanismo è per i conti pub-blici un innesco obbligato, causato dalla crisi economica. Se lo Stato italiano non avesse avuto quell’ammontare spa-ventoso di debito pubblico il Governo avrebbe potuto considerare anche l’ipotesi contraria, cioè di tipo key-nesiano, di espandere cioè la spesa pubblica in modo che tramite la sua leva si potesse dare un impulso alla crescita economica del Paese. In Itali, appunto, questa ipotesi non è percorribile fin quando il debito pubblico non rientra nel suo rapporto con il Pil nel parametro di Maastricht.In altri termini, la manovra

del Governo è stata la seguen-te: tagli alla spesa pubblica a fronte di un minor gettito fiscale e maggiore disoccu-pazione. Non è ridondante riaffermare un concetto molto importante quando le con-giunture economiche provo-cano recessione e/o stagnazio-ne: l’effetto che si ha è sicu-ramente un disequilibrio dei

conti pubblici, sicuramente lo è dal lato delle entrate perché la crisi polverizza il gettito fiscale, determinando un livel-lo di entrate minore di quel-lo delle uscite. Un Governo responsabile non permetterà di incrementare questo gap sezionale del bilancio pubbli-co e comincerà ad effettua-re manovre di contenimento della spesa. L’economia nazio-nale sottoposta ad un ciclo di contrazione dei consumi, degli investimenti e della spesa non ha altri indicatori che possano

stimolarla alla crescita. Questa è, purtroppo, una realtà ogget-tiva. Dal canto suo lo Stato che tiene la contabilità pub-blica si trova di fronte ad una politica a senso unico quella del rigore. Di qui il concetto di cui sopra dal quale nessun Governo può prescindere in sede di politiche di bilancio, non c’è una formula matema-

tica in eco-nomia che con- ci-liando rigore e crescita possa consentire di riequilibrare i conti pubblici ed il sistema economico nazio-nale. Nasce così la necessità di operare preventivamente, di praticare politiche incisive quando tutto va bene; non si deve pensare che quando l’economia è in buona salute

non c’è nulla da fare e non bisogna, quindi, intervenire, anzi, è proprio in tal caso che occorre rafforzare il siste-ma cercando di creare quegli anticorpi necessari a renderlo immune da eventuali shock finanziari che potrebbero scoppiare anche lontano dal nostro Paese ma potrebbe-ro avere, come è successo di recente, un impatto negativo sul ciclo economico nazio-nale. Fare di più in tempi non sospetti, abbassare il debito pubblico in modo da offrire più margini di manovra alla spesa pubblica è una buona pratica di intervento pubbli-co. Questi, quindi, debbono essere gli obiettivi di una eco-nomia avanzata e di un Paese industrializzato come l’Italia, che deve sempre di meno essere sensibile agli squilibri internazionali e sempre più pronto a respingerli qua-

lora dovessero ripercuotersi negativamente sull’economia interna. Tutto ciò sicuramente non è agevole, ma presuppone capacità, competenze ministe-riali sulle quali si dovrebbe investire per snellirle ed otti-mizzarle cercando, appunto, di reclutare pochi tecnici ma buoni. In tal caso un taglio alla spesa pubblica in termini di sprechi sarebbe auspicabile e doveroso nei confronti del bilancio pubblico e della col-lettività nazionale.

La crisi economica polverizza il gettito fiscaleNegli ultimi tre anni la crisi ha bruciato 15,4 miliardi di euro di tasse

conti pubblici, sicuramente lo è dal lato delle entrate perché la crisi polverizza il gettito fiscale, determinando un livel-lo di entrate minore di quel-lo delle uscite Un Governo

tica in eco-nomia che con ci

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La Piazza d’Italia - Economia

Secondo il Bollettino econo-mico trimestrale della Banca d’Italia, è confermata la stima di una crescita intorno all’1% nel 2010. Il tasso di disoccupa-zione salirebbe oltre l’11% nel secondo bimestre del 2010 se si includessero i lavoratori sco-raggiati e l’equivalente delle ore di cig. L’allarme è nella direzio-ne del mercato del lavoro nel quale permangono scoraggianti segnali di incertezza circa le prospettive. Le aspettative occu-pazionali rilevate dall’indagine ISAE presso le imprese mani-fatturiere sono rimaste, tutta-via, sostanzialmente invariate nel corso dell’estate, attestan-dosi su valori inferiori rispetto a quelli del periodo precedente la crisi. Le attese a breve termine delle imprese sull’occupazione sono meno pessimiste rispet-to all’inchiesta di giugno, il saldo tra le aziende che pre-vedono un miglioramento nel trimestre successivo e quelle che anticipano un peggioramento è rimasto negativo pur ridu-cendosi fortemente. La crescita dell’occupazione ha riguardato esclusivamente le regioni del Centro (0,6%, al netto dei fat-tori stagionali tra il primo e il secondo trimestre dell’anno in corso), a fronte della sostanziale stabilità in quelle del Nord e dell’ulteriore riduzione registra-ta nel Mezzogiorno (-0,1%).Nel secondo trimestre 2010, l’occupazione si è complessi-vamente ridotta rispetto allo stesso periodo del 2009 (0,8%):

per i lavoratori di nazionali-tà italiana è scesa di 366.000 persone, mentre è cresciuta di 171.000 per gli stranieri, riflet-tendo esclusivamente l’aumento delle iscrizioni alle anagrafi (la popolazione straniera in età da lavoro è aumentata di 348.000

persone). Il calo del tasso di occupazione è stato più intenso per gli stranieri che per gli ita-liani (rispettivamente, -1,6% e -0,7%). Per l’ottavo trimestre consecutivo, la flessione è stata

più significativa per gli uomini che per le donne e per i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. La riduzione dell’occupa-zione ha interessato esclusiva-mente i lavoratori dipendenti, mentre l’occupazione indipen-dente è tornata a crescere.

L’andamento del tasso di disoc-cupazione ha riflesso soprattut-to quello della partecipazione al mercato del lavoro ed è leg-germente aumentato, all’8,5% nel secondo trimestre; sarebbe

sceso in luglio e in agosto.Per quanto concerne, invece, le famiglie italiane c’è da eviden-ziare ancora una volta la sta-gnazione dei consumi, frenati dalla contrazione degli acquisti di beni durevoli (-6,8%). Vi ha contribuito l’esaurirsi dello

stimolo connesso con le agevo-lazioni fiscali alla rottamazione degli autoveicoli più inquinan-ti, solo parzialmente compen-sato dagli incentivi governativi all’acquisto di altri beni dure-

voli. Tra le componenti della spesa delle famiglie italiane, quella per beni non durevoli e per servizi ha registrato un lieve incremento. Le debolezza della dinamica dei redditi ha continuato a incidere sulle deci-sioni di consumo; vi ha concor-so la lentezza con cui stanno migliorando le condizioni del mercato del lavoro. Secondo le stime di Bankitalia, nella media del primo semestre il reddito reale disponibile delle famiglie consumatrici ha subito un calo nell’ordine di un punto percen-tuale sul periodo corrisponden-te del 2009. Tale riduzione ha riflesso soprattutto una dinami-ca dei prezzi più elevata.I comportamenti di spesa delle famiglie restano cauti. Nel secondo trimestre il debito delle famiglie è aumentato di oltre mezzo punto percentuale, con-fermando il moderato aumento osservato nel primo trimestre. L’indebitamento delle famiglie italiane in termini di reddito disponibile resta molto inferiore a quello medio dell’area dell’eu-ro (97% nel mese di marzo).Oltre a queste dinamiche fon-damentali che riguardano le famiglie sia in termini di con-sumo che di reddito, c’è da rile-vare che la fase ciclica dell’eco-nomia italiana sta registrando una lieve crescita del Pil dello 0,5% rispetto al periodo pre-cedente. C’è da dire però che all’espansione delle esportazioni non ha corrisposto un rafforza-mento della domanda interna

che rimane debole. Secondo le stime di Bankitalia la crescita proseguirebbe nel terzo trime-stre anche se in settembre il clima di fiducia delle imprese è sceso lievemente.Per quanto concerne i dati sulle entrate tributarie, nel comples-so dei primi tre trimestri del 2010 quelle contabilizzate nel bilancio dello Stato sono dimi-nuite dell’1,8% (5,0 miliardi) rispetto al periodo corrispon-dente del 2009. La riduzione è riconducibile al crollo delle imposte sostitutive una tantum, che avevano sostenute le entrate nel 2009, e al calo del gettito di quelle sui redditi delle atti-vità finanziarie; anche il gettito dell’Ires si è ridotto, risentendo della forte contrazione dell’atti-vità economica nel 2009.A fronte di questo quadro con-giunturale si può agevolmente affermare che la ripresa econo-mica in Italia anche se sinte-tizzata in un aumento dell’1% del Pil non è ancora avvenuta in modo reale e sostanziale, si può dire che si tratta di un assestamento ciclico. In realtà le difficoltà permangono sia nel mercato del lavoro che nei conti pubblici. Fin quando le famiglie italiane non torneranno a con-sumare in ragione di un ritro-vato livello di reddito la crescita da sola non potrà trainare il Paese fuori dalla crisi reale. Il Governo sa benissimo che que-ste difficoltà vanno affrontate facendo riforme strutturali.

Il PIL ha lievemente accelerato nel secondo trimestre ma prosegue la stagnazione dei consumi e l’incertezza del mercato del lavoro

Allarme di Bankitalia su lavoro ed entrate fiscali

Trichet, il Presidente della Banca Centrale Europea, promuove l’Italia sui conti pubblici e deficit che in molti paese ancora supera il 60% e poi avverte: “i criteri di Maastricht sono validi non solo per Roma”. Ha messo in luce come l’Italia abbia mostrato capacità di ridurre il suo deficit e la sua spesa pubblica, ed è una cosa che viene accolta con favore.“A partire da agosto 2007 la Bce ha deciso di offrire liqui-dità in modo eccezionale, per-ché abbiamo visto che i nostri mercati valutari monetari erano sottoposti ad uno stress impor-tante. Quello che è successo ad agosto è capitato all’improvviso; questa imprevedibilità dei fatti ha sviluppato un atteggiamen-to di allerta anche nel settore privato come in quello pub-blico ed ovviamente nelle ban-che centrali. Per la prima volta abbiamo messo alla prova un rafforzamento formidabile della interdipendenza dell’economia e tra tutte le entità economiche. Questo cambiamento incredibi-le a livello comportamentale da parte di tutte le entità private di carattere finanziario o meno, in tutto il mondo, si è verificato nell’arco di pochissimi giorni. Questa è la prova che esiste una finanza globale, esiste un’eco-nomia globale che è fortemente integrata con questa capacità di contagio. C’è perciò un’intesa generale sulla necessità di riequi-librare l’economia globale. C’è un largo livello di consenso sulle strategie globali da adottare, che in questo modo le economia avanzate con forti indebitamenti devono risparmiare e le econo-mie emergenti con forti surplus

devono stimolare la domanda interna. La crescita però è ral-lentata dall’eccesso di volatilità nel mercato dei cambi. Un feno-meno controproducente anche per la stabilità”. C’è anche da aggiungere che le ripetute inie-zioni di liquidità all’interno dei sistemi finanziari stanno provo-cando di fatto una vera e propria guerra valutaria e questo oltre a rendere instabile il sistema deter-mina anche notevoli squilibri nell’economia mondiale.Per quanto concerne la finanza pubblica italiana, l’apprezza-mento per la politica di bilan-cio è ovviamente gratificante, la riduzione della spesa pubblica e del deficit è un dato di fatto. L’Istat infatti ha pubblicato i dati del secondo trimestre sui conti pubblici italiani. Il rappor-to deficit/Pil nel secondo trime-stre 2010 si è attestato al 3,6% (mancano 0,6 punti percentuali per rispettare il parametro di Maastricht), mentre comples-sivamente nel primo semestre 2010 si è registrato un inde-bitamento netto pari al 6,1% del Pil, in riduzione rispetto al valore del 6,3% registrato nel primo semestre 2009.Evitare gli sprechi nelle Pubbliche Amministrazioni e quindi gli indebitamenti degli enti locali, la cui somma va ad incidere pesantemente sul debi-to pubblico dello Stato, questa è una tipica manovra di taglio alla spesa pubblica. Tagli alla spesa pubblica sono stati effet-tuati nel servizio dell’istruzione (rispetto ai quali non mancano polemiche). Si può affermare che la vera riforma di cui il Paese ha bisogno è un radicale ripensamento della spesa pub-

blica, soprattutto della qualità della spesa, è opinione ormai diffusa che non servono a nulla i numerosi tagli lineari alle tabel-

le del bilancio dello Stato, ma occorre fare un’attenta, minu-ziosa rilettura delle singole voci della spesa.Uno dei capitoli di spesa che presenta maggiori anomalie è quello sanitario, di competenza regionale. Il vizio non sta nella competenza regionale, prova ne è che in Lombardia o in Emilia la gestione è efficiente, sta piuttosto nella inadeguatezza

di certe classi dirigenti regionali del passato.Insomma, la sfida più importante che un Governo deve affrontare

risiede proprio nelle manovre di tagli alla spesa pubblica, perché spesa pubblica significa fondi per l’istruzione, per la sanità, per gli enti locali, per i servizi pubblici che sono necessari al mantenimento di standard di vita dignitosi dei cittadini. Non è sempre agevole individuare i capitoli spesa oggetto di tagli, ma l’errore che da anni si fa in Italia è quello di non intervenire

sulla qualità della spesa, come dire basta tagliare che la spesa pubblica sicuramente diminuirà e l’obiettivo di finanza pubblica

sarà raggiunto. Questo Governo comunque ha tagliato la spesa, non è possibile in questo con-tributo entrare nel merito di un giudizio di opportunità, quello che bisogna sottolineare è che Trichet ha apprezzato questa riduzione della spesa a prescin-dere, si deduce bene dalle sue dichiarazioni, in quali capitoli si sono effettuati i tagli. Il mero dato numerico è prioritario in

ambito europeo per ricevere un giudizio favorevole o sfavorevole sulla politica di bilancio attuata da uno Stato membro, e questo non è sicuramente un moni-to efficace perché trasmette ai singoli Stati membri un cattiva abitudine quella di tagliare e basta senza verificare se il taglio era meglio farlo in qualche altro settore coerente con un modello di crescita e di sviluppo che ogni Paese intende seguire.C’è chi taglia nella sanità, chi taglia nell’istruzione, chi taglia nei trasferimenti agli enti loca-li, è chiaro che ogni taglio di spesa ha una valore ed un effetto diverso negli Stati membri, ed è altrettanto chiaro però che Paesi liberali, moderni ad economia avanzata non possono effettuare tagli giusto per farli o per rispet-tare il criterio di Maastricht ma debbono farli consideran-do attentamente gli effetti che provocheranno sul modello di sviluppo sociale ed economico, insomma quale sarà l’impatto sulla crescita e sull’occupazione.Il problema è sempre il solito si direbbe ridondante: conciliare rigore e crescita economica non è per nulla agevole, soprattut-to poi quando queste politiche debbono attuarsi in congiunture di crisi. Il rigore può sicura-mente allentare l’indebitamento pubblico e quindi far respirare i conti pubblici di un Paese ma non è detto che a fronte di ciò si possa coniugare crescita e sviluppo, quando poi questa sono incatenate in un disagio sociale molto grave come quello dell’aumento della disoccupa-zione e della contrazione dei consumi.

Avanzino Capponi

I conti pubblici italiani stanno rientrando nell’alveo della soglia dei parametri di Maastricht

La BCE promuove la finanza pubblica italiana

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La Piazza d’Italia - Economia

Ebbene sì, non è un dato a caso ma è una cifra reale, che rappresenta il numero dei lavoratori che si trova attual-mente in Cassa integrazio-ne, quindi senza lavoro. Il Ministro del Lavoro Sacconi lancia l’allarme: “viviamo una stagione difficile, di fronte a noi c’è un tempo multifor-me”. E sul rapporto con i sindacati dice: “confidiamo che qualcosa di nuovo succe-da con il cambio di guardia alla guida della Cgil”.Ma a tuonare nel mondo del lavoro oltre alle agitazioni sindacali è il dato sui lavora-tori che in settembre si tro-vano in Cassa integrazione. È raccapricciante, allarmante l’incremento del ricorso alle ore di Cassa integrazione del +34,8% rispetto ad agosto e di conseguenza il riflesso negati-vo di questo stato sui salari. A settembre come si anticipava nelle righe precedenti risul-tano essere oltre 640.000 i lavoratori in cassa, che hanno subìto, nei primi nove mesi dell’anno, un taglio netto del reddito per oltre 3,5 miliardi di euro., più di 5.500 euro per ogni singolo lavoratore. Secondo il segretario confe-derale della Cgil, Vincenzo Scudiere, “dai dati del nostro Osservatorio emerge una crisi che continua ad essere molto dura per i lavoratori e per le stesse imprese: la Cassa inte-grazione continua a crescere, nonostante segnali di ripre-sa dell’economia, mentre le crisi aziendali si moltiplicano senza che dal governo arrivino risposte adeguate”.“Tutto l’apparato produttivo resta profondamente coinvol-to nella crisi, dalla grande alla piccola azienda, attraversando trasversalmente tutti i settori”, spiega Scudiere. Inoltre, si sot-

tolinea nel rapporto, “da que-sto mese è evidente una novità rappresentata da un aumento consistente soprattutto nei set-tori direttamente produttivi: occorre verificare in che misura può essere il risultato di un allargamento ulteriore delle dif-ficoltà produttive del settore manifatturiero o se è il risultato per molti lavoratori dalla Cigs alla Cigd”. Motivi per i quali Scudiere rilancia l’allarme sulla cassa in deroga: “il continuo e consistente aumento della Cassa in deroga sta andando ben oltre il peso registrato nel 2009, per questo si rende neces-sario e urgente un intervento del governo per rifinanziare uno strumento prima della sca-denza di fine anno”.Il Ministro del lavoro Sacconi, invece, sostiene che “c’è vitali-tà nel nostro tessuto produtti-vo, c’è capacità di collegamen-to con la ripresa economica internazionale, ma ci sono molte aziende che hanno in corso processi di ristruttura-zione e cambiamento negli assetti proprietari e questo si riverbera sull’occupazione”.Da parte sua il Governo cerca di “proteggere il reddito dei lavoratori attraverso i contrat-ti di solidarietà, le varie forme di cassa integrazione e stiamo cercando di accentuare la for-mazione insieme alle Regioni che ne hanno competenza per accompagnare la perso-na verso un nuovo lavoro”. Secondo il Ministro “è pas-sato il peggio ma certamente avverte, viviamo una stagione difficile dell’occupazione: di fronte a noi ci sono situazioni aziendali positive che crescono e situazioni difficili, con circa 180 tavoli in cui affrontiamo le crisi aziendali in corso di trasformazione”.Come si può agevolmente

notare tra le dichiarazioni di Scudiere e quelle di Sacconi c’è una netta contrapposizione di analisi e di giudizi, in par-ticolare in merito alle dinami-che dell’apparato produttivo italiano, per il primo molto rigido per il secondo, invece, vitale e capace di legarsi alla ripresa internazionale.Comunque la miopia sulla realtà più importante che sta affliggendo il mondo del lavo-

ro meno male che è stata la grande assente, perché entrambi hanno affermato che c’è un allarme legato all’eleva-to aumento della disoccupa-zione.Interessante misura di inter-vento a sostegno del reddito dei lavoratori è il contratto di solidarietà che può avere due forme: difensivo, è la forma più importante perché la riduzione d’orario è finalizzata ad evitare la riduzione di personale, quin-di il licenziamento; espansivo, è la forma che permette, sempre attuando la riduzione di orario, di favorire nuove assunzioni a

tempo indeterminato.Il datore di lavoro è incentiva-to all’uso di questo strumento mediante sgravi, vale a dire una riduzione contributiva per i lavoratori coinvolti nei contratti di solidarietà in per-centuale variabile tra il 25% e il 40%. L’obiettivo del con-tratto è quello di incremen-tare l’occupazione aziendale. Il lavoratore usufruisce, fino a 24 mesi, di una integra-

zione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, nella misura del 60% della retribuzione perduta a seguito della riduzione d’orario. Per il Mezzogiorno il parametro tempo sale a 36 mesi. Il con-tratto di solidarietà si può applicare anche ai lavoratori con contratto di apprendista-to a seguito dell’emanazione dei provvedimenti anticrisi. L’azienda presenta la doman-da di concessione del tratta-mento di integrazione salaria-le , per un periodo massimo di 12 mesi (con possibilità di proroga), al competente

ufficio Inps, che risponde entro trenta giorni dalla data di ricezione della domanda. Durante il periodo di vigenza del contratto di solidarietà, è vietato il licenziamento per riduzione di personale.L’altra misura governativa a sostegno del reddito dei lavo-ratori è la Cassa integrazione guadagni. Si tratta di un istitu-to previsto dalla legge italiana, consistente in una prestazione

economica (erogata dall’Inps), in favore dei lavoratori sospe-si dall’obbligo di eseguire la prestazione lavorativa o che lavorano a orario ridotto. La CIG ordinaria è attivabile a fronte di eventi transitori non imputabili all’imprenditore o agli operai, come una crisi temporanea di mercato. La CIG straordinaria, invece, è attivabile nei casi di ristrut-turazione, riorganizzazione o riconversione aziendale, casi ci crisi aziendale di particolare rilevanza settoriale o territo-riale, impresa assoggettata a procedura concorsuale di fal-

limento, liquidazione coatta etc.Insomma al di là delle varie tipologie di ammortizzatori sociali, il Governo comunque sta intervenendo a sostegno dei redditi dei lavoratori disoccupa-ti, ma questo non è sufficiente perché si tratta di misure tem-poranee e transitorie che posso-no non risolvere la condizione di disoccupato del singolo lavo-ratore, anche perché da un lato ci sono i lavoratori ma dall’altro ci sono le imprese, anch’esse coinvolte in una profonda crisi sia proprietaria che di mercato. Per cui, al fine di evitare ancora aumenti vertiginosi della disoc-cupazione occorre dare un serio impulso al sistema produttivo incentivando le aziende a rima-nere sul mercato investendo nella forza lavoro, diversifican-do la loro offerta e rivisitando i loro piani industriali in modo da rafforzarsi sul mercato e non per tagliare i costi del personale. Un’azienda deve allocare tutte le sue risorse per far mercato non per licenziare, anche per-ché il licenziamento si traduce solo in un alleggerimento degli oneri del personale e quindi della situazione economica delle imprese ma non risolve il problema di fare mercato, infatti può esistere un azienda con un solo dipendente ma che fallisce.Quindi tutti gli attori del mercato del lavoro, in siner-gia con l’intervento pubblico, debbono fare il loro dovere sopravvivendo ad una crisi che oggettivamente sta pro-vocando non poche difficoltà, l’obiettivo dunque è sopravvi-vere sul mercato per superare la crisi limitando i costi socia-li che non fanno altro che aggravare la crisi nel sistema economico del Paese.

Non si tratta più di un’utopia politica piuttosto di una reale intenzione governativa. L’idea del federalismo fiscale comincia a prendere corpo soprattutto in vista di una situazione econo-mica molto critica sia a livel-lo pubblico che privato. Sotto accusa i conti pubblici, quin-di la manovra strategica che alleggerirà i costi dello Stato riguarderà i tempi ed i modi di attuazione del federalismo fiscale, cioè di questa forma di decentramento di competenze e di strumenti fiscali che dallo Stato passeranno alle Regioni. Si tratterà di vedere come le competenze (spese) e gli stru-menti fiscali (entrate) verranno assegnate tra i diversi livelli (in verticale) dell’amministrazione. Per svolgere le funzioni decen-trate in modo efficace, i governi locali devono avere un adegua-to livello di entrate siano esse finanziate direttamente a livello locale o trasferite dal governo centrale nonché la facoltà di prendere decisioni sulle spese.Per precisare meglio il mecca-nismo del federalismo fiscale si può dire che il processo di riduzione delle competenze di

uno Stato che esso contempla e la loro contemporanea attri-buzione alle Regioni si chiama devoluzione, che è un termine che solo recentemente viene utilizzato. Il nostro Paese, fino-ra basato sul regionalismo, ossia su un sistema basato su limitate autonomie delle Regioni, men-tre allo Stato competeva tutto quanto non era esplicitamente delegato alle Regioni.Dal Consiglio dei Ministri c’è stato il primo disco verde al decreto legislativo: non solo autonomia tributaria ma anche costi standard della sanità. Le Regioni avranno la possibilità di aumentare l’addizionale Irpef fino al 3%., in modo graduale a partire dal 2013 e fino al 2015. La possibilità di ridurre l’Irap, inoltre, sarà data solo agli enti territoriali che non avranno superato l’incremento Irpef del 5%.“L’impressione è che abbia-mo cominciato” il federalismo fiscale, “in realtà il processo è quasi terminato”, ha affer-mato il ministro dell’Econo-mia Giulio Tremonti. E subito dopo il governo chiederà la delega per la riforma fiscale.

Ma “il nostro obiettivo è quello di non aumentare la pressione fiscale”, ha precisato il titola-re di via XX settembre, anzi “noi la vogliamo ridurre”, ha detto spiegando che per tene-re fermo il livello dei tributi “saranno introdotti meccanismi di controllo: pensiamo ad un vincolo”.Tremonti ribadisce la positività della riforma: “il federalismo unisce non divide”. Di tutt’altra opinione il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini che parla di un “provvedimento pericoloso” che piace solo alla Lega Nord che “da partito della demagogia diventa ora il partito delle tasse” perché ora regioni ed enti locali potranno aumentare l’Irpef e, di conseguenza, le tasse a cittadini e famiglie. Sicuramente non si può dar torto a Casini, questa misura dando la possibilità alle Regioni di aumentare l’addizio-nale Irpef non è altro che un aumento delle tasse che graverà sulle famiglie. Certamente di questi tempi l’aumento della pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche è dannosa visto che le famiglie non riescono a consumare non potendo con-

tare su redditi dignitosi o addi-rittura non disponendo più di un reddito perché nel nucleo familiare ci sono disoccupati.Se, invece, il federalismo fisca-le, non avrà l’effetto di un aumento della pressione fiscale ma di un autonoma capacità di gestione tributaria da parte delle Regioni per razionalizzare l’imposizione e per renderla più proporzionale alla realtà reddi-tuale e contributiva, allora può rivelarsi una misura strategica importante per lo Stato in ter-mini di bilancio pubblico.Non bisogna cadere nel tra-nello di concepire un federa-lismo che in teoria funzioni ma che in pratica si traduca in una stangata per le famiglie, in un aumento della tassazione. Come dire alleggerisco il bilan-cio pubblico dello Stato per-ché trasferisco competenze alle Regioni che, invece di ridurre la pressione fiscale si accollano la responsabilità di aumentar-la, sollevando appunto lo Stato da ogni responsabilità. Ecco il federalismo fiscale non deve tradursi in uno scarica barile, o meglio non deve rappresentare per lo Stato un escamotage per

non farsi imputare colpe che altrimenti avrebbe sicuramente avuto. Trasferire la competenza di spesa e di entrata è un mec-canismo che può funzionare se le Regioni organizzeranno i proprio bilanci in modo da non aumentare la pressione fiscale, altrimenti questa forma non serve a nulla, perché comunque i destinatari o meglio i soggetti-vi attivi e passivi del federalismo fiscale sono i cittadini sempre e comunque, che contribuiranno alla spesa pubblica.Raddrizzare l’albero storto della finanza pubblica per far bella figura a Bruxelles o a Strasburgo o a Lussemburgo, non serve a nessuno, se poi ci ritroviamo un indebitamento privato molto elevato a causa di un imposizio-ne fiscale che genera ulteriori contrazioni reddituali. A mag-gior ragione, in questa critica congiuntura economica dove è necessario rigore ma anche diminuire l’imposizione fisca-le, sarebbe davvero un suicidio politico-economico concepire un federalismo che aggravi la situazione economica dei con-tribuenti. Come dire cambia l’ente impositore ma la sostanza

è che i contribuenti si troveran-no a pagare più di prima. La crescita economica non potrà sopportare anche i costi del federalismi fiscale se verrà con-cepito come su esposto.Quello che ancora potrebbe far suscitare qualche perplessità nell’opinione pubblica sono i tempi ed i modi di attuazione e di funzionamento del fede-ralismo fiscale. Si apprendono alla giornata notizie su qualche decreto che comincia a prefi-gurare un modello di federali-smo che in realtà non è scritto in maniera chiara da nessuna parte. Quindi conviene cen-tralizzare se cambiando l’ente impositore non si alleggerisce la pressione fiscale, conviene invece, decentrare se a si rie-sce a gestire il sistema tributa-rio in modo più ragionevole e proporzionale tenendo conto della realtà economica e socia-le in tutta la sua variabilità e mutevolezza, ed ovviamente il federalismo deve contribuire alla crescita e non al rallenta-mento del sistema economico nazionale.

Il Ministro del lavoro Sacconi lancia l’allarme sul periodo diffi cile per il lavoro, crisi occupazionale peggio di quella economica

Il federalismo fi scale è una misura che l’attuale Governo vuole attuare per raddrizzare l’albero della fi nanza pubblica

Cassa integrazione e crisi occupazionale

Centralizzare o decentralizzare il fisco?

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La Piazza d’Italia - Approfondimenti

Erich Maria Remarque, pseudonimo di Erich Paul Remarque nasce ad Osnabruck 22 Giugno 1898 e muore a Locarno il 25 Settembre 1970.Scompariva 40 anni fa uno dei più importanti scrittori pacifisti al mondo.Nella storia passata e più contemporanea la lettera-tura ha prodotto opere di un’intensità nobilissima contro ogni guerra; poe-sia e narrativa hanno usato le loro parole, armi mai sconfitte, spesso a fronte o dopo tragici eventi, per testimoniare la drammatici-tà di raccapriccianti condi-zioni umane che l’uomo ha consegnato alla storia.Una lettera di Einstein a Sigmund Freud, scritta il 30 Luglio del 1932 da Caputh (Potsdam), testi-monia il secolare gigantesco interrogativo dell’uomo su ogni conflitto:“…La proposta fattami dalla Società delle Nazioni e dal suo Istituto internazio-nale di cooperazione intel-lettuale di Parigi mi offre la benvenuta occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà. La domanda è: c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? E’ ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispon-dere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta”. “... La sete di potere della classe dominante è in ogni stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità

nazionale. Questo smoda-to desiderio di potere poli-tico si accorda alle mire

di quegli altri che cercano solo vantaggi mercenari, economici. Penso soprat-tutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni stato e indifferenti di fronte a considerazioni e limitazioni sociali, vedo-no nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro inte-ressi personali e ampliare la loro autorità personale”. “Tuttavia…ci troviamo di fronte ad un’altra doman-da: come è possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle pro-prie cupidigie la massa del

popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da per-dere?” “..Una risposta ovvia

a questa domanda sarebbe che la minoranza di quelli che di volta in volta sono al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le orga-nizzazioni religiose. Ciò le consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse rendendoli strumenti della propria politica”. E la massa si lascia infiam-mare da tali mezzi “per-ché l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e distruggere. In tempi nor-mali la sua passione rimane latente, emerge solo in cir-costanze eccezionali; ma è abbastanza facile attizzarla

e portarla alle altezze di una psicosi collettiva” (“Il disagio della civiltà”; pagg. 283,284,285).In “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, roman-zo autobiografico scritto da Remarque nel 1929, il tema principale è la guerra e narra le vicende di un soldato tedesco durante la prima grande guerra.Narrato in modo oggettivo e realistico, il testo non cela la durezza e la gravità di ogni conflitto; si cimenta in una profonda e dolorosa cri-tica alla propaganda tedesca che, facendo leva sulla reto-rica della guerra bella ed epica, esaltando i concetti di patria e onore, convin-se una generazione intera ad immolarsi nell’immane “macello” europeo. Il pro-tagonista del libro morirà alla fine della guerra, quan-do ha trovato la forza di credere in un nuovo futuro, mentre la radio annuncia “niente di nuovo sul fron-te occidentale”, quasi per ricordare che niente è finito e che la guerra non è termi-nata neanche per coloro che sono sopravvissuti.“Tempo di vivere, tempo di morire” (1954) è un altro dei suoi romanzi, ambien-tato durante la seconda guerra mondiale; il libro narra le vicende di un sol-dato tedesco al quale viene concessa una licenza. Parte dal fronte russo per tornare a casa, ma trova il suo paese e la sua stessa casa distrutte in macerie dai bombarda-menti degli alleati. Incontra molti personaggi sul suo cammino e ad ognuno pone gli stessi interrogativi che lo tormentano da tempo:la guerra e la disfatta che

ormai si annuncia all’oriz-zonte, i crimini dell’esercito tedesco, la collaborazione del popolo al regime nazi-sta e quale sorta di futu-ro attende il suo paese e l’umanità tutta.Tornato al fronte, nell’in-tento di salvare la vita ad alcuni prigionieri, il prota-gonista stesso rimane ucci-so, pagando il conto per colpe non sue.“L’ultima scintilla” (1952), descrive la vita di un grup-po di prigionieri detenuti in un campo di concentra-mento a Mellern, colta dal punto di vista del prigionie-ro “numero 509”.Parlare di un autore, significa parlare delle sue opere e queste tre sono solo una parte del lavoro di Remarque. Esse lasciano trasparire lo scrittore nella sua complessità e comple-tezza; i suoi testi narrano la guerra, perché lui è uno che la guerra l’ha davvero fatta e subita sulla sua pelle.Spinto da giovani ed esal-tanti ideali nazionalisti, decise di arruolarsi come volontario nel primo grande conflitto mondiale. Venne mandato direttamente al fronte, laddove il logora-mento della vita di trincea gli fece conoscere la dispe-razione e la paura.Nel 1917 visse in prima linea uno degli eventi più duri e strazianti del conflit-to, la battaglia delle Fiandre, sul fronte di Verdun.Remarque venne ferito più volte ma il male vero lo conoscerà con la depres-sione, malattia che non lo abbandonerà più per tutta la vita.Così, forse anche per neces-sità terapeutica, iniziò a

scrivere, trascinando sulla carta le sue angosce e i suoi tormenti più profondi.Nel 1933 i nazisti brucia-rono e misero al bando le sue opere, accusandolo di disfattismo e antipatriotti-smo, mentre la propaganda iniziò a far circolare la voce che fosse in realtà di origini ebree francesi e che il suo vero nome fosse Kramer.L’unica sua fortuna fu che riuscì ad andare via dalla Germania quando Hitler saliva al potere, visse in Svizzera dal 1931 e in seguito, nel 1939 si trasferì negli Stati Uniti, fuggen-do così dal nazismo di cui certamente sarebbe caduto vittima.Bertolt Brecht ha scritto:“Mio fratello era aviatoreUn giorno ricevette la car-tolina.Fece i bagagli , e andò via,Lungo la rotta del sud.Mio fratello è un conqui-statore.Il popolo nostro ha bisogno di spazio.E prendersi terre su terre,Da noi è un vecchio sogno.E lo spazio che si è con-quistatoÈ sui monti del GuadarramaÈ lungo un metro e ottantaE di profondità uno e cin-quanta…”Oggi ricordiamo Remarque, che tanto ha dato alla let-teratura mondiale con le sue testimonianze di guerra; che le sue parole facciano da eco ad ogni conflitto che si mostra all’orizzonte.

Ilaria Parpaglioni

Esiste una politica che con-sente di dare un forte con-tributo alla ripresa della competitività e della produt-tività dell’intero Paese e alla riduzione della persistente sottoutilizzazione di risorse nel Mezzogiorno attraverso il miglioramento dei servizi collettivi e delle competenze, una maggiore concorrenza dei mercati dei servizi di pubblica utilità e dei capi-tali, incentivi appropriati per favorire l’innovazione pubblica e privata, questa politica è quella regiona-le di sviluppo. Il Quadro Nazionale Strategico, previ-sto formalmente dall’art.27 del Regolamento generale sui Fondi Strutturali europei ha il compito di tradurre queste indicazioni in indi-rizzi strategici e in alcuni indirizzi operativi. Caratteri distintivi della politica regionale e precon-dizioni per la sua stessa effi-cacia sono l’intenzionalità dell’obiettivo territoriale e l’aggiuntività. Sono i tratti che differiscono la politi-ca regionale dalla politica

ordinaria. Entrambe le poli-tiche condividono l’atten-zione all’articolazione ter-ritoriale nell’ambito di un respiro strategico nazionale; entrambe sono programma-te me gestite dal Centro o dalle Regioni; ma diverse sono le finalità perseguite, come diversi sono i canali di finanziamento. A differenza della politica ordinaria, che persegue i propri obiettivi trascurando le differenze nei livelli di sviluppo, la poli-tica regionale di sviluppo, nascendo dalla piena consi-derazione di tali differenze, e specificatamente diretta a garantire che gli obiettivi di competitività siano raggiunti da tutti i territori regionali, anche e soprattutto da quel-li che presentano squilibri economico-sociali.La politica ordinaria è finan-ziata con le risorse ordina-rie dei bilanci. La politica regionale è finanziata da risorse aggiuntive, comuni-tarie e nazionali, provenienti rispettivamente, dal bilancio europeo (Fondi strutturali) e nazionali (fondo di cofinan-

ziamento nazionale ai Fondi strutturali e fondo per le aree sottoutilizzate).Questi caratteri di inten-zionalità e di aggiuntività rispondono alle disposizio-ni del Trattato dell’Unio-ne Europea e, per l’Italia, della Costituzione (art.119, comma 5). Entrambe pre-vedono politiche e inter-venti esplicitamente rivolti alla rimozione degli squili-bri economico e sociali, da realizzare in specifiche aree territoriali, e da finalizza-re con risorse espressamente dedicate che si aggiungono agli strumenti ordinari di bilancio.L’esperienza di questi ultimi anni ha chiaramente dimo-strato come l’efficacia della politica regionale dipenda dal mantenimento di una piena distinzione, sul piano finanziario e programmati-co, dalla politica ordinaria, ma richieda al contempo, una forte integrazione reci-proca attorno ai comuni obiettivi di competitività. Nel Documento di pro-grammazione economica e

finanziaria, si tracciano ogni anno le linee di coerenza tra le due politiche. Quindi attraverso una ripar-tizione territoriale per obiet-tivi a livello europeo, la poli-tica regionale può interveni-re per sviluppare le singole Regioni attraverso politiche occupazionali, mediante misure nel settore della qua-lità del capitale umano, nel mercato dei capitali. Spesso si fa molta confusione tra la politica ordinaria e quella regionale, quest’ultima quasi passa inosservata, spesso la distinzione tra le due poli-tiche non è espressamen-te enunciata dai politici e dagli addetti ai lavori, si tende a parlare sempre e ad inglobarla nelle misure di politica ordinaria. Questa confusione di fatto non crea altrettanta confusione nell’opinione pubblica che non riesce a comprendere quando è necessaria l’una e quando lo è l’altra oppure quando lo è l’una piuttosto che l’altra. L’interazione e la sinergia tra queste due politiche è indispensabile a

garantire un livello di com-petitività omogeneo tra le singole Regioni di una unità nazionale, questa è fonda-mentale per rendere omoge-nei gli indicatori di crescita regionali per esempio tra il il Nord, il Centro ed il c.d. Mezzogiorno. La progressiva riduzione del tasso di crescita dell’eco-nomia italiana dell’ultimo quindicennio si inserisce in un contesto internazionale in cui anche l’Europa si svi-luppa complessivamente in misura inferiore rispetto agli Stati Uniti. Il rallentamento in Italia si manifesta però con maggiore forza anche nei confronti degli altri Paesi europei, una tendenza ancor più negativa è evidenziata dall’andamento della pro-duttività del lavoro. Quindi la maggiore frenata dell’eco-nomia italiana è stata deter-minata soprattutto, come concordemente indicano quasi tutte le analisi disponi-bili, dal cumularsi nel tempo degli effetti di non risolti problemi di carattere strut-turale. Ed è in questi che

le Regioni italiane avrebbe-ro dovuto impegnarsi per risolvere la scarsa qualità del capitale umano, la bassa ero-gazione creditizia alle piccole e medie imprese, e lo scarso livello di liberalizzazione tra i più bassi d’Europa. Un piccolo passo verso la riso-luzione di questi problemi poteva esser fatto utilizzan-do la politica regionale di sviluppo che seppur ampia-mente indicata nel Quadro Strategico Nazionale e sin-tetizzata in obiettivi e prio-rità non ha trovato nei fatti interventi incisivi adeguata-mente coperti dalle risorse finanziarie previste a livello comunitario e nazionale.Se la politica regionale non verrà posta sempre di più al centro dell’agenda parla-mentare e regionale e fatta interagire con quella ordi-naria il nostro Paese difficil-mente riuscirà a colmare il gap di competitività interno ed esterno.

La letteratura che difende l’uomo da sè stesso

Erich Maria Remarque: uno scrittore, una vita

La politica regionale di sviluppoNell’ambito di una politica ordinaria, quella regionale di sviluppo può contribuire ad aumentare la competitività del Paese

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La Piazza d’Italia - Attualità

Nonostante il nettare di Bacco di tipo bio continui a crescere in termini qua-litativi e di consumo, lo scorso giugno la commissio-ne Europea non ha potuto procedere con la proposta di regolamento comunitario sul vino biologico a causa del mancato accordo a livel-lo politico, spegnendo così le speranze di quei viticolto-ri di poter finalmente vede-re applicata sull’etichetta delle proprie bottiglie la scritta “vino biologico” a partire dalla vendemmia 2010. Quindi, ufficialmen-te non esiste il cosiddetto “vino biologico”, sussiste al momento solo il regolamen-to per la produzione di UVE biologiche, con il quale si regolamenta la produzione di uve, secondo le certifica-zioni della normativa euro-pea 2092/91 (che definisce l’agricoltura biologica), in realtà ciò che si certifica è il metodo di coltivazione e non il prodotto; tanto meno il metodo di trasformazione ecco perché sulle bottiglie troviamo la dicitura“vino prodotto da uva biologica”e non “vino biologico”. Per superare questo stallo, nel quale ormai da anni risiedono le aziende pro-duttrici bio di vino, si è

pensato di procedere per vie private. Alcune orga-nizzazioni, di diversi Paesi europei (tra cui enti di cer-tificazione e organismi di controllo, organizzazioni di produttori, istituti di ricer-ca scientifica…), hanno deciso di lanciare un’ini-ziativa al riguardo ovvero la “Carta Europea del Vino Biologico”, il cui acronimo è CEVinBio, che si ispira alla bozza del regolamen-to EU e sui risul-tati del progetto internazionale di ricerca ORWINE il cui codice detta le buone pratiche per la viticoltura e l’enologia b i o l o g i -ca per s o d d i -sfare le d i v e r s e c o n d i -zioni che si possono r i s cont ra re in Europa per la viticoltura e l’enologia.Va ricordato in linea gene-rale che il vino bio-l o g i c o è pro-

dotto da uve coltivate senza l’aiuto o la necessità di ferti-lizzanti, trattamenti o erbi-cidi di sintesi, ma si avvale di diversi concimi di origine vegetale o animale (come ad esempio il letame o il compost). Lo scopo della Carta Europea del Vino Biologico (CEVinBio) è quella di con-

sentire ai produttori biolo-gici di vino di valorizzare al meglio il proprio prodotto, rispettando l’etica di produ-zione biologica non solo nei

campi ma per l’intera filiera.L e a z i e n d e

pro-

duttrici, fermo restando che in etichetta riporteran-no la dicitura “prodotto da uva biologica”, potran-no aggiungere informazio-ni sulle pratiche virtuose di trasformazione come ad esempio l’ abbattimento dei solfiti. Il Presidente di FederBio Paolo Carnemolla commen-ta così: “L’Italia è il prin-cipale produttore e espor-tatore di vino biologico in Europa, dunque l’adesione di FederBio a questa inizia-

tiva ha l’obietti-vo di rilan-

ciare sia a livello e u r o -peo che n a z i o -n a l e l ’ e s i -g e n z a

di rego-l a m e n t a -

re quanto prima questo comparto e consentire alle nostre imprese

di valorizzare al meglio gli sforzi

fatti in questi anni per lavorare secondo i

principi del metodo biolo-gico non solo nella vigna ma anche in cantina. Siamo già

in forte ritardo rispetto alla concorrenza dei vini bio-logici del resto del mondo, chiediamo a Governo e Regioni di affiancarci in questa battaglia.”Quindi l’intento della Carta Europea del Vino Biologico è anche quello di mandare un segnale forte ai consu-matori e agli operatori della produzione e del mercato convinti che si possa andare oltre la semplice produzione biologica dell’uva, ma che il vino ottenuto, rispettando lo spirito biologico anche nella fase di trasformazione, possa e debba essere chiara-mente identificato.La Carta è anche un richia-mo alla politica per tentare di riprendere, il prima pos-sibile, il dialogo per la defi-nizione di un regolamento europeo sulla produzione di vino biologico.Il CEVinBio permetterà dunque ai viticoltori euro-pei di dichiarare che il vino è fatto con uve coltivate e prodotte da agricoltura biologica, ma non solo, si potrà manifestare che il vino risponde ai requisiti etici del biologico che parte dalla vigna e giunge fino al bicchiere del consumatore.

Alice Lupi

Il thriller, prodotto dalla Warner Bros e costato circa 200 milioni di dollari, conferma l’abilità di Nolan a dirigere grandi atto-ri, ma soprattutto a dilatare il tempo della narrazione accre-scendo, in tal modo, la suspen-ce. La sceneggiatura, sulla quale a lavorato per quasi 12 anni, si articola su più livelli e sottolinea la capacità del regista inglese di giocare con sovrapposizioni e flashback. Protagonista della vicenda è Dom Cobb (intepre-tato da un sempre più bravo Leonardo Di Caprio), il ladro più abile nell’arte dell’estrazione di un’idea dal subconscio delle persone. « Qual è il parassita più resistente? Un’idea. Una singo-la idea della mente umana può costruire città. Un’idea può tra-sformare il mondo e riscrivere tutte le regole. Ed è per questo che devo rubarla. » Per riuscir-vi Cobb sfrutta il sonno delle sue vittime e cioè il momento in cui la mente funziona più velocemente ed il tempo per intervenire si dilata. Questa volta, però, è chiamato non ad estrarre ma ad innestare un’idea nella mente di un ricco e gio-vane industriale, un’operazione sicuramente più complessa e pericolosa. “Inception” signi-fica, infatti, principio, inizio, origine. Qui può essere inteso come immissione, innesto. La tenacia di Cobb, oltre che il desiderio di rivedere i suoi figli (cosa possibile solo in caso di riuscita della missione), lo por-terà a progettare – insieme a cinque compagni– una discesa in tre diversi stati del subcon-scio del soggetto. La trama è arricchita anche da un originale storia d’amore che non corre parallela e distinta alla vicenda principale, ma anzi si intrec-cia in maniera preponderante e incisiva. Perché preponderante e incisivo è il rimorso del pro-tagonista che non sa perdonar-si di aver già sperimentato la “inception” sulla moglie con-

ducendola alla morte.Nolan inizia a girare corti a sette anni, con la Super 8 del padre. Studia letteratura inglese al University College di Londra e le sue frequentazioni lettera-rie lo renderanno cosciente di come il cinema sia rimasto lega-to alla fruizione televisiva, ossia storie lineari. Nella letteratura individua, invece, la possibilità di rinnovare le strutture nar-rative, superando certe rigidità delle sceneggiature classiche. Nel 1998 realizza il suo primo lungometraggio Following , un noir in bianco e nero, erede della tradizione britannica degli anni ‘50. La storia si basa su flashback e flashforward, defi-nendo fin dall’esordio il tratto distintivo del Nolan autore: le sperimentazioni temporali. Il film culto che diventa un suc-cesso grazie al passaparola e lo rende noto in tutto il mondo è Memento. L’idea di partenza è di voler raccontare una storia semplice al contrario, parten-do cioè dalla fine. Il colpo di scena è abbastanza prevedibile ma poco importa. L’inconsueta struttura narrativa è sufficiente a rendere il film un evento. Leonard (Guy Pearce) dopo un grave trauma cranico ha perso la memoria a breve termine ed è costretto a tatuarsi sul corpo gli eventi appena accaduti, a questo si aggiunge la ricerca del presunto assassino della moglie. Il montaggio procede quindi su due binari paralleli e i fla-shback che portano a ritroso fino all’omicidio spingono lo spettatore ad uno straordinario coinvolgimento col protagoni-sta. Tratto da un racconto del fratello Jonathan (“Memento mori”) il film è un successo pla-netario, con tanto di candida-tura agli Oscar per la migliore sceneggiatura.Nel 2002 la Warner Bros con-ferma la sua fiducia al giovane Nolan affidandogli la regia di Insomnia, remake di un film

norvegese. Questa volta diri-ge un cast di grande spessore: Al Pacino, Robin Williams e Hilary Swank e costruisce il thriller concentrandosi sull’at-mosfera, sulla luce perenne

dell’Alaska e sul confronto – scontro tra poliziotto e killer.La collaborazione con la Warner Bros continua e nel 2005 gli propone la regia del nuovo Batman affidandogli il compito di risollevare la serie dopo i risultati insoddisfacen-ti delle versioni fumettisti-che di Joel Schumacher. Per Batman Begins si ricostruisce una Gotham City quasi rea-listica con effetti speciali alla vecchia maniera. I film stan-

no diventando sempre “meno reali e più digitali”, secondo Nolan, e l’intenzione è di rida-re a Batman uno stile noir, non fumettistico né barocco. Il cast è sempre d’eccezione: Michael

Caine, Morgan Freeman, Gary Oldman, Liam Neeson, ma la grande rivelazione è Christian Bale che restituisce pienamen-te la figura tormentata e quindi umana del supereroe. Nolan si conferma maestro del thriller introspettivo e la Warner Bros lo vuole per la regia del capito-lo successivo dell’uomo pipi-strello, Batman - Il cavaliere oscuro del 2008, che vede con-fermato anche Bale nei panni del protagonista e diventa una

sorta di attore feticcio per Nolan, in quanto lavoreranno insieme anche in The Prestige (2006). Per la sceneggiatura torna alla collaborazione col fratello Jonathan e costruisce

un vero gioco di prestigio in tre atti: la promessa, la svolta e il prestigio. Il regista capi-sce subito come la magia non stia nel trucco in sé, ma nel costringere lo spettatore a foca-lizzare l’attenzione su qualcosa di irrilevante, in modo da tra-scurare il punto esatto in cui si nasconde il tranello. Il film ci riesce bene, almeno fino a un certo punto perché i colpi di scena nei film di Nolan si capiscono sempre in anticipo,

ma ciò che non manca (di gran lungo forse più importante) è il piacere della narrazione. Piacere che ritroviamo anche in Inception data la scelta del regista di raccontare parten-

do dalla fine, per poi andare indietro, rincorrendo i sogni dei protagonisti. I sentieri nar-rativi sono due: la squadra di specialisti che deve innestare l’idea nella mente del giovane industriale e l’agente Cobb che deve salvare (come Orfeo) la moglie perduta negli inferi. Si pensa a Matrix “Reale, defini-sci ciò che è reale” e ci riman-da all’affermazione “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” William Shakespeare.

Nasce la Carta del Vino Biologico

Christofer NolanIl prestigiatore del cinema torna nelle sale con il suo ultimo fi lm Inception che lo consacra regista maturo e affi dabile

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