zona sismica - edizione 45°

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NUMERO SPECIALE 45° Anniversario www.sism.org “Non smettete mai di appassionarvi alle cose in cui credete, Non lasciatevi divorare dall’indifferenza, restate infuocati... CONTINUATE AD ARDERE” Dora Pavone

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Edizione Speciale - 45° Anniversario

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NUMERO SPECIALE45° Anniversario

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“Non smettete mai di appassionarvi alle cose in cui credete,Non lasciatevi divorare dall’indifferenza,

restate infuocati... CONTINUATE AD ARDERE”Dora Pavone

LA REDAZIONECoordinatore di ProgettoMaria Luisa Ralli - Sede Locale di Siena

RedazioneIlaria Rossiello - Sede Locale di AnconaCarlo Chessari - Sede Locale di CataniaCaterina Pelligra- Sede Locale di ParmaNoemi Streva - Sede Locale di SienaStefania Panebianco - Sede Locale di Messina Lucia Panzeri - Sede Locale di Monza

Publications Group CoordinatorPaolo Miccichè - Sede Locale di Palermo

info: [email protected]

SISMIl SISM - Segretariato Italiano Studenti in Medicina è un’associazione no-profit creata da e per gli studenti di medicina.

Si occupa di tutte le grosse tematiche sociali di interesse medico, dei pro-cessi di formazione di base dello studente in medicina, degli ordinamenti che regolano questi processi, dell’aggiornamento continuo dello studen-te e riesce a realizzare tutto ciò attraverso il lavoro di figure preposte a coordinare i diversi settori sopraddetti sia a livello locale che nazionale.

Il SISM è presente in 37 Facoltà di Medicina e Chirurgia sparse su tutto il territorio.

Aderisce come membro effettivo all’IFMSA (International Federation of Medical Students’ Associations), forum di studenti di medicina provenienti da tutto il mondo riconosciuto come Associazione Non Governativa presso le Nazioni Unite.

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Numero Speciale 2015 | 45° Anniversario

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EDITORIALE di Maria Luisa RalliIL SALUTO DEL PGC di Paolo Miccichè 4INTERVISTA AD ANDREA COSTUMATI, ASD COORDINATOR

di Carlo Chessari 5QUEI RUGGENTI ANNI ‘90 - PARTE 1

di Federico Talarico 8QUEI RUGGENTI ANNI ‘90 - PARTE 2

di Federico Talarico 10SALUTE PUBBLICA: QUALE RUOLO PER I FUTURI MEDICIdi Cristiano Alicino 14PEER EDUCATION ED EDUCAZIONE SESSUALE

di Carmine Calidona, Federico Longhini, Stefania Panebianco 17GLI ALBORI DELLA SALUTE GLOBALEdi Alice Perfetti 21BRNO 1982 - GUADALAJARA 1983di Caterina Pelligra 24UNA LORMA PER AMICAdi Caterina Pelligra e Ivana di Salvo 27

SI RINGRAZIANO IL PUBLICATIONS GROUP E L’ALUMNI RELATIONS SUPPORT DIVISION

INDICE

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Numero Speciale 2015 | 45° Anniversario

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EDITORIALE NUMERO CELEBRATIVO

Il SISM, festeggia 45 anni e noi di ZONA SISMICA gli rendiamo omaggio … come? Con un numero ci racconta la storia del-la NOSTRA associazione fino ad oggi.

Chi si sta avvicinando al SISM o chi lo conosce ormai da tempo sa che è in gra-do, di farci aprire gli ochi di fronte ad alcune realtà scomode,di farci crescere, di farci conoscere i nostri limiti, di far-

ci spingere oltre e di darci davvero gli strumenti per realizzare i nostri ideali come futuri medici quotidianamente

Non mi dilungherò molto, perché voglio che la storia parli da sola, delle emozi-oni, dei traguardi e dei successi che dei “semplici” studenti di medicina sono in grado di fare per essere il cambiamento che vogliono vedere nel mondo.

EDITORIALE

Maria Luisa Ralli

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IL PENSIERO DEL PGCPaolo Miccichè

E’ iniziato tutto circa come 11 mesi fa come uno scherzo.“...E poi quest’anno il SISM fa 45 anni dalla sua fondazione, dobbiamo fare le cose in grande! Sarà un anno diverso!”

E’ iniziato con idee di torte, loghi cel-ebrativi, eventi dedicati, alumni che tornano alla ribalta, Zona SISMica che fa ripercorrere la storia del SISM.E’ iniziato come uno scherzo, è diven-tato tutto realtà.E lo è diventato nel modo migliore pos-sibile.Fino ad arrivare ad avere un numero speciale appositamente per celebrare questo traguardo e ciò che esso rappre-senta per noi.

45 anni in cui tante persone si sono suc-

cedute, in cui tante cariche sono cambi-ate, tanti regolamenti istituiti.45 anni in cui le Sedi Locali nascevano “come funghi”, crescevano e lavorava-no tutti uniti per un unico obiettivo, un unico futuro.Quel futuro è oggi. E oggi è un nostro DOVERE MORALE con-tinuare a lavorare con la stessa enfasi, la stessa vitalità di sempre.Continuare ad andare avanti basandoci sui solidi valori che ci contraddistinguo-no, sulla trasparenza e l’onestà tipica della nostra età e del voler rendere il mondo un posto davvero migliore.

Non smettete mai di brillare miei amati SISMici, perchè siete la luce che come stelle nella notte permette di arrivare sani e salvi al mattino. Auguri SISM!

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INTERVISTA AD ANDREA COSTUMATI, ALUMNI RELATIONS SUPPORT DIVISION COORDINATOR

Pronto, geriatria?No, ha sbagliato numero, qua anziani non ce ne stanno! Solo dei bimbi un po’ trop-po cresciuti!Con chi desiderava parlare?Salve, sono di Zona SISMica. Vor-rei parlare con Andrea Costuma-ti. Vorrei che ci parlasse un po’ di sé e dell’Alumni Support Division.Salve sono proprio io Andrea Costumati ,co-ordinatore dell’Alumni Support Division.L’Alumini Support Division è una vera e propria macchina del tempo e una squad-ra che ha come scopo il mantenere un collegamento con il passato della nostra Associazione. Essa tuttavia non si com-porta da link afinalistico e statico, bensì come una finestra di comunicazione di-namica attraverso cui le nuove gener-azioni hanno possibilità di confrontarsi, conoscere le origini dei progetti a cui la-vorano, comprenderne i meccanismi che ne hanno permesso la realizzazione e porre le basi per portarli avanti in futuro!

Perché hai scelto questo ruolo?La Support Division era inattiva. Io ero inattivo. Ho fatto SISM fin dal mio pri-mo anno di medicina e dopo aver fatto numerose esperienze decisi che dovevo fermarmi. La verità è che mi ero fer-mato troppo presto. Questo lo avvertivo io e lo avvertivano i ragazzi che insieme a me son cresciuti in questa Associazi-one. Vedevo colleghi più grandi di mecontinuare a fare il bene del SISM anche dopo la laurea e mi sono chiesto: quale poteva essere il modo per avvicinarli ancora di più? Quale sarebbe potuto essere il mio ruolo, dopo la laurea?

Davvero, una volta medici, si perde ogni interesse nelle tematiche del SISM?La risposta è no. Gli ex SISMici a Paler-mo me lo hanno dimostrato fin dal mio primo anno. Alcuni di loro sono anche Alumni. Decisi dunque di prendere in mano questo gruppo e farlo ripartire da zero.Una sfida stimolante ma non impossibile, pensavo all’inizio. Evi-dentemente mi sbagliavo! Dopo alcuni mesi di lavoro mi son reso conto che la cultura dell’Alumno è ancora lungi

dall’essere affermata nella nostra As-sociazione. Questo, tuttavia, non mi ha intimorito.Non ha intimorito neanche i due veterani Matteo Di Pumpo e Simona Gentile. Ognuno di loro si trova a far parte di questo gruppo per diversi mo-tivi, ognuno di loro sta scommettendo un po’ se stesso in questa sfida.La cosa mi affascina e credo abbia affascinato anche gli Alumni, questo gruppo di ex Soci SISM che han permesso nel corso di 45 anni di far conoscere questa re-altà in 37 facoltà mediche italiane.

Once SISMic, forever SISMic. Che ef-fetto ti fa interfacciarti con ex SIS-Mici (de facto, ma non nello spirito)?Mi sento a casa! Molti di loro erano Na-tional Officer al mio primo anno di SISM. Come ho detto nella mia presentazione in mailing-list, io sono un ASD Coordi-nator atipico ma per certi versi anche abbastanza fortunato, poiché ho avuto la fortuna di conoscere o sentir parlare di più della metà dei quei 50 alumni.A molti di loro rivolgo parole affettu-ose per via di una sincera amicizia che ci lega, con altri mi relaziono in modo leggermente più formale, altri ancora lasciano trasparire un senso di appart-enenza notevole. Alcuni hanno racco-ntato storie e aneddoti interessanti, che mi hanno letteralmente stupito.Mi riferisco ad alcune testimoni-anze di persone che hanno parteci-pato alle General Assemblies durante il periodo della guerra fredda, du-rante l’occupazione del Kuwait, du-rante la caduta del muro di Berlino.La storia del SISM è solo un modo di ve-dere la storia della medicina in Italia. La storia dell’IFMSA è solo un modo di vedere la storia contemporanea. Gli Alumni erano lì e facevano le stesse cose che facciamo noi adesso. Questo è quello che mi interessa approfondire.

Una storia lunga 45 anni. Quanto è im-portante il passato all’interno del SISM?In realtà ben poco. Siamo solo una goc-cia in confronto al mare in tempesta che simboleggia il progresso della sanità. Ciò

Carlo Chessari

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Ciò che conta prima di tutto è il passato di noi studenti in Medicina. Noi studenti che siamo anche cittadini Italiani, europei.

Perché sono importanti questi 45 anni?Perché ciò che è accaduto nel SISM in questo quarantennio è il rif-lesso di ciò che è accaduto in Ita-lia, nel mondo, nella sanità.L’IFMSA nasceva 65 anni fa, alcuni anni prima nasceva l’OMS. L’idea di una Or-ganizzazione mondiale della Sanità ha permesso che dei giovani studenti Euro-pei pensassero ad un network di studenti in Medicina che permettesse lo scambio di informazioni e di idee. In parallelo, gli Italiani cercavano di fare lo stesso con le numerose realtà associative re-gionali. Vent’anni dopo alcuni studenti, tra cui Giovanni Casa, Antonio Mastro-eni e Gianfranco Petrocca, sono riusciti a creare una realtà italiana di studenti in medicina, dove tutti erano anima-ti dal desiderio di realizzare le sfide che l’IFMSA aveva lanciato al mondo.

In 45 anni tante cose sono state fatte! Tuttavia molto spesso viene da chied-ersi: perché sono state fatte? Perché quel progetto è nato proprio in quel periodo, in quella regione d’Italia, ad opera di quelle persone? Perché si è diffuso in cosi poco tempo? E se al con-trario se ne sono ormai perse le tracce, come fare per ritrovarle?Tutti questi interrogativi per arrivare al succo del-la questione: perché abbiamo bisogno di fare associazionismo? Le idee che ci fanno lavorare oggi sono le stesse che animavano i ragazzi di ieri?Quali tra-guardi sono stati raggiunti e quali in-vece sono stati abbandonati?Conoscere il passato per comprendere il pre-sente e programmare il futuro.Un lungo nastro rosso che unisce il passato al futuro. Che risorsa rap-presenta l’ASD per il futuro del SISM?L’ASD è uno strumento, come molti al-tri. Ammetto che possano esistere mille altri modi per interfacciarsi con gli Alumni senza per forza creare una Sup-port Division a essi dedicata.Tuttavia questa è il modo che il SISM ha scelto di usare per interfacciarsi con gli ex SIS-Mici (anche questa struttura è di stam-po IFMSA).Credo che la presenza di un gruppo che permetta la comunicazione più agevole sia una cosa opportuna, so-prattutto per il rapido turnover che sub-isce la nostra associazione ogni anno.Le Commissioni Locali cambiano mentre gli

Alumni rimangono sempre gli stessi. E’ dunque necessario che ci sia un punto intermedio che garantisca una effi-cace comunicazione da ambo le parti.Credo quindi che l’ASD, nelle modalità che le Sedi Locali più gradiscono, pos-sa essere lo strumento giusto per fare da ponte con i fondatori di alcuni pro-getti che si vogliono intraprendere, con quegli Ex Soci da contattare per delle conferenze o per tutorati in reparto.

45 anni di SISM. Siamo già sta-ti piacevolmente sorpresi dal logo celebrativo del Publications Group. Cos’altro bolle in pentola?Il logo è una fantastica idea del Publi-cations Group. Si sono messi all’opera e hanno trovato un sistema efficace per fare passare un messaggio: Il SISM ne ha fatto di strada.La mia ASD si è occupata di fare quello che in passato altre Task Force hanno cercato di fare: Raccogliere ma-teriale per ricreare un archivio storico.È inoltre sorta una fantastica col-laborazione con Zona SISMica. Ab-biamo contattato tutti i coordinatori e li abbiamo messi in contatto con gli Alumni. L’idea è di approfondire, at-traverso alcuni articoli, la storia delle aree tematiche e i principali pro-getti che si sono succeduti negli anni.Abbiamo intenzione di creare delle fine-stre narrative in cui si avrà l’opportunità di leggere le storie di SISMici di un lontano passato che partivano con la Clerkship, che s’inventavano progetti di pedago-gia, che riflettevano sulla salute pubbli-ca e globale, che entravano in contatto con la Peer Education per la prima volta.Al Congresso primaverile, inoltre, ci sarà l’opportunità di entrare in con-tatto con parte dell’archivio stori-co ricostruito. Tanti sono gli Alum-

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ni coinvolti, più che in qualsiasi al-tra occasione. Non potevamo esserepiù soddisfatti!Rinnovo l’invito a tutte le Sedi Locali di collaborare al man-tenimento della memoria Storica con altro materiale qualora possibile!A te la penna per le considerazioni finali!

Non mi aspetto di sviscerare nel det-taglio il nostro passato e la nostra evoluzione. E’ un percorso che non può essere approfondito solo in un anno, solo in occasione di un anniversario.La cultura dell’Alumno come memo

ria storica e supporto deve essere cos-tantemente incoraggiata.Quest’anno la mia Support Division sta cercando di dare nuovo entusiasmo a questi ex Soci che pensavano di aver definitivamente lasciato il SISM, coinvolgendoli e facen-dogli domande.C’è ancora tanto da la-vorare. Mi riferisco ai contributi alle Sedi Locali, all’ampliamento del data-base, alla creazione di nuove iniziative.Spero di lasciare in Handover tutte queste idee e di avere un mini-mo accresciuto in noi la consape-volezza della nostra Associazione.

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QUEI RUGGENTI ANNI ‘90 - PARTE 1

Francesco Talarico

Francesco Talarico è stato fondatore della Sede Locale di Catanzaro nel 1988 e Local Exchange Officer per qualche anno. È stato membro del Consiglio Na-zionale dal 1990 e per due anni (1991-92) ha rivestito la carica di Presidente Nazionale.Ha raccolto il nostro invito “perché ci sarebbero tante cose da raccontare e questo mi permette di tornare indietro in quegli anni così carichi di aspettative di entusiasmi”.Ci parlerà della storia del percorso formativo in Medicina, dell’evoluzione degli scambi culturali e dei cambiamen-ti socio-politici dell’epoca in questo interessante contributo che vedrà una seconda parte nel numero di luglio di Zona SISMica.

Per quanto riguarda il percorso forma-tivo medico, è da premettere che mi sono laureato nel 1992. è importante notare che mio padre, laureatosi in Me-dicina negli anni ‘40, aveva un curricu-lum formativo che, rispetto al percorso formativo in vigore negli anni ‘80 (27 materie), presentava solo una materia in meno, ovvero la biochimica. Quindi a ben 40 anni di distanza c’era una sola materia di differenza tra i corsi di studi.Mi sono trovato nel mezzo della tran-sizione tra il vecchio corso di studi degli anni ‘80 e la così detta nuova “Tabella XVIII” che in quegli anni veniva applica-ta in regime sperimentale in alcune Uni-versità, tra cui quella di Catanzaro. In seguito la “Tabella XVIII” sarebbe diven-tata il percorso di studi a livello nazi-onale. Ho quindi iniziato con il percorso classico a 27 materie e ho concluso con un numero di materie praticamente rad-doppiato.In quegli anni il SISM collaborava attiva-mente con la SIPeM, la Società Italiana di Pedagogia Medica, in particolare sulla sperimentazione didattica nel nuovo ordinamento. Abbiamo assistito alla smobilitazione della Patologia Medica e Chirurgica che comprendeva tutti gli insegnamenti delle moderne “sistemat-iche”, materia che venne smembrata in

tante materie riferite a specifici or-gani o apparati. Tale radicale cambia-mento era sicuramente determinato dall’esplosione della conoscenza medi-ca, legata ai progressi della tecnologia che ha comportato una iperspecializ-zazione ed una frammentazione del sa-pere medico. Possiamo dire che negli ul-timi trent’anni c’è stata l’affermazione del medico “tecnologico”, con i pregi e contraddizioni che questa evoluzione ha comportato. Ad oggi, gli ambiti di intervento sono molto più vasti che in passato ma, al tempo stesso, la tecnolo-gia ha creato una distanza tra medico e paziente che rende necessaria un’opera di ricomposizione del rapporto medico-paziente in chiave personale e fiduci-aria, come era consuetudine nei tempi andati. Inoltre, c’è stato un progressivo abbandono della cosiddetta “semeiotica fisica” in favore di quella strumentale, e questo scenario ha stimolato un’ esi-genza di recupero di conoscenze e com-petenze mediche basate sull’acume clinico e sulla osservazione diretta.È il caso di rammentare che fino al 1994 bastava il semplice Corso di Laurea per diventare medici di Medicina Generale, prima dell’introduzione di un percorso formativo specifico di 3 anni, e che solo dal 1991-1992 in poi sarebbe stato possi-bile specializzarsi con la borsa di studio. Ho avuto la fortuna di essere il primo specializzando in Igiene ai sensi delle norme CEE della mia Università. Il nuovo percorso formativo con frequenza obbli-gatoria ha sicuramente conferito dignità e spessore alla formazione specialistica.Sono anni in cui non solo si modifica solo la figura del medico, ma anche quella del paziente. Infatti, con un’altra sig-nificativa transizione si è passati dal cosiddetto “paternalismo medico”, car-atterizzato da fiducia incondizionata del paziente nei riguardi del medico, a una situazione in cui il paziente ha ini-ziato a essere protagonista delle proprie scelte di salute. Situazione questa che è poi sconfinata in un’escalation anche di tipo giudiziario, fino a determinare il fenomeno della cosiddetta “medicina

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difensiva”.

Per quanto riguarda l’evoluzione degli scambi culturali e della cooperazione internazionale, posso dire, con una pun-ta di orgoglio, che il SISM è stato il pre-cursore dei grandi programmi, tipo Er-asmus, che hanno permesso l’affermarsi degli scambi culturali e professionali in ambito europeo. All’epoca in cui ap-partengo, in effetti, il SISM era l’unica occasione per uno studente medicina di poter svolgere un’esperienza all’estero. Tuttavia, proprio in quegli anni carat-terizzati da fervore ideologico in fa-vore dell’Unione Europea, si stavano affermando nuove modalità di scambio, come appunto il progetto Erasmus, e si andava definendo l’idea del mutuo ri-conoscimento dei curricula che avrebbe permesso la libera circolazione dei pro-fessionisti.Il SISM è stato in prima linea con pro-getti quali “Insert-med” che consist-eva nell’inserire all’interno di Erasmus delle iniziative proposte dal SISM e con la partecipazione al processo di mutuo riconoscimento dei curricula tra i Paesi Europei.Questi riferimenti non devono essere solo un motivo di orgoglio ma anche di consapevolezza del modo in cui un im-pegno giovanile possa tradursi in con-tributi concreti in grado di influenzare i percorsi storici e culturali della co-munità di appartenenza, nello specifico quella Europea.In quegli anni anche la conoscenza della lingua era un fenomeno poco diffuso, così come la partecipazione agli scambi culturali. Durante il primo anno in cui si condusse la campagna scambi a Catan-zaro, su 10 posti che vennero proposti, 7

andarono deserti per mancanza di parte-cipanti. Infatti, da parte della comunità studentesca dell’epoca c’era una certa diffidenza nell’affrontare un’esperienza all’estero. Dopo il primo anno, i primi tre studenti che erano partiti e ritor-nati con il loro bagaglio di entusiasmo per l’esperienza effettuata fecero da volano per tutti gli altri: alla successiva selezione per 10 posti si presentarono ben 28 studenti.Piccola digressione sullo spirito di quel tempo, molto diverso dall’attuale: mol-ti di noi impegnati nel SISM erano anche coinvolti in associazioni europeiste: io, per esempio, ero iscritto alla “Gioventù Federalista Europea” e all’associazione “Europa una struttura un progetto”. In quegli anni, l’Europa veniva considerata un sogno da costruire e una meta da raggiungere. È paradossale vedere come l’Europa di oggi venga invece vissuta come una sovrastruttura scomoda e pos-sibilmente di cui sbarazzarsi.Eppure lo spirito e l’entusiasmo gio-vanile ha sicuramente contribuito alla costruzione della casa comune europea. Credo che uno dei ruoli che il SISM possa attualmente giocare sia proprio quella di recuperare lo spirito di quegli anni e sostenere la causa europea, questa vol-ta non solo sulla base di aridi indicatori economici ma sulla scorta di progetti di integrazione culturale e di comunanza valoriale.Non dimentichiamo che lo spirito della Gioventù Federalista Europea era quello di considerare il federalismo come prin-cipale antidoto alla guerra: se si eli-minano i confini si eliminano anche le guerre. Considerando quanto sta av-venendo in questi anni questa visione conferma tutto il suo valore profetico.

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QUEI RUGGENTI ANNI ‘90 - PARTE 2

Francesco Talarico

Francesco Talarico è stato fonda-tore della Sede Locale di Catanzaro nel 1988 e Local Exchange Officer per qualche anno. È stato membro del Consiglio Nazionale dal 1990 e per due anni (1991-92) ha rivestito la carica di Presidente Nazionale.Ha raccolto il nostro invito “per-ché ci sarebbero tante cose da rac-contare e questo mi permette di tornare indietro in quegli anni così carichi di aspettative di entusiasmi”.Nello scorso numero, ci ha parlato della storia del percorso formativo in Medicina e dell’evoluzione de-gli scambi culturali. Ripartendo da questo punto, in questo numero par-lerà dei cambiamenti socio-politici dell’epoca con la cronaca di una Gen-eral Assembly ricca di spunti ed eventi.ario, fino a determinare il fenomeno della cosiddetta “medicina difensiva”.

Quel lasso di tempo, ovvero la fine de-gli anni ‘80 e l’inizio degli anni ’90, è stato un tempo di svolta: ricordiamo, tra tutte, la data fatidica del 16 novem-bre 1989, ovvero la caduta del muro di Berlino. Inizia, dopo quella data, la dissoluzione dello scenario politico che aveva visto il Pianeta convenzi-onalmente diviso in tre Mondi: il Primo Mondo, ovvero i Paesi sviluppati, con economia capitalista; il Secondo Mon-do, ossia i Paesi sviluppati con econo-mia comunista; il Terzo Mondo, vale a dire i Paesi in via di sviluppo. La dial-ettica politica dell’epoca era pertanto imperniata su queste divisioni, natu-ralmente queste dinamiche si riflette-vano sulla gestione dell’IFMSA e sulla conduzione dei Congressi Internazionali.Ad esempio, forte elemento di destabiliz-zazione all’interno dell’IFMSA era la con-trapposizione tra Israele e la Palestina.I Congressi Internazionali del tempo erano pertanto divisi in tre blocchi, anche se di natura diversa rispetto ai “tre mondi” che caratterizzavano gli equilibri del Pianeta: i Paesi Europei del Nord (Paesi Scandinavi, Germania, Svizzera, etc.); i Paesi Mediterranei

(Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, etc., a cui in genere si aggregava Israele); il gruppo dei Paesi Arabi e Africani.L’Italia, a livello della Federazione In-ternazionale, aveva uno status politico-diplomatico ben riconosciuto, soprattut-to per la nostra capacità di mediazione.Alla General Assembly di Hradec Kralové (Repubblica Ceca) del 1990 andai come delegato del SISM e in quell’occasione ri-uscimmo a far eleggere Stefano Berloffa, all’epoca Amministratore Nazionale del SISM, Presidente dell’IFMSA. Lo scacch-iere politico era il seguente: potevamo contare sui voti del blocco dei Paesi Med-iterranei, di cui eravamo i leader, ma a noi si contrapponeva il blocco dei Paesi Nordeuropei, che puntava, per la Pres-idenza IFMSA, sulla delegata svizzera.A fare la differenza c’erano i voti del blocco dei Paesi Arabi ed Africani, con in testa la delegazione del Kuwait, blocco che si distingueva per intransi-genza religiosa. Si pensi che, nella casa dello studente dove eravamo alloggiati, i bagni e le docce erano comuni per uomini e donne, per ciò la delegazi-one del Kuwait protestò vibratamente poiché la loro religione impediva agli uomini di vedere donne nude in pub-blico, e alla fine ottennero di differen-ziare le docce per uomini e donne (con grande disappunto delle altre delegazi-oni che vedevano di buon occhio questa possibilità di “scambio culturale”!).All’inizio noi Italiani partivamo svan-taggiati, poiché gli Arabi sapevano che Israele era nostro alleato e non ci guardavano di buon occhio (anzi non ci guardavano affatto). Peraltro, gli stu-denti del Kuwait proprio in quei giorni ebbero una brutta sorpresa: il proprio Paese venne invaso da Saddam Hussein. Era l’inizio della Guerra del Golfo. Ven-nero in Repubblica Ceca da un Paese libero e, a causa della guerra, correva-no il rischio di non poter più rientrare.Io ero addetto alla “mission impossi-ble”: convincere il Kuwait ed i loro al-leati a sostenere il nostro candidato.Durante la General Assembly era stato organizzato a Praga un pomeriggio di

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svago a bordo di un battello che navi-gava sulla Moldava. Mentre gli altri stu-denti facevano baldoria sul ponte sco-perto della nave, io ero impegnato sotto coperta in una estenuante trattativa, durata circa 5 ore, con la delegazione del Kuwait per cercare di portarli dalla nostra parte. Alla fine, raggiungemmo un accordo su una modifica statutaria che era di loro interesse e accettarono di appoggiare la candidatura italiana. Riuscimmo così a eleggere un italiano alla Presidenza dell’IFMSA. Fu questa l’unica occasione in cui, nell’ambito della General Assembly, arabi ed israe-liani votarono per lo stesso candidato.L’anno successivo, alla General Assem-bly tenutasi ad Aland, un’isoletta tra Svezia e Finlandia, abbiamo fatto il bis riuscendo a far eleggere Claudio Pagano come Tesoriere della Federazione Inter-nazionale.Subito dopo questa General Assembly, come delegazione italiana, partimmo per visitare Leningrado. Fu l’occasione di vivere un altro evento storico: il colpo di Stato di Eltisn che depose l’allora presidente dell’URSS Gorba-ciov. Io ero partito con qualche giorno anticipo rispetto ai colleghi e, arrivato all’aeroporto di Milano appresi di questo colpo di stato dalla TV: il pensiero corse subito a coloro che erano ancora sul posto. Tuttavia il colpo di stato fu piut-tosto “soft” ed i colleghi non furono in alcun modo coinvolti, anche se in ogni caso questo evento rappresentò l’inizio del disfacimento dell’Unione delle Re-pubbliche Socialiste Sovietiche. Infatti, un altro elemento che ha dominato i successivi

Meeting Internazionali fu l’emergere delle Nazioni nate dal disgelo post-co-munista: Serbia, Croazia, Lituania, Let-tonia, new entries che arricchirono il variegato panorama dell’IFMSA.A tal proposito, vorrei fare un breve passaggio su una delle mie esperienze di scambio culturale.Nel luglio 1989 sono stato in Polonia, prima delle caduta del Muro di Berlino, quando il Paese, governato dal gener-ale Jaruzelski, era ancora comunista e “Solidarnosc”, il sindacato di Lech Walesa, era messo al bando. Ho fre-quentato l’ospedale della città di Lu-blin e tale esperienza mi ha permesso di conoscere questo scorcio di società comunista appartenente ad un mondo ormai scomparso: la fila per strada per comprare le arance, la bicicletta o le gambe quali principali mezzi di tras-porto, le vetrine dei negozi del centro squallide e disadorne, i supermercati con gli scaffali quasi sempre vuoti e la merce cosiddetta pregiata, come il pro-sciutto, che spariva nel giro di pochi minuti, le scarpe e la carne razionate per mezzo delle tessere. Questa espe-rienza ha inciso profondamente sul mio modo di veder le cose: mi ha permesso di capire, da un lato, come non siamo in grado di apprezzare la libertà che abbi-amo e dall’altro che le cose veramente essenziali nella vita sono tutto sommato poche. L’ospedale, nonostante la scar-sità di mezzi, assolveva i suoi compiti: aveva all’interno un piscina pensile per le attività riabilitative ed era collegato con una struttura residenziale, localiz-zata nella quiete della campagna, in cui

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venivano inviati i pazienti post-infartuati.

Ritornando agli eventi interni all’Associazione, in quegli anni ho fon-dato il primo giornalino del SISM “Stu-diare Medicina” –le cui copie sono state esposte durante il XLVI Congresso Nazion-ale tenutosi questo maggio a Chianciano Terme, ndr-. È stato un esperimento di divulgazione e di informazione in un periodo in cui non esisteva ancora Inter-net e la trasmissione dell’informazione avveniva solo per via cartacea (con profusione di fax e francobolli).Ho anche organizzato un Congresso Na-zionale del SISM a Catanzaro nel 1991.

A distanza di 25 anni ritrovo con pi-acere un’associazione sempre più vi-tale, e devo dire più diversificata rispetto agli anni che ho descritto. Merito delle nuove tecnologie che fa-cilitano i contatti, ma merito sopra-tutto di tutti voi che con dedizione continuate a promuoverne le attività.Quali messaggi lanciare per il futuro?Non sono più molto aggiornato ris-petto all’evoluzione della formazi-one medica ma ritengo che si debba continuare ad incidere su alcuni as-petti che risultano ancora carenti.La comunicazione medico-paziente, messa in crisi dalla medicina tecnolog-ica, deve essere promossa e sostenuta. Per essere un buon terapeuta non basta solo avere buone conoscenze tecniche se poi non si hanno doti di empatia, comu-nicazione, intelligenza emotiva, aspetti questi che dovrebbero essere valoriz-zati all’interno del curriculum forma-tivo medico. Altro punto fondamentale: un ritorno all’ integrazione ed alle con-oscenze di base a fronte della parcelliz-zazione determinata dal sapere special-istico. Sono un componente del Collegio Nazionale della Società Italiana di Igiene Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) e opero all’interno di un gruppo di studio che si occupa di Assistenza Primaria. Questo gruppo ha proposto di inserire l’assistenza primaria all’interno del curriculum formativo medico. An-cora oggi abbiamo un’assistenza ed anche una formazione troppo concen-trata sull’ ospedale, mentre l’OMS ha dimostrato che i servizi sanitari nazi-onali che hanno valorizzato l’assistenza primaria sono quelli che ottengono le migliori performances a parità di costi. Il SISM ,a mio avviso, deve recuperare

lo spirito degli anni che ho descritto, in cui partecipare agli scambi culturali era non solo un’occasione di approfondi-mento linguistico o tecnico-profession-ale ma anche un’opportunità per con-solidare lo spirito comunitario europeo superando i confini nazionali. Un primo risultato è stato raggiunto: le frontiere fisiche in Europa non esistono più ma rimangono ancora dei confini culturali che dobbiamo contribuire ad abbat-tere se vogliamo che l’Unione Europea sia davvero la casa di tutti gli europei.In quegli anni si diceva che “Men-tre ci chiediamo se l’Europa con-viene essa, intanto, avviene”.TTIP e CETA?Forse in pochi sanno di che cosa si tratta…CETA (Comprehensive Economic and Trade Agreement) è l’accordo econom-ico e commerciale globale tra il Cana-da e l’Unione Europea, che promuove ad esempio il libero scambio di beni e servizi senza più frontiere e dazi doga-nali. Ebbene tale accordo ha gettato le basi anche per il libero scambio dei professionisti, che un giorno (non lon-tano) potranno andare a lavorare in Canada con il principio del mutuo ri-conoscimento dei titoli come già av-viene nel’ambito dell’Unione Europea.TTIP (Translatlantic Trade and In-vestiment Partenership) risponde agli stessi principi e in tal caso il ne-goziato, tuttora in corso, riguarda l’Unione Europea e gli Stati Uniti.Si è già scatenato un fuoco di sbarramen-to da parte di quelle associazioni ambi-entaliste che non vogliono far arrivare da noi gli hamburgers americani, sostenen-do che negli Stati Uniti non c’è adegua-to controllo sulla produzione di carne. Non voglio entrare nel merito di questa polemica: spero solo che il pubblico di-battito su un accordo di tale portata non si fermi soltanto alla carne macinata.Possiamo, a mio avviso, soltanto conclu-dere parafrasando quanto detto sopra che “Mentre ci chiediamo se la globaliz-zazione conviene essa, intanto, avviene”.La medicina è, forse, una delle professio-ni più “globalizzabili”, in quanto le com-petenze mediche sono, per la gran parte, indipendenti dal contesto in cui si opera.Io credo in un futuro in cui il medi-co sarà sempre più un professionista globale. Assistiamo in questi anni ad una fuga di medici, giovani e non solo, da un Paese in crisi come l’Italia. Tut-tavia ritengo che, al di là di questo

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sempre più a diventare un globetrot-ter. Un professionista potrà decidere di svolgere una parte del proprio percorso formativo, sia di base che specialistico all’estero; nell’arco della vita lavora-tiva potrà trascorrere periodi più meno lunghi in un altro Paese dove vengono offerte migliori opportunità di carriera e decidere, poi, di rimanerci oppure far ritorno al proprio paese; potrà parte-cipare a progetti di cooperazione con i paesi in via di sviluppo; nel quotidiano potrà (e dovrà) leggere riviste scienti-fiche in lingua inglese o potrà (e dovrà) partecipare a Congressi, anche in Ita-

lia, in cui la lingua ufficiale è l’inglese.In questo scenario che si sta delineando credo che la missione del SISM si sintetiz-zi in questo: contribuire a far sviluppare il professionista del futuro che sappia af-frontare le sfide della sanità globalizzata.Il SISM mi ha dato molto (persino una moglie, Anna Rotundo, che faceva parte della sede locale di Catanzaro) e con ques-to documento spero di poter ricambiare al SISM una parte di ciò che ho ricevuto. Cari saluti ed auguri per la vostra formazione e per la vostra professione.

Si ringrazia Andrea Costumati per il prezioso lavoro svolto

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SALUTE PUBBLICA:QUALE RUOLO PER I FUTURI MEDICI?

Cristiano Alicino

Cosa vuol dire oggi occuparsi di Sa-lute Pubblica? Qual è il ruolo dei med-ici nell’ambito della Salute Pubblica?Per rispondere a queste domande è innanzitutto necessario definire ciò che si intende per Salute Pubblica poiché il suo significato è spesso dif-ferente in relazione ai paradigmi valoriali e culturali di riferimento.Non si tratta di differenze meramente etimologiche, ma ad una diversa visione e definizione della Salute Pubblica cor-rispondono inevitabilmente pratiche e azioni differenti volte alla sua tutela.La definizione di Salute Pubblica, in questo senso, non può prescindere da un approfondimento del significato del ter-mine “Salute”, la cui evoluzione procede di pari passo con quella di Salute Pubblica.Certamente la definizione meglio conosciuta è quella fornita nel 1948 dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel preambolo del suo documento di costituzione: “la Salute è uno stato di completo benessere fi-sico, psichico e sociale dell’individuo e non la mera assenza di malattia”[i]Questa definizione ha avuto l’indiscusso merito di sottolineare l’esigenza di superare una concezione puramente biologica dei fenomeni morbosi. Allo stesso tempo è stata, sin da subito, og-getto di numerose critiche per il suo carattere eccessivamente utopistico nell’individuare molteplici dimensioni del benessere. Ancora oggi, a oltre 60 anni dalla costituzione dell’OMS, la mag-gior parte degli sforzi della medicina cli-nica, di quella preventiva, e in generale della politica sanitaria si concentrano quasi esclusivamente sulla dimensione biologica della salute. Ulteriori critiche hanno riguardato la scarsa operatività dei concetti di “stato” e “completezza”.In particolare, alcuni epocali cambia-menti politici, economici, sociali, de-mografici ed epidemiologici sono esitati, almeno nella parte più ricca del pianeta, in un prolungamento dell’aspettativa di vita e in un fenomeno noto come “transizione epidemiologica” in cui le patologie infettive hanno cessato

di essere la principale causa di malat-tia e morte rimpiazzate dalle malattie cronico-degenerative con le quali mil-ioni di persone convivono talvolta per alcune decine di anni della loro vita.In questo scenario, una delle principali controversie relative alla definizione di salute dell’OMS riguarda la possibilità di trovarsi in una condizione di salute pur convivendo (o adattandosi) con una condizione di patologia organica (a ti-tolo esemplificativo si può parlare di sa-lute di un individuo di 65 anni in stato di benessere fisico, psicologico e sociale ma portatore di by-pass, o affetto da diabete di tipo II in trattamento, oppure si può parlare di uno stato di completo benessere in un soggetto disabile?[ii]).Alla luce di queste riflessioni è parso sin da subito necessario pensare alla salute come “a qualcosa di maggiormente di-namico, più che uno stato definitivo, un processo di interazione continua, alla ricerca di equilibri mutevoli, fra indi-viduo e ambiente, dove con ambiente si deve intendere una serie di innumer-evoli e differenti variabili, sia di tipo relazionale, che culturale, che sociale, che propriamente fisico”[ii].Anche sulla base di queste considerazi-oni, Antonio Seppilli, ha introdotto nel 1966 alcuni elementi che hanno offerto una chiave di lettura innovativa del con-cetto di salute: “La salute è una con-dizione di armonico equilibrio, fisico e psichico, dell’individuo, dinamicamente integrato nel suo ambiente naturale e sociale”. Le parole “armonico equi-librio” all’interno della definizione in-tendevano per l’appunto conferire una dimensione maggiormente dinamica alla salute: “l’equilibrio diventa una cos-tante giuocata tra interno, la capacità di controllo, ed esterno, la situazione favorevole o sfavorevole dell’ambiente reale o percepita” [ii]. L’OMS, prendendo spunto da questo e da altri modelli nel frattempo proposti, ha articolato ulteriormente il concetto e, in un documento del 1984 sulla promoz-ione della salute redatto in vista della preparazione della Carta di Ottawa, ha

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proposto la seguente definizione: “La salute deve essere vista come una risor-sa della nostra vita quotidiana, e non come lo scopo della nostra esistenza; si tratta di un concetto positivo che pone l’accento sia sulle risorse personali e so-ciali che sulle capacità fisiche” e ancora “per raggiungere uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, un individuo o un gruppo deve essere ca-pace di identificare e realizzare le pro-prie aspirazioni, di soddisfare i propri bisogni, di cambiare l’ambiente circos-tante o di farvi fronte”[iii].Accanto al tentativo di fornire una de-scrizione di ciò che la salute rappresen-ta, vi sono almeno altre due dimensioni ,non individuate nelle definizioni sin qui propose, che qualificano ulteriormente questo concetto e che devono essere te-nute in considerazione per inquadrare il concetto di Salute Pubblica.La prima dimensione è quella della sa-lute come diritto umano, sancita per la prima volta nell’articolo 25 della Dichiarazione Universale dei Diritto dell’Uomo, firmata a Parigi il 10 dicem-bre 1948, e ribadita successivamente in numerosi trattati internazionali. In Italia, la Costituzione Repubblicana ha, fra le prime al mondo, immediatamente recepito questa dimensione, sancendo all’articolo 32 che “la Repubblica tu-tela la salute come fondamentale di-ritto dell’individuo e interesse della collettività”. Tale affermazione è stata successivamente ribadita come primo principio ispiratore dell’istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.In particolare, l’articolo 25 della Dichi-arazione Universale dei Diritti Umani stabilisce che “Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a gar-antire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all’alimentazione, al vestiar-io, all’abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari; e ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vec-chiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indip-endenti dalla sua volontà”[iv]. Questa prospettiva è presente, peraltro, anche nel già citato preambolo dell’atto cos-titutivo dell’OMS secondo il quale “il possesso del miglior stato di salute che è capace di raggiungere costituisce uno dei diritti fondamentali di ogni essere umano, quali che siano la sua razza, la sua religione, le sue opinioni polit-

iche, la sua condizione economica e sociale”[i].Tale prospettiva introduce un’ulteriore dimensione della salute, intimamente intrecciata con quella del diritto uma-no: l’equità (da non confondersi con il termine uguaglianza). Il termine equità infatti si riferisce alla necessità etica di garantire a tutti gli individui la pos-sibilità di raggiungere il miglior stato di salute possibile agendo sui fattori che contribuiscono a determinare lo stato di salute di un individuo e delle comunità (cioè la Salute Pubblica).Questi fattori, definiti dall’OMS “deter-minanti di salute”, sono certamente al-cuni agenti biologici e includono i com-portamenti individuali (i due ambiti su cui il Corso di Laurea in Medicina e Chi-rurgia fornisce certamente le conoscen-ze più approfondite), ma abbracciano anche un ventaglio più ampio di fattori – educativi, sociali, economici, lavora-tivi, politici – che giocano un ruolo fon-damentale nel plasmare la distribuzione di fattori biologici e comportamentali e più in generale a definire le condizioni di vita nell’ambito del quale gli indivi-dui devono poter raggiungere il più alto livello di salute.Nella già citata Carta di Ottawa, l’OMS sostiene che “le condizioni e le risorse fondamentali per la salute sono la pace, l’abitazione, l’istruzione, il cibo, un reddito, un ecosistema stabile, le risorse sostenibili, la giustizia sociale e l’equità. Il miglioramento dei livelli di salute deve essere saldamente basato su questi prerequisiti fondamentali”[iii].Il riconoscimento di questi prerequisiti sottolinea i complessi legami esistenti tra le condizioni sociali ed economiche, l’ambiente fisico, gli stili di vita individ-uali e la salute.In quest’ottica, la Salute Pubblica si pone come un progetto politico perma-nente volto ad agire sui determinanti di salute al fine di garantire equamente la possibilità di raggiungere il più alto liv-ello di salute possibile.Come è chiaro dalla varietà e dalla complessità dei fattori che contribuisco-no a determinare la salute delle comu-nità, tale progetto non è responsabilità esclusiva del settore sanitario, ma chia-ma in causa in maniera inter e trans-disciplinare tutti i settori della società. Infatti, l’approccio complessivo alla sa-lute implica che tutti i sistemi e le strut-ture deputate a governare le condizioni socio-economiche e l’ambiente fisico,

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debbano agire considerando l’impatto che il loro operato avrà sulla salute e sul benessere dei singoli individui e dell’intera comunità. Un richiamo a tale responsabilità condivisa è l’appello lan-ciato all’OMS, nel rapporto conclusivo dei lavori della Commissione sui deter-minanti sociali di salute, in cui viene ribadita la necessità di ricercare “la Sa-lute in tutte le politiche”[v].Nel nostro paese e nella nostra cornice concettuale di riferimento, il termine inglese Public Health viene più spesso traslato con il termine di Sanità Pub-blica (anziché Salute Pubblica) definita come la “scienza rivolta a migliorare la salute della popolazione tramite sforzi organizzati della società, utilizzando tecniche di prevenzione delle malattie, di protezione e di promozione della sa-lute”. Tuttavia pur considerando questa traduzione, il concetto rimane intriso di un altissimo valore sociale e politico.

Perché un medico e un futuro medico dovrebbero interessarsi di Salute Pub-blica o di Sanità Pubblica?Esiste un preciso dovere deontologico per il quale il medico è contestualmente impegnato nella tutela della salute dell’individuo e della collettività (arti-colo 1 Codice di Deontologia Medica). Inoltre, pur avendo già indicato come la tutela della Salute Pubblica sia re-sponsabilità tutt’altro che esclusiva del mondo sanitario, il medico, più di qual-siasi altro professionista, è testimone diretto degli esiti di scelte che ledono la salute dei singoli e delle comunità ed è pertanto portatore di un’altissima responsabilità sociale nell’adottare personalmente e incoraggiare pubbli-camente atti e politiche volte alla pro-mozione della salute.

(Cristiano Alicino è stato PresidenteNazionale 2008-2009, adesso Socio Ono-rario SISM e Alumni SISM; è specialista

in Igiene e Medicina Preventiva)

[i] Preambolo della Costituzionedell’Organizzazione Mondiale della

Sanità, 1948[ii] Adattato da L. Zanini “Salute,

Malattia e Cura. Teoria e percorsi diclinica della formazione per gli opera-

tori sanitari” Ed. Franco Angeli[iii] Organizzazione Mondiale della San-ità. Carta di Ottawa per la promozione

della Salute. 1986[iv] Dichiarazione Universale dei Diritti

dell’Uomo[v] Organizzazione Mondiale della

Sanità. Rapporto finale della Commis-sione sui Determinanti Sociali di Salute“Closing the gap in a generation”. 2008

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Carmine Calidona, Federico Longhini, Stefania Panebianco

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PEER EDUCATION ED EDUCAZIONE SESSUALE

Uno dei progetti cardine dell’area SCORA sono gli interventi di educazione sessu-ale, incentrati principalmente sulla pre-venzione delle Malattie Sessualmente Trasmissibili e sulla contraccezione, all’interno delle scuole medie superiori e, in alcuni casi, inferiori. Tali progetti sfruttano la metodica della Peer Educa-tion in modo da rendere il più efficace possibile il passaggio di informazioni e conoscenze e far sì che i ragazzi as-sumano atteggiamenti e comportamenti più responsabili e consapevoli nei con-fronti della loro saluteQuesto progetto è attivo all’interno dell’associazione or-mai da sei anni e si sta diffondendo in modo sempre più capillare sul territorio con risultati molto incoraggianti.

Ma di cosa si tratta esattamente? E quando è nata qui in Italia? Come?Sono pronti a rispondere alle nostre domande Carmine Calidona, referente della Peer Education nello SCORA team nazionale, nonché LORA della sede Lo-cale di Messina, e Federico Longhini, colui il quale, in veste di NORA, importò nel 2006 questo metodo educativo in Italia. Vediamo cosa hanno da dirci en-trambi!

Carmine, cominciamo da te! Puoi spiegarci cosa sia esattamente la Peer Education?La Peer Education è una strategia ed-ucativa, non formale, che prevede l’impiego di persone opportunatamente formate, in veste di Peer Educator, ap-partenenti allo stesso status sociale del target group con cui lavorano, da cui ne deriva la dicitura di educazione tra pari. Questa tecnica è altamente apprezzata dai giovani per il comune background che condividono con i Peer Educators che hanno un ruolo a metà tra il tradizionale esperto e il fratello mag-giore (mai essendo né l’uno né l’altro) e che perciò vengono percepiti dal ra-gazzo come delle figure a lui vicine che possono essergli di aiuto e di consiglio.Inoltre la Peer, tramite attività alterna-tive, espone le emozioni e le capacità

relazionali dei ragazzi, permettendo così la migliore riuscita del suo intento. Gli interventi di Peer Education fanno leva sul legame tra similarità percepi-ta: sentire una qualche comunanza con un’altra persona o supporre di condivi-dere con lei le stesse problematiche o le stesse esperienze, rendono questa per-sona un interlocutore credibile, di cui ci si può fidare, e ciò accresce la proba-bilità che il nostro modo di pensare e di agire ne sia influenzato. I pari sarebbero dunque dei modelli per l’acquisizione di conoscenze e competenze di varia natura e per la modifica di comporta-menti e atteggiamenti, modelli efficaci in misura equivalente se non superiore ai professionisti del settore.Nella Peer Education, le persone diven-tano soggetti attivi del loro sviluppo e della loro formazione, non semplici re-cettori di contenuti, valori ed esperien-ze trasferiti da un formatore esperto. Questo avviene attraverso il confronto tra punti di vista diversi, attività di im-medesimazione, team/trust building, story telling, l’analisi dei problemi e la ricerca delle possibili soluzioni, in una dinamica tra pari che tuttavia non esclude la possibilità di chiedere col-laborazione e supporto agli esperti. Nel tempo si è verificato una più ampia diffusione di interventi che utilizzano i pari per tantissime tematiche riguar-danti i comportamenti a rischio quali l’assunzione di droge o alcool, il con-sumo di tabacco, la guida spericolata, il bullismo, la violenza, il comportamento alimentare non corretto… Tuttavia la Peer ad oggi rimane molto più utilizzata nel campo dell’educazione sessuale.Perché è così utile nel campo dell’educazione sessuale?I fini ultimi dei progetti di Peer SCORA, sono quelli di far riflettere i giovani su argomenti di cui poco si discute in famiglia o a scuola, ovvero la contrac-cezione, le MST, i falsi miti nella sessu-alità, non vivere la stessa come un tabù, educare al sentimento, promuovere l’informazione sul tema delle discrimi-nazioni motivate dall’orientamento ses

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suale o dall’identità di genere.Ma andiamo con ordine. I termini “Peer Education” secondo alcuni autori, sono più correttamente traducibili come “prevenzione tra pari”, considerando la Peer appunto come un metodo d’intervento effi-cace nell’ambito della promozione della salute e più in generale nella prevenzione dei comportamenti a rischio. La Peer si prefigge dunque di aiutare i ragazzi a sviluppare un pen-siero critico sui comportamenti che possono ostacolare il loro benessere fisico, psicologico e sociale; vengo-no indirizzati a compiere scelte del tutto autonome ma in maniera re-sponsabile perché opportunamente istruiti in modo innovativo e distante dagli approcci pedagogici classici che veicolano il messaggio tramite la proibizione di un comportamento considerato sbagliato. Ciò che rende particolarmente efficace questo me-todo è la credibilità dei formatori e la sintonia che si crea tra ricevente ed emittente. Nonostante le classiche e numerose informazioni o campagne di sensi-bilizzazione rivolte alla prevenzi-one delle malattie sessualmente trasmesse, i risultati raggiunti sono stati, purtroppo, molto deludenti: ancora oggi il contagio risulta essere molto diffuso, soprattutto tra gli ad-olescenti. In passato, gli interventi di prevenzione rivolti proprio ai ra-gazzi, svolti soprattutto nelle scu-ole, sono sempre stati delegati ad adulti o operatori sanitari che hanno privilegiato sempre e solo l’aspetto scientifico delle informazioni fornite riproponendo cosìla struttura tipica dell’organizzazione scolastica tra un adulto/esperto (che sa ed inseg-na ciò che si può o deve fare) e un adolescente/inesperto (che non sa e che deve seguire dei consigli).

Il risultato finale è quello di fa assumere all’adolescente un ruolo di recettore passivo dell’informazione senza riuscire minimamente a coinvolgerlo a livello personale nei programmi di prevenzione.Mentre la comunicazione tra adulto e ad-olescente implica per quest’ultimo un ef-fetto ansiogeno, un sentimento di incom-prensione poiché l’adolescente avverte e sente la distanza generazionale, la comu-nicazione tra pari è avvertita come meno giudicante e ansiogena.Inoltre nel con-siderare la parità una possibile spinta al cambiamento e con ciò privilegiando una trasmissione del sapere, la Peer Educa-tion si colloca come strategia educativa volta ad attivare un processo naturale di passaggio di conoscenze, emozioni ed es-perienze tra i membri di un gruppo.

Che feedback hai ricevuto dagli stu-denti?Ogni sessione di Peer che si rispetti si conclude con l’evaluation del tempo trascorso con i ragazzi, delle tematiche trattate e del modo con cui sono state trattate, valutando la disponibilità e le skills dei formatori, oltre che la risposta del gruppo alla sessione. Nel corso della mia esperienza con ragazzi dai 13 ai 18 anni, ho sempre avuto ottimi feedback e sicuramente questi successi sono ascrivi-bili all’efficacia del metodo in sé ed ai momenti di formazione (TIPE, incontri preparatori con professori e psicologi, confronti con gli insegnati…). Sicura-mente lungo il percorso si possono in-contrare difficoltà, professori bigotti, genitori particolarmente apprensivi, ra-gazzi difficili da approcciare; tuttavia, in un modo o nell’altro si potrà sempre trasmettere nozioni, informare e respon bilizzare, in relazione alla disponibilità ad apprendere ed a mettersi in gioco dei nostri ragazzi, oltre che sicuramente ed in primis, in relazione alle capacità dell’educatore. I ragazzi si mostreranno sempre entusiasti e curiosi circa la ses-

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sualità.Molto spesso veniamo percepiti come la valvola di sfogo, quel momento della settimana in cui finalmente si può parlare di sesso in maniera consapevole e senza essere giudicati. Anche i profes-sori molto spesso percepiscono un clima diverso in classe a seguito delle nostre sessioni. I ragazzi riescono a vivere la realtà scolastica più coesi come gruppo e rispettandosi a vicenda ripensando a quanto si è detto in sessione.

Perché essere Peer Educator fa bene agli altri ma soprattutto a sè stessi?Chiaramente mettersi in gioco con e per i ragazzi non garantisce solo una mag-giore credibilità per il formatore agli oc-chi dei giovani studenti ma sicuramente ti permette di metterti in discussione. Dopo un TIPE e dopo una sessione di Peer, ci si rende conto di essersi arricchiti, di conoscere meglio i propri punti di forza e le proprie debolezze. Lo scambio che avviene con i ragazzi è reciproco, impari molto dalle loro dinamiche, dalle loro risposte e rivivere il clima scolastico or-mai passato ha anche i suoi effetti posi-tivi. In più, trattandosi di volontariato, per di più riguardante tematiche a noi molto care e verso le quali siamo parti-colarmente sensibili, non possiamo che non essere fieri di noi e del contributo che diamo. Magari siamo dei pazzi ide-alisti, ma siamo fermamente convinti che una classe per volta ,la differenza si possa fare. Anziché lamentarci di uno status quo sbagliato e triste cerchiamo di rimboccarci le maniche e di ritagli-are nella nostra vita accademicamente (e spesso non solo accademicamente) stressante una parte della giornata per occuparci dei nostri ragazzi, e questo è estremamente gratificante.

Carmine ci ha appena aiutati a com-prendere e conoscere questo magnifico strumento che la SCORA e ogni Peer Ed-ucator ha in mano. Non dimentichiamo inoltre che prima di rivestire tale ruolo, siamo noi stessi i primi a vivere questa esperienza dall’altra parte della Peer Education, vivendo quindi tale espe-rienza sulla propria pelle, comprendon-done le potenzialità.

Ma quando è cominciato tutto qui in Italia? E come? Federico Longhini, NORA/NORP per gli anni 2006/2007 e 2007/2008, è stato l’artefice del tutto, e ha deciso di riper-correre con noi quest’intenso percorso.

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“Il percorso è stato molto lungo, rico-prendo un arco temporale di circa due anni. Tutto inizia nel 2006, anno in cui ricoprivo la carica di NORA/NORP. Avevo sentito parlare della Peer Education, già diffusa in Europa, ma non avevo davve-ro idea di quali fossero le attività che la caratterizzavano e che venivano us-ate negli altri Paesi. Incontro così per la prima volta Silva Rukavina, una ra-gazza croata all’epoca SCORA director, che mi spiega in cosa consista la tecnica di Peer Education e un’idea grossolana di cosa si potesse fare, proponendomi di partecipare all’IPET (International Peer Education Training) che si sarebbe tenuto in Inghilterra, a Canterbury. Ac-cetto e alla fine acquisisco il certificato di Trainer in Peer Education e comincio a costruire un progetto per poter formare altri ragazzi in Italia. Purtroppo questa prima fase ha richiesto molto tempo, tanto da arrivare al successivo congres-so nazionale, al quale mi ricandido per la carica di NORA/NORP venendo ricon-fermato per l’anno 2007/2008. Così du-rante il meeting tenutosi nel maggio del 2008 presso Palermo, tengo la prima e propria sessione Training di Peer Educa-tion, durante il quale ho proposto anche l’attività “acqua e sale”, che ho rubato ad un gruppo olandese, al tempo il più “forte” in questo ambito a livello eu-ropeo. Fatto sta che mi aspettavo che ci fossero 20 persone, ma se ne presen-

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tarono 50-60, ammettendoli tutti poiché non me la sentivo di precludere la pos-sibilità ad alcuni di poter partecipare. Il training si è svolto per circa due ore, anche se io avevo previsto una durata di un’ora, e a causa dell’entusiasmo riscontrato ho continuato ad effettuare attività anche durante gli altri giorni del meeting, però mi sono accorto che tutto ciò ancora non era abbastanza per poter dare in mano alla gente un reale stru-mento. Per cui tornato a casa dopo il meeting di maggio contento per come si era svolto il training durante quei gior-ni, in realtà mi sentivo sconfitto perché non ero riuscito a raggiungere lo scopo che mi ero prefissato.Dopo un mese una notte alle tre mi sono svegliato di colpo e penso “Ho deciso. Facciamo l’IPET in Italia”. L’unico prob-lema consisteva nel fatto che ero solo, e non potevo sviluppare un intero train-ing in questo modo, per cui ho cercato l’aiuto di altri NORA/NORP, sperando in qualcuno che sapesse parlare un po’ di italiano o un inglese molto semplice (perché all’epoca l’inglese non lo parla-vano tutti) e alla fine con una mia caris-sima amica, Arlette Vassallo, NORA di Malta, che ho messo in piedi il primis-simo TIPE, che si svolse a Pisa durante il mese di novembre.

Questa è stata la nascita della Peer Education in Italia. E’ stato un percor-so molto travagliato, durato circa due anni, ma per fortuna, è cresciuto negli anni raggiungendo obiettivi che io non avrei mai immaginato. Ovviamente sono stati fondamentali per la riuscita del progetto tutti i LORA di quegli anni, che mi hanno dato più del massimo, e che hanno partecipato al primo, al secondo e al massimo al terzo TIPE.Il colmo di tutta questa storia è che alla fine io non sono mai riuscito ad andare nelle classi e fare educazione sessuale: ho creato il training ma non sono rius-cito a metterlo in pratica, basti pensare che già durante il training non ero più uno studente in Medicina e Chirurgia, ma avevo già conseguito la Laurea. Questa esperienza però mi ha lasciato tanto, basti pensare che i metodi della Peer Education, soprattutto riguardanti le Comunication Skills, li uso anche in ambito lavorativo per poter parlare coi pazienti e i loro parenti o con questi ul-timi; saper organizzare un training mi ha anche aiutato a sviluppare un pro-getto di ricerca, mi ha insegnato a scri-vere un protocollo e cose che poi alla fine tutt’oggi utilizzo.”

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GLI ALBORI DELLA SALUTE GLOBALE

Alice Perfetti

Quando ti chiedono di scrivere un ar-ticolo per ripercorrere le prime volte in cui il SISM ha incontrato i temi del-la salute globale una strana sensazi-one si impossessa di te. Lo chieder-anno a noi perché forse siamo vecchi?! Guardate che non c’eravamo quando hanno fondato il SISM 45 anni fa eh!Superato comunque il trauma ini-ziale ti siedi ed inizi a ripensare a come tutto questo è iniziato…Era il 2008 ed il secondo anno di univer-sità stava volgendo al termine quando arriva una telefonata in cui vieni invi-tata a partecipare ad un laboratorio che si terrà a Brescia in cui verranno affrontati i temi della cooperazione internazionale e a cui parteciperanno studenti di medicina da tutta Italia. Tu, che sei quella che ha sempre sognato di fare ginecologia ed ostetricia per poi fare un’esperienza di volontariato in Africa, accetti senza neanche pensarci.Ma dopo quell’esperienza nulla sarà mai come prima: ma andiamo con ordine.

Nell’ultimo decennio il numero di mo-menti formativi incentrati sulla Salute Globale, in gran parte promossi da di-versi attori quali professori universitari, ONG, associazioni studentesche, grup-pi di ricercatori e professionisti della salute, è notevolmente aumentato.Proprio all’interno di questo fermento, e tra le prime esperienze a livello na-zionale, prende vita nel 2007 il Labo-ratorio di Mondialità, con l’obiettivo di creare un momento formativo extra curriculare sui temi della cooperazione internazionale e della salute globale, organizzato da studenti per studenti.La necessità di un’appropriata formazi-one in Salute Globale nasce dalla consa-pevolezza che per prendersi cura degli individui e delle collettività, sia a liv-ello locale che globale, sia fondamen-tale conoscere i determinanti di salute e malattia, così come sia necessa-rio analizzare e capire le relazioni tra politiche sanitarie e disuguaglianze e quali siano i ruoli dei vari attori della salute e non solo. In linea con il Rap-

porto della Commissione sui Determi-nanti Sociali di Salute dell’OMS del 2008 la formazione, insieme alla conoscenza dei fenomeni e delle relazioni circa la Salute Globale, non può prescindere dalla promozione di un dibattito sul pi-ano dell’etica: momenti di riflessione, discussione e confronto tra studenti ed esperti, inseriti all’interno del pro-cesso formativo stesso, promuovono quel riposizionamento etico necessario per poter contribuire alla lotta contro le disuguaglianze dal livello globale al livello locale. Questo sottolinea come l’educazione e la formazione non siano e non possano essere momenti neu-trali, ma debbano necessariamente essere ben orientati in favore di val-ori quali la giustizia sociale e l’equità.Il Laboratorio di Mondialità che nacque in quegli anni, andava proprio in ques-ta direzione e si poneva come obiet-tivi la promozione di una formazione medica maggiormente incentrata e consapevole sull’abbattimento delle disuguaglianze sociali e in salute.La presenza di una multidisciplina-rietà all’interno del laboratorio ha da sempre garantito una pluralità di punti di vista; in questo modo si pro-va a ribaltare il concetto di medicina intesa come disciplina bioriduzioni-sta a favore di un approccio globale alla salute di individui e popolazioni.Questo contrasta con la pratica quo-tidiana della formazione universitaria classica dove invece viene privilegiato un apprendimento individuale, sta-tico, spesso monodisciplinare e uni-direzionale (dalla cattedra all’aula).Una formazione orizzontale come quella che si è cercata di introdurre nel Laboratorio di Mondialità vu-ole quindi essere allo stesso tem-po “formante” e “trasformante”.All’obiettivo di produrre una circolazi-one di saperi (knowledge) si è asso-ciata sin da subito l’importanza della promozione dei processi del saper-fare (skill) e del saper-essere (attitude).Dal 2007 ad oggi centinaia di studenti sono stati sensibilizzati alle tematiche

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della salute globale, alcuni di essi han-no deciso di approfondire le loro con-oscenze attraverso un “secondo livello” del laboratorio e di diventare a loro volta formatori per i proprio coetanei.Le tematiche stesse si sono evolute molto dal primo laboratorio: dalle rif-lessioni incentrate sulla cooperazione internazionale e sulla nascita delle dis-uguaglianze tra nord e sud del mondo si è passati ad uno sguardo ancora più ampio, che permetta una visione criti-ca sui concetti di salute e di malattia e nella quale ricadano tutti gli altri aspetti sui quali ci si può focalizzare, la cooperazione, la salute dei migran-ti, il cambiamento climatico, ecc..Il Laboratorio si è inoltre da subito in-serito nel discorso della sostenibilità confermando come la corrispondenza tra contenuti ed organizzazione di un evento non sia solo auspicabile ma pos-sibile; è stato quindi creato un evento a basso costo, basso impatto ambien-tale, che cerca di inserirsi il più pos-sibile nella realtà del Km 0 e delle esperienze sociali e culturali locali.A questo percorso nazionale si è aggiunto il fatto che, una volta tornati a casa, gli studenti hanno deciso di sensibilizzare la propria università e realtà favorendo la nascita di laboratori locali; nel caso di Genova dopo alcuni anni il laboratorio è diventato parte integrante del curricu-lum di studi. Di pari passo sono nati grup-pi di auto formazione locali con l’intento di analizzare in modo più approfondito alcune tematiche e sperimentare di-verse metodologie didattiche in percor-si annuali maggiormente continuativi.Tutto questo, come si diceva

all’inizio, si è inserito all’interno di un panorama italiano ed internazion-ale in attivo fermento: l’esperienza del Laboratorio e del SISM si sono per-fettamente integrate con la nascita della Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale, con gli ideali del People’s Health Movement; il pro-getto e l’ideale dietro di esso sono stati portati come esempio di impeg-no studentesco a livello dell’IFMSA.Nel periodo 2007-2010 il numero di corsi in salute globale è andato in cre-scendo in tutta Italia. Nell’ambito di questo triennio si è quindi assistito ad una progressiva sensibilizzazione nei confronti dell’inserimento delle tematiche di global health nell’ambito delle Facoltà di Medicina e Chirurgia.Per quanto concerne la valutazione del-la coerenza dei corsi, il dato nazionale complessivo evidenzia una crescente at-tenzione e sensibilizzazione delle facoltà di Medicina e Chirurgia nei confronti delle caratteristiche dei corsi considerate es-senziali dalla RIISG (Rete Italiana per l’Insegnamento della Salute Globale).In tutta Europa emerge quindi una di-somogeneità di contenuti, metodologie ed approcci; tuttavia il denominatore comune è il crescente interesse degli studenti nei confronti di tali tematiche.Pertanto, anche in Italia, in risposta all’aumento di interesse, è auspicabile che il mondo accademico si faccia car-ico di promuovere un percorso longitu-dinale di SG stabile nei Corsi di Laurea in Medicina, con particolare riguardo allo sviluppo di competenze e di cur-ricula, alla cooperazione fra istituzioni, agli schemi di mobilità e ai programmi

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integrati di studio, formazione e ricer-ca, come ribadito nella Dichiarazione di Bologna del 18-19 Giugno 1999 (5). Tale percorso formativo infatti, porta ad una riflessione critica dello Studente e all’adozione di un approccio sistemico e multidisciplinare alle problematiche di salute, favorendo una declinazione medica e sociale ed adempiendo il ruolo di advocacy che è irrinunciabile parte della professione sanitaria.

Concludendo quindi, in accordo con la People’s Charter for Health del People’s Health Movement, si è deciso di intra-prendere questo percorso intendendo la salute come un ambito di azione e attivismo volto ad impegnare tutti i cit-tadini, e a maggior ragione gli operatori sanitari, nell’intraprendere scelte in difesa della salute dei popoli, combat-tendo contro le diseguaglianze e per i diritti, in un’ottica globale comprensiva delle realtà socio-economiche, cultur-ali, politiche ed ambientali. Il labora-torio ed il percorso nato all’interno del SISM relativamente alla salute globale vengono portati avanti perché questa visione di lotta per l’equità e di ca-pacità di operare scelte consapevoli si ritiene debba essere supportata da una adeguata formazione.

Prendendo spunto da una delle pre-rogative della Primary Health Care, che afferma come la salute debba essere dei popoli e per i popoli, con il coinvol-gimento attivo della comunità, pos-siamo tracciare un parallelismo ideale con la formazione dei futuri operatori sanitari, ove essi devono essere attivi nelle proposte e nelle decisioni a tutti i livelli e non solo beneficiari passivi.

E indovinate un po’? Grazie a questo percorso ho capito che forse non era ginecologia il percorso più adatto a me ma quello delle cure primarie.

Guardando ormai il percorso del SISM dall’esterno si nota come l’impegno dell’associazione in questo senso sia in continuo crescendo, ma necessiti anche di un continuo confronto per far sì che questi principi siano davvero alla base di ogni nostra inform-azione come stu-denti e futuri medici. La visione ampia di salute che ho incontrato all’interno del SISM rende il percorso lavorativo più arduo ma incredibilmente più ancorato alla realtà e alla salute delle persone e dovrebbe essere bagaglio e pratica di ogni medico, indipendentemente dalla strada intrapresa una volta laureati.Vi lascio con una frase che mi sta molto a cuore e che ho utilizzato nel discorso di chiusura del Congres-so di Chianciano (e no..non è Liga-bue come qualcuno mi ha detto!).“Siate voi il cambiamento che volete vedere nel mondo. Non aspettate però le istruzioni per l’uso.” le richieste di protezione delle missioni mediche o ad-dirittura segnalati come “ospiti inde-siderati” ed invitati ad andarsene. In barba, ovviamente, al diritto internazi-onale.

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BRNO 1982 - GUADALAJARA 1983Caterina Pelligra in collaborazione con Andrea Costumati

Quest’anno Zona Sismica, in occasione del 45esimo anniversario del SISM, ha deciso di ripercorre le tappe che hanno portato il SISM all’associazione che è diventata adesso. In particolare, l’area SCOPE-SCORE, si propone di rivivere le storie, i racconti e le testimonianze di ex-Outgoings, ex-NEO/NORE, all’interno di un filo conduttore unico, che parla di Sanità, cambiamento degli equilibri del mondo nel corso di questo 45ennio di vita che accomuna SISMici presenti e passati.L’obiettivo finale di tutto ciò è trarre nuovi spunti per portare avanti quelle idee di un tempo e valide ancora ades-so: Si studia la storia per compren-dere il presente e affrontare il futuro!Questo mese con un’ex-Outgoing ri-viviamo, tramite un’intervista, le esperienze del suo scambio.Allora, che ne dice di ini-ziare con le presentazioni?Sono Stefano Guizzardi, laureato in Medicina e Chirurgia, specializzato in Terapia Fisica e Riabilitazione, spe-cializzato in Medicina del Lavoro. Sono professore associato, titolare del corso di Istologia all’università di Parma.Dove ha fatto il suo scambio?La prima volta è stato nel 1982 a Brno in Cecoslovacchia. La seconda nel 1983 a Guadalajara, in Messico. Sono durati entrambi circa tre settimane.Quale era la meta più ambita ai suoi tem-pi? C’erano delle mete in cui non si pote-va andare per problemi socio-politici?Tutti volevano andare in America; io, in realtà, insieme ad un certo gruppo di persone, avevo un certo impegno politico e quindi la mia idea era quella di andare in Paesi dove si poteva aiu-tare, oltre che imparare. Per questo la scelta della Cecoslovacchia e del Messi-co. Soprattutto, per quanto riguarda il Messico, la scelta è dipesa dal fatto che ero stato in Nicaragua a fare volon-tariato il mese precedente. Sono cose che è giusto fare quando si è giovani. Comunque, ai miei tempi, il problema della scelta non si poneva più di tanto.

Cosa faceva in reparto?

In Cecoslovacchia frequentavo Gas-troenterologia. Ci facevano assis-tere molto, ma c’era poca intervent-istica e ci lasciavano fare poco. Però l’organizzazione era perfetta: ave-vamo un buon alloggio, tutti parlavano l’inglese e il reparto era veramente ben tenuto. Definirei questa espe-rienza un’esperienza tipica da reparto.In Messico invece è stato totalmente diverso: i Local Officers non ci aspetta-vano e non erano molto organizzati. Ci alloggiarono in casa di uno studente e, invece di mandarci in ospedale, ci mis-ero in un presidio territoriale periferico dove si faceva di tutto: dare i punti, medicare braccia amputate, effettu-are manovre particolari. Tutto avveniva anche in una situazione molto critica; basti pensare che i guanti monouso si rilavavano perché non ce n’erano ab-bastanza. Non sapevamo fare molto, ma forse tra tutti alla fine eravamo i più competenti, ci siamo ritrovati a fare cose mai fatte. Ho imparato qui a dare i punti di sutura. È stata un’esperienza molto forte e sicuramente molto importante.Quale è stata l’esperienza più cu-riosa che le sia successa du-rante lo scambio e in reparto?Mi ricordo che in Messico, per evitare che gli scarafaggi mi entrassero nel letto, dovevo mettere dei barattoli tagliati con l’acqua all’interno sotto i piedi del letto!Sempre in Messico ho visto per la pri-ma volta delle ferite da armi da fuo-co. È ho dovuto medicarle da solo!

Cosa le ha trasmesso questa es-perienza? Le è rimasto qualcosa?In Cecoslovacchia tutto sommato non ho fatto niente di diverso dal frequen-tare un reparto. Mi interessava più vi-vere la nazione: era il momento in cui la Cecoslovacchia cominciava ad aprirsi al mondo ed era però an cora comunista. Volevo verificare io stesso cosa c’era di vero su quello che si diceva sul comunis-mo. Era un’occasione perfetta per farlo.Dal Messico, invece, ho sicuramente imparato a cavarmela da solo. Ho com-preso proprio il concetto di essere un

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medico, di avere delle capacità e di es-sere pronto ad utilizzarle per risolvere i problemi. È stata un’esperienza molto più formativa, che mi ha consentito di mettermi in gioco. È stata anche fon-damentale per lavorare successiva-mente al 118, perché ho imparato lì l’atteggiamento mentale di non impan-icarsi davanti alle situazioni più improb-abili. Il Messico mi ha insegnato molto.Queste esperienze mi hanno insegnato, inoltre, a rapportarmi con persone di diverso livello culturale. Il difetto di noi medici è che ci sentiamo al di so-pra degli altri. Ci sentiamo dei dispen-satori di cultura, ma questo in realtà non ci rende migliori di altri. Rappor-tarsi con il “campesino” o con chi non parla niente di italiano, con gente che si potrebbe considerare ad un livello ‘in-feriore’, ti riporta al lato umano della professione, che è il più importante, è una cosa che noi medici dimentichiamo.Le esperienze che si fanno nella vita valgono tutte, sia positive che nega-tive. Sono queste che poi ti permet-tono di dividere il mondo in persone buone e persone cattive. Ciò che sep-ara queste due classi è proprio il rap-porto umano ed il SISM ha contribuito molto per migliorare la mia visione della vita e anche dei miei rapporti umani.

Era importate ai suoi tempi il confronto con i paesi esteri nell’ambito medico?Ai miei tempi c’era un grosso mito: l’America. Tutto ciò che veniva dall’America era oro colato. Io, che

non ho mai avuto molta simpatia né per gli Anglosassoni né per gli America-ni, ho sempre cercato di andare contro e cercare un’alternativa. Per questo sono andato in posti anti-americani.

Perché ha scelto di par-tire? Secondo lei i ragazzi oggi sono spinti dagli stessi motivi?Ho scelto di partire per fare esperien-za. Sono sempre stato un ragazzo al di fuori delle regole e mi veniva d’istinto fare questo. Volevo vedere cosa ero in grado di fare, desideravo mettermi alla prova. Dopo cinque anni di medicina ti chiedi ‘Ma cosa ho imparato finora? Mi serve a qualcosa? Ha una valenza prat-ica?’. È in esperienze come queste che ti rendi conto che è poca la nostra “va-lenza pratica”. Ai miei tempi durante il corso di studio si frequentava poco il reparto ed eravamo anche mal tollera-ti. Non imparavo niente. Io ho imparato a fare il medico in Messico, in Nicara-gua e quando facevo l’ufficiale medico.Però, ai miei tempi, era diversa la prospettiva dello studente che face-va queste cose. Non era così comune andare via con il SISM; chi andava lo faceva perché aveva un impegno mo-rale, un impegno politico, un impegno etico. Io vengo da una generazione dove tutto era impegno. Non lo si face-va perché si doveva fare un curriculum o crediti o tutte queste “balle” buro-cratiche. C’era un’idea in testa e credo fosse molto meglio un mondo in cui era privilegiato l’impegno piuttosto che la

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burocrazia. Voi siete ‘burocraticizzati’ e in questo modo perdete di vista quello che è il concetto umano del medico: il rapporto con i pazienti e con le per-sone, che non si valutano in crediti.

Adesso che è sia professore sia medico, consiglierebbe ques-ta esperienza agli studenti oggi?Assolutamente. Io la obbligherei nel per-corso formativo. Più dell’Erasmus, che è bellissimo, ma da un certo punto di vista anche deviante dato che non ti consente di stare sul pezzo, ti fa vedere come si studia da un’altra parte, ma rientra nel discorso della formazione teorica; sia-mo molto più avanti come formazione teorica rispetto ad uno studente ameri-cano, ma siamo carenti nella pratica: l’università è carente. Il grosso problema degli studenti di medicina italiani è pro-prio la pratica. Invece un’esperienza del genere di aiuta molto di più. Dal punto di vista formativo credo sia importante.

Secondo lei esperienze del ge-nere spingono lo studente a lasciare o tornare in Italia?Voi avete visto il film ‘La meglio gio-ventù’? In una scena iniziale il pro-tagonista era uno studente di Medicina che andava a dare l’esame di istologia e il docente gli disse: “ Tu che sei così bravo, vai via dall’Italia, cosa fai qui?”. Lui gli rispose: “E perché lei sta qua al-lora?”. Il professore disse: “Perché io sono uno dei dinosauri da distruggere!”.La risposta è si, è giusto che i raga-zzi vadano via, ma non via per rima-nere fuori, perché credo sia una bufala quella dell’estero. All’estero ci sono più possibilità di lavoro, di ricerca, un medico è considerato, un professore pure, però manca quello che io cerco: l’umanità. Almeno nelle mie espe-rienze, ho riscontrato che l’unica cosa che è rimasta a noi italiani è proprio l’umanità. Non credo il SISM ti invogli ad andare all’estero, ma t’invoglia a por-tare quello che hai appreso all’estero in Italia per cercare di cambiarla. Io credo di esser riuscito a fare qual-cosa nel mio piccolo, nonostante non sia stato in grado di cambiare l’Italia.A conclusione di questo articolo vor-rei ringraziare il professor Guiz-zardi per averci regalato una bel-lissima lezione di vita, che ha in vitabilmente sollevato in me, e spero anche voi, tanti confronti e riflessioni.Confrontarsi con il passato, è, come

detto all’inizio, un modo per compren-dere il presente e affrontare il futuro, è un modo per rendersi conto di cosa ab-biamo ancora da imparare ma, allo stes-so tempo, di cosa possiamo insegnare.Penso che la nostra generazione dovreb-be ricordarsi a volte di quanto la super-ficialità abbondi molto spesso nei con-fronti di una generazione che ha dovuto conquistare persino i diritti per vivere. Dovrebbe ricordarsi di quanto spesso l’obiettivo della medicina, nata come scienza al servizio dell’uomo, venga sos-tituito solo dall’ossessione per il denaro o dalla smania di onnipotenza. Dovrebbe ricordarsi che, oltre allo studio, sono le esperienze che fanno il medico, è la vita lì fuori, è lo scambio e la condivisione delle nostre idee e conoscenze che può renderci ottimi medici. Come dice il professore Guizzardi, viviamo in una generazione dove tutto è burocratiz-zato, dove la nostra vita è misurata sec-ondo punti e secondo crediti; cose che in realtà ci rendono solo delle macchine o delle semplici operazioni matemat-iche nei confronti di una vita che non ha valore calcolabile. Penso che questo sia ciò che ci limiti oggi: tendiamo a rap-portare troppo i nostri ideali e le nostre idee alla realtà in cui viviamo, tendiamo a quantificarli e ad abbandonarli proprio quando essi non riescono a rientrare in uno schema dettato dalla nostra società.Tuttavia, se c’è qualcosa di cui possiamo andare fieri e che possiamo insegnare agli altri, è di avere ancora la Tenacia per non affogare in una generazione dove la concorrenza è spietata e le porte, invece di essere aperte, si devo sfondare a spal-late e possiamo ancora avere la Speran-za: la possibilità di credere che noi ‘il mondo’ potremmo cambiarlo davvero.

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UNA LORMA PER AMICA

Caterina Pelligra e Ivana Di SalvoQuest’anno Zona Sismica, in occasione del 45esimo anniversario del SISM, ha deciso di ripercorre le tappe che hanno portato il SISM all’associazione che è diventata adesso. In particolare, l’area SCOPE-SCORE, si propone di rivivere le storie, i racconti e le testimonianze di ex-Outgoings, ex-NEO/NORE, all’interno di un filo conduttore unico, che parla di Sanità, cambiamento degli equilibri del mondo nel corso di questo 45ennio di vita che accomuna SISMici presenti e passati.

L’obiettivo finale di tutto ciò è trarre nuovi spunti per portare avanti quelle idee di un tempo e valide ancora ades-so: Si studia la storia per compren-dere il presente e affrontare il futuro!

Questo mese ho avuto il piacere di intervistare Ivana Di Salvo, iscritta al sesto anno di Medicina e Chirur-gia a Pavia, ex Leo-Lore, ex-NORE e dall’anno scorso nel Team of Officials dell’IFMSA, prima come SCORE Direc-tor, e adesso come Liason Office to Research and Medical Association.

Di ritorno dalla World Health Assem-bly a Ginevra, super indaffarata tra il suo progetto di ricerca in Svizzera e la stesura della tesi, Ivana è riuscita a concedermi una bella oretta di tem-po su Skype per parlarci della sua in-credibile scalata ai vertici dell’IFMSA e raccontarci la sua esperienza.

1. Ciao Ivana, innanzitutto devo dirti che ho letto il tuo curriculum (si, ti ho un po’ stalkerato, lo ammetto!) e la prima cosa che voglio chied-erti è: come hai fatto a far tutto?[ride] C’è da dire che non è sempre tutto impossibile come sembra. So che a livello internazionale il lavoro sem-bra triplicato, ma in realtà non è così; anche in Italia il lavoro è tantissimo. A dir la verità penso che il lavoro del NORE sia stato più pesante di quello dello SCORE DIRECTOR. Con la carica da NORE ti occupi tantissimo delle gestione quotidiana di qualunque problema possa

sorgere e aiuti tantissimo anche gli altri, mentre quando sei nel Team Of Officials dell’IFMSA ti occupi solo di te stessa e della tua area. A livello internazionale è più semplice perchè hai anche più per-sone che ti aiutano e una volta che hai imparato a gestire le cose a livello na-zionale è paradossalmente più semplice farlo a livello internazionale. Per quanto riguarda il ruolo di LORMA invece è un po’ più complesso, perché c’è tantis-simo lavoro da fare e spesso noioso dato che ti ritrovi a discutere con professori o con i responsabili delle società mediche.

2. Sono passati ormai diver-si anni dal tuo primo ingresso al SISM, cosa ti ha spinto ad entrare?Prima di fare Medicina, ho fatto un anno in Biotecnologia. In quest’anno ho conosciuto una ragazza inglese che stu-diava Marketing. Sua cugina, che studi-ava a Londra, aveva fatto uno scambio Professional a New York. Sono entrata a medicina due mesi dopo averla con-osciuta, quindi ero entusiasta. Ho cer-cato subito il SISM durante il Welcome Day. Ho iniziato quindi partecipando ad un servizio di volontariato per gli alluvionati di Messina, all’interno del quale c’era un Ospedale dei Pupazzi. Da lì ho partecipato al progetto SCOPH organizzato dall’Unione Europea sul Ta-bacco Control, che si chiamava HELP, e mentre aiutavo l’LPO, mi sono tro-vata ad aiutare l’allora LORE di Messina nella campagna scambi e nel concorso. Quella sera stessa mi chiese se avessi voluto occuparmi dell’area scambi. Di lì ad un mese ci sono state le elezioni ed io ero ancora al primo anno. Sono stata un po’ spiazzata, ma mi han-no votato e ho iniziato come Lore. 3.Sei mai partita in Scambio? Se si, dove e quale è la cosa più bella che ricordi?Sono stata a Barcellona nel 2012. È stato bellissimo perché è stato il mio primo e unico scambio. Ecco, questa è una pecca del lavorare a livello nazi-onale o internazionale, perché non hai mai abbastanza tempo per fare altre

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cose. Ho partecipato ad un progetto di Cardio-Istopatologia Sperimentale.È stato molto bello perché ho passato molto tempo in ospedale, con professori disponibili che mi hanno fatto anche un corso di chirurgia cardiaca e che sono rius-citi ad insegnarmi lo spagnolo in un mese.È stata molto importante pure la presenza di alcune dottorande in Ingegneria,che stavano lavorando ad un modello cardiovascolare, ed erano feli-cissime di avere studenti interessati al loro lavoro. Quando studi è difficile ve-dere il lato pratico delle cose ed è stato bello perchè studiavo fisiologia e ho fatto benissimo la parte di cardiovasco-lare. Non mi sono goduta, invece, quasi niente Barcellona perché abitavo in ap-partamento con altri 9 ragazzi e faceva-mo sempre feste in case, serata cinema, serata cucina. Credo di essere uscita pochissimo. La cosa bella però è che li sento ancora e li ho anche rivisti in Cile.

4. Da piccola sismica a NORE! Racco-ntaci della tua esperienza da NORE! Pesante, bella, esperien-za da non rifare più nella vita?Credo forse di averla fatta troppo presto questa esperienza. Durante il mio primo anno di Medicina, sono andata ad una GA e lì ero super motivata ed entusia-sta ed avendo partecipato a quel pro-getto sul tabacco, avevo già conosciuto la Regional Coordinator e altre NORE, tipo quella della Romania o della Gre-cia; quest’ultima mi ha spinto tantissi-mo a candidarmi come NORE. All’inizio ne avevo parlato scherzosamente con il Consiglio Nazionale in GA. Poi la cosa è diventata più seria e mi sono candidata. Molta gente non è stata d’accordo del-la mia candidatura perché ovviamente dicevano di concentrarmi più sulla sede locale piuttosto del nazionale. Con il senno di poi penso che abbiano ragione, anche se fare il LEO o il LORE prende comunque tantissimo tempo perchè ci tanti rapporti da curare all’interno dell’università e con i professori. Sono stata un po’ incosciente ed imprudente.Non è stata una brutta scelta per-chè a livello nazionale si ha la pos-sibilità di essere in contatto con più persone, di capire che i problemi di alcuni sedi locali sono diversi da al-tre ed è anche molto bello ricevere degli stimoli da persone diverse.

Credo invece che rifarlo per la secon-da volta non sia stata una buona idea.

È bello avere un mandato per una sec-onda volta, ma penso sia bello anche lasciare spazio ad altra gente di fare la stessa esperienza e di seguirla e ga-rantire che possa migliorare le cose.

5.Quanto è cambiato, secondo te, il ruolo da NORE in questi anni? E che evoluzione c’è stata in termi ni di numeri di progetti di ricerca?Credo che il ruolo del NORE sia cambiato tanto in questi anni ed è una cosa per cui ho spinto moltissimo, perché non volevo che il NORE si occupasse solo di scambi, ma anche di ricerca in generale, come i Conflitti d’Interesse o il Pharm-Free. Penso che, da una parte, sia diventato più semplice negli anni avere più scambi e più progetti perchè abbiamo raggiunto più visibilità e rapporti migliori con i presidenti dei corsi di laurea e con i pro-fessori. Dall’altra parte penso che or-ganizzare uno scambio di ricerca invece non è così semplice perchè un mese è obiettivamente poco per lo studente e i professori, dato la carenza di fondi e disponibilità di collaboratori, prefer-iscano dare spazio prima a studenti italiani.In Italia purtroppo i fondi per la ricerca sono esigui, e spesso i gruppi di ricerca non hanno gli strumenti adat-ti, o non li usano, per cercare fondi e promuovere i propri progetti. Questo porta anche ad un’organizzazione in-terna dei gruppi in cui lo studente ha un ruolo marginale. Inoltre nel curriculum dello studente in medicina, non sono previste lezioni e corsi che preparino lo studente adeguatamente a parteci-pare attivamente e concretamente ad un progetto di ricerca. La SCORE può contribuire a promuovere l’interesse per la ricerca scientifica e la parteci-pazione degli studenti, insieme anche ad un’appello verso i professori, i presi-denti dei corsi di laurea ed i Rettori. 6. Hai mai avuto problemi di etic-ità di un progetto di ricerca?In realtà no, non è mai capitato perché è purtroppo impossibile sapere da dove vengono i fondi che utilizza l’università. Il problema su cui ci siamo interrogati spesso è che è difficile sapere chi fi-nanzia i progetti. In Italia il problema non è molto grande perchè i soldi per la ricerca sono pochi e le case farma-ceutiche che lo fanno sono poche. Il problema è forte invece in altri paesi, come il Libano, o in alcune NMO che non sono Pharm-Free. Anche l’IFMSA stessa

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non è proprio Pharm-Free; c’è un docu-mento di finanza etica, ma non ci sono regole che dicono che non si possono prendere soldi dalle case farmaceutiche. È un valore a cui tutti si attengono, ma non c’è una regola. Un’altra riflessione è stata quella sulle FEE per gli studenti che vogliono partecipare ai congressi o conferenze scientifichefinanziate da case farmaceutiche. Non abbiamo anco-ra trovato soluzioni però. Credo purtrop-po che questo problema resterà sempre, perchè è come una scatola cinese, dove ne apri una e ne spunta un’altra sotto.

7. Sei responsabile delle relazioni con le Medical Associations e Re-search Institutions. Sembra una cosa figa, ma magari non sappiamo realmente di cosa ti occupi. Quali sono le realtà con cui ti vai ad in-terfacciare e quanto contribuisci a livello delle nostre sedi locali?Il mio ruolo è quello di mantenere i con-tatti tra l’IFMSA e gli Istituti di Ricerca e le Associazioni Mediche, in partico-lare quelle con le quali abbiamo una Partnership o quelle con cui si è deciso di avere rapporti più stretti. Ultimam-ente abbiamo incrementato i rapporti con la WONCA (Medicina Generale), la FIGO (Ostetricia e Ginecologia), WFN (Neurologia, ICS (Chirurgia), WPA (Psi-chiatria), ISfTeH (eHealth) e molte al-tre ancora. Di solito si decide di avere una Partnership con un’associazione in base alle esigenze delle studenti e le attività organizzate; ad esempio, con la FIGO è stata necessaria farla perché la SCORA ha delle attività molto forti e la FIGO può aiutare molto nelle strat-egie di Advocacy. Quindi coinvolgendo l’associazione dei medici specialisti si va a coinvolgere in modo capillare anche i medici a livello nazionale e locale e creare delle collaborazioni con gli stu-denti e questo ci permette di ricevere aiuto e sostegno da loro e di partecipare anche ai loro congressi. È una bella oc-casione perchè possiamo presentare a livello internazionale i nostri lavori e questo da una maggiore visibilità agli studenti e anche alle Standing Com-mittee. S’innesca un effetto domino.

8. Capita spesso in facoltà di in-contrare colleghi che non si av-vinano al SISM perché non hanno tempo da perdere! Ti mai capi-tato di pensare di aver perso tempo?Secondo me, è giusto nel percorso di

studio dare spazio a tutto, sia allo studio, perché la teoria non la acquisisci in futuro, sia a qualsiasi tipo di attività ti possa inter-essare. Non ho mai pensato di aver perso tempo, piuttosto di non averlo utilizzato bene, perché magari ho dato troppo impor-tanza ad un evento o un incontro e trascu rato un po’ dei tirocinii o lo studio. Inoltre la scarsa organizzazione dei tirocinii ha reso poco interessante il tempo passato in repar-to, rispetto ai progetti IFMSA, molto più sti-molanti. Nonostante ciò mi sono rifatta con un progetto di ricerca in Senologia durante il IV anno, un V anno intenso di tirocinii du-rante l’Erasmus a Marsiglia e durante il VI. Chi si avvicina al SISM lo fa perchè ricerca qualcosa che sia inerente alla medicina e che però possa farti vedere la medicina da un altro punto di vista. Non mi pento di ni-ente, perchè se tornassi indietro avrei fatto lo stesso percorso.L’IFMSA ed il SISM hanno cambiato il mio modo di relazionarmi con il mondo, mi hanno insegnato a gestire situazi-oni spiacevoli e difficili, ad accettare nuove sfide ed essere positiva. Ho visitato circa 30 paesi nel mondo, ho lavorato con studenti provenienti da tutti i paesi del mondo, strin-gendo delle amicizie che coltiverò durante tutta la mia vita. Ho viaggiato, non soltanto spostandomi, ma soprattutto interiormente.

9. Cosa diresti a Jole e ai futuri NORE? E cosa ti verrebbe da dire ad uno studente di me-dicina appena entrato nel mondo sismico?A Jole e ai futuri NORE direi di cercare di promuovere il più possibile gli scambi di ricerca in Italia, di organizzare il Re-search WORKSHOP in Italia e anche un RE-SEARCH DAY [ride di gusto nel fare queste frecciatine. Occhio Jole!]. Gli direi anche di non perdere mai il lato umano del nos-tro ruolo, che è quello che più ci unisce.

Ad uno studente di medicina direi che i libri sono importanti, però anche il SISM permette di avere delle esperienze di crescita person-ale che non si hanno durante il corso di studi.

Spesso però succede che una persona molto attiva nel SISM non riesce a portare le pro-prie esperienze all’interno della propria facoltà, cosi come molto spesso gli Offic-ers Nazionali perdono il contatto con la propria sede locale. Vi invito quindi a non dimenticarvi di questi aspetti e di con-ciliare le due cose per rendere per-fetto il proprio percorso di studi.

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SISM - Segretariato Italiano Studenti MedicinaUfficio Nazionale: Padiglione Nuove Patologie, Policlinico Sant’Orsola,

via Massarenti 9, 40138 Bologna.tel/fax: +39 051 399507 – e-mail: [email protected]

web: www.sism.org Codice Fiscale 92009880375

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