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Teologia in Dialogo Numero Primo Gennaio-Giugno 2013 ARTICOLI: L'ANTICO NEL NUOVO – LA BIBBIA DEI CRISTIANI … p2 autore: Rafael Dreyer note: intervento all’incontro di formazione per predicatori locali, tenutosi il 15/10/11 a Riesi (CL) GRAZIA, SALVEZZA E TEOLOGIA DELLA SOSTENIBILITA' COME TEMA DELLA TEOLOGIA WESLEYANA … p7 autore: Helmut Renders note: originariamente pubblicato in Teocomunicação v.40 n.2, Porto Allegre, mag.-ago. 2010 IL SIMBOLISMO RELIGIOSO E CULTURALE … p22 autore: Carlo Cardia note: relazione svolta al convegno “L’esposizione statale dei simboli religiosi negli Stati Uniti e in Europa”, tenutosi il 22/06/12 a Roma PUO' LA TEOLOGIA ESSERE SCIENZA? … p37 autore: Erico Hammes note: originariamente pubblicato in Rivista Trimestrale di Teologia, Set. 2006. Porto Alegre I SIGNIFICATI DELLA VERITA' TRA FEDE E SCIENZA … p44 autore: Gianpaolo Pegoretti note: saggio volto a riflettere sulle differenze e sulle relazioni tra:1) il concetto di verità come adeguamento tra linguaggio ed esperienza, e 2) il concetto di verità come svelamento. L’articolo discute i differenti atteggiamenti verso i due significati di verità sia da parte della ricerca scientifica, sia da parte delle comunità di fede. Dalla trattazione emerge un pluralismo veritativo caratterizzato da possibilità di dialogo tra diversi modi di intendere le verità, dialogo che a sua volta porta ad un arricchimento reciproco. SERMONI: IL MANIFESTO DEL DISCEPOLO … p57 autore: Nino Plano IL TRIONFO DEL DIRITTO DI DIO … p60 autore: Nino Plano 1

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Teologia in DialogoNumero Primo

Gennaio-Giugno 2013

ARTICOLI:L'ANTICO NEL NUOVO – LA BIBBIA DEI CRISTIANI … p2autore: Rafael Dreyernote: intervento all’incontro di formazione per predicatori locali, tenutosi il 15/10/11 a Riesi (CL)

GRAZIA, SALVEZZA E TEOLOGIA DELLA SOSTENIBILITA' COME TEMA DELLA

TEOLOGIA WESLEYANA … p7autore: Helmut Rendersnote: originariamente pubblicato in Teocomunicação v.40 n.2, Porto Allegre, mag.-ago. 2010

IL SIMBOLISMO RELIGIOSO E CULTURALE … p22autore: Carlo Cardianote: relazione svolta al convegno “L’esposizione statale dei simboli religiosi negli Stati Uniti e in Europa”, tenutosi il 22/06/12 a Roma

PUO' LA TEOLOGIA ESSERE SCIENZA? … p37autore: Erico Hammesnote: originariamente pubblicato in Rivista Trimestrale di Teologia, Set. 2006. Porto Alegre

I SIGNIFICATI DELLA VERITA' TRA FEDE E SCIENZA … p44autore: Gianpaolo Pegorettinote: saggio volto a riflettere sulle differenze e sulle relazioni tra:1) il concetto di verità come adeguamento tra linguaggio ed esperienza, e 2) il concetto di verità come svelamento. L’articolo discute i differenti atteggiamenti verso i due significati di verità sia da parte della ricerca scientifica,sia da parte delle comunità di fede. Dalla trattazione emerge un pluralismo veritativo caratterizzato da possibilità di dialogo tra diversi modi di intendere le verità, dialogo che a sua volta porta ad un arricchimento reciproco.

SERMONI:

IL MANIFESTO DEL DISCEPOLO … p57

autore: Nino Plano

IL TRIONFO DEL DIRITTO DI DIO … p60

autore: Nino Plano

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L'ANTICO NEL NUOVO – LA BIBBIA DEI CRISTIANI

Rafael Dreyer pastore della Chiesa Valdese di Riesi

Abstract: Intendo affrontare qui l’argomento, della relazione del Nuovo Testamento con l’Anticoricordando gli aspetti maggiori di due questioni fondamentali, riguardanti rispettivamente il comee il perché si è posta questa relazione. All’inizio premetto qualche osservazione sullo specificotermine “antico testamento”.

1. I termine “antico testamento” & "nuovo testamento"

Il termine “antico testamento” è coniato dall’apostolo Paolo con l’espressione greca “palaiadiateke” (2 Cor 3,14, intorno all’anno 55), che significa “antica disposizione” (o antico patto). Esso,poi, per lungo tempo e cioè fino alla fine del II secolo (se si eccettua l’espressione “il primotestamento” nella Lettera agli Ebrei (9,15)) non apparirà neanche più nel linguaggio cristiano. Conquesto originale costrutto l’apostolo intende esprimere in termini espliciti una vera differenza conquello che egli riconosce in corrispondenza come “nuovo testamento” o “nuova alleanza” (2 Cor3,6). Quanto invece al termine “nuovo testamento”, esso è in qualche modo già tradizionale. Infatti lo sitrova da tempo nella letteratura d’Israele, poiché già il profeta Geremia lo impiega per primo, siapure con un significato escatologico (Ger 31,31); inoltre, anche la comunità di Qumran se ne servein altro senso per designare semplicemente se stessa (CD 6,19; 8,21; 19,33-34; 20,12). Tuttavia neitesti giudaici il costrutto “nuovo testamento” non è mai posto in opposizione ad alcun testamentodichiarato “antico”. Dunque, il termine “antico testamento” è del tutto inusuale, mentre con “nuovo testamento” siintendeva esprimere un significato riferito di volta in volta o alla Legge da applicare in modi nuovi(Geremia), o a una comunità che ne realizza fin d’ora le richiesta (Qumran) o alla originalemediazione cristologica (nei testi cristiani). L’espressione “antico testamento”, invece, nell’usopaolino fa riferimento a qualcosa di scritto. Dunque, la valenza di “scrittura” vale in primo luogoper il patto antico, il quale così viene però anche riconosciuto almeno in parte come normativo.

2. Come avviene il ricorso all’Antico da parte del Nuovo

Gli atteggiamenti del Nuovo Testamento nei confronti del’Antico sono assai diversificati. Seconsideriamo le cose da un punto di vista quantitativo, sorprenderà constatare la differenza esistentefra i vari scritti neotestamentari. Così, per esempio, la Lettera di Paolo ai Filippesi attesta un unicomagro riporto dall’AT, mentre nell’Apocalisse di Giovanni ne sono stati contati ben 814, e cioè piùche in ogni altro scritto. Per quanto riguarda la modalità del fatto stesso del ricorso all’Antico, esso varia molto all’internodel Nuovo: Vi è l’utilizzo di parole e di un linguaggio, che non fa alcun riferimento esplicito alle scritture edunque in superficie appare proprio dell’autore, ma che in ultima analisi trova le sue radici solonell’AT: Così avviene molto spesso in tutto il NT. Lo si vede per esempio nelle espressionianaloghe “giorno del giudizio” (Mt 10,15; 11,22.24; 2 Pt 3,7), “ultimo giorno” (Giov.6,39.40.44.54), “quel giorno” (Mc 13,32 par; Mt 7,22; 2 Tes 2,10; 2 Tim 4,8), “il giorno dell’ira”(Rm 2,5), “il giorno del Signore, di Dio, di Cristo” (At 2,20; 1 Cor 1,8; 2 Cor 1,14; Fil 1,6; 1 Tes5,2.4; 2 Pt 3,10.12; Ap 16,14); esse hanno una sola ascendenza nei profeti d’Israele (Is 10,20; Os1,5; 2,23; Am 9,11; Sof 1,14-15.18; Zac 12,3-11; 13,1-4; 14,4.6.8.9.13.20).

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Vi è riferimento cumulativo e perciò generico alle Scritture. Così avviene nella confessione di fedein 1 Cor 15,3-5: “morì …risuscitò secondo le Scritture”, senza dettagliare alcun passo specificocome prova. Lo stesso avviene, per esempio, nel colloquio di Gesù con i discepoli di Emmaus in Lc24,27: “Cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture. Uso e riporto di testi biblici anche ampi, ma senza mai comportare alcuna formula di citazioneesplicita, come se i testi veterotestamentari facessero parte del discorso proprio dello scrittore. Cosìavviene sempre nell’Apocalisse e quasi sempre nella Lettera agli Efesini. Impiego argomentativo di testi esplicitamente citati mediante formule specifiche nel contesto di unadiscussione di principio. E’ ciò che avviene soprattutto in Paolo e particolarmente nelle Lettere aiGalati e ai Romani a proposito del tema della giustificazione per fede; i testi dell’AT citati più diuna volta dall’apostolo sono solo tre: Gen 15,6 (in Rom 4,3.23-24; Gal 3,6); Lev 18,5 (in Rom 10,5;Gal 3,12); Ab 2,4 (in Rom 1,17; Gal 3,11). Impiego di testi con citazione esplicita, ma in contesto narrativo. E il caso tipico di Matteo, cheimpiega una sua “formula di compimento” (dodici volte: 1,22; 2,15.17.23; 4,14; 8,17; 12,17;13,14.35; 21,4; 26,56; 27,9; cf. anche 5,17: “Non sono venuto ad abolire, ma a compiere”) per direche quanto avviene nella storia di Gesù realizza ciò che ne era stato detto (o predetto) da parte deiprofeti. Una prima conclusione deducibile da queste constatazioni è che il ricorso all’AT dipende sia dallaparticolare intenzione dell’autore che lo utilizza, sia dal tipo di audience a cui egli si rivolge.

Una considerazione qualitativa che il NT dimostra nei confronti dell’Antico: vorrei nominarequattro concetti diversi che esprimono altrettanti punti di vista:

1. Tutti gli scrittori den Nuovo concordano nel considerare positivamente l’Antico comegraphè: in quanto Scrittura, esso è comunemente ritenuto normativo (1 Cor 15,3-5).

2. Altrettanto si può dire che gli autori neotestamentari considerano positivamente l’Antico(almeno) come ephangelìa, “promessa”, dato che per tutti il fatto cristiano non rappresentaun inizio assoluto ma ha già nell’Antico Testamento i suoi germi (Rom 1,2).

3. Non si può dire altrettanto invece della dimensione storica dell’Antico, cioè che è realmenteavvenuto: il ghenòmenon in esso raccontato; il Nuovo infatti non s’interessa sempre inmodo uguale della successione degli avvenimenti passati. Le genealogie di Gesù cheleggiamo in Mt 1,1-17 e in Lc 3,23-28, oltre a divergere tra di loro, ci danno unaricostruzione di fatto arbitraria, comandata da preoccupazioni cristologiche.

4. Non tutti infine considerano positivamente l’Antico come nòmos, cioè come depositario diun principio salvifico legato all’osservanza della Legge là contenuta; in questo senso, infatti,Paolo è assai critico; ma anche altri scritti, come il quarto vangelo e la lettera agli Ebrei, siaccontentano di leggere nell’Antico una preconizzazione di Cristo ma non un codice dicomportamento per la vita cristiana.

La seconda osservazione riguarda il criterio ermeneutico fondamentale che sta alla base di tutto ilvariegato utilizzo dell’Antico da parte del Nuovo: Il punto di partenza degli autori del NuovoTestamento non è mai il testo dell’AT, ma è sempre e soltanto la nuova fede cristiana. Si è partiti dauna novità per molti versi inaudita per fondarla poi nell’Antico. Ciò che era primario sul pianooggettivo della storia della salvezza divenne secondario. Perfino a un testo riportato con fedeltàall’originale, come quello di Gioele 3,5 in Rom 10,13 (“Chiunque invocherà il nome del Signoresarà salvato”), prende un senso nuovo, intendendo “il Signore” non più come YHWH ma come ilCristo risorto. In prima battuta i seguaci di Cristo hanno dovuto misurarsi né più né meno che conlui soltanto. Gesù era la novità, ed è solo in rapporto con lui che venne coniato il termine “AnticoTestamento”.

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3. Perché il Nuovo ricorre all’Antico

Motivo culturale

Per i primi cristiani era inevitabile scrivere della loro fede in base alle Scritture d’Israele a motivodella loro ebraicità. In primo luogo, Gesù fu e resta un ebreo, come ormai è ben acquisito allacoscienza cristiana. Anche i primi destinatari degli scritti neotestamentari erano di fatto tutti oalmeno in gran parte dei cristiani di provenienza ebraica.

Motivo teologico

Il Nuovo Testamento è talmente impastato di Antico e indivisibilmente legato ad esso che si capisceperché l’operazione tentata da Marcione fosse finita al fallimento. Marcione (greco: Μαρκίων; Sinope, 85 c. – Roma, 160) è stato un vescovo e teologo greco antico,fondatore della dottrina cristiana che prende il nome di Marcionismo, considerata eretica dallacorrente ortodossa. Fu il primo a costituire un canone di scritti ispirati. Sebbene spesso incluso nella corrente gnostica, Marcione accolse la dottrina di Paolo di Tarso, chesottolineava come la salvezza non fosse ottenibile solo attraverso la Legge, e la portò alle sueestreme conseguenze: secondo Marcione esistevano due divinità, il Dio degli Ebrei, autore dellaLegge e dell'Antico Testamento, e il Dio Padre di Gesù Cristo, che aveva mandato il proprio figlioper salvare gli uomini; solo il secondo era il vero dio da adorare e che portava la salvezza. Per sostenere le proprie dottrine, Marcione raccolse il primo canone cristiano di cui si ha notizia,che comprendeva dieci lettere di Paolo e un vangelo (probabilmente il Vangelo secondo Luca),detto Vangelo di Marcione; allo stesso tempo rigettava completamente la Bibbia ebraica,considerandola ispirata da un dio inferiore.

L’identità messianica di Gesù, nonostante la sua originalità, non era stata una novità assoluta maaffondava le sue radici nella storia passata. E’ per natura sua, dunque, che la fede cristiana siimpianta su un terreno preesistente, come leggiamo nella Lettera ai Romani (cap.9-11) a propositodell’olivastro innestato sull’olivo buono (11,24). Guardare all’Antico per il Nuovo non significaguardare soltanto indietro come se si trattasse di volgere lo sguardo da una sponda all’altra di unfiume di cui si sia superato il corso. Significa invece rendersi conto di far parte della corrente stessain movimento. Significa portare già con sé una storia.

4. Chiesa e Israele

La chiesa come il vero Israele?

Quando la chiesa nel secondo secolo resisteva a Marcione aveva capito che con il rifiutodell’Antico Testamento avrebbe respinto il proprio fondamento. Ma nonostante questo tanti teologiritenevano che la chiesa fosse il vero Israele del Nuovo Patto. Solo la chiesa sarebbe in grado dicomprendere ciò che Dio aveva voluto trasmettere nella Scrittura. Questa veduta rimaneva in vigoreper lungo tempo. Oggi si parla del marcionismo quando il significato e la valdenza dell’AnticoTestamento viene ridotta a una sorta di “preparazione” o “promessa” della realtà che realmentesoltanto Gesù Cristo rappresenta. Ci sono tre modelli di base che caratterizzano il modo dicomprendere il rapporto tra Antico e Nuovo Testamento:

1. Il modello di sostituzione: Questo modello mette la chiesa al posto di Israele, perché gliebrei non accettano Gesù come il loro messia (cf. 1 Tes 2,14-16).

2. Il modello di relativizzazione: Secondo questo modello l’Antico Testamento è il servitore

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del Nuovo e aveva la funzione di preparare all’ultima rivelazione in Gesù Cristo. Il metodotipologico.

3. Il modello di selezione: Secondo questo modello che accentua la coesione tra l’Antico e ilNuovo, l’Antico Testamento è il seme che produce il fiore del Nuovo T. Perciò il NuovoTestamento, e soprattutto la cristologia, è il criterio di ciò che nell’Antico Testamentopretende di essere rivelazione di Dio.

Tutti i tre modelli hanno dei seguenti deficit: Non corrispondono all’immagine che l’AnticoTestamento ha di sé stesso. Non prendono atto della complessità dell’Antico T. Hanno l’aria deldispregio verso il AT che prepara il fondamento per l’antisemitismo. Non danno alcun valore all’ATnella sua natura propria. Non accettano la dignità di una lettura ebraica dell’AT. Dopo il terrore della shoa si è sviluppato la conoscenza del legame tra un disprezzo teologico degliebrei e l’antisemitismo: la riscoperta delle radici ebraiche del cristianesimo (Concilio Vaticano II“Nostra Aetate”; Comunità di Leuenberg; La chiesa e l’ebraismo. Documenti teologici dal 1986 a2000).

5. Un’ermeneutica dialogica della bibbia

1. Anche se l’Antico T. fa parte della bibbia cristiana, occorre rilevare che le voci singoli dei libriveterotestamentari hanno il diritto di essere letti indipendentemente dal Nuovo Testamento. L’AT hail suo proprio valore. 2. Se vogliamo trovare un filo rosso che va dall’AT al NT lo troviamo non nella cristologia ma nellateo-logia come il parlare di Dio e con Dio nel suo amore verso il suo popolo allargato e verso ilmondo intero (Ex 34,6). Da questa prospettiva teocentrico possiamo interpretare la bibbia come lacontestualizzazione della Parola di Dio, nell’AT e nel NT. 3. E’ il compito e la meta di ogni lettura biblica, non di negare i contesti diversi, ma di farlidialogare. Negli ultimi anni è stato sottolineato che le Sacre Scritture d’Israele hanno avuto unadoppia ricezione nel cristianesimo e nell’ebraismo. Queste due realtà storiche possono entrare in undialogo. Non esiste una superiorità del cristianesimo sul ebraismo. Un esempio:

Questo dialogo sbocca in tre modelli che mantengono l’elezione di Israele (cf.; Romani 9-11): 1. Il modello di complementarità (cf. Romani 9,4; 11,25-32): Israele e la chiesa si

complimentano a vicenda. A. In modo soteriologico: la solidarietà tra Israele e la chiesa. B.nell’ambito della Teologia del Patto: la coesistenza di due patti, differenziati ma nonseparati. C. Nell’ambito secolare-profetico: la chiesa e Israele come dei partner nel compitodi rendere una testimonianza profetica nel mondo secolare. D. Nel senso escatologico:interrogandosi reciprocamente sulla vocazione.

2. Il modello di rappresentazione (Rom 9,6-8): Il resto d’Israele rappresenta la parte ebraicache viene salvata insieme ai cristiani. I pagani diventati cristiani rappresentano lamaggioranza del vero Israele.

3. Il modello di partecipazione (Rom 11,17-24): I cristiani tramite la loro fede in Cristo fannoparte del’elezione del popolo d’Israele.

L’Atto del Sinodo della Chiesa Evangelica della Renania (11 gen 1980) sul rapporto tra Chiesa eIsraele: tesi: Gesù Cristo, l’ebreo, che come messia d’Israele è pure il salvatore del mondo, lega ilpopolo d’Israele con la chiesa. Crediamo nell’elezione d’Israele. La chiesa è stata inclusa nel Pattodi Dio con il suo popolo. Noi cristiani crediamo in Dio d’Abramo insieme con gli ebrei. Insiemeconfessiamo: Dio, il Creatore del cielo e della terra; siamo benedetti dalla benedizione d’Aaronne;aspettiamo un nuovo cielo e una nuova terra (la speranza di 2 Pietro 3,13); siamo chiamati ad agireper la giustizia e per la pace. Questo significa il rifiuto dell’evangelizzazione degli ebrei.

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Fonti:

• Romano Penna, “Appunti sul come e perché il Nuovo Testamento si rapporta all’Antico”,Biblica Vol. 81 (2000).

• Erich Zenger, Einleitung in das Alte Testament, Stuttgart 2004.

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GRAZIA, SALVEZZA E TEOLOGIA DELLA SOSTENIBILITA' COME TEMA DELLATEOLOGIA WESLEYANA

Helmut Renders, Professor da Faculdade de Teologia da Igreja Metodista,

Universidade Metodista de São Paulo.

Abstract: This paper presents and discusses the contributions from Wesleyan theology to thetheological discussion of sustainability. He lists the three spheres of sustainability (economic,social and environment) with the theological discourse on the economic Trinity, the ecumene andecology, proposes to interpret the Earth “Gaia” as a sacrament and exploits a feature of Brazilianmethod Wesleyan theology, the inclusion of creation as a fifth element in the so-called quadrilateralBrazil.

Keywords: Theology of sustainability. Creation. Sacrament. Gaia. Wesleyan quadrilateral Brazil.Wesleyan theology.

Introdução

Neste breve ensaio, queremos pontuar um tema do futuro da humanidade como tema do futuro datradição wesleyana1 na América Latina. Discutiremos a sustentabilidade como assunto dasobrevivência. Não nos referimos à sobrevivência da criação. Esta sobrevivia à humanidade, tantoque seríamos absolutamente incompetentes para exterminamo-nos a nós mesmos. Mas, mesmo queo extermínio da humanidade não seja provável, o aumento do sofrimento até a perda de qualqueresperança de transformações para o melhor para milhares e milhões de pessoas – e para toda criação– representa hoje em dia um cenário possível. As nossas decisões em relação ao tema dasustentabilidade, tomadas hoje, terão seu impacto amanhã e depois de amanhã, para muitasgerações futuras. Apesar da grandeza do desafio, trata-se de um primeiro esboço nosso sobre teologia dasustentabilidade wesleyana. Esta concentração tem diversas razões. Primeiro é nosso ponto departida para o desenvolvimento do tema e serve, por causa disso, como uma espécie de um primeirolevantamento das contribuições já feitas por teólogos/as wesleyanos/as. Segundo, queremosapresentar estes/as interlocutores/asa um público maior. Terceiro, acreditamos que a tradiçãowesleyana, especialmente quando ela integra as suas raízes anglicanas, tem algo a oferecer a estedebate. Quarto, vemos um potencial específico na teologia wesleyana brasileira pela sua integraçãoda criação no seu método teológico chamado quadrilátero. Quinto, fazemos este discurso numauniversidade comunitária e confessional que estabelece com objetivo maior a promoção do bemcomum, da sua identidade confessional e da sustentabilidade. Ou seja, a relação entre

1 Designamos como teologia wesleyana a teologia daquelas igrejas que se entendem comoherdeiras da práxis e da teologia de John Wesley (1703-1791), sacerdote anglicano e spiritus rectordo movimento metodista. No Brasil atuam, principalmente, a Igreja Metodista, uma igrejaautônoma ou nacional, resultante da missão do metodismo episcopal, a Igreja do Nazareno (umaigreja do movimento da santificação) e a Igreja Metodista livre, todas do metodismo estadunidense.Dessas se separaram já no Brasil alguns e formaram igrejas metodistas pentecostais. A principaldelas é a Igreja Metodista Wesleyana (desde 1967).

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confessionalidade e sustentabilidade precisa ser discutida.Isso nos leva a um segundo comentário. Os/As teólogos/as wesleyanos/as, em seguidaapresentados/as, jamais estabelecem um discurso isolado, mas, se entendem como uma voz no coralda teologia cristã, ou como John Wesley disse, um galo no tronco da igreja cristã. E acreditamosque seja ainda mais: a teologia wesleyana é aberta para apresentar a teologia como um saber emconversa com os outros saberes presentes no cotidiano, na sociedade, na igreja e na academia.2 Nãohá dúvida de que a dimensão do desafio que o discurso da sustentabilidade representa requer dateologia o melhor que ela possa oferecer, e um denominacionalismo desinteressado ou umdepartamentalismo autossuficiente, certamente, não fariam parte disso.

1 O tema da ecologia, eco-teologia e da sustentabilidade na teologia metodista

1.1 Os pioneiros: Frederick Elder e John Cobb Jr.

O tema da sustentabilidade e assuntos relacionados não são novos na teologia wesleyana. Uma dasprimeiras vozes metodistas foi Elder3 e seu livro Crise em Éden: o ser humano e o meio ambiente.Elder levanta perguntas básicas e questiona as atitudes antropocêntricas da teologia. Já a teologiaecológica4 de Cobb Jr. (Será que é tarde demais? Uma teologia ecológica)5 é hoje considerada, aolado dos textos de Jürgen Moltmann, um clássico da teologia ecológica.6 Como teólogo deprocesso, Cobb parte da ideia da criação como sistema aberto, inacabado, em desenvolvimento. Jána época, apareceram na discussão as posições do igualitarismo ecológico ou de um papelespecífico reservado para o ser humano nos processos da criação contínua e Cobb opta pelasegunda possibilidade. De fato, um igualitarismo ecológico levanta problemas éticos sérios por nãooferecer critérios suficientes. Como se justificaria, por exemplo, a aplicação de penicilina no casode uma pneumonia, ou seja, salvar um organismo para combater outro, na base da compreensão quetodos seres são “iguais”?7 Por outro lado, criticaram os representantes do ecoigualitarismo (tambémdesignado como ecologia profunda) o modelo do ser humano como ecônomo [stewardship]

2 Isso é um projeto de longo prazo, vinculado com a autonomia da Igreja Metodista no Brasil.Concordamos com Clovis Pinto de Castro que a declaração A Atitude da Igreja Metodista do Brasilperante o mundo e a nação de 1934 (!) pressupõe também “[...] especialmente em nível superior[...] a parceria Igreja e Escolas na capacitação de pessoas para análises sociais à luz das ciências”(CASTRO, Clovis Pinto de. “Igreja evangelizando a Escola? Escola educando a Igreja?” In:Revista de Educação do Cogeime, ano 14, n. 27, p. 76, dez. 2005; quanto à declaração cf. BRASIL,Igreja Metodista do; RENDERS, Helmut. Um precursor do Plano para a Vida e a Missão da IgrejaMetodista na época da autonomia: a declaração A Atitude da Igreja Metodista do Brasil perante oMundo e a Nação de 1934. In: Caminhando (online), vol. 12, n. 2, p. 167-176, 2007). 3 ELDER, Frederick. Crisis in Eden: a religious study of man and environment. Nashville:Abingdon, 1970.4 Distinta desta questão existe ainda uma teologia da terra no sentido político do habitat de umpovo que seguia a criação do estado judeu depois da II Guerra Mundial. Muitos conceitos como odeserto e o mar como espaços demoníacos e a terra cultivada de Canaán como espaço sagrado temuma proximidade com temas ecológicos, mas com uma origem muito diferente (cf. SMITH,Jonathan Z. “Earth and Gods.” In: The Journal of Religion, vol. 49, n. 2, p. 103-127, abr. 1969). 5 COBB Jr., John B. Is it too late? A theology of ecology. Beverly Hills, Cal.: Bruce, 1972.6 KAUFMAN, Gordon D. “A problem for theology: the concept of nature”. In: HarvardTheological Review, v. 65, p. 338, 1972 e FRENCH, William C. “Subject-centered and creation-centered paradigms in recent Catholic thought.” In: The Journal of Religion, v. 70, n. 1, p. 61, jan.1990.7 FRENCH, William C. “Subject-centered and creation-centered paradigms in recent Catholicthought.” In: The Journal of Religion, v. 70, n. 1, p. 70, jan. 1990.

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considerado ainda preso dentro dos parâmetros do antropocentrismo.89 Ambas perspectivasmerecem, segundo a nossa impressão, consideração e precisam ser integradas num projeto dasobrevivência de todos/as.

1.2 No início do debate da sustentabilidade propriamente dita: Douglas Meeks

Quando Meeks escreveu A economia existe para o bem da comunidade humana e sua relação paracom Deus e a criação,10 ele ainda não usou o termo sustentabilidade ou seu antecessordesenvolvimento sustentável como termo integrador. Sua reflexão propõe uma análise criteriosa daeconomia a partir das suas bases teológicas, mais precisamente, da compreensão e projeção demodelos econômicos a partir das respectivas doutrinas de Deus e dos seus idealizadores. Meeksdesenvolve a sua oikos-teologia do nosso habitat ou oikos, distinguindo entre a economia, aecumene e o ecossistema.Comparamos estes três elementos com uma primeira representação gráfica da sustentabilidade daUniversidade de Michigan. A economia corresponde, num primeiro olhar, à esfera econômica; aecumene, à esfera social; e o ecossistema, à esfera do habitat como um todo.11 A relação entre asesferas do econômico, social e a ecoesfera no gráfico superior é vista de forma interdependente eigualitária.12 Meeks sugere, ao lado das três esferas do econômico, social e do ecoesfera, mais duasperspectivas essencialmente “teológicas”. Primeiro, a relação entre a humanidade e a criação ganha seu sentido por meio da relação das duaspara com Deus; de Deus para com as duas; e de Deus por meio das duas. Segundo, Meeks introduzainda a igreja como oikonomia theou, ou seja, Heilsanstalt, instituição que está pronta parapromover a salvação.13 Com outras palavras, Meeks descreve a igreja como sacramento ou meio dagraça e destaca a sua responsabilidade para com a economia que rege o planeta a partir daproclamação da revelação de Deus como Deus trino, relacional, responsável, libertador, sustentadore solidário. Compreensão que, por sua vez, está próxima à oikonomia theou no sentido clássico daTrindade econômica (o Deus trino em relação salvífica para com tudo mundo). Nesta perspectiva, adiscussão da sustentabilidade como um todo acontece dentro do quadro oikonomia theou aquisimbolizado como círculo maior, ou seja, nos poderíamos perguntar como a esfera social,econômica e ecológica deveriam ser organizadas a partir, por exemplo, da compreensão da

8 NAESS, Arne. “The shallow and the deep, long-range ecology movement: a summary.” In:Inquiry, v. 16, p. 95-100, primavera 1973. 9 Passos concretos como a aplicação de indicadores de sustentabilidade confere, por exemplo,HAUGHTON, G. “Environmental justice and the sustainable city”. In: Journal of PlanningEducation and Research , v. 18, n. 3, p. 233-243, 1999 ou o mapeamento verde – que “identifica,promove e relaciona elementos à herança natural e cultural de uma localidade particular” porFAHY, Frances e Ó CINNÉIDE, Micheál. “Re-constructing the urban landscape throughcommunity mapping: an attractive prospect for sustainability?” In: Area, v. 41, n. 2, p. 168, 2009.10 MEEKS, M. Douglas. God the economist: the doctrine of god and political economy.Minneapolis: Fortress Press, 1993, p. 8-9.11 Alguns autores falam também da política como um quarto elemento dinamizante e regulador,partindo do pressuposto de que a esfera econômica, social e o meio ambiente não sejam sistemas“autorreguladores entre si”.12 Na práxis há mais desdobramentos. Na gestão sustentável de cidades, consideram-se osseguintes indicadores: futuridade (a equidade intergeracional); justiça social (equidadeintrageracional); responsabilidade além dos limites do município (equidade geográfica); Tratamentoaberto e justo de pessoas (equidade processual [jurídica]); Consideração da biodiversidade(equidade interespécies) (Cf. HAUGHTON, G. “Environmental justice and the sustainable city”. In:Journal of Planning Education and Research , v. 18, n. 3, p. 233-243, 1999).13 Anstalt [substantivo]; Veranstaltung: evento organizado; anstellen [verbo]: ligar.

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incondicionalidade da justiça e da universalidade da graça. Dentro da esfera do social, colocamosainda a Igreja como instituição, atuando como oikonomia theou ou sacramento, meio e promotorada graça no mundo. Relacionada com isso está a compreensão do ser humano como oikonomostheou.14 No metodismo, originalmente, chamavam-se os responsáveis para as doações aos pobres“ecônomos”; mais tarde e no caso do metodismo brasileiro, até a década de 1960, era essa adesignação de todos/as leigos/as com uma função administrativa, cuidando da economia da casaeclesiástica. Mais adiante, iremos retomar esta contribuição e refletir mais o papel da igreja nareforma da sociedade em direção a uma sociedade sustentável, começando consigo mesma e oefeito de tudo isso sobre ela mesma.

1.3 Theodore Runyon

Runyon parte também da relação entre Deus, o ser humano e o mundo:

Deus nos dá três inter-relações que são fundamentais para a existência humana:primeiro, a nossa relação com a terra que fornece nossa base material e a fonte quecontinua a satisfazer nossas necessidades materiais; segundo a nossa relação comomordomos da terra que nos liga de uma maneira especial ao Pai, porque temos anossa vocação de continuar a responsabilidade perante o criador; em terceiro lugardefinem estas relações com Deus e a criação as nossas relações com nós mesmos ecom todas as outras criaturas. Ganhamos uma identidade corresponsável queresponde tanto ao nosso próprio tempo como às gerações futuras.15

Em Runyon, a terra é a provedora da base material que atende as necessidades materiais humanas, eos seres humanos são ecônomos da terra – não da humanidade, nem da igreja – em respostacontínua ao criador. Segundo Runyon, é por meio dessa dupla relação para com Deus e para com acriação que o ser humano recebe a sua relação para consigo e para com todas as criaturas “irmãs”.Uma relação cuja identidade novamente é uma relação: a responsabilidade mútua diante dacontemporaneidade e os nossos tempos e futuras gerações. Com isso ele integra a ética deresponsabilidade (diante das futuras gerações) de Jonas.16 Esta proposta de uma teologia relacionalele desenvolve como parte da sua compreensão do papel da humanidade no processo da formaçãoda nova criação, segundo ele, conceito central da teologia wesleyana desde John Wesley.17

Novamente, transparece uma dupla “referência maior”: a terra e Deus, e como a terra nos relacionacom o criador, a terra se torna sacramento original, meio da graça.18 Aparecem, novamente, oecossistema, a ecumene e a economia – aqui no sentido mais amplo como relacionalidade mútuaque sustenta a vida em todas as suas dimensões do oikos.Tanto Meeks como Runyon representam uma evolução do próprio pensamento na compreensão dodesenvolvimento sustentável: em vez de atribuir às três esferas da economia, da sociedade e doecossistema a mesma importância, chega-se à conclusão de que as relações entre os três deveriamser vistas de tal modo que a(s) economia(s) seja(m) subordinada(s) à(s) sociedade(s) e a(s)sociedade(s) ao ecossistema. Isso corresponde a algumas críticas dos próprios cientistas da

14 Biblicamente, esta metáfora está próxima a ideia do ser humano como jardineiro (Gn 3).15 RUNYON, Theodore. “The earth as the original sacrament”. In: Theologie für die Praxis, v. 31,n. 1-2, p, 20, 2006.16 JONAS, Hans. Das Prinzip Verantwortung. Versuch einer Ethik für die technologischeZivilisation. 4. ed. Frankfurt am Main : Insel-Verlag 1983. [1. ed. 1979].17 Cf. RUNYON, Theodore. A nova criação: teologia de João Wesley hoje. Tradução de CristinaPaixão Lopes. São Bernardo do Campo: Editeo, 200218 RUNYON, Theodore. “The earth as the original sacrament”. In: Theologie für die Praxis, v. 31,n. 1-2, p. 17-22, 2006.221

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sustentabilidade e chama-se nested sustainability, o que poderíamos talvez traduzir comosustentabilidade integrada.

1.4 Do Credo Social “industrial” de 1908 ao Credo “sustentável” de 2007

Não podemos deixar comentada uma releitura importante da tradição wesleyana que se tornou, jáno ano da sua criação, em 1908, uma afirmação social e ecumênica: o Credo Social da IgrejaMetodista, depois com leves mudanças, o Credo Social da Federação das Igrejas Cristãs dos EUA.Não cabe contar a sua história aqui, somente documentamos que, no centenário da sua existência,ele ganhouuma perspectiva sustentável. Citamos somente da sua penúltimaparte:Na esperança sustentada pelo Espírito Santo, comprometemo-nos em promover a paz no mundo esermos guardiões da boa criação de Deus, trabalhando para:

• Adoção de estilos de vida mais simples para quem possui o suficiente; onde a graça émais importante que a ganância na vida econômica.• Acesso para todos/as ao ar limpo, água e alimentos saudáveis, através de cuidadossábios para com a terra e tecnologias responsáveis.• Uso sustentável dos recursos da terra, promovendo fontes de energia alternativas etransporte público com convênios engajados em reduzir o aquecimento global e protegeras populações mais afetadas.• Comércio global justo e os auxílios que protejam as economias locais, culturas e meiosde subsistência.• Promoção de paz pela diplomacia multilateral ao invés da força unilateral; a abolição datortura e o fortalecimento da Organização das Nações Unidas e o incremento das leisinternacionais.• Desarmamento nuclear e redirecionamento dos gastos militares para fins mais pacíficose produtivos.• Cooperação e diálogo pela paz e a justiça ambiental entre as religiões do mundo.19

Entretanto, desde 1934, a Igreja Metodista do Brasil contextualizou o Credo Social e a últimarevisão aconteceu em 1970. Na época, este Credo Social representava uma marca na história dateologia pública e ética social, inclusive, na luta contra a ditadura militar; entretanto, quanto aotema da sustentabilidade, em grande parte somente numa perspectiva antropocêntrica.20 Umareleitura, na perspectiva da sustentabilidade, é necessária. Melhor ainda seria um Credo Socialsustentável, assumido por mais do que uma igreja.

2 Excurso: Terra como “gaia” – afirmação teológica e compreensão sistêmica e funcional

A compreensão da terra como sacramento providencia, em nossa opinião, uma feliz forma derelacionar e, no mesmo momento, de distinguir criador, criação e criatura.Comparamos este ideal com as duas ou três possíveis alternativas: a divinização, a diabolização oua materialização da criação. Parece-nos que a descrição da terra como “gaia”, originalmente

19 NACIONAL COUNCIL OF CHRISTIAN CHURCHES, EUA; RENDERS, Helmut. “Um CredoSocial para o século XXI: a mais recente versão do Credo Social estadunidense como inspiraçãopara a atualização do Credo Social brasileiro”. Caminhando (online), v. 15, p. 179, mar. 2010. Atradução do Credo para o portu-guês foi feita por Helmut Renders, Hideíde Torres, James ReavesFarris e Lóide Barbosa Farris.20 Cf. RENDERS, Helmut. “75 anos do Credo Social brasileiro: uma investigação da interaçãoentre igreja e esfera pública”. In: Simpósio, ano 33, n. 49, p. 43-65, nov. 2009.

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proposta por Lovelock, é teologicamente ambígua.21 Por um lado, concordamos com a visão daterra como organismo “vivo”, no sentido autorregular e interdependente, um sistema no qual todahumanidade é integrada e do qual, separado, qualquer ser vivo morreria. Por outro lado, designa-sepor geia, originalmente, a deusa grega da terra. Talvez não seja por acaso que alguns discursosecológicos se aproximam de espiritualidades que se dirigem à própria terra como divindade. Adivinização da terra, talvez em busca da criação de um tabu protetor, não nos parece promissor. Uma outra possibilidade é a descrição da terra como mãe. Esta descrição pode conter traços dedivindade, mas não necessariamente. Assim afirma Reimers: “As atribuições de domínio doshumanos na criação (Gn 1, 28) devem ser relativadas em favor de uma leitura que destaca a tarefade trabalho e cuidado na criação (Gn 2,15), bem como a relação intrínseca entre o ser humano(adam) com a mãe-terra (adamah)”.22 Segundo o nosso entendimento, o barro, como mãe-terra, écertamente mais uma percepção dos povos antigos e não necessariamente uma identificação da terracom uma divindade. Da mesma forma aponta Susin: A terra

[...] é nossa grande mãe comum, pachamama, portanto somos realmentefilhos da Terra, sustentados por seu seio.Então, nossa relação, mais do que de domínio, é de entrega, de nutrição edescanso, como a de um filho nos braços de sua mãe. É uma lição culturalde sustentabilidade: estar junto às demais formas de vida e com a mãeTerra, mais do que ser agigantando-se em detrimento de outros e da terra.Crescer não significa passar da infância do estar à autonomia soberana doser em detrimento da relação originária de filhos em relação à mãe Terra.Crescer é acrescentar a responsabilidade filial e adulta por ela.23

Este conceito aproxima-se também ao sentido da própria palavra “natureza”, em latim: nascimento,parente.24 Já a proposta do autor de superar a redução da unidade de Deus a uma unidade ontológica

21 LOVELOCK, James E.; MARGULIS, Lynn. “Atmospheric homeostasis by and for thebiosphere - The Gaia hypothesis”. In: Tellus , v. 26, n. 1, p. 2-10, 1974. A ideia da interdependênciaorgânica da toda biosfera – não a metáfora “gaia”– foi primeiro formulado em 1927 pelo russoVladimir Vernadsky (1863-1945). 22 REIMERS, Haraldo. Sustentabilidade e cuidado. Contribuições de textos bíblicos para umaespiritualidade ecológica In: Ciberteologia - Revista de Teologia & Cultura - Ano III, n. 18, p. 189,[2009?]. Cf. também RUETHER, Rosemary Radford. “Religious identity and openness to apluralistic world: a Christian view.” In: Buddhist-Christian Studies, vol. 25, p. 29-40, 2005. Para ela a espiritualidade da renovação da natureza judaica é uma ao lado da espiritualidadeprofética e da espiritualidade contemplativa, entretanto, ela favorece uma combinação das últimasduas. Nós, partindo de Søren Aabye Kierkegaard, favorecemos uma combinação entre os trêsaspectos da mística, ética e estética (Cf. RENDERS, Helmut. RENDERS, H.. O Plano para a Vida ea Missão e sua espiritualidade correspondente: um novo olhar numa questão essencial. In:Caminhando (online), Brasil, v. 12, n. 2, p. 85-104, jan.-jun. 2007). 23 SUSIN, Luiz Carlos. Mãe Terra que nos sustenta e governa: por uma teologia dasustentabilidade. In: Ciberteologia – Revista de Teologia & Cultura, ano 2, n. 17, p. 45, maio/jun.2008. 24 KAUFMAN, Gordon D. “A problem for theology: the concept of nature”. In: HarvardTheological Review, v. 65, p. 340, 1972, lista 10 relevantes compreensões de natureza para ateologia: “O contraste entre o natural e o artificial; o contraste entre natureza e graça; a alegação deque certos tipos de comportamento, sejam naturais e, portanto, errados; a alegação de que aliberdade é a verdadeira natureza do ser humano; a visão da natureza como a totalidade, tudo o queexiste, o universo; a noção de um filho “natural” e a noção de Paulo do “ser humano natural”; asciências naturais em oposição às ciências sociais ou comportamentais; a natureza (como a

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pela introdução de um quarto elemento, ou da própria Mãe Terra, ou a Maria, parece-nos um passoalém dessa relacionalidade que deve caracterizar a teologia contemporânea, partindo de discursosrelacionais e não substanciais. O próprio Susin, depois de uma breve cogitação, volta aos termosmais clássicos:

Reconhecer que somos sustentados e que somos chamados a sustentarquem nos sustenta, assimetria e irreciprocidade confiante na experiênciade que desde a Mãe Terra recebemos dons irreciprocamente, é um bomcomeço. Alteridade e autonomia, face a face e reciprocidade, maternidadesustentadora e irrecíproca se reclamam numa dialética tripolar contínuanão só em termos da Divina Trindade, mas de humanidade e, nesta épocada história de Deus e da criação, de toda criaturalidade.25

Estes termos parecem-nos mais adequados, justamente, por garantir a relacionalidade e, no mesmomomento, alteridade entre criador, criação e criatura. Na direção da relacionalidade, vão tambémAndrade e Ferreira que se referem à proposta de Michael Serres de um “contrato natural”:26

O caráter inovador e revolucionário do contrato natural provém da adoçãodo princípio da reciprocidade para reger a relação homem e natureza,representado pelo comportamento de simbiose. Neste sentido, o homemseria levado a substituir o modelo de comportamento de parasita queadotou como forma habitual, para assumir um comportamento de simbiosecom a natureza, que significaria restituir a ela aquilo a que tomou deempréstimo.27

Numa direção parecida, confirma Kaufman: “Não existe um caminho do retorno à natureza para oser humano; há somente a esperança de um possível progresso na direção de uma mais profunda esensível liberdade”.28 Retornamos a uma das sugestões de Runyon. A proposta da compreensão danatureza como sacramento distingue-se também da introdução do “sagrado selvagem” – conceitoemprestado de Bastide que ele mesmo avalia como uma “criação pura e não repetição – situa-se nodomínio do imaginário, não no da memória [...]”.29 Não um antropocentrismo nem um anti-humanismo – o naturezacentrismo –,mas uma relacionalidade multicêntrica com a responsabilidadehumana para o todo, inclusive o “[...] reconhecimento ético do direito dos seres classificados comoinanimados[...]”30 parece-nos o modelo mais adequado.31

totalidade dos não humanos) em contraste com a história ou cultura; o contraste entre a teologianatural e a teologia como revelação e a religião natural ou revelada”25 SUSIN, Luiz Carlos. Mãe Terra que nos sustenta e governa: por uma teologia dasustentabilidade. In: Ciberteologia - Revista de Teologia & Cultura, ano 2, n. 17, p. 47, maio/jun.2008. 26 SERRES, M. O contrato natural. Rio de Janeiro: Editora Nova Fronteira, 1991.27 ANDRADE, Maristela O.; FERREIRA, Rogério dos Santos. “A sacralidade da natureza nopensamento ecológico: reflexos na gestão das unidades de conservação – UCs1”. In: Gaia Scientia,v. 1, n. 1, p. 89, 2007.28 KAUFMAN, Gordon D. “A problem for theology: the concept of nature”. In: HarvardTheological Review, v. 65, p. 364, 1972.29 ANDRADE, Maristela O.; FERREIRA, Rogério dos Santos. “A sacralidade da natureza nopensamento ecológico: reflexos na gestão das unidades de conservação”. In: Gaia Scientia, v. 1, n.1, p. 85-94, 2007.30 Ibidem, p. 89.31 French propõe a releitura da teologia tomista e “[…] a perspective do século XIII da criação da

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3 O método teológico wesleyano brasileiro: o quadrilátero e a criação

Neste ponto, gostaríamos de fazer referência aos nossos colegas brasileiros dos estudos wesleyanos.Apesar de que Burtner / Chiles e Klaiber / Marquardt – e, de fato, todos/as os/as teólogos/as“clássicos/as” – tratem da criação como tema da teologia, foi no Brasil que isso se tornou parte dométodo principal de fazer teologia wesleyana. Supostamente, a partir do fim da década de 1970,início da década 1980, falava-se no Brasil de um quinto elemento do quadrilátero32 wesleyano: aolado dos elementos Bíblia, Tradição, Razão e Experiência, contemplava-se também da Criação. Agora, estranhamente, encontramos poucas especificações do significado disso para o caminhar nocotidiano. Em geral foi interpretado como teologia ecológica33 ou como uma porta aberta para umateologia natural. Gostaria de, então, sugerir implicações adicionais, sempre lembrando que se tratado sentido mais específico do método da interpretação da narrativa fundadora da Igreja. O que nosoferece, então, a inclusão da criação na proposta metodológica além das perspectivas jámencionadas?

• Primeiro, com a inclusão da criação, não se pode mais ler a Bíblia de formaantropocêntrica, centrada somente no ser humano, como se os acentos na experiência[humana], na tradição [humana] e na razão [humana] pudessem ser os nossos únicoscritérios;

• Segundo ajuda superar também uma leitura androcêntrica da Bíblia e abre o caminhopara uma discussão de gênero mais abrangente, porque somos criação de Deus somentecomo mulheres e homens em conjunto, crianças e adultos em conjunto e assim por adiante;

• Terceiro, a leitura da Bíblia na perspectiva da criação deve ser feita com referência àcorporeidade, não somente à mente [razão]. A coerência ou verdade das interpretações semostra nos caminhos da vida.

A busca da mera coerência racional ou lógica com a tradição e sua interpretação dogmática nãorepresenta uma hermenêutica wesleyana em sua plenitude. Nesse aspecto, o acento da criaçãoacompanha o acento da experiência [humana], mas desdobra este acento à existência de toda acriação. As experiências, os sofrimentos e as alegrias de toda a criação precisam ser consultados econtemplados em nossas leituras bíblicas e, na verdade, a própria Bíblia nos lembra disso quandopalmeiras e montes batem palmas etc. Sugerimos, por exemplo, abandonar a tradução dapalavra“soul” por “alma”. Tampouco como SOS significa “salva nossas almas”, o ministériometodista é salvar almas, é salvar vidas. A proposta metodológica brasileira tem então, segundo anossa impressão, um grande potencial para interagir com uma teologia da sustentabi-lidade.

4 Sustentabilidade e eco-teologia

Retornamos ao nosso fio temático central, uma investigação teológica do conceito dasustentabilidade e sua contribuição para a teologia. Às vezes, relaciona-se o discurso da teologia dasustentabilidade diretamente à imagem do oikos, da terra-casa. A anglicana Anne M. Clifford, noseu artigo “Do lamento ecológico para um oikos sustentável”, afirma: “[…] uma teologia cristã

cuminidade dos seres vivos e compara-a com a perspectiva ecológica contemporânea” (FRENCH,William C. “Subject-centered and creation-centered paradigms in recent Catholic thought.” In: TheJournal of Religion, v. 70, n. 1, p. 71, jan. 1990).32 O quadrilátero da UMC, depois das modificações de 1988, é de fato um triângulo. 33 SOUZA, José Carlos de. “Criação, nova criação e o método teológico na perspectivawesleyana”. In: CASTRO, Clovis Pinto de (org.). Meio ambiente e missão: a responsabilidadeecológica da Igreja. São Bernardo do Campo, SP: Editora da Umesp/Editeo, 2003, p. 67-88.

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ecológica da sustentabilidade nos fornece uma ‘visão do mundo’ que estende os domínios da justiçapara toda a criação”.34 Oikos é aqui o habitat, parecido ao conceito de “ecumene”, no sentidooriginal, terra habitada, e descreve o limite da extensão da ação e preocupação ou responsabilidadecristã. A proposta da teologia da sustentabilidade, entretanto, quanto à teologia do oikos, ouecoteologia, é mais rica.35

Num primeiro momento, o conceito nos desafia a relacionar os diversos aspectos da ecoteologia.36

Neste texto são relacionadas as três esferas “economia”, “sociedade” e “eco-sistema” com a“economia”, a “ecumene” e a “ecologia”, na perspectiva teológica, e como aspectos entrelaçados.Antes, entretanto, fazemos algumas afirmações em relação à oikonomia tou theou, aqui primeirointerpretada como ação salvífica do Deus trino, em toda criação.

4.1 Ponderações em relação à doutrina de Deus

Deus, segundo a teologia wesleyana, é criativo, inovador, gracioso e tem compaixão. Por issoafirma-se como atributo maior de Deus o seu amor incondicional que corresponde à graçauniversal. O Deus trino é amor em si, mas não mantém este amor para si: ele transborda no ato dacriação e nos atos da salvação com nova criação. Encontros com Deus vivificam, convertem ecapacitam. Eles libertam, justificam, orientam, responsabilizam, solidarizam e santificam. Novoscaminhos são possíveis. A teologia wesleyana afirma a ação antecipadora, sustentadora erenovadora de Deus em toda a sua criação. Essas convicções se expressam numa forma específicade compreender a vida do ser humano, a vida no mundo inteiro e a vida além dos parâmetros dahistória. Nesta concepção, Cristo, além de ser rei, sacerdote e juiz, também é o grande médico.Nesta compreensão, o Espírito Santo é o grande facilitador e capacitador da resposta humana à açãodivina. Tudo isso converge para a tradição cristã, para a compreensão da economia de Deus como asua ação salvadora, sustentadora, libertadora, a renovadora e transformadora com Pai, Filho eEspírito Santo. Ela parte da obra renovadora divina e pode ser vista como uma renovação dascondições da vida estabelecidas pelos seres humanos em meio à criação. Diríamos, em diálogo comWillis Jenkins,37 que o impacto da oikonomia tou theou, nas três esferas, introduz o dever deestabelecer “ecologias da graça” e, além disso, “economias da graça” e um “ecumenismo da graça”.Dessa forma, contribuiria para o discurso da sustentabilidade o aspecto da graça divina, do amorincondicional, da graça universal e da justiça incontestada.

4.2 Ponderações antropológicas

34 CLIFFORD, Anne M. “From ecological lament to sustainable oikos”. In: BERRY, Sam (ed.).Environmental stewardship critical perspectives - past and present. London / New York: T & TClark (Continuum International), 2006, p. 252.35 Cf. também a importância dada à questão da sustentabilidade nas publicações do ConselhoMundial das Igrejas a partir da década de noventa (WCC (ed.), Climate Change and the quest forSustainable Societies, Geneva: WCC, 1998; WCC (ed), Mobility. Prospects of sustainable mobility.Geneva: WCC, 1998; WCC (ed.). Sustainable growth - a contradiction in terms? Economy,ecology and ethics after the earth summit. Geneva: WCC, 1993; sobre o assunto dasustentabilidade. Um dos editores é o metodista uruguaio Julio de Santa Ana: Sustainability andGlobalization: World Council of Churches. Geneva: WCC Publications, 1998. 146p. E muitasigrejas criaram comissões permanentes ou se envolvem com a agenda 21).36 RENDERS, Helmut. A nova criação como tema transversal da teologia wesleyana. Guia deEstudo do EAD. São Bernardo do Campo, SP: Umesp, 2009, p. 75-78. 37 JENKINS ,Willis (ed.). “Global ethics, Christian theology, and sustainability”. In: Worldviews:Global Religions, Culture, and Ecology v. 12, n. 2-3, p. 197-217, 2008; JENKINS ,Willis (ed.). Theencyclopedia of sustainability, v. 2 [The Spirit of Sustainability: Religion, Ethics, and Philosophy],Berkshire Publishers, 2009.

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O ser humano é visto, na teologia wesleyana, como capaz de responder à ação e à presença divinana criação. Isso é descrito, às vezes, como “sinergia” (do grego “colaboração”) entre Deus e o serhumano no caminho da salvação. “Sinergia”, entretanto, jamais é compreendida como umacolaboração entre Deus e os seres humanos de igual para igual (“sinergismo”). Isso já mostra agrande apreciação da teologia da aliança na teologia wesleyana: a ideia da aliança entre Deus e oser humano não projeta um ser humano meramente passivo e um Deus exclusivamente ativo.Entretanto, numa aliança, os aliados podem ter papéis muito diferentes. Isso depende da aliança. Omodelo da aliança pode ser também aplicado para descrever a relação entre o ser humano e acriação. Na teologia do século XIX e XX, distinguem-se diversos modelos:

• a soberania do histórico sobre a natureza (Hegel); • a soberania humana, mesmo sendo um ano, era considerada parte da natureza (Teilhard de

Chardin); • a soberania humana como algo que vai além da natureza;38

• o histórico como parte da natureza (Whitehead).

Em discussão está o motivo transformalista da proposta centrada no sujeito como agente principalda transformação, a relação entre o homo faber e o homo ecológico. O último tem, no mesmomomento, uma clara noção de ser dependente e responsável. Esta múltipla relacionalidade poderiaser descrita por alianças ou contratos (para com Deus e o próximo, a natureza, etc.). O aspecto dadesigualdade da aliança divino-humana – sempre mantida na teologia clássica – pode ser talveztambém relida em relação à discussão da relação entre natureza, cultura e história, propostascriação-cêntricas e antropocêntricos ou centradas no sujeito.Neste sentido, favorecemos o discurso do ser humano como ecônomo, no sentido amplo, teológico,que contém os elementos da graça e da responsabilidade como relacionalidade, não somente comohabilidade (sujeito da história). A renovação do ser humano como imagem de Deus (distinguindoseu aspecto natural, político e moral) é um processo contínuo e obra da graça renovadora de Deus(graça preveniente, justificadora e santificadora). Estando em Cristo – ou relacionado a Cristo – oser humano é parte da nova criação (Wesley, comentando 1Co 5, 17). Essa tradução, em vez dadescrição do ser humano consciente da sua relação com Deus como “nova criatura”, supera oantropocentrismo. Ela situa o ser humano num processo maior de renovação da criação, cuja esperaé ser liberto para a “gloriosa liberdade” ou para “a liberdade da glória” dos filhos e das filhas deDeus (Rm 8, 19-23). O ser humano, nessa perspectiva, não é renovado por/em ou para si mesmo. Arenovação é relacional, ela inicia, acontece e amadurece com ou em Deus e se reflete nas maisdiversas relações com toda a criação. O ser humano como parte renovada da criação torna-seresponsável para com Deus, a criação, o próximo e consigo mesmo.

4.3 Ponderações soterológicas

Dessa forma, os seres humanos renovados não podem viver a sua nova identidade cristã, este domde Deus, e ignorar os “gemidos dos necessitados” (Sl 12, 5) ou de “toda a criação” (Rm 8, 19 e 22).Isso significaria ignorar-se a si mesmo. Faz parte dessa criação toda a humanidade, todo o mundoanimal e todas as plantas. No meio dessa criação, na sua totalidade, nasce o novo, a nova criação,onde as intuições do Reino de Deus criam novas formas de relacionamentos e novasresponsabilidades. Quanto à humanidade, ela é encarregada de rever as suas construçõeseconômicas e sociais sobre a reflexão do seu impacto ao ecossistema e à biosfera. À nova criação

38 FRENCH, William C. “Subject-centered and creation-centered paradigms in recent Catholicthought.” In: The Journal of Religion, v. 70, n. 1, p. 57-58, jan. 1990.

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correspondem uma nova economia, um ecumenismo renovado e uma postura ecológica inovadora. Assim como o Deus trino “administra” os cuidados com a sua casa (oikos), a terra e o cosmo, o serhumano é visto como “ecônomo” (em inglês, steward = servo ou diácono) das graças recebidas porDeus. Essa nova economia (oikonomia: literalmente, as leis da casa) inclui tanto a economia dedinheiro e os negócios, como a forma da política aceita ou rejeitada. A economia do Reino de Deusfavorece àqueles(as) que mais necessitam da graça e do sustento integral, questiona e rejeita formasirresponsáveis, em que o ser humano como sujeito econômico perde de vista tanto o próximo comoa criação e Deus em termos mais amplos.A ecumene (oikoumene: toda a terra habitada = mundo) somos todos nós, seres humanos. A criaçãoé o habitat da ecumene. Dizemos que em Deus iniciou-se um processo que leva à nova criação, aonovo ecossistema, a uma forma não alienada de se relacionar mutuamente. Parte do ecossistema é aecumene no sentido mais restrito. Para a teologia wesleyana, fazer parte da ecumene de formarenovada leva a uma atitude ecumênica como maneira nova de se relacionar com os outros sereshumanos e suas instituições. Esta atitude inovadora procura a aproximação onde se mantémdistância do outro (compare Jesus com os fariseus em relação aos(às) “pecadores(as)”, ou sepromove a segregação ou o apartheid. Em última instância, quando e até quanto possível, procura-se estabelecer a unidade onde há divisão. Segundo Wesley, paz não é o silêncio das armas, mas oamor para com os inimigos. É o esforço da promoção da justiça em habitats desfavoráveis ou atéhostis a isso. Novas relações baseadas na busca da paz e da justiça fazem-nos reler a história deódio, orgulho e discriminação, reescrevendo as bases dos nossos relacionamentos para possibilitarnovas histórias. É a atitude da mão estendida, mesmo quando não correspondida de imediato. É onovo na criação velha. Neste sentido, são muitas igrejas metodistas, como a Igreja Metodista doBrasil, igrejas criadoras do movimento ecumênico, como movimento de igrejas cristãs. Como todasas relações, as relações entre igrejas cristãs precisam de contínuos cuidados para que sejamamadurecidas. Tanto acusações de imperfeição (a outra é considerada ruim demais para serelacionar com ela) como a desistência da busca do aperfeiçoamento dessas relações (ninguémdesafia ninguém e todos se ausentam de qualquer crítica do outro) interrompem o processo derenovação ecumênica. Finalmente, chegamos ao tema da ecologia. Para a teologia wesleyana, a ecologia não é somenteum aspecto da ética. Ela relaciona a vida dos seres humanos e dos outros seres vivos com o estadoda criação não viva (limpeza de água, terra, ar etc.). A consciência ecológica é muito mais umaconsciência de interdependência, de correlação e co-responsabilidade (quanto ao ser humano). Aatuação do ser humano, quando olha somente para o seu umbigo (ou “encurvado em si” = descriçãodo pecado segundo Martim Lutero), levou e continua levando a um extermínio de milhares de seresvivos e a uma devastadora poluição da criação. O ser humano, em vez de ser jardineiro, tornou-se aameaça número um da criação e de si mesmo.

4.4 Ponderações eclesiológicas

Na tradição wesleyana, a nova criação e a reforma da nação são relacionadas com a reforma daprópria igreja. Meeks, por exemplo, desafia os/as teólogos/as a não desistirem da Igreja. Segundoele, a teologia wesleyana trabalha com a compreensão da igreja, com um espaço privilegiado para aantecipação do Reino de Deus. A graça, porém, como graça preveniente, iria sempre além doslimites da própria igreja. Segundo a nossa compreensão, faz parte da mesma tradição a resistênciacontra a tentação de idolatrar a igreja e colocá-la num pedestal para não entendê-la e a seusrepresentantes, suas estruturas ou programas, assim, em última instância, como inquestionável (eassim irresponsável no sentido original da palavra). Assim parece-nos importante, para o momento das Igrejas Metodistas da América Latina, que os/asteólogos/as se dediquem mais às suas igrejas, explorando o seu papel, numa teologia sustentável. Aigreja é, de certo modo, prova ou antiprova da sustentabilidade da nossa teologia, das nossas ideias,

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das nossas utopias, não como sentido em si, mas como meio da graça com sentido além de si. A reforma da igreja, numa perspectiva da teologia sustentável, relaciona a oikonomia theou tantocom a economia eclesiástica no sentido da administração dos meios da graça (forma aberta oufechada da Santa Ceia), como no sentido do seu uso dos recursos financeiros (teologia de décimo“legalista” ou “evangélica), ou recursos humanos (relações autoritárias ou fraternais). Aqui entratambém a questão da “democratização da igreja” no sentido da mútua responsabilidade (e quanto aIM a sua compreensão da conexidade), visando ao todo sem negar o particular e sempre vendo oconjunto, o contexto maior. Isso nos lembra da ambiguidade do termo “sustentabilidade”. Dependeda preferência para um olhar mais econômico ou mais ecológico. Segundo a nossa intuição, aeconomia não deveria ser algo como semiautonomia em relação ao social ou ao ecológico que nosleva a uma compreensão da sustentabilidade integrada. Para as instituições metodistas, vale o quedissemos a respeito da Igreja: sustentabilidade precisa ser vista na perspectiva maior e além daquestão da garantia do autossustento. O uso racional e biodegradável de todos recursos necessáriospara a manutenção e expansão tanto das instituições eclesiásticas e educacionais, entretanto,continua sendo assunto central.A reforma da igreja, numa perspectiva da teologia sustentável, na perspectiva da oikonomia theou,não se limita às fronteiras da família, da igreja local, da confissão, da religião. Ela pensa nohorizonte da humanidade. O amor para com a humanidade é um tema contínuo em Wesley e suacompreensão da santidade.39 Sua crítica da mística solitária e sua proposta da mística do seguimentoou imitação de Cristo, sua visão do mundo como a sua paróquia, tudo converge nesta direção. Nestavisão tem seu lugar o ecumenismo no sentido mais religioso, seja na sua forma eclesiástica(microecumenismo ou na relação entre igrejas cristãs) ou mais ampla (macroecumenismo ou arelação entre as religiões). Mas, a reforma da igreja, numa perspectiva da teologia sustentável e da oikonomia theou, precisaavançar ainda mais. A humanidade como referência principal ainda continua sendo o pesadelo dacriação. A criação, ainda abaixo do universalismo humano fechado, geme à espera da ação dosfilhos e das filhas de Deus, ou seja, seres humanos orientados pela lógica e prática da oikonomiatheou. Isso é, orientados pela graça, pelo compromisso (obras), pelo interesse no verdadeirofuncionamento e entrelaçamento das coisas (educação), das consequências reais do nosso silêncio edas nossas ações (ética).

Considerações intermediárias

A teologia wesleyana, pela sua herança anglicana, nunca perdeu plenamente o contato com o temada criação, mas foi nas décadas de 1970 e de 1980 que Cobb, Runyon e Meeks retomaram aconversa e investigaram o seu potencial. A teologia wesleyana brasileira oferece, com a introduçãodo elemento da criação no método teológico do quadrilátero, um próximo passo adiante pela suavinculação sem exceção entre a teologia, a ecologia e a antropologia. Quanto à Igreja, parece-nos importante lembrar o papel dela, tanto para dentro de si como para forade si mesma, como espaço sustentável, reinado por justiça, em relação à sustentabilidade ecológica,ecumênica e econômica. Indicamos que o aspecto da sustentabilidade envolve o aspecto daviabilidade econômica, não como critério único, nem como critério máximo, mas como indicadorde possíveis limitações do discurso ecológico wesleyano, tanto nas suas igrejas como nas suasinstituições de ensino. Insistimos, mesmo assim, na percepção de que pode se tornar caro einsustentável no prazo médio ou até no curto prazo. Na conceituação da terra como gaia, solicita-se certa sensibilidade. A transição de conceitos de umaárea do saber para a outra, às vezes, traz consigo efeitos colaterais indesejáveis. Fizemos umaincursão maior em relação à descrição da terra como geia, favorecendo uma descrição como

39 Cf. RENDERS, Helmut. Andar como Cristo andou: a salvação social em John Wesley. SãoBernardo do Campo, SP: Editeo, 2010, p. 257-258.

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sacramento e alertando que uma teologia da divinização não é adequada para nossa compreensão dasustentabilidade na base de uma teologia relacional. Abre-se aqui um amplo campo para futuraspesquisas em relação à descrição da terra como “mãe”, tema profundamente enraizado nas culturasandinas ou no paneinteismo de Jürgen Moltmann, ao debate entre a analogia entis e a analogiafides, etc. Entendemos que a interpretação das três esferas da economia, do social e do meioambiente, sua vez deveria ser lida na perspectiva da primazia da graça. Finalmente, faz parte dessas reflexões mais teológico-sistemáticas o amplo tema da ética. O serhumano como ecônomo, a Igreja como parte da economia do Deus trino precisam reencontrar seulugar na criação, superar antropocentrismos e androcentrismos e construir-se como Igrejasustentável e promotora da sustentabilidade maior. Isso requer uma revisão da sua existênciaecumênica, não somente no sentido confessional, nem somente cristão, mas como parte dasreligiões de toda humanidade como voz profética, com coração aberto, mente aberta e porta aberta.

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IL SIMBOLISMO RELIGIOSO E CULTURALE

Carlo Cardia, ordinario di Diritto ecclesiastico nell’Università di Roma Tre,

Dipartimento di Storia e Teoria generale del Diritto

Relazione svolta al Convegno sul tema: “State-sponsored religious displays in the United Statesand Europe”, organizzato da: “Center for Law and Religion della School of Law” della St. John’sUniversity di New York e dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università LUMSA (Roma, 22giugno 2012).

SOMMARIO. 1. Semantica delle controversie sui simboli religiosi. Linguaggio di guerra edesclusivismo. 2. Linguaggio plurale dei diritti umani che legittima ogni simbologia religiosa. 3.Coerenze e incoerenze. Religione, cultura, deserto delle identità. 4. Pluralità e differenze nellavisione globale e positiva dei simboli. 5. Simbologia religiosa e multiculturalità. Conclusioni.

1 - Semantica delle controversie sui simboli religiosi Linguaggio di guerra ed esclusivismo L’esame semantico delle controversie sui simboli religiosi rivela che il linguaggio usato dalle duescuole di pensiero, quella negativa e repulsiva, l’altra inclusiva e accogliente, riflette la propriaascendenza culturale: da un lato, la mentalità propria di Westfalia e delle divisioni religiosed’Europa, dall’altro la cultura dei diritti umani favorevole al pluralismo e al dialogo tra religioni. Idue orientamenti utilizzano termini e lessico opposti, uno riflette sofferenza, opposizione, chiede ilnascondimento della fede, l’altro propone accettazione delle differenze, sintesi, anche compromessi.Riguardate nell’ottica di Westfalia, alcune motivazioni dell’opposizione al simbolo religioso, chehanno riempito le dispute sul crocifisso, partono da un presupposto: la religione viene dal principe,tende ad imporsi in quanto esclusivista, anche la proposizione dei suoi simboli è atto imperativo.Chi nutre questi timori, rifiuta i simboli religiosi, si sente ferito nella propria libertà, quasi estraneoall’ambiente, desidera emigrare (idealmente) dal contesto in cui vive: la simbologia religiosa riflettecomunque una volontà egemonica. Queste convinzioni generano una terminologia guerriera,conflittuale, spesso insanabili antinomie. Alcuni Autori(1) muovono dal presupposto che “i simbolireligiosi nella scuola pubblica generano due tipi di conflitti. Il primo tipo è quello che si sviluppa inrelazione all’estensione del diritto da parte degli appartenenti alle minoranze religiose di esibire isimboli del proprio credo nello spazio pubblico”; il secondo “investe l’esposizione da parte delloStato dei simboli della confessione di maggiorana e la qualificazione religiosa e/o identitario-culturale del loro significato”(2). Susanna Mancini, pur ritenendo il conflitto sostanzialmenteunitario, afferma che alla base sta “l’uso della religione come linguaggio pubblico delle politiche diidentità”, spesso al fine di promuovere ed esaltare un’identità collettiva “immutabile, fuori deltempo e della storia”(3). Quindi, un qualcosa di statico che si impone ad una società libera edinamica: di qui, le teorie sull’uso della simbologia religiosa da parte delle moderne democrazie, lequali tornerebbero indietro rispetto alla tradizione pluralista, adotterebbero i simboli per rafforzarela propria identità e reagire per istinto alla paura della globalizzazione. Altri Autori distinguono i simboli religiosi, sempre aggressivi, da quelli civili, positivi e pacifici,perché in una democrazia pluralista, i simboli ufficiali, come la bandiera, non “rappresentano unaverità assoluta, ma piuttosto testimoniano l’esistenza di un idem sentire di res publica, un senso diappartenenza ad un comune mondo di valori”(4). Ma questi simboli aggreganti non sono piùsufficienti “a calmare le angosce identitarie che la globalizzazione produce nelle societàoccidentali”(5). Ciò provoca una crescente domanda di “rafforzamento della coesione sociale e diuna forte identità collettiva” che meglio si esprime nella simbologia religiosa, con la sua immediata

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capacità di evocare verità assolute, e la sua carica identitaria. Resta prevalente l’impostazione cheassocia simboli e potere in una interdipendenza e sinergia ineliminabili, perché “nella tradizione(…) occidentale, il potere ha bisogno di simboli”, e “le strutture di potere delle collettivitàorganizzate hanno sempre imposto – e continuano ancor oggi ad imporre – l’ostensione di simbolidiretti a rappresentare i valori cui ognuna di esse ha scelto di riferirsi nella sua storiaistituzionale”(6). Rapportata a questa ottica ideologica, la scelta francese di escludere anche l’uso personale di segnireligiosi negli spazi pubblici, scuole, collegi, licei pubblici, spazi connessi(7) presenta una indubbiacoerenza: per emarginare ogni manifestazione di confessionalità, occorre “rejeter le droit à ladifférence”(8), impedire che “gli alunni manifestino vistosamente (“ostensiblement”)un’appartenenza religiosa”, “evitare eventuali contestazioni sulla natura propriamente religiosa oconfessionale di un determinato segno”(9). Così, la privatizzazione della religione, tipica dellatradizione illuminista, subisce ulteriori restrizioni: anche una scelta personale che evochil’appartenenza confessionale è ritenuta pericolosa. A questa concezione è ispirato il Rapportopresentato in Francia nel dicembre 2003 da Bernard Stasi, presidente della Commissione diriflessione sull’applicazione del principio di laicità nella Repubblica, quando afferma che “la difesadella libertà di coscienza individuale contro ogni forma di proselitismo viene oggi ad integrare lenozioni di separazione e di neutralità”, e “gli alunni devono, in un clima di serenità, potersi istruiree sviluppare per acquisire l’autonomia di giudizio. Lo Stato deve impedire che il loro spirito siaturbato dalla violenza e dai furori della società: senza essere una camera sterile, la scuola non puòdiventare la camera di risonanza delle passioni del mondo, pena il rischio di venir meno alla suamissione educativa”(10). Quindi, “ridimensionare l’espressione pubblica delle specificitàconfessionali e porre dei limiti all’affermazione della propria identità permette l’incontro di tuttinello spazio pubblico”(11). Le scelte operate dalla Francia si ispirano ad una idea di “laicitàmilitante”, o laicité de combat, che riflette “un’ideologia laicista, areligiosa o antireligiosa, chenega alla religione qualsiasi spazio nella sfera pubblica, assumendo verso di esso un atteggiamentoostile”(12). Sin qui, il linguaggio guerriero e conflittuale è tutto sommato moderato, anche se giunge a rigoroseconseguenze, ma diventa estremo negli Autori ispirati dall’assoluto ideologico(13). Per LombardiVallauri è scontata “l’estrema pericolosità dei simboli (…) che fungono facilmente da catalizzatoridi aggressività”, perché “come gli slogan, (essi) esprimono e generano un livello intellettuale erelazionale primitivo dello sviluppo umano, quello delle semicieche fissazioni e appartenenze”(14).I simboli evocano guerra e violenze, infatti “chi professi un’etica della nonviolenza, della pace, deidiritti fondamentali, della unity of mankind, non può non vedere nei più aggressivi e potenti simboliidentitari – quelli di religione, di nazione/Stato, di classe sociale, di partito politico – avversari daabbattere, simulacri da abbandonare: l’etica del simbolico identitario-aggressivo è necessariamenteiconoclasta, anche se la stessa iconoclastia può essere (forse non può non essere?) altamentesimbolica”(15). Sulla stessa scia, per Edoardo Dieni “si può egualmente dire che i simboli sonocattivi perché semplificano in modo adialettico, arazionale, adialogico il sistema della fides.Sarebbero (…) una pericolosa strategia seguita dagli uomini per dispensarsi dal pensare (…) per laloro forza emotiva essi possono dare luogo infatti a “campi mentali” che bloccano il pieno sviluppodella ragione discorsiva e con essa della persona umana, e soprattutto catalizzano l’aggressività,mobilitano contro. Le guerre si fanno, come è noto, dietro i simboli. L’indirizzo di politica deldiritto da seguire sarebbe allora quello di una pedagogia antisimbolica, o quanto meno intesa araffinare, ridurre, diluire i simboli”(16). Dalla demonizzazione del simbolo derivano conseguenze sul terreno giuridico. La sentenza dellaCorte di Strasburgo del 3 novembre 2009 sulla questione del Crocifisso si presenta anch’essacoerente con la cultura della divisione e contrapposizione. La Corte afferma che “nell’esposizionedel crocifisso (nelle aule scolastiche) è il segno che lo Stato si schiera dalla parte della religionecattolica”; “nei paesi in cui la stragrande maggioranza della popolazione aderisce ad una precisa

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religione, la manifestazione dei riti e dei simboli di questa religione, senza restrizione di luogo e diforma, può costituire una pressione sugli studenti che non praticano tale religione o su quelli cheaderiscono ad un'altra religione”. La pressione è così forte che gli studenti sembrano quasi messiall’angolo, feriti nelle libertà di pensiero e religione: “la scolarizzazione dei bambini rappresenta unsettore particolarmente sensibile poiché, in questo caso, il potere vincolante dello Stato è imposto adegli alunni cui manca ancora (secondo il livello di maturità del bambino) la capacità critica chepermette di prendere distanza rispetto al messaggio derivante da una scelta preferenziale espressadallo Stato in materia religiosa”. Infine, la presenza del Crocifisso è interpretata come “un segnoreligioso ed essi si sentiranno educati in un ambiente scolastico contrassegnato da una datareligione. Ciò che può essere incoraggiante per alcuni studenti religiosi, può essere emotivamenteperturbante per studenti di altre religioni o per coloro che non professano nessuna religione”.

2 - Linguaggio plurale dei diritti umani che legittima ogni simbologia religiosa Cambiano il clima, il linguaggio, la terminologia, quando si rifiuta la contrapposizione e il conflitto:in questo caso, la religione, e la sua simbologia, sono interpretate alla luce delle Carte internazionalisui diritti umani, della nostra Carta costituzionale, dei documenti che le principali Confessionihanno sottoscritto negli ultimi decenni. Il diritto di libertà religiosa assume valore universale, loStato laico non è più diffidente verso la religione e le Chiese, ma è loro amico, chiede e offrecollaborazione, è prodigo di riconoscimenti di diritti e prerogative. La terminologia e la mentalitàguerriera scompaiono, sostituite dalla volontà di incontro e di dialogo, le differenze anzichédividere uniscono e arricchiscono. Nei simboli religiosi sfuma la volontà egemonica, emergono ledistinzioni che arricchiscono e i contenuti che uniscono. Anche nelle controversie sul crocifisso, chi lo difende sceglie un altro linguaggio, nel qualel’unione prevale sulla divisione, l’universalità sul particolarismo, e il simbolo unifica in modotrasversale tradizioni culturali diverse. Claudio Magris ritiene che “quella figura rappresenta peralcuni ciò che rappresentava per Dostoevskij, il figlio di Dio morto per gli uomini; (…). Per altri,per molti, potenzialmente per tutti, esso rappresenta ciò che rappresentava per Tolstoj o per Gandhi,che non credevano alla sua divinità ma lo consideravano un simbolo, un volto universaledell’umanità, della sofferenza, e della carità che riscatta”. E aggiunge: “un analogo discorso,naturalmente, vale per altri volti universali della condizione umana, ad esempio Buddha, il cuidiscorso di Benares parla anche a chi non professa la sua dottrina ed è radicato nella tradizione dialtre civiltà come il cristianesimo nella nostra”(17). Natalia Ginzburg a sua volta sostiene che “ilcrocifisso fa parte della storia del mondo. Per i cattolici, Gesù Cristo è figlio di Dio. Per i noncattolici, può essere semplicemente l’immagine di uno che è stato venduto, tradito, martoriato ed èmorto sulla croce per amore di Dio e del prossimo. Chi è ateo, cancella l’idea di Dio ma conserval’idea del prossimo. Si dirà che molti sono stati venduti, traditi e martoriati per la propria fede, per ilprossimo, per le generazioni future, e di loro sui muri della scuole non c’è l’immagine. E’ vero, mail crocifisso li rappresenta tutti. Come mai li rappresenta tutti? Perché prima di Cristo nessunoaveva detto che gli uomini sono uguali e fratelli tutti, ricchi e poveri, credenti e non credenti, ebrei enon ebrei e neri e bianchi, e nessuno prima di lui aveva detto che nel centro della nostra esistenzadobbiamo stabilire la solidarietà fra gli uomini”(18). In altre riflessioni si sottolinea il carattere culturale del simbolo religioso, e ancora il valoreuniversale del crocifisso, dal momento che “se c’è un segno che caratterizza la cultura europea intutte le sue dimensioni questa è la croce. Si tratta di un simbolo dominante per tutti gli aspetti delsapere, perché tutti gli aspetti della nostra cultura si fondano su quella forma peculiare che è ilcristianesimo”; il crocifisso “è un simbolo che parla di una sofferenza. Una sofferenza che saaccogliere in sé tutte le sofferenze e in qualche modo redimerle. Il credente lo penserà in un modo,lo storico delle religioni in un altro. Ma non cambia. Quello è un segno di straordinaria accoglienza,di straordinaria donazione di sé”(19). Umberto Eco, infine, intreccia la comparazione dei simbolicon l’esigenza di una integrazione che accetti le differenze, e ne promuove il rispetto: “così come la

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mezzaluna (simbolo musulmano) appare nelle bandiere dell’Algeria, della Libia, delle Maldive,della Malaysia, della Mauritania, del Pakistan, di Singapore, della Turchia e della Tunisia (…),croci e strutture cruciformi si trovano sulle bandiere di paesi laicissimi come la Svezia, la Norvegia,la Svizzera, la Nuova Zelanda, Malta, l’Olanda, la Grecia, la Norvegia, la Finlandia, la Danimarcal’Australia, la Gran Bretagna e via dicendo”. Aggiunge che “la croce è un fatto di antropologiaculturale, il suo profilo è radicato nella sensibilità comune. (…) L’integrazione di un’Europa semprepiù affollata di extracomunitari deve avvenire sulla base di una reciproca tolleranza. L’educazionedei ragazzi nelle scuole del futuro non deve basarsi sull’occultamento delle diversità ma su tecnichepedagogiche che inducano a capire e ad accettare le diversità”(20). Queste opinioni sono alimentateda una filigrana di indicazioni normative, e giurisprudenziali, che nell’epoca dei diritti umaniadottano il linguaggio dell’accoglienza, la lettura positiva dei simboli. Lo Statuto del Consigliod’Europa, approvato a Londra il 5 maggio 1949, afferma nella parte introduttiva che “i Governi(sono) irremovibilmente legata ai valori spirituali e morali, che sono patrimonio comune dei loropopoli e la vera fonte dei principi di libertà personale, libertà politica e preminenza del diritto, daiquali dipende ogni vera democrazia”. La Carta Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo(CEDU) del 1950 dichiara che i Governi firmatari, membri del Consiglio d’Europa, sono “risoluti,in quanto governi di Stati europei animati da uno stesso spirito e forti di un patrimonio comune ditradizioni e di ideali politici, di rispetto della libertà e preminenza di diritto”. La giurisprudenza che,in Europa e altrove, legittima la presenza di simboli religiosi negli spazi pubblici oscilla tra lalettura culturale del simbolo e il suo rapporto con la tradizione di un determinato ordinamento. LaCorte Suprema degli Stati Uniti ha affermato che “sarebbe ironico se l’inclusione del presepe nelcontesto di una fiera che è parte di una celebrazione di un evento riconosciuto nel mondooccidentale da venti secoli, e dal popolo, dall’Esecutivo, dal Congresso, e dalle Corti di questopaese da due secoli, “contaminasse” l’esibizione al punto di porla in conflitto con la EstablishmentClause. Proibire l’uso di questo simbolo passivo mentre nei luoghi pubblici si cantano gli inninatalizi e… il Congresso e il legislativo statale aprono le sessioni pubbliche recitando le preghiere,sarebbe una reazione esagerata e contraria alla storia della Nazione e alle decisioni di questaCorte”(21). In Italia, il Consiglio di Stato nel 1988 ha respinto la tesi del valore confessionista dellapresenza del crocifisso, perché essa è legittimata attualmente dal significato storico-culturale, nonesclusivamente religioso, della croce che “rappresenta il simbolo della civiltà e della culturacristiana, nella sua radice storica, come valore universale, indipendente da una specificaconfessione religiosa”(22). In Spagna, il Tribunale supremo ha dichiarato che l’immagine dellaVergine Maria (nell’accezione di Virgo Sapientiae/Virgen de la Sapiencia) nello stemmadell’Università di Valencia è coerente colprincipio di aconfessionalità dello Stato perché “el citadoEscudo y Emblema tradicional e histórico de la Univeresidad de Valencia conteniendo la imagenmariana forma parte no sólo del acervo común tradicional histórico, cultural y espiritual, de dicheUniversidad, independientemente de su significación religiosa que en su momento puede tener, sinotambién, del acervo común expresado de uno de los pueblos de España come es el Valenciano”(23).Ancora in Italia, la Carta dei valori della cittadinanza e dell’integrazione, approvata il 23 aprile2007 con Decreto del Ministro dell’Interno, prevede al punto 25 che “movendo dalla propriatradizione religiosa e culturale, l’Italia rispetta i simboli, e i segni, di tutte le religioni. Nessuno puòritenersi offeso dai segni e dai simboli di religioni diverse dalla sua. Come stabilito dalle Carteinternazionali, è giusto educare i giovani a rispettare le convinzioni degli altri, senza vedere in essefattori di divisione degli esseri umani”. Questo principio è ribadito dalla Relazione che haaccompagnato la Carta dei valori, perché “il segno, o il simbolo religioso, non è, non può esseremai uno strumento di offesa per chi ha un’altra fede. Esso costituisce un mezzo che esprime lediversità e può arricchire gli altri interlocutori. Se non si afferma questo principio le societàmulticulturali sono destinate a vivere in un continuo stato di fibrillazione facile a sfociare in vericonflitti interconfessionali, e rischiano così di ricadere nel passato. Per entrare nel merito, se in unPaese i segni o i simboli della religione tradizionale sono collocati in edifici pubblici non si può

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chiedere di toglierli per motivi di multiculturalità perché essi esprimono, secondo le leggi diquell’ordinamento, una identità o una radice storica che meritano rispetto e considerazione”(24). La radice storica di questo cambiamento sta nelle Carte internazionali sui diritti umani del secoloXX, che intendono saldare i conti con i guasti del totalitarismo e superare le antiche divisionieuropee di tipo religioso. La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948 riconosce ildiritto di libertà religiosa in una dimensione individuale e collettiva, stempera la concezioneprivatistica di matrice ottocentesca, perché esso “include la libertà di cambiare di religione o dicredo, e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico che in privato, lapropria religione o il proprio credo nell’insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell’osservanza deiriti” (art. 18). Per l’articolo 26, inoltre, l’istruzione “deve promuovere la comprensione, latolleranza, l’amicizia fra tutte le Nazioni, i gruppi razziali e religiosi”. Le Carte e le Convenzionisui diritti umani sviluppano la nuova dimensione della libertà religiosa, ed il loro linguaggiocambia, si fa propositivo, intreccia l’identità con lo scambio, esclude il conflitto, tende a superare icontrasti. Gli articoli 5 e 20 della Convenzione quadro per la tutela delle minoranze nazionali,parlano della identità religiosa, linguistica e culturale delle minoranze nazionali, e dei diritti dellamaggioranza. Per l’articolo 5 occorre “promuovere condizioni tali da consentire alle persone cheappartengono a minoranze nazionali di conservare e sviluppare la loro cultura e di preservare glielementi essenziali della loro identità quali la religione, la lingua, le tradizioni ed il patrimonioculturale”; per l’articolo 20, “le persone appartenenti ad una minoranza nazionale rispettano lalegislazione nazionale ed i diritti altrui, in particolare quelli delle persone appartenenti allamaggioranza o ad altre minorità nazionali”. Maggioranza e minoranze convivono nel reciprocoriconoscimento dei diritti, a cominciare da quello che garantisce le rispettive identità religiose eculturali. La Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo del 1989 enuncia due principifondamentali riguardanti l’educazione dei ragazzi. Per la lettera c) del punto 1, gli Stati convengonoche l’educazione del fanciullo deve avere come finalità quella di “preparare il fanciullo ad assumerele responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, ditolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali ereligiosi, con le persone di origine autoctona”. Più specificamente, la lettera b) dello stesso articolodella Convenzione sui diritti del fanciullo prevede tra le finalità dell’educazione del bambino quelladi inculcare il “rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive, del Paese di cui può essereoriginario e delle civiltà diverse dalla sua”. In queste parole si scorge movimento, pluralismo, spintaverso l’altro, la fine di paure e diffidenze, la volontà e la curiosità di conoscere gli altri, di farsiconoscere. Ne deriva una prospettiva aperta a una pluralità di simboli, ad una circolarità delleidentità e delle appartenenze di ciascuno nella vita associativa che non disturba, ma arricchisce, nonferisce ma favorisce la reciproca conoscenza.

3 - Coerenze e incoerenze. Religione, cultura, deserto delle identità Sembra esservi coerenza tra una certa idea di laicità, lineare e geometrica, e la cancellazione deisimboli religiosi negli spazi pubblici, e questa coerenza viene riconosciuta all’ordinamento franceseche ha applicato il criterio della cancellazione ai simboli di tutte le fedi. Ma si tratta di un segmentodi coerenza in un sistema di incoerenza, perché il nascondimento è imposto soltanto ad unasimbologia salvando le altre, lasciando intendere che queste altre sono buone, pacifiche, nondiscriminano, non turbano le coscienze. In realtà, nella guerra dei simboli tutti hanno qualcosa daperdere, alcuni più di altri, si crea discriminazione soltanto alla religione(25). Si è accennato allapresenza di simboli nelle bandiere nazionali, cui si possono aggiungere i vessilli regionali, igonfaloni comunali, e quant’altro di analogo esista nella vita collettiva. Siamo di fronte ad unasimbologia – presente in spazi pubblici, in cerimonie solenni con partecipazione obbligata espontanea - che chiede e ottiene onori e omaggi da autorità, cittadini, spettatori occasionali.Anch’essa può evocare, divisioni, lacerazioni civili, dissensi, e dovrebbe essere cancellata per ilcoacervo di sentimenti contrari che suscita, per il rifiuto di alcuni di sentirsi integrati in una identità

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che respingono. Eppure nessuno la contesta. Resta celebre la cerimonia di insediamento del Re d’Inghilterra, celebrata l’ultima volta il 2 giugno1953 per la Regina Elisabetta II, intessuta di una religiosità che evoca diversi aspetti della storiabritannica. Dal 1066 la cerimonia ha luogo nell’abbazia di Westminster, e viene officiatadall’Arcivescovo di Canterbury. Nelle varie fasi della cerimonia si colloca il giuramento che, perElisabetta II, è stato il seguente: “Manterrai tu, quanto è più nel tuo potere, le Leggi di Dio e la veraprofessione del Vangelo? Manterrai tu, quanto è più nel tuo potere, nel Regno Unito la ReligioneProtestante Riformata stabilita dalla legge? Manterrai e proteggerai tu inviolabilmente la Chiesad’Inghilterra, e la dottrina, il culto, la disciplina, e il governo della stessa come stabilito dalla leggein Inghilterra? E preserverai tu a favore dei Vescovi e del Clero d’Inghilterra, e delle Chiese nel loroimpegno, tutti quei diritti e privilegi, come per legge o per appartenenza a loro o a ciascuno diLoro?”. In aggiunta il monarca giura di preservare il governo della Chiesa presbiteriana come partedella Chiesa scozzese, e questa porzione di giuramento viene fatto prima dell’incoronazione.Concluso il giuramento, è presentata al Sovrano una Bibbia, ed un ecclesiastico pronuncia le parole:“Ecco la saggezza. Questa è la legge Regale. Questi sono gli Oracoli di Dio vivente”. Dopo lapresentazione della Bibbia, viene celebrata la Santa Comunione, e il sovrano si siede sul trono delRe Edoardo, dentro il quale è inserita la “Stone of Scone”, nota anche come Pietra del Destino (delpeso di 152 chilogrammi) alla quale la leggenda attribuisce origini bibliche (sarebbe stata usata daGiacobbe come cuscino). Infine, si procede all’incoronazione vera e propria che prevede laconsegna dello scettro con la croce, della spada e del globo anch’esso con la croce(26). Lacerimonia inglese è una delle più solenni tra quelle che si svolgono nel mondo in occasionedell’insediamento di chi dirige lo Stato, e certamente sarà snellita, ma è stata richiamata per unpreciso motivo: essa è emblematica del rilievo che la religione ha nelle tradizioni e nelle cerimoniepubbliche di molti Stati. Alla luce della laicità esclusivista, il rito contrasterebbe con la libertàreligiosa e di coscienza di quanti in Gran Bretagna non sono anglicani. Si possono fare altri esempi, ricordando che in Israele “sull’architrave di tutte le scuole ebraiche,come in tutte le istituzioni statali, è fissata la Mezuzà, come segno religioso ebraico, ed inoltre c’èla bandiera come segno civile israeliano, su tutte le strutture statali, ebraiche ed arabe”(27). Inoltre,molti Capi di Stato giurano sulla Bibbia, o davanti ad una Bibbia, una croce, o altro simboloreligioso: è il caso dei Sovrani dell’Europa del Nord, del Capo del governo spagnolo, del Presidentedegli Stati Uniti, del Primo Ministro del Canada, del Governatore Generale dell’Australia. In altricasi la religione svolge un ruolo più penetrante, come nel giuramento del Primo Ministro di Grecia,amministrato dal Patriarca della Chiesa ortodossa, del Presidente israeliano che giura sulleScritture, dell’Imperatore del Giappone che si insedia unitamente ad una cerimonia religiosascintoista, e di altri governanti di Paesi musulmani che giurano sul Corano, e via di seguito. Spessole cerimonie hanno lunga durata, e la religione si presenta in tutta la sua solennità di fronte allaNazione e ai singoli cittadini, anche di quelli che sono di altra religione, o non ne hanno alcuna. In effetti, soltanto l’abbandono della logica di guerra, e l’apertura alla logica dell’accoglienza, puòfar superare le divisioni e accomunare tutti nell’accettazione di una storia condivisa, sia pure condifferenti valutazioni. C’è imbarazzo nei pochi Autori che hanno sfiorato il tema. Per SusannaMancini il raffronto con le bandiere nazionali “non sta in piedi, perché manca qualunque simmetriatra l’affissione del crocifisso nelle scuole pubbliche e la riproduzione della croce su di una bandieranazionale”. Confrontando Finlandia e Italia aggiunge: “come la Finlandia, che, raggiuntal’indipendenza, ha autonomamente scelto la bandiera azzurra nelle scuole pubbliche a rappresentarel’unità nazionale, non espone nelle scuole pubbliche il blasone che rappresenta la chiesaevangelico-luterana finlandese, così l’Italia, che si è dotata del tricolore, non dovrebbe esporre ilcrocifisso”(28). Il ragionamento non ha alcun senso, perché il simbolo della croce è posto sullabandiera nazionale, che in qualche modo è simbolo solenne e generale, onorato nella società e nelleistituzioni pubbliche, e perché il crocifisso non è il blasone della Chiesa cattolica ma rappresenta lapiù gran parte del cristianesimo a livello mondiale. Infine, l’Autrice trascura altri simboli che

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proprio nei Paesi protestanti del Nord-Europa vengono esibiti e onorati a livello pubblico eistituzionale. La logica di guerra è costretta poi ad operare chirurgicamente in modo arbitrario, scindere ognirapporto tra religione e cultura, negare che il simbolo religioso abbia contenuti culturali, ignorareche l’esclusione dagli spazi pubblici dovrebbe riguardare anche una certa simbologia culturale chenon è meno pressante nei confronti dei cittadini, degli utenti di determinati servizi, degli studenti edei docenti di scuole e università di un Paese o di un’area geografica(29). Le scuole sono spessointitolate ad una personalità della cultura o della storia, un grande pensatore, un pioniere di impresememorabili, e gli alunni e le famiglie potrebbero non condividere la memoria di chi ispira la“denominazione” della scuola, o è presente nella scuola in effigie, e potrebbero chiedere unatitolazione neutra, o la rimozione dell’effigie. In coerenza con l’esclusione del crocifisso dallescuole, nessun istituto scolastico o universitario potrebbe essere intitolato a San Paolo, Voltaire,Rousseau, Lutero, Giovanni XXIII, e via di seguito: ciascun cittadino, famiglia, gruppo sociale,potrebbe legittimamente dolersi di una presenza indubbiamente sponsorizzata dalle autoritàpubbliche, e da quelle scolastiche, tale da attenuare o ferire la libertà di pensiero e di ricerca chedovrebbe essere massima in ambiente scolastico. D’altra parte, anche negli uffici e altri spazipubblici di ciascun Paese sono posti simboli storici o politici (effigi del monarca, presidente dellaRepubblica, di personalità della cultura fondatori di scuole di pensiero) che potrebbero, nell’otticadel rigorismo laicista, suscitare reazioni emotive di diverso genere, contrastando con convinzionipolitiche, culturali, storiche, particolarmente sentite dai singoli individui. Per evitare un così vastofronte di obiezioni si vuole separare la religione dalla cultura, ignorando che le religioni sono allabase delle grandi tradizioni culturali, filosofiche, dell’umanità, le alimentano tuttora in un mutuoscambio di concetti, riflessioni, approfondimenti. Se non è possibile cancellare il valore religiosodel simbolo, non si può neanche ignorare il suo valore culturale e di espressione della tradizione diun popolo. Ciò perché la tradizione non si vergogna della religione e la religione non puòvergognarsi della tradizione. La tradizione accoglie entrambe in un contesto di valutazione criticache arricchisce tutti. Infine, nella società multiculturale la logica di guerra dovrebbe sbarrare la strada ad ogniespressione identitaria tradizionale, o a quelle nuove che si vanno affermando nella scuola, neiluoghi di lavoro, in spazi pubblici fino ad oggi ritenuti immuni da manifestazioni e presenzereligiose. La pratica islamica di pregare secondo i tempi coranici in qualsiasi luogo ci si trovi, latradizione italiana di celebrare o ricordare il Natale, o altre feste cristiane, nella scuola, che si vaarricchendo con cerimonie analoghe per feste di altre religioni, anche al fine di far socializzare iragazzi di diversa nazionalità; la tendenza oggi prevalente ad accettare i simboli di ogni religione,ebraica, cristiana, islamica, dei Sikh, e via di seguito, nelle scuole e in altri ambienti sociali; latendenza a prevedere nei contratti di lavoro o negli accordi d’impresa spazi di tempo e di luogo peresigenze religiose (preghiera, festività): tutto ciò dovrebbe essere cancellato in un’ottica iconoclastache produrrebbe solo un deserto identitario deprimente, anche difficile da realizzare. E’ lapreoccupazione di Louis-Léon Christians che chiede se “la desimbolizzazione della legge, oltre irischi di diluizione del legale sociale già evocati, non determina un effetto deleterio su ogniprocesso simbolico, compresi quelli all’interno delle comunità che ne erano portatrici? Cosasarebbero questi individui privati di ogni capacità di espressione simbolizzante? Il divieto diindossare il foulard esteso alle imprese private, o la volontà un tempo espressa da certi legislatori diapplicare le leggi antidiscriminatorie alla “totalità della vita sociale” lasciano intravedere che lacolonizzazione giuridica del mondo, dopo essersi a lungo estesa come un vettore di simbolizzazionepubblica, potrebbe invertirsi e diventare uno strumento di desimbolizzazione sociale …”(30).

4 - Pluralità e differenze nella visione globale e positiva dei simboli Tutto cambia in un’ottica di accettazione delle differenze, e il cambiamento è già in atto dal puntodi vista normativo. Oggi è impossibile parlare di un solo simbolo (la croce o il velo, la Kippa o il

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turbante e pugnale dei Sikh) che escluda gli altri, quando nella scuola, in altri spazi sociali opubblici, la circolarità della simbologia religiosa è pressoché totale. Tutto cambia anche dal puntodi vista psicologico, perché la moltiplicazione dei simboli provoca la fine della paura di unareligione per l’altra, degli scettici verso la religione, dei credenti per chi non è religioso, fa nascereun’amicizia a livello delle persone, che è destinata a conquistare spazio nel mondo della cultura edel diritto. Lo Stato laico sociale, affermatosi in Europa nel XX secolo, ha universalizzato lo spiritoamericano del favor religionis, l’ha intrecciato con la pratica pattizia europea. Lo Stato riconosce ilruolo pubblico delle Chiese, prevede gli effetti civili per il matrimonio confessionale, inseriscel’insegnamento religioso nei programmi delle scuole pubbliche per chi lo desideri, disciplina formedirette e indirette di finanziamento delle Chiese e delle loro attività, garantisce l’assistenza religiosanelle strutture obbliganti, dialoga infine con le confessioni e concorda con esse parti dellalegislazione ecclesiastica nazionale. Cadono i tabù legati alla diffidenza dello Stato verso lareligione, finisce la cultura di Westfalia, si inaugura l’amicizia tra tutte le fedi e le opinioni. Nelnuovo orizzonte di Welfare State di impronta laica, strutture sociali e pubbliche si colorano dipresenze e simboli religiosi che si moltiplicano, in breve tempo realizzano una accoglienza serena(in qualche misura, indifferente) da parte dei cittadini, degli utenti dei servizi. L’Italia è, in questo senso, un paese esemplare avendo anticipato l’indirizzo pluralista, in particolarenell’ambiente scolastico, dove esiste l’insegnamento della religione cattolica per gli studenti che lodesiderino; ma la normativa non si limita a quella concordataria riformata nel 1984, perchél’articolo 23 del regio decreto del 28 febbraio 1930, n. 289, tuttora vigente, che detta norme perl’attuazione della legge sui culti ammessi, prevede che “quando il numero degli scolari lo giustifichie quando per fondati motivi non possa essere adibito il tempio, i padri di famiglia professanti unculto diverso dalla religione cattolica possono ottenere che sia messo a loro disposizione qualchelocale scolastico per l’insegnamento religioso dei loro figli”. Questo pluralismo, embrionale elimitato, si è ampliato nel periodo costituzionale con la stipulazione delle Intese ex articolo 8 Cost.,nelle quali sono recepite le richieste di diverse confessioni. L’Intesa con le Chiese rappresentatedalla Tavola Valdese del 1984 prevede che la Repubblica italiana assicura “alle chiese rappresentatedalla Tavola valdese il diritto di rispondere ad eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle lorofamiglie o dagli organi scolastici, in ordine allo studio del fatto religioso e delle sue implicazioni”.Norme sostanzialmente identiche (con leggeri varianti) si rinvengono nelle Leggi di approvazionedell’Intesa con le Chiese cristiane avventiste del 7° giorno 516/1988, le Assemblee di Dio in Italia(pentecostali), 517/1988, dell’Intesa con L’Unione Cristiana Evangelica Battista d’Italia (UCEBI),116/1995, dell’Intesa con la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (CELI). E norme analoghe sonopreviste in altre sei Intese, definite in sede di Presidenza del Consiglio, ma non ancora tradotte inlegge, con la Congregazione dei Testimoni di Geova, la Sacra Arcidiocesi Ortodossa d’Italia edEsarcato per l’Europa Meridionale (art. 6), l’Unione Buddhista Italiana, l’Unione InduistaItaliana, la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni (mormoni), la Chiesa Apostolica inItalia. Infine, la Legge 8 marzo 1989, n. 101, che approva l’Intesa con l’Unione delle Comunitàebraiche italiane, afferma che la Repubblica assicura “agli incaricati designati dall’Unione o dalleComunità il diritto di rispondere ad eventuali richieste provenienti dagli alunni, dalle loro famiglieo dagli organi scolastici in ordine allo studio dell’ebraismo”. Si può osservare che, mentre le altreconfessioni hanno chiesto l’intervento dei loro rappresentanti nella scuola in funzione dello studiodel fatto religioso, l’Unione delle comunità ebraiche lo prevede direttamente per lo studiodell’ebraismo(31). Per parte sua, la Carta dei valori della cittadinanza e dell’immigrazione del 2007 afferma al n. 12:“anche per favorire la condivisione degli stessi valori, la scuola prevede programmi per laconoscenza della storia, della cultura, e dei principi delle tradizioni italiana ed europea. Per uninsegnamento adeguato al pluralismo della società è altresì essenziale, in una prospettivainterculturale, promuovere la conoscenza della cultura e della religione di appartenenza dei ragazzie delle loro famiglie”. Inoltre, per l’articolo 13, “la scuola promuove la conoscenza e l’integrazione

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tra tutti i ragazzi, il superamento dei pregiudizi, la crescita comune dei giovani evitando divisioni ediscriminazioni. L’insegnamento è impartito nel rispetto delle opinioni religiose o ideali dellafamiglia e, a determinata condizioni, prevede corsi di insegnamento religioso scelti volontariamentedagli alunni o dai loro genitori”. Ed ancora, per il n. 15 della Carta “ogni tipo di insegnamento,comunque impartito a livello pubblico o privato, deve rispettare le convinzioni di ciascuno etendere a unire gli uomini anziché a dividerli”. Anche in virtù di questa normativa, la scuolaitaliana si è aperta a una pluralità di presenze religiose, che elimina ogni monismo e possibilità dicondizionamento dei bambini e dei ragazzi; i quali sono abituati da tempo ad avere amici diconfessioni diverse, a parlare con insegnanti cattolici e rappresentanti religiosi avventisti, luterani,induisti, ebrei, altri ancora, che esibiscono propri segni e caratteri, con attività e presenze religiosele più diverse, non patiscono alcuna sofferenza per alcun simbolo, cristiano o di altra confessione.In un orizzonte così ampiamente pluralista, il simbolo religioso assume diverso significato. Perdequegli effetti deprimenti e discriminatori che la mentalità westfaliana dava per scontati, non è piùfonte di divisione ma di originalità che si colloca vicino ad altre originalità, di specificità che attira,incuriosisce; esso avvicina i giovani, li abitua a convivere in un contesto nel quale le opinionireligiose sono diverse ma non nemiche, nessuna presenza religiosa offende le altre. Il rapporto tra presenza di un simbolo religioso e strutturazione pluralista della scuola è posto allabase della sentenza della Grande Chambre del 2011: “gli effetti dell’accresciuta visibilità che lapresenza del crocifisso attribuisce al cristianesimo meritano di essere ulteriormente relativizzati inrelazione ai seguenti elementi. Da una parte questa presenza non è associata ad un insegnamentoobbligatorio del cristianesimo. Dall’altra, secondo le indicazioni del Governo, l’Italia apreugualmente lo spazio scolastico ad altre religioni. Il Governo indica in particolare che il veloislamico indossato dalle studentesse e altri simboli e abbigliamento con significato religioso nonsono proibiti; sono previste delle regole per conciliare agevolmente la frequenza scolastica e lepratiche religiose di minoranza; l’inizio e la fine del ramadan sono “spesso festeggiati” nelle scuolee un insegnamento religioso facoltativo può essere attivato nelle scuole per “ogni confessionericonosciuta”. D’altra parte, nulla indica che le autorità scolastiche che si dimostrino intollerantirispetto agli alunni che professano altre religioni, a quelli non credenti o aventi convinzionifilosofiche che non si rifanno ad alcuna religione. In più, i ricorrenti non sostengono che la presenzadel crocifisso nelle aule ha incitato a sviluppare insegnamenti aventi carattere di proselitismo, néreputano che il secondo e il terzo di essi si siano trovati di fronte ad insegnanti che, nell’eserciziodelle loro funzioni, avrebbero in modo tendenzioso insistito sulla presenza del crocifisso”.

5 - Multiculturalità e simboli religiosi. Conclusioni La multiculturalità ha un effetto moltiplicatore sulla questione che stiamo trattando: accentua irischi della guerra ai simboli, che diverrebbe guerra di tutti contro tutti, moltiplica la forzadell’accoglienza, che renderebbe la società casa comune di tutte le fedi e dei loro segni. AndréGlucksmann ha rilevato che “l’Europa ha esportato le proprie fedi fino alla metà del ventesimosecolo. Poi a quel punto si ferma”(32), e oggi sono le altre religioni che entrano in Europa, la qualediviene terra di approdo per popoli ed etnie diverse. Il fenomeno migratorio sta infatti mischiandole carte della storia e dell’evoluzione, facendo coesistere il passato con il presente e il futuro,soprattutto mischia le fedi, le religioni, i diversi simboli, con modalità fino ad oggi sconosciute.Nella multiculturalità muta anche il concetto di simbolo, perché questo emerge non soltanto da unsegno, un’immagine, una raffigurazione, ma anche da atti e comportamenti di singoli e dicollettività nella sfera sociale e pubblica, provocando stupore in chi era affezionato alla concezioneprivata della religione. Una società che si ispiri ancora a Westfalia, e al modello negazionista francese, deve dire no a tuttele religioni del mondo, alla loro simbologia, alle loro specificità. All’opposto, la società cheaccogliente è investita nelle sue pieghe dalla multiculturalità, e finisce col recepire, accettare,disciplinare, comportamenti, simboli e presenze religiose che prima non esistevano. La preghiera

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musulmana recitata in orari determinati, ovunque il fedele si trovi (scuola, posto di lavoro, perfinopubblica via), è accettata, disciplinata. Il velo islamico può essere indossato dovunque, utilizzatoanche per la documentazione anagrafica. L’astensione dal cibo nel ramadan, e le pratichealimentari, sono favorite sul luogo di lavoro, a scuola, in pubbliche istituzioni. I fedeli di altrereligioni sono tenuti ad atti o comportamenti che hanno rilievo sociali, o portano in pubblico i lorosimboli: la Kippa o Yarmulke degli ebrei(33), il turbante e il tradizionale “pugnale” dei Sikh, vestiparticolari per alcune religioni orientali, prescrizioni alimentari diversificate. Per Rita Benigni “leprevisioni di una riduzione dell’orario durante il ramadan, agevolazioni per il pellegrinaggio allaMecca per il compimento delle preghiere giornaliere”, sono favorite dal “pieno dispiegarsi di unatutela positiva del fattore religioso, nel rapporto laburistico”(34), nella scuola e in altri spazi sociali,anche con specifica normativa legislativa o contrattualistica. In Spagna, l’Accordo di cooperazionecon la Comunità islamica di Spagna, riconosce la facoltà dei musulmani di chiedere l’interruzionedel lavoro il venerdì, tra le tredici e trenta e le diciassette e trenta, la conclusone della giornatalavorativa un’ora prima del tramonto durante il ramadan”(35). Convenzioni analoghe sirinvengono in Italia. Le piattaforme per il CCNL, soprattutto nel settore agricolo, prevedono ilnegoziato per la ricezione di particolari esigenze religiose, per il venerdì o il ramadan deimusulmani. Questa previsione generale ha trovato attuazione in alcune province(36), esperienzeanaloghe si diffondono in imprese del nord, con attenzione alle pause di preghiera e alleprescrizioni alimentari dei lavoratori musulmani. In un contratto collettivo dei metalmeccanicisottoscritto nel 2003, in provincia di Bologna, si introducono ferie e permessi per partecipare allefestività islamiche, e nel 1999, in un accordo aziendale, “nel settore metalmeccanico, l’aziendaconsente ai lavoratori non comunitari di usufruire del prolungamento di un’ora della pausa mensa,per partecipare alla preghiera del venerdì, da recuperare obbligatoriamente a fine giornata”(37).Spicca il caso dello stabilimento industriale di Castelgrande di Castelfranco di Treviso, chepermette ai dipendenti di fede islamica di realizzare una piccola moschea nei locali aziendali, perconsentire la preghiera nelle forme previste dal Corano(38). Sono simboli anche questi, chepunteggiano di religiosità ambienti nei quali sono impegnati giovani, donne, lavoratori. Un richiamo specifico merita la questione del turbante dei Sikh e del loro pugnale rituale (kirpan),nei confronti dei quali si è manifestata la tradizionale accoglienza italiana, sia pure senzadeterminazioni conclusive. Il Kirpan, in effetti, costituisce il simbolo della lotta tra il bene e il male,e deve essere sempre “indossato” dai fedeli, anche se, essendo tecnicamente un arma, puòprovocare allarmi e soprattutto in ambienti giovanili potrebbe dar vita ad incidenti magariinvolontari. La giurisprudenza si è espressa per l’ammissibilità del Kirpan dal momento che questonon può “essere qualificato come arma bianca in considerazione sia delle modeste dimensioni dellostesso (come visto sopra lunghezza della lama di cm e lunghezza complessiva di 18 cm) siadell’assenza di filo nella lama (come apprezzabile dalle stesse fotografie in atti)”, e perché “pareragionevole sostenere che l’indagato S.B. avesse un giustificato motivo di portare con sé il propriocoltello “kirpan”, motivo dato dalla professione di un culto religioso”(39). Nell’otticadell’accoglienza anche un timore pere sé legittimo si stempera e cessa di esistere. La questione della multiculturalità permette di trarre alcune conclusioni, osservando cheprobabilmente essa aiuterà l’Europa e l’Occidente a guarire dalle paure del passato, lenire le feritedi antiche guerre tra esclusivismi e diffidenze di Stato e Chiesa. La globalizzazione, e lamulticulturalità, aiuteranno i nostri ordinamenti ad evitare nuove fibrillazioni e conflitticonfessionali, favoriranno una pratica della tolleranza senza più confini di tradizione, cultura,religione. Cedere al negazionismo di fronte alla multiculturalità vorrebbe dire fare la guerra ad ognisimbolo comunque si presenti (ministri del culto nelle strutture pubbliche, preghiere, festivitàreligiose nella scuola, nella comunità di lavoro, o di altro tipo, prescrizioni alimentari, ecc.)portando un po’ tutti a protestare contro lo Stato antireligioso. Diversa l’impostazione se si agisce inun’ottica di laicità positiva che permette presenze e circolazione di simboli, festività, aperta a tuttele confessioni religiose, e tradizioni culturali presenti nel tessuto sociale. D’altra parte Antonio

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Chizzoniti ha rilevato che i livelli di presenza della simbologia sono antichi e numerosi nelle societàoccidentali, e con riferimento all’Italia segnala che “le disposizioni che, a vario livello, consentonol’utilizzo della simbologia religiosa in luoghi pubblici o durante funzioni pubbliche, sono molte dipiù di quelle di cui si dibatte oggi relativamente all’esposizione del crocifisso”(40). Infatti, “non c’èComune d’Italia che non abbia il Santo Protettore e conseguentemente la sua festa e/o sagracorrelata”, soprattutto molte amministrazioni comunali ritengono “opportuno intervenireespressamente sul tema con apposite disposizioni” che regolano la festa patronale, cui si dàrilevanza civile, stanziano fondi per una molteplicità di ragioni (festeggiamenti, iniziative culturali,ecc.)(41). Esempio emblematico di questa tendenza è la Legge 22.II. 2005 n. 6 della RegionePuglia, intitolata Riconoscimento della festa del Santo Patrono quale manifestazione d’interesseregionale”, con la quale la festa in onore del Patrono è riconosciuta come “manifestazione dielevato interesse regionale (…) occasione per coltivare la memoria della sua storia, per attingerealla tradizione di civiltà che nelle comunità locali ha trovato radicamento, per consegnare alle futuregenerazioni il patrimonio di valori civili e spirituali che rappresentano la sua originale identità” (art.1). Per tale motivo, la Regione “a sostegno della salvaguardia delle caratteristiche e delle tradizioniculturali proprie della festa in onore del Santo Patrono, promuove autonome e specifiche iniziativecondotte dagli enti locali e dai comitati delle feste patronali” (art. 3), e decreta che i detti Comitatipotranno accedere a fondi regionali nel limite del 10 per cento della quota eventualmente assegnataad ogni singolo Comune (art. 4). Osserva quindi che “non pare possibile azzerare quelle quote divita religiosa che, senza scomodare le analisi socio-politiche e la questione della mutazione delsacro in “espressioni storico-culturali”, rientrano negli interessi spirituali delle comunità, e chepurché non sviluppate con intento discriminatorio – principio pluralista – possono e di fatto sonotenuti nella dovuta considerazione dalle amministrazioni pubbliche”(42). Le rilevazioni di Chizzoniti mostrano il passaggio qualitativo dal privilegio al pluralismo. Lachiusura dell’ordinamento e la preferenzialità per una sola simbologia porta alla pressione sociale eal privilegio, l’apertura ad altri simboli provoca accoglienza e pluralismo(43): il simbolo cambianatura, non è più diabolikon, ma riflette una identità plurima e rasserenante. Di qui, una ulteriore,decisiva, conseguenza per la quale l’apertura al pluralismo simbolico suggerisce una flessibilitànormativa che rifletta la variegata molteplicità sociale. Si può esporre un simbolo negli spazipubblici (scuole e uffici pubblici) e insieme autorizzare in determinate circostanze la presenza, el’attivazione, di altri simboli e pratiche religiose: spazi per preghiere da parte di credenti di diversiculti, socializzazione di festività di diverse religiose tra i giovani, o memoria di ricorrenze solenni acarattere religioso o culturale. In un’ottica dinamica si può pensare alla possibilità di aggiungerenello spazio pubblico un altro simbolo quando lo richieda la maggioranza dei ragazzi, dellefamiglie, o degli utenti di un determinato spazio pubblico, in un clima di generale riconoscimentodel significato positivo dei simboli, e via di seguito. Su tutto, però, prevale la differenza tra la laicitàdiffidente verso la religione e la laicità positiva e accogliente, come segnala Paolo Cavana quandoosserva che “alla spinta all’uniformità tipica dello Stato nazionale, cui mirava, nell’ambito delprocesso di secolarizzazione delle società europee, anche il principio di laicità-neutralità dellospazio pubblico, si sostituisce il “diritto alla differenza”, che suppone invece forme diriconoscimento pubblico delle differenti identità culturali, religiose o etniche, coesistenti all’internodello stesso territorio”. In questo modo “al tradizionale confronto tra l’aspetto positivo e quellonegativo della libertà religiosa, tipico di società culturalmente omogenee e risolto nelle democrazieliberali con il primato assegnato alla libertà di coscienza, tende ad affiancarsi la logica del“riconoscimento”, che induce a riconsiderare la valenza identitaria dei simboli o segni religiosicome strumenti di esercizio della libertà di espressione, individuale e collettiva e di partecipazionedell’individuo alla vita della comunità”(44). Con riferimento alla multiculturalità(45), unaconcezione bellicosa del simbolo religioso induce a considerazioni catastrofiche, perché “si direbbeche la paradossalità sia inscritta nello stesso meccanismo del simbolo, che, come spiegal’etimologia, “unisce” e “mette insieme” (syn-ballo) coloro che in esso e tramite esso si

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riconoscono, eppure allo stesso tempo “divide” e “separa” (dia-ballo) coloro che in quel simbolonon si riconoscono, sortendo così un effetto diabolico, per cui esibire un simbolo in una societàmulticulturale può significare per gli uni (la maggioranza) voler rafforzare il patto sociale, per glialtri (la minoranza) volersi esentare dal patto sociale e fare secessione”(46). Ma proprio questoconferma che il simbolo per sé è neutro, e i suoi effetti sono positivi o negativi a seconda di comeviene usato, o come lo si avverte psicologicamente, secondo una logica antagonista, o un’altra diaccoglienza ed empatia.

Note e bibliografia

1. S. MANCINI, Il potere dei simboli, i simboli del potere. Laicità e religione alla prova delpluralismo, Cedam, Padova, 2008, p. 9.

2. S. MANCINI, Il potere dei simboli, cit., p. 9. 3. S. MANCINI, Il potere dei simboli, cit., p. 9. 4. A. MORELLI, A. PORCIELLO, Verità, potere e simboli religiosi, Comunicazione al

Convegno annuale dell’Associazione Italiana dei Costituzionalisti su Problemi della laicitàagli inizi del secolo XXI (Napoli, 26-27 ottobre 2007).

5. S. FERRARI, Individual Religious Freedom and National Security in Europe AfterSeptember 11, in Brigham Young University Law Review, 2004, p. 357.

6. V. PACILLO, Diritto, potere e simbolo religioso nella tradizione giuridica occidentale, inAA.VV., Simboli e comportamenti religiosi nella società globale, a cura di M. Parisi, ESI,Napoli, 2006, p. 192. Aggiunge Pacillo che “per svolgere appieno la loro funzione, i simbolidel potere hanno bisogno del diritto. Perché il simbolo del potere possa trasmettere il suomessaggio al maggior numero di consociati, la sua ostensione deve essere comandata da attiimperativi che ne impongano la presenza su documenti, in locali pubblici, ovvero incerimonie ufficiali” (p. 194).

7. Il divieto vale anche per le attività destinate a svolgersi fuori dei locali dell’istituto (gitescolastiche, corsi di educazione fisica), al punto che di recente il Tribunale di Montreuil hariconosciuto legittimo il divieto di portare il velo riferito alla madre che accompagnava ilfiglio in attività scolastiche esterne, con la motivazione che in queste circostanze i genitoripossono essere considerati come “funzionari di fatto”. Sulle scelte francesi, in generale, cfr.P. CAVANA, I segni della discordia. Laicità e simboli religiosi in Francia, Giappichelli,Torino, 2004, p. 110 ss.

8. P. CAVANA, I segni della discordia, cit., p. 105. 9. P. CAVANA, I segni della discordia, cit., pp. 107,108. 10. P. CAVANA, I segni della discordia, cit., p. 177. 11. P. CAVANA, I segni della discordia, cit., p. 179. Nel Rapporto del 2003 diverse

manifestazioni di religiosità, che si vanno moltiplicando nella società multiculturale, sonoavvertite come pericoli per la laicità, e interpretate come tensioni da eliminare. Destastupore, tuttavia, il fatto che alcuni problemi che possono essere agevolmente risolti (e chesono risolti, come si vedrà più avanti, in un contesto di laicità positiva e accogliente) sonointerpretati in una logica di conflittualità e di attentato alla laicità dello Stato. Ad esempio,“a scuola, l’uso di un segno religioso vistoso (ostensibile) – grande croce, kippa o velo – èsufficiente a turbare la quiete della vita scolastica. Ma le difficoltà riscontrate trascendonoquesta vicenda eccessivamente mediatizzata. In effetti, il normale andamento scolasticoviene alterato anche dalle domande di assenze sistematiche per un giorno alla settimana, odall’interruzione di corsi ed esami per motivi di preghiera o di digiuno. (…) L’ospedale nonè più risparmiato da questo tipo di contestazioni. (…) Più di recente si sono moltiplicati icasi di rifiuto, da parte di mariti o di padri, per motivi religiosi, di lasciare che lo loro sposeo figlie siano curate o assistite durante il parto da medici di sesso maschile. (…) Nelle

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carceri sono emersi un gran numero di problemi. (…) In un ambiente in cui la pressionecollettiva è molto forte, si esercitano pressioni sui detenuti perché si sottomettano adeterminate prescrizioni religiose. In occasione delle loro visite, le famiglie e gli amici deidetenuti sono vivamente “incitati” ad adottare una tenuta “religiosamente corretta”. Inquesto clima di tensione l’amministrazione penitenziaria può essere tanta, al fine dimantenere l’ordine all’interno della prigione, di procedere a dei raggruppamenti comunitari”(ivi, p. 198-200).

12. E. OLIVITO, Laicità e simboli religiosi nella sfera pubblica: esperienze a confronto, inDir. Pubb., 2004, p. 551. Sull’argomento, A. G. CHIZZONITI, Cerimonie, ordine delleprecedenze, festività civili e religiose. Casi particolari di uso pubblico di simbologiareligiosa, in AA.VV., Simboli e comportamenti religiosi nella società globale, cit., p. 82 ss.

13. Gentile accede alla interpretazione dei simboli come strumenti proselitici della politica odella religione, ritenendo che la “religione secolare” è “un sistema, più o meno elaborato, dicredenze, di miti, di riti e di simboli, che conferisce carattere sacro ad un’entità di questomondo, rendendola oggetto di culto, devozione e dedizione” (E. GENTILE, Le religionidella politica. Fra democrazie e totalitarismi, Laterza, Roma-Bari 2001).

14. L. LOMBARDI VALLAURI, Simboli e realizzazione, in E. Dieni, A. Ferrari, V. Pacillo (acura di), Symbolon/Diabolon. Simboli, religioni, diritti nell’Europa multiculturale, ilMulino, Bologna, 2005, p. 14.

15. L. LOMBARDI VALLAURI, Simboli e realizzazione, cit., p. 17. 16. E. DIENI, Simboli, religioni, regole e paradossi, in AA.VV., Simboli e comportamenti

religiosi nella società globale, cit., p. 103. 17. In Corriere della Sera, 7 novembre 2009. 18. N. GINZBURG, Quella croce rappresenta tutti, in L’Unità, 22 marzo 1988. 19. In La Repubblica, 6 novembre 2009. 20. In La Repubblica, 29 ottobre 2003. 21. Linch v. Donnelly, 465 U.S. 685-686 (1984). In senso critico, cfr. S. MANCINI, Il potere

dei simboli, i simboli del potere, cit., p. 56. 22. Cons. Stato, sez. II, parere 27 aprile 1988, n. 63, in Quad. dir. pol. eccl., 1989, 1, p. 198. 23. Cfr. B. ALAEZ CORRAL, Sìmbolos religioso y derecho fundamentales en la relación

escolar, in Revista Española de Derecho Constitucional, n. 67, 2003, p. 89 ss. Con sentenzadel 3 giugno 1991 la Corte costituzionale bavarese ha ritenuto che “con la rappresentazionedella croce come icona della sofferenza e della autorità di Gesù Cristo (ci si confronta) conuna visione religiosa diffusa in cui si afferma il potere formativo delle credenze cristiane”; ilcrocifisso, quindi, non costituisce “l’espressione di una convinzione legata ad una specificaconfessione, piuttosto un oggetto essenziale della tradizionale generale cristiano-occidentale”, e in quanto tale “non richiede né l’identificazione con le idee e le credenze cheessa incorpora, né alcun’altra forma di comportamento attivo orientato in questo senso”.

24. Prosegue la Relazione: “altrettanto, se in un Paese esistono tradizioni culturali legate afestività religiose – in Italia a festività natalizie, al culto mariano, ad altre ricorrenze – nellascuola, in ambienti giovanili o in altri momenti della vita associativa, volerle eliminarevorrebbe dire proprio intaccare quella ricchezza multiculturale che si vuole invece tutelare epromuovere. D’altronde, nessuno ha mai pensato di eliminare le statue di Buddha nei Paesinei quali ilo buddismo vanta una lunga tradizione, o di cancellare festività nazionali chehanno una chiara impronta religiosa riferibile alla religione di maggioranza”.

25. La tendenza negativista spinge a volte ad involontari settarismi, ad esempio ritenendo ilcrocifisso come simbolo del “cattolicesimo”, secondo quanto affermato dalla Sentenza dellaCorte di Strasburgo del novembre del 2009. Si tratta di settarismi incomprensibili perchél’affermazione non è esatta né sul piano scritturale né sul piano dei fatti, perché il crocifissoè simbolo eminente del cristianesimo ortodosso e di quello cattolico, mentre la croce è

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espressione del cristianesimo nel suo complesso, compreso quello riformato-protestanteSull’argomento, più ampiamente, C. CARDIA, Identità religiosa e culturale europea. Laquestione del crocifisso, Allemandi & C, Torino, 2011, p. 62 ss.

26. Cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Coronation_of_the_Britisch_monarch. Cfr. anche M. EVE,Dentro l’Inghilterra. Ragioni e miti di un’identità, Marsilio, Venezia, 1990; P. RAPELLI,Simboli del potere e grandi dinastie, Electa, Roma, 2004.

27. http://www.hakeillah.com. 28. S. MANCINI, Il potere dei simboli, i simboli del potere, cit., p. 26. 29. La negazione più recisa del carattere culturale del simbolo religioso viene dalla Corte

costituzionale federale tedesca quando nel 1995 sostiene che la croce “appartiene ed èsempre appartenuta ai simboli specifici della cristianità, di cui costituisce il simbolo di fede.Essa iconografizza la redenzione dal peccato originale attraverso il sacrificio e la morte diCristo e al tempo stesso la vittoria di Cristo su Satana e la sua autorità sul mondo, la suasofferenza e il suo trionfo al tempo stesso. Profanare la croce, attribuendole meramente ilsignificato di espressione della tradizione occidentale, o di generico segno di culto senzaspecifiche implicazioni di fede, come fa la decisione in oggetto (della Corte bavarese),significherebbe contraddire l’autocomprensione stessa della cristianità e della chiesa”.

30. L.-L. CHRISTIANS, La legge civile come simbolo religioso: dalla genealogia dellanorma alla logistica della destigmatizzazione, in AA.VV., Simboli, religioni, dirittinell’Europa multiculturale, cit., pp. 63-64.

31. Sull’argomento, C. CARDIA, Manuale di diritto ecclesiastico, cit., p. 223 ss.; P. LILLO,Concordato, “accordi” e “intese”tra lo Stato e la Chiesa cattolica, Giuffrè. Milano 1990;AA.VV., Minoranze, laicità, fattore religioso, a cura di R. Coppola e L. Troccoli, Cacucci,Bari, 1997. Per i contenuti essenziali delle Intese (che, nella sostanza, sono molti simili) cfr.V. PARLATO, Le Intese con le confessioni acattoliche, Giappichelli, Torino, 1991.

32. A. GLUCKSMANN, La terza morte di Dio (2000), Liberal, Roma, 2004, p. 173. 33. Sulla tradizione ebraica, e le diverse interpretazioni, cfr. A. MAOZ, La luna e Maimonide.

La tradizione giuridica ebraica tra simboli naturali, ermeneutica dei comandi divini eKabbalah, in AA.VV. Simbolon/diabolon, cit., p. 65 ss. Tra gli ebrei riformati e conservativianche le donne indossano la Kippah, mentre l’uso del capo coperto, ma con la kippah èproprio delle donne sefardite di rito orientale.

34. R. BENIGNI, L’identità religiosa nel rapporto di lavoro. La rilevanza giuridica della“fede” del prestatore e del percettore d’opera, Jovene, Napoli, 2008, p. 62.

35. Cfr. R. BENIGNI, L’identità religiosa nel rapporto di lavoro, cit., p. 63 ss. Il testo riportaaltre esperienze di accoglienza delle pratiche religiose nell’ambito laburistico.

36. Cfr. art. 8, Contratto integrativo provinciale operai agricoli e florovivaisti per la prov. diRagusa, gennaio 1996/ dicembre 1999, gennaio 2000/dicembre 2003, inwww.cgil.it/flai.sicilia/contrattoRG.htn.

37. R. BENIGNI, L’identità religiosa nel rapporto di lavoro, cit., p. 64. 38. Cfr. A. MANTINEO, Le festività religiose verso l’inclusione tra i diritti all’obiezione di

coscienza e le tentazioni di pluriconfessionismo particolaristico (che può leggersi all’urlwww.unicz.it/lavoro/MANTINEO/htm, 14 novembre 2001, 1, 6).

39. Trib. pen. Vicenza, Decreto di archiviazione 28 gennaio 2009, cit. da AA.VV., Simboli epratiche religiose nell’Italia “multiculturale”, a cura di A. De Oto, Ediesse, Roma, 2010, p.156.

40. A.G. CHIZZONITI, Cerimonie, cit., p. 83. 41. A.G. CHIZZONITI, Cerimonie, cit., p. 94. 42. A.G. CHIZZONITI, Cerimonie, cit., p. 99. 43. Paolo Cavana rileva una singolarità nella giurisprudenza della Suprema Corte degli Stati

Uniti quando ha ritenuto incostituzionale, in occasione delle festività natalizie, una

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rappresentazione della Natività cristiana recante l’annuncio dell’angelo: “Gloria in ExcelsisDeo”, posta sulla grande scalinata del tribunale di contea della città di Pittsburgh, nella parteprincipale e visibile dell’edificio, mentre ha ritenuto ammissibile l’esposizione di un grandecandelabro della tradizione ebraica (Chamukah menorah) situato all’esterno dell’edificio delComune accanto ad un grande albero decorato di Natale (Christmas tree). Ciò perché,mentre nel primo caso il messaggio religioso cristiano appare inequivocabile e lacollocazione isolata e centrale della rappresentazione suggerirebbe il sostegno del governoad una particolare religione, nel secondo la collocazione del simbolo di una festività ebraicaaccanto ad un altro di dimensioni maggiori e di significato secolare (l’albero di Natale), cheoccupa la posizione preminente sulla scena, escluderebbe un simile effetto (P. CAVANAModelli di laicità nelle società pluraliste. La questione dei simboli religiosi nello spaziopubblico, in AA.VV. Simboli e comportamenti religiosi nella società globale, cit., p. 70.L’indirizzo è criticabile, eppure esso coglie a livello elementare l’elemento di cui si parla neltesto, nel senso che un simbolo da solo è privilegio, due simboli insieme già superano il datonegativo e riflettono un pluralismo minino.

44. P. CAVANA Modelli di laicità nelle società pluraliste, cit., p. 77. Sulla problematica piùgenerale del riconoscimento cfr. C. TAYLOR, La politica del riconoscimento, in J.HABERMAS, C. TAYLOR, Multiculturalismo. Lotte per il riconoscimento, Feltrinelli,Milano, 1998.

45. Sull’argomento, G. CASUSCELLI, Dal pluralismo confessionale alla multireligiosità: ildiritto ecclesiastico e le sue fonti nel guado del post-confessionismo, in AA.VV.,Multireligiosità e reazione giuridica, a cura di A. Fuccillo, Giappichelli, Torino 2008, p. 61ss.

46. E. DIENI, Simboli, religioni regole e paradossi, in AA.VV., Simboli e comportamentireligiosi nella società globale, cit., p. 102. Cfr. sull’argomento R. HEYER, G.-R. SAINT-ARNAUD, Pluralismo, simboli e sintomo, in AA.VV., Symbolon/diabolon. Simboli,religiosi, diritti nell’Europa multiculturale, cit., p. 35 ss.

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PUO' LA TEOLOGIA ESSERE SCIENZA?

Érico João Hammes,Prof. Dr. da Faculdade de Teologia da PUCRS.

Abstract: The question on the scientific aspect follows the Theology since a long time. The replydepends on what it is understood about science, the capacity of the Theology in adjusting it to thedemanded criteria and to the interests. An understanding of science as relation between subject andreality, surpasses the presumption of an absolute objectivity and neutrality. The Theology, in itsproper scientific aspect, related with a community is, however, essentially free. As partner ofdialogue with other sciences, it can contribute in the formulation of the ethics and the sense oftotality. Thus the Theology is situated between human hermeneutic sciences and as a contrastscience. It also has its own object and method compared with the sciences of the religion.

Key words: Theology; Theology as science; Theology and human sciences.

A Teologia é uma polêmica científica. No mais tardar desde Tomás de Aquino (séc. XIII), sabe-seque a Sacra Doctrina, como então se chamava, é ciência em sentido polêmico. A primeira questão(Quaestio) da Suma Teológica, dedicada à natureza da Teologia, em seu segundo artigo, discuteespecificamente a pergunta sobre a cientificidade da Teologia (cf. STh I, q. 1, a.2). Embora deperspectiva distinta da atual, não deixa de responder à objeção da falta de autonomia ante osprincípios de fé, nos quais se baseia. Nisto, porém, segundo Tomás, a Teologia é parecida com ageometria e a música, ambas construídas a partir da aritmética. O advento das ciências positivas,contudo, radicalizou a pergunta pela cientificidade, com a exigência da verificabilidade. Doravante, ciência será fundamentalmente sinônimo de objetivação e controle.Do Iluminismo para cá, sobretudo com a proclamação da separação e desvinculação da Igreja frenteao Estado, aparece um novo componente. O Estado não pode comprometer-se com assuntos dereligião, e menos ainda de confissão. Como a Teologia, muitas vezes, não tem condições de situarsefora do ambiente eclesiástico, foi retirada ou retirou-se dos sistemas oficiais de ensino e pesquisa.Em alguns países, por conseguinte, aceitamse os estudos de religião, mas não os de Teologia. Ofenômeno da religião é público e pode ser tratado em analogia com outras manifestações sociais ouculturais, enquanto a Teologia, por sua vinculação confessional, só seria acessível a iniciados.Em contraposição, também as Igrejas muitas vezes se enclausuraram em seu mundo, nãopermitindo que a sociedade participasse de suas pesquisas. Embora aceitando ser a Teologiaciência40, não raro a reduziram a um discurso interno, em diálogo apenas fictício com osinterlocutores externos. Outras vezes, até mesmo a Teologia como tal é recusada, por representarum pretenso risco à fé. Ora, se nem mesmo a comunidade cristã dá espaço à liberdade de pesquisa,ou teme suas conseqüências, o caráter científico de sua Teologia está comprometido na raiz. UmaTeologia reduzida, ou uma Teologia sem liberdade, dificilmente pode argumentar a seu favor, emtermos científicos, mesmo atendendo formalmente às exigências de método e rigor. Sem seentenderem como parte do todo maior e eximindo-se da responsabilidade pública, as Teologias

40 A pergunta pela cientificidade da Teologia geralmente é abordada nas obras de introdução àTeologia. Insistindo na relação à Igreja e ao Magistério, no caso da Teologia Católica, nem semprese deixa clara sua distinção essencial frente aos mesmos. Freqüentemente observa-se uma tendênciaa limitar seu papel à explicação da doutrina, sem levar em conta sua tarefa criativa e dialogal.

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assim reduzidas tendem a ser tautologias da própria fé e de seus sistemas de crença. Em seu auto-isolamento preferem dispensar a exposição de sua convicções ao debate, devido ao risco daliberdade de profissão de fé.Assim, nem sempre os verdadeiros motivos da resistência à inclusão da Teologia entre as ciênciassão de ordem objetiva. Preocupações de natureza estratégica, econômica ou prática, interferem nasdecisões definidoras.De toda maneira, a sociedade está em seu direito, quando, ao eleger suas prioridades, umdeterminado campo de saber não aparece como relevante. A definição de relevância, contudo, passapela autocompreensão da sociedade. As escolhas baseiamse no que pretende de si mesma, como seentende e se projeta no futuro, e como quer seus membros. Fazer escolhas econômicas oucientíficas é escolher-se e definir-se em termos de valores, conceitos e modo de ser. Entram nessasopções percentuais de investimento, sistemas de ensino, filosofia educacional, objetivosestratégicos e assim por diante.No momento em que, em muitos lugares, no mundo, a educação superior e a pesquisa estãopassando por avaliações e transformações, também a Teologia precisa dar conta de si mes ma. Suasituação, no entanto, não é igual em toda parte. Enquanto em vários países da Europa, e também deoutros continentes, há séculos integra o quadro das ciências, participando da origem dasuniversidades, no Brasil foi reconhecida apenas a partir dos anos 80, como pós-graduação, e, em1997, como curso superior. Sua exclusão do quadro dos campos de saber oficiais, em vários países,com base na laicidade do Estado, tende a ser ampliada.Para contribuir ao debate atual, presente nos âmbitos acadêmicos do Brasil, propõem-se aquifundamentalmente três questões: Como está a situação da ciência? É possível entender a Teologiacomo científica? Haverá alguma contribuição relevante da Teologia para o mundo das ciências?

1 A pergunta pela cientificidade da ciência

Sem querer entrar na história da evolução do conceito, pode adotar-se como uma característicaessencial da ciência sua habilidade de aproximação metódica e rigorosa da realidade, com vistas àsua apropriação para uso. Mesmo quando não se veja uma finalidade prática imediata, aaproximação da realidade quer, em última análise, capturar os aspectos relevantes de controle paraservir ao ser humano, ao seu conforto, seu bem-estar ou à sua ilustração.A partir dessa definição, a ciência aparece em sua característica de relação às coisas, objetos, quelhe garantem objetividade41.Postula, essa mesma característica, a verificabilidade por outros sujeitos, e, em caso ideal, livre dainfluência de condicionamentos subjetivos e pressupostos não-verificáveis ou indemonstrados.Ao mesmo tempo que o sujeito (cientista) quer aproximar-se do objeto, só poderá garantir aobjetividade de suaaproximação (conhecimento), neutralizando sua qualidade de sujeito e seuspressupostos. Em outros termos, levado ao extremo, o ideal do conhecimento objetivo consiste nasupressão do sujeito e da sua interferência na apreensão do que está fora dele. Ora, essa supressãosignifica a negação da própria finalidade da ciência, que consiste na relação de um sujeito com arealidade. A ciência absoluta significaria a impossibilidade de qualquer ciência pela negação dosujeito. Por conseguinte, a ciência é possível se, e tão-somente se, mantiver a tensão controlada econsciente entre sujeito e objeto.O estágio atual de complexidade do real e da amplitude do conhecimento evidencia a fragilidade dapretensão de um conhecimento sem pressupostos. A interdependência nos processos de produção deconhecimento (grupos de pesquisa intercontinentais) exige uma relação de confiança para além da

41 Desnecessário lembrar que essa objetividade é sempre uma aproximação mediada –epistemologicamente qualificada de realismo – e nunca uma coincidência com o real – realismoingênuo – (cf., a propósito, LAMBERT, Dominique. Ciências e Teologia: aspectos de um diálogo.São Paulo: Loyola, 2002, p. 26-32).

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própria capacidade de verificação. As décadas recentes da pesquisa e desenvolvimento, no Brasil,demonstraram o quanto a autosuficiência, o estreitamento de horizonte e a reserva de mercadopodem prejudicar o avanço tecnológico. De outro lado, a simples competência tecnológica, isoladade critérios dialogados e acordados de uso, coloca em risco os próprios resultados da ciência.O enriquecimento de urânio, para fins bélicos, ou mesmo o abuso da energia atômica, para fins“pacíficos”, colocam a biosfera com todos os seres vivos diante de riscos iminentes (acidentes emusinas, submarinos, lixo atômico e assim por diante).Dir-se-á que os próprios cientistas encontrarão o caminho para seu controle. E pode ser verdade.Albert Einstein, Bertrand Russell e quantos outros não aceitaram a simples transferência da fórmulaao laboratório ou do laboratório à indústria. No entanto, a subserviência ou a falta de percepçãoconduziu a humanidade à beira do colapso. Uma ciência descuidada do sujeito perde suaobjetividade. Mais do que nunca a ciência hoje não pode conten tar-se em ver para crer. O ver podeser fatal. A ciência carece de consciência42 para continuar sendo ciência.A redução do conceito de ciência, a partir das ciências positivas, à verificabilidade edemonstrabilidade não é mais sustentável. Para ser e se manter como ciência, a ciência precisa maisdo que ser positiva: precisa ser viável. A cientificidade consiste em aceitar a complexidade do serhumano em sua aproximação do real. A linguagem, o direito, a matemática, o pensamento abstrato,as tateantes hipóteses, para entender os comportamentos da economia e do mercado, são tantasoutras formas de relação construtiva com a realidade.Um segundo problema com o qual as ciências se deparam é a liberdade. Enquanto atividadehumana, a ciência precisa ser livre para investigar e debater. A coerção ou a repressão inibem osentido humano da pesquisa. Diferente é o problema do interesse43.Liberdade e neutralidade são categorias diferentes que têm papel distinto. Enquanto a primeiragarante o desempenho livre da busca da verdade, a segunda suporia uma total inocência.

2 A Teologia como ciência

A questão da cientificidade da Teologia, no debate atual, depende, em primeiro lugar, de umconceito aberto de ciência, capaz de abranger áreas de pesquisa e metodologias diferentes dasmeramente positivas. A própria Teologia precisa aceitar as demais ciências como parceiras,abdicando da presunção histórica de superioridade frente aos demais campos do saber ou a umregime de tratamento excepcional44. Embora, no passado, gozasse de certos privilégios, foi aTeologia quem soube compreender, antes das instâncias hierárquicas, a relevância dos métodospositivos de apreensão da realidade. Foi graças às mentes abertas e rigorosas, formadas na Teologia,e informadas do estágio de desenvolvimento científico, que os preconceitos e os juízos arbitráriospuderam ser superados. Observa-se, com razão, que também as ciências modernas não surgiram emoposição à Teologia, mas como um caminho a mais para ler a obra da criação.O problema da cientificidade da Teologia tornou-se agudo, no período iluminista, quando sepretendia garantir a total liberdade de investigação, rompendo com a tutoria eclesiástica. OPositivismo de Augusto Comte veio reforçar essa tendência, ao reduzir as ciências aos métodospositivos. A própria Teologia, ocasionalmente, se recusou a aparecer como ciência, por desprezar asciências. Foi assim no início do Cristianismo e foi assim também na Reforma. Ora, adesqualificação da Teologia como ciência pode conduzir, paradoxalmente, ao desprezo de qualquer

42 Cf. MORIN, Edgar. Ciência com consciência. 2. ed. Rio de Janeiro: Bertrand Brasil, 1998.43 Cf. HABERMAS, Jürgen. Conhecimento e interesse. Rio de Janeiro: Ed. Guanabara, 1987.44 Por concordatas, pelo caráter confessional da instituição em que se encontra ou por interessesespeciais do Estado, a Teologia muitas vezes reivindica ou goza de um tratamento excepcional,eximindo-a ou impedindo-a de ser tratada como uma ciência entre as outras (cf. WILFRED, Felix.Teologia na universidade moderna. Qual especialização? Concilium, fasc. 315, p. 174-184, 2006,esp. p. 177).

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ciência. Na medida em que as comunidades humanas se entendem como totalidades, suaexpectativa tende a incluir as várias dimensões da existência. Excluir a Teologia, como um dosmomentos de reflexão, em sociedades onde a ciência era privilégio de poucos, tinha um impactomenor; mas, na sociedade atual, marcada pela pesquisa e desenvolvimento, a exclusão da Teologiacorresponde à supressão de uma parte da vida. De outro lado, o seu reconhecimento atesta ainclusão da ciência na vida.

3 De que maneira a Teologia é ciência

O problema de ser ou não ciência não é privilégio da Teologia. O questionamento do caráter deciência, por razões diversas, atinge também a Filosofia, o Direito, Ciências Sociais e até mesmo aMedicina. Como foi dito acima, a primeira questão é aceitar um conceito de ciência suficientementeamplo, para dar conta da realidade e dos caminhos de apreensão da mesma.No caso particular da Teologia, um dos argumentos mais comuns, que ainda hoje se ouvem comfacilidade, seria o fato de estar baseada em crenças, ao contrário da ciência que procede mediantedemonstrações. Ora, todo esforço da Teologia, em dois mil anos de história, consistiu sempre emdistinguir-se da crença.A Teologia se define como lógos da fé e não como fé. A autoridade das suas conclusões e dos seusresultados vem da força dos argumentos e dos dados capazes de convencer, inclusive dando forma esentido novos ao conteúdo do crer. Em sua origem, a Teologia quis ser um espaço para dialogarcom o pensamento e a cultura circundante45. É verdade que, após o período áureo da Idade Média,especialmente na Modernidade, houve um isolamento em muitos lugares. Nem se deve esquecer,porém, que foi a partir da Teologia e do pensamento por ela influenciado que se desenvolveram osprimeiros conceitos de direitos dos povos (Francisco de Vitória, na Espanha). Dependesse apenasdas crenças, o Cristianismo colonial teria sancionado monoliticamente a empresa colonialista comtodos os seus efeitos. De outro lado, a precariedade teológica e a subserviência às crençasmantiveram a legitimação do tráfico de escravos, quase sem críticas.

4 Como qualificar, então, a cientificidade da Teologia?

Para ser reconhecida como ciência, na sociedade aberta e pluralista, de separação entre Igreja(religião) e Estado, a Teologia precisa dar conta de ao menos quatro condições: estatutoepistemológico próprio, liberdade de pesquisa, inserção científica e relevância pública. Em suaestrutura fundamental, Teologia expressa a relação entre a inteligência e a fé, ciência da fé. É ummétodo de apropriação daquele aspecto humano chamado crença, enquanto dimensão existencialsubjetiva e social, vivida e recebida, em sua relação com a sociedade e a realidade. Seu objetoimediato, a fé, no entanto, não é – como poderia fazer crer uma concepção apenas intelectualista –sinônimo de irracionalidade e sim de confiança em alguém, de fidelidade. É ato de racionalidadeaberta e acolhedora, que não é apenas compatível com pesquisa, mas lhe é intrínseca e inerente, aexemplo de qualquer outra realidade humana.Tecnicamente a Teologia se compõe de dois momentos: o momento da recepção e o momento dareflexão. A recepção consiste essencialmente em situar-se numa determinada comunidade de fé46.Esse momento dificilmente poderia ser considerado científico.A opção por uma determinada religião e confissão depende de fatores quase nunca demonstráveis.Sob esse ponto de vista, é comparável a escolhas e pertenças partidárias ou a escolhas de amizade eamor. A aceitação de princípios pré-teológicos, e que poderão ser ou não objeto de sustentação

45 Cf., p. ex., HÜNERMANN, Peter. Was heißt es heute, Theologe zu sein? TheologischeQuartalschrift, Tübingen, v. 183, p. 239-246, 2003.46 Ainda que de fato existam estudiosos de Teologia não-vinculados confessionalmente, pordefinição Teologia implica a confessionalidade.

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teórica, não é ainda, propriamente falando, Teologia. É na reflexão que se explicita o caráter deciência da Teologia. Com a ajuda de métodos de pesquisa histórica, são estabelecidos criticamenteos textos, por exemplo, que são tidos por normativos47. É o momento desconstrutivo, no qual oconteúdo da fé se desvencilha das armadilhas de irracionalidade ou da a-socialidade. Procuram-seas estruturas profundas que levam o ser humano a crer e significar a sua fé na linguagem dosímbolo, do mito e do rito. Sem abdicar da linguagem religiosa, a Teologia é capaz de distinguir seusignificado real da forma que o reveste.Com critérios semelhantes, procura estabelecer uma primeira compreensão do texto em seucontexto histórico e social.Trata-se da leitura crítica e da interpretação, segundo as regras gerais aplicáveis. Servindo-se deconceitos elaborados com a ajuda da Filosofia, é possível ler e capacitar para a leitura einterpretação, conforme as exigências da realidade e em consonância com o sentido estabelecidocientificamente. Trata-se do momento reconstrutivo, no qual a circularidade hermenêutica entre asdemais ciências e os textos (e crenças) estabelecidos criticamente produz uma nova compreensão dafé enquanto conteúdo e exigência prática48.A segunda condição a ser preenchida pela Teologia, para responder por seu caráter científico, é a daliberdade de pesquisa. A ciência só pode existir na liberdade para estudar e investigar.De fato, sabe-se o quanto a liberdade pode ser condicionada, em todos os campos do saber: dotaçãode recursos, interesses políticos, ideológicos, e objetivos estratégicos. Exigir liberdade de pesquisapara a Teologia não significa, então, total isenção de mecanismos limitadores. O problema que narealidade se apresenta, e lhe é peculiar, vem de sua vinculação à comunidade de fé. Como, noentanto, é a própria fé que exige a pesquisa, o cerceamento da liberdade, vindo da fé, revela-secontraditório49. A recorrente intervenção de autoridades eclesiásticas, e a eventual censura, nãojustificam a negação da liberdade em princípio, mas debitam-se a conjunturas mais ou menosfavoráveis. Como em qualquer outra comunidade científica, também na Teologia, em tese, a buscada verdade, ou a compreensão de uma realidade, se faz coletivamente, sendo a rejeição de posiçõesincongruentes um efeito da produção de evidências diferentes. A afirmação da liberdade depesquisa, nas condições da sociedade atual, obviamente inclui a defesa do pluralismo teológico.Não se poder falar simplesmente de a Teologia, no singular. Teologia se caracteriza por uma atitudede diálogo envolvendo, não apenas confissões e religiões diferentes, mas também culturas eciências distintas.

47 Cf., p. ex., DUQUOC, Christian. A Teologia no exílio, p. 90-93.48 Essa posição, sugerida, entre outros, por C. DUQUOC, em termos de “escuta respeitosa” e“cumplicidade, sem comprometimentos” (cf. op. cit., p. 100), coloca a Teologia no mesmo planodas demais ciências, nem acima, nem abaixo e nem em perspectiva privilegiada, mas em parceriadialogal. Dominique LAMBERT, como se verá em seguida, seguindo Jean LADRIÈRE (Ladrière,Jean. A articulação do sentido. São Paulo: EPU, 1977) propõe a relação em termos de articulação.Clodovis BOFF, nesse sentido, embora falando em diálogo, interlocução e relação democrática,parece ainda requerer um espaço especial à Teologia, na medida em que as demais ciências são“mediação” (cf. Teoria do método teológico, p. 358-389). O conceito de mediação é adequadocomo método de produção de conhecimento para a Teologia, mas não como relação com as demaisciências.49 Aqui poderiam aduzir-se as diferentes referências de documentos oficiais da Igreja Católicaafirmando a liberdade de pesquisa em Teologia. Resguardada a unidade nas coisas necessárias,aceita-se a liberdade “na elaboração da verdade revelada” (CONCÍLIO VATICANO II. UnitatisRedintegratio, n. 4). À semelhança dos estudiosos de outras disciplinas “os teólogos gozam tambémda mesma liberdade” (JOÃO PAULO II. Constituição apostólica sobre as universidades católicas,n. 29). A liberdade de pesquisa é condição de avanço em base ao diálogo e disponibilidade paraacolher a verdade (cf. CONGREGAÇÃO PARA A DOUTRINA DA FÉ. Instrução sobre a vocaçãoeclesial do teólogo, n. 11-12; comparar com n. 32-41, sobre o dissenso).

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Daí a pluralidade de Teologias, a exemplo do que ocorre quanto ao pluralismo em outras ciências.A terceira condição de cientificidade da Teologia é a inserção científica. Exprime a relação Teologiae ciências. Em primeiro lugar, a Teologia participa do destino das ciências, como uma espécie desintoma. Tradicionalmente, sua afinidade maior se dá com as humanas e, dentre essas, a Filosofia. Afragilização do reconhecimento destas envolve também aquela. Em segundo lugar, poderelacionarse com as demais ciências. Pode propor-se um modelo de articulação em lugar deconcordismo e discordismo50. O modelo concordista da relação com as ciências consiste em fazerdas ciências um caminho teológico imediato, ao estilo de provas matemáticas da existência deDeus. O modelo discordista separa os mundos das ciências positivas e teológicas, na forma delaboratório sem fé. Nesse modelo, o cientista pode ser uma pessoa de fé, mas esta fica do lado defora. E a Teologia se esconde em seu próprio mundo, na melhor das hipóteses, julgando atos eatitudes sem conhecimento de causa. A atitude mais adequada da Teologia, como ciência, para comas congêneres, parece a de articulação, mediante a presença recíproca e o diálogo aprendente. Ao serelacionar com as demais ciências, a Ciência da Fé se deixa interpelar e pode contribuir,especialmente no âmbito do sentido e do alcance das pesquisas em curso51. No momento atual, nãose pode omitir a referência à contribuição no campo da Ética. Descartada qualquer pretensãomonopolizadora, a Teologia é especialista qualificada para estudar e debater as implicações éticasda pesquisa e da tecnologia52.Em conclusão, a Teologia, por seu método e conteúdo, está entre as ciências humanas, e pode serentendida como uma ciência hermenêutica, na medida em que seu objeto são textos e tradiçõesaceitos por comunidades humanas como normativos de sua existência53. Cabelhe a tarefa educativade relacionar esses textos com a realidade e, com os recursos das outras ciências, mediar o diálogoentre as demais visões de mundo, garantir a paz religiosa, relativizar os absolutismos políticos,econômicos e sociais, e prevenir os fundamentalismos e a intolerância. É o que se poderia designarde papel universalizador da Teologia.Ao lado desse papel, e talvez mais importante, seja uma outra contribuição da Teologia para asdemais ciências: a de ser uma ciência contrastante. O conceito remonta a G. Lohfink, ao falar doCristianismo como sociedade de contraste54. Ser contraste das demais ciências significa ter umafunção reveladora, a exemplo do que acontece nas Artes plásticas ou na Medicina. O contraste podeservir para fazer ver aspectos – eventualmente doenças – da realidade que, de outra maneira,passariam despercebidos.O mundo desenhado ou implícito nas demais ciências pode ser identificado por essa ciênciaestranha que é a Teologia; a falsa universalidade, que exclui grande parte da população mundial ouesquece dimensões essenciais da vida; o estreitamento do tempo ao presente imediato e à geração

50 Cf. LAMBERT, Dominique. Ciências e Teologia, p. 67-114.51 Felix WILFRED, a partir da crescente especialização nas demais ciências, assinala à Teologiaespecialmente a tarefa de busca de totalidade, de uma parte, em “estreita afinidade com asabedoria” que “não pode absolutamente ser uma intrusa na universidade” e, a partir daí, acolaboração na busca do sentido, com a sensibilidade para os problemas da humanidade (cf.Teologia na universidade moderna: qual especialização? Concilium, fasc. 315, p. 180-184, 2006).52 Como diz Clemens SEDMAK, “em tempos pós-teológicos, a Teologia pode legitimar-sefornecendo uma contribuição exemplar para a ética das ciências” (Theologie in nachtheologischerZeit, p. 7).53 O caráter de ciência hermenêutica pode ser visto, de modo especial, em Claude GEFFRÉ, quefala em “virada hermenêutica da Teologia” (cf. Crer e interpretar: a virada hermenêutica daTeologia. Petrópolis: Vozes, 2004, especialmente, p.29-63; ver também Como fazer teologia hoje:hermenêutica teológica. São Paulo: Paulinas, 1989).54 Cf. SEDMAK, Klemens. Theologie in nachtheologischer Zeit. Mainz: Matthias-Grünewald,2003, p. 47-58. Para o conceito em Gerhard LOHFINK, cf. sua obra Wie hat Jesus Gemeindegewollt? Freiburg; Basel; Wien: Herder, 1993.

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atual, tudo isso são aspectos da realidade que a Teologia pode mostrar como sua contribuiçãoespecífica. Assim, tendo seu objeto e método próprios, a Teologia, situada entre as demais ciências,participa de suas questões transcendentes internas e da responsabilidade de pesquisar as condiçõesde uma sociedade construída sobre os “valores da liberdade, justiça e dignidade humana”(UNESCO), com condições de futuro.A partir do que se viu, evidenciam-se a especificidade epistemológica e a contribuição própria daTeologia, no contexto do debate recente com as Ciências da Religião. Ainda que materialmente osdois campos de conhecimento se sobreponham em muitos aspectos, os pressupostos, o método, asintenções e os resultados configuram sua especificidade própria. Sendo por natureza confessional –mesmo quando ecumênica e aberta ao diálogo inter-religioso (macroecumênica) – a Teologiaelabora seus conceitos a partir da intimidade do ser humano e do seu destino.Dessa maneira, temas como Ética e sabedoria lhe são conaturais.

REFERÊNCIAS

1. DUQUOC, Christian. A Teologia no exílio: o desafio da sobrevivênciada Teologia na cultura contemporânea. Petrópolis: Vozes, 2006.

2. NEUTZLING, Inácio (Org.). Teologia na universidade contemporânea.São Leopoldo: UNISINOS, 2005.

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I SIGNIFICATI DELLA VERITA' TRA FEDE E SCIENZA

Gianpaolo Pegoretti

Introduzione: l'appiattimento dei significati

L'ampiezza del valore semantico della parola verità copre, da un punto di vista storico,fondamentalmente due significati. Adottando il linguaggio tecnico mutuato dagli studi di Frege(1892), è possibile sostenere che verità abbia due differenti riferimenti (bedeutung). Ovvero,riprendendo la scuola pragmatica di linguistica, usiamo la parola verità in due modi distinti.Dall'appiattimento di due significati in un unico valore semantico nasce una confusione intorno alconcetto stesso di verità. Senza dipanare i significati della parola diventa impossibile comprendernele diverse accezioni. In particolare l'epistemologia della scienza contemporanea si basa su di unsignificato di verità differente da quello adottato nel discorso teologico.Pertanto come prima cosa è importante ricostruire la genealogia del valore semantico della verità, inmodo da identificare il divergere dei significati.

Storia delle idee: i due significati

1. Verità come corrispondenza tra linguaggio e realtà

Quando si traccia la genealogia del significato, procedendo dunque dal più recente al più antico, sievidenzia per primo il significato di verità come adeguamento della parola alla realtà.La definizione precisa di verità, secondo questa accezione, è quella di predicato di una proposizioneche dica qualcosa intorno al mondo di cui si fa esperienza. In altre parole, è vera una qualsiasi fraseche descriva uno stato di cose in modo tale da accordarsi con l'esperienza. Ad esempio, se si guardaun tavolo e si vede che c'è un libro poggiato sopra, e si afferma: “c'è un libro sopra quel tavolo” sista dicendo una frase vera. Nel caso invece non si vedesse alcun oggetto posto sullo stesso tavolo, eugualmente si affermasse la medesima frase, la frase sarebbe definita falsa.Questo significato di verità è quello normalmente adottato in ambito scientifico.La caratteristica distintiva di questa accezione della verità è la sua dipendenza dall'esperienza: sipuò stabilire se una frase è vera o meno solo mediante un diretto confronto tra le parole e la propriaesperienza, in particolare con l'esperienza sensibile. In caso non sia possibile operare il confronto, laverità di una proposizione rimane dubbia o presunta. Ad esempio, nel caso si dicesse “c'è un librosopra il tavolo che si trova nel mio salotto”, senza essere presenti nella stanza, ci si potrebbe anchesbagliare, infatti qualcuno potrebbe aver spostato il libro senza avercelo fatto sapere. Chi hapronunciato la frase riteneva di dire il vero, in quanto non sapeva che il libro era stato spostato.Successivamente, tornato di persona nel luogo fisico dove si trova il tavolo di cui parlava, vedendoil tavolo vuoto, potrebbe rendersi conto di aver detto qualcosa di errato. Per quanto banale possaapparire questa relazione tra verità ed esperienza, proprio l'opacità di tale relazione è fonte dienormi controversie, in quanto non sempre è possibile controllare che le parole dette siano adeguatealla realtà. Un numero incalcolabile di divergenze di opinioni, anche su argomenti di importanzavitale, derivano dal non poter controllare la corrispondenza tra parola e realtà. La scienza moderna si è posta il compito preciso di controllare in maniera sistematica lacorrispondenza tra le affermazioni che compongono il corpo teorico delle discipline scientifiche e illoro campo di indagine, ossia quella parte di realtà che ciascuna disciplina studia. La letteraturascientifica, ossia l'insieme di affermazioni intorno alla realtà prodotte dalla ricerca scientifica, vienecostantemente controllata. Il primo pensatore che esplicita questo bisogno di continuo confrontocon l'esperienza sensibile è Bernardino Telesio, seguito da Campanella e Bruno, e successivamente

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da Cartesio e Galilei, che introdussero il linguaggio matematico in quanto maggiormente adatto adescrivere con precisione i fenomeni quantificabili della realtà. Per quanto i metodi di controllo sviluppati nel tempo si siano molto affinati rispetto ai primitentativi rinascimentali, la logica di fondo della ricerca scientifica è stata gettata dai pensatori diquell'epoca. Tuttavia le origini del concetto di verità come adeguamento tra parola e realtà sono rintracciabilinell'epoca precedente, primariamente all'interno del pensiero scolastico: “veritas est adaequatio reiet intellectus”, la verità è la corrispondenza della cosa e dell'intelletto, scriveva Tommaso d'Aquinonel De Veritate. Concezione probabilmente mutuata dai sui precursori, i commentatori arabi edebrei delle opere aristoteliche. Proprio nella filosofia di Aristotele si trovano le idee che hannocostituito la matrice da cui è stata elaborata questa concezione di verità. Nel libro IV dellaMetafisica, Aristotele fonda la conoscenza sul principio di non-contraddizione. Sostenendol'impossibilità che due affermazioni contraddittorie siano entrambe vere, allo stesso tempo e sotto ilmedesimo profilo. Due affermazioni in contraddizione55 tra loro possono essere vere in momentidiversi, o riguardo diversi aspetti, ma non nelle medesime circostanze. In tal modo Aristotele legaimplicitamente il concetto di verità al linguaggio, più precisamente alla proposizione, ossia allafrase dotata di contenuto conoscitivo, la frase che dichiara qualcosa56. Sfruttando questa concezionedi verità proposizionale Aristotele costruisce il suo sistema di logica, che è la base metodologica ditutte le discipline scientifiche prodotte dalla cultura occidentale. Il sistema logico-deduttivotracciato per la prima volta da Aristotele si configura come lo studio degli enunciati assertori, ossiadell'attribuzione di un predicato ad un soggetto. Pertanto ogni forma di verità proposizionale, di cuila verità come corrispondenza tra parola e realtà è la forma più conosciuta attualmente, implical'attribuzione di predicati a dei soggetti. Senza la costruzione di enunciati dichiarativi non c'è alcunaverità. Il campo di azione di questa concezione di verità si riduce all'esclusione reciproca di certipredicati in relazione a ciascun soggetto. L'esclusione viene operata in ultima analisi sempre in baseall'esperienza57. Il limite maggiore di questa verità è la sua totale estraneità rispetto al futuro: non sipuò stabilire se una dichiarazione concernente il futuro sia vera. Solo quando il futuro saràdiventato passato è possibile sancire la verità di una proposizione. Pertanto sostenere che undeterminato fatto avverrà, non rientra in questo significato di verità. Argomenti come la secondavenuta di Cristo non rientrano in questo tipo di verità, in quanto non ancora avvenuti.Questo significato di verità riveste una grande importanza, tuttavia non esaurisce il valoresemantico della parola. Un secondo significato va aggiunto per completare il quadro. Si tratta dellaverità come svelamento, manifestazione.

2. Verità come svelamento

Il secondo modo di usare la parola verità è radicalmente diverso dal primo. Si tratta della veritàcome aletheia58, ovvero come svelamento. Consiste nel diventare coscienti di qualcosa diprecedentemente ignoto; è l'aprirsi della mente al nuovo, ed è frutto di un'attività conoscitivaesplorativa. Qualora si osservi l'esperienza secondo degli stereotipi, questo tipo di verità diventairraggiungibile. È la verità di coloro che non ritengono di “sapere già”, piuttosto è la verità

55 Due affermazioni sono contraddittorie quando una afferma A, e l'altra afferma Non-A. Ad esempio le frasi: “Rex è un cane”, e “Rex non è un cane”, sono tra loro contraddittorie.

56 Si noti che certe frasi non possono essere vere o false secondo questa logica. Ad esempio un augurio, che si configura come un semplice atto linguistico, non come una descrizione della realtà: augurare “buon giorno” è una forma di cortesia, non una descrizione di come stia andando il giorno.

57 Anche se non necessariamente attraverso l'esperienza dei sensi, da questo punto di vista anche l'impossibilità logica è un dato dell'esperienza.

58 Parola composta da: Alfa privativo + la radice lethe, parola greca traducibile come “oblio”.

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dell'infanzia, dello scoprire e del guardare con occhi nuovi alle cose, anche alle cose che già eranoconosciute.La verità come svelamento precede l'esperienza. Questo è il suo aspetto di radicale divergenzarispetto alla verità come adeguamento: l'adeguamento segue sempre l'esperienza, lo svelamento laprecede sempre. Pertanto è una verità dipendente dal soggetto59, ossia dai modi in cui ciascuno ècapace di guardare alla propria esperienza. Costituisce il modo di comprendere l'esperienza.In altri termini, la verità come adeguamento è una risposta alla domanda “che cosa è questo?”,mentre la verità come svelamento è una risposta alla domanda “che cosa esiste? Che cosa èpossibile?”. Ha a che fare con il senso dell'esperienza, non con i dati della stessa. Inoltre si tratta diuna verità primitiva, che viene prima rispetto all'adeguamento. Dallo svelamento dipendono i datidell'esperienza, in quanto sono colti dal soggetto attraverso la sua apertura di fronte alla realtà. Èquesta capacità di conoscere che orienta il modo in cui si fa esperienza. Così che la verità comesvelamento presenta aspetti soggettivi che condizionano la percezione della realtà stessa: di come laviviamo e la comprendiamo. Dal momento che si tratta di una verità come apertura al conoscere,dal punto di vista linguistico è definibile come la connessione di predicati a soggetti. Questaseconda accezione di verità è disponibile al futuro, crea gli enunciati che descrivono futuri possibili.Mentre la verità come adeguamento è una verità selettiva, la verità come svelamento e apertura ècreativa e generativa di nuovi significati.La verità come adeguamento tende a produrre pregiudizi, è conservativa. La verità comesvelamento tende ad una certa ingenuità, non classifica ed è innovativa. Ad esempio, una personaguidata solo dall'adeguamento tenderà a descrivere nuove esperienze con enunciatiprecedentemente costituiti, ossia ri-utilizzando i medesimi criteri di esclusione dei predicati. In talmodo, se avrà stabilito, attraverso esperienze precedenti, che una data porzione dell'umanitàpresenta spesso un dato comportamento (es. gli italiani sanno cucinare, gli svizzeri sono puntualiecc), continuerà a tenere per vera la proposizione fino a quando nuove esperienze non abbianodimostrato il contrario. Chi è guidato dallo svelamento si rapporterà ad ogni situazione in manieradel tutto nuova, senza applicare enunciati precedentemente validati. Questo atteggiamento offrecontinue possibilità di scoprire qualcosa di nuovo, ovviamente anche quando questo qualcosa èspiacevole. Entrambi i tipi di verità affrontano la complessità del reale in maniera imperfetta, e tuttavia utile edirrinunciabile.Seguendo la storia delle idee, la verità come aletheia è stata tematizzata nell'antichità: attraversa lastoria della filosofia occidentale da Platone fino ad Heidegger. In particolare trova la sua radice nelconcetto platonico di idea, intesa come entità astratta, esistente indipendentemente dalla realtàsensibile, e disponibile alla mente umana attraverso la partecipazione al logos, concetto tipico dellafilosofia greca, tradotto con la parola “verbo”, che sta ad indicare la conoscibilità della realtàtramite il linguaggio. Quindi idea come “mattone fondamentale” del pensiero, espressione di unarazionalità universale del cosmo. Le forme geometriche e i numeri sono parte di questa razionalità.Infatti, più che entità fisiche, si tratta di costanti universali, che consentono di fare esperienza, nelsenso di conoscere una realtà dotata di regolarità anziché trovarsi nel caos.Secondo questa impostazione, la verità, lo svelamento, non consiste in una credenza, e nemmeno inuna certezza, espressa attraverso enunciati; invece consiste nell'intelligibilità della realtà attraversoil logos, ossia il linguaggio. Quindi verità è dare senso: aprire a nuovi significati.Interessante notare come durante il I secolo d.c. questa accezione di verità fosse maggiormentediffusa, rispetto al concetto di adeguamento, che è stato tematizzato in epoche successive. Inparticolare il Vangelo di Giovanni risulta debitore, fin dai primi versi, di concetti provenienti dalpensiero greco-platonico. Pertanto sarebbe fuorviante intendere il significato della parola verità,presente nel testo evangelico, come adeguamento. Secondo il Vangelo di Giovanni la verità è ciò

59 Questo non toglie che il soggetto sia cambiato dall'esperienza, lo svelamento progredisce proprio grazie alla capacità umana di avere una mente plastica.

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che è portato dal verbo: non è verità in quanto creduta dalle persone, piuttosto sono le personechiamate a credere alla verità. Ovvero non è verità in quanto proposizione controllata logicamente apartire dall'esperienza, è invece una verità radicale, che pone in essere l'esperienza stessa. È unaverità che svela in quanto fa esistere.

Fedi e persone di fronte ad una verità plurale

Se da un lato risulta chiaro che entrambi i significati di verità siano fondamentali, dall'altro èimportante interrogarsi su quali relazioni ci siano tra le due accezioni.È evidente che la Verità-Adeguamento (VA) esprime la sua funzione nell'accertamento dei fatti.Mentre la Verità-Svelamento (VS) la esprime nell'elaborazione dei significati. Questo comporta chela VA sia intersoggettiva, poiché un fatto è tale proprio per il suo rimanere una costantedell'esperienza tra persone diverse, altrimenti si tratterebbe di una interpretazione dell'esperienza enon di un fatto. La dimensione intersoggettiva dipende da qualche riferimento esterno osservabile econdivisibile60. Si noti tuttavia che, come osservato da Kierkegaard, “Ciò che è la verità può inbocca dell'uno o dell'altro diventare non-verità” (1972, p 367). Lo stesso concetto viene elaboratoanche da Bonhoeffer: “L'asserto è vero come risultato, ma come presupposto è un autoinganno.”(2008, p36). Questo fenomeno dipende dalla dipendenza della VA da eventi passati. In pratica,quando ci si riferisce a qualcosa che non sia fattuale, e quindi già avvenuto, la verità non può essererelativa ad un riferimento esterno. Può tuttavia essere relativa ad un elemento interno al soggettoche parla. Qui il tema della verità entra a contatto con il tema della speranza e della progettualità. Sitratta di aspetti legati ai soggetti, in particolare alla volontà e alle conoscenze della persona chespera o progetta. Trattandosi di aspetti soggettivi, è un campo in cui è la VS a svolgere funzioneveritativa. Alcuni esempi per chiarire:Se mi rivolgo al domani, posso fare una previsione o un'ipotesi: domani pioverà. Dal punto di vistadella VA il fatto consiste nell'aver fatto un'ipotesi, quello è il valore di verità che è possibileenunciare. Qualsiasi asserto riguardante il contenuto dell'ipotesi, “pioverà domani”, non èpredicabile né vero né falso fino al giorno successivo. Se la sera e prima dell'alba guardo il cielo, posso dire: “la stella della sera è più bella della stella delmattino”. Si tratta di una frase dotata di senso, dipendente da un gusto personale, diverse personepotrebbero convenire con me, e trovare che quanto dico sia “vero”. In realtà la stella del mattino edella sera sono uno stesso astro, in effetti si tratta di venere. Ma questo non è rilevante per il senso ela sincerità della mia frase: in funzione della VS, da un medesimo riferimento esterno ne traggoesperienze diverse.Allo stesso modo: se decido di fare X il giorno Y, per la VA il fatto riguarda solo l'atto di decidere,che è già avvenuto, non il contenuto della decisione. Invece, l'essere diventato cosciente delladecisione, è in funzione della VS, e riguarda proprio i contenuti, in quanto so di voler fare X (ad es.finire di scrivere questo paragrafo). Se non fossi consapevole del contenuto della decisione, potreiasserire: ”ho deciso, ma non so che cosa”, che è un enunciato privo di senso, anche se corretto dalpunto di vista della VA. Questo esempio mette in chiaro come la VA senza VS sia del tutto vuota disignificati, anche quando formalmente corretta.Un ultimo esempio, tratto dalla letteratura fantascientifica, per mostrare quanto sia rilevante la VS ecome il valore di verità proprio dello svelamento di nuovi significati non sia direttamente legato ariferimenti esterni, ma dipenda da come i soggetti colgano questi riferimenti durante l'esperienza:partendo da una prospettiva biblica, è possibile affermare che un essere senziente, dotato diconoscenze e poteri immensi, sia venuto sulla terra e abbia creato la vita, inclusi gli esseri umani.Abbia di tanto in tanto comunicato con alcuni di loro, sia attraverso sogni sia con parole e visioni,infine abbia scelto di incarnarsi in un essere umano qualche anno prima della nostra epoca, dalle

60 Mi riferisco ad una concezione ontologica di tipo realista.

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parti del medio-oriente. Ovviamente, seguendo alcuni pessimi pseudo-storici ma ottimi autori difantascienza, quest'essere potentissimo e più vecchio del tempo stesso non sarebbe altro che unalieno di qualche universo lontano. Si badi bene che in questa affabulazione gli elementi storicisono identici a quelli biblici. Da un punto di vista dei fatti accertabili, il valore di VA di questestorie fantasiose è identico a quello di alcuni passi biblici. Infatti molti programmi fintamenteculturali ripropongono ciclicamente questo tipo di cose, assieme a piramidi aliene ecc. L'abilità dichi scrive questo genere di racconti sta proprio nell'intrecciare gli stessi elementi fattuali in unatrama del tutto diversa, che quindi offre un valore di verità-svelamento differente. L'esempio qui sopra è fantascientifico, tuttavia molte incomprensioni tra fedi cristiane hanno lamedesima origine: da una stessa figura storica, si traggono significati molto diversi. Ognisignificato è riconosciuto quale verità dal gruppo che lo porta avanti. Si pensi al dibattito, vivo negliStati Uniti soprattutto prima dell'ultima elezione presidenziale, riguardante il seguente argomento:se la Chiesa di Gesù Cristo e dei Santi degli Ultimi Giorni sia o meno una chiesa cristiana61.Secondo i membri e i dirigenti di quella stessa chiesa, la risposta era certamente si: considerano lapropria chiesa una denominazione cristiana. Secondo una parte dei gruppi protestanti conservatoriamericani, la risposta è stata no: non accettano come cristiani i membri di quella chiesa, adducendocome motivazione proprio alcune differenze nella concezione della Divinità. Infatti tale chiesa nonpromuove una concezione trinitaria, invece predica un Padre dotato di corpo fisico, così come ilFiglio, oltre a presentare una lunga serie di differenze nella visione dei rapporti tra Dio e umanità. Ilrisultato è che l'appartenenza al Cristianesimo di tale chiesa, che pur riconosce Gesù Cristo comeSalvatore, viene messa in discussione da molti gruppi cristiani.In generale tutte le divisioni nel Cristianesimo dipendono non da VA, ma da VS: a partire da unamedesima fonte scritturale, si sono moltiplicati i significati.Di certo, all'interno delle religioni la VS assume un ruolo di primo piano rispetto alla VA. Sia inrelazione agli aspetti escatologici, del tutto fuori dalla possibilità di verificazione tramiteadeguamento, sia per gli insegnamenti che si traggono da fatti storici, in quanto non sono i semplicifatti a costituire il fulcro della narrazione biblica. In proposito si pensi ai libri storici dell'AnticoTestamento, non è importante sapere quali fossero state le battaglie, quando e dove fosseroavvenute e i modi di combattimento, piuttosto quei testi hanno lo scopo di mostrare l'azione Divinain favore del Popolo Eletto. Naturalmente un archeologo può benissimo prendere i libri storici perandare a ricercare gli avvenimenti precisi che vi sono dietro. Questi studi sono stati portati avanti, ei risultati hanno spesso messo in luce delle importanti distorsioni della Scrittura in relazione ai fatti(Ska, 2003). In particolare il libro di Giosuè presenta una storia in chiave epica, pococorrispondente sia agli scavi archeologici, sia ai successivi libri storici (Ska, 2003). In maniera simile si può ragionare riguardo al libro di Giobbe: non sappiamo se si trattasse di unpersonaggio realmente esistente, né conosciamo l'autore del libro. I dialoghi al suo internodifficilmente sono una trascrittura “verbatim” di una conversazione. Anche se l'episodio fosse statoricostruito da un sapiente, sulla base di una testimonianza o di un racconto, e anche se l'episodiofosse inventato, manterrebbe comunque il suo significato e la sua possibilità di trasmettere delleverità. Pretendere che si tratti per forza di una storia raccontata secondo i fatti, in ogni minimaparola, oppure considerarla una falsità, sarebbe come scoprire che Pierino non è un precisopersonaggio storico, e quindi mettersi a gridare “al lupo” in quanto si ritiene la storia non vera!Ovvero, per fare un esempio più colto, sarebbe come sostenere che la Pietà di Michelangelo nonrappresenti veramente Maria, in quanto la donna scolpita ha abiti tipici dell'Italia rinascimentale enon del medio-oriente del I sec.A questo punto una domanda diventa pressante: se la VA dipende dal riferimento intersoggettivoche è possibile controllare attraverso l'esperienza, da cosa dipende la VS?Trattandosi di una verità pre-esperienza e radicale rispetto al soggetto, non può dipendere da altrose non dal soggetto stesso. È una verità dipendente dalle persone. Interessante notare come, in un

61 Il candidato del partito repubblicano era infatti un membro di quella particola chiesa.

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linguaggio neo-platonico, si parla di ipostasi, indicando quello di immutabile che soggiace allarealtà così com'è conosciuta. Il termine ipostasi è stato anche tradotto da Tertulliano con il latinopersona. Da cui l'italiano “persona”. Quindi persona assume qui un significato basilare: persona èquell'apertura che indirizza il modo di relazionarsi con il mondo di ciascun individuo. È ciò che staalla base della creazione dei significati. Questa caratteristica della VS, di essere dipendente dai soggetti, ne rende la comunicazione limitata.La semplice enunciazione non trasmette il suo valore di verità. Il riconoscimento della verità svelataè limitato dalle ipostasi, ossia tutte quelle disposizioni mentali62 che sono proprie di ogni persona.Solo quando due o più persone condividono, almeno in parte, le medesime ipostasi, sono in gradodi scambiarsi, almeno in parte, delle verità.Le verità che abbiamo in mente sono il prodotto dell'azione delle ipostasi. Non possiamosemplicemente scegliere cosa troviamo vero e cosa no. Inoltre ci sono modi virtualmente illimitatidi essere una persona, e quindi di affrontare la vita e di cogliere la verità. Quello che per qualcuno èepifania, chiarezza, per un altro è assurdità.Riprendendo Gadamer (1983), si può affermare che ciascuno si muova in un orizzonte di senso, mai diversi orizzonti possono fondersi, ampliarsi. In base a quanto esposto qui sopra, l'ampliamentodel proprio orizzonte, o la sua trasformazione, avviene in virtù di una modificazione della persona,ossia delle ipostasi che la caratterizzano. Fin quando una persona non cambia, non è in grado dicogliere le verità che si trovano fuori dal suo orizzonte di senso.La capacità di cambiare, di essere plastici, è essenziale per operare quella riforma della mente che,secondo lo stesso Apostolo Paolo, conduce allo spogliarsi dell'uomo vecchio per rivestire l'uomonuovo (Ef. 4). Non ci si stupisca se la persona naturale non è in grado di cogliere una veritàEvangelica, non possa espandere il proprio orizzonte di senso con il Vangelo. Il lavoro dirispecchiamento dell'Immago Dei è la pratica cristiana per eccellenza secondo Meister Eckhart, icui scritti iniziano la riflessione sulla Bildung, termine tedesco derivante dalla radice “bild” chesignifica immagine. Bildung viene tradotta in italiano con la parola “formazione”, nell'accezione di“dare forma”, ed è al centro della riflessione pedagogica contemporanea. Quindi una radicefondamentale del pensiero pedagogico moderno si trova nella riforma della mente proposta daPaolo: alla base dell'educazione vi è la capacità di cambiare se stessi per cogliere nuovi significati.In effetti, ogni volta che si tenta di comunicare una VS, si sta offrendo un'opportunità dicambiamento. Pertanto, al fine di consentire la comunicazione della VS, è utile porsi in dialogo conl'altro secondo una modalità educativa, ossia con l'intenzione di insegnarsi reciprocamente.

Comunicare una verità plurale

Dal momento che gli esseri umani sono capaci di cambiare, e lo fanno soprattutto attraverso ilcontatto con altre persone, vi sono molti studi63 su questo tema riguardanti sia i neuroni specchio siale implicazioni educative delle relazioni interpersonali (Rizzolati, 2006 e Feuerstein, 2006), nesegue che è possibile comunicare una VS, dando opportunità a chi ci ascolta di espandere il proprioorizzonte di senso, proprio grazie alle relazioni umane. Si noti come la comunicazione della VAavviene secondo modalità diverse da quella della VS. Infatti la prima è comunicata in quanto vieneprovata, ossia vengono fornite prove a sostegno, e questo è sufficiente; la seconda invece va offertae insegnata. È chiaro che, se si comunica la VS come se si trattasse di VA, si commettono alcuni erroricomunicativi:

62 La definizione di ipostasi è molto ampia, essa comprende: modelli di pensiero, spesso appresi durante le prime fasi della vita; conoscenze pregresse, convinzioni più o meno profonde e consapevoli; aspetti emotivi, quali paure e speranze.

63 Con un misto di orgoglio e umiltà cito anche la mia tesi di dottorato: “Apprendere l'intelligenza”, che copre questo argomento in diversi capitoli.

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il primo è sicuramente la mancanza di umiltà: dal momento che quando si comunica una VS non cisi basa su evidenza esterna, piuttosto si sta insegnando qualcosa atto a cambiare chi ci ascolta, èottima norma seguire i consigli di Proverbi di evitare gli occhi alteri (6:17) e di usare dolcezza dellelabbra (16:21).Dal primo punto deriva il secondo: non accorgersi della mancanza di evidenza per chi è diverso danoi. Una persona diversa, soprattutto con un differente retroterra culturale, coglie quanto le vienedetto da un punto di vista diverso dal nostro. Stupirsi che le persone “non capiscano, eppure sonointelligenti”, è sintomo di un atteggiamento che manca di empatia. In particolare, per quantoriguarda le materie di religione, è importante ricordare, come ha sottolineato Rice (1985) che: “Leprove su cui la fede si fonda non sono mai irresistibili, non ci obbligano a decidere in un senso onell'altro. Esse ci permettono semplicemente di prendere una decisione in modo intelligente. Questolimite della fede è importante perché preserva la nostra libertà di scelta.” (p189). Si noti che questonon implica solo una dicotomia credere/non-credere, permette diverse fedi e relativi sistemi dicredenze. Se non si accetta questa situazione riguardo alla VS, allora il problema nellacomunicazione è una mancanza di tolleranza.La scarsa tolleranza è, a mio avviso, il risultato dello spettro dell'insicurezza che porta le persone aduna visione autoritaria della verità. L'unica spiegazione, che io sia in grado di trovare,all'atteggiamento di quelli che pretendono che tutti la pensino come loro, è una forma di paura. Infondo, che problema c'è se il mio vicino ha idee e convinzioni diverse dalle mie? Succede sempre,se tutti siamo tolleranti, magari anche curiosi, tali divergenze di opinioni e conoscenze possonoessere un arricchimento.Al di fuori di considerazioni psicologiche, la capacità di essere disposti ad imparare da altre personee contemporaneamente ad insegnare loro è la chiave per mettersi in dialogo.Essere pronti ad apprendere dall'altro non implica affatto rinunciare né alle proprie convinzioni néalla propria fede: implica invece essere capaci di mutare le proprie credenze, e di saper coglierepunti di vista diversi e nuove verità. Questo ci porta a sottolineare la disgiunzione tra credenza fedee verità, che molte persone tendono ad appiattire su di un unico significato: le credenze son ciò cheè creduto; spaziano dall'opinione al voler credere. La verità è invece qualcosa o di provatodall'esperienza, ed è intersoggettiva quando riguarda i fatti; ovvero è uno svelamento che portanuovo senso. Definire la fede è più complesso, non serve farlo qui, ora è importante sottolineare checi sono sia verità sia credenze che non hanno a che vedere con la fede. Ad esempio: credere che “lapersona X sia interessata all'acquisto di una casa”, è una credenza e non ha alcuna relazione con lafede; oppure, la frase “a zero gradi centigradi l'acqua trasforma in ghiaccio”, è vera, alle giustecondizioni di pressione, e non ha nulla a che vedere con la fede. Pertanto ritenere che fede, verità ecredenze siano la stessa cosa è impreciso.Questo si può riscontrare anche su credenze e verità riguardanti una medesima fede: capita spessoche i membri di una stessa comunità, pur condividendo la stessa fede, abbiano delle credenze edelle opinioni diverse riguardo numerosi aspetti, anche aspetti centrali per la loro religione, estimino come veri enunciati differenti, anche trovandosi in contraddizione tra loro. Degli esempiimportanti a livello internazionale sono costituiti dalla teologia della liberazione in seno alla ChiesaCattolica, e al dibattito, molto forte in Nord America, sul darwinismo e sul disegno intelligente. Inentrambi questi casi le persone coinvolte “credono in” uno stesso Dio e in uno stesso Libro, tuttavia“credono a” fonti diverse, e non concordano su punti importanti, quindi le persone coinvolte“credono che”64:nel caso della teologia della liberazione, che il concetto di salvezza vada applicato anche a livello

64 “Credere che” esprime un'opinione, una convinzione o una credenza in generale; “credere in” esprime una fede; “credere a” esprime fiducia verso qualcosa. Ad esempio è possibile credere agli alieni, ossia credere che esistono, tuttavia ci sono certe persone che credono negli alieni, si tratta delle cosidette UFO Religions, fenomeno inizato con il Raëlismo durante gli anni '70 del secolo scorso.

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sociale (Boff, 1977), in questo riprendono argomenti di tipo marxista e li inseriscono in un'otticacristiana, mentre altre correnti di pensiero cattolico ascrivono la Salvezza ad una realtà non terrena,e si tengono ideologicamente molto distanti dal Marxismo. Invece, nel caso dei creazionisti, essi “credono che” non vi sia posto per una visione darwinista,perché il darwinismo assume la morte degli organismi come sempre esistita, i creazionisti credonoquindi che Genesi 1 e 2 non possa essere armonizzata con la teoria evoluzionista in quanto essaconcepisce la morte come strumento fondamentale per creare la biodiversità; al contrario, ilcreazionismo crede che la morte non sia causata da Dio, ma sia il prodotto della ribellione (Gibson,2012) avvenuta a creazione ormai ultimata; invece, chi propone il disegno intelligente vedel'evoluzione naturale come il mezzo attraverso cui Dio ha creato gli organismi viventi.Pur condividendo la stessa fede, rispettivamente una fede cattolica per il primo esempio ed una fedeevangelical per il secondo, le divergenze di opinione e di visione sono palesi e rilevanti. Nonostanteciò, all'interno del Cattolicesimo si è riusciti a gestire un dialogo tra teologia della liberazione ecorrenti di pensiero ortodosse. L'attuale Pontefice, pur avendo preso le distanze dalla teologia dellaliberazione ed essendosi sempre schierato al di fuori di essa, è attento a manifestare aspetti difrugalità che sono coerenti con pratiche ecclesiastiche predicate proprio dalla teologia dellaliberazione. Da notare che, prima di assumete l'incarico di Pontefice, Papa Francesco ha gestito ildialogo tra proponenti e avversari della teologia della liberazione in America del Sud.Al contrario, il dibattito tra creazionisti ed evoluzionisti non sta mostrando i segni di un dialogoequilibrato, piuttosto è rimasto uno scontro su posizioni arroccate. L'ironico risultato è che personeappartenenti alla medesima chiesa non solo non sono in grado di imparare nulla le une dalle altre,ma a volte hanno concluso i loro dibattiti in un aula di tribunale. E tutto questo “credendo in” unostesso Salvatore, ma valutando in maniera diversa le fonti della ricerca scientifica, e quindi“credendo a” la storia naturale nel caso di chi propone l'argomento del disegno intelligente,“credendo a” un'interpretazione di Genesi nel caso dei creazionisti.In conclusione è possibile sostenere che la capacità di accogliere persone diverse all'interno di unmedesimo gruppo sia direttamente in relazione con la tolleranza. Senza tolleranza si produce unaframmentazione sociale che conduce alla chiusura mentale: si finisce per raggrupparsi in base allecredenze, e si parla solo con persone che la pensano allo stesso modo, illudendosi così che certecose siano evidentemente vere poiché così pensano tutti quelli con cui ci si confronta. Scordandosiche tutti la pensano allo stesso modo solo in quanto chi ha opinioni diverse non è presente. In questicasi non si comunica realmente qualcosa, si ripete a se stessi in coro. Parlare di autenticacomunicazione significa parlare di accoglienza.

Una riflessione epistemologica: la fede e il metodo scientifico

Il dibattito creazionismo/evoluzionismo introduce il tema più ampio di fede/scienza, su cui vogliospendere alcune parole.Riprendendo quanto scritto nel paragrafo sulla verità come adeguamento del linguaggioall'esperienza: il fenomeno culturale che viene comunemente definito scienza è costituito dacomunità di ricerca, dalle loro pratiche e i relativi risultati, espressi sotto forma di letteraturascientifica. Quello che distingue le comunità di ricerca e il loro lavoro non è un'autorevolezzaveritativa, piuttosto è un sistematico controllo degli enunciati. È quindi lecito domandarsi comeavvengano questi controlli e se siano efficaci. Riguardo al come la risposta può essere appena accennata, in quanto vi sono moltissimi metodi,specifici per ciascuna disciplina. Tuttavia è possibile tracciare un quadro, anche se molto generale.Per prima cosa la ricerca si basa sull'onestà intellettuale: chi falsifica i dati commette il peccato piùgrave che possa esistere all'interno della comunità scientifica. Quando si trovano dei dati, perquanto scomodi essi siano, vanno comunicati così come sono, anche se vanno contro alle proprieconvinzioni. Lo scambio aperto di dati è essenziale, così il controllarsi a vicenda, e quindi serve una

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totale trasparenza: tutti i risultati devono poter essere replicabili da altri ricercatori. Questi sono gliaspetti etici del metodo scientifico, e sono irrinunciabili anche se, come fece notare Rorty (1991,1993) raramente tematizzati durante le riflessioni sull'epistemologia.Vi è poi un modello di razionalità alla base della ricerca:campionatura/misurazione/intervento/misurazione/documentazione. Non si tratta di uno schemalogico universale, solo molto diffuso e generalmente accettato dalle varie comunità. In pratica, ilprimo passo consiste nel selezionare un campione, ossia uno o più gruppi di entità da studiare. Ilsecondo, nel misurare una serie di variabili relative al campione. Il terzo nell'intervenire, nel portareun determinato tipo di azione sul campione. Quarto, rimisurare le variabili per vedere cosa ècambiato. L'ultimo passo non è necessariamente temporalmente distinto dall'intervento, può esserecontemporaneo. Infine è importante documentare puntualmente tutta la ricerca.Il modello di razionalità è applicabile a moltissimi campi: il campione può essere una serie dicementi armati di diverso peso e spessore, o delle persone di diversa età, o delle piante di melo didiverse varietà; la misurazione può essere relativa all'integrità strutturale, o ai tempi di reazione aduno stimolo visivo, o all'altezza e al numero di frutti prodotti; l'intervento può essere unasimulazione di terremoto, o 20 ore di training dei riflessi attraverso videogames, o la coltivazione adiversi tipi di altitudine; la rimisurazione sarà di nuovo sulle stesse variabili e indicherà se e quantosono cambiate; tutto deve essere documentato, può essere fatto attraverso immagini al microscopio,o con una relazione verbale, o usando un linguaggio matematico e via dicendo. Il modello è sempre lo stesso, l'efficacia dipende dalla precisione adottata: se il campione non èaccuratamente selezionato si mettono sullo stesso piano entità diverse, che rispondono in manieranon uguale a certi stimoli e azioni, inoltre se non è abbastanza numeroso non risulta statisticamentesignificativo; se le misurazioni non sono precise, o sono troppo poche, non si sarà in grado divalutare l'impatto dell'intervento; se l'intervento non è perfettamente uguale a se stesso, e del tuttoisolato da altri possibili fattori di disturbo, non si saprà se il cambiamento nel campione è correlatoall'intervento o ad altro; se la documentazione non è esauriente, anche qualora tutto il resto fossefatto bene, i dati saranno scarsamente replicabili e si dovrà rifare tutto.E se tutto viene eseguito alla perfezione, abbiamo la verità?Durante l'epoca moderna-contemporanea la risposta a questa domanda è mutata diverse volte.Durante il periodo positivista del '900, si pensava in fondo di si, che potesse esserci una definitivaasserzione sulla realtà. Le cose sono cambiate in seguito agli studi di Popper (1969) e a quelli diKuhn (1979). Popper ha letto tutto il metodo scientifico secondo la logica congetture/confutazioni:chi fa ricerca si accosta all'esperienza con un'ipotesi, attraverso l'esperimento cerca di confutarla; senon gli è possibile, allora la ritiene corroborata, ossia la tiene per buona fino a quando un altroesperimento non la confuti. In tal modo la scienza si basa sui tentativi di falsificare, non diverificare. Ossia Popper sostenne che, attraverso il confronto con l'esperienza, sia possibile stabilireche un enunciato non sia vero, quindi falsificarlo, ma non che un enunciato sia vero. Popperriprende, in maniera critica, l'idea probabilistica di Hume (1740), il quale fece notare che vedere icigni tutti bianchi non ci consente di affermare “tutti i cigni sono bianchi”, in quanto potrebberoessercene di blu altrove, magari in un luogo remoto dove nessuno li ha mai visti. Oppure, il fattoche ogni mattina sorga il sole, non rende assolutamente certo che anche domani sorgerà, in effettipotrebbe esserci una catastrofe cosmica. Ovviamente è estremamente probabile che domani il solesorgerà, tuttavia affermarlo potrebbe non essere vero, ossia adeguato a quanto accadrà. QuindiPopper afferma che la ricerca possa solo stabilire se un enunciato non è vero. In seguito ai suoistudi, l'epistemologia ha avuto una svolta probabilistica e relativista, addirittura radicalizzando ilpensiero Popperiano. È infatti logico ritenere che, come sia impossibile verificare una proposizione,allo stesso modo non sia possibile essere del tutto certi che un enunciato sia falso: anche lafalsificazione è probabilista.Oltre la posizione di Popper si trova quella di Kuhn, il quale è partito dall'esame della storia dellascienza e ha notato dei periodi di grossi cambiamenti teorici, seguiti da altri relativamente stabili.

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Secondo Kuhn i periodi stabili corrispondono ai tentativi di falsificazione, ossia a periodi in cui gliesperimenti corroborano le congetture, e quindi non c'è bisogno di cambiare le proprie ipotesi.Tuttavia, quando una serie di esperimenti mette in crisi degli enunciati importanti, si assiste ad unarivoluzione scientifica: si cambia paradigma di pensiero. Il concetto di paradigma scientifico è latrasposizione della VS in ambito della ricerca: un paradigma è quello sfondo teorico a partire da cuisi formulano ipotesi e si interroga l'esperienza. L'esempio di cambiamento di paradigmastoricamente più famoso è la rivoluzione copernicana: non più l'idea tolemaica-medievale dellacentralità della terra con il sole e tutti gli astri che le ruotano attorno, ma il contrario. Se per noi èdel tutto ovvio che sia così, è tuttavia utile ricordare che percettivamente sembra che sia il sole aruotare attorno a noi. Se ci si basasse solo su quello che si vede, potremmo affermare chel'enunciato “il sole gira attorno alla terra” sia vero. E per molti secoli si è pensato così. Pareva chel'enunciato fosse adeguato all'esperienza. In effetti, immaginando due oggetti nello spazio vuoto chesi passano vicini muovendosi in direzione contraria, e che ci si trovasse su di uno di questi dueoggetti, si osserverebbe l'altro passarci vicino ad una velocità X, ma non si potrebbe sapere se èl'oggetto su cui stiamo noi a muoversi a velocità X, o è l'altro, oppure se entrambi si muovono e X èla somma della velocità di entrambi gli spostamenti. Il moto del nostro pianeta però non èaltrettanto regolare, gli astronomi avevano notato una serie di irregolarità celesti che diventavanosempre più complesse da calcolare. Copernico ha ri-proposto un sistema con sole al centro, che eramatematicamente più semplice da descrivere. La sua è stata un'intuizione data da un cambiamentodi concezione65, non dal controllo tramite esperienza. Si tratta di un ottimo esempio di veritàsvelamento all'interno della storia della scienza. Ovviamente la nuova concezione veritativa vienein seguito controllata con l'esperienza, durante la fase di scienza normale. Da queste concezioni emerge una comunità di ricerca capace di sfruttare gli errori, cheimmancabilmente commette, per affinare la propria capacità di raggiungere sia nuove concezioni,sia enunciati controllati e molto probabilmente veri. Rimane ad ogni modo un relativismoepistemologico di fondo.Per quanto riguarda la dimensione della fede, rivolta al futuro e a qualcosa che non si vede, quindioltre l'esperienza sensibile, è chiaro che i criteri di controllo siano diversi. Ma sono possibili deicontrolli sul valore di verità svelamento?Accontentarsi di ritenere che VS sia vera solo in quanto creduta sarebbe errato. Questo in quanto sipuò benissimo credere “che, a, in” cose non vere. Per fare degli esempi: credere nelle divinitàolimpiche non le rende vere, così credere nella reincarnazione, ma anche credere che un certopopolo sia la razza superiore non è minimamente sufficiente per concludere che sia vero. Eppure inpassato si è creduto in altri dei, nel secolo scorso il dibattito sulle razze umane ha accompagnatodeliri politici, e ancora oggi milioni di persone credono nella reincarnazione. Dunque com'èpossibile valutare una verità che è soggettiva? Una risposta onesta è che non si può controllaredirettamente, e stabilire cosa sia vero secondo aletheia e cosa no. Tuttavia la corrente filosofica delPragmatismo (Peirce, 1905) ha proposto una soluzione ingegnosa: osservare gli effetti dellapresunta verità. Secondo questa prospettiva, la differenza tra illusione e verità si trova nei loroeffetti. Se uno svelamento genera del bene nelle persone, allora è considerabile verità, non chedebba esserlo per forza ma è del tutto plausibile che lo sia. Quindi è del tutto lecito tenere per verotale svelamento. Al contrario, quando il risultato è un danno, specie un danno sociale, talesvelamento non è da considerarsi vero. Chiunque lo consideri tale danneggia la società. Il giudizio èquindi di natura etica e pratica. Ne consegue che ritenere vera la reincarnazione è lecito, nellamisura in cui non si danneggia nessuno; ritenere di appartenere alla razza superiore non è lecito, inquanto è dannoso per l'essere umano. La proposta pragmatista ricalca il concetto evangelico diriconoscerli dai loro frutti (Mat 7). La domanda pragmatista a proposito del Cristianesimo è la

65 Una delle ipostasi che reggeva il sistema medievale consisteva in una lettura biblica letterale. Copernico la scarta, la sua mente agisce in base ad un'ipostasi diversa: la semplicità della spiegazione.

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seguente: il Vangelo può fare il male al creato? Ovviamente la risposta è no. Anzi, se una personache crede di conoscere la buona notizia, in realtà sta danneggiando il suo prossimo, allora nonconosce veramente il Vangelo. O, per meglio dire, nella misura in cui danneggia il suo prossimo, èfuori dalla verità; potrebbe aver afferrato comunque una parte del messaggio, e quindi agire inmaniera a tratti benefica, e parlare secondo verità in certi momenti, mentre in altre circostanzeessere dannosa e vivere nell'illusione.Anche in questo caso emerge un relativismo. Pertanto, non sembra possibile stabilire con assolutacertezza che una persona sia completamente e sempre nella verità, tanto nella verità comesvelamento che come adeguamento. È tuttavia possibile da un lato stabilire cosa probabilmente èerrato e, dall'altro, decidere cosa è eticamente lecito credere. Credenze, opinioni, fedi e veritàcontinuano ad essere separate, pur essendo in relazione tra loro. Grazie ai modelli epistemologicidescritti qui sopra è possibile indagare tale relazione, e quindi avviare un dialogo.

Conclusioni: relativismo, apertura e dialogo

Tanto dalla tematica della conoscenza della verità, quanto dalla tematica della comunicazione dellaverità, emerge un relativismo positivo. Positivo in quanto, evitando di assolutizzare un unico puntodi vista veritativo, consente una crescita e uno scambio delle verità. L'attitudine ad accettare dipoter essere al di fuori della verità consente un'autentica comunicazione dialogica, in quanto applicail principio di carità. Tale principio (Davidson, 2001), quando applicato alla comunicazione,implica assumere che l'altro, con cui si stia comunicando, possieda capacità di comprensione e diragione simili alle proprie. Qualora ci si accosti ad un'altra persona assumendo che non sia in gradodi comprendere, allora si nega il principio di carità; se invece si ritiene che abbia le facoltà minimeper comprendere, ma ci si designa in ogni caso come superiori all'altro, pur non negandocompletamente il principio, non lo si sta applicando. Ovviamente è possibile ritenere di avere unmessaggio importante, in questo caso è caritatevole presumere che anche la persona a cui stiamocomunicando ne abbia uno altrettanto importante. In tal modo la comunicazione diventa dialogo.Da un punto di vista pratico, il dialogo non è la soluzione di tutti gli attriti tra i diversi punti di vistaveritativi. Per quanto riguarda la VS di tipo religioso, il problema nell'accettazione di una veritàdiversa da quella che si conosce gira attorno a cosa sia dannoso per la società. Quindi sulla liceità diuno svelamento. Questo confronto etico, gestito secondo il principio di carità, può dare ottimirisultati. Tuttavia il dialogo viene annichilito dal pregiudizio di chi ritiene malvagio chiunque non laveda le cose al suo stesso modo. Simili atteggiamenti fondamentalisti sono l'antitesi ad un positivorelativismo epistemologico.In conclusione:la verità non è un'entità fisica, qualcosa che si possiede. Piuttosto è un'azione, un tipo di azionementale conoscitiva, compiuta in modi diversi dalle persone. Conoscere secondo verità, comeadeguamento, può essere approssimato attraverso il controllo dell'esperienza, in relazione ad unarealtà fattuale. Conoscere secondo verità, come svelamento, dipende dall'agire delle ipostasi, èsoggettivo e indirizza la comprensione dell'esperienza.Il contenuto della conoscenza non è di per se veritativo: infatti le stesse parole possono essere lettee conosciute da varie persone, tuttavia per alcune vengono interpretate come verità, mentre per altresono discorsi vuoti. Ad esempio la lettura dei Vangeli per un credente o per un ateo. Per il credentela verità della Parola è svelata ed evidente, non così per l'ateo, pur mettendosi davanti al medesimomessaggio.

Future directions: il problema della razionalità

Quanto sostenuto nel presente scritto sottolinea un'ineliminabilità del pluralismo veritativo. Se daun lato i fatti cadono sotto il dominio della VA, il concetto di paradigma scientifico richiama

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l'importanza della VS anche in relazione ad essi. Viceversa l'interpretazione religiosa di testi ecircostanze storiche, pur cadendo sotto il dominio di VS, sono disponibili al controllo di VA. Da un lato, distinguere i due tipi di verità è utile in quanto fa cadere il bisogno di tenere assiemefatti e interpretazioni, consentendo di verificare gli uni e le altre secondo modalità appropriate erazionali. Mischiando i due concetti di verità si arriva a conclusioni assurde, quale l'idea che ilsignificato coincida con l'esattezza. Al contrario è possibile enunciare una serie di eventi con totaleprecisione, spogliandoli di ogni possibile significato. Mentre è possibile narrare una storia, ancheinventata, che sia atta a comunicare significati importanti.Dall'altro, questa distinzione promuove un confronto tra modi di conoscere la verità differenti. Taleconfronto implica la possibilità di cambiare, di affinare la conoscenza veritativa. In altre parole, sipropone una verità che esclude predicati, tuttavia non in maniera definitiva. Un bell'esempio di questo atteggiamento si trova nell'introduzione alle dottrine fondamentali degliAvventisti del 7°Giorno: le dottrine costituiscono il modo in cui la chiesa comprendel'insegnamento delle Scritture; una loro revisione è possibile, in relazione sia ad una comprensionepiù completa della verità biblica, sia ad un linguaggio migliore per esprimere gli insegnamenti.Ovviamente, trattandosi di dottrine che caratterizzano un'intera chiesa, la revisione non può esserefatta da una singola persona, ma deve essere espressione di una conferenza generale. Questo è unesempio di una fede che conduce ad interrogarsi, ricercare e comprendere, come comunità dicredenti. Dunque non uno sforzo solipsistico, piuttosto un gruppo di persone che studiano e siconfrontano costantemente per aprirsi alla verità. Tale atteggiamento non dogmatico porta anche a ridiscutere la natura della Rivelazione. Da unpunto di vista teologico dottrina e dogma non possono differire maggiormente. La dottrina che puòessere revisionata “quando la chiesa è guidata dallo Spirito Santo verso una comprensione piùcompleta della verità” (SDA Church Manual, p156), pone dei grandi interrogativi riguardo allemodalità di conoscere una verità rivelata. Utilizzare la parola “comprensione” allontanamaggiormente il concetto di dottrina da quello di dogma. Quale modello di razionalità teologica stadietro a questa visione della Rivelazione? Vorrei dunque promuovere, per il futuro, una riflessione sugli assunti alla base di questa visioneteologica66, capace di raffigurare la persona umana come un essere che comprende la verità rivelatagrazie alla relazione con Dio.

Bibliografia

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66 Il bersaglio critico di questa domanda è chiaramente la teologia negativa.

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1989 • Heidegger Martin, Essere e tempo, Utet, Torino, 1969• Hume David, A Treatise of Human Nature, 1740 • Kierkegaard Søren, Postilla conclusiva non scientifica, Sansoni, Firenze, 1972• Kuhn Thomas, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Einaudi, Torino, 1979• Meister Eckhart, Sermoni tedeschi• Peirce C. S., "What Pragmatism Is", inThe Monist, vol. XV, no. 2, 1905• Plotino, Enneadi• Popper Karl, Congetture e confutazioni. Lo sviluppo della conoscenza scientifica, Il Mulino,

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Cortina, Milano, 2006• Rorty Richard, Scritti filosofici. Vol. 1 e 2, Laterza, Bari, 1991-1993• Ska Jean Louis, La parola di Dio nei racconti degli uomini, Cittadella, Assisi, 2003• Telesio Bernardino, De rerum natura iuxta propria principia, 1565• Tommaso d'Aquino, De Veritate

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IL MANIFESTO DEL DISCEPOLOPredicazione

Pastore Nino Plano,Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno

di Venezia, Treviso e Conegliano

Luca 10:1-9:

1 Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a dueavanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi. 2 Diceva loro: «La messe èmolta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandioperai per la sua messe. 3 Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi; 4non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada. 5 Inqualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa. 6 Se vi sarà un figlio dellapace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi. 7 Restate inquella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno dellasua mercede. Non passate di casa in casa. 8 Quando entrerete in una città e viaccoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi, 9 curate i malati che vi sitrovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.

IntroduzioneSe potessimo attribuire un titolo al brano appena letto, potrebbe suonare così: “il manifesto deldiscepolo” o ancora “Il memento dell’evangelista”. Certamente il linguaggio qui utilizzato stridecon la nostra cultura, per varie ragioni, ma probabilmente quella principale sta nei verbi dimovimento utilizzati: inviare, mandare, recarsi, andare, portare. Non voglio frustare nessuno, ancheperché se questa sera noi siamo qui è perché siamo ancora capaci di muoverci per essere chiesainsieme, ma desidero muovere una piccola critica, che riguarda la chiesa cristiana oggi, in ogni suaconfigurazione religiosa: siamo seduti all’interno delle nostre case, isolati dai rapporti socialidiretti, ma illusi di avere dei veri contatti attraverso i social-network. Ammetto, come pastore eforse anche voi siete sulla mia stessa linea d’onda, che l’appello di Gesù non mi piace, sento unreale disagio nel far sapere agli altri che sono un credente attivo della mia comunità. Siamotendenzialmente capaci di prendere ciò che ci piace dallo scaffale del supermarket che la chiesa cipropone, ma siano in grosse difficoltà nel vivere la chiesa come missione. Quindi tutti questi verbi,molti dei quali all’imperativo, che esprimono un movimento reale che dobbiamo realizzare neiconfronti del prossimo, ci mettono in difficoltà. Abbiamo affidato l’annuncio dell’evangelo, che laParola di Dio concepisce attraverso un contatto diretto, ai vari mezzi che quotidianamenteutilizziamo, telefono, internet, radio e televisione, defilandoci dalla nostra reale presenza. Alcontrario in questo testo Gesù responsabilizza, affida un incarico, investe i suoi discepoli e nechiama altri, per adempiere la sua missione.

Missione verso le nazioniLuca è l’unico dei vangeli sinottici ad affidare la missione evagelica oltre ai 12 ad altri discepoli,che quantifica col numero di settantadue. Questo numero non è certamente reale, ma trova radicenel decimo capitolo della Genesi, in cui le nazioni che nascono dopo il diluvio, dai figli di Noè,sono appunto settantadue. Luca quindi ci dice che i dodici discepoli, che Gesù stesso ha costituito,che erano per l’annuncio del vangelo in Israele, non sono più sufficienti, c’è bisogno di nuove

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forze, di persone che possano dialogare in ogni parte del mondo, del grande amore di Gesù. Non èun caso che sia proprio questo vangelo a sottolineare questa missione, infatti esso racconta delladiffusione della buona novella in territorio giudaico, per poi continuare nel secondo libro, sempre diLuca, “gli Atti degli Apostoli”, in cui si racconta la diffusione della stessa notizia in tutti queiterritori chiamati, pagani, lontani dalla Samaria. Nei versetti che noi stiamo prendendo inconsiderazione, troviamo dunque il riassunto dei due libri di Luca: la missione in territorio giudaicoe poi la spinta verso il mondo allora conosciuto.

Scarse risorse umanePer adempiere questa missione, a quanto pare, le risorse umane sembrano poche, almeno questoafferma Gesù. Certamente aveva ragione, qualsiasi movimento al suo nascere è debole e soprattuttoscarseggia di uomini e di denaro per svilupparsi, propagarsi e non rischiare di morire. Nonostantesiano passati duemila anni dalla stesura di queste parole e ci troviamo di fronte ad una religione,appunta quella cristiana, che conta più di un miliardo di credenti per alcune stime e per altreaddirittura due, tenendo in considerazione le varie denominazioni che la costituiscono, lasensazione è che siamo nelle stesse condizioni di cui parlava l’evangelista Luca. Gli operai, cioè lepersone che si impegnano in prima linea, che hanno fatto propria la missione, che si sentonochiamati ad adempiere un compito in virtù della relazione con Cristo, sono poche.Le persone sono e saranno sempre poche, perché, senza voler giudicare ma semplicementefotografare le varie realtà ecclesiastiche, sono sempre pochi coloro che si impegnano. Inoltreassistiamo al fenomeno che aumentando le attività, anche se le persone non sono poche, sembranocomunque poche. Ma dobbiamo avere la fede, in questo caso le narrazioni bibliche ci sono digrande aiuto: quello che noi consideriamo poco Dio è capace di farlo fruttare in manierastraordinaria. Dio agisce con altre logiche e colma i nostri limiti, sia numerici che umani. Ciò checontraddistingue una chiesa non è il dato numerico, ma l’amore che ha per Cristo. Questo amore leconferisce una potenza straordinaria, la sensibilizza ai drammi della storia conferendole quellapassione necessaria per vivere e soffrire con tutte quelle vite con le quali entra in contatto.Un altro elemento che balza agli occhi è che la chiesa, in ogni periodo storico, ha sempre dovutoaffrontare della sfide, diverse tra loro e spesso molto grandi. Nel suo nascere aveva bisogno dirisorse umane, capaci di diffondere senza limiti di tempo e di spazio, l’evangelo. La chiesa puòanche raccontare che nel suo passato molte persone hanno dato addirittura la propria vita perl’evangelo, i così detti martiri.Oggi la chiesa si trova ad affrontare un’altra grande sfida, quella di non soccombere di fronte aduna nuova persecuzione, che non è fatta di nemici, potenze politiche e armi, almeno in questa partedi mondo, me è una sensibilità diffusa che porta il nome di individualismo. Non voglio dire che siatutto male quello che questa parola porta con se, ma certamente si per alcuni aspetti della teologiacristiana, come il tema chiesa.Stiamo assistendo allo svuotamento delle chiese, in ogni parte del mondo occidentale. I grandisistemi religiosi, con una struttura liturgica ben definita, sono in forte crisi proprio perché lepersone, nonostante siano credenti, non sentono il bisogno di aggregarsi e di aderire alla formaliturgica proposta. Quindi assistiamo al grande paradosso del diffondersi di una religiosità personalema appunto separata da una determinata chiesa. Assistiamo quindi alla religione “fai da te”, cheappunto ci si costruisce in casa, ma priva del dialogo e del confronto che solo la chiesa, intesa comel’insieme dei credenti chiamati da Dio, può dare.

Consigli comportamentaliIn questo brano Gesù non solo affida una missione, ma addirittura cerca di dare dei consigli utili perun buon svolgimento dell’attività di testimonianza. Per esempio invita i suoi discepoli a non portarenulla con se, perché è Dio stesso a provvedere per i suoi figliuoli. L’attività del credente ha una solapreoccupazione, la testimonianza, il Signore, si preoccuperà del suo sostentamento. Certamente la

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coltura in cui sono ambientate queste pagine sono ben diverse dalla nostra, in cui ogni cosa che siviveva era strettamente legata alla divinità. Tutto era sempre riconducibile a Dio. Oggi non è piùcosì. Siamo consapevoli che bisogna essere prudenti, che la fede non è incoscienza e che non buttanel cestino l’intelletto, anzi ha bisogno dell’intelletto per essere ben vissuta. Però di fronte all’iper-scetticismo della nostra epoca, dobbiamo recuperare una piccola dose di fiducia verso il futuro,verso il domani e pensare che il Signore è presente ed ascolta realmente le nostre preghiere. Infinemi sono sempre domandato, anche osservando altre sensibilità religiose, che prendono alla letteraanche lo spostarsi due a due, di città in città, se il Signore ci domanda ancora oggi di agire così.Non penso, ma tornando alla sofferenza che oggi la chiesa vive in occidente, il testo ci invita arecuperare una dimensione importante della società, la famiglia. La famiglia deve essere il luogo incui si alimenta la fede. Se la chiesa vuole vincere anche questa secolarizzazione, penso che questotesto ci inviti, proprio come facevano i discepoli, ad entrare nelle famiglie. Forse assisteremo neiprossimi anni al recupero della casa come luogo in cui essere chiesa. In cui, intimamente, sipossono ascoltare i drammi, le gioie e le sfide e sentire l’affetto dei propri cari e dei fratelli inCristo. Oggi, la nostra missione, non è quella dei discepoli e dei padri della chiesa, di convertire lepersone ad una religione completamente diversa. Noi abbiamo una sfida forse ancora piùcomplicata, di risvegliare la fede sonnecchiate in chi si dichiara già cristiano. Ecco dunque, comenon mai, che l’intimità della casa, in cui c’è l’opportunità di essere veramente se stessi e le personenon sono legate ai ruoli che il lavoro e la società gli affibbia, diventa il primo luogo della nostramissione.

ConclusioneAndiamo dunque, come Gesù ci ordina, annunciando che il regno di Dio è vicino a noicominciando proprio da casa nostra.

Amen.

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IL TRIONFO DEL DIRITTO DI DIOPredicazione

Pastore Nino Plano,Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno

di Venezia, Treviso e Conegliano

Isaia 29.15-24:

15 Guai a quelli che si ritraggono lungi dall'Eterno in luoghi profondi per nasconderei loro disegni, che fanno le opere loro nelle tenebre, e dicono: 'Chi ci vede? chi ciconosce?' 16 Che perversità è la vostra! Il vasaio sarà egli reputato al par dell'argillasì che l'opera dica dell'operaio: 'Ei non m'ha fatto?' sì che il vaso dica del vasaio: 'Nonci capisce nulla?' 17 Ancora un brevissimo tempo, e il Libano sarà mutato in unfrutteto, e il frutteto sarà considerato come una foresta. 18 In quel giorno, i sordiudranno le parole del libro, e, liberati dall'oscurità e dalle tenebre, gli occhi dei ciechivedranno; 19 gli umili avranno abbondanza di gioia nell'Eterno, e i più poveri fra gliuomini esulteranno nel Santo d'Israele. 20 Poiché il violento sarà scomparso, ilbeffardo non sarà più, e saran distrutti tutti quelli che vegliano per commettereiniquità, 21 che condannano un uomo per una parola, che tendon tranelli a chi difendele cause alla porta, e violano il diritto del giusto per un nulla.22 Perciò così dice l'Eterno alla casa di Giacobbe, l'Eterno che riscattò Abrahamo:Giacobbe non avrà più da vergognarsi, e la sua faccia non impallidirà più. 23 Poichéquando i suoi figliuoli vedranno in mezzo a loro l'opera delle mie mani,santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe, e temerannograndemente l'Iddio d'Israele; 24 i traviati di spirito impareranno la saviezza, e imormoratori accetteranno l'istruzione.

IntroduzioneCon ogni probabilità questi versetti si situano nel periodo successivo al 715 A.C., in cui il reEzechia lotta per l'indipendenza dall'Assiria. Egli, re del regno di Giuda, cercò in tutte le maniere direndersi indipendente dalla dominazione Assira, attirando su di se il malcontento dell'imperatoreSennacherib, non pagando i tributi imposti. L'esercito Assiro di conseguenza invase il regno diGiuda e dopo il protrarsi di una lunga battaglia, difficile per entrambi gli eserciti, saggiamenteEzechia pagò il proprio tributo, mentre Sennacherib col proprio esercito stremato, decise dismettere di continuare ad attaccare il regno di Giuda, per evitare di attirare il malcontentodell'Egitto alleato di Giuda.Questo breve escursus storico forse ci può aiutare a comprendere meglio i versetti lettiprecedentemente. Essi possono essere divisi in tre parti. La prima parte, composta dai versetti 15 e 16, presenta la chiaroveggenza di YHWH, cioè lacapacità di Dio di penetrare i disegni nascosti e malvagi dell'uomo. La seconda parte che va dalversetto 17 al versetto 21 presenta un Dio capace di capovolgere le dinamiche esistenti, dove aregnare sarà la giustizia di Dio con la conseguente libertà per gli umili dai loro nemici. La terza edultima parte, i versetti che vanno dal 22 al 24, che la maggioranza degli esegeti considera unaggiunta redazionale, descrivono la necessità d'Israele di santificare Dio, di fronte alla sua operaliberatrice. Lo faranno anche i più critici d'Israele nei confronti di Dio.

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La chiaroveggenza di DioIl profeta comincia la sua arringa in maniera decisa: egli considera pessime le iniziative politicheportate avanti dalla dirigenza del regno di Giuda. Dio interpreta queste macchinazioni come undeciso movimento di sfiducia nei suoi confronti. C'è la volontà di sottrarsi al volere di Dio, alcontrario c'è il desiderio di liberarsi dalla giogo assiro attraverso le proprie idee e capacità, senzaminimamente affidarsi alla volontà divina. Anche se Ezechia verrà considerato un buon re, fedele aDio, di fronte alla potenza dominatrice Assira agisce pensando che ormai Dio si era dimenticato delsuo popolo. Straordinaria è l'immagine della creta e del vasaio. L'atteggiamento del regno di Giudaè quello che in ultima analisi tiene ogni essere umano: ergerci allo stesso livello di Dio, considerarcicapaci di agire nella storia, come, se non addirittura, meglio di Dio. Quindi l'immagine della creta edel vasaio vuole ricordare che la relazione che esiste tra Dio e l'uomo è quella di creatore e creatura;che il vasaio, il creatore, è ben più importante dell'oggetto creato.L'atteggiamento umano invece ha come obbiettivo quello di invertire questa relazione, espressaaddirittura in maniera ironica nel testo attraverso il rifiuto del vaso di considerarsi fatto dal propriovasaio e addirittura attribuirgli un'incapacità intellettiva, quasi a prenderlo per stupido: “l vasaio sarà egli reputato al par dell'argilla sì che l'opera dica dell'operaio: 'Ei non m'ha fatto?' sìche il vaso dica del vasaio: 'Non ci capisce nulla?”.

Il trionfo del dirittoI versetti che vanno dal 17 al 21 descrivono, appunto, che se l'uomo per agire tende a nascondersida Dio, al contrario Dio ha addirittura la possibilità di capovolgere la realtà, anche quella più triste enefasta. Proprio in virtù di vasaio, cioè di creatore, il Signore ha la possibilità di rendere il Libano,composto da foreste di cedro, come un frutteto coltivato, e viceversa. E non solo!!! Egli ha si ilpotere di capovolgere la natura geografica di un territorio, ma è addirittura in grado di liberare gliorecchi dei non udenti dalla propria sordità; di liberare i ciechi dall'oscurità delle tenebre; i poveridalla schiavitù dell'indigenza ed infine è in grado di ristabilire la giustizia, senza più arroganti efalsi testimoni rei di rovinare la vita del giusto. I verbi contenuti in questi versetti, a differenza diquelli contenuti nella sezione precedente, sono al futuro. Isaia si fa portavoce di un tempo nuovo,un tempo completamente diverso, nella sostanza contrario alle dinamiche che l'uomo è in grado dicreare in ogni epoca e in ogni latitudine. Non a caso in questi versetti a trionfare, nel tempo nuovo di Dio, è il giusto diritto. Non quelloumano, che presenta interessi e dinamiche di potere, trionfa il diritto di Dio, che riguarda moltiaspetti della vita umana. Nel nuovo tempo di Dio non può esistere il sordo e il cieco. Non è giustoche alcuni possano sentire le parole ed altri no, non è giusto che alcuni possano vedere il sole, ilmare ed il creato mentre cert'altri sono schiavi della visione del nulla, delle tenebre. Ecco dunqueun tema molto caro e forse il più straordinario contenuto nell'A.T.: Dio nel suo tempo, nel nuovotempo, ci libererà psicologicamente e fisicamente da queste schiavitù.

La risposta di giudaLo straordinario messaggio di liberazione appena descritto e il conseguente insediamento del nuovotempo di Dio, è rivolto a tutto Israele, cioè regno del nord e regno del sud insieme. Il regno di Dio èper tutti, non prevede divisioni o particolarità. Anche se il regno del nord spesso si era lasciatosviare dall'idolatria, dalle divinità pagane, Dio è pronto a perdonare e ad agire con giustizia neiconfronti del suo popolo, interamente. Dio sarà in grado di educare sapientemente gli uomini dallospirito avverso e di insegnare agli uomini dal continuo lamento la lezione che Dio non è sordo alleesigenze de suo popolo.

Breve commento:Il testo in questione è quanto mai attuale per svariate ragioni.Una su tutti è la latente sfiducia che abbiamo nei confronti di Dio. Anche se ci consideriamo dei

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fervidi credenti, anche se addirittura siamo dei leader nelle nostre comunità, la dinamica noncambia: di fatto vogliamo agire per conto nostro, quasi escludendo Dio dai nostri affari o altrimentiincludendolo convincendoci che il nostro volere sia esattamente quello di Dio.Un altro elemento importante presente nel testo è la relazione fede-società. Isaia denuncia un'ingiustizia presente nelle istituzioni che erano chiamate proprio ad amministrarla;si parla addirittura di parole dette appositamente per rendere colpevole il giusto e salvare ilmalvagio. Diciamo che la fotografia del profeta Isaia è simile al momento storico che stiamovivendo in cui purtroppo è il conto in banca ad influenzare il giusto giudizio o l’integrazione di unostraniero in un paese. L'intervento del Dio liberatore dalla nostra sordità e dalla nostra cecità nonpuò essere rinviato ad un futuro lontano. Noi siamo dei cristiani e dobbiamo testimoniare nellanostra quotidianità che Gesù è il “tempo nuovo” cioè la materializzazione del “regno di Dio”.Vorrei citarvi una frase di Giovanni Miegge, contenuta nel libro “Per una Fede” a pag. 211: “IlRegno di Dio non è soltanto una realtà futura. […] Nessuno è frustrato dal Regno di Dio, se vivenella fede del Regno e oprando per il Regno. Cristo è il Signore della storia oggi, come nel futuro.”

Non possiamo permetterci di appiattirci all'ingiustizia presente nella nostra società. Non possiamorimanere sordi alle bugie e agli inganni che quotidianamente sentiamo nei vari ambiti dei luoghi cheviviamo e frequentiamo. Non possiamo chiudere gli occhi di fronte alle ingiustizie perpetrate neiconfronti del più debole, che spesso nella nostra società coincide col più povero. Chiedere a Diod'intervenire terapeuticamente nei confronti della nostra cecità significa concretamente considerarcinuovamente creta, cioè creatura, per essere nuovamente plasmati dal vasaio, il nostro Dio.Altrimenti il rischio sarò quello di essere modellati da altri vasai o addirittura da noi stessi.Un ultimo elemento che vorrei sottolineare è l'universalità dell'intervento di Dio. Il testo lasciaintendere che il regno di Dio non sarà solo per Giuda, ma per tutta Israele; addirittura Isaia dirà chesarà per tutte le nazioni. Penso che per noi credenti di una determinata confessione cristiana possaessere un messaggio importante per non vivere la nostra fede in maniera esclusivista. Il Signore ciinvita a creare dei ponti col prossimo e trovare nell'altro, anche se proveniente da una tradizionereligiosa diversa dalla nostra, dei valori comuni per vivere il regno di Dio. Per il regno di Dio c'èspazio per tutti, anche per tutti quelli che escono dagli schemi che la nostra mente o la nostrareligione ha creato.

ConclusioneChe il Signore possa operare nelle nostre vite affinché possiamo essere per primi, noi, artefici deltrionfo del diritto di Dio.

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