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SOMMARIOIl didietro della copertina by bise 03

CCAARRTTAACCOOMMIICCSSScala B, int. 7 di EmmePix NEW 04RX - storiedivitavissuta 05Freccecche 06Il giardino filosofico di Spina 07Crow’s Village 14SpinaComix NEW 15Le indagine dell’ispettore E.S. di Martinelli 19Ettore e Baldo di Milani e Pasini 24Quiff di Cius 28Bacarozzi di Orto 30Desert Out di Massy 31Petherapy di Inno 32Pensieracci e Pensierini di Ignant 33Birka di Emil & Zano 34Fumetti in corso di Cantucci 35“Frank Pollok” di Bargagna 36Mayacomics di Davis 40“Non c’è fine al peggio” di Zazza 42Lurko il Porko Mannaro di FAM 46Pulci di Cardinali 47Satirix di Darix 48Vermi di Rouge 50Pudd di ZamBar 51Adventure di Garaffo 53

CCAARRTTAARRAACCCCOONNTTAA“Una smorfia di fastidio” di Tiberio 22

CCAARRTTAASSPPEECCIIAALLDemenziario di Gregnapola 08Intervista a Walter Basso di Estavio 16“A proposito di una nuova emigrazione”di Garofalo 26

CCAARRTTAACCIINNEE di RidolaSpeciale: Stars with Scars 55Luci, camera...scacco! 61Cinema di Carta ‘70 62

Vignette e illustrazioni di Gianfalco, Darix, Spina, Annibali

Cover di Stevanato

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CARTAIGIENICAWEB.it

Edizioni AssociazioneCulturale Subaqueowww.subaqueo.it

[email protected]

A CURA DIFabrizio FassioAndrea DelfinoValerio FassioRicky Flandin Sebi LigoriIvo Villa

SUPPLEMENTO ASTAMPA ALTERNATIVA

Registraz. Trib.di Roma n. 276/83

Direttore responsabile:Marcello Baraghini

Tutti i diritti riservati. Il mate-riale contenuto in questa e-

zine non può essere riprodot-to né diffuso senza l'espresso

consenso degli autori.

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IILL DDIIDDIIEETTRROO DDEELLLLAA CCOOPPEERRTTIINNAALo ammetto, ma solo perchè stofacendo un dialogo interiore: houn'anima molto nera. Faccio unavita normale per pavidità, masogno solo nefandezze. E' strano,me ne rendo conto, ma forseneanche tanto. Non ho mai rubato,ho una moglie che non ho traditoquasi mai e una figlia che sta cre-scendo, è molto carina e le sonoaffezionato, anche se comincia adessere troppo cresciuta e troppocarina e mi distrae molto vederlapasseggiare per casa mezza nuda.Ho un lavoro normale e dei colle-ghi simpatici, ma anche qualcunoinsopportabile, e non mi sembrapoi troppo strano sognare la loromorte, magari in qualche incidenteridicolo ed umiliante di cui io possapoi ridere con quella punta di sadi-smo senza la quale la vita sarebbecosí noiosa... I clienti, poi, li vorrei vedere tutti impalati, senza eccezioni, tranne laCorradi. Quella troia prima di morire dovrebbe soffrire tanto, ma tanto... e magarisollazzarmi anche un po'. In politica ho sempre votato più o meno i partiti di centro, ma in realtà vorrei unleader forte che mi desse il permesso di spaccare un po' di teste, e marciare con lamascella serrata senza pensare a quanto possa sembrare ridicolo. Quello sarebbe ilmio hobby preferito, altro che lo squallido zapping della domenica pomeriggio.

(vignetta tratta da gianfalco.it)

Bise

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SCALA B - INT. 7di EmmePix

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www.rxstrip.it

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A TU

Ti seguiròfino alla fine del mondo.Percorrerò i sette mari

dai sette coloriAffronterò i quattro venti

ruggentiScalerò

il Cerro Torretagliente come un urlo di dolore.

Traverseròla Death Valley

ostile come il peggior nemico.

Ma sei poi scopro che ‘un ti sei mai mossa di casa

mi fai incazzà

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Era l’era … era l’era che il Giurassicoera un parco; gli atei, devoti; laSinistra era stata al governo ma ancheantagonista; la Destra, liberista maanche populista, polista, monopolista,duopolista; la casta politica, semprepiù casta ma anche puttana; il papa,un pastore tedesco che abbaiava ingotico latino; il Sindacato, un bronto-sauro in via d’estinzione. Solo il debi-to pubblico dell’Enotria non era in viad’estinzione.

Era l’era che il segretario del piùgrande (forse)partito (forse)ex(forse)comunista frequentava con laconsorte il salotto di casa Rizzoli perportare la buona novella presso gliindigeni – e la moglie di Rizzoli si can-didava nelle liste del(suppergiù)Partito (certamente)della(sedicente)Libertà.

Non era già più il tempo che i comu-nisti mangiavano i bambini, perché ilGambero Rosso non era riuscito a farlidichiarare – i bambini - ‘presidio slowfood’. I bambini, da parte loro, non sisognavano nemmeno di mangiare icomunisti, ormai vecchi e stantii.Inoltre, erano stati dichiarati – icomunisti, non i bambini - ‘specie invia d’estinzione’ e perciò protettti -ma anche ‘patrimonio dell’umanità’.

Viveva (emblematica tripla V …) inquel tempo un grande profeta, venutoin Enotria da terre lontane; Egli spes-

so diceva: “Noi veniamo da lontano”(in quanto profeta, parlava per contoterzi e usava il plurale majestatis).

Sedetiam, l’arcano suo nome.Era Egli cresciuto mangiando bambi-

ni; poi, un giorno fatale (la Storia diràper chi), a Berlino gli crollò sulla testaun intero muro. (Questo evento ispirò‘The Wall’ ai Pink Floyd, che gli dedi-carono la terza edizione del loro capo-lavoro: ‘The Wall-ter’.)

Da quel giorno Sedetiam si ravvidee non mangiò più bambini – nemme-no nel segreto dell’urna.Egli era stato sino ad allora un fan di

Berlinguer e dei fratelli Kennedy, mala caduta del muro a Berlino gli pro-vocò una semiamnesia: con Berlino sene andò in frantumi anche Berlinguer.Perché Sedetiam era proiettato nelfuturo: Egli cancellò sia il passato cheil trapassato. I Kennedy, in quantoamericani, sono immortali.

Nel frattempo, in Enotria era andatain frantumi quella che era stata unasplendida dimostrazione di ciò chepoteva essere il potere cristiano:appunto, la Demo-crazia Cristiana.Con essa, era andato definitivamentea puttane anche il Partito ComunistaEntrano, un gagliardo power-pointdella democrazia socialista.

Un giorno, in casa di un grande

Tutti insieme appassionatamente- ma anche serenamente, pacatamente

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poeta, Sedetiam trovò dei ragazzi cheparlavan di pace: di colpo capì che eraquella la meta che aveva raggiuntoper esser felice.

Purtroppo, nel frattempo il subco-mandante Faust-Ho Chi Minh gli avevasoffiato l’arcobaleno, per dar vita allaSinistra Fantagonista con gli operatoriecologici ex verdi-arcobaleno (quelliche per la grande crisi della monnez-za partenopea avevano coniato lo slo-gan: “Ripuliremo Napoli con il terno-valorizzatore). Anche Grillo si aggregòloro, con una propria lista; simbolo:un grillo sparlante che usa un arcoba-leno per scagliare frecciate contro l’ar-co costituzionale. In seguito furonotutti denunciati dai NAS per arcotraffi-co.

A Frascati, capitale naturaledell’Enotria, in vista dei Grandi GiochiElettorali vennero inaugurati i padi-glioni della Nuova Fiera, sui quali cam-peggiava la scritta: ‘Alla Fiera dell’Ex’.Ex comunisti, ex fascisti, ex libris, ex

voto (sempre preziosissimi), exit pol,ex cathedra, extrauterini, extracomu-nitari, extracomunistari. “Dura l’ex,sed l’ex” si sentiva ripetere ovunque;frase oscura ed evocatrice: quasi piùnessuno capiva il latino, parlato ormaisoltanto in alcune vallate della berga-masca.

Sedetiam dimostrava, in quei fran-genti, una crescente abilità nellagestione dell’ex, tanto da meritarsil’appellativo di ‘Campione di ex-appeal’: prendeva con la mano sini-stra e passava alla mano destra oppu-re anche viceversa. E la sinistra sape-va sempre ciò che faceva la destra ecosì viceversa. E la sinistra sapeva chela destra sapeva che la sinistra sape-va e così viceversa. Più nessuno cicapiva niente, ma proprio qui stava ilbello, perché è dall’ignoranza chenasce la volontà di redenzione (questamassima l’ho trovata già scritta qui:per non saper né leggere nè scrivere,qui la lascio).

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La vecchia politica era ormai un ciar-pame del passato; nuovi contenuti siandavano consolidando – nuove ener-gie interne. Tutti i seguaci di Sedetiamerano soliti infilarsi due dita nel naso edue dita nel sacro orifizio per autopro-durre energia rinnovabile e biologica.E l’indice e il medio ficcati nel nasodecisamente divaricati erano il simbo-lo di vittoria del capo Sedetiam.

Era un’epoca così, di grande felicitàe serenità: più nessuno si masturbavaper non far piangere Giuliano Ferrara.Che intanto abortiva partitini che nes-sun altro all’infuori di lui avrebbepotuto concepire e per non candidarsicon Cribbio Miconsenta si era fattolegare ad una sedia e per non essere

sedotto dalle sirene della modernitàurlava a squarciagola e squarciamaro-ni: “Fogli, sempre fogli, fortissima-mente fogli”. Talché Riccardo chiese lasua mano, subito respinto da una tuo-nante invettiva: “Perché, da solo nonce la fai?”.

E venne il giorno – gran giorno fuquello! – che Sedetiam, dopo aver:

seguito il funerale di un barboncinoomosessuale dilaniato da un branco didoberman naziskin (casualmenteripreso in Eurovisione);

carezzato la figlia miodistrofica di unimmigrato clandestino affetto da sin-ghiozzo cronico (casualmente ripreso

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in Eurovisione);posato in canottiera per il bollettino

ufficiale dei muratori cispadani (criE);firmato autografi ad una scolaresca

montenegrina (criE);distribuito dolcetti ai bambini diabe-

tici dell’asilo per sordomuti (criE);firmato un appello contro la diffusio-

ne delle allergie da stress al di fuori diuna corretta dialettica democratica(criE);

condiviso il (frugale) pranzo con igatti di Largo di Torre Argentina(criE);

stretto la mano a 5.468 ultrasdell’Atalanta in visita a Roma perun’udienza papale, convinti di trovarciancora papa Giovanni XXIII (criE);

dopo tutto ciò e molto altro ancora(criE), presentò alla nazione intera lasua rivoluzionaria proposta non solopolitica ma anche esistenziale. (qui cistavano bene i due punti, ma preferi-sco concedervi una pausa più sostan-ziosa, per recuperare le energie e pre-disporvi all’annuncio della BuonaNovella).

Se avesse vinto le elezioni, avrebbetrasformato l’Enotria in un grande setcinematografico – e la vita stessasarebbe diventata un film, un grandeKolossal. Sceneggiatore, regista, pro-duttore, attore protagonista:Sedetiam, per motivi di coerenza stili-stica. E se gli avanzava il tempo, but-tava giù anche la colonna sonora.L’avrebbe presentato (criE) nell’ambi-to del Festivalter del cinema diFrascati.

La ricerca e la stesura del soggettogli erano costate molto tempo edenergie, ma ne era valsa la pena:avrebbe messo in scena il suo grandeprogetto di vita: trasformare l’Enotriain un grande set cinematografico. Nelfilm, ideatore, sceneggiatore, regista,produttore e interprete principale nonpoteva che essere lui: Sedetiam. Iltitolo, forse un po’ lungo, ma chiaro etrasparente, sarebbe stato: ‘Dell’artedi rimanere se stessi imitando gli altri.Ovverosia imitare gli altri rimanendose stessi. Ma anche rimanere gli altriimitando se stessi o imitare se stessirimanendo gli altri’.In vista della realizzazione del kolos-

sal, aveva iniziato a selezionare lecomparse, mediante estenuanti, seve-rissimi provini, durante i quali essidovevano dimostrare di saper pronun-ciare con grande spirito democratico epartecipativo il monosillabo ‘Sì’. Titolidi preferenza: scarsa o nulla attivitàrecitativa alle spalle; scarsi o nullilegami con il territorio.

Il film sarebbe stato prodotto dallaSedetiamFilm, creata per contrastarelo strapotere commerciale dellaFilmiconsenta.

La politica artistica e commercialedelle due major (o stai al passo coitempi o è tempo che passi), per quan-to all’apparenza simile, si differenzia-va proprio nell’elemento di fondo:l’una posponeva, l’altra anteponeva ilsostantivo ‘film’.

Ed era questo l’elemento in base alquale agli spettatori era dato coglierela differenza fra le due produzioni.

Mentre Sedetiam lavorava sodo alla

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realizzazione del suo capolavoro,Miconsenta non risparmiava energie euomini per il suo, di kolossal: “IlParadiso del liberismo. Paperone èmorto, W Paperino!”. Personaggi prin-cipali: Paperino e Qua! Qui e Quo.Interpreti: Cribbio Miconsenta, laMussolini, Fini, Ciarrapico. Ma fra i due grandi litiganti, altre pic-

cole produzioni indipendenti cercava-no di farsi strada: la Pudici Film diCasini, con il suo “Dio, Patria eFamiglia. Papa, pappa e papà” - e laRosa Rosae Rosae Film, con le sueaggregate: la Rosa Bianca Film, la

Rosa nel Pugno Film, la Rosa RussoJervolino Film e la Anna La Rosa Film.Erano in corso trattative con laRosibindi Film e con la Rosiconi Filmdel clan Mastella. Si mormorava cheavrebbero messo in scena “Misticanzadi rosa. Muore la margherita, maPezzotta continua”.

A parte, con-correva anche laNarcobaleno Film, che vantava attoridel calibro di Faust-Ho Chi Minh eGregory Peck O’hraro. Il titolo provvi-sorio del loro film, scartato il già noto“Camera con vista”, era “Salotto con-tinuo”. Nella pubblicità del film, agli

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spettatori si garantiva il posto fisso insala, ma a tempo determinato (dueore); il rispetto assoluto delle normedi sicurezza all’interno delle sale diproiezione; una razione di pop-corninclusa nel prezzo del biglietto; la rac-colta differenziata dei biglietti e deisacchetti dei pop-corn; l’ingresso insala anche per le coppie di fatto, gliomosessuali e gli extracomunitari.

Come non bastasse tutta ‘sta con-correnza minore nella produzione difilm, ci si mettevano anche le salecinematografiche degli oratori, chevolevano mettere becco nella sceltadei film da proiettare.Dagli oggi, dagli domani, Sedetiam e

Miconsenta si resero conto che i loroavversari rosicchiavano fette semprecrescenti di mercato, con le loro pelli-cole, assottigliando gli introiti delleloro major. Come spesso accade, inomaggio ai sacri principi della concor-renza e del mercato (E = MC2, dove Esta per Entrate; M per Mercato; C perConcorrenza; 2 per “se siamo in 2,perché cacchio dobbiamo farci concor-renza?”), i due grandi imprenditoricinematografici decisero di fondersinella ‘SedetiamiconsentaFilm’, concapitale sociale ma anche democraticoe libero di spostarsi senza vincoli ideo-logici e dogmatici.

Questo passo fondamentale fu deci-so nell’interesse degli spettatori: nonavrebbero più dovuto identificare suimanifesti la posizione di ‘film’ percapire il genere di spettacolo che liattendeva.

Karl Kraus *, tipografo austriacoemigrato a Berlino, di passaggio aRoma per visitare il Cimitero egli Atei,si fermò a leggere il manifesto pubbli-citario del primo kolossal dellaSedetiamiconsentaFim:

“Tutti insieme appassionatamente.”Sottotitolo:“No alle masturbazioni elettorali: non

disperdere il voto!”.“Ach! Film cià fizto!” bofonchiò scuo-

tendo il capo il piccolo austro-teutoni-co. In cuor suo covava un grande pro-getto: un kolossal dal titolo: “Gli ulti-mi giorni dell’unanimità” **.

NOTE

*http://it.wikipedia.org/wiki/Karl_Kraus

** Parodia del capolavoro di Kraus:“Gli ultimi giorni dell’umanità”(http://www.schlosstirol.it/content.php?id=3490&

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www.lelecorvi.com

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E’ nato a Camposampiero Pdnel 1951 e quivi ridiedeinstato semicomatoso. Hainiziato a scrivere nel '95 eha pubblicatio circa60 tralibri e pubblicazioni varie Hacollaborato per anni conDino Durante, poi con LeBronse Querte e collaboratuttora con Moreno Morellocome attoree segnalatoreper Striscia la Notizia. Hascritto tre spettacoli teatrali,un musical e collabora comeautore con qualche gruppodi cabaret. Ha condotto pro-grammi telefonici e scrive sudiverse testate giornalisticheanche nazionali. Ha fondatola casa editrice EdizioniScantabauchi srl e una rivi-sta umoristica LaSganassada... Ha partecipa-to a La Sai L'Ultima? ed èspesso presente in molte

tivù locali. Scrive quasi solo in veneto, ama sfrenatamente l'umorismo e il suo mottoè "Meglio scrivere parolacce che andare a lavorare!"

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I n t e r v i s t a aaW A L T E R BB A S S O

a cc u r a dd i RR o b e r t o EE s t a v i o

Hai cominciato a recitare in seguitoad situazione difficile, raccontaci…Beh, diciamo che ho cominciato scriverecome umorista prima di cimentarmi comeattore (se così mi posso definire!)… Infattiil fatto di lavorare come attore soprattut-to con Moreno Morello, l’inviato di Strisciala Notizia, al quale mi lega un sincero sen-timento di amicizia e tantissima stima, è

stato una conseguenza del lavoro di auto-re umorista… E’ vero comunque che hoiniziato a scrivere per disperazione inquanto a 42 anni mi sono trovato licenzia-to da un’importante azienda del settoreabbigliamento dove facevo il lavoro digerente di filiali (licenziamento legato adifficoltà aziendali) e non riuscivo più adinserirmi come lavoratore dipendente…

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Inoltre venivo da una seria difficoltà fami-liare (molti soggiorni in ospedale)… Mi hasalvato il grande amore per l’umorismo ela casuale (merito di mia moglie) cono-scenza con il mio maestro spirituale (nelsenso di autore umorista padovano: ilmitico Dino Durante… Così nel 95 perscherzo ho pubblicato il mio primo libroumoristico per la casa editrice di Dino epian piano la cosa ha preso piede e sem-pre grazie al suo aiuto (mi ha inserito nelpiccolo mondo della letteratura veneta) edanche ad un po’ di culo eccomi qua…

Quali sono le tue caratteristiche diattore?Credo di non essere assolutamente unattore vero… Mi presto a interpretarevarie situazioni davanti alle telecamereperché trovo le persone brave che sannoindirizzarmi e darmi le giuste indicazioni..Io cerco di essere sempre spontaneo… Divolta in volta è Moreno, o Fred del Bepi eMaria Show, oppure le Bronse Querte conle quali ho partecipato ad un cortome-traggio, che riescono a tirare fuori quelpoco di buono che posso esprimere….Comunque ho sceneggiato anche unmusical e qui, sempre in modo ruspante,ho recitato stando sul palco fino a dueore!

Che bisogna fare per far ridere le per-sone?Prima di tutto essere ottimisti… Poi saperguardare il mondo con l’occhio dell’umori-sta: in ogni situazione si possono trovaremotivi per sorridere o ridere. Poi bisognadivertirsi finché si cerca di far ridere... Illettore o lo spettatore in linea di massimasente quando la persona è spontanea.Tecnicamente poi bisogna aver un buontesto (nel cabaret) quindi scegliere unbuon autore e collaborare se si è in grado(di solito un umorista non ha problemi)mentre scrivendo il segreto è di scriveregrandissime vaccate facendo finta chesiano cose serie… Ma tante di questeinformazioni si possono trovare nel mio

libro IN ALTRO IL MORALE scritto con FredDalla Rosa del gruppo Bepi e Maria Show

Fai di tutto teatro, TV, ( anche cine-ma)? Sei uscito con diversi libri. Doveti vi sentiti maggiormente a tuo agio?Chiaramente nella scrittura in particolarmodo nella letteratura umoristica veneta..infatti in questo settore ho pubblicatocirca 20 libri la maggior parte dei quali piùvolte ristampati ed esauriti… Ma amoanche i monologhi il pubblico… senza pre-tese…….Per il cinema c’è qualcosa in can-tiere ma come sceneggiatore (al limiteuna comparsata).

Che libri hai scritto?Un po’ di tutto… Ho scritto anche un librodiventato uno spettacolo teatrale conbrani di vita vissuta (la fadiga de èssareomo), quattro dizionari sulla lingua vene-ta (uno in nazionale per la Vallardi)… Poi11 annate dell’unico CalendarioUmoristico Veneto, un romanzo di fanta-scienza, due libri di poesia (anche in ita-liano, 4 annate di un agenda umoristicacon Dino Durante, vari di gastronomia,narrativa varia.. Da 5 anni esce anche unparticolare almanacco di fine anno umori-stico L’OCO…In totale credo di essere sulle60 pubblicazioni… E sono anche editore ecuro personalmente anche la parte grafi-ca delle varie opere…

Il dialetto è importante per le tue esi-bizioni?Io amo il veneto, aldilà di qualsiasi moti-vazione politica – infatti sono apartitico dasempre – Uso questa lingua anche nelleinterviste televisive, radiofoniche, nellemie presentazioni, nelle gags, insomma“parlo senpre come che magno!”.. E’ unamore viscerale: amo l’ironia che questalingua ha… però se fossi nato a Napoliscriverei in napoletano, se fossi milanesescriverei in milanese… Insomma è unamore puro senza campanilismi…

Hai anche fondato un giornale satiri-

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co locale (dico giusto?). Raccontacicome è nato e di cosa parla...Sì, è la Sganassada.. è nato, in forma dirivista, con Dino Durante durante un viag-gio a Verona..con lui è continuato fino allasua morte.. poi l’ho chiuso e due anni fal’ho fatto rinascere, bimestrale, con nuovicollaboratori (quando può collabora ancheMoreno) e sempre ricordando Dino.. E’misto in veneto e italiano, pieno di vignet-te, battute e aperto a tutti… E’ un conti-nuo sberleffo senza paura di nessuno… E’anche on line… Se vuoi puoi pubblicarloanche tu!!!

Tenete dei corsi in giro, la famosaterapia del sorriso? Perché, e comefunzionano?Perché la gente ha voglia di riscoprire l’ot-timismo.. Coinvolgiamo la gente la faccia-mo salire sul palco, superando le inibizio-ni, raccontiamo aneddoti di vita, monate

varie… Parliamo di scrittura umoristica, dicabaret, di teatro. Abbiamo ospiti in ognu-no di questi settori che raccontano il loromondo… Ci aiuta anche uno psicologo… Inquesto momento è programmato aLimena tramite il Comune, e a DueCarrare… Per saperne di più basta andarenel sito www.edizioniscantabauchi.itsezione appuntamenti…

Che diresti ad un giovane ragazzo chevorrebbe recitare e fare l’attore comi-co?Prima di tutto diventare (se non lo sì ègià) ottimista… imparare a cogliere il latocomico in tutto quello che vede attorno asé… poi affidarsi a qualcuno del settore (cisono molti cabarettisti – vedi DavideStefanato del Bepi e Maria Show – chetengono appositi corsi)… Partecipare aqualche concorso (ne organizzerò uno aMirano per questa estate)… farsi aiutareda un buon autore e fare gavetta: villaggituristici, gruppi di amici, intrattenimentidurante cene.. insomma a mettersi allaprova. Poi, capire se si è adatti altrimentilasciar perdere…

Cosa vorresti dire ai nostri lettori di www.cartaigienicaweb.it?Di imparare a sorridere sempre. Di darvalore alla vita. Di non aver mai paura delpotere ma usare la satira per sbeffeggiar-lo.. La satira è educativa, importante esegno di democrazia. Di non confonderela volgarità gratuita con l’umorismo…Essere sempre coerenti… e non mettersimai a 90° davanti a nessuno!!!!.. Grazieper lo spazio e complimenti per il sito checonsulterò spesso!!!! Ciao da WalterBasso!

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Il primo giorno di lavoro di Attilio Cugno alla Omega S.r.l. fù una cosa del tuttonuova ed inaspettata. Anche se venne assegnato al turno di mattina (cioè dalle oresei alle quattordici) si presentò alle sei meno un quarto, entusiasta e sorridente.A Cugno non piaceva svegliarsi il mattino presto. Amava di più passare le nottate abere ed a far baldoria al Milo Bar e quando si ubriacava era capace di tutto. Bastipensare che una volta, per vincere una scommessa, si spogliò e cominciò a correrenel parcheggio del Bar con trenta centimetri di neve, completamente nudo e ubriacofino all'osso.Vinse la scommessa. Come premio si beccò una polmonite e quasi ci lasciò la pelle.

Non aveva mai lavorato. A quasi quarant'anni non aveva una lira di contributi versa-ti. Aveva perso la madre da piccolo e dopo gli studi superiori ed il diploma da ragionie-re, non aveva più voluto fare un cazzo.Visse col padre e della sua pensione finché questo morì. Dal canto suo il padre,Antonio Cugno, i primi anni lo spronò più volte a trovarsi un lavoro. Si rivolse perfinoad un amico assessore, il quale lo confortò dicendogli che un posto come vigile urba-no era cosa fatta.Attilio diede il suo assenso. Venne il giorno del concorso e anziché andare a passarela prova (divenuta una pura formalità) andò al mare con degli amici. Affittarono unabarca e la caricarono di birra, vodka e stupefacenti vari. Tolsero l'ancora ed andaro-no a pescare a largo, dove rimasero per due giorni.Quando tornò a casa il padre si limitò a dire che la cena era nel forno. Egli andòverso il forno, lo aprì e vi trovò dentro tre piatti di pasta, uno per ogni giorno nelquale era mancato: è superfluo dire che mangiò solo il terzo.

Dopo la morte del padre, Cugno si trovo col culo per terra. Dopo aver dato fondoagli ultimi risparmi decise di trovarsi un lavoro.Ne aveva sentito parlare dai suoi amici, i quali erano tutti impegnati in qualcosa disimile. Ma questo famigerato “lavoro”, lui, non aveva mai compreso bene cosa fosse. Dopo aver chiesto un pò in giro, si recò in un edificio grigio alla periferia della cittàchiamato "Centro per l'impiego". Ma questo lo scoprì solo in seguito. Gli impiegati diquesto ufficio gli chiesero di procurarsi una lunga lista di documenti da reperire pres-so un altrettanto lunga lista di uffici pubblici. Tutto era nuovo ed eccitante per Cugno e cominciò a pensare che questa cosa dettalavoro non doveva essere poi così male. Insomma, Cugno stava cambiando. Si senti-va immerso in una nuova fase storica della sua vita, una rivoluzione lampo.Nella sua mente si susseguivano domande del tipo: forse mio padre aveva ragione?Il lavoro è il vero motore della vita? Perché ho buttato la mia vita in feste e sbronzecolossali?Dopo qualche giorno il Centro per l'impiego lo chiamò a colloquio. Nel frattempo si

UNA SMORFIA DI FASTIDIOdi GIUSEPPE TIBERIO

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era procurato numerosi libri sul lavoro e, nello specifico, sul lavoro che se tutto fosseandato per il verso giusto sarebbe riuscito a fare: lo stampaggio di lamiere a freddo.Il suo compito sarebbe stato quello di sistemare un pezzo di lamiera sotto una enor-me pressa idraulica che dopo essere stata azionata avrebbe prodotto il pezzo finito.

Quella mattina timbrò il cartellino. Com'era dolce quel tatlack provocato dalla timbra-trice. Venne accompagnato vicino ad una pressa alta circa dodici metri e iniziò la suaopera. Andò avanti così per un paio d'ore, poi alle nove circa suonò la sirena. Pensòdi aver terminato la sua dura giornata di lavoro. Si tolse cuffie e guanti, salutò i col-leghi e si avviò verso l'uscita. -Cugnoo... Ah Cugnoo... ma dove cazzo vai!- era il caporeparto che urlava.Ben presto si rese conto che era solo la sirena della prima colazione e riprese il suolavoro alla macchina. Alle nove e mezzo circa si rese conto che la prospettiva dirimanere incollato a quell'arnese per altri venticinque anni lo atterriva. -Perché non riesco ad essere come gli altri?- pensò.Si guardò intorno: ce ne erano a decine che facevano il suo stesso lavoro e nessunosembrava soffrire quanto lui. Alcuni addirittura ridevano e fischiettavano come sequella fosse la cosa più normale del mondo. Al contrario, la prospettiva di rimanere senza una fonte di guadagno lo esasperavaanche di più. Aveva accumulato molti debiti dalla morte di suo padre a cui bisognavafar fronte in qualche modo. Aveva letto su uno di quei libri chiamato "Contratto Collettivo Nazionale del settoremetalmeccanico" che se un operaio, inseguito ad un infortunio sul lavoro rimanevainvalido, aveva diritto ad una pensione erogata dall'INAIL.Ci pensò a lungo, per ben mezz'ora. Poi prese la sua decisione.

Aspettò che la pressa tornò sù, tolse il pezzo finito, disattivò le fotocellule di prote-zione, infilò la mano all'interno della macchina ed avviò.Dal canto suo la macchina fece un buon lavoro: gli schiacciò la mano talmente beneche non tentarono neppure di riattaccargliela. Un vero tripudio di sangue e metallo.Egli non urlò e non pianse nemmeno un pò. Fece solo una smorfia per quello schizzodi sangue nell'occhio. Una smorfia di fastidio più che altro, come quando una moscati ronza intorno, ti sbatte sugli occhi e proprio non riesci a farla fuori.

FINE

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Non c'è dubbio che l'emigrazione intellettuale rappresenta la più grave perdita di ricchez-ze, la sciagura peggiore che possa capitare ad una comunità, poiché questa è costretta arinunciare alle sue personalità migliori, alle intelligenze più pronte e vivaci, a privarsi deisuoi figli più capaci e brillanti, quindi delle risorse più preziose. Ebbene, la nuova emigra-zione irpina rivela aspetti che prima erano assolutamente inediti e sconosciuti, trattando-si di una fuga in massa di cervelli, ossia di un'emigrazione giovanile di tipo intellettuale,quasi un esodo massiccio con elevate percentuali e livelli di scolarità. Infatti, i giovani piùintelligenti, colti e preparati fuggono dal luogo in cui sono nati, cresciuti e dove hanno stu-diato, anche perché non intendono (giustamente) soggiacere e piegarsi al ricatto cliente-lare imposto dai notabili politici locali che li costringono a mendicare la concessione di unlavoro che invece è un sacrosanto diritto che spetta ad ogni cittadino. Ma si sa che da noila "cittadinanza" rappresenta un lusso riservato a pochi eletti e privilegiati, ai "figli di papà".Invece, i "figli del popolo", della povera gente, sono condannati ad elemosinare continua-mente favori, elargiti attraverso un metodo arcaico che è probabilmente un antico retag-gio del feudalesimo. Una prassi comune applicata sia per ricevere un misero lavoro (oltre-tutto a tempo determinato, mal pagato, senza diritti e tutele), sia per ottenere qualsiasialtra cosa, anche la più banale richiesta di un certificato, scambiando e svendendo i dirit-ti come volgari concessioni in cambio del voto a vita. Questo è purtroppo un (mal)costu-me insito nella "normalità" della vita quotidiana, una situazione quasi "naturale ed inelut-tabile", un elemento immodificabile insito in un'ipotetica e immaginaria legge di natura, chein realtà non esiste. Infatti, la legge naturale non è applicabile alla dialettica storica, cheinvece è caratterizzata e determinata da tendenze e controtendenze, sempre mutevoli, instretto rapporto di interazione e reciproca influenza, per cui nulla è davvero eterno edimmutabile nella realtà storico-sociale, come è confermato, ad esempio, dalle rivoluzioniepocali che in passato hanno abolito i privilegi aristocratico-feudali, lo sfruttamento dellaservitù della gleba e della schiavitù. Fenomeni che per secoli, se non millenni, gli uominihanno accettato quali condizioni assolutamente "giuste", in quanto definite come "natura-li e inevitabili".

Inoltre, mi permetto di fornire una serie (davvero inquietante) di cifre statistiche relativealla realtà delle nostre zone. Trattasi di dati riferiti dall'Istat, che dunque non possonoessere tacciati di "faziosità".

In Irpinia la percentuale della popolazione che versa in condizioni di povertà, si attesta benoltre il 20 per cento. Il tasso della disoccupazione giovanile in Irpinia è salito oltre il 51 percento, aggirandosi intorno al 52 per cento: quindi, nella provincia di Avellino (più di) un gio-

A PROPOSITO DI NUOVA EMIGRAZIONEdi LUCIO GAROFALO

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vane su due è disoccupato. Inoltre, e questo è un motivo di ulteriore apprensione, il nume-ro dei disoccupati che hanno superato la soglia dei 30 anni è in costante aumento. Moltoelevato è altresì il numero dei disoccupati ultraquarantenni, che dunque nutrono scarsis-sime speranze e possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro. Nel contempo, anchein Alta Irpinia si diffondono e si estendono a dismisura i rapporti di lavoro precarizzati,soprattutto in quella fascia di giovani che hanno tra i 20 e i 25 anni, ossia tra i giovani allaloro prima occupazione lavorativa. Aggiungo che l'Irpinia, e l'Alta Irpinia in modo specifi-co, detiene un angosciante primato: quello del più alto numero di suicidi (oltre 40 casisono stati registrati solo nel 2006, e il 2007 non sembra aver invertito questa lugubre ten-denza) per quanto riguarda l'intero Meridione. Un primato tristemente condiviso con laprovincia di Potenza. All'origine di questo doloroso e inquietante fenomeno starebberoanzitutto due ordini di cause: la miseria economica e il disagio psicologico. Inoltre, i tossi-codipendenti in Irpinia si contano a centinaia; i decessi per overdose risultano in continuoe pauroso incremento. Da questo punto di vista, le realtà di Caposele, Calabritto eSenerchia formano un vero e proprio "triangolo della morte", così come la zona è statamestamente definita in seguito ai numerosi decessi causati da overdose. Comunque, èestremamente difficile quantificare con esattezza la portata di un fenomeno come l'uso disostanze tossiche nei paesi irpini, ma basta guardarsi intorno con maggiore attenzione perrendersi conto della gravità della situazione. I Ser.T (Servizio Tossicodipendenti), adesempio, non sono affatto rappresentativi delle tossicodipendenze in Irpinia perchè qui sirecano, in genere, eroinomani che hanno bisogno di assumere il metadone oppure quan-do, segnalati dalla prefettura, sono costretti a seguire una terapia. Dunque, stabilire conprecisione quanti siano i consumatori di altre sostanze (cannabis, cocaina, crac, kobrett,psicofarmaci, alcool) è praticamente impossibile. Certo è che piccoli paesini con più omeno 4 mila abitanti, come Andretta o Frigento, hanno assistito ad una crescita davverospaventosa del fenomeno negli ultimi dieci anni. In queste piccole realtà montane si contaormai un elevato numero di giovani tossicomani che fanno uso di sostanze deleterie qualil'eroina, il kobrett e il crac, i cui centri di spaccio sono da ricercare altrove, notoriamenteidentificati nelle periferie e nei quartieri più depressi e degradati dell'area metropolitana diNapoli, come, ad esempio, Scampia e Secondigliano.

Tali dati, pur nella loro gelida ed agghiacciante "asetticità", ci consegnano un quadro dav-vero allarmante di cause che probabilmente inducono i nostri giovani migliori, più capacie brillanti, a "fuggire" dalla terra in cui sono nati e cresciuti, per riscattarsi ed emanciparsialtrove, per fare fortuna in altri posti, per realizzarsi ed avere successo non solo in ambi-to lavorativo e professionale, esprimendo tutto il loro potenziale talento, che invece ver-rebbe frustrato e mortificato se restassero qui da noi, in terra irpina.

FINE (per ora...)

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STARS WITH SCARSIL CREPUSCOLO DEGLI ACTION HEROES DEL SECONDO MILLENNIO

Domanda retorica: al cinema gli action heroes sono forse passati di moda?Logori, stanchi e invecchiati, gli eroi del grande schermo dell’ultimo ventenniosembrano condannati a un lento ma inesorabile oblio, primo passo di un(pre)pensionamento coatto sancito anni orsono dal loro (prematuro?) confina-mento nei territori marchiati DTV (Direct-To-Video). Banditi in modo irreversibiledalle sale cinematografiche, i nostri “eroi” sopravvivono ai confini del mondoscintillante di Hollywood & dintorni, emarginati ma non per questo rassegnati,decisi ad alimentare comunque i sogni, sbiaditi ma sopravvissuti, di quella gene-razione di spettatori che ricorda, e talora riguarda, film del calibro di “Lionheart”come di “Nico”, di “Caccia mortale” come di “Trappola in alto mare”.

JEAN-CLAUDE VAN DAMMELa soglia dei 50 anni è ormai vicina, ma “Muscles from Brussels” (questo sopran-nome non gli è mai piaciuto…) è lungi dal gettare la spugna. Il suo ultimo film

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distribuito in Italia su grande schermo risale al 2003, “Hell” del dotato ma discon-tinuo Ringo Lam, un prison-movie molto crudo, fin troppo… recitato ma troppopoco… agitato. La responsabilità di questo progressivo decadimento artistico ecommerciale è, ovvio, anche sua: “Derailed” (2002) risulta imbarazzante ancheper i fans più devoti. Nell’ultimo lustro il Nostro si è giocoforza dedicato, a onoredel vero con profitto, al mercato homevideo, dove è tuttora un pezzo da novanta,realizzando pellicole che hanno messo in risalto le sue qualità recitative, indub-biamente migliorate con gli anni. I risultati? Altalenanti sì, sconfortanti no. “Wake of Death” (2004), virato in tinte noir, è un’anomalia nella carriera di VanDamme: risente dell’anodina regia del produttore Philippe Martinez (il prometten-te giamaicano Cess Silvera era stato allontanato dal set dopo due settimane diriprese, dopo che il solito Ringo Lam aveva rinunciato al progetto per divergenzecreative), ma l’attore belga, segnato nel volto dagli eccessi dei Novanta ma informa fisica a dir poco invidiabile, sciorina una prova attoriale di buon livello,forse pungolato dalla presenza del grande attore hongkonghese Simon Yam nelruolo del villain di turno.Il successivo sodalizio artistico con il regista britannico Simon Fellows dà fruttiacerbi: “Second in Command” (2006) è un action con dosi minime dell’ingredien-te principale e un protagonista fin troppo trattenuto, mentre “Until Death” (2007) èdecisamente più interessante, con un Van Damme efficace nel tratteggiare unpersonaggio ambiguo, violento e corrotto prima che un lungo periodo di coma lorestituisca al mondo in una veste più umana. Spunto non originale, certo, ma svi-luppato con un discreto ritmo e una buona tenuta melodrammatica. Tra unFellows-movie e l’altro Van Damme trova il tempo di collaborare per la quartavolta con Sheldon Lettich, artefice in passato di successi del calibro di“Lionheart” e “Double Impact” come del più recente, e meno fortunato, “TheOrder”. “The Hard Corps” (2006) sancisce il primo incontro tra JCVD e il mondodei rapper. Ancora una volta, però, l’azione latita, Van Damme si concede coneccessiva parsimonia ai suoi vecchi fans e il plot è fin troppo scarno e prevedibi-le.Il 2008 potrebbe rivelarsi una buona annata per gli amanti del Van Damme barri-cato doc: “The Shepherd – Border Patrol”, diretto dallo specialista IsaacFlorentine (artefice nel ’97 del wooiano “High Voltage” con Antonio Sabàto padree figlio e del recente “Undisputed II” con Michael Jai White) e uscito negli Usa il4 marzo, ha tutte le carte in regola per riavvicinare anche i più scettici e delusi.Girato in Bulgaria ma ambientato al confine tra Stati Uniti e Messico (insom-ma…), il film vede Van Damme alle prese con un cartello della droga guidato daex soldati americani delle forze speciali. Il Nostro, che si aggira per le strade diColumbus e dintorni portandosi appresso una gabbia con un coniglio che si chia-ma Jack, come lui (!?), ha una missione da compiere e un lutto familiare da ven-dicare. Niente di nuovo, ma il ritmo è sostenuto, Florentine si conferma un regi-sta da seguire con attenzione e le coreografie dei corpo a corpo minuziosamente

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elaborate da J. J. “loco” Perry (già artefice di quelle ammirate in “Undisputed II”)sono di prima qualità, due spanne sopra la media di questo genere di pellicole.In Italia uscirà a breve e (quasi) certamente solo in dvd: vandammiani e van-dammiane, sieti avvertiti!Ma il film, tuttora in fase di postproduzione, che potrebbe imprimere una svoltainaspettata alla carriera dell’attore belga è “J.C.V.D.”: girato da Mabrouk ElMechri tra Belgio e Lussemburgo, sancisce l’incontro di Van Damme con la com-media drammatica e, udite!, metacinematografica…Lo spunto è semplice quanto geniale, come spiega Van Damme stesso in questostralcio d’intervista riportata dal blog cinemanotizie: “E' senza dubbio il ruolo piùimportante della mia carriera ed il miglior film che abbia mai fatto. Mabrouk ElMechri con questo film ha fatto per me ciò che Martin Scorsese fece con RobertDe Niro molti anni or sono; ha scritto una sceneggiatura su Jean-Claude VanDamme, un tossicodipendente arrestato troppe volte negli Stati Uniti che passadal successo e dalla gloria al fallimento, lascia gli States per tornare a Bruxellesdai suoi genitori, non ha più denaro e cerca di partecipare a qualunque tipo difilm per poter pagare gli avvocati e combattere per la custodia dei suoi figli. Inseguito il mio personaggio si ritrova in un ufficio postale proprio durante una rapi-na: la gente pensa che ne faccia parte anche io e da lì ne verrà fuori un filmdrammatico sulla falsariga di 'Quel pomeriggio di un giorno da cani'. Interpretareme stesso è stata un'esperienza scioccante, quando l'ho visto per la prima voltaun paio di settimane fa sono rimasto sconvolto e non sono stato in grado di lavo-rare per giorni talmente mi sentivo preso ed emozionato. Dopo 37 film penso siagiunta l'ora di non interpretare più pellicole che non mi piacerebbe davvero vede-re. Non ho percepito alcun salario per questo film, penso e spero possa cambiar-mi la vita”.Il film verrà presentato al prossimo Festival di Cannes… auguri, Jean-Claude…

DOLPH LUNDGRENL’atletico ma legnoso svedese Dolph (all’anagrafe Hans) Lundgren, invece, hagià doppiato Cape Fifty (quantunque alcune fonti riportino come anno di nascitail 1959 e non il 1957). La sua carriera in questo scorcio di terzo millennio è stata,se possibile, ancora più confinata entro gli angusti confini del suk homevideo.Una manciata di actioneers ben poco memorabili, da “The Last Patrol” (2000) diSheldon Lettich a “Hidden Agenda” (2001) di Marc S. Grenier, da “Detention”(2003) di Sidney J. Furie a “Retrograde” (2004) di Christopher Kulikowski.Proprio il 2004, però, finisce per occupare un ruolo di rilievo negli annali dell’exIvan Drago di stalloniana memoria, coincidendo con il suo esordio dietro la mac-china da presa. Con somma sorpresa dei fans e di Dolph stesso (che rimpiazza

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all’ultimo momento l’esperto Sidney J. Furie per sopraggiunta malattia), l’attore diStoccolma si dirige in “The Defender”. Il risultato: sorprendente. Intendiamoci: sitratta di un action claustrofobico girato in economia, con il protagonista e la suasquadra assediati in una villa da un nugolo di terroristi smaniosi di eliminare ilpresidente degli Stati Uniti… L’insospettata qualità registica riscatta la banalitàdel plot: Lundgren sa dove collocare la macchina da presa e come muoverlasenza inutili contorsionismi, rinuncia ai più abusati trucchi dell’odierna postprodu-zione e monta il film in maniera classica, lineare, scolastica forse, ma ineccepibi-le.L’esperienza, positiva, viene replicata l’anno successivo con “The Mechanik”(o“The Russian Specialist”), un film in cui Dolph conferma quanto di buono mostra-to in “The Defender”. La storia è semplice (Dolph, ex soldato scelto convertitosi

in meccani-co, vuolevendicarel’accidentaleuccisione delfiglio permano dialcuni mafio-si russi),l’ambienta-zione ruralepauperistica,ma dietro lamdp c’è chisa muovere ipersonaggicon suffi-ciente ritmoe maestria. Ilrisultato fina-le è, dunque,

un solido, tradizionale action che offre un intrattenimento di discreta qualità.Nel 2007 esce “Missionary Man”, terza regia e sorta di moderno remake nondichiarato de “Il cavaliere pallido” di Clint Eastwood. Lundgren regista sciorinauna maggiore ricercatezza stilistica (ralenti, angoli di inquadratura inediti), fruttodi una accresciuta sicurezza in sé, mentre Lundgren attore si limita a fare affida-mento al suo monolitico, granitico carisma, interpretando una sorta di fantasma(o presunto tale) tornato dall’aldilà per raddrizzare torti (alla stregua del perso-naggio de “Il vendicatore” interpretato nel 1989).

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STEVEN SEAGALMister Fat and Furious veleggiaondivago verso le 57 primavere.Nel 2001, per girare “Ferite mor-tali” del polacco Bartkowiak, haperso dieci chili: il film, uno degliultimi ad essere distribuito sugrande schermo anche da noi, hareplicato con discreto successol’estetica dell’hip hop kung fu lan-ciata l’anno prima da Bartkowiakstesso in “Romeo deve morire”,pellicola interpretata da Jet Li.Da questo momento in poi, però,la carriera di Seagal è un’ode allalegge di gravità, un TGV lanciatoverso l’oblio assoluto. “Ticker”(2001) di Albert Pyun è mediocre;“Infiltrato speciale” (2002) riscuo-te un inaspettato – e immeritato –successo, assapora anche il buiodelle sale, ma Seagal che gioca afare il “nigga” con bandana e par-rucchino a culo d’anatra, semprepiù improbabile anno dopo anno,è assolutamente irresistibile, enon nell’accezione che l’attore di Lansing avrebbe desiderato… La parentesi bal-canica del 2003-2004 – “The Foreigner” e “Out of Reach” girati in Polonia, “Ilvendicatore – Out for a Kill” in Bulgaria – affoga nella mediocrità assoluta, inparte riscattata da “Belly of the Beast”, girato in Thailandia dall’hongkongheseChing Siu-Tung (quello di “Storie di fantasmi cinesi”…). L’aikido di Seagal mal sisposa con le evoluzioni antigravità made in Hong Kong, ma ritmo e inventivacoreografica traghettano il film verso i lidi di una piena sufficienza. Il 2005 è perSeagal un anno molto prolifico; l’attore americano cala infatti un poker di film:“Into the Sun”, in cui torna sul suolo giapponese; il decoroso “Submerged”, diret-to con artigiana diligenza dall’inglese Anthony Hickox, figlio d’arte (suo padreDouglas fu artefice, tra gli altri, di “Oscar insanguinato” e di “Ispettore Branniganla morte segue la tua ombra”); “Today You Die” del regista e direttore della foto-grafia Don FauntLeRoy e “Black Dawn”, il più imbarazzante del lotto. Dei sei (!?) film usciti tra il 2006 e il primo scorcio di 2008, i potabili risultanoessere gli ultimi due, “Urban Justice” (2007), ancora di FauntLeRoy, e “PistolWhipped” (2008), dell’olandese Roel Reiné. Il primo è un vengeance-movie di

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ambientazione notturna, con un certo gusto per i dettagli e i contrasti cromatici(marchio di fabbrica classico per un direttore della fotografia); il secondo unaction più dinamico della media-Seagal, molto stilizzato e con sequenze d’azioneben congegnate (come la resa dei conti finale in un cimitero, con un tripudio diesplosioni in slow motion), pur appesantito da una trama a tratti oscura e involu-ta, come capita sovente nelle pellicole di Seagal. Il quale medita di tornare die-tro la mdp, a 14 anni di distanza da “Sfida tra i ghiacchi”, per “Prince of Pistols”,un progetto che vedrebbe coinvolto nientemeno che il leggendario B.B. King! Sì,perché forse pochi sanno che Seagal è cantante e chitarrista blues di discretosuccesso, con un paio di dischi all’attivo e un gruppo, i “Mojo Priest”, con il qualegira spesso in tournée.

A cura di Ettore Ridola

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PISTOLE SPORCHE(Mean Guns, Usa 1997)Regia di Albert PyunSoggetto e sceneggiatura di Andrew WithamFotografia di George MooradianMontaggio di Ken MorriseyCoordinamento stunt di Garrett WarrenInterpreti principali: Christopher Lambert(Lou); Ice-T (Vincent Moon); Michael Halsey(Marcus); Deborah Van Valkenburgh (Cam)Genere: azione

“Homo homini lupus” è l’epitaffio più calzanteper questo cruento, claustrofobico e soprat-tutto improbabile psicodramma diretto dalfamigerato Albert Pyun. In un avveniristicocarcere di massima sicurezza di prossimainaugurazione, il truce Vincent Moon, emis-sario del Sindacato della mala, organizza unraduno di facce patibolari, accomunate da un tentato tradimento ai danni delSindacato stesso. Moon, sempre seduto di fronte ad una nereggiante scacchie-ra, sbeffeggia e provoca l’eterogenea accolita di assassini, strupratori, spacciato-ri e ladri, aizzandoli uno contro l’altro in una sadica e mortifera simultanea, unacarneficina di tutti contro tutti. La presenza austera della scacchiera, testimoneimperturbabile delle nefandezze umane, pone in enfatico rilievo questo sordidomicrocosmo di umanità. Moon e la tavola a sessantaquattro caselle sancisconola propria superiorità senza che il primo debba esplodere un colpo o la secondaazzardare una sola mossa. Lo scaccomatto è stato decretato a priori, la senten-za è inappellabile, il destino inevitabile. Ogni singola vittima è intrappolata entro iconfini fisici di un quadrato: nero o bianco, poco importa, quando ci si accinge amorire. Nel guazzabuglio alla John Woo, tra dialoghi pretestuosi ed esplosioni di ipervio-lenza made in Hong Kong, si staglia questa inedita, non sappiamo quanto(in)volontaria, contrapposizione uomo-scacchiera, metafora di un mondo chesotto una superficie cheta (la scacchiera) nasconde un fondo torbido e tempe-stoso.

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CINEMA DI CARTA ANNI ‘70IL CINEMA POPOLARE

PRESENTATO DALLA STAMPA

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