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SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES numero 41 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO SSFAoggi Notiziario di Medicina Farmaceutica Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Fondata nel 1964 Febbraio 2014 I cinquanta anni della SSFA I lettori più attenti avranno visto che, vicino al titolo della rivista, è comparso un logo che ricorda i cinquanta anni della SSFA. Tale logo sarà pubblicato su tutti i sei numeri del 2014 di SSFAoggi, e sarà anche stam- pato sulle locandine dei nostri seminari e corsi di quest’anno, e sarà proiettato in tutte le nostre manifestazioni, prima fra tutte il Congresso Nazionale del 31 marzo-1 aprile. Dobbiamo essere molto orgogliosi di aver raggiunto questo traguardo: non sono molte le società scientifiche che hanno mezzo secolo di vita. In verità, noi della SSFA dobbiamo essere doppiamente orgogliosi di aver tagliato questo traguardo, non solo per la sua importanza simbolica, ma soprattutto perché lo raggiungia- mo in un momento di grande vivacità intellettuale. Abbiamo infatti un flusso continuo di nuovi iscritti, che ci fa prevedere di poter arrivare a mille soci fra pochi mesi. Siamo regolarmente impegnati nel pianificare e svolgere seminari, corsi e attività di forma- zione in tutte le aree di nostra competenza. Siamo presenti, con docenti e attività di coor- dinamento, in diversi master svolti presso diverse Università italiane: ed i due master che ci vedono più impegnati (Roma Cattolica e Milano Bicocca) hanno avuto un importante riconoscimento Europeo. Abbiamo consolidato l’ottima reputazione di cui godiamo presso Istituzioni come AIFA, ISS, Ministero della salute, Farmindustria, nonché presso molte Società scientifiche con le quali abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione. Tutti questi risultati sono il merito di tutti i Soci, sia di coloro che svolgono un ruolo attivo nel Consiglio oppure nei gruppi di lavoro, sia di tutti coloro che partecipano alle nostre iniziative, confermandone la bontà ed il valore. Tutto questo valore, che i Soci SSFA hanno costruito in 50 anni di continua dedizione alla vita associativa, andranno a breve nelle mani del nuovo Consiglio, che tutti i Soci SSFA sono chiamati ad eleggere. Queste ultime righe sono un invito a tutti Voi: esprimete le vostre preferenze ed indicate con il voto la vostra volontà di eleggere colleghi di cui conoscete sia il valore che la dispo- nibilità a dedicare alla SSFA parte del loro tempo. Domenico Criscuolo Sommario: Editoriale 1 Le CRO in Italia 2 Qualcosa sta cambiando….? 4 Master di Napoli 5 Cellule staminali 6 Il libro di oggi 7 The Lancet 7 Oggi parliamo di…. 8 La nuova versione della Dichiarazione di Helsinki 10 Global biopharma 12 Nature 13 Lifetrain 13 The Lancet 14-15 BMJ 16-17 Master Cattolica 18 News on clinical trials 23 Nuovi Soci 24 Nelson Mandela 22 Il giuramento di Ippocrate 20 Approvazioni FDA 18 SUDOKU DI NATALE Cari Soci, abbiamo ricevuto ben 22 risposte al concorso di Natale: tutte natural- mente esatte. Il numero nella casella centrale è 1. I tre vincitori sono: Giuseppina Corvasce, Raffaella Fallone e Isabella Salerio. Riceveranno un buono da trenta euro delle librerie Feltrinelli. Al prossimo appuntamento! La redazione

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SOCIETA’ DI SCIENZE FARMACOLOGICHE APPLICATE

SOCIETY FOR APPLIED PHARMACOLOGICAL SCIENCES

numero 41

Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO

SSFAoggi Notiziario di Medicina Farmaceutica

Bimestrale della Società di Scienze Farmacologiche Applicate Fondata nel 1964

Febbraio 2014

I cinquanta anni della SSFA

I lettori più attenti avranno visto che, vicino al titolo della rivista, è comparso un logo che ricorda i cinquanta anni della SSFA. Tale logo sarà pubblicato su tutti i sei numeri del 2014 di SSFAoggi, e sarà anche stam-pato sulle locandine dei nostri seminari e corsi di quest’anno, e sarà proiettato in tutte le nostre manifestazioni, prima fra tutte il Congresso Nazionale del 31 marzo-1 aprile. Dobbiamo essere molto orgogliosi di aver raggiunto questo traguardo: non sono molte le società scientifiche che hanno mezzo secolo di vita. In verità, noi della SSFA dobbiamo essere doppiamente orgogliosi di aver tagliato questo traguardo, non solo per la sua importanza simbolica, ma soprattutto perché lo raggiungia-mo in un momento di grande vivacità intellettuale. Abbiamo infatti un flusso continuo di nuovi iscritti, che ci fa prevedere di poter arrivare a mille soci fra pochi mesi. Siamo regolarmente impegnati nel pianificare e svolgere seminari, corsi e attività di forma-zione in tutte le aree di nostra competenza. Siamo presenti, con docenti e attività di coor-dinamento, in diversi master svolti presso diverse Università italiane: ed i due master che ci vedono più impegnati (Roma Cattolica e Milano Bicocca) hanno avuto un importante riconoscimento Europeo. Abbiamo consolidato l’ottima reputazione di cui godiamo presso Istituzioni come AIFA, ISS, Ministero della salute, Farmindustria, nonché presso molte Società scientifiche con le quali abbiamo un ottimo rapporto di collaborazione. Tutti questi risultati sono il merito di tutti i Soci, sia di coloro che svolgono un ruolo attivo nel Consiglio oppure nei gruppi di lavoro, sia di tutti coloro che partecipano alle nostre iniziative, confermandone la bontà ed il valore. Tutto questo valore, che i Soci SSFA hanno costruito in 50 anni di continua dedizione alla vita associativa, andranno a breve nelle mani del nuovo Consiglio, che tutti i Soci SSFA sono chiamati ad eleggere. Queste ultime righe sono un invito a tutti Voi: esprimete le vostre preferenze ed indicate con il voto la vostra volontà di eleggere colleghi di cui conoscete sia il valore che la dispo-nibilità a dedicare alla SSFA parte del loro tempo.

Domenico Criscuolo

Sommario: Editoriale 1 Le CRO in Italia 2 Qualcosa sta cambiando….? 4

Master di Napoli 5

Cellule staminali 6

Il libro di oggi 7

The Lancet 7

Oggi parliamo di…. 8

La nuova versione della Dichiarazione di Helsinki 10

Global biopharma 12

Nature 13

Lifetrain 13

The Lancet 14-15

BMJ 16-17 Master Cattolica 18

News on clinical trials 23 Nuovi Soci 24

Nelson Mandela 22 Il giuramento di Ippocrate 20 Approvazioni FDA 18

SUDOKU DI NATALE

Cari Soci, abbiamo ricevuto ben 22 risposte al concorso di Natale: tutte natural-mente esatte. Il numero nella casella centrale è 1. I tre vincitori sono: Giuseppina Corvasce, Raffaella Fallone e Isabella Salerio. Riceveranno un buono da trenta euro delle librerie Feltrinelli. Al prossimo appuntamento! La redazione

Anno VIII numero 41 Pagina 2

In una sala dell’Hotel Michelangelo di Milano, circa 120 soci e colleghi si sono dati appuntamento lo scorso 14 novem-bre per fare il punto sulla situazione del-le CRO in Italia, e sulle future prospetti-ve. Nel dare il benvenuto ai molti parteci-panti, Mariapia Cirenei (AICRO) e Marco Romano (SSFA) hanno sottolineato il fatto che in Italia le CRO sono in una fase di grande sviluppo, e pertanto pos-sono offrire una buona opportunità occu-

pazionale per i molti giovani che sono interessati al mondo del farmaco. La prima relazione è stata svolta in mo-do molto brillante da Carlo Tomino (AIFA), che ringraziamo per la sua conti-nua ed assidua collaborazione agli even-ti SSFA. Egli ha ricordato che AIFA, ben consa-pevole della riduzione del numero delle

sperimentazioni cliniche (passate in Ita-lia da 880 nel 2008 a 697 nel 2012 ed a a circa 550 nel 2013), sta mettendo in pratica molte misure che dovrebbero stimolarne la ripresa. Una ad esempio è il sistema della “Voluntary Harmonized Procedure” : si tratta di una procedura di autorizzazione più veloce, ed infatti è stata usata 3 volte nel 2012 ma già 53 volte fino all’ottobre 2013. Inoltre la riorganizzazione dei Comitati

Etici ed il ruolo di AIFA come Autorità Competente serviranno a rendere più snello l’intero processo. Carlo Tomino ha anche ricordato che il Parlamento Europeo ha in discussione il nuovo Regolamento Europeo sulla speri-mentazione clinica, che imporrà con maggior forza l’armonizzazione Europea dell’accesso agli studi clinici.

E’ poi intervenuto Stefano Marini (EUCROF) che ha presentato un aggior-namento sull’organizzazione delle CRO, sia in Italia (AICRO) che in Europa (EUCROF): ha ribadito l’importanza di far parte di queste federazioni, che ten-dono ad armonizzare procedure e com-portamenti, ed ha ricordato che solo 13 CRO fanno parte di AICRO. Luigi Godi e Giovanni Fiori (SSFA) han-no illustrato i risultati di un questionario SSFA rivolto alle CRO operanti in Italia.

Luigi Godi ha ricordato che le CRO cen-site presso AIFA sono 204, 119 con se-de operativa e 85 senza sede. Il questionario SSFA è stato indirizzato alle 119 CRO con sede operativa, ed abbiamo la conferma che in 104 casi il questionario è stato aperto. Purtroppo le risposte sono state sola-mente 24 (11 da CRO Italiane, 8 da affi-

LE CRO IN ITALIA: PRESENTE E FUTURO

Anno VIII numero 41 Pagina 3

liate e 5 da CRO non coinvolte in attività di monitoraggio): i risultati sono quindi molto parziali, e possono dare un quadro distorto della realtà. Giovanni Fiori ha continuato con alcuni risultati di questa indagine SSFA, facen-do presente che il 53% delle CRO che hanno risposto ha dichiarato un aumento del fatturato. Francesco Goisis (Università di Milano) ha illustrato possibili scenari di azioni legali nei confronti dei Comitati Etici che non rispettano i tempi previsti dalla leg-ge. In particolare, si è soffermato su quattro condizioni, quali: l’esercizio del potere sostitutivo (causa inidoneità del pubblico ufficiale), oppure l’indennizzo causato dal ritardo, oppure una Class Action, oppure una diffida con richiesta di risar-cimento del danno. A suo parere, può valere la pena mette-re in mora un CE inadempiente, rinun-ciando poi all’azione giudiziale: potrebbe rappresentare un segnale per tutti i CE. Dopo la pausa pranzo, Giuseppe Caruso (Farmindustria) ci ha ricordato quanto strategico sia per l’Italia il valore prodotto non solo dall’industria farmaceutica, ma anche dall’indotto che genera: la sola cifra dell’incremento delle esportazioni (+ 44%) dà la giusta dimensione a que-

ste affermazioni. E’ poi intervenuto Antonio Torsello (Università Milano Bicocca) che ha bril-lantemente illustrato il master attivato da cinque anni con il supporto SSFA, che è stato premiato con il titolo di centro di eccellenza Pharmatrain, e che seleziona studenti di elevato potenziale, che otten-gono tutti, in breve tempo dal diploma, un’ adeguata sistemazione nel mondo del lavoro. Infine Silvana Giro (Bracco) ha illustrato il processo che uno sponsor attiva per la selezione della CRO, reso reale da alcu-ni esempi concreti. E’ seguita una vivace discussione, nella quale tutti i relatori sono stati chiamati ad approfondire alcuni temi presenti nelle loro relazioni. E’ stata quindi una giornata molto inten-sa e produttiva, a dimostrazione del fatto che il mondo delle CRO sta vivendo una fase di grande dinamismo, caratterizzata da una crescita continua ed anche da un dibattito interno.

Domenico Criscuolo

(Continua da pagina 2)

Le presentazioni autorizzate sono disponibili sul sito

WWW.SSFA.IT

Da sinistra: Francesco Goisis, Carlo Tomino, Mariapia Cirenei e Marco Romano

XIII CONGRESSO NAZIONALE

I 50 ANNI DI

SSFA E LA RICERCA IN

ITALIA

31 marzo - 1 aprile

Casa dell’Architettura Piazza Manfredo Fanti 47

Roma

Anno VIII numero 41 Pagina 4

Beatrice Lorenzin:

non si può continuare a considerare

la ricerca un costo "La ricerca non può continuare a essere considerata un costo per il sistema sani-tario. Al contrario è un valore, anche economico, e un modo etico per far cre-scere il nostro Paese". Lo ha evidenzia-to il ministro della Salute, Beatrice Lo-renzin, intervenendo a Roma alla ceri-monia AIRC al Quirinale per la giornata della ricerca sul cancro, alla presenza del Presidente della Repubblica. Loren-zin ha ricordato che il nostro Paese "già produce l'11% dei principi attivi mondia-li. E ne esportiamo l'85% verso Stati Uniti, Giappone e altri Paesi avanzati. Il ministero della salute sta investendo 136 milioni di euro nel bando della ricer-ca finalizzata, mentre altri 60 milioni di euro sono destinati ai giovani ricercatori al di sotto dei quarant'anni. Il finanzia-mento della ricerca oncologica attraver-so la ricerca corrente è valso, dal 2008 al 2012, circa 50 milioni di euro anno; nello stesso quadriennio altri 8 milioni di euro l'anno sono stati destinati ai soli IRCCS oncologici, mentre 16 milioni sono andati a tutti gli altri partecipanti (regioni, aziende ospedaliere) ai quali il conto capitale ha destinato nell'ultimo biennio altri 6 milioni di euro anno. L'in-vestimento complessivo è intorno ai 55 milioni per anno per i soli IRCCS onco-logici". "Non sono certo le cifre che si mobilitano in Paesi come gli Stati Uniti, per questo dobbiamo pensare a modi nuovi di at-trarre investimenti nella ricerca che deve diventare una nostra priorità: ci aiuta infatti ad aumentare il benessere dell'Ita-lia sia dal punto di vista della salute, sia da quello delle economie ad essa colle-gate. I dati, le cifre, le scoperte - ha con-cluso Lorenzin - ci dicono che la lotta contro questa malattia, in parte già scon-fitta, può segnare quotidianamente punti a favore di chi la combatte. Ogni anno portiamo un risultato nuovo che ci dà coraggio, forza, che ci porta soprattutto

speranza. Abbiamo il dovere di salva-guardare e rinnovare il nostro SSN nella prospettiva del paziente, ma soprattutto abbiamo il dovere di costruire un cammi-no per la nostra ricerca che ci faccia guardare avanti, verso nuovi traguardi". …………OPPURE NO???? "L'Italia non è un paese per scienziati" La denuncia della rivista Nature Neuroscience Il taglio dei finanziamenti, le condanne dell'Aquila, il caso Stamina, la legge sulla sperimentazione animale. Sono tutti episodi con un minimo comun deno-minatore: l'Italia non sembra essere un paese per scienziati. Alla conclusione arriva un duro editoriale che la rivista Nature Neuroscience dedica al nostro paese. "La ricerca biomedica italiana sotto attacco" è il titolo dell'articolo, che scrive: "Gli ultimi due anni sono stati un periodo molto duro per gli scienziati ita-liani". L'editoriale prosegue citando la nuova "legge miope" sulla sperimenta-zione animale come "uno degli ostacoli insuperabili", capace di "minare alle fon-damenta quasi tutta la ricerca biomedica del paese". E conclude puntando il dito anche contro gli scienziati, "colpevoli di non aver spiegato in termini adeguati i metodi e i fini della loro ricerca, facendo sì che false informazioni e sfiducia si diffondessero tra la popolazione". Nature è un gruppo editoriale che ha sede a Londra e insieme alla rivista americana Science pubblica tutti i più importanti risultati scientifici ottenuti nel mondo. Nei suoi editoriali non è mai stata tenera con l'Italia. Lo scorso aprile ci ha accusato di avallare il metodo Stamina "usando i pazienti come animali da esperimento". Ma tra tante ombre, la rivista ha anche riconosciuto le nostre luci: il direttore Philip Campbell è stato al Quirinale per consegnare i "Nature Award for Mento-ring in Science" a tre importanti scienzia-ti italiani, scelti per la loro bravura nel formare giovani allievi. Michela Matteoli, premiata al Quirinale con due colleghi, fa ricerca sulle sinapsi del cervello all'u-niversità di Milano. Così prova a spiega-re la contraddizione di un paese premia-to per la bravura dei suo maestri ma additato (sempre secondo Nature Neu-roscience) per "il profondo fossato che

divide gli scienziati italiani dal loro gover-no". "La scienza in Italia ha delle punte di diamante nonostante i grandi ostacoli che la politica pone sul nostro cammi-no". Anche Campbell sottolinea la natura dottor Jekyll-mister Hide della nostra ricerca. "L'Italia sta diventando sempre più ostile alla scienza e agli scienziati, attraverso tagli dei fondi e restrizioni legislative. Questo non fa presagire be-ne per il vostro futuro economico". Eppu-re "il paese produce molti scienziati di valore mondiale. Spero che loro sentano la nostra solidarietà e che la corrente della politica viri in loro favore". I venti che tirano per ora sono piuttosto di guer-ra. E dopo la giornata da tregenda vissu-ta dal centro di Roma, con i malati di Stamina che hanno versato il loro san-gue di fronte a Montecitorio, un'altra giornata di battaglia è stata vissuta a Milano. Il gruppo "Animal Amnesty" ha infatti organizzato una marcia verso l'Isti-tuto Mario Negri, che utilizza animali per le sue sperimentazioni. E tutto ciò avvie-ne dopo il precedente dello scorso 20 aprile, quando un gruppo di animalisti fece irruzione nel dipartimento di farma-cologia dell'università di Milano liberan-do i topolini e un coniglio. La controversa legge sulla sperimenta-zione animale nasce da una direttiva europea del 2010. Nonostante Bruxelles vietasse ulteriori inasprimenti delle nor-me, l'Italia ha inserito vari emendamenti restrittivi. Il testo modificato è uscito dal Parlamento il 6 agosto ed è stato appro-vato solo in via preliminare (quindi non è ancora effettivo) dal Consiglio dei Mini-stri. Prevede il divieto di allevare e di usare in laboratorio cani, gatti e primati (già oggi l'80% delle cavie usate in Euro-pa sono topi e ratti) e obbliga a sommini-strare analgesici prima di ogni procedu-ra, iniezioni incluse. La norma della leg-ge 96 del 6 agosto 2013 che inquieta gli scienziati e che ha spinto Nature Neuro-science a parlare di "attacco alla ricerca italiana" è però un'altra: quella che "vieta l'utilizzo di animali per gli xenotrapianti". Gli xenotrapianti sono trapianti di cellule od organi da una specie all'altra. Buona parte della ricerca oncologica oggi si svolge prelevando delle cellule dal tumo-re di un paziente e impiantandole nei

(Continua a pagina 5)

Qualcosa sta cambiando in Italia?

Anno VIII numero 41 Pagina 5

topolini, per seguire nell'animale anda-mento della malattia ed effetto delle cu-re. "La nuova legge ostacolerebbe la ricerca di nuove terapie contro il cancro. Il problema riguarda gli xenotrapianti, ma anche i test di tossicità dei nuovi farmaci. In Italia un laboratorio su due, fra quelli che effettuano ricerca preclini-ca, vedrebbero il loro lavoro compro-messo" spiega Pier Paolo Di Fiore, ex direttore dell'istituto di ricerca oncologica IFOM e professore all'università di Mila-no. Contro questa eventualità, i ricerca-tori dell'associazione "Pro Test" hanno manifestato a Montecitorio ed hanno

organizzato conferenze nei prossimi giorni in varie città. Tutti i direttori degli istituti di ricerca oncologica in Italia han-no firmato la petizione della federazione italiana scienze della vita. Un'altra rac-colta di firme su www. Salvalasperimen-tazioneanimale.it ha raggiunto 13mila adesioni. Il 29 novembre la sede del CNR ha ospitato il convegno "Spera - Sperimentare per curare" per trovare metodi efficaci di comunicazione del ruolo della sperimentazione animale. "In realtà ci siamo sempre sforzati di spie-garlo" dice Matteoli, che lavora nel dipar-timento assaltato ad aprile. "Ma di fronte all'uso dell'emotività non abbiamo stru-

menti. I servizi in televisione parlano di sperimentazione mandando in onda immagini di gattini maltrattati. Ma noi usiamo topi, e seguiamo fior di controlli e precauzioni, previsti già dalla legge attuale". E proprio la mancanza di "comprensione reciproca" fra cittadini, ricerca e politica, sottolinea Nature, è il tratto comune che lega tutti gli episodi degli "anni orribili" vissuti dalla scienza in Italia.

A cura di Domenico Criscuolo

(Continua da pagina 4)

PRENDE IL VIA LA PRIMA EDIZIONE DEL MASTER DI NAPOLI Lo scorso 25 novembre 2013, nella splendida sala degli affreschi della Seconda Università di Napoli, il prof Franco Rossi, alla presenza di molti docenti e degli studenti, ha ufficialmente inaugurato la prima edizione del master di secondo livello “Farmacovigilanza, farmaco- epidemiologia e attività regolatorie”. I lettori di SSFAoggi ricorderanno che abbiamo già parlato di questa iniziativa, della quale abbiamo lodato la forte impronta organizzativa e la qualità del programma e dei relatori, ed al quale SSFA ha concesso il patrocinio. Siamo lieti di potervi dire che l’ini-ziativa ha avuto successo: venti studenti si sono iscritti, consenten-do la realizzazione di questo impor-tante master, che viene a colmare un vuoto formativo per gli studenti della regione Campania. Nella cerimonia di inaugurazione ho avuto l’opportunità di intervenire a nome SSFA, ricordando l’impegno che la nostra società sta dedicando ai diversi master attivi in Italia, ai quali vengono forniti non solo do-centi qualificati di estrazione indu-striale, ma anche un importante supporto logistico. Il giorno successivo ho avuto poi l’opportunità di conoscere personal-mente gli studenti, poiché avevo le lezioni del pomeriggio: sono quasi tutti laureati in farmacia, molti già lavorano in ospedali oppure presso le ASL campane, e sono molto inte-ressati ad acquisire nuove compe-tenze, soprattutto in tema di farmacovigilanza e nelle attività regolatorie. Una buona partenza quindi, che certamente contribuirà ad arricchire il panorama dell’offerta formativa post-laurea.

Domenico Criscuolo

Anno VIII numero 41 Pagina 6

CELLULE STAMINALI: UN ITALIANO SU DUE NON SA COSA SONO

Gli italiani non sono informati sulla possibilità di conservare il sangue cordonale: il 48% afferma di non sapere esattamente di cosa si tratti e un altro 29% di averne sentito parlare, ma di non essere al corrente della distinzione tra donazione e conservazione. Inoltre, gli italiani con-fondono le cellule cordonali con quelle embrionali: l’82% ritiene infatti che “quando si sente parlare di cellule embrionali, si intendono proprio quelle del cordone ombelicale” e l’81% che “i problemi di natura etica di cui si sente parlare si riferiscono alle cellule staminali del sangue del cordone ombelicale”. È questa in breve la fotografia della conoscenza delle cellule staminali da parte degli italiani scattata da un sondaggio realizzato su un campione rappresentativo di 600 individui dell’univer-so dei 20-44enni italiani (la fascia d’età che dovrebbe essere più espo-sta alle informazioni relative al sangue cordonale, in quanto in età da figli piccoli) da ISPO Ricerche per Assobiotec, l’Associazione per lo sviluppo delle biotecnologie che fa parte di Fe-derchimica. “Dallo studio emerge – sostiene il prof. Renato Mannheimer, coordinatore dell’indagine – prima ancora che una scarsa conoscenza della possibilità di utilizzare il sangue cordonale, una totale assenza di consapevolezza circa le cellule staminali da parte degli italiani. Gli intervistati mostrano di possedere poche e confuse informazioni a riguardo; le risposte relativamente a caratteristiche ed utilizzo delle staminali sono fornite il più delle volte in modo orientativo (credo di sì/di no) e, spesso, risultano errate”. “Gli italiani 20-44enni – aggiunge Mannheimer – non conoscono la distinzione tra cellule staminali neonatali ed em-brionali. Le informazioni possedute, quindi, non permettono loro di distinguere con chiarezza tra le diverse fonti di cellule staminali, lasciando intendere che anche i risvolti di tipo etico, spesso protagonisti del dibattito pubblico, diffi-cilmente possono essere correttamente compresi. “Il sondaggio ci consegna uno spaccato di paese bisognoso, ma anche desideroso, di maggiore conoscenza su un tema tanto importante e delicato come quello delle cellule stami-nali”. “C’è assoluta necessità di una maggiore cultura scientifica relativa alle staminali e alle biotecnologie, e alle molteplici possibilità che esse aprono per la tutela della salute e l’evoluzione sociale. Non è un caso che oggi in Ita-lia il 97% dei cordoni ombelicali venga gettato, trattato come rifiuto biologico. Per questo l’industria rappresentata da Assobiotec è pronta a fare la propria parte. Ma serve soprattutto un chiaro e preciso impegno da parte delle Istituzio-ni pubbliche” “Chiediamo quindi con forza – conclude Assobiotec – un tavolo tecnico, a cui siedano «pubblico» e «privato», che produca un documento condiviso con poche e corrette informazioni per rendere consapevole e alfabetizzare la po-polazione alle staminali, alla loro rilevanza e al loro utilizzo. L’Italia non può rimanere anche in questo campo il fana-lino di coda dell’innovazione in Europa”

Anno VIII numero 41 Pagina 7

IL LIBRO DI OGGI Cari Soci, oggi vi propongo la lettura di un libro che merita una giusta riflessione. ETICA DELLA CURA MEDICA (di Elisa Buzzi, Editrice La scuola) è un testo che tutti coloro che si occupano di studi clinici dovrebbero legge-re con attenzione: esso ripercorre l’evoluzione dell’etica medica, da Ippocrate in poi, e suscita interessanti riflessioni. Infatti, come riportato nell’introduzione “ la problematica etica che coinvolge tutti i settori della medicina odierna prospetta una serie di sfide intellettuali e morali della massima importanza, tanto per il futuro della professione quanto per la società nel suo complesso. La medicina affronta tali sfide con il supporto di una tradizione di rifles-sione morale e di codificazione deontologica che l’accompagna fin dalle sue origini, e con la consapevolezza del ruolo centrale che l’etica ha sempre avuto nella sua autocomprensione come professione fina-lizzata alla cura ed al sollievo della sofferenza. In questa prospettiva, la relazione di cura emerge come “principio ar-chitettonico” della medicina, in grado di fornire la cornice di riferimento per una teoria etica normativa, e per la definizione delle “virtù” e delle obbligazioni che ineriscono essenzialmente al patto di fiducia che fon-da l’alleanza terapeutica tra medico e paziente”.

Domenico Criscuolo

The Lancet: Antibiotic resistance: a final warning On Sept 16, the US Centers for Disease Control and Prevention (CDC) released its report Antibiotic Resistance Threats in the United States, 2013—their first ever report on this subject. From the outset the tone is clear: in his foreword, Tom Frieden, director of the CDC, states that “antimicrobial resistance is one of our most serious health threats. Infections from resistant bacteria are now too common”. The stated aim of this report is to increase awareness of the threat resistance poses and to encourage immediate action to address this threat. To put the problem of resistance into perspective the report presents some sobering statistics. The CDC estimates that antibiotic-resistant organisms are the cause of infections in more than 2 million people each year in the USA. Of these people, more than 23 000 die as a consequence of their infections. The CDC stresses that these are conservative estimates and so the true numbers are probably much higher. To further promote the risks posed by antimicrobial resistance the CDC will be holding its annual Get Smart About Antibiotics Week on Nov 18—24. This campaign will promote the appropriate use of antimicrobials across the USA and will coordinate with similar campaigns in Australia, Canada, and Europe. To coincide with these events, The Lancet Infectious Diseases will be publishing its commission on antimicrobial resistance. Raising the profile of the problem of antimicrobial resistance is always welcome, but it begs the question of why we are still facing an issue identified decades ago? The report itself presents a timeline of emerging resistance, showing that reports date back to 1943. We are rapidly approaching the point when antimicrobial resistance will be nothing short of a catastrophe. And for the many thousands in the USA and elsewhere, the world's response is already too late. However, momentum on this issue seems to be building. On Sept 19—20, there was a meeting of WHO's Strategic Technical Advisory Group on antimicrobial resistance, with the purpose of identifying the key issues and options that will feed into a new global strategy. Hopefully, this will be more than the strong words we have become used to and will herald the beginning of robust action.

Anno VIII numero 41 Pagina 8

Oggi parliamo di……

…Il Microtus ochrogaster, roditore monogamo e sociale

Nell’ultimo numero di SSFAoggi ci siamo occupati di un insolito modello animale, mol-to interessante dal punto di vista immunolo-gico: il dromedario. Oggi parleremo di un altro test system: le arvicole della prateria. Si tratta di piccoli mammiferi, diffusi nel Nord America, nell’ Europa ed nell’Asia settentrio-nali, che da alcuni anni rappresentano un eccellente modello sperimentale per lo stu-dio delle basi neurologiche, genetiche, evo-lutive e molecolari dei legami e dei compor-tamenti sociali complessi, quali il legame di coppia, la scelta e la predilezione per il par-tner, la cura biparentale della prole ed altri aspetti sul modo in cui le informazioni su altri individui della stessa specie sono elaborate, archiviate ed utilizzate (social cognition). La formazione di rapporti durevoli tra partner adulti è una componente importante del comportamento sociale umano, e talora anche animale, che è stata oggetto di molte ricerche sulla salute sia fisica che psicologi-ca. Tuttavia, a causa della complessità di questi legami, della relativa rarità con la quale si ritrovano in altre specie di mammife-ro e delle oggettive difficoltà inerenti questa metodologia di ricerca, soprattutto per quan-to riguarda la disponibilità di modelli speri-mentali adeguatamente validati, conosciamo incredibilmente poco sulla componente neu-robiologica che sta alla base dei rapporti e dei legami di coppia. Gli studi basati sul modello sperimentale del quale ci occupia-mo oggi hanno fornito parecchie informazio-ni sui meccanismi che regolano i rapporti che formano e tengono unita la coppia. Le arvicole della prateria sono piccoli roditori delle dimensioni di un criceto, hanno cranio tozzo, piccoli occhi e piccole orecchie, coda corta e pelosa, pelo folto e lungo, ruvido ed ispido, di colore grigio-marrone sul dorso. Il loro nome scientifico, Microtus ochrogaster (famiglia Cricetidae, ordine Rodentia), deriva dal greco e si richiama ad alcuni dei tratti somatici salienti di questi mammiferi: il nome del genere di appartenenza (Microtus) si riferisce alle orecchie piccole, mentre il no-me della specie (ochrogaster) indica il colore grigio del pelo ventrale, che è striato di gial-lo. Gli individui di questa specie non mostra-no dimorfismo sessuale per quanto riguarda i tratti somatici, le dimensioni corporee ed il colore del pelo; gli adulti misurano 12.5-18,0 cm di lunghezza e pesano 30-70 grammi. Formano colonie di circa 300 individui; in cattività possono vivere 1-3 anni e si riprodu-

cono 3-6 volte nell’anno, partorendo 2-7 piccoli per volta. A differenza di altre specie di arvicole, quelle della prateria sono stretta-mente monogame e formano coppie unite da legami molto forti e stabili, che durano per tutta la vita e anche oltre, tant'è che, quando un membro della coppia muore, il partner che gli sopravvive rimane solo, anziché for-mare una nuova coppia. Maschio e femmina rimangono insieme dopo il parto, condivido-no il nido, strigliano vicendevolmente il pelo e si dedicano alla cura della prole. Alcuni ricercatori, studiando le basi neurobiologiche di questi comportamenti sociali, hanno con-frontato l’espressione di neurormoni peptidici ipofisari e di neurotrasmettitori delle arvicole della prateria con quella delle arvicole della montagna (Microtus montanus), che sono loro parenti congenici, ma poligami, ed han-no riscontrato marcate differenze tra le due specie nella distribuzione e densità dei re-cettori cerebrali della arginina-vasopressina, dell’ossitocina e della dopamina. Questi recettori sono concentrati in strutture neurali (quali il nucleus accumbens) note come “sistema di gratificazione”, dove mediano l’effetto del rafforzamento di un comporta-mento a seguito di una gratificazione. La densità dei recettori della vasopressina nell’-area pallida ventrale, che è il maggior output del nucleus accumbens, è molto maggiore nel Microtus ochrogaster che nel Microtus montanus. Nella specie ochrogaster, mono-gama, i neuropeptidi vasopressina ed ossito-cina, interagendo con i rispettivi recettori, coordinano comportamenti premianti, quali l’accoppiamento, regolano la scelta selettiva del partner e contribuiscono all’elaborazione dei comportamenti sociali necessari al rico-noscimento individuale. La formazione di un forte legame monogamico dipende da una modifica stabile del profilo di espressione dei geni dell’ossitocina e della vasopressina, innescata dall’accoppiamento ma che, come vedremo, può essere indotta anche per via farmacologica, purchè la somministrazione del farmaco avvenga in concomitanza con un rapporto sociale, anche fugace, tra i futuri partner. Il blocco dei recettori dell’ossitocina, per mezzo di iniezioni sito-specifiche di suoi antagonisti nel cervello delle femmine di arvicole della prateria, inibisce lo sviluppo del processo che porta alla preferenza per il partner e che si manifesta dopo l’accoppia-mento. La dopamina della via mesolimbica - percorso che collega l’area tegmentale ven-

trale al nucleus accumbens (nella porzione ventrale del nucleo striato) attraverso l’ami-gdala e l’ippocampo, entrambi al centro del sistema di gratificazione del cervello - si pensa che possa giocare un ruolo importan-te nei processi di motivazione e ricompensa endogena e del piacere associati a stimoli appetitivi e nei processi di rinforzo nell’elabo-razione delle sensazioni di piacere e di pau-ra. La stimolazione simultanea dei recettori di questi due neuropeptidi e di quelli della dopamina, nei centri cerebrali della gratifica-zione durante l’accoppiamento, genera una preferenza condizionata per il partner, cre-ando il legame di coppia forte e duraturo di cui s’è detto. Tra le principali gratificazioni ci sono quelle finalizzate alla sopravvivenza della specie, quali il cibo, il rapporto sessua-le o un comportamento aggressivo vittorioso. Recentemente, altre differenze recettoriali sono state individuate tra le arvicole della prateria, monogame, e quelle poligame della montagna: riguardano la diversa espressio-ne dei recettori μ-oppiacei, che potrebbe contribuire alle differenze comportamentali rilevate tra queste due specie. Le arvicole della prateria hanno densità significativa-mente più elevate di recettori μ-oppiacei nella maggioranza delle diverse regioni del prosencefalo, inclusi i nuclei talamici antero-ventrale ed antero-laterale. I recettori μ-oppiacei situati nel nucleo striato (parte dor-sale del nucleus accumbens) sono coinvolti, in modo anatomicamente segregato, nei processi motivazionali e mediano molteplici forme di rapporti sociali, incluso il legame della prole per la madre ed il vincolo sociale che tiene uniti i due individui di una coppia. I recettori μ-oppiacei situati, invece, nella zona dorso-mediale del nucleus accum-bens, mediano motivazioni edoniche positi-ve, coinvolte nell’induzione di sensazioni di piacere. La possibilità di correlare geni e comportamenti in questa specie animale è stata limitata a lungo dalla mancanza di informazioni genetiche e genomiche. Per superare questo limite si è deciso di creare una piattaforma per lo sviluppo delle risorse genomiche di questo modello sperimentale. A tal fine, è stata costruita e caratterizzata una raccolta cromosomica batterica artificia-le (BAC library) ottenuta da una arvicola della prateria ed una mappa citogenetica comparativa sviluppata da un topo della prateria (Mus musculus). I cromosomi batte-

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rici artificiali sono spesso usati per sequen-ziare il genoma: un breve tratto del DNA di un Microtus ochrogaster è stato amplificato come un inserto nel cromosoma batterico artificiale e poi sequenziato. Le parti sequen-ziate sono poi state riarrangiate in silico, fornendo la sequenza genomica dell’arvicola donatrice. La BAC library ha permesso la caratterizzazione genomica, genetica e mo-lecolare del Microtus ochrogaster e di carat-terizzare le sequenze regolatorie e codifican-ti dei geni coinvolti nei comportamenti socia-li. Recentemente, alcuni di questi geni sono stati sequenziati, inclusi quelli che codificano per l’arginina-vasopressina, l’ossitocina, la dopamina e per i rispettivi recettori. Abbiamo visto che l’accoppia-mento induce la formazione di legami di coppia durevoli, che iniziano con la formazione della preferenza per il partner e sono regolati da vari neutrotrasmettito-ri. Poiché il lega-me di coppia si instaura solo dopo l’accoppiamento, si è ipotizzato che meccanismi epigenetici siano coinvolti nella sua regolazione. Questi meccanismi influen-zano il fenotipo (in questo caso l’espressione dei neurotrasmettitori ed il conseguente comportamento sociale del Microtus), senza alterarne il genotipo (cioè la sequenza nucle-otidica dei geni coinvolti). Per verificare que-sta ipotesi, femmine di arvicole della prateria adulte, ma sessualmente vergini, sono state alloggiate per 6 ore in una gabbia con un maschio (una coppia/gabbia), senza che potesse avvenire l’accoppiamento, a causa del tempo troppo breve trascorso insieme dai due partner. Ad alcune di queste femmi-ne è stata somministrata tricostatina A (TSA), un potente e specifico inibitore delle istone deacetilasi, che altera l’espressione genica. TSA interferisce con la rimozione dei gruppi acetilici degli istoni, alterando così la capacità di fattori di trascrizione del DNA di accedere alla molecola del DNA all’interno della cromatina ed inducendo un innalza-mento dell’espressione di geni specifici. TSA ha facilitato, nelle femmine trattate, la forma-

zione della preferenza per il partner anche in assenza dell’ accoppiamento. A ciò si è as-sociata una up-regulation specifica dei recet-tori dell’ossitocina (oxtr) e di quelli della va-sopressina (avpr1) nel nucleus accumbens, grazie all’aumentata acetilazione degli istoni a livello dei rispettivi promotori genici. Inoltre, la preferenza per il partner, nelle femmine messe in gabbia con un maschio, ma non trattate con TSA, ha innescato la stessa regolazione epigenetica dei promotori dei geni oxtr e avpr1 indotta da TSA. Non solo, l’inibizione delle modifiche epigenetiche nel cervello delle arvicole femmine trattate con

TSA ha portato ad una trascrizione dei recet-tori di ossitocina e vasopressina maggiore di quella indotta dall’accoppiamento in un altro gruppo di femmine lasciate col maschio per 24 ore, un tempo sufficiente perché si ac-coppiassero, confermando il nesso tra modi-fiche epigenetiche e legame di coppia. Inol-tre, la preferenza per il partner, facilitata da TSA, è stata prevenuta dal blocco dei recet-tori di vasopressina ed ossitocina nel nu-cleus accumbens. Questi risultati dimostrano che accoppiamento e TSA facilitano l’insor-genza della preferenza per il partner attra-verso eventi epigenetici e questa è la prima evidenza diretta della regolazione epigeneti-ca del legame di coppia. Riassumendo, la preferenza per il partner, indotta dall’accop-piamento, innesca le stesse regolazioni epi-genetiche dei promotori dei geni oxtr e avpr1 innescate da TSA e da altri fattori legati al contatto sociale, contribuendo alla formazio-ne del legame di coppia. Il tempo trascorso insieme dai due partner della coppia, senza che si verificasse l’accoppiamento, ha indot-to una sorta di “imprinting mentale” che,

combinato con l’aumento dei valori di vaso-pressina ed ossitocina, ha fatto sì che le arvicole della prateria siano disposte ad accoppiarsi con quell’unico partner per il resto della vita. Le arvicole della prateria sono state proposte come modello potenzia-le per lo studio dei disturbi della social cogni-tion (codifica, conservazione, recupero ed elaborazione di informazioni nel cervello relative a individui della propria specie), inclusi deficit cognitivi sociali caratteristici di alcune patologie psichiatriche, quali le varie forme di autismo e di schizofrenia. Benchè le ricerche sul comportamento sociale delle

arvicole della pra-teria non possano, realisticamente, far sperare di identifi-care i meccanismi alle base di queste patologie nell’uo-mo, i risultati otte-nuti con questo modello sperimen-tale potrebbero, comunque, aiutare ad individuare i percorsi genetici ed i sistemi neurobio-logici coinvolti nella regolazione di vari aspetti del compor-tamento sociale e ad indirizzare stra-tegie terapeutiche nuove ed originali per la cura di tali

deficit. Grazie all’evoluzione degli strumenti molecolari, genetici e genomici in corso sul Microtus ochrogaster, è prevedibile che que-sto piccolo roditore diventerà sempre più un modello di studio insostituibile nelle ricerche di base e traslazionali focalizzate sulla biolo-gia del “cervello sociale”, cioè di quell’insie-me di strutture e di meccanismi neurali che presiedono sia alle nostre interazioni che ai nostri pensieri e sentimenti verso i nostri simili.

Domenico Barone

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La World Medical Association (WMA) è un’organizzazione internazionale fonda-ta nel 1947 a Parigi ove si tenne la pri-ma Assemblea Generale, con la parte-cipazione di rappresentanze di medici provenienti da 27 paesi. Attualmente aderiscono alla Associazione società mediche di 100 paesi. Obiettivo della organizzazione è assicurare l’indipen-denza dell’operato del medico e stabili-re standard di livello il più possibile ele-vato riguardo l’etica della professione medica. Uno stimolo importante alla costituzione di questa associazione è venuto dai terribili avvenimenti della seconda guerra mondiale, quando si venne a conoscenza degli orribili espe-rimenti eseguiti nei campi di concentra-mento nazisti su civili e prigionieri di guerra da medici anche rinomati, espe-rimenti che comportavano atroci soffe-renze ed anche la morte dei soggetti. Come è noto, dopo il processo tenutosi a Norimberga contro 23 medici e para-medici implicati in questi fatti, la corte ritenne che l’etica ippocratica non fosse più sufficiente quando è in causa la ricerca nell’uomo ed elaborò un codice (il c.d. Codice di Norimberga) dove si stabilivano i dieci principi fondamentali che debbono regolare l’esecuzione di esperimenti medici nell’uomo: la previa sperimentazione nell’animale, il consen-so del partecipante, il diritto del sogget-to ad interrompere in qualunque mo-mento la propria partecipazione allo studio, ed altro. Fondamentale fu l’introduzione del principio del consenso esplicito del sog-getto, in quanto la sperimentazione clinica, specie con l’avvento delle tecni-che moderne della doppia cecità e della randomizzazione, ha profondamente alterato il tradizionale rapporto ippocra-tico medico/paziente nel quale è scon-tato che quest’ultimo, rivolgendosi al medico di fiducia per essere curato, accetti tacitamente le terapie che questi prescrive oppure le rifiuti se per qualche motivo non gli sono gradite. Nella speri-mentazione clinica controllata il pazien-te dà il consenso ad entrare in uno stu-

dio nel quale riceverà un nuovo farmaco sperimentale oppure uno standard o addirittura un placebo inerte, essendo non il medico ma una lista di randomiz-zazione a decidere quale trattamento gli toccherà e non è detto ovviamente che sarà quello che lo studio dimostrerà essere il migliore. Inoltre, il consenso a partecipare viene chiesto dallo stesso medico che opera contemporaneamen-te anche come sperimentatore, spesso in condizioni di cecità, ed il cui obiettivo è fondamentalmente l’acquisizione di conoscenze di carattere scientifico più che il successo nel singolo paziente. Si viene così a creare un conflitto di inte-ressi tra le due parti, conflitto che, come è noto, è stato superato con l’introduzio-ne del terzo attore, cioè del Comitato Etico che funge da garante sia della utilità e della correttezza sperimentale dello studio, sia degli interessi del pa-ziente. La General Assembly (GA) della WMA si tiene due volte l’anno e nel corso della diciottesima, tenutasi a Hel-sinki nel giugno del 1964, venne appro-vato il documento che da allora è cono-sciuto appunto come Dichiarazione di Helsinki e che ha recepito formalmente il contenuto del Codice di Norimberga. Il testo della Dichiarazione, dal 1964 ad oggi, è stato riveduto ed emendato 9 volte nel corso di assemblee generali della WMA. L’ultima versione è stata stilata in occasione della 64ma GA te-nutasi in Brasile, a Fortaleza, nel mese di Ottobre del 2013. Come era logico attendersi, la nuo-va versione non introduce concetti so-stanzialmente difformi rispetto alla pre-cedente, elaborata nel corso della 59ma GA tenutasi a Seoul nell’ottobre del 2008. Si tratta piuttosto di un riarrangia-mento del testo, opportuno dopo che nel corso degli anni erano state inserite aggiunte in diversi punti della Dichiara-zione. Come si ricorderà, la versione precedente era suddivisa in tre parti: Introduction, Principles of All Medical Research e Additional Principles for Medical Research Combined with Medi-

cal Care. Quest’ultima sezione prende-va appunto in considerazione i delicati aspetti etici che si prospettano quando il medico si trova ad essere contempora-neamente curante e sperimentatore. Il testo elaborato a Fortaleza consta ora di 10 paragrafi: Preamble; General Principles; Risks, Burdens and Benefits; Vulnerable Groups and Individuals; Scientific Requirements and Research P r o t o c o l s ; R e s e a r c h E t h i c s C o m m i t t e e s ; P r i v a c y a n d Confidentiality; Informed Consent; Use of Placebo; Post-Trial Provisions; Research Registration and Publication and Dissemination of Results ; Unproven Interventions in Clinical Practice. Il raggruppamento per argomenti consente una più agevole e ragionata lettura del testo. Il JAMA, commentando la nuova versione, ha criticato il fatto che la Di-chiarazione sia indirizzata soltanto ai medici. In realtà, al punto 2 del Preamble si dice che “Consistent with the mandate of the WMA, the Declaration is addressed primarily to physicians. The WMA encourages others who are involved in medical research involving human subjects to adopt these principles”. E’ ovvio che, essendo la WMA un organo che raggruppa società mediche, si rivolga primariamente a chi pratica la Medicina, tuttavia anche tutt i i numerosi profess ionis t i non med ic i che partecipano alle ricerche cliniche sono “encouraged”, cioè esortati, ad attenersi ai principi della Dichiarazione. Viene ulteriormente sottolineata l’importanza dei Comitati Etici per la sorveglianza sulla ricerca nell’uomo, conformemente agli standard e alle procedure fissati nel 2011 dalla WHO. Risulta quindi ancor più sorprendente che il recente Regolamento Europeo non menzioni i Comitati Etici ed i loro compiti e si limiti a dire che “qualsiasi domanda di autorizzazione a una speri-mentazione clinica vada valutata con-giuntamente da un numero ragionevole

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LA NUOVA VERSIONE DELLA DICHIARAZIONE DI HELSINKI

(FORTALEZA, OTTOBRE 2013)

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di persone indipendenti, che possegga-no collettivamente le qualifiche e l’espe-rienza necessarie in tutti i settori di inte-resse, includendo il punto di vista dei ”non addetti ai lavori”: La genericità di questa frase ha ovviamente suscitato forti commenti negativi che hanno porta-to alla richiesta di numerosi emenda-menti che ora saranno resi pubblici con il nuovo testo del Regolamento. La nuo-va Dichiarazione, al paragrafo 23, sotto-linea ancora che tra i compiti dei Comi-tati Etici non vi è solo quello di esamina-re ed approvare i protocolli, ma anche quello di monitorare gli studi durante il loro svolgimento. Si attendeva di vedere se il proble-ma dell’uso del placebo sarebbe stato nuovamente sollevato e discusso. Come si ricorderà, nella revisione elaborata dalla 52ma GA a Edimburgo nell’ottobre del 2000 era stato chiaramente esplicita-to che l’uso del placebo non era ammis-sibile quando esistessero trattamenti di provata efficacia. Ciò aveva suscitato vivaci reazioni negli USA, paese nel quale l’uso del placebo nella ricerca clinica è sacro ed intoccabile. Si giunse perfino a minacciare la preparazione di un testo analogo alla Dichiarazione di Helsinki valido per gli Stati Uniti e nel quale le riserve sull’uso del placebo sa-rebbero state eliminate. Fu deciso di tenere una riunione per ridiscutere il problema a New York l’11 settembre del 2001, fatidica data in cui l’attacco terrori-stico alle Torri Gemelle consigliò di rin-viare la discussione. Fu così preparata una Note of Clarification che fu incorpo-rata nelle revisioni del 2002 (Washington) e del 2004 (Tokyo) per poi divenire parte integrale del testo nella versione di Seoul (2008). Nella versione di Fortaleza il testo di Seoul non ha subi-to sostanziali variazioni ma solo qualche spostamento di termini. Nel paragrafo Use of Placebo si ribadisce che le ca-ratteristiche di un nuovo trattamento vanno valutate in confronto a quelle dei migliori trattamenti, ad eccezione delle seguenti circostanze: “Where no proven intervention exists, the use of placebo, or no intervention, is acceptable; or where for compelling and scientifically sound methodological reasons the use

of any intervention less effective than the best proven one, the use of placebo, or no intervention is necessary to determine the efficacy or safety of an intervention and the patients who receive any intervention less effective than the best proven one, placebo, or no intervention will not be subject to additional risks of serious or irreversible harm as a result of not receiving the best proven intervention. Extreme care must be taken to avoid abuse of this option.” Come si vede, trattasi di una soluzio-ne un po’ pilatesca che in pratica non definisce chi debba fare la valutazione della necessità dell’impiego del placebo, proposta che ovviamente verrà dallo Sperimentatore. Sarà quindi compito del Comitato Etico decidere se in uno studio la utilizzazione di un placebo in luogo di un trattamento attivo presenti rischi di danno grave o irreversibile, il che non è ovviamente sempre facile da stabilire. Interessante è il punto 13: “Groups that are underrepresented in medical research should be provided appropriate access to participation in research”. Si prende cioè coscienza del fatto che alcuni gruppi di soggetti hanno tratto minori vantaggi dal progresso della r icerca perché esc lus i dal le sperimentazioni cliniche o inclusi in esse in numero ridotto. Si tratta specialmente delle donne e dei bambini e l’appello in questi ultimi tempi aveva già trovato ampio riscontro come dimostrano il grande sviluppo che sta avendo la Gender Medicine e l’obbligo fissato dall’EMA di prevedere per ogni nuova sostanza medicinale in studio anche un piano di ricerca nei bambini. Per la prima volta viene stabilito che le persone che abbiano riportato danni nella partecipazione ad una ricerca clini-ca debbono ricevere un adeguato inden-nizzo. Ciò può sembrarci ovvio, tuttavia, come sempre il JAMA fa notare, specie nei paesi in via di sviluppo spesso i par-tecipanti alle sperimentazioni cliniche non sono coperti da assicurazione o lo sono in modo inadeguato, il che certo contribuisce a ridurre i costi della speri-mentazione e ad attrarne di nuove ma espone i soggetti partecipanti a gravi rischi non certo bilanciati dagli scarsi compensi che vengono erogati a chi viene arruolato in studi clinici in quei paesi. Si ricorda che in India è stata

recentemente introdotta una legge la quale impone che chiunque partecipi ad una ricerca clinica e riporti danni riferibili allo studio debba ricevere opportuno trattamento medico e adeguato inden-nizzo economico. Un altro aspetto che interessa i pae-si con risorse economiche limitate è quello della disponibilità del farmaco che si sia dimostrato efficace in studi condot-ti anche in quei paesi ma che per motivi economici non viene in essi commercia-lizzato. Occorre quindi che siano previ-ste salvaguardie perché sia assicurata la possibilità di accesso al trattamento che si sia dimostrato efficace. Si sottolinea ancora una volta come l’informazione sullo studio a chi accetta di partecipare debba essere esauriente e si raccomanda di utilizzare eventual-mente metodi innovativi come video e vignette, verificando poi che la compren-sione abbia avuto luogo. Come nelle precedenti versioni, viene raccomandato che le informazioni sui risultati delle sperimentazioni cliniche abbiano adeguata circolazione, che si istituiscano database accessibili a tutti e che anche i risultati negativi di studi sia-no pubblicati. Infine, l’ultimo paragrafo “Unproven Interventions in Clinical Practice” sem-bra proprio applicabile al caso Stamina-Vannoni che tanto rumore sta sollevan-do non solo in Italia. Come nella prece-dente versione si dice che nel caso di un singolo paziente, quando non esista un trattamento o i trattamenti impiegati si siano rivelati inefficaci, il medico “after seeking expert advice” e dopo avere ottenuto un valido consenso dall’interes-sato o dal suo legale rappresentante può usare un trattamento non sperimen-tato se, sempre a giudizio del medico, esso offra la speranza di salvare la vita del soggetto, di far recuperare la salute o di alleviare le sofferenze. Nella precedente versione il testo continuava poi così: “Where possible, this intervention should be made the object of research, designed to evaluate its safety and efficacy. In all cases, new information should be recorded and, where appropriate, made publicly available.” Nella nuova versione di Fortaleza “Where possible” è stato cancellato e la frase è così divenuta

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Global biopharma hub strategies

Over the past 5 years, the main arteries of drug R&D have pointed straight to the world's biggest biopharma hubs. As hubs have grown, outlying R&D operations have been steadily trimmed away. And that trend played a big role in Novartis's decision to shutter its big respiratory research centre in West Sussex, south of London, with plans to lay off 371 staffers and 170 consultants as part of a wider restructuring. Some, though not all, of the research work underway in Horsham, U.K., will be transferred to Boston and Basel, two of three main hubs that Novartis has identified. Its third big hub is Shanghai, another favourite of the global biopharma crowd that has focused its attention on developing new drugs for the growing Asian market. "Economies of scale mean it is better to consolidate into those three hubs rather than have them distributed throughout the world," Novartis Country President UK Sue Webb commented. Webb mentioned that some of the programs would be shuttered, though a company spokesperson quickly hushed that notion to interject that final decisions on research had yet to be made. The closure in Horsham follows Pfizer's big decision to end most of its work in Sandwich along with a large portion of its operations in Groton, CT. AstraZeneca has plans to get out of Alderley Park and centralize its R&D facilities in Cambridge, U.K. Sanofi has been sparring with French unions to scale back in Europe as it continues its own build-up in the Boston/Cambridge area following its takeover of Genzyme. And Johnson & Johnson has created a slate of four innovation centres in four big hubs--Boston, London, San Francisco and Shanghai. Each of these companies spends billions of dollars on R&D each year, and as many of these multinationals explore more collaborations and outside partnerships, it makes more sense to close down the outliers and concentrate in key hubs. The global restructuring of R&D may persuade some of Novartis's Horsham workers to move to Boston, but Webb was openly sceptical about any large number of moves. "We will try and determine what is right for those individuals," Webb told. "And yes there will be opportunities for people to relocate, but is it likely that 370 people relocate? Of course not. It will be a compromise decision."

“The intervention should subsequently be made the object of research etc.” per cui la verifica con un appropriato studio diviene obbligatoria dopo un trattamento emergenziale. Cioè proprio quello che gli esperti hanno reputato impossibile fare in quanto il materiale di Stamina non

presenta quelle caratteristiche di sicurezza di composizione e di buona fabbricazione né le evidenze pre-cliniche che si richiedono per qualunque sostanza che debba essere saggiata nell’uomo. La versione di Fortaleza è quin-di una lettura assolutamente consigliabi-

le a tutti coloro che in un modo o nell’al-tro sono coinvolti nella sperimentazione clinica, anche se le precedenti versioni siano già state oggetto di considerazio-ne.

Luciano M. Fuccella

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Nell’interesse collettivo internazionale, il ministro della Salute italiano «dovrebbe risolvere la perdurante incertezza su una terapia controversa». Un «fiasco» che rischia di essere una macchia italiana. La rivista scientifica Nature torna sul caso Stamina e non modera i termini nei confronti della decisione del Tar del La-zio di riaprire ciò che sembrava chiuso. Luca Pani, capo dell’AIFA, aveva com-mentato con soddisfazione il parere del-la commissione di esperti, e non per la bocciatura in sé del metodo Stamina, ma per la vittoria della scienza sull’emo-tività delle masse, la demagogia e gli interventi della magistratura basati sui cavilli e non sulla sostanza scientifica. Secondo la rivista britannica nessun giudice dovrebbe prestarsi ad autorizza-re ciò che non esiste come se esistesse. Allora perché non si autorizza il veleno dello scorpione blu come cura palliativa anti-cancro? Ed anche il TAR può giudi-care gli esperti italiani chiamati a valuta-re il metodo in base a un metro che in Italia può al massimo riguardare la politi-ca ma che non può certo riguardare la scienza. E ciò che decidono i magistrati, dati i tempi lunghi di questo Paese, non fa altro che confondere le acque a tutto svantaggio di una verità «volutamente» trasformata in «segreto di Stato», manco si parlasse di innovative armi militari. Ma chi tutela quei genitori di bambini malati

e senza cura che a tutto si aggrappano? Ancor più se nessuno può dire la parola fine a un «fiasco» scientifico, che se avesse funzionato sarebbe oggi ovun-que, dato l’interesse sulle staminali di imprenditori privi di scrupoli cinesi, russi, arabi? E fa bene Nature a intervenire con un editoriale non firmato, e quindi della direzione. L’APPELLO - È un vero e proprio appel-lo al ministro della Salute Beatrice Lo-renzin, quello rivolto da Nature. Secondo l’articolo, il «fiasco delle staminali an-drebbe fermato» e il ministro «dovrebbe risolvere ogni incertezza riguardo alla possibilità di un trial gestito dal governo di una terapia controversa». Non c’è nessuna evidenza, ribadisce l’articolo, che la terapia funzioni, e anzi potrebbe essere pericolosa. «Lorenzin dovrebbe sollevare i membri della commissione che ha giudicato il metodo dall’obbligo di confidenzialità. Inoltre dovrebbe rendere accessibile a un pubblico più ampio il protocollo del metodo. Deve agire ora, prima che le cose peggiorino». NUOVA COMMISSIONE - Secondo la rivista la nomina di una nuova commis-sione che giudichi il metodo potrebbe non essere una buona idea. «Ci si av-ventura in un terreno pericoloso - si leg-ge -. Ci sono interessi internazionali potenti che supportano cliniche che of-frono terapie non provate a base di sta-

minali in Paesi come il Messico e l’U-ganda. Questi Paesi non hanno gli stretti controlli regolatori che impediscono di sfruttare la disperazione dei pazienti di Europa e Usa». IL PREMIO - E si tocca il ridicolo, lette-ralmente, quando si apprende che un premio per l’impegno civico ed etico nel dibattito pubblico sulle cellule staminali in Italia, a difesa della corretta applica-zione del metodo scientifico, è stato assegnato a novembre negli Usa dalla Società internazionale per la ricerca sulle cellule staminali (Isscr) a Elena Cattaneo, Paolo Bianco e Michele De Luca. Tre ricercatori, guarda caso, i cui meriti scientifici sono riconosciuti a livel-lo internazionale e che hanno ricevuto il «Public Service Award» proprio «per il recente impegno nel dibattito pubblico e nel contributo politico in Italia, sostenen-do il rigore scientifico e gli standard me-dici». Il riconoscimento, proseguono le motivazioni, si riferisce inoltre «alla vigi-lanza che i tre ricercatori hanno esercita-to sull’introduzione nella clinica dei nuovi trattamenti basati sulle cellule stamina-li». E qui il riferimento a Stamina è evi-dente. Il mondo plaude ai nostri esperti di staminali, mentre i malati accecati dalle promesse non provate di Vannoni li insultano. Strano Paese l’Italia.

A cura di Domenico Criscuolo

Nature di nuovo contro Stamina In un editoriale della rivista scientifica espressa grande preoccupazione per la situazione italiana

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LIFETRAIN WORKSHOP Ho partecipato, come rappresentante SSFA ed IFAPP, a questo incontro annuale, tenuto a Bruxelles nella sede della Johnson & Johnson, lo scor-so 28-29 novembre. Obiettivo era quello di fare il punto sulla diverse attività in corso, svolte a sottolineare l’importanza di un programma di aggiornamento professiona-le continuo (ed il termine Lifetrain ben sottolinea questo concetto): inoltre, con il metodo dei gruppi di lavoro, si sono raccolte molte indicazioni per rendere più pratico e stimolante il principio della formazione continua. Devo ammettere che molti Paesi, soprattutto quelli del Nord Europa, sono molto più avanti di noi sulla diffusione di questo principio: in Italia l’aggior-namento professionale è lasciato alla libera iniziativa del singolo, e soprattutto non viene svolta nessuna verifica. Tuttavia sono in corso molte iniziative, alcune anche a livello politico, per garantire anche in questo settore un’armonizzazione Europea. Quindi possiamo aspettarci, nel volgere di qualche anno, che una nuova direttiva imporrà a tutti i professionisti della Medicina Farma-ceutica di seguire corsi e seminari di aggiornamento professionale, e di doverlo dimostrare in modo adeguato

Domenico Criscuolo

The Lancet: How to cope with an ageing population The Global AgeWatch Index 2013 was released on Oct 1, ranking 91 countries in terms of the wellbeing of their older populations (a loose term, but generally defined as individuals aged ≥60 years). Unsurprisingly, high-income countries did best, with the highest scores for Sweden and Norway across the assessed domains of income security, health status, employment and education, and presence of an enabling environment. Some countries with high overall scores were let down by poor performance in specific domains; the USA was ranked only 24th for health but reached eighth overall. Conversely, South Korea (67th overall) was eighth best for health, but was let down by poor income security (90th). For many countries, population ageing and how to ensure wellbeing for older citizens is portrayed as a cataclysm in waiting, with too few people left in work paying for an overbalancing population pyramid. True, fewer people of working age will be looking after a greying society (especially in rich countries) and retirement ages will need to be raised, but such gloomy predictions are based on the assumption that with age comes expensive morbidity. If successive cohorts age healthier than previous ones (so called morbidity compression), and care systems improve, the crisis can be averted. However, this optimistic course is not guaranteed. In the Global Burden of Disease 2010 Study, overall life expectancy at birth increased by 4·7 years for men and 5·2 years for women between 1990 and 2010, but healthy life expectancy increased only by 4·2 years for men and 4·5 years for women. In another assessment, although life expectancy at birth for the European Union increased by about 1 year in the 4 years up to 2009, healthy life expectancy stayed the same overall. This expansion of morbidity, during which people live longer with ill health, drives up health costs and decreases wellbeing. So why does this discrepancy exist? All countries will feel the effects of the obesity and tobacco epidemics in the coming decades. In poorer countries, success against maternal and child mortality and infectious diseases has improved overall survival, but has shifted the burden of disease such that health systems encounter long-term disorders for which they are underprepared. Funding should not be diverted from successful programmes, and new funding (with fewer advocates) has to be secured. In richer nations, access to long-term social care for older individuals can be inadequate. Investment in services for elderly

populations to improve wellbeing can bring its own health benefits: a sense of purpose is associated with reduced severity of Alzheimer's disease and, conversely, depression and stress are linked with coronary heart disease and premature mortality. Ageism bars older people from good health care. Wrongly, illness is viewed as an inherent part of getting old, treatments are seen as ineffective because of multi-morbidity, and any economic or health gains as minimal because elderly patients die soon anyway. Thus, elderly patients are excluded from clinical trials, and do not receive the same standard of care as equivalently sick young people. Greater investment is needed into secondary and ambulatory care, and older patients must be included in well designed clinical trials. We must focus not only on what society can give to the elderly, but also on what the elderly can give to society. Successful ageing will benefit all age groups from the altruism, wisdom, and perspective of the most senior members of society. Proactive rather than reactive health systems planning is needed. Older populations in India, Indonesia, Mexico, and Russia will double in the next 40 years, yet are in the bottom half of the Global AgeWatch Index. India (health status rank 85th) needs to

increase its share of GDP devoted to health (currently about 2%) if truly universal health care is to be delivered to its ageing population. Services need to adapt to improve care for their ageing populations, including better use of mobile services and technology to facilitate home visits. Better data are needed to gauge success (in terms of wellbeing) of interventions to address the long-term needs of an ageing population, and track progress on morbidity compression. Although a promising start, The Global AgeWatch Index was only able to provide rankings for 91 countries, including just seven from Africa. By 2050, more than 20% of the global population will be older than 60 years and 80% will live in low-income and middle-income countries. Success in other medical specialties means that the world's population is getting old. To allow it to do so gracefully will require early investment and cooperation between health and social care.

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The Lancet: Realising the potential of stem-cell research in Europe For many years there has been much hyperbole about stem-cell research, but recent developments have brought its enormous potential a little closer. For example, possible treatment for multiple sclerosis and potential implications for other neurodegenerative diseases have been explored in the recent Lancet series on stem cells. However, the involvement of human embryonic stem cells and how these cells might be applied in medicine have raised many ethical and legal questions. To inform this debate and ensure that the momentum driving these developments is not lost the European Science Foundation has published a report, Human Stem Cell Research and Regenerative Medicine, comparing the legislation within Europe that governs this field and highlighting some European successes. It is particularly important to assess the legislative framework within which this research operates in Europe, because if changes restrict the output of research it will consequently affect the availability of funding. The report points out that at present Europe has a leading role in human embryonic stem-cell research and that the legal landscape is favourable. Within the report the positions of 30 European countries are categorised as very permissive, permissive with restrictions, restricted by default, very restrictive, and unlegislated. Only three countries—Belgium, Sweden, and the UK—fall into the most liberal first category, allowing the creation of human embryos for research. Most countries (16) fall into the next most permissive category, allowing research only on surplus embryos produced for in-vitro fertilisation. In this second category is Spain, where most (20 of 25) ongoing trials are taking place. Beyond research, policies governing the commercial exploitation of human embryonic stem cells are much more restrictive. A 2011 ruling by the European Court of Justice states that it is illegal to patent discoveries based on these cells. This ruling has implications for future funding, and concerns about limiting possible commercial opportunities from this field have long been a topic of discussion. However, it is acknowledged in the report that adult stem cells, such as mesenchymal stem cells or induced pluripotent stem cells, are associated with fewer legal and ethical constraints. Therefore, research with these cells is progressing more readily than that involving embryonic stem cells. The less restricted environment of adult stem-cell research makes these cells more appealing workhorses for the development of new treatments, and perhaps ultimately their application in regenerative medicine. The report lists many examples of promising findings and potential clinical applications in Europe. One such example is the transplantation of photoreceptor nerve cells and adult human retinal stem cells into animals, with the ultimate aim of restoring vision in people with degenerative eye diseases. Another example is the use of neurons derived from human embryonic stem cells for the regeneration of brain tissue after injury or disease. Potentially the most ambitious and logistically complex example presented is the generation of tissue-engineered organs; in particular the report cites the first paediatric, tissue-engineered trachea transplant. The report concludes that “research transparency, integrity, and safety must continue to stand at the heart of any future developments in this field”. This statement is important with respect to human embryonic stem-cell research where the ethical pitfalls are many. By effectively keeping this type of research within the public sphere, for now the legislators have got it right. But care must be taken that the legal restrictions are not too broad or inconsistent such that they impede international collaboration within and outside Europe. Accepting the concerns raised about embryonic stem-cell research, there is still a great deal of hope and expectation invested in this field. The risk that must be avoided is allowing enthusiasm to overestimate the progress made so far. Much research is at the early stages where possible clinical applications are difficult to assess. Careful scrutiny of research findings and appropriate long-term follow-up must be mandatory to minimise false promises that might damage medical and public confidence in future applications of this technology. At the risk of adding to the hyperbole surrounding stem-cell research, it is beyond doubt that the field could herald great advances in medicine. However, in addition to the care taken when interpreting research findings, caution must be exercised in commercialisation of such technologies. The fruits of stem-cell research must be made available to as many patients in as many settings as possible if a medical revolution is to be achieved.

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Restoring the integrity of the clinical trial evidence base Calling researchers and editors to help restore invisible and abandoned trials British Medical Journal, BMJ 2013;346:f3601 Public confidence in the credibility of medical research is at a low ebb. Many completed clinical trials have never been published, and many published results are incomplete or misleading. This crisis of hidden or misreported information from clinical trials—and the resulting distortion of the clinical evidence base—is widely recognized and commonly decried. It is one of the leading scientific problems of our time, but few solutions have been put forward. Doshi and colleagues offer a bold remedy in the form of the RIAT (restoring invisible and abandoned trials) proposal. Invisible trials are those that have never been published. Abandoned trials are unpublished trials that sponsors are no longer actively working to publish or published trials that, although documented as misreported, have not been corrected by the authors. Doshi and colleagues declare that, “because abandonment can lead to false conclusions about effectiveness and safety, we believe that it should be tackled through independent publication and republication of trials.” They challenge medical researchers and funding agencies associated with unpublished or misreported trials to swiftly signal their intent to publish or correct these “abandoned” trials and then to act on this within a year. If no such intention is declared, or if a corrective paper has not been published within a year, they propose offering the opportunity to become “restorative authors” to other responsible researchers, who would restore the integrity of the reporting of the trials involved. The RIAT proposal outlines the step by step process that the original authors or volunteer restorative authors should follow. It provides a minimum set of criteria for the proper and responsible publication and republication of abandoned studies. To help start this project, the authors of the proposal supply a list of internal company research study reports in their possession; many were obtained as a result of lawsuits or liberalized freedom of information policies. These documents provide detailed, previously confidential, information on a large number of clinical trials that are known to be unpublished or misreported. The authors of the proposal pledge to make these resources available to restorative authors and they call on others with similar holdings to do the same. As the authors of this proposal explain, it is the existence of clinical study reports that makes it possible to reconstruct industry funded clinical trials. These reports are little known, highly structured internal company documents that describe the planning, execution, and results of individual clinical trials. Why not publish these reports instead of encouraging their distillation into short research reports for journals? These documents may be thousands of pages long and are not easily digestible: journal publication based on them may have a compression factor well above 1000:1. The authors of the RIAT proposal are confident that the necessary trial information can be obtained from clinical study reports. They provide an audit record tool to ensure that essential information is sorted systematically and to minimize the effect of reporting biases. As well as committing to publication within a year, restorative authors must adhere to the study protocol and its prespecified objectives, as well as to other reporting standards. The aim is to make any value judgments and decisions clear. Nothing better underscores the urgency and importance of the RIAT proposal than the list of abandoned trials that accompanies it. Read it and weep: on the list are clinical trials for drugs used by millions of people, including zanamivir, atorvastatin, gabapentin, and paroxetine. The number and variety of drugs on the list show clearly that incomplete reporting of clinical trial results is not an isolated occurrence, confined to a few drugs. Rather, it is an entrenched and widespread problem. Secrecy and selective reporting were an integral part of the system. Reforms such as trial registration and mandatory results reporting will improve things in the future but can do nothing about the flawed evidence of the past. The case in favor of the RIAT proposal is particularly compelling because new treatments are judged against those tested in past trials. If the evidence from past trials is unsound, so will be our view of new treatments. The failure to correct the scientific record is at odds with the principles of transparency that most in the wider medical community, including drug company leaders, now publicly espouse. Despite the rhetoric, however, little has changed so far. The RIAT proposal is the first to outline a clear practical means to an important end—an accurate understanding of the results of previously performed clinical trials. The proposal authors acknowledge that there are unresolved practical challenges and unforeseen consequences, and many of these challenges were highlighted during peer review of their paper. These problems mean that some will think the project is rash and overly ambitious, whereas others will inevitably think that it does not go far enough. In particular, because clinical study reports exist only for industry funded trials, non-industry funded trials that have been misreported or abandoned by their authors will not find an easy route into the RIAT fold. We should not let these shortcomings prevent us from moving forward. Doshi and colleagues’ unusual proposal is another step on the road towards a complete and unbiased account of the effectiveness and safety of medical interventions. We hope that the RIAT proposal will stimulate original researchers or capable volunteer restorative authors to come forward. As editors of the BMJ and PLOS Medicine, we endorse the proposal and commit to publishing restorative clinical trial submissions. We encourage other journals to signal their belief in the importance of this effort by endorsing the proposal too, either with an editorial in their journals or by responding to this editorial, encouraging submission of these publications. The results of clinical trials are a public, not a private, good. The public interest requires that we have a complete view of previously conducted trials and a mechanism to correct the record for inaccurately or unreported trials. If we do not act on this opportunity to refurbish and restore abandoned trials, the medical research community will be failing its moral pact with research participants, patients, and the public. It is time to move from whether to how, and from words to action.

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Declaration of transparency for each research article From the British Medical Journal (BMJ 2013;347:f4796)

Transparency declaration The lead author* affirms that this manuscript is an honest, accurate, and transparent account of the study being reported; that no important aspects of the study have been omitted; and that any discrepancies from the study as planned (and, if relevant, registered) have been explained. *The manuscript’s guarantor.

“It is the responsibility of everyone involved to ensure that the published record is an unbiased, accurate representation of research.” The research record is often manipulated for short term gain but at the risk of harm to patients. The medical research community needs to implement changes to ensure that readers obtain the truth about all research, especially reports of randomised trials, which hold a special place in answering what works best for patients. Failure to publish the findings of all studies, especially randomised trials, seriously distorts the evidence base for clinical decision making. A recent systematic review of reboxetine for treating depression found that almost three quarters of included patients were in unpublished trials. Of 904 completed trials of interventions for acute ischaemic stroke (1955-2008), a fifth were not properly published, “several of which may be large enough to influence clinical practice and the findings of systematic reviews and meta-analyses.”Bad as non-publication is, incomplete or misleading publications cause greater problems. Results of clinical trials published in peer reviewed publications may differ from what was previously submitted to regulatory agencies, with the published data being more positive. The primary outcome often differs from what the researchers had stated in the trial protocol or clinical trial registry. Selective non-publication favours statistically significant findings, biasing the literature. Furthermore, authors often distort the presentation and interpretation of their findings. One study found that such “spin” was common in 72 reports of randomised controlled trials with statistically non-significant primary outcomes. Similar findings have been reported recently for studies of the accuracy of diagnostic tests. Peer review is failing to ensure that journal articles contain the key clinical and methodological details that readers need. Reviews of published reports of randomised trials have found common deficiencies in the details of the interventions being evaluated, participant eligibility criteria, and outcomes. Details of study methods are also often inadequate, especially in relation to allocation. A 2006 study found that only a third of trial reports described how the randomisation sequence was generated and only a quarter described an adequate method of allocation

concealment. A review of 357 phase III oncology trials concluded that “numerous items remained unreported for many trials.” Harms too are poorly reported. The problems associated with publishing and reporting other types of research may be worse than for randomised trials. Although less intensively studied, similar concerns have been expressed in relation to epidemiology, pharmacoepidemiology, diagnosis research, prognosis research, and preclinical research. Of course, good reporting is not the same as high quality research. But a full and clear report allows readers to judge a study’s reliability and relevance. There are concerns that commercially sponsored research may be more likely to remain unpublished, but when published these trials are reported more fully. So what is needed? Published research articles should provide a clear and transparent description of how researchers conducted their study and what they found. Omission of important details of methods or study conduct should be deemed unacceptable, and journals should not publish them. Although detection of some deficiencies requires external information (for example, from a trials register or protocol), most deficiencies are inherent in a submitted manuscript and should be detected. Despite the availability of reporting guidelines such as CONSORT, improvements are slow to materialise. By not making results of their research easily accessible, researchers are withholding knowledge, in contravention of the Declaration of Helsinki. Not only are current practices questionable on moral and scientific grounds, failure to publish all research findings is a massive waste of scarce resources and diminishes the social value of the research. Researchers and funding organisations also fail the public when research findings are published in a misleading or inadequate way. Scientifically, this harms systematic reviewers who want to aggregate all of the evidence. Reviewing a partial picture provides biased and less precise estimates of effectiveness and safety than when the full information is used, and it may compromise the identification of what works best for patients. We have a proposal that can be acted on almost immediately. We suggest that authors should sign a publication transparency declaration (box) as part of every journal submission. The same declaration could

be appropriate for submissions in other contexts—for example, to regulatory agencies. Editors and editorial groups can support this initiative by updating their instructions to authors so that a completed publication transparency pledge is required as part of the submission process. We see this action as a necessary scientific analogue of the current widespread practice of asking authors about conflicts of interest. Subsequent revelation of withheld or incorrect information would be evidence of scientific misconduct for which various actions could be taken. We hope that this step will encourage authors to reflect more carefully on how they write their article and encourage them to check that they have adhered to relevant reporting guidelines. The BMJ and BMJ Open are leading the way by implementing this policy immediately. We invite other journals to do likewise and support the transparency declaration on the EQUATOR website (www.equator-network.org). The scientific community and the public at large deserve an accurate and complete record of research; we need to make changes to ensure that we will get one. Widespread endorsement and implementation of a publication transparency declaration is one way to help to get the maximum value from medical research. It will, however, have no influence on the non-publication of studies, which is a continuing disgrace.

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Sono 27 i nuovi farmaci approvati da FDA nel 2013 Il 2013 si è chiuso con 27 nuovi farmaci approvati da FDA, un risultato deludente per quanti speravano che l’impennata di luci verdi del 2012 (37 approvazioni) potesse rappresentare l’ini-zio di una tendenza, e non un boom episodico. Le Big Pharma, ad ogni modo, hanno incassato 14 registrazioni contro le 12 dell’anno precedente. Però è significativo che solo 6 aziende siano state premiate da FDA (J&J, Gsk, Roche, Sanofi, Pfizer e Bayer): tutte le altre sono rimaste a bocca asciutta. Autentici successi sono stati ottenuti da GSK e J&J, che hanno conseguito, rispettivamente, 5 e 3 AIC. Fra le approvazioni del 2013, 10 farmaci (37%) proponevano nuovi meccanismi d’azione, solo 6 farmaci (22 %) erano biologici (contro il 30% del 2012) e solo 4 (15 %) hanno ricevuto la “prioritary review” (contro il 27% dell’anno precedente). Per quanto concerne le aree terapeutiche, la classifica dell’innovazione è dominata dall’oncologia, con 8 approvazioni. Gli antinfettivi sono al secondo posto, con 5 approvazioni delle quali ben 4 hanno riguardato nuovi farmaci antivirali. Terza posizione per l’area respiratoria (con 4 approvazioni). Seguono i farmaci per le patologie del siste-ma nervoso centrale, area che ultimamente ha registrato una serie di insuccessi in fase clinica, ed ha invece ottenuto nel 2013 tre approvazioni. A seguire i farmaci endocrinologici, ematologici e per la cura del sistema riproduttivo ed urogenitale (le tre aree si attestano a quota 2 approvazioni). Chiude la classifica l’area delle malattie rare, con una sola approvazione. Ecco nella pagina che segue le 27 approvazioni FDA per l'anno 2013 (fonte FDA)

Il “Graduation Day” all’Università Cattolica di Roma

Il 23 novembre scorso, con la cerimonia di consegna dei diplomi ai 46 studenti che hanno frequentato il VI Corso del Master “Sviluppo preclinico e clinico del farmaco: aspetti tecnicoscientifici, regolatori ed etici”, ha avuto termine l’anno accademico 2012-2013. Quest’anno l’evento è stato diverso e molto più stimolante rispetto agli anni precedenti perché, per ragioni amministrative, non è stato possibile consegnare i diplomi volta per volta agli studenti che avevano discusso la tesi finale. Così il direttore del Master, prof. Pierluigi Navarra, ha pensato di dedicare una mattinata a questa procedura arricchendo il contenuto dell’incontro con due letture magistrali presentate da due qualificati relatori: il prof. Nello Martini, attuale Direttore R&D dell’Accademia Nazio-nale di Medicina ,ed, in precedenza, Direttore Generale di AIFA, che ha dissertato su:” Evoluzione del settore farmaceutico e dei mercati al 2020: una nuova governance per le sfide future” ed il dr. Giuseppe Recchia, Direttore Medico di GSK, che ha appro-fondito il tema: “ Innovazione, coopetizione, competizione. Quale evoluzione per la ricerca farmaceutica?”. L’uditorio, composto da un centinaio di persone tra studenti e loro parenti, docenti ed altri ospiti, accolto nell’Auditorio della Cat-tolica allestito per l’occasione, ha partecipato prima alle presentazioni, intervenendo con domande ai relatori, poi alla consegna dei diplomi. La consegna dei Diplomi è stata fatta dal direttore del Master (coadiuvato dal Presidente uscente di SSFA, Gianni

De Crescenzo)e da una selezione di docenti e tutti, per l’occasione, hanno indossato i paramenti acca-demici che la cerimonia richiedeva e cioè le toghe e, per i professori ordinari (oltre al prof. Navarra era presente il prof. Antonio Spagnolo), il collare di ermellino. Prima della consegna dei diplomi è stato sottoli-neato come la qualità delle tesi discusse dagli studenti sia stata molto elevata e tutti gli studenti sono stati invitati a preparare un riassunto del loro lavoro da pubbli-care su SSFA oggi. A fine cerimonia tutti a casa e….. all’avventura della vita e del lavoro.

Francesco De Tomasi

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No. Drug Name Active Ingredient Date What it’s used for 27. Anoro Ellipta umeclidinium and vilanterol

inhalation powder 12/18/2013 For the once-daily, long-term maintenance treatment of airflow

obstruction in patients with chronic obstructive pulmonary disease (COPD).

26. Sovaldi sofosbuvir 12/6/2013 To treat chronic hepatitis C virus (HCV) infection. 25. Olysio simeprevir 11/22/2013 To treat chronic hepatitis C virus infection. 24. Luzu luliconozole 11/14/2013 For the topical treatment of interdigital tinea pedis, tinea cruris, and

tinea corporis caused by the organisms Trichophyton rubrum and Epidermophyton floccosum.

23. Imbruvica ibrutinib 11/13/2013 To treat patients with mantle cell lymphoma (MCL). 22. Aptiom eslicarbazepine acetate 11/8/2013 As an add-on medication to treat seizures associated with epilepsy.

21. Gazyva obinutuzumab 11/1/2013 For use in combination with chlorambucil to treat patients with previously untreated chronic lymphocytic leukemia (CLL).

20. Vizamyl flutemetamol F 18 injection 10/25/13 A radioactive diagnostic drug for use with positron emission tomography (PET) imaging of the brain.

19. Opsumit macitentan 10/18/13 To treat adults with pulmonary arterial hypertension (PAH).

18. Adempas riociguat 10/8/13 To treat adults with two forms of pulmonary hypertension.

17. Duavee conjugated estrogens/bazedoxifene

10/3/13 To treat moderate-to-severe hot flashes (vasomotor symptoms) associated with menopause and to prevent osteoporosis after menopause.

16. Brintellix vortioxetine 9/30/13 To treat adults with major depressive disorder. 15. Tivicay dolutegravir 8/12/13 To treat HIV-1 infection. 14. Gilotrif afatinib 7/12/13 For patients with late stage (metastatic) non-small cell lung cancer

(NSCLC) whose tumors express specific types of epidermal growth factor receptor (EGFR) gene mutations.

13. Mekinist trametinib 5/29/13 To treat patients whose tumors express the BRAF V600E or V600K gene mutations.

12. Tafinlar dabrafenib 5/29/13 To treat patients with melanoma whose tumors express the BRAF V600E gene mutation.

11. Xofigo radium Ra 223 dichloride 5/15/13 To treat men with symptomatic late-stage (metastatic) castration-resistant prostate cancer that has spread to bones but not to other organs.

10. Breo Ellipta fluticasone furoate and vilanterol inhalation powder

5/10/13 For the long-term, once-daily, maintenance treatment of airflow obstruction in patients with chronic obstructive pulmonary disease (COPD).

9. Invokana canagliflozin 3/29/13 Used with diet and exercise, to improve glycemic control in adults with type 2 diabetes.

8. Tecfidera dimethyl fumarate 3/27/13 To treat adults with relapsing forms of multiple sclerosis (MS).

7. Dotarem gadoterate meglumine 3/20/13 For use in magnetic resonance imaging (MRI) of the brain, spine and associated tissues.

6. Lymphoseek technetium Tc 99m tilmano-cept

3/13/13 A radioactive diagnostic imaging agent that locates lymph nodes in patients with breast cancer or melanoma who are undergoing surgery.

5. Osphena ospemifene 2/26/13 To treat women experiencing moderate to severe dyspareunia due to menopause.

4. Kadcyla ado-trastuzumab emtansine 2/22/13 For patients with HER2-positive, late-stage (metastatic) breast cancer.

3. Pomalyst pomalidomide 2/8/13 To treat patients with multiple myeloma whose disease progressed after treatment.

2. Kynamro mipomersen sodium 1/29/13 To treat patients with a rare type of high cholesterol called homozygous familial hyperch. (HoFH).

1. Nesina alogliptin 1/25/13 To improve blood sugar control in adults with type 2 diabetes.

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Molti ammirano, pochi sanno parte seconda

LA MEDICINA NELL’ANTICA GRECIA I contributi della cultura greca classica alla scienza, compresa la medicina, so-no stati notevoli. La storia dell’antica Grecia è divisa nei periodi omerica (1100-750 AC), arcaica ( 750-480 AC), e classica (480-323 AC). Durante questi periodi, la medicina ha subito una note-vole trasformazione ed evoluzione. In precedenza, durante il periodo minoi-co (3500-1700 AC) e miceneo (1600-1100 AC ), la medicina era strettamente connessa alla religione ed alla magia, poiché la malattia era esclusivamente attribuita agli dei che avevano il potere di fornire e distruggere la salute umana. La medicina greca antica è stata influen-zata da altre civiltà, come quella egizia, babilonese e indiana. Durante il periodo omerico (1100-750 AC ) sono stati de-scritti i vari aspetti della medicina (trattamento di ferite e lesioni e gestione dei traumi). Le sezioni più sviluppate della medicina omerica erano l’anatomia e la traumatologia. I terapisti del tempo ricorsero non solo alla magia ed agli esorcismi, ma vennero usate anche erbe medicinali e bendaggi per le fratture, ed eseguite alcune procedure chirurgiche. Asclepio era considerato il fondatore della medicina antica greca: gli Asclepia-di, sacerdoti–guaritori, davano istruzioni per il benessere della popolazione. I greci gradualmente divennero più scetti-ci riguardo all’influsso soprannaturale sul loro benessere e divennero più interes-sati a spiegare i fenomeni naturali e la comprensione della natura umana, la vita e la malattia, con motivi di ordine razionale, in particolare a partire dal VI secolo AC, a seguito dello sviluppo della filosofia naturalistica. I filosofi greci pre-socratici (Talete di Mileto, Anassimene, Anassimandro, Eraclito, Empedocle, Pitagora, Democrito ed altri) cercarono di scoprire la vera sostanza della vita e del mondo. Pitagora (580-489 AC) ha creduto che il cervello fosse il centro di attività superiori e ha introdotto l'impor-tanza dei numeri, fondò una scuola di filosofia a Crotone (530 AC). Qui Alcme-one fondò successivamente una scuola di medicina. Altre scuole significative furono la scuola medica di Cnido in Asia Minore e la Scuola Coan sull'isola di

Cos, rispettivamente gestite da Eur-yphon ed Ippocrate. Ippocrate viene citato da Dante al verso 143 del IV canto dell'Inferno, insieme ad altri eminenti scienziati e personaggi della storia, so-prattutto antichi greci, che non ebbero la buona ventura di conoscere Cristo, per cui si trovano nel limbo, il primo cerchio dell'inferno dantesco. Oltre agli infanti morti senza battesimo, il poeta vi colloca le anime di quanti non furono cristiani, ma vissero da uomini giusti e perciò non meritarono l'inferno (Fig.2). Lo schema teorico generale elaborato dalla scuola ippocratica consiste essen-zialmente nella dottrina dei quattro umo-ri. Secondo tale teoria gli umori, o ele-menti fondamentali costitutivi del corpo umano, sono: il sangue, elemento caldo proveniente dal cuore, la flemma, ele-mento freddo che proviene dal cervello; la bile gialla, asciutta, secreta dal fegato; e la bile nera, elemento umido, prodotta dalla milza. La salute di un organismo viene ricondotta a un rapporto proporzio-nato (crasi) fra i vari umori. Allorché que-sto rapporto viene alterato (discrasia) si origina la malattia che, secondo il parti-colare umore alterato, si distingue in sanguigna, flemmatica, biliare e atrobi-liare. Subentra allora un periodo critico in cui l'organismo oppone resistenza agli agenti esterni responsabili della malattia. Compito del medico è di aiutare l'organi-smo in questa lotta cercando di ripristi-nare le giuste condizioni per il suo fun-zionamento, soprattutto facendo in mo-do da rendere inoffensivi tutti i fattori esterni che hanno causato la malattia. Da questo punto di vista la malattia non è considerata come un fatto improvviso o accidentale: essa ha una storia che può essere ricostruita attraverso l'indivi-duazione delle cause che l'hanno resa operante e una previsione della loro efficacia futura resa possibile dalla nu-merosa precettistica desunta fondamen-talmente dall'esperienza. Secondo tale originale indirizzo, la tera-pia si riduce ad assecondare la forza medicatrice della natura; di qui l'impor-tanza della dieta e delle norme igieniche che tendono a ripristinare, correggendo le anomalie, l'equilibrio precedente. La medicina ippocratica ha esercitato un'e-

norme influenza lungo tutta la storia del pensiero scientifico; ciò in massima par-te è dovuto all'assetto metodico e non dogmatico conferito alla medicina da Ippocrate e dalla sua scuola che le con-sentì di sopravvivere ad ogni conquista dottrinale e di essere riscoperta in epo-che diverse nella sua funzione di guida e di orientamento teorico e deontologico. Celebri sono, infine i suoi aforismi. Com-pongono un prontuario dei sintomi e dei decorsi delle malattie allora classificate, ciò che diremmo oggi un manuale di diagnostica e prognostica medica. Giuramento e Codice deontologico Il Giuramento di Ippocrate può essere considerato il primo codice di deontolo-gia medica ed anche uno dei più antichi documenti vincolanti nella storia. Il pen-siero di Ippocrate è comunque stato un enorme passo in avanti, che ha permes-so alla medicina di divenire una scienza razionale e di staccarsi dalla superstizio-ne. C’è un continuum tra Ippocrate e la morale cristiana rappresentato sia dal rispetto della sacralità della vita sia dalla concezione olistica della persona e dalla coerenza tra etica professionale ed etica personale. Ippocrate nella Patristica e nella Sco-lastica C’è un’abbondanza delle citazioni delle opere autentiche d’Ippocrate e del Cor-pus hippocraticum. Cipriano di Cartagi-ne, Gregorio di Nazianzo, Gregorio di Nissa ed Eusebio di Cesarea sostengo-no una teoria delle scienze naturali ri-guardo all’origine delle malattie, che risale a Ippocrate; però ci sono anche delle versioni magiche e demoniache. Eusebio cita ripetutamente Ippocrate in un capitolo sulla teoria delle malattie, in riflessioni riguardo al libero arbitrio ed adottò il motto: “la natura è il miglior me-dico”. Ribadì in riferimento ad Ippocrate l’importanza della prognosi e la priorità dell’anima verso il corpo. La Didaché del primo secolo dopo Cristo asserì: “non devi abortire un bambino e non devi

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"La vita è breve, l'arte lunga, l'esperien-za ingannevole, il giudizio difficile".

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uccidere un neonato”. In Ildegarda di Bingen (1098-1179) la ricerca su quest’-argomento fu negativa. Enrico Schipper-ges scrive: “Ildegarda di Bingen non dà un’esplicita teoria a questo riguardo; non ripete il giuramento di Ippocrate e non parla dell’etica medica. Eppure, le sue opere sono un contributo alla deontolo-gia medioevale. Honorius Augustodu-nensis (morto dopo l’anno 1150) scrive di Ippocrate: “La guarigione del corpo porta ad una cura dell’anima”. Le cono-scenze su Ippocrate e sul Corpus hippo-craticum vennero tramite il cristianesimo nestoriano-siriano. Le opere filosofiche, matematiche e mediche di Aristotele, Euclide, Ippocrate, Galeno e Archimede furono tradotte dal greco in siriaco e poi in lingua araba. La recentissima elabora-zione con computer dell’opera omnia di Tommaso di Aquino dà maggiore perfe-zione e sicurezza anche alla trattazione del nostro argomento. Nel commento di Tommaso sulla meteorologia di Aristote-le viene spesso nominato Ippocrate. Ippocrate negli scritti ecclesiastici più recenti Tra le opere del Petrus Hispanus, un medico con gradi accademici, e poi fra quelle di Papa Giovanni XXI, si trovano due commenti su Ippocrate: De regimine auctorum et Prognostica. Papa Pio XII ha definito nel 1954 il significato etico-medico delle opere ippocratiche con le parole seguenti: ”Le opere di Ippocrate sono senza dubbio l’espressione più

nobile di una coscienza professiona-le, che imponga innanzitutto di ri-spettare la vita e di sacrificarsi per gli ammalati”. Papa Paolo VI metteva in guardia i medici: “È ovvio che queste nuove questioni non debbano pre-giudicare in nessun modo l’ideale medico che fa la medicina in una lunga tradizione di alcuni millenni, tramite il giuramento di Ippocrate, un difensore della vita.” Papa Giovanni Paolo I scrisse con il titolo “Illustrissimi” delle lettere immagina-rie a personaggi storici, compreso Ippocrate, che “fu un contemporaneo di Socrate e come lui un filosofo” ed anche “l’autore del famoso giura-mento..., di un codice morale di valo-re imperituro”. Papa Giovanni Paolo I legittima l’integrazione della deontologia greca antica nel modo di pensare del medico cristiano. Papa Giovanni Paolo II, nel 1978, in occasione dell’udienza all’Associazione dei Medici Cattolici Ita-liani, citò l’etica ippocratica mettendo in guardia l’uso di medicinali che “contraddicono non solo l’etica cristiana ma ogni etica naturale, e che siano in contraddizione aperta con i doveri pro-fessionali espressi nel famoso giura-mento del vecchio medico pagano”. Nel suo discorso, tenuto ai membri dell’As-semblea Generale dell’Unione Mondiale dei Medici, Papa Giovanni Paolo II am-monisce: “Siano fedeli tutti i medici al giuramento di Ippocrate, che prestano in occasione della loro laurea”. Nel 1987 il papa nel suo intervento ai partecipanti

alla Conferenza Internazionale sul-l’”umanizzazione della medicina” esorta al servizio consapevole del proprio do-vere per gli uomini: “Siate profondamen-te convinti di questa verità a causa della lunga tradizione, che risale alle intuizioni di Ippocrate stesso”. Nella nomina dei membri della Pontificia Accademia per la Vita si fa cenno ad Ippocrate “proseguendo la tradizione ippocratica”. Il 26 novembre 1994 Papa Giovanni Paolo II menzionava nuovamente Ippo-crate indicando il codice vaticano in cui il giuramento di Ippocrate fu scritto in for-ma di croce, un simbolo di concezione cristiana della natura umana, della santi-tà ed anche del mistero della vita uma-na. Raimondo Russo

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Pharmacovigilance Using Clinical Notes. Lependu P, Iyer SV, Bauer-Mehren A, Harpaz R, Mortensen JM, Podchiyska T, Ferris TA, Shah NH Clin Pharmacol Ther Mar 2013;. Abstract With increasing adoption of electronic health records (EHRs), there is an opportunity to use the free-text portion of EHRs for pharmacovigilance. We present novel methods that annotate the unstructured clinical notes and transform them into a de-identified patient-feature matrix encoded using medical terminologies. We demonstrate the use of the resulting high-throughput data for detecting drug-adverse event associations and adverse events associated with drug-drug interactions. We show that these methods flag adverse events early (in most cases before an official alert), allow filtering of spurious signals by adjusting for potential confounding, and compile prevalence information. We argue that analyzing large volumes of free-text clinical notes enables drug safety surveillance using a yet untapped data source. Such data mining can be used for hypothesis generation and for rapid analysis of suspected adverse event risk. Clinical Pharmacology & Therapeutics (2013); advance online publication 10 April 2013. doi:10.1038/clpt.2013.47.

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Nelson Mandela The Lancet

During Nelson Mandela's 27-year imprisonment, he and his fellow inmates kept a copy of William Shakespeare's Complete Works in circulation. Its identity was disguised by a cover made from Diwali greetings cards: it was nicknamed “The Robben Island Bible”. Prisoners underlined and annotated their favourite sections. Mandela's chosen quote was taken from Julius Caesar: “Cowards die many times before their deaths/The valiant never taste of death but once.” It is impossible to summarise the life, work, and legacy of a political figure as significant as Mandela in a few words. But this book—a multicultural and communal object—and these lines provide somewhere to start. Nelson Mandela was born in South Africa on July 18, 1918; he died on Dec 5, 2013, at the age of 95. The life that spanned those dates—a period of unprecedented national and international upheaval, of monstrous injustice and fragile hope—was defined by courage and a commitment to inclusiveness and equality. Mandela co-founded “Umkhonto we Sizwe” (the Spear of the Nation) in 1961. At the Rivonia Trial in April, 1964, he quoted from its manifesto: “The time comes in the life of any nation when there remain only two choices—submit or fight.” His reasons to fight were two-fold—”poverty and lack of human dignity”. And the following passage from his speech shows why Mandela was such an important figure in the history of the struggle, not only for justice and freedom, but also for the right to health. Poverty goes hand in hand with malnutrition and disease. The incidence of malnutrition and deficiency diseases is very high amongst Africans. Tuberculosis, pellagra, kwaskiorkor, gastro-enteritis, and scurvy bring death and destruction of health. The incidence of infant mortality is one of the highest in the world. According to the Medical Officer of Health for Pretoria, it is estimated that tuberculosis kills forty people a day, almost all Africans, and in 1961 there were 58 .491 new cases reported. These diseases not only destroy the vital organs of the body, but they result in retarded mental conditions and lack of initiative, and reduce powers of concentration. The secondary results of such conditions affect the whole community and the standard of work performed by Africans. Nelson Mandela's associations with global health are broad and deep. For example, he chaired the Board of the Vaccine Fund, the financial instrument established to mobilise resources to serve the Global Alliance for Vaccines and Immunisation. But his contribution to defeat AIDS was his greatest legacy to global health. His advocacy for those living with AIDS was evident as far back as 1992. In a speech in Johannesburg, he clearly saw AIDS as not merely a medical threat, but also as a challenge to “the entire socio-economic fabric of our society”. He was one of the first political leaders to identify women as those “most seriously affected by the AIDS virus”. No one who attended the 13th International AIDS Conference in Durban in July, 2000, will forget his electrifying presence in the room: the sense that history was being made

as he spoke. Nor will they forget his stark warning: “AIDS is clearly a disaster, effectively wiping out the development gains of the past decades, and sabotaging the future.” As with Umkhonto we Sizwe, Mandela saw AIDS as the urgent struggle for a new generation—an “African resolve to fight this war”. It was—and remains—a war to defend “the poor who on our continent, will again carry a disproportionate burden of this scourge”. Subsequent work fundraising for HIV/AIDS through his charity, 46664—the name taken from his Robben Island prisoner number—and advocacy work to promote health care and reduce stigma mean his loss is felt particularly strongly by the AIDS community. With characteristic insight, Mandela also saw that the impact of AIDS on Africa was simply the signal of a larger challenge: one of economic, educational, and political inequality. And he came to embody that challenge. By making human rights central to global political discourse, Mandela encouraged those in power to become more keenly aware of their duties—and the disenfranchised more transparently aware of their rights. The current moves towards universal health coverage and sustainable development goals owe much to his vision. The tributes to Mandela will continue to flow in the weeks, months, and years ahead. Yet a person's legacy is not in the words said about them after they die, but in the actions of those whose lives they have touched. “Sometimes it falls upon a generation to be great”, Mandela said in 2005, urging an end to the blight of poverty, “You be that great generation. Let your greatness blossom. Of course the task will not be easy. But not to do this would be a crime against humanity, against which I ask all humanity now to rise up.” It is unimaginable that any future history of the global struggle for human health and equity will not hold, in pride of place, the name, and the courage, of Nelson Mandela.

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OBESITY Zafgen initiated a Phase IIa study of beloranib, a therapy for obesity that utilizes a mechanism of action targeting methionine aminopeptidase 2 (MetAP2), which is in the development to assess its potential to safely and rapidly reduce body weight by restoring balance between the production and the utilization of fat. Beloranib, an analog of the natural chemical compound fumagillin, is an inhibitor of the enzyme METAP2. It was originally designed as angiogenesis inhibitor for the treatment of cancer. However, once the potential anti-obesity effects of METAP2 inhibition became apparent, the clinical development began to focus on these effects and beloranib has shown positive results in preliminary clinical trials for this indication. The first Phase IIa trial will evaluate weight loss, safety and pharmacokinetics of beloranib administered twice a week. Obese men and women with and without type 2 diabetes will receive subcutaneous injections for eight weeks at eight participating centers. The trial design is a randomized, double-blind, placebo-controlled study evaluating a range of doses in approximately 150 patients. ATOPIC DERMATITIS Creabilis, a late clinical stage European dermatology company with a focus on pruritus, treated the first patients in its Phase IIb study of its lead product, CT327, in patients with atopic dermatitis (AD). The Phase IIb trial is a multi-centre, randomised, double-blind, placebo-controlled study in adult and adolescent patients (older than 12 years) with mild to moderate atopic dermatitis and at least moderate pruritus. The primary endpoints will assess pruritus using a visual analogue scale (VAS), and control of disease determined by Investigator Global Assessment (IGA). Quality of life measures will also be analyzed. Two hundred and ten patients are expected to be enrolled and results are anticipated in Q2 of 2014. CT327 (a TrkA kinase inhibitor) is a novel topical treatment for chronic pruritus in diseases of dermatology such as atopic dermatitis and psoriasis. CT327 acts to inhibit neurogenic inflammation and targets sensory neurones implicated in the pathology of chronic pruritus. There are currently no approved therapies for the treatment of chronic pruritus in dermatology. Creabilis has already demonstrated a statistically significant and clinically meaningful reduction of pruritus and an improvement in psoriasis symptoms when compared to placebo vehicle in psoriasis patients treated with CT327 in a previous Phase IIb trial. DRY EYE DISEASE Eleven Biotherapeutics, a biopharmaceutical company designing and engineering novel and differentiated protein-based biotherapeutics for ocular diseases, announced today positive clinical results from a 6-week randomized, double-masked, placebo-controlled Phase Ib/IIa study of EBI-005 in patients with dry eye disease (DED). EBI-005 reflects a new approach to the treatment of DED and is the first IL-1 (Interleukin-1) signaling inhibitor designed for topical ocular administration. In the efficacy results from the study, EBI-005 demonstrated statistically significant improvements in signs and symptoms of dry eye disease compared to baseline. In addition, EBI-005 met the predefined efficacy criteria of the study and showed a differential effect between patients who received EBI-005 and those who received only the vehicle control. Data from the study showed that EBI-005 was generally safe and well tolerated. The results from the Phase Ib/IIa study of EBI-005 confirm similar observations from a recently-published study validating the blockade of IL-1 as an efficacious mechanism for treating dry eye disease. Eleven plans to rapidly advance EBI-005 into late stage clinical studies in dry eye disease and additional ocular surface inflammatory diseases, including severe allergic conjunctivitis. These clinical data of EBI-005 in patients with dry eye disease confirm other recent clinical results, and further validate that IL-1 inhibition targets a fundamental inflammatory process, showing that EBI-005 has the potential for beneficial results for patients with dry eye disease and other inflammatory diseases on the surface of the eye. The efficacy data from this study with EBI-005 are highly encouraging given the significant effect shown in improvements in both signs and symptoms in patients with dry eye disease, and given the efficacy shown in the differentiation between patients who received EBI-005 compared to those who received the vehicle control. The trial enrolled 74 subjects and was conducted in multiple centers throughout the United States. The primary objective of the study was to determine the safety and tolerability of EBI-005, along with additional assessments of efficacy of EBI-005 in patients with dry eye disease. The study was designed to assess activity of two doses of EBI-005 to determine improvements in signs and symptoms of dry eye disease with EBI-005 as compared to baseline as well as differentiation of EBI-005 as compared to vehicle control. The efficacy of EBI-005 in relation to improvement in signs and symptoms of dry eye disease from baseline and EBI-005 compared to vehicle control was measured by the Ocular Surface Disease Index and corneal fluorescein staining.

A cura di Domenico Barone

NEWS ON CLINICAL TRIALS

SSFA oggi Stampa: MEDIA PRINT, Livorno Registrazione del Tribunale di Milano, N. 319 del 14/05/2007 “Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale - 70% - DCB PRATO” Numero progressivo 41 Periodicità: bimestrale

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Hanno collaborato a questo numero: Domenico Barone - [email protected] Domenico Criscuolo - [email protected] Francesco De Tomasi - [email protected]

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