psicologia dei disordini alimentari
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PSICOLOGIA DEI DISORDINI ALIMENTARI
(A cura della Dott.ssa Carlotta Bartolomei, lezione del 23/04/2008)
Il rapporto che ognuno di noi ha con il cibo e con il proprio corpo ha radici profonde nella storia
di ciascuno e nella cultura che si manifesta in riti e tradizioni che in popoli diversi
ripropongono immagini e comportamenti simili. Per questo al di là della pura funzione di
sopravvivenza, come fonte di nutrimento, il mangiare ha un così grande valore psicologico
sia per l’individuo che per la società, che lo rende spesso elemento centrale di ricorrenze e
cerimonie, attribuendogli un significato che dalla sua concreta realtà organica diviene materia
spirituale.
Partendo da queste considerazioni, verrà proposto di riflettere su alcuni comportamenti
alimentari legati ad abitudini personali o a tradizioni familiari o sociali cercando di porre in
relazione il disagio psicologico manifestato attraverso lo stile alimentare in una prospettiva in
cui il cibo e il corpo riacquistano, oltre al loro valore concreto, una dimensione simbolica.
Verranno esposte perciò alcune considerazioni sul valore che il cibo ha nelle prime fasi
della vita nell’ambito del rapporto tra neonato e madre e come questo può condizionare il
modo di nutrirsi di ciascuno nel corso dell’intera esistenza e di percepire la propria dimensione
corporea.
Quale è il significato del cibo?
L’alimentazione è innanzitutto un bisogno primario per la vita, infatti se non ci nutriamo non
viviamo. Vorrei riflettere con voi sulla differenza tra i termini Alimentazione e Nutrizione.
Esiste un solo modo di nutrirsi (metabolismo e assorbimento dei principi nutritivi per il
funzionamento dell’organismo) ma molti di alimentarsi (modo in cui introduciamo nel corpo gli
alimenti).
Le valenze psicologiche legate all’alimentazione sono diverse: il cibo ha un valore simbolico sia
per quanto riguarda gli aspetti culturali, sia per gli aspetti relazionali e intrapsichici
associati ad esso.
Attraverso il nutrirsi e l’alimentarsi si sviluppano le basi psicologiche dell’identità e della
personalità, infatti la soddisfazione del bisogno permette la crescita e l’inizio della scambio
con l’ambiente esterno. Inizia con la madre una complessa interazione basata sul
soddisfacimento dei bisogni reciproci, anche del bisogno di nutrirsi e nutrire, che porterà alla
formazione di una modalità interattiva denominata “relazione di attaccamento”.
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La relazione di attaccamento si instaura tra il bambino e il suo caregiver, in genere la madre,
ed è una modalità interattiva che pervade tutti gli aspetti dello sviluppo psicologico, sociale,
relazionale.
Il caregiver infatti, attraverso la relazione di attaccamento, fornisce al bambino la base da cui
partire per il suo viaggio verso l’indipendenza.
Si comprende bene che l’alimentazione assume fin dai primissimi istanti di vita un’importanza
notevole per quanto riguarda lo sviluppo oltre che fisico, anche psicologico e sociale
della persona.
Il cibo è il veicolo della relazione tra madre e figlio, assume carattere di piacere per il
soddisfacimento dei bisogni primitivi della fame e del prendersi cura, permette lo scambio nella
soddisfazione del bisogno relazionale, e, per questo motivo può diventare il mezzo attraverso
cui “giocare” i momenti conflittuali e l’oppositività nei confronti del genitore.
Fino al momento della nascita, il bambino e la madre non hanno esperito di essere distinti, ma
hanno vissuto una fusione; la nascita rompe la simbiosi fisica e segna l’inizio del percorso
di separazione-individuazione per il bambino, ma anche per la mamma.
FASE SIMBIOTICA FASE DI SEPARAZIONE FASE DI INDIVIDUAZIONE
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Introdurre nel corpo il cibo è la primissima esperienza di differenziazione che il bambino
compie, infatti mette dentro un qualcosa che è distinto da lui e che proviene da un esterno;
inizia la differenziazione tra un dentro e un fuori, tra un Sé e qualcos’altro…..
Valore culturale dell’alimentazione
Il cibo rappresenta nella storia delle culture uno dei momenti centrali della ritualità collettiva
(nella Bibbia il ruolo della mela come mezzo di conoscenza del bene e del male p.e.).
Le colazioni di lavoro, le festività religiose, i party, le feste sono momenti particolari che
permettono interazioni affettive e di comunicazione che travalicano la semplice attività del
pasto.
Ci sono molte delle frasi utilizzate nel quotidiano che utilizzano l’alimento come modo di
comunicare (es. “se non mangi non esci!”).
Queste frasi ci indicano che alimentarsi e alimentare non sono semplici comportamenti di
consumo, ma riguardano fattori biologici, socio-psicologici, nutrizionali, clinico-medici
ecc. Nessuno di noi mangia solo sostanze inerti ma anche simboli, tradizioni, abitudini,
associati agli alimenti e fortemente radicati nelle relazioni sociali e collettive, ma anche interne
alla famiglia.
Le abitudini alimentari nascono in famiglia, in fasi molto precoci come l’allattamento e lo
svezzamento; solo verso i 3-4 anni i bambini incontrano, con la scuola, nuovi modelli
alimentari. Spesso si “scontrano” i due mondi, sia per gusto che per modi di preparazione e
spesso le famiglie contrastano l’educazione alimentare scolastica e i comportamenti del
bambino ne risentono: confusione, inappetenza, capricci, ipernutrizione, ecc..
Che cos’è che nel mondo occidentale fa crescere il numero di bambini che si rifiutano di
mangiare? E perché un numero sempre maggiore di neo-mamme, giovani e meno giovani,
portano il loro bambino molto curato ed elegante, per presentargli le loro preoccupazioni e
ricevere risposte spesso poco soddisfacenti? Non di rado si ha l’impressione che tali visite
mediche non avvengano con l’intenzione di risolvere un problema, quanto piuttosto per
obbedire ad un rituale accettato e sancito dalla società che permette a madri e medici pediatri
di incontrarsi, di distrarsi in modo più o meno piacevole, e che comunque crea relativamente
pochi danni al bambino. Dobbiamo chiederci anche a che cosa sia dovuto l’aumento
vertiginoso, anzi l’esplosione, di casi di rifiuto del cibo nelle adolescenti, che in parte è
gravemente dannoso per la loro salute e il loro sviluppo, e che sfocia nell’anoressia
adolescenziale. A che cosa è dovuto l’incremento di tali disturbi anche nei maschi e addirittura
in fase preadolescenziale?
Il problema spesso nasce molto prima. Qui, infatti, ci occupiamo del lattante e dell’infante che
rifiuta il cibo e che – se la situazione conflittuale non viene risolta – vive un’infanzia
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caratterizzata da lotte per il potere e da situazioni di costrizione e coazione, laddove tutta
l’attenzione della madre è focalizzata sul nutrimento del bambino e quest’ultimo
diventa sottopeso – sempre al limite della denutrizione, un bambino che tendenzialmente non
ha mai fame – oppure obeso: una situazione per niente piacevole che sottrae energia vitale a
tutte le persone coinvolte.
I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE
Il DSM-IV definisce disturbi dell’alimentazione quei disturbi caratterizzati dalla presenza di
evidenti alterazioni del comportamento alimentare. Questa sezione di disturbi comprende
due categorie specifiche: l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa.
La caratteristica essenziale comune a entrambi i disturbi è la presenza di un’alterata
percezione del peso e della propria immagine corporea.
Anoressia nervosa
Criteri diagnostici
La caratteristica dell’anoressia nervosa, secondo il DSM-IV, è il rifiuto di mantenere il peso
corporeo al di sopra del peso minimo normale.
I sintomi sono i seguenti:
- amenorrea ossia assenza di almeno tre cicli mestruali consecutivi (sintomo esclusivo solo
dell’anoressia)
- rifiuto di mantenere il peso corporeo normale minimo. In genere il peso è di 15-12 Kg in
meno rispetto a quello normale. Il dimagrimento è stato repentino a causa di una dieta ed è
iniziato da almeno 5 mesi;
- intensa paura di ingrassare pur vivendo la condizione fisica di sottopeso
- distorsione riguardo a come il soggetto vive il peso e la forma del corpo (alterata percezione
dello schema corporeo) che influisce eccessivamente sull’autostima o rifiuto di riconoscere
l’attuale condizione di sottopeso.
Inoltre un aspetto da tenere presente, onde evitare equivoci diagnostici, è che il vomito
provocato e l’uso di lassativi, enteroclismi e diuretici possono essere presenti sia nell’anoressia
nervosa che nella bulimia nervosa.
Un altro aspetto non di rado presente è il lavarsi fino a scorticarsi e la fissazione di
mandare via lo sporco.
Predominano condotte ossessive legate al cibo (per esempio nascondimento,
sminuzzamento).
Domina l’eccessivo investimento sul cibo (per esempio il soggetto ne parla sempre).
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Spesso nell’anoressia si nota la tendenza a effettuare sforzi fisici, corse e vari esercizi ginnici
nella convinzione che tali comportamenti facilitino l’espulsione dello scarso cibo assunto.
Il DSM-IV specifica il sottotipo.
Con restrizione: in questo caso il soggetto si è limitato a ridurre rigidamente l’assunzione
di cibo senza adottare le modalità di condotte espulsive come il vomito, i purganti e i
diuretici, o senza praticare regolarmente le abbuffate.
Con abbuffate/Condotte di alimentazione: in questa situazione, invece, il soggetto
oltre a procedere nella drastica, sistematica, meticolosa riduzione del cibo si dedica anche
alle abbuffate seguite da condotte di eliminazione (vomito, clisteri, purganti, diuretici…)
Bulimia nervosa
Criteri diagnostici
La bulimia nervosa, secondo il DSM-IV, è caratterizzata da ricorrenti episodi di “abbuffate” e
da modalità inappropriate (condotte compensatorie) per smaltire ed espellere
quanto ingurgitato al fine di evitare l’aumento di peso, come il vomito autoindotto,
l’uso di lassativi, diuretici, o vari altri farmaci, l’eccessivo esercizio fisico, le diete
troppo rigide, o addirittura i digiuni.
Le abbuffate avvengono in un periodo definito di tempo (per esempio 2 ore) in cui il soggetto
prova un impulso irrefrenabile, e pertanto non gestibile, a divorare il cibo e mangia molto più
di quello che mangerebbe una persona normale nello stesso periodo di tempo e nelle
medesime circostanze.
Le abbuffate e le condotte compensatorie si verificano almeno due volte alla settimana per
un minimo di tre mesi.
L’autovalutazione della persona è fortemente condizionata dal peso e dalla forma del corpo.
Il soggetto può, talvolta, avere un peso corporeo normale che trae in inganno l’osservatore.
Il DSM-IV specifica il sottotipo.
Con condotte di eliminazione: in questo caso il soggetto si autoprovoca il vomito e/o
usa in maniera smodata e inadeguata enteroclismi, lassativi, diuretici o altri farmaci.
Senza condotte di eliminazione: in questa situazione, invece, il soggetto alterna
comportamenti come il digiuno e l’esercizio fisico esagerato senza però praticare
regolarmente le condotte espulsive (vomito, enteroclismi, lassativi, diuretici).
Eziologia dei disturbi dell’alimentazione
Fattori biologici
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Genetica: Sia per l’anoressia nervosa che per la bulimia nervosa è presente un fattore di
famigliarità. I famigliari di giovani donne con un disturbo dell’alimentazione presentano
probabilità cinque volte maggiori di accusare esse stesse un disturbo dell’alimentazione
(Strober et al. 1985, Walter set al. 1992). Anche gli studi sui gemelli dimostrano
un’influenza genetica.
I disturbi alimentari e il cervello: L’ipotalamo è il centro cerebrale fondamentale per la
regolazione delle sensazioni di fame e quindi dell’alimentazione stessa. Le ricerche su
animali con lesioni afferenti all’ipotalamo laterale indicano che essi perdono peso e soffrono
di inappetenza (Hobel e Teitelbaum, 1966); perciò ci può essere un ruolo nell’anoressia.
Nei soggetti con anoressia ci sono anomali quantitativi di cortisolo (ormone sul quale
l’ipotalamo esercita una funzione regolatoria). Gli oppiacei vengono liberati durante la
fase di digiuno. Il digiuno nelle anoressiche può aumentare i livelli di oppiacei endogeni i
quali producono uno stato euforico che costituisce un rinforzo positivo.
la ricerca sui fattori biologici afferenti ai disturbi dell’alimentazione si è incentrata sui
diversi neurotrasmettitori correlati con l’ingestione di cibo e la sensazione di sazietà. La
ricerca sempre su animali ha dimostrato che elevati livelli di serotonina promuovono la
sensazione di sazietà e che la stimolazione del nucleo paraventricolare del talamo mediante
noradrenalina stimola l’ingestione di cibo. I ricercatori hanno esaminato i livelli di questi (e
di altri) neurotrasmettitori o dei loro metabolici nei soggetti con anoressia e bulimia. Diversi
studi hanno riscontrato bassi livelli di serotonina nei soggetti bulimici (per es. Jimerson et
al. 1992). I farmaci antidepressivi, che spesso risultano efficaci nel trattamento della
bulimia, producono incrementi nei livelli di serotonina.
Le variabili socioculturali
Negli ultimi decenni si è manifestata una costante progressione verso un ideale di crescente
magrezza come canone di bellezza. Sappiamo che questo ideale culturale è stato interiorizzato
da una grande percentuale di giovani donne le quali, sebbene abbiano un peso normale, si
vedono grasse. Possiamo vedere come anche l’industria dietetica (video, libri, pillole, alimenti
speciali) ha avuto un notevole aumento di fatturato annuo, così come la liposuzione è
diventata l’operazione di chirurgia plastica più diffusa (Brownell e Rodin, 1994).
Le influenze dovute al genere
La ragione primaria della maggior prevalenza dei disturbi alimentari tra le donne rispetto agli
uomini sembra essere collegata al fatto che le donne sono più pesantemente influenzate da
standard culturali che rafforzano la desiderabilità di conformarsi a un ideale di magrezza.
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Sebbene tali standard promuovono la magrezza come ideale, un numero sempre crescente di
individui è soprappeso.
Le influenze culturali
Attrattività verso persone grasse rispetto a persone magre in paesi meno industrializzati.
Personalità e disturbi alimentari
Anoressiche: perfezionisti e timidi
Bulimiche: instabilità affettiva e disposizione sociale estroversa.
Maltrattamenti infantili e disturbi dell’alimentazione
Ancora incerto