parole strabiche - luglio 2012 - n. 2
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Il secondo volume di Parole Strabiche, la newsletter di approfondimento dell'Osservatorio Provinciale sulle Mafie di Libera NovaraTRANSCRIPT
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Antimafia, dagli eroi al sentimento comune
Mario Andrigo - sostituto procuratore a Vigevano
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LA NEWSLETTER DELL’OSSERVATORIO PROVINCIALE SULLE MAFIE
DANECO chiudela discarica di Ghemme:
è tutto oro quel che luccica?
a pag 2Gurgone e
Coluccio: la mafia è anche a
Novara.da pag. 4 a 7
Rivarolo: II tappa del viaggio tra i comuni sciolti
per mafiaa pag 10 - 11
Per mol(ssimi italiani -‐ e certamente per tu2 i magistra( della mia generazione – la ricorrenza del ventennale delle stragi di Capaci e via D’Amelio suscita ricordi ed emozioni che non possono lasciare indifferen(.E allora vincendo, per una volta, quel naturale pudore che ci porta a tenere riservate le esperienze personali credo valga la pena di condividere queste emozioni e ques( ricordi, per dimostrare quanto profondamente ques( even( dolorosi hanno segnato le nostre esistenze.Nel 1992 ero un giovane avvocato e lavoravo in una tranquilla ciGà della provincia lombarda. I dramma(ci even( palermitani che hanno insanguinato quella estate e distruGo le vite di Falcone, Borsellino, Francesca Morvillo e dei loro agen( di scorta, mi lasciarono un senso di vuoto e di sgomento che mi portò, nei mesi successivi, ad iscrivermi al concorso di magistratura. E poi il des(no ha faGo il resto.
Un immagine della requisitoria del procuratore Saluzzo di Novara durante il processo che vede imputato Francesco Gurgone come mandante dell’omicidio di Ettore Marcoli
L’estate del 2002, primo decennale delle stragi, ha segnato per me un evento molto importante: l’ingresso alla Direzione DistreGuale An(mafia di Reggio Calabria, dove per nove lunghi anni ho maturato un’esperienza umana e professionale insos(tuibile. segue a pagina
Vent’anni senza verità
di Domenico Rossi
Se “la verità vi farà liberi”, come recita il Vangelo di Giovanni, l’assenza di verità ci rende schiavi, persone meno libere. Vent’anni sono passa> d a l l a s t r a g e d i v i a d’Amelio e non solo non siamo sta> in grado di ricostruire la verità di quanto accaduto, ma abbiamo acceBato una r i c o s t r u z i o n e palesemente falsa, come già fu per Salvatore G i u l i a n o , P e p p i n o Impastato e mol> altri. Una storia “oscena”, come l’ha definita Enrico Deaglio ne Il vile agguato, dove possiamo trovare «innocen> condanna> all’ergastolo, un pen>to fabbricato tra lusinghe e torture, il più grande depistaggio della nostra storia».La vicenda dell’omicidio di Paolo Borsellino è l’ennesima cifra della democrazia in Italia, una repubblica ammalata che non ha saputo inver>re la roBa. Come un paziente ammalato che nemmeno prova a curars i . Un omicidio “annunciato” che nessuno, allora, si sforzò di fermare, per poi consegnare alla storia una versione di comodo, preferita ad una scomoda verità. Come ciBadini fa male rileggere le pagine di q u e l l a s t o r i a , d e i protagonis> chei gno rano c i ò che i l magistrato che aveva c o m p r e s o n e i cinquantasei giorni che separano la sua morte da q u e l l a d e l l ’ a m i c o Giovanni Falcone:
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Emanuele Navazza
Un recente slogan pubblicitario applicava il conceGo di fiducia all’acquisto di un prodoGo alimentare, piuGosto che un altro, durante la spesa degli italiani al supermercato. Una trovata efficace, che soGolinea l’importanza di sapere cosa me2amo tu2 i giorni soGo i den(. La fiducia è importante, ma ancor di più, di ques( tempi, sono le e(cheGe: da dove viene il prodoGo? Come è composto? Quante calorie con(ene? Negli anni la garanzia a tutela dei consumatori ha faGo passi da gigante. Lo stesso non si può dire per i ciGadini che vivono nei pressi delle discariche italiane. Un esempio del vuoto legisla(vo che contraddis(ngue la materia lo riporta proprio il Novarese, che invece di festeggiare la chiusura della dicarica di Ghemme, dopo decenni di mal di pancia, si preoccupa per le tonnellate di rifiu( che saranno riversa( sul territorio. Se poi si considerano i preceden( giudiziari che “vanta” la società incaricata, i sospe2 su tuGa l’operazione promossa dal Consorzio Medio Novarese aumentano. Eppure circa due mesi fa, Diego Sozzani, nella sua duplice veste presidenziale (Provincia di Novara e, appunto, Consorzio rifiu(), aprì una memorabile conferenza stampa come un cecchino che esulta al primo colpo: «Obie2vo centrato». Già, la chiusura della discarica di Ghemme, grazie anche al conferimento delle terre di bonifica dell’area industriale Beatrice di Borgomanero, era stata così presentata ai giornalis(. Al termine del sopralluogo is(tuzionale dello scorso 15 giugno presso i si( in ques(one, l’Assessore Regionale
all’Ambiente, Roberto Ravello, ha incontrato il Presidente della Provincia di Novara, Diego Sozzani, gli assessori provinciali all’ambiente, Oliviero Colombo e alla viabilità, Gianluca Godio, il vice sindaco di Borgomanero, Sergio Bossi, l’Assessore all’Urbanis(ca Pierfranco Mirino, e l’ex assessore al Bilancio del Comune di Borgomanero Peppino Ceru2. Riuni( per dare il via libera ad un’operazione che lo stesso Sozzani ha definito nel recente consiglio provinciale dello scorso 25 giugno «un importante risultato amministra(vo». L’idea, in sostanza, è quella di «smal(re le terre dell’area Beatrice nella discarica di Ghemme secondo le indicazioni di compa(bilità già espresse dall’apposita conferenza dei servizi; una sorta di “par(ta di giro” che consen(rebbe con un unico progeGo di bonificare un’area, da res(tuire così alla ciGà e al suo tessuto imprenditoriale, e di chiudere una discarica, entrambi nodi ambientali che da anni aGendono soluzione», ha spiegato il presidente della Provincia e del Consorzio del medio novarese. Ci
sarebbero i soldi, 700mila euro stanzia( dalla Regione, e la condivisione di is(tuzioni e territorio (faGa eccezione per il sindaco di Ghemme, ndr) per non parlare di circa 15mila metri cubi di terreno contaminato, da scar( e metalli pesan( della lavorazioni delle rubineGerie (cromo esavalente, rame e nichel), pron( ad essere trasferi( a Ghemme per colmare parte di quegli 88mila metri cubi necessari prima della posa del capping che, entro 28 mesi, meGerà la parola fine alla lunga storia della discarica novarese. Dopo aver scampato il rischio dei conferimen( delle terre di bonifica dell’ex Sisas di Pioltello, insomma, tuGo bene quel che finisce bene? Non proprio. Mentre la delegazione congiunta Regione, Provincia, Comuni visitava i si( in ques(one a Novara, Antonio Pergolizzi, presentava il suo libro inchiesta ToxicItaly che racconta una vicenda che per dinamiche e protagonis( ricorda fin troppo quelli che ruotano intorno all’operazione. Filo rosso tra il sito milanese e quello novarese, la Daneco Impian( Srl, gestore della chiusura del sito novarese. A Pioltello l’azienda di Francesco Colucci subentrò nel seGembre 2010 (gara al massimo ribasso -‐ 35,8 milioni, contro i 49 segnala( nel documento tecnico) alla “TR Estate 2” di Giuseppe Grossi, il re delle bonifiche, nel tenta(vo di sanare l’area in tempi record per evitare sanzioni europee al belpaese (circa 500milioni di euro). Obie2vo centrato? Il commissario straordinario nominato per l’emergenza, Luigi Pelaggi, con l’allora Ministro Pres(giacomo, annunciarono al mondo il “miracolo”: era il 30 marzo 2011. Peccato che tre mesi
Daneco vuol dire fiducia
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più tardi i lavori fossero ancora in corso. Cosa si fa per non pagare una multa…Ma torniamo al filo rosso. Mentre a Pioltello si cercava di scongiurare la maxi ammenda targata Ue, a Ghemme ci si preparava ad accogliere 20mila tonnellate di quelle terre contaminate. Del resto Daneco appoggiandosi alle discariche di propria ges(one avrebbe abbaGuto i cos(; un piano perfeGo se non fosse che la levata di scudi delle is(tuzioni novaresi, Comuni e Provincia, e ciGadini bloccò l’operazione. Un no fermo ed irremovibile ai rifiu( di Pioltello. E allora perché quelli della Beatrice, invece, vengono accol( come la panacea di tu2 i mali? Domanda che lasciamo in sospeso per tornare al “piano perfeGo” di casa Daneco che non convinse per nulla i magistra( di Milano. I Pm Paola PiroGa e Paolo Filippini, infa2, accusano Bernardino Filipponi, amministratore delegato di Daneco, di aver oliato gli ingranaggi della burocrazia. Secondo le indagini della procura, Filipponi avrebbe consegnato a Pelaggi, 700mila euro, affinché il commissario straordinario chiudesse tu2 e due gli occhi sulle procedure per lo smal(mento delle tonnellate di scar( tossici della fabbrica chimica dell’hinterland milanese. Obie2vo dell’imprenditore: «oGenere
provvedimen( amministra(vi favorevoli alla società appaltatrice in quanto comportan( minori cos( di esecuzione dei lavori, in violazione delle norme ambientali», si legge nel provvedimento del Tribunale di Milano che ha confermato il sequestro di 48mila euro in conta( rivenu( a casa di Filipponi.Non solo, Secondo i pm la Daneco si sarebbe aggiudicata l’appalto che prevedeva lo smal(mento di rifiu( inizialmente dota( del codice europeo 191302 (materiali fruGo della bonifica di terreni inquina(), per poi modificarne i termini, cambiando (pologia di rifiuto in scar( dal codice 191212, meno inquinan( e meno costosi da stoccare in discarica. Da terreni contenen( idrocarburi e veleni a semplice “monnezza” in un baGer di ciglia. I rifiu( riclassifica( secondo le informazioni fornite dalla stessa Daneco e confermate da un documento della Sogesid del maggio 2011, sono sta( invia( in due discariche: la Smc spa smal(men( controlla(, di Chivasso, provincia di Torino, e la discarica di Mariano Comense, provincia di Milano; entrambe soGo il controllo della società Waste Italia (proprietà di Pietro Colucci, fratello di Francesco), ma non in quella di Ghemme come deGo. BruGa storia davvero. Violazione delle norme ambientali, corruzione, truffa aggravata; ce ne
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012 sarebbe per tu2 i gus( anche se
il condizionale resta d’obbligo, nonostante la pubblicazione di alcune interceGazioni che lasciano ben poco spazio alla fantasia. «Poi 700 sai dove vanno»… «Lo so lo so»… «Eh, c’è andata bene anche stavolta»… «Questo commissario è fantas(co»… A parlare sono due manager, tesoriere e dirigente contabile della Daneco Impian( Srl (Il Giorno, 9 seGembre 2011).Torna alla memoria lo sfogo del sindaco di Ghemme, Alfredo Corazza «Com’è possibile approvare un documento che dà carta bianca a Daneco? Il problema vero non sono i 15 mila metri cubi della Beatrice, ma gli altri 72 mila: da dove arriveranno? Cosa conterranno? Chi si assumerà le responsabilità di eventuali danni all’ambiente? Non posso acceGare una decisione che penalizza Ghemme e sono pronto ad impugnare il provvedimento davan( al Tar». Sozzani, presidente della Provincia e del Consorzio rifiu( del medio novarese, derubricò così la protesta: «Per aumentare la sicurezza, i rifiu( saranno analizza( in laboratorio ben due volte. Il Sindaco di Ghemme si è opposto chiedendo che venisse espressa anche la provenienza dei rifiu(. Suvvia, non è mica il gorgonzola che dobbiamo sapere da dove proviene». AGenzione. Forse anche i ciGadini di Nerva, in Andalusia, non si chiesero da dove arrivassero i camion carichi di nerofumo pericoloso (qualche decina di migliaia di tonnellate) scaricato senza pretraGamento nella locale discarica. Ci pensò GreenPeace ad informarli denunciando Daneco per il trasporto ed il conferimento del materiale, imbarcato al porto di Genova, proveniente proprio dall’ex Sisas di Pioltello. Errare è umano, perseverare…
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è stato commesso in concorso, certamente con LaureGa, Fagone, Ma2olo e Brezzi, ma sono coinvol( anche Cavalieri e Mar(nelli, «nei confron( dei quali si procede separatamente per essere le rispe2ve posizioni ancora al vaglio del Pubblico Ministero». Non solo: nella successiva ricostruzione dell’aGo criminoso Mar(nelli viene descriGo come il personaggio che avrebbe dato il
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segnale; sia LaureGa, sia Fagone affermano di avere aGeso che l’imprenditore uscisse in auto dalla cava per agire.La cronologia del fa(dico 20 gennaio 2010, il mandato di Francesco Gurgone, la ricompensa solo promessa di 15 mila euro, la cena a Cilavegna dopo il faGo.Ques( e tu2 gli altri par(colari descri2 nella ricostruzione dell’accaduto sono emersi in par(colare in sede di incidente probatorio e di tes(monianze. Le dichiarazioni di LaureGa, Fagone, Cavalieri e Brezzi, si corroborano reciprocamente, pur con le differenze dovute al tenta(vo «di presentarsi sogge2vamente nella veste meno compromeGente possibile» (sopraGuGo di Fagone, che di quel giorno non ricorda niente che fosse accaduto prima delle 18:00 e sos(ene che quello in programma fosse un aGo in(midatorio ai danni di EGore Marcoli, e di Brezzi, che afferma di avere scoperto dopo l’u(lità delle armi da lui fornite). Ques( personaggi sono sì coinvol(, ma non c’è mo(vo di meGere in dubbio la loro aGendibilità, in par(colare di Cavalieri che, per questo aGaccato con par(colare vigore dalla difesa, non avrebbe avuto mo(vo di men(re dopo essere stato lui stesso a confessare tuGo, dando una svolta insperata alle indagini che proseguivano da un anno. In più il ritrovamento delle armi descriGe dai rei e la tes(monianza di Angelo Marangi, il dipendente che rifiutò il terribile incarico propostogli da Gurgone, conferiscono risultanze esterne a quelle del gruppo criminale.Non sta in piedi neanche la versione spontanea resa dall’imputato quando non poteva essere contestata dall’accusa. Secondo questa versione, adoGata ma mai argomentata dalla difesa, l’omicidio è stato
Gurgone aveva contatti con ambienti “in odore di mafia”Depositate le motivazioni della sentenza; la Corte condivide la tesi accusatoria
Ryan Jessie Coretta«Una punta di lancia di una penetrazione con metodi mafiosi nel nostro territorio», così poco più di due mesi fa i pm Caramore e Saluzzo, durante la loro requisitoria, definirono Francesco Gurgone, condannato all’ergastolo in quanto mandante dell’omicidio di EGore Marcoli. L’hanno anche scriGo più o meno chiaramente per mesi i giornali locali e non solo: l’omicidio dell’imprenditore EGore Marcoli, l’ambiente in cui è maturata la decisione, le modalità e il contesto rimandavano a un sistema verosimilmente mafioso. Ora sono i giudici a tornare sul punto, a meGere la parola “mafia” nero su bianco.Nella mo(vazione non si fa riferimento a pericolose infiltrazioni; non è nell’interesse della Corte dilungarsi su quest’aspeGo. TuGavia viene indicata come uno dei plausibili moven( dell’omicidio la volontà dell’imputato di affermarsi nel novarese «come leader di un potere economico, ma di stampo criminale», reso forte da «conta2 commerciali» che portano ad «ambien( infiltra( da ‘ndrangheta e mafia e, dunque, lato sensu, “in odore di mafia”».Gurgone non come mezzo ma Gurgone come agente: cambia il punto di vista ma non cambia la sostanza.Ma andiamo con ordine. Già dalle prime informazioni, molto tecniche, sui capi d’imputazione si apprende che il reato di omicidio
Il procuratore capo
Francesco Saluzzo
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l’incidentale risultato della combinazione tra la richiesta d’aiuto a Gurgone di Carmine Penta nei confron( dell’insolvente Mar(nelli, la proposta di in(midire quest’ul(mo da parte di LaureGa e l’eccesso di protagonismo dell’esecutore. Ma perché recarsi alla cava Marcoli per in(midire il solo Penta? Perché Gurgone non ha fermato il gruppo armato avendo saputo da Mar(nelli che Penta era assente? E che interesse aveva LaureGa a uccidere un uomo che neanche conosceva di vista? Evidentemente la posizione difensiva è debole e non regge il confronto con quella accusatoria.Esplica( gli elemen( che hanno portato alla decisione, la Corte si è soffermata sui possibili moven(.La cava. Il rapporto tra i Marcoli e Gurgone era sempre meno sostenibile, ma c’era un legame «ben più difficile da scindere: l’ormai avviato sodalizio per lo scarico illecito di rifiu( tossici in cava». Fu Gurgone, infa2, a «portare i Palamara in cava». Sodalizio che però EGore voleva interrompere. «Di più, voleva rompere i pon( con tuGa l’ul(ma fase della vita delle società di famiglia e realizzare una nuova società con Mar(nelli e Penta». Di fronte a questo desiderio manifesto, l’aGeggiamento di Gurgone divenne sempre più violento (li(gi al telefono, lo schiaffo e il furto del camion da parte di Gurgone, la delazione nei confron( dell’architeGo Magnaghi…), fino a che il suo “is(nto predatorio“ lo portò a premeditare l’omicidio.In questo contesto s’inserisce il secondo movente: le cer(ficazioni SOA avrebbero consen(to a Gurgone di lavorare in appal( importan( e autofinanziarsi, divenendo indipendente dai finanziamen( della Cogefar di Franco Russo, che «evidentemente deluso dalla modes(a del giro d’affari instaurato da Gurgone (…), interruppe i finanziamen(».E veniamo infine all’ul(mo verosimile movente, sopra accennato. L’imposizione di un potere criminale capace di «controllare tu2 gli appal( del Novarese», mediante l’uso di «veri e propri metodi paramafiosi».Gurgone stesso «era solito vantare, nelle traGa(ve commerciali, conoscenze con il gotha della criminalità organizzata» e le tes(monianze hanno dimostrato che non si traGava di semplici millanterie.In par(colare, l’IspeGore Frisia della polizia di Stato ha fornito una deGagliata descrizione di ques( conta2. Casoppero Cataldo, imprenditore edile di Lonate Pozzolo, nel varesoGo e in
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contaGo con il Gurgone viene indicato nella sentenza come «a2nto da numerosi preceden( di polizia, alcuni dei quali nell’ambito di indagini di competenza della DDA di Milano e uso alla frequentazione con sogge2 pluripregiudica(». Anche i Palamara, riconducibili alla Palamara Scavi, la diGa che scaricava rifiu( illeci( in cava, hanno «plurimi preceden( penali e di polizia. Inoltre un esponente della famiglia Palamara risultò essere presente al summit ‘ndranghe(sta che si tenne a Montalto, nel cuore dell’Aspromonte, nel 1969». Quanto a Russo Francesco, «esso viene indagato alla fine degli anni novanta dalla DDA di Firenze e di Palermo nell’ambito di un’indagine rela(va a infiltrazioni mafiose nella ges(one degli appal( fioren(ni».Certamente essere indaga( non significa essere colpevoli, ma questo non toglie che ci sia una certa vicinanza tra Gurgone e «ambien( equivoci in tal senso». Questo significa che rappor( pericolosi tra criminalità organizzata e imprenditoria sono possibili anche qui, nella ciGà del riso e del gorgonzola.
Il giudice Angela Fasano durante un’udienza del processo Gurgone
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Domenico Rossi
Aprire gli occhi. Un impera(vo che risuona più che mai aGuale all'ombra della Cupola gaudenziana dopo la pubblicazione delle sentenze sull'operazione “Il Crimine-‐Infinito” e sull'omicidio Marcoli (ampia relazione all'interno). Nel giro di due se2mana chi ancora pensava che tra le risaie il sistema mafioso fosse soltanto una chimera si ritrova a dover fare i con( con parole vergate dai giudici. Nero su bianco si legge che metodi e organizzazioni mafiose a Novara e nel novarese operano e si struGurano ogni giorno di più. La vicenda Coluccio è emblema(ca e lascia un preoccupante quesito in sospeso: se esiste una locale di Novara, chi sono gli altri membri? Ma torniamo alle mo(vazioni.Sono state depositate il 1 giugno 2012 le mo(vazioni della sentenza che nel novembre del 2011 portò alla condanna (in rito abbreviato) di 110 persone su un totale di 118 imputate in qualità di appartenen( alla ‘ndrangheta (art. 416bis c.p.) e, in par(colare all'organizzazione denominata “La Lombardia”, l’organo di coordinamento delle locali ‘ndranghe(ste lombarde. Il processo era scaturito dall'operazione denominata "Il Crimine-‐Infinito" che aveva portato all'arresto di circa 300 persone tra la Lombardia e la Calabria nel luglio del 2010. Tra queste anche il novarese Rocco Coluccio (nato a Marina di Gioiosa Ionica), biologo e imprenditore, condannato a novembre 2011 in primo grado a 6 anni di carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso. Secondo il giudice Arnaldo, estensore della sentenza che conferma le tesi sostenute dal PM Alessandra Dolci della DDA di Milano (guidata da Ilda Bocassini), Coluccio “partecipa alla fase organizza(va del summit di Paderno Dugnano del 31.10.09 promuovendo e partecipando a summit con vari affilia( de La Lombardia, come uomo di fiducia di Neri Giuseppe è indicato come possibile componente della "camera di controllo" unitamente a PaneGa Pietro Francesco, Mandalari Vincenzo e Lucà Nicola” e svolge a2vamente il ruolo di " tramite nei rappor( fra l’avvocato Giuseppe Neri e gli aspiran( successori al potere in Lombardia”. A supporto della tesi di colpevolezza nei confron( del Coluccio vengono riportate tre (pologie di prove: una serie di telefonate di persone affiliate alla ‘ndrangheta che parlano di Rocco Coluccio come una persona con ruoli all’interno dell’organizzazione, la presenza dell’imprenditore novarese a una serie di incontri
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durante i quali si discuteva della riorganizzazione de “La Lombardia” e la presenza, sempre del Coluccio, ad almeno a un incontro durante il quale è stata assegnata una dote. Molte sono le conversazioni telefoniche interceGate durante le quali emerge il ruolo dell’imprenditore novarese all’interno dell’organizzazione criminale e numerosi gli incontri che vedono la sua partecipazione direGa: «Il 16.09.2009 – ad esempio -‐ personale della DIA, nell'ambito del proc. pen. 35010/08, riunito al presente, documentava un incontro presso la sede della IMES, a Bollate, tra Mandalari Vincenzo, PaneGa Pietro Francesco, Lucà Nicola, Neri Giuseppe e Coluccio Rocco. Una conversazione di alcuni giorni dopo (vds. prog. nr. 16 ambientale Suzuki Swix) rivelava l'oggeGo dell'incontro: il 21 seGembre, infa2, Neri era a bordo della propria autoveGura con De Masi Giorgio, esponente della "Provincia", e lo relazionava in ordine alla futura ristruGurazione della "Lombardia". Egli affermava che la responsabilità degli asse2 più opera(vi sarebbe stata consegnata nelle mani di Mandalari Vincenzo e dei suoi due luogotenen(, PaneGa Pietro Francesco e Lucà Nicola; oltre a costoro, aggiungeva anche il nome di Coluccio Rocco, suo vecchio amico e già a capo della locale di Novara». Significa(va è anche l’interceGazione di una telefonata tra il Coluccio e suo fratello, durante la quale l’imputato, essendo stato invitato “con linguaggio crip(co” a partecipare a una cena da Pino Neri, «chiede al fratello di trovargli in una borsa (definita nella circostanza"...quella quando io vado alle riunioni, là con Ciro... ") un foglio di carta da2loscriGo al computer e contenente verosimilmente un rituale da u(lizzare in occasione dell'affiliazione di nuovi associa( ( "... omissis... allora ... tu adesso lo vedi che c'è... nella borsa là c'è un foglio... questo è un foglio...questo è, pra(camente ...c'è scriGo, diciamo,
Dal “Crimine-Infinito” alla sentenza Coluccio
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un'introduzione ...è scriGo al computer ovviamente.... questa è una introduzione quando, diciamo....abbiamo nuovi ospi(!!! Nuovi cosi, no!!!"... omississ...I: ma (,. serve per presentar( lì?... U: no, si, bravo!...mi hanno invitato ad una parte...ehhh...mi serviva quella cosa là!!!...allora, tu guardala, guardala aGentamente !!! quella là me l'hanno faGa per me, diciamo, no!!!... ".Ebbene, è verosimile che, il 14 agosto, si debba appunto dare un "operato" (concessione di una dote, ndr)».Nelle conclusioni il giudice dimostra di non avere mol( dubbi: «In buona sostanza gli elemen( raccol( concorrono a determinare un solido quadro probatorio in danno del prevenuto rela(vamente alla sua partecipazione al sodalizio di cui al capo 1 (416 bis ndr)». La sentenza lascia aperta la ques(one della ”locale di Novara“, di cui
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012 l’operazione di polizia “Infinito” non ha iden(ficato i
componen(, ma della quale, parlano in maniera chiara alcune delle persone interceGate nel riferirsi all’imprenditore novarese. L’appartenenza di Coluccio a una locale piemontese gius(ficherebbe tra l’altro la sua assenza dalla riunione di Paderno Dugnano, riservata solamente ai lombardi, anche se, nell’impianto accusatorio, Rocco Coluccio è indicato anche come legato alla locale di Pavia, in quanto «in ogni caso, ai fini della penale responsabilità, alcun rilievo può riservarsi alla circostanza che l’imputato sia stato inserito nella locale di Pavia, nel momento in cui le indagini hanno comunque dato conto di un ruolo aGribuitogli dal responsabile della locale di Pavia sulla base del quale, in relazione a quanto contestatogli dal PM, ha operato».
La camorra nel cuore di Milano (05/07/2012 – La Stampa)Non c’è solo la ‘Ndrangheta a Milano ma anche la Camorra con il suo giro di affari tra ques( anche il bar “Gran Caffè Sforza”, nel centro storico del capoluogo lombardo, bene sequestrato, insieme ad altri, durante un’operazione an(mafia dei carabinieri del Noe di Roma a Milano nell’hinterland meneghino e nel casertano.Sequestra( beni per 20 milioni riconducibili a Mauro Russo, appartenente al clan Belforte o deiMazzacane, che è stato arrestato; Da notare il sequestro di un bar a Fara, in provincia di Novara, riconducibile al Russo.
News dai territori
Don Cio' ba*ezza il can/ere alla “cascina del mafioso” (02/07/2012 – La Stampa)Inaugurato il can(ere edile a Cascina Graziella, il bene confiscato alla mafia a Moncalvo d’As(.Il bene ospiterà donne vi2me di violenza ma, nel terreno circostante annesso alla cascina, è già in col(vazione il mais con cui si produrranno i bisco2 di meliga che la Coop distribuirà su scala nazionale.Questo sarà il primo dolce di Libera Terra, un dolce che arriva dal Piemonte arricchito dal gusto di legalità e gius(zia.
Il paese delle donne che fanno paura alle cosche (02/07/2012 – La Stampa)La loGa alla criminalità organizzata in Calabria cammina sempre più spesso sulle gambe delle donne.Prima è toccato al sindaco di Monasterace Maria Carmela LanzeGa subire dalla ’ndrangheta minacce e danneggiamen(; le hanno distruGo la farmacia di famiglia e la sua auto è stata tempestata di proie2li; fa2 che l’hanno portata alle dimissioni, successivamente ri(rate per tornare a svolgere la sua carica di primo ciGadino.Ora è toccato a Clelia Raspa, capogruppo di maggioranza dello stesso Comune, ritrovarsi l’auto in fiamme.Queste sono le amministratrici in prima linea, impiegate in una quo(diana azione di resistenza alla criminalità organizzata.
“Padre Puglisi sarà beato” (29/06/2012 – La Stampa)I due killer si sono pen(( entrambi, sconvol( da quel sorriso che li accolse, da quel «me l’aspeGavo», pronunciato mentre loro già gli puntavano addosso le pistole. Adesso don Pino Puglisi, il prete ucciso dalla mafia il 15 seGembre del 1993 perché strappava i bambini e i ragazzi dalle grinfie della criminalità di Brancaccio, sarà beato.l’occasione per ribadire che «le mafie e le forme di illegalità sono contrarie al Vangelo. La mafia non perdona, il Vangelo perdona. La mafia non condivide, ilVangelo sì. La mafia quando chiede il pizzo spoglia un lavoratore nei guadagni fruGo del suo legi2mo lavoro. Sono forme di idolatria an(te(che ai valori evangelici».
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Antimafia, dagli eroi al sentimento comune
continua da pag 1Oggi, a distanza di ven( anni, vorrei suscitare alcune riflessioni deGate un po’ da questa ricorrenza, e un po’ dalla mia esperienza personale.Se vogliamo che un anniversario come questo non sia solo un momento commemora(vo dovremmo interrogarci, chiederci cosa è cambiato, cosa è stato faGo nella loGa alle mafie in tuGo questo tempo. Non c’è dubbio che sul piano giudiziario molto sia stato faGo. Anzi mol(ssimo. Gli strumen( norma(vi, le metodologie di indagine, la specializzazione professionale si sono evolu( facendo del contrasto alla criminalità organizzata un seGore di al(ssimo livello tecnico che produce risulta( efficacissimi. L’interroga(vo è se sia abbastanza. Se cioè sia sufficiente affidare il compito di sconfiggere le mafie alle indagini ed ai processi. Ebbene: se in ques( ven( anni abbiamo imparato qualcosa, se abbiamo davvero faGo dei passi avan( nella loGa alle mafie la risposta non può che essere nega(va.Teniamo sempre presente che è necessario dis(nguere tra contrasto alla criminalità organizzata e contrasto alla cultura mafiosa. Perché la mafia, prima che un reato è una cultura ed un sistema di regole.Solo dalla profonda consapevolezza del dualismo tra mafia-‐reato e mafia-‐cultura può discendere una correGa ed efficace azione di contrasto.Al mondo giudiziario, ed agli appara( inves(ga(vi, speGa il compito indefe2bile del contrasto alla criminalità organizzata. Alla mafia-‐reato.All’intera società civile, in tuGe le sue componen(: educa(va, poli(ca, alle associazioni, al mondo dell’informazione, a quello economico, imprenditoriale e finanziario, speGa il ruolo altreGanto irrinunciabile di contrastare la mafia come cultura.Dobbiamo tu2 contribuire alla diffusione di un conceGo il più possibile ‘laico’ di an(mafia, che comprenda anche comportamen( e ges( che vanno controcorrente, in un ambiente in cui è più facile e conveniente adoGare un certo conformismo per non avere problemi.C’è -‐ e guai se non ci fosse -‐ un’an(mafia degli eroi, spesso divenu( tali loro malgrado: Falcone e Borsellino ne sono i massimi esempi. Ma c’è -‐ e deve diffondersi il più possibile -‐ anche un’an(mafia faGa di tan( piccoli eroi quo(diani, faGa della resistenza del comune ciGadino al più piccolo dei soprusi.
Questa an(mafia è faGa da chi respinge una raccomandazione, da chi parcheggia nelle righe e non sul marciapiede o in mezzo alla strada. E’ faGa da chi prende un bruGo voto e si meGe a studiare di più, anziché andare a chiedere a qualcuno di bruciare la macchina del professore. Perché anche questo si fa nelle terre di mafia, dove quasi tu2 i figli dei mafiosi sono laurea( a pieni vo(.Bisogna evitare il rischio che l’azione di contrasto sia delegata interamente all’apparato repressivo-‐giudiziario: l’an(mafia la devono fare tu2, la devono fare quo(dianamente, la devono fare con comportamen( scomodi, che costano fa(ca, e che possono essere enormemente efficaci solo a condizione che non rimangano ges( isola(.La Gius(zia ha il compito di condurre indagini e celebrare processi. Un compito di grande responsabilità. Ma che non può diventare un compito di supplenza rispeGo a quello altreGanto importante che deve svolgere la società civile.A questo proposito voglio citare una frase. Poi vi dirò chi e quando l’ha pronunciata: “L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel poli(co era vicino ad un mafioso, quel poli(co è stato accusato di avere interessi convergen( con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel poli(co è un uomo onesto. E no! Questo discorso non va, perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di caraGere giudiziale. Può dire: beh, Ci sono sospe2, anche gravi, ma io non ho la certezza giudiziaria che mi consente di dire che quest’uomo è mafioso. Però siccome dalle indagini sono emersi tan( fa2 del genere, altri organi, altre is(tuzioni, altri poteri, cioè i poli(ci, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra poli(ci e mafiosi, che non cos(tuivano reato ma rendevano comunque quel poli(co inaffidabile nella ges(one della cosa pubblica. Ques( giudizi non sono sta( tra2 perché ci si è nascos( dietro lo schermo della sentenza: questo (zio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto.”Ebbene: questa frase sembra scriGa oggi. Fa riferimento ad un problema più che mai aGuale.Eppure è traGa da un intervento di Paolo Borsellino pronunciato in un liceo di Palermo alla fine degli anni oGanta. Il faGo che queste parole suonino aGuali ancor oggi deve però fare rifleGere. Perché significa che il problema che Borsellino aveva colto non è stato risolto ancora, nonostante il tempo trascorso e le migliaia di processi celebra(. Io credo che solo quando rileggendo questa frase non la troveremo più aGuale, allora vorrà dire che la loGa alle mafie avrà faGo un passo avan( straordinario.
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Presidio Cassarà - Osservatorio di Libera
Il 13 giugno si è votato alla Camera il ddl corruzione e, in mancanza di un accordo, il Governo ha chiesto la fiducia su tre ar(coli che hanno introdoGo la non candidabilità dei condanna(, il traffico di influenze e la corruzione tra priva(. Sia per rea( come mafia e terrorismo, sia per quelli contro la Pubblica Amministrazione. Lo stesso per coloro che hanno subito condanne, sempre in via defini(va, per tu2 gli altri rea( con pene superiori a tre anni.Il traffico di influenze illecite consiste nella corruzione con favori e regali invece che con la classica tangente. Infine con le nuove norme viene introdoGo il reato di corruzione tra priva(. Il ddl introduce una riforma dell’art. 2635 cc e non un nuovo reato. Prevede che “Salvo che il faGo cos(tuisca più grave reato, gli amministratori, i direGori generali, i dirigen( prepos( alla redazione dei documen( contabili societari, i sindaci e i liquidatori, che, a seguito della dazione o della promessa di denaro o altra u(lità, per se´ o per altri, compiono od omeGono a2, in violazione degli obblighi ineren( al loro ufficio o degli obblighi di fedeltà, cagionando nocumento alla società, sono puni(”. Viene modificata la rubrica: da “Infedeltà a seguito di dazione o promessa di u(lità” a “Corruzione tra priva(” e aggiunta la “promessa di denaro” a quella di u(lità, le locuzioni “per sé o per altri” e “degli obblighi di fedeltà”. Inoltre è stata introdoGa la punibilità da chi è soGoposto ai sogge2 indica( nel primo comma ed è stata inasprita la sanzione. Per la sussistenza del
reato, pertanto, si richiede il ricorso di un duplice nesso di causalità: la dazione o la promessa deve aver causato il compimento o l’omissione dell’aGo, e successivamente occorre che da tale comportamento sia derivato un danno in capo alla società. Mentre la Convenzione di Strasburgo del 1999 prevede “affinché compia o si astenga dal compiere un aGo in violazione dei suoi doveri”. Osserva il magistrato Ciro Santoriello: “L’aver circoscriGo – art. 2635 cc – la consumazione del deliGo all’effe2va verificazione di un nocumento alla persona giuridica cos(tuisce la principale differenza fra la fa2specie in commento ed il reato di corruzione avverso la Pubblica Amministrazione”.I sogge2 indica( nell’ar(colo sono amministratori direGori generali e dirigen( prepos( alla redazione dei documen( contabili; i sindaci e i liquidatori e chi è soGoposto alla direzione o alla vigilanza di uno di ques( sogge2. Ma la Convenzione di Strasburgo indica: “una qualsiasi persona che dirige un ente privato o che vi lavora”.Per le ragioni sin qui esposte possiamo affermare che con l’a5uale ddl sulla corruzione in esame al Senato non è stato introdo5o il reato di corruzione tra priva;, come indicato nella Convenzione di Strasburgo.Un altro aspeGo rilevante su cui vogliamo soffermarci – e che nel ddl è assente – è quello che riguarda il rapporto tra reato di corruzione, la confisca, e il riu(lizzo sociale dei beni.La legge numero 300/2000 ha introdoGo nel codice penale l’art. 322 ter, che prevede la confisca obbligatoria del prezzo e del profiGo di reato in caso di
condanna o applicazione di pena per una serie di rea( tra i quali la corruzione, ed ha introdoGo anche la confisca c.d. per equivalente. I proven; della corruzione, pertanto, possano essere confisca;, ma non si è previsto il riu;lizzo sociale degli stessi. La legge 109/96 prevedeva in origine il riu(lizzo sociale dei beni confisca( ai corro2 e ai mafiosi, perché in entrambi i casi sono acquista( con denaro soGraGo alla colle2vità e quindi alla stessa devono essere res(tui(. Si è però deciso di togliere i primi dalla previsione. Libera e Avviso Pubblico hanno promosso la campagna “Corro2”, per chiedere che venga resa opera(va la norma, adeguando il nostro codice alle leggi internazionali an(-‐corruzione, a par(re dalla Convenzione di Strasburgo. Quest’ul(ma nel preambolo recita: “la corruzione rappresenta una minaccia per lo Stato di diriGo, la democrazia e i diri2 dell’uomo, mina i principi di buon governo, di equità e di gius(zia sociale, falsa la concorrenza, ostacola lo sviluppo economico e meGe in pericolo la stabilità delle is(tuzioni democra(che e i fondamen( morali della società”. Servirebbe recepire pienamente la Convenzione, senza dover adeguare la norma(va interna alle pretese dei par(( per rispeGare la nostra Democrazia e i principi suindica(. Nel fraGempo dobbiamo perseguire una cultura contro la corruzione perché, come ha affermato don Cio2, “è la cultura che dà la sveglia alle coscienze, abbiamo bisogno di cultura e di una dimensione e(ca. L’e(ca incomincia dai nostri comportamen(”.
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012 Ddl corruzione, un primo passo ma la strada è ancora lunga
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Giuseppe Passalacqua
Riprendo il mio viaggio sulla linea canavesana. La carrozza è vuota. Seduto vicino al finestrino, rileggo e sistemo gli appun( del taccuino. La mia sosta a Leinì è durata due giorni. Sono stanco e le informazioni sono ancora confuse. Mi soffermo sulle ul(me righe della relazione prefe2zia: “…la criminalità organizzata, radicata da anni nella periferia di Torino e nel Canavese, si è saputa gradualmente insinuare tra le maglie della società civile e della pubblica amministrazione, prediligendo rappor( pseudo amicali con esponen( poli(ci locali, aGraverso una traGa(va pacifica e foriera di soddisfazioni economiche”.Società civile? Rappor( pseudo amicali? TraGa(va pacifica? Ripenso ancora a Sciascia e alla spietata profezia sul sen(re mafioso.Il treno si ferma, mentre fuori piove. Osservo il fiume Riparia gonfiarsi. Da lontano, l’autostrada Torino-‐Bardonecchia sembra arrampicarsi tra le valli della Susa. La cintura torinese è un racconto di paesaggi che si registra nella re(na. Il fischio delle rotaie mi sveglia. Guardo fuori dal finestrino. Sull’insegna si legge “Benvenut a Rivareul”. Fuori dalla stazione mi aspeGa Giovanni, vecchio amico d’infanzia. E’ un giornalista locale, scrive per il “Canavese”.Sono a Rivarolo, piccolo comune sulle rive del torrente Orco. Microstoria della metamorfosi piemontese. Una se2mana fa, il comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose. Si parla di rappor( tra poli(ca e ndrangheta. Ancora una volta come a Salemi. Ancora una volta come a Leinì.Tra gli arresta( Antonino BaGaglia (segretario del comune e factotum del sindaco Fabrizio Bertot) e il gotha della ‘ndrangheta piemontese: Salvatore Demasi, Giovanni Iaria, Giuseppe Catalano e Antonino Occhiuto. «Ma chi sono ques( personaggi? Qual è la loro storia?» Chiedo
curioso a Giovanni.« Demasi è la storia dell’edilizia rivolese. Arriva da Martone (RC) negli anni sessanta come muratore. Con il tempo, sviluppa un’impresa di famiglia insieme al fratello. Costruisce la sua reputazione come imprenditore affermato, lontano dalla cultura specula(va di quegl’anni. Un profilo basso e riservato, insomma.» dice Giovanni.Usciamo da corso Torino e proseguiamo fino a Piazza Li(seGo, un bellissimo por(cato in porfido accoglie il mercato avicolo e una mostra di piGura contemporanea.«Ciò nonostante, Demasi era un nome riconosciuto. Si dice che fosse in grado di muovere fino a 8.000 vo( direGamente dai calabresi. Un consenso che ha faGo invidia a mol( esponen( poli(ci. SopratuGo di sinistra…» E’ infa2 nel febbraio 2011 che si interceGa una telefonata tra De Masi e Mimmo Lucà (Pd) durante le elezioni primarie di Piero Fassino a Torino. E ancora gli incontri tra De Masi e Antonino Boe(, consigliere regionale del PD ed ex sindaco di Rivoli dal 1995 al 2004, fino all’incontro con l’onorevole Gaetano Porcino deputato dell’IDV e consigliere comunale a Torino. Proseguiamo verso il castello Malgrà, for(ficazione medievale sabauda. Gli ul(mi raggi di sole abbandonano il Gran Paradiso. CaGurato dal
delizioso speGacolo, tolgo le mie aGenzioni a Giovanni.« Il secondo personaggio di questa storia è Giovanni Iaria, imprenditore di Cuorgnè.» Riprende l’amico.Il suo nome balza alle cronache nel 1975, quando viene sequestrato e ucciso l’industriale Mario CereGo. Un imputato, Giovanni Caggegi, afferma che il mandante è proprio l’imprenditore. Sarà comunque assolto a fine processo per insufficienza di prove. Nel 1979, Iaria viene espulso dal suo par(to (Psi) e arrestato con l’ accusa di truffa, bancaroGa e falsificazione di libri contabili. Nel 1989, il tribunale di sorveglianza di Torino lo soGopone alla misura di prevenzione e di sorveglianza speciale, con divieto di soggiorno per tre anni in Piemonte e Valle d’Aosta. Poi arriva Minotauro. «Ma è il terzo boss quello più interessante. Si traGa di Giuseppe Catalano proprietario del bar Italia in Via Veglia a Torino». Catalano è ritenuto dai magistra( il capo della locale di Siderno (RC) a Torino. Giuseppe era stato già arrestato nel 2010 nell’ambito dell’operazione Crimine insieme al fratello Giovanni, imprenditore di Orbassano. E’ nel bar Italia di Catalano che si organizza la campagna eleGorale per la candidatura di Bertot alle elezioni europee del 2009. Presen(: Salvatore De Masi, Giovanni Iaria, Franco d’Onoforio, Antonino BaGaglia e lo stesso Catalano.E’ il bar Italia ad essere protagonista di un altro incontro: quello tra Catalano e l’assessore regionale Claudia PorchieGo (Pdl), filmata il 23 Maggio 2009 alla vigilia delle elezioni provinciali.«Ma perché proprio un bar? ›› gli chiedo. « Un “santuario” fuori da ogni sospeGo››. Mi risponde ridendo. Il bar è situato nel centro storico di Torino di fronte il comando dei carabinieri. «Ricordi il summit preparato al circolo Falcone-‐Borsellino di Paderno-‐Dugnano ››. Coincidenze? Forse.«Sembra una ricorrenza. La ‘ndrangheta necessita di piccole isole felici per ges(re i propri affari››.«E qui
Storia di un’Italia unita dalla mafie: da Leinì a Rivarolo - II puntata
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012 a Rivarolo? Quali erano gli
affari?». Replico.«Appal( e
compartecipazioni. Controllare dall’interno le scelte della nostra amministrazione. Appal( come “Rivarolo Futura”, una società a responsabilità limitata cos(tuita per il 51% dal comune di Rivarolo e per il 49% dall’Asa. L’Asa (Azienda Servizi Ambiente) ges(sce lo smal(mento di rifiu( nell’Alto canavese››. Mi spiega Giovanni.A meGere le mani sull’ Asa è Antonio Occhiuto (tolare dell’impresa movimento terra “Iso scavi”. Dopo Minotauro, Occhiuto finisce in carcere perché considerato capo della “bastarda”. La bastarda è una “locale a(pica” a Rivarolo. Secondo i magistra(, il suo obie2vo «era emanciparsi dalla casa madre calabrese. Una rete indipendente di ges(oni affaris(che e traffici illeci( che ha coinvolto tuGo il territorio canavese ». Occhiuto vuole avviare una società per il riciclaggio della plas(ca e non fa mistero di poter contare sul sostegno dei poli(ci locali.In una interceGazione del 7 OGobre 2008, Occhiuto parla con Antonino Versaci, un altro
affiliato della cosca: « Compare io sopra la plas(ca la vedo posi(va però se non prima parlo con coso… Solo lui ci può salvare a noi. Io posso parlare pure con il sindaco di Rivarolo e fare pure un poche2no e obbligare Asa che la lavi».“Parlare”, “obbligare”, “salvare”. Mi dileGo ad analizzare dei semplici verbi. Verbi che nascondono il segno di una società che cambia. Nuovi inves(men(, nuove opportunità, nuovi luoghi d’incontro. La mafia muta e rimane sempre la stessa. Anche qui al nord. Nonostante la globalizzazione e le tesi che vogliono mafie liquide, immateriali, post moderne, la ndrangheta è entrata in un territorio piccolo come Rivarolo usando le stesse modalità che usava negli anni sessanta. Si conserva un’iden(tà che si credeva smarrita. Un bar come centro di negoziazione poli(ca. Il ritorno delle leggendarie taverne dei Bea( Paoli. Accordi segre( tra sgherrismo e valen(smo oGocentesco per assicurarsi e perpetuare fedeltà. L’ossessiva ricerca del consenso e del controllo territoriale. Un inserimento invisibile che non desta allarme sociale, non richiama aGenzione indesiderate. Giovanni mi lascia alla stazione. Il cielo lentamente imbrunisce, l’aria si raffredda. Penso. Penso che dopo Salemi, Leinì e Rivarolo qualcosa è cambiato. O forse nulla. Occorre individuare, senza fumisterie e giri di parole, i luoghi comuni, i blocchi mentali e ideologici, le culture e le teorie che, in modo consapevole, hanno frenato nelle regioni del Nord la comprensione di quanto stava accadendo. Questa è la lezione che ho imparato e proseguo ad imparare. Da Salemi a Leinì. Da Leinì a Rivarolo questo non fa differenza.
Osservatorio Provinciale sulle Mafie di Libera Novarac/o il Centro Servizi per il Volontariato di Novaravia Monte Ariolo, 10/1228100 Novara
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segue da pagina 1« H o c a p i t o t u B o … m i uccideranno, ma non sarà una vendeBa della mafia … quelli che avranno voluto la mia morte saranno altri». Eppure decine di rappresentan> delle is>tuzioni hanno creduto e accolto una versione dei faU che faceva ricadere ogni responsabilità su tre balordi di Palermo in direBo contaBo con Riina. Una versione, quella del falso collaboratore Scaran>no, durata vent’anni, nonostante fossero eviden> le lacune come aveva evidenziato una giovane Ilda Bocassini. Fa male leggere di polizioU che non avvertono il bisogno di verità nemmeno di fronte alle mor> di propri colleghi, uomini e donne. Fa male, nove anni dopo, ritrovare il capo degli inves>gatori che avallarono le tesi di Scaran>no, prefeBo e capo dell’UCIGOS, a Genova durante i tragici faU del G8. Fa male vedere la parola “servizi” accostata sempre a depistaggi, falsi e is>tuzioni deviate. In che Paese vogliamo vivere? Risiede in questa domanda e nella risposta che a essa ten>amo di dare il senso della memoria e dell’impegno. Per l’an>mafia la posta in gioco non è la sconfiBa di qualche gruppo organizzato e violento, ma la costruzione di un Paese civile e democra>co.Un Paese che, tanto più in questo ventennale, ha un debito morale verso chi, per questo progeBo, ha dato la vita. Lo stesso debito che Paolo Borsellino, pochi giorni dopo la morte di Giovanni Falcone, invitò tuU gli italiani a sa ldare, chiedendo loro d i «con>nuare ques ta loBa» , facendo i l propr io dovere, «dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo».