obbiettivo professione infermieristica nr. 2/2015

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OBBIETTIVO PROFESSIONE INFERMIERISTICA Comma 566 Legge stabilità 2015 Aperto dibattito e confronto.. distribuire meglio il testo La pagina dell’infermiere coordinatore Una nuova rubrica dedicata ad un aspetto dell’infermieristica tanto ambito quanto critico. Violenza contro donne e minori Uno studio che mette a nudo un fenomeno apparentemente inarrestabile RINNOVARE: SOSTITUIRE CON IL NUOVO CIÒ CHE È USURATO, ANTICO, VETUSTO, MIGLIORANDO O MANTENENDO INALTERATE LE QUALITÀ. Quando invece si pensa di sostituire con qualcosa di meno prezioso lo definiamo degrado. L’EPOCA DEL RINNOVO PERIODICO DI INFORMAZIONE ATTUALITÀ E CULTURA DEL COLLEGIO INFERMIERI, AS. SANITARI, VIG. INFANZIA DELLA PROVINCIA DI FIRENZE - WWW.IPASVIFI.IT ANNO XXIII - SPED. ABBONAMENTO POSTALE 70% 2 DCB FI 2 2015

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Organo Ufficiale del Collegio IPASVI di Firenze

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Page 1: Obbiettivo Professione Infermieristica nr. 2/2015

OB B I E T T IVOPROF ES S ION E I N F E R M I E R I S T ICA

Comma 566

Legge stabilità 2015Aperto dibattito e confronto..distribuire meglio il testo

La pagina dell’infermiere coordinatore

Una nuova rubrica dedicata ad un aspetto dell’infermieristica tanto ambito quanto critico.

Violenza contro donne e minori

Uno studio che mette a nudo un fenomeno apparentemente inarrestabile

RINNOVARE: SOSTITUIRE CON IL NUOVO CIÒ CHE È USURATO, ANTICO, VETUSTO, MIGLIORANDO O MANTENENDO INALTERATE LE QUALITÀ. Quando invece si pensa di sostituire con qualcosa di meno prezioso lo definiamo degrado.

L’EPOCA DEL RINNOVO

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ANNO XXIII - SPED. ABBONAMENTO

POSTALE 70% 2 DCB FI

22015

Page 2: Obbiettivo Professione Infermieristica nr. 2/2015

SOMMARIOPPag 3.

PPag 4.

PPag 6.

PPag 8.

PPag 10.

PPag 12.

PPag 13.

PPag 14.

PPag 16.

PPag 20.

PPag 22.

EditoriPle

il commP dellP discordiP, di L.BPrtPlesi

LP sPnità nel TTIP, di T.Bertini, A.Nocentini

Le mPlPttie rPre, di C.BorzPcchiello

infermiere “viagile del fuoco”, di C.Bruschi.

l’infermiere coordinatore, figura essen-ziPle trP incudine e mPrtello. Di C.Beliagni.

Centro DocumentPzione dellP CulturP In-fermieristicP MPurP PPrronchi. Di FPbiolP PiPtti.

L’esperienzP di mPlPttiP nell’operPto-re come processo empPtico, unP ricercP quPlitPtivP. Di M.FPdPnelli, A,ZPagPriP

StoriP deagli infermieri uomini nel nursinag. Di PPtriziP Siagnoroni

ViolenzP contro donne e minori. Di MPr-agheritP Rocchi

Nursing: un inglesismo con molti signifi-cPti, tutti intorno PllP nostrP professione, di NPdiP ChiPri

Obbiettivoprofessione infermieristicaproprietà del Collegio InfermieriProfessionali Assistenti SanitariVigilatrici d’Infanzia di FirenzeAnno XXV n. 2/2015Spedizione in a. p. 70% 2DCBDirettore responsabileLuca BartalesiComitato di redazioneCinzia BeligniMara FadanelliMariaPia SantoroNadia ChiariCamillo BorzacchielloLucia SettesoldiEnrico Dolabelli ( webmaster)Niccolò Scalabrincollaboratori,Nuria BiuzziRoberto RomanoGiancarlo BrunettiStefania Comerci

Segreteria di redazioneSilvia Miniati, Elisabetta Trallori,Tania Stella, Claudia D’AttomaDirezione e RedazioneCollegio IPASVIVia Pier Luigi da Palestrina, 1150144 FirenzeTel. 055 359866, fax 055 355648e-mail: [email protected] del Tribunaledi Firenze n. 4103 del 10/05/91È consentita la riproduzione totale o parziale degli articoli e del materiale contenuto nella rivista purché vengano citatati l’autore e la fonte («Obbiettivo professione infermieristica» rivista del Collegio IPASVI di Firenze). È gradita comunicazione per conoscenza alla redazione

DOVE SIAMO

Il Collegio IPASVI della provincia di Firenze si trova in via Pierluigi da Palestrina 11 Firenze. Contatti: [email protected], [email protected] di apertura ufficio su www.ipasvifi.itCome inviare le proposte di pubblicazione: - articoli scientifici: devono avere una lunghezza massima di 20000 battute spazi inclusi, correlati di iconografia, grafici, bigliografia, sitografia.- articoli non scientifici: dimensioni massime 5000 battute spazi inclusi. correlati di iconografie libere da tutela d’autore.Ogni proposta di pubblicazione dovrà essere correlata da liberatoria per la redazione e l’Ente IPASVI Firenze ( da richiedere a [email protected])Le norme editoriali sono da richiedere a [email protected].

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IPASVI Firenze EDITORIALE

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OBBIETTIVO PROFESSIONE INFERMIERISTICA SI RINNOVA.

Con l’insediarsi del nuovo direttivo del Collegio IPASVIFi, rinnovato in gran parte, si rinnova anche la rivista ufficiale dell’Ente. Una nuova copertina e una nuova veste grafica nell’impaginazione, più pulita, rapida e intuitiva nell’accesso ai contenuti, che rimangono organiz-zati in rubriche tematiche, sono questi nella sostanza i cambiamenti per la ri-vista che state leggendo, che dal 2009 ha subito poche variazioni se non per il formato divulgativo.Rimane invariata la linea editoriale che come sempre mira a dare ai no-

stri iscritti e all’Ente uno spazio per le pubblicazioni e un canale d’infor-mazione che arrivi, sfruttando le po-tenzialità della rete internet, a coprire un’area sempre più ampia cercando di raggiungere il maggior numero possi-bile di portatori d’interesse per la pro-fessione infermieristica. Un obbiettivo ambizioso che ha por-tato in passato a superare le resistenze del passaggio dal cartaceo al formato web oggi fruibile con semplicità da un qualsiasi device portatile tablet, smar-tphone o computer che sia. Un sistema snello al passo con l’internet comuni-cation system, che richiama anche lo stimolo per i lettori ad adeguarsi a una comunicazione moderna, oggi non più eludibile.Tuttavia il formato cartaceo non viene abbandonato totalmente, ma sarà uti-lizzato in modo razionale, visti i costi di produzione e spedizione, in parti-colare come mezzo per far fronte alla necessità di notificare a tutti gli iscritti, importanti comunicazioni da parte di IPASVIFi nel rispetto della normativa vigente che non prende in considera-zione la comunicazione a mezzo email generica, ma soltanto la PEC e spedi-zione Postale.

Anche il nuovo editore “Giunti Os” ci coadiuverà nel percorso di ristruttu-razione, curando la grafica e la distri-buzione della rivista, in una continua evoluzione di crescita sostenuta dalle potenzialità di una grande casa editri-ce che offre un’ampia libreria online e una gamma di servizi per la divulga-zione di contenuti e apprendimento multimediale. Novità assoluta lo spazio vignetta al-locato nelle prime pagine della rivista dedicato alla satira e all’informazione riflessiva, come editoriale iconografico su uno specifico tema e non soltanto a corredo di un articolo. Un’ulteriore possibilità da valutare in futuro, riguarda l’inserimento di spazi pubblicitari a pagamento, che potran-no arrivare fino ad un massimo del 70%: è questo un aspetto importante per alleviare il capitolo di spesa che andrà ponderato con la massima at-tenzione visti i mille risvolti racchiusi nella riflessione intorno al mondo del-la pubblicità, non sempre in linea con correttezza e serietà d’immagine.

Luca Bartalesi

NUOVO EDITORE, NUOVA VESTE GRAFICA

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Marzo • 2015

4 | ATTUALITÀ E PRIMO PIANO

◊ Di Luca Bartalesiinfermiere [email protected]

Con la pubblicazione della Legge di stabilità 2015 (L 23 dicem-bre 2014, n. 190 ) e relativo Comma 566: “Ferme restando le competenze dei laureati in medicina e chirurgia in materia di atti complessi e specialistici di prevenzione, diagnosi, cura e te-rapia, con accordo tra Governo e regioni, previa concertazione con le rappresentanze scientifiche, professionali e sindacali dei profili sanitari interessati, sono definiti i ruoli, le competenze, le relazioni professionali e le responsabilità individuali e di equipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sani-tarie infermieristiche, ostetrica, tecniche della riabilitazione e della prevenzione, anche attraverso percorsi formativi comple-

mentari. Dall’attuazione del presente comma non devono de-rivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.”Si è aperto un animato confronto tra gli operatori sanitari, me-dici e infermieri in primis, ai quali si associano autorevoli opi-nionisti e giuristi con articoli che hanno riempito le pagine dei blog e quotidiani online.La fucina di tutto quanto sta nei termini, nel valore delle parole utilizzate dal legislatore interpretabili variabilmente in base al contesto applicativo, alla categoria e ruolo professionale al qua-le appartiene il lettore, ravvivando così atavici contrasti.Noi rileggiamo il paragrafo di legge focalizzando dei punti di

IL COMMA DELLA DISCORDIA

Montecitorio, Roma

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IPASVI Firenze OBBIETTIVO PROFESSIONE INFERMIERISTICA

5ATTUALITÀ E PRIMO PIANO |

domanda e delle possibili risposte per una nostra provocatoria interpretazione del comma 566.La prima frase fa già soffermare la nostra attenzione: “Fer-me restando le competenze dei laureati in medicina e chi-rurgia” cosa vuole intendere il legislatore? Sembra scontato il tentativo di alzare una barricata a tutela “dell’atto medico”, senza però specificare esaustivamente definizione e contenuti. Elementi necessari per dare con-cretezza ad un confine sfumato che lascia margine ad in-terpretazioni in base a competenze e contesto applicativo.A seguire ci domandiamo cosa s’intende con: “le rappre-sentanze scientifiche, professionali e sindacali” interessa-te nella definizione dei “ruoli, le competenze, le relazioni professionali”?Probabile l’intento di sottolineare l’importanza della con-certazione nell’attribuire ruoli e competenze. Una novità se vogliamo, in quanto fino ad oggi ruoli e competenze sono stati di esclusiva pertinenza ministeriale e confronto con le rappresentanze ordinistiche. Da oggi anche i sinda-cati entrano di diritto nella stesura dei profili professionali con la speranza che sia riconosciuta ed introdotta come oggetto di contrattazione sindacale una scala valoriale ba-sata sulle competenze soggettive.Si legge anche “sono definiti […]le responsabilità indi-viduali e di equipe su compiti, funzioni e obiettivi delle professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica[…]” …ci sembra arduo?Se vogliamo parlare di autonomia professionale dobbia-

mo anche definire il livello di responsabilità per quanto infermiere e ostetrica possono svolgere in autonomia, cioè fuori dalla prescrizione medica.Mentre nel lavoro di equipe nessuno degli attori e scevro da responsabilità, le interazioni legano chi prescrive e chi esegue le prescrizioni, ma anche chi organizza il contesto operativo e chi definisce gli obbiettivi.Nel comma 566 si rimarcano i percorsi formativi comple-mentari, possiamo leggerle come “competenze avanzate” ?...quindi oltre i confini delineati dalla L42/99 che poneva come limiti i profili professionali, gli ordinamenti didatti-ci ed i codici deontologici, fermo restando le competenze previste per le professioni mediche.Ridefinire ruoli e competenze inevitabilmente implica ritoccare una normativa vetusta. Oggi le necessità lega-te all’assistenza al cittadino non sono più quelle del ‘99. Neppure è pensabile continuare a sostenere la necessità di 22 professioni sanitarie. Dobbiamo ripensare, ripro-gettare questo panorama, razionalizzando e individuando competenze sempre più specialistiche, che diano buone pratiche e risposte efficaci al cittadino ed efficienti alla società. L’impianto della L42/99 sostanzialmente potreb-be rimanere valido cosi come la L.43\2006 entrambe nate per delineare struttura, sviluppo e ruoli delle professioni sanitarie non mediche, senza dimenticare il comma566 della L.190\2014.

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Marzo • 2015

6 | ATTUALITÀ E PRIMO PIANO

◊ Di Tatiana Bertini Infermiera [email protected], A. Nocentini referente sanità comitato stop TTIP Firenze

Nel giugno 2013, il presidente degli Stati Uniti Obama e il pre-sidente della Commissione europea Barroso hanno lanciato ufficialmente i negoziati su un Partenariato Trans-Atlantico basato sull’armonizzazione delle regole di commercio e inve-stimenti (TTIP). Il TTIP (ovvero il trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti), è un patto tra stati dell’Unione Europea e Stati Uniti per liberalizzare ulteriormente il commer-cio di beni e servizi tra le due sponde dell’Atlantico, compresi potenzialmente servizi essenziali come istruzione e sanità. Sot-to l’aspetto sanitario, questo comporterebbe inevitabilmente un’accellerazione del già iniziato processo di privatizzazione del nostro sistema. Il TTIP intende armonizzare le norme e i regolamenti fra i due continenti al fine di semplificare l’apertu-ra di nuovi mercati: servizi pubblici, appalti, contratti di lavoro. Le norme di tutela oggi presenti in Europa dovrebbero essere superate per raggiungere la cosidetta “armonizzazione” con le norme statunitensi.Facciamo alcuni esempi di cosa potrebbe comportare tutto questo a livello sanitario:

• Il principio di precauzione base dell’architettura europea non è riconosciuto negli USA che basano invece la pro-pria regolamentazione sul principio del comprovato danno scientifico. La sperimentazione dei farmaci ha protocolli e tempi assolutamente diversi, così come i processi di veri-fiche nel settore della chimica: quali potrebbero essere gli effetti di una “armonizzazione” sul sistema europeo? Sotto i colpi del TTIP il rischio che cada il pilastro della regola-mentazione a riguardo, ovvero il Reach – Regulation on Registration, Evaluation, Authorisation and Restriction of Chemicals è effettivo. In questo caso ad avere la meglio sa-rebbero le multinazionali del settore chimico e, in particola-re, di quello farmaceutico

• Per decidere poi se i contraenti staranno o meno rispet-tando gli accordi presi agirà il cosiddetto “investor-state dispute settlement mechanisms” (ISDS), ovvero: le singole compagnie possono fare causa (presso una sede arbitrale riservata ad avvocati commerciali, non presso un tribuna-le pubblico) direttamente ad uno Stato, per aver introdotto delle modifiche normative lesive verso i propri investimen-ti. Per fare un esempio, la Philip Morris sta ora avvalen-dosi dell’ISDS per chiedere i danni al governo australiano; le norme che quest’ultimo ha introdotto sul confeziona-

mento delle sigarette, ovvero il pacchetto generico senza marchio al fine di scoraggiare il fumo minorile e aiutare le persone a smettere di fumare, lederebbero secondo loro l’a-zienda. Qualunque nuova politica introdotta a difesa della salute pubblica potrebbe quindi essere impugnata da un’a-zienda che vedesse o rischiasse di vedere ridotti i propri profitti.

Già in passato scelte effettuate per affrontare emergenze sani-tarie (vere o presunte) hanno faticato ad essere adottate indi-pendentemente dagli obiettivi dell’industria. Un esempio lo possiamo trovare nel 2009 quando, su indicazione dell’Oms, il nostro ministero della salute istituì un’unità di crisi contro la pandemia “suina” e firmò un contratto da quasi 185 milioni di euro con la Novartis per 24 milioni di dosi di vaccino. L’anno successivo, visto l’allarme sgonfiato, il ministero chiese alla No-vartis di interrompere la fornitura. A quel punto però, Novartis pretese un risarcimento per la mancata produzione delle 11 milioni e più di dosi rimanenti.C’è da considerare anche che il processo di negoziazione (TTIP) avviene sostanzialmente a porte chiuse tra la Commissione Eu-ropea e attori del mondo for-profit, senza il controllo dell’opi-nione pubblica. Secondo il Corporate Europe Observatory il 92% degli incontri pre-negoziali è stato fatto in questo modo. Un esempio di documento di discussione in questi incontri e diffuso quest’anno, a firma delle aziende farmaceutiche euro-pee ed americane, include richieste per il TTIP come la ridu-

LA SANITÀ NEL TTIP(TRANSATLANTIC TRADE AND INVESTMENT PARTNERSPHIP)

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IPASVI Firenze OBBIETTIVO PROFESSIONE INFERMIERISTICA

7ATTUALITÀ E PRIMO PIANO |

zione del controllo sui prezzi dei farmaci da parte dei governi. E’ evidente come in questo caso le ragioni del libero commer-cio possano confliggere con quelle del benessere pubblico.Stiamo vivendo un momento storico nel quale con la scusa del-la crisi economica e in un momento di effettiva crisi lavorativa, le scelte di organizzazione sanitaria italiana stiano andando verso un sistema misto. Alcune politiche responsabili di questo sono:

• Quelle di far pagare agli utenti i servizi sanitari pubblici sia attraverso la fiscalità generale che attraverso un’ulteriore compartecipazione dovuta con tichet e contributo di digi-talizzazione;

• Quelle che favoriscono la privatizzazione dei servizi sanitari attraverso la cessione di grosse fette di attività sanitarie al privato convenzionato, deprivando di conseguenza il pub-blico di importanti risorse;

• Quelle che promuovono programmi assicurativi sanitari sia con agevolazioni fiscali, sia prevedendo nei contratti di lavo-ro assicurazioni per una sanità integrativa, sia spingendo il cittadino a rivolgersi al privato quando non trovi risposta in tempi celeri al bisogno di servizio sanitario, sia con la con-tinua espansione dell’intramoenia che sostituisce il servizio che il pubblico non da più in tempi certi.

Il TTIP in tutto questo contesto accellererà ulteriormente tale privatizzazione rendendola irreversibile. Il trattato infatti permetterà un ritorno ad un servizio pubblico soltanto con il pagamento di enormi somme di risarcimento a favore delle compagnie private. Non scordiamoci che queste sono scelte che mettono a rischio la garanzia di un diritto fondamentale dell’individuo. Avere un welfare state, compresivo del servizio

sanitario pubblico, garantisce anche che in un momento di grande crisi tutti possano avere accesso ai beni essenziali e nel nostro caso, al diritto alla salute.Anche l’attacco dei media ai lavoratori pubblici rappresenta una spinta verso le privatizzazioni. Sebbene la sanità sia il com-parto italiano più controllato nella spesa (dichiarazione fatta anche dal Presidente della Regione Toscana Enrico Rossi), è facile leggere nei mass media dichiarazioni contro infermieri e medici, considerandoli in parte responsabili di una presunta malasanità. In realtà tutto questo è un attacco mirato contro la sanità pubblica, conseguenza anche del forte interesse dei pri-vati nel settore. Inoltre, una normativa analoga al “Rights to Works” americano potrebbe affacciarsi in Europa contribuen-do ad alimentare una rinnovata ed ancor più forsennata con-correnza al ribasso anche fra i lavoratori sanitari sui loro diritti e sulle loro retribuzioni.Per finire, è importante citare quanto detto dal premio Nobel per l’economia Joseph Stiglitz, parlando del TTIP nel corso di una lectio magistralis tenuta alla Camera il 19 settembre 2014. Ha affermato che “L’accordo di libero scambio tra Ue e Stati uniti l’Europa non dovrebbe firmarlo. Si tratta infatti di un accordo la cui intenzione sarebbe di eliminare gli ostacoli al libero commercio, ostacoli che rappresentano le regole per la tutela dell’ambiente, della salute, dei consumatori, dei lavora-tori. In questo caso i costi in termini di salute, ambiente, sicu-rezza dei cittadini sarebbero enormi e le disuguaglianze sociali aumenterebbero dando profitti a poche multinazionali a spese dei cittadini”.

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Marzo • 2015

8 | PARLIAMO DI NURSING

◊ Di Camillo Borzachielloinfermiere [email protected]

Cosa sonoUna malattia si definisce rara quando la sua prevalenza,

ovvero il numero di casi presenti in un dato momento in una data popolazione, non supera una determinata soglia.

Nell’Unione Europea, (secondo il “Programma d’azione Comunitario sulle malattie rare 1999-2003”), questa soglia è fissata allo 0,05% della popolazione, ossia 1 caso su 2.000 abitanti: l’Italia si attiene a tale definizione. Altri paesi adot-tano parametri leggermente diversi, negli Usa ad esempio una malattia è considerata rara quando non supera la soglia dello 0.08%. La legge giapponese, invece, definisce rara una patologia che comprende meno di 50.000 casi (4/10.000) in Giappone. Molte patologie sono però molto più rare, arrivan-do appena a una frequenza dello 0,001%, cioè un caso ogni 100.000 persone. Una malattia quindi è considerata “rara” quando colpisce non più di 5 persone ogni 10.000 abitanti; la bassa prevalenza nella popolazione non significa però che le persone con malattia rara siano poche. Si parla infatti di un fenomeno che colpisce milioni di persone in Italia e ad-dirittura decine di milioni in tutta Europa. Del resto, il nu-mero di Malattie Rare conosciute e diagnosticate oscilla tra le 7000 e le 8000, ma è una cifra che cresce con l’avanzare della scienza e in particolare con i progressi della ricerca ge-netica. Infatti la maggioranza di queste malattie hanno origi-ne genetica. Per quanto riguarda l’origine delle malattie rare, se è vero che quasi tutte le malattie genetiche sono malattie rare, non è altrettanto vero che tutte le malattie rare abbia-no un’origine genetica; ad esempio, esistono malattie infetti-ve molto rare, così come malattie autoimmuni e carcinomi rari. La causa di molte malattie rare non è oggi ancora nota. Possono presentarsi già dalla nascita o dall’infanzia, come nel caso dell’ amiotrofia spinale infantile, della neurofibro-matosi, dell’osteogenesi imperfetta, delle condrodisplasie o

della sindrome di Rett oppure, come accade in più del 50% delle malattie rare, comparire nell’età adulta, come la ma-lattia di Huntington, la malattia di Charcot-Marie-Tooth, la sclerosi laterale amiotrofica, il sarcoma di Kaposi. Le MR costituiscono un problema di sanità pubblica per l’impatto numerico sulla popolazione. Secondo una stima dell’Orga-nizzazione Mondiale della Sanità (OMS) rappresentano il 10% delle patologie umane note. Si stima che il 6-8% della popolazione europea, complessivamente 27- 36 milioni di cittadini, sia affetto da una MR. L’OMS ha calcolato l’esistenza di circa 6.000 entità nosologiche, ma si tratta probabilmente di una stima riduttiva e, di fatto, l’Unione Europea (UE) cal-cola il loro numero in circa 8.000. Nel 2012 sono circa 6000 le entità nosologiche codificate da Orphanet, (un importante portale delle Malattie rare e Farmaci orfani) , di cui la metà correlabili all’elenco delle MR già previsto dal DM 270/2001. Se si escludono i tumori rari, che non sono stati inseriti nell’e-lenco, la maggior parte delle restanti forme sono a bassissima frequenza. Si può quindi stimare che la prevalenza dei malati rari complessivamente considerati sia dal 50 al 100% superio-re a quella stimata per il solo elenco del DM 279/2001, cioè da 7,5 a 10 per 1000 residenti. In base a queste stime in Italia ci sarebbero dai 450.000 ai 600.000 malati rari, Queste di-screpanze tra le stime sono giustificate dal fatto che l’effettiva numerosità delle MR varia in funzione dell’affinamento degli strumenti diagnostici e dell’evoluzione delle classificazioni in uso. In particolare, le analisi genetiche hanno dimostrato l’eterogeneità di molte malattie, per cui condizioni di per sé non rare, se considerate solo a livello del loro meccanismo molecolare, potrebbero rientrare nel novero della rarità (ad es. la forma più comune di sordità genetica interessa circa una persona ogni 10.000). I test genetici stanno perciò pro-ducendo una parcellizzazione di molte malattie, ricollocando

LE MALATTIE RARE“NESSUNA MALATTIA È COSÌ RARA DA NON MERITARE ATTENZIONE….”

Questa collaborazione con la rivista Obbiettivo Professione Infermieristica, del Dr. Camillo Borzacchiello Maresciallo dell’Aero-nautica militare, infermiere, inizia con il trattare il tema delle Malattie Rare, sulla sua rilevanza sociale e sul ruolo e l’impegno dell’Infermiere Militare.

Page 9: Obbiettivo Professione Infermieristica nr. 2/2015

IPASVI Firenze OBBIETTIVO PROFESSIONE INFERMIERISTICA

9PARLIAMO DI NURSING |

molte di esse, clinicamente non rare, nella categoria delle MR. Per queste ragioni, il problema delle MR deve essere valutato facendo anche riferimento anche ai loro aspetti clinici e fun-zionali. Molte MR sono complesse, gravi, degenerative, croni-camente invalidanti; circa un terzo di esse riduce le attese di vita a meno di 5 anni, mentre molte altre non incidono signi-ficativamente sulla durata della vita, se vengono diagnosticate in tempo e trattate appropriatamente; altre condizioni, infine, permettono di svolgere una vita qualitativamente normale, anche in assenza di trattamento.

Conseguenze medico sociali delle malattie rareLe MR possono colpire le abilità fisiche e/o mentali, le capa-cità sensoriali e comportamentali. Le disabilità ad esse corre-late limitano le opportunità educative, professionali e sociali e, indirettamente, possono essere causa di discriminazione. Il ritardo nella diagnosi delle MR dipende da vari fattori, tra cui la mancanza di conoscenze adeguate da parte dei medici spesso collegata alla estrema rarità della malattia, la presenza di segni clinici individualmente non diagnostici, l’assenza o la limitata disponibilità di test diagnostici, la frammentazio-ne degli interventi, l’inadeguatezza dei sistemi sanitari. Ne consegue che molti malati rari non riescono ad ottenere un inquadramento della loro patologia nel corso di tutta la loro vita. Questi problemi si riflettono sul ritardo nella presa in carico e spesso le persone affette ricorrono a trattamenti non appropriati. La frequente mancanza di terapie eziologiche efficaci non implica l’impossibilità di trattare le persone af-fette da MR. Infatti sono numerosi i trattamenti sintomatici, di supporto, riabilitativi, educativi, sostitutivi ecc. comprese alcune prestazioni attualmente non erogate dal Servizio sa-nitario nazionale (SSN), che possono cambiare notevolmente il decorso clinico e l’attesa di vita, il grado di autonomia e

la qualità della vita delle persone affette e dei loro familiari. L’accesso a questi trattamenti già disponibili e i loro aspetti innovativi costituiscono elementi chiave nelle politiche per l’assistenza ai malati rari. Come già affermato le conoscenze scientifiche e mediche sulle malattie rare sono scarse e non adeguate. Per molto tempo sono state ignorate dai medici, dai ricercatori e dalle istituzioni e non esistevano fino a pochi anni fa attività scientifiche e politiche finalizzate alla ricerca nel campo delle malattie rare. Per la maggior parte di queste malattie ancora oggi non è disponibile una cura efficace, ma numerosi trattamenti appropriati possono migliorare la qua-lità della vita e prolungarne la durata. In alcuni casi sono stati ottenuti progressi sostanziali, dimostrando che non bisogna arrendersi ma, al contrario, perseguire e intensificare gli sfor-zi nella ricerca e nella solidarietà sociale. Tutte le persone affette da queste malattie incontrano le stesse difficoltà nel raggiungere la diagnosi, nell’ottenere informazioni, nel venire orientati verso professionisti competenti. Sono ugualmen-te problematici l’accesso a cure di qualità, la presa in carico sociale e medica della malattia, il coordinamento tra le cure ospedaliere e le cure di base, l’autonomia e l’inserimento so-ciale, professionale e civico. Le persone affette dalle malattie rare sono più vulnerabili sul piano psicologico, sociale, eco-nomico e culturale. Queste difficoltà potrebbero essere raggi-rate attraverso interventi politici appropriati. A causa della mancanza di sufficienti conoscenze mediche e scientifiche, molti pazienti non vengono diagnosticati e le loro malattie non vengono riconosciute. Quindi, la presa in carico di questi pazienti è per lo più sintomatica. I pazienti sono le persone che soffrono maggiormente per queste diffi-coltà legate alla presa in carico.

segue nel prossimo numero

Christoph Bock (Max Planck Institute for Informatics)

Page 10: Obbiettivo Professione Infermieristica nr. 2/2015

Marzo • 2015

10 | PARLIAMO DI NURSING

◊ Di Costanza Bruschi infermiera [email protected]

Dati i molteplici contesti in cui l’infermiere oggi si trova ad operare, è attivo il dibattito su quanto l’autonomia professio-nale e la valorizzazione della professione stessa trovino con-creta realizzazione. L’indagine effettuata sull’assistenza sanitaria nel Corpo Na-zionale dei Vigili Del Fuoco, professionisti che, in determi-nate occasioni, intervengono per prestare un primo soccorso sanitario, ha portato testimonianze di un periodo in cui, per ogni Comando Provinciale, vi fu un’Infermeria gestita da un infermiere o meglio, da un “vigile del fuoco infermiere”.Tramite una Circolare del 1963 venne offerta, dal Ministero dell’Interno, la possibilità al personale di ruolo operativo inte-ressato di seguire il corso previsto dalla normativa nazionale del tempo per diventare infermieri: ottenuta la qualifica civile, avrebbero poi operato all’interno del Corpo. Le dirette esperien-ze dei “vigili del fuoco infermieri” operanti tra gli anni sessanta ed ottanta circa, testimoniano che essi praticarono la propria professione in due contesti: nella gestione autonoma dell’Infer-meria del Comando di appartenenza (esame obiettivo, medica-zioni, consulenze) cooperando in sinergia con l’ufficiale medico e, quando in servizio come pompieri sugli automezzi adibiti al soccorso, nell’organizzazione dell’operazione in qualità di te-am-leader nel caso di un intervento sanitario.In pochi scelsero di diventare infermieri oltre che pompieri: all’epoca, sospendere il proprio lavoro di vigile del fuoco per dedicarsi allo studio ed ai tirocini previsti dalla legge per ot-tenere l’ulteriore qualifica, era ritenuto un impegno gravoso e nel tempo questa figura si estinse.Oggi, a livello europeo, recenti studi pubblicati dalla Federazione Europea dei Sindacati dei Servizi Pubblici (EPSU) sull’assisten-za nei vigili del fuoco dimostrano come la continua esposizione della categoria a rischi professionali fisici e psico-fisici porti a conseguenze correttamente diagnosticabili solo se viene eseguita un’efficiente programmazione di piani assistenziali osservando e rivalutando costantemente le storie cliniche personali.In Italia, l’assistenza sanitaria nel Corpo Nazionale è affidata, per Comando Provinciale, a massimo due medici esterni le cui at-tività, per contratto, sono assai ridotte. Generalmente un solo medico deve provvedere al mero aggiornamento di ogni car-tella clinica e convoca il vigile del fuoco per approfondimen-ti nel caso in cui dai referti emergano elementi dubbi; una

corretta anamnesi e la costante valutazione dei dati raccolti sarebbero azioni essenziali per stabilire l’incidenza e la preva-lenza di alcune patologie proprie di quella professione. L’infermiere, interpretando, rivalutando ed aggiornando la storia clinica di ciascun vigile del fuoco, potrebbe pianificare interventi adeguati, in considerazione dei rischi che tale attività lavorativa comporta. Collaborando con il medico, avrebbe l’opportunità di occuparsi di sorveglianza e prevenzione sanitaria, dell’accerta-mento dell’idoneità psico-fisica, organizzando le opportune in-dagini cliniche di ognuno, svolgendo altresì interventi di educa-zione sanitaria e documentando ogni informazione nelle singole cartelle sanitarie. Come esposto, queste attività furono effettuate dal vigile del fuoco infermiere in un tempo in cui, per un infermiere civile, era difficile operare in simile autonomia. Inoltre, la qualifica di infermiere riconosciuta a livello nazionale ed istituziona-le era rilevante anche quando veniva svolto dalla squadra un primo soccorso sanitario verso la cittadinanza. Attualmente, benché i vigili del fuoco italiani siano addestrati nell’esecuzione di manovre di primo soccorso sanitario verso l’u-tenza nel caso in cui sia necessario un primo intervento in attesa o in sostegno del 118, non esiste alcun riconoscimento ufficia-le di qualsivoglia specializzazione sanitaria civile posseduta dal pompiere, come avviene invece in altri Paesi; ne è un esempio la figura del paramedic-firefighter statunitense. Negli Stati Uniti per divenire paramedici è necessario il diploma di scuola media superiore, dopo di che si accede ad un corso universitario bien-nale che si conclude con un esame di stato. Un paramedico è addestrato ad eseguire supporto vitale avanzato (ALS, Advanced Life Support), protocollo utilizzato dallo staff medico e infer-mieristico come estensione del BLS allo scopo di monitorare e stabilizzare il paziente anche attraverso la somministrazione di farmaci e l’attuazione di manovre invasive fino all’arrivo in ospe-dale. Il paramedico diplomato statunitense può accedere poi al corso accademico per pompieri diventando così paramedic-fi-refighter. I vigili del fuoco italiani effettuano una formazio-ne interna relativa a tecniche di soccorso tramite protocolli equiparabili ai corsi BLS-D, ma la specifica professionalità sa-nitaria ottenibile attraverso percorsi universitari riconosciuti dalla legge non trova all’interno del Corpo accoglimento o approvazione formale.

INFERMIERE VIGILE DEL FUOCOUN ASPETTO DELL’INFERMIERISTICA CHE IN ITALIA APPARTIENE AL PASSATO, IN U.S.A. CONCRETA REALTÀ

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11PARLIAMO DI NURSING |

Con questo numero della rivista, si apre lo spazio dedicato all’infermiere coordinatore, una figura rilevante nell’infermieristica spesso costretta dalle dinamiche del sistema a snaturalizzare la propria mission. Abbiamo scelto questo primo pezzo in quanto l’autotrice richiama una serie di punti con l’obiettivo di dare, a chi sta già praticando e a chi vorrebbe intraprendere questa strada, maggiore consapevolezza del ruolo, delle possibilità, dei limiti e delle responsabilità dirette e indirette che lo circondano.

◊ Di Cinzia Beligni, infermiera con funzioni di coordinamento ASF. [email protected]

Istituito con la legge 43/2006 che ne prevede il master uni-versitario di primo livello la figura dell’infermierie con fun-zioni di coordinamento racchiude una serie di responsabilità dirette ed indirette che ne fanno un elemento carismatico dell’assistenza e costituente indispensabile per l’organizza-zione sanitaria. Tra l’incudine ed il martello il coordinatore infermieristico si trova a dover far fronte a continui e com-plessi cambiamenti del sistema sanitario nonché alle relative problematiche che richiedono soluzioni sempre nuove e di-verse semplificando il complesso ma nello stesso tempo arti-colando a piu ampio spettro ciò che appare semplice ad una prospettiva individuale. Le caratteristiche che si attribuiscono all’inf.coordinatore, dunque, sono così varie da non riuscire a definirne i con-torni delle responsabilità rendendo così sfumati anche quelli del ruolo: egli da una parte raccoglie le esigenze della direzio-ne, della legislazione e della mission professionale e dall’altra accoglie le esigenze ed i bisogni del personale che coordina nonché dell’utenza, facendo un’opera di comparazione rivolta all’integrazione di tutte queste componenti e tramite la loro rielaborazione offre una risposta agli interlocutori. Non sem-pre la risposta data è ciò che l’altro si aspetta e questo de-termina una zona conflittuale e ambivalente sia per quanto riguarda il professionista e/o la persona coordinatore, sia per le altre figure che gravitano intorno a lui. Conseguentemente a ciò si potrebbe immaginare la figura dell’inf.coordinatore come fulcro del divenire: elemento tanto importante quanto scomodo e insostituibile. Malgrado questa controversa dico-tomia, il master di management per il coordinamento è quel-lo che ancora oggi conta il più elevato numero di iscritti per la selezione essendo, di fatto, l’unico del settore che rispon-de alla domanda di sviluppo e crescita professionale nonché contrattuale. Inoltre esiste un’idea romantica nell’intrapren-dere questa professione: “immaginare il ruolo del coordina-

tore come un gioco intellettuale di straordinaria sottigliezza, fatto di congetture, ideazioni, progettazioni e che svolazza sui vari metodi e modelli organizzativi rimanendo all’interno della clinica e della patologia. Ma la fantasia deve lasciare il posto all’oggettività e, allo stato attuale, gran parte dell’attivi-tà di coordinamento si articola nel far osservare gli obblighi contrattuali (orari e piani di lavoro, statistiche ecc) mettendo in secondo piano l’area professionale e gestional-manageria-le propria di questa professione; ed il sogno lascia il posto alla realtà fatta di strategie di “tamponamento” delle conti-nue criticità legate alle carenze o inadeguatezza delle risorse, non solo umane. In altre parole si perdono “l’arte e la classe del mestiere”. ( Alicia Gimènez-Bartlett “Gli onori di casa” ed. Sellerio) Le attività di questa professione non sempre sono condivise e condivisibili e quindi delegabili e le aspettative degli altri sono alte: è questa una figura professionale fre-quentemente sola nella risoluzione delle problematiche quo-tidiane e contemporaneamente criticata per il suo operato.

INFERMIERE COORDINATORE FIGURA ESSENZIALE TRA INCUDINE E MARTELLO

!

Legislazione Mission

Disposizioni aziendali

rispostePersonale collaborato-

re utenza

Infermiere coordina-tore

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12 | PARLIAMO DI NURSING

◊ Di Fabiola Piatti infermiera [email protected]

Centro Documentazione della Cultura Infermieristica Maura ParronchiIl Centro, intitolato alla collega recentemente scomparsa, unico del suo genere in Italia per la visione storico antropologica che lo contraddistingue, ha avuto inizio con una prima fase di raccol-ta delle memorie orali di vecchie e vecchi infermieri che hanno svolto la loro professione presso Ospedali dell’area fiorentina. Dalla raccolta delle memorie orali è scaturito un Convegno svoltosi a Careggi nel maggio 2012 intitolato “Generi, gene-razioni, culture a confronto”, in quella occasione è stato pre-sentato il documentario dal titolo “La memoria del prendersi cura” realizzato grazie alla collaborazione di vecchie e vecchi colleghi Infermieri.I principali obiettivi che il Centro persegue sono :Conservare, tutelare, salvaguardare e valorizzare la cultura materiale ed immateriale InfermieristicaIl Centro conserva ad oggi numerosi vecchi oggetti di uso as-sistenziale, documenti a carattere storico-antropologico sulla professione fin dalla costituzione delle prime Scuole Convit-to, memorie orali e documenti personali di vecchie e vecchi infermiere/i, tesi di Laurea in Scienze Infermieristiche sul tema, vecchie foto, vecchi disegni utilizzati per la redazione dei primi libri di infermieristica italiani, e molto altro ancora. Tutto questo è stato possibile grazie al contributo di tanti e di tante colleghe che hanno deciso di lasciare i loro oggetti di affezione presso il Centro.

Potete trovare ulteriori informazioni sul centro al link: HYPERLINK “http://www.aou-careggi.toscana.it/oltrelacu-ra/pepi/demo.html” http://www.aou-careggi.toscana.it/oltre-lacura/pepi/demo.htmlIl Centro Documentazione della Cultura Infermieristica è ubicato presso il Dipartimento delle Professioni Sanitarie dell’Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi, ed è consul-tabile e visitabile contattando i numeri:055.794.7232 (tutte le mattine) oppure 348.85.12.240Attualmente è in corso il censimento di tutta la documenta-zione storica presente negli innumerevoli faldoni recuperati nell’Archivio di Villa Pepi.Chi fosse disponibile a lasciare testimonianza e memoria sul-la sua esperienza professionale, quella di ieri e quella di oggi; chi desidera consegnare e portare al Centro oggetti, divise, vecchi testi infermieristici, vecchia documentazione infer-mieristica oppure i suoi scritti sulla professione, su momenti ed episodi particolari o volesse dare una collaborazione per il censimento della documentazione, può contattare i numeri telefonici sopra elencati.

Referente:Dott.ssa Fabiola PiattiAzienda Ospedaliero Universitaria [email protected]

CENTRO DOCUMENTAZIONE DELLA CULTURA INFERMIERISTICA MAURA PARRONCHI

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13STUDI E PROGETTI |

◊ di Alessia Zagara(1) e Mara Fadanelli (2)

1) infermiera: [email protected] 2) infermiera:[email protected]

La medicina narrativaOgnuno di noi ogni giorno racconta qualcosa: raccontiamo noi stessi agli altri, raccontiamo avvenimenti del nostro passato, raccontiamo le nostre aspettative per il futuro. La narrazione dell’esperienza personale dovrebbe avere un ruolo significativo anche nelle relazioni di cura perché quando la sofferenza viene inserita in racconti reali e diventa condivisibile si trasforma in risorsa. Rita Charon

IntroduzioneNell’articolo «Cultivating a Narrative Sensibility in Nursing» l’infermiera R. Beuthing afferma che quando l’operatore speri-menta la malattia sviluppa una prospettiva interna sul processo assistenziale che ne aumenta la consapevolezza riguardo al si-gnificato di «essere paziente» e acquisisce una maggiore capa-cità di relazionarsi empaticamente col paziente (1).Si è scelto di verificare quest’affermazione attraverso gli stru-menti del Nursing Narrativo. Secondo la definizione della medicina narrativa di Rita Charon (che ne è la fondatrice) si può affermare che il Nursing Narra-tivo è un approccio che si fonda sui racconti di malattia delle persone. Questo tipo di approccio, non solo garantisce un mi-glioramento nel percorso terapeutico-assistenziale ma anche nel rapporto empatico tra operatore e paziente, in cui si va-lorizza la prospettiva del soggetto e dei familiari (2). Tutto ciò significa ricorrere a un approccio anche qualitativo nell’assi-stenza infermieristica (oltre a quello tradizionale) introducen-do nuovi strumenti per indagare la malattia come esperienza esistenziale in cui ricercare significati.Tra la fine del XIX e l’inizio del XXI secolo si è affermata una impostazione metodologica che ha sempre più privilegiato le evidenze scientifiche rispetto al vissuto della persona. L’Evi-dence Based Medicine nacque come reazione ad una pratica medica basata su conoscenze antiquate. Per questo, negli anni ’70 l’epidemiologo A.Cochrane sottolineò l’importanza di rac-cogliere i risultati scientifici e portò, nel 1993, alla nascita della prima banca dati pensata per aggiornare e diffondere i dati ba-

sati sugli outcomes dell’assistenza sanitaria (3). Lo sviluppo del Web, le riviste specializzate e le banche dati on line alimentaro-no la diffusione e la condivisione delle evidenze scientifiche. A questo si aggiunga che, dal secondo dopoguerra in poi, in USA e in Inghilterra, lo sviluppo tecnologico e la specializzazione medica diedero luogo ad uno spostamento dalla cura della persona alla cura dell’organo, del tessuto e, infine, della cellula. Tutto questo portò a un distacco tra medico professionista e paziente ignaro. Nel 1993 l’articolo “The microstorypathway of executive nur-sing rounds: tales of living caring”raccontava l’insoddisfazione degli infermieri di ospedali sovradimensionati e altamente tec-nologizzati in cui i rapporti umani erano sempre più difficili (4). In controtendenza a questa deriva, nel 1994 con l’artico-lo “We are the Stories we Tell. Narrative knowing in Nursing Practice” l’infermiera M. Sandelowsky affermò che la relazione tra operatore, paziente e caregiver, avrebbe facilitato l’ideazione e la progettazione del processo assistenziale (5).

Metodi e strumentiL’affermazione dell’infermiera R. Beuthing citata prima, ha dato l’input per ideare la presente ricerca e per sviluppare il nostro quesito: l’operatore che ha vissuto un’esperienza di malattia, riunendo in sé il ruolo di operatore e paziente, può rappresentare una ricchezza nel prendersi cura della persona assistita?È stato scelto di realizzare una ricerca qualitativa, fenomeno-logica che ha visto tre fasi.Nella prima è stata realizzata una revisione nella letteratura che ha portato alle selezione di articoli(6;7;8;9) che trattano di tematiche specifiche come l’esperienza della degenza e i suoi influssi sulla vita professionale. Nella seconda fase è stata fatta un’intervista semi-strutturata a 12 operatori (un medico geriatra, sei infermieri di assistenza domiciliare, tre infermiere di sala operatoria, un’infermiera in salute mentale e un’altra di cardiologia) i quali sono stati contattati telefonicamente e incontrati personalmente dopo avere ricevuto il consenso all’intervista che è stata audio-re-

L’ESPERIENZA DI MALATTIA DELL’OPERATORE COME PROCESSO EMPATICO UNA RICERCA QUALITATIVA

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14 | STUDI E PROGETTI

gistrata.È stato chiesto loro: “l’esperienza di una malattia vissuta da un operatore sanitario può influenzare la propria capacità empa-tica nel rapporto con la persona assistita? Quali sensazioni ed emozioni ha provato durante il suo percorso terapeutico-as-sistenziale? Nelle richieste di assistenza, si è rivisto in quelle dei suoi assistiti?”Le interviste sono state trascritte e analizzate secondo il me-todo Van Kaam. Dall’analisi, le frasi che avevano delle simili-tudini, sono state raggruppate in tre “etichette” (A; B; C) che hanno permesso uno studio più mirato.L’etichetta «A» riporta sensazioni ed emozioni provate du-rante la degenza. Qui si legge un senso di solitudine e smar-rimento. Qualcuno ha affermato: “[…] per me è stata una doccia fredda. Ero incredula. Ero io dall’altra parte. Avevo le stesse paure del malato del letto accanto al mio. Ero stata ca-tapultata in un mondo ignoto dove nessuno ti comprende”.(infermiere ADI)“[…] essere paziente significa vedere molte cose che dall’altra parte non si percepiscono. Ho provato disagio ed ero molto ansioso perché pensavo alla mia famiglia che si preoccupa-va per me. Non mi piace dare pensieri a nessuno. Però non posso negare di essermi sentito solo […]”.(infermiere sala operatoria)

L’etichetta «B» registra il bisogno di essere ascoltati: “Nei vari controlli provavo un senso di violazione della mia intimità, […] pensavano che sapessi fare il bravo paziente visto che ero infermiera […] avevo tanto bisogno di parlare, ma nessuno si soffermava ad ascoltare i miei sfoghi. Sentivo di dare fastidio ai miei colleghi […] cercavo di non suonare mai il campanel-lo, anche se avrei voluto che fossero venuti spontaneamente, tanto per chiedermi come stavo”. (Infermiere ADI)“[…] ho visto molte lacune nei miei colleghi che mi facevano arrabbiare. Non avevo tante esigenze, però la mia flebo era sempre finita e non veniva mai nessuno a cambiarla”. (Infer-miere ADI)

Nell’etichetta «C» si legge una nuova consapevolezza sulla propria professione: “Il mio percorso da paziente mi ha aiu-tato a migliorare la relazione con la persona malata. […] le faccio capire che so quello che prova, mi adeguo meglio alle sue necessità e mi impegno ad essere efficiente in tutto. Sono più gioviale e il mio lavoro lo faccio con più passione e pa-zienza”. (infermiere)“[…] ogni volta che inizio un percorso assistenziale, cerco di avere un ruolo di osservatore doppio. Nel senso che cerco sempre di immedesimarmi nel paziente e nell’essere infer-miera”. (infermiera sala operatoria)

RisultatiIl confronto tra la revisione bibliografica e quanto è emerso dalle interviste del presente studio ha portato all’individuazio-ne di alcuni elementi comuni. Il primo è che l’esperienza di malattia ha avuto sugli operatori un impatto tanto forte da cambiarne la visione del mondo. Il secondo è che, durante la degenza, tutti hanno provato di-sagio a causa del distacco dei colleghi che hanno considerato

come un ingrediente del proprio senso di solitudine e una componente traumatica della malattia. Infine, gli intervistati riportano una rinnovata consapevolezza dell’importanza di essere coinvolti nel processo di cura attraverso una relazione empatica basata su vicinanza e ascolto attivo. Inoltre gli inter-vistati hanno ravvisato un beneficio nel ripercorrere la loro esperienza attraverso l’intervista semi-strutturata che gli ha consentito una ulteriore rielaborazione del proprio vissuto. ConclusioniL’esperienza di malattia dell’operatore è un patrimonio per tutti coloro che sono implicati nel processo assistenziale. Leg-gendo le esperienze dei colleghi, gli operatori possono guar-dare la malattia da una prospettiva più interna accrescendo l’auto-consapevolezza riguardo i bisogni del paziente e lo svolgimento della propria professione. Inoltre è importante rilevare che gli operatori-pazienti sot-toposti ad intervista semi-strutturata hanno riferito di aver tratto beneficio nel raccontare la loro esperienza attraverso l’intervista che li ha condotti a riesaminare a un livello più approfondito la propria esperienza di malattia e il proprio percorso assistenziale a conferma dell’importanza della nar-razione.Ovviamente questo è un risultato parziale basato su una ricer-ca condotta solo su un piccolo numero di persone. Per questo si ritiene importante la necessità di non assolutizzare le con-clusioni qui riportate e, volendo, di estendere l’indagine.

Bibliografia1 Rosanne E. Beuthin, RN, MN. Article, “ Cultivating a Narrative Sensibilty

in Nursing”, Journal of Holistic Nursing, Volume XX, Number X. 20142 Charon R., Narrative Medicine. A model for empathy, reflection, profes-

sion and trust, JAMA, October 17, 2001, Vol 286, No. 15, p. 1 3 Zannini L., Medicalhumanities e Medicina Narrativa. Nuove prospettive

nella formazione dei professionisti della cura, Raffaello Cortina Editore, 2008.

4 Bowles N., Story telling: a search for meaning within nursing practice, Nurse Education Today (1995) 15, 365-369. UK.

5 SandelowskiM., We are the Stories we Tell:Narrative Knowing in Nursing Practice,J Holist Nurs, March 1994 12: 23-33.

6 The experience of the female nurse who is a patient: powerless or in con-trol?, The Australian Journal of Holistic Nursing,1998 Apr;5(1):32-8.

7 Nurses as patients: the voyage of discovery, International Journal of Nur-sing Practice,1999 Jun;5(2):64-71.

8 Senior nurses as patients: narratives of special and meagre care, HYPER-LINK “http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/19117499” \o “Contempo-rary nurse.”Contempory Nurse. 2008 Dec;31(1):32-43.

9 Quando l’infermiere diventa paziente. Uno studio qualitativo sull’im-patto dell’esperienza di malattia, Italian Journal of WOCN,Vol 1 Num, 2 Settembre 2011.

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15APPROFONDIAMO |

◊ Di Patrizia Signoroniinfermiera coordinatore [email protected]

Generalmente si fa corrispondere la nascita della professione infermieristica, modernamente intesa, all’attività di Florence Nightingale, ma in realtà l’assistenza infermieristica nasce mol-to prima, con almeno tre figure maschili, i cosiddetti riforma-tori dell’assistenza. Sono, infatti, San Camillo de Lellis (1550-1614), San Giovanni di Dio (1495-1550) e San Vincenzo de’ Paoli (1576-1660) gli uomini - tutti infermieri - che vengono comunemente ricono-sciuti come i principali promotori della riforma dell’assistenza. Le radici dell’assistenza infermieristica dello stare vicino, del prendersi cura, per tutta la tradizione europea prende corpo dall’attività rivoluzionaria di questi tre grandi personaggi, che coniugavano competenza tecnica e dedizione per il proprio la-

voro (basti pensare, come esempi delle loro genialità all’inven-zione del campanello, della comoda, delle “consegne”infermie-ristiche. e della suddivisione dei malati in base alla malattia.)1. Una svolta epocale che si riflette con particolare evidenza nel-la nuova concezione dell’assistenza ai malati e nel rapporto tra questi e gli operatori della salute - medici e infermieri - in pri-mis.In particolare, va ricordato che, grazie al “loro umanesimo dal basso, proprio di persone del popolo che in veste di infermie-ri si volgevano alla cura degli infermi”2 riuscirono, vivendo a stretto contatto con un’umanità sofferente e afflitta, a riportare al centro dell’interesse generale la condizione individuale del malato al di là delle sue condizioni culturali o materiali.

STORIA DEGLI INFERMIERI UOMINI NEL NURSING

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16 | APPROFONDIAMO

Lo storico della medicina Giorgio Cosmacini definisce, ancora ai giorni nostri, De Lellis come la figura dell’infermiere ideale, protagonista dell’utopia ospedaliera del Seicento.3 Lo sviluppo del nursing moderno, iniziato dalla Nightingale, ri-mosse effettivamente la presenza degli uomini dalla professione riuscendo, di fatto, a far nascere la prima professione femminile. Oggi è molto difficile ricreare quello che significava allora, l’idea di una professione femminile. Per le donne ritenute rispettabili, uscire dalla casa patriarcale e assumere un ruolo nel mondo era possibile solo in modi ben de-finiti: le donne cattoliche, se avevano un’educazione adeguata e la dote necessaria, potevano andare in convento, ma per la maggior parte delle donne il matrimonio, che trasferiva semplicemente il possesso della donna al marito, era l’unica soluzione per sfuggire all’autorità paterna.4 Le poche donne rispettabili, che dovevano lavorare fuori casa, potevano aspirare a fare la governante che equivaleva a diventa-re serve tuttofare. Le donne che lavoravano come infermiere si confrontavano così anche con i nuovi problemi delle relazioni sociali e del decoro: il problema più pressante era avere a che fare con gli uomini (pazienti, medici, gli studenti medici, gli ammini-stratori e i rappresentanti politici) e assistere i corpi malati degli estranei, principalmente estranei uomini che erano la maggio-ranza dei pazienti negli ospedali del 19° secolo.5Questa esperienza minacciava la loro rispettabilità e rischiava di stigmatizzarle sia per la loro presunta immoralità sia per l’idea di “contaminazione” insita proprio nell’assistenza ai malati. Nel 19° secolo le riformatrici, come la Nightingale seguirono la strada, aperta per loro, dalle suore infermiere per aiutare le donne che volevano o avevano bisogno di lavorare fuori casa a trovare un lavoro retribuito. In una società in cui, i ruoli dell’uomo e della donna erano mol-to rigidi e le persone apprezzavano il rossore come espressione dell’innocenza, i teorici del nursing avevano bisogno di difende-re le infermiere che possedevano nozioni di anatomia e fisiolo-gia (conoscenze considerate inappropriate per una donna) e si confrontavano con la spiacevole e poco signorile realtà come la malattia e la povertà. Per questo i teorici del nursing agirono a diversi livelli.6 Innanzitutto eliminarono qualsiasi connotazione di genere ses-suale nelle infermiere chiedendo loro di indossare un’uniforme che fosse il meno attraente possibile. Nei paesi anglofoni le infermiere venivano chiamate “Sister” sorelle che denotava l’infermiera come educata e rispettabile e - forse più importante - enfatizzavano una visione “angelicata” del nursing come essenzialmente una vocazione. Le studentesse non potevano sposarsi e venivano rinchiuse in luoghi come dormitori vicino all’ospedale. Si sostenne che le infermiere fossero portate a sacrificare se stes-se e che fossero moralmente superiori, e che avrebbero, quindi, messo ordine nel caos degli ospedali. Questo scopo quasi religioso elevò lo status sociale sia del nur-sing che delle infermiere stesse, visto che, fondare il lavoro sull’altruismo, sulla carità e sull’abnegazione - lavoro che era nel mondo ma non del mondo - fu fondamentale per rimuovere lo stigma sociale. Ma la femminilizzazione del nursing fu anche largamente ap-prezzata dal mondo sanitario: già dai primi pronunciamenti i

medici tesero a preferire per l’assistenza infermieristica l’elemen-to femminile a quello maschile. Le motivazioni della scelta della donna nell’assistenza infermie-ristica risiedono in questioni economiche e di caratteristiche na-turali legate al sesso. In questioni economiche perché la donna, a parità di condizioni, dava la medesima quantità di lavoro e costava meno del’infer-miere, non avendo il carico della famiglia.7 Secondo il rilevamento statistico-amministrativo sul servizio degli ospedali inglesi, il salario del personale femminile era, nel 1902, mediamente inferiore di quasi il 30% rispetto a quello del personale maschile. Inoltre si ritenne che la donna, per qualità naturali, si prestasse meglio dell’uomo alle cure pazienti e amorose verso gli ammala-ti.”. La donna è nata per esercitare la vita dell’infermiera”8. Le esistenti infermiere laiche, che similmente ai loro compagni maschi provenivano dagli stati sociali più bassi della società, vennero però ritenute ancora inadatte a svolgere funzioni assi-stenziali ritenute così delicate ed importanti. Nel modello inglese i medici ritennero perciò che le candida-te al lavoro infermieristico dovessero essere scelte tra le donne del medio ceto, dotate di una cultura generale discreta, adatte al disimpegno delle più delicate mansioni alle quali una donna gentile può aspirare. Come si può ricavare dalle caratteristiche che, in genere i medi-ci richiedevano per il personale infermieristico, la scelta dell’e-lemento femminile, ritenuto naturalmente più portato all’as-sistenza, può essere vista non soltanto in funzione del malato, ma anche in funzione della subalternità al medico stesso, come trasposizione nel campo professionale della più generale subal-ternità della donna all’uomo. Questo significò che, il reale e grande successo dei teorici del nursing nel creare la prima professione di massa delle donne, mise le infermiere nella situazione paradossale di giocare un ruolo importante nell’assistenza sanitaria, ma di banalizzarlo puntando solo sulla virtù e l’etica. Inoltre, enfatizzando le caratteristiche femminili, il nursing ha mantenuto la professione sotto il controllo delle donne, ma ha di fatto creato un blocco all’entrata di quegli uomini che voleva-no fare l’infermiere. In Italia il campo dell’assistenza in quegli anni è trascurato dalle ragazze che studiano, trovandosi moltissime maestre, ma po-chissime che si occupano del nursing, a differenza di quanto suc-cedeva in Germania dove molte signorine invece di fare le gover-nanti o le maestre preferivano dare le loro cure agli ammalati.9 In Italia, contrariamente a quanto accadde in Inghilterra ed in America, le giovani non considerarono per diversi anni l’arte dell’infermiera come abbastanza elevata per farne una vera pro-fessione. Il perché le donne italiane preferivano sposarsi o aspettare o ri-volgere la propria attenzione verso altre professioni, trova mo-tivazione nelle pessime condizioni di lavoro del personale di assistenza. 10 Ma lo sviluppo della società porta progressivamente ad una ra-dicale trasformazione del ruolo delle infermiere, che acquistano sempre più competenza e autonomia professionale. L’evoluzione della medicina, lo sviluppo tecnologico, il passag-gio dalla concezione di accudimento e sorveglianza del malato

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17APPROFONDIAMO |

all’idea di cura, trattamento e guarigione, l’espansione del siste-ma ospedaliero, rappresentano elementi di innovazione negli anni tra il 1920 e il 1960-1970, tali per cui si modificano radi-calmente il bisogno sanitario e le possibilità di risposta da parte degli operatori. Tra le prime conseguenze di tali cambiamenti sulla professione infermieristica si riscontrano segnali di inade-guatezza del sistema formativo costituito dalle scuole convitto e una carenza strutturale di personale, fattori che rappresentano la principale ragione della soluzione normativa contenuta nella legge 124/1971. “Estensione al personale maschile dell’esercizio della professio-ne di infermiere professionale”: recita così la legge n. 124 del 25 febbraio 1971, con la quale si sancisce una vera rivoluzione nel mondo infermieristico. Dunque, anche per ragioni di equità sociale, la professione non può più essere preclusa agli uomini, ai quali oltretutto era invece già consentita la funzione di infermiere generico (e proprio sulla distinzione tra infermiere professionale e infermiere generico si aprirà un non facile dibattito tra i legislatori, interessati a reclu-tare personale, e i Collegi Ipasvi, preoccupati della tutela di una qualificazione professionale acquisita attraverso molti anni di studio). 11 L’immissione degli uomini nei ruoli professionali produrrà an-che un’accelerazione del cambiamento dei percorsi formativi, a cominciare dai Convitti che dovranno derogare all’internato per i nuovi allievi. L’apertura formale alla componente maschile, ancorché storica-mente minoritaria, fino a quel momento esclusa dalla professio-ne, si pone come una svolta di rilievo sociale e professionale. Non si deve pensare ad un processo lineare di maturazione dell’idea culturale di vedere gli uomini infermieri professionali; al contrario in quegl’anni il dibattito è stato puntuale, vivo e a tratti feroce. I leader della professione infermieristica, per motivi ovvi e a lungo descritti, non videro di buon occhi l’ingresso degli uomi-

ni nella professione propriamente intesa: arriveranno in alcuni momenti a scrivere che l’introduzione della figura maschile cor-risponde ad una diminuzione della qualità dell’assistenza infer-mieristica stessa. E’ certo che l’ingresso degli uomini nella professione ha indotto cambiamenti profondi nelle motivazioni ed una maggiore parte-cipazione della categoria alle rivendicazioni sindacali ed ai cam-biamenti sociali. La componente maschile ha allargato le prospettive occupa-zionali, soprattutto in settori tecnici ed altamente specializzati dell’assistenza e ha favorito il progressivo miglioramento delle condizioni contrattuali e lavorative. Tuttavia l’esclusione degli uomini, negli anni in cui si gettavano le basi del nursing moderno, ha creato un modello che si è pro-fondamente radicato sia nell’infermieristica sia, in maniera più ampia, nella società che, di fatto, vede ,questa professione, come un lavoro da donne.

Bibliografia1 Cosmacini G (2005 )“L’arte lunga Storia della medicina dall’antichità ad

oggi” La Terza ,Bari 2 Cosmacini G.(2007) “ La salute la cura la storia “ Ed Velar, Roma 3 Cosmacini, G. , Op cit. 4 Motti, L.(2000) Le donne Ed Riuniti, Roma 5 Calamandrei, C.(1993) L’assistenza infermieristica. Storia,teoria e meto-

di,NIS6 Gamarnikow, E.(1991) Nurse or woman: Gender and professionalism in

reformed nursing 1860-1923,Anthropology and Nursing (151-167) Lon-don,Routledge

7 Gamarnikow E., Op. cit. 10 8 Celli ,A.(1908 ) La donna Infermiera in Italia in La nuova Antologia,Roma 9 Celli A., Op. cit. 10 Calamandrei C., Op. cit. 11 Calamandrei C., Op. cit.

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18 | COLLEGIO

La notizia! Da www.news.admin.chBerna, novembre 2014 - La qualità della formazione del personale sanitario offerta dalle scuole universitarie pro-fessionali va promossa. L’avamprogetto è stato accolto positivamente dai partecipanti alla procedura di consul-tazione. Il Collegio governativo ha pertanto incaricato il Dipartimento federale dell’interno DFI e il Dipartimento federale dell’economia, della formazione e delle ricerca DEFR di elaborare il relativo messaggio entro l’autunno 2015.La nuova legge stabilisce requisiti unitari per la formazio-ne a livello di bachelor di infermieri, fisioterapisti, ergote-rapisti, levatrici e dietisti e disciplina inoltre l’esercizio del-la professione sotto la propria responsabilità professionale di chi ha concluso uno di questi cicli di studio.Dopo la procedura di consultazione, il Consiglio fede-rale ha deciso d’istituire un registro nazionale delle pro-fessioni sanitarie, con l’obiettivo di accrescere la sicurez-za dei pazienti e sorvegliare l’esercizio della professione. È inoltre necessario valutare se la legge debba discipli-nare anche i cicli di studio del livello master e l’esercizio delle relative professioni. Il bachelor dovrebbe tuttavia restare il titolo che abilita all’esercizio della professione. Insieme ai partner del settore formativo e sanitario si do-vrà inoltre riflettere sull’opportunità di integrare nella leg-ge altre professioni sanitarie insegnate a livello di scuola professionale universitaria o di scuola specializzata supe-riore.Come sottolineato dal Consiglio federale nelle sue priorità di politica sanitaria «Sanità2020», per ga-rantire e promuovere cure di elevata qualità è neces-saria una legge federale sulle professioni sanitarie. Questo obiettivo è anche in linea con il nuovo articolo co-stituzionale sulle cure mediche di base, approvato a larga maggioranza dal Popolo nel maggio del 2014.

E per per noi italiani? La recente normativa ( c.566 L.190/2014) introduce nei prin-cipi una riorganizzazione dei percorsi formativi per gli infer-mieri, soprattutto al riguardo della formazione specialistica post laurea.Alessandro Mancini consigliere del Collegio IPASVIFirenze e Professore a contratto UNI Firenze ci esprime la sua opi-nione:-Una formazione di alta qualità per gli operatori sanitari è ormai un’esigenza non più rinviabile.Occorre immaginare finalmente una formazione in linea con l’ottica europea.Gli attuali tentativi delle nostre Università, volti a rivedere i modelli di sviluppo di competenze, trova spesso ostacoli sia di metodo che di contenuto. La verità è che la formazione è un processo aperto, una attività sempre non conclusa, che ci chiede di imparare ad imparare per tutta la vitaprofessionale e non e nei diversi contesti: vita personale, la-voro, studio.Quanto sopra: da un lato implica che siamo chiamati ad im-plementare competenze sempre nuove, per rispondere ad una complessità sempre crescente in maniera efficace ed efficien-te, evitando nuove forme di esclusione nel contesto sociale;Dall’altro la velocità dei cambiamenti e la loro complessità, agisce da ostacolo ad una riflessione approfondita, riguardo ad abilità, conoscenze, ai contesti e modalità di sviluppo.Alla luce di quanto sopra, le competenze rappresentano il fonda-mento su cui costruire l’Europa della conoscenza, ma devono es-sere considerate un processo dinamico, in continua evoluzione.L’attenzione deve essere a mio avviso, spostata dal soggetto “competenza” come elemento acquisito una volta per tutte, al processo tramite il quale vengono attivate e mobilitate le risorse personali in contesto.come direbbe Wiggings “non è importante ciò che si sa fare, ma ciò che si sa fare utilizzando ciò che si sa”.

IL CONSIGLIO FEDERALE SVIZZERO VUOLE UNA FORMAZIONE DI ELEVATA QUALITÀ PER IL PERSONALE SANITARIOLA PAROLA ALL’ESPERTO

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19COLLEGIO |

FACCIAMOCI RAGGIUNGERE

Carissimi colleghi, rimane ancora molto difficile per la segreteria del Collegio raggiungere molti iscritti con le comunicazioni. Questo nonostante la tecnologia ormai faciliti gli scambi d’informazioni fra persone, in ogni angolo di questo pianeta. Risorsa di fatto resa inutilizzabile se non siamo disponibili al dialogo, se non trasmet-tiamo i nostri recapiti, quelli giusti.Vi invitiamo pertanto a comunicare alla segreteria del Collegio [email protected] oppure [email protected] il vostro recapito telefonico e la vostra email, indicando il nome del mittente e se possibile il numero d’iscrizione all’albo.Vi invitiamo anche ad iscrivervi alla newsletter e\o news direttamente dal sito www.ipasvifi.it potrete ricevere le comunicazioni periodiche e le news giornaliere.

[email protected] - redazione@ ipasvifi.it - [email protected] - [email protected]@ipasvifi.it - [email protected] - [email protected] - [email protected] - [email protected]

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20 | NURSING DI GENERE

◊ Di Margherita Rocchi Infermiera. [email protected]

L’Organizzazione Mondiale della Sanità considera la violenza contro i minori uno dei maggiori problemi di sanità pubbli-ca. Tutt’oggi è un fenomeno sottostimato in quanto molti casi non vengono all’attenzione dei servizi sociali o delle autorità competenti. Per questo i dati che più si avvicinano alla realtà sono quelli che risultano da un’analisi retrospettiva del feno-meno.Dagli studi è emerso anche che c’è una forte correlazione fra maltrattamento dei bambini e violenza contro le donne in ambito familiare. Per questo si parla di violenza assistita per-chè il 62% degli episodi di violenza sulle donne da parte del partner è avvenuto in presenza di figli minorenni.Le ripercussioni della violenza sul bambino sono plurime, danni fisici, danni psicologici, fino alla morte. Ma è impor-tante ricordare anche il problema della “trasmissione della violenza”. Chi ha subito maltrattamenti durante l’infanzia e non ha potuto rielaborare l’esperienza, da adulto presenta un rischio superiore di diventare un genitore maltrattante o un partner abusante rispetto a chi non ha subito alcuna forma di violenza.In sintesi: le violenze sui minori sono frequenti e hanno un impatto devastante sia sulle vittime, sia sulle generazioni suc-cessive, quindi è molto importante identificarle, prevenirle, o comunque limitarne le conseguenze negative; in questo ha un ruolo centrale e fondamentale l’infermiere.L’Organizzazione Mondiale della Sanità afferma che “ogni na-zione o ogni operatore ha la responsabilità di ridurre il feno-meno del maltrattamento attraverso misure preventive e deve garantire protezione, giustizia e cure per i bambini che sono stati maltrattati”.Il fenomeno deve essere affrontato in un’ottica di prevenzio-ne, diagnosi e trattamento precoci. A tal fine è importante conoscere quali sono i fattori di rischio, i segni e i sintomi che devono far sospettare la presenza di violenza e determinare, quindi, le azioni da intraprendere.I fattori di rischio possono essere suddivisi in tre gruppi:

• fattori di rischio individuali (caratteristiche dei bambini) come nati da gravidanze indesiderate, che richiedono at-tenzioni speciali;

• fattori di rischio legati alla famiglia come violenza dome-stica, approvazione e/o utilizzo di punizioni fisiche, sepa-razione conflittuale dei genitori, psicopatologia di uno o di entrambi i genitori;

• fattori di rischio legati alla comunità come tolleranza o va-lorizzazione della violenza, rapporto tra i sessi caratteriz-zato da valori patriarcali e maschilisti, carenza di servizi di supporto alle famiglie, conflitti sociali o guerre

Gli indicatori di violenza sono costituiti da:• sintomi psicologici/comportamentali come: agitazione ir-

requietezza, aggressività, difficoltà di concentrazione, di-sturbi del sonno, autosvalutazione, ansia, fobie

• sintomi e segni fisici come: ematomi, ecchimosi in sedi che normalemente non vengono urtate, o in bambini non in grado di deambulare, ematomi multipli della stessa forma e dimensione, ustioni in sedi non usuali, con spiegazio-ni non plausibili, ustioni a guanto, a calzino o che ripro-ducono la forma di un oggetto, danni viscerali in assenza di trauma maggiore, fratture multiple con diversi stadi di guarigione, lacerazioni genitali, sanguinamenti genitali persistenti.

Un atteggiamento scorretto da parte della prima perso-na adulta alla quale il bambino racconta la sua storia potrà compromettere gravemente il successivo iter diagnostico e giudiziario e il percorso per la riparazione del danno. E’ im-portante quindi avere un atteggiamento di ascolto sincero, mostrando di tenere in grande considerazione quanto rac-contato dal bambino e trasmettere la sensazione che si farà di tutto per aiutarlo.Il principale intervento di tutela che un operatore sanitario può attuare in queste situazioni è la segnalazione. La segnala-zione é una comunicazione che va inoltrata alla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni in tutti i casi in cui sussista una condizione di rischio1 oppure di pregiudi-zio2 per un minore, al fine di attivare i necessari interventi di protezione dello stesso.La segnalazione è un atto di responsabilità individuale obbli-gatoria per i pubblici ufficiali e per gli incaricati di pubblico servizio (artt. 357 e 358 c.p.) e riguarda gli operatori sociosa-nitari ma anche gli insegnanti.

La violenza contro le donne è una delle forme più diffuse di violazione dei diritti umani. Essa rappresenta una grave cri-ticità per il sistema della sanità pubblica e un grave ostacolo all’eguaglianza e allo sviluppo sociale. Tra le varie forme di violenza contro le donne, la violenza domestica, ovvero at-tuata da un partner intimo -marito, convivente, fidanzato- è

VIOLENZA CONTRO DONNE E MINORI

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21NURSING DI GENERE |

quella più frequente. La violenza domestica si basa su un in-sieme di comportamenti finalizzati a stabilire e mantenere il controllo sulla partner all’interno della relazione.Ciò che caratterizza gli uomini violenti è un’idea della donna come essere inferiore, che non ha diritto all’autonomia, alla libertà, e una idea di se stesso come legittimato a controlla-re, dominare, possedere questa donna. Gli uomini violenti hanno subito più spesso degli altri maltrattamenti in famiglia o hanno visto il padre picchiare la madre. Questo conferma l’iportanza di intervenire nei casi di violenza “domestica”, in modo da prevenire le gravi conseguenze sui bambini e il per-petuarsi delle violenze. La violenza domestica contro le don-ne coinvolge sempre anche i bambini sia perchè possono a loro volta subirla direttamente, sia perchè diventano vittime di violenza assistita. Quest’ultima è ormai riconosciuta come una vera e propria forma di abuso all’infanzia data l’assolu-ta sovrapponibilità degli esiti post-traumatici (WHO, 2002; ONU, 2006).Secondo un rapporto dell’UNICEF (2006), tra il 40% e il 70% dei mariti o compagni maltrattanti sono violenti anche con i figli.Per effettuare adeguati interventi sulle situazioni di abuso è innanzitutto necessario avere alcuni basilari strumenti per poter rilevare e riconoscere la violenza. Ciò richiede che gli operatori assumano un atteggiamento mentale ed emotivo sempre aperto alla possibilità che alla base delle problemati-che ci possa essere una situazione di maltrattamento.

Proprio l’estrema diffusione di questo tipo di situazioni deve indurre gli operatori a considerare sempre la violenza come una delle possibili cause del disagio delle donne e a porre di prassi, nell’ambito della visita anamnestica, domande diret-te relative al subire o all’aver subito diversi tipi di violenza. L’esperienza dimostra quanto le donne siano disponibili a rispondere vivendo con sollievo il sentirsi riconosciute nella loro problematica e legittimate a parlarne. Va sottolineato che se un servizio non rileva i casi di violenza è solo per l’incapa-cità degli operatori di vederla e di approcciarsi al problema in modo adeguato.Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità gli operatori sanitari sono di solito tra i primi a vedere le vittime di violen-za e possono intervenire in maniera efficace perchè possiedo-no specifiche competenze tecniche.Le donne che hanno subito violenza costano alla società più del doppio delle donne che non l’hanno subita, in quanto uti-lizzano 3 volte di più i servizi sanitari, fanno maggior uso (e abuso) di psicofarmaci, perdono più giorni di lavoro, vanno più frequentemente incontro a invalidità.

1/3 delle donne nel mondo ha subito violenzaNel 61% dei casi l’aggressore è il partnerNel 62% dei casi i bambini assistono alla violenza. In questi casi si parla di violenza assistita17 miliardi di euro è il costo della violenza in Italia

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22 | PARLIAMO DI...

◊ Di Nadia Chiariinfermiera libero professionista [email protected]

Immagino l’assistenza ai pazienti quando veniva esercitata dalle cosiddette crocerossine e ancora il moderno concetto di infermieristica era piuttosto lontano dal panorama sani-tario, tra la fine dell’800 ed il primo ‘900; negli ospedali la percezione di essere presi in carico da una sorta di famiglia patriarcale tradizionale: un padre autorevole, con l’aria sicu-ra e le convinzioni imperturbabili, una madre affettuosa e premurosa, piena di attenzioni nei confronti del suo assistito. Sono sicura che nessuno avrà pensato che il padre autore-vole rappresentasse un infermiere e la madre premurosa un medico, e qui sta probabilmente la verità che anche oggi si cela dietro i ruoli professionali propri del medico e dell’in-fermiere. A proposito del nursing infatti, non è certo un caso che ci si interroghi sulla combinazione tra il ruolo tecnicistico e quel-lo umanistico del “prendersi cura”, tipico del ruolo materno, tant’è che neanche la scelta di rivolgersi al termine inglese è casuale. Per descrivere la nostra professione ci siamo rivolti ad una lingua che già aveva esaminato questi aspetti, e con attenzione li aveva coalizzati, ai tempi di Florence Nightin-gale, in un solo vocabolo, che letteralmente significa allattare, nutrire al seno, prendersi cura del piccolo. Ciò che stupisce, oltre al fatto che si è scelto di identificare l’attività di una professione con un termine così eloquente, è che questa visione ben articolata e polimorfe dell’assisten-za infermieristica calza a pennello con la visione olistica del paziente. Infatti una madre ogni giorno prende attentamen-te in considerazione tutti gli aspetti della vita di suo figlio, dall’alimentazione alla rete di relazioni, dal tono dell’umore ad eventuali cambiamenti nel suo aspetto fisico. Non perde occasione di comunicare con lui, per verificare come procede il processo di crescita, sia fisica che psicologica, a tutte le età. Inutile sottolineare che queste attività, al di là delle presta-zioni tecniche che pure rientrano nella nostra professionalità, costituiscono una buona parte della complicata definizione di assistenza infermieristica. Non solo: un altro aspetto chiave del termine è quello relativo al ruolo educativo, la concezione di nursing come presa in carico della persona fino a quando

quella non riesce a rendersi indipendente, emancipata, e può pensare a se stessa in maniera autonoma, proprio come un assistito che recupera le forze ed è pronto a tornare alla sua vita di sempre. L’eccezionalità della nostra professione consiste nella modali-tà con cui si sposano il fattore umano, psicologico, millena-rio e imprescindibile, e le competenze in continuo sviluppo, al seguito del fugace dinamismo con cui si evolve il nostro progresso scientifico e tecnologico. Una coniugazione appas-sionante, che motiva e mette alla prova tutti noi ogni giorno, al fronte delle difficoltà quotidiane professionali ed organiz-zative, oggi più che mai, a causa dell’esiguità di risorse di cui dispone il nostro sistema sanitario. Del resto nel 1925, novanta anni fa, già qualcuno diceva: “Ab-biamo bisogno di capire e di affermare di nuovo che l’assisten-za agli infermi è una delle arti più difficili. La compassione può sicuramente fornire la motivazione, ma la conoscenza è la nostra unica forza per operare. Forse dobbiamo anche ricordare che il progresso del nostro lavoro deve essere pre-ceduto da idee, e che qualsiasi condizione che impedisca lo sviluppo del pensiero ne rallenta la crescita. Non ci accon-tenteremo di adottare sempre gli stessi metodi e le stesse tra-dizioni. Il nostro desiderio sarà quello di impegnarci sempre più a crearne di nuove” (Mary Adelaide Nutting).

NURSING:UN INGLESISMO CON MOLTI SIGNIFICATI, TUTTI INTORNO ALLA NOSTRA PROFESSIONE

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IPASVI Firenze EDITORIALE

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AL VIA LA STAGIONE FORMATIVA 2015 DEL COLLEGIO IPASVI FIRENZE

Un panorama di corsi per tutte le esigenze organizzati dal Collegio per i propri iscritti.Le iscrizioni dovranno essere fatte online sull’ apposita piattaforma TOM (training online mana-gement ) dal sito ww.ipasvifi.it>formazione.Attraverso la piattaforma TOM è anche possibile inoltrare le proprie proposte formative che sa-ranno valutate dalla commissione formazione del Collegio.

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