no tav in piazza - pmli · 2020-02-14 · 2 il bolscevico / no tav n. 45 - 20 dicembre 2018 100...

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLII - N. 45 - 20 dicembre 2018 A Torino tante bandiere rosse tra cui quella del PMLI 100 MILA NO TAV IN PIAZZA In maggioranza ragazze e ragazzi provenienti da tutta Italia. Delegazioni Fiom, No Muos, No Tap, No Terzo Valico, No Mose, No Trivellazioni, gilet gialli. Presenti anche gruppi cattolici. Slogan contro il governo Salvini-Di Maio. Importanti interventi di Lele Rizzo e Nicoletta Dosio. La delegazione del PMLI diretta da Urban lanciando “Bella ciao” e “Fischia il vento” coinvolge un gran numero di manifestanti IL 23 MARZO MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA A Niscemi un corteo unitario, combattivo e antimperialista UNA GIORNATA DI LOTTA, DI UNITÀ DI POPOLO CONTRO IL MUOS STRUMENTO DI GUERRE IMPERIALISTE Tante bandiere NO MUOS e con la falce e martello. Interesse verso il PMLI A CORINALDO (ANCONA). ERA EVITABILE Strage di ragazzi in discoteca Sei morti e oltre 60 feriti. Misure di sicurezza sotto accusa Nell’assemblea del 1°dicembre a Roma DE MAGISTRIS LANCIA UNA NUOVA TRAPPOLA ELETTORALISTICA PER COPRIRE A SINISTRA L’UE IMPERIALISTA E IL CAPITALISMO Presenti rappresentanti di Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, l’Altra Europa per Tsipras, e la Rete delle Città in Comune; assente Potere al Popolo Considerazioni sull’articolo de “Il Bolscevico” “Teniamo alta la bandiera del PMLI! Abbasso i traditori!” I TRADITORI DANNEGGIANO IL PMLI NELL’IMMEDIATO, MA LO RAFFORZANO IN PROSPETTIVA di Giordano - Paola (Cosenza) Amigos del PMLI-Panama invita gli iscritti a leggere l’articolo de “Il Bolscevico” “Teniamo alta la bandiera del PMLI! Abbasso i traditori” PAG. 5 Torino, 8 dicembre 2018. Manifestazione dei NoTav. Piazza Castello gremita durante i comizi conclusivi. A sinistra si nota il cartello del PMLI a sostegno della lotta (immagine tratta dal video pubblicato sul sito NoTav) Niscemi (Caltanissetta), 8 dicembre 2018. Un momento del combattivo corteo dei No MUOS. Con i cartelli contro MUOS e Tav, Sesto Schembri, Segretario della Cellula “Sta- lin” della provincia di Catania del PMLI (foto Il Bolscevico) PAG. 2 PAG. 3 PAG. 4 PAG. 12 PAG. 12

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Settimanale Fondato il 15 dicembre 1969 Nuova serie - Anno XLII - N. 45 - 20 dicembre 2018

A Torino tante bandiere rosse tra cui quella del PMLI

100 mila No Tav iN piazza

In maggioranza ragazze e ragazzi provenienti da tutta Italia. Delegazioni Fiom, No Muos, No Tap, No Terzo Valico, No Mose,

No Trivellazioni, gilet gialli. Presenti anche gruppi cattolici. Slogan contro il governo Salvini-Di Maio. Importanti interventi di Lele Rizzo e Nicoletta Dosio. La delegazione del PMLI diretta da Urban lanciando “Bella ciao” e “Fischia il vento” coinvolge un

gran numero di manifestanti

IL 23 MARZO MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA

A Niscemi un corteo unitario, combattivo e antimperialista

UNA gIorNATA dI LoTTA, dI UNITà dI PoPoLo coNTro

IL MUos sTrUMeNTo dI gUerre IMPerIALIsTe

Tante bandiere NO MUOS e con la falce e martello. Interesse verso il PMLI

A corINALdo (ANcoNA). erA evITAbILe

strage di ragazzi in discoteca

Sei morti e oltre 60 feriti. Misure di sicurezza sotto accusa

Nell’assemblea del 1°dicembre a roma

de MAgIsTrIs LANcIA UNA NUovA TrAPPoLA eLeTTorALIsTIcA

Per coPrIre A sINIsTrA L’Ue IMPerIALIsTA e IL cAPITALIsMo

Presenti rappresentanti di Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, l’Altra Europa per Tsipras, e la Rete delle Città in Comune; assente Potere al Popolo

considerazioni sull’articolo de “Il bolscevico” “Teniamo alta la bandiera del PMLI! Abbasso i traditori!”

i TradiTori daNNeggiaNo il pmli Nell’immediaTo, ma lo rafforzaNo iN prospeTTiva

di giordano - Paola (cosenza)

Amigos del PMLI-Panama invita gli iscritti a leggere l’articolo de “Il bolscevico”

“Teniamo alta la bandiera del PMLI! Abbasso i traditori”

PAg. 5

Torino, 8 dicembre 2018. Manifestazione dei NoTav. Piazza Castello gremita durante i comizi conclusivi. A sinistra si nota il cartello del PMLI a sostegno della lotta (immagine tratta dal video pubblicato sul sito NoTav)

Niscemi (Caltanissetta), 8 dicembre 2018. Un momento del combattivo corteo dei No MUOS. Con i cartelli contro MUOS e Tav, Sesto Schembri, Segretario della Cellula “Sta-lin” della provincia di Catania del PMLI (foto Il Bolscevico)

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2 il bolscevico / no tav N. 45 - 20 dicembre 2018

A Torino tante bandiere rosse tra cui quella del PMLI

100 MILA No TAv IN PIAzzAIn maggioranza ragazze e ragazzi provenienti da tutta Italia. Delegazioni Fiom, No Muos, No Tap, No Terzo Valico, No Mose, No Trivellazioni, gilet

gialli. Presenti anche gruppi cattolici. Slogan contro il governo Salvini-Di Maio. Importanti interventi di Lele Rizzo e Nicoletta Dosio. La delegazione del PMLI diretta da Urban lanciando “Bella ciao” e “Fischia il vento” coinvolge un gran numero di manifestanti

IL 23 MARZO MANIFESTAZIONE NAZIONALE A ROMA �Dal corrispondente del Piemonte del PMLIChe sarebbe stata una gran-

diosa manifestazione quella di sabato 8 dicembre a Torino con-tro le grandi opere lo si era capito dalle prime ore del pomeriggio quando Piazza Statuto era già gremita di manifestanti che sfi-davano le forti raffiche di vento aggrappandosi alle proprie ban-diere No Tav che, con grande or-goglio, portano in ogni occasio-ne utile mostrando la forza di un movimento popolare che da oltre 30 anni si batte in difesa della Val Susa contro le deprecabili spe-culazioni dei signori del cemento che, attraverso i propri rappre-sentanti politici, siano essi del Partito Democratico, della Lega di Salvini o di Fratelli d’Italia della Meloni, intendono ulteriormente cementificare una valle che nei decenni è stata ampiamente sa-crificata agli interessi del capita-le con strade, autostrade e linee ferroviarie.

Davanti al monumento al Tra-foro del Frejus di Piazza Statuto – che la tradizione popolare e operaia di Torino ricorda come monumento alla memoria delle sofferenze, dei patimenti e delle morti dei minatori che, nel lon-tano 1860 circa, iniziarono quei gravosi lavori – si sono dati ap-puntamento migliaia e migliaia di manifestanti provenienti da tut-ta Italia uniti da un solo grande obiettivo: bloccare a tutti i costi la devastazione dei territori ad ope-ra del famelico modo di produ-zione capitalistico e impedire che milioni di euro vengano destinati alle grandi opere inutili.

Negli anni il movimento valsu-sino No Tav ha fatto da nave scuola mostrando alle varie po-polazioni italiane che subiscono simili sopraffazioni che, lottando uniti per un determinato obiettivo, è possibile ottenere un vastissi-mo consenso popolare. C’erano infatti le bandiere del movimento No Mose di Venezia, le bandiere dei NO MUOS siciliani, contro il Terzo valico, i pugliesi No Tap e quelli contro le trivellazioni indi-scriminate. Insomma tutte le real-tà nazionali di difesa ambientale che hanno così degnamente e unitariamente celebrato la “Nona Giornata Internazionale contro le Grandi Opere Inutili e Imposte e per la Difesa del Pianeta”.

Chi cercava un onesto e serio confronto tra la manifestazione Sì Tav del 10 novembre scorso – che ha avuto una “regia” che cominciava da Confindustria e dal Partito Democratico per ar-rivare a Fratelli d’Italia passando dalla Lega di Salvini – avrà cer-tamente potuto verificare che i Sì Tav sono meri traghettatori di interessi economici di pochi ma facoltosi imprenditori che, tra l’altro, fanno impresa coi soldi pubblici, dunque, non rischian-do nulla di proprio direttamente. Oltretutto le grandi opere non ge-nerano molto lavoro per le masse popolari, come le ragioni della grande manifestazione No Tav ha saputo indicare, senza retori-ca. All’opposto il movimento No Tav ha segnalato, dati alla mano, che una vera, estesa e duratura occupazione, che impiegherebbe migliaia e migliaia di lavoratrici e lavoratori scaturirebbe da inve-stimenti pubblici nella ristruttura-zione e messa in sicurezza degli edifici scolastici, nella pulizia dei greti e argini dei fiumi e torrenti,

nella riapertura dei presidi sanitari e delle scuole nelle valli e nei pic-coli centri per evitare lo spopola-mento di territori, nella riqualifica-zione di strade e linee ferroviarie maggiormente utilizzate dai pen-dolari come, per esempio, nell’e-clatante caso della provincia di Biella, tra le pochissime province italiane a non avere ancora una linea ferroviaria elettrificata, che utilizza obsolete littorine che bru-ciano nafta, alla faccia della sal-vaguardia dell’ambiente.

Alle 14,30 è partito il corteo dei centomila, colorato, festoso, con tantissimi gruppi musicali, alcuni improvvisati e altri già ro-dati, che hanno accresciuto la voglia di lottare dei partecipanti. Tantissime le realtà dell’asso-ciazionismo ecologista tra cui spiccava Legambiente, tante le sigle sindacali, tra cui S.I.Cobas composto prevalentemente da lavoratori extracomunitari che hanno voluto contribuire alla lotta No Tav gridando slogan di oppo-sizione all’attuale governo, nello specifico contro Salvini e Di Maio apostrofati e, giustamente, insul-tati a più riprese. Tanti gruppi e movimenti anche cattolici. Non è mancata la presenza di una de-legazione dei gilet gialli francesi.

Parecchi i partiti con le ban-diere rosse e la falce e martello a significare che ancora tantissi-me e tantissimi militanti di sinistra sostengono che solo il sociali-smo potrà definitivamente impe-dire il saccheggio delle risorse pubbliche e favorire la custodia dell’ambiente ma, osservando obiettivamente la storia di tutte quelle formazioni politiche che si definiscono comuniste, scoprire-mo che tali partiti comunisti, lo stesso si potrebbe dire di Pote-re al popolo del luxemburghiano Giorgio Cremaschi, sono fondati su errate analisi politiche, pre-gni di riformismo, revisionismo e parlamentarismo, teorie politiche che nulla hanno a che spartire col vittorioso socialismo dei Maestri che, al contrario, è invece stato valorizzato e sviluppato dal PMLI presente coi propri vessilli all’im-portante manifestazione No Tav di Torino.

La delegazione marxista-leninista diretta dal compagno Gabriele Urban ha visto l’im-pegno militante di compagne e compagni giunti dal biellese e dalla Lombardia per formare lo spezzone ufficiale presentando le rosse bandiere del Partito e un cartello riportante, da un lato, il manifesto “Viva la lotta No TAV, no alla militarizzazione della val-le e ai manganelli, l’ultima parola alle popolazioni della Val Susa, buttiamo giù il governo nero fa-scista e razzista Salvini-Di Maio” e dall’altro l’invito alle masse popolari a leggere e utilizzare in modo attivo “Il Bolscevico”, il settimanale del PMLI, che il prossimo anno compirà 50 anni. Le compagne ed i compagni del PMLI, elogiati da un inaspettato e gradito messaggio del Segre-tario generale del Partito com-pagno Giovanni Scuderi, hanno rappresentato il cuore rosso del corteo e non si sono certamente risparmiati nel far giungere le no-stre rivendicazioni politiche alle masse. In primis, grazie all’infati-cabile compagna Cristina che sin dal concentramento ha diffuso oltre 500 volantini con le parole d’ordine del PMLI e poi, durante il corteo quando la delegazio-

ne ha ripetutamente lanciato gli slogan “Sì Tav uguale mafia, No Tav uguale libertà”, “Genova e Val Susa ce l’hanno insegnato, la lotta di massa non è reato”. Infine

ha attirato a sé il massimo dell’at-tenzione del maggior numero di manifestanti quando sono state intonate le bellissime canzoni di lotta “Bella ciao” e “Fischia il ven-

to” così da far letteralmente com-muovere un’anziana manifestan-te che ha voluto farsi fotografare a pugno alzato tra i compagni del PMLI.

Giunti in Piazza Castello la rappresentanza del PMLI s’è posizionata direttamente sotto il palco degli oratori per seguire i

SEGUE IN 3ª ë

Anche il manifesto che invita a collaborare con Il Bolscevico è stato por-tato in corteo (foto Il Bolscevico)

Sulla sinistra, l’infaticabile Cristina Premoli diffonde a tutto spiano il vo-lantino del PMLI in appoggio ai NoTav (foto Il Bolscevico)

Torino 8 dicembre 2018. In alto una bella inquadratura del grande corteo. Sullo striscione di apertura si legge “C’eravamo, ci siamo, ci saremo! Ora e sempre No Tav”

Un aspetto della delegazione del PMLI (foto Il Bolscevico)

N. 45 - 20 dicembre 2018 no muos / il bolscevico 3

principali interventi tra cui hanno certamente spiccato quelli di Lele Rizzo e Nicoletta Dosio, entram-bi storici leader del movimento, che raccontando con semplicità e coerenza le giuste motivazio-ni che rendono ancora oggi il movimento No Tav un grande

programma generale capace di affascinare e trascinare alla lotta giovani, lavoratrici e lavoratori e pensionati. Un movimento che ha a cuore il benessere e compren-de i bisogni delle masse popolari contro le pretese di devastazione e saccheggio degli speculatori. Nicoletta Dosio ha fatto un cal-zante parallelo con gli anni ’70

del secolo scorso quando la FIAT mosse i propri quadri dirigenti a scendere in piazza nel vile ten-tativo di oscurare le giuste riven-dicazioni degli operai FIAT che, con immenso orgoglio, avevano innalzato uno splendido ritratto di Marx, dipinto a mano, sui cancel-li della FIAT quale simbolo delle loro rivendicazioni contro lo sfrut-tamento della famiglia Agnelli. La Dosio ha affermato che “Oggi questa grande e vittoriosa ma-nifestazione è anche un riscatto popolare contro il padronato di ieri e quello di oggi che continua ad avere quale unico obiettivo fare soldi spremendo i lavoratori e prosciugando le risorse am-bientali”.

Al calare del sole di questa meravigliosa giornata di lotta torinese si è conclusa la manife-stazione No Tav ma non prima di lanciare un’imperdibile chiamata a scendere in piazza il prossimo 23 marzo a Roma con una grande manifestazione nazionale No Tav.

A Niscemi un corteo unitario, combattivo e antimperialista

UNA gIorNATA dI LoTTA, dI UNITà dI PoPoLo coNTro IL MUos sTrUMeNTo dI gUerre IMPerIALIsTe

�Dal corrispondente della Cellula “Stalin” della provincia di Catania

Nella Giornata di lotta europea contro le Grandi Opere Inutili e Im-poste, l’8 dicembre anche il mo-vimento NO MUOS ha indetto un corteo a Niscemi (Caltanissetta).

Un corteo partecipato, unita-rio, combattivo e antimperialista, a cui hanno risposto in centinaia provenienti da diverse parti della Sicilia con bandiere NO MUOS, è partito da Piazza Spasimo det-ta Marinnuzza ed è sfilato per le vie del centro per concludersi in Piazza Vittorio Emanuele.

Tante le bandiere con la falce e martello, quelle della Trinacria, dei Cobas e Usb e quelle dei NO TAV. Presenti tante associa-zioni, tra cui la Rete Antirazzista e le donne della Ragnatela. Tra gli striscioni segnaliamo: “Unica sentenza, resistenza NO MUOS”, “Turi Vaccaro libero”, “MUOS lo può fermare solo la lotta popo-lare”. Gridate le parole d’ordine antimperialiste contro gli Usa e il governo Salvini-Di Maio razzista e servo degli americani.

Al suo passaggio, il corteo ha raccolto anche il consenso e l’ap-provazione delle masse popolari di Niscemi protagoniste del fron-te unito antimperialista che co-munque va allargato ancora alle forze sociali, sindacali e all’asso-ciazionismo. Tanti i comizi volan-ti che oltre il MUOS toccavano i problemi sociali come lavoro, emigrazione, casa, acqua pub-blica, e condannavano lo Stato che spende 68 milioni di euro (che possono arrivare a 100) per le missioni militari e per le guerre imperialiste.

Negli interventi conclusivi si sono sentite molte parole di con-danna dei governi che hanno per-messo la costruzione di questa struttura militare di morte perché legata alle guerre imperialiste, e per il rischio ambientale e sani-tario che corrono le popolazioni sottoposte alle potenti e perico-lose radiazioni non ionizzanti. Al-cuni interventi hanno messo sot-to accusa la militarizzazione della Sicilia, tra cui i droni utilizzati a Lampedusa per controllare i flus-si dei migranti. Altri hanno parlato della cosiddetta “Buona scuola” che permette ai militari americani addirittura di andare negli istituti scolastici per tenere “lezioni” agli studenti.

Insomma una corale voce di lotta, di unità di popolo con-tro il MUOS strumento di guerre imperialiste, contro l’arroganza dell’imperialismo americano, per l’autodeterminazione dei popoli e contro i suoi servi, con precise accuse ai governi di “centro-de-stra” e “centro-sinistra” a partire da Prodi, Berlusconi, Renzi fino all’attuale governo razzista e fa-scista dei ducetti Salvini-Di Maio, tutti al servizio del capitalismo, dell’Europa imperialista e della Nato, tutti uniti contro le masse popolari, compreso quello regio-nale del rinnegato Crocetta,.

La giornata di lotta ha evi-denziato fra l’altro la maturazio-ne politica del movimento NO MUOS attraverso la ricerca e l’elaborazione, con l’esperienza acquisita con più di dieci anni di lotte, con aggressioni delle “forze dell’ordine”, della magistratura e delle istituzioni amministrative e politiche borghesi. Oggi il movi-mento si pone come la punta più avanzata nella lotta di massa in Sicilia contro la guerra imperiali-sta neocolonialista di Italia, Usa, Ue. L’obiettivo del movimento è lo smantellamento del MUOS, dell’intera base americana e la completa smilitarizzazione della Sughereta ma anche della de-nuncia della funzione di guerra delle basi militari in Sicilia (con Sigonella e i suoi droni) e in Ita-lia. Va ricordata la storica e co-raggiosa occupazione di massa della base militare Usa a Nisce-mi del 9 agosto 2018. È stata la giusta risposta a conclusione di una vittoriosa e qualificata ma-nifestazione nazionale contro il MUOS.

Per questo il PMLI, presente a quella manifestazione, ha par-tecipato all’occupazione con le proprie insegne ribadendo che vanno usati tutti i mezzi di lotta condivisi dalle masse fino alla vit-toria contro il MUOS.

Il PMLI ha appoggiato la piattaforma del movimento NO MUOS contro l’imperialismo, il militarismo e le basi di guer-ra aderendo alla lotta comune e quindi scendendo in piazza a Ni-scemi.

Attraverso la Cellula “Stalin” della provincia di Catania e ami-ci del Partito. I compagni hanno portato in corteo la gloriosa ban-diera del PMLI con l’effige di Mao e un cartellone con i manifesti contro il MUOS e contro la TAV.

Manifesti che sono stati fotogra-fati e filmati riscuotendo vivo in-teresse. Distribuiti i volantini con la riproduzione del manifesto del PMLI contro il MUOS, anch’esso accolto con interesse, in parti-

colare la parola d’ordine dove si indica la via per liberarsi dal ca-pitalismo e dai suoi governi per il socialismo, formando un lar-go fronte unito per buttare giù il governo nero fascista e razzista

Salvini-Di Maio.Due studenti ci hanno chiesto

di essere fotografati con la ban-diera del Partito.

Ringraziamo il Centro del Par-tito che ci è stato vicino, in par-

ticolare il Segretario generale del PMLI, compagno Giovanni Scu-deri per l’incoraggiante messag-gio di sostegno.

Tante bandiere NO MUOS e con la falce e martello. Interesse verso il PMLI

ë DALLA 2ª

8 dicembre 2018. Il corteo attraversa Niscemi. Sullo striscione di apertura si legge “Il MUOS lo può fermare solo la lotta popolare”

In alto e a sinistra: alcuni giovani che hanno incontrato il Partito si sono fatti fotografare con le bandiere del PMLI e “Il Bolscevico”

Lo spezzone del PMLI nel corteo NoTav composto da compagni biellesi e lombardi. Al centro con il cartello Gabriele Urban, Responsabile del PMLI per il Piemonte, che ha diretto la delegazione (foto Il Bolscevico)

Il bello striscione delle “Partigiane No Tav” in aperta polemica con le “madamine Sì Tav”

4 il bolscevico / interni N. 45 - 20 dicembre 2018

A Corinaldo (Ancona). Era evitabile

Strage di ragazzi in diScotecaSei morti e oltre 60 feriti. Misure di sicurezza sotto accusa

Intorno all’una di notte di sabato 7 dicembre presso la discoteca “Lanterna Azzurra” di Corinaldo (Ancona) cinque adolescenti e una giovane mamma di 39 anni, hanno per-so la vita mentre attendevano l’inizio del concerto del can-tante Sfera Ebbasta, “idolo” di tanti adolescenti appassionati di musica trap.

Le giovani vittime hanno tut-te un’ età compresa tra i 14 e i 16 anni. Si tratta di tre ragaz-ze e due ragazzi - Asia Nasoni, Daniele Pongetti, Emma Fabini, di Senigallia, Benedetta Vitali, di Fano, Mattia Orlandi di Fron-tone -, la donna deceduta, spo-sata e madre di quattro figli, è Eleonora Girolimini che accom-pagnava la figlia, di appena 11 anni, la quale è invece riuscita miracolosamente a salvarsi.

I feriti sono oltre sessanta di cui sette ricoverati in prognosi riservata ma per fortuna in con-dizioni cliniche in netto miglio-ramento.

La pista da ballo della di-scoteca era gremita ben oltre il limite di sicurezza da centinaia di ragazzi, in stragrande mag-gioranza quindicenni, alcuni accompagnati dai genitori, che attendevano l’arrivo del loro “idolo”. A un certo punto, se-condo una prima ricostruzione degli inquirenti, un “ragazzo incappucciato, forse per una bravata, forse perché questo metodo viene usato per di-strarre le persone e compiere

piccoli furti, ha spruzzato gas al peperoncino in mezzo alla folla e tutti hanno iniziato a fuggire”.

Il panico si scatena in po-chi secondi e in centinaia si ammassano verso le uscite di sicurezza. La balaustra del bal-latoio che separa il locale dal parcheggio cede di schianto e decine di ragazzi precipitano nel fossato sottostante.

I cinque ragazzi e la giovane mamma muoiono per traumi da schiacciamento e soffocamen-to. Degli oltre sessanta feriti trentacinque vengono imme-diatamente portati all’ospedale Torrette di Ancona, tra cui sette versano in condizioni gravi, non ancora del tutto fuori pericolo.

Per molti di loro era il primo concerto in assoluto a cui assi-stevano.

Al vaglio degli inquirenti del-la procura di Ancona ci sono di-verse ipotesi: la prima, si basa sulla testimonianza di alcuni ra-gazzi, i quali hanno riferito che la porta di emergenza che por-ta al giardino esterno del locale era chiusa e i buttafuori avreb-bero fatto di tutto per trattenere le persone dentro il locale; la seconda è che la porta di emer-genza si sarebbe invece aperta, ma avrebbe formato una sorta di imbuto costringendo centi-naia di ragazzi ad ammassarsi sul parapetto che poi è crollato sotto l’enorme peso.

Sul registro degli indagati ci sono i nomi di otto persone: un sedicenne di Senigallia ac-

cusato di omicidio preterinten-zionale, lesioni dolose e lesio-ni colpose; quattro titolari del locale e tre soci indagati per omicidio colposo aggravato in concorso.

Al vaglio degli inquirenti c’è anche la posizione dei butta-fuori, che potrebbero aver ge-stito in maniera disastrosa il momento del panico in pista, aprendo con ritardo le porte d’emergenza o tentando di non far uscire le persone dalla sala del concerto.

Il sedicenne indagato, se-condo il procuratore per i mi-nori delle Marche Giovanna Lebboroni, è stato tirato in causa da tre persone ma “la sua citazione è generica e le circostanze tutte da valutare”. In casa sua, comunque, sareb-bero state trovate ingenti quan-tità di eroina e di cocaina.

Ci sono poi altri due fermati: un 27enne di Fano e la sua fi-danzata, trovati all’interno di un residence della vicina Senigal-lia, dove avevano prenotato un appartamentino per un mese.

In un primo momento l’ipo-tesi più accreditata dagli inve-stigatori è che i tre facciano parte di una specie di banda dedita ai furti in discoteca che utilizzerebbe lo spray urticante per creare scompiglio, com-piere piccoli furti e coprire la propria fuga. Ipotesi che spie-gherebbe anche i precedenti casi di uso di questa sostanza al peperoncino in svariati altri

concerti di musica trap in giro per l’Italia.

Nel mirino degli inquirenti ci sono anche gli organizzatori del concerto. Infatti è accertato che il cantante Sfera Ebbasta a mezzanotte era ancora sul palco della discoteca “L’altro mondo” di Rimini che dista cir-ca 120 chilometri da Ancona, e soltanto terminata questa esibizione si sarebbe mosso verso Corinaldo. Mentre sui biglietti del “Lanterna Azzurra” l’orario d’inizio dell’esibizio-ne era fissato per le 22 e 30. Quando si è consumata la tra-gedia mancava un quarto d’ora all’una di notte e il cantante an-cora non era nemmeno arrivato nel locale.

Inoltre la procura ha seque-strato anche alcune delibere comunali con cui grazie a un condono del 1986 i proprietari hanno ottenuto il cambio di de-stinazione d’uso dell’immobile trasformandolo da capannone agricolo adibito a deposito per attrezzi in struttura ricreativa e discoteca.

Dalle prime indagini è emer-sa una nuova agghiacciante ipotesi: ossia che a scatenare

il panico sia stato, non la fan-tomatica banda dello spry al peperoncino, ma più proba-bilmente il mal funzionamento dell’impianto di areazione della discoteca che non è riuscito a convogliare verso l’esterno il fumo artificiale che si usa nelle scenografie dei concerti.

E a destare ancora più rab-bia e sconcerto è la quasi to-tale mancanza delle misure minime di sicurezza nel locale a cominciare dalle vie di fuga e dalle porte antipanico, del tutto insufficienti a far evacuare un numero così alto di persone; i controlli pressoché inesistenti e soprattutto il numero spropo-sitato di biglietti venduti: circa 1.400 tagliandi per un locale che al massimo può contenere non più di 500 persone.

“I biglietti venduti sono circa 1.400 a fronte di una capienza complessiva di 800 persone circa”, ha detto il procuratore capo della Repubblica di An-cona Monica Garulli. Poi nel primo pomeriggio il premier Conte al termine del vertice in prefettura ad Ancona ha preci-sato che: “Da un primo accer-tamento a caldo risultano ven-

duti 1.400 biglietti. Ma anche che era aperta una sola sala sulle tre della discoteca, con una capienza di 469 persone. Con i numeri non ci siamo”. Tra l’altro la discoteca di Corinaldo non dispone nemmeno di tele-camere di sicurezza.

Dunque altro che “omici-dio colposo” come ipotizza la procura: chi ha venduto 1.400 biglietti per 500 posti è un omi-cida volontario!

Senza dimenticare che die-tro a questa ennesima strage c’è soprattutto il marcio siste-ma capitalista e i falsi miti creati ad arte dalla classe dominan-te borghese per emarginare i giovani e spingerli a cercare lo “sballo” a tutti i costi nelle discoteche, nei concerti, nella droga e nell’alcol; una società corrotta fino al midollo e basata sull’egoismo, l’individualismo, l’arrivismo e il carrierismo, che sfrutta perfino la naturale e sa-crosanta aspirazione dei gio-vani a divertirsi trasformando un concerto o una serata da ballo in un evento per realizza-re astronomici profitti sulla loro pelle.

Avola, 50 anni fa la polizia sparò sui braccianti in lotta

50 anni fa ad Avola, il 2 di-cembre 1968, la polizia sparò ai braccianti agricoli in lotta uccidendo due lavoratori, Giu-seppe Scibilia, 47 anni di Avo-la, e Angelo Sigona, 29 anni di Cassibile. Altri 48 rimasero fe-riti, di cui 5 in maniera grave. In quei giorni ad Avola e in tutta la provincia di Siracusa erano in corso forti scioperi dei lavora-tori agricoli per rivendicazioni come l’abolizione delle gabbie salariali e del caporalato. Quel giorno la polizia intervenne per ordinare la rimozione di un posto di blocco dei braccianti sulla statale 115, e ricevutone un rifiuto caricò i manifestanti che reagirono con il lancio di

sassi. I poliziotti cominciaro-no allora a sparare ad altezza d’uomo provocando un bagno di sangue. Sul posto furono rinvenuti più di 2 chili di bos-soli, segno che la polizia sparò a raffica con i mitra in maniera indiscriminata e per uccidere.

L’eccidio di Avola provocò un’immediata ondata di sde-gno e di lotte in tutto il Paese, già incendiato in quel periodo dalla grande rivolta studente-sca e popolare del ‘68. In Sici-lia fu proclamato uno sciopero generale di 6 ore. Gli studenti medi diedero vita a grandiose manifestazioni di massa: 50 mila nella sola Roma, a Tori-no entrarono in corteo nelle

fabbriche, a Milano una mani-festazione si trasformò in una battaglia.

Il 4 dicembre vi fu una grande manifestazione di la-voratori e studenti a Firenze in solidarietà con i braccianti di Avola, alla quale parteciparo-no i primi quattro pionieri del PMLI, allora sotto la bandiera del PCd’I-ml, e altri compagni anche in solidarietà al compa-gno Giovanni Scuderi, origi-nario di Avola. Un gruppo di burocrati revisionisti del PCI li aggredì vigliaccamente per espellerli dalla manifestazio-ne approfittando dell’enorme sproporzione di forze.

Persi 40mila posti di lavoro

LA disoCCuPAzionE sALE AL 10,6%, quELLA giovAniLE AL 32,5%

Mentre all’inizio dell’an-no si alternavano i segni più a quelli meno negli ultimi mesi i dati economici e occupazio-nali sono sempre più negativi. Quando il responso è favorevo-le il governo tenta di prenderse-ne il merito (Di Maio: “sono i pri-mi effetti del decreto dignità”), quando è sfavorevole “sono gli strascichi del Jobs Act”. A parte che questo non è stato certo abolito, ma addirittura in certe norme peggiorato, le modifiche apportate dal nuovo esecutivo a guida Lega-5 Stelle sono entrati in vigore solo dal primo novembre.

Ma al di là della propaganda politica i dati dell’Istat, Eurostat e altri istituti di statistica, rive-lano un rallentamento generale a livello mondiale ed europeo dell’economia che da più parti viene già individuato come la fine della “ripresina” degli ulti-mi due anni e come avvisaglia di una nuova e pesante reces-sione. In questo quadro l’Italia conferma di essere un “vaso fragile” all’interno dell’Unione Europea (UE).

Anche quando il nostro Prodotto Interno Lordo (PIL) è cresciuto lo ha fatto sempre in misura minore rispetto agli altri Paesi, l’Italia è il fanalino di coda della UE. Lo confermano anche

i dati dell’Istat sul numero di oc-cupati e disoccupati usciti a fine novembre. Nel periodo agosto-ottobre 2018 l’occupazione risulta in calo rispetto al trime-stre precedente (-0,2%, pari a -40 mila unità). La diminuzione interessa uomini e donne. Dimi-nuiscono gli occupati tra i 15 e i 49 anni mentre aumentano gli ultracinquantenni. Nel trimestre crescono i dipendenti a termine (+62 mila) e calano sia i perma-nenti (-64 mila) sia gli indipen-denti (-38 mila).

Per il secondo mese conse-cutivo cresce la stima delle per-sone in cerca di occupazione (+2,4%, pari a +64 mila unità). L’aumento della disoccupazio-ne si distribuisce su entrambe le componenti di genere e tutte le classi di età. Il tasso di disoc-cupazione sale al 10,6% (+0,2 punti percentuali su base men-sile), quello giovanile aumenta ancora e si attesta al 32,5% (+0,1 punti). Una disoccupazio-ne a due cifre ben al di sopra della media europea secondo i dati Eurostat di settembre: 8,1% nella zona euro, 6,7% nei 28 stati dell’Unione e lon-tanissima da Paesi come Ger-mania e Polonia (3,4%), Regno Unito (4%), sopravanzata solo da Spagna (14,9%) e Grecia (19%).

L’Italia primeggia ancora nella poco invidiabile classifica della disoccupazione giovanile con numeri veramente dram-matici. Gli ultimi dati Istat riferiti a ottobre ci dicono che quasi un giovane su tre (il 32,5%) tra i 15 e i 24 anni non lavora. Nel cor-so del mese di Settembre 2018 invece, la disoccupazione gio-vanile è rimasta invariata, per il terzo mese consecutivo, sia nell’Eurozona (al 16,8%), che nei 28 Stati membri (a 14,9%). Un anno fa nei 19 Paesi Ue era al 18,3% e nei 28 al 16,5%.

L’Italia si conferma il terzo Paese con il tasso più alto dietro Grecia (37,9% a Luglio) e Spa-gna (34,3%), mentre il minor numero di giovani disoccupati è risultato essere in Repubblica Ceca e Germania (6,3%) e in Olanda (7,5%). Sono stati sette i Paesi in cui il tasso su mese è aumentato, oltre all’Italia anche Austria (+0,5%), Lituania, Malta e Slovacchia (+0,4%), Repub-blica Ceca e Francia (+0,1%). In tutta Europa solo 6 regioni han-no una disoccupazione giova-nile superiore al 50%. Due ap-partengono alla Grecia: Epiro e Macedonia occidentale, le altre quattro fanno parte del nostro martoriato Mezzogiorno: Cam-pania, Puglia, Calabria e Sicilia.

Avola (Siracusa), 4 dicembre 1968. La manifestazione che seguì la strage dei braccianti del 2 dicembre in occasione dello sciopero generale nazionale

N. 45 - 20 dicembre 2018 de magistris / il bolscevico 5Nell’assemblea del 1° dicembre a roma

de magistris lancia una nuova trappola elettoralistica per coprire a sinistra l’Ue imperialista e il capitalismoPresenti rappresentanti di Rifondazione Comunista, Sinistra Italiana, l’Altra Europa per Tsipras,

e la Rete delle Città in Comune; assente Potere al PopoloIl 1° dicembre si è tenuta al

Teatro Italia di Roma l’assem-blea nazionale convocata da Luigi De Magistris per lanciare il suo progetto di costruzione di una sua lista elettorale da pre-sentare alle europee del 2019, ma anche in previsione delle altre scadenze elettorali suc-cessive, comprese le Regiona-li della Campania nel 2020 e le eventuali elezioni politiche an-ticipate.

Vi hanno partecipato circa un migliaio di persone, prove-nienti da varie parti d’Italia ma soprattutto da Napoli, organiz-zate da DemA (Democrazia Autonomia), il movimento del sindaco di Napoli coordinato dal suo vicesindaco Enrico Pa-nini. Erano presenti il segreta-rio di Rifondazione Comunista, Maurizio Acerbo, e il segreta-rio di Sinistra Italiana, Nico-la Fratoianni; nonché rappre-sentanti di L’altra Europa per Tsipras e della Rete delle Cit-tà in Comune. Per gli spagno-li di Podemos erano presenti due dirigenti nazionali, mentre il suo segretario Pablo Iglesias ha fatto un intervento di salu-to in collegamento video. Non ha partecipato ufficialmente, ma ha inviato solo un osser-vatore, Diem25, il movimento di Yannis Varoufakis, i cui rap-porti con De Magistris di erano ultimamente raffreddati, pro-prio a causa della decisione di quest’ultimo di volersi presen-tare alle europee con una sua lista piuttosto che unirsi a quel-la dell’ex ministro delle Finan-ze del governo Tsipras.

Non ha invece voluto par-tecipare, annunciandolo pub-blicamente con un documento assai polemico, Potere al Po-polo (PaP), nonostante che in un primo tempo avesse accet-tato l’invito. Nel documento in questione si mette l’accento sul fatto che gli interventi, 23 di 5 minuti ciascuno, erano stati rigidamente programmati per escludere interventi “politici” e far parlare solo rappresentanti di “esperienze sociali”, per cui PaP non avrebbe potuto par-lare come realtà politica, ma solo attraverso singoli militan-ti impegnati in lotte specifiche, mentre i soli soggetti politici autorizzati a parlare erano De Magistris e il suo vice Panini.

Il documento elencava poi puntigliosamente i “Cin-que punti per la discussio-ne sull’Europa e sulle elezio-ni europee” che PaP avrebbe illustrato in assemblea se gli fosse stata data la possibilità di intervenire, contenenti an-che una sottolineatura pole-mica nei confronti di De Magi-stris, definito “persona onesta e combattiva” e con una “storia di successi elettorali comunali che potrebbero diventare risul-tati utili alle elezioni europee”, ma avvertendolo che “se farà solo il confezionatore del vesti-to nuovo della vecchia sinistra, fallirà come sono falliti i cambi d’abito precedenti”.

Un nuovo contenitore elettorale della

“sinistra radicale” e movimentista

E in effetti è vero che tutta la regia della manifestazione era stata preparata accuratamente per far risaltare soltanto la figu-ra dell’ambizioso e narcisista sindaco partenopeo, relegan-do solo sullo sfondo i rappre-sentanti dei “soggetti politici” invitati: il manifesto di convo-cazione dell’assemblea ripor-tava infatti solo la sua faccia e lo slogan “Per una nuova co-alizione dei popoli”. Lo slogan che campeggiava sul tabel-lone dietro il palco e riporta-to anche sul podio era “#oltre le disuguaglianze con Luigi De Magistris”. I soli due inter-venti “politici” sono stati quel-lo di apertura del segretario di DemA e il suo di chiusura. Tut-ti gli altri interventi sono sta-ti invece di rappresentanti di categorie sociali, come inse-gnanti, studenti, giuristi come l’ex giudice costituzionale Pa-olo Maddalena e il giornalista Paolo Berizzi, minacciato dai gruppi neofascisti; di associa-zioni, come Giuseppe De Mar-zo di Libera e Cecilia Strada di Emergency; di amministratori e sindaci “di frontiera”, come Mimmo Lucano; e di centri so-ciali e movimenti di lotta, come i No Terzo Valico, i Comita-ti terra dei fuochi, il centro so-ciale romano Baobab sgombe-rato dalla polizia di Salvini, la Casa internazionale delle don-ne che la sindaca Raggi vuole chiudere, e così via.

Ufficialmente lo scopo dell’assemblea, propaganda-to da De Magistris anche nelle interviste precedenti, era quel-lo della costruzione di un “fron-te popolare ampio e democra-tico”, per contrastare “l’onda

nera che avanza” in Europa e che in Italia ha le fattezze di un governo da lui definito il “più a destra della storia del-la Repubblica”. Ma nella real-tà e nella sostanza si è tratta-to di un banco di prova per la formazione di un nuovo con-tenitore elettorale per racco-gliere sotto le sue bandiere ciò che resta della “sinistra radi-cale”, insieme a centri socia-li, movimenti di lotta, associa-zioni, sindaci e amministratori antigovernativi, e quant’altro si muove alla sinistra del PD e nel variegato campo dell’op-posizione sociale, che sta cre-scendo, al governo nero Sal-vini-Di Maio. Non a caso ha inviato il suo vicesindaco Pani-ni, con tanto di fascia tricolore in rappresentanza del Comune di Napoli, alla manifestazione di Torino dell’8 dicembre, inse-rendosi così nella spaccatura creatasi tra il movimento No Tav e il M5S.

Un disegno che punta a Palazzo chigi

Per realizzare il suo dise-gno che punta a Palazzo Chigi De Magistris si autoproclama l’“anti-Salvini”, ossia il “Salvi-ni di sinistra” capace di oppor-re al narcisismo e al ducismo fascista e razzista del caporio-ne della Lega, la forza ugua-le e contraria del suo narcisi-smo e ducismo “di sinistra”: il “subcomandante” della sinistra capace di sconfiggere il “capi-tano” della destra. “L’inizio del nostro progetto politico è esse-re l’anti-Salvini: lui costruisce il consenso sul rancore, la vio-lenza e l’odio, noi vogliamo co-struire il consenso della gente sulla giustizia sociale, l’amore e la solidarietà”, ha dichiara-

to il 2 dicembre in un’intervista all’ADN Kronos, una delle tan-te che si è guadagnato dai me-dia con la sua iniziativa, prima e dopo l’assemblea.

Ma egli non pensa solo alla “sinistra radicale”, peraltro ri-dotta ai minimi termini e con il marchio della sconfitta eletto-rale ormai impresso, né solo alla sinistra sociale, troppo frammentata e numericamente insufficiente per un simile tra-guardo. Il suo è un progetto molto più ampio, interclassista e trasversale, e mira a cattura-re anche una fetta consisten-te dell’elettorato del M5S, del-la “sinistra” borghese e perfino del “centro-destra”.

“Non vogliamo essere un quarto polo”, ha ribadito infat-ti sia nel suo intervento che in altre dichiarazioni, intendendo con questo di non voler ripe-tere le disastrose esperienze elettorali della “sinistra arco-baleno” e di “rivoluzione civi-le”. Egli vuole imbarcare, ha detto nella suddetta intervista, “anche molti del centrosinistra e anche persone moderate che si riconoscono in schiera-menti nel passato più di cen-trodestra, che non vogliono una deriva fascista o razzista o violenta come quella di Sal-vini”. “Sono uomo di sinistra e ho fatto cose di sinistra - ha ri-badito nel suo intervento all’as-semblea - ma la Costituzione

non è di sinistra, ha unito il po-polo. Non avrei vinto a Napo-li se fossi solo di estrema sini-stra”.

“credo nel dialogo con Fico e di maio”Per quanto riguarda il M5S

egli punta a catturare i voti dei suoi elettori di sinistra, soprat-tutto del Sud, fortemente delu-si dal governo con la Lega e destinati a confluire altrimenti nell’astensionismo. La sua tat-tica è quella di proporsi come il referente della base delusa del M5S per catturarne i voti, e allo stesso tempo dialoga-re con i suoi dirigenti, nell’ot-tica di offrire loro un’alternati-va di sinistra all’alleanza con Salvini.

Nella citata intervista all’ADN Kronos, De Magistris, sottolineando di aver cono-sciuto bene Grillo dal 2009 al 2011 e di aver avuto con lui “un rapporto molto inten-so”, anche se poi interrotto completamente, ha detto che “ci sono le condizioni per far capire a tutte quelle perso-ne che in buona fede hanno votato, anche giustamente, M5S - soprattutto al Sud - che l’abbraccio del contratto con Salvini è un tradimento, non è una prospettiva politica del cambiamento come tanti elet-tori cinque stelle hanno inte-

so’’. E poi ha aggiunto: “Ho interlocuzioni cordiali e po-sitive con tanti esponenti del M5S. Sono, certo, soprattutto contatti istituzionali, ma credo nel dialogo con Fico e con Di Maio e gli altri esponenti api-cali di M5S, che però han-no fatto un grave errore po-litico, quello di far diventare maggioritario nel Paese chi era un’assoluta minoranza come Salvini, che governa in tante regioni con Berlusconi. Alla fine hanno fatto diventa-re premier politico Salvini...”.

Quella che De Magistris dà già per nata il 1° dicembre, e che il megalomane narcisista chiama una “coalizione civica nazionale ed europea” e “con vocazione governativa”, con lui naturalmente a capo, è quindi solo una nuova trappo-la elettorale che egli sta co-struendo per ingannare i sin-ceri anticapitalisti, antifascisti e antirazzisti, gli astensioni-sti e gli oppositori di questo governo Lega-M5S, fascista e razzista, al fine di carpire i loro voti per soddisfare le sue ambizioni politiche. E con ciò fornisce anche una copertura a sinistra alla UE imperialista e al capitalismo, riproponen-do l’illusione che sia possibile “riformarli” da sinistra e ren-derli “meno inaccettabili” per i lavoratori e le masse popo-lari.

Un’immagine del degrado che vige nelle strade di Napoli e che 10 anni di governo della giunta de Magistris non hanno risolto

6 il bolscevico / inquinamento N. 45 - 20 dicembre 2018

In PolonIa la 24esIma Conferenza mondIale dell’onU

“solo 20 anni per scongiurare la catastrofe climatica”

Il premier polacco: “Non rinunciamo alle centrali a carbone”. Aumenta il fronte dei negazionistiMANIfestAzIoNI IN tutto Il MoNdo per chIedere AI goverNI dI rIsolvere Il probleMA

Sono passati 3 anni dal-la firma dell’accordo di Parigi sul clima, protocollo che fu ce-lebrato con toni trionfalistici in tutto il mondo, eppure ad oggi la sua applicazione è un nulla di fatto e sul suo percorso au-mentano gli ostacoli.

A Katowice, nella capita-le polacca dell’Alta Slesia, tra i maggiori bacini carboniferi d’Europa dove la fuliggine ha ormai superato i livelli di Pe-chino, 30 mila delegati di 196 paesi dell’ONU, sono chiama-ti a discutere dell’applicazione di quell’accordo tanto osanna-to ma disatteso quanto ineffi-cace.

Durante la sessione inau-gurale, il nuovo presidente fa-scista del Brasile Jair Bolzo-naro, ha respinto al mittente la proposta di presiedere e ospi-tare la Cop25, che nel 2019 dovrebbe tenersi in America Latina.

La decisione dunque segna una netta svolta nella linea po-litica del paese, membro del BRICS ed incluso da anni nel-le cosiddette “economie emer-genti”, rispetto agli impegni as-sunti con l’Accordo di Parigi; in sostanza ecco un altro le-ader di un grande Paese che si affianca al negazionismo di Trump che uscì dall’accordo durante la Cop22 di Marra-kech.

Difficoltà che si aggiungono a ulteriori problemi poiché, se è vero che l’assenza di queste due potenze da un dialogo - seppur inserito in un accordo che aveva come prima gran-de criticità il fatto di non es-sere vincolante - rappresenti una grande difficoltà, è altret-tanto vero che l’ultimo rappor-to del Gruppo intergovernati-vo sul cambiamento climatico (IPCC), il principale organismo internazionale per la valutazio-ne dei cambiamenti climatici, dimostra come gli attuali im-pegni di riduzione della Co2 di tutti i singoli Stati non permet-tano in ogni caso di raggiunge-re gli obiettivi della Cop 21.

Anche gli altri Paesi capita-listici firmatari dell’accordo, in sostanza, fanno ben poco.

due decenni per scongiurare una catastrofe irreversibile

A Katowice ancora una vol-ta, si discuterà di finanziamen-ti per le rinnovabili, imputazio-ne di costi aggiuntivi secondo il principio “chi più inquina più paga” e, soprattutto, circa la definizione di obiettivi nazio-nali di riduzione in linea con gli obiettivi raccomandati dalla comunità scientifica.

Un’urgenza resa ancor più pressante dall’allarme lancia-to lo scorso ottobre dallo stes-so IPCC, secondo il quale ab-biamo davanti a noi solo 12 anni per dimezzare le emissio-ni globali, che vanno azzerate improrogabilmente entro metà secolo, pena l’irreversibilità del riscaldamento globale con

tutte le sue conseguenze.Disattendendo queste sca-

denze, non ci sarà più alcuna possibilità di mantenere l’au-mento medio delle temperatu-re entro +1,5°; già nel 2017 la concentrazione media di Co2 in atmosfera ha raggiunto il re-cord assoluto di 405,5 ppm, con un l’aumento del 146% ri-spetto ai livelli pre-industriali, segnando l’inizio di una nuo-va era climatica che trova con-tinue conferme nelle cronache degli ultimi mesi, in Italia come altrove, dove sono sempre più frequenti e incontrollabili gli ef-fetti del riscaldamento globale, drammatici per le vite di milioni di persone.

la Polonia e il carbone

Diciamo che la necessaria fine dell’utilizzo delle fonti fos-sili, a partire dal carbone, ap-pare ancora molto lontana; la Polonia, ad esempio e tanto per citare i “padroni di casa”, non ha nessuna intenzione di rinunciare al carbone come fonte energetica, e lo ha detto chiaramente il leader polacco Andrzej Duda durante la con-ferenza stampa di apertura della COP 24 di Katowice.

Se da un lato, l’esponen-te del partito di destra Dirit-to e Giustizia, ha sottolineato l’importanza di questo appun-tamento, dall’altro ha voluto chiarire fin da subito che mol-ti Paesi sono nella stessa con-dizione della Polonia aven-do una produzione energetica che dipende in larghissima parte dal carbone, e che ne-cessitano dunque di tempo, di flessibilità e di aiuti economi-ci per realizzare la cosiddetta “giusta transizione” dalle ener-gie fossili alle rinnovabili.

Nell’occasione, il ministro polacco dell’energia Krzysztof Tchórzewski ha annunciato un piano per la riduzione del car-bone e per lo sviluppo delle rinnovabili che dovrebbe esse-re in grado di ridurre l’energia

prodotta da combustili fossi-li dall’attuale 80% al 60% en-tro il 2030 e di portare quella prodotta delle fonti rinnovabili e alternative al 26%.

Va detto, seppur ci si voglia fidare di questi proclami, che per arrivare a questi risultati, oltre a piattaforme eoliche off-shore nel Mar Baltico, il gover-no polacco vorrebbe costruire altre sei centrali nucleari con tutti i rischi connessi. Non ci pare proprio una riconversio-ne “verde”!

Nel concreto, il governo polacco dal 2016 in poi, at-traverso un iniquo sistema di tassazione non ha fatto al-tro che osteggiare la crescita delle energie rinnovabili e ha puntato a salvaguardare l’in-dustria carbonifera; secondo Greenpeace e Carbon Market Watch, in Polonia il 75% degli investimenti per la produzione di energia è riservato alle fon-ti fossili.

Non stupisce dunque che all’inizio del 2018 il vice mi-nistro Grzegorz Tobiszowski abbia dichiarato: “l’industria estrattiva costituisce, e co-stituirà nei prossimi anni, la base del bilancio energeti-co del paese. Ciò consente di mantenere un alto grado di indipendenza energetica e di incrementare la concorrenza economica”.

Quindi, altro che abbando-no progressivo del carbone (!), per il governo di Varsavia le miniere e le centrali elettriche a carbone sono un settore da rivitalizzare e da difendere po-liticamente. Fra l’altro, oltre a produrlo, la Polonia continua a importarne milioni di tonnellate dalla Russia.

E non è tutto; il governo po-lacco vuole investire nell’am-pliamento di quattro centrali a carbone e ha annunciato l’a-pertura di una nuova miniera carbonifera a Złoczew, pun-tando a estendere la durata del sito di Bełchatów, a cin-quanta chilometri dalla nuo-va miniera, che rappresenta la

centrale a lignite più grande e inquinante d’Europa.

La Cop del carbone, come è stata chiamata dai manife-stanti a Katowice, è un para-dosso rafforzato anche dai suoi principali sponsor fra i quali spiccano tre delle mag-giori compagnie carbonifere pubbliche, quali la JSW, prin-cipale produttrice europea di carbone da coke e la PGE, proprietaria della centrale di Bełchatów e la Tauron.

Del resto lo stesso si veri-ficò per Parigi dove furono le aziende automobilistiche a fare la parte del leone, e per tutte le COP precedenti, det-tate dalla prima all’ultima dal-le pressanti e danarose attivi-tà di lobby delle multinazionali, rese legali anche da Bruxelles.

Poco o nulla anche sul drenaggio dei finanziamenti al

fossileIn concomitanza con l’ini-

zio della CoP 24 di Katowi-ce, la rete Unfriend Coal ha lanciato il suo ultimo rappor-to sul sostegno delle compa-gnie assicurative al comparto carbonifero. Il rapporto esami-na e classifica le 24 maggiori compagnie assicurative mon-diali valutando le loro politi-che in materia di investimen-ti, copertura dei rischi e altri aspetti legati all’azione clima-tica, con un approfondimento sugli investimenti nel carbone, ma ha il limite di essere sta-to realizzato sulle informazio-ni disponibili e soprattutto dal-le risposte ad un questionario sottoposto alle compagnie stesse. In sostanza questi dati contengono anche le bugie, ormai storiche, degli operato-ri finanziari che investono nel fossile.

Tutti gli addetti ai lavori con-siderano però i dati incorag-gianti: 19 marchi assicurativi, che in totale gestiscono as-set per 6 mila miliardi di dol-

lari, sostengono di aver disin-vestito dal carbone e nel solo 2018, quattro dei più grandi gruppi assicurativi mondiali – ovvero Generali, Allianz, Axa e Zurich – hanno introdotto nuo-ve restrizioni alla sottoscrizio-ne di assicurazioni di progetti carboniferi.

Queste prospettive, che paiono sempre così esaltan-ti da indurre ottimismo, sono però smentite dai fatti in quan-to tutte queste compagnie si sono ben guardate dal pren-dere una posizione definitiva e decisa come la gravità del-le condizioni del pianeta e gli allarmi della scienza indur-rebbero dicendo no a questo tipo di finanziamento; Generali così come le altre continuano ad investire ancora nel setto-re del carbone in paesi come Polonia e Repubblica Ceca, offrendo così risorse finanzia-re alle società più inquinanti d’Europa.

Il problema asiatico e l’asse Usa - russia

- arabia sauditaAnche l’Asia, responsabi-

le ad oggi della crescita glo-bale dell’1,4% delle emissioni di CO2 legate alla produzio-ne energetica, continua la sua marcia verso le fossili.

Il Giappone ad esempio ha costruito 30 nuove centrali a carbone dopo il disastro di Fu-kushima e ad oggi è l’unico pa-ese del G-7 che ne sta anco-ra progettando di nuove, così come – ed al pari di altri ca-pitalismi concorrenti in Ameri-ca ed in Europa - attraverso le sue banche e le agenzie inter-nazionali di sviluppo sta finan-ziando un’ondata di ulteriori ed enormi centrali a carbone dal Vietnam all’Indonesia.

È infatti proprio la Banca Giapponese per la Coopera-zione Internazionale che negli ultimi tre anni ha annunciato piani per fornire fino a 5,2 mi-liardi di dollari di finanziamen-ti a sei progetti relativi al car-bone che poi in qualche modo rientreranno nella terra del sol levante.

La Cina invece, primo in-quinatore attuale, continua a consumare metà del carbone mondiale. Sono più di 4,3 mi-lioni i cinesi impiegati nelle mi-niere di carbone del paese e secondo un’analisi della sta-tunitense Coal Swarm, nuovi impianti a carbone, alla faccia degli accordi di Parigi siglati anche dalla Cina, continuano a essere costruiti, così come tante aziende cinesi ne stanno costruendo altre analoghe in almeno 17 paesi stranieri, dal Kenya al Pakistan.

In sintesi, gli USA – il più grande inquinatore mondiale dal punto di vista storico - , il Brasile, la Cina, il Giappone e la Germania, negazionisti o fir-matari degli accordi di Parigi che siano, non fanno niente in concreto per stoppare questa devastante deriva.

Ma c’è di più. Alla COP 24

sta prendendo forma un’al-leanza USA, Russia, Arabia Saudita e Kuwait che duran-te i negoziati ha bocciato l’in-serimento di una frase che sostanzialmente accettava, dando una sorta di “benvenu-to”, la posizione dell’IPCC già citata che in mancanza di un accordo è stata accantonata.

Il fatto è particolarmen-te grave non tanto per la fra-se in sé, ma in quanto pare disconoscere proprio i conte-nuti del rapporto nel quale si evidenziano allarmi seri e cir-costanziati sui rischi collegati all’aumento delle temperatu-re a causa dei piani energetici in essere nei vari paesi e ten-denti ad un aumento di 3 gradi contro l’1,5 che doveva essere l’obiettivo da raggiungere.

Una sorta di ulteriore ne-gazionismo abbracciato an-che dalla superpotenza russa e dal reazionario governo sau-dita che sgretola miseramente gli auspici di chi riponeva fidu-cia nel nuovo negoziato, spe-rando nella ragionevolezza dell’imperialismo.

In tutto il mondo le popolazioni in

piazzaGià, la Germania loco-

motiva dell’Europa capitali-sta, ormai sempre più lenta e aggressiva nelle politiche co-munitarie che detta senza im-barazzo alcuno, produce un quarto del totale dell’energia prodotta nei Land carboniferi dell’ex Germania Est, su tut-ti Brandeburgo e Sassonia, che continuano a resistere alla chiusura ed alla riconversione delle loro miniere.

È noto che la sola lignite è responsabile di un quinto del-le emissioni di Co2, il che im-porrebbe alla Germania la riduzione immediata dell’uti-lizzo fossile, fino alla cessa-zione nel medio periodo; e in-vece anche da Berlino, siamo sempre a un sostanziale nulla di fatto.

Queste grandi contraddizio-ni, sempre le stesse nonostan-te la maggiore urgenza del tema che si moltiplica di anno in anno, hanno portato in piaz-za centinaia di migliaia di per-sone ed organizzazioni sociali.

Tantissime manifestazio-ni popolari hanno affollato in queste settimane le strade delle grandi capitali europee e di molte altre città in tutto il mondo, per premere sulle de-legazioni governative in arrivo in Polonia affinché stavolta si traduca in pratica l’auspicato “cambio di passo” senza che esso sia nuovamente riman-dato, come sempre avviene, conferenza dopo conferenza.

Oltre alle mobilitazioni in Germania e in Polonia, l’8 di-cembre si sono tenute in ogni angolo del mondo iniziative di piazza parallele alla COP di Katowice, con lo slogan “Il tempo è adesso”.

SEGUE IN 7ª ➫

N. 45 - 20 dicembre 2018 inquinamento / il bolscevico 7

allarme rosso dell’onU sUl ClIma: rIdUrre le emIssIonI dI gas serraIl clima è già cambiato, e il

tempo è quasi scaduto: que-sto il messaggio dell’Orga-nizzazione meteorologica mondiale delle Nazioni Unite, che ha diffuso dati eloquen-ti nell’ultimo Greenhouse Gas Bulletin, il bollettino dei gas climalteranti con dati aggior-nati al 2017.

“La scienza è chiara. Se non si ridurranno rapidamen-te le emissioni di gas serra, in particolare CO2, i cambia-menti climatici avranno conse-guenze irreversibili e sempre più distruttive per la vita sulla Terra”; è questa la dichiarazio-ne di Petteri Taalas, segretario generale dell’OMM.

Alla vigilia dell’apertura dei lavori della Cop24 sul clima in programma a Katovice, in Po-lonia (3-14 dicembre), dove si discute ancora una volta dell’ormai “mitologica” appli-cazione dell’accordo di Pa-rigi che nei fatti a distanza di 3 anni non è neanche stato avviato, lo studio in questio-ne conferma senza possibilità di dubbio che il clima globale è già cambiato e che il tem-po per potervi porre rimedio è praticamente scaduto poiché “non vi è alcuna indicazione di una inversione di tendenza”, nonostante i mille proclami da Parigi in poi.

I gas all’origine del riscal-damento globale hanno re-gistrato un nuovo record nel 2017, ed in particolare, le con-centrazioni medie di anidri-de carbonica a livello globale hanno raggiunto 405,5 par-ti per milione nel 2017 con-tro le 400,1 del 2015, con un trend in continuo aumento; in atmosfera però ci sarebbe an-che troppo metano che è il se-condo gas serra più resistente e ha raggiunto anch’esso un nuovo record nel 2017, così come corrono verso l’alto an-che le emissioni di biossido di azoto (+122% rispetto all’età preindustriale), e il CFC-11, il triclorfluorometano, il gas serra responsabile del buco dell’ozono.

Per Taalas, i cambiamenti climatici avranno impatti sem-pre più distruttivi e irreversibili sulla vita sulla Terra e, sempre secondo il segretario genera-le del’OMM, Katovice rappre-senta l’ultima spiaggia per fi-nalizzare l’accordo di Parigi

del 2015 raggiungendo l’o-biettivo di limitare il riscalda-mento globale a meno di 2 gradi centrigradi rispetto alle temperature medie del perio-do pre-industriale.

l’ipocrita rilancio dell’accordo bluff di

ParigiMichelle Bachelet, Alto

Commissario ONU per i diritti umani, il 21 novembre ha indi-rizzato una lettera aperta a tut-ti gli Stati membri, per chiede-re che il tema dei diritti umani venga messo al centro dell’a-genda sul clima: “Intere nazio-ni, ecosistemi, popoli e modi di vivere potrebbero semplice-mente cessare di esistere (…) Sappiamo che ad oggi la som-ma totale dei contributi volon-tari alla riduzione dei gas cli-malteranti determinati da ogni singolo Stato ci porta verso un aumento di 3ºC, più del dop-pio rispetto all’obiettivo che la comunità internazionale s’è data tre anni fa a Parigi”.

Insomma, l’esito dell’accor-do che tutta la comunità inter-nazionale salutò come stori-co ed eccellente, si è rivelato essere un bluff inconsistente che noi avevamo prontamen-te denunciato sul n.47 de “Il Bolscevico”, con un articolo del 16 dicembre 2015 dal ti-tolo: “Nulla di fatto per frenare il cambiamento climatico. La terra e la vita ancora in peri-colo.”

Perfino la Banca Mondiale attraverso i suoi report sostie-ne che nel 2050 potrebbero essere 143 milioni i migran-ti climatici; le prime vittime di questa situazione saranno le popolazioni più povere, i po-poli indigeni, gli anziani ed i bambini, e le persone con di-sabilità.

l’indifferenza dei governi italiani

Nel terzo trimestre del 2018, secondo una nota dell’I-spra del 20 novembre, la sti-ma tendenziale delle emis-sioni dei gas serra del nostro Paese prevede un aumento rispetto all’anno scorso, pari allo 0,4%, che definisce con-seguenza principalmente del settori dei trasporti (1,7%), del maggior consumo di ga-

solio per il trasporto su stra-da (3,1%) e del riscaldamento (1,6%). Rimane dunque cen-trale un settore, quello della mobilità, più volte allarmato dall’associazionismo ambien-tale, raccolto e rilanciato a gran voce dal Movimento 5 Stelle prima delle elezioni del 3 marzo, e poi rimesso in un cassetto una volta divenuta forza di governo.

Per fare un solo esempio, al netto della generale insuf-ficiente linea politica sull’am-biente, la conferma del TAP nonostante l’indicazione dell’eccesso di metano in at-mosfera, com’è spiegabile se non con la continuità delle so-lite politiche energetiche del passato?

Fra l’altro, il 2018, sempre secondo l’ISPRA, è l’anno più caldo della storia italiana da almeno 2 secoli: la tempera-tura media, nei dieci mesi fino ad ottobre, è di 1,77°C più alta rispetto al valore medio riferito al periodo 1961-1990.

Continua il negazionismo del fascista Trump

e degli UsaCosì, nel susseguirsi ovun-

que di eventi catastrofici legati al clima, e di allarmi ambien-tali, il Presidente Trump con-tinua a lanciare tweet sem-pre più provocatori per negare che ci siano effetti dei cam-biamenti climatici. Gli incen-di, a partire da quelli che han-no devastato la California e l’emisfero boreale, secondo il governo USA sono esclusi-vamente colpa della cattiva gestione forestale e nulla più.

Naturalmente respingiamo le tesi qualunquiste della co-siddetta “ignoranza al potere”, poiché Trump è ben attento a salvaguardare gli interessi dell’industria fossile america-na, a partire da quella petro-lifera.

l’inconsistenza europeaPoche chiacchiere e zero

fatti anche in Europa dove i parlamentari di Bruxelles non perdono occasione per enun-ciare la revisione degli obiet-tivi di riduzione; tuttavia al momento non esistono atti

concreti che supportino l’ot-timismo rilanciato anche da certe associazioni ambienta-liste che probabilmente non si sono stancate di decenni di prese di giro globali sul clima.

Certo, la notizia che la Po-lonia si prepara ad aprire un nuovo impianto di produzio-ne di energia a carbone nel nord del Paese, giunta a soli due mesi dall’apertura dei la-vori della Cop24 di Katovi-ce non può lasciar tranquillo nessuno; ed ancor più grave è che il progetto della centrale a carbone di Ostrołęka C, ha avuto il primo ok dall’assem-blea degli azionisti di Energa,

uno dei finanziatori della stes-sa Cop24.

Inoltre, l’organizzazione in-ternazionale Bankwatch, che monitora i progetti finanziati con soldi pubblici, ha più volte denunciato i prestiti conces-si dalla Banca europea degli investimenti (Eib) e dalla sua partecipata, la Banca euro-pea per la ricostruzione e lo sviluppo (Ebrd) a società che estraggono o bruciano carbo-ne, e non è tutto, dal momen-to in cui, come racconta un re-cente rapporto di Bankwatch, nel caso di Energa il carbo-ne rappresenta al momen-to il 52% della sua capacità

complessiva, quota destina-ta ad aumentare con l’entra-ta in funzione di Ostrołęka C nel 2024.

Il risultato, sempre secondo Bankwatch, sarà che le emis-sioni generate dagli impian-ti Energa si moltiplicheranno di oltre tre volte tra il 2017 e il 2030, passando da circa 2 a oltre 7 milioni di tonnellate di CO2 prodotta.

Altro che messa a terra di “Parigi”, ancora una volta è la ricerca del massimo profitto capitalista, l’unica stella pola-re dei produttori di energia e dei governi che reggono loro il sacco.

A Katowice migliaia di per-sone hanno sfilato con ma-scherine, cartelli e striscioni colorati per strade del centro, sotto lo slogan “Sveglia”. È il momento di salvare il piane-

ta”, circondate da un impres-sionante dispiegamento di polizia che ha fermato e per-quisito ogni singolo pullman o treno che prima del corteo ha portato i manifestanti nella cit-tà polacca.

Tre attivisti sono stati trat-tenuti dalle “forze dell’ordine”

ed il corteo è stato fermato da un cordone di agenti che ha costretto alla sosta nei pres-si della sede della COP, sen-za poter raggiungere il punto d’arrivo previsto. Delegati di tutto il mondo sono intervenu-ti durante il percorso, rappre-sentando le istanze dei movi-menti dell’ambiente dei cinque continenti che all’unisono han-no collegato la questione cli-matica alle battaglie in corso per cambiare modello agrico-lo, abbandonare i fossili, pro-teggere i suoli e la biodiversi-tà, fino a modificare gli stili di vita individuali.

Un marcia da Roma a Ka-towice e altre iniziative in al-cuni territori hanno coinvolto anche il nostro Paese, con-trassegnato da tante vertenze ambientali e sociali tutte indi-

rettamente legate al tema del clima come le lotte NoTav, No-Tap, NoTriv, ecc. che in qual-che modo hanno fatto sentire la loro voce.

Una opposizione che però rimane molto frammentata e poco visibile nonostante la sensibilità sul tema risulti sem-pre più ampia tra i popoli del mondo.

la necessità della prospettiva

strategica del socialismo

Alla base quindi di una ver-tenza comune che possa es-sere partecipata ed incisiva, va posta la lotta per un siste-ma economico differente, e non per una falsa e illusoria

nuova versione del capitali-smo poiché è proprio quest’ul-timo l’origine di tutti i mali so-ciali, inclusi quelli ambientali. Se si riconosce che questa situazione e l’empasse che ne consegue in termini di po-litiche energetiche risolutive è responsabilità dei “signori di un capitalismo finanziario, estrattivo e predatorio che do-mina il pianeta” le cui conse-guenze sono subite dalla “mol-titudine sterminata dei popoli e delle comunità (…) i cui profu-ghi e migranti cercano di var-care, da soli o in carovana, i confini di un mondo protetto”, come afferma anche “il mani-festo”, che cosa si aspetta a mettere al centro del dibattito la questione del socialismo?

È con il socialismo che, in ultima analisi, sarà possibile

per tutti avere un lavoro libe-ro, che tenga di conto dell’am-biente in tutti i suoi settori produttivi a partire dall’ener-getico, per arrivare alla mo-bilità, all’agricoltura ed alla conseguente qualità dell’ali-mentazione, alla salvaguar-dia del territorio e della salu-te, poiché è il marcio profitto capitalista che induce aziende e governi a rendere subalterni questi temi di profondo carat-tere sociale al profitto stesso che rimane l’unico obiettivo da raggiungere nel minor tempo possibile.

“Il tempo è adesso”, soprat-tutto per il socialismo. Mentre l’imperialismo e il sistema eco-nomico capitalistico trasforma-no in un inferno la vita dei po-poli e condannano il pianeta alla catastrofe climatica.

➫ DALLA 6ª

Direttrice responsabile: MONICA MARTENGHIe-mail [email protected] Internet http://www.pmli.itRedazione centrale: via A. del Pollaiolo, 172/a - 50142 Firenze - Tel. e fax 055.5123164Iscritto al n. 2142 del Registro della stampa del Tribunale di Firenze. Iscritto come giornale murale al n. 2820 del Registro della stampa del Tribunale di FirenzeEditore: PMLI

ISSN: 0392-3886chiuso il 12/12/2018

ore 16,00

8 il bolscevico / cambogia N. 45 - 20 dicembre 2018

Pol Pot rivisitatoEstratti dal reportage

“Pol Pot rivisitato” su un viaggio in Cambogia del giornalista russo-svedese Israel Shamir effettuato nel settembre 2012

...Il socialismo viene smantel-

lato rapidamente: fabbriche di proprietà cinese continuano a sfornare magliette per il mer-cato europeo e americano im-piegando decine di migliaia di giovani ragazze cambogiane che guadagnano 80 dollari al mese. Esse vengono licenzia-te al primo segno di sindacaliz-zazione. I nuovi ricchi vivono nei palazzi; ci sono un sacco di macchine Lexus e perfino una Rolls-Royce. Enormi tron-chi neri e rossi, duri e preziosi, vengono costantemente av-viati al porto per l’esportazio-ne del legname, distruggen-do le foreste ma arricchendo i commercianti. Ci sono molti nuovi ristoratori francesi nella capitale; I rappresentanti delle ong guadagnano in un minuto l’equivalente del salario men-sile di un lavoratore.

...Sorprendentemente, i cam-

bogiani non hanno un cattivo ricordo di quel periodo. Que-sta è una scoperta piuttosto sorprendente per un visitato-re occasionale. Non sono ve-nuto per ricostruire “la verità”, qualunque essa sia, ma piut-tosto per scoprire qual è la memoria collettiva dei cam-bogiani, come essi percepi-scono gli eventi della fine del XX secolo, quale narrativa è stata filtrata col passare del tempo. La macchina onnipo-tente della narrativa occiden-tale ha inculcato nella nostra coscienza l’immagine dei san-guinari Khmer Rossi comuni-sti, che hanno cannibalizzato il loro stesso popolo nei campi di sterminio, e governati dal-lo spaventoso Pol Pot, l’idea stessa di un despota spietato.

Un professore americano molto quotato, RJ Rummel, ha scritto che “su una popola-zione che nel 1970 era di cir-ca 7.100.000 persone... qua-si 3.300.000 tra uomini, donne e bambini furono uccisi... la maggior parte dei quali ... fu-rono uccisi dai Khmer Rossi”. Metà della popolazione, se-condo questa versione.

Tuttavia la popolazione del-la Cambogia non è stata di-mezzata ma è più che rad-doppiata dal 1970, malgrado i presunti genocidi multipli. A

quanto pare chi li ha esegui-ti era un incapace, o i loro ri-sultati sono stati grandemente esagerati.

I cambogiani ricordano Pol Pot non come un tiranno, ma come un grande patriota e na-zionalista, un amante della cultura e del modo di vivere nazionali.

...Pol Pot voleva ricostruire

prima di tutto i villaggi, e solo successivamente costruire l’industria per andare incontro alle loro necessità. Egli non teneva in gran conto gli abi-tanti della capitale, che non avevano fatto niente di utile nella sua visione. Molti di loro erano coinvolti con gli specu-latori, un tratto caratteristico della Cambogia post colonia-le; altri collaboravano con le compagnie straniere nel deru-bare il popolo.

… I cambogiani con cui ho

parlato ridicolizzavano le ter-ribili storie dell’Olocausto Co-munista come un’invenzione occidentale. Essi mi ricorda-vano quello che era succes-so: la loro breve storia di guai iniziò nel 1970, quando gli americani cacciarono il loro legittimo sovrano, il principe Sihanouk, e lo sostituirono con il loro agente e dittatore militare, Lon Nol. Il secondo nome di Lon Nol era “corru-zione”, e i suoi seguaci ruba-rono tutto ciò che potevano,

trasferirono i loro guadagni il-leciti all’estero e si trasferiro-no negli Stati Uniti. Dopodiché sono arrivati i bombardamenti statunitensi. I contadini accor-sero verso i guerriglieri della foresta, i Khmer Rossi, guidati da alcuni diplomati della Sor-bona, e alla fine riuscirono a cacciare Lon Nol e i suoi so-stenitori americani.

Nel 1975, Pol Pot prese il controllo del paese, devastato da una campagna di bombar-damenti statunitensi di una fe-rocia paragonabile a quelli di Dresda, e lo salvò, essi dico-no. Infatti gli aerei degli Stati Uniti (ricordate la Cavalcata delle Valchirie in “Apocalypse now?”), sganciarono più bom-be su questo povero paese che sulla Germania nazista, e sparsero le loro mine su ciò che ne restava. Se i cambo-giani sono sollecitati a nomi-nare il loro grande distruttore (e non sono entusiasti di sca-vare nel passato), è il profes-sor Henry Kissinger che no-minano, non il compagno Pol Pot.

Pol Pot e i suoi amici hanno ereditato un paese devastato. I villaggi erano stati spopola-ti; milioni di rifugiati si sono ra-dunati nella capitale per sfug-gire alle bombe americane e alle mine americane. Poveri e affamati, essi andavano nu-triti. Ma a causa della campa-gna di bombardamenti, nes-suno aveva piantato il riso nel 1974. Pol Pot ha comandato a tutti di allontanarsi dalla città e tornare alle risaie per pian-tare il riso. Questo fu un pas-so duro, ma necessario, e in un anno la Cambogia ebbe un buon raccolto di riso, sufficien-te a sfamare tutti e perfino a vendere un po’ di eccedenza per comprare beni necessari.

La Nuova Cambogia (o

Kampuchea, come veni-va chiamata) sotto Pol Pot e i suoi compagni era un incu-bo per i privilegiati, per i ricchi e per i loro servi; ma i pove-ri avevano abbastanza cibo e gli era stato insegnato a leg-gere e scrivere. Per quanto ri-guarda le uccisioni di massa, queste sono solo storie horror, sostenevano i miei interlocu-tori cambogiani. Certamente i contadini vittoriosi spararono a predoni e spie, ma molti altri morirono a causa delle mine americane e durante la suc-cessiva invasione vietnamita, mi dicevano.

Per ascoltare l’altra par-te, mi sono diretto ai Campi di sterminio di Choeung Ek, il memoriale in cui le presun-te vittime sono state uccise e seppellite. Questo è un po-sto a circa 30 km da Phnom Penh, un parco verde curato e con un piccolo museo, mol-to visitato dai turisti, lo Yad va-Shem della Cambogia. Una targa dice che le guar-die dei Khmer Rossi vi avreb-bero portato circa 20-30 dete-

nuti due o tre volte al mese, e ucciso molti di loro. Per tre anni, in due anni avrebbe por-tato a meno di duemila morti, ma un’altra lapide diceva che vi hanno sepolto circa otto-mila corpi. Comunque, un’al-tra lapide diceva che c’erano stati oltre un milione di mor-ti. Noam Chomsky ha valuta-to che il bilancio delle vittime in Cambogia potrebbe essere stato gonfiato “di un fattore di mille”.

Non ci sono foto delle uc-cisioni; invece, l’umile mu-seo custodisce un paio di di-pinti “naive” che mostrano un uomo grande e forte che uc-cide uno piccolo e debole, in uno stile piuttosto tradiziona-le. Altre targhe recitavano: “Qui venivano conservati gli strumenti assassini, ma ades-so non rimane nulla” e iscri-zioni simili. A me, questo ha ricordato altre storie sponso-rizzate dalla CIA sulle atroci-tà rosse, che si tratti del ter-rore di Stalin o dell’holodomor ucraino. Le persone che ora dirigono gli Stati Uniti, l’Euro-pa e la Russia vogliono pre-sentare ogni alternativa alla loro regola come inetta o san-guinaria o entrambe le cose. In particolare odiano i leader incorruttibili, siano essi Robe-spierre o Lenin, Stalin o Mao e Pol Pot. Preferiscono i leader pronti all’innesto e alla fine li installano. Gli americani han-no una buona ragione in più:

gli omicidi di Pol Pot servono a nascondere le loro stesse atrocità, i milioni di indocine-si che hanno bruciato col na-palm e mitragliato.

I cambogiani dicono che molte più persone furono uc-cise dai vietnamiti invasori nel 1978; mentre i vietnamiti preferiscono spostare la col-pa sui Khmer Rossi. Ma l’at-tuale governo non incoraggia questo o altri scavi nel passa-to, e per una buona ragione: praticamente tutti i funziona-ri importanti al di sopra di una certa età erano membri dei Khmer Rossi, e spesso mem-bri importanti. Inoltre, qua-si tutti hanno collaborato con i vietnamiti. L’attuale premier, Hun Sen, era un comandan-te dei Khmer Rossi, e in se-guito sostenne l’occupazione vietnamita. Quando i vietna-miti andarono a casa, rimase al potere.

Il principe Sihanouk, che fu esiliato dagli americani, anche lui aveva sostenuto i Khmer Rossi. Dopo la partenza dei vietnamiti tornò a casa nel suo

curato palazzo reale e nel suo vicino tempio d’argento col Budda di smeraldo. Incredibil-mente, è ancora vivo, sebbe-ne abbia trasferito la corona a suo figlio, un monaco che ha dovuto lasciare il monastero per assumere il trono. Quin-di la famiglia reale non è en-tusiasta di scavare nel passa-to. Nessuno vuole discuterne apertamente; la storia ufficia-le delle presunte atrocità dei Khmer Rossi è radicata nella coscienza occidentale, seb-bene i tentativi di processarne gli autori abbiano dato scarsi risultati.

Guardando indietro, sem-bra che i Khmer Rossi di Pol Pot abbiano fallito nella loro politica estera piuttosto che nella loro politica interna. È bene che abbiano cancellato il denaro, abbiano dinamitato le banche e inviato i banchie-ri a piantare il riso. È bene che abbiano prosciugato la gran-de sanguisuga, i compradores della grande città e gli usurai. Il loro fallimento è stato che non hanno calcolato la loro posi-

zione vis-à-vis col Vietnam e hanno cercato di spingere più del loro stesso peso. Il Viet-nam era molto potente - aveva appena sconfitto gli Stati Uniti - e non avrebbe tollerato alcu-no scherzo dai loro fratelli mi-nori a Phnom Penh. I vietna-miti pianificarono di creare una Federazione indocinese che includesse il Laos e la Cam-bogia sotto la loro guida. Inva-sero e rovesciarono i testardi Khmer Rossi che erano troppo gelosi della loro indipendenza. Hanno anche sostenuto la leg-genda nera del genocidio per giustificare il loro stesso san-guinoso intervento.

Parliamo troppo dei mali commessi sotto regimi futu-risti e troppo poco dei mali degli avidi governanti. Spes-so non ricordiamo la carestia del Bengala, l’olocausto di Hi-roshima, la tragedia del Viet-nam, o anche Sabra e Shatila. L’introduzione del capitalismo in Russia ha ucciso più perso-ne che l’introduzione del so-cialismo, ma chi è che lo sa?

Israel Shamir

Panama“Luminoso Futuro”

pubblica l’articolo “Il ‘genocidio’ nella Cambogia di Pol Pot è un falso dell’imperialismo”

Luminoso Futuro, organo di stampa internazionale del PC(ML) P, di cui è responsabile il compagno Quiban Gaytan, portavoce del Comitato centrale del Partito Co-munista (marxista-leninista) di Panama ha pubblicato il 5 dicembre l’articolo de “Il Bolscevico” n. 44/2018 dal titolo “Il ‘genocidio’ nella Cambogia di Pol Pot è un falso dell’im-perialismo” tradotto in lingua castigliana.

Pol Pot in una marcia di trasferimento nella giungla durante la guerra di resistenza

In alto: l’abbondante raccolta del grano frutto della stretta collaborazione tra i contadini e l’Esercito Rivoluzionario dopo la liberazione della CambogiaA sinistra: un oleificio per la lavorazione della crusca di riso

MARX SU MARX

1872Mi sono talmente strapazzato con

un lavoro da cane che oggi (fra 2 ore) lascio Londra insieme a Engels per 4-5 giorni e mi reco al mare (Ramsga-te). Dopo il mio ritorno, e fino al 2 set-tembre (giorno in cui ha luogo il con-gresso internazionale all’Aja) sono sovraccarico di lavoro: ma da allora in poi sarò di nuovo più libero. Questa libertà incomincia però solo a metà settembre poiché io stesso mi reche-rò all’Aja.

(Marx, Lettera a Ludwig Kugel-mann, 9 luglio 1872, Opere Marx En-gels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pag. 512)

Al congresso internazionale (L’Aja, apertura 2 settembre), si tratta di vita o di morte dell’Internazionale, e prima che io ne esca, voglio almeno proteg-gerla dagli elementi disgregatori. La Germania deve avere dunque il mag-gior numero possibile di rappresen-tanti. Siccome però ora tu vieni, scrivi a Hepner che lo prego di procurarti un mandato quale delegato.

(Marx, Lettera a Ludwig Kugel-mann, 29 luglio 1872, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pag. 517)

Oggi scrivo con molta fretta a cau-sa di una vicenda particolare, estre-mamente urgente. Bakunin ha lavo-rato in segreto per anni per minare l’Internazionale e adesso l’abbiamo messo talmente con le spalle al muro che dovrà finalmente gettare la ma-schera e scindersi pubblicamente con tutte le teste matte che dirige.

È lui l’organizzatore dell’affare Nečaev. A questo Bakunin era sta-ta affidata a suo tempo la traduzione russa del mio libro. Ha intascato in anticipo il denaro per questo lavoro, ma invece di farlo ha scritto o ha fatto scrivere a Ljubavin (credo sia questo il nome), che aveva trattato con lui a nome dell’editore, una lettera assolu-tamente infame e compromissoria.

(Marx, Lettera a Nicolaj Francevič Danielson, 15 agosto 1872, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pag. 528)

Vorrà certo scusare il mio lungo si-lenzio considerando che sono stato oberato di lavoro. Mi sono finalmen-te sbarazzato delle faccende ammini-strative che mi assillavano nella mia qualità di membro del Consiglio gene-rale dell’Internazionale e che diven-tavano di giorno in giorno più incom-patibili con i miei studi teorici. Ancora adesso ho sulle braccia certi lavo-ri di cui mi ha incaricato il congresso dell’Aja, ma dopo potrò disporre più li-beramente del mio tempo.

La prima serie del “Capitale” è in

generale ben fatta, per quanto riguar-da ciò che spetta all’editore. Per altro mi hanno molto urtato gli errata che vi si trovano e che non c’erano nelle ulti-me bozze da me corrette. (…)

In Russia il mio libro ha avuto un successo straordinario. Quando avrò le mani un po’ più libere, Le invie-rò qualche estratto delle critiche rus-se. Era appena la fine di aprile (1872) quando fu pubblicata la traduzione russa (in un grosso volume) e sono già stato avvertito da Pietroburgo che nel 1873 si farà una seconda edizio-ne.

(Marx, Lettera a Maurice Lachâtre, 12 ottobre 1872, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pagg. 546-547)

In seguito all’estradizione di Nečaev e agli intrighi del suo maestro Bakunin, sono molto inquieto per la

sicurezza Sua e di alcuni altri amici. Questa gente è capace di ogni bas-sezza.

(Marx, Lettera a Nicolaj Francevič Danielson, 25 novembre 1872, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pag. 562)

Dall’allegato può vedere i risulta-ti del congresso dell’Aja. Con la mas-sima riservatezza e senza rivelare il nome dei destinatari, ho letto davanti alla commissione d’enquête [d’inchie-sta] sull’Alleanza la lettera a Ljubavin. Il segreto però non è stato conserva-to, in primo luogo perché della com-missione faceva parte l’avvocato bel-ga Splingard, che in realtà era solo un agente degli alleanzisti; in secondo luogo perché Žukovskij, Guillaume e Co. - per prevenire la mossa – ave-vano già prima raccontato a destra e sinistra tutta la vicenda a modo loro e con cambiamenti apologetici. È ac-caduto così che la commissione, nel suo rapporto al congresso, è stata co-stretta a comunicare i fatti riguardan-ti Bakunin e contenuti nella lettera a Ljubavin (naturalmente io non avevo fatto il suo nome ma gli amici di Ba-kunin erano stati istruiti sulla vicenda già a Ginevra). La questione è ora se la commissione incaricata della pub-blicazione dei protocolli del congresso (di cui io stesso faccio parte) può di-sporre liberamente di quella lettera o no. Ciò dipende da Ljubavin. Tuttavia devo sottolineare che da un pezzo – dopo il congresso -, e senza il nostro

intervento, la cosa ha fatto il giro della stampa europea. Tutto il modo come si è svolta questa vicenda è stato per me tanto più sgradevole in quanto avevo preteso e fatto conto sulla più rigida discrezione.

In seguito all’espulsione di Bakunin e di Guillaume, l’Alleanza, che aveva in mano l’Associazione in Spagna e in Italia, ha aperto ovunque la campa-gna di diffamazione ecc. contro di noi e, unendosi a tutti gli elementi corrot-ti, cerca di provocare una scissione in due campi. Tuttavia la sua sconfitta fi-nale è sicura e tutto ciò ci servirà solo a ripulire l’Associazione dagli elemen-ti deviati o imbecilli che vi si sono insi-nuati qua e là.

L’aggressione omicida degli amici di Bakunin contro il povero Outine, a Ginevra, è un dato di fatto. Lo stato di salute di Outine è in questo momento assai critico. Questa impresa da de-

linquenti è già stata raccontata su nu-merosi giornali dell’Associazione (tra l’altro sull’“Emancipación” di Madrid) e figurerà, dettagliatamente esposta, nel nostro Compte Rendu [verbale] pubblico del congresso dell’Aja. La stessa banda di delinquenti ha com-piuto due simili attentati in Spagna contro i propri avversari. Sarà presto denunciata al mondo intero.

(Marx, Lettera a Nicolaj Francevič Danielson, 12 dicembre 1872, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pagg. 566-567)

1873Sono stato per mesi malato e, per

qualche tempo, perfino in una condi-zione di salute pericolosa provoca-ta dal superlavoro. La mia testa era così seriamente colpita che si temeva un colpo apoplettico, e ancora ades-so sono in grado di lavorare soltanto poche ore al giorno. Questo è l’unico motivo per cui non ho confermato pri-ma con i migliori ringraziamenti l’arri-vo della preziosa raccolta di libri che mi ha cortesemente inviato.

(Marx, Lettera a Nicolaj Francevič Danielson, 12 agosto 1873, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pag. 628)

La mia figlia minore e io ci siamo recati per tre settimane ad Harroga-te dove ci ha inviati il nostro medico; la vita quieta, la ventilazione, le ac-que minerali e le piacevoli passeggia-te del posto hanno avuto successo nel ricostituire la salute dei due pazienti. Quando arrivammo la stagione era già finita per cui siamo stati nel no-stro albergo in “solitaria beatitudine”, solo disturbati, e qualche volta divertiti negli ultimi giorni del nostro soggior-no, dall’arrivo di un parroco anglica-no, un vecchio chiacchierone, privo di ogni ipocrisia, di parola facile e futile, di modi convenzionali e non interes-sato a nient’altro che alla sua pancia. Era il fedele modello del cristiano mo-derno, che pronunciava questa stes-sa parola solo in riferimento alle por-tate del nostro albergatore, dicendo, per esempio: questa non è una co-stoletta di montone cristiana, se ac-

cadeva che alle costolette mancasse questa o quella virtù. Aveva visita-to la maggior parte dei paesi europei ed era un ufficio informazioni vivente sui pregi e i difetti dei suoi numero-si alberghi, sempre alla vana ricerca di quell’unico tipo di umanità, l’uomo perfetto… il cuoco! Nello stesso tem-po non si stancava mai di fare dell’a-maro sarcasmo contro le esorbitanti pretese e la smodata vita dei minatori della regione nera, [le zone delle mi-niere di carbone dello Staffordshire e dello Warwickshire] essendo egli stes-so beneficiario a Durham. Quest’uo-mo offriva di continuo a Eleanor e a me l’occasione di pensare a Lei e di ricordarLa, perché difficilmente si po-trebbe immaginare un contrasto più stridente: Lei, per così dire l’anticipa-zione di come sarà l’uomo della nuo-va società, e lui, il parroco, l’immagine stereotipata di ciò che è riuscito a di-ventare l’uomo della vecchia società.

Le spedisco oggi altre tre parti del “Capitale” che, nel complesso, sono meno astratte delle precedenti. Se contribuiscono ad animare le sue ore di solitudine, ne sarò tanto più conten-to. In generale devo dire che le mie idee cominciano a diffondersi tra gli operai del continente e che laggiù le classi superiori e i rappresentanti uf-ficiali dell’economia politica non fanno altro che parlarne e ne sono piuttosto contrariati.

(Marx, Lettera a Thomas Allsop, 23 dicembre 1873, Opere Marx Engels, Editori Riuniti, vol. XLIV, pagg.640-641)

1875Sono sovraccarico di lavoro e deb-

bo già superare di molto la quantità di lavoro che i medici mi hanno prescrit-to. Perciò non è stato punto un “piace-re” per me lo scrivere uno scartafaccio così lungo. Ma la cosa era necessa-ria, affinché i passi che io dovrò fare in seguito non vengano fraintesi da-gli amici del partito, a cui è destina-ta questa comunicazione. - Alludo al fatto che dopo il Congresso di unifica-zione Engels ed io pubblicheremo una breve dichiarazione, in cui dichiarere-mo che non condividiamo assoluta-mente i principi del suddetto program-ma e che non abbiamo niente a che fare con esso.

Ciò è assolutamente necessario, perché all’estero si diffonde premu-rosamente l’opinione, alimentata dai nemici del partito, - e opinione asso-lutamente falsa, - che noi dirigerem-mo segretamente di qui il movimento del cosiddetto partito eisenacchiano. Ancora in uno scritto russo [si tratta del libro di Bakunin “Lo Stato e l’anar-chia”], pubblicato poco tempo fa, Ba-kunin, per esempio, mi rende respon-sabile non solo di tutti i programmi, ecc. di quel partito, ma persino di ogni passo fatto da Liebknecht dal mome-to della sua cooperazione col partito del popolo.

Prescindendo da questo è mio do-vere non riconoscere nemmeno con un silenzio diplomatico un program-ma che, secondo la mia convinzione, deve essere assolutamente respinto e che demoralizza il partito.

Ogni passo di movimento reale è più importante di una dozzina di pro-grammi. Se non si poteva dunque, - e le circostanze non lo permette-vano, - andare oltre il programma di Eisenach, si sarebbe dovuto sempli-cemente concludere un accordo per l’azione contro il nemico comune. Ma se si fanno dei programmi di principio (invece di rinviarli sino al momento in cui un programma sia stato preparato da una più lunga attività comune), si elevano al cospetto di tutto il mondo le pietre miliari dalle quali si giudica il livello del movimento di partito. I capi dei lassalliani sono venuti a noi per-ché le circostanze li hanno costretti. Se si fosse loro dichiarato in anticipo che non si sarebbe fatto alcun traffi-co di principi, si sarebbero dovuti ac-contentare di un programma di azio-ne o di un piano di organizzazione per un’azione comune. Invece si permet-te loro di intervenire armati di man-dati e si riconoscono questi mandati come obbligatori; si fa quindi una resa a discrezione a quelli che hanno biso-gno di aiuto. Per coronar l’opera, essi [cioè i capi lassalliani] tengono ancora un congresso prima del congresso di compromesso, mentre il partito vero tiene il suo congresso post festum. È evidente che si voleva evitare ogni cri-tica e non permettere al proprio partito di riflettere. Si sa che il semplice fat-to dell’unificazione appaga gli operai, ma si sbaglia pensando che questo successo momentaneo non sia stato comprato a un prezzo troppo caro.

(Marx, Lettera a G. Bracke, 5 mag-gio 1875, Carl Marx, Scritti scelti, vol. II, Edizioni in lingue estere, Mosca, pagg. 488-489)

Proseguiamo la pubblicazione di impor-tanti citazioni autobiografiche di Marx ini-ziata sul numero 10/2017 de “Il Bolsce-vico” in occasione del 14 marzo, 134° Anniversario della scomparsa del cofon-datore del socialismo scientifico e grande Maestro del proletariato internazionale, e proseguita sui n. 13, 14, 16, 17, 19, 20, 21, 23, 24, 26, 27, 28, 31, 33, 37/2017, 6, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 34, 35, 36, 37, 38, 39, 40, 42, 43 e 44/2018. Tra paren-tesi quadre […] compaiono le note dei cu-ratori.

N. 45 - 20 dicembre 2018 Marx su Marx / il bolscevico 9

[45 - continua]

Alcuni francobolli commemorativi su Marx: 1 - Emesso dallo stato della Renania Palatinato, che comprendeva Treviri (città natale di Marx) nel 1947 a seguito della fine dell’amministrazione post-bellica francese. 2 - Serie della Repubblica democratica tedesca nel 1953 per il 70° della morte. 3 - Unione Sovietica nel 1958 per il 140° della nascita. 4 - Repubblica popolare cinese per il Centenario della morte. 5 - Repubblica federale tedesca nel 2018 per il Bicentenario della nascita

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PARTITO MARXISTA-LENINISTA ITALIANOSede centrale: Via Antonio del Pollaiolo, 172a - 50142 FIRENZE Tel. e fax 055.5123164 e-mail: [email protected] www.pmli.it

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Buttiamo giù il governo nero fascista e

razzista Salvini-Di Maio

VIVA LA LOTTA

VIVA LA LOTTA

VIVA LA LOTTA

No alla militarizzazione della Valle e ai manganelli No alla militarizzazione della Valle e ai manganelli L’ultima parola alle

popolazioni della Val Susa

N. 45 - 20 dicembre 2018 interni / il bolscevico 11Secondo il XVI Rapporto sulla sicurezza delle scuole

Un cRollo nelle ScUole ognI 4 gIoRnI dI lezIone

Due bambine ferite dalla caduta di calcinacci in provincia di SondrioChe le scuole italiane non

fossero proprio in un eccel-lente stato di salute era sotto gli occhi di tutti, che i livelli di abbandono e di incuria siano da terzo mondo ce lo rivela in tutta la sua fredda e dura realtà il XVI rapporto di “Cittadinan-zattiva” sulla sicurezza nelle scuole.

Un crollo ogni quattro giorni di scuola nel 2017-2018, un re-cord rispetto agli ultimi 5 anni, con 13 persone rimaste feri-te tra personale scolastico e alunni (204 crolli e 37 feriti dal 2013 ad oggi).

La ricerca ci mostra chia-

ramente come l’Italia sia let-teralmente un Paese dove la crisi strutturale delle scuole è endemica con una netta di-stinzione in negativo, tra zone del Nord, del Centro e del Sud Italia. Partendo proprio dal Sud si rimane allibiti che i livelli di sicurezza per quanto riguarda gli incendi, la santità e le agi-bilità non superano il 20% su tutti i plessi scolastici, addirit-tura si parla di un misero 15% di scuole che raggiungono i requisiti igienici e di agibilità, cifre a dir poco spaventose. La Campania (11% con agibi-lità, 17% prevenzione incendi)

e la Calabria (12% con agibi-lità, nessuna per prevenzione incendi). 18.665 sono gli edi-fici scolastici che si trovano in zone a elevato rischio sismico, in particolare in Sicilia (3.832), Campania (3.458) e Calabria (2.399). Ma solo per il 29% delle scuole è stata effettuata la verifica di vulnerabilità sismi-ca (che sarà obbligatoria entro fine dicembre); fanalino di coda Calabria (solo 2% con verifica), Campania (4%) e Sicilia (7%), regioni in cui esistono un mag-gior numero di scuole in zone ad elevata sismicità. Solo il 9% delle scuole è stato migliorato

dal punto di vista sismico e an-cor meno (5%) è stato adegua-to sismicamente.

Anche il centro Italia non va meglio con un 19% di edi-fici scolastici che raggiungono i minimi standard qualitativi, mentre l’Umbria si trova con un 59% di scuole assicurate contro i rischi sismici.

Se la passa meglio il Nord con il 64% delle scuole in pos-sesso del certificato di pre-venzione incendi, il 61% ha effettuato il collaudo statico. Poco più della metà (53%) il collaudo, un terzo è in pos-sesso della certificazione di

prevenzione incendi, poco più (36%) di quella igienico-sani-taria. La Lombardia, in media quasi 119mila euro di spesa si attesta al primo posto, mentre la Puglia che però non arriva ai 3mila euro, il certificato di pre-venzione incendi è presente nel 69% degli istituti del Tren-tino Alto Adige e solo nel 6% di quelli laziali.

Un problema che ha assun-to dimensioni abnormi e che ogni giorno rischia di provoca-re vittime, come le due bambi-ne di due e quattro anni nella provincia di Sondrio colpite da due metri di soffitto crolla-to nella loro scuola, lo stesso giorno in cui veniva reso pub-blico il dossier. O come Vito Scafidi, il ragazzo di 17 anni, del liceo Darwin di Rimini, tra-volto e ucciso dal tetto della

scuola dove studiava esatta-mente 10 anni fa.

Tutte vittime di un sistema edilizio scolastico che non fun-ziona per colpa della negligen-za dei governi borghesi sia di destra sia della “sinistra” che hanno fatto tagli su tagli di mi-lioni di euro negli investimenti per la scuola pubblica, soldi che sono finiti nelle tasche del-le già pasciute scuole private o regalati alle aziende grazie al Jobs Act e alla “Buona scuola” entrambe di Renzi.

Il taglio dei 100 milioni pre-visto dal governo nero razzista e fascista Salvini-Di Maio an-drà ad aggravare ulteriormente questa situazione, oramai in-sostenibile, non solo per il di-ritto allo studio ma per la stes-sa incolumità della vita degli studenti.

come l’Ungheria di orban

l’ItalIa ha dISeRtato Il VeRtIce onU SUll’ImmIgRazIone

Come il governo aveva già annunciato, l’Italia ha disertato la conferenza internazionale in-detta dall’Onu a Marrakech nel-le giornate del 10 e 11 dicembre per ratificare il Global Compact sull’immigrazione, e con tale posizione politica il nostro Pae-se si è allineato, tra gli altri, alla politica fascista dell’Ungheria di Orban, che in Europa più di tutti ha osteggiato la ratifica del trat-tato internazionale.

Il governo Conte per la ve-rità, cercando quasi di giusti-ficarsi di fronte all’opinione pubblica internazionale, ha pre-cisato di voler disertare il vertice in quanto il trattato, secondo le testuali parole del ministro degli Esteri Moavero Milanesi usate in un question time alla came-ra lo scorso 21 novembre, “non sarà un atto giuridicamente vincolante”, facendo così com-prendere ipocritamente che la diserzione a Marrakech sareb-

be stata dettata soltanto dalla scarsa importanza del vertice e del trattato, ma la realtà è ben diversa.

Infatti qualche giorno più tardi, il 27 novembre, il ministro dell’Interno Salvini ha dichiara-to di essere contrario al Global Compact in quanto metterebbe sullo stesso piano “i migranti cosiddetti economici e i rifugiati politici”, smascherando così il vero obiettivo del governo ita-liano: essere pregiudizialmente contrario alla ratifica del trattato per motivi esclusivamente poli-tici.

In Europa, seguendo la po-litica di Orban, sono molti gli Stati retti da governi razzisti e xenofobi che hanno disertato la conferenza o non hanno rati-ficato il trattato, come l’Austria, la Bulgaria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, e fuori dall’Euro-pa gli Stati Uniti di Trump, l’Au-stralia e Israele, per cui ormai

si può tranquillamente dire che il vertice di Marrakech è stata un’occasione persa per una gestione globale del fenomeno migratorio.

Eppure le disposizioni del Global Compact, su alcuni specifici punti, invitano i gover-ni a fare addirittura di meno di quanto già previsto dal diritto europeo: nel 2016 fu adottata all’Onu, fortemente appoggiata dall’allora presidente america-no Obama, la Dichiarazione di New York su migranti e rifugiati, che è una semplice dichiara-zione di intenti sottoscritta da 193 Paesi, che prevede l’avvio entro il 2018 di un Global Com-pact, ossia della sottoscrizione di un trattato al fine di respon-sabilizzare i governi nella tutela minima di quanti - 258 milioni di persone secondo i dati delle Nazioni Unite - sono costretti a lasciare le proprie abitazioni.

I 23 articoli del Global Com-

pact non impongono agli Stati sottoscrittori di accettare mi-granti o rifugiati, e si concentra-no semmai sul rispetto dei diritti delle persone e sulla necessità di fornire una dignitosa acco-glienza ai migranti, soprattutto alle donne e ai minori. Il tratta-to prevede anche un impegno comune degli Stati firmatari a fornire sostegno a quei Paesi che sono maggiormente inte-ressati dai movimenti migratori, tra i quali ovviamente c’è anche l’Italia.

È chiaro che, seguendo l’esempio degli Stati Uniti di Trump e dell’Ungheria di Orban, l’Italia intende ripudiare anche tali minimi principi di accoglien-za verso i migranti, rifiutandosi anche soltanto di riconoscere la realtà di un problema globale generato in gran parte dal siste-ma capitalista.

d’accordo col padronato

Il fascioleghista Salvini contro il valorelegale della laurea

Il lupo perde il pelo ma non il vizio, e così cambiando i bu-rattini alla guida del governo borghese non cambia la volon-tà del padronato per cancella-re in Italia il valore legale della laurea.

Ora è la volta del fasciole-ghista Matteo Salvini ad avan-zare la proposta, che tra l’altro si trova anche tra i punti del programma del M5S, anche se quest’ultimo per il momento, è stato in parte stoppato dal ministro dell’istruzione Busset-ti per il quale l’abolizione non è momentaneamente in pro-gramma.

Secondo Salvini l’abolizio-ne del valore legale dei titoli di

studio servirebbe a mettere in concorrenza tra loro le Univer-sità. Mancando un valore all’at-testato rilasciato, le Università sarebbero spinte a suo dire a migliorare il servizio offerto, assumendo bravi docenti e mi-gliorando la didattica. Sarebbe il mercato a decidere il valore degli studi conseguiti, nei fatti si prospetta come un progetto dal carattere sfacciatamente liberi-sta che rischia di incrementare ancora di più il profondo solco che si sta venendo a creare in Italia tra Università di serie a e di serie b.

Abolendo il valore legale della laurea, le Università ver-ranno spinte a cercare i fondi

per migliorare i propri standard qualitativi negli investitori pri-vati visto che ormai il governo ha chiuso i rubinetti dei fondi pubblici, e gli studenti rischiano di essere discriminati una volta finito il ciclo degli studi nella ri-cerca di un lavoro, nel già pre-cario mercato capitalista, con le aziende e il padronato che opereranno una feroce selezio-ne tra chi arriva da prestigiose e costose università e chi invece per cause economiche o terri-toriali dovendosi accontentare di università di secondo livel-lo, rischia una vera e propria esclusione dal mondo del lavo-ro e una condanna alla disoc-cupazione ed a lavori dequali-ficanti. Questo penalizzerebbe di gran lunga soprattutto le uni-versità e gli studenti del sud, dove le scuole sono lasciate

al più completo abbandono e nell’ottica di una buona forma-zione scolastica con la carenza di insegnanti e personale sco-lastico, chi si laurea in simili università si vedrebbe scartato rispetto a chi arriva da univer-sità prestigiose delle regioni più “ricche”.

Questo progetto classista non è una novità, infatti già nel piano di rinascita democratica della P2 d Licio Gelli come già denuncia-to fin dalle sue origini dal PMLI, la dequalificazione ha mosso i suoi primi passi ed essi sono sta-ti portati avanti da tutti i governi borghesi, di destra come di “si-nistra”. Che le masse studente-sche, universitarie e popolari non lascino passare quest’ennesimo tassello di fascistizzazione dell’u-niversità. Il PMLI sarà al loro fian-co in questa lotta.

la corte Ue chiede all’Italia

di recuperare l’Ici non pagata dal

VaticanoIl governo si sbrighi a recuperare i 4 miliardi

regalati alla Chiesa cattolica La Corte di giustizia

dell’Unione europea, an-nullando la decisione della Commissione del 2012 e la sentenza del Tribunale della stessa Unione del 2016 - che avevano sancito l’impossibi-lità di recupero dell’Ici dalla Chiesa cattolica, a causa di difficoltà organizzative, con riguardo agli enti non commerciali (scuole, clini-che e alberghi) – ha stabilito lo scorso 6 novembre che lo Stato italiano deve recu-perare l’Ici non pagata dalla Chiesa, condannando conte-stualmente l’Italia per avere attuato dei veri e propri aiuti di Stato a favore della Chiesa cattolica.

La sentenza riguarda esenzioni che hanno age-volato gli enti ecclesiastici tra il 2006 e il 2011 e sarà necessaria una norma di legge, che l’Italia dovrà ne-cessariamente introdurre, al fine di recuperare le ingenti somme dovute dalla Chiesa allo Stato italiano per esercizi che nulla hanno a che vedere con lo scopo di culto: infatti l’imposta è dovuta per vere e proprie attività economi-che - come scuole, cliniche e alberghi – che gli enti eccle-siastici hanno finora gestito

in regime di aperta e con-clamata concorrenza sleale, in quanto hanno potuto be-neficiare (contrariamente ad altri gestori delle medesime attività) di forti esenzioni di imposta.

Se l’Italia non si adopere-rà tempestivamente al fine di recuperare gli aiuti di Stato illeciti potrebbe aprirsi per il nostro Paese la via della pro-cedura di infrazione, con altri costi a carico dei cittadini, e sarà la Commissione euro-pea, obbligata a dare segui-to alla sentenza, che dovrà emanare una nuova decisio-ne e valutare, insieme allo Stato italiano, le modalità di recupero delle imposte non riscosse dal 2006 al 2011.

La questione non è di poco conto, perché l’impor-to dell’Ici dovuto dagli enti ecclesiastici ai comuni italia-ni nel periodo 2006-2011 è di almeno 4 miliardi di euro, per cui il governo italiano dovrà agire in fretta, di con-certo con la Commissione europea, al fine di introdur-re norme che consentano il recupero in tempi brevi dei miliardi di euro regalati dallo Stato italiano alla Chiesa cat-tolica.

12 il bolscevico / PMLI N. 45 - 20 dicembre 2018

Considerazioni sull’articolo de “Il Bolscevico” “Teniamo alta la bandiera del PMLI! Abbasso i traditori!”

I TrAdITorI dAnneggIAno IL PMLI neLL’IMMedIATo, MA Lo rAfforzAno In ProsPeTTIvA

di Giordano – Paola (Cosenza)

Nell’articolo de “Il Bolsce-vico’’ n. 44 “Teniamo alta la bandiera del PMLI! Abbasso i traditori!’’ il PMLI dimostra an-cora una volta di essere il ros-so figlio della gloriosa classe operaia italiana!

In maniera sintetica viene trattato il problema del tradi-mento di alcuni dirigenti del Partito e della difficoltà di for-marne dei nuovi.

Sono due problemi del tut-to fisiologici legati alla lotta di classe la quale, generando il PMLI, genera anche le con-traddizioni interne al Partito, inevitabili, tanto che in ultima analisi la storia degli auten-tici partiti comunisti è innan-zitutto la storia delle contrad-dizioni interne ai medesimi e della lotta per la costruzione, l’allargamento e il consolida-mento di un gruppo dirigente bolscevico formato sul model-lo dei Maestri, tenendo conto anche dell’inesorabile scorre-re del tempo e del fatto che, come tutti gli uomini, anche i dirigenti del PMLI, purtroppo, non vivono in eterno.

Il PMLI in nessuno modo può evitare di affrontare que-sto tipo di problemi e contrad-dizioni, pensarlo sarebbe puro idealismo storico misto ad in-genuità.

La contraddizione poi è il concetto fondamentale della dialettica materialista e quin-di del materialismo storico, la dialettica stessa non è al-tro che la scienza delle leggi generali del movimento, del-lo sviluppo della natura e del pensiero umano, che consen-tono il divenire materiale, na-turale e storico, attraverso:

1. il passaggio della qualità in quantità (e viceversa),

2. la compenetrazione de-gli opposti,

3. la negazione della nega-zione, le tre leggi fondamenta-li della dialettica materialistica.

Sul piano sociale in una so-cietà divisa in classi, per effet-to di ciò che si produce, come lo si fa e come lo si scambia, le contraddizioni sono di due tipi, quelle in seno al popolo (le quali vertono intorno a ciò che è giusto e ciò che non lo è) e quelle antagoniste (tra il nemico e noi) diretta espres-sione dell’inconciliabilità degli interessi di classe.

Nell’ambito della vita inter-

na del Partito le prime si ri-solvono in base al principio “unità-critica-unità’’, tenendo presente che la cosa più im-portante è che il PMLI non cambi di colore e rimanga uni-to. Quelle con il nemico si ri-solvono sbarrando la strada ai nemici del proletariato annida-ti nel Partito.

Da questo punto di vista i dirigenti che crollano sono “i morti e i dispersi’’ della lotta di classe, i traditori che passa-no con il nemico sono i novelli Giuda al servizio del padrone, meglio perderli che trovarli, anche perché li attende la pat-tumiera della storia.

Per quanto riguarda la for-mazione di nuovi dirigenti il punto è che la scelta della mi-litanza marxista-leninista non è semplice, richiede l’acquisi-zione di quegli elementi indi-cati da Mao nelle 10 citazioni sui marxisti-leninisti pubblica-te su “Il Bolscevico’’.

I pionieri proletari rivolu-zionari si trovano, essendo espressione del nuovo mondo che prende il posto di quello vecchio, a dover andare con-trocorrente rispetto alla men-talità e alla pratica sociale delle masse, le quali inevita-bilmente sono sotto l’influenza della borghesia e lo saranno finché non saranno influen-

zate, direttamente o indiretta-mente, dal Partito del proleta-riato.

Inoltre il fuoco (anche quel-lo delle “pallottole di zucche-ro’’) della classe dominante verso il Partito non viene mai meno, al Centro come alla base.

Ecco perché una serie di dirigenti del PMLI hanno la-sciato negli anni il Partito, in maniera più o meno misere-vole, risucchiati dalla borghe-sia, tanto è potente la lotta di classe anche sul piano ideo-logico, ed ecco perché è così laborioso e complesso forgiar-ne di nuovi.

Da un punto di vista quan-titativo è certamente un pec-cato perdere dei dirigenti, ma questo determina un miglio-ramento qualitativo perché “epurandosi un partito si rafforza’’ e “la prima con-dizione del comunismo è la rottura con gli opportunisti’’ (Lenin), la qual cosa dimostra che il PMLI ha una testa rossa e forte e un esemplare gruppo dirigente, la cui unità rappre-senta il bene più prezioso di questo “miracolo politico’’ del-la lotta di classe che è il PMLI medesimo.

La borghesia, come in pas-sato, attaccherà in ogni modo il Partito anche in futuro, pri-

ma, durante e dopo la rivo-luzione socialista, per que-sto, come ha detto Scuderi nel rapporto alla 4ª Sessione plenaria del 3° CC del PMLI: “In questa situazione di asse-dio è facile che cadano i più deboli e che avvengano delle defezioni e anche gravi tradi-menti’’. Comunque tradendo il Partito oggi danneggiano il PMLI nell’immediato, ma ap-punto lo rafforzano in prospet-tiva.

Va detto poi, come mi ha in-segnato il Partito, che la cate-goria più pericolosa dei tradi-

tori non è quella di coloro che crollano o scappano oggi (pur-ché siano una minoranza ov-viamente, altrimenti avrebbe-ro distrutto tutto), ma quella di coloro che entrano e restano dentro il Partito, camuffati per decenni da marxisti-leninisti esemplari, i quali al momen-to opportuno usciranno poi allo scoperto per far cambiare colore al PMLI (i vari Trotzky, Kruscev, Deng e così via).

Prima della rivoluzione sta al Partito in base alla vigilan-za rivoluzionaria sbarrare loro la strada. Dopo la rivoluzio-

ne sarà anche compito delle masse, prendendo a modello la Grande Rivoluzione Cultu-rale Proletaria cinese ideata e diretta da Mao, continuando così la rivoluzione nell’ambito della dittatura del proletariato.

La lotta tra le due linee e i tradimenti potranno sempre verificarsi nel partito del pro-letariato finché non si saran-no estinte le classi stesse, nel comunismo, anche in Italia e non avrà dunque più ragione di esistere lo stesso PMLI.

Per acquisire nuovi quadri e dotare il Partito di un corpo da Gigante Rosso, indispen-sabile perché il PMLI possa svolgere fino in fondo il suo ruolo d’avanguardia per far acquisire alla classe opera-ia coscienza di essere clas-se per sé (e non solo in sé) e condurla alla conquista del potere politico, non bisogna guardare certamente nella di-rezione dei traditori o di colo-ro che sono crollati alle prime difficoltà, ma prendere a mo-dello come dice Scuderi: “chi da oltre 51 anni tira la carretta del Partito senza badare a sa-crifici e a rinunce pur di dare un corpo da Gigante Rosso al PMLI, avendo un’incrollabile fiducia verso il marxismo-leni-nismo-pensiero di Mao, il so-cialismo, il PMLI, le masse e in noi stessi”.

Evviva, evviva, evviva il rosso Partito del proletaria-to, della riscossa e del socia-lismo!

Abbasso i traditori di ieri, di oggi e di domani!

Avanti, con forza e fiducia sulla via dell’Ottobre verso l’I-talia unita, rossa e socialista!

Coi Maestri e il PMLI vince-

SEDIAMOCIINTORNO A UN TAVOLO Cinque cose concrete per dare al

PMLI un corpo da Gigante Rosso

1 Facciamo un bilancio critico e autocritico sul lavoro svolto 2 Riflettiamo su ogni elemento della parola d’ordine “Studiare, concentrarsi sulle priorità, radicarsi” e su ciascuno di essi stabiliamo cosa dobbiamo fare negli ambienti e nei movimenti in cui operiamo 3 Sviluppiamo il lavoro di massa, specie sindacale, studentesco e femminile 4 Pratichiamo una larga politica di fronte unito ricercando alleanze in particolare con i partiti con la bandiera rossa e la falce e martello 5 Teniamo sotto tiro il governo nero fascista e razzista Salvini-Di Maio

Amigos del PMLI-Panama invita gli iscritti a leggere l’articolo de “Il Bolscevico” “Teniamo alta la bandiera del PMLI! Abbasso i traditori”

Roma, 24 novembre 2018. Manifestazione nazionale contro la violenza alle donne e di genere promossa dal movimento NUDM. Una parte della Del-egazione nazionale del PMLI impegnata a lanciare le parole d’ordine. Da destra (con il cartello) Caterina Scartoni che guidava la delegazione, Cristina Premoli con il megafono, Andrea Cammilli. Appena dietro il cartello Manuel e accanto Lucia Guida (foto Il Bolscevico)

N. 45 - 20 dicembre 2018 lettere / il bolscevico 13“Il BolscevIco” su

“vIento del este” sIto del Pc(Ml) dI PanaMa

I Maestri ci insegnano che senza

la salda guida del Partito i traditori avrebbero mano

liberaOltre che meritoria e impor-

tantissima per la conoscenza, questa riproposta delle lette-re di Marx (nella rubrica “Marx su Marx” de “Il Bolscevico”) ci fa riflettere, sulle carenze e i limiti dell’oggi. Nella lettera del 12 aprile 1871 (Marx-En-gels, Opere complete, Roma, Editori Riuniti, Vol. XLIV, ne “Il Bolscevico”, n. 42) a Ludwig Kugelmann, Marx, richiaman-do l’ultimo capitolo del suo “18 Brumaio”, afferma, tra l’altro: “quale duttilità, quale inven-tiva storica, quale capacità di sacrificio in questi parigi-ni”. Parla anche di “assalto al cielo”, nel senso del “rimettere in piedi” quanto era stata rele-gato nel cielo irraggiungibile, in una dimensione “celeste-metafisica” creata ad hoc per le “anime belle” che non san-no vedere la realtà o si rifiuta-no di vederla.

Dopo aver “rimesso in pie-di” la dialettica hegeliana (come aveva detto nel lonta-no 1843 in “Per la critica della filosofia del diritto di Hegel”), ora Marx ritorna sul concetto parlando di quanto i filosofi, in-capaci di “trasformare il mon-do” si limitano a “interpretar-lo” in modi anche bislacchi e comunque lontani dalla real-tà. L’assalto al cielo, ancora, è la demistificazione, appun-to. Ed ecco il come, che è la vera sostanza del “che cosa”: “Il prossimo tentativo della rivoluzione francese (ma po-tremmo dire come paradigma di ogni rivoluzione) non con-sisterà nel trasferire da una mano ad un’altra la mac-china militare e burocrati-ca, come è avvenuto fino ad ora, ma nello spezzarla e tale è la condizione preli-minare di ogni rivoluzione reale sul continente”. Un’af-fermazione assolutamente cruciale, come dimostrano i Maestri sempre: nessuna “bu-rocrazia” sarà più possibile, nel senso borghese-max we-beriano e solo un rinnegato trotzkista come Bruno Rizzi,

andando peraltro anche oltre Trotzki poteva individuare il burocratismo nel Comintern e nel Partito Comunista Bolsce-vico.

Idem, ovviamente, per la macchina militare: si leg-ga quanto scrive Mao sulle “Guardie Rosse” e in gene-re sull’organizzazione dell’e-sercito popolare cinese per cogliere la differenza totale, abissale, rispetto a ogni eser-cito borghese. Ancora, Marx parla del “tradimento interno”, sempre pericoloso e anzi più pericoloso del nemico ester-no (il che conferma la neces-sità di una guida da parte del Partito marxista-leninista e del suo Comitato centrale, con-tro ogni avventurismo sponta-neista, trotzkista, guevariano, anarcoide). Senza la salda guida del Partito, i traditori, sempre pronti ad avventarsi su ogni tentativo seriamente rivoluzionario, avranno/avreb-bero mano libera, con tutti gli immani pericoli del caso. An-cora, parlando di come si sia svolta la “Commune”, qua-le modello e prefigurazione di ogni possibile rivoluzione successiva (ovviamente Marx scrive prima della Rivoluzione bolscevica e di quella cinese), Marx definisce “lupi, porci e volgari cani della vecchia società” i fautori della rea-zione, sempre pronti, appun-to, come le belve affamate, ad accanirsi, per riconquistare il “cielo”, in cui preti e filistei vo-gliono sempre ricacciare ogni tentativo di rivoluzione.

L’attuale situazione italiana ed europea (potremmo dire mondiale) è particolarmente sconfortante, in quanto non si intravede alcuna possibilità seriamente rivoluzionaria, ma ciò non deve far perdere ogni speranza, anzi: come inse-gnano sempre i Maestri, i rea-zionari sono comunque anche “tigri di carta” e come tali, pri-ma o poi, si svelano.

Eugen Galasso - Firenze

Ho abbandonato Rifondazione per le sue posizioni socialscioviniste

Sono un membro del Cir-colo Culturale Proletario di Genova. Fino ad un paio di

anni fa militai in Rifondazione, quando mi accorsi di come sdoganava nella presunta si-nistra presuntamente radica-le contro i proletari secondo qualcuno non abbastanza ita-liani.

Mi sono deciso a scrivere un breve pezzo su tale deriva, che allego per vostra cono-scenza. Un dirigente rifonda-rolo boghettiano faceva persi-no le ronde con un gruppo di leghisti.

P.W. Rosher - Genova

Il tema spinoso della libertà di insegnamento

Sul versante didattico, la disputa degli ultimi tempi tra quanti si ostinano ad antepor-re le competenze pratiche alle conoscenze teoriche, o vice-versa, si risolve in una sintesi dialettica (ossia in una relazio-ne di interdipendenza logica e pedagogica) tra due elementi preziosi ed indispensabili alla formazione integrale, organi-ca e dinamica della cultura e della personalità di un sogget-to in evoluzione.

Il pragmatismo insito nelle competenze e nelle esperien-ze reali, serve a tradurre le conoscenze in capacità pra-tiche e operative, a mitigare l’astrattismo, quasi metafisi-co, racchiuso nell’idealismo di origine gentiliana che impre-gna la nostra tradizione scola-stica. Per contro, la tendenza anti-idealista della “didattica delle competenze”, è il frutto marcio di una esacerbazione, a livello ideologico, della cor-

rente di pensiero che avvalo-ra il primato delle competenze pragmatiche ed empiriche sul-le cognizioni teoriche.

Il problema non è tanto di “format”, bensì di “forma men-tis”, vale a dire che la questio-ne non è una serie di crocette da inserire, in più o in meno, quanto l’idea o la visione di scuola, di cultura e società, che si ripara dietro cumuli di scartoffie e di griglie, perlopiù aride e vuote, in cui gli alun-ni in carne ed ossa sono solo cifre.

Il tema spinoso, che in re-altà dovrebbe essere posto al centro della discussione, è quello della libertà di insegna-mento, un valore che va a far-si benedire con tutta la muffa burocratica calata “dall’alto” e non condivisa “dal basso”, es-sendo incassata tacitamente e supinamente dalla massa del corpo docente, o quanto-meno dalla stragrande mag-gioranza delle scuole.

Ritengo sia sempre profi-cuo rivendicare e rispolvera-re il principio stabilito dall’art. 33 della Costituzione: “L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Re-pubblica detta le norme gene-rali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed isti-tuti di educazione, senza one-ri per lo Stato”. Giusto per la cronaca, conviene rinfrescare la memoria dei funzionari che si mostrano fin troppo “sme-morati” e che orbitano attorno alle “alte sfere” del Miur.

Lucio Garofalo – Lioni (Avellino)

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496 pagine

608 pagine

Scarica lo Speciale de “Il Bolscevico” sul Bicentenario della nascita del grande Maestro del proletariato internazionale e cofondatore del socialismo scientifico http://www.pmli.it/ilbolscevicopdf/ 2018n171005.pdf

Settimanale

Fondato il 15 dicembre 1969Nuova serie - Anno XLII - N. 17 - 10 maggio 2018

GDICEMBRE-G gEnnaIo - Cobas Poste, Cub Poste, S.I. Cobas Poste, Slg-Cub Poste – Poste-Comunicazioni – Sciopero delle prestazioni straordinarie dei lavoratori Poste Italiane Spa contro la riorganizzazione

padronale del settore

M-V - Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil – Sciopero dei lavoratori delle troupe del cineaudiovisivo nei set, teatri di posa,

laboratori di preparazione e post-produzione nei giorni 12, 13, 18, 19, 20 e 21 dicembre, con sospensione delle prestazioni straordinarie, contro le

continue inadempienze contrattuali, mancati pagamenti e versamento dei contributi, mancata definizione dei contratti individuali e orari di lavoro

O - Flc Cgil, adi e Link RicercatoriDeterminati e studenti universitari - Mobilitazione nazionale a Roma piazza Vidoni, di studenti, dottorandi,

assegnisti, ricercatori a tempo determinato contro la Legge di Stabilità 2019 che nega un piano di reclutamento universitario, la riforma del pre-ruolo e la

copertura delle borse di studio e di dottorato.

O - Usb Lavoro Privato - Sanità Privata aziende Pubbliche e Private – Sciopero del personale socio-sanitario-assistenziale educativo, della

formazione e di inserimento lavorativo, privato o in appalto, concessione, accreditamento per conto di Enti pubblici e privati, contro la modifica del

sistema previdenziale italiano e la legge finanziaria

O– Usb – Sciopero nazionale delle lavoratrici e lavoratori delle cooperative sociali e terzo settore che operano nei CaS, SPRaR

e servizi rivolti a migranti e rifugiati, contro il riordino professionale determinato dal Decreto Lorenzin la sistematica riduzione dei fondi per la non autosufficienza l’esternalizzazione dei servizi, gli appalti al massimo

ribasso

P – associazioni e movimenti migranti - Manifestazione nazionale “get up, stand up! Stand up for your rights!” (alzati!Difendi i tuoi diritti),

a Roma, piazza della Repubblica, per i diritti dei migranti contro il decreto sicurezza Salvini

Q – osr, Cub, Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uilt-Uil, Ugl-Ta e anpac – aereo – Sciopero personale società airport Handling aeroporti Milano Linate e

Malpensa e i piloti della società Vueling airlines a sostegno della trattativa su proroga del prestito-ponte, piano industriale di Ferrovie, individuazione del

partner internazionale, salvaguardia dell’occupazione

Q - orsa Ferrovie – Sciopero del personale società Trenitalia settore vendita e assistenza

Q-R - Filt-Cgil, Fit-Cisl, Uiltrasporti, Sla-Cisal, Ugl - Circolazione e Sicurezza Stradale - Sciopero lavoratori turnisti di autostrade

per l’Italia (gruppo Telepass, Sds, autostrade Tech, admoving, atlantia)

R - Feder-ata - Scuola Ministero Istruzione Università Ricerca – Sciopero del personale amministrativo, tecnico, ausiliario (ata) contro

il concorso ordinario per gli assistenti amministrativi facente funzioni DSga

R - Filctem-Cgil, Flaei-Cisl, Uiltec-Uil, Femca-Cisl – Sciopero dei lavoratori con Contratto Collettivo nazionale di lavoro gas, acqua ed Elettrico

(Elettricità Futura, Energia Libera, Utilitalia, assogas, anigas, Igas, gse, Sogin, Terna, Confindustria Energia) al fine di contrastare gli effetti dell’applicazione

dell’art.177 -comma 1- del cosiddetto ”Codice degli appalti”, che trasformerebbero molte Società di gestione in strutture appaltatrici

R-S Unione Camere Penali Italiane – astensione dalle udienze

CALENDARIO DELLE MANIFESTAZIONI E DEGLI SCIOPERI

DICEMBRE

14 il bolscevico / cronache locali N. 45 - 20 dicembre 2018

Sperperando i soldi delle masse

La giunta di Firenze Sparge dappertutto teLecamere “per Fare prevenzione e dare

Sicurezza”. aLLa SaLviniL’assessore Gianassi (Pd): installate quasi 500 telecamere, tra breve

saremo la terza città di “guardoni” perché si arriverà a 800 �Redazione di FirenzeSenza dubbio “il mondo

oggi è cambiato”, ma senza dubbio non sono cambiate le cause che principalmente ge-nerano disuguaglianze, po-vertà, microcriminalità, ecc., tutte dipendenti dal barbaro sistema capitalista e imperia-lista.

Come intendono contra-stare tutto ciò il sindaco Da-rio Nardella e la sua giunta a maggioranza PD? Piazzando telecamere a più non posso in tutta la città.

Federico Gianassi, asses-sore alla sicurezza, pieno di sé, fa sapere che siamo in li-nea con il “Patto per Firenze” siglato con l’allora governo Renzi e che “saremo la terza città d’Italia ad avere più te-lecamere arrivando ad aver-ne 800” entro fine marzo. Altro che “grande fratello”, divente-remo i terzi “guardoni” d’Italia.

La concezione degli ammi-

nistratori di Firenze è in sinto-nia con il “decreto sicurezza” del ducetto Salvini, tant’è che sperperano i soldi della collet-tività (nel 2014 le telecame-re erano 150) in un’ottica che non affronta alla radice i pro-blemi ma in definitiva si alli-nea alla gelida aria fascista e razzista che sta avvolgendo il Paese dettata dai governanti ai vari livelli.

Chi è disperato e disoc-cupato, costretto a tutto per sopravvivere, magari sarà ripreso dalle telecamere mentre commette un furto e quant’altro e sarà identifica-to, ma per risolvere il proble-ma bisogna creare prima le condizioni affinché tutto ciò non avvenga.

Oggi c’è un gran bisogno di creare posti di lavoro, cioè si-curezza economica e sociale reale, mentre con il controllo esasperato si militarizzano le città e si offrono palliativi all’o-

pinione pubblica per tenerla buona e carpirne il consenso alle prossime elezioni comu-

nali a cui Nardella si ripresen-terà come candidato capo di Palazzo Vecchio.

Alcune delle decine di telecamere piazzate in ogni angolo di Firenze

manifestazione al tribunale di Biella per

rivendicare giustizia per l’operaio Franco rosetta

vittima sul lavoro

5 dicembre 2018- Sit-in davanti al tribunale di Biella, in memo-ria del sindacalista e operaio Franco Rosetta, morto il 20 ottobre 2016 in un incidente sul lavoro alla Sasil di Brusnengo (Biella). L’iniziativa, organizzata da Rifondazione comunista, Potere al Po-polo, PMLI.Biella, Legambiente e Laboratorio sociale “La città di sotto”, aveva lo scopo di rivendicare, proprio il giorno dell’udien-za preliminare, che nel processo si accertino le responsabilità. Il compagno Gabriele Urban, Responsabile dell’Organizzazione di Biella del PMLI, presente all’iniziativa (con la bandiera del nostro Partito), intervistato dal giornale on line laprovinciadibiella, ha af-fermato: “I controlli di sicurezza sul lavoro, specialmente in que-sto momento di crisi economica, sono pochissimi e a rimetterci maggiormente sono come sempre coloro che fanno i lavori più pratici, come gli operai. Oggi siamo qui affinché nessuno debba più morire sul lavoro”. Sono state portate le sagome di altri lavoratori che hanno perso la vita sul lavoro.

i giudici catanesi sugli agganci del patron de “La Sicilia”

ciancio SanFiLippo SFruttò i propri Legami poLitici per “ungere” SuLLa coStruzione deL muoS

di Antonio Mazzeo - Mes-sina

Anno 2008: il progetto d’in-stallazione a Niscemi (Cal-tanissetta) di uno dei termi-nali terrestri del sistema di telecomunicazione satellitare MUOS, strategico per le for-ze armate degli Stati Uniti d’A-merica, rischia di arenarsi alla Regione Siciliana. C’è biso-gno invece di accelerarne l’i-ter ottenendo le autorizzazioni per avviare le opere all’inter-no della riserva protetta “Su-ghereta” in barba ai vincoli urbanistici e ambientali. Il Co-mando della base di US Navy a Sigonella freme e qualcuno prova a spendere il nome di uno degli onnipotenti dell’Iso-la, quello dell’editore-impren-ditore-costruttore Mario Cian-cio Sanfilippo. A Roma come a Washington si sa che non c’è presidente o politico isola-no che non si renda disponibi-

le alle richieste o agli inviti del patron de “La Sicilia”. In fon-do la buona parola pro-MUOS potrebbe valere in cambio una fortuna: l’ok del Pentagono per realizzare nel Comune di Lentini un megavillaggio per ospitare sino a 6.000 marines Usa, oltre 670.000 metri cubi di costruzioni in un’area com-plessiva di 91,49 ettari nelle contrade Xirumi, Cappellina e Tirirò. Buona parte dei terreni destinati a ospitare centinaia e centinaia di villette per gli sta-tunitensi sono di proprietà del-la famiglia Ciancio Sanfilippo, mentre il progetto è in mano alla Scirumi S.r.l., società con-trollata al 51% dall’Impresa Costruzioni Giuseppe Maltau-ro S.p.A. di Vicenza e per il 10% dalla Cappellina S.r.l. di Catania (soci i due figli dell’e-ditore etneo).

L’ipotesi che Mario Cian-cio Sanfilippo si sia speso in qualche modo a Palermo per contribuire ad accelerare l’i-ter autorizzativo delle opere per il MUOS di Niscemi è ri-portata all’interno del Decreto del Tribunale di Catania del 20 settembre 2018 che ha riget-tato la richiesta di applicazio-ne della misura di prevenzio-ne della sorveglianza speciale di Pubblica Sicurezza nei suoi confronti, autorizzando di con-tro il sequestro e la confisca di numerosi beni di cui Ciancio è titolare.

Il 23 settembre 2008 Mauro De Paoli (fino al febbrao 2010 presidente del CdA della so-cietà proponente il processo di cementificazione a fini mili-tari dei territori di Lentini) ve-niva intercettato dai ROS dei

Carabinieri mentre negli uffi-ci dell’editore Mario Ciancio Sanfilippo s’incontrava con quest’ultimo e un soggetto ri-masto non identificato. “Nel corso della conversazione il De Paoli chiedeva l’interces-sione del Ciancio Sanfilippo con l’allora neoeletto Presi-dente della Regione Siciliana Raffaele Lombardo affinché agevolasse l’installazione del MUOS (il contestato sistema di monitoraggio americano) in territorio di Niscemi, così da accreditare lo stesso Cian-cio Sanfilippo e tutta la Sciru-mi presso il nuovo comandan-te americano di Sigonella (tale Chris Kinsley) al fine di con-cludere l’accordo con l’ammi-nistrazione militare statuniten-se che avrebbe portato alla realizzazione del progetto”.

“Da quanto precede – com-mentano in conclusione i ma-gistrati catanesi - emerge come ancora una volta il Cian-cio abbia sfruttato i propri le-gami e rapporti con esponen-ti del sistema politico siciliano al fine di assicurare un canale privilegiato per l’approvazio-ne del progetto del villaggio per i militari statunitensi ora in esame, il cui iter amministrati-vo procedeva e si concludeva positivamente in tempi rapidi: detti legami gli consentivano di avere in anticipo la certez-za dell’esito favorevole di tale iter, tanto da ottenere, ancora una volta, rilevantissimi pro-fitti ricavati dalla plusvalenza dei suoi terreni, venduti quan-do erano ancora a vocazione agricola ma per i quali veniva corrisposto dalla controparte un prezzo elevatissimo come

se già la detta destinazione fosse stata modificata. E tale certezza non poteva che es-sere comune anche alla con-troparte del Ciancio Sanfilip-po (prima fra tutti la Maltauro, soggetto con notevole espe-rienza imprenditoriale), che non si sarebbe certo determi-nata ad effettuare detto onero-sissimo acquisto se non aves-se avuto adeguate garanzie in ordine alla concessione della variante urbanistica”.

Ma anche il progetto MUOS avrebbe goduto contestual-mente di una positiva e rapi-da conclusione. Il 10 aprile 2008 l’Azienda Regionale Fo-reste Demaniali diede il pro-prio nullaosta con validità an-nuale per l’avvio delle opere all’interno della riserva natu-rale orientata di Niscemi. Il 18 giugno 2008 venne rilascia-ta l’autorizzazione paesaggi-stica della Soprintendenza ai Beni culturali e ambientali di Caltanissetta. Il 9 settembre 2008, su richiesta formale del Dipartimento di US Navy, ven-ne convocata a Palermo una conferenza di servizi ai sensi della legge n. 6 del 2001, a cui parteciparono l’Assessorato regionale Territorio e Ambien-te, la Soprintendenza dei Beni culturali, l’Ispettorato Foresta-le di Caltanissetta (ente ge-store della riserva), il Comune di Niscemi e i rappresentan-ti della Marina USA e del 41° Stormo dell’Aeronautica di Si-gonella. In quella sede e all’u-nanimità fu espresso parere positivo al terminale satellitare di proprietà ed uso esclusivo delle forze armate degli Stati Uniti d’America.

Accade nulla attorno a te?

RACCONTALO A ‘IL BOLSCEVICO’

Chissà quante cose accadono attorno a te, che riguardano la lotta di classe e le condizio-ni di vita e di lavoro delle masse. Nella fabbrica dove lavori, nella scuola o università dove studi, nel quartiere e nella città dove vivi. Chissà quan-te ingiustizie, soprusi, malefatte, problemi poli-tici e sociali ti fanno ribollire il sangue e vorresti fossero conosciuti da tutti.

Raccontalo a “Il Bolscevico’’. Come sai, ci sono a tua disposizione le seguenti rubriche: Lettere, Dialogo con i lettori, Contributi, Corri-spondenza delle masse, Corrisondenze operaie e Sbatti i signori del palazzo in 1ª pagina. Invia i tuoi ``pezzi’’ a:

Via A. del Pollaiolo 172/a - 50142 FirenzeFax: 055 5123164

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SOTTOSCRIVI PER IL PMLI PER IL TRIONFO DELLA CAUSA DEL SOCIALISMO IN ITALIA

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N. 45 - 20 dicembre 2018 esteri / il bolscevico 15Una settimana di manifestazioni in francia

ancora in piazza i gilet gialli, stavolta con gli studentiMacron annuncia nuove misure per “voltare pagina” e mettere fine alle proteste

Il primo ministro francese Edouard Philippe spedito im-mediatamente all’Assemblea nazionale a spiegare i prov-vedimenti annunciati in televi-sione il 10 dicembre è il primo atto del presidente Emmanuel Macron per tentare di disinne-scare quella che ha definito “la giusta collera” dei francesi e magari bloccare il quinto saba-to consecutivo di proteste.

Preso atto che la moratoria sull’aumento dal prossimo gen-naio delle tasse su benzina e diesel e delle tariffe di elettricità e gas dal decretati il 4 dicem-bre dal governo non avevano fermato la protesta, Macron annunciava il suo piano che vorrebbe dare l’idea di voltare pagina e intanto isolare il mo-vimento dei gilet gialli che inve-ce ha dato il via a una più larga mobilitazione contro la politica del presidente e del suo gover-no che ha coinvolto anzitutto gli studenti liceali e universita-ri contro la riforma dell’Istruzio-

ne.Macron per prima cosa con-

dannava “le violenze” dei mani-festanti e prometteva che

non ci sarà “nessuna indul-genza” come se non bastasse-ro la militarizzazione della capi-tale e di parte del paese, i fermi egli arresti preventivi nei saba-ti delle manifestazioni, i rastrel-lamenti stile nazista contro gli studenti come quello agghiac-ciante del 6 dicembre quando 151 liceali di Mantes-la-Jolie, nella periferia di Parigi, sono stati fermati e fatti mettere in ginocchio e con le mani sulla testa dalla polizia.

Appoggiato il manganel-lo sulla scrivania Macron pas-sava a blandire una parte dei manifestanti affermando che “non dimentico che c’è una col-lera, un’indignazione, che molti francesi possono condividere” e che “ritengo giusta per molti aspetti”. E di seguito elencava le misure che intendeva mette-re in atto da subito per far fron-

te a una “emergenza economi-ca e sociale” dalla eliminazione della contribuzione sociale ge-neralizzata (CSG) per i pensio-nati che guadagnano meno di 2.000 euro al mese all’aumen-to mensile di 100 euro del sala-rio minimo tutto a carico dello Stato, dalla detassazione degli straordinari alla richiesta alle aziende di pagare a fine anno un premio ai lavoratori.

Dalle proteste “emergono 40 anni di malessere” e “pro-babilmente da un anno e mez-zo a questa parte non abbiamo portato risposte rapide e forti. Mi assumo una parte della re-sponsabilità“, sosteneva Ma-cron che invitava i francesi a “trovare insieme nuove strade per farcela”, “per lavorare tutti insieme alla costruzione di una nuova Francia“.

Secondo fonti governative il pacchetto di misure promesse dal presidente richiederà un fi-nanziamento aggiuntivo tra gli 8 e i 10 miliardi di euro e po-trebbe portare il rapporto tra deficit e pil fino al limite del 3%, una stima che ha già fatto riz-zare le antenne a Bruxelles, alla Commissione Ue alle pre-se con gli sfondamenti prospet-tati da Roma.

Una parte dei gilet gialli ab-boccava alle proposte di Ma-cron e affermava di voler so-spendere le manifestazioni e di andare a vedere cosa il gover-no metterà nel piatto, una parte preparava altre proteste. Pro-seguivano quelle nelle scuo-le e università con le iniziative già programmate l’11 dicem-

bre in circa 150 licei, un terzo dei quali occupati, e nelle quat-tro sedi universitarie di Tolbiac e Censier a Parigi, Nanterre e Rennes 2.

La mobilitazione studente-sca era continuata nella prima settimana di dicembre con ini-ziative nelle sedi scolastiche e negli atenei ma anche con manifestazioni, blocchi strada-li e scontri con la polizia in par-ticolare a Marsiglia, Nizza, e Montpellier. Nella repressione poliziesca delle manifestazioni era evidente la volontà del go-verno di mostrare il pugno duro verso gli studenti per intimidi-re i manifestanti che sarebero scesi in piazza nelle iniziative programmate per l’8 dicembre. Rincarava la dose la ministra per la Coesione del Territorio, Jacqueline Gourault, che a una rete televisiva lanciava l’ap-pello “a chi non è costretto ad uscire a rimanere in casa sa-

bato perché ci sono rischi che vada a finire male”.

Il terzo sabato di proteste del movimento dei gilet gialli si svolgeva comunque in una Francia militarizzata. Il mini-stero degli Interni ha contato 125 mila manifestanti in tutto i paese, di cui 10 mila a Parigi; i poliziotti schierati erano qua-si 90 mila, 10 mila nella capita-le dove erano schierati anche 12 mezzi blindati. Nelle mani-festazioni da Parigi a Marsiglia, da Lione a Tolosa a Bordeaux risuonava lo slogan “Macron dimettiti”, nella capitale alcuni manifestanti intonavano Bella Ciao. Lo stesso slogan gridato da alcune centinaia di gilet gial-li che rallentavano per alcune il traffico alla barriera autostrada-le di Ventimiglia.

Un illegale blocco polizie-sco dei manifestanti, fermati mentre erano in viaggio verso la capitale, ha limitato la par-

tecipazione all’iniziativa princi-pale che comunque si è svol-ta sui Champs Elysées e in altre zone tra edifici pubbli-ci, musei, biblioteche e diversi negozi chiusi e con le vetrine schermate da pannelli di legno, chiuse una ventina delle sta-zioni centrali della rete metro-politana. I punti di concentra-mento erano presso l’Arco di Trionfo, per i manifestanti che acconsentivano a farsi perqui-sire e sull’avenue de la Grande Armée quelli che si erano rifiu-tati, altri gruppi di manifestan-ti si riunivano sulla circonvalla-zione e riuscivano a bloccare il traffico prima di essere caricati e sloggiati dalla polizia.

Al termine della giornata di scontri, con gli agenti che han-no anche sparato proiettili di gomma, si registravano più di 2 mila manifestanti fermati e più di un centinaio di manifestanti feriti.

43 i miliardi destinati alle spese militari

riarmo bellicista della GermaniaLo scorso 18 novembre la

ministra della Difesa tedesco Ursula von der Leyen inau-gurava la nuova base militare della Bundeswehr nella capi-tale del Niger, Niamey, dove è acquartierato il contingente te-desco che opera nell’ambito dell’intervento dell’imperialismo europeo nell’area del Sahel, guidato dall’ex potenza colonia-le francese. Un esempio delle ambizioni militari dell’imperia-lismo tedesco sviluppate dal-la cancelliera Angela Merkel, d’intesa con la Francia di Ma-cron, in un’area dell’Africa dove è già presente l’imperialismo americano e dove ha fatto sal-ti mortali per essere presente pure l’imperialismo italiano che ha coronato i suoi sforzi grazie al governo dei ducetti Salvini-

Di Maio. Le ambizioni di Berli-no non si fermano alle mosse concordate con gli alleati impe-rialisti, puntano a conquistarsi una leadership anche militare nella Ue come conferma il riar-mo bellicista e le argomentazio-ni presentate dal governo a so-stengo degli aumenti al bilancio militare dei prossimi due anni.

Il 23 novembre al Bunde-stag, il parlamento federale, la Grande coalizione di governo tra democristiani e socialde-mocratici incassava il via libe-ra alla legge di bilancio per il 2019 che prevede un aumento record della spesa pari a 356,4 miliardi di euro, 13 miliardi in più rispetto a quanto stanzia-to nel 2018. Aumenti che l’e-secutivo della Merkel impiega in particolare nelle spese per il

riarmo dell’esercito col ministe-ro della Difesa che se ne pren-de una bella fetta, oltre 43 mi-liardi. E per spendere più soldi per l’acquisto di carri armati, navi e aerei il governo tedesco ne destinerà pochi agli investi-menti sulle energie rinnovabili e taglierà tra gli altri il fondo di garanzia a favore delle politiche sui migranti.

La Merkel si è presa l’impe-gno in sede Nato di raggiun-gere l’obiettivo di destinare al-meno il 2% del pil, il prodotto interno lordo, alle forze armate entro sei anni, come chiesto e più volte sollecitato da Trump. Nel bilancio del 2019 il rapporto è ancora all’1,3% e a breve do-vrebbe salire almeno all’1,5%, come si era impegnata la can-celliera al vertice Nato del luglio

scorso a Bruxelles.A quanto rivelato dalla Süd-

deutsche Zeitung nello scorso giugno la ministra Ursula von der Leyen ha firmato con gli Usa un documento politico ri-servato che conteneva gli im-pegni dell’aumento della spesa militare tedesca dando “priorità alla sicurezza nazionale”, leg-gi riarmo, che asseconda le ri-chieste americane ma serve anche per fare in modo che la partecipazione alle missioni Onu e Nato di Berlino non sia di contorno o parziale ma espres-sione della politica imperialista “sovrana e paritaria” per affron-tare le nuove crisi internaziona-li in maniera anche autonoma, magari cominciando col guida-re operazioni militari coi partner europei.

la più Grande mobilitazione di massa da 5 anni

sciopero generale in tunisia contro i tagli e il carovitaAlmeno il 95% dei 670 mila

dipendenti pubblici tunisini ha scioperato il 22 novembre con-tro i tagli e il carovita, contro la antipopolare politica econo-mica del governo di Youssef Chaled accusato di ubbidire ai ricatti del Fondo Monetario Internazionale per continuare avere in cambio i prestiti inizia-ti con i 2,8 miliardi di dollari nel dicembre 2016. Secondo il sin-dacato Ugtt, l’Unione Generale Tunisina del Lavoro, è stato lo sciopero più partecipato degli ultimi 5 anni con manifestazioni nelle principali città del paese.

La richiesta al centro della mobilitazione dei lavoratori era quella dell’aumento consisten-te dei salari, bloccati da anni per far fronte alla pesante ero-sione al potere di acquisto cau-sata da un’inflazione galoppan-te che si tira dietro aumenti dei prezzi dei beni di prima neces-sità. Le migliaia di manifestanti che hanno dato vita alla mani-festazione a Tunisi, dove uffici pubblici, scuole e ospedali era-no chiusi, e nelle città di Kasse-rine, Sfax, Gabes e Sidi Bouzid attaccavano il governo Chaled e ne chiedevano le dimissioni.

Nell’ultima settimana diver-se città del Paese sono state teatro di proteste per risponde-re alle richieste di ristrutturazio-ne economica del Fmi.

Le manifestazioni rilancia-vano una lotta che era in cor-so da tempo, il 2018 era inizia-to con manifestazioni in tutto il paese contro la manovra finan-ziaria che prevedeva l’aumento delle tasse e dei prezzi dei beni di prima necessità; l’Ugtt aveva in corso una trattativa con l’e-secutivo che a novembre ave-va accettato di concedere au-menti salariali a una parte dei

dipendenti pubblici; una ipote-si parziale rifiutata dall’Ugtt ma soprattutto bocciata dal Fmi che non voleva misure che avrebbero allargato il debito pubblico ma piuttosto tagli con-sistenti al bilancio nelle spese del settore pubblico e ai sussi-di sociali almeno per i prossimi due anni.

Il 5 novembre scorso il pre-mier Chahed del partito islami-sta Ennahda, Movimento della Rinascita, aveva cambiato al-leanze di governo, sacrifican-do il partito laico Nidaa Tounes, del quale fa parte il presidente

della repubblica Beji Caid Es-sebsi in carica dal 31 dicem-bre 2014, e una decina di mi-nistri del suo governo. “Questo rimpasto governativo renderà il lavoro dell’esecutivo più ef-ficace e metterà fine alla crisi economica e politica”, soste-neva Chahed ma continuan-do nell’attuazione del piano di lacrime e sangue chiesto dal Fmi se si garantiva una parzia-le pace politica non otteneva quella sociale che si rilancia-va con lo sciopero dei lavora-tori pubblici.

La maggior parte degli in-

vestimenti governativi è desti-nato alle aree costiere e alle città interessate dal turismo so-prattutto europeo che rappre-senta una fetta di quasi il 10% dell’economia tunisina, a fron-te dell’abbandono delle aree rurali e periferiche dove, tanto per fare un esempio, la disoc-cupazione giovanile è maggio-re di quella media già altissima, al 35%. E sono quelle aree da dove nel dicembre 2010 par-tì la rivolta popolare che por-tò nel gennaio successivo alla cacciata del dittatore Ben Ali.

Il premier Giuseppe Conte ha postato in rete, con viva soddisfa-zione, questa foto in compagnia di Donald Trump per sottolineare l’appoggio al suo governo del presidente americano

Una delle manifestazioni dei Gilet gialli svoltesi l’8 dicembre 2018 in nu-merose città francesi. Qui siamo a Lille

Gli studenti della cittadina francese di Mantes, in lotta accanto ai Gilet gialli, sono stati repressi e costretti a stare in ginocchio con le mani sulla testa dalla polizia di Macron

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