natale 2012 san nicolÒ come betlemme · nostra tendopoli oggi compie 60 giorni in un ... e nel suo...

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È di già Natale! pag. 6 Pronto Soccorso pag. 18 Quel giorno che doveva finire il mondo pag. 25 mensile di informazione in distribuzione gratuita Dicembre 2012 n. 83 NATALE 2012 SAN NICOLÒ COME BETLEMME

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È di giàNatale!pag. 6

ProntoSoccorsopag. 18

Quel giorno chedoveva fi nire il mondopag. 25

mensile di informazione in distribuzione gratuita

Dicembre 2012

n. 83

NATALE 2012SAN NICOLÒCOME BETLEMME

SOMM

ARIO 3 La Tendopoli

4 La Leggenda Svelata del Braga 5 La Subucula di Obama e Renzi 6 E’ di già Natale 8 Teramo Culturale 10 Il Terzo Cielo di Castelli 12 Il Mariomonti pensiero 14 L’isolata che non c’è 15 Palm Day 16 Il Presepe a Torricella Sicura 16 Il Presepe a Giulianova 18 Pronto Soccorso 20 L’Oggetto del desiderio 20 Coldiretti informa 22 In giro a Pietracamela 24 Parliamo di musica 25 Quel giorno che doveva fi nire il mondo 26 Cinema 28 Calcio 29 Note Linguistiche 29 Il Libro del mese 30 Pallamano

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di BiagioCoordinatore: Maria Grazia Frattaruolo

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Raffaello Betti,Luca Cialini, Siriano Cordoni, Maurizio Di Biagio,Maria Gabriella Di Flaviano, Floriana Ferrari,Carmine Goderecci, Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone, Leonardo Persia, Sirio Maria Pomante, Sergio Scacchia

Gli articoli fi rmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.

Ideazione grafi ca ed impaginazione: Antonio Campanella

Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele

Organo Uffi ciale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930

Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa Bieffe - Recanati

Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738

Teramani è distribuito in proprio

[email protected] a

www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web

Teramo ha il suo presepello a Piano

d’Accio. Luccicante a suo modo, post

moderno, schivo. Per albero di Natale

un ulivo contorto come le sofferte realtà

mediterranee e addobbato alla ben’e meglio,

con la dignità di chi soffre l’essere da mesi

senza casa per via di un sisma che l’ha resa

inagibile e con una burocrazia cui nemmeno

Kundera avrebbe potuto immaginare potesse

arrivare a tanto. Gli sfollati del condominio

Uliveto di San Nicolò si sfregano le mani

al gelo in questi giorni, tra le tende blu, le

roulotte, il loro lavoro quotidiano, il Gran

Sasso sullo sfondo e l’attesa di tornare

a casa, quella vera, quella di San Nicolò,

al caldo. Ci sono tutti, pastori, Re Magi,

pecorelle, mugnai, buoi, stalle e loro: gli

sfollati, che per la verità, se li vedi bene, non

sanno dove andare, nel muschio alto come

un campo di grano a Giugno il loro sguardo

è smarrito, perso tra gli ulivi centenari, non

hanno una stella cometa a guidarli, non

hanno il loro Dio.Non si fi dano più di nessuno,

nemmeno delle parole che, tradotte dal

politichese, promettono alle 36 famiglie una

risoluzione felice della vicenda. Loro non ci

stanno: “Non abbiamo raccolto l’invito ad

andare via – spiega il portavoce degli sfollati

del condominio Uliveto, Divinangelo Terribile

– perché prima vogliamo vedere i fatti”. E

per fatti s’intende le promesse vagheggiate

da più parti. “Sono già oltre due mesi –

prosegue Terribile - che siamo nelle tende

e nessuno ha guardato dalla nostra parte,

come fossimo invisibili, solo ultimamente

c’è stato l’annuncio del sindaco che afferma

d’aver risolto il nostro problema mediante

un bando fi nanziato dalla fondazione Tercas

che dovrebbe essere pubblicato prima di

Natale, naturalmente a questo annuncio

ci siamo aggrappati e vogliamo sperare,

tuttavia fi no a quando l’annuncio non sarà

tradotto in fatto noi saremo costretti a

rimanere nelle tende trascorrendoci anche

le prossime feste natalizie”.

Così scriveva Terribile a fi ne Novembre: “La

nostra tendopoli oggi compie 60 giorni in un

lago di fango, tra i rami umidi delle potature

degli ulivi con cui facciamo fuoco al calar

della sera per riscaldarci; delle tende, la più

grande e quella che fa più fi gura, quella che

nei primi anni Novanta, quando non eravamo

ancora morti di fame, io mia moglie e mia

fi glia piazzavamo in campeggio, è crollata

su se stessa qualche giorno fa quando ha

soffi ato quel gran vento fi glio di puttana; ora

sembra una vecchia bellezza al tramonto.

La tendopoli, l’uliveto, comunque resiste e

senza perdere speranza ha messo anche luci

e palle sulla chioma di un ulivo perché fra

meno di un mese è Natale”.

“Noi siamo ancora qui ad aspettare”. n

diMaurizioDi Biagio

l’Editorialen. 83

La Tendopoli

Il 24 novembre, nel corso di un’affollata serata concertistica presso

la sala Trevisan del Centro Culturale San Francesco di Giulianova, è

stata presentata l’ultima fatica dell’Associazione “Gaetano Braga” che

da anni, tra mille diffi coltà e a dir pochi e scarsi fi nanziamenti, porta

avanti l’attività di ricerca sull’opera del grande musicista giuliese.

Come indica il titolo, La Leggenda Svelata, il libro è dedicato a una delle

composizioni di maggior successo di Braga, La Serenata, Leggenda

valacca, forse una delle più note romanze da salotto, eseguita, registrata

e pubblicata in tutto il mondo tra la fi ne dell’Ottocento e i nostri giorni.

Per l’occasione abbiamo intervistato i due autori, Giovanni di Leonardo,

presidente dell’associazione e storico, e il maestro Galileo di Ilio, violon-

cellista e direttore artistico della stessa.

Maestro Di Ilio, il saggio della Ricordi su Le più belle romanze

della Belle Epoque edito nel 1995, defi nisce la Serenata del

Braga come «la prima romanza che riscosse un grande successo

internazionale, anticipando il gusto della Belle Epoque». A cosa si

deve questo successo?

- Certamente, gli elementi determinanti sono stati quelli dell’orecchiabi-

lità e nello stesso tempo dell’originalità della melodia che ne hanno fatto

un pezzo diffuso in tutto il mondo. La semplicità dell’aria ha permesso al

pezzo di essere suonato anche da orchestre non composte di professio-

nisti attraverso vari adattamenti. Semplicità del tutto apparente peraltro.

Shostakovich, a proposito de La Serenata. Leggenda Valacca, affermò

infatti: «stando a tutte le regole, dovrebbe essere cattiva musica, pure,

ogniqualvolta l’ascolto gli occhi mi si imperlano di lagrime (…). Probabil-

mente non esiste buona e cattiva musica; c’è solo musica che ti tocca

e musica che ti lascia indifferente, ecco tutto». Le parole del grande

compositore russo spiegano cioè che se ci fermassimo ai criteri della

composizione “pura”, non capiremmo fi no in fondo l’opera del Braga che

è inscindibile dal testo che l’accompagna. Un insieme dunque comples-

so e ricercato, una piccola scena d’Opera che rende il nostro composito-

re uno degli eredi della tradizione del melodramma italiano.

Professor Di Leonardo, l’attenzione all’elemento musicale ha dun-

que messo sullo sfondo il testo della composizione che la vostra

ricerca ha inteso fi nalmente riportare sotto la giusta luce. A questo

proposito, a quali risultati siete giunti per chiarire la fonte letteraria

del brano che porta il singolare nome di Leggenda Valacca?

- Questo titolo, fortemente evocativo, si deve a colui che è “l’autore” del

testo: il poeta, straordinario librettista e giornalista Marco Marcelliano

Marcello. Tuttavia, la spiritualità e la leggerezza delle parole mi hanno

spinto a dubitare che la fonte autentica fosse la poesia del veneto.

Le mie supposizioni sono state confortate sia dal medesimo dubbio

espresso negli scambi col prof. Giovanni Piana e col prof. Bruno Cagli, sia

dalle parole del fi losofo Gaetano Capone Braga, discendente illustre del

nostro, il quale in un articolo del 1927 parlando del prozìo elenca tra le

opere La Serenata «sui versi dell’Ulhand». E’ quindi nel poeta tedesco

e nel suo carme contenuto nella raccolta Canti di morte del 1810, da

ricercare la sorgente letteraria. Nel saggio ricostruiamo allora le vicende

storiche e critiche che portarono il canto di Ulhand alla traduzione usata

da Braga nel 1856 per la sua romanza, in un interessante intrigo di perso-

nalità, sullo sfondo della Milano tra Impero napoleonico e Risorgimento.

La diffusione della Leggenda Valacca arrivò a colpire tra gli altri

anche Cechov che cita il pezzo nelle pagine del racconto Il monaco

nero, segno di quanto il brano seppe incarnare il sentimento del

sublime e del mistero. Maestro

Di Ilio, quali sono gli espedienti

che Braga sceglie per narrare e

suscitare questa inquietudine?

- Più che d’inquietudine, parlerei

proprio di allucinazione. Infatti, la

scena vede la bambina malata

che rivolgendosi alla madre affl itta

le parla di apparizioni “angeli-

che” e di una “festosa melodia”,

visione nella quale si assopirà

per sempre. L’elevazione della

fanciulla è accompagnata da un

espediente desunto dalla tradi-

zione operistica: Braga sceglie di

porre il violoncellista in un’altra

stanza così da far sentire il suono

dello strumento da lontano con

un prorompente effetto evocativo. Per Braga il violoncello, qui voce degli

angeli, è lo strumento eletto per accompagnare il canto, come afferma

nella prefazione dell’edizione del noto Metodo per violoncello di Dotzauer.

L’associazione culturale “Gaetano Braga” gestisce ormai da anni la

casa-museo del musicista sul corso antico di Giulianova e cura la

ricerca sulla sua opera. Presidente Di Leonardo, quanta strada c’è

ancora da fare?

- Purtroppo siamo lasciati soli da molto tempo. Negli anni, tra mille

sforzi economici, l’associazione ha implementato la raccolta del museo

con pezzi importanti come lettere autografe, spartiti originali e più di

cinquanta incisioni discografi che storiche. Purtroppo ancora oggi non è

possibile assicurare un’apertura continua del museo, visitabile comun-

que su appuntamento. Per non parlare della ricerca sull’opera di Braga,

portata avanti solo con la nostra passione che ha condotto alla riedizione

di composizioni come Ave Maria e Piangea e all’incisione di due cd, oltre

al saggio di cui abbiamo trattato. Quindi, la strada da fare è ancora lunga

e c’è bisogno del sostegno di tutte le istituzioni perché l’opera di un

grande fi glio della nostra terra possa essere debitamente valorizzata. n

Contatti · E-mail: [email protected] · Tel. 0858008878

4 [email protected]

n.83

La leggenda svelataIncontro con gli autori del libro che riscopre l’opera più famosa di Gaetano Braga

diSirio MariaPomanteCultura

5Società

La politica, e non

solo, si mette

in maniche di

camicia. Spesso

per adulare, per

strizzare l’occhio,

per far passare il

messaggio di uno

sfilarsi le vesti per

rassicurare l’interlocutore, quindi per rabbonire, per entrare in punta

di piedi nel cuore della platea. Ai tempi che furono la camicia aveva un

ruolo esclusivamente di indumento intimo, sin dai tempi della subucula

a Roma durante la Repubblica. Un suo riaffiorare dalle coltri spesse del-

la ruvidezza della politica è considerato sinonimo di una concessione

molto interiore e profonda verso il pubblico. In quel momento un Renzi

o un Obama ritornano ad essere un rappresentate commerciale degli

anni ’50 che nella provincia americana adesca i cuori delle puritane

madri di famiglia, mostrando i gioielli dei nuovi aspirapolvere appena

usciti di fabbrica.

Obama e Romney catturano i cuori dei fans in maniche di camicia

sapendo che il loro io così è più vicino, e in maggior comunione,

con quelli che subiscono il fascino della democrazia sin dai tempi di

Tocqueville. Renzi e Bersani scimmiottano la prassi, la vivisezionano, la

studiano, la replicano: il format è vincente, soprattutto dopo decadi di

giacca e cravatta, di camicia celeste e di scarpe nere lucide del periodo

berlusconiano. Le maniche di camicia, soprattutto se vengono tirate

su, assumono un significato molto recondito e simbolico: l’uomo così

vuol dire che si sta mettendo in mostra per voi, in modo che possiate

vederlo nel suo aspetto migliore. Un atteggiamento prettamente di

sinistra, da opporre al conformismo della destra con i suoi linguaggi

rigidi e algidi, come il taccia che Berlusconi affibbia al suo avversario,

terze persone singolari che si rifanno addirittura a spagnolismi cinque-

centeschi. Barocchi. E rimanendo nella patria egli arzigogoli e ghiribizzi,

un allenatore del Napoli Calcio, un certo Walter Mazzarri, fu capace di

rimanere nelle panchine dei campi della serie A in maniche di camicia,

anche con temperature proibitive, solo perché in questo modo riuscì a

vincere una partita dopo tanto tempo di sonore batoste. E lì nella terra

di Masaniello non ti puoi mettere contro la scaramanzia. Giuseppe Ga-

ribaldi può essere considerato l’eroe più informale della storia italiana:

anche lui partì da uno stock di camice rosse invendute che lui rilevò,

consegnandole ai suoi ragazzi.

E, come l’eroe dei due mondi, anche quegli indumenti divennero rivolu-

zionari: la forma con l’abbottonatura davanti fu considerata un’inno-

vazione del XIX secolo, fino ad allora, infatti, la camicia veniva infilata

dalla testa. Molto meno rivoluzionari sono i giornalisti, ma anche loro

ultimamente preferiscono apparire in video con la mise rivoluzionaria,

sfoggiando una certa confidenza con la materia che stanno trattando,

cercando di mettere a proprio agio il telespettatore, finanche casua-

lizzando la stessa notizia, rendendola più agile e snella: se poi il conte-

nuto svia per altri lidi, beh questo è decisamente un altro discorso. Per

di più, i nostri commentatori televisivi appaiono ben lontani dai canoni

estetici di un Robert Redford che nella redazione del Washington Post

recitava la parte di Bob Woodward, uno

che assieme a Carl Bernstein fece cadere

dal suo trono l’uomo più potente al

mondo, e tutto ciò in maniche di camicia.

Questi sì rivoluzionari, altro che i nostri

reporter, la stragrande maggioranza

asservirti e servili, leccaculo fino all’osso,

che fanno pendant con il potere solo per

infimi privilegi. Ce n’è uno in

bretelle e maniche di camicia

che s’è messo pure in coccia

che il tam tam di Radio Londra

gli potesse procurare l’aura

dell’uomo libero di fronte alla

dittatura di una parte politica.

Poi, ad onor del vero, ci sono

quelli che battagliano e per-

dono la vita per i Cento passi

(onore a loro). Uno che per la

verità non mi sarei mai aspettato che si abbandonasse alla seta bianca

di una camicia davanti a telecamere e ospiti è il direttore generale della

Tercas, Dario Pilla.

Poi mi sono ricreduto. Ho pensato: chi meglio della banca desidera di

apparire trasparente dinanzi all’universo televisivo per incentivare il

proprio business, rassicurando la potenziale clientela che quell’investi-

mento è sicuramente il migliore sulla piazza. Solo un uomo in maniche

di camicia poteva rabbonire la platea, adulando e conquistando i cuori

che guardano al portafoglio chiedendo fiducia, anche se poi, ad ogni

buon conto, sono proprio le banche che per mancanza appunto di

fiducia legano la biro a una catenella. Per concludere: politici, allenatori

di calcio, rivoluzionari, giornalisti e perfino banchieri, tutti in maniche di

camicia per dare l’assalto ai consensi altrui, senza sapere che in fondo

in fondo tutto ciò che serve per avere successo nella vita sono ignoran-

za e fiducia in se stessi (Mark Twain). n

La moda degli ultimi anni è apparire in maniche di camicia per conquistare la fiducia altrui

n.83

diMaurizioDi Biagio

La subucula di Obamae Renzi

www.mauriziodibiagio.blogspot.com

Non Il quotidiano di economia e fi nanza,

Il Sole 24 Ore, ha scritto sulla lavagna

i nomi dei “buoni” e dei “cattivi”. La

classifi ca che da più di vent’anni

misura la vivibilità delle centosette province

italiane attraverso una serie di dati statistici.

Quando scrivi alla lavagna con il gessetto senti

un rumore acuto e fastidioso,

infatti sfregandolo si mettono

in vibrazione le sue molecole.

Si ha quindi l’emissione di un

suono acutissimo. Il livello del

rumore è modesto ma con

una frequenza che disturba,

al limite del campo delle

frequenze udibili. Se si spezza,

il rumore scompare. E così

è successo quando hanno

scritto Teramo. È di già Natale.

Chi lo ha detto che bisogna

essere più buoni. C’è chi con

jingle bells ci va a tempo grat-

tandosi le palle. Una giornalata

per spiaccicare la mosca sul parabrezza, il

telefonino tenuto sull’orecchio schiacciato

dalla spalla e il vaffanculo al lavavetri che ad

alzare il tergicristallo ci prova sempre nono-

stante il ditino che fa no a guastare la mira

sul semaforo. Quello dietro s’incazza con il

clacson se il verde non scatta. La frizione puz-

za. “Porca puttana, ci muoviamo?!”. La strada

per il lavoro la mattina è più corta. La sera alle

cinque, quando i capelli ti puzzano di fumo

per uno stronzo che se ne frega dei divieti in

uffi cio, su quello stesso cammino segnato dal

destino la via di casa non la ritrovi. “Mi danno

un calcio in culo o mi lasciano in azienda?”.

L’incubo della cassa integrazione e le fi le agli

sportelli del collocamento provinciale di ro-

dono i coglioni se pensi a quei pezzi di merda

che si stanno mangiando tutto nelle trattorie

Satira

trasteverine a rutti condivisi e sottintesi,

dedicati a chi con una crocetta sulla scheda

elettorale a Roma ce li ha mandati. E poi devi

fare pure i conti con le reprimende di cazzari

che vaneggiano meritocrazie de ‘sta cippa,

di sanità risanata con una risata e di scuole

occupate giusto così per il piacere di quei prof

che, come dice il premier Monti, non se la

sentono di fare due ore in più la settimana. È

di già Natale. Un imbecille che gira e rigira ogni

anno per i banchi occupati da giovani annoiati

tenuti in rete da uno smartphone nascosto fra

le gambe. E su quella giostra resa quotidia-

namente inutile girerà fi no all’ultimo, fi no alla

pensione, ignorando l’ossessione compulsiva

di uno come Manzoni. Ha scritto e riscritto

i suoi Promessi Sposi, rivisti a comando dei

potenti, addizionati o limati per aggiustare il

tiro, mentre dall’altra parte dell’Europa, tra

una giocata e un po’ di carcere, Dostoevskij

sfornava un capolavoro dopo l’altro. Diciotto

ore, neanche un secondo in

più. Le altre da contratto sono

da consumarsi a domicilio con

i compiti in classe da correg-

gere, le lezioni da preparare,

i consigli, gli scrutini, riunioni,

esami, ricevimento genitori

e altre seccature. Guai a so-

spettare che qualcuno possa

approfi ttare di quel tempo

incustodito dalle istituzioni per

racimolare spiccioli in nero

con qualche ripetizione privata

segnalata dal collega, che tan-

to gentile e tanto onesto pare.

Queste cose da noi accadono

di rado. Di tempo pieno a scuola, come fanno

i trogloditi anglosassoni, neanche a parlarne.

Poi chi ce la mette sul gas l’acqua per la

pasta? È di già Natale. L’ossigeno in ospedale

non manca prima che ti scendano giù alla

morgue. I tagli del tagliatore con la legge del

taglione hanno rimesso a posto i conti, che

era tutto allo sfascio.

La prostata ti fa scodinzolare il pisello per

le pisciate notturne? Fatte da’ ‘ngule! Una

ecografi a fra quattro mesi quando il radiologo

si leccherà i baffi davanti a una lastra tenuta

controluce che gli mostra un bel palloncino di

salsicce sotto strutto al posto di una ghiandola

prostatica. È di già Natale. Uno stronzo. Apre il

giornale e legge che vive in una città che si è

classifi cata per la qualità della vita al sessan-

taduesimo posto su centosette. Praticamente

a sessantuno dalla prima e a quarantacinque

dall’ultima della classe. I risultati dell’inchiesta

pubblicati sul “Sole 24 Ore” (http://www.ilso-

le24ore.com/speciali/qvita_2012/home.shtml)

sono stati accolti con particolare favore.

Poteva andare peggio. Tocchiamoci le palle. Il

bicchiere mezzo pieno è che Teramo è in testa

ai quattro capoluoghi abruzzesi. Per qualcuno,

siamo primi anche se si vive male. Diciamoce-

lo con franchezza, dieci punti sotto metà clas-

sifi ca non ti fa eiaculare di gioia. Però, arrivare

prima dell’Aquila, che potrebbe cooptarci nella

propria provincia, il gesto dell’ombrello e una

pernacchia come sobri cenni di intima soddi-

sfazione sarebbe inappropriato rubricarlo nella

stretta metafora del cagare fuori dalla tazza.

È di già Natale. Siamo i migliori nella nostra

regione per qualità della vita. Adesso, in virtù

della spending review, potremo pretendere

indietro la provincia e di accorparci quella

dell’Aquila, che è addirittura ferma al set-

tantaquattresimo posto. È di già Natale. Una

galleria con il plexiglass ad ammantare Corso

San Giorgio come a Milano (diciassettesima in

classifi ca), pare sia l’idea dell’anno, che piace

tanto ai commercianti, agli architetti, ai politici

e alla gente. Facile intuirne il perché.

“Finalmente, potremo vedere quanta merda ci

piove dal cielo senza sporcarci”. n

6n.83

È di giàNatale!e riavremo la Provincia

diMimmoAttanasi [email protected]

Cosa il Premio Teramo

rappresenti per la

città è palese: l’evento

culturale che ne è

più diretta emanazione.

Anche per questo, in varie

occasioni, lo si è decretato il

principale e il più importante

fra tutti. Certamente esso

rappresenta la teramanità

dal suo lato più nobile, e

rinsalda quel sostrato uma-

nistico che è all’origine della

nostra cultura nazionale. Una

cultura e un’identità, almeno

fi no a tutto l’Ottocento,

saldamente ancorate a quel

sentire fi eramente idealistico

per cui il verbum varrebbe

più del factum, ormai beneauguratamente corroso dopo quanto è

venuto emergendo dalle avanguardie storiche del Novecento, e si

pensi a Joyce, a Musil, o al “teatro dell’assurdo” di Beckett, ma che

nell’Abruzzo dei Croce, dei D’Annunzio, dei Silone, ha proseguito a

manifestarsi in tutta la propria stagnante ambiguità. Più di recente ci

si è spinti a dire il Premio «una tra le maggiori manifestazioni letterarie

italiane», benché diffi cilmente si citerebbe il Teramo del 1964 piuttosto

che il Viareggio del 1979 quale punto di svolta nella fortuna di Andrea

Zanzotto, ciò che qualche dubbio su di una risonanza più nazionale

che regionale dell’evento lo fa sorgere. Nelle parole del nuovo segre-

tario Simone Gambacorta, che vi vedono «un contributo di “ascolto” e

di attenzione alla narrativa italiana», mi sembra di ritrovare maggiore

equilibrio. Ma vediamo più nel dettaglio: un premio letterario, nel pae-

se di Dante e Virgilio, è di certo idea tra le meno inaudite che si possa

immaginare. Per tacere degli omologhi più celebri e celebrati, ricordo

il Mondello a Palermo, il Dessì in Sardegna, il Palmi in Calabria, il Leo-

pardiano La Ginestra alle falde del Vesuvio, e si potrebbe continuare a

lungo. Il Premio ha peraltro subìto alcune sensibili battute di arresto:

dopo quella, di ben otto anni, dal 1978 al 1986, se ne aggiungono quel-

la dal 1998 al 2002 e l’altra, recentissima, prima dell’edizione 2012.

Nulla, neppure a latere, viene accennato per giustifi care questo fatto

nei commenti e nelle note introduttive alle varie pubblicazioni uffi ciali,

fatto che con ogni evidenza non ha a che vedere solo con mere que-

stioni di ordine amministrativo.

Ma la cosa più singolare è la scarsità di elementi utili per una rico-

struzione storica complessiva, dalla quale sia possibile evincere non

tanto un’evoluzione in termini letterari, che rischierebbe il genericismo

con un premio a tema libero come il Teramo, bensì il percorso delle

condizioni umane e sociali che ne sono state all’origine. Elementi ad

esempio che possano spiegare le ragioni della predilezione per un

genere, quello del racconto, che non sembra registrare legami diretti

con le vocazioni più spiccate della città. Ma anche aiutare a com-

prendere la scelta, non meno atipica, per la composizione inedita, o

quella spinta autonomistica che sembra essere stata a fondamento

dell’intimo legame tra il Circolo Universitario Teramano e la genesi

del Premio, nato nel 1959 ma già conclusosi con una prima edizione,

pare senza esito, nel giugno dell’anno prima. Dato, anche questo, che

andrebbe opportunamente chiarito. Si è preferito battere su di una

vicenda luttuosa, quella di un gruppo di giovani studenti del C.U.T.

fi niti fuori strada, stipati in otto su di un’auto, quando, reduci da un

raduno pescarese con altra delegazione, si sarà probabilmente iniziato

col discutere del progetto per un ateneo abruzzese e fi nito col fare

bisboccia. Meno invece si è cercato di indagare le personalità e le

attese intellettuali di uomini come Giammario Sgattoni, come Raffaele

Passino, o come Pietro Ar-

turo Favazzi, allora direttore

dell’Ente Provinciale per il

Turismo di Teramo. Poco

chiara è la stessa attribuzio-

ne di paternità del Premio,

la cui prima ideazione va

fatta certamente risalire alla

fi gura di Sgattoni, ma sulla

quale negli atti del Premio

rimangono solo, per cenni,

generiche manifestazioni di

stima e di affetto. È anche

vero che il Premio, come

ogni altra iniziativa culturale

che si ammanti di uffi cialità

istituzionale, nasceva come

luogo di incontro tra forze

cittadine composite, tra

ruoli ed estrazioni culturali

differenti le quali, ineludibilmente, erano in larga misura riconducibili

alle aree più conservatrici della città. Quanto con queste aree avesse a

che fare Sgattoni, intellettuale convintamente laico, credo sia uno dei

primi aspetti da chiarire ai fi ni di una comprensione storica del Premio.

A scorrere i nomi del primo comitato promotore, vi si leggono tutte

le voci più infl uenti della Teramo culturale di allora. Voci dell’ammini-

strazione comunale come Carino Gambacorta e Ferdinando Di Paola,

di quella provinciale come Emilio Mattucci e Zeno Tomassini. Voci

di realtà associative come la “Dante Alighieri”, con i suoi presidenti

8n.83

Dal Verbum al FactumAppunti per un profi lo storicodel Premio Teramo

diSilvioPaolini Merlo [email protected] culturale

9

Raffaele Passino ed Enzio Di Poppa Vòlture.

Rappresentanti dei principali poli scolastici,

il “Delfi co”, il “Comi”, i provveditori agli studi

Michele Mandragora, Giovanni Simoncini, Ni-

cola Postiglione e altri. Venendo ai presidenti

di giuria troviamo uno specchio nobile dello

schieramento pentapartitico, col suo asse

DC-PSI: socialisti come Diego Valeri divisero

la carica accanto a senatori a vita nelle liste

democristiane come Carlo Bo.

Tuttavia i solidi e decisivi legami col mondo

letterario nazionale, quelli che decretarono

da subito il livello e il tono dell’iniziativa,

sono da attribuire di diritto alla fi gura di

Sgattoni, all’ampio spettro di interessi e alla

qualità delle frequentazioni che egli ebbe,

favorite dall’impresa della rivista artistico-

letteraria “Dimensioni”, condiretta con

Giuseppe Rosato, fondatore con Ottaviano

Giannangeli di un premio nazionale di poesia

dialettale a Lanciano. Giannangeli stesso,

che fu parte attiva di quel percorso, aveva

studiato con Bruno Migliorini, fi lologo e acca-

demico della Crusca, noto per aver delineato

la prima storia scientifi camente fondata della

lingua italiana. Le linee guida erano peraltro

abbastanza chiare: attenzione alla contem-

poraneità, nessuna discriminazione tra autori

affermati e quelli esordienti, riferimenti mo-

rali a fi gure come Mario Pomilio e Giacomo

Debenedetti, cattolico il primo, crociano di

origini ebraiche il secondo, che lasciavano

aperto il campo a letture contrapposte della

società. E tuttavia, specie dopo la scompar-

sa di Michele Prisco nel 2003, il Premio ha

mostrato i segni di un progressivo intorpidi-

mento. La fervente prefazione di Carlo Bo,

apparsa nel primo volume di atti 1959/1978,

assieme alla Dichiarazione d’amore di Diego

Valeri, pronunciata nel 1974 per la cerimonia

di conferimento della cittadinanza onora-

ria, ma in cui a onor del vero ben poco si

dice, specie di Teramo e del Premio, sono

divenute una sorta di mantra, quasi un ras-

sicurante sigillo di qualità. Tra i rari spiragli di

introspezione autocritica merita attenzione

la testimonianza resa dieci anni fa da Paolo

Araclio, segretario del Premio dal 2002 al

2004, nella quale si ravvisavano tre sostan-

ziali elementi di “debolezza” del Premio: il

requisito d’inedicità, il genere del racconto,

la limitata diffusione del bando. Che il Premio

sia stato indirizzato alla scrittura inedita, per

giunta da contenere entro le venti cartelle, di

fatto esclude o limita fortemente l’interesse

da parte del mondo editoriale. Si potrebbe

ribattere, viste le mire di corto raggio della

nostra attuale editoria, che in questo traspa-

re semmai una felix culpa: l’editore moderno

ha smesso da tempo di esercitare un ruolo

da garante, e per i giovani autori esistono

oggi molti canali alternativi. Ma certo la gran-

de distribuzione resta un fattore cruciale, e

serve a poco ignorarne il ruolo largamente

dominante tanto sul piano della rete libraria

che dell’aspetto mediatico. A questi tre punti

deboli Araclio aggiungeva un quarto, forse il

più insidioso: che scrivere racconti non è da

tutti, presupponendo una capacità di sintesi

che obbliga a una chiarezza di idee sempre

più rara. Ottimistiche, su questo fronte, mi

sembrano le affermazioni di Renato Minore

secondo cui il racconto avrebbe in se stesso

i rimedi per ovviare ai propri malanni, perché

l’essere permeabile alle sollecitazioni più

diverse non lo rende immune da stereotipi e

involuzioni di vario tipo.

Come si è visto questi appunti non tentano

neppure di delineare una sintesi storica del

Premio, per la semplice ragione che tutto

quanto fi n qui pubblicato, in cartaceo e onli-

ne, consente solo una visuale a volo radente.

Quanto bene tuttavia possa fare, in una città

come Teramo, la presenza di un momento di

alto profi lo sulla scrittura e sulle sue possi-

bilità creative e rifl essive, grazie a un Premio

fi n dal principio voluto come libero e svin-

colato da pressioni di ogni genere, è persino

superfl uo sottolinearlo. Certo, me lo si lasci

aggiungere, l’aver dato al Premio regole più

chiare e una sede permanente potrebbe non

essere suffi ciente a colmare questo defi cit di

chiarezza storica e critica, perlomeno senza

operazioni di rafforzamento identitario non

puramente archivistiche, conseguenti a una

visione retrospettiva che raccordi il già fatto

col da farsi. n

n.83

Veduta della sala Giuria,3ª Edizione del Premio Teramo, Giugno 1961

Terzo da destra, in piedi, Giammario Sgattoni.

Cerimonia di Premiazione4ª Edizione del Premio Teramo, Giugno 1964al centro, seduto, Carino Gambacorta.

Eventi

Sabato 17 novembre è stata inaugurata

a Faenza la mostra “Guerrino Tramonti

– La magia del colore” nella quale

è esposto, per la prima volta nella

città romagnola, il “Terzo Cielo di Castelli”.

L’opera realizzata nel 1954 a Castelli su

ispirazione e sotto la guida del maestro fa-

entino e voluta come omaggio moderno agli

antichi soffi tti della chiesa di San Donato

è stata riportata a Teramo due anni fa dal

Comitato Organizzatore Mostre Ceramiche

dopo un lungo periodo di oblio, dimenticata

e abbandonata nelle soffi tte dell’”Istituto

d’Arte Porta Romana” di Firenze.

L’opera fu la conclusione di un lavoro col-

lettivo risalente al periodo in cui Guerrino

Tramonti dirigeva la Scuola d’Arte di Castelli

d’Abruzzo (dal 1953 al 1958) e alla quale

parteciparono anche due altri grandi artisti

della ceramica moderna Serafi no Mattucci

e Arrigo Visani, con la collaborazione degli

studenti di allora.

“In questa mostra al MIC- afferma la cura-

trice Josune Ruiz de Infante - è possibile

cogliere la connessione tra le immagini del

‘Terzo cielo’ e l’opera fi gurativa di Tramonti

dopo il 1954, soprattutto nell’impianto

compositivo e iconografi co dei suoi colora-

tissimi vassoi, sui quali adagiava emblemi

appartenenti al repertorio d’immagini più

volte rielaborate: il pesce, il gatto, i gemelli,

il pesce in graticola, la bottiglia di selz, la

tavola imbandita, la lisca di pesce, i profi li

di donna e molti altri motivi di derivazione

astratta”

La mostra è organizzata in collaborazione

tra la Fondazione Guerrino Tramonti e il

Comitato Organizzatore Mostre Ceramiche

di Teramo, con il patrocinio del Comune di

Faenza, del Comune di Teramo, del Comune

di Castelli, dell’Istituto Statale d’Arte “F.A.

Grue”, del Rotary di Faenza e del Rotary di

Teramo e rimarrà aperta fi no al 6 gennaio

2013.

Nella serata inaugurale, svolta nella sugge-

stiva cornice del Museo internazionale delle

ceramiche di Faenza con una straordinaria

partecipazione di pubblico, è andato in

scena anche il “gemellaggio ceramico” tra

i Rotary Club di Faenza e Teramo, guidati

dai rispettivi presidenti Giorgio Cicognani e

Giuseppe Oreglia, alla presenza dei sindaci

di Faenza Giovanni Malpezzi, di Teramo

10n.83

Il Terzo Cielo di CastelliUn altro grande successo

Il Terzo Cielo a Faenza. Cordoni, Malpezzi, Brucchi, Caccia, Minardi.

1010VicepresidenteComitato Organizzatore MostreCeramiche Antiche e Moderne Teramo

diSirianoCordoni

11

Maurizio Brucchi e di Castelli Enzo De Rosa.

Alla serata hanno partecipato anche la

direttrice del Mic Claudia Casali, la curatrice

della mostra, Josune Ruiz de Infante, il pre-

sidente della fondazione Guerrino Tramonti,

Marco Tramonti e il direttore della pinacote-

ca di Faenza Claudio Casadio.

Tutti i relatori hanno sottolineato la partico-

lare importanza dell’appuntamento per una

iniziativa di grandissimo respiro che può

rappresentare l’occasione per rafforzare i

legami fra due territori, quello faentino e

quello teramano e in particolare castellano,

che fanno nell’arte ceramica un punto di

forza economico, sia nella parte produttiva

che turistica.

Vista la straordinaria favorevole accoglien-

za che il “Terzo Cielo di Castelli” ottiene

ogni volta che viene esposto, il Comitato Or-

ganizzatore Mostre Ceramiche ha proposto

di mettere in cantiere un’altra iniziativa,

questa volta per valorizzare la grande arte

ceramica italiana, “Il Cielo d’Italia”, un

quarto soffitto ceramico, al quale invitare

a partecipare tutte le Città della Cerami-

ca d’Italia, ognuna con tavelloni dipinti

dalle botteghe della propria città e quindi

rappresentare, con un fantasmagorico

gioco di colori, decori e disegni, “il Cielo

d’Italia” dell’arte ceramica e farlo diventare

ambasciatore di questa arte nel mondo,

come fattore di promozione culturale ed

economico. n

n.83

Editoria12n.83

Il Mariomonti pensiero

N ell’Università “Bocconi”, a Milano, il 17 novembre, Mario Monti e

Sylvie Goulard, eurodeputata francese, presentano il libro scritto

insieme “La democrazia in Europa” e quello di Monti “Le parole

e i fatti”, a cura e con un’intervista di Fabrizio Fubini. L’incontro,

organizzato dalla Fondazione del Corriere della Sera, vede un fuoco

incrociato di domande a Monti e alla

Goulard, da parte dei giornalisti Fer-

ruccio De Bortoli e Fabrizio Fubini.

Il primo interrogativo a Monti è

quello sul suo futuro e la risposta

arriva immediata “L’Agenda Monti,

Milano, Bocconi, Corriere, c’è tutta la

mia vita, con i passaggi a Bruxelles.

Continuerò l’attività di Presidente

del Consiglio fi no a quando il Paese

si avvierà ad una normalizzazione

della vita democratica. Mi auguro un

contributo diretto ed abbondante

da parte dei cittadini che sentono

la partecipazione alla vita del Paese, ed in questo punto si è realizzato

una parte dell’Agenda. In Italia ci sono grandi problemi, ma non sono

insormontabili. E’ rilevante il fatto che gruppi della società civile si stiano

riattivando per riappassionare i cittadini alla partecipazione alla vita

pubblica”.

De Bortoli “ Che voto si dà ?” Con il solito fair play, arriva la risposta di

Monti “E’ meno buono di quello che dicono gli osservatori stranieri,

meno cattivo degli economisti bocconiani”.

Per Monti ”La costruzione dell’Europa ha dell’etica, l’Europa è alleata

dei giovani anche se non riesce a farglielo capire. L’Italia non è un Paese

debitore, l’Italia rappresenta il 3° Paese che ha contribuito al salvataggio

dei Paesi debitori, però occorre che la realtà si accosti all’etica e chia-

risca dove si possa applicare. E’ un bene che i Paesi si rendano conto

che nel termine comunità non ci sia solo il credito e il debito. Nel caso

italiano, bisogna ammettere che nell’apparato di regole e discipline non

sarebbe accettabile che il potere politico venisse gestito sulla base di

debiti e crediti. I cittadini hanno fatto sforzi, sacrifi ci, ma se l’Italia fosse

stato un Paese debitore mediante gli aiuti da parte del Fondo Comunita-

rio Europeo, non avrebbe potuto, nei prossimi anni, sedendosi al tavolo

europeo, far valere le proprie idee.” Al quesito di come riavvicinare i cit-

tadini ai processi politici, risponde la Goulard “ E’ una domanda diffi cile

in quanto il processo iniziale dell’Europa era più umano, solidale, vicino

ai desideri e al benessere dei cittadini. Il Consiglio Europeo nell’aprire

prospettive ha promesso troppo, in ambito di politica estera comune,

cittadinanza comune che non esiste, l’Europa come zona comune com-

petitiva; la gente ci ha creduto e tutto questo non è avvenuto. I valori

devono essere rispettati, per questo possiamo utilizzare i trattati”. Inter-

viene Monti “Vedo possibile un’evoluzione nel Consiglio d’Europa anche

se quando la Commissione Europea ha espresso l’idea di predisporre

tabelle per la competizione, per dare uno stimolo, nel 2005, alcuni Paesi

bloccarono tutto. I cittadini si allontanano dall’Unione Europea, la crisi

ha le sue ragioni nella crisi dei Paesi. Oggi c’è una crescita delle disugua-

glianze e la globalizzazione le ha accresciute nei singoli Stati.”

All’interrogativo sul

funzionamento de-

gli equilibri in Euro-

pa, con la consueta

gestualità elegante

nei modi e nella

forma dell’espres-

sione, risponde la

Goulard “Il voto in

un Parlamento è

un voto collettivo,

c’è bisogno della

diversità, rinnovare

il pensiero, rinnovare dal punto di vista giuridico, anche con una mag-

giore presenza di membri donne. Il Consiglio d’Europa ha diritto di fare

la sua giurisdizione”. Monti concorda con la Goulard per le scelte future,

come una maggiore presenza femminile nel Parlamento Europeo.

De Bortoli chiede”Che fare per non emarginare i soggetti più deboli?

”Monti interviene “In Italia abbiamo società corporative, in economia c’è

bisogno di una società aperta, nell’Università Bocconi discutevamo sul

sistema di equità, far cadere paratie, per un processo solidale bisogna

curare i diritti quando sono esclusi, le mancanze che possono ledere

la solidarietà nei Paesi debitori. Noi non siamo favorevoli a politiche

cadute dall’alto, dobbiamo discutere sul sistema fi scale.

All’ ultimo interrogativo di De Bortoli su come vedono l’Europa gli altri

Paesi, ad esempio l’America, risponde la Goulard “Dobbiamo fare

un’Europa più unita, dobbiamo avere fi ducia nei giovani, andare altrove

per aprirsi al mondo, in America non fanno differenze tra Stati ed è qui

che interviene uno scambio di battute, in inglese, tra la Goulard e Monti.

La Goulard racconta che, di fronte alle elezioni in Europa, un interlocuto-

re le aveva detto “I don’t care about regional elections in Europe”(Non

mi interessano le elezioni regionali in Europa). Monti, subito pronto, io

avrei risposto a quel signore “I do care about regional elections in Italy”

(A me interessano molto le elezioni regionali in Italia). n

alla Bocconi

[email protected]

diFloriana Ferrari

Università Bocconi, a Milano, il 17 novembre 2012, presentazione di due libri: “La democrazia in Europa”, scritto dal Presidente del Consiglio Mario Monti insieme a Sylvie Goulard, eurodeputata francese e “Le parole e i fatti” scritto dal premier con un’intervista di Fabrizio Fubini.

La sapete quella di Berlusconi che arri-

vato dinanzi a Dio gli chiede: “E tu, chi

sei?”, e Dio dice: “Io sono Colui che è”.

Berlusconi con orgoglio: “E io sono Colui

che ha!”. Se non l’avete mai sentita allora cor-

rete a godervi “Tuttobenigni 95/96”, in santa

pace. Attenzione però, si sa che dopo il riso

viene il pianto. Una massima popolare quanto

quella del rosso di sera bel tempo si spera. Ci

credi perché conviene. E se va male, cosa vuoi

che ti faccia un po’ di pioggia sulle guance?

Jim Morrison ci si nascondeva per piangere.

Ma con le lacrime bisogna rifl ettere. Con le

esigenze della Equitalia non si discute dei mas-

simi quesiti esistenziali dell’uomo, del Woher

kommen wir Wer sind wir Wohin gehen wir (Da

dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo?)

http://it.wikipedia.org/wiki/File:Woher_kom-

men_wir_Wer_sind_wir_Wohin_gehen_wir.

jpg, per vederla alla Gauguin. Per loro, quelli là

Satira ma non troppo

di Equitalia, siamo una cartella. Qualche volta

pure inserita male in un sistema informatiz-

zato. Ed è in quel momento che le stille degli

occhi prendono un sapore amaro. Ti asciughi il

naso con la manica giù fi no a leccarti l’incavo

fra il pollice e l’indice. Come diceva uno: “La

psyché non vuole paradisi, ricerca la verità

nella causa e la spiegazione di essa. Una via

di passaggio, un proposito”. Altri pensatori

si sono espressi con allegorie inconsuete:

“Il cazzo non vuole pensieri”. Fino alla fi ne

dovremmo davvero apprezzare ciò che siamo,

renderci conto di quanto sia esoso il privilegio

di cui godiamo. Quello in cui crediamo, costa.

Socrate che impara a suonare il fl auto poche

ore prima di bere la cicuta è diventata una

frase senza suono e senza luce. La cazzata di

un coglione rimbambito. Ciò che conta non

è più il “Colui che è” o il “Colui che ha” del

Benigni di una volta. La disperazione è tutta

quanta di “chi non è”. Per chi non conta a

contarlo ci pensa un sistema numerico binario.

Una sequenza posizionale, una proiezione elet-

tromagnetica sparata su fi bra ottica, nei paesi

14n.83

L’isolata chenon è

diMimmoAttanasi [email protected]

evoluti che hanno la banda larga. Su un banale

fi lo di rame del telefono, nel terzo mondo

digitale a cui appartiene l’Italia. 87€ per 10 rate

pagate in ritardo su 36 complessive. A fronte

di un importo rateizzato di 3905.14€, dal 2009

al 2012, per un debito INPS. Una signora, nel

1997, azzardò sfi dare la grande distribuzione

aprendo un negozio di ortofrutta di soli 15mq,

per poi annusare il fumo della propria impresa

fallita di lì a poco nel 2004.

Da un evidente indebitamento, a 6 mesi

dal pagamento della rata più bella dovuta a

Equitalia, l’ultima la trentaseiesima, l’impren-

ditrice d’avanspettacolo si è ritrovata nella

cassetta della posta un invito improrogabile

a normalizzare la propria posizione debitoria

nei confronti dell’ente esattore: 8,7€ in più per

ogni bollettino pagato in ritardo. Tutto questo

sei mesi dopo l’estinzione del debito. E la

poveretta, “l’isolata che non è”, non ha avuto

nemmeno a sense of humour per chiedere

indietro il dovuto per quelle 23 rate rimesse

ogni mese in anticipo: 23 per 8,7€ fa 200.

Equitalia sborserebbe questa somma? n

Equitalia s’è desta

Il Palm Day del 30 Novembre 2012,

presso la sede Arcadia Penta Gruppo di

Castelnuovo Vomano, è stato un evento di

grande successo.

Il Dott. Primo Pompilii, Presidente del Polo

e padrone di casa, è stato il moderatore di

una giornata ricca di interventi, dove hanno

trovato spazio sia i singoli Soci che gli ospiti

provenienti da altre regioni, richiamati dalle

opportunità offerte dal Polo.

Il Polo Palm, nato il 26 Aprile scorso grazie

all’iniziativa di 19 aziende fondatrici, raggiun-

geva, già nel luglio 20012, il numero di 40

aziende. All’interno del Palm, infatti, si registra

la presenza di Grandi Imprese, come Aran

Cucine e Las, accanto a PMI di produzione,

di servizi e di consulenza che, in questa

giornata, hanno espresso le loro aspettative

di sviluppo e di crescita grazie all’attività di

rete del Polo. Obiettivo del Polo Palm è quello

di realizzare sul mercato un punto focale,

una concentrazione di forze, di energie e di

risorse orientate all’Innovazione delle Imprese

e, quindi, ad una nuova competitività, sia

per quanto concerne il prodotto, sia a livello

gestionale e di mercato.

Le fi nalità e la rilevanza economica del Palm

(le cui aziende comprendono circa 1.300

occupati diretti ed oltre 200 Mln di euro di

fatturato nel 2010), sono state ribadite dal

Presidente Primo Pompilii in occasione dell’e-

vento del 30 novembre, circostanza in cui

sono state tracciate anche le linee guida per il

raggiungimento degli obiettivi, nonostante lo

scenario incerto del momento… :

“Lo sviluppo di una rete d’imprese, sia a livello

produttivo e sia a livello commerciale, è il

presupposto, per le PMI, di competere in fu-

turo; singolarmente, infatti, sarebbero in balia

di forti turbolenze, diffi cili da fronteggiare”

afferma il Presidente Pompilii, cui fa eco l’Ing.

Ercole Cauti che sottolinea: “La creazione

di un Polo dell’Innovazione è la base di un

processo di sviluppo che va a convogliare,

su progetti innovativi e di crescita, le risorse

provenienti dall’Europa verso le Grandi, Medie

e Piccole aziende che caratterizzano il tessuto

industriale regionale ed italiano in generale”.

Il concetto di rete, non soltanto ha trovato

nelle aziende del Palm una fattiva concretiz-

zazione, ma rappresenta sul mercato un’inno-

vazione anche “culturale” ed “intellettuale”,

in quanto ha permesso il superamento l’indi-

vidualismo imprenditoriale che, da sempre,

caratterizza le imprese PMI di tutta Italia.

A proposito di innovazione, la convention del

30 novembre è stata impreziosita dall’origi-

nale presentazione realizzata dalla società

di consulenza di strategia aziendale Spinosi

Marketing Strategies s.r.l., che, coniugando

uno spettacolo di danza contemporanea

(grazie al partner Electa Creative Arts) con i

concetti di marketing strategico, ha saputo

rappresentare la necessità di una metamor-

fosi nell’operatività aziendale delle nostre PMI

per poter competere in futuro.

L’iniziativa si è conclusa con una generale

soddisfazione di tutti i partecipanti che, per

la prima volta in tanti anni di attività hanno

avuto l’occasione di conoscersi meglio e

condividere competenze ed idee di progetti

per il futuro.

Le aziende che hanno preso parte al Palm

Day sono: Api Soluzioni s.r.l., Aran World s.r.l.,

Arcadia Componibili s.r.l., Cna Sistema s.r.l.,

Estintori Bosica s.r.l., Grafi che Martintype s.r.l.,

l.T.Form 2 s.r.l., Las Mobili s.r.l., Mas Legno

s.r.l., Nuova S.m.a. s.r.l., Partner s.r.l., Spinosi

Marketing Strategies s.r.l., Trasporti f.lli Marini

di Marini Gabriele & c. s.n.c., Cosmob, Delfi n

Elettronica srl, Emmeci Software, Linea Sedia,

Mec System srl, Metalway srl, Moschella

Pasquale, Palmar Arredi, Pennacchioni spa,

Studio D’Ercole srl, Time to Design scarl, Ve-

trotec due I.s.i.a., Modulo s.r.l., Confi ndustria

Teramo, Gruppo Metron s.r.l. n

Carissimi Colleghi,

nel ringraziarVi per gli apprezzamenti che mi

avete rivolto, colgo l’occasione per evidenzia-

re i risultati emersi dal PALM DAY.

Grazie ai soci presenti e all’illustrazione della

realtà aziendale di ciascuno, è stato possibile

tracciare un profi lo delle organizzazioni

consorziate, dei rispettivi punti di forza e degli

elementi distintivi.

Ciò ha ulteriormente confermato i presupposti

del polo e, quindi, la necessità di un’integra-

zione dei vari membri per creare una forza

sinergica orientata verso l’innovazione.

I dati emersi sono sicuramente importanti,

tuttavia non appaiono suffi cienti per proget-

tare, in maniera strutturata e con metodo, la

collaborazione di ciascuno, né per individuare

una strategia comune volta a raggiungere gli

obiettivi stabiliti tra cui, tanto per citarne alcuni:

• integrazione dell’offerta per lo sviluppo e

la penetrazione di nuovi mercati, nuovi

canali e nuove formule commerciali ;

• innovazione di processi e di prodotto

attraverso l’ integrazione tra ricerca,

design, prototipazione ed industrializza-

zione secondo un approccio di marketing

strategico;

• riorganizzazione della logistica ed incre-

mento dell’effi cienza.

Il prossimo traguardo, quindi, sarà quello di

approfondire le singole realtà.

Verranno predisposti incontri tra i soci inte-

ressati, per acquisire maggiori e più dettaglia-

te informazioni e valutare gli obiettivi da por-

tare avanti, attraverso una progettualità che

ha come comun denominatore la logica del

“fare” e non quella di attendere le provviden-

ze dei bandi che, come convenuto nel corso

della convention, non devono rappresentare

la fi nalità e/o l’incentivo motivazionale del

nostro agire. “

Cordialmente

Primo Pompilii

15Eventi

PalmDay

dallaRedazione [email protected]

n.83

La giornata di incontrotra le aziende del polodel legno arredo e mobile

Un cielo azzurro, punteggiato di stelle splendenti.

La grotta affascinante nella sua semplicità.

Uomini di montagna intenti alla fatica quotidiana. Una straordina-

ria opera di artigianato che, in una miscela di sapienti ingredienti,

abbraccia il visitatore portandolo in un viaggio tra realtà, storia, fede e

cultura laica.

Il presepe delle “Genti della Laga”, la creatura amata da Gino Di Benedetto e Fabrizia Di Girolamo, diventa ancor più coinvolgente

nel nuovo scenario, con facciate delle case dagli antichi portali e infi ssi

recuperati da vecchi cascinali decaduti e spaccati di vita contadina che

immergono in una realtà agreste che appartiene ai ricordi.

La particolarità del museo sta nella veridicità delle scenografi e che

emoziona tutti; la mostra svolge anche un ruolo didattico-educativo,

permettendo di tramandare la memoria di attività millenarie.

Nella parte riservata alla Natività, trovano collocazione le mirabili realiz-

zazioni dello scenografo napoletano Antonio Flagiello, recentemente

scomparso, lasciate in donazione al museo presepe.

Non sola rappresentazione della nascita che cambiò il mondo ma testi-

monianza di un tempo che fu, di una vita dal ritmo lento che non esiste

più se non nel ricordo di anziani sopravvissuti.

Un presepe- borgo che riproduce l’habitat antico: le sfumature, incre-

dibilmente reali degli intonaci delle casette contadine, abitazioni dalle

imposte di legno, povere “pinciare” dove la vita è dura, muri sgretolati in

tufo, scalinate in pietra della Laga.

I deliziosi balconcini con le inferriate di ferro battuto che esibiscono

trecce di cipolle, peperoncini, grappoli di pomodori.

Il panettiere che panifi ca, lo scalpellino curvo a battere la pietra, il

pastore a transumare, il ceramista di Castelli a impastare creta, il ramaio

a preparare utensili e tutto intorno il grigio degli acciottolati e dei muretti

a secco, il verde delle colline di un verismo incredibile. E poi i personaggi,

riprodotti in tutte le occupazioni quotidiane, con vestiti tipici delle piccole

comunità rurali di un Abruzzo che irrimediabilmente non c’è più, a creare

struggenti nostalgie.

La nostalgia pervade l’atmosfera di suoni, luci e colori di cui il presepe

delle “Genti della Laga” si nutre in un irripetibile affl ato naturale.

Tutto, nella Rappresentazione del Cristo che si eleva sopra le miserie

umane, rivela la maestria di chi ha concepito la Natività più grande della

regione e una delle più interessanti d’Italia.

Una particolare tecnica usata dagli artigiani che dona vita ai protagonisti,

dalla lavandaia che smette di sbattere i panni al fi ume per assistere alla

nascita del Bambino, al venditore di ricotta e salumi che espone la sua

mercanzia, l’arrotino in mezzo ai coltelli, fi no ai contadini intenti all’”acci-

se de lu porche”, alla trebbiatura, alla vendemmia e raccolta olive.

I volti danno il senso della fatica e della povertà, tra rughe scavate dal

sole e dalla vita diffi cile.

Le montagne di cartapesta, l’antica ramiera, il vecchio mulino, la deli-

ziosa chiesina rupestre, il solitario romitorio, le pecore che attraverso i

tratturi, svernano in Puglia, tutto è ricostruito con certosina meticolosità.

Emerge dalla scena un’umanità che non fa passare in sordina l’incredibi-

le avvenimento della nascita dell’”Emmanuele”, ma anzi lo rafforza con

migliaia di comprimari che illuminano la scena dolcissima della Sacra

Famiglia.

Il fi abesco si mescola al reale nell’armonia del paesaggio dei monti della

Laga, tra fi umi, cascate, prati, ruscelli, mentre cresce l’attesa dell’evento

più importante dell’umanità.

Il formicolare del mercato paesano, tra bancarelle, botteghe e osterie, si

contrappone alla plasticità del volo degli Angeli nel cielo scuro della notte

e alla carovana dei Re Magi, in una commistione che stupisce.

E, ovunque, c’è il senso rassicurante di un messaggio d’amore verso Dio

e i fratelli.

Presepi teramani16n.83

TorricellaSicuraL‘Abruzzo in miniatura, il presepe e museo etnografi co “le genti della Laga”

I Coniugi Di Benedetto con Antonio Flagiello

diSergioScacchia

con la collaborazione di Sandro De MarcellisFoto: Gianluca Pisciaroli1616

17

Il Presepe di Torricella Sicura sarà visitabile nei

seguenti orari e date:

Sabato 15 e 22 dicembre 2012 (dalle ore 16:00

alle ore 20:00),

Domenica 9 e 16 dicembre 2012 (dalle ore

10:00 alle ore 20:00),

Dal 23 dicembre 2012 al 6 gennaio 2013 tutti i

giorni (dalle ore 10:00 alle ore 20:00).

La mostra è visitabile previa prenotazione

tutto l’anno.

L’INGRESSO È GRATUITO

Per info e prenotazioni Tel: 338-3316641

Internet:

www.cmgransasso.it/ginodibenedetto

E-mail: [email protected]

Blog: http://presepelegentidellalaga.splinder.com

Facebook:www.facebook.com/

groups/266076663441683/

Incontro l’amico e giornalista Walter De Berardinis, anima del frequentato

sito internet www.giulianovanews.it in

un freddo pomeriggio di dicembre. È lui

l’addetto stampa e portavoce istituzionale

di una iniziativa bellissima che ogni anno, il

26 dicembre, da diciassette edizioni, regala

il Presepe vivente della parrocchia di San

Flaviano in Giulianova.

È una manifestazione religiosa e culturale da

portare avanti tra mille difficoltà.

“Il presepe, Sergio, si svolge nel cuore del

centro storico al buio e senza luce artificiale,

solo con le torce. Un narratore racconta la

scena. Si apre con un corteo di figuranti,

mediamente duecento persone tra adulti

e bambini, il materiale occorrente viene

tutto dai privati, compreso i fondaci dove

cubi di polistirolo, troni giganti per ribadire

la potenza di Roma, una stella enorme, una

piazza fatta solo di tanti teli e danzatrici e

angeli in bianco, un’altra piazza con un enor-

me corona e un Erode piccolo. Non le solite

scene del falegname o del fabbro.

Canazza desidera che la gente rifletta, pensi,

si domandi, torni a casa a prendere in mano

la Bibbia. I problemi sono comunque tanti e

non solo di ordine economico: ad esempio

chi recita la parte del Bimbo? Da quando è

chiuso il reparto di ostetricia e ginecologia

dell’ospedale di Giulianova non ospitiamo più

nascituri. Alla fine di maggio, mia figlia Giulia

è stata l’ultima femmina nata. Sono quattro

edizioni che il divin Bimbo non è nato in città

ma in altri ospedali.

Con il freddo che fa a dicembre i neonati

utilizzati nella manifestazione sono anche

più di tre.

E poi, i giovani latitano. Negli ultimi anni

abbiamo deciso di adottare la formula del

bando per far partecipare ragazzi e ragazze,

insomma dare una scossa alla manifestazio-

ne, rendendola più vicina alla gioventù”.

Uno dei momenti più belli nella prepara-

zione?

“Sicuramente le selezioni per la Sacra

Famiglia. Quella sera c’è il nostro fotografo

ufficiale Vladimiro Di Stefano che scatta

istantanee a tutti. Poi iniziano le prove di cop-

pia. In una seconda sessione, con foto alla

mano, il comitato confronta e valuta. Di solito

la spunta sempre il San Giuseppe più vecchio

che riesce a trasmettere il senso di saggezza

e di misticità del papà di Gesù. Per la parte

di Maria è tutto diverso. Non guardiamo mai

alla bellezza in se, ma quello che il viso può

trasmettere agli spettatori. Carisma, certo,

ma soprattutto purezza”.

Non c’è dubbio! Il 26 dicembre saremo tutti

insieme a godere di questo spettacolo divino

nel cuore di Giulianova.

n.83

Irrinunciabile tradizione!

Giulianova

si svolgono le scene. Quest’ anno dedicato

dalla Chiesa alla Fede, l’attenzione dell’orga-

nizzazione si è focalizzata sul libro sacro per

eccellenza: La Bibbia.

Le varie associazioni di volontariato, Carabi-

nieri, polizia penitenziaria tutti a riposo, CRI e

protezione civile coordinano il deflusso della

gente e la sicurezza. Gli abitanti del centro

storico hanno un pass e ingresso riservato.

L’orario dell’evento è dalle 18:00 alle 22:00,

un massimo di quattro ore dato il freddo

pungente. E’ sempre gratis, naturalmente.

Difficoltà economiche, naturalmente!

“Non c’è un euro in cassa, Sergio, anche gli

sponsor storici sono in difficoltà.

Non paghiamo nessun figurante, nessun

rimborso spese per chi recita in questo an-

tichissimo borgo degli Acquaviva. Riusciamo

comunque con l’aiuto dei cittadini e del buon

Dio, a proporre un evento di rilievo.

Hai idea di quante cose occorrono? C’è

bisogno di una squadra di pronto intervento

per falegnameria, elettricità, un service per

casse, luci, mixer e microfono, costumisti,

truccatori, ecc., insomma una cosa grande!

Invito tutti a visitare il sito www.presepe-

vivente.net, gestito dal poliedrico regista,

Domenico Canazza, anima della manife-

stazione.

È un grande giuliese, che coltiva varie arti,

soprattutto quello dello spettacolo. Grazie

a lui ogni anno la natività ha un gusto

diverso, ogni scena è inedita.

Un esempio? Scritte enormi fatte con

Sanità18n.83

ProntoSoccorso

diMaurizioDi Biagio www.mauriziodibiagio.blogspot.com

In attesa dell’Uccp e della piastra per le emergenze che a

sentire gli uomini Asl rivoluzioneranno il settore, il pronto

soccorso di Teramo affoga nel suo quotidiano imbarazzo. Fran-

cesco, seduto nella sala del reparto, riferisce che questa volta

con 12 ore di attesa gli è andata molto

meglio dell’altra volta quando ne aspettò

24: ha un dolore al petto che lo turba e lo

impensierisce molto.

“Il fatto – dice seduto su di una seggiola,

con il risentimento strozzato dall’umiltà

contadina – che il mio medico, ma tutti

medici di famiglia, non ti visitano più…e

allora eccomi qua”.

C’è chi attende disteso sopra una lettiga

con la merda per tutto il corpo, per la

vergogna si tira su il lenzuolo verde fi no

a celare la sua identità e a scomparire

del tutto come uomo. Ma Nessuno si fa

avanti. Deve attendere un dottore che

conosce che per caso era da quelle parti.

Il giudizio del consigliere comunale Milton

Di Sabatino è tagliente: “Il nostro pronto soccorso è un disastro

di funzionalità. Non c’è nulla di buono”. Non ce l’ha con i medici

e nemmeno con gli infermieri che sono sempre pochi. Ma si

potrebbero fare tremila esempi di malasanità. Il pronto soccorso

scoppia e le sale per le osservazioni brevi sono sempre quelle:

quattro, servite da tre medici, non certo l’optimum per svolgere

un servizio ragguardevole.

Secondo il responsabile della struttura, Rino Cianchini, oltre agli

attuali 25 infermieri, ne occorrerebbero ancora quattro per com-

pletare i turni H24.

A questo punto per Di Sabatino nemmeno la nomina di un pri-

mario risolverebbe la quaestio, anzi “andremmo a creare un altro

posto ben retribuito e basta”. E a proposito di primario che man-

ca, la Asl di Teramo sta attendendo dalla Regione Abruzzo il nulla

osta per il via libera. Di Sabatino infi ne consiglia di ricopiare dalle

Marche il modello di Pronto soccorso per ovviare ai contrattempi,

anche se qualcuno lo sconsiglia vivamente. Il consigliere termina

così, con la sua esperienza personale: “Malgrado fossi conosciuto

e dunque raccomandato ho atteso il mio turno dopo sei ore e

mezza ma lì c’era gente che arrivava all’alba e andava via a notte

fonda: non è umano, non è da nazione civile”.

Comunque, il responsabile del Pronto Soccorso Cianchini parla

di una situazione stabile: “Il problema non è il codice bianco; da

quando c’è stata la riorganizzazione interna i politraumatizzati e

altri pazienti con patologie neuro vascolari afferiscono da tutta la

Asl a Teramo portando una maggiore complessità d’intervento e

dunque intasando il reparto. E con radiologia e laboratorio analisi

che giustamente approfondiscono i loro esami i tempi pertanto si

allungano sempre più e quindi anche le attese per gli altri codici”.

Perché a esser chiari, Cianchini denota una fl essione del 4%

degli utenti al Pronto soccorso “però è aumentata la gravità degli

interventi”. “La gente si lamenta perché attende 10 ore, anche se

l’attesa media è di due, ma abbiamo bisogno di personale infer-

mieristico e di una sala triage per accorciare i tempi”. Mancano

anche i posti letto per l’osservazione breve che nel reparto sono

sei ma vengono utilizzati come appoggio da altri reparti.

Uno dei mali che indirettamente assilla la struttura è rappresen-

tato dai molti utenti del Teramano che contando sulla presenza

delle specialistiche e delle eccellenze del

Mazzini intasano il reparto del capoluo-

go: “In vita mia non ho mai visto tanta

gente provenire dalla costa oppure dalla

Vibrata così come accade in questi mesi”

chiarisce Cianchini. Il sabato poi, con il

mercato, l’affl uenza è raddoppiata. E a

rafforzare il fenomeno interviene anche

quel senso di sfi ducia che i pazienti

serbano nei confronti di alcuni presidi

considerati “in disarmo”.

Ma ad alimentare la catena delle “vittime

del codice verde” e delle relative ore in

attesa di una prestazione si aggiunge

anche un altro aspetto: molti utenti infatti

pur di non attendere mesi e mesi prima

di accedere ad una prestazione diagno-

stica (nove mesi per una scintigrafi a ossea) preferiscono piuttosto

attendere i ritmi compassati dei diversi codici bypassando tutto

l’iter, accorciando di molto i tempi e risparmiando sui costi. Però

la procedura s’ingolfa. “E chi ci rimette? - si chiede Cianchini -

coloro che hanno codici più bassi”, chiaramente. n

Dove il tempo diventa molto relativo

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È arrivata la tuanuova vicina di casa.

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È stata senza dubbio una tra le più grandi cantanti liriche del

nostro tempo. Studia pianoforte e canto e nel 1946 un’audi-

zione con il famoso maestro Arturo Toscanini le apre le porte

del successo. Lei è Renata Tebaldi e fu proprio Toscanini a

soprannominarla “voce d’angelo”, quando, nel 1946 debuttò alla

Scala in un memorabile concerto trasmesso per radio in tutto il

mondo. Negli anni quaranta e cinquanta e fi no a quando si ritirò dal

palcoscenico nel 1976, Renata Tebaldi è stata la più bella voce di

soprano lirico drammatico, un vero e proprio mito, capace di con-

quistare anche il pubblico americano, a partire dal suo debutto al

L’Oggetto del Desiderio

Metropolitan di New York nel 1955 con Otello.

Donna di carattere sensibile e gentile, di grande

temperamento e dagli eccessi tipici di molte

“prime donne”, la Tebaldi ha avuto una vera

e propria passione per i gioielli fi n da bambi-

na. Come lei stessa ha ricordato intrecciava

bracciali e collane con i fi ori raccolti nei campi

insieme al padre.

Nel 1998 Sotheby’s ha messo all’asta una serie

di gioielli della sua collezione che risale agli

anni cinquanta, sessanta, settanta; la maggior

parte di essa è stata realizzata da noti gioiellieri

su commissione della stessa Tebaldi, mentre

molti altri sono stati comprati durante gli anni

della sua carriera in America, dove ha vissuto

per molto tempo.

Spesso la cantante voleva la riproduzione in oro

e pietre preziose di una parure di bigiotteria di un suo costume di

scena, o comprava d’impulso una collana di diamanti trovata per

caso in un negozio di New York, così come era solita regalarsi delle

spille dopo ogni rappresentazione di successo. I gioielli preferiti

di Renata Tebaldi sono le spille, molto spesso ordinate solo per

accompagnare altri pezzi che già possedeva. Esse sono numerose

in una collezione che nell’insieme si presenta semplice e raffi nata

nella purezza dei colori e delle forme. n

Uno Scintillante Natale e un Brillante Anno Nuovo

20diCarmine Goderecci [email protected]

RenataTebaldi

n.83

L’entrata in vigore delle nuove norme che intervengono per

riequilibrare il potere contrattuale lungo la fi liera agroalimen-

tare tra distribuzione e produttori e che prevedono il rispetto

dei termini di pagamento non devono rappresentare un alibi

per la parte acquirente a rivedere al ribasso i compensi che spettano

ai produttori. Sarebbe questo un atto gravissimo. L’articolo 62 ed

il relativo decreto applicativo sulla cessione dei prodotti agricoli e

alimentari hanno il merito di qualifi care determinati comportamenti

come illeciti a prescindere dalla dimostrazione della “posizione domi-

nante” o dello “stato di dipendenza economica” che si è rivelata nei

fatti quasi impossibile.

“E’ molto positivo, in particolare che le nuove disposizioni consideri-

no pratica commerciale sleale le condizioni contrattuali che determi-

nano “prezzi palesemente al di sotto del costo di produzione medio”

dei prodotti agricoli. Si tratta di un principio che trova sostegno nel

recente regolamento comunitario sui rapporti contrattuali nel settore

del latte laddove si evidenzia che bisogna risolvere il problema della

trasmissione del prezzo lungo la fi liera, in particolare per quanto

riguarda i prezzi franco azienda, “il cui livello non evolve generalmen-

te in linea con l’aumento dei costi di

produzione”.

La Coldiretti esprime un giudizio

positivo sul fatto che la normativa

richieda l’obbligatorietà della forma

scritta dei contratti di cessione e

della presenza di elementi essen-

ziali in vista della realizzazione dei

principi di trasparenza, correttezza e

lealtà commerciale e che fi ssi dei termini di pagamento legali, trenta

o sessanta giorni dal ricevimento della fattura che, a differenza di

prima, sono tolti dalla disponibilità contrattuale delle parti. Le nuove

norme introdotte dall’art.62 devono essere applicate da subito, ma

con intelligenza. Se necessario, potranno essere previste delle norme

tecniche in grado di oliare gli ingranaggi del provvedimento. n

Coldiretti informa

Le fi liereAgroalimentari

a cura diRaffaello Betti

Direttore Coldiretti Teramo

Entrano in vigore le nuove normesui pagamenti con l’art. 62

2020

Dalla Scala al Metropolitanun tripudio di gioielli

Tra le impalcature che imbracano le case

strette devastate sin dalle fondamenta

dal terribile sisma del 2009, l’anziana

donna si muove a fatica.

Ha quasi cento anni la Nina, mese in più, mese

in meno, ma anche se da queste parti venisse

un cataclisma del tipo paventato dai Maya, lei

sarebbe sull’uscio della sua casa ad attenderlo.

Perché è una “pretarola” di quelle che se ne

infi schiano delle rilevazioni demografi che che

indicano un paese che muore.

Lei vive qui e nessuno riuscirà a portarla via, né

una frana, né la terra che si muove, né la neve

che ogni anno copre i piccoli portali d’ingresso

alle abitazioni.

E dire che in questi ultimi tempi tutto si è

accanito contro questo splendido abitato.

La montagna è crollata ricoprendo le pitture

rupestri, il mondo antico del pretarolo doc Gui-

do Montauti; le viscere delle guglie dei Corni

hanno traballato sotto la violenza di una faglia

mortale; la pioggia ha fatto venire giù pietre,

fango e altro, coprendo una parte dell’incante-

vole sentiero che porta ai Prati di Tivo.

Ora tutti recitano il “de profundis” e dicono

che Pietracamela, arroccata su di una pendice

montana, sta morendo.

Secondo i censimenti negli anni ’30 qui si era

in circa duemila anime, negli anni ’90 si scese

a duecento.

Oggi se veniamo fi n quassù fuori stagione e in

un giorno feriale, faremmo fatica a scambiar

chiacchiere con qualcuno.

Ma la Nina mi spalanca due occhi grandi e,

sorridendo, a metà tra un italiano stentato e

il diffi cile dialetto, sussurra che tra qualche

giorno è Natale e tornano anche i suoi fi gli.

Più in là la signora Montauti, anima del paese,

affaccia la testa fuori dalla piccola chiesa che

sta pulendo per la messa del vespro.

Il paese, compreso nella ristretta cerchia dei

borghi più belli d’Italia, conta nelle stagioni

intermedie più o meno cinquanta abitanti,

gli stessi della frazione Intermesoli, ma è un

dato che pecca di ottimismo. Alcuni abitanti

stanno a Montorio al Vomano e vengono su

nei weekend.

Ma a Natale insieme al Bambino Gesù, rinasce

anche questo piccolo borgo che si riempie di

turisti e familiari in festa.

Luogo storico dell’Abruzzo Ultra durante il

Regno di Napoli apparteneva nel secolo XII al

feudo della Valle Siciliana di proprietà dei Conti

di Pagliara. In seguito passò ai Conti Orsini che

furono padroni sotto Angioini e Aragonesi fi no

a che Carlo V nel 1526 lo consegnò al marche-

se Mendoza fi no all’abolizione della feudalità.

Qui un tempo si lavoravano i metalli, si batteva

In giro22diSergioScacchia [email protected]

n.83

Il paese di pietra

2222

Sulle orme dei mercanti che percorrevano anche a Natale i sentieri di montagna per il commercio del Gran Sasso. Scopriamo il paese che vive a fatica sotto la vetta più alta degli Appennini, ai piedi delle Dolomiti d’Abruzzo.

La mia casa è quassù fra le altere pareti e misteriosi silenzi... la mia casa è quassù fra garrule acque e dolcissimi ricordi. Qui sono io, qui è la mia casa, qui sono le mie montagne. (Antonella Fornari)

Pietracamela

23

il rame, si pettinava la lana.

I cardatori del paese erano famosi fino in

Toscana e nell’Emilia.

Con la nascita del materasso a molle, l’attività

scomparve.

Stessa storia per i famosi “sediai”. Usavano

materie prime locali, legno di faggio e paglia.

La robustezza della sedia che si realizzava,

dipendeva dall’abile lavoro d’incastro del legno.

Che dire poi dei “casari”? Erano anch’essi

artigiani di grande specializzazione. Decideva-

no, con sapienza, quando il latte della munta

doveva essere bollito e posto nelle “fuscielle”.

La crisi cominciò a mordere sin dalle ultime

battute dell’ottocento. La pastorizia transu-

mante fu decimata dal progresso verso le zone

di mare, da tasse e balzelli vergognosi e la pro-

gressiva messa in coltura delle distese pugliesi

del Tavoliere. Un esodo biblico portò i pretaroli

verso gli States, l’Argentina, l’Australia. I più

fortunati emigrarono nel Lazio.

L’antica Petra Cimmeria o Cameria, (il toponi-

mo lo ritroviamo nel monte Camarda e a San

Pio delle Camere in Aquila), col masso sovra-

stante a forma di cammello, nel fine anno si

appresta a vivere il suo attimo di gloria dopo

l’estate ferragostana.

D’inverno, niente caroselli di piste stile Tren-

tino, niente folle agli impianti, volti noti e riti

mondani del dopo sci. Solo turismo familiare e

montagna spartana, bella e selvaggia.

Nella stagione fredda il piccolo portale di San

Giovanni, il campanile a vela, la meridiana e l’o-

rologio, quasi scompaiono inghiottiti dalla neve.

La chiesa di San Rocco, la casa de “li Signu-

ritte” con le bifore del 400, lo stemma civico

cinquecentesco, la piazza Cola da Rienzo

cui sembra che il paese abbia dato i natali, il

“Sopratore” tra rocce e fienili ristrutturati, la

parrocchiale di San Leucio, l’antico vescovo di

Alessandria, tutto sembra irreale nel bianco

che fiocca.

n.75

In estate il piccolo mondo di case vecchie dal

sapore decadente, quasi bohémien, attrae

torme di escursionisti.

“Lo spirito del paese è che non importa chi

sei e da dove arrivi, qui, nessuno è straniero”,

dicono gli ospitali abitanti.

Alcuni di essi, “cardaroli” della lana, indos-

sando i “coturni”, spesse calzature fatte di

lana frollata, attraversavano da giovani la Val

Maone, lungo l’infido passo della Portella, per

vendere mercanzia all’Aquila, soprattutto a

Natale quando giravano più soldi.

Il paese avrebbe bisogno di maggiore turismo.

Per molti sarebbe utile una pedemontana a

collegare le guglie del Gran Sasso all’autostra-

da per Roma o un trenino a cremagliera che

sale appena fuori la galleria tra Aquila e Roma,

scavalcando Forca di Valle. Altri sognano un

tunnel a incrociare l’autostrada sopra il santua-

rio dei Passionisti di San Gabriele.

“E’ il terzo borgo più bello d’Italia nonostante

lo spopolamento” - chiosano con orgoglio gli

anziani rimasti. Poco più in alto, sopra la nota

località turistica dei Prati, muraglie inaccessibili

di dolomia raccontano, come libro aperto, oltre

trecento milioni di anni. n

Alcuni numeri fa, ho parlato di una

band, gli Hawkwind e del loro genere

chiamato Space Rock.

Questo genere nasce da una costola

del Progressive Rock e del Rock Psichedelico,

entrambi nati tra la metà e il fi nire degli anni

’60, evoluta poi in Space Music; più elettronica

e sperimentale, spesso solo con l’utilizzo di

tastiere e synth di vario genere.

In breve tempo lo Space Rock prese forma

quando le band sopra citate, iniziarono ad

“abbandonare” quelle sonorità per approc-

ciarsi verso altre, band come Hawkwind,Gong,

furono pionieri di questo genere particolare.

Generalmente lo Space Rock chiama suoni

sintetici, particolari, brani lunghi e ricchi di so-

norità ricercate, ma con scarsa presenza della

voce, per questo infatti è stato, e lo è ancora,

usato come sottofondo di documentari scien-

tifi ci, fi lm (Stanley Kubrick usò spesso questo

genere come colonna sonora), o documentari

vari, entrando anche nelle grazie di pittori,

scultori, scrittori fantasy e artisti vari.

La formazione classica era composta da; batte-

ria/percussioni, una chitarra, un basso, una

tastiera e spesso un membro che vi suonava

synth e strumenti elettronici vari.

A dare il giusto input a questo genere non si

possono escludere brani cruciali come Space

Oddity di David Bowie, Astronomy Domine

dei Pink Floyd. Perché brani cruciali? Perché

oltre ad essere dei capolavori, possiamo

considerarli capostipiti dello Space Rock, brani

che mirarono proprio all’atmosfera più che al

sound in sé per sé.

Non c’è un periodo preciso, ma la nascita della

Space Music si può considerare di pari passo

allo Space Rock. L’apice del successo di questo

genere lo abbiamo tra il 1970 e il 1975 per poi

scemare fi no al 1979 con l’avvento marcato

della Dance. Spesso è stato considerato come

“genere da viaggio”, sia per la sensazione che

può suscitare, sia per l’uso non indifferente de-

gli acidi o comunque di quelle droghe allucino-

gene di cui si faceva largo uso in quel periodo.

Non ostante il suo interesse si sia affi evolito,

tra gli anni ’80 e ’90 molte band tornarono

a proporlo, ascoltando ad esempio i Rush di

2112, A Farewell to Kings, e veri e propri elogi

verso il genere con Green di Steve Hillage, e

non da meno anche in Italia con uno storico

gruppo progressive “Sirio 2222” dei Balletto di

Bronzo, oltretutto album d’esordio.

Tra i più recenti gruppi sicuramente da ascolta-

re ci sono i Ozric Tentacles, Porcupine Tree, e il

bellissimo Origin of Simmetry dei Muse. 

Parliamo di una BandGONGAnche se possiamo considerarli progressive

rock, i Gong hanno da sempre mostrato grande

interesse per lo Space Rock, tanto da mesco-

larlo proprio al progressive. Interessante band

attiva dal 1969 che non ostante il successo

poco conforme alla loro attitudine, ancora oggi

riesce ad esprimere quelle sensazioni di una

volta. La band si forma in Inghilterra da un idea

del musicista (compositore) David Allen di pro-

venienza australiana. Accanto a lui si unì l’allora

compagna Gilli Smyth voce e composizione, il

turco Tanner Celensu come tecnico del suono,

e successivamente si unirà il sassofonista Didier

Malherbe. Musicalmente la band sperimenta

sonorità nuove, sempre più ricercati e appunto

Space, la stessa Gilli Smyth usava voci sospirate,

a tratti “angeliche”. Nel 1968 la band registra

“magik brother, mystic sister”, ma senza grandi

entusiasmi, vediamo l’ingresso del batterista

Peter Houri, ed altri musicisti che passarono al

canto di Allen e compagna.

L’interesse per l’album appena inciso, arriva

dalla nascente ed indipendente etichetta

discografi ca BYG Actuel Records di Jean

Karakos, che lo ripropose e lo reincise. Nello

stesso periodo esce il primo 45 giri, Garçon Ou

Fille, che contiene i due brani Est-Ce Que Je Suis

? e Hip Hypnotise You, dove per la prima volta

compare Christian Tritsch al basso che sostituì

Bret Kenner.

Il primo concerto uffi ciale della band è al

festival di jazz e rock di Amougies in Belgio,

oltre ai Gong partecipano decine di grandi artisti

quali i Pink Floyd, Frank Zappa, Archie Shepp, i

Colosseum ecc.

La discografi a di questa band, multietnica e

“spaziale”, è infi nita, non ostante Allen ne sia

stato la mente (Gong dalla fi losofi a di Gong) e

il principale autore, nel 1974 sia Gilli Smyth che

lo stesso Allen abbandonano il progetto; Gilli

per sostenere la famiglia e i fi gli, Allen secondo

voci del tempo, per una crisi compositiva.

L’anno successivo il progetto venne riesumato

da Pierre Moerlens, percussionista e batterista,

che portò avanti il progetto con il nome Pierre

Moerlen’s Gong. Da qui in poi si susseguirono

svariati gruppi (fondati anche da Allen e la

moglie Smyth) tutti con nome e Gong affi anco

creando un’unica grande famiglia di musicisti

dediti alle sonorità space o psichedeliche e alla

fi losofi a Gong. La band si riforma con Allen nel

1978, per poi sciogliersi nel 1980, e successiva-

mente nel 1991 (non uffi ciale) e per il ventesi-

mo anniversario nel 1994. Ancora oggi Allen e

la Gong Global Family continuano a suonare e

produrre… assolutamente da ascoltare! n

Parliamo di Musica24 [email protected]

n.83

diLucaCialini

Space rock & Space music

25L’evento

diMimmoAttanasi [email protected]

Il sale sulla coda degli anni 60. Al ragazzino si spegneva la

fantasia mentre la zitella della dottrina gli ripeteva che l’Inferno

sarebbe durato tutto il tempo per svuotare gli oceani con un

cucchiaino da caffè, contato tutti i granelli di sabbia e spolve-

rato il Gran Sasso con un fazzoletto. Prima ancora, in braccio alla

mamma, un “fortissimo” d’organo a canne lo aveva spaventato

così tanto che cominciò a

vedere ovunque, pure nei

sogni intraducibili in incubi, i

fantasmoni neri dalle gonne

svolazzanti ad agitare il dito

della reprimenda di ener-

gumeni con la tonaca e del

loro capo, con la fascia rossa

sulla pancia. Eppure, qualche

nota stonata l’orecchio lo

percepiva. Ci sono montagne

più grandi degli Appennini.

L’Inferno non dura per tutti lo

stesso tempo. Ecco qua che

si svelano le prime ingiustizie

su questa terra.

La nevicata del 2012, i bollori

di Lucifero e Caronte, chi non

se li ricorda. In rete c’era

pure Ingroia, un magistrato sgradito. Se la prese per alcuni “pette-

golezzi” tra mafiosi e qualcun altro. E giù con le critiche, i distinguo

e i moniti, alti e bassi, provenienti da tutte le parti. La libertà di

stampa venne presa come luogo di pensiero. Uno spazio mentale

malinconico nel quale identificarsi. Quante risate. Ma all’epoca era

difficile spiegare che forse a qualche fetta della popolazione inizia-

va a stare stretto vedere un presidente, un governante, discutere

seriamente dei problemi economici e sociali, di crisi mondiale e

lavoro, con persone vestite da guru.

Il mago Otelma e le donne nascoste nei burqa senza la mascherina

per le mosche sugli occhi.

La messa non era soltanto un semplice rito da officiare. Una obbe-

dienza per procura. Comunque, se dicevi qualcosa sui i taumatur-

n.82

ghi e i loro organi di stampa finanziati da denaro pubblico, sulle

loro scuole private, non eri d’accordo sul ripagare a prescindere

dal successo editoriale qualcosa che sul mercato non si reggesse

da sola, si diveniva per tutti “Intollerante”.

A nulla sarebbero valse le spiegazioni sulle differenze fra chi invo-

ca la sparizione di ciò che non si gradisce, dalla censura imposta

istituzionalmente. La confusione era ingenerata da un concatena-

mento di eventi complicato. A quei tempi, si chiamava spot. Un

linguaggio di suoni, segni e parole a sublimare. Non era percepita

come un diritto, la scelta di criticare ciò che non piaceva.

Neppure nel pieno rispetto delle norme che regolavano la civile

convivenza. In occasione della “Centesima Edizione del Festival

della Canzone italiana”, ancora oggi un grande evento atteso.

Come quello che fu nel 1999 per il presidente Gorbaciov. “Siete

così tanti, chissà cosa avrete da chiedermi!”, pronuncia a fior di

labbra il Pontifex maximus nel suo ologramma parafrasando il

propugnatore dei processi di riforma, perestrojka e glasnost’, di

mezzo secolo prima.

Diffuso da un beam-expander, nell’affollatissima sala stampa

del Teatro Ariston; l’aria sorniona e soddisfatta di chi è riuscito

a mettere a segno un punto e non ne fa mistero: “Come avrete

notato anche se sono al Festival mi sono occupato di quello che

preferisco. L’Amministrazione degli Ultimi. Non amo assumere il

ruolo di Gesù. Non farò delle

prediche. In questo confron-

to che abbiamo con il futuro,

difficilmente ci può essere

qualcuno davvero pronto e

preparato. Non solo i politici,

ma anche gli scienziati, tutti

abbiamo difficoltà a capire

dove stiamo andando. Fon-

damentalmente credo che

sia importante che la gente

cerchi di unirsi, la coesione

può permettere di trovare

non una fede ma una certez-

za di progresso”.

Con i Maya 2012, “Domi-

nus illuminatio mea, et

salus mea, timebo quem?”

(Il Signore è mia luce e

mia salvezza, di chi avrò paura?, Salmo 26:1) si concretizzarono

argomenti sulla metafisica come donazione di senso e la positività

del finito. Storicamente, si preferì poi la posizione filosofica di una

civiltà meno conosciuta, non di certo meno degna di fede, la quale

riteneva rilevante da un punto di vista conoscitivo solo ed esclu-

sivamente la scienza. L’universo primariamente conoscibile, ma

nessuna consapevolezza ammissibile se non istituita da metodolo-

gie fondate sulla scienza.

Così parlò Yama Anninze: “Rimanete affezionati alla terra e non

confidate nelle fantasticherie, nelle aspettative sovraterrene di abi-

li avvelenatori della mente. Spregiatori della vita, moribondi ed essi

stessi avvelenati, dei quali la terra è stanca: se ne vadano pure, noi

proseguiremo il cammino”. (Friedrich Wilhelm Nietzsche) n

Quel giorno che doveva finire il mondo

Armato di secchiello, stracci e pinze, Gaby è l’uomo che taglia.

Sospende le forniture d’acqua (privata) agli inadempienti, unico

lavoro offertogli dal centro per l’impiego liberista. Un regalo

impacchettato col ricatto del cottimo: undici shekel per ogni

cut off, meno taglia e meno guadagna. Compie estenuanti camminate

per raggiungere il retro-cortile delle case incriminate, sede delle tu-

bature esterne. Un sentiero lastricato di disprezzo e improperi, anche

fantasiosi («fi glio di mille puttane!»),

oltre che di lacrime e dolore.

Alla notifi ca di sospensione, un

uomo con un bimbo in braccio gli

sbatte la porta in faccia, mandando-

lo a quel paese. Una donna anziana,

con calma dignitosa e indignata,

chiede indietro l’acqua, pedinando

l’uomo alle spalle. Quelle spalle al-

trettanto affrante, rivelanti. Gaby ha

pure lui segni di tagli, di esclusione,

nel corpo e nello spirito. Si capisce

dagli occhi preoccupati e imbaraz-

zati, dallo sguardo insonne a letto,

fotocopia dello sguardo a tavola. La

postura da umiliato e offeso attesta

che non è stato certo risparmiato da vicissitudini da libero mercato,

contrassegni indelebili di frustrazione e disperazione, meste lezioni di

disamore.

Attorno a lui, altrettanto «tagliata», ferita, la punta Nord del paesaggio

israeliano, l’arida Nahariya, vicina alla frontiera libanese, contornata

di case caserme da cui traspaiono costrizione e affl izione, effi ge

devitalizzata della politica di destra, l’unica ormai a imperversare al

mondo. In una di queste case, Gaby incarna il ruolo di pater sconfi tto,

capotavola di famiglia muta (moglie e due fi gli) dove, tra la totale inco-

municabilità, brilla unicamente il sogno del primogenito Boaz, portiere

in una squadra locale. Vuole diventare calciatore, desiderio costoso.

Le scarpe, gli allenamenti… Quando entrano nel negozio di articoli

sportivi, padre e fi glio, si sente tutta la pesantezza del denaro, la pena

Capitale. Senza alcun accorgimento drammaturgico o interrelazione

suggeritrice: riproducendo solo il fatto.

L’esordiente Idan Hubel, che parte da uno spunto autobiografi co (suo

padre lavorava come esattore per una società idrica), ha la capacità di

rendere «piene» le proprie immagini «vuote», senza calco di accenti,

o eccedendo dal fatto, e Menatek Ha-maim (The Cut Off Man)

procede piano e forte, con il vigore delle sue esibite debolezze. Quella

narrazione disadorna da fi lm tv sa trattenere i piani fi no a imprimerli

nella coscienza, lavorando sull’immagine senza darlo a vedere. Il rea-

lismo, più che nella riproduzione pedissequa, consiste in quell’andare

oltre le superfi ci, nell’invisibile, partendo dal visibile, anche il più ovvio.

Un’estetica implosa e scarnifi cata, immagini come i corpi trattenuti e

spenti, eppur addensati di senso. Moshe Ivgy, famosissimo in patria e

visto anche in Munich di Spielberg, modula alla perfezione l’invisibilità

del suo personaggio, esprimendo con potenza la di lui impotenza.

E’ un protagonista secco, disidratato nell’anima, l’acqua che taglia

è come se la tagliasse ulteriormente a sé stesso. La sua solitudine

indotta diventa, per tal via, anche auto-indotta, un circolo vizioso

inestricabile.

Tutto l’impianto del fi lm, scrittura e lessico, sembra mancare dell’ele-

mento liquido, risultando investito dalle vidas secas del deserto liberi-

sta. Mai irrigato il profi lmico, umani e cose, scorti come in un informa-

le documentario. Totalmente asciutto, di terra e pietra, lo sguardo del

regista. Una sola volta è dato assistere a uno svolazzo di stile, quando

al bar tutti guardano un punto fi sso al di là del vetro e la macchina da

presa, retrocedendo, scopre la moglie di Gaby, venuta a strappare il

marito dall’abbruttimento di gioco e

alcol. Una scena fassbinderiana, tipo

Il mercante delle quattro stagioni,

con tanto di musica diegetica, alle-

gra e straniante.

Tutto il resto ha il sapore di un

apologo kieslowskiano, severo e du-

rissimo, dalla poeticità mai esposta,

ricollocato in una specie di spurio

undicesimo comandamento: non

fare quello che non ti piace. Un pec-

cato per il quale è prevista la pena

di un contrappasso analogico, un

castigo tramandato da padre a fi glio.

Così, a subire le conseguenze della

scelta del padre sarà il povero Boaz,

costretto a rinunciare al proprio sogno, per affrontare la terribile leva

israeliana. Avviene dopo che il papà mette in mora, con il massimo

della gentilezza possibile, persino scusandosi per l’errore certo, anche

uno degli sponsor della sua squadra, «scoperto» nella sua mancanza

di denaro, abilmente mascherata da benessere esibito. Lo scivolamen-

to dalla classe media alla classe povera diviene, in tale contesto, il più

temuto ma probabile degli incidenti, come da copione global. Idem

dicasi per gli inevitabili effetti collaterali di guerra tra poveri, invidie,

vergogna del proprio status sociale, aggressività e rivalsa spostate su

un alibi umano.

Gaby diventa il capro espiatorio al centro di una camera fi ssa che

esplica l’attaccamento, rovescio del proprio ruolo, conseguenza della

paura di perdere il lavoro o l’identità, mimesi del fato incombente.

Contempla, senza esplicitarla, la tragedia ebraica (l’incubo dell’unto,

della delazione, del disprezzo e della messa al bando), trasferita sul

piano di precarietà esistenziale determinata dalla new economy. Le

26

Taglisu Tagli

diLeonardoPersia [email protected]

l’esordio di Idan Hubel

n.83

26 Cinema

27

inquadrature ferme diventano opposte e

complementari ai carrelli e ai camera-car

di Amos Gitai, detentore del movimento

imitativo della diaspora e della de-territoria-

lizzazione, qualcosa che i palestinesi hanno

di fatto ereditato pari pari dai nemici ebrei.

Proprio come in uno dei film meno amati

del più famoso regista d’Israele, Disengage-

ment, accusato di parzialità filo-israeliana,

anche qui viene omologato il destino di ebrei

e palestinesi, dei precari e dei fuori casta.

Ognuno finisce per risultare uniformato nella

forma/contenuto di un indicibile enunciato,

l’orrore di un mondo dove, salvo qualche

carnefice, tutti ormai sono vittime.

Il film diventa allora il frammento, cupo ed

eloquentissimo, dell’atto di un processo

(kafkiano) che riguarda l’intera umanità, un

qualcosa già intuito da un soldato israeliano

in Route 181 di Michel Khleifi e Eyal Sivan,

che citava Kafka proprio quando era intento

a «processare» un gruppo di palestinesi.

La storia sobria di un cut up interiore e

identitario che, lontano dai giochi di forma

di Burroughs, insettifica allo stesso modo

i soggetti, riducendoli a un nulla già domi-

nante. «Dagli anni ’80, la tendenza è stata

quella di accrescere il capitalismo, quel tipo

di capitalismo senza regole che mette nelle

mani dei privati le risorse naturali del Paese.

Sta svanendo il socialismo democratico

come l’abbiamo conosciuto (…). Un numero

crescente di israeliani si sta rendendo conto

che le risorse naturali sono state violate da

pochi magnati, chiedendo perciò giustizia

sociale. Mi auguro che più gente possa

finalmente iniziare a scorgere anche il nesso

tra le distorsioni all’interno del Paese e il

conflitto israelo-palestinese» (Idan Hubel, dal

pressbook del film).

In definitiva, Gaby rappresenta l’israeliano

accusato di essere carnefice senza esserlo

laddove Boaz incarna il futuro militare di un

Paese che non sa e non vuole offrire altro,

epifenomeno del capitalismo selvaggio. Il

suo sedile vuoto, in auto, prima di partire

soldato, ne attesta la «sparizione» di essere

umano desiderante, sancisce il suo ingresso

nell’anonimato che costituisce l’emblema

disperato del film. La porta chiusa davanti al

padre su cui indugia il finale suggella invece

la fine di tutte le speranze di Gaby, la sua

completa estromissione da un’esistenza

degna di tale nome. Un taglio definitivo. n

n.75

Crediti

Titolo: The Cutoff ManTitolo originale: Menatek ha-maimRegia: Idan HubelSceneggiatura: Idan HubelFotografia: Itay MaromMontaggio: Nimrod EldarScenografia: Aya TzaygerMusica: Nimrod Eldar Interpreti: Moshe Ivgy, Naama Shapira, Tom Yefet Produzione: CinemaGroupPaese: Israele, 2012Durata: 76’

“A scuola con il Teramo Calcio” è il progetto che Alessio

Peroni, responsabile marketing del Teramo Calcio,

ha ideato e messo in atto sin dalla scorsa stagione

2011/12. E’ il modo semplice, diretto e immediato

per mettere in

contatto i giovani

con il mondo

dello sport e con

i protagonisti di

oggi. Entrare in

ambiti istituzionali

e rapportarsi con

il sapere, vuol dire

contribuire all’iter

formativo dei

giovani. Lavorare

insieme per un

obiettivo comune rende più agevole il percorso formativo. Il calcio

tra le scolaresche come occasione per diversifi care l’educazione e

per imparare a vivere in un complesso di regole, di cooperazione e

di confronto con gli altri.

Educare, quindi, è il primo obiettivo e nel caso specifi co al giuoco

del calcio. Il progetto è stato attivato nel mese di novembre 2011,

proiettato in un ambito provinciale, dalle scuole elementari alle

medie superiori. Partecipano calciatori, dirigenti e funzionari della

Questura di Teramo. Particolarmente importante è la presenza dei

funzionari della Questura per far comprendere il giusto atteggia-

mento da tenere dai giovani all’interno della struttura sportiva,

specie nei momenti ad alta intensità emotiva.

Portare nello stadio gli studenti per godersi lo spettacolo del calcio

e per un lungimirante progetto di educazione generale. La presenza

dei calciatori tra gli studenti vuole essere un contatto diretto

tra scuola e sport praticato. Il Teramo Calcio in classe, con i suoi

campioni , con l’entusiasmo di far conoscere il calcio e toccare con

mano ciò che la TV porta nelle case attraverso immagini, talvolta

contornati da fatti non proprio edifi canti. Gli atleti professionisti ,

attori principali della domenica calcistica, e i giovani che magari la

notte sognano di diventare uno di loro.

Se il sogno di qualcuno dovesse avverarsi, l’iniziativa avrebbe

raggiunto il suo vero scopo. Il contatto diretto con chi ha scelto per

professione una disciplina apparentemente facile da praticare, in

realtà è irta di diffi coltà per i sacrifi ci da sopportare quotidianamen-

te e non sempre raccolgono i frutti di tanto lavoro. “Se non oggi,

sarà domani” perché non passerà nel dimenticatoio della memoria

dei ragazzi l’ora vissuta con i campioni assaporando, seppur fuga-

cemente in for-

ma inusuale e

in un ambiente

limitato, il cli-

ma dello stadio

e di una partita

di calcio.

Si aspetta

“domani”

per sperare

di vedere le

gradinate del

nuovo stadio

di Piano d’Accio popolato da più spettatori e da più tifosi pronti ad

incitare il Teramo impegnato a tenere alto il nome di Teramo calci-

stica. Anche nel professionismo non deve venir meno il principio

di Pierre De Coubertin, famoso barone francese e icona dello sport

moderno secondo il quale “lo sport va amato per quello che è”, per

il suo alto valore educativo e sociale. n

Calcio28n.83

diAntonio Parnanzone [email protected]

A scuola con il Teramo Calcio

Note linguistiche

a cura diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected] 29

n.83

Il participio è un modo verbale che “partecipa”delle caratteristi-

che di altre due parti del discorso, il nome e l’aggettivo.

Spesso il participio presente e il participio passato si comporta-

no da aggettivi:

• la busta contenente la spesa è sul tavolo,

• il piede ferito mi impediva di camminare speditamente

• Marco è un ragazzo invadente.

Talvolta però si comportano da veri e propri verbi:

• ho la fronte bollente

• il ragù ha bollito circa una ora

nella prima frase, il participio “bollente” si comporta da aggettivo in

quanto completa ed arricchisce il significato del sostantivo “fronte” ,

nella seconda il participio passato “bollito” è collegato al verbo “ha”:

i due, insieme, formano un tempo composto.

Il questo caso il participio svolge la funzione di modo verbale. Il parti-

cipio “ partecipa” anche delle caratteristiche del nome ed è, talvolta,

usato in funzione di sostantivo, alla stessa stregua degli aggettivi,

che possono essere sostantivati:

• i passanti camminavano in fretta

• tutti salutarono e si congratularono con il giovane laureato.

Mi piace concludere con un esempio riassuntivo:

• in vacanza ho vissuto giorni meravigliosi. Modo verbale

• il mio vissuto familiare è stato contrassegnato da gioia e

dolore. Participio sostantivato.

• Lucia è una donna vissuta. Participio con valore di aggettivo.

Il ParticipioVerbo, aggettivo o sostantivo?

Questa storia si svolge in Italia, più precisamente nelle montagne abruzzesi, punteggiate di piccoli paesini, da

tempo immemore arroccati in quei luoghi. È in uno di questi borghi che si svolge la vicenda qui raccontata.

L’autore sa tratteggiare la realtà gretta di Morano, il continuo bisbigliare dei suoi abitanti, il fluire di bocca in

bocca dei pettegolezzi. Ognuno conosce il passato dell’altro, a tutti sono noti i delitti consumati negli anni nei vicoli

bui, i lutti dei propri vicini. Soprattutto, echeggia il timore quasi ancestrale delle leggende che il vecchio pazzo del

paese proclama in piazza. In questa realtà asfittica sboccia un grande amore, ostacolato da un padre egoista, ma

soprattutto da una forza molto più grande. Ed è qui che questo libro sorprende. Non è solo il dipinto della realtà di

ogni piccolo comune italiano, non è nemmeno un romanzo d’amore.

C’è qualcosa di più, un alone di mistero che permea le pagine e che si dipana gradualmente, in una narrazione giocata

su piani paralleli, seguendo i punti di vista dei vari personaggi. Il racconto si muove anche su diversi piani temporali.

L’importanza del passato per lo svolgersi del presente è sottolineata con forza. Solo ricordando la propria infanzia, il

protagonista potrà capire chi è veramente e acquisire la forza per plasmare la propria vita. Solo scacciando i fantasmi

del proprio passato, sarà in grado di costruire un futuro. Solo spezzando un arcaico anatema... Ma qual è la maledizio-

ne che si stende greve sulle pagine di questo romanzo? Tuffandovi fra le sue righe, non mancherete di stupirvi.

Buona lettura. Siriano Cordoni

Il libro del mese

P er quanto concerne la pallamano femminile, alla vigilia della

trasferta di Sassari per la seconda giornata di ritorno del massimo

campionato di A1 e dopo la battuta di arresto nella gara casalinga

persa ai rigori contro il Conversano e la tribolata settimana vissuta

dalla Società con il grave problema del reperimento di fondi necessari per

portare avanti il campionato, la squadra è partita alla volta della Sardegna

con l’intento di ribaltare il risultato della gara di andata persa di misura

al Palasannicolò. Non è una novità come da circa un mese un gruppo di

volenterosi, capeggiati dal general manager Roberto Canzio stia lavorando

assiduamente e freneticamente per risolvere i gravi problemi economici

societari, cercando di coinvolgere nel salvataggio imprenditori ed attività

varie, nonostante il momento diffi cile in cui versa l’economia teramana

e non solo. Come se non bastasse, ai vecchi problemi economici se ne

sono aggiunti altri ancora, sotto forma di provvedimenti del giudice sporti-

vo che ha multare la società di 2.500 euro per il mancato pagamento della

tassa di gara di 800 euro contro il Mestrino (10 novembre) , comminando

inoltre tre punti di penalizzazione e vanifi cando così l’impegno delle atlete

nell’unica gara vinta contro il Nuoro.

La stessa situazione si stava ripetendo contro il Conversano (8 dicem-

bre), in quanto il Presidente stava tenendo all’oscuro di tutto i dirigenti

Altri sport30 dallaRedazione [email protected]

n.83

Pallamanoe quanti stanno cercando di aiutarlo. Dirigenti che hanno appreso della

situazione dal Comunicato della Federazione.

A quel punto il general manager Canzio ed il dirigente Romano hanno

provveduto immediatamente al reperimento dei fondi necessari per il

pagamento del debito nei confronti della Federazione, evitando così ul-

teriori provvedimenti disciplinari che avrebbero potuto portare anche alla

esclusione diretta dal campionato. L’intervento pronto ed effi cace dei due

dirigenti hanno dato nuova luce al proseguimento del campionato.

Dopo la gara di Sassari persa per 24 a 31 ma dopo che il primo tempo si

era concluso con il vantaggio delle teramane per 12 a 11, il campionato si

fermerà per la pausa Natalizia che comunque sarà breve in quanto, dal

4 al 6 gennaio, la società che ha intanto stretto un accordo di sponso-

rizzazione con due noti e prestigiosi marchi teramani Artrò e Globo, sarà

impegnata nelle fi nali di Coppa Italia a Salerno (di qui la nuova denomina-

zione Artrò-Globo H.C. Teramo).

Per quanto riguarda invece la squadra maschile, essa ha concluso il girone

di andata perdendo ai rigori a Fondi, chiudendo al quarto posto e restando

in lotta per i play off scudetto. La Tecnoelettronica si è dimostrata, nella

prima fase del campionato, una grande squadra tra le mura amiche

concedendo poco o niente agli avversari ma pagando in trasferta l’inespe-

rienza e quindi lo scotto del “progetto giovani”. Inesperienza che però sta

limitando sempre meno il rendimento della squadra che segna notevoli

miglioramenti. Per il prosieguo del campionato regna ottimismo in quanto,

con gli scontri diretti in casa e migliorando qualche risultato in trasferta,

potrà dire la sua sino alla fi ne.

Avvicendamento nel ruolo di pivot tra Conigliaro che ha rescisso il contrat-

to e il giovane palermitano Lodato. n

3030

Segreteria artistica Roberto RupoProduttore esecutivo Società della Musica e del Teatro “Primo Riccitelli”

Ministero per i Benie le Attivita’ CulturaliRegione AbruzzoRegione MarcheProvincia di TeramoCittà di TeramoComune di Ascoli PicenoComune di FermoComune di ChietiComune di Atri

Maestro concertatore e direttore

Massimiliano Stefanelli

Maestro del coroPaolo Speca

Maestro preparatore del coroCarlo Morganti

Coro “Ventidio Basso” Ascoli Piceno

Orchestra Sinfonica Abruzzesein collaborazione conl’Istituto Musicale Pareggiato“G. Braga” di Teramo

Biglietteria e informazioni: Ente Morale Società della Musica e del Teatro “Primo Riccitelli”Via Nazario Sauro, 27 • 64100 Teramo | tel. 0861/243777 fax 0861/254265 | [email protected] | www.primoriccitelli.it

Regia

Aldo Tarabella

ScenePier Paolo Bisleri

CostumiChiara Barichello

Lighting designerLorenzo Caproli

TeramoTeatro ComunaleMartedì 8 gennaio ore 20.30

AtriTeatro ComunaleVenerdì 4 gennaio ore 20.30

Dramma lirico in quattro attidi M. Praga, D. Oliva, G. Ricordi, L. Illicadi Giacomo Puccini

Assistente direttore Massimiliano Caporale • Assistente alle scene Chiara Barichello

Maestri Sostituti Enrico Angelozzi, Massimiliano Caporale, Isabella Crisante,

Anna Maria Piva • Direttore allestimento scenico Mauro Di Giuseppe

Direttore di palcoscenico Marco Carlini • Direttore montaggio Secondo Caterbetti

Capo Macchinista Maurizio Cellinese • Macchinisti Federico Caterbetti,

Francesco Lozzi • Attrezzisti Mirko De Luca, Gabriella Nobile

Service audio-video e luci Eventi Sonori Service Teramo

Elettricisti Ivan Pilogallo, Noel Santoro • Sarte Monica Cavallin,

Antonietta Lucci, Manuela Stucchi • Trucco Clara Cittadini, Glenda Consorti,

Paola Pierini • Sartoria Sartoria Teatrale Arrigo Milano • Calzature Calzature

Artistiche Sacchi snc Firenze • Parrucche Audello Torino

Gra�ca Luca Di Sabatino • Impresa lirica S.O.L.T.I. snc di Ermanno Fasano

Manon Lescaut Ra�aella Angeletti (8 gen.) Cristina Lamberti (4 gen.)Renato Des Grieux Leonardo Caimi

Lescaut Carmelo Corrado Caruso Geronte di Ravoir/Comandante di Marina Carlo Di Cristoforo

Edmondo / Un lampionaio Alessandro Fantoni

un Sergente degli Arceri / Oste Davide Filipponi

il Maestro di Ballo Nunzio Fazzini

un Musico Barbara Bucci