betlemme: le ferite inferte dal fuoco israeliano alla

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N. 54 Anno XVIII n. 3 - giugno 2002 - Sped. a. p. - art. 2 - comma 20/c, Legge 662/96 - Filiale di Asti - Organo ufficiale del Centro Librario Sodalitium - Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel. +39.0161.839.335 - Fax +39.0161.839.334 - IN CASO DI MANCATO RECAPITO, RINVIARE ALLUFFICIO C.R.P. ASTI PER RESTITUZIONE AL MITTENTE CHE SI IMPEGNA A CORRISPONDERE LA RELATIVA TARIFFA Tassa Riscossa - Taxe Perçue. TORINO CMP Betlemme: le ferite inferte dal fuoco israeliano alla statua della Madonna che da 110 anni domina la chiesa della Sacra Famiglia L’ODIO CONTRO DIO E LA SUA CHIESA

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Betlemme: le ferite inferte dal fuoco israeliano alla statua della Madonna

che da 110 anni domina la chiesa della Sacra Famiglia

L’ODIO

CONTRO

DIO E LA SUA

CHIESA

EditorialeEditorialeCari lettori,

Gli avvenimenti si susseguono, e vor-remmo poter far giungere più spessola voce di Sodalitium nelle Vostre

case! Ci dobbiamo accontentare, in questoeditoriale, di attirare la Vostra attenzione sudue avvenimenti che ci toccano da vicino.

L’Osservatore Romano del 16 marzo 2002ha pubblicato in prima pagina l’immaginedella statua “della Madre di Gesù che da 110anni domina la Chiesa della Santa Famiglia aBetlemme” e che “è stata colpita e gravementedanneggiata dal fuoco di soldati israeliani”. Eciò non a caso: “senza alcun apparente moti-vo hanno aperto il fuoco colpendo la statua,che era illuminata e ben visibile”. Come nontornare con la mente ad un’altra fotografiasimbolica, quella dei miliziani comunisti du-rante la guerra civile spagnola, mentre fucila-no la statua di Cristo Re?

Da anni il nostro bollettino e la nostracasa editrice ricordano ai cattolici l’odiocontro Gesù Cristo ed i cristiani che animacoloro che San Paolo – ispirato dallo Spirito

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Santo – ha definito come coloro che “hannoucciso il Signore Gesù e i profeti, e hannoperseguitato noi, e che non piacciono a Dio,e sono contrari a tutti gli uomini” (I Tessalo-nicesi, II, 15).

Ci è stata rimproverata la nostra insi-stenza su questo soggetto: la statua dell’Im-macolata mutilata, la grotta dov’è nato Gesùassediata, sono la migliore risposta a chi noncrede davvero alle parole di san Paolo.

I radicali pannelliani come Teodori, gliex comunisti ora illuministi come Ferrara,che hanno promosso l’Israele day, sono in-sensibili alle parole dell’Apostolo; non cistupiamo. Ci stupiamo che cattolici convinti,che giungono a deplorare il Vaticano II(“La Chiesa perse la religione nel VaticanoII (…) Pio XII, l’ultimo grande Papa, nonavrà successori” di don Baget Bozzo, ilGiornale, 4/10/01, p. 2) non lo capiscano.

“Non capisco l’ostilità pregiudiziale con-tro Israele di un certo mondo cattolico” scris-se ad esempio Antonio Socci sul Foglio(2/11/01, p. 2) aggiungendo profetico (!):“sotto Israele musulmani e cristiani possonorecarsi nei loro luoghi sacri che lo Stato pro-tegge”. “Israele è l’Occidente” aggiunge donBaget Bozzo (Il Giornale, 7/12/01, p. 16)

“Sodalitium” Periodico - n° 54 , Anno XVIII n. 3 2002

Editore Centro Librario Sodalitium

Loc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA TOTel.: 0161.839335 Fax: 0161.839334

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Direttore Responsabile don Francesco RicossaAutorizz. Tribunale di Ivrea n. 116 del 24-2-84

Stampa: - Ages Torino

Ai sensi della Legge 675/96 sulla tutela dei dati personali, i datiforniti dai sottoscrittori degli abbonamenti verranno trattati informa cartacea ed automatizzata e saranno utilizzati esclusiva-mento per invio del giornale oggetto di abbonamento o di altrenostre testate come copie saggio e non verranno comunicate asoggetti terzi. Il conferimento dei dati è facoltativo ed è possibileesercitare i diritti di cui all’articolo 13 facendone richiesta al re-sponsabile trattamento dati: Centro Librario Sodalitium.

In copertina: a Betlemme la statua della Madonna che da110 anni domina la chiesa della S. Famiglia è stata colpita egravemente danneggiata dal fuoco dei soldati Israeliani. Lastatua era ben illuminata e visibile ed è stata colpita senzaalcun motivo… strategico

Editoriale pag. 2L’infallibilità del Papa e la Canonizzazione dei Santi pag. 4Le trattative in corso tra Giovanni Paolo II e la Fraternità San Pio X:

fatti e considerazioni pag. 6La Madonna del Buon Consiglio pag. 30“Parlare chiaro per capirsi meglio” pag. 37Don Camillo, Guareschi ed il Concilio pag. 41RECENSIONI: Finkelstein e Novick: La fabbrica dell’Olocausto pag. 55

Influsso dello gnosticismo ebraico in ambiente cristiano pag. 57Gesù a Roma pag. 58San Pio V “Il Papa della S. Messa e di Lepanto” pag. 58L’Esoterismo pag. 59

Dichiarazione a proposito della riunione interreligiosa di Assisi del 24 gennaio 2002 pag. 60Vita dell’Istituto pag. 61

✍ Sommario

“erede della Cristianità”, e Sharon ne è ilCrociato (Il Giornale, 15/9/01, p. 17). Madavvero Israele è un baluardo contro l’Islam,come pensano in tanti? Non ne è piuttosto ilpadre, accomunati come sono, ebrei ed isla-mici, nel loro odio verso la Trinità e la divi-nità di Gesù? Questo numero di Sodalitium– commentando una dichiarazione del Rab-bino Capo di Roma Di Segni – sfata una vol-ta per tutte la favola delle “tre grandi religio-ni monoteiste” cara all’insegnamento post-conciliare, ma anche a scrittori “tradizionali-sti” come Cardini e Vassallo, che criticano suquesto punto i “cattolici intransigenti”.

Se il nostro sguardo preoccupato si volgeai luoghi dove è nato ed ha sofferto Gesù,non possiamo però restare indifferenti aquanto accade tra le fila degli stessi “cattoli-ci intransigenti”. Sodalitium dedica largospazio alle trattative ancora in corso tra laFraternità San Pio X ed il cardinale Castril-lon Hoyos. L’unico risultato concreto – fino-ra – è stato l’accordo sottoscritto con gli ere-di di Mons. de Castro Mayer, in quella chefu la sua cattedrale a Campos: nella fotogra-fia che rappresenta lo storico avvenimento siscorge in prima fila il tavolo per la celebra-zione della “nuova messa”, di fronte all’alta-re sul quale unicamente celebrava il Vesco-vo brasiliano. Ma la condizione che la Fra-ternità pone per accettare un accordo (li-bertà per tutti di celebrare con l’antico mes-sale) non contempla forse anch’essa la coesi-stenza del tavolo e dell’altare? Sodalitium èquindi – da sempre – contro questi accordi.

Non bisogna però sottovalutare i timori diquell’ala della Fraternità che all’accordo è fa-

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vorevole. Essi temono che altrimenti la Fra-ternità diventi (lo è già, di fatto) una “piccolaChiesa”. Scrisse ai suoi sacerdoti l’abbé Si-moulin, superiore del distretto italiano e pro-tagonista di queste trattative: “Siamo forsegiunti al momento della scelta decisiva? Avereil coraggio di osare credere ancora nella Fra-ternità e soprattutto nella Chiesa Cattolica Ro-mana, seppellita ma viva e sempre più potentedei suoi becchini… oppure dubitare ancora,prigionieri delle nostre diffidenze e dei nostricalcoli politici, credere in noi stessi più chenella Chiesa e isolarci ancora fino a rinchiu-derci nella piccola Chiesa di Ecône” (letteraai sacerdoti del Distretto del 13-16 febbraio2001). Che il lettore non si soffermi sulleoscure figure adottate dall’abbé Simoulin(come quella di una Chiesa… sepolta viva!) eponga tutta la sua attenzione invece al dilem-ma posto a suo tempo dal Superiore di di-stretto ai suoi sacerdoti: o l’accordo o la pic-cola Chiesa di Ecône (il numero speciale diSodalitium sui Tribunali della Fraternità haampiamente dimostrato l’esistenza di fatto diquesta “chiesa”)… La Fraternità è attual-mente divisa tra i partigiani di una o dell’altrasoluzione, sbattuta continuamente dai fluttitra gli scogli di Scilla e quelli di Cariddi. So-dalitium ricorda che una terza, vera soluzioneè possibile, che il naufragio è evitabile. La“Tesi di Cassiciacum” è – a nostro parere –questa soluzione, tra gli scogli dell’eresia mo-dernista e dello scisma tradizionalista.

Palestina: una donna palestinese cristiana uccisa durantei recenti scontri viene sepolta con un quadro

della Madonna

Campos: Il cardinal Castrillon Hoyos presiede la ceri-monia di riconciliazione degli eredi di Mons. de Castro

Mayer (da notare “l’altare nuovo” eretto di fronte a quello antico)

L’infallibilità del Papa e laCanonizzazione dei Santi

don Francesco Ricossa

In occasione della “beatificazione” diGiovanni XXIII, la Fraternità Sacerdo-tale San Pio X si dichiarò nettamente

contraria – e a ragione – a questa “beatifica-zione”. Tuttavia, come tutti sanno, la Fra-ternità riconosce l’autorità di Giovanni Pao-lo II. E allora: come ha potuto, un vero Pa-pa, proclamare un falso beato?

La Fraternità rispose che il Papa è infal-libile solo nelle canonizzazioni dei Santi, enon nelle semplici beatificazioni (dimenti-cando che è perlomeno temerario – e quindigravemente peccaminoso – mettere in dub-bio una beatificazione).

Ma è ormai prossima non più la beatifi-cazione, ma la canonizzazione di un perso-naggio che la Fraternità San Pio X reputa(anche in questo caso, a ragione) impossibi-le considerare Santo: il “Beato” JosémariaEscriva de Balaguer (sul conto del quale, siveda il n. 43 di Sodalitium, p. 36).

Di fronte a questo nuovo fatto, la Frater-nità aggiorna la propria posizione…

La Fraternità San Pio X mette in dubbiol’infallibilità della canonizzazione dei santi

La DICI è l’agenzia stampa ufficiale del-la Fraternità San Pio X. Dopo che ne è statoallontanato il suo ideatore e fondatore,l’abbé Paul Aulagnier, la DICI è divenutaancora più ufficiale, nel senso che il suo in-dirizzo è quello della Casa Generalizia, laresidenza di Mons. Fellay, a Menzingen.Ora, nel n. 50 del 22 marzo 2002, leggiamole seguenti righe, che si riferiscono al grannumero di beatificazioni e canonizzazionioperate da Giovanni Paolo II:

“Come osservano molti commentatori, sipuò temere a ragione che questa inflazionesia poco favorevole per i beati, nel senso chesvaluta sia la beatificazione che la canonizza-zione. Un giorno ci si potrà chiedere se inquest’ultimo caso è impegnata l’infallibi-lità pontificia. La questione rischia di diven-

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tare attuale in prospettiva della canonizzazio-ne del Beato Escriva de Balaguer, previstaper il mese di giugno”

Come può vedere il lettore, la DICI met-te in dubbio l’infallibilità pontificia nelle ca-nonizzazioni dei Santi. Il pretesto per espri-mere questo dubbio è il gran numero di ca-nonizzazioni operate da Giovanni Paolo II.Il vero motivo è il fatto che verrà canonizza-to Escriva, che la Fraternità non consideraSanto: in questo caso il “Papa” si sbagliereb-be, e pertanto non sarebbe infallibile nel ca-nonizzare i Santi.

Ma ci chiediamo: è possibile mettere indubbio l’infallibilità del Papa nelle canoniz-zazioni?

Dottrina della Chiesa sulla canonizzazionedei Santi

Alla voce “Infallibilità”, l’EnciclopediaCattolica scrive:

“Nell’oggetto secondario [dell’infallibi-lità] vengono raggruppate quelle che con untermine generico si chiamano ‘verità connes-se’ [alla Rivelazione]. (…) Le classi più con-siderate di queste verità connesse sono quelledelle conclusioni teologiche, dei fatti dogma-tici, della canonizzazione, della legislazioneecclesiastica. La connessione della canoniz-zazione con la Rivelazione appare dal fattoche essa non è se non l’applicazione concretadi due articoli di fede, quello sul culto deisanti, e l’altro della comunione dei santi, oltreche interessa lo stesso costume religioso cri-stiano, essendo il canonizzato proposto an-che come modello di perfetta virtù”.

Alla voce “Canonizzazione”, si legge:“È però dottrina comune dei teologi che il

Papa nella canonizzazione è veramente infal-libile, trattandosi di un atto importantissimoattinente alla vita morale della Chiesa univer-sale, in quanto che il santo non viene soltantoproposto alla venerazione perché gode dellagloria celeste, ma anche perché modello dellevirtù e della santità reale della Chiesa. Ora,sarebbe intollerabile se il Papa in una tale di-chiarazione che implica tutta la Chiesa nonfosse infallibile. Questa dottrina risulta danon poche bolle di canonizzazione, anchedel medioevo, dalle deduzioni dei canonisti,sin dal medioevo, dei teologi sin da san Tom-maso d’Aquino (1). Benedetto XIV (2) inse-gna che è certamente eretico e temerario in-segnare il contrario”. Potremmo aggiungere

Dottrina

citazione a citazione; quanto detto ci sembraperò sufficiente per concludere che un catto-lico non può mettere in dubbio – come inve-ce fa la Fraternità – l’infallibilità del Papanelle canonizzazioni dei Santi.

Un auspicio e un timore

L’auspicio – sincero – è che il SuperioreGenerale della Fraternità San Pio X smenti-sca ufficialmente la propria agenzia stampa;non è chiedere troppo, giacché si è giunti adestituire l’abbé Aulagnier, che della DICIfu ideatore, e che nella Fraternità occupavaun ruolo ben più importante di quello deisuoi sostituti.

Il timore è che invece si proceda su que-sta strada, che è una strada di continuo al-lontanamento dalla dottrina della Chiesa.Mettere in dubbio l’infallibilità delle cano-nizzazioni è una novità nella Fraternità. Masi tratta di una novità coerente con tutta unaserie di precedenti errori: la negazione o losnaturamento dell’infallibilità del magisteroordinario universale, dell’infallibilità delleleggi ecclesiastiche, dell’infallibilità delleleggi liturgiche… Il tutto per poter rifiutareil Concilio Vaticano II, il nuovo codice di di-ritto canonico e la riforma liturgica ricono-scendo contemporaneamente l’autorità diPaolo VI e di Giovanni Paolo II. In questomodo la Fraternità sembra difendere, me-glio di altri, l’autorità del Papa, coerente-mente con le sue origini (Mons. Lefebvre,durante il Concilio, si battè contro la colle-gialità e gli attacchi di tanti Vescovi alla Cu-ria Romana ed al Primato di Pietro); inrealtà, essa si vede costretta dalla propriaposizione contraddittoria, ad elaborare unanuova dottrina che erode sempre più il dirit-to, l’autorità e le prerogative del SommoPontefice nella Chiesa Cattolica.

Note1) L’insegnamento di san Tommaso si trova nel

Quodlibetale IX, art. 16 (Utrum omnes sancti qui suntper Ecclesiam canonizati sint in gloria, vel aliqui eorumin inferno) ed è ammirevolmente commentato da Bene-detto XIV nel suo De servorum Dei…

2) Papa Benedetto XIV è la massima autorità inmateria a causa della sua opera monumentale, scrittaquando era cardinale arcivescovo di Bologna, intitolataDe servorum Dei beatificatione et beatorum canoniza-tione. La questione dell’infallibilità della canonizzazio-ne è trattata nel Libro I, ai capitoli 43 (De ecclesiasticojudicio, quod interponitur in Sanctorum Canonizatione:utrum sit infallibile), 44 (In quo repelluntur opposta iis,quae dicta sunt in Capite præcedenti), 45 (An sit de fide,

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Summum Pontificem errare non posse in CanonizationeSanctorum; et an de fide sit, Canonizatum esse sanctum)[notiamo che per una scuola teologica – che non seguia-mo - non tutto ciò che è insegnato infallibilmente è dacredersi di fede divina: alcune verità sarebbero da cre-dersi solo di fede ecclesiastica: da qui la divisione deicapitoli fatta da Benedetto XIV, che si chiede prima seil Papa sia infallibile nelle canonizzazioni, e poi sequanto da lui così definito sia di fede]. Benedetto XIVsostiene l’opinione secondo la quale il Papa è infallibilenel canonizzare i Santi, e che ciò sia di fede, per cui chilo negasse sarebbe eretico. Stante però le opinioni di-verse, conclude (libro I, c. 45, n. 28) esponendo ciò incui tutti convengono, e che si deve tenere come mini-mo, ovverosia che: “chi osasse sostenere che il Papa haerrato in questa o quella Canonizzazione, o che questo oquel Santo canonizzato dal Papa non deve essere vene-rato con un culto di dulia, se non è eretico [come pensail nostro autore, Papa Benedetto XIV] almeno deve es-ser detto, (come ammettono anche coloro che insegnanoche non è di fede che il Papa sia infallibile nella Cano-nizzazione dei Santi, o che non è di fede che tale o tal’al-tro Canonizzato è Santo)temerario, che scandalizza tuttala Chiesa, ingiuria i Santi, favorisce gli Eretici che nega-no l’autorità della Chiesa nella Canonizzazione dei San-ti, ha odore di eresia, in quanto apre la via agli Infedelinell’irridere i Fedeli, sostiene una proposizione erronea emerita le più gravi censure” (il DTC, alla voce “canoni-sation”, fa suo questo giudizio minimalista).

La Chiesa negli Stati Uniti: il defunto card. O’Connor tra 2 “fratelli massoni” con tanto

di grembiulino massonico

Le trattative in corso traGiovanni Paolo II e laFraternità San Pio X: fatti e considerazioni

don Francesco Ricossa

Sono ormai quasi due anni (dal pellegri-naggio organizzato dalla Fraternità SanPio X in occasione dell’Anno Santo)

che sono state riaperte ufficialmente, dopola “scomunica” del 1988, le trattative tra laFraternità stessa ed i rappresentanti di Gio-vanni Paolo II. Il tempo trascorso ci permet-te di fare di già un primo bilancio: gli eredispirituali di Mons. De Castro Mayer si sonoseparati da quelli di Mons. Lefebvre, e an-che tra questi ultimi regna la divisione ed ildisaccordo sul da farsi (dimissioni forzatedell’abbé Aulagnier, prese di posizione con-trastanti tra i Vescovi). Eppure, proprio nelmese di maggio del 2002, le trattative sonostate nuovamente riaperte!

Il tempo passato rischia pure di far di-menticare quanto è successo in questi dueanni (e negli anni precedenti). Eppure si di-ce: historia magistra vitæ!

Per i nostri lettori, pertanto, presentiamoinnanzitutto un racconto degli avvenimenti– che sia quanto più fedele possibile – perpoi dare un commento che sarà utile perorientarsi nella confusione creata dalla at-tuale situazione.

PRIMA PARTE: I FATTI

Gli antecedenti: dal 1976 al 1988

Le trattative tra la Fraternità San Pio Xe “Roma” (secondo l’espressione più cor-rente tra i “tradizionalisti”) (1), ovvero i rap-presentanti prima di Paolo VI e poi di Gio-vanni Paolo II, sono un fatto ricorrente nellastoria trentennale della società che Mons.Lefebvre fondò, non dimentichiamolo, conl’accordo di un vescovo diocesano fedele alConcilio Vaticano II, Mons. Charrière.

Sarà opportuno ricordare ai più giovani letrattative che si svolsero nel passato: dopo lacrisi del 1976 e l’udienza accordata da PaoloVI a Mons. Lefebvre (11 settembre 1976),Paolo VI affidò alla Congregazione per laDottrina della Fede, e quindi al Card. Seper,l’esame del caso. Dopo la morte di Paolo VI

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e di Giovanni Paolo I (1978) Mons. Lefebvrefu immediatamente ricevuto in udienza daGiovanni Paolo II: il processo divenne tratta-tiva, trattativa fallita nel gennaio 1979 (2). Icontatti, però, continuarono, favoriti dallanomina del card. Ratzinger alla Congregazio-ne per la Dottrina della Fede (3): fin dal 17settembre 1976, d’altronde, la Fraternità ac-cettava il principio del biritualismo, ovvero lacoesistenza pacifica del rito conciliare e diquello tradizionale (4). Primo risultato con-creto, la concessione dell’indulto per celebra-re la Messa secondo il rito tridentino (3 otto-bre 1984), indulto inizialmente accolto congioia dal nuovo superiore della Fraternità,l’abbé Schmidberger (5), il quale promosse al-lora, su suggerimento “romano”, una “peti-zione al Santo Padre”: le richieste che veniva-no fatte allora dall’abbé Schmidberger sonosostanzialmente le stesse avanzate da Mons.Fellay nelle attuali trattative (6).

Malgrado l’incontro tra Mons. Lefebvreed il card. Ratzinger del gennaio 1985, siconstatò che l’indulto del 1984 non era una“breccia” come si pensava, ma che al contra-rio toglieva fedeli alla Fraternità San Pio X,e che il tempo passava inutilmente. Mons.Lefebvre prese allora l’iniziativa di annun-ciare (e minacciare) – nel giugno 1987 – del-le consacrazioni episcopali. Come previsto esperato (7), il card. Ratzinger avviò imme-diatamente (8) delle trattative per evitarle,trattative che giunsero alla nomina di un vi-sitatore apostolico benevolo nella personadel Card. Gagnon (1987) e alla firma di un“protocollo d’accordo” da parte di Mons.Lefebvre il 5 maggio 1988. Mai l’accordoparve più vicino. Invece, il giorno successivoMons. Lefebvre ritirò la sua firma (9), il 30giugno consacrò senza mandato pontificio 4vescovi, il 1 luglio ricevette la notifica dellascomunica, ed il 2 luglio fu creata la Com-missione Ecclesia Dei per gestire i contatticon i “tradizionalisti”.

Nonostante ciò, in una intervista al men-sile 30 Giorni, Mons. Lefebvre prevedevaper un prossimo futuro la riapertura delletrattative… (10)

Prima del pellegrinaggio giubilare, ovvero: chiha preso l’iniziativa delle nuove trattative?

La Fraternità San Pio X – nel clima delleattuali trattative – ha molto insistito sul fattoche è stato il cardinale Castrillon Hoyos, su

mandato di Giovanni Paolo II, e non la Fra-ternità stessa, ad aver preso l’iniziativa: “èRoma che ha preso l’iniziativa, - scrive adesempio l’abbé Laguérie – e solo Essa. Ognialtra interpretazione è storicamente falsa econseguentemente partigiana” (11). Si trattadi una mezza verità. È vero in effetti, comevedremo, che fu il cardinale CastrillonHoyos a prendere l’iniziativa nel novembre2000, dopo il pellegrinaggio giubilare dellaFraternità e l’intervista di Mons. Fellay a 30Giorni. La Fraternità San Pio X, però, pre-parava da tempo un nuovo clima che ren-desse possibile questa apertura…

La Fraternità prende l’iniziativa: prima delpellegrinaggio giubilare…

Abbiamo visto come tutta la storia dellaFraternità sia costellata da lunghi periodi ditrattative con “Roma” interrotti da violentepolemiche e rotture con una “chiesa conci-liare” definita allora “scismatica” (o vicever-sa). Tuttavia, dopo le consacrazioni episco-pali del 1988 l’atteggiamento della Frater-nità fu – comprensibilmente – rigido; vi erapoi la necessità di arginare l’esodo di “tradi-zionalisti” che, al seguito di Dom Gérard,Jean Madiran, Padre de Blignières, la Fra-ternità San Pietro ecc., avevano rifiutato leconsacrazioni e accettato la CommissioneEcclesia Dei.

Tuttavia, almeno dal 1998 – nel decenna-le delle consacrazioni – diventa visibile atutti un processo, iniziato certamente datempo, di riavvicinamento a “Roma” e ai

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“tradizionalisti Ecclesia Dei” da parte dellaFraternità San Pio X, o almeno da una partesignificativa di essa.

Inaspettatamente, il capofila (almeno: ilpiù visibile) di questa “nuova strategia”, co-me egli stesso la chiama, fu colui che nel1988 sostenne con più convinzione Mons.Lefebvre nella sua decisione di rompere letrattative e consacrare i 4 vescovi: l’abbéPaul Aulagnier, ex superiore del distrettofrancese e primo assistente del superiore ge-nerale, Mons. Fellay. Fece scalpore – e an-che Sodalitium ebbe a parlarne (12) – la suapartecipazione al pellegrinaggio romano or-ganizzato, dal 24 al 26 ottobre 1998, dallaFraternità San Pietro e da Una voce in occa-sione dei dieci anni dell’istituzione dellaCommissione Ecclesia Dei, in seguito allascomunica di Mons. Lefebvre. Il Nostro par-tecipò alla conferenza del cardinal Ratzin-ger del 24 ottobre, dando il via agli applausi,cenò con i sacerdoti “Ecclesia Dei” che asuo tempo ruppero con la Fraternità, cele-brò la messa a San Pietro, cantò il Credo al-la “messa” di Giovanni Paolo II, assistettealla messa celebrata nella chiesa di S. Igna-zio per i pellegrini… (13). L’iniziativadell’abbé Aulagnier non era un’improvvisa-ta del Nostro esuberante e simpatico confra-tello, ma faceva parte di una strategia messaa punto almeno da una parte dei sacerdotidella Fraternità: un congresso alla Mutualitédi Parigi per il decennale delle consacrazio-ni, il 21 giugno, aveva riunito i sacerdoti del-la Fraternità – come l’abbé de Tanoüarn –ed alcuni esponenti dei “cattolici EcclesiaDei” o di altri ambienti conservatori (cf So-dalitium, n. 48, pp. 52-53). È l’abbé Aula-gnier stesso, intervistato dall’abbé de Ta-noüarn, che spiega la “strategia” che presie-de a queste iniziative:

“La Tradizione cattolica ha turbato laChiesa conciliare, Davide contro Golia, alpunto da farla dubitare delle sue certezze malguadagnate. Voi stesso, reverendo [de Ta-noüarn], nella rivista Fideliter, spiegate che ilcardinal Ratzinger cerca di rispondere allecritiche di Mons. Lefebvre. Ci riesce più omeno bene: non è questo il punto. In ogni ca-so, l’azione pubblica intrapresa dalla Frater-nità San Pio X ha obbligato l’autorità eccle-siastica a fare marcia indietro sulle sue dottri-ne, a ricentrare il suo discorso e la sua prati-ca, ed è meglio così! Il nostro ruolo è ‘tradi-zionalizzare’ la Chiesa universale. Ma, come

Mons. Fellay at-tuale superioredella FraternitàS. Pio X, duran-te il pellegrinag-gio giubilare aRoma nel 2000

dice l’abbé Duverger, nella vostra lettera Pac-te dell’ottobre 2000, ‘non dobbiamo fermarcia mezza strada’. (…) Dobbiamo uscire dallenostre trincee, dai nostri ghetti, bisogna, lo ri-peto, senza paura, metterci al servizio dellaChiesa universale, utilizzando la nostra li-bertà per criticare i nuovi orientamenti, nellamisura in cui essi rappresentano ancora solodelle ingessature che non sono destinate a du-rare, e anche per sottolineare tutto ciò che vanel buon senso, senza perderci nell’opposi-zione sterile e nella critica sistematica. (…)Non è più il tempo degli eremitaggi o dellaPiccola Chiesa. È venuto il tempo del servi-zio della Chiesa mediante la pubblica testi-monianza resa al diritto della liturgia tradi-zionale e la battaglia dottrinale. Vorrei termi-nare ripetendo qualche cosa che dico spesso:le consacrazioni del 1988 non sono la linea didivisione delle acque. Bisogna smetterla digiudicare la gente in funzione della loro atti-tudine di allora” (op. cit., pp. 243-244). “Lasinistra diceva una volta: bisogna essere ca-paci di sospendere uno sciopero. Io direi: èinutile prolungare i bisticci tra marito e mo-glie [non sappiamo se la Fraternità svolge ilruolo di moglie o quello di marito della“chiesa conciliare”, n.d.r.] poiché abbiamociò che era necessario: dei vescovi” (p. 212).

Le parole dell’abbé Aulagnier sono si-gnificative. La Fraternità rischia di diventareuna “Piccola Chiesa” (ci torneremo). Il Va-ticano (a volte “Chiesa conciliare” e Golia, avolte “Chiesa universale” o “Chiesa” tout-court) sta tornando alla Tradizione (almenodal 1989, scrive a p. 251; già dal 1985, secon-do Yves Chiron, allora collaboratore di Fi-deliter) (14): le espressioni meno felici che an-cora si notano sarebbero “ingessature”provvisorie destinate a cadere. La Fraternitàquindi deve allearsi con le forze sane di co-loro che a suo tempo rifiutarono le consa-crazioni episcopali per accelerare questonuovo corso del card. Ratzinger, sottoli-neando gli interventi positivi di Roma. Lo“sciopero” inaugurato dalla Fraternità neglianni ‘70 deve cessare, poiché si stanno otte-nendo le rivendicazioni: basta saper aspetta-re, e la Fraternità può permetterselo avendoacquisito, coi quattro vescovi, una rassicu-rante “indipendenza giuridica” (p. 212). Nona caso Yves Chiron giudica il libro dell’abbéAulagnier “una pietra miliare” (15): il suogiudizio sulla situazione attuale raggiunge –e supera in chiarezza - quello dell’abbé Au-

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lagnier: “l’aspirazione espressa da Mons. Le-febvre a Paolo VI – Lasciateci fare l’espe-rienza della Tradizione – viene esaudita sem-pre più. (…) ogni giorno diventa sempre piùridicolo agire e pensare come se, dopo lamorte di Paolo VI (1978), la Tradizione nonavesse riconquistato i suoi diritti, nel campoliturgico come in quello dottrinale” (16).

La nuova strategia dell’abbé Aulagnier,dell’abbé Laguérie, dell’abbé de Tanoüarn,dell’abbé de la Rocque, dell’abbé Celier, diun Yves Chiron, di riviste come Fideliter,Pacte, Certitudes, Bulletin St Jean Eudes (oraNouvelles de Chrétienté), Alètheia, Lettre anos frères prêtres, ecc. non poteva passareinosservata… Se mai lo avesse potuto, il pel-legrinaggio giubilare dell’anno 2000 si pre-sentava come una occasione irripetibile permettere in pratica questa nuova strategiaverso Giovanni Paolo II. E proprio nel 1998,la Fraternità San Pio X si mette in contattocol card. Etchegaray (17), che ha il compitodi organizzare il grande giubileo, per con-cordare le modalità della partecipazione del-la Fraternità a questo evento. Nel corso del-le trattative, la Fraternità chiede anche lapossibilità di celebrare la messa nelle basili-che romane…

…e durante il pellegrinaggio giubilare

Ci sono ignoti i termini dei due anni ditrattative tra la Fraternità ed il cardinale Et-chegaray; sotto gli occhi di tutti, però, vi so-no i risultati di questo “dialogo”. Alla Frater-nità – che porta a Roma circa 6.000 pellegrini– viene accordato il libero accesso alle Basili-che romane, inclusa San Pietro, con la possi-bilità di pregare e predicare; ufficialmente,non è concessa la possibilità di celebrarvi laMessa, ma in realtà Mons. Fellay – superioregenerale della Fraternità – è stato autorizza-to a celebrare la Messa in Santa Maria Mag-giore il 15 agosto (18). Similmente, i vescovifrancesi hanno autorizzato quasi ovunque isacerdoti e fedeli della Fraternità a lucrare leindulgenze giubilari (19) nelle proprie chiese:così è successo, ad esempio, a Parigi (perl’Ascensione), a Mantes-la-Jolie (18 giugno),a Lisieux (14 ottobre) a Lourdes (29 otto-bre), a Nantes, a Lione…, spesso con la pos-sibilità di celebrarvi la Messa (20).

Ma c’è di più. In previsione del pellegri-naggio giubilare, il cardinale Dario CastrillonHoyos, prefetto della Congregazione per il

Clero nonché responsabile della Commissio-ne Ecclesia Dei, aveva scritto ai quattro ve-scovi, nel mese di giugno, esprimendo il suodesiderio di incontrarli (21). Si tratta del pri-mo contatto conosciuto tra il cardinale ed ivescovi della Fraternità: ma il fatto che siastato il cardinale a scrivere per primo è suffi-ciente per affermare che le trattative in corsosono una iniziativa unilaterale del Vaticano?L’invito del cardinale non è forse la rispostaalla mano tesa dalla Fraternità con l’organiz-zazione del pellegrinaggio giubilare?

Di fatto, l’invito fu accettato. Tre deiquattro vescovi (era assente Mons. De Ga-larreta) pranzarono col cardinale CastrillonHoyos, senza tenere conto del fatto che pro-prio costui era stato protagonista, solo unmese prima, della liquidazione delle autoritàdella Fraternità San Pietro, considerate an-cora come troppo attaccate alla liturgia tra-dizionale. L’incontro conviviale non dovevarestare, evidentemente, senza seguito…

L’intervista di Mons. Fellay a 30 Giorni e larisposta di Castrillon Hoyos (22)

Il seguito fu l’intervista concessa daMons. Fellay al mensile 30 Giorni, direttodall’ex uomo di stato democristiano An-dreotti, e controllato dal movimento Comu-nione e Liberazione. 30 Giorni e Andreotti –malgrado la stima esplicitamente e ripetuta-mente manifestata da quest’ultimo per ilmodernismo condannato da San Pio X (23) –sono sempre stati favorevoli a un accordocon i “tradizionalisti”, ed hanno mantenutoincessanti contatti con l’abbé du Chalard deTaveau, rappresentante ufficioso della Fra-ternità presso il Vaticano. Reciprocamente,Mons. Lefebvre (sulla rivista Fideliter) giu-dicò Andreotti uno dei più grandi statisticattolici europei: giudizio che lascerebbesbalorditi se non si tenesse conto di eventua-li interventi discreti di Andreotti “in favore”di Mons. Lefebvre…

L’intervista di 30 Giorni a Mons. Fellaynon fu pertanto casuale, ma si pose in uncontesto ben preciso: quello del riavvicina-mento tra i “tradizionalisti” e Giovanni Pao-lo II propiziato da Comunione e liberazione.L’intento è esplicitamente dichiarato:

“‘Se il Papa mi chiama, io vado. Subi-to. Anzi, corro’. È in questa frase sorpren-dente – commenta il giornalista di 30 Giorni,Paci – pronunciata nell’intervista che segue

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dal superiore generale della Fraternità SanPio X, il vescovo Bernard Fellay, che si mi-sura la portata storica di quanto sta accaden-do all’interno dei lefebvriani. Un nuovo cli-ma di dialogo, che potrebbe portare, se intel-ligentemente valorizzato da chi ha per man-dato divino il compito di garantire l’unitàdella Chiesa, a dei passi decisivi per sanareuna frattura che è stata, e resta, dolorosa. Percapire come sia cambiato il clima all’internodella Fraternità, basti pensare che MonsignorLefebvre rifiutò, nei giorni precedenti la con-sacrazione dei vescovi che causò lo scisma, dirispondere all’appello pressante di GiovanniPaolo II, che gli aveva inviato una macchinapregandolo insistentemente di recarsi da lui,in Vaticano, per incontrarsi ancora una voltaprima di sancire la rottura definitiva. Ma nonè questa l’unica sorpresa che riserva l’intervi-sta di monsignor Fellay. Che dalla sua resi-denza in Svizzera lancia un appello al Va-ticano: apriteci dei canali ufficiali di dia-logo” (p. 36). In effetti, nella sua intervista,Mons. Fellay chiede l’istituzione di unacommissione ad hoc per il dialogo con laFraternità. Ma c’è di più. Dopo aver scarta-to ogni ipotesi sedevacantista, Mons. Fellaypropone una soluzione pratica del problemache porterebbe all’accordo:

“Non ci aspettiamo che il Vaticano ef-fettui un grande mea culpa, dicendo cosedel tipo: ‘abbiamo promulgato una falsamessa’. Non vogliamo che l’autorità dellaChiesa venga ancor di più sminuita. Lo è sta-ta anche troppo: adesso basta. Ma Roma po-trebbe mostrare con i fatti un segnale di unchiaro cambio di direzione. Un atto chiarissi-mo sarebbe quello di permettere a tutti i sa-cerdoti del mondo la possibilità, solo la pos-sibilità, di dire la messa tridentina. (…) Nonci sarebbe bisogno di dire che sono statifatti degli errori con la nuova messa: sareb-be sufficiente concedere ai sacerdoti che lovogliono la possibilità di celebrare la messacol rito che preferiscono” (p. 39).

Alle domande dell’intervistatore Mons.Fellay ribadisce che non ci sono altre richie-ste (“questo è il punto fondamentale”) e pro-mette che se ciò accadesse “non voglio par-lare di rientro, perché noi non ci consideria-mo fuori. Ma posso dire con certezza checambierebbe tutto. Sì, cambierebbe tutto se siconcedesse, a noi e a chiunque lo voglia, lasemplice libertà di poter dire la messa che laChiesa ha sempre detto” (p. 39). Per Mons.

Fellay questa decisione non sarebbe diffici-le, giacché “Roma stessa, nel 1986, in unariunione di cardinali, aveva discusso se pren-dere questa decisione. Vuol dire che il Vatica-no ha già preso in considerazione la possibi-lità di poterlo fare…” (ibidem) (24).

La risposta del Cardinal Castrillon Hoyos,naturalmente, non si fece attendere. “Il verbo‘correre’ – dichiarò il cardinale colombiano a30 Giorni – mi piace moltissimo perché è con-seguente ad un contenuto di fede profonda…”;il pellegrinaggio giubilare della Fraternità vie-ne definito un “atto di fede apostolica e dibuona volontà” ed il movimento di Mons. Le-febvre viene blandito definendolo “una richie-sta e un mezzo per l’esame di coscienza su co-me noi celebriamo l’eucarestia, sulla manierain cui viene espressa la fede all’inizio del terzomillennio e sulla misura di quanto siamo dav-vero vigilanti sempre ed ovunque sulla dovero-sa ortodossia di ciò che affermiamo nelle ome-lie e nelle diverse istruzioni o per il tramite de-gli strumenti di comunicazione”. Quanto allarichiesta di Mons. Fellay (la libertà per tutti isacerdoti di celebrare la messa col rito chepreferiscono) il cardinale fu evasivo ma possi-bilista: le richieste “saranno esaminate con ri-spetto e nell’ottica dell’autentico bene dell’inte-ra comunità ecclesiale”.

Eppure, il superiore generale della Fra-ternità San Pio X aveva già – nella rispostadel card. Castrillon Hoyos – tutti gli elemen-ti per capire (se mai ce ne fosse stato biso-gno) che un accordo dottrinale era impossi-bile. Non solo: che lo scopo del cardinale – e

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di Giovanni Paolo II – era all’opposto diquello della Fraternità! Il cardinale dichiaròinfatti apertamente che:

1) il suo compito consiste “nell’aiutare ifedeli cosiddetti ‘tradizionalisti’ a meglio sco-prire la continuità dottrinale fra il Concilio diTrento e il Concilio Vaticano II” (mentre laFraternità – a ragione – sostiene che non vi ècontinuità, ma rottura).

2) il poter legittimamente sentirsi legatialla liturgia precedente la riforma liturgica“non abolisce e non può togliere a nessuno ildiritto di accogliere la norma liturgica in vi-gore in tutta la Chiesa” nonché il (quasi) do-vere di concelebrare col vescovo il giovedìsanto secondo il nuovo rito (la Fraternià do-manda il permesso – per tutti i sacerdoti – dipoter celebrare col vecchio rito? Noi, al con-trario, accordiamo ai sacerdoti della Frater-nità di celebrare… col nuovo!)

3) l’indulto per poter celebrare la messacon le rubriche del 1962 (Giovanni XXIII)dovrebbe essere rivisto… in favore delle ru-briche del 1965 (Paolo VI) “perché dopo ilConcilio Vaticano II certe acquisizioni liturgi-che possono essere valide per tutta la Chiesa”.

3) è “indispensabile” che i “fedeli (tradi-zionalisti) si aprano alla realtà della normaliturgica di oggi” e che “chierici e fedeli laici”vengano formati al rispetto della nuova li-turgia e all’osservanza “dei veri orientamentidella costituzione Sacrosantum concilium delVaticano II”.

4) bisogna operare “per far avvicinare al-le nostre parrocchie e diocesi tutti quei fedeliche pensano che nella Chiesa sia stata opera-ta una rottura fra passato e presente”.

5) infine, quanti pensano che il VaticanoII abbia operato una rottura col passato ma-nifestano un “celato, oserei dire, catarismo”.

L’intenzione del cardinale di riservare allaFraternità San Pio X lo stesso trattamento ac-cordato alla Fraternità San Pietro (inserimen-to progressivo della stessa nella realtà conci-liare, punendo i riottosi a questa trasforma-zione) non è neppure nascosta: non si vedeallora, come Mons. Fellay abbia potuto ab-boccare all’amo gettatogli dal cardinale (25).

Dicembre–gennaio 2001: il tempo delle trat-tative “segrete” e pragmatiche

Eppure, malgrado le intenzioni chiara-mente manifestate dal presidente della Com-missione Ecclesia Dei, Mons. Fellay corse im-

Il Cardinal Castrillon Hoyos, principale protagonistadelle trattative con la FSSPX

mediatamente al richiamo di Giovanni PaoloII. Nell’intervista a 30 Giorni, Mons. Fellay sidiceva disposto ad incontare il “Santo Pa-dre”? Ebbene, lo avrebbe ottenuto.

Ancora una volta, Mons. Fellay ci tiene aprecisare che “l’iniziativa viene da Roma.Ricevo una lettera del cardinal CastrillonHoyos datata 18 novembre, con un invito (inseguito all’intervista a 30 Giorni) ad incon-trarlo per preparare una visita al Santo Pa-dre” (26). (Mons. Fellay sembra non rendersiconto che se l’invito cardinalizio del 18 no-vembre è una risposta alla sua intervista a 30Giorni, allora l’iniziativa non viene – solo –da Roma, ma anche dalla Fraternità, comelo ammette il superiore del distretto france-se, l’abbé Laurençon) (27). Nella più totalesegretezza (28), Mons. Fellay si recò dunquea Roma dove incontrò – il 29 dicembre – ilcardinale Castrillon Hoyos, e il giorno se-guente Giovanni Paolo II (29).

La proposta del cardinale colombiano –precisata e sviluppata nel successivo incontrodel 16 gennaio - suscitò l’entusiasmo presso ipochi membri della Fraternità al correntedella situazione: reintegrazione immediatadella Fraternità nella Chiesa con lo statuto di“amministrazione apostolica”, senza contro-partita dottrinale! L’abbé Simoulin, superio-re del distretto italiano nonché intermediarioper la Fraternità in Vaticano, confida: “[ilCardinale] ci fece delle proposte abbastanzainattese e favorevoli. Se si può dire così, tuttosembrava tanto bello e insperato che faccia-mo fatica a crederci” (30). Gli stessi sentimen-ti animavano Mons. Fellay. Ancora adessol’entusiasmo traspare dalle sue parole quan-do descrive – nell’intervista estiva a Pacte -quei tempi e quella proposta:

“Nell’autunno scorso, Roma ci ha contat-tato in un modo del tutto inusuale e ci ha fat-to delle proposte che ancor oggi è difficile va-lutare completamente nel loro giusto valore.Di fatto, giuridicamente, non si erano mai vi-ste facilitazioni simili. Non avremmo mai im-maginato che Roma avrebbe potuto farci unaproposta di quel genere. Senza dubbio avetesentito parlare di questa idea di una ammini-strazione apostolica. La Fraternità San Pio Xsarebbe stata integrata in una amministrazio-ne apostolica. Cosa significa? L’amministra-zione apostolica, ordinariamente, è una strut-tura diocesana o quasi-diocesana, in situazio-ne di crisi, su un dato territorio. Ebbene, pernoi questo territorio era il mondo intero. In

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altri termini, ci è stata offerta una strutturache copre il mondo intero, una specie di dio-cesi personale… (…) L’amministrazioneapostolica è meglio che la prelatura persona-le. Innanzi tutto, la prelatura personale non ènecessariamente governata da un vescovo.L’amministrazione apostolica, che è unaquasi-diocesi, lo è abitualmente. In seguito, esoprattutto, l’azione di un’amministrazioneapostolica non è limitata ai suoi membri.L’Opus Dei, che è la prelatura personale esi-stente oggi, non è sottomessa al vescovo loca-le per tutto quello che concerne i suoi mem-bri, ma non può progettare un’azione esternasenza l’accordo del vescovo. Con l’ammini-strazione apostolica, sfuggiamo a questa re-strizione. Avremmo potuto svolgere un’azio-ne apostolica autonoma senza dover chiedereun’autorizzazione al vescovo diocesano, per-ché avremmo avuto una vera diocesi con laparticolarità che si estende al mondo intero.È molto importante che sia stata fatta una ta-le proposta, perché, in fondo, questa soluzio-ne giuridica è inedita, è sui generis”.

Senza volerlo, il numero di Sodalitium suiTribunali della Fraternità poteva romperequesto clima idilliaco: il timore scomparvequando il cardinale Castrillon Hoyos – aquanto si dice – assicurò che questo fatto nonsarebbe stato d’ostacolo all’accordo: le sen-tenze nulle dei Tribunali sarebbero state sa-nate in radice… La posizione di chi conduce-va le trattative, da una parte come dall’altra,escludeva esplicitamente la questione dottri-nale, che avrebbe reso del tutto impossibile letrattative stesse, come lo spiegherà in seguitosu Pacte (n. 52) il braccio destro dell’abbéAulagnier, l’abbé Jacques Laguérie.

Ma Mons. Fellay non poteva però proce-dere ad un accordo del genere senza l’avallodegli altri vescovi, non fosse altro per il fattoche Giovanni Paolo II non considererà maiestinto lo scisma lefebvriano (con tutti i po-tenziali pericoli che esso rappresenta) se tuttie 5 i vescovi non rientreranno sotto il suo pie-no controllo! La missione del Superiore Ge-nerale della Fraternità è quindi quella di otte-nere il consenso degli altri vescovi all’accordoin questione… (31). La cosa non era e non èfacile, poiché gli altri vescovi della Fraternità(diversa la posizione di Mons. Rangel) si si-tuano piuttosto su di una posizione “gallica-na” (Fraternità indipendente e autosufficien-te, gerarchia della Tradizione ecc.) che nonvede la necessità di un accordo con “Roma”.

Malgrado ciò, Mons. Fellay ottenne, du-rante la riunione del consiglio generale al-largato (32) della Fraternità, un importantesuccesso in favore dell’accordo… Infatti, lariunione del 13 gennaio diede il suo consen-so alle trattative ponendo solo due “condi-zioni preliminari (prealables)” (33): il ritirodel decreto di scomunica, e la libertà pertutti i sacerdoti di rito latino di celebrare lamessa “di san Pio V” (34).

Il ritiro del decreto di scomunica non erauna vera e propria condizione: era evidenteche in caso di un accordo, i cinque vescovitradizionalisti non sarebbero stati più sco-municati (35). La condizione riguardante lamessa era invece una condizione vera e pro-pria, ma nel momento stesso in cui la si po-neva, si sapeva che erano molte le speranzedi ottenere una risposta positiva. Innanzitutto, Mons. Fellay aveva già parlato di que-sta possibilità nella sua intervista a 30 Gior-ni, ed il cardinale, nella sua replica, non ave-va per nulla escluso questa eventualità. Inseguito, c’era il precedente della riunionecardinalizia del 1986, considerata dall’abbéAulagnier e dall’abbé Laguérie come la baseper “un vero piano di pace” (36). Scrive La-guérie su Pacte (n. 52, cf D.I.C.I., n.1): “Aquesto punto, le trattative sono avviate benis-simo. A Roma, chiediamo solamente di fir-mare il documento (1986) della commissionedi nove cardinali riuniti a questo scopo dalpapa. Erano stati posti due quesiti:

a) la messa tradizionale è stata proibita?b) bisogna liberalizzarla per tutta la Chiesa?Si sa che otto cardinali su nove avevano

risposto No al primo e Sì al secondo quesito,enumerando sei condizioni perfettamenteaccettabili di questa reintroduzione ufficialedella messa di sempre. Il cardinal Stickler cidice (rivelando la cosa nel 1997!) che il papaera pronto a firmare”.

Ora, “le sei condizioni perfettamente ac-cettabili” alle quali fanno riferimento l’abbéAulagnier e l’abbé Laguérie contemplano ilfatto che “per ogni messa celebrata in lingualatina – con o senza fedeli presenti – il cele-brante ha il diritto di scegliere liberamente trail messale di Paolo VI (1970) e quello di Gio-vanni XXIII (1962)” (condizione n. 3) te-nendo presente che “tutti i sacerdoti possonoutilizzare la lingua latina per le messe priva-te” (condizione n. 2). Ciò che la Fraternitàchiede come unica condizione, pertanto, è ilbiritualismo (un biritualismo imperfetto,

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d’altronde, perché la messa di Paolo VI èavvantaggiata per le messe non private), ov-vero la coesistenza nella chiesa della Messadi san Pio V (pardon: di Giovanni XXIII) ela “Messa di Lutero” (secondo una celebreespressione di Mons. Lefebvre). Tutto il re-sto, inclusa la dottrina conciliare, non è og-getto di discussione… L’accordo sembra im-minente, e Mons. Fellay – scrivendo al cardi-nal Castrillon-Hoyos il 21 gennaio – confer-ma formalmente l’intenzione della Frater-nità di continuare e portare felicemente atermine i colloqui in caso di accettazionedelle due famose condizioni. Tutto andò agonfie vele finché gli incontri romani resta-rono strettamente riservati…

Gennaio-febbraio 2001: il segreto trapela ela Fraternità si divide

Tuttavia, i va e vieni di Mons. Fellay aRoma non restarono inosservati. Da AlbanoLaziale, residenza del superiore generaledurante i suoi incontri romani, la notizia del-le trattative in corso si diffuse agli altri prio-rati italiani della Fraternità e giunse persinoa Verrua Savoia! Mantenere segrete le trat-tative non era più possibile. Il 22 gennaio,Mons. Fellay, per porre fine alle voci e alleindiscrezioni, fu costretto a scrivere due let-tere: una ai superiori della Fraternità SanPio X e l’altra (sotto forma di comunicatodella casa generalizia) ai membri della Fra-ternità stessa e a quelli delle comunità ami-che. “Carissimi confratelli – scrive Mons.Fellay – delle voci che circolano da qualchegiorno a proposito dei nostri contatti romanimi obbligano a uscire dalla discrezione cheavevamo adottato per rendere noto, soprat-tutto ai nostri membri e alle Comunità ami-che, ed un po’ anche ai nostri fedeli, la postain gioco”. I fedeli, per la verità, dovevanoessere messi il meno possibile al corrente…Nella lettera ai superiori della Fraternità del22 gennaio, infatti, Mons. Fellay dava le se-guenti istruzioni riguardanti quello che do-veva essere detto e quello che non dovevaessere detto ai fedeli: “il testo qui allegato èdestinato ai membri della Fraternità ma nonai fedeli, ai quali verrà comunicato solo a vi-va voce il suo contenuto. Fino a nuovo ordi-ne, il testo in se stesso non deve essere lascia-to nelle mani dei fedeli. È vietato pubblicarlo.Non si dovrà parlare neanche ai fedeli delledue condizioni espresse al n. 6. Con ciò cer-

chiamo di evitare di fare pensare a Roma chevorremmo metterli sotto pressione. Poiché lasperanza che Roma ceda su questi punti è ab-bastanza grande, sarebbe un peccato perdereun tal bene per colpa di un’indiscrezione”.

Il cardinale Castrillon Hoyos condividela fiducia di Mons. Fellay sulla buona riusci-ta delle trattative e non perde occasione perrendere il clima favorevole: è del 29 gennaiouna sua lettera all’abbé Aulagnier per loda-re il suo libro La Tradition sans peur (37). Maall’interno della Fraternità, non tutti condi-vidono le posizioni espresse dal libro delprimo assistente di Mons. Fellay. Il giornoprima che il cardinale Castrillon prendessela penna, in tutti i priorati della Fraternità -durante la Messa domenicale - veniva datanotizie delle trattative in corso, secondo ledisposizioni di Mons. Fellay; i nemicidell’accordo potevano così uscire allo sco-perto. Tra di essi, il direttore del seminariodi Ecône, Benoît de Jorna, il superiore deldistretto degli Stati Uniti, Mons. Williamson(uno dei cinque vescovi) e, al di fuori dellaFraternità, i “domenicani” di Avrillé i quali,con la rivista teologica Le sel de la terre, sipresentano come gli eredi dottrinali diMons. Lefebvre. Mons. Fellay deve organiz-zare due incontri in Francia (il resto delmondo sembra ininfluente): il 1 febbraio aParigi - nella chiesa di Saint Nicolas duChardonnet - con i sacerdoti del distrettofrancese della Fraternità San Pio X, e pocodopo, nel seminario di Flavigny, con i rap-presentanti delle comunità amiche. La riu-nione parigina non pone particolari diffi-coltà, poiché si limita a una comunicazionedel superiore: la “doccia fredda” viene dagliStati Uniti, dove autonomamemte Mons.Williamson pubblica una lettera agli amici ebenefattori sui “contacts with Rome” qualifi-cando senza mezzi termini detti “contatticon Roma” come un “tradimento della fede”(38). Facile dedurre che, se le trattative eranogià, in sé stesse, un tradimento, il traditoreera lo stesso superiore generale, il vescovoBernard Fellay. Più preoccupante ancoral’esito della riunione di Flavigny. I “domeni-cani” di Avrillé, infatti, vi si erano presenta-ti con un voluminoso dossier nel quale era-no esposte le loro critiche ad un eventualeaccordo. Il dossier ebbe ampia diffusione e -per la prima volta - esponeva un punto di vi-sta diametralmente diverso da quello finoraseguito: le trattative non erano bocciate solo

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come inopportune e praticamente pericolo-se (l’esempio recente della Fraternità SanPietro, commissariata proprio dal cardinaleCastrillon Hoyos, stava lì a dimostrarlo) maerano radicalmente inaccettabili, poiché nontenevano in alcun conto il punto di vistadottrinale (39). Mons. Felley non fu certocontento di questo atteggiamento rispettosoma ostile dei “domenicani” (40), ma ormail’idea era lanciata, il che equivaleva, in radi-ce, a rendere impossibile ogni accordo conchi ancor oggi pone il Vaticano II come nor-ma prossima della propria fede. È quelloche lucidamente riconosce un fautore degliaccordi, l’ex sedevacantista abbé Laguerie:“Ogni considerazione dottrinale (è infinita-mente triste, ma è un dato di fatto) avrà pereffetto immediato l’ostacolare e rendere im-possibile ogni trattativa” (41).

Il superiore generale della Fraternità sitrovò così ad un crocevia: da un lato c’era lavolontà di portare a termine delle trattativecosì promettenti, dall’altro sussisteva la ne-cessità di difendersi dall’accusa di aver mes-so da parte le questioni dottrinali. La coe-sione interna della Fraternità, infine, e dei“tradizionalisti” in genere era seriamenteminacciata…

La “Supplica al Santo Padre” e il libro sullaMessa

Probabilmente, Mons. Fellay pensò diuscire da questa situazione imbarazzantedando alle stampe un testo che da tempoera in preparazione. Si tratta dello “studioteologico e liturgico” intitolato “Il problemadella riforma liturgica. La Messa del Vatica-no II e di Paolo VI”. Il libro – opera collet-tiva di sacerdoti della Fraternità San Pio Xche affronta il problema della critica allariforma liturgica da un punto di vista deltutto nuovo che tiene conto della letteratu-ra riformista sulla questione – è precedutoda una “supplica al Santo Padre” scritta daMons. Fellay a Flavigny e datata 2 febbraio.Il saggio dei liturgisti della Fraternità fu in-viato inizialmente (a metà febbraio) a Gio-vanni Paolo II, ai cardinali Ratzinger, Me-dina e Castrillon Hoyos, e solo in seguito atutti i Vescovi e sacerdoti di Francia.

Qual’è il significato di questa decisione?Le persone più favorevoli all’accordo vi-

dero subito il pericolo inerente alla diffusio-ne di questo libro; Yves Chiron espone be-

ne i sentimenti di questa categoria di perso-ne quando riferisce l’opinione di una “figu-ra eminente dei cattolici Ecclesia Dei” che“si è chiesto se questo libro non era una pro-vocazione, resa pubblica nel momento in cuila Fraternità San Pio X negoziava con Ro-ma, per silurare le suddette trattative”. Chi-ron, bene informato, replica che “se ci fu,come ho detto, un dubbio da parte delle au-torità della Fraternità sull’opportunità dipubblicare un tal libro proprio in questomomento, non ci fu volontà di provocazio-ne. Questo studio sulla riforma liturgica erain preparazione prima che iniziassero le trat-tative con Roma. (…) Si può persino direche la Fraternità San Pio X (…) vuol contri-buire al dibattito invocato da Giovanni Pao-lo II nel motu proprio Ecclesia Dei adflicta(2.7.1988) chiedendo ai teologi di approfon-dire ‘i punti dottrinali che, forse a causa del-la loro novità, non sono stati compresi dacerte parti della Chiesa’” (42). In effetti, Ilproblema della riforma liturgica non è ope-ra di rottura; il saggio si situa, al contrario,nel solco aperto dall’abbé de la Rocque(uno dei coautori) con la sua rivista Lettre ànos frères prêtres, ideata per aprire il dialo-go “ecumenico” tra i sacerdoti della Frater-nità ed il clero di Francia. Ma se questo li-bro poteva essere considerato un’aperturadella Fraternità verso il clero “conciliare”in tempi normali, il rischio che la sua diffu-sione durante le promettenti trattative conRoma provocasse comunque una reazioneda parte della Curia e ancor più dell’episco-pato francese era avvertito da tutti e denun-ciato dallo Chiron. Tuttavia, come abbiamovisto, Mons. Fellay era come costretto –dalle critiche interne – a precisare l’elemen-

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to dottrinale riguardante la Messa, e – si no-ti bene - esclusivamente la Messa.

Nella sua supplica Mons. Fellay chiede-va a Giovanni Paolo II non solo l’autorizza-zione per tutti i sacerdoti del mondo di uti-lizzare il messale tradizionale, ma anche la“modifica o l’abrogazione” della nuova li-turgia. Una porta era dunque ancora apertaall’accordo, come notava Chiron: se infattiera troppo chiedere l’abrogazione dellanuova messa (come fecero a suo tempo icardinali Ottaviani e Bacci), non era impen-sabile chiederne la modifica – ovvero quellariforma della riforma preconizzata anchedal card. Ratzinger.

Il Card. Castrillon Hoyos rifiuta la condizio-ne posta dalla Fraternità, ma tutti aspettanoil documento vaticano che sancirà l’Accordo(febbraio-marzo 2001)

L’abbé Philippe Laguérie, che abbiamogià incontrato in questo articolo, ha descrit-to perfettamente la situazione che venne acrearsi: “segue allora un periodo piuttostovago (15 febbraio-1 marzo), durante il qualealle proposte concrete sono sostituiti dei do-cumenti dottrinali. Per perspicaci che possa-no essere, quei documenti sono inopportuni.Senza dubbio, il buon ordine richiederebbeche ci si accordasse prima sulla dottrina, epoi sulle regole pratiche. Ma è evidente checiò è attualmente impossibile. Le due parti losanno, e ogni considerazione dottrinale (ciòè infinitamente triste, ma è così) avrà per ef-fetto immediato di ostacolare e rendere im-possibile ogni trattativa. Ce lo si può forseaugurare (?) ma perlomeno non bisognaavere l’ingenuità di pretendere di far andareavanti i contatti con questa prospettiva. Amio parere quello che bisogna fare è esatta-mente il contrario: rendere alla Chiesa catto-lica la messa cattolica (ubique et semper) etra 10-15 anni si ricomincerà a parlare lastessa lingua” (43).

Il superiore di Albano infatti, l’abbé Si-moulin, si era recato il 12 febbraio a Romaper ricevere dal card. Castrillon Hoyos unarisposta sostanzialmente negativa alla do-manda della Fraternità: i tempi non eranomaturi per accordare il permesso – a tutti isacerdoti del mondo – di celebrare la Messadi san Pio V (44). Per gli elementi ostili – nel-la Fraternità – ad un accordo, questo primo“no” era il segno – atteso – della fine delle

Agosto 2000 la FSSPX entra in San Pietro in occasionedel pellegrinaggio giubilare

trattative: Mons. De Galarreta si premura diannunciare la fine dei colloqui dal pulpito diSaint Nicolas de Chardonnet, mentre Mons.Fellay al contrario irrigidisce la sua posizio-ne verso i domenicani di Avrillé, “colpevoli”di aver avversato l’accordo. I favorevoli allatrattativa – da parte loro – non si rassegna-no. Nel suo editoriale di febbraio, l’abbé Si-moulin si chiede: “Ma come possiamo lavo-rare così, finché avremo questa etichetta di‘scomunicati’ sulla fronte? Non sono profeta,e non so ciò che capiterà quest’anno nellaChiesa, ma penso che tutti sentono come meche viviamo la fine di un pontificato, e vedoche vi sono parecchie persone che sono piùdisposte di prima a riconoscere tutti i dannifatti alla Chiesa, da trent’anni a questa parte,da questo spirito del Concilio” (45). L’abbéLaguérie, da parte sua, scrive: la situazionenon è ancora matura? Facciamola maturare!L’abbé Schmidberger, il 18 febbraio, dichia-ra a Saint Mary of Kansas, che tutti i Vesco-vi della Fraternità sono favorevoli all’accor-do se Roma accetta le condizioni. E il vati-canista de il Giornale, Andrea Tornielli, in-tervista l’abbé Emmanuel du Taveau deChalard (da sempre “ambasciatore” dellaFraternità in Vaticano) in una strategia dipropaganda delle trattative (Il Giornale, 16febbraio 2001). Il giorno stesso, l’abbé Aula-gnier scriveva una lettera al superiore gene-rale, Mons. Fellay, nella quale proponeva uncompromesso: la Fraternità avrebbe potutorinunciare a richiedere il riconoscimento deldiritto – per ogni sacerdote – di celebrare laMessa di San Pio V in cambio di un ricono-scimento di fatto, riconoscimento del qualedettagliava le modalità (46) (cf DICI n. 9, 25maggio 2001). Ma ormai le cose andavanoper il loro verso. Da un lato, la Fraternitàcompletava la sua operazione “Le problèmede la réforme liturgique”: il libro, con unalettera di Mons. Fellay, veniva presentato il19 febbraio al Cardinale Castrillon Hoyosdall’abbé Selegny (47) e dall’abbé Simoulin:Mons. Fellay scriveva al Cardinale che letrattative erano sospese a causa del rifiutovaticano di accettare la condizione sullaMessa (cf DICI n. 3, del 13 aprile 2001).Nello stesso tempo, il libro viene consegnatoai cardinali Medina (Culto divino) e Ratzin-ger (Dottrina della Fede), il quale non deveesserne stato molto sconvolto se il 7 marzoscrive all’abbé Aulagnier per felicitarlo delsuo libro (48).

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Mons. Fellay fa il punto della situazionecoi suoi sacerdoti (49) e coi suoi fedeli (50): ladiscussioni sono temporaneamente sospese,ma si aspetta con ansia un esito positivo del-le trattative: “da parte nostra, risolutamente,non vogliamo spingere né in un senso, nénell’altro”. Nel cuore del Superiore Genera-le si mescolano inquietudine e speranza: in-fatti pochi giorni prima vi erano state dellenuove nomine nella Commissione EcclesiaDei, preposta dal 1988 alle questioni dei tra-dizionalisti: ne erano entrati a far parte ilCardinale Ratzinger (Congregazione per laDottrina della Fede), il Cardinale Jorge Me-dina Estevez (Congregazione per il Culto di-vino e la disciplina dei Sacramenti), il Cardi-nale Louis-Marie Billé (ora defunto, alloraArcivescovo di Lione e presidente dellaConferenza episcopale francese) e Mons.Julian Herranz (presidente del consigliopontificio per i testi legislativi) (51). La Com-missione, così allargata, si riunì il 19 marzo,certamente per discutere della Fraternità(52). L’inquietudine di Mons. Fellay derivadal timore che queste nomine rendano piùdifficili le trattative, fino a farle fallire. Tuttosommato la Fraternità era entusiasta dellaprima fase della trattative, quando c’era unrapporto diretto e personale col CardinaleCastrillon Hoyos – e tramite lui con Giovan-ni Paolo II – il quale (Castrillon) assicuravache “si aspettavano da parte della Fraternità‘che essa lotti contro il modernismo e il libe-ralismo nella Chiesa’” e che “il papa stesso siassocia e s’identifica con questo combatti-mento!”. Ora, invece, Mons. Fellay pensache “qualcuno” (“bisogna probabilmente ve-dervi un intervento della Segreteria di Stato edei Vescovi francesi, e chissà della massone-ria”) ha messo da parte il “buon” Card. Ca-strillon, proprio in occasione delle 4 nominenella Ecclesia Dei: “stranamente le ultimenomine nella commissione Ecclesia Dei sonostate fatte all’insaputa di colui che era statoincaricato personalmente dal papa per risol-vere il nostro ‘problema’. (…) [il cardinalCastrillon] non è il solo a governare la Chie-sa, o a cercare di tirarne le fila” (Cor unum,28 febbraio 2001). Certo, i vescovi francesinon vedevano di buon occhio (e lo diranno)le trattative in corso; ma ci stupiamo vera-mente dell’ingenuità di Mons. Fellay e deglialtri membri della Fraternità che sembranodel tutto all’oscuro di come si governa unasocietà come la Chiesa o lo Stato! Una deci-

sione di tale importanza non poteva esserepresa in maniera dilettantesca, e la convoca-zione degli organi istituzionalmente prepostialla questione (nel caso l’Ecclesia Dei, laCongregazione per la Dottrina della Fede equella per il Culto, nonché i canonisti) eraassolutamente inevitabile, e lo sarebbe statoanche sotto Pio XII!

Il mese di marzo è quindi visto come ilmese decisivo, e già corre voce che sia pron-to il documento che dovrà reintegrare la Fra-ternità, e la data della sua pubblicazione (laPasqua). Dell’imminenza dell’accordo, tra il14 ed il 22 marzo, danno notizia i mezzi dicomunicazione, e in parte la stessa SalaStampa vaticana (53). I nemici del negoziato,su entrambi i fronti, non mancano di interve-nire per scongiurare il “pericolo”: numerosisacerdoti della Fraternità predicano in pub-blico contro l’accordo e meditano in privatodi lasciare la Fraternità, mentre il vescovo le-febvriano Mons. Tissier de Mallerais, giungepersino ad opporsi al suo stesso superiore,Mons. Fellay, nella omelia tenuta a Ecône il19 marzo per la festa di san Giuseppe (54),mentre d’altra parte i cardinali francesi (oraentrambi defunti) Eyt e Billé, col pretestodel libro sulla riforma liturgica diffuso dallaFraternità, prendono violentemente posizio-ne anch’essi contro il buon esito delle tratta-tive. L’intervento dei due presuli non a casosi situa il 21 ed il 23 marzo (55): il 22 in effettisi è tenuta la riunione decisiva di GiovanniPaolo II con i responsabili dei vari dicasteriromani, durante la quale muovono obiezioni,oltre ai francesi, i cardinali Grocholewski(Educazione cattolica), Pompedda (Segnatu-ra apostolica) e, naturalmente, Kasper(Unità dei cristiani). La delusione è grande,nella Fraternità, tra i fautori dell’accordo: la“sospensione delle trattative” era soprattuttoun modo di calmare gli oppositori interni,ma sul famoso decreto promesso per la finedi marzo (56) ci si contava veramente. Nonsolo questo non venne, ma si preannunciavail fallimento totale di aprile.

Il documento non arriva, le trattative nau-fragano? E allora, mandiamo avanti ibrasiliani! (aprile-maggio 2001)

Il mese di aprile iniziò male: con due in-terviste, al Giornale e Avvenire – in occasio-ne della presentazione del suo libro Lo spi-rito della liturgia – il cardinal Ratzinger so-

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steneva che l’accordo era ancora lontano, at-tribuendo la colpa di questo ritardo allechiusure provenienti dalla Fraternità (57): “ilcammino è ancora lungo. Devo dire che c’èun indurimento forte nel movimento lefebvri-sta; noto che sono chiusi in loro stessi, e que-sto rende problematico il processo di riconci-liazione, almeno in tempi brevi”.

Per Ratzinger, da un punto di vista dot-trinale, i lefebvristi dovrebbero “riconoscereche la liturgia rinnovata dal Concilio è sem-pre la stessa liturgia della Chiesa, che non èun’altra cosa. Riconoscere che la Chiesa rin-novata del Concilio non è un’altra Chiesa,ma è sempre la stessa Chiesa che vive e si svi-luppa”. Non si può certo dire che il card.Ratzinger (come Castrillon Hoyos nel suoarticolo su 30 Giorni) abbia evitato di parla-re del problema essenziale! (58). Ma è chiaroche questo problema – se affrontato – rendeimpossibile quell’accordo che, nonostantetutto, il card. Ratzinger dichiara ancora didesiderare, a prescindere dalle divergenzedottrinali un accordo (“dobbiamo fare ilpossibile per attirare questi nostri fratelli e so-relle, per ridare loro la fiducia che non hannopiù. All’interno della Chiesa le ferite si risa-nano meglio: se il confronto avviene fuori, ledistanze rischiano invece di ampliarsi”).

E allora: accordo dottrinale o accordopragmatico? Anche il card. Ratzinger nonsembra poter uscire dalle contraddizionidell’ecumenismo!

Le parole di Ratzinger non sono comun-que incoraggianti a breve termine. Ed infat-ti, il 13 (59) o 14 aprile 2001 viene data oral-mente la risposta ufficiale negativa alla ri-chiesta della Fraternità (60). La susseguenteriunione dei dicasteri romani, alla presenzadi Giovanni Paolo II, il 22 aprile, non fa checonfermare questa decisione: sì, in linea dimassima, a uno statuto speciale nella Frater-nità, ma no alla richiesta di una piena li-bertà, per tutti i sacerdoti, di celebrare lamessa “tradizionale” (61).

Il naufragio delle speranze degli uni fu lafine del timore degli altri. Mons. Williamson– recatosi ad Albano il 26 aprile 2002 per lariunione del distretto italiano – non si privòdi esporre pubblicamente la sua gioia per ilfallimento delle trattative, e di far notare co-me questa buona notizia non fosse dovuta alsuperiore generale (che dormiva mentre l’ae-reo precipitava) quanto piuttosto ai suoi in-feriori (che, gridando, avevano svegliato il

pilota addormentato). Simili dichiarazioninon potevano non scandalizzare chi, come ilsuperiore del distretto italiano, aveva semprecreduto nell’accordo. L’abbé Simoulin sirecò persino alla Casa generalizia per pre-sentare le sue dimissioni oppure ottenereuna sconfessione di quanto sostenuto daMons. Williamson: secondo l’abbé Simoulin,la concezione che ha Mons. Williamson dellaFraternità è quella di una setta, poiché eglidimentica che la Chiesa non è solo quella delpassato, di Pio IX, San Pio X, Pio XII, maquella del presente, di Giovanni Paolo II; lepubbliche prese di posizione di due vescovidella Fraternità contro il Superiore generalesono considerate ingiusta causa di divisionenella Fraternità dall’abbé Simoulin (62).

Chi non si rassegna alla fine del sogno,ha comunque un’altra “arma”: se nella Fra-ternità le opposizioni alle trattative sonoforti e altolocate, perché non provare a per-correre la via “brasiliana”? I sacerdoti delladiocesi di Campos riuniti sotto la guida diMons. Rangel nella Fraternità San GiovanniMaria Vianney non conoscevano le divisioniinterne da sempre presenti a Ecône. PadreRifan varcò così la porta del Cardinal Ca-strillon Hoyos il 2 maggio, non da solo, maaccompagnato dall’abbé Simoulin (DICI, n.9). Da quella porta, spiritualmente, non èpiù uscito…

Mons. Fellay spiega la sua posizione sullasospensione delle trattative, ma intantonaviga in lenta evoluzione verso il Concilio(maggio 2001)

Che uno dei problemi fosse Mons. Wil-liamson lo sapeva anche il Card. CastrillonHoyos, il quale, dopo aver scritto a Mons.Fellay il 7 maggio, scrisse una lettera privatae distinta, il 17 dello stesso mese, anche aMons. Williamson e a Mons. De Galarreta.L’agenzia stampa della Fraternità, DICI (n.9), ci rivela il pensiero del Cardinale a pro-posito di queste divisioni tra i vescovi diMons. Lefebvre: durante una cena coi rap-presentanti della Fraternità San Pietro edell’associazione Pro Missa tridentina du-rante un suo viaggio in Germania (11-12maggio 2001) il Cardinale colombianoavrebbe detto, secondo la relazione di un te-ste oculare, che “ci sono delle difficoltà conMons. Williamson, ma Mons. Fellay li rassi-cura dicendo che quest’ultimo è umile e che

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seguirà”. L’informatore continua: “nella vi-sione del cardinale esiste una dialettica traMons. Williamson ed il resto della Fraternità.Il cardinale dice che in occasione dell’ultimoincontro con il P. Rifan e l’abbé Simoulin,c’è stata un’ottima atmosfera”. Fallito l’ac-cordo di Pasqua, Castrillon sperava in un ac-cordo per la Pentecoste, non nascondendoperò gli errori dottrinali della Fraternità(diffidenza verso il magistero, sostenere cheun rito promulgato dal papa può essere cat-tivo), il che richiedeva (probabilmente dopol’accordo) che la Fraternità “ripensasse” lasua posizione.

Ed in effetti, un timido ma significativoaccenno di “ripensamento” si fa strada pro-prio in quel periodo…

Un numero di Fideliter (la rivista del di-stretto francese) pubblica un articolodell’abbé de la Rocque dal titolo significati-vo: “Un évêque ‘moderne’ au concile Vati-can II”. Il Vescovo “moderno” è Mons. Le-febvre. Il fondatore della Fraternità – la ve-ra “autorità” riconosciuta dai suoi discepoli– è descritto come un “vescovo ‘moderno’,assolutamente pronto a considerare certeevoluzioni”. Mons. Lefebvre auspicava lariforma della Curia, la Messa dei catecume-ni in francese, l’abolizione (“il che può stu-pire da parte sua”) dell’abito talare, ecc.ecc. “Con questi propositi così aperti sembrariavvicinarsi ai vescovi più moderni e distin-guersi nettamente dai vescovi più ‘tradizio-nalisti’…” come Mons. Carli, Mons. de Ca-stro Mayer, Mons. de Proença Sigaud. Que-sto, prima del Concilio. E durante? Mons.Lefebvre – scrive il suo biografo – ne parlacome di “un grande avvenimento per laChiesa”, “una nube luminosa nel mondod’oggi” per cui “viviamo momenti nei qualiil sovrannaturale, l’azione dello Spirito San-to, è visibile, tangibile”. “Qualche mese pri-ma della chiusura del Concilio – così con-clude il suo articolo l’abbé de la Roque –[mons. Lefebvre] non esita a affermare: ‘sipuò sperare in tutta verità che il concilioporterà dei frutti abbondanti”. In un altroarticolo, si sottolinea come solo a partiredagli anni 1974-76 la critica di Mons. Lefeb-vre si rivolge al concilio stesso. A che scoporicordare queste cose – in altre circostanzemagari giudicate imbarazzanti (come quan-do P. de Blignières dimostrò che Mons. Le-febvre aveva firmato tutti i documenti con-ciliari?) – se non in vista di permettere una

accettazione del Concilio che non potesseessere considerata un tradimento di Mons.Lefebvre?

Mons. Fellay stesso sembra dirigersi pru-dentemente verso questa direzione. L’11maggio, il quotidiano vallesano La Liberté(assieme ai giornali di lingua tedesca St Gal-ler Tagblatt e Basler Zeitung) pubblica un’in-tervista concessagli da Mons. Fellay a Men-zingen (63), dove, tra l’altro, si legge: “accet-tare il Concilio non è un problema per noi(…) Potrebbe sembrare che rifiutiamo intera-mente il Vaticano II. Invece, ne accettiamo il95%. È piuttosto a uno spirito che ci oppo-niamo, a una attitudine di fronte al cambia-mento preso come postulato: tutto cambia nelmondo, quindi la Chiesa deve cambiare”.Ora, la critica allo “spirito del Concilio” èuna posizione accettata e fatta propria an-che dal Cardinal Ratzinger; la posizione diMons. Fellay vi si avvicina pericolosamente.A questa intervista non si può opporre laLettera agli amici e benefattori (un testo uffi-ciale, pertanto) che il Superiore generaleaveva scritto il 5 maggio. A mio parere è lamedesima dottrina dell’intervista quella cheè esposta da Mons. Fellay come spiegavo inuna mia lettera ad un sacerdote della Frater-nità San Pio X che qui pubblico:

“Caro don (…)Lei mi chiese cosa ne pensassi della let-

tera agli amici e benefattori del 5 maggio.Le risposi che non l’avevo ancora letta, mache, in ogni caso, l’intervista di Mons. Fellayal quotidiano La liberté, intervista successi-va, in data, alla Lettera, smentiva l’intenzio-ne di Mons. Fellay, manifestata nella Lette-ra, di considerare chiuse le trattative.

Ho avuto modo di leggere, in seguito, laLettera in questione. Le dirò che ne sono ri-masto molto stupito. Anche don (…), difat-ti, mi aveva detto che essa era molto “dura”,e mi aspettavo un documento di quel gene-re, poi smentito dalla realtà e da documentisuccessivi. Invece…

Invece la lettera di Mons. Fellay mi sem-bra particolarmente grave, e per nulla incontrasto con la successiva intervista.

I punti apparentemente tranquillizzantisono due: la dichiarazione con la quale eglirifiuta esplicitamente l’offerta di Mons.Hoyos: “e tuttavia noi dobbiamo rifiutarel’offerta”, e il rifiuto di un accordo puramen-te pragmatico e non anche dottrinale. Sitratta certamente di un passo avanti – alme-

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no apparente – rispetto all’attitudine diMons. Fellay all’inizio delle trattative.

Non mancano però i motivi di inquietu-dine. Inizio dal meno importante. Mons.Fellay esamina i motivi che possono averspinto “Roma” a proporre un accordo. Neelenca due: l’intenzione di valersi della Fra-ternità per spegnere l’incendio, e la preoccu-pazione – ecumenica ma sincera – dell’unità.Di più, attribuisce a “Roma” esclusivamentedelle buone intenzioni: “ha realmente cam-biato atteggiamento verso di noi, cerca real-mente una soluzione”. In questo Mons. Fel-lay ha fatto un reale passo indietro, giacchéprima non mancava mai di segnalare la pos-sibilità che le profferte di “Roma” fosseroun inganno per distruggere la Fraternità (omeglio: la Fede). In effetti, al di là delle in-tenzioni soggettive, è proprio questo che og-gettivamente veicola l’offerta di Hoyos:giacché la Fraternità si verrebbe a trovare incomunione – di fatto, oltre che nel canonedella messa – con chi proferisce abitualmen-te l’eresia. Eresie delle quali non c’è parolanella lettera di Mons. Fellay (eppure ci sa-rebbe molto da dire, con i recenti viaggi inGrecia e Siria, e col concistoro…).

Passiamo all’accordo. I nemici di questohanno veramente motivo di rassicurarsi? Di-rei di no. Mons. Fellay non esclude trattativefuture: solo che per ora “le cose non sonoabbastanza mature per continuare”. Che letrattative non siano esaurite è anche l’opi-nione del superiore di distretto, che ha appe-na parlato con Mons. Fellay.

Mi dirà che Mons. Fellay parla di un ac-cordo solo quando ci sarà “l’accordo delleintelligenze”. È il punto più rassicurante, maanche il più preoccupante. Preoccupanteperché Mons. Fellay – criticando nella sualettera il “nuovo linguaggio” del Concilio,sembra salvarne la lettera.

“Quando diciamo di rifiutare il Concilionon intendiamo con questo di respingere to-talmente la lettera di tutti i documenti conci-liari, che in gran parte contengono sempliciripetizioni di ciò che già è stato detto in pas-sato, ma impugniamo un nuovo linguaggio,in nome della pastoralità del Concilio”.

In queste parole c’è – in germe – la possi-bilità di un accordo “dottrinale” tra la Fra-ternità e Giovanni Paolo II. Non che questirifiuti il nuovo linguaggio del Concilio! Main fondo un linguaggio, uno spirito, una pa-storale… non sono oggetto di fede e non

fanno parte a propriamente parlare di ciòche la Chiesa insegna (al massimo, fannoparte del modo di insegnare). Le criticheche poi Mons. Fellay – contro la liturgiariformata, la libertà religiosa ecc. – sono tut-te dal punto di vista della pastorale, dellospirito, del linguaggio, più che della lettera.Lettera che egli accetta – lo ha detto alla Li-berté, al 95% (senza dire dove si trova il 5%che non accetta, e in che misura lo rifiuti).Anche la libertà religiosa non è presentatain contraddizione col precedente magisterodella Chiesa (il che chiuderebbe subito ognidialogo) ma come pastoralmente “radical-mente incapace di contrastare il processo disecolarizzazione che segna il mondo moder-no”, mentre i propugnatori della suddetta li-bertà avrebbero agito per un buon fine: con-trastare il processo di secolarizzazione e“salvare l’uomo dal totalitarismo dello statomoderno”.

Il tono della lettera è chiaro, ed è radi-calmente diverso dalla posizione di condan-na dottrinale da noi tenuta finora. Esso cer-ca di comprendere e giustificare i (buoni?)motivi della parte avversa (esistenti o no, so-no del tutto ininfluenti per il giudizio di unadottrina) e prospetta la possibilità di un ac-cordo sulla “lettera” del Concilio, la sola chesia vincolante per un cattolico. Il card. Rat-

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zinger potrà riconoscere in parte il suo pen-siero, lui che ha difeso la lettera del Conci-lio, condannando le derive di uno spirito delConcilio portato avanti dai più progressi-sti… Ed ecco aperta la strada ad un accordo“dottrinale”. La lettera di Mons. Fellay, amio parere, ha creato un sofisma in più perun possibile riconoscimento del Vaticano II,sofisma che rinnova quello – usurato, mache ci fece tanto danno – del Concilio allaluce della Tradizione” (64).

Il numero speciale di Fideliter (n. 141,maggio-giugno 2001), intitolato Avant tout,la messe (Prima di tutto, la messa) confermache l’attitudine della Fraternità è sempre lastessa: se solo venisse accettata la “condizio-ne sine qua non” (p. 8) (65) posta dalla Fra-ternità (libertà per la messa di san Pio V),l’offerta vaticana dell’amministrazione apo-stolica verrebbe accettata, anche a costo diminare l’unità della Fraternità stessa (p. 7).

Estate 2001: mentre Mons. Fellay attende ri-sposta da Roma, Mons. Rangel scrive a Roma

Fino a maggio, quindi, la Fraternità è di-sposta a una soluzione positiva. La verachiusura (provvisoria) data da giugno del2001. Un’avvisaglia si può riconoscere nelladecisione, presa da Mons. Fellay stesso, dirompere il rapporto di collaborazione esi-stente tra la rivista della Fraternità, Fideliter,e lo scrittore Yves Chiron. Quest’ultimo, ri-ceve il 22 giugno una lettera del direttoredella rivista che accompagna una missiva diMons. Fellay datata 16 giugno, rivolta allostesso direttore di Fideliter (66). L’esclusionedi Chiron da Fideliter non è motivata, comegli attacchi rivolti contro di lui dai domeni-cani de Le sel de la terre, dalla questioneguénoniana, ma dalla sua collaborazionecon la rivista indultista La Nef, nonché dallaposizione transigente e favorevole agli ac-cordi della sua propria rivista, Alètheia. Ilfatto apparterrebbe forse alla “storia mino-re” (anche del tradizionalismo) se, comesottolinea Chiron nella sua replica, le criti-che del superiore della Fraternità non col-pissero indirettamente anche l’allora suo se-condo assistente, l’abbé Aulagnier, che pre-conizzava appunto contatti amichevoli con icattolici Ecclesia Dei, nonché l’accordo con“Roma”: “oggi – conclude Chiron – rimpro-verando a un vecchio collaboratore di Fideli-ter il fatto di non aver applaudito calorosa-

Agosto 2000: la FSSPX durante il pellegrinaggio giubila-re ha ufficialmente avuto il permesso di pregare nelle

Basiliche Romane: qui Mons. Fellay mentre impartiscela benedizione a S. Giovanni in Laterano (in ginocchio

si riconosce don Simoulin)

mente un libro collettivo sulla nuova messa(che non suscita l’unanimità dei consensineppure tra i sacerdoti della Fraternità) e dicollaborare a una rivista che è pur sempreuna delle voci principali dei cattolici di tradi-zione fuori della Fraternità San Pio X, Mons.Fellay sembra smentire l’entusiasmo del suosecondo assistente”. E in effetti la contraddi-zione era troppo evidente perché l’abbé Au-lagnier restasse ancora a lungo secondo assi-stente del Superiore… Ma la chiusura dellaFraternità non si ferma qui. In risposta allalettera del card. Castrillon Hoyos del 7 mag-gio, Mons. Fellay si decide infine a scrivere,il 22 giugno, al Cardinale; parte della letteraviene comunicata ai fedeli durante l’Omeliadi Mons. Fellay, tenuta a Ecône, il 29 giu-gno, in occasione delle Ordinazioni sacerdo-tali (67). Si tratta, questa volta per davvero,di una lettera dura, anche se non ancora dirottura: Mons. Fellay attende infatti una ri-sposta dal Cardinale (e risposta avrà, quasiun anno dopo: “Roma mora”!). Con questarisposta, la Fraternità torna a mostrare l’al-tro suo volto, quello della “Piccola Chiesa”(secondo l’espressione degli abbé Aulagniere Simoulin). Mons. Fellay ricorda adessoche “atti positivi di distruzione” della Chiesa“si riscontrano (…) fin presso il Vicario diCristo”. Il “problema lancinante”, per Mons.Fellay, è quello di “un magistero che si con-traddice”. Il Vescovo tradizionalista si rendeconto della possibile obiezione: affermareche il magistero si contraddice, che il Vica-rio di Cristo erra, non significa forse andarecontro il dogma della santità della Chiesa di-vinamente assistita? Per evitare questa con-clusione (o quella della Sede Vacante)Mons. Fellay invoca il Vaticano I (DZ 3070)secondo il quale lo Spirito Santo non è statoaccordato al Papa per innovare ma per tra-smettere fedelmente la Rivelazione. PerMons. Fellay il Vaticano I porrebbe così“esplicitamente un limite all’assistenza delloSpirito Santo”: il Papa sarebbe assistitoquando – di fatto – insegna la verità, non losarebbe quando – di fatto – innova e insegnal’errore! Questa interpretazione distruggeradicalmente il dogma dell’infallibilità delPapa. Infatti, per il Vaticano I questo “limi-te” implica che lo Spirito Santo assiste ognivero e legittimo Pontefice facendo sì che in-fallibilmente egli mai proponga a crederedelle novità ma sempre trasmetta integro ildeposito della Rivelazione. Mons. Fellay, in-

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vece, pensando che Giovanni Paolo II abbiainnovato, ne deduce che l’assistenza divinasia intermittente, per cui avremmo a volte“un vero magistero” e a volte “un magisteroapparente”.

Non ci stupiamo che Mons. Rangel nonabbia più voluto seguire Mons. Fellay inqueste elucubrazioni… (68) Avevamo lascia-to il rappresentante del Vescovo brasiliano,Padre Rifan, a colloquio con il Card. Castril-lon Hoyos, accompagnato dall’abbé Simou-lin; le cose intanto sono maturate, per cui il15 agosto 2001 il successore de facto diMons. de Castro Mayer, Mons. Rangel, con-sacrato da Mons. Tissier de Mallerais, scriveuna lettera a Giovanni Paolo II nella quale,chiedendo scusa al “Papa”, chiede di essereammesso, assieme alla Unione sacerdotaleSan Giovanni Maria Viannay, alla “pienacomunione con la Santa Sede” (69).

Mentre a Campos si agisce, in Svizzera cisi accontenta di pii desideri. Mons. Fellay hagià parzialmente ritirato le dure dichiarazio-ni di giugno, confidando all’Agenzia APICche “riusciremo a trovare una soluzione, an-che se non subito” (70). E poiché l’ostacoloall’accordo, per i “tradizionalisti”, sembraessere più liturgico che dottrinale, il card.Ratzinger anima una riunione liturgica nelmonastero benedettino di Fontgombaut (21-24 luglio) che lascia intravedere un riavvici-namento liturgico tra chi celebra la nuova el’antica liturgia…

Dopo due anni, un primo “frutto”. L’accordodi Campos divide i “tradizionalisti” e la stessaFraternità (dicembre 2001-gennaio 2002)

“Senza dire niente di preciso su quello chestavano combinando, hanno ‘cantato per tuttal’estate’… hanno lavorato con il Vaticano du-rante l’estate scorsa… e oggi, malgrado il con-siglio contrario dei nostri superiori, hannoconsegnato alla Chiesa conciliare il vescovoche abbiamo dato loro per la Tradizione,hanno accettato ciò che non accettavano pri-ma… e hanno smesso la ‘confessione pubbli-ca della fede’”. Con queste parole pittore-sche, l’abbé Simoulin, che fino a maggio“cantava con il Vaticano” assieme a loro, de-plora su Roma felix (n. 2, febbraio 2002) l’ac-cordo stipulato tra l’Unione sacerdotale SanGiovanni Maria Vianney di Mons. LicinioRangel e la Chiesa “conciliare” (che nel n. diluglio-agosto di Roma felix era invece la

Chiesa di Gesù Cristo) di Giovanni Paolo II.Dimentica l’abbé Simoulin che la divisionedei “tradizionalisti” - fatto evidente che nonsi può più occultare - è il frutto di una “can-tata” che non è cominciata nell’ estate del2001 da Mons. Rangel, ma semmai nell’esta-te del 2000 dai Vescovi della Fraternità sedu-ti a tavola con il Card. Castrillon Hoyos. Macos’è successo per arrivare a tanto?

Esponiamo brevemente i fatti. A nulla èservito il viaggio in Brasile di Mons. Fellayper convincere Mons. Rangel a non accetta-re la “pace separata” (71). Il giorno di Natale,Giovanni Paolo II ha sottoscritto la letteraEcclesiæ unitas “al venerabile fratello LicinioRangel e ai diletti figli dell’unione San Gio-vanni Maria Vianney di Campos, Brasile”con la quale, rispondendo alla lettera del 15agosto, li accoglie “nella piena comunionecon la Chiesa cattolica”, leva loro le censurenella quali erano incorsi, e annuncia un do-cumento giuridico con il quale verrà erettal’Amministrazione apostolica San GiovanniMaria Vianney. Il 18 gennaio la Congrega-zione per i Vescovi emette il Decreto Adconsulendum Mons. Rangel viene nominatovescovo titolare di Zarna e amministratoreApostolico dell’Amministrazione Apostoli-ca personale San Giovanni Maria Vianneydi Campos, il quale, in una sua dichiarazionesottoscritta lo stesso giorno, dichiara ricono-scere l’autorità di Giovanni Paolo II, il Con-cilio Vaticano II “alla luce della Tradizione”e la validità della nuova messa. I documentisono stati letti pubblicamente durante unasolenne cerimonia tenutasi sempre il 18 gen-naio nella cattedrale di Campos e presiedutadal card. Castrillon Hoyos alla presenza dinumerosi prelati (72). Alla cerimonia, ina-spettatamente, era presente – provenienteda Roma dove aveva incontrato Mons. Fel-lay - anche l’abbé Aulagnier, della Frater-nità San Pio X, che fa un racconto entusiastadell’avvenimento sul bollettino Nouvelles deChrétienté (73). Secondo il sito di Inter multi-plices una vox, l’Unione sacerdotale conta“un vescovo, 27 preti, 20 seminaristi, 100suore, 50.000 fedeli, 10.000 bambini in cate-chesi, 250 centri di catechesi (…) un semina-rio, 150 chiese e cappelle, 70 luoghi di Messa,10 scuole con 3500 allievi, 2 orfanotrofi con600 ragazzi, 2 case per anziani con 150 ospi-ti”: che ne è di queste anime?

Secondo la rivista dei domenicani diAvrillé, Le sel de la terre (74) esse sono state

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tradite. Pubblicando – prima ancora della fir-ma ufficiale dell’accordo – una lettera delPadre Lorenzo Fleichman OSB del 30 otto-bre 2001, i religiosi di Avrillé bollano l’accor-do col termine di “tradimento” pari a quellodi Dom Gérard nel 1988. All’opposto, l’abbéAulagnier, superiore del distretto belga dellaFraternità, approva totalmente, come abbia-mo visto, i confratelli brasiliani, e disapprovapubblicamente i domenicani: “deploro viva-mente la pubblicazione su Le sel de la terre n.39 della lettera del RP Lorenzo. Questa lette-ra è una chiara cattiveria. Il Padre Lorenzodel Brasile avrebbe fatto meglio a non scriver-la e i Domenicani a non pubblicarla” (DICI,n. 36). Per l’abbé Aulagnier, infatti, l’accor-do di Campos è totalmente diverso da quellodel 1988, e rappresenta una vittoria dellaMessa di san Pio V, nonché “un esempio” daseguire per la Fraternità.

Tra questi due estremi, quale fu l’attitu-dine del Superiore della Fraternità?

Inizialmente, possibilista. In ben due do-cumenti.

Il 9 gennaio, prima dell’accordo solenne,Mons. Fellay concede un’intervista a Jac-ques Berset, dell’agenzia Apic, pubblicatapoi nel n. 38 dell’agenzia della FraternitàDICI (18 gennaio). “Non voglio prendereposizione a priori – dichiara Mons. Fellay –(…) Il trattamento che gli sarà riservato saràmolto importante per noi. (…) Se le personedi Campos saranno trattate bene, questomanderà avanti le cose per quel che ci riguar-da”. Il 16 gennaio, festa di San Marcello, ec-co un “comunicato della Fraternità San PioX a proposito dei sacerdoti di Campos”.Non tutto è negativo nell’accordo, perMons. Fellay: “per la prima volta è accordataalla Tradizione una struttura di tipo diocesa-no. Un vescovo tradizionale è riconosciutocome tale, come pienamente cattolico” men-tre “va altresì considerato che nessuna so-stanziale concessione a livello dottrinale èstata fatta”. Per cui, come nell’intervista pre-cedente, la Fraternità aspetta di vedere co-me le cose andranno a finire: si tratta di unpasso verso la fine della crisi? “l’avvenire lodirà”. “Quali saranno le loro relazioni conRoma e con noi?” “Anche qui sarà il tempoa dirlo. La nuova situazione che si è creataservirà da test per il futuro”. Ciò che la Fra-ternità non ammette è soprattutto questo:essere stata esclusa dalle trattative: “la Fra-ternità san Pio X constata che questo risulta-

to è frutto di una pace separata. Per ottener-lo, i sacerdoti di Campos hanno dovuto, inqualche misura, separarsi dalla Fraternità”(75). Il criterio di ortodossia è, ancora unavolta, la fedeltà alla Fraternità. E questo èstato probabilmente “l’errore” dell’abbéAulagnier, che pubblicamente aveva critica-to la “timidezza” dei suoi superiori nell’an-dare avanti… Alla fine di febbraio il vulca-nico sacerdote francese pubblica, sul suobollettino, Nouvelle de Chrétienté (n. 72), esulla sua agenzia internet DICI (n. 43), ilracconto della giornata del 18 gennaio e l’ar-ticolo Les ‘prêtres de Campos: leur reconnai-sance par le Saint-Siège a cura dell’Ammini-strazione Apostolica personale San Giovan-ni Maria Vianney, nel quale giustificano laloro scelta dimostrando di non aver dettonulla di più di quanto detto o fatto da Mons.Lefebvre e Mons. Fellay (per quel che ri-guarda l’accettazione del Concilio alla lucedella Tradizione, o la validità della nuovamessa, ricordando infine che Mons. Lefeb-vre e Mons. de Castro Mayer avevano sotto-scritto tutti gli atti conciliari). È l’indipen-denza dell’abbé Aulagnier come di Mons.Rangel, più che le loro idee, che non poteva-no essere tollerate. L’abbé Aulagnier, purrestando un superiore della Fraternità (inBelgio) dà le dimissioni da secondo assisten-te del superiore e si vede privato – senzanessuna spiegazione al pubblico – della dire-zione della rivista e della agenzia DICI (feb-braio-marzo 2002). Il nuovo numero di DI-CI (n. 44, 1 marzo 2002) contiene un edito-riale di Mons. Fellay sulla questione di Cam-pos ben diverso dalla posizione precedente:

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con l’accordo “è l’ingresso nel pluralismoche viene imposto sotto apparenza di ricono-scimento da parte di Roma, non è il ritornodella Chiesa conciliare alla Tradizione”. EMons. Fellay si dà la zappa sui piedi: “lacondizione per realizzare questo nuovo pro-digio [del riconoscimento da parte di Roma]è stata espressa dal Card. Castrillon, autoredell’accordo di Campos, già prima dell’ini-zio delle discussioni innanzitutto in un arti-colo di 30 Giorni dell’autunno 2000, in segui-to ne La Nef, poi a Campos in una conferen-za stampa il 19 gennaio 2002”. Ma, ci chie-diamo noi, se così è, perché mai Mons. Fel-lay ha trattato (e tratterà di nuovo) colCard. Castrillon, il quale dice apertamente enon ha mai nascosto che il suo fine è impor-re “l’accordo di principio sul Concilio”, ilquale è stato “la grande catastrofe del XX se-colo, la causa di danni incalcolabili allaChiesa e alle anime” (76).

Dopo Campos, di nuovo la Fraternità. Icard. Ratzinger e Castrillon Hoyos riapronole trattative (febbraio-maggio 2002)

Dopo queste solenni parole di Mons.Fellay ci saremmo logicamente aspettati del-le scuse ufficiali (per aver aperto delle trat-tative che fin dal principio avevano comescopo l’accettazione del Vaticano II, e peraver indotto in tentazione i confratelli brasi-liani) e la fine di questa avventura.

Nulla di tutto ciò. Nel numero di maggio2002 di Roma felix l’abbé Simoulin, dopoaver criticato i sacerdoti di Campos, confer-mava una dichiarazione del card. Medina se-condo la quale da febbraio (!) le trattativeerano ricominciate con uno scambio di lette-re tra il card. Ratzinger e Mons. Fellay (pp. 6-7). Andrea Tornielli infine, su Il Giornale (10maggio 2002, p. 9) annunciava che il 5 aprileil Card. Castrillon Hoyos aveva inviato unalettera di 15 pagine a Mons. Fellay, rispon-dendo infine alla lettera di quest’ultimo delgiugno scorso, letta dal prelato “non senzasofferenza”. La risposta ha lo scopo “di mette-re insieme il tanto che ci unisce e cercare di su-perare ciò che ancora ci divide”. Il Giornalepubblica solo degli stralci della lettera, la Fra-ternità per ora è tornata alla discrezione e alsilenzio dei primi mesi. Chi vivrà, vedrà…

(Ultima ora: Roma felix di giugno 2002 p. 7 segnalaun’altra lettera di Mons. Fellay del 25 genn. con rispo-sta del card Castrillon del 13 aprile).

Il 18 gennaio 2002 a Campos, la firma dell’accordo tra ilcardinal Dario Castrillòn Hoyos, presidente della

pontificia Commissione “Ecclesia Dei” e Mons. Licinio Rangel

SECONDA PARTE: UN NOSTROCOMMENTO

Fin qui, i fatti. Li abbiamo esposti con sin-cerità ma non senza manifestare di già, a vol-te polemicamente, il nostro parere. Cercheròtuttavia, come conclusione a questo mio arti-colo, di dare a questi fatti un commento cherifletterà la mia opinione al proposito.

La vera condizione “preliminare” è un’ana-lisi approfondita della situazione attualedell’autorità nella Chiesa

Praticamente dalla sua fondazione, laFraternità San Pio X e le associazioni che neseguono la via, si trovano a dover disobbedi-re a un’autorità che viene riconosciuta comepienamente legittima. Questo contesto è ilpunto debole dei discepoli di Mons. Lefeb-vre. Infatti, è evidente a tutti che non si puòdisobbedire al Papa. Se si riconosce in Gio-vanni Paolo II la legittima autorità, l’unicodovere è quello della sottomissione incondi-zionata e dell’assoluta obbedienza. “Tratta-re” con il Papa, porre al Papa delle condi-zioni, non è un atteggiamento cattolico, mascismatico. A questa obbedienza si opponeun motivo di fede? Se è così si impone, pri-ma di ogni “trattativa”, uno studio ap-profondito sulla situazione attuale dell’Au-torità della Chiesa. È questa la condizione“prealable” che noi stessi, oppositori delVaticano II, dovremmo porci prima di af-frontare ogni ulteriore questione.

La condizione “preliminare” posta dallaFraternità San Pio X, ancorché rifiutata, èdel tutto insufficiente per garantire le esi-genze della fede ortodossa

Ciò premesso, mi pare evidente che lacondizione posta da Mons. Fellay e, inizial-mente, da Mons. Rangel, al proseguimentodelle trattative, sia assolutamente insuffi-ciente. Cosa chiede la Fraternità? L’autoriz-zazione, per tutti i sacerdoti del mondo, acelebrare la Messa con le rubriche di Gio-vanni XXIII (il “beato” Giovanni XXIII!).Cosa implica il fatto che questa sia sostan-zialmente l’unica condizione, assolta la qua-le l’accordo sarebbe formalizzato? La rispo-sta è evidente. La Chiesa si fonda sulla Fedee sui Sacramenti. Identica deve essere laprofessione di Fede, sostanzialmente identi-

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ca l’amministrazione dei sacramenti. La Fra-ternità San Pio X ipotizza invece un accordodove le due parti non concorderebbero nellaprofessione di Fede, e neppure nell’ammini-strazione dei Sacramenti. Sarebbe lecito, in-fatti, professare fedeltà al Magistero dellaChiesa e, nel contempo, all’insegnamentodel Vaticano II che contraddice, in vari pun-ti, quello della Chiesa. Come sarebbe lecitocelebrare secondo il rito cattolico della Mes-sa e dei Sacramenti, come seguire invece la“Messa di Lutero” (Mons. Lefebvre dixit).La Fraternità – con questa condizione – di-mentica totalmente il problema del Concilioe, quanto alla Messa, non chiede altro che ilbi-ritualismo, ovvero la celebrazione, nellaChiesa e nelle chiese, secondo i due riti.

Qualcuno obietterà che occorre reali-smo, e che non si può chiedere ciò che certa-mente non si potrà ottenere, accontentando-ci di un grande e insperato successo: la li-bertà per la Messa. Rispondiamo che questiargomenti sono comprensibili nelle coseprofane, ma non nelle cose di Fede, tantopiù che, in questo modo, si verrebbe a giusti-ficare la pratica tanto (giustamente) criticatadell’ecumenismo, che sostituisce il ritornodell’errante a tutta la verità con un accordopragmatico tra le parti, ciascuno restandosulla propria posizione.

Finora, le “trattative” hanno solo indebolitoe diviso il nostro fronte. Responsabilità diMons. Fellay nella caduta di Campos

Se poi passiamo dai principi (per me as-solutamente sufficienti per rifiutare ognicompromesso che andasse a scapito dellaFede) alla prassi, ci accorgiamo che ancheda questo punto di vista (che sembra essereil solo preso in considerazione) le “trattati-ve” siano sempre state nocive per la Frater-nità. Senza risalire ai tempi più remoti, bastipensare a come la Fraternità San Pietro (na-ta da uno scisma dalla Fraternità San Pio X)ed il monastero del Barroux si siano divisida noi in seguito alla loro accettazione delprotocollo d’intesa sottoscritto inizialmenteda Mons. Lefebvre stesso, nel 1988. La stes-sa cosa è capitata oggi: le trattative hannodiviso da noi i sacerdoti della diocesi diCampos, ed hanno allargato le divisioni in-terne alla Fraternità. Eppure, nonostantequeste tristi esperienze, si è pronti a rico-minciare… Che senso ha criticare i confra-

telli brasiliani, quando non hanno fatto altroche seguire fino in fondo la strada aperta daMons. Fellay nell’estate del 2000?

Nel seno della Fraternità: esigenze impor-tanti, ma cattive soluzioni

All’interno della Fraternità (lo ha ancorasottolineato, a modo suo, il card. CastrillonHoyos) (77) vi è una netta divisione tra quan-ti auspicano un accordo e quanti lo temono.Entrambi, a mio parere, hanno le loro ragio-ni, ed entrambi hanno i loro torti.

I fautori dell’accordo manifestano (nongiudichiamo la loro sincerità e buona fede)un’esigenza cattolica: è impossibile, ricono-scendo Giovanni Paolo II, essere separati dalui e dalla Chiesa. A volte, questa esigenzacattolica è presentata in modo pragmatico: ilnostro apostolato – dicono – è gravementeintralciato dal timore che hanno i fedeli diessere scomunicati o scismatici… Ma sussi-ste anche un argomento più fondato: quellodel rischio di diventare una Piccola Chiesasostanzialmente scismatica. L’abbé Aula-gnier e l’abbé Simoulin, tra gli altri, hannosegnalato questo pericolo, che più che unpericolo mi pare essere, di fatto, una realtà.

Tuttavia, anche quanti temono l’accordoe lo ostacolano manifestano un’esigenza cat-tolica: quella di difendere la purezza dellaFede, che spinse Mons. Lefebvre e Mons.De Castro Mayer a rifiutare il Vaticano II ela riforma liturgica.

Entrambi si rifanno, a ragione, a Mons.Lefebvre: perché fu Mons. Lefebvre a rifiutarele riforma conciliari in nome della fede e, nellostesso tempo, a riconoscere l’autorità che que-ste riforme aveva promulgato col proposito diimporle a tutti. Entrambi, poi, hanno ragionenel segnalare i pericoli insiti nella posizionedell’altro partito: gli uni, sottoscrivendo un ac-cordo pragmatico, finiscono per sottoscrivereimplicitamente il Vaticano II e la liceità dellariforma liturgica, in attesa di farlo esplicita-mente, come Dom Gérard, ad esempio. Gli al-tri hanno già creato le strutture di una Chiesaseparata, come abbiamo dimostrato pubbli-cando il nostro dossier sui tribunali della Fra-ternità, ed elaborando una teologia gallicana,antiromana e anti-infallibilista.

Com’è possibile che entrambi i partitiabbiano torto? Cosa fare, se entrambe le so-luzioni sono da scartare? Non ci troviamo difronte ad un caso perplesso?

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No. La radice del dilemma si trova nel-l’originaria posizione contraddittoria (rico-noscere l’Autorità, rifiutarne però il magi-stero, la disciplina, la legislazione…). La so-luzione al dilemma consiste nel rifiutodell’originale posizione contraddittoria… Sela fede ci impone di rifiutare le riforme, èperché l’autorità che le ha promulgate e im-poste non è l’Autorità.

Dobbiamo pertanto rifiutare ogni contattocon chi occupa materialmente la Sede Apo-stolica e le Sedi episcopali? La soluzione cheproponiamo.

Mons. Lefebvre considerava nel sedeva-cantismo soprattutto questo aspetto: “nonvogliono che io vada a Roma a parlare coicardinali!”. La cosa gli sembrava assurda.Ma è proprio così?

Certo, in una prospettiva simpliciter se-devacantista, può essere così. Se quanti oc-cupano le Sedi episcopali sono degli anticri-sti (come ebbe a dire Mons. Lefebvre, ancheparlando della Sede Romana) il solo occu-parsi di loro sarebbe un tradimento.

Se invece quanti occupano le Sedi sonole legittime Autorità (come ancora ebbe adire Mons. Lefebvre) non dobbiamo iniziaretrattative, ma chiedere perdono della nostradisobbedienza.

Infine, se, come penso, costoro non han-no l’Autorità ma occupano legalmente le se-di episcopali, allora il nostro dovere non èquello di obbedire (si obbedisce solo all’Au-torità legittima) e neppure quello di scomu-nicare (non essendo noi stessi l’autorità, nonne abbiamo il potere), e neppure quello ditrattare (la fede non è oggetto di trattative).Il nostro dovere, e la nostra forza, è quello ditestimoniare pubblicamente la nostra fede.

Dobbiamo pertanto:ribadire la nostra adesione all’insegna-

mento autentico della Chiesa,condannare, per quanto è in noi, ogni in-

segnamento contrario, anche se provenientedall’“autorità”,

chiedere conto all’“autorità” di questacontraddizione,

invitare gli occupanti delle Sedi episco-pali a ribadire pubblicamente l’insegnamen-to della Chiesa, e condannare il nuovo inse-gnamento ad esso contrario,

invitare i Vescovi che hanno aderitoall’insegnamento della Chiesa e condannato

quello conciliare a chiedere, in nome dellaChiesa stessa e della loro autorità ritrovata, atutti i loro confratelli nell’episcopato - inclu-so Giovanni Paolo II - a unirsi a loro in que-sta professione di Fede e in questa condanna,

invitare detti Vescovi a constatare la per-dita dell’autorità di coloro che si rifiutasserodi accogliere la loro monizione, e a provve-dere, in un concilio generale imperfetto, aristabilire l’autorità nella Chiesa.

Non condanniamo, quindi, un prudentedibattito dottrinale con chi aderisce al Vati-cano II. Condanniamo invece un compro-messo a spese della dottrina, che non puòcerto essere compensata da una Ammini-strazione Apostolica.

Questa attitudine potrà sembrare unautopia ai più. Lo è molto di meno di quantosi possa credere. Fin dalla chiusura del Vati-cano II l’abbé de Nantes ha composto unasilloge di errori del Vaticano II e di PaoloVI, accusando quest’ultimo di apostasia,eresia e scisma, invitando i cardinali a farpropria la condanna delle dottrine erronee ecostringendo Paolo VI a pronunciarsi solen-nemente su questo tema. Con la promulga-zione del nuovo messale, i cardinali Ottavia-ni e Bacci ne hanno contestato – sottoscri-vendo il Breve esame critico di Padre Gué-rard des Lauriers – l’ortodossia dottrinale,costringendo Paolo VI a sottoporre il testodel messale a un seppur sommario esamedottrinale. Nello stesso tempo, il vescovo re-sidenziale di Campos, Mons. Antonio deCastro Mayer, inviava a Paolo VI uno studiodi X. Vidigal da Silveira contro il nuovomessale, e una critica dottrinale del docu-

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mento conciliare sulla libertà religiosa, solle-vando anch’egli, come l’abbé de Nantes, ilproblema dell’autorità, facendo studiare ilcaso classico del “papa eretico”. Più tardi,Mons. Lefebvre, interrogato dalla Congre-gazione per la Dottrina della Fede, espose lesue critiche a Dignitatis humanæ, con i suoiDubia (pubblicati poi col titolo Mes doutessur la liberté religieuse). In tutti questi casi,però, veniva riconosciuta l’autorità di PaoloVI o di Giovanni Paolo II. Più rettamente,Padre Barbara e l’abbé Barthe si rivolsero anumerosi vescovi residenziali del mondo in-tero, per spronarli a condannare gli erroridel Vaticano II e dichiarare la vacanza dellaSede Apostolica. Ancora più rettamente,padre de Blignières redasse la Lettre à quel-ques évêques sur la situation de la sainteEglise, contenente le proposizioni erroneedel Vaticano II e di Giovanni Paolo II, invi-tando i Vescovi ad approvare questa con-danna. In questo appello, sottoscritto da nu-merosi teologi e dallo stesso Mons. de Ca-stro Mayer, l’autorità di Giovanni Paolo IInon è riconosciuta (viene definito, qual è:l’occupante della Sede Apostolica) ma nonviene neppure apertamente impugnata; edin questa sede dobbiamo deplorare questaambiguità, dovuta al dissidio intercorso conl’ideatore dell’iniziativa, Padre Guérard desLauriers, in seguito alla sua consacrazioneepiscopale. Iniziativa che non ebbe seguito,forse perché Dio non la benedisse, forseperché non erano maturi i tempi, certo per-ché Ecône la ostacolò. Il passare del tempo,però, non va contro le nostre speranze comesi sarebbe potuto credere. Recentemente,due vescovi che avevano abbracciato il Con-cilio, lo hanno pubblicamente sconfessato;se uno è deceduto, l’altro è ancora vescovoresidenziale. Essi hanno aderito, certo, allaposizione della Fraternità San Pio X; ciònon toglie che è possibile (contra factumnon fit argumentum) che dei vescovi resi-denziali condannino gli errori e professino lafede. A mio parere è in questa direzione chedobbiamo muoverci. Se è vero, come sosten-gono i fautori dell’accordo, che molti prelati,vescovi e cardinali, stanno lentamente cam-biando posizione in favore della retta dottri-na, la conclusione pratica che ne dobbiamodedurre non è quella che sarebbe venuto iltempo di un accordo pragmatico e discipli-nare (o anche solo liturgico) che metterebbeda parte le questioni di fede per far coesiste-

Un altro momento della cerimonia di “riconciliazione” di Campos

re verità ed errore; ciò significa al contrarioche dobbiamo – con studi teologicamenteseri e, con grande cautela, da parte di chi neha competenza, anche con un rapporto per-sonale - fare di tutto per confutare l’errore,illustrare la verità, e convincere gli occupan-ti delle Sedi apostoliche o i membri del col-legio cardinalizio (per lo meno alcuni di es-si) a fare altrettanto. Mons. Lefebvre eMons. de Castro Mayer sarebbero state lepersone più adatte a tale compito, ma hannoscelto una via diversa che non porta allachiarezza; non è detto che la Provvidenzanon si voglia servire, prima o poi, di altristrumenti, sempre in conformità, però, conla divina costituzione della Chiesa che è fon-data su Pietro e sull’episcopato subalterno.

Ci sarà qualcuno, nella stessa FraternitàSan Pio X o in altre comunità “tradizionali”,che sia disposto a prendere in considerazionequesto programma? È quello che ci auspi-chiamo, ed è l’intenzione che raccomandia-mo alla Madonna Santissima Ausiliatrice.

Note

1) Più corrente, e anche significativa… Il termine“Roma” infatti non è una espressione geografica, maviene utilizzato al posto di “Papa” o “Chiesa”: infatti, ilPapa è il Vescovo di Roma e la Chiesa è cattolica, apo-stolica e romana. Se al posto del termine “Roma”, uti-lizzato con pudore dalla Fraternità – come un tempodai gallicani o dai regalisti che pretendevano opporsi al-la “corte romana” – si ponesse il sinonimo “Papa” o“Chiesa”, risulterebbe più chiara la gravità delle affer-mazioni lefebvriane.

2) I documenti di questa vicenda sono stati pubbli-cati nel volume “Mgr Lefebvre et le Saint-Office”, editoin Francia da Itinéraires e in Italia da Volpe.

3) In questo clima si procedette – all’interno dellaFraternità – all’espulsione dei sacerdoti e seminaristicontrari all’accordo. Si veda l’articolo Due lettere peruna storia tutta da scrivere pubblicato su 30 Giorni (n. 7,luglio 1988, p. 10). Le due lettere di Mons. Lefebvre aGiovanni Paolo II, rispettivamente dell’8 marzo 1980 edel 4 aprile 1981, sono state pubblicate anche da Sodali-tium, n. 17, pp. 15-16.

4) “Mi auguro la coesistenza pacifica dei riti pre epost conciliari. Che si lascino i preti ed i fedeli decidere aquale famiglia di rito preferiscono appartenere” (letteradi Mons. Lefebvre al presidente di Una Voce Interna-zionale, del 17/9/1976). Il 3 marzo 1977, Mons. Lefebvrepreconizzava come soluzione la coesistenza di “parroc-chie personali” della Fraternità e parrocchie col nuovomessale, pur ammettando che si tratterebbe di “una si-tuazione un po’ ibrida” (cf D.I.C.I., n. 7). Vedi ancheLettera agli amici e benefattori n. 16.

5) Sodalitium (nov.-dic. 1984) pubblicò il seguente“Comunicato ai nostri amici e benefattori”: “Con il de-creto del 3 ottobre 1984, la Congregazione Romana peril Culto Divino ha nuovamente permesso la celebrazione

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pubblica della Messa di sempre a certe condizioni.Chiunque leggerà questo decreto capirà che le condizio-ni formulatevi sono per noi inaccettabili e che perciò ilsuo contenuto risulta difficilmente applicabile [quindipur sempre applicabile!, n.d.r.] alla nostra opera. Nono-stante ciò, ci rallegriamo per questa decisione della SantaSede perché da un lato essa è un primo passo verso uncambiamento notevole nella via disastrosa in cui la Chie-sa era stata coinvolta, e d’altra parte i sacerdoti e i fedeliche fino a ora restavano legati alla nuova messa a causad’un falso concetto d’obbedienza possono ora senza ec-cessive difficoltà ritornare al Santo sacrificio della Messadi sempre. Constatiamo in questi due fatti un grandeprofitto per la vita della Chiesa e la salvezza eterna delleanime. Rickhenbach 18 ottobre 1984. Don Franz Sch-midberger”.

6) Nella “Petizione al Santo Padre” che donSchmidberger fece pubblicare nello stesso numero diSodalitium (p. 31) si legge: “chiediamo rispettosamente efilialmente a Vostra Santità:

- Che venga riconosciuta ad ogni sacerdote la libertàdi utilizzare il Messale Romano e i libri liturgici in vigo-re nel 1962.

- Che cessi perciò, per Sua Eccellenza Mons. Lefeb-vre e i suoi sacerdoti, l’ingiusta situazioni in cui li si èmessi.

- Che la Fraternità Sacerdotale San Pio X venga ri-conosciuta nella Chiesa come società di diritto pontificioe prelatura personale”.

La terza domanda del 1984 è attualmente la propo-sta ufficiale che il card. Castrillon-Hoyos fa alla Frater-nità, la quale ha posto come condizione l’ottenimentodelle due prime domande di allora, adattate ai tempipresenti.

7) Cf Aulagnier, p. 191.8) Il Card. Ratzinger e Mons. Lefebvre si incontraro-

no e firmarono un comunicato congiunto il 14 luglio 1987.9) Ecco il commento dell’abbé Aulagnier a questi

fatti: Mons. Lefebvre (…) è un pragmatico molto più cheun cerebrale: fino alla fine ha cercato un accordo col Va-ticano e non si è tirato indietro, che il 30 maggio 1988,quando ebbe l’intima convinzione che l’accordo (che ave-va appena firmato) era votato all’insuccesso…” (p. 187).

10) Lo ricorda Stefano Maria Paci, ancora su 30Giorni (n. 9/2001, p. 37; ed. francese: n. 9/2001, p. 7), in-tervistando Mons. Fellay: “Mons. Fellay, lei venne ordi-nato vescovo il 30 giugno del 1988 e il giorno stesso ven-ne scomunicato latæ sententiæ. Il giorno dopo, monsi-gnor Lefebvre mi confidò, in un’intervista ‘a cuore aper-to’: ‘Queste ordinazioni ho dovuto farle, altrimenti lamia opera sarebbe scomparsa e con essa la Tradizionedella Chiesa. Ma entro quattro, cinque anni al massimo,Roma finirà per trovare un accordo con noi’. Per giusti-ficare un eventuale cambiamento di rotta da parte dellaFraternità, l’attuale superiore del distretto francese,abbé Laurençon, scrive: “che Mons. Lefebvre non havoluto legarci per l’eternità alla parte prudenziale dellesue decisioni, le sue espressioni in occasione delle consa-crazioni lo testimoniano. (…) ‘Bisognerà senza dubbioaspettare senza dubbio ancora qualche anno perché Ro-ma ritrovi la sua tradizione bimillenaria’ (19 giugno1988)” (Fideliter, n. 132, nov.-dic. 1999, p. 2). L’abbéAulagnier riporta che Mons. Lefebvre non volle consa-crare vescovo l’abbé Schmidberger, allora superiore ge-nerale, in vista di una ripresa futura delle trattative (cfAulagnier, La Tradition sans peur, Servir, Paris, 2000,p. 177).

11) Abbé Philippe Laguérie, Le pape, la messe et lapaix, editoriale del n. 52 (febbraio 2001) di Pacte, ripre-so da D.I.C.I., n. 1, 30 marzo 2001.

12) Sodalitium, n; 48, pp. 52-53.13) Cf Aulagnier, La Tradition sans peur, op. cit.,

pp. 229-237.14) Alètheia, n. 7, 5 gennaio 2001, p. 4.15) Ibidem.16) Alètheia, n. 6, 19 dicembre 2000, p. 2.17) “Avevamo comunicato la nostra iniziativa al

Comitato organizzatore già due anni fa. Quindi, nessunasorpresa fuori programma” (intervista di Mons. Fellay aMassimo Mamoli, Il Giornale, 9 agosto 2000, p. 15). Loricorda anche S.M. Paci su 30 Giorni, n. 9/2000, p. 36.Mons. Fellay chiese di celebrare in San Pietro, pur sa-pendo che ciò non sarebbe stato possibile: abbiamochiesto il massimo per ottenere il possibile”.

18) La notizia, nota ai più, è stata poi riportata daChiron su Alétheia, n. 6, 19 dicembre 2000, p. 1.

19) Eppure, in linea di principio, i membri dellaFraternità, in quanto “scomunicati”, dovrebbero essereesclusi dalla possibilità di lucrare le indulgenze…

20) Cf Lettre à nos frères prêtres, n. 8, dicembre2000, Alètheia, n. 6, 19 dicembre 2000, p. 1.

21) Monde et vie, n. 675, 16 novembre 2000, p. 13.22) L’intervista di Mons. Fellay a Stefano Maria

Paci (Se il Papa mi chiamo, io vado. Anzi, corro) è statapubblicata su 30 Giorni, n. 9, settembre 2000, pp. 36-39,seguita da un commento di Paci (La loro fede era evi-dente), pp. 40-41; nell’edizione francese si trova alle pp.6-9, e il commento di Paci alle pp. 10-11. L’intervistadel card. Dario Castrillon Hoyos a Gianni Cardinale(Segno di fede profonda) è stata pubblicata su 30 Giornin. 11, novembre 2000, pp. 18-21. Nell’edizione francesesi trova alle pp. 16-19.

23) Proprio il n. 9 di 30 Giorni (ed. italiana) conte-nente l’intervista a Mons. Fellay, aveva come allegato illibro di Andreotti, I quattro del Gesù (già recensito daSodalitium) ove si chiede la riabilitazione del capo delmodernismo italiano, Ernesto Buonaiuti.

24) Mons. Fellay allude a quanto rivelò, in seguito,il card. Stickler, uno dei membri di questa commissione.Le proposte della commissione sono state pubblicatedall’abbé Aulagnier (op.cit., p. 335) che le definisce “unvero piano di pace o il suo inizio”. Non se ne fece nien-te, per l’opposizione dell’episcopato.

25) Facciamo notare al lettore che Sodalitium giu-dica i propositi del cardinale Castrillon Hoyos del tuttodignitosi e coerenti se si presuppone – come per lui evi-dente – la legittimità di Paolo VI e Giovanni Paolo II.Da questa legittimità segue logicamente la necessaria esincera accettazione del Concilio Vaticano II, dellariforma liturgica, ecc. L’incoerenza è tutta dalla partedella Fraternità San Pio X, la quale riconosce l’autoritàdi Paolo VI e Giovanni Paolo II (“se il Papa mi chiama,io corro”) per poi rifiutare e condannare quanto il “Pa-pa” ha decretato e stabilito…

26) Intervista di Mons. Fellay all’abbé de Tanouarne Maxence Hecquard, pubblicata dalla rivista Pacte (n.56, estate 2001, pp. 1, 3-5) e ripresa dalla agenziaD.I.C.I., n.16

27) “Tutto è cominciato con l’impressione positivache la nostra visita giubilare lasciò a Roma in agostoscorso (…) in seguito a questi giorni di intensa preghiera,la rivista 30 giorni accordava un lunga intervista a Mons.Bernard Fellay, superiore generale della nostra Frater-nità. Una delle sue frasi risuonò particolarmente nei cor-

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ridoi vaticani: ‘se il Papa mi chiama vado, o meglio cor-ro. Per obbedienza filiale verso il capo della Chiesa’ (30Jours, sept. 2000, p. 8). Nella stessa intervista Mons. Fel-lay precisava il quadro preliminare che avrebbe permessodelle discussioni fruttuose: dare a tutti i preti del mondola piena libertà di celebrare la messa tridentina”.

28) La segretezza adottata in questa prima fase del-le trattative, pur essendo comprensibile, è abbastanzainusuale nella storia della Fraternità. Chi ha vissuto aEcône ai tempi di Mons. Lefebvre sa come il Vescovofondatore della Fraternità informasse costantementenon solo i suoi sacerdoti ma persino i seminaristi diEcône delle sue eventuali trattative con “Roma”: an-nunciava i suoi viaggi, riferiva, al ritorno, sulle sue im-pressioni; pubblicava spesso, in seguito, i documenti re-lativi alle trattative (come nel caso del libro “Mons. Le-febvre e il Sant’Uffizio”). Certamente, Mons. Lefebvrenon diceva tutto a tutti… ma egli aveva abituato i suoicollaboratori ad una grande “trasparenza” (che scon-certava i responsabili della Curia romana, abituati – dasempre – a ben altra attitudine). In questa occasione,invece, Mons. Fellay lasciò completamente all’oscurodei suoi viaggi romani non solo i seminaristi – il che ècomprensibilissimo – ma anche i sacerdoti, superiori diseminario, superiori di distretto della Fraternità, i qualiseppero qualche cosa della situazione solo alla fine digennaio. Paradossalmente, persone estranee alla Fra-ternità (tra le quali noi stessi) risultarono perfettamenteal corrente della situazione quasi fin dal principio (cau-sa fughe di notizie). Inutile precisare che questa attitu-dine indispose molti superiori locali della Fraternità neiconfronti del Superiore generale.

La segretezza degli incontri di dicembre-gennaioera dovuta non solo all’intrinseca delicatezza delle que-stioni trattate, ma anche dal timore – che i fatti rivele-ranno fondato – una buona parte della Fraternità da unlato, dell’episcopato dall’altro, si sarebbe opposto allereciproche aperture di Giovanni Paolo II e Mons. Fel-lay. Tutto infatti procedette speditamente e senza in-toppi fino a che le trattative – a causa della fuga di noti-zie – non divennero di pubblico dominio.

29) L’agenzia stampa vaticana Zenit ha scritto cheMons. Fellay avrebbe assistito “alla messa del Papa”.L’interessato ha smentito questa circostanza durantel’intervista rilasciata a Pacte (“Alors ça, c’est un bo-bard” “Questa poi, è una frottola”) dichiarando aver in-contrato Giovanni Paolo II nella sua cappella privatasolo durante 5 minuti.

30) Roma felix, n. 4, aprile 2001, p. 1.31) Non mancheranno certo di accusarci, negli am-

bienti della Fraternità, di inventarci di sana pianta que-sta attitudine di Mons. Fellay. L’agenzia di stampa dellaFraternità D.I.C.I. riporta però delle parole del cardinalCastrillon Hoyos che sono estremamente significativeper confermare quanto da noi sostenuto (vedi questostesso articolo alla pag. 17 in fondo alla prima colonna).

32) Vi presero parte infatti, oltre ai membri di di-ritto tra i quali i due assistenti, Aulagnier e Schmidber-ger, entrambi favorevoli a un accordo – i vescovi Tissierde Mallerais, Williamson e de Galarreta, nonché padreRifan, in rappresentanza di Mons. Rangel, l’erede diMons. de Castro Mayer.

33) Nell’intervista a Pacte (n. 56) Mons. Fellay –dopo essere stato criticato per l’uso continuo da partesuo dell’espressione “conditions préalables” – corregge,senza dirlo, se stesso: “non si trattava a propriamenteparlare, come è stato scritto qua e là, di condizioni pre-

liminari: un cattolico non può sottomettere Roma a del-le condizioni!” Pacte n 56 pag. 3.

34) Pare che sia stato P. Rifan a chiedere l’introdu-zione di queste condizioni, che comunque, per quel cheriguarda la messa, sono sostanzialmente presentinell’intervista di Mons. Fellay a 30 Giorni.

35) Solo l’ingenuo entusiasmo dell’abbé Laguerie(oppure l’intenzione di vendere un po’ di fumo ai suoilettori) può pertanto trasformare l’accettazione di que-sta prima condizione da parte del cardinal CastrillonHoyos in una straordinaria prima vittoria della Frater-nità: “la prima condizione non poneva alcun problema.La seconda sì, poiché i tempi non sono ancora maturi.Lasciamo quindi maturarli… al sole delle vostre pre-ghiere, cari amici. Ma gustate di già la realtà della prima.Roma – papa e cardinale assieme – non vede alcuna dif-ficoltà a togliere questa famosa censura (…). La levatadella scomunica è un passo immenso per il bene e la pa-ce della Chiesa” (Mascaret, n. 228, marzo 2001, p. 1).L’abbé Laguerie non si accorge (?) che “la realtà” dellalevata della scomunica esiste solo nella sua fantasia.Roma è disposta a togliere la scomunica se – e soltantose – si giungerà a un accordo (come è evidente!). Per-tanto la “scomunica” è tuttora in vigore, anche se forsei lettori dell’abbé Laguerie non se ne sono accorti.

36) Cf P. Aulagnier, La Tradition sans peur, op.cit.,p. 335.

37) Bulletin St Jean Eudes, n. 64, avril 2001, p. 17.38) Al proposito Mons. Williamson diceva: “finché

un’organizzazione come la Fraternità ha la verità men-tre Roma non ce l’ha, la F. tiene le redini per un finecattolico, ed ogni comportamento, come le negoziazio-ni qualunque sia la loro forma o ampiezza, che permet-tesse a Roma di riprendere le redini equivarrebbe adun tradimento della verità”. Profeticamente, Mons.Williamson annunciava le divisioni interne della F.:“anche se le negoziazioni per ogni sorta di ragioni …non portano a nulla il semplice fatto di avere intrapresodelle negoziazioni avrà giocato in favore di Roma econtro la Fraternità. E questo perché ogni organismocattolico che resiste a Roma in stato di crisi, soffre unatensione interna inevitabile, tra coloro che sono favore-voli a restare vicini di nostra madre Roma, e coloro cheinvece sono favorevoli ad allontanarsi dalla sua lebbraneo-modernista. In questa maniera, tra i membri dellafraternità che sono per le negoziazioni e quelli che sonocontro, il fossato si allarga. Che Roma faccia un’offertacalcolata per piacere tanto agli uni quanto dispiaceràagli altri, e cosicché all’interno della F. la tensione au-menterà fino al punto di rottura. Roma avrà almeno di-viso se non vinto. (…) Al meglio ella otterrà delle con-cessioni incerte in cambio di una certa libertà; al peg-gio, in quest’affare ella non otterrà nulla se non la divi-sione. Col senno di poi, potremmo dire che il meglioper la F. in tali circostanze sarebbe stato, di non parlaredel tutto con Roma, cosa che per dei cattolici è più faci-le a dirsi che a farsi”. Infine Mons. Williamson non na-scondeva il suo timore che la F. cadesse. In quel casoDio avrebbe suscitato un’altra società al suo posto:“Allo stesso modo se la F. sarà infedele alla tradizioneessa cadrebbe inevitabilmente ed a giusto titolo. (…)Roma può dunque – nel peggiore dei casi – riuscire a ri-durre la F.S.P.X. alla paralisi e al silenzio; se ciò avve-nisse, non sarebbe che un giusto giudizio di Dio, e la ve-rità sarebbe mantenuta altrove. Di cosa è degna la F.adesso? Il tempo ce lo dirà. (…) Nessuno può soppri-mere Dio, malgrado ogni sforzo. Allora preghiamo in

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ogni modo per la F. perché le cose saranno molto piùfacili se essa tiene duro. Ma nello stesso tempo prepa-riamoci se essa segue la strada di tutto ciò che è carne,non lasciamoci prendere dal panico. ‘Dio solo’ dice S.Teresa d’Avila”.

39) “Il combattimento della tradizione non si limitaa richiedere la messa tradizionale. Più che mai, dovre-mo porci al livello superiore della fede: denuncia delConcilio, dell’ecumenismo, della nuova ecclesiologia,del nuovo Diritto Canonico, del nuovo catechismo, inuna parola della nuova religione conciliare. (…) Romaè eventualmente pronta a cedere in parte sulla Messa(magari ritrattando subito dopo) per fare abbandonareai cattolici di tradizione il combattimento della fede”:Cf Tour de david, febbr. 2001, p. 5.

40) Si dice che abbia vietato la predicazione ai do-menicani nei luoghi di culto controllati dalla Fraternità.

41) Philippe Laguérie, Le pape, la messe et la paix,in Pacte, n. 52, febbraio 2001, ripreso da DICI, n. 1, 30marzo 2001.

42) Aletheia, n. 12, 27 marzo 2001, p. 2.43) Philippe Laguérie, Le pape…, op. cit.44) Cfr Philippe Laguérie, Le Mascaret, n. 228,

marzo 2001.45) Si noti come l’abbé Simoulin non accusa il Con-

cilio, ma lo “spirito del Concilio”; il card. Ratzinger nonavrebbe nulla da ridire. La citazione è tratta da Romafelix, n. 2, febbraio 2001, p. 1.

46) Cf DICI, n. 9, 25 maggio 2001. Nel mese di gen-naio l’abbé Aulagnier aveva scritto un editoriale per ilnumero di febbraio del suo Nouvelles de chrétienté. Bul-letin Saint Jean Eudes (n. 62), dal titolo significativo: Etsi Rome décidait de se rapprocher de nous… (E se Ro-ma decidesse di avvicinarsi a noi). In questo editoriale,l’abbé Aulagnier fa sue le analisi dell’abbé Barthe (inCatholica, dicembre 2000, n. 70). L’abbé Aulagniersembra molto impressionato dal fatto che l’abbé Bartheabbia intervistato il card. Ratzinger, e lo considera unportavoce di quest’ultimo e del card. Medina nel mani-festare l’intenzione di questi Cardinali di riavvicinarsi acerti aspetti della liturgia tradizionale. Quel che è curio-so è che l’abbé Barthe, un tempo braccio destro di pa-dre Barbara nella lotta sedevacantista alla Tesi di padreGuérard des Lauriers, è ancor oggi – fino a prova con-traria – sedevacantista…

47) Di questo incontro con l’abbé Selegny, il card.Castrillon scrive, dopo più di un anno: “[egli] si èespresso in modo estremamente duro circa l’attuale ritodella Messa, affermando che è ‘malvagio’… Devo direche sono rimasto afflitto e perplesso” (cf Il Giornale del10 maggio 2002, p. 9, che pubblica degli estratti di unalettera del card. Castrillon Hoyos a Mons. Fellay del 5aprile 2002). Dobbiamo confessare che siamo stupiti –vista la tradizione delle Congregazioni Romane – nelconstatare come il Cardinale Castrillon ignori (a menoche egli finga di ignorare) il fatto che per la Fraternitàla nuova messa è cattiva in sé stessa (posizione ufficial-mente adottata dopo la fuoriuscita di don Cantoni, chedissentiva da questa posizione).

48) Nouvelles de chrétienté. Bulletin Saint Jean Eu-des, n. 64, aprile 2001, p. 17).

49) Su Cor unum, dove viene pubblicato il “Mot duSupérieur général” datato 28 febbraio 2001.

50) Comunicato da leggere ai fedeli (senza dar loroil testo) del 2 marzo 2001: Monsignor Fellay ha comuni-cato al cardinale la sua volontà di sospendere per un po’i contatti aspettando la realizzazione del primo prelimi-

nare…” , considerato indispensabile per non essere as-similati “ad uno zoo o a un parco per le specie in via diestinzione”!

51) Agenzia Zenit, 25 febbraio 2001. L’agenzia ri-corda che le relazioni tra il Vaticano e la Fraternità,malgrado la scomunica del 1988, sono continuate uffi-ciosamente per 12 anni; la ripresa visibile delle trattati-ve è coincisa col pellegrinaggio giubilare della Frater-nità. Nel suo seno però vi sono degli “irriducibili” che sioppongono a quanti invece “considerano necessario unriavvicinamento col successore di Pietro”.

52) DICI, n. 4, 20 aprile 2002. Mons; Fellay parla diuna riunione dell’Ecclesia Dei del 12 marzo, in seguitoalla quale il Card. Castrillon Hoyos, il giorno seguente,promise telefonicamente all’abbé Simoulin che la con-dizione posta dalla Fraternità sarebbe stata abbordatada Giovanni Paolo II nel motu proprio di riconosci-mento della Fraternità “pour ne faire éclater qu’unebombe à la fois” (Pacte, n. 56, estate 2001, p. 4).

53) Il 14 marzo, il quotidiano madrileno La Razonannuncia che il Vaticano studia la possibilità di accor-dare una prelatura personale ai lefebvriani. Il 18 Mons.Camille Perl, segretario della Commissione EcclesiaDei, conferma la trattativa (Agenzia Zenit). Il 22 è lastessa Sala Stampa vaticana a confermare le trattativeformali in corso, per cui il giorno seguente tutti i quoti-diani danno l’accordo per imminente.

54) Il fatto, incredibile ma vero, fu riferito dal su-periore del distretto italiano, Simoulin, a don Carandi-no, ma ha avuto anche eco sulla stampa (cf lettera alGiornale di F. Damiani (7 aprile 2001, p. 43). Il 25 mar-zo, a San Nicolas du Chardonnet, a Parigi, Mons. Tis-sier fece chiaramente intendere di non approvare lacampagna in favore dell’accordo condotta dall’abbéAulagnier, primo assistente del superiore generale e re-sponsabile della comunicazione.

55) L’articolo di Mons. Billé, arc. di Lione, è pub-blicato su La Croix il 21 marzo; il comunicato ufficiale(Non tutto è negoziabile) del card. Eyt, arcivescovo diBordeaux, datato 23 marzo, è pubblicato su La Croix il27 marzo ed il 15 aprile su La Documentation Catholi-que, e non è certo rispettoso per “Roma”.

56) Precisamente, per la festa di Pasqua, che cade-va il 15 aprile.

57) Il Giornale, 3 aprile 2001, DICI, 6 aprile 2001, n. 2.58) Si tratta infatti di sapere se la riforma liturgica

post-conciliare ed alcuni documenti conciliari sono, sì ono, in contrasto o in rottura col magistero della Chiesa el’ortodossia della Fede. La Fraternità parla di rottura,ma nel contempo riconosce l’autorità di chi, di questarottura, è responsabile. Il card. Ratzinger non può am-mettere la rottura, ma dovrebbe anche lui spiegare co-me questi nuovi documenti si concilino coi precedenti, ese lui abbraccia pienamente e sinceramente tutto il ma-gistero della Chiesa precedente il Vaticano II. Non ba-sta in effetti dire che la Chiesa ‘di oggi’ (rinnovata) è lastessa di quella ‘di ieri’ (da rinnovare): bisogna anche di-re se il rinnovamento è solo disciplinare o anche dottri-nale, e se della Chiesa ‘di ieri’ si accetta TUTTO l’inse-gnamento, poiché essa coincide con la Chiesa ‘di oggi’.

59) Secondo Mons. Fellay il Card. Castrillon te-lefonò all’abbé Simoulin “il Venerdì santo, 13 aprile”(Pacte, n. 56, p. 4).

60) DICI, n. 4, 20 aprile 2002: “Infine il 14 aprile, sifa sapere oralmente alla Fraternità che i ‘preliminari’ sonoimpossibili. Non sarebbe possibile sconfessare l’opera delConcilio e di Paolo VI. Il che avverrebbe se si realizzasse

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una liberazione totale in favore della Messa. (…) Ci vienedetto ancora che non è possibile dichiarare che questamessa studiata con attenzione e voluta dai papi, sia cat-tiva”. In queste ultime parole riconosciamo l’enunciazio-ne di principio indiscutibile del cattolicesimo, che a suotempo il card. Seper oppose a Mons. Lefebvre: “un fedelenon può mettere in dubbio la conformità con la dottrinadella fede di un rito sacramentale promulgato dal PastoreSupremo” (Mgr Lefebvre et le Saint-Office, Itinéraires,mai 1979, n. 233, p. 111, lettera del 16 marzo 1978). L’al-ternativa è pertanto: o la nuova messa è buona, oppurenon è stata promulgata dal Pastore Supremo. Per Mons.Lefebvre la nuova messa è cattiva, ed è stata promulgatadal Pastore Supremo. Per noi essa è cattiva, e non è statapromulgata dal Pastore Supremo.

61) Alètheia, n. 14, 14 maggio 2001, p. 4.62) Lo riporta lo stesso abbé Simoulin in una lette-

ra (in francese) ai sacerdoti del distretto (italiano) data-ta 13 giugno 2001. Naturalmente, scrivendo per i fedelilettori di Roma felix, l’abbé Simoulin ha omesso ognipolemica intera; ha però ripreso l’idea secondo la qualela Chiesa che dobbiamo amare “non è nemmeno laChiesa di Pio IX, di san Pio X o di Pio XII…la Chiesavive oggi nella realtà quotidiana ed è oggi come ieri laChiesa di Gesù Cristo, realtà sempre incarnata nella sto-ria umana e governata oggi da Giovanni Paolo II, Vica-rio di Gesù Cristo anche se ciò ci dispiace!”. L’abbé Si-moulin scrive questo perché “è facile credere di amarela Chiesa, mentre non si ama che una finzione dell’im-maginazione, una Chiesa che esiste solo nella nostramente, ma non nella realtà”. “Dobbiamo conservarel’amore per Roma, l’amore per Roma come è oggi, noncome era ieri”, scrive ancora l’abbé Simoulin. Eppure,parlando del Vaticano II, che per lui dovrebbe essereun Concilio della Chiesa di oggi, lo chiama “questo con-cilio maledetto” (tutto su Roma felix, n. 7-8, luglio-ago-sto 2001). Evidentemente, c’è qualcosa che non va nelragionamento…

63) L’intervista è stata ripresa anche da DICI, n. 8,agenzia stampa della Fraternità.

64) La lettera, del 16 giugno, si concludeva conqueste osservazioni che reputo a tuttoggi pertinenti:

“Questa è la mia impressione sulla Lettera. Natu-ralmente, lei sa che per me l’esistenza o no di trattativeo di un accordo è secondario per decidere se aderire omeno alla Fraternità. Per non aderire è sufficiente sape-re che la sua attuale dottrina (sul magistero, sull’infalli-bilità, sulla giurisdizione, sul Papa, sull’obbedienza…) èin contrasto col magistero. Che la Fraternità raggiungala San Pietro, o che resti una “piccola chiesa” dotata disuoi tribunali e di una sua “gerarchia della tradizione”,in entrambi i casi essa non può essere uno strumentoper essere fedeli alla Chiesa cattolica.

Rinnovo comunque i miei sentimenti di stima e diamicizia; chiedo e prometto preghiere. L’affido e mi af-fido alla Madonna del Buon Consiglio. P.S.: Un’ultima osservazione. Mons. Fellay chiede dipregare affinché “la Chiesa ritrovi il suo volto, senza ru-ghe, eterno…”. Ne dovremmo dedurre che – se lo deveritrovare – lo ha per il momento perduto. È quello cheGiovanni Paolo II dice della Chiesa del passato, quelladell’Inquisizione. Mons. Fellay, invece, lo dice della“Chiesa” del presente. Lo stesso problema quandoMons. Fellay parla del suo desiderio di terminare – acerte condizioni – “l’opposizione a Roma”. Quindi am-mette che egli si oppone a Roma (ovvero al Papa, allaChiesa). Questi problemi terminologici sono una conse-

LA MADONNA DEL BUONCONSIGLIO

don Curzio Nitoglia

La grazia santificante, le virtù infuse e i donidello Spirito Santo

S.Tommaso insegna che dove c’è lacontingenza (ciò che non è necessa-rio) vi è l’incertezza, per esempio non

è necessario che piova, quindi non sono cer-to se domani pioverà o no (1).

Il rapporto tra creature (o mezzi) e Crea-tore (o fine), non è determinato o necessita-to, ma varia secondo la diversità delle perso-ne, delle cose e delle circostanze; tutti vo-gliono la felicità in astratto, ma quando sitratta di specificare concretamente in qualeoggetto risieda la felicità si hanno molte ri-sposte diverse; inoltre quando occorre sce-gliere i mezzi per giungervi, la diversità deigusti è ancora maggiore; perciò l’uomo, cheè libero, deve cercare, riflettere e consigliar-si per trovare i mezzi migliori che lo condu-cano al fine ultimo.

Qui entra in gioco la libertà. Tutto di-pende dal consiglio e dalla scelta, sono que-sti che rendono l’uomo padrone dei suoi attie responsabile di essi.

«Dio da principio creò l’uomo - recita laS. Scrittura - e lo lasciò in balìa del suo consi-glio » (2).

Ora il termine del consiglio è l’azione dafarsi sul momento ed esso è regolato dallaprudenza, che è la virtù che ci fa scegliere imezzi migliori per cogliere il fine (3).

La prudenza: 1°) valuta i mezzi in ordine al fine (consi-

glio o “interrogatio”, mi interrogo: se voglioil fine quali sono i mezzi migliori da sceglie-re? la povertà, l’obbedienza e la castità per-fetta sono buoni per me qui ed ora?);

guenza del fatto che la Fraternità riconosce la legittimitàdi Paolo VI e Giovanni Paolo II. In questa prospettiva,è vero che la Chiesa avrebbe perso il suo volto, e che bi-sognerebbe opporsi a Roma. Ma queste parole suonanofalse per un cattolico, e per lo meno “offendono le orec-chie pie”! offesa che rivela un più grave errore dottrina-le, un errore di fondo… Ancora una volta, la “questionedel Papa” rivela la sua ineludibile importanza!”

65) Dopo che per più di sei mesi è stata utilizzato iltermine “condizioni prealables”, Mons. Fellay si è accor-to del fatto che non si possono porre condizioni al Papa:“Non si trattava a propriamente parlare, come è stato scrit-to da ogni parte di condizioni preliminari: un Cattoliconon può sottomettere Roma a delle condizioni!” (Mons.Fellay, intervista a Pacte, n. 56, Estate 2001, p. 3)… Ma lecondizioni – ribattezzate “marques” – rimangono!

66) La lettera di Mons. Fellay e la risposta di YvesChiron sono state pubblicate su Alètheia, n. 15, 24 giu-gno 2001, pp. 2-4.

67) Il testo della lettera è stato pubblicato su DICI,n. 15, 6 luglio 2001 e tradotto in italiano su Roma felix,n. speciale, agosto 2001, quello dell’Omelia su DICI n.14, 29 giugno 2001.

68) Mons. de Castro Mayer e Mons. Lefebvre han-no abbracciato sostanzialmente la stessa posizionenell’attuale situazione della Chiesa. Il presule brasilia-no, però, dava al suo clero una formazione più romanadi quello francese, erede quest’ultimo delle polemicheproprie al suo paese contro Leone XIII e Pio XI. D’al-tro canto, Mons. Lefebvre combattè vivamente contro isedevacantisti, escludendoli dalla Fraternità, mentreMons. de Castro Mayer, che sedevacantista non era,considerava lecita questa posizione. La collaborazionedi questi ultimi anni tra i due gruppi ha portato i brasi-liani ad escludere con maggior fermezza la soluzionedella Sede vacante. Era normale allora che il loro mag-gior rispetto della S. Sede e delle norme canoniche (do-vuto anche al fatto che Mons. de Castro Mayer restòvescovo residenziale fino ai 75 anni, permettendo al suoclero di esercitare il suo ministero in maniera canonica-mente legittima) inclinasse più facilmente i “preti diCampos” ad un accordo con Roma.

69) Il testo della lettera è stato pubblicato da DICIn. 39, 25 gennaio 2002 e su La Tradizione Cattolica .

70) DICI, n. 17. Intervista dell’11 luglio 2001. Ilgiornale torinese La Stampa fraintende, e annuncia il15 luglio l’imminente accordo Roma-Ecône.

71) Pacte, n. 62, febbraio 2002; Alètheia, n. 25, 3marzo 2002.

72) Tutti i documenti citati, e altri, si trovano ad es.su DICI, nn. 38-43. L’intero dossier dei documenti suCampos - con delle note critiche - è stato pubblicato tral’altro in Le sel de la terre, n 40, pp 152-180.

73) Campos, le 18 janvier 2002. Une victoire de laMesse de Saint Pie V in Nouvelles de Chrétienté, feb-braio 2002, n. 72.

74) Le sel de la terre, n. 39, inverno 2001-200275) Dal sito internet www.unavoce-ve.it, per il testo

italiano. Fideliter, n. 146, marzo-aprile 2002, per quellofrancese.

76) Testo francese in DICI, n. 44, 1 marzo 2002, coltitolo Le mot du Supérieur général, traduzione italianain La tradizione cattolica, n. 1 (49) 2002, pp. 8-10 col ti-tolo più impegnativo di Comunicato ufficiale di S.E.R.mons. Bernard Fellay circa l’accordo raggiunto tral’Unione Sacerdotale San Giovanni Maria Viannay(Campos- Brasile) ed il Vaticano.

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77) “Non ho mai voluto propiziare una divisionedella Fraternità San Pio X e dei suoi vescovi, anche seoggi sono convinto che non mancano nel vostro internopersone che non hanno più la vera fede nell’autenticatradizione della Chiesa”.

Vita Spirituale

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virtù di modo che possano essere vissute inmodo eroico, sovrumano e “divino”. Il donorende l’anima docile al soffio o all’impulsodello Spirito Santo e suo libero strumento,come una barca che accoglie il soffio delvento con le sue vele ben spiegate. Allora lascelta dei mezzi è fatta con facilità e sicurez-

za: è quasi lo Spi-rito Santo chela fa fare.

Maria e i donidello SpiritoSanto in gene-rale

Maria è ve-ra “Madre diDio”, di Gesù,che si è incar-nato, per operadello SpiritoSanto, nel suoseno verginale.Ella ha quindiuna dignitàquasi infinita(5). Inoltre Ellaè corredentri-ce, subordina-tamente a Cri-sto e dispensa-trice di ognigrazia.

Oggi vi ènon solo unagrande corru-zione morale,

ma - come dicevaPio XII - “si è perso il senso del peccato, delbene e del male”. Vi è una gran confusionedi idee, si è persa la nozione di verità, si giu-stifica e anzi si esalta il male morale e si de-nigra il bene. Quindi occorre risanare so-prattutto l’intelligenza umana e poi fortifica-re la volontà. La scelta dei mezzi migliori èdiventata difficilissima e senza l’aiuto dellagrazia divina l’uomo è sballottato dallo scet-ticismo intellettuale e dalle passioni morali.

Necessità della devozione a Maria e alloSpirito Santo

Leone XIII ha scritto un’enciclica sulloSpirito Santo in cui insegna che: «lo Spirito

2°) giudica i mezzi esaminati dal consi-glio (giudizio: sì voglio questo mezzo qui edora - per esempio la castità, povertà e obbe-dienza- per raggiungere il fine);

3°) finalmente comanda l’esecuzione delconsiglio e del giudizio all’azione concreta(precetto o “electio”, ordino e scelgo l’ese-cuzione di prende-re tale mezzo -entrare in reli-gione - per otte-nere il fine).

La prudenzaè frutto di eser-cizio e di espe-rienze positive enegative. La ve-ra prudenza ren-de l’uomo abilea risolvere ilproblema dellasua vita, sce-gliendo i mezzimigliori per ot-tenere il fine ul-timo (cfr. il Prin-cipio e fonda-mento degli E-sercizi Spiritualidi S. Ignazio).

S. Paoloscrive «volere ilbene è alla miaportata, ma ilpraticarlo no»(4). L’uomo feri-to dal peccatooriginale ha bi-sogno della medici-na della grazia, con cui può vincere il male efare il bene. La grazia di Dio santifica l’essen-za dell’anima ed è seguita dalle virtù e dai do-ni dello Spirito Santo, che ci rendono capacidi agire soprannaturalmente.

La virtù di prudenza infusa corrobora laragione umana, affinché scelga, libera dallepassioni, i mezzi per cogliere il fine; ma lavirtù anche se è infusa e soprannaturalequanto alla sua natura, è umana quanto almodo di agire. Per esempio: sono io che ri-fletto con la ragione, illuminta dalla fede, suquali possano essere i mezzi da prendere quied ora. Mentre i doni dello Spirito Santo, so-no soprannaturali anche quanto al modo diagire, vale a dire aiutano e perfezionano le

Paraclito avrebbe compiuto nel mondol’opera [della Redenzione] cominciata daGesù Cristo. Ciò significa che il compimentoe perfezionamento della Redenzione era ri-servato alla Virtù molteplice di questo Spiri-to» (6). In breve la devozione al Paraclito ènecessaria per salvarsi in quanto Egli com-pie ciò che Gesù ha iniziato, quindi senzadevozione allo Spirito Divino la nostra san-tificazione e salvezza sarebbe incompiuta eimperfetta o manchevole.

Il teologo domenicano Antonio RoyoMarin scrive: «I doni dello Spirito Santo sononecessari alla perfezione delle virtù infuse.Sono necessari per la salvezza eterna. (…) IlDottore angelico nella Somma Teologica (I-II, 68, 2) si pone la questione se i doni sianonecessari per la salvezza dell’uomo e rispondedi sì. Per provarlo si rifà all’imperfezione concui noi possediamo e viviamo le virtù infuse,secondo un modo umano... quindi nessun uo-mo può giungere all’eredità del Cielo se non èmosso e condotto dallo Spirito Santo» (7).

Per quanto riguarda Maria, San LouisGrignion de Montfort scrive: «Lo SpiritoSanto, con Lei... ha realizzato il suo capola-voro, che è un Dio fatto uomo, e tutti i gior-ni, sino alla fine del mondo, dà vita ai prede-stinati e ai membri di questo Capo adorabi-le. Perciò quanto più lo Spirito trova Ma-ria... in un’anima, tanto più diviene operosoper formare Gesù Cristo in quest’anima» (8).Il Santo continua: «Dio Spirito Santo vuolformarsi degli eletti in Lei e Le dice: “Mettiradici nei miei eletti” poni la radice di tutte leTue virtù nei miei eletti, perché crescano divirtù in virtù e di grazia in grazia. ...QuandoMaria ha messo le Sue radici in un’anima, viproduce meraviglie di grazia, quali Essa sol-tanto sa compiere, perché Lei soltanto è laVergine feconda che non ebbe, né avrà maichi La eguagli in purezza e fecondità. Inunione con lo Spirito Santo Maria ha colla-borato all’Incarnazione del Verbo. Di con-seguenza Ella compirà anche le più grandimeraviglie degli ultimi tempi. La formazionee l’educazione di grandi Santi... Quando loSpirito Santo, suo sposo, trova Maria inun’anima, vola ed entra con pienezza in que-st’anima, e le Si comunica tanto più abbon-dantemente quanto maggior posto essa faalla Sua sposa» (9).

In breve è volontà di Dio che ci santifi-chiamo. Per santificarsi occorre praticare levirtù con l’aiuto della grazia di Dio. Per tro-

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vare la grazia occorre trovare Maria, perchésoltanto Lei ha trovato grazia presso Dio,per Sé e per tutti gli uomini. Ella è la MaterDei et Mater gratiae: Dio Padre dando DioFiglio a Maria Le ha dato ogni grazia e l’hacostituita tesoriera e dispensatrice universa-le di tutte le grazie. Come nell’ordine dellanatura un neonato deve avere un padre euna madre così è nell’ordine della grazia ilgiustificato deve avere Dio per padre e Ma-ria per madre spirituale. Maria ha formato ilCapo del Corpo Mistico e forma anche lemembra di esso. Inoltre lo Spirito Santo cheL’ha scelta come sua sposa ha formato inLei il suo capolavoro, Gesù, e continua aprodurre tutti i giorni in Lei e per mezzo diLei i predestinati; questi ricevono da Mariatutta la loro forza, i buoni consigli ed ognialimento spirituale. Come Gesù è venuto anoi passando per Maria così noi dobbiamopassare per Maria per andare a Gesù (ad Je-sum per Mariam) (10).

Quindi senza vera devozione a Maria eallo Spirito Santo non è possibile salvarsi.

Attualità della devozione alla Mater BoniConsilii

Ecco l’attualità e la necessità della devo-zione alla Madonna del Buon Consiglio, cheè il nostro “direttore spirituale” e ci ottienee ci dispensa la luce per scegliere bene e laforza per mettere in pratica la scelta. Ella è“l’acquedotto dello Spirito Santo” (S. Ber-nardo) e il “còllo del Corpo Mistico” (laChiesa) di cui Gesù è il capo e lo Spirito Pa-raclito l’anima.

Il dono della fortezza e di consiglio

Tra i sette doni, oggi, il più necessario(non il più nobile) mi sembra sia quello del-la fortezza, intimamente correlato a quellodel consiglio, infatti esso ci dà la forza perfarci compiere quel che l’intelletto ha cono-sciuto grazie al consiglio.

Esso irrobustisce l’anima affinché prati-chi le virtù eroicamente, con la fiducia in-crollabile di superare ogni ostacolo e perico-lo. «Il dono della fortezza è assolutamentenecessario per la perfezione delle virtù infu-se e a volte per la semplice permanenza nel-lo stato di grazia... È proprio del dono dellafortezza eliminare ogni motivo di timorenell’anima, sottomettendola alla mozione di-

retta del Paraclito... che le dà una fiducia euna sicurezza irremovibili» (11).

Secondo S. Gregorio Magno al dono del-la fortezza si oppone il timore eccessivo o ti-midezza, accompagnata da una certa debo-lezza naturale, che nasce dall’amore della vi-ta comoda e ci impedisce di intraprenderegrandi cose per la gloria di Dio mentre cispinge a fuggire il dolore e l’abiezione (12).

Padre Louis Lallemant S.J. scrive: «Millepaure ci impediscono di progredire nella viadel Signore, ciò non avverrebbe se ci lascias-simo guidare dal dono del consiglio e seavessimo il coraggio comunicatoci dal donodi fortezza; ma ci lasciamo vincere dalle mi-re umane e allora tutto ci fa paura... Biso-gnerebbe non temere che il peccato, affron-tare ogni pericolo e desiderare gli affronti ele persecuzioni» (13).

La Madonna stessa «ebbe bisogno del do-no della fortezza, nelle ore in cui la spada... siaffondava così dolorosamente nel suo ani-mo... sino alla morte mistica del Calvario, do-ve immolandosi con Cristo divenne la Reginadei martiri... Oggi ancora Maria ... è la celesteguerriera [la fede senza le armi è morta, n.d.a.]che marcia in testa alle armate del regno diDio. Quante volte la troviamo presente nelleore più buie della storia della Chiesa... La vit-toria di Lèpanto si rinnova continuamente inmezzo a noi» (14). Inoltre «la Madonna... permezzo del potere misterioso che le viene par-tecipato dallo Spirito Santo... veicola in noi laluce e la forza di Dio, e illumina la nostramente, muove la nostra volontà, accende ilnostro cuore, sostiene le nostre forze» (15).

Secondo S. Gregorio Magno lo spirito difortezza ci fa vincere la pusillanimità, ossiala mollezza e l’abbattimento davanti ad unobbligo un po’ costoso; il torpore che ometteil dovere o lo fa malamente; la divagazionedello spirito che si distrae facilmente nellostudio e nella preghiera; l’instabilità del cuo-re che ci rende simili a banderuole esposte alvento; la malizia o cattiveria della volontàche può portarci sino al rancore il quale cifa perdere lo stato di grazia santificante.

Il dono del consiglio - secondo Giovannida San Tommaso O.P. - viene dal grande abis-so della Divinità, come la pioggia viene dallenubi ed esse dall’oceano, così il dono del consi-glio viene dall’oceano infinito che è lo SpiritoSanto o abisso della Deità. Da tale abisso ocea-nico (Spirito Paraclito) viene la nube (Mariadel buon consiglio) che ci dà le piogge spirituali

(Gesù e la grazia santificante) le quali feconda-no le anime, se i consigli nati da Dio SpiritoSanto (oceano) producono e prorompono inaffetto e amore verso Dio e il fine ultimo (16).

Il grande teologo domenicano continua:chi ascolta e risponde e mette in pratica ilconsiglio (nubi o Maria) è bagnato dallapioggia benefica (Gesù o grazia abituale) nelsuo cuore e tale pioggia ritorna all’oceano in-finito che è Dio visto faccia a faccia nella vi-sione beatifica. Infatti l’uomo che vive retta-mente ascoltando i consigli di Dio e della suaSantissima Madre Maria e che cerca diconformarsi soltanto alla volontà divina e aidisegni dell’Altissimo, anche a costo di gran-di sacrifici (Giobbe, Giona, Gesù), costui haper guida Dio Spirito Santo e la sua castissi-ma sposa Maria e può ben dire: “consiliummeum sententiae tuae Domine et Domina”.

Tutti gli eletti hanno il dono del consi-glio in grado sviluppato, infatti chi nonascolta i consigli di Maria non può entrare inCielo, come Esaù che disprezzava i consiglidi Rebecca, figura di Maria, o Giuda che di-sprezzava quelli di Maria in persona.

Il consiglio è un parere che ci è dato daqualcuno, infatti molte volte non siamo ca-paci di decidere da noi stessi, ma dobbiamodomandar consiglio. «A partire da un buonconsiglio può dipendere la fortuna, l’onore,la vita stessa, quanti rimpianti, lacrime, puòrisparmiarci! Ora, nell’affare più importantedella nostra vita, la salvezza o la dannazioneeterna, lo Spirito Santo vuole essere perso-nalmenete il nostro consigliere, assieme allaMadre del buon consiglio sua castissimasposa, mediante il dono del consiglio» (17).

Il grande nemico di questo dono è l’ava-rizia, che ci mantiene attaccati a questa terra

San Gregorio Magno, tradizionalmente raffigurato conlo Spirito Santo che gli parla all’orecchio

“come dei rospi” (S. Louis Grignion deMontfort), mentre il consiglio di Dio ci fascegliere i mezzi migliori per cogliere il Cie-lo (S. Benedetto Cottolengo diceva “bruttaterra, bel Paradiso”). Esso ci distacca da noie da tutte le creature e ci rende disinte-ressati. L’avarizia invece produce la «durez-za del cuore o insensibilità di fronte ai biso-gni del prossimo in difficoltà; la furbizia ofalsità che procedono a forza di inganni, dimenzogne per ottenere i beni di questomondo; la frode che è la conseguenza prati-ca della furbizia e passa dalle parole agli at-ti; la violenza che certe volte bisogna usareper ottenere ciò che non ci appartiene e chedesideriamo smodatamente; infine la perfi-dia o tradimento, infatti l’avaro è capace ditradire anche suo padre e sua madre per ibeni e le ricchezze di questo mondo» (18).

Il consiglio dei consigli è bonum facien-dum, malum vitandum. Che Maria SS., ma-dre del buon consiglio, della divina grazia edella fortezza dell’Altissimo, ci dia anche laforza di metterlo in pratica.

Maria e la nostra santificazione

Se l’anima corrisponde alle grazie attualiche Dio le elargisce - tramite Maria - e vivele virtù cristiane eroicamente - grazie ai donidello Spirito Santo - allora produce atti divirtù che possono essere paragonati ai fruttisuccosi di un albero e riempiono il cuore didolce e soave gioia spirituale: i Frutti delloSpirito Santo, (19). Essi si distinguono dallevirtù e dai doni (come l’effetto dalla causa),come l’atto dalla potenza. Le virtù e i donisono potenze soprannaturali che ci danno lacapacità di agire meritoriamente in ordinealla vita eterna; mentre i frutti sono atti divirtù, eroicamente vissute - grazie ai doni -totalmente opposti alle opere della carne eche sono accompagnati da una certa soavitàspiritualmente gustosa. I frutti si sviluppanocoltivando le virtù e i doni, ed essi sono ilpreludio delle Beatitudini (20) che sono piùperfette dei frutti. Esse si possono definire:gli atti più perfetti delle virtù infuse unite aidoni o frutti maturissimi e rappresentano ilpunto culminante e il coronamento definiti-vo, su questa terra, di tutta la vita cristiana.

a) Frutti dello Spirito Santo:1°) Carità: è la inabitazione della SS.

Trinità nei nostri cuori. “La carità è stata dif-

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fusa nei nostri cuori per lo Spirito Santo cheabita in noi” (S. Paolo).

2°) Gioia: è lo stato gradevole dell’animapoiché Dio è presente in lei, lo spirito dell’uo-mo prova un certo piacere spirituale e anchesensibile per la presenza di Dio in esso.

3°) Pace: siccome Dio è presentenell’anima, essa è unita e sottomessa a Dio eil corpo è docilmente sottomesso all’anima;la conseguenza è la pace tra anima e Dio, etra corpo e anima e la “pace è tranquillitàdell’ordine” (S. Agostino).

4°) Pazienza: ci fa sopportare con animotranquillo e senza turbamenti le sofferenzefisiche e morali di questa vita.

5°) Benignità o clemenza: ci porta a mi-tigare i castighi che dobbiamo imporre ad al-tri, per non far del male e contristare ecces-sivamente il prossimo e non fare torti ed in-giustizie agli altri.

6°) Bontà: ci spinge a fare il bene agli altri.7°) Longanimità: è la pazienza e la sop-

portazione che sa attendere il ritorno delpeccatore, di chi ci ha offeso o tradito, lepersone e gli avvenimenti molesti e la fine diquesto esilio, in hac lacrimarum valle, perandare in Patria.

L’altare della Madonna del Buon Consiglio a Genazzano

8°) Mansuetudine: modera l’ira, senzadistruggerla, dacché vi è una santa collera(Gesù che caccia i mercanti dal Tempio).

9°) Fedeltà: credere a Dio ed essergli fe-deli per tutta la nostra vita.

10°) Pudicizia o modestia: modera tuttigli atti periferici al piacere venereo, ogni pas-sione sensuale del tatto e del gusto.

11°) Continenza: modera, tiene a freno econtiene o regola i desideri e i pensieri sen-suali.

12°) Castità: modera e regola l’atto ses-suale in sé, che è lecito solo nel matrimonioin vista della procreazione.

b) Le Beatitudini:1ª) Beati i poveri di spirito: coloro che

sanno di essere bisognosi della grazia spiri-tuale di Dio e la chiedono come poveri men-dicanti, sono felici o beati (hanno un avan-gusto del Cielo) perché “Dio dà la sua gra-zia agli umili e la rifiuta ai superbi” e quindi“il Regno dei Cieli è il loro ”.

2ª) I miti: coloro che sanno accettare idisprezzi, senza perdere la pace e il control-lo di sé, poiché sanno di essere un nulla; essivivranno sempre tranquilli e sereni, “posse-deranno la terra” in santa pace senza turba-menti eccessivi.

3ª) Coloro che piangono: i peccati delmondo, i loro stessi, e che desiderano lascia-re questa terra per essere con Gesù Cristo,“saranno consolati” da Dio.

4ª) Coloro che hanno fame e sete di giu-stizia: che bramano la santità, “saranno sa-ziati” da Dio e diverranno santi del Paradiso.

5ª) I misericordiosi: “otterranno miseri-cordia” da Dio ed essendo noi uomini tuttimiserabili figli di Adamo abbiamo tutti biso-gno di misericordia divina. “Come giudiche-rete gli altri, così sarete giudicati da Dio ”.

6ª) I puri di cuore: la castità esterna edinterna e la retta intenzione di piacere solo aDio ci rendono atti a vederlo un giorno fac-cia a faccia in Paradiso e nel chiaro-oscurodella fede, qui in terra, illuminata dai donispeculativi dello Spirito Santo che ci fannocontemplare ossia “vedere con amore Dio”,pur non avendo la visione beatifica ma soloun anticipo di essa .

7ª) I pacifici: che non sono i pacifisti, mastanno in pace con Dio mediante la graziasantificante, (“saranno chiamati figli diDio”) con se stessi (piena sottomissione delcorpo all’anima) e con il prossimo, per

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quanto dipende da loro e godono una tran-quillità inalterabile.

8ª) I perseguitati a causa della giustizia:“Chi vuol vivere piamente in Gesù Cristosoffrirà persecuzione” (S. Paolo). Il giustoossia il santo, imita Gesù Cristo che ci hadetto: “Quel che hanno fatto a Me lo faran-no anche a voi”. Perciò essere perseguitaticome lo fu Gesù, perché era un giusto, èmotivo di grande gioia e felicità: “gioite edesultate ” poiché “la vostrà merce nel Regnodei Cieli sarà grande”.

Conseguenza spirituale

La “vita della grazia o delle virtù e deidoni” (S. Tommaso), se la sappiamo coltiva-re sotto il patrocinio di Maria del buon con-siglio, ci fa arrivare, tramite i frutti dello Spi-rito Paraclito e le Beatitudini evangeliche,alla via unitiva; iniziando con:

- l’ascetica (1ª via purgativa degli inci-pienti) che ci separa dal peccato e dallo spi-rito mondano ed è caratterizzata dall’eserci-zio delle virtù iniziali vissute in modo uma-no, e dalla meditazione discorsiva che diven-ta, man mano, affettiva sino a giungere alraccoglimento infuso; per approdare poi alla

- soglia della mistica iniziale o imper-fetta (2ª via illuminativa dell’intelletto, è lavita dei proficienti) che è caratterizzatadall’imitazione delle virtù cristiane vissutesolidamente o in modo eroico iniziale gra-zie all’attuazione abituale dei quattro donipratici dello Spirito Santo (timor di Dio,pietà, consiglio, fortezza) e dalla contempla-zione infusa iniziale, sino ad arrivare alla

- mistica tendenzialmente perfetta ocompiuta (3ª via unitiva della volontà uma-na a quella divina, è la vita dei perfetti) che ècaratterizzata dalla contemplazione infusaprofonda o perfetta e dall’attuazione dei tredoni speculativi dello Spirito santo (scienza,intelletto e sapienza) che ci fa giungere sinoall’eroismo pieno delle virtù e all’unione tra-sformante o matrimonio spirituale con Dio.

Conclusione

Dobbiamo credere alle promesse di Cri-sto di mandarci lo Spirito di fortezza checonforterà i cristiani, “ogni giorno sino allafine del mondo”. La “vittoria che vince ilmondo è la nostra fede”. Per poter riportareil trionfo contro le forze del male, oggi come

non mai abbiamo bisogno di Maria e del suodivin Sposo, lo Spirito di fortezza, che cipermette di affrontare gli assalti del malecon vigore ed equilibrio e dà spina dorsale atutta la vita morale. «Sarebbe inutile averegrandi pensieri, conoscere la via dello spiri-to, se poi ci mancasse la forza di volontà chepassa decisamente e gagliardamenteall’azione... tutto richiede fortezza senza laquale non si possono compiere le grandi ope-re richieste dalla vocazione cristiana» (21).

Infine se manca la retta coscienza o ilbuon consiglio, crolla ogni saldezza dellapersonalità. La persona, se non si lascia gui-dare dalla retta ragione, è debole e prestoviene meno, allora «bisogna che la ragioneestenda il suo dominio in ogni campo dellavita, soggioghi le passioni, rintuzzi gli istinti,guidi nelle decisioni, disciplini l’azione, pro-porzioni i mezzi al fine: allora si ha un uomosul serio, capace di percorrere le vie della vi-ta, ben fornito del ‘sale della sapienza’ , illu-minato di luce interiore» (22).

Il dono del consiglio e la devozione allaMadre del Buon Consiglio dà all’anima la di-screzione (S. Caterina da Siena), senza laquale non si possono evitare eccessi e difetti,per esempio temerarietà o paura; attivismo oinazione. «L’anima possiede allora anche unsenso di sicurezza e di pace... e attraverso ildono del consiglio lo Spirito Santo intervienea facilitare il consiglio, il giudizio e la decisio-ne, secondo un modo più divino che umanodi agire. Tutto il lavoro umano... della virtùdi prudenza, viene agevolato, arricchito o ad-dirittura sostituito da una ispirazione interio-re che ha origine nella mente di Dio. (...) Es-sa partecipa all’anima di ogni cristiano docilee fedele, lo stesso “eterno Consiglio” che ènella mente del Padre, espresso nel Verbo,scelto e voluto nello Spirito Santo, che èamore e forza d’azione» (23).

Note

1) S.T., I-II, 14, 1. 2) Ecclesiastico, XV, 14. 3) S.T., II-II, 47, 4 e 5. 4) Rom. VII, 18. 5) S.T., I, 25, 6, ad 4. 6) Divinum Illud, 9 maggio 1897, par 1. 7) A. ROYO MARIN O.P., Teologia della perfezione

cristiana, ed. Paoline, Roma, 6ª ed., pagg. 180-188. 8) S. LOUIS GRIGNION DE MONTFORT, Trattato della

vera devozione alla Vergine Maria, n° 20. 9) Ibid., n° 34-35. 10) Cfr. S. LOUIS GRIGNION DE MONTFORT, Il Segre-

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to di Maria, passim. 11) A. ROYO MARIN O.P., Teologia della perfezione

cristiana, op. cit., pag. 713. 12) S. GREGORIO I, Moralia super Job, cap. 49. 13) L. LALLEMANT S.J., La dottrina spirituale, princ.

4, cap. 4, art. 6. 14) R. SPIAZZI O.P., Lo Spirito Santo nella nostra vi-

ta, Massimo, Milano, 3ª ed., 1997, pagg. 128-129. 15) Ibidem, pag. 131. 16) JOHANNES A SANCTO THOMA O.P., De donis

Spiritus Sancti, cap. V, donus consilii, Salamanca, 1640. 17) J. GAUME, Traité du Saint-Esprit, Gaume-Du-

prey, Paris, 1864, II vol., pagg. 450-451. 18) Ibid., pagg. 457-458. 19) S.T., I-II, 70. 20) S.T., I-II, 69. 21) GAUME op. cit., pag. 157. 22) Ibidem, pag. 195. 23) Ibid., pagg. 202-203

Preghiere alla Madonna del BuonConsiglio e allo Spirito Santo

S anta Maria nostra madre, divina spo-sa dello Spirito Santo, madre augusta

del Figlio di Dio: nelle nostre perplessità enei nostri dubbi, consigliaci e proteggici.

Nelle nostre angosce e nelle nostre tri-bolazioni, consigliaci e proteggici.

Nei combattimenti contro il demonio,il mondo e la carne, consigliaci e proteggici.

Nei nostri scoraggiamenti, consigliacie proteggici. Nell’ora della nostra morte,consigliaci e proteggici. Amen. (Recitare le Piccole Litanie della Madon-na del Buon Consiglio).

S pirito di grazia e di misericordia, diforza e sobrietà, di fede, speranza e

carità, di umiltà e castità, di dolcezza e dibontà, di pazienza e di modestia, di pace edi preghiera, abbiate pietà di noi.

Da ogni male, da ogni peccato, dalletentazioni e dagli inganni del demonio,dalla presunzione e dalla disperazione,dalla resistenza alla verità conosciuta,dall’ostinazione e dall’impenitenza, daogni sozzura di corpo e anima, dallo spi-rito d’impurità, liberateci o Signore. (Recitare le Litanie dello Spirito Santo).

“PARLARE CHIARO PERCAPIRSI MEGLIO”

(Shalom, mensile ebraico di informazione,n. 2/2002, p. 1). I Noachidi e il

Rabbino Capo Di Segni

don Francesco Ricossa

Il 17 gennaio 2002 si è svolto a Roma,nella Sala conferenze del Pontificio Se-minario Romano Maggiore, un incontro

organizzato dalla Diocesi di Roma nell’am-bito della Giornata del dialogo ebraico-cri-stiano. Erano presenti, da parte cattolica, ilcard. Jorge Maria Mejia e Mons. Rino Fisi-chella, e da parte ebraica il Rav Riccardo DiSegni, nuovo Rabbino Capo di Roma al po-sto di Rav Elio Toaff. Il mensile ebraicod’informazione Shalom pubblica integral-mente il discorso del Rabbino nel suo inser-to Comunità, e commenta l’avvenimento inprima pagina, con un articolo intitolato Par-lare chiaro per capirsi meglio. Non ci risultache da parte cattolica l’intervento di Rav DiSegni sia stato analizzato o commentato; so-lo il mensile 30 Giorni vi fa una rapida allu-sione, pubblicando un’amichevole intervistaloro concessa dallo stesso Rabbino (cf 30Giorni, n. 1/2002, p. 20). Eppure, il discorsodel Rabbino è di una tale importanza chemerita un adeguato commento. Anche So-dalitium vuole parlare chiaro, almeno perfar capire meglio, ai cristiani, cosa gli Ebreipensino veramente, ancor oggi, di essi.

Il dialogo ebraico-cristiano per il RabbinoCapo di Roma. “Un dialogo tra sordi”

L’intervento del Rabbino si situa nelquadro della Giornata del dialogo ebraico-cristiano; diamo pertanto innanzitutto il suoparere su questo dialogo nato col VaticanoII. Bisogna dire che Di Segni “parla chiaro”:“Eccoci dunque al nodo attuale del dialogo edel confronto. A che cosa serve parlarci? Ciòche veramente dà fastidio agli ebrei è che siastato detto in documenti ufficiali cattolici chelo scopo del dialogo è quello di convertirel’interlocutore alla propria fede”. Di Segni ri-fiuta questo tipo di dialogo, l’unico ammissi-bile per un cattolico, definendolo un “dialo-

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go tra sordi, che rischia di diventare irrispet-toso e indecoroso per la dignità di ognuno”.Vedremo quale alternativa ponga il Di Se-gni a questo “dialogo” che egli rifiuta, e chetuttavia è l’unico possibile. I cattolici do-vrebbero prenderne atto, e cessare un “dia-logo” veramente “indecoroso e irrispetto-so”, soprattutto, direi, per la propria fede.

Noè ed Abramo. Gentili ed Ebrei

È impossibile allora, per il Rabbino DiSegni, ogni coesistenza tra i Gentili (tutti inon Ebrei) e gli Ebrei? Di Segni dice di no,ed espone la dottrina rabbinica ai suoi ascol-tatori cattolici.

La Bibbia ci presenta due personaggi,Noè ed Abramo. Da Noè discende l’interaumanità “per questo tutte le genti vengonochiamate, nel linguaggio rabbinico, Noa-chidi, figli di Noè”. “Nella famiglia umanaesiste però un gruppo particolare, quello deifigli d’Israele, anch’essi originariamente noa-chidi, ma che in virtù della discendenza diGiacobbe Israele, nipote e prosecutore diAbramo, si distinguono (…). È una condi-zione che potremmo chiamare, definire sacer-dotale e di servizio: ‘un regno di sacerdoti eun popolo distinto’”. Abramo è nettamentesuperiore a Noè: “Ci sono persone normali eci sono persone speciali. Abramo è il prototi-po delle persone speciali. Noè di quelle onestema comuni e senza slanci”. Ai due gruppi,come si vede, si appartiene per nascita: per“salvarsi” “è sufficiente che ognuno segua lastrada in cui si trova al momento della suanascita”. La religione del rabbino Di Segnisembra confondersi con una appartenenza,diciamo così, etnica, e sembra postulare an-che la superiorità di una etnia sull’altra.

Un Noachide può salvarsi? La dottrina delladoppia legge e della doppia salvezza

Sì, per Di Segni un Noachide può salvar-si, anche se non dobbiamo credere che “sal-varsi” significhi necessariamente ciò che si-gnifica per noi (ovvero la visione beatifica diDio nella vita eterna. Per Di Segni salvarsisignifica “aver parte” in qualche modo “almondo futuro”, il mondo messianico).

“È noto – spiega Di Segni – che la dottri-na religiosa ebraica costruisce intorno al no-me di Noè e dei suoi discendenti una dottrinadi doppia legge e doppia salvezza”. Mentre

La questione ebraica

gli Ebrei hanno ricevuto la Legge mosaica, iNoachidi sono tenuti anch’essi ad una legge,la legge Noachide, che non si trova nellaBibbia, ma nei testi rabbinici: “questi princi-pi si trovano espressi in tradizioni orali rab-biniche che si basano, con maggiore o mino-re evidenza, su riferimenti scritturali. (…)Universalismo ebraico significa due stradeparallele verso la salvezza; è sufficiente cheognuno segua la strada in cui si trova al mo-mento della nascita e ne rispetti le relativenorme. Il Noachide, che segue le sue sette re-gole e ne riconosce l’origine divina, viene de-finito ‘il fervente delle nazioni del mondo’ eha parte nel mondo futuro”.

Le sette regole che ogni Noachide deverispettare

“Queste regole sono: il divieto di ogniculto estraneo a quello monoteistico, il di-vieto della bestemmia, l’obbligo di costituiretribunali, il divieto dell’omicidio, del furto,dell’adulterio e dell’incesto, il divieto di man-giare parti strappate ad animali in vita”. Se-condo Di Segni cinque di questi sette pre-cetti sono patrimonio comune dell’umanitàe non pongono particolari problemi. “Lanorma di rispetto degli animali – aggiunge - èraramente trasgredita” (in realtà, solo i mu-sulmani e i Testimoni di Geova seguono lamacellazione rituale ebraica che esclude laliceità di mangiare del “sangue”, e che DiSegni presenta come “norma di rispetto de-gli animali”). L’attenzione del rabbino è tut-ta concentrata sul primo precetto, quello delmonoteismo. “Quanto al culto monoteistico,apparentemente, non ci sono dubbi per legrandi religioni”. Ebraismo, Cristianesimo eIslamismo non sono forse definite, nel lin-guaggio post-conciliare divenuto oggi cor-rente, “le tre grandi religioni monoteisti-che”? Di Segni difatti non scorge difficoltàalcuna nei musulmani, monosteisti rigorosi epersino circoncisi. Ma ha qualche dubbio aproposito dei cristiani…

I Cristiani: monoteisti o idolatri?

È qui che Di Segni – che ha curato la rie-dizione, con il titolo de Il Vangelo del Ghet-to, delle Toledoth Jehsu, le più infami leg-gende ebraiche contro Gesù (1) – “parlachiaro” ai prelati suoi ascoltatori. “È neces-sario a questo punto un chiarimento sulla

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teologia ebraica, che sul tema del monotei-smo e di come sia vissuto dal cristianesimo sidibatte in un dilemma essenziale. Si discutese la divinità di Gesù possa essere compati-bile per un non ebreo (perché per l’ebreonon lo è assolutamente) con l’idea monotei-stica”. In altri termini: l’ebreo che diventas-se cristiano, credendo alla divinità di Gesù,cesserebbe di essere monoteista, per diven-tare idolatra. Si deve dire la stessa cosa delnon ebreo? Credere nella divinità di Gesù èun peccato di idolatria, una violazione delprimo precetto della legge noachide?

“La risposta a questa domanda nella teo-logia ebraica, come c’era da aspettarselo, nonè univoca: c’è chi la nega fermamente, c’è chil’ammette a certe condizioni. La conseguen-za è che secondo l’opinione rigorosa il cri-stiano potrebbe non essere nella strada perla salvezza” essendo colpevole di idolatria.

Dove Di Segni non parla chiaro. La pena dimorte per i non monoteisti (tra i quali ci so-no i cristiani)

Di Segni ne conclude: “se si dovesse ap-plicare alla lettera il sistema delle leggi Noa-chidi, si dovrebbe fare di tutto perché i Noa-chidi le osservino, anche per ciò che riguardail divieto di culti estranei” al monoteismo.Qui, il Rabbino Di Segni, comprensibilmen-te, non parla chiaro. Cosa include il termine“di tutto”? “Ognuno dovrebbe diventaremissionario della fede pura”, prosegue Di Se-gni, come se il “di tutto” significasse solo far-si missionari del monoteismo rigoroso controla credenza nella divinità di Gesù. Ma c’è dipiù. I prelati che ascoltavano saranno staticertamente colti da un “senso di incredulità,di protesta, di ribellione” [puramente interio-re, giacché – scrive Shalom – “nessuno haespresso validi commenti” e “l’incontro si èconcluso – tra sorrisi di circostanza – con unapreghiera (il Salmo n. 1) letta da rav DiSegni”] apprendendo di essere idolatri cherischiano di non salvarsi. Forse lo sgomentosarebbe cresciuto apprendendo che – per lalegge rabbinica – essi erano degni, in quantocristiani, della pena di morte.

Sì, avete letto bene. Ancora nel 1994, sipuò infatti leggere in un libro ebraico (AlanUnterman, Dizionario di usi e leggendeebraiche, Laterza, 1994) quanto segue: “se igentili trasgrediscono queste leggi [noachi-di] potrebbero in teoria essere puniti con la

pena di morte” (p. 211). Ora, la prima diqueste leggi, lo abbiamo visto, è control’idolatria, e “la deificazione di Gesù vieneconsiderata dagli ebrei come idolatria” (p.120); “Maimonide affermava esplicitamen-te che la divinizzazione di Gesù era idola-tra (…) Anche quei rabbini che non consi-deravano proibito ai gentili il culto combi-nato (shituf) di Gesù e di Dio Padre, nonavevano dubbi nel ritenere che per gli ebreila conversione al cristianesimo significavasottostare all’idolatria” (p. 140). Come illettore può constatare, Unterman presentala stessa dottrina del Rav Di Segni, con lasola differenza che specifica quanto Di Se-gni prudentemente omette, ovverosia che“in teoria” “potrebbero essere puniti con lapena di morte” tutti gli ebrei convertiti alcristianesimo e, secondo la principale auto-rità ebraica, Maimonide, con la maggioranzadei dottori, anche i cristiani non ebrei (2).

Secondo la dottrina di Maimonide quin-di, almeno in teoria, tutti i cristiani, assiemeai politeisti di ogni genere, dovrebbero esse-re messi a morte. Capiamo come lo stermi-nio di qualche miliardo di persone solleviproblemi pratici talmente grandi da rendereil precetto rabbinico – almeno nella sua inte-grità – puramente teorico…

La proposta di Rav Di Segni

È evidente che – pur non parlando chia-ro sul tema della pena di morte per gli ebreiconvertiti e per i cristiani – il Rabbino DiSegni ha sufficientemente parlato chiaro per

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creare “non poco imbarazzo negli ascoltato-ri” cristiani, incapaci di esprimere “validicommenti” (Shalom, cit., p. 1). Fine del dia-logo “ebraico-cristiano”, quindi? Non è que-sta l’intenzione del Rabbino.

Di Segni, infatti, fa una proposta. La con-versione degli ebrei al cristianesimo preco-nizzata da San Paolo (pardon: “Saul di Tar-so”) oppure quella dei gentili al monoteismoebraico invocata da Maimonide (a secondadei… punti di vista) non è esclusa da Di Se-gni, ma è rinviata alle calende greche, o me-glio ai “tempi lunghi e incontrollabili”dell’escatologia. E nel frattempo? Aspettan-do il Messia, ebrei e cristiani dovrebbero stu-diare la possibilità di una (difficile) evoluzio-ne reciproca della propria teologia.

Il primo passo spetta ai cristiani. “I cri-stiani dovrebbero arrivare ad ammettereche gli ebrei, in virtù della loro elezioneoriginale ed irrevocabile, e del possesso edell’osservanza della Torà, possiedono unaloro via autonoma, piena e speciale versola salvezza che non ha bisogno di Gesù”.

Contro la pretesa di Di Segni, si ergonoinvalicabili le parole che San Pietro rivolseproprio alle autorità ebraiche a Gerusalem-me, dopo aver guarito miracolosamente unostorpio: “Capi del popolo e anziani, vogliateascoltare. Poiché oggi ci si interroga su di unbeneficio a un uomo infermo, per sapere inqual modo si sia guarito, sia noto a tutti voi ea tutto il popolo d’Israele, che in nome delNostro Signore Gesù Cristo Nazareno, croci-fisso da voi e resuscitato da Dio, per Lui que-sto è innanzi a voi sano. Questa è la pietra,da voi edificatori sprezzata, che è divenutapietra angolare. E in nessun altro è salute;perché non c’è sotto il cielo alcun altro no-me dato agli uomini, dal quale possiamoaspettarci di essere salvi” (Atti, IV, 8-12).

Di Segni sa di chiedere ai cristiani l’im-possibile, ed è per questo che lo chiede. Am-mettere che un uomo solo, un’anima solanon ha bisogno di Gesù vuol dire rinunciarea Gesù. Di Segni avrebbe così ottenuto daicristiani l’implicita smentita della (da lui)aborrita divinità di Gesù Cristo (3).

Cosa concederebbero gli Ebrei ai cristia-ni, in cambio di questo rinnegamento di GesùCristo? “Da parte ebraica a questo movimen-to dovrebbe corrispondere l’affermazione delprincipio che la fede in Gesù [non più salvato-re di tutti gli uomini!] non sia incompatibile,(beninteso per i cristiani, non per gli ebrei)

Il rabbino capo di Roma Riccardo di Segni

con il culto del D-o unico. Principio che è ac-cettato in tradizioni autorevoli dell’ebraismo,ma che dovrebbe diventare prevalente e mag-gioritario [per cui il principio ora prevalente emaggioritario è quello che i cristiani sonoidolatri! n.d.a.]”. In altri termini: se ammet-tiamo che gli Ebrei non hanno bisogno di Ge-sù Cristo, forse gli Ebrei ci concederanno lapatente di “monoteisti”. (Fermo restando cheil caso della conversione di un ebreo al cri-stianesimo resterà un caso d’idolatria).

Se i cristiani diventano Noachidi

La bontà di Riccardo Di Segni si spinge-rebbe quindi fino alla cancellazione della pe-na di morte verso i cristiani riveduti e corret-ti. Il nuovo cristianesimo non sarebbe piùidolatra, ma monoteista, fedele alle leggiNoachidi. Come l’Arianesimo, che cancellòla divinità di Gesù, non più Dio ma primo trale creature. Come l’Islam, che cancellò la di-vinità di Gesù, non più Dio ma penultimodei profeti. Come la Massoneria, che allaTrinità sostituisce il deista Grande Architet-to dell’Universo. Non a caso, la seconda edi-zione del Book of Constitutions della Masso-neria: “A Mason is obliged by his tenure toobserve the moral law as a true Noachida”.Il massone è un vero Noachita. Il cristianocha accettasse la proposta di Di Segni, diven-terebbe un vero noachita. Un vero massone?

Zolli o Di Segni. La scelta s’impone

Il Rabbino Di Segni, del quale ho fedel-mente riferito il pensiero, è Rabbino Capodi Roma. Proprio in questi giorni è uscita,per le edizioni San Paolo, la traduzione ita-liana del libro di Judith Cabaud, ebrea ame-ricana convertita al cattolicesimo, la vita diIsrael Zolli, Il rabbino che si arrese a Cristo.Rabbino Capo di Roma. Zolli volle esserebattezzato col nome di Eugenio in onore diPio XII; quando don Nitoglia, del nostroIstituto, ne scrisse una breve biografia (4), lapubblicazione di un libro analogo da partedi una grande casa editrice cattolica era, do-po il Concilio, impensabile. Oggi, l’impensa-bile si è realizzato. Ma i cardinali presenti aldiscorso del successore di Zolli a Roma, ilRabbino Di Segni, hanno taciuto.

È stato chiesto a delle personalità delcattolicesimo di sottoscrivere un appello checosì terminava:

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“In particolare i firmatari chiedono di ri-spondere chiaramente al Rabbino capo diRoma a proposito della necessità – per tuttigli uomini, inclusi gli Ebrei – di credere inGesù Cristo, secondo le parole rivolte daPietro ai rappresentanti del Sinedrio: ‘sianoto a tutti voi e a tutto il popolo d’Israele,che in nome del nostro Signore Gesù CristoNazareno, crocifisso da voi e risuscitato daDio, per lui questo [uomo] è innanzi a voisano. Questa è la pietra da voi edificatorisprezzata, che è divenuta pietra angolare. Ein nessun altro è salute; perché non c’è sottoil cielo alcun altro nome dato agli uomini, dalquale possiamo aspettarci di essere salvati”(Atti degli Apostoli, IV,10-12)’”.

Nessuno ha voluto sottoscrivere questoappello.

Lo facciamo allora noi, chiedendo a tuttii battezzati, e specialmente a chi – con le sueparole o col suo silenzio – ha potuto far cre-dere alla possibilità di un’adesione alla pro-posta del Rabbino Di Segni, “di parlarechiaro” e di testimoniare pubblicamente lafede nella divinità di Gesù Cristo. Che scel-gano, infine, tra la conversione degli Ebrei aCristo e l’apostasia dei cristiani chiesta dagliEbrei. Tra Zolli e Di Segni.

Note

1) R. DI SEGNI, Il vangelo del Ghetto, NewtonCompton editori Roma 1985; DON CURZIO NITOGLIA,Le Toledoth Jeshu l’antivangelo ebraico, in Sodalitiumn. 47 pp 13-22.

2) Al proposito si può leggere con profitto ISRAEL

SHAHAK, Storia ebraica e giudaismo, C.L.S. Verrua Sa-voia 1997 specialmente le pp 194-196 e I.B. PRANAITIS Isegreti della dottrina rabbinica.

3) Speranza folle, quella di Di Segni. Certo, a causadelle promesse divine: “le porte degli inferi non prevar-ranno contro di essa”. Ma – umanamente – non così fol-le. Il “magistero” post-conciliare di Giovanni Paolo IIha già riconosciuto l’irrevocabilità della elezione divinadegli ebrei, e dell’Antica Alleanza. Il cardinale Lusti-ger, che secondo la dottrina rabbinica meriterebbe cer-tamente la morte se fosse dimostrata la sincerità dellasua conversione, ha espresso una posizione non troppodissimile da quella richiesta dal rabbino: “sia la fedegiudaica, sia la fede cristiana sono una chiamata di Dio.La vocazione di Israele è di portare la luce ai goym (…)credo che il cristianesimo sia una maniera per arrivarci”Agence Télegraphique juive, bulletin n. 2649 4-2-1981.

4) DON NITOGLIA, Dalla Sinagoga alla chiesa, leconversiani di Edgardo Mortara, Giuseppe StanislaoCoen ed Eugenio Zolli, C.L.S. Verrua Savoia 1998.

DON CAMILLO, GUARE-SCHI ED IL CONCILIO

don Ugolino Giugni

Tutti certamente conoscono la figura didon Camillo, il pretone della “bassa”in perpetua lotta con il sindaco comu-

nista Peppone, creato da Giovannino Gua-reschi. Chi non ha letto i suoi libri ha certa-mente visto i film magistralmente interpre-tati da Fernandel e Gino Cervi.

Giovannino Guareschi è morto nel 1968ed ha avuto il tempo di vedere il ConcilioVaticano II svoltosi a Roma dal 1962 al1965. In questo articolo cerchiamo di capireattraverso i suoi scritti ciò che Guareschipensava del Concilio e della rivoluzione cheesso portò nella Chiesa. Insomma Don Ca-millo è sopravvissuto al Concilio? E se sì inquale modo? Ha dovuto fare anche lui un“aggiornamento” o ha raggiunto le file delclero tradizionalista e clandestino? Vedreteche la lettura di queste righe non sarà privadi sorprese, e ci permetterà di passare unapiacevole mezzoretta accompagnata dalla fi-ne ironia del grande scrittore emiliano.

Lettera a don Camillo

Il primo testo (e forse il più significativo)è una lettera che Guareschi scrive negli anni‘60 a don Camillo, che a causa dei suoi ec-cessi e del rifiuto di aggiornarsi è stato rele-gato nella più sperduta parrocchia di monta-gna della diocesi. Il suo posto nella bassa èstato preso dal giovane pretino modernistadon Chichì, che ha venduto tutto il mobiliodella chiesa e sta mettendo in pratica in ma-niera spietata le direttive del Concilio. È inte-ressante notare come don Camillo, una voltasradicato dalla sua terra e trasferito in mon-tagna diventi lui stesso “rivoluzionario” e ri-cordandosi le parole di don Chichì cerchi dispiegare ai montanari la riforma liturgica ecome essi la rifiutino in blocco e disertinoanch’essi la chiesa. Delle vere perle di anti-modernismo sono le risposte del vecchio An-tonio e della vecchia Romilda a don Camil-lo, a riprova del fatto che il popolo è fonda-mentalmente attaccato alle sue tradizioni e“tradizionalista” (idea assai cara a Guare-schi), che un uomo “sradicato” perde i suoipunti di riferimento e che la “rivoluzione”

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viene sempre imposta dall’alto da “gente dicittà” ed intellettuali.

« Reverendo,spero che questa mia raggiunga il remoto

esilio montano nel quale l’ha confinata quel-la Sua irruenza che non diminuisce davverocol crescere degli anni.

Conosco la storia che è incominciataquando il compagno sindaco, Peppone, hapreso a salutarLa in pubblico: “Buon giorno,compagno Presidente!”

Poi è venuto a farLe visita in canonicaassieme allo Smilzo, al Bigio e al Brusco perdirLe che, siccome intendeva abbellire laCasa del Popolo con un bel balcone per i di-scorsi, avrebbe volentieri acquistato le co-lonnine di marmo della balaustra dell’Altarmaggiore, nonché i due angeli alloggiati ailati del Tabernacolo. Questi, Le disse (se ilmio informatore è veritiero) avrebbe volutosistemarli sopra l’arco del portone d’ingres-so, per adornare l’emblema del PCI.

Don Camillo, Lei staccò dal muro ladoppietta e la spianò davanti a Peppone esoci facendo loro trovare rapidamente la via

Fernandel mentre interpreta don Camillo per la finzione cinematografica

della porta. Ma, creda, non fu una risposta,da buon giocatore.

Lei è nei guai fino agli occhi, Reverendo,ma stavolta il torto è tutto Suo. Il giovane cu-rato che i Suoi Superiori Le hanno inviatoper istruirLa sul Rito Bolognese (1) e per aiu-tarLa ad aggiornare la chiesa, non è un Pep-pone qualsiasi e Lei non poteva trattarlo così.

Egli veniva da Lei con un mandato pre-ciso e, siccome la sua chiesa non ha nessunparticolare valore artistico o turistico, il gio-vane quanto degno sacerdote aveva il pienodiritto di pretendere l’abbattimento dellabalaustra e dell’Altare, l’eliminazione dellecappellette laterali e delle nicchie coi loro ri-dicoli Santi, nonché dei quadretti ex voto,dei candelabri e, insomma, di tutta l’altrapaccottiglia di latta, di legno e di gesso dora-ti che, fino alla Riforma, trasformavano lechiese in tanti retrobottega da robivecchi.

Lei, Don Camillo, aveva pur visto allaTelevisione il “Lercaro Show” e la concele-brazione della Messa con Rito Bolognese.Aveva ben visto la suggestiva povertà del-l’ambiente e la toccante semplicità del-l’Altare ridotto a una proletaria tavola. Co-me poteva pretendere di piazzare in mezzo aquell’umile Sacro desco un arnese alto tremetri come il Suo famoso (quasi famigerato)Cristo Crocifisso cui Lei è tanto affezionato?

Lei aveva pur visto alla TV, qualche gior-no dopo, com’era apparecchiata la sacra Men-sa attorno alla quale il Papa e i nuovi Cardi-nali hanno concelebrato il Banchetto Eucari-stico. Non s’era accorto che il Crocifisso situa-to al centro della Tavola era tanto piccolo ediscreto da confondersi coi due microfoni?

Non aveva visto, insomma, come tutto,nella Casa di Dio, deve essere umile e pove-ro in modo da far risaltare al massimo il ca-rattere comunitario dell’Assemblea Liturgi-ca di cui il Sacerdote è soltanto un concele-brante con funzioni di Presidente?

E non aveva sentito, nel secondo “Lerca-ro Show” televisivo (rubrica “Cordialmen-te”), quanto siano soddisfatti, addirittura en-tusiasti i fedeli petroniani per la nuova Mes-sa di Rito Bolognese?

Non ha visto come erano tutti eccitati,specialmente i giovani e le donne, dal piace-re di concelebrare la Messa invece di assi-stervi passivamente, subendo il sopruso delmisterioso latino del Celebrante, e dalla le-gittima soddisfazione di non doversi umilia-re più inginocchiandosi per ricevere l’Ostia

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e di poterla deglutire in piedi, trattando Dioda pari a pari come ha sempre fatto l’onore-vole Fanfani?

Don Camillo: quel giovane prete avevaragione e si batteva per la Santa Causa per-ché l’aggiornamento è stato voluto dalGrande Papa Giovanni affinché la Chiesa“Sposa di Cristo, potesse mostrare il suovolto senza macchia né ruga”.

È la Chiesa che, fino a ieri semplicemen-te Cattolica e Apostolica, diventa (ricordisempre Lercaro) “Chiesa di Dio”. E lei,Don Camillo, è rimasto indietro di qualchesecolo; Lei è ancora fermo all’ultimo Papamedievale, a quel Pio XII che oggi vienepubblicamente svillaneggiato dai palcosceni-ci con la approvazione (vedi la rappresenta-zione del Vicario a Firenze) (2) degli Studen-ti Universitari Cattolici, e che, quando ilproduttore avrà ottenuto la sovvenzione sta-tale verrà svillaneggiato anche dagli schermie dai teleschermi.

Don Camillo: non se n’è accorto nemme-no assistendo, attraverso la TV, alla consa-crazione dei nuovi Cardinali?

Non ha sentito gli applausi fragorosi ascena aperta rivolti al neo Cardinale-operaioCardin?

Non ha udito il Reverendo Presentatoretelevisivo precisare che il neo Cardinale ce-coslovacco Beran è semplicemente uscitodal suo “stato d’isolamento”?

Don Camillo, non s’è accorto come le Su-periori Gerarchie della Chiesa evitino di par-lare di quel Cardinale Mindszenty d’Unghe-ria che, con riprovevole indisciplina, persistenell’ignorare la Conciliazione fra Chiesa Cat-tolica e Regime Sovietico e nel ricusare di tri-butare il dovuto omaggio al cosiddetto “Co-munismo Ateo”, ritenendo addirittura validauna Scomunica Papale che è oggi motivo diriso in tutti gli Oratori parrocchiali?

Don Camillo perché si rifiuta di capire?Perché, quando il giovane prete inviato-

Le dalla Autorità Superiore Le ha spiegatoche bisognava ripulire la chiesa e vendereangeli, candelabri, Santi, Cristi, Madonne etutte le altre paccottiglie fra le quali anche ilSuo famoso Cristo crocifisso, perché, dico,Lei lo ha agguantato per gli stracci sbatac-chiandolo contro il muro?

Non ha capito che sono in gioco i basilariprincipi dell’Economia? Che sono in giocomiliardi e miliardi e la stessa sacra Integritàdella Moneta?

Quale famiglia “bene”, oggi, vorrebbeprivarsi del piacere di adornare la propriacasa con qualche oggetto “sacro”? Chi puòrinunciare ad avere in anticamera un SanMichele adibito ad attaccapanni, o in came-ra da letto una coppia d’angeli dorati comelampadario, o, in soggiorno, un Tabernacolocome piccolo bar?

Don Camillo, la Moda è una potenza chemuove migliaia di fabbriche e migliaia di mi-liardi: la Moda esige che ogni casa rispetta-bile possegga qualche oggetto “sacro” e laricerca è rabbiosa tanto che, se non immet-teremo nel mercato dell’arredamento Santi,Angeli, pale d’altare, candelabri, crocifissi,Tabernacoli, Cristi, Madonne e via discor-rendo, i prezzi raggiungeranno cifre iperbo-liche. E ciò pregiudicherà la sacra Integritàdella Lira, onorata dagli stranieri con l’O-scar delle Monete.

La Chiesa non può più estraniarsi dallavita dei Laici e ignorarne i problemi.

Don Camillo, non mi faccia perdere il se-gno. Lei, dunque, è nei guai ma la colpa ètutta Sua.

Sappiamo ogni cosa: il pretino inviatoLedai superiori, Le ha proposto, demolito ilvecchio Altare, di sostituirlo non con unacomune Tavola come quella del “LercaroShow”, ma col banco da falegname che ilcompagno Peppone gli aveva vilmente fattooffrire in dono suggerendogliene l’utilizza-zione. E ciò ricordando che il Padre Putati-vo di Cristo era falegname e che il piccoloGesù, da bambino, spesso lo aveva aiutato asegare e piallare tavole.

Don Camillo: si tratta di un prete giova-ne, ingenuo, pieno di commovente entusia-smo. Perché non ne ha tenuto conto e l’hacacciato fuori dalla chiesa a pedate nel sede-re?

Bel risultato, don Camillo. Adesso, nellaSua chiesa, c’è il pretino che fa quel che glipare e Lei si trova confinato quassù, nell’ul-tima miserabile parrocchia della montagna.Un paese senza vita perché uomini, donne eragazzi validi sono tutti a lavorare all’esteroe qui abitano soltanto i vecchi coi bambinipiù piccoli.

E Lei, Reverendo, ha dovuto sistemarela chiesa secondo le nuove direttive e poi,dopo aver concelebrata la prima Messa conRito Bolognese, si è sentito dire dai vecchiche, fino a quando Lei rimarrà in Paese, loronon verranno più a Messa.

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Don Camillo, le cose si vengono a sape-re. Lei, ricordando le parole del pretino, haspiegato perché, adesso, la Messa deve esse-re celebrata così e il vecchio Antonio Le harisposto:

“Ho novantacinque anni, e per quel pocoo tanto che ho ancora da vivere, mi basta lascorta di Messe in latino che mi son fatta innovanta anni”.

“Roba da matti”, ha aggiunto la vecchiaRomilda. “Questi cittadini vorrebbero farcicredere che Dio non capisce più il latino!”

“Dio capisce tutte le lingue”, ha rispostoLei, “la Messa viene celebrata in italiano per-ché dovete capirla voi. E, invece di assistervipassivamente, voi partecipate al sacro rito as-sieme al sacerdote”.

“Che mondo!” ha ridacchiato Antonio.“I preti non ce la fanno più a dire la Messada soli e vogliono farsi aiutare da noi! Manoi dobbiamo pregare, durante la Messa!”

“Appunto; così, pregate tutti assieme colprete”, ha tentato di spiegare Lei. Ma il vec-chio Antonio ha scosso il capo:

“Reverendo, ognuno prega per conto suo.Non si può pregare in comuniorum. Ognunoha i suoi fatti personali da confidare a Dio. Esi viene in chiesa apposta perché Cristo è pre-sente nell’Ostia consacrata e, quindi, lo sisente più vicino. Lei faccia il suo mestiere,reverendo, e noi facciamo il nostro. Altri-menti se lei è uguale a noi, a che cosa servepiù il prete? Per presiedere un’assemblea so-no capaci tutti. Io non sono forse presidentedella cooperativa boscaioli? E poi: perché haportato via dalla chiesa tutte le cose che ave-vamo offerto a Dio noi, coi nostri sacrifici?Per scolpire quel Sant’Antonio di castagnoche lei ha portato in solaio mio padre ci hamesso otto anni. Si capisce che lui non era unartista, ma ci ha impiegato tutta la sua passio-ne e tutta la sua fede. Tanto è vero che, sicco-me lui e la mia povera madre non potevanoavere figli, appena finita e benedetta la statua,Sant’Antonio gli ha fatto la grazia e sono na-to io. Se lei vuole fare la rivoluzione la vadaa fare a casa sua, reverendo”.

Don Camillo, io capisco quello che Leiha dovuto provare. Ma la colpa è Sua, se si èinvischiato in questi guai.

Ad ogni modo, io non Le scrivo solo perdirLe cose cattive, ma per confortarla un po’.

Il pretino che è ora al Suo posto ha giàsmantellato la chiesa. Non ha installato al po-sto dell’Altare il banco da falegname bensì un

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normale tavolo perché con bel garbo, le Supe-riori Autorità gli hanno fatto capire che, pureessendo l’idea bellissima e nobilissima, questapreferenza data alla falegnameria avrebbe po-tuto offendere i fabbri e gli altri artigiani.

Balaustra, angeli, candelabri, ex voto, sta-tue di Santi, Madonnine, quadri e quadretti,Tabernacolo e tutti gli altri arredi sacri sonostati venduti e il ricavato è servito a sistemarein chiesa l’Altare nuovo, il radiogrammofonostereofonico, i microfoni, gli altoparlanti,l’impianto di riscaldamento, eccetera.

Anche il suo famoso Cristo è stato ven-duto perché troppo ingombrante, incomben-te, spettacolare e profano. Però metta il cuo-re in pace: tutta la roba non è andata lonta-no. L’ha comprata il vecchio notaio Piletti,che l’ha portata e sistemata nella cappellaprivata della sua villa del Brusadone.

Lei sa che, per quanto mi conosca comeun bieco reazionario nemico del popolo,Peppone con me si lascia andare e m’ha fattocapire che sarebbe disposto a trattare. Vor-rebbe, in cambio della balaustra, il mitra cheLei gli ha sottratto nel 1947. Dice che non hala minima intenzione di usarlo perché ormaianche lui è convinto che i clericali riusciran-no a fregare i comunisti mandandoli al pote-re senza dar loro la soddisfazione di fare larivoluzione. Lo rivuole perché è un ricordo.

Don Camillo, io sono certo che quandoLei fra poco tornerà (e La faranno tornarepresto perché, adesso, in chiesa ci vanno sol-tanto, e solo per far dispetto a Lei, Peppone,

lo Smilzo, il Brusco e il Bigio) Lei troveràtutte le Sue care cianfrusaglie perfettamentesistemate nella chiesetta del notaio.

E potrà celebrare una Messa Clandesti-na per pochi Suoi amici fidati.

Una Messa in latino, si capisce, con tantioremus e kirieleison. Una Messa all’antica,per consolare tutti i nostri Morti che, pur nonconoscendo il latino, si sentivano, durante laMessa, vicini a Dio, e non si vergognavanose, udendo levarsi gli antichissimi canti, i loroocchi si riempivano di lacrime. Forse perchéallora il Sentimento e la Poesia non eranopeccato e nessuno pensava che il dolce, eter-namente giovane volto della Sposa di Cristopotesse mai mostrare macchie o rughe.

Mentre oggi Essa si presenta a noi dal vi-deo profano, col volto sgradevole e antipati-co del Cardinale Rosso di Bologna e deisuoi fidi attivisti, gentilmente concessi allaCuria dalla locale Federazione Comunista.

Don Camillo, tenga duro: quando i gene-rali tradiscono, abbiamo più che mai biso-gno della fedeltà dei soldati.

La saluto affettuosamente e Le mando,per Sua consolazione, una immaginetta delMolto Reverendo Pietro Nenni, esperto inEncicliche Papali, chiamato da amici ed esti-matori Peter Pan e Salam ».

Il Suo parrocchianoGuareschi»

(da Il Borghese anni 1961-68)

La Messa clandestina

Un altro testo molto interessante è il se-guente: esso fa parte di una serie di novellepubblicate sempre su Il Borghese di queglianni, in cui viene rappresentata la famigliamedio-borghese italiana: vi è il padre (signorBianchi) di sinistra e progressista, sua moglieMaria, di destra molto pratica e piena dibuon senso e i due figli: la ragazza Giusymolto moderna e un po’ scema ed il figlioGypo, di destra un po’ fascista e certamentetradizionalista. Leggendolo non si può fare ameno di pensare alle nostre cappelline tradi-zionaliste, dove i fedeli si riuniscono di do-menica in domenica per assistere alle messe“clandestine” in latino. Ciò che è più straor-dinario è che queste righe sono scritte alla fi-ne degli anni sessanta quando Mons. Lefeb-vre era ancora uno sconosciuto ed ancorameno si erano consolidati i centri di messatradizionalisti, benché in quegli anni ci fosse-

Giovannino Guareschi (foto archivio fotografico Guareschi)

ro effettivamente ancora molti parroci dellavecchia guardia alla don Camillo. Per questosi può dire che Guareschi sia stato quasi pro-feta intuendo quello che sarebbe realmentesuccesso negli anni successivi.

« (…) Il signor Bianchi insorse: “Non per-metterò che si trattino con sì deplorevole leg-gerezza argomenti gravi come questo! Ricor-dati che Nenni è vicepresidente del Consiglioe che ora, assieme a U Thant (3), sta risolven-do importantissimi problemi mondiali”.

“U Thant”, ridacchiò Gypo. “Quello cheha normalizzato la situazione del Congo.Adesso, se ci si mette assieme a Nenni, siste-ma anche il Vietnam. Comunque, a mel’idea di Nenni che va in America a illustra-re un’Enciclica, con tanto di benedizione pa-pale, non mi va giù. E tanto perché tu losappia, papà, domenica io non ci vengo allaMandata”.

“Quale Mandata?”“La Messa in italiano”.“Fino a quando sarò il capo di questa fi-

no ad oggi rispettabile e onorata famiglia,cose del genere non accadranno mai. Tu do-menica verrai a Messa con noi!”

“No, pater! Non voglio correre il perico-lo di trovare sul pulpito un funzionario dellaFederazione Socialista. Io andrò a Messa sì,ma dove mi pare e piace. Io sono uno deifondatori dell’ACP.”

“ACP?, che significa?”“Associazione Cattolici Pacelliani. Ci

siamo riuniti in trentatré ragazzi, abbiamodiviso la zona attorno a Milano in settori eognuno ha compiuto le sue ricerche. Cosìabbiamo trovato, in un paesino, un vecchioprete di quelli non riformati, che celebra laMessa in Latino, insegna che tutti gli uominisono uguali davanti a Dio e, quindi, ci sonodei buoni non solo nel proletariato, ma an-che fra i borghesi. E spiega che non basta es-sere brutti, stupidi e poveri per aver dirittoal Regno dei Cieli, ma occorre anche esserebuoni e onesti. È un vecchio parroco checrede ancora in Dio, nei Santi, nel Paradisoe nell’Inferno e, quando confessa le ragazze,non fa loro delle disquisizioni sessuali e,quando confessa noi ragazzi, non ci negal’assoluzione se gli diciamo che siamo libera-li, monarchici o missini. È un vecchio parro-co che ritiene ancora valida la Scomunicadel comunismo. E poi ha una chiesetta diquelle all’antica, con tanti fiori, tanti ceri ac-

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cesi e, durante la Messa, c’è il coro che ese-gue gli antichi canti tradizionali. Uno puòaccendere un cero alla Madonna o a qualcheSanto: lui non dice, come quel famoso par-roco sociale che hanno fatto cardinale ades-so, che i vassoi coi lumini accesi sono unospettacolo da rosticceria. E come invece fasempre quel parroco-cardinale, non fa qua-ranta milioni di debiti per sistemare la par-rocchia, dicendo poi ai creditori di farsi pa-gare dalla Divina Provvidenza. E non use-rebbe mai i quattrini dei parrocchiani perpagare la rata del motorino al povero com-pagno in modo che possa continuare a distri-buire gli opuscoli di propaganda comunista.

Quel povero vecchio parroco non lo fa-ranno mai Cardinale, o Vescovo e nemmenoMonsignore. Sarà fortunato se non lo so-spenderanno a divinis per filocattolicesimoantisociale. Abbiamo organizzato ogni cosa:quasi tutti hanno la macchina, si parte lamattina presto, prendendo strade diverse.Bisogna evitare di dare nell’occhio per nonmettere nei guai quel povero parroco. I mon-tiniani hanno mezzi e, attraverso i preti-ope-rai, sono collegati con le cellule comunisteche controllano tutto e tutti. Siamo già oltresettanta fra ragazzi, ragazze, padri e madri”.

“Ma”, si preoccupò la signora Bianchi,“vedendo tanti forestieri alla Messa, quellidel paese entreranno in allarme e faranno laspia”.

“No, mamma”, rispose Gypo; “sono tuttipacelliani e anticomunisti”.

Il signor Bianchi balzò in piedi: “Qui sia-mo in piena Vandea!” urlò inorridito.

“Gypo, fammi tenere il posto, vengo an-ch’io”, disse tranquillamente la signoraBianchi che, in fondo, aveva sempre fatto iltifo per la Vandea.

“Règolati come credi”, le disse asciutto ilsignor Bianchi. “Io continuerò ad andare al-la solita chiesa”.

“Anch’io”, aggiunse la Giusy. “Mi eccita-no un pozzo quei pretini giovani che ci fannola predica e si scagliano contro gli industriali,i capitalisti, i liberali eccetera. Fanno venirein mente la rivoluzione francese, la presa del-la Bastiglia e via discorrendo. E poi, adesso,hanno incominciato a demistificare la chiesa.Era ora di finirla coi lumini puzzolenti, coisanti di gesso e con le Madonnine caramella-te. Dovrà rimanere soltanto la croce, nuda ecruda. Il simbolo, cioè, del Proletariato sfrut-tato e torturato dai ricchi”.

“E Cristo”, domandò la signora Bianchi,“l’hanno sfrattato anche lui?”

“Cristo rimane sempre, non di legno o dibronzo, ma vivo e operante nei Vangeli,specialmente in quello di Pasolini che è ilpiù in gamba di tutti i Vangeli. Bisogna de-mistificare, capisci?”

“Certo che capisco”, rispose Gypo. “Oc-corre un lavoro di rigida revisione. Peresempio; adesso che s’è scoperto che gliebrei non hanno nessuna responsabilità nelsupplizio di Cristo, bisognerà sdrammatizza-re anche l’episodio della Crocifissione. Infondo, si tratta di un normale caso di morteapparente. La Resurrezione...”

“Non bestemmiare!” urlò il signor Bianchi.“Non bestemmio, papà: ragiono secondo

la mentalità dei preti nuovi. Vedrai: quelli,durante la Messa faranno cantare Gaber, Ma-ria Monti, la Ornella Vanoni e gli altri cantan-ti sociali. In fondo, adesso che ha ispirato lesublimi canzonette di Gino Paoli, il cantoGregoriano non ha più ragione di esistere”.

“Fate vobis”, disse con sarcasmo il signorBianchi. “Io e la Giusy rimaniamo sulla stra-da giusta che è quella legale e porta allaChiesa dell’avvenire”.

“Fate bene”, ridacchiò Gypo. “Oltre alresto, voi montiniani avete il vantaggio che,quando il confessore vi assegna una peniten-za troppo pesante, potete sempre ricorrerealla CGIL. Giusy, se domenica alla Messa vidistribuiscono i santini benedetti con l’im-magine di Nenni, portamene uno” ».

I preti operai

In questi due testi, che hanno come prota-gonista sempre la famiglia Bianchi (alla qua-le si aggiunge la vecchia nonna fascista),compare per la prima volta don Giacomoprete-operaio o prete-idraulico modernista esocialista, che entra in casa per riparare unrubinetto e che cerca come confessa lui stessodi “allontanare dalla casa di Dio le pecorerognose e i lupi vestiti da pecore: le vecchiebeghine baciapile, i ricchi ipocriti ed egoisti, ifanatici nazionalisti, i militaristi, i fascisti.Tutti, insomma, i nemici del popolo lavorato-re e della pacifica coesistenza”. Una verachicca è quando il figlio Gypo pone la do-manda se tra i preti-operai esistano anche i“preti-preti” ed il giovane curato progressistarisponde di sì, che essi sono i “vecchi parrociconvenzionali”. Naturalmente il prete-ope-

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raio non è neanche un buon idraulico, poichédopo il suo passaggio “il rubinetto perde an-cora”, ad ognuno il suo mestiere… dice sag-giamente il proverbio. Da notare come il pre-te-operaio avesse rigorosamente la talare sot-to la tuta poiché il clergyman e ancor più l'a-bito borghese era inconcepibile per i sacerdo-ti di quei tempi. Nel secondo passaggio il mo-derno don Giacomo “telefona la benedizionepasquale” delle case.

« Andò ad aprire la signora Cristina, lavecchia madre del signor Bianchi, che avevafatto l’annuale puntatina prenatalizia incittà. E subito ricomparve in tinello: “C’èuna brutta faccia con gli occhiali e tuta”,spiegò al signor Bianchi. “Pare che gli inte-ressi qualcosa del bagno”.

“Maria, è arrivato l’idraulico!” annunciòa sua volta il signor Bianchi alla moglie.

“Finalmente!” si rallegrò la signora.“Dio sia lodato!”

“Dio non c’entra”, precisò l’idraulico cheera arrivato sulla porta del tinello. “Sia rin-graziato l’idraulico, caso mai”.

“Nessuno voleva offenderla”, spiegòumilmente la signora Bianchi. “È un sempli-ce modo di dire”.

“Sì”, ammise l’idraulico. “Ma più che al-tro, rivela un deteriore atteggiamento dellapiccola borghesia pseudocattolica. Col pre-testo di rendere grazie a Dio d’avervi procu-rato un vantaggio, voi togliete a me operaio,ogni merito. E, se riparerò l’impianto, voidirete “Dio sia lodato, funziona!” come se irubinetti non li avessi riparati io”.

“In compenso, non ce la prenderemocon Dio se i rubinetti non funzioneranno”,replicò la signora Cristina.

“Dio non si occupa di impianti idraulici”,stabilì il giovanotto.

“Il guasto è là, nel bagno”, tagliò cortoGypo.

L’idraulico andò a fare il suo lavoro e lasignora Cristina disse: “Il solito canchero co-munista”.

“No”, rispose il signor Bianchi. “È unoperaio serio ed evoluto, col senso dellapropria funzione nella società e della pro-pria dignità di lavoratore”.

Arrivò dal bagno il rumore preoccupanted’uno scroscio accompagnato da rabbiose im-precazioni. Gypo e il signor Bianchi corsero avedere: svitando un rubinetto, l’idraulico erastato investito da un violento getto d’acqua.

Il guaio fu subito rimediato perché Gypochiuse il rubinetto generale la cui esistenzanon era forse nota all’idraulico. Ma l’acquaaveva infradiciato la tuta del giovanotto.

“Se la tolga che gliela faccio asciugare inpochi minuti” disse la signora Bianchi. L'i-draulico uscì dallo stanzino e aiutato da Gy-po, si sfilò la tuta blu. Fu una sorpresastraordinaria perché dalla tuta non uscì, co-me era da aspettarsi, un idraulico, ma unprete con tanto di sottanone nero.

“Che bello!” esclamò la Giusy. “Un pre-te-operaio!” “Un prete-artigiano”, precisò ilgiovanotto assestandosi il sottanone. “I preti-operai agiscono nelle fabbriche. Noi curiamoil settore borghese e pratichiamo attività checi permettano di venire a contatto diretto, ap-punto, con l’elemento borghese. Quindi ab-biamo preti-elettrotecnici, preti-autisti, preti-verniciatori, preti-tapparellisti, preti-tappez-zieri, preti-falegnami e via discorrendo”.

“Ci sono anche dei preti-preti?” s’in-formò Gypo.

“Naturalmente”, spiegò il giovane cura-to. “Sono i vecchi parroci convenzionali, ipreti borghesi; i preti patriottardi e militari-sti, come i cappellani militari, i preti bigotti,i preti di destra e via discorrendo. Noi, nuovipreti, siamo i reparti d’assalto della Chiesa”.

“Interessantissimo”, approvò il signorBianchi. “E quale sarebbe il compito di que-sti reparti d’assalto?”

“I reparti che operano nell’ambienteproletario-marxista si occupano della cattu-ra delle anime da portare, o riportare, allaChiesa. Il nostro reparto che opera nell’am-biente dei cattolici praticanti, si occupa delrisanamento e della demistificazione”.

“In che senso?” domandò la signora Cri-stina.

“Signora, prima di portare gente in casa,bisogna ripulirla, disinfestarla, bonificarla,risanarla”.

“La gente?”“No: la casa. Bisogna, in altre parole, al-

lontanare dalla casa di Dio le pecore rogno-se e i lupi vestiti da pecore: le vecchie beghi-ne baciapile, i ricchi ipocriti ed egoisti, i fa-natici nazionalisti, i militaristi, i fascisti. Tut-ti, insomma, i nemici del popolo lavoratoree della pacifica coesistenza”.

“Capisco”, concluse la signora Cristina.“Voi buttate via quello che c’è per far postoa quello che non c’è. La tattica dell’‘è me-glio un ovo domani che una gallina oggi’”.

“Esattamente, signora. Perché, in questocaso, si tratta d’una gallina tignosa, vermino-sa, infetta, semiputrefatta mentre l’ovo fre-sco e sano diventerà la stupenda gallina didomani”.

“Anche per voi”, ridacchiò la signora Cri-stina, “il proletariato è sempre il solito pollo”.

“Signora, non cerchi d’imbrogliare lecarte”, insorse il giovanotto. “Il mio ragio-namento è inequivocabile: noi dobbiamosmascherare ed eliminare i cattivi cattolici.Tutti coloro che non vogliono né possonocapire che, oggi, l’iniziativa è stata presa dal-le masse”.

“Le masse non possono prendere maiiniziative, ma solo subirle”, decretò la signo-ra Cristina.

“E le rivoluzioni?” domandò il giovaneprete.

“Hanno tutti nomi d’uomini singoli. Sichiamano Spartaco, Robespierre, Lenin ec-cetera”, replicò la signora Cristina. “Ma lei,reverendo, in quale veste (o meglio: in qualetuta) opera qui?”

“Io sono il sacerdote Giacomo Ganassa,il nuovo coadiutore del vostro parroco e agi-sco nella vostra parrocchia che è compostadi borghesi”.

Peppone e don Camillo si danno la mano…

“Ma se uno avesse bisogno non del-l’idraulico, ma dell’elettricista?” s’informòGypo.

“Siamo tutti collegati, noi preti nuovi, eci aiutiamo a vicenda. La gente, quando è inchiesa, tiene tutta un identico comporta-mento. Si nasconde sotto una impenetrabilecorteccia di perbenismo, di timordidiismo enon è possibile conoscere chi veramente siae che cosa abbia dentro”.

“Ma se viene a confessarsi da voi!”obiettò la signora Cristina.

“Sì: ma uno stesso peccato va valutato di-versamente a seconda dei soggetti. Si puòpeccare per vizio, per malvagità, per igno-ranza, per debolezza, per fame, per inco-scienza, per eccessiva bontà, addirittura. Perpoter valutare l’effettiva gravità d’un pecca-to, bisogna conoscere intimamente il pecca-tore. E lo si può conoscere soltanto spiando-lo nel suo ambiente. In chiesa anche il lupo èvestito da agnello: per smascherarlo, bisognaandarlo a sorprendere dentro la sua tana”.

“Lei è meraviglioso!” s’entusiasmò laGiusy. “Lei non sembra neanche un prete,don Giacomo”.

“Chiamami pure Jack e diamoci del tu. Elascia stare il don”, esclamò molto cordialedon Giacomo.

S’era sistemato in una poltrona del tinel-lo, a fianco dello scaffale dei libri. Studiò ititoli e si felicitò: “Vedo che qui si respiraaria pulita! Teilhard de Chardin, Soldati,Bernari, Quasimodo, Moravia, Pasolini: otti-mamente! Mondadori è un editore serio, im-pegnato”.

“E come no?” ridacchiò Gypo. “È statoil primo a mandare una corona per il funera-le di Togliatti”.

“L’ho notato anch’io”, disse don Giaco-mo. “Un gesto veramente coraggioso”.

“Sì, come quando, in tempo fascista,pubblicava i discorsi di Mussolini”, borbottòla signora Cristina.

Il signor Bianchi le saltò sulla voce:“Don Giacomo, noi siamo tutti perfetta-mente orientati. Anche nelle ultime elezio-ni, abbiamo votato a favore del centrosini-stra, per la DC et il PSI”.

“Io no!” precisò la signora Cristina. “Ioho votato per i liberali”.

Don Giacomo ebbe un moto di sdegno:“Capisco quelli che votano per il PCI. Noncapisco chi vota per i liberali, per i missini oper i monarchici”.

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“Perché?” domandò Gypo.“Perché il peggior peccatore è chi ostaco-

la, per inconfessabili interessi personali o permalvagità pura la santa battaglia che gli one-sti di tutti i partiti combattono per il miglio-ramento della condizione umana. Il peggiornemico di Dio è il nemico secolare del pove-ro. È il ricco che difende ciò che ha rubato”.

“Reverendo, ha scoperto anche lei che laproprietà è un furto?” s’informò la signoraCristina.

“Prima ancora di chi scrisse che la pro-prietà è un furto, qualcuno aveva scritto:‘Chi non lavora non mangi’. Ma non avevobisogno che mi insegnassero queste veritàelementari perché ho l’orgoglio di essere na-to povero. Me ne faccio addirittura unmerito”.

“Se nascere ricchi non è un merito”, sta-bilì la signora Cristina, “non lo è neppurenascere poveri. È semplicemente una fortu-na per chi è intelligente e una disgrazia perchi ha le pigne nel cervello”.

“Signora”, gridò don Giacomo, “soltantoil povero conosce cos’è il bene ed il maleperché è vittima dell’ingiustizia ed è assetatodi giustizia!”

“È assetato di vendetta come il gobboche odia tutti coloro che hanno la schienadiritta e ritiene responsabile la società dellasua disgrazia”, disse la signora Cristina.

“Voi non potete conoscere la nobile ani-ma del popolo perché siete allevati nellabambagia e ignorate la sofferenza. Gesù ca-piva il popolo perché era figlio di un poverooperaio”.

“Dio è qualcosa più d’un povero ope-raio”, ridacchiò Gypo.

“Tu hai voglia di scherzare, ragazzo!”urlò don Giacomo. “Ma non c’è niente da ri-dere qui. È ammissibile che, nell’èra atomi-ca, una povera donna debba fare allattare lasua creatura da una cagna?”

“No”, rispose Gypo. “La società protet-trice degli animali dovrebbe impedirlo”.

“Gypo”, gridò il signor Bianchi. “Il tuomodo di parlare è disgustoso. Ricordati chehai davanti un degno sacerdote e devi ri-spettarlo!”

“Quando avrà riparato il rubinetto dellavabo, lo rispetterò come idraulico”, rispo-se Gypo che, pur non essendo ancora di le-va, possedeva già la mentalità distorta del“parà” colonialista salvatore di ostaggi bian-chi catturati dai comunisti congolesi.

Don Giacomo si rimise la tuta e andò acontinuare il suo lavoro in bagno.

Quando ebbe finito e si avviò per uscire,il signor Bianchi gli domandò quali fosserole sue competenze.

“Riceverà la fattura”, rispose don Giaco-mo. “E anche tu, ragazzo, e anche lei, signo-ra, riceverete a sua tempo la fattura”, ag-giunse minaccioso rivolto verso Gypo e poiverso la signora Cristina. “Non potrete maiarrestare l’avanzata del proletariato. Ci rive-dremo. Non in chiesa, però. Vi fulminereidal pulpito”.

“Non importa, reverendo”, disse la si-gnora Cristina. “Rimarrò cattolica ugual-mente. E, quando mi sentirò vicina alla mor-te, manderò a chiamare l’idraulico”.

Don Giacomo uscì a testa alta.“Mamma”, disse con amarezza il signor

Bianchi. “Sei stata ingiusta. Tu non hai te-nuto il debito conto della sua ammirevolefede e del suo entusiasmo”.

“Poco male”, borbottò la signora Cristi-na. “Ne terranno conto i comunisti. Lo fa-ranno capocellula”.

Il rubinetto del bagno perdeva peggio diprima » (Idraulica, da Il Borghese).

Aggiornamento della Liturgia: benedizio-ne via telefono…

« Squillò il telefono e rispose la signoraBianchi. “È il giovane prete-artigiano coa-diutore del parroco”, spiegò dopo aver rapi-damente liquidato la faccenda.

“Si tratta della Benedizione pasqualedella casa: voleva sapere se siamo disposti ariceverla. Aspetta una nostra telefonata”.

“Certo!” esclamò il signor Bianchi.“Questa è sempre una casa di buoni cristia-ni. Dovevi dirgli di venire senz’altro”.

“Non può venire”, rispose la signoraBianchi. “Ha molto da fare. Dice che la Be-nedizione la telefonerà”.

Come al solito, Gypo sghignazzò cretina-mente.

“E l’Acqua Santa?” s’informò. “Telefo-nerà anche quella o ha fatto un accordo conl’Acquedotto Municipale?”

“Non fare lo spiritoso”, lo ammonì seve-ramente la madre. “Ogni famiglia della par-rocchia è stata tempestivamente fornitad’Acqua santa. L’hanno consegnata assiemeall’olivo benedetto, se ben ricordi. Lui, donGiacomo, telefona la Benedizione e, al mo-mento giusto, il capofamiglia schiaccia il

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pulsante della bomboletta dell’Acqua Santae dà uno spruzzo. Mi pare ben pensata”.

“Certo”, riconobbe Gypo. “Se c’è la cre-ma-spray per barba, perché non dovrebbeesserci l’Acquasanta-spray?”

“Siamo nell’anno di grazia 1965”, inter-venne autorevolmente il signor Bianchi. “Icosmonauti russi passeggiano a piedi per ilcosmo come fossero sulla strada asfaltata.Qualcosa è cambiato, evidentemente: quindianche la Chiesa deve adeguarsi al ritmo in-calzante dei tempi. È ora di guardare più allasostanza che alla forma. La Benedizione diDio può entrare nelle case anche attraverso ilfilo del telefono, e l’Acqua Santa acqua esanta rimane anche se non viene trasportatanel solito secchiello. Se la cristianità ha accet-tato con estrema naturalezza la Santa Messaradio e teletrasmessa, perché tu, Gypo, nonvuoi accettare la Benedizione telefonica?”

Gypo non disse niente e pareva con lamente lontana.

“Gypo”, lo riscosse la Giusy, “perchénon rispondi a papà? A che pensi?”

“Penso che adesso, probabilmente, Nen-ni cava dal taschino del gilè l’orologio diGiovanni XXIII regalatogli dal Papa PaoloVI, lo consulta e dice: ‘È l’ora di andare aprendere ordini dal PCI’.

Il signor Bianchi era un passionale escattò:

“Maria”, urlò indicando col dito fremen-te di sdegno Gypo: “perché il destino mi hacondannato a essere il padre di quel disgra-ziato?”

“Cesarino”, rispose stringendosi nellebelle spalle la signora Maria, “probabilmen-te perché, allora, non avevano ancora sco-perto la ‘pillola cattolica’.

Squillò il telefono: rispose il signor Bian-chi che parlò brevemente poi staccòdall’orecchio la cornetta in modo che tuttala famiglia, stretta attorno a lui, potesseascoltare.

La voce di don Giacomo era forte e le ri-tuali parole della Benedizione si udivano di-stintamente.

Al momento giusto, il signor Bianchischiacciò il bottone della bomboletta conse-gnatagli in fretta dalla moglie. Tutti si segna-rono.

Il rito fu rapido e funzionale, ma nonmeno toccante di quello tradizionale.

La famiglia Bianchi si rimise a sederecommossa.

“Suggestivo, papà”, sospirò Gypo cheera un sentimentale. “Peccato che la mam-ma, invece della bomboletta d’Acqua Santa,ti abbia dato quella del Polivetro”.

“Maria!!” urlò inorridito il signor Bian-chi. “Questo è sacrilegio!”

“No, Cesarino”, gli rispose con dolcezzala signora Bianchi. “La sostanza è salva per-ché, evidentemente, stamattina ho pulito ivetri con l’Acqua Santa. Errare humanumest. Dio mi perdonerà”.

“Certo, mamma”, la rassicurò Gypo.“Più difficile sarà che Dio perdoni a donGiacomo”.

“È un degno sacerdote!” protestò il si-gnor Bianchi. “Le sue idee sono giuste, in-telligenti e moderne” ». (Una feroce rappre-saglia, da Il Borghese)

Liturgia al passo con i tempi e moderna stu-pidità…

La famigliola Bianchi si appresta ad an-dare a Messa, il solito Gypo ne approfitta perfare un po’ di sarcasmo. Qui si toccano temiquali l'ecumenismo con le altre religioni, laresponsabilità del deicidio, sempre nelquadro della nuova liturgia incipiente.

« Suonarono le dieci alla pendola.“È ora di avviarsi per la Messa”,

stabilì il signor Bianchi che aveva ur-gente bisogno di cambiar aria. La Giu-sy osservò che era ancora tanto prestoe Gypo le saltò sulla voce:

“Spicciati, ha ragione papà. Biso-gna arrivare molto prima altrimentitroviamo tutti i posti occupati daicompagni della Federazione Interna-zionale per la diffusione dell’Ateismo(FIDA). Sai, vengono per via del dia-logo coi cattolici. Inoltre ci sono imaomettani. Sono molto sensibili alfatto che il Vaticano ha restituito allaTurchia la bandiera musulmana con-quistata a Lepanto dalla flotta pontifi-cia comandata da Marcantonio Co-lonna. Allora i turchi si chiamavano‘cani infedeli’ e si credeva ancora chea mettere in croce Gesù fosser stati igiudei mentre poi è risultato che sonostati i liberali. Pare che, adesso, proi-biranno la vendita della GerusalemmeLiberata e Goffredo di Buglione verràprocessato come criminale nazista”.

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Per non compromettersi, il signor Bian-chi decise di non parlare più. Riprese le re-lazioni normali con la famiglia all’uscita dal-la chiesa. Allora non poté esimersi dal-l’esprimere il suo vivo compiacimento:

“Indubbiamente, eliminato il latino, laMessa è un’altra cosa”.

“Sono d’accordo”, replicò Gypo. “Peresempio, invece dell’incomprensibile ‘ite Mis-sa est’ è meglio ‘La Messa è finita, andate inpace’. La formula sarebbe stata ancora piùumana e cordiale con una piccola aggiunta:‘La Messa è finita, andate in pace e state atten-ti nell’attraversare la strada’. Bisogna combat-tere la stupida e inutile concisione latina. Ol-tre al resto, i preti nuovi che devono studiareCarlo Marx, Lenin e Stalin eccetera non han-no tempo da perdere per imparare il latino.Però non trovo che il problema sia risolto”

“Non sapevo d’avere un figlio esperto diliturgia, di teologia e via discorrendo”, dissecon infinito sarcasmo il signor Bianchi. “Checos’è che non va?”.

Vignetta di Guareschi apparsa su “Il Borghese” negli anni ‘60

ITALIA CRISTIANO-MARXISTA- Che fanno? Assaltano la chiesa?- No, vanno dal parroco a far benedire la bandiera dell’AssociazioneInternazionale per la Diffusione dell’Ateismo.

“Ci sono milioni di contadini in Sicilia,Calabria eccetera che non conoscono unaparola di italiano. Allora, anche per inqua-drare meglio la riforma nell’ordinamento re-gionale, la messa dovrebbe essere detta neldialetto base di ogni regione”» (…) (Le vec-chie zie, da Il Borghese).

Ecumenismo e libertà religiosa

È importante notare qui come Guareschi,con la sua intuizione e con la fede capiscache la libertà religiosa “mina le fondamentadella Chiesa” e che solo il vero Dio “puòdarsi delle arie da Padreterno” cioè che esisteun solo e vero unico Dio…

« (…) “Il problema dei padri conciliari èsolo quello di mettere la Chiesa Cattolica alpasso col progresso”.

“D’accordo papà”, replicò Gypo. “Peròmi pare un po' imprudente cercar d’aggior-nare e rafforzare la Chiesa incominciandocon lo scalzarne le fondamenta.”

“Tu farnetichi ragazzo”!“No, papà: i comandamenti dicono: ‘io

sono il Signore Dio tuo. Non avrai altro Diofuori che me’. Capisco che questo è un mododi esprimersi un po’ dittatoriale, però in fon-do in fondo, Dio è l’unico che può darsi dellearie da Padreterno. Ora se noi ammettiamo,come vogliono i Padri Conciliari progressisti,la ‘libertà religiosa senza riserve’, si ammetteche un Dio vale l’altro e che le fondamentadella Chiesa cattolica vanno a pallino.”

Il Signor Bianchi si agitò: “Ragazzo!”,escalmò con feroce sarcasmo; “non sapevoche fossi un teologo! Perché non vai a spie-gare la tua tesi al Concilio?”

“Non mi lascerebbero entrare; non ho latessera del PCI”, spiegò Gypo » (La Febbredell’oro, da Il Borghese).

“Sedevacantismo” ante litteram… e antico-munismo

Questo testo del 1965 è straordinario; sitratta di un'altra lettera a don Camillo. In es-sa viene ancora criticato, con un filo di ama-rezza e l'abituale ironia, il Concilio e la suaderiva filo-comunista che deve portare glieterni amici-nemici don Camillo e Pepponead essere sorpassati dai trasbordi ideologi-ci… Dopo aver fatto notare come il Cristocrocefisso non sia più al passo con i tempi,

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Guareschi critica la riforma liturgica con isuoi eccessi “ad experimentum” di quegli an-ni (la celebre espressione “tavola calda” perdesignare l'altare modernista girato verso ilpopolo è stata inventata da Guareschi in que-ste righe). In seguito dopo aver ricordato ilmartirio del cardinal Mindszenty, Guareschisi lancia quasi in una sorta di “sedevacanti-smo” precoce ipotizzando che il “Vero pa-pa” si chiama Giuseppe (cioè l'ungheresecardinal Mindszenty) e non Paolo (VI)…Resta il fatto che l'atteggiamento di Paolo VIponeva dei problemi alle coscienze dei catto-lici portandoli quasi a dubitare della sualegittimità.

NB: si noti come nel 1965 la comunionenella mano (oggi cosa di ordinaria ammini-strazione per i modernisti) non fosse neanchelontanamente ipotizzabile e Guareschi ha do-vuto immaginarsi la “macchinetta distribuisciostie con le pinze”…

« Caro Don Camillo, so che Lei è neiguai col Suo nuovo Vescovo.

Ero a conoscenza che Lei aveva dovutodistruggere l’altare della chiesa parrocchiale esostituirlo con la famosa “Tavola calda” mo-dello Lercaro, relegando il Suo amato Cristocrocifisso in un angolo, vicino alla porta, inmodo che l’Assemblea gli voltasse le spalle.

Ed ero pure a conoscenza che Lei, la do-menica, celebrata la “Messa del Popolo”,andava a celebrarne una clandestina, in lati-no, per i cattolici nella vecchia intatta cap-pella privata del suo amico Piletti.

Ora, i capoccia della DC Le hanno fattola spia e Lei è stato schedato in Curia tra ipreti “sovversivi” dopo aver ricevuto dalVescovo una dura ammonizione.

Reverendo, questo significa non aver ca-pito niente. È giusto, infatti, che Cristo nonstia più sull’altare. Il Cristo Crocifisso è l’im-magine dell’estremismo. Cristo era un fazio-so, un fascista e il suo “O con Dio o controdi Dio” non è che una scopiazzatura del fa-migerato “O con noi o contro di noi” dimussoliniana memoria.

E non si comportava da fascista quandocacciava a manganellate i mercanti dal tem-pio?

Faziosità, intransigenza, estremismo chel’hanno portato sulla croce, mentre Cristo,se avesse scelto la democratica via del com-promesso, avrebbe potuto benissimo metter-si d’accordo coi suoi avversari.

Don Camillo: Lei non si rende conto chesiamo nel 1965. Le astronavi scorrazzano nelcosmo alla scoperta dell’Universo e la reli-gione cristiana non è più adeguata alla situa-zione. Cristo ha voluto nascere in Terra e se,quando l’ignoranza e la superstizione face-vano della Terra il centro o, addirittura, l’es-senza dell’universo, la tradizionale funzionedi Cristo poteva andare, oggi con le esplora-zioni spaziali e la scoperta di nuovi mondi,Cristo è diventato un fenomeno provinciale.Un fenomeno che, come ha stabilito solen-nemente il Concilio, va ridimensionato.

Per Lei i beatniks, i “capelloni”, sono deipidocchiosi da spedire dal tosacani, e le loropartners con le sottane corte coprenti, a ma-lapena, l’inguine, sono per Lei delle sgual-drinelle da sottoporre d’urgenza alla Was-sermann. Invece a Roma, per questi pidoc-chiosi e queste sgualdrinelle, la SuperioreAutorità Ecclesiastica ha organizzato unaMessa speciale, una Messa beat suonata e

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urlata da tre complessi di pidocchiosi.Lei è rimasto all’altro secolo, reve-

rendo. Oggi la Chiesa si adegua aitempi, si meccanizza. E a Ferrara, nel-la Chiesa di S. Carlo, sulla “Tavola cal-da” è in funzione la macchinetta distri-butrice di Ostie. All'offertorio il fedeleche intende comunicarsi depone la suaofferta in un piatto vicino alla macchi-netta, preme un pulsante e, annunciatada un festoso trillo di campanello,un’Ostia cade nel Calice.

E, creda, non è improbabile che, neiLaboratori sperimentali vaticani, si stia-no studiando macchinette più comple-te, le quali, introdotta una moneta eschiacciato un pulsante da parte del co-municando, caccino fuori una piccolapinza che porge l’Ostia, consacrata elet-tronicamente, alle labbra del fedele.

Don Camillo: Lei, lo scorso anno,mi ha rimproverato perché in una del-le mie scenette di casa Bianchi, ho rac-contato che il giovane prete d’assaltodon Giacomo confessava per telefonoi fedeli, e, invece di andare a benedirele case, inviava alle famiglie boccettinedi “Acqua Santa spray”. Lei mi ha det-to che, su queste cose, non si scherza!

Ebbene, ci stiamo arrivando per ini-ziativa della Superiore Autorità Eccle-

siastica. E non è lontano il tempo in cui, do-po la confessione per telefono, il comunican-do riceverà in busta raccomandata l’OstiaConsacrata che egli potrà consumare como-damente a casa servendosi, per non toccarlacon le dita impure, di una apposita pinzaconsacrata fornita dal “reparto meccanizza-zione” della parrocchia. Non escludo che,per arrotondare le magre entrate della par-rocchia, il parroco possa far stampare sullaParticola qualche vignetta pubblicitaria.

Don Camillo: io lo so che, adesso, Peppo-ne La sta sfottendo tremendamente. Però haragione lui.

Certo che, ora, Peppone La sfotte! So cheLe ha ordinato di togliere dalla canonica ilprovocatorio ritratto di Pio XII “Papa fasci-sta e nemico del popolo”, minacciando didenunciarLa al Vescovo. Peppone ha ragio-ne: le posizioni si sono invertite e non è lon-tano il giorno in cui la Sezione ComunistaLe ordinerà di spostare l’orario delle Fun-zioni sacre per non disturbare la “Festadell’Unità” che si svolge nel sagrato.

Un’altra vignetta pubblicata sempre su “Il Borghese” di quegli anni

VATICANO II: LIQUIDAZIONE- I Padri Conciliari hanno assolto gli ebrei dall’accusa di deicidio; quindiin omaggio al nuovo principio della libertà religiosa, questo non serve più.

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Don Camillo: se Lei non si aggiorna e nonla pianta di chiamare “senza Dio” i comuni-sti e di descriverli come nemici della Reli-gione e della libertà, la Federazione Comu-nista Provinciale La sospenderà a divinis.

Io che La seguo esattamente da venti annie Le sono affezionato, non vorrei vederLafinire in modo così triste.

So benissimo che molti suoi parrocchiani,e non solo i vecchi, sono con Lei, ma so pureche Lei se ne andrebbe in silenzio, nascosta-mente, per evitare ogni incidente o discus-sione che potessero portare turbamento nelSuo gregge.

Lei, infatti, ha il sacro terrore di una divi-sione fra i cattolici.

Ma, purtroppo, questa divisione esiste già.So che Lei inorridirà, ma lo dico ugual-

mente.Pensi, reverendo, quale cosa meravigliosa

sarebbe stata e quale forza nuova ne avrebberitratto la Chiesa se, alla morte del “Parrocodel Mondo” (che per la sua bontà e ingenuitàtanti vantaggi ha dato ai senza Dio) il Con-clave avesse avuto il coraggio di eleggere, co-me nuovo Papa il Cardinale Mindszenty!

Oltre al resto, questo sarebbe stato l’uni-co modo giusto, coraggioso e virile per libe-

rarlo dalla sua prigionia: infatti diventatoMindszenty capo dello Stato indipendentedel Vaticano, i comunisti ungheresi avrebbe-ro dovuto lasciargli la possibilità di raggiun-gere la sua Sede.

Con Mindszenty Papa, il Concilio avreb-be funzionato ben diversamente, la Chiesadel Silenzio avrebbe acquistato una voce to-nante. E Gromiko non sarebbe stato ricevu-to in Vaticano e non avrebbe potuto alimen-tare e consolidare l’equivoco che, creato in-genuamente, a confusione delle già confusementi dei cattolici da Papa Giovanni, fruttòil guadagno di un milione e duecentomilavoti ai comunisti e che forse darà ad essi lavittoria nelle prossime elezioni politiche.

Quando i parroci potranno spiegare allerimbambite femmine cattoliche che è pecca-to mortale solo se si vota per i liberali e imissini, sarà una festa per i comunisti!

Don Camillo, non importa se Lei urleràinorridito, ma io debbo dirLe che, non soloper me, ma per molti altri cattolici “sovversi-vi”, il Papa al quale guardiamo come al lu-minoso faro della Cristianità non si chiamaPaolo, ma Giuseppe.

Josef Mindszenty, il Papa dei cattolici cheprovano disgusto davanti alle macchinettedistributrici di Ostie, alla “Tavola calda”che ha distrutto gli altari e cacciato via ilCristo, alle “Messe yé-yé” e ai patteggia-menti con gli scomunicati senza-Dio.

Un’altra delle profezie di Nostradamus si èavverata. I cavalli cosacchi si sono abbeveratialle acquasantiere di S. Pietro. Anche se sitrattava dei Cavalli-vapore (HP) della Limou-sine di Gromiko. E senza escludere che Mons.Loris Capovilla, per rendere omaggio al Gra-dito Ospite, abbia rifatto il pieno al radiatoredella macchina di Gromiko con Acqua Santa.

Don Camillo, se ho bestemmiato, me nepento. Per penitenza ascolterò sei volte ilPater Noster cantato da Claudio Villa.

Ma non si preoccupi: la diplomazia vatica-na lavora e, minacciando di sospenderlo a di-vinis, riuscirà a spegnere l’ultima fulgentefiamma di cristianità, costringendo Mind-szenty a venire a fare il bibliotecario a Roma.

O, magari, no. Se Dio ci assiste ».

GUARESCHI(Il Papa si chiama Giuseppe, da Il

Borghese).

“Ma dove andremo a finire con questo Concilio…”

E don Camillo cosa ne pensa?

E per chiudere questa carrellata di testi“conciliari” ma non “concilianti” di Giovan-nino Guareschi ecco alcune brevi citazioni(alle quali se ne potrebbero aggiungere tante etante altre) che completano perfettamente ilpensiero dell'autore sul Concilio Vaticano II.Il concilio è un “guaio” e riesce solo a svuota-re la chiesa di don Camillo. Le citazioni sonotratte in maggioranza dal libro don Camillo edon Chichi che era il titolo originale dell'ulti-no libro su don Camillo più conosciuto col ti-tolo di Don Camillo e i giovani d'oggi. An-che le vignette pubblicate a pag. 50 e 52 sem-pre sul Borghese di quegli anni completanoegregiamente il pensiero di Guareschi.

« - (Il Cristo parlando a don Camillo)Sono appena uscito dai guai del Conciliovuoi mettermi tu in nuovi guai? (“È di modail ruggito della pecora”, in don Camillo edon Chichi)

- Questi maledetti intellettuali sono larovina del partito! Non possono parlare initaliano? Adesso che anche i preti hannobuttato nella spazzatura il latino, proprio ifunzionari della federazione comunista deb-bono usarlo! (“Don Camillo e la pecorellasmarrita”, ibidem).

- Ecco l’errore della chiesa tradizionale:il mondo diviso in buoni e cattivi (“Sì ven-detta…” ibidem).

- Don Camillo era un povero prete dicampagna, a differenza di don Chichì, avevaletto pochi libri e leggeva pochissimi giorna-li. Quindi a parte le riforme liturgiche, noncapiva quale mai fosse questa nuova stradapresa dalla Chiesa. Né poteva capirlo perchégià da vent’anni, e prima di tutti, don Camil-lo camminava per conto suo proprio su que-sta nuova strada, e ciò gli aveva procuratogrossi guai. Era quindi logico che non pro-vasse simpatia per quel pivello il quale, ve-nuto per insegnargli a fare il prete, riuscivasolo a svuotargli la Chiesa (“Vennero persuonare…”, ibidem).

- (Parlando di Mindzenty) bisogna com-patirlo… è stato portato fuori strada daquell’altro tizio che s’è fatto inchiodare sullacroce. I soliti estremismi.

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- La chiesa tradizionalista ha bisogno dicadaveri ben conservati.

(Ricordo di un novembre lontano,ibidem).

- Bisogna salvare il seme: la fede don Ca-millo, bisogna aiutare chi possiede ancora lafede a mantenerla intatta. Il deserto spiri-tuale si estende ogni giorno di più; ogni gior-no nuove anime inaridiscono perché abban-donate dalla fede. Ogni giorno di più uominidi molte parole e di nessuna fede distruggo-no il patrimonio spirituale e la fede degli al-tri. Uomini d’ogni razza, d’ogni estrazione,d’ogni cultura. (“È di moda il ruggito dellapecora” ibidem).

- Noi vecchi preti abbiamo ancora la fissadei comandamenti ».

Conclusione

Si potrebbe continuare ancora questasimpatica rassegna guareschiana, ma ritengoche i testi fin qui citati siano sufficienti a far-ci capire cosa pensasse realmente Giovanni-no Guareschi del Vaticano II. Non volendoappropriarci del grande scrittore lasciamo allettore l'onere di trarre le debite conclusio-ni… Ci sia solo lecito ipotizzare timidamen-te che se Guareschi fosse vissuto un po' piùa lungo (è deceduto nel 1968) forse l'avrem-mo visto qualche volta in fondo alle nostrechiese e cappelline per assistere ad una“messa clandestina in latino” come lui stessoamava scrivere a don Camillo.

A conferma di questo, e per concluderemostrando che la nostra idea è condivisa an-che da altri, ecco quanto scriveva “Il Bor-ghese” in un editoriale che presentava questiultimi episodi della saga don camilliana:

« Don Camillo, anche se gli italiani sonoabituati a vederlo al cinematografo e alla tele-visione con la maschera di Fernandel, appar-tiene ad una razza molto rara e molto seria:quella di certi tradizionalisti cattolici che nonsi limitano a piangere e recitare rosari, macombattono per le loro idee. Fosse nato inSpagna, Don Camillo sarebbe stato un Santoe sarebbe morto come un martire. Fosse natoin Francia, sarebbe stato un secondo Veuillot.Ma il destino decise di farlo spuntare in Italia[“il paese del melodramma” come ama chia-marlo Guareschi in alcuni suoi racconti.N.d.a.] e per questo Don Camillo è il perso-

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Finkelstein e Novick: la fabbrica dell’Olocausto

La prima parte del libro

Èuscito recentemente, per i tipi del Setti-mo Sigillo il libro di MARIO SPATARO,

Olocausto. Dal dramma al bussiness? Rifles-sioni sugli scritti di Norman G. Finkelstein.

La prima edizione, quasi esaurita, consi-steva in uno studio di Spataro sugli scritti diFINKELSTEIN; la seconda edizione sarà arric-chita da una seconda parte comprendentegli scritti di NOVICK e dovrebbe vedere la lu-ce verso la fine del 2002.

Nella prima parte del libro, l’autore svol-ge alcune interessanti riflessioni sul lavorodi Finkelstein, che cita ampiamente.

Finkelstein è un ebreo americano, i cuigenitori sono stati deportati in un campo diconcentramento tedesco, e nel suo libro (Lafabbrica dell’Olocausto) fa alcune riflessionisullo sfruttamento delle sofferenze degliebrei, da parte di varie lobbies ebraiche.

Secondo il Finkelstein la memoria per-manente dell’Olocausto è una costruzioneideologica e mitologica fatta in vista di inte-ressi materiali e individuali.

La storia vera dell’Olocausto è trascorsasotto silenzio fino al 1967; mentre la scoperta

naggio che Guareschi ha inventato: forse per-ché nella cosiddetta “culla del cattolicesimo”soltanto un umorista poteva sentire così pro-fonda la spinta della Fede; o, forse, perché lareligione da noi, a dispetto di quanto diconogli “innovatori”, esiste soltanto come feno-meno popolare».

Molti commentatori hanno ingiustamentecriticato don Camillo, basandosi principal-mente sulla sua immagine edulcorata [e criti-cata dallo stesso Guareschi] fornita dalla fil-mografia, perché hanno voluto vedere nelpersonaggio di Guareschi il precursore del“dialogo” fra la Chiesa e il PCI. La verità èesattamente l’opposto. Infatti, Don Camillo,e con lui Guareschi, come abbiamo appenavisto, combatte contro i “nuovi preti” armatodella sua solita, vecchia e unica arma, il Cro-cefisso. Egli sa che la religione può finire conlui e il lettore lo capisce; ha quasi la sensazio-ne fisica del pericolo che minaccia la Chiesain seguito all'accettazione del “dialogo”.

Dopo ormai quarant'anni di applicazio-ne del Concilio, vedendo i frutti disastrosi(dai frutti li giudicherete, Luca VI, 43) (svuo-tamento delle chiese, perdita della fede el'indifferentismo portato dall'idea che tuttele religioni sono uguali) che ha prodotto, eche Guareschi aveva lucidamente percepito,non possiamo che essere confortati nella no-stra battaglia pensando che al nostro fiancoc'è anche il “tradizionalista” “prete-prete”don Camillo che celebra “messe clandestinein latino” e che custodisce nella sua vecchiachiesa tutte “quelle cianfrusaglie” che i nuo-vi-preti, insieme alla fede hanno venduto obuttato in discarica.

Caro don Camillo, anche noi siamo suoiparrocchiani.

Note

1) Con il termine rito bolognese Guareschi vuole de-signare gli esperimenti applicativi della riforma liturgica,voluta dal Vaticano II, che si facevano a Bologna e din-torni; diocesi del “cardinale rosso” Lercaro che era presi-dente proprio di quella commissione che doveva eseguirele riforme. Inutile dire che questi esperimenti erano mol-to seguiti e reclamizzati dai media, televisone compresa.

2) Bisogna notare come a quasi quarant'anni di di-stanza questa opera blasfema di Hochhuth, che ingiuriaPio XII sia ritornata d'attualità con il recente film:“Amen” di Costa Gravas, presentato prima in Francia epoi anche in Italia.

3) Il birmano U Thant era in quegli anni segretariogenerale dell'ONU, posto ricoperto oggi dal ganese Ko-fi Annan.

Fernandel e Gino Cervi con lo scrittore, nonno emozionatissimo

Recensioni

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per gli ebrei americani, anzi il destino delloStato d’Israele era loro del tutto indifferen-te, in quanto l’America guardava con so-spetto a Israele come potenziale futuro al-leato del “Patto di Varsavia”.

Nel 1956 (data della guerra del Canale diSuez, contro l’Egitto) Israele compiva il pri-mo passo verso l’Occidente e si alleava conInghilterra e Francia, ma per gli USA que-sto fatto non era ancora sufficiente; tuttaviadopo la fulminea vittoria (sei giorni) del1967, gli Usa puntarono su Israele comepunto d’appoggio strategico in Medioriente.

Lo Stato israeliano divenne il rappresen-tante politico-militare degli USA in Medio-riente.

In seguito Israele facilitò la sua assimila-zione agli USA; gli ebrei si erano oramaischierati con la “civiltà” occidentale (vale adire anglo-americana e non europea) controle orde arabo-sovietiche.

Se fino al 1967 lo Stato d’Israele, evoca-va - per gli USA - il fantasma della “doppiaappartenenza”; dopo fu l’esempio di fedeltàper eccellenza!

Quindi le élites ebraico-americane riscopri-rono Israele, che divennne la “religione” ame-ricana; gli USA divennero così - de facto - unoStato “confessionale” demo-pluto-giudaico.

Ma ecco spuntare la questione spinosadell’Olocausto idealizzato. I sionisti, per di-fendere i loro vantaggi economici, opponeva-no lo Stato d’Israele assediato da arabi e so-vietici alla vigliaccheria degli ebrei americanidurante la seconda guerra mondiale; fu cosìche i sionisti si ricordarono dell’Olocausto.Su tale rimembranza vi sono due versioni: 1ª)quella ufficiale: nel 1967 Israele correva il pe-ricolo mortale di un nuovo Olocausto, quindiIsraele, proprio nel 1967, si ricorda dell’Olo-causto. 2ª) quella reale: se fosse andata dav-vero così, gli ebrei avrebbero dovuto ricor-darsene nella guerra del ‘48, forse anche inquella del ‘56, quando si pensava ancora chegli arabi potessero annientare Israele.

Allora vien spontaneo domandarsi, perchél’Olocausto non è diventato il culto religiosoufficiale degli USA nel ‘48, ma solo nel ‘67?

L’industria dell’Olocausto ha fatto la suaentrata in scena poprio dopo la fulminea vit-toria del ‘67, quando Israele è diventato pie-namente filo “occidentale” ed è divenuto ilbastione degli USA in Medioriente!

Le élites ebraico-americane si ricordaronodell’Olocausto nel ‘67, perché oramai Israele

dell’Olocausto, fatta da ebrei americani - se-condo Finkelstein - è peggio dell’oblio, poichési vuole sfruttare la sofferenza reale degli ebreideportati in Germania tra il 1941 e il 1945.

Prima della guerra dei sei giorni del 1967,anno della scoperta dell’Olocausto ideologiz-zato e gonfiato, i libri sulla Shoah erano sol-tanto due: quello di Raul Hilberg (La distru-zione degli ebrei europei) e quello di EllaLinsgenreiner (Prigionieri della paura).

Dopo il 1967 - secondo Finkelstein - si èutilizzato l’Olocausto, ideologizzato e mitiz-zato, per giustificare la politica criminale del-lo Stato d’Israele e il sostegno degli USA aIsraele.

Finkelstein rivolge un invito ai lettori: “èvenuta l’ora di aprire i nostri cuori alle soffe-renze del resto del mondo e non dei soli ebrei”.

La madre di Finkelstein ad esempio, nongli ha mai detto “non comparare”, “nonmettere in rapporto” la sofferenza ebraica,di serie A, e quella degli altri, di serie B.

La capitalizzazione dell’Olocausto

Fino al 1967 gli ebrei americani non vole-vano sentir parlare di Olocausto, a causadella politica opportunista dei dirigentiebreo-americani e del clima di “guerra fred-da” dell’America nel dopo ‘45.

Le élites ebraiche si uniformavano allescelte politiche americane, per assimilarsi eaccedere al potere. Siccome la Germania oc-cidentale, dopo il 1949 era divenuta alleatadegli USA nella guerra fredda contro l’URSS,non era politicamente corretto parlare del-l’Olocausto, senza offendere la Germania.

Tutto cambia, però, con la guerra dei seigiorni (1967); dopo un ventennio di silenziol’Olocausto ideologizzato diviene storia ereligione dell’ebraismo americano.

Infatti, prima, le élites ebraico-americaneerano scettiche sull’esistenza dello Stato diIsraele, avevano paura che a causa di essorinascesse l’accusa della “doppia apparte-nenza” e che i leaders dello Stato ebraico sischierassero con l’URSS.

Ma Israele si schierava a fianco dell’occi-dente, quasi subito dopo la proclamazionedella sua nascita (1948). Tuttavia molti lea-ders israeliani conservavano una grande sim-patia per l’URSS, basti pensare che oggi 1/3della popolazione d’Israele è di origine russa.

Perciò, dal ‘48 al ‘67 Israele non era an-cora il cuore degli USA, non era importante

non era piùun pericololaburista o fi-lo-sovieticoper gli USA,ma si erac o m p l e -tamente “oc-cidentalizza-to” ossiaamericaniz-zato.

Q u i n d icol 1967 leassociazioniebraico-ame-ricane hannosfruttato la

fabbrica dell’Olocausto come arma per spe-gnere ogni critica contro lo Stato d’Israele.

Conclusione della prima parte

Finkelstein termina le sue riflessioni scri-vendo che “la letteratura sulla soluzione fi-nale fisica ideata da Hitler, non ha nessunvalore scientifico. Gli studi sull’Olocaustosono pieni di assurdità, contraddizioni e fro-di” e che “la sfida di oggi è di fare dell’Olo-causto l’oggetto di uno studio razionale”!

La seconda parte del libro

Comprende uno studio di Mario Spatarosugli scritti di un docente universitario ameri-cano ed ebreo, PETER NOVICK il quale nel1999 ha scritto un libro intitolato The Holo-caust in American Life. Novik non si occupadell’aspetto lucrativo della religione olocau-stica, ma si concentra sui motivi storici e poli-tici per i quali l’Olocausto è rimasto nel-l’oblio per decenni interi sino alla metà deglianni Settanta. Egli sottolinea il fatto che laseconda guerra mondiale aveva causato 50-60milioni di morti e che la morte degli ebrei eu-ropei non turbava le coscienze degli america-ni o degli europei; inoltre afferma che i nemi-ci iniziali del nazismo erano i comunisti.

L’Olocausto, secondo Novick, contribuìalla nascita e al consolidamento dello Statod’Israele e cita Ben Gurion che affermava,“dobbiamo servirci di Hitler per costruire lanostra patria”.

Egli ha il coraggio di scrivere che granparte dei decessi nei campi di concentramen-

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to (o di lavoro) tedeschi si è avuta negli ulti-mi mesi del conflitto: cosa che non sarebbeaccaduta senza la pretesa anglo-americanadi una resa incondizionata della Germania.

Tra l’altro, in polemica con HannahArendt, Novik ritiene controproducente ilprocesso ad Adolf Eichmann e valuta infon-date le insinuazioni di Rolf Hochhuth, controPio XII, nel suo dramma Il Vicario, tornatoalla ribalta in questi giorni sotto veste cine-matografica, con il film Amen del registagreco-ortodosso Costa-Gravas.

don Curzio NitogliaMARIO SPATARO,

Olocausto. Dal dramma al business?Riflessioni sugli scritti di Norman G.Finkelstein.Settimo Sigillo (Libreria Europa, v. Seba-stiano Veniero 74), Roma pagg. 74, € 7,00.

Influsso dello gnosticismoebraico in ambiente cristiano

Nel 1988 don Ennio Innocenti pubblicavala prima edizione di “Influsso dello gno-

sticismo ebraico in ambiente cristiano”, il li-bro di don Julio Meinvielle pubblicato aBuenos Aires nel 1970 sotto il titolo “DallaCabala al Progressismo”. Don Julio Mein-vielle spiega nel suo studio che vi sono duetradizioni: una cattolica e verace, l’altra gno-stico-cabalistica-talmudica, che è spuria. De-finisce poi la natura di entrambe e l’affinitàtra la seconda tradizione parassitaria e caba-listica con l’occultismo e la Massoneria.Quindi ripercorre la storia del pensiero caba-listico dal manicheismo sino a Gioacchino daFiore e poi passa alla spiegazione della pene-trazione della Cabala spuria nel mondo cri-stiano (Pico, Ficino, Bruno, Spinoza, Fichte eHegel). Infine dedica un capitolo al progres-sismo cristiano e vi scorge (documentandolo)l’influsso della Cabala pervertita che si esten-de fino al Concilio Vaticano II.

Nel 1995 don Ennio Innocenti ha volutostampare una seconda edizione del libro incui ha compendiato le prime duecento pagi-ne del Meinvielle (forse di non facile lettu-ra), ed ha aggiunto (a partire da pag. 243)una sua “appendice” che abbraccia gli anniSettanta-Novanta. In essa riporta: l’elencodei cognomi degli ebrei d’Italia pubblicato

da Samuele Schaefer (ed. “Israel”, FI); il te-sto del riconoscimento dello Stato d’Israeleda parte del Vaticano (1993-94); la critica difratel Bruno Bonnet-Eymart al § 1096 del“Catechismo della Chiesa cattolica” (1993)(liturgia ebraica e cristiana); una critica aKarl Rahner alla luce dei libri di padre Cor-nelio Fabro sul gesuita tedesco apparsi nel1974 (ed. Rusconi, MI) e conclude giusta-mente con la critica dell’Ontologismo di Ro-smini e Gioberti, applicato, mi sembra, uni-vocamente e senza i dovuti distinguo anchead Augusto del Noce, il quale a mio parerenon può essere qualificato come un puro on-tologista; infatti se il suo itinerario filosoficoè passato attraverso Malebranche e Rosmini,è approdato però - grazie a Etienne Gilson -al tomismo poco tempo prima di morire enon è stato perciò sviluppato ampiamente.

Il libro del Meinvielle, integrato da donEnnio Innocenti si può richiedere al nostroCentro Librario Sodalitium - località Carbi-gnano 36 - 10020 Verrua Savoia fino adesaurimento delle scorte disponibili.

don Curzio NitogliaJULIO MEINVIELLE

Influsso dello gnosticismo ebraico inambiente cristianoSacra Fraternitas Aurigarum in Urbe,Roma 1995, pagg. 380 € 15,50

Gesù a Roma

Commento letterale degli Atti degli Aposto-li verso per verso, con spiegazione del si-

gnificato spirituale e filologico del testo sacro.Molto profondo per quel che riguarda

l’opposizione della Sinagoga farisaica allaChiesa cristiana.

Una lettura indispensabile per conoscerela storia della Chiesa apostolica e le originidel Cristianesimo; può essere molto utile an-che come libro di meditazione grazie a cin-quanta belle tavole illustrative dovute all’ar-chitetto Angelo Bottaro sui fatti storici nar-rati da S. Luca negli Atti. Non condivisibilela nota 2 pag. 207 su Evola e il giudizio trop-po benigno sul paganesimo romano.

don Curzio Nitoglia

ENNIO INNOCENTI, Gesù a Roma, Ed. Sacra Fraternitas Aurigarum in Urbe,

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2002, via Capitan Bavastro 136, Roma,pagg 217, in offerta a € 13,00C.C.P. 71064000 - Tel. 06.575.51.19 email: [email protected]

San Pio V “Il Papa dellaS. Messa e di Lepanto”

Il giovane pastore di Bosco, sperduto bor-go dell’alessandrino devastato da continue

guerre, che seguì un giorno due frati dome-nicani di passaggio, non avrebbe mai imma-ginato che un giorno sarebbe diventato il Vi-cario di Cristo, temuto o amato dai potentidella terra, e poi, per lunghi secoli, l’ultimoPapa santo della storia. Eppure fu così.L’istituzione ecclesiastica era quella che piùfacilmente permetteva alle classi sociali piùumili - in una società fortemente gerarchiz-zata - una rapida ascesa alle cariche più pre-stigiose, finanche alla più gloriosa che esi-stesse sulla terra: il Papato. Anche Sisto V,discepolo e successore del nostro giovanepastore di pecore, fu un tempo guardiano diporci… E fra le istituzioni ecclesiastiche deltempo, la più popolare, in tutti i sensi dellaparola, era certamente l’Inquisizione, il solotribunale che, in nome della Fede, potessegiudicare i Grandi e persino gli Imperatori.

Ma il giovane Antonio Ghislieri, di nobi-le famiglia bolognese esiliata dalla patria edivenuta contadina nella campagna piemon-tese, non mirava alla gloria e agli onori terre-ni lasciando la sua umile casa che ancor oggisi può visitare a Bosco, ché anzi, ad ogni pro-mozione, temeva per la sua eterna salvez-za… Egli lasciava la casa e la famiglia per se-guire Colui che si era detto la Verità: “Io so-no la Via, la Verità e la Vita”. L’ordine dome-nicano non era forse l’ordine della verità?

Dotato negli studi, santo nella vita, il fu-turo San Pio V nacque sotto Giulio II, unanno dopo la morte di Alessandro VI. Ma èla Chiesa di Alessandro e di Giulio e deglialtri Papi rinascimentali (che è sempre laChiesa di Cristo!) che ci darà - tra lo stuporedi tutti - un Papa Santo che traformò il Vati-cano in un convento e che sembrava usciredirettamente dal medioevo di San GregorioVII o di Innocenzo III.

La scuola del Ghislieri fu l’ordine dome-nicano: la vita religiosa di San Domenico, ladottrina di san Tommaso… E poi l’Inquisi-

zione, appunto. L’Inquisizione Romana fuistituita per arginare l’eresia luterana; l’ap-provò Papa Paolo III, ma ne fu vero ispira-tore il maestro di fra’ Michele (questo il suonome religioso) Ghislieri: il cardinale Gio-vanni Pietro Carafa, futuro Papa Paolo IV.Questi aveva lasciato la sua diocesi e le suericchezze per divenire religioso nell’ordineda lui fondato con San Gaetano da Thiene, iTeatini, e aveva capito che la lotta control’eresia sarebbe stata vinta con la santità e lariforma dei costumi, da un lato, e con l’In-quisizione dall’altro. E chi meglio di Miche-le Ghislieri avrebbe potuto promuovere effi-cacemente l’una e l’altra?

Per questo il Ghislieri cadde in disgraziasotto Pio IV, che aveva un altro programma.Alla morte di Pio IV nessuno si sarebbe aspet-tato che proprio il cardinale nipote del defun-to pontefice avrebbe fatto eleggere al Sogliodi Pietro l’avversario dello zio. Ma il cardinalenipote si chiamava San Carlo Borromeo.

Divenuto Papa, San Pio V restò fratenella vita privata, ma fu Grande come Pon-tefice. Lo temettero i nemici, il Turco comela grande Elisabetta, gli ugonotti francesicome i dissimulati eretici italiani, gli ebreicacciati dagli Stati della Chiesa come gli ec-clesiastici indegni. Lo amarono i veri cattoli-ci. Nessuno lo disprezzò.

È attuale San Pio V? Dopo tanti secoli?Come negarlo quando constatiamo che i pe-ricoli che minacciavano la Chiesa del suotempo, la minacciano tuttora; sia quanto aglierrori nella fede, sia quanto alla mondaniz-zazione dei costumi. Certo, se le spoglie delsanto che riposano a Santa Maria Maggioresi rianimassero miracolosamente, cosa pen-serebbe San Pio V dei cattolici di oggi? Ecosa penserebbero essi di lui? In questo sen-so egli è ancora attuale, perché la sua vita edil suo magistero sarebbero oggi oggetto discandalo salutare, in quanto diametralmenteopposti al comune pensare e sentire. Ed è diquesto che abbiamo bisogno!

Ed è proprio perché abbiamo bisogno diun San Pio V che don Ugolino Giugni, del-l’Istituto Mater Boni Consilii, ne ha tracciatoil profilo per i lettori dei nostri giorni. Questolibretto raccoglie una serie di articoli pubbli-cati a suo tempo sulla rivista Sodalitium: lo sti-le è semplice e divulgativo, adatto a tutti i let-tori. Il libro ha già avuto successo in una edi-zione francese; mi auguro che ne riscuota unoancora maggiore in quella che fu la patria di

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San Pio V, e che con-tribuisca a mantenereaccesa la fiamma del-l’amore della Verità.

don Francesco Ricossa

DON UGOLINO GIUGNISan Pio V “Il Papadella S. Messa e diLepanto”Centro LibrarioSodalitium VerruaSavoia 2002, pagg.100 € 8,40.

L’Esoterismo

Molte sono le persone che conosconoSchuon, Evola, Guénon e Mordini, ma

pochi sanno che essi hanno attinto la loro“dottrina” dalla Cabala giudaica.

L’autore vuole dimostrare che tramiteRaimondo Lullo, Marsilio Ficino, Pico dellaMirandola, Giordano Bruno e Baruch Spi-noza, la Càbala spuria ha influenzato, in ma-niera decisiva, i grandi iniziati moderni (tra iquali bisogna annoverare anche Joseph DeMaistre).

Con il presente libro, inoltre, il lettorepotrà capire le definizioni di termini qualiesoterismo, gnosi e càbala alla luce della me-tafisica aristotelico-tomistica e comprenderele contraddizioni e gli equivoci che da essiderivano.

SodalitiumCURZIO NITOGLIA

L’Esoterismo.L’auto-divinizzazione dell’uomo e l’unitàtrascendente delle religioni alla luce dellametafisica tradizionaleCentro Librario Soda-litium Verrua Savoia2002, pagg. 300€ 14,00.

Novitàdue nuovi libri editi dalnostro centro Librario

Centro LibrarioSodalitium

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Dichiarazione a proposito della riunione interreligiosa di Assisi del 24 gennaio 2002

Il 24 gennaio prossimo si terrà ad Assisi – su richiesta di Giovanni Paolo II – una nuova riunione “interreli-giosa”, ispirata a quella similare del 1986.

In quanto fedeli dell’unica vera Chiesa, Cattolica, Apostolica e Romana, ci sentiamo in dovere di testimo-niare la nostra fede condannando pubblicamente questa riunione, in quanto contraria alla Sacra Scrittura, atutta la Tradizione ed al Magistero della Chiesa.

Il primo comandamento di Dio, infatti, intima:“Non avrai altro Dio al di fuori di me” (cf Esodo, XX, 3) mentre ad Assisi sono stati convocati gli adorato-

ri dei falsi dèi e, nel 1986, un simulacro di Budda è stato adorato in una chiesa cattolica consacrata a Cristo.L’Apostolo San Paolo comanda:“l’uomo eretico, dopo una o due ammonizioni, evitalo, sapendo che un siffatto si è fuorviato e pecca, essendo

un condannatore di sé stesso” (Tito, III, 10-11)e l’apostolo della carità, San Giovanni, precisa:“se qualcuno viene a voi e non reca questa dottrina, non lo ricevete in casa e non lo salutate. Chi infatti lo

saluta, partecipa alle opere malvagie di lui” (II Gv. 10-11) mentre ad Assisi sono invitati ed onorati eretici diogni sorta.

Papa Pio XI - condannando le riunioni ecumeniche (che allora si facevano solo tra “cristiani”, escluden-do le altre religioni) - esclamò stupito:

“Non manca chi addirittura ha il pio desiderio di vedere a capo di questi congressi, diciamo così, variopinti,lo stesso Papa!”

per poi aggiungere:“è evidente che la Sede Apostolica non può in nessuna maniera prendere parte ai loro congressi, e in nessuna

maniera devono i cattolici aderire o tener mano a simili tentativi; altrimenti vengono a dare autorità a una prete-sa religione cristiana, che è lontana le mille miglia dalla sola Chiesa di Cristo. Dovremmo noi patire che la ve-rità, e la verità rivelata da Dio, sia tratta a compromessi? Sarebbe una ingiustizia palese. Ciò che è in giuoco nel-la faccenda è appunto la difesa della verità rivelata” (Lettera enciclica Mortalium animos).

A chi in buona fede volesse difendere dall’accusa di sincretismo e indifferentismo simili riunioni, con sotti-li distinguo, facciamo notare che il popolo non coglie tali distinzioni e capisce solo – con grave scandalo per leanime – che tutte le religioni possono essere buone davanti a Dio. La Massoneria ha allora buon gioco nelloscrivere:

“Il nostro interconfessionalismo ci ha valso la scomunica ricevuta nel 1738 da Clemente XI. Ma la Chiesaera certamente nell’errore se è vero che il 27 ottobre 1986 l’attuale Pontefice ha riunito ad Assisi uomini di tuttele confessioni religiose per pregare assieme per la pace. Cos’altro cercavano i nostri Fratelli quando si riunivanonei templi, se non l’amore tra gli uomini, la tolleranza, la solidarietà, la difesa della dignità della persona uma-na, considerandosi eguali al di là del loro credo politico, del loro credo religioso e del colore della pelle?”

(Discorso del Gran Maestro Armando Corona per l’Equinozio di Primavera, Hiram, primavera 1987).E allora ci chiediamo: come può un vero e legittimo Vicario di Cristo e successore di Pietro mancare così

gravemente al suo compito pastorale, non solo evitando di cacciare i lupi dall’Ovile del Signore, ma addirit-tura introducendoveli, in una vicenda nella quale è in gioco la stessa “difesa della verità rivelata”? Noi credia-mo che ciò sia impossibile.

Invitiamo pertanto tutti i fedeli cattolici a testimoniare anch’essi la fede ricevuta nel battesimo, condan-nando questo nuovo scandalo.

Invitiamo tutti i prelati che occupano le Sedi episcopali e Cardinalizie, e che hanno mantenuto la fede nelproprio cuore, a professarla pubblicamente, condannando con la loro ritrovata autorità tutti gli errori, parti-colarmente l’ecumenismo. Li invitiamo a rivolgere una ferma monizione canonica a Giovanni Paolo II perchési unisca a loro nel ritrattare e nel condannare solennemente tali errori, riparando lo scandalo dato alle animee l’offesa arrecata alla SS.ma Trinità, unico vero Dio, e alla dignità della Sede Apostolica, e ritrovando cosìanch’egli la sua Autorità.

Affidiamo questa nostra dichiarazione ed il suo buon esito alla protezione della Santissima e sempre Ver-gine Maria, Madre di Dio e distruttrice di tutte le eresie, e concludiamo pregando con la liturgia della Chiesa:

“Ut inimicos Sanctae Ecclesiae humiliare dignerisTe rogamus, audi nos” (Litanie dei santi)

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Visita di Mons. McKenna a Verrua Sa-voia. Era dal 12 ottobre 1997, che unVescovo non faceva più visita al nostro

Istituto. È stato con vera gioia, pertanto, chel’11 gennaio abbiamo accolto all’aeroportodella Malpensa Mons. Robert Fidelis McKen-na o.p., accompagnato da don Joseph Selway edal dott. Joseph Klimek. Il giorno seguente èstato allietato dall’anniversario dell’ordinazio-ne di don Giugni, avvenuta proprio a Verrua,undici anni prima, e dalle mani di Mons.McKenna, nonché dalla prima comunione diGiovanna Severino. Domenica 13, il Vescovocelebra Messa nell’Oratorio del Sacro Cuore aTorino, ove amministra anche le sante Cresi-me. Il lunedì, 14 gennaio, è un grande giornoper il Seminario San Pietro Martire: cinque se-minaristi ricevono da Mons. McKenna la pri-ma Tonsura nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo,a Verrua. Infine, mercoledì 16 gennaio, Mons.McKenna ha conferito la consacrazione epi-scopale a Mons. Geert Jan Stuyver, dell’Istitu-to Mater Boni Consilii, nel corso di una ceri-monia bella e commovente. Pensiamo fare co-sa utile nel pubblicare il testo del comunicato,datato 21 dicembre 2001, con il quale prean-nunciammo ai fedeli la prossima consacrazio-ne; da questo comunicato i lettori potranno fa-cilmente capire le motivazioni di questa im-portante decisione.

« Lettera agli amici dell’Istituto MaterBoni ConsiliiCari amici,

l’edizione italiana del n. 53 di Sodali-tium è già giunta nelle vostre case, mentrel’edizione francese sarà pronta solo col nuo-vo anno. Non mi è stato quindi possibile enon mi sarà possibile comunicarvi, tramite ilnostro bollettino, delle notizie importanti cheriguardano il nostro Istituto.

Mons. Robert Fidelis McKenna o.p. saràtra di noi, a Dio piacendo, dal 10 al 17 gen-naio. Le Sante Cresime saranno amministratedomenica 13 gennaio, lunedì 14 a Verrua iseminaristi riceveranno la Tonsura.

La notizia più importante è però la se-guente: mercoledì 16 gennaio Mons. Mc Ken-na conferirà la consacrazione episcopale alreverendo Geert Stuyver, del nostro Istituto.

La notizia potrà stupirvi. Alcuni ne saran-no lieti, altri preoccupati. Permettetemi dispiegarVi brevemente le ragioni di questascelta.

Vita dell’IstitutoDa tempo Mons. Mc Kenna aveva propo-

sto di conferire la consacrazione episcopalead un membro dell’Istituto; avevamo semprepreferito declinare l’invito.

Nel 2002, però, Mons. Mc Kenna compirà75 anni, e diverrà sempre più difficile per luicompiere dei lunghi viaggi in Europa; i nostriseminaristi, ad esempio, sono giunti al terzoanno di studi senza aver ancora ricevuto laTonsura, e molti di Voi aspettano da diversianni di ricevere la Cresima.

Ora, Mons. Mc Kenna è il solo Vescovoche professi pubblicamente ed esplicitamen-te la tesi teologica di Mons. L.-M. Guérarddes Lauriers sulla Sede apostolica formal-mente ma non materialmente vacante. Que-sta tesi – che è da sempre quella dell’Istituto– ci sembra la sola che possa spiegare ade-guatamente la situazione attuale dell’autoritànella Chiesa. Essa è anche la sola – a nostroparere – che eviti ogni pericolo di scisma. Eper Mons. Guérard des Lauriers è la sola chegiustifichi e renda pienamente legittime delleconsacrazioni episcopali senza mandato ro-mano. La consacrazione di un Vescovo cheaderisce a questa tesi ci sembra pertanto le-gittima e doverosa.

Posto questo principio, i membri sacerdotidell’Istituto si sono consultati e, all’unanimità,hanno ritenuto che il candidato più degno, mal-grado la sua giovane età, sia il rev. Don GeertStuyver; perciò a Dio piacendo verrà consacra-to a Verrua Savoia il 16 gennaio 2002.

Il nuovo Vescovo s’impegna a rimettere ilsuo episcopato nelle mani del Santo Padre,quando Iddio vorrà darne uno alla Sua Chie-sa, che è la Chiesa Cattolica, Apostolica eRomana.

Riconosce di ricevere nella consacrazioneepiscopale la pienezza del potere di Ordine,particolarmente per amministrare il Sacra-mento dell’Ordine e quello della Cresima, madi non ricevere in alcun modo il potere di giu-risdizione, che il Vescovo può ricevere esclu-sivamente dalla Santa Sede. Riconosce per-tanto di non godere, in quanto Vescovo, delpotere di governare nella Chiesa o di inse-gnare come membro della Chiesa docente.

Mons. Stuyver sarà quindi a disposizionedi tutti i fedeli cattolici che vorranno ricorrereal suo ministero per poter ricevere quei sa-cramenti che la Chiesa insegna essere riser-vati al Vescovo. Naturalmente la presenza diun Vescovo dell’Istituto, residente in Europa,faciliterà non poco l’amministrazione di que-sti sacramenti.

Ringraziamo Mons. Mc Kenna che haonorato il Nostro Istituto accettando di confe-

rire la consacrazione episcopale a uno deisuoi membri. Ringraziamo don Stuyver cheha accettato di ricevere un peso non indiffe-rente sulle sue spalle, un peso che oggi èben più un onere che un onore. Raccoman-diamo entrambi alle vostre preghiere. Siamosempre a disposizione di ciascuno di Voi perogni ulteriore delucidazione.

Soprattutto, ringraziamo Dio e la Madon-na del Buon Consiglio che ci permettono,con questa grazia, di poter continuare nel mi-glior modo possibile l’opera iniziata da Mons.Guérard des Lauriers per la gloria di Dio, ilbene della Chiesa e la salvezza delle anime.

Verrua, 21 dicembre 2001 nella festa di san Tommaso Apostolo

Don Francesco Ricossa »

Inutile dire quanta gioia abbia causatoquesto avvenimento! L’Istituto ne ringrazia in-nanzitutto il Signore e la Sua Santa Madre, laMadonna del Buon Consiglio. Ringraziamopoi Mons. McKenna, che è venuto da così lon-tano – con la sua consueta generosità e umiltà,con il suo ammirevole spirito di fede – perquesta cerimonia. Ringraziamo Mons. Stuyver,che ha accettato il peso dell’episcopato, con unpensiero particolare per il Seminario ed i semi-naristi. Ringraziamo infine i fedeli, le religioseed i sacerdoti che ci hanno manifestato il loroaffetto ed il loro sostegno in questa occasione.Tra i tanti vogliamo ricordare Mons. DanielDolan, don Anthony Cekada, don DonaldSanborn, don Joseph Selway, don Carlos Erco-li, Padre Andrès Morello con tutti i suoi sacer-doti e la sua comunità, don Ugo Carandino,della Casa San Pio X (che ha partecipato alla

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cerimonia) le Suore di Cristo Re di Serre-Ner-pol (delle quali era presente una delegazioneguidata dalla Madre Superiora). Non sonomancati anche quanti hanno manifestato – piùo meno apertamente – il loro dissenso. Le uni-che prese di posizione pubbliche contro la con-sacrazione di Mons. Stuyver sono venute dadove forse ce lo potevamo meno aspettare, ov-vero dalla rivista tedesca Einsicht (gennaio2002, pp. 266) e dalla francese La tour de Da-vid (n. 13, febbraio 2002, pp. 10-11). In en-trambi i casi l’opposizione è dovuta ad unaparticolare ostilità dei redattori alla Tesi diCassiciacum, in nome del sedevacantismo“completo”. Alcuni hanno sollevato l’obiezio-ne della giovane età del nuovo Vescovo, giova-ne età alla quale fa allusione anche il nostrocomunicato. L’obiezione è però priva di seriofondamento, in quanto tale. Il canone 331§1del Codice di diritto canonico pio-benedettinoprescrive che l’eletto abbia almeno 30 anni dietà e cinque di sacerdozio. Ora, Mons. Stuyverè nato il 14 maggio 1964 a Gent (Gand) ed èstato ordinato sacerdote da Mons. McKennanella parrocchia di Steffeshausen il 3 novem-bre 1996: rientra pertanto – per quel che ri-guarda l’età – nei requisiti canonici. A titolod’esempio, Papa Leone XIII fu consacrato Ve-scovo a 37 anni (Mons. Stuyver a quasi 38) eMons. Fellay, superiore generale della Frater-nità San Pio X, a 30 anni.

Ritornando alla cronaca, il 17 gennaioMons. McKenna è ripartito per gli Stati Uniti,con i suoi accompagnatori; il giorno seguente ètornato in Belgio anche Mons. Stuyver, assiemea don Christ Van Overbeke. Mons. Stuyver ri-siede sempre a Dendermonde, da dove svolge ilsuo ministero in Belgio, Francia e Paesi Bassi;ma non mancherà ormai di farci visita più spes-so, per portarci la sua benedizione episcopale.

La consacrazione episcopale di Mons. Do-nald Sanborn. Don Ugolino Giugni e don UgoCarandino hanno partecipato, a Detroit (USA)mercoledì 19 giugno, alla consacrazione episco-pale di Mons. Donald Sanborn. I nostri lettoriconoscono già don Sanborn per i suoi scrittipubblicati su Sodalitium, con i quali ha, tra l’al-tro, brillantemente illustrato e difeso la tesi teo-logica di P. Guérard des Lauriers. Tra i primis-simi sacerdoti ordinati da Mons. Lefebvre (nel1975), don Sanborn fu nominato da quest’ulti-mo direttore del seminario nordamericano del-la Fraternità. Dopo aver lasciato la FraternitàSan Pio X nel 1981, don Sanborn ha finito perstabilirsi nel Michigan, dove dirige una scuola e– nuovamente – un seminario. Con la sua con-sacrazione, sale a tre il numero dei vescovi cheprofessano esplicitamente la tesi sul “papa ma-

Mons. Robert Fidelis McKenna o.p in un momento di preghiera prima delle cerimonie

terialiter ma non formaliter” (Mons. Mc Ken-na, Mons. Stuyver, Mons. Sanborn), della qualcosa non possiamo che felicitarci. Contro que-sta consacrazione, oltre alla rivista Einsicht(maggio 2002/4, p. XXXII, 98) si è pubblica-mente espresso l’abbé Belmont; abbiamo già datempo replicato alle sue argomentazioni suquesta questione; speriamo di poter prossima-mente rispondere alle nuove argomentazioni(nuove nella forma più che nella sostanza) ad-dotte dal nostro stimato confratello.

Nuovi membri dell’Istituto. Il 26 aprile2002 abbiamo festeggiato la Madonna delBuon Consiglio, Patrona del nostro Istituto.La sera, durante la consueta benedizione euca-ristica, sono entrati nell’Istituto i sei seminari-sti che vivono attualmente a Verrua. Il numerodei membri dell’Istituto è così salito a 22.

Smentita. Come avete appena letto, il nu-mero di gennaio della rivista sedevacantista te-desca Einsicht contiene un duro attaccoall’Istituto a causa della consacrazione diMons. Stuyver e, soprattutto, della nostra posi-zione sulla situazione dell’Autorità nella Chie-sa (tesi di Cassiciacum). Nel numero di marzodella medesima rivista (2002/2, pp. XXXII, 11-12) l’attacco diviene ancor più grossolano. Do-po aver pubblicato – in vista di un dibattito traEinsicht e Sodalitium – il testo di un nostroopuscoletto di presentazione dell’Istituto trat-to dal sito http://www. 4net.com/sodali/boni-ger/html, Einsicht prosegue scrivendo che nelmedesimo sitodell’Istituto si trovaanche il testo dellaMessa in latino e conle rubriche in italianoa cura dell’ “Associa-zione Europa Arte &Cultura – Commissio-ne Straordinaria per ilGiubileo”, il tutto sot-

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to lo “stemma di Sua Santità Giovanni PaoloII felicemente regnante”.

Il dott. Heller, direttore di Einsicht, non eratenuto a conoscere quanto già da noi precisatonel n. 44, p. 77 e nel n. 45, p. 79 a propositodell’Associazione Sodalizio Cattolico (oggi nonpiù esistente) il cui sito internet era quello segna-lato da Einsicht, e che non ha nulla a che farecon la nostra rivista Sodalitium. Il dottor Heller,però, avrebbe potuto (e dovuto) constatare mol-to facilmente che il sito internet di Sodalitium edell’Istituto non è quello segnalato (4net.com./sodali) ma www.plion.it/sodali. Sta scrittonella seconda pagina di tutti i numeri di Sodali-tium! In mancanza di ciò, il dott. Heller avrebbepotuto sincerarsi della verità telefonando, scri-vendo o mandando un fax o una e-mail a don Ri-cossa (col quale corrisponde, servendosi dei mez-zi succitati). Avrebbe così evitato la diffusione diuna calunnia (non crediamo che Karol Wojtylasia “Sua Santità Giovanni Paolo II, felicementeregnante”) che non è ancora stata riparata.

Belgio. La notizia più importante per il no-stro apostolato in Belgio consiste certamentenella consacrazione episcopale di Mons. Stuy-ver. Anche se non è ancora entrato in possessodi tutti i locali, Mons. Stuyver ha potuto instal-larsi – grazie anche al lavoro di don Christ vanOverbecke – nella nuova residenza di KonigAlbertstraat 146, lasciando quindi quella diSint-Christianastraat 7, ove era ospite dellaSig.na Veldeman, che per lunghi anni aveva ac-cudito di già lo zio parroco.

Francia. Va molto bene l’apostolato a Can-nes dove l’Istituto, chiamatovi dal compiantoDon Delmasure, ne continua l’opera: sonosempre più numerosi i fedeli che assistono allaS. Messa che è celebrata due volte al mese (la2ª e la 4ª domenica) da don Cazalas e da donGiugni. Con l’aiuto di una fedele catechista so-no stati istituiti anche due corsi di catechismoper i bambini che hanno luogo il lunedì che se-gue la celebrazione della S. Messa. Chi fosseinteressato può mettersi in contatto con l’isti-tuto a Verrua Savoia. Due bambini hanno fat-to quest’anno la prima comunione.

La manifestazione degli islamici a Milano, alla quale hacorrisposto la contromanifestazione del 9 dicembre 2001

Un momento delle ordinazioni del 14 gennaio

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Italia. Il 9 dicembre 2001 si è svolta una ma-nifestazione, a Milano davanti al Castello Sfor-zesco, organizzata dalla associazione “PadaniaCristiana” per protestare contro le offese allareligione Cattolica operate dai musulmani pro-prio in quello stesso luogo due mesi prima. Al-la manifestazione ha preso parte anche il no-stro don Ugolino Giugni. Dopo la lettura di uncomunicato, la giornata è terminata con unapreghiera al Redentore ed una decina del rosa-rio recitata (in ginocchio dalle circa 500 perso-ne presenti…!) sotto un grande quadro di SanMichele Arcangelo portato in piazza dall’ora-torio S. Ambrogio di via Vivarini da un valoro-so fedele. Don Giugni è stato intervistato daLorenzo Busi su “Radio Padania Libera” il 3ed il 10 dicembre riguardo alla giornata di Mi-lano. Ampio riscontro alla manifestazione èstato dato da “Il Giornale” e “La Stampa” del10/12/2001, mentre la trasmissione televisivaSciuscià ha messo in onda una breve intervistacon don Giugni relativa alla analoga manifesta-zione di Ceva del 17 novembre.

Ha suscitato scalpore la decisione del ve-scovo di Pescara di vietare a don Carandino lacelebrazione della Messa di Natale nella cap-pella in disuso dell’Ospedale Civile di Pescara,celebrazione che era stata autorizzata dalla di-rezione sanitaria. La notizia, diffusa dall’agen-zia ABRUZZOpress (A Natale proibita la San-ta Messa in latino), è stata ripresa dal Giornaledel 28 dicembre 2001 (a p. 16, nel quadro diuna più vasta inchiesta sul fenomeno) e dalCorriere di Rimini della stessa data (No del ve-scovo di Pescara alla messa in latino). Domeni-ca 19 maggio don Giugni ha celebrato la S.Messa per gli alpini dell’Alpa sulla piazza prin-cipale della città di Lecco; un centinaio le per-sone presenti.

Il 7 dicembre 2001 festa di S. Ambrogioper la prima volta, all’oratorio S. Ambrogio aMilano don Giugni ha celebrato la messa in ri-to ambrosiano antico. Questo antichissimo ritoproprio alla diocesi milanese è stato usato poinelle principali feste dell’anno liturgico.

Durante il mese di aprile alcuni fedeli fran-cesi coadiuvati da qualche seminarista, sotto lasapiente direzione del capomastro di MandelieuMichel Chiocanini hanno rifatto e ridipinto am-mirabilmente la facciata del nostro seminario diVerrua che da anni necessitava di riparazioni.

In gennaio è stato costituito a Milano ilCentro Studi “Davide Albertario”, dedicato alsacerdote e scrittore che tra il 1870 e il 1902 fuforse il più brillante giornalista al servizio dellacausa cattolica in Italia. Il centro studi si pro-pone di promuovere delle attività come conve-gni, conferenze e dibattiti per una presenza cul-

turale alternativa e controcorrente. Nei suoiprimi sei mesi di vita è stato presentato in unintervista da “Radio Padania Libera” il 10 apri-le e ha già organizzato due conferenze a Mila-no. La prima l’11 aprile invitando il prof. Mar-co Pirina che ha parlato delle “Foibe: scompar-si dalla storia” (Annunciata da “la Padania” e“Libero” del 11/04/2002), la seconda il 6 giu-gno: i relatori Mario Spataro e Gianluca Savoi-ni hanno intrattenuto il pubblico sul “mandatodi cattura europeo e i reati di opinione: Mondia-lismo applicato” (annunciata con un’intervistaal segretario del CSDA, Piergiorgio Seveso da“Radio Padania Libera” il 29 maggio e a un’al-tra a Mario Spataro il 5 giugno; e sui quotidia-no la Padania del 06/06/2002). Per il mese di ot-tobre invece è previsto un convegno su DavideAlbertario nei cento anni dalla morte. Se qual-cuno desidera ricevere informazioni o iscriversialla mailing-list del C.S.D.A. ne diamo qui l’in-dirizzo: Centro Studi Davide Albertario - viaVivarini 3, 20141 Milano Tel. 0161.839.335 -333.732.91.77 Fax 0161.839.334 - email: [email protected]

L’Istituto e la stampa. I mezzi di comunica-zione d’altronde, non ignorano ormai più il no-stro Istituto e la sua posizione, quando trattanodel fenomeno “tradizionalista”. Lo testimonia-no ad esempio l’inchiesta (ben imprecisa) diGiacomo Galeazzi sulla Stampa del 27 dicem-bre (p. 11), quella di Franco Damiani su Liberodel 28 dicembre, quella pubblicata da Ex novonel numero di dicembre 2001 (ove non si na-sconde la notizia della decisione di don Caran-dino di lasciare la Fraternità San Pio X) e ildossier dedicato alla Contestation dans l’Eglisedalla rivista La Nef (n. 124, febbraio 2002, p.29). L’articolista distingue bene tra la posizionedi Padre Guérard des Lauriers e quella degli al-tri sedevacantisti (pur parlando erroneamentedi “Tesi di Cassissiacum”!), ma classifica poil’Istituto Mater Boni Consilii e la rivista Sodali-tium sulla linea pienamente sedevacantista diPadre Barbara (dimenticando di segnalare chelo stesso Padre Barbara ha abbandonato questaposizione per adottare la Tesi di Cassiciacum).Nello stesso numero La Nef, che è una rivistavicina agli ambienti dell’Ecclesia Dei, giustifical’incontro interreligioso di Assisi.

L’incontro interreligioso di Assisi del 24gennaio ha suscitato la riprovazione di tanticattolici; la dichiarazione congiunta dell’Istitu-to Mater Boni Consilii e della Casa San Pio X(vedi p. 60) è stata ripresa dal Corriere di Rimi-ni, da La Voce della Romagna del 24 gennaio,e da la Padania del 25 (p. 3: I tradizionalisti: imassoni esultano). In Francia, vi ha fatto riferi-mento Simple lettre (n. 131), mentre Le Vrai

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Combat de la Foi (n. 21, febbraio 2002, pp. 1-2)ne ha pubblicato una grande parte all’internodi un articolo dell’abbé Guepin, senza però ci-tarne la fonte.

La polemica con La tour de David. DonGrossin ci aveva annunciato una risposta agliargomenti di Sodalitium a proposito del “Se-greto” di La Salette (n. 52 ed. francese, n. 53ed. italiana). Il n. 13 (febbraio 2002, pp. 10-11)de La tour de David, invece, non risponde mi-nimamente a quanto abbiamo scritto, probabil-mente perché non sa rispondere. Don Grossinha preferito cambiare argomento, sostenendoche Sodalitium si è opposto al “Segreto” a cau-sa della sua posizione sulla situazione dell’auto-rità nella Chiesa, la Tesi di Cassiciacum: “per-ché questa stizza di don Ricossa contro la Salet-te [sic]? Perché la Madonna sembra essere con-tro La Tesi!”. Anche in questo, don Grossin sisbaglia. Tra i sostenitori dell’autenticità del“Segreto” di La Salette si ritrovano ecclesiasticie laici delle più svariate posizioni: scritti in dife-sa del “Segreto” sono stati recentemente pub-blicati da sacerdoti appartenenti a quella chedon Grossin chiamerebbe la “setta conciliare”(l’abbé Corteville, Mons. Galli, l’abbé Lauren-tin), mentre tra i difensori storici troviamo per-sone come Claudel, Maritain, Massignon,Schwob, Thibon, Psichari, Péguy, Daniel-Ro-ps…). Il “Segreto” è stato invocato in favoredella propria posizione da Mons. Lefebvre (an-che in occasione delle Consacrazioni episcopalidel 1988) e proprio in questo momento è difesodal bollettino della Fraternità, Le Bachais. Fa-vorevole al “Segreto” era Padre Guérard desLauriers, che accordò il nihil obstat al librodell’abbé Gouin in difesa di Mélanie Calvat edel “Segreto” (Soeur Marie de la Croix. Bergè-re de la Salette, Téqui, 1969). Un accenno al“Segreto”, in sostegno della propria posizione,

si trova nel libro dell’abbé Lucien dedicato allaTesi di Cassiciacum (La situation actuelle del’autorité dans l’Eglise. La Thèse de Cassicia-cum, Documents de catholicité, 1985, p. 115).Di più. I sacerdoti e i fedeli del nascente Istitu-to Mater Boni Consilii, sotto la guida di donMunari che vi celebrò la Messa, si recarono inpellegrinaggio a La Salette il 31 maggio 1986, eun certo don Ricossa, raccontando su Sodali-tium il viaggio a La Salette (Le grazie di un pel-legrinaggio a La Salette, in Sodalitium, n. 12,novembre 1986, pp. 5-17) difese eloquentemen-te l’autenticità del “Segreto”… Se dunque donRicossa ha mutato la propria posizione, questonon è dovuto alla Tesi di Cassiciacum (da luiprofessata anche prima) ma dal semplice fattodi aver letto i documenti delle CongregazioniRomane al proposito. È questa la medesima at-titudine di don Belmont, che è tornato sull’ar-gomento sulla rivista Les deux étendards, in unarticolo che segnaliamo all’attenzione dei letto-ri anche per le belle pagine dedicate all’Appari-zione del 19 settembre 1846 e al messaggiopubblico che la Madonna affidò in quella circo-stanza a Melania e Massimino perché lo faces-sero conoscere “a tutto il suo popolo”.

Don Grossin ha poi pubblicato una rispo-sta alla Tesi di Cassiciacum nel n. 14 della suarivista; torneremo sulla questione alla primaoccasione.

Centro Librario Sodalitium. Sodalitium haraggiunto la maggiore età (18 anni) e anche ilpiù accanito dei collezionisti può trovarsi in se-ria difficoltà a districarsi tra gli articoli pubbli-cati nel passato. Tre iniziative recenti vengonoincontro al lettore. Il nostro Centro Librario haraccolto in un solo volume lo studio di don San-born sulla Tesi di Cassiciacum, pubblicato apuntate su Sodalitium: De Papatu materiali (Il

Due momenti della consacrazione di Mons. Stuyver

Papato materiale) è uscito già in tre versioni: la-tino-francese, latino-italiano e latino-inglese.“S. Pio V il Papa della Santa Messa e di Lepan-to” è il titolo del nuovo libro di don UgolinoGiugni, pubblicato dal nostro centro librario(100 pagg. € 8,40); esso raccoglie in un librettostorico e divulgativo gli articoli sulla vita delgrande Papa domenicano, già pubblicati sullarivista tra il 1993-94. “la Padania” del 4/04/2002a firma di Andrea Rognoni, ha fatto una positi-va recensione del libro su S. Pio V. La SocietàEditrice Barbarossa (SEB) di Milano, ha inveceraccolto gli articoli pubblicati su Sodalitium dadon Nitoglia sulla questione ebraica. Per padreil diavolo, s’intitola il volume, avendo per sot-totitolo: Un’introduzione al problema ebraicosecondo la Tradizione cattolica. Si tratta di unvolume di quasi 500 pagine, interamente rivistedall’Autore, preceduto da una breve introdu-zione dell’Editore, che espone il suo punto divista – non cattolico e non cristiano – sulla que-stione (molto meglio l’ultima di copertina, sem-pre a cura dell’Editore). Il libro presenta al let-tore una vera “Somma” su questo tema essen-ziale, somma che mancava fino ad ora. Siamosicuri che questo saggio non passerà inosserva-to, ma riscuoterà un grande successo e, quelche più conta, contribuirà in maniera singolarea riaprire il dibattito teologico e sociale sullaquestione ebraica. Di già Emmanuel Ratier loha presentato al pubblico francese, auspicando-ne una traduzione (Faits&Documents, n. 129,1-15 aprile 2002, p. 11). La rivista Orion, (n.205, ottobre 2001, pp. 59-60), edita dalla SEB,ha anche recensito il volume di don NitogliaSionismo e fondamentalismo, divenuto di parti-colare attualità proprio in questi mesi.

È già pronto l’ultimo libro di don Nitoglia,pubblicato dal C.L.S. “L’esoterismo. L’auto-divinizzazione dell’uomo e l’unità trascenden-

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te delle religioni alla luce della metafisica tra-dizionale” (290 pagg. € 14) che analizza in ma-niera approfondita e dettagliata i delicati rap-porti tra l’esoterismo e la dottrina cattolica.

Sodalitium. Andrea Rognoni su Il Sole del-le Alpi del 26 gennaio 2002 ha recensito il n. 53di Sodalitium. Anche Yves Chiron fa riferimen-to all’ultimo numero di Sodalitium (chenell’edizione francese è il n. 52) rifiutando laqualifica di difensore dell’ala guénoniana dellaFraternità (Aletheia, n. 26, p. 2, 10 marzo 2002).

Conferenze. Don Giuseppe Murro ha pro-seguito il suo ciclo di conferenze a Lione: il 1°dicembre 2001 ha parlato sul tema: L’educazio-ne e la pedagogia salesiana. Il 23 febbraio 2002,a cura della Fondazione Cajetanus, si è tenuto aMilano, nel Museo della Fabbrica del Duomo,un incontro su Islam e Cristianesimo. Hannopreso la parola il nostro don Curzio Nitoglia(Islam: profezia o eresia?), il Prof. Claudio Fau-ci (L’Islam e San Tommaso d’Aquino) e donGianni Baget Bozzo (Islam e Cristianesimo), ilquale ha pubblicamente manifestato il suo dis-senso dalle tesi espresse da don Nitoglia. In se-guito alla pacata replica del Nostro, don BagetBozzo ha preferito lasciare la sala. Il Comunedi Bologna (quartiere santo Stefano), la Sezio-ne bolognese del Centro Studi Giuseppe Federi-ci, intitolata a Pietro Maria Zanarini, e l’Asso-ciazione culturale Terra Boica, hanno organiz-zato una serie di nove conferenze dedicate allaStoria di Bologna, che si sono svolte dall’11febbraio al 15 aprile 2002 nella Sala del Barac-cano. La conferenza del 18 marzo, dedicata aSan Pio V Ghislieri, è stata tenuta da don Ugo-lino Giugni e don Francesco Ricossa, dell’Isti-tuto Mater Boni Consilii. Il 23 marzo a Milanodon Ugolino Giugni ha partecipato al conve-gno su Guareschi organizzato dall’associazione“Padania cristiana” dal titolo “Guareschi: unprotagonista della nostra cultura”; tra gli oratoril’on. Mario Borghezio (LN), Maurizio Cabona,Andrea Rognoni, Roberto De Anna, Leo Sie-gel, Enrico Elli, Lorenzo Busi e Max Bastoni,moderatrice Laura Molteni, Don Giugni haparlato su “Guareschi e il Concilio” (vedi l’arti-colo su questo stesso numero di Sodalitium);del convegno si è parlato ampiamente su “laPadania” del 21/03/2002 e del 26/03/2002.

Promosso dal Centro studi L’Araldo, si è te-nuta a Torino il 10 maggio 2002 una conferenzasul conflitto israelo-palestinese, intitolata Gri-dano Shalom bruciandoci le case. Quale futuroper la Palestina?. Tra gli oratori, un rappresen-tante dell’Autorità Nazionale Palestinese e ilnostro don Nitoglia. Il giorno stesso a Osio diSotto (BG) don Giugni, assieme all’on. MarioBorghezio, Daniele Belotti e come moderatrice

Dopo la consacrazione di Mons. Stuyver

Rosanna Sapori di Radio Padania ha partecipa-to ad una conferenza sul Tema “Islam, cultura opericolo” organizzato dalla locale sezione dellaLega Nord. Il giorno seguente, l’11 maggio, si èsvolto a Ferrara un importante convegno sul te-ma La risposta cattolica al Concilio Vaticano II,organizzato dal Centro culturale San Giorgio diFerrara e dal Centro Studi Giuseppe Federici diRimini. Presentati da Paolo Baroni (S. Giorgio)e don Ugo Carandino (Federici) hanno parlatodon Nitoglia (sul pensiero di Jacques Maritain ela sua influenza sul documento conciliare Digni-tatis humanæ) e don Ricossa (sulla Tesi teologi-ca del nostro Istituto, detta di “Cassiciacum”,sull’autorità nella Chiesa). Numerosi i presenti,anche dal Veneto, dalla Lombardia e persinodal Lazio (il convegno è stato annunciato su laPadania, del 10.05.2002). Il 24 maggio don Giu-gni ha partecipato assieme a Lorenzo Busi eSergio Terzaghi, ad una conferenza a Milanodal titolo “Europa cristiana e islam afroasiatico:un libro per riflettere”, organizzata dal Movi-mento Giovani Padani; durante la conferenza èstato presentato il libro su S. Pio V. Il 7 giugnoDon Giugni ha partecipato ad un’altra confe-renza a Trescore Balneario (BG) dal tema “Eu-ropa: quale futuro culturale e religioso?”, orga-nizzata dalla Lega Nord locale; tra gli orarotorierano presenti gli on. Federico Bricolo e Caroli-na Lussana (LN), moderatrice Rosanna Saporidi Radio Padania. La tesi detta di “Cassicia-cum” è stata esposta in pubblico da don Ricossaanche in due conferenze organizzate da Amici-zia Cristiana in Abruzzo (Dopo il Vaticano II.La situazione dell’Autorità nella Chiesa). La pri-ma conferenza ha avuto luogo il 31 maggio aPescara, all’Hotel Ambra, e la seconda il 1 giu-gno a Teramo, alla casa del mutilato (ex Chiesadella Misericordia). L’oratore è stato presenta-to a Pescara da don Carandino e a Teramo daPietro Ferrari. Sempre il 31 maggio don Ricossaè intervenuto, assieme al dott. Emidio Perazzet-ti, al convegno su Evoluzionismo. Dall’uomoscimmia all’uomo in provetta…, organizzato daAzione Universitaria in collaborazione conl’Università degli Studi G. D’Annunzio di Pe-scara. Gli oratori sono stati presentati da donUgo Carandino (Casa San Pio X) e Aldo Ierve-se (Ass. Culturale XXI Dicembre), mentre Si-mona Passeri (Azione Universitaria) ha coordi-nato il convegno.

La “legge Mancino”. A suo tempo Sodali-tium ebbe occasione di sottolineare il silenzioquasi totale della stampa su di un fatto rilevan-te, ovverosia la lettera del senatore Mancino adon Nitoglia, nella quale l’autore della leggecontro l’antisemitismo approvava sorprenden-temente la posizione del nostro collaboratore

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sulla Massoneria ed il Giudaismo. GianantonioValli ha ripreso la questione e pubblicato lacorrispondenza tra l’ex ministro ed il sacerdotedell’Istituto sul n. 52 de L’uomo libero (novem-bre 2001, pp. 113-115). Ricordiamo però ai let-tori che L’uomo libero difende una posizioneneo-pagana, incompatibile con la nostra.

Pellegrinaggi. Come di consueto, anchequest’anno l’8 maggio si è svolto il bel pellegri-naggio a Notre Dame de l’Osier, con la pre-senza di don Cazalas e don Murro. Nonostanteun’epidemia di raffreddore, la partecipazione èstata numerosa e soprattutto fervente. Dopo laMessa cantata per le intenzioni del pellegri-naggio, i pellegrini sono partiti alla volta dil’Osier. Ogni anno le intenzioni generali delpellegrinaggio sono: venerare la nostra Madredel Cielo, domandare il ritorno alla Fede dellepersone ingannate dall’ecumenismo, ringrazia-re per le grazie ricevute al pellegrinaggiodell’anno precedente, riparare i “pentimenti”dell’attuale “gerarchia” della Chiesa, rinnova-re il nostro coraggio ed ottenere le grazie di fe-deltà. Aggiungiamo inoltre ogni anno un’in-tenzione particolare, quest’anno: la mutazioneapportata dal “Novus Ordo Missæ” alla Messacattolica. Infine tanti fedeli, anche assenti,hanno chiesto di pregare per le loro intenzioniparticolari. Tutte queste intenzioni sono statedeposte ai piedi della Madonna di l’Osier, nel-la Cappella di Bon Rencontre, dove i parteci-panti si sono fermati a pregare. Il pellegrinag-gio si è concluso l’indomani con le conferenzee con le belle cerimonie dell’Ascensione, gior-no festivo in Francia.

Abituale è ormai diventato anche il pelle-grinaggio alla Madonna di San Luca, sui collibolognesi, che riunisce i fedeli dell’Emilia edella Romagna, due volte all’anno (in Ottobree in Maggio) sotto la direzione di don Carandi-no e don Ricossa. Quest’anno le tre corone delSanto Rosario sono state offerte – durante ilpellegrinaggio del 25 maggio – per i fedeli cri-stiani oppressi in Terra Santa, a Betlemme,Nazareth e Gerusalemme…

Esercizi Spirituali di Sant’Ignazio. “Gliesercizi di S. Ignazio saranno sempre uno deimezzi più efficaci per la rigenerazione spiritua-le del mondo… Ma a condizione di essere sem-pre autenticamente ignaziani” diceva Pio XII.Dal 26 al 31 dicembre, vi è stato un turno mi-sto, in cui hanno partecipato 9 persone, predi-cati da don Murro e don Cazalas, a Serre-Ner-pol. Sempre a Serre Nerpol, dal 4 al 9 febbraiosi è tenuto un turno per uomini predicato dadon Giugni e don Cazalas con 7 persone. Il lu-nedì della Pentecoste 20 maggio, come già sifece l’anno passato, don Murro e don Giugni

hanno predicato una giornata di ritiro a Serre-Nerpol per coloro che hanno già fatto gli eser-cizi spirituali.

Battesimi. Il 1° dicembre è stato battezzatoBenoît Chuilon, quarto figlio di Florent e Elia-ne, a Serre Nerpol da don Murro. Don Nito-glia ha battezzato Maria Angelica Dini, figliadi Massimo e Gloria, a Milano il 24 marzo. Il31 marzo a Torino, giorno di Pasqua, don Giu-gni ha avuto la gioia di battezzare la sua quartanipotina: Costanza Sardi figlia di Carlo e Ma-ria Consolata.

Prime Comunioni. Come già riferito, Gio-vanna Severino ha ricevuto la prima comunio-ne a Verrua, il 12 gennaio 2002. Il 9 maggio,giorno dell’Ascensione, si sono tenute a SerreNerpol le prime comunioni di Régis et Maxi-main Prévost, Remy Chuilon e Blandine Pey-ronnel. Il 26 maggio nell’oratorio Notre Damedes Victoires a Cannes don Giugni ha dato laprima comunione a Anne du Foussat de Boge-ron, e il 23 giugno è stato il fratellino Jean-Baptiste a ricevere per la prima volta Gesù.

Cresime. Come abbiamo scritto all’inizio diquesta rubrica, Mons. McKenna ha ammini-strato le S. Cresime a Torino questo 13 gen-naio. Dopo la sua consacrazione, Mons. Stuy-ver ha subito amministrato privatamente aVerrua alcune Cresime. È a Serre Nerpol, do-ve sorge, come sanno i nostri lettori, il conven-to e la scuola per ragazze gestito dalle Suore diCristo Re, che Mons. Stuyver ha amministratoper la prima volta pubblicamente le Cresime.Giunto in Francia il giorno precedente, haconferito le Cresime il 1 maggio, celebrando inseguito la Messa cantata. Dopo il pranzo, cheha riunito molti amici da tutta la Francia,Mons. Stuyver ha benedetto le stazioni dellaVia Crucis che si trovano nella chiesa, e datola benedizione eucaristica.

Defunti. Abbiamo appreso tristemente dalservizio postale (nel dicembre 2001) che è man-cata una nostra affezionata lettrice e benefattri-ce di Trieste, Caterina Jugovaz, e ci rammari-chiamo di non aver potuto fare qualcosa per lei.

Il 13 dicembre è deceduto ad Annecy RenéRouchette, comandante di Gendarmeria,all’età di 98 anni. Fu tra i primissimi a reagirealla nuova messa, ed in seguito fedele alla po-sizione di Mgr Guérard des Lauriers. Di animoapostolico, desiderava fare del bene ad altri,“opportune et importune” come dice S. Paolo.Essendo terziario francescano, ha voluto esse-re sepolto con l’abito di S. Francesco. I funera-li sono stati celebrati da don Murro ad Annecyil 15 dicembre, alla presenza dei fedeli dellanostra Cappella che erano per lui, come dice-va, come una seconda famiglia.

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L’otto gennaio 2002 è deceduta a FerneyGermaine Dubouchet, nata Jacquemier. Mal-grado l’età avanzata, aveva fatto gli Esercizispirituali a Serre Nerpol nel luglio 2000, prepa-randosi così a una buona morte. L’istituto èparticolarmente vicino al figlio Charles.

Il 26 gennaio si sono svolti a Serre Nerpol,alla presenza di un gran numero di parenti, fe-deli e amici, i funerali di Florent Chuilon, de-ceduto il 23 gennaio all’età di 38 anni. Grazieal suo apostolato, un gruppo di giovani si eraavvicinato alla tradizione di modo che P. Vin-son aveva potuto costituire il Cercle St Ber-nard di Roman. Padre di quattro figli, l’ultimodei quali è stato battezzato a dicembre, ha sco-perto improvvisamente di soffrire di una gravemalattia. Resosi conto che ogni cura sarebbestata vana, ha accettato con rassegnazione lavolontà di Dio preparandosi a ben morire. Leesequie sono state celebrate da don Murro. Al-la moglie ed a tutta la famiglia vanno le condo-glianze e le preghiere del nostro Istituto.

Il 15 marzo 2002 è deceduta a Torino, dopoaver ricevuto i Santi Sacramenti, RosamariaBoella, amica di vecchia data della famiglia didon Ricossa. Il 9 giugno è deceduta a FirenzeLiliana Balotta; sarà ricordata nel prossimonumero.

Lo scorso numero, trattando del decesso dialcuni prelati vicini al “mondo tradizionalista”(i cardinali Oddi e Palazzini, e l’ArcivescovoPintonello), avevamo omesso ricordare la figu-ra di Mons. Antonio Piolanti, deceduto a Ro-ma il 28 settembre 2001. Nato nel 1911, fu tral’altro Rettore della Pontificia Università delLaterano, ed in questa veste chiamò Padre M.-L. Guérard des Lauriers ad insegnarenell’“università del Papa”. Yves Chiron ne fauna bella commemorazione in Alètheia (n. 22?17 dicembre 2001). Sodalitium pubblicherà in-vece una lettera inedita di Mons. Piolanti a Pa-dre Guérard des Lauriers riguardante il nuovomessale di Paolo VI nell’opuscolo in prepara-zione su Cristina Campo.

CRONACA DELLE ATTIVITÀ DELLA CASA S. PIO X

Casa San Pio X. Come avete potuto legge-re nell’ultimo numero di Sodalitium, il 30 giu-gno 2001 don Ugo Carandino ha inaugurato laCasa San Pio X, a San Martino dei Mulini, inprovincia di Rimini. Don Carandino, che ade-risce alla Tesi di Cassiciacum e che collaboracol nostro Istituto, si occupa dell’apostolato inRomagna e negli Abruzzi, e affianca il ministe-ro dei nostri sacerdoti in Emilia e in Trentino.Tra i lieti eventi del suo ministero, segnaliamola celebrazione delle nozze di Alberto Bianchi-

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Rassegna StampaAvvisiamo i lettori che la Rasse-gna Stampa di Sodalitium ha so-speso le pubblicazioni.

Questo numero e gli arretrati di Sodali-tium in formato elettronico (PDF) li pote-te trovare sul nostro sito internet all’indi-rizzo: www.plion.it/sodali/archivio.html

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Lepantodon Ugolino Giugni(100 pag.) - € 8,40(C.L.S.)

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don Donald J. SanbornTesto latino-italiano

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ni e Elena Berselli, avvenuta il 1° aprile nellacappella di Villa Senni a Maranello.

In questi mesi don Ugo Carandino ha tenu-to una serie di conferenze pubbliche: il 21 gen-naio 2002 a Pescara, su invito di Amicizia Cri-stiana, ha parlato sul tema: La riforma liturgica.Dal sacrificio della Messa alla nuova messa; il

15 febbraio 2002, a Riva del Garda (TN) è in-tervenuto al convegno: Immigrazione: fine dellaciviltà cristiana?, organizzato dalla Lega Nord(articolo su l’Adige, del 17/02/02) con DenisBertolini (segretario della LN Trentino) e Um-berto Malafronte (edizioni di Ar), moderatoreLorenzo Busi; il 24 febbraio, a Brescia, è inter-

venuto alla 1ª Assemblea federale del Movi-mento Giovani Padani, su invito del coordina-tore federale Paolo Grimoldi; il 5 aprile, a Bon-deno (FE), è intervenuto al convegno: Mondia-lismo e immigrazione, organizzato dal M.G.P.,con l’eurodeputato Mario Borghezio (LN) eAngelo Alessandri (segretario della LN Emi-lia), moderatore Filippo Pozzi; il 15 aprile a Pe-scara, è intervenuto al convegno: Cattolicesimo,Ecumenismo, Mondialismo organizzato dallefederazioni provinciali di Azione Universitariae Azione Giovani di Pescara, con il dott. PietroFerrari (Presidente di AG di Teramo) e il dott.

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Marco Solfanelli (Presidente di Amicizia Crsi-tiana), moderatore Massimo Janigro; il 19 apri-le, ad Alfonsine (RA), è intervenuto al conve-gno: Immigrazione: la nuova legge Bossi-Finiorganizzato dalla Lega Nord, con l’on. Federi-co Bricolo (LN) e Alessandro Ortenzi, mode-ratore Federico Pattuelli; il 13 maggio, a Pesca-ra, all’Università degli Studi “G. D’Annunzio”,è intervenuto al convegno: Misteri d’Italia.Analisi storico-politica del potere occulto, orga-nizzato da Azione Universitaria in collaborazio-ne con l’ateneo, con Aldo Iervese (Ass. Cultu-rale XXI dicembre), Enzo Cipriano (Ed. Setti-

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mo Sigillo) e il dott. Sandro Provvisionato(giornalista Mediaset), moderatore PierpaoloCitrullo; il 6 giugno a Bologna, ha parlato neilocali del SAV (Servizio Accoglienza alla Vi-ta), sul tema Pornografia e dissoluzione dellasocietà, su invito dei giovani universitari delMovimento per la Vita di Bologna.

Numerosi sono stati gli interventi di donCarandino a Radio Padania Libera: l’8 novem-bre 2001 al programma di Lorenzo Busi, sullaquestione islamica; il 27 novembre a “Ritmopolitico”, sulla clonazione; il 7 gennaio 2002 alprogramma di Lorenzo Busi, sulla civiltà cri-stiana; il 12 marzo è stato intervistato da SilviaSanzini sull’immigrazione; il 13 marzo e l’8maggio ancora con Lorenzo Busi, sulle attivitàdel Centro studi Federici; sempre l’8 maggio èstato intervistato da Rosanna Sapori, insiemeall’antropologa Ida Magli.

Per quanto riguarda le attività del Centrostudi Giuseppe Federici, (associazione cultu-rale vicina alle posizioni della Casa San Pio X)svolte a Rimini, segnaliamo: il 15 divembre2001 la presentazione del calendario sull’eser-cito di Pio IX, curata dallo storico Piero Raggial Caffè Dovesi; il 22 febbraio 2002 alla scuolaPanzini, la conferenza del dott. Mario Spatarosul tema Potere mondialista e omologazionedelle coscienze; il 16 marzo all’hotel Villa Rosail convegno: Identità e localismo. Dal villaggioglobale alle libertà, con la partecipazione delprof. Eduardo Zarelli, dell’avv. Andrea Ma-scetti e del dott. Camillo Arquati, moderatoreil dott. Diego Di Girolamo; il 3 maggio all’aulamagna della scuola Panzini la conferenza deldott. Mario Di Giovanni, sul tema Indagine sulMondialismo. Viaggio tra logge e lobbies; il 13giugno la presentazione del libro Piazza Fon-tana: tutto ciò che non ci hanno detto, con lapartecipazione dell’autore, Pierangelo Mauri-zio, all’aula magna della scuola Panzini.

Il calendario del Papa-Re è stato recensitosu La Voce della Romagna del 15.12.2001, e sula Padania del 16.12.2001. Sempre su La Pada-nia del 2 gennaio 2002, è stato pubblicato unarticolo a cura del C. S. Federici sulle tradizio-ni cattoliche dell’Avvento e del Natale; e suquella del 16 gennaio 2002, è stato pubblicatoun articolo sulle attività del C. S. Federici.

Come è già stato segnalato nella vitadell’Istituto, a Bologna, nella Sala del Baracca-no, si è svolto un ciclo di conferenze sul tema:La storia di Bologna, organizzate dalla sezionebolognese del Federici, in collaborazione conl’associazione Terra Boica e con il patrociniodel Quartiere Santo Stefano del Comune di Bo-logna. Dall’11 febbraio al 15 aprile 2002 sonostati trattati i seguenti temi: Bologna celtica

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(prof. Daniele Vitali), Bologna nel 1600(prof.ssa Ottavia Piccoli), San Petronio (Ales-sandro Ortenzi), Bologna longobarda (prof.ssaPaola Foschi), La Beata Vergine di San Luca(mons. Giovanni Catti); San Pio V Ghislieri(don Francesco Ricossa e don Ugolino Giugni),Gregorio XIII (Gustavo Mola di Nomaglio), Ivolontari bolognesi di Pio IX (dott. Piero Rag-gi), Carlo Musi del 150° anniversario della nasci-ta (Fausto Carpani e il prof. Marco Poli). Ogniconferenza è stata annunciata su il Resto delCarlino, la Repubblica (edizione bolognese) esul settimanale diocesano Bologna sette, supple-mento domenicale di Avvenire; il 13 febbraio2002 Lorenzo Busi, su RPL, ha intervistatoAlessandro Ortenzi, presidente di Terra Boica,per presentare questo ciclo di conferenze.

Chi volesse ricevere la lettera d’informa-zioni della Casa San Pio X, Opportune impor-tune, con il resoconto completo delle attività,può scrivere al seguente indirizzo: Casa SanPio X, Via Sarzana 86, 47828 San Martino deiMulini (RN).

Prossimi turni diEsercizi Spirituali di S. Ignazio

a Verrua Savoiaper le donne:dal lunedì 19 agosto ore 12 a sabato 24 ore 12

per gli uomini:dal lunedì 26 agosto ore 12 a sabato 31 ore 12

Attività estive

- Colonia S. Luigi Gonzaga: per bambinitra 8 e 13 anni, dal Lunedì 8 al lunedi 22luglio a Raveau in Francia.

- Colonia per ragazzine: dagli 8 ai 16anni in montagna, dal lunedì 8 al ve-nerdì 26 luglio, sulle Alpi francesi.

Per ogni informazione, mettersi in contatto conl’Istituto a Verrua Savoia

SS. MESSE

IN CASO DI MANCATA CONSEGNA SIPREGA DI RINVIARE AL MITTENTECHE SI IMPEGNA A PAGARE LARELATIVA TARIFFAPRESSO C.R.P. ASTI C.P.O.

“Sodalitium” PeriodicoLoc. Carbignano, 36. 10020 VERRUA SAVOIA (TO) Tel. 0161.839.335 - Fax 0161.839.334

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RESIDENZE DELL’ISTITUTO

ITALIA: Verrua Savoia (TO) CASA MADRE.Istituto Mater Boni Consilii - Località Car-bignano, 36. Tel. 0161.83.93.35. Nei giorni fe-riali, S. Messa alle ore 7,30. Tutte le domeni-che S. Messa ore 18,00. Benedizione Eucari-stica tutti i venerdì alle ore 21.

San Martino dei Mulini (RN). CASA SAN PIO X.don Ugo Carandino - Via Sarzana 86. Per gliorari domenicali e feriali telefonare allo0541.758961, Fax 0541.757.231.

FRANCIA: Mouchy Raveau 58400 - La Charitésur Loire. Per ogni informazione telefonare:(+33) 03.86.70.11.14.

BELGIO: Dendermonde. Mons. Geert Stuyver:Kapel O.L.V. van Goede Raad (cappella N.S. del Buon Consiglio) Koning Albertstraat146 - 9200 Sint-Gillis Dendermonde. Messatutte le domeniche alle ore 9,30. Tel. (e Fax):(+32) (0) 52/38 07 78

ALTRE SS. MESSEITALIA

Bologna: la 2ª domenica del mese, alle ore11,30; la 4ª domenica del mese, alle ore 17,30.Per informazioni Tel.: 0541.758961

Ferrara: Chiesa S. Luigi, Via Pacchenia 47 Alba-rea. S. Messa tutte le domeniche alle ore 17,30.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Loro Ciuffenna (AR): Fattoria del Colombaio,str. dei 7 ponti. S. Messa la 1ª domenica delmese alle ore 17,30. Per ogni informazione ri-volgersi a Verrua Savoia.

Maranello (MO): Villa Senni - Strada perFogliano - Tel. 0536.94.12.52. S. Messa tuttele domeniche alle ore 11, salvo la 2ª domenicadel mese S. Messa alle ore 9.

Milano: Oratorio S. Ambrogio. Via Vivarini 3. S.Messa tutte le domeniche alle ore 11. Perinformazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Roma: Oratorio S. Gregorio VII. Via Pietrodella Valle 13/b. S. Messa la 1ª, la 3ª e la 5ªdomenica del mese, alle ore 11. Per informa-zioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Pescara: 2ª domenica del mese alle ore 18,30Per informazioni Tel. 0541.758961.

Rimini: Oratorio San Gregorio Magno, via Mo-lini 8: domenica e festivi alle ore 11,00. Perinformazioni Tel. 0541.758961

Rovereto TN: S. Messa la 3ª domenica del mese.Per informazioni rivolgersi a Verrua Savoia.

Torino: Oratorio del S. Cuore, Via Thesauro3 D. S. Messa il primo venerdì del mese alleore 18,15 e confessioni dalle ore 17,30. Tuttele domeniche, confessioni dalle ore 8,30, S.Messa cantata alle ore 9,00; S. Messa letta alleore 11,15. Catechismo il sabato pomeriggio.

Valmadrera (CO): Via Concordia, 21 - SS. Messela lª e la 3ª domenica del mese. Per informazio-ni Tel. 0341. 58.04.86.

FRANCIA

Annecy: 11, avenue de la Mavéria. SS. Messe la 2ªe la 4ª domenica del mese alle ore 10 e confes-sioni dalle ore 9,00. Tel.: (+33) 04.50.57.88.25

Cannes: N.D. des Victoires, 4, rue Fellegara. S.Messa la 2ª e 4ª domenica del mese alle ore 18h.

Lione: (2ème) 17, cours Suchet. S. Messa la 2ª e la4ª domenica del mese alle ore 17, e confessionidalle ore 16,30. Tel.: (+33) 04.77.33.11.24.

PER LE VOSTRE OFFERTE:

• Sul Conto della Banca San Paolo IMI di Crescentino VC, coordinate bancarie: P-1025-44440-10/8567 intestato all’Associazione Mater Boni Consilii.

• Sul Conto Corrente Postale numero 24681108 intestato a “Sodalitium”, periodicodell’Associazione Mater Boni Consilii.