matteo mazzone campi di asfodeli - associazione '9cento · giuseppe ungaretti

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Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI Introduzione dell’autore e postfazione di Fausto Ciatti Infingardamente desisto resisto poi che il vento batte di carne in carne solipsistico rabdomante la mia pausa accresce gli inani asfissianti impetuosi campi di asfodeli.

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Page 1: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

Matteo Mazzone

CAMPI DI ASFODELI Introduzione dell’autore e postfazione di Fausto Ciatti

Infingardamente desisto

resisto

poi che il vento batte

di carne in carne

solipsistico rabdomante

la mia pausa accresce gli inani

asfissianti impetuosi

campi di asfodeli.

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Alla mia famiglia,

a Marco, Alice, Alessandro.

Ad Ernesto e Fausto.

A mia nipote che coltivi il lento,

lento amore per le sudate carte.

<<Ma avremmo vita senza il tuo variare,

Felice colpa?>>

Giuseppe Ungaretti

<<A questo mi sono ridotto: quando

scrivo poesia è per difendermi e lottare,

compromettendomi, rinunciando

a ogni antica mia dignità: appare,

così, indifeso quel mio cuore elegiaco

di cui ho vergogna>>

Pier Paolo Pasolini

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Matteo Mazzone

CAMPI DI ASFODELI

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Introduzione

Campi di asfodeli è un libro sovraffollato: apparenze, ricordi, figure

presenti od assenti, paesaggi deleteri nella transitorietà

evanescente di uno sguardo poetico che li cattura in un fermo

immagine. Tutto in rapporto alla magmaticità del reale, del cosmo

entro il quale, come pedine in balìa del caso, ed a balia di esso,

vortichiamo incessantemente. È, dei tre, il libro che amo di più, che

sento più mio, che sento più riuscito nella mia parabola di poeta,

nell’analizzare il rapporto nevrastenico col reale che non mi

appartiene, che sottace, ascosamente, la sua essenza più intima e

veritiera, quel nulla che non si esaurisce proprio in quanto indicibile

nel suo non dirsi. Dal nulla proviene tale contrasto rigenerativo,

nonché dualistico, tra vita e morte: una tenzone indissipabile nella

opposizione limacciosa e contrastante dei suddetti concetti, ma in

un’esistenza parallela dei due fino a delimitarsi, a confinarsi,

nell'eterno volgere del tempo, della sua azione corrosiva,

distruttrice; dalla vita nasce la morte come dalla morte nasce la

vita: gli opposti non si annullano perché continuano a perseverare

ed a preservare, nelle epoche e nelle età, il ricambio

generazionale di un mondo connotato da una sua intrinseca e

paraplegica sofferenza. Così la poesia, la mia poesia, scava al

fondo di questa sofferenza, di questo denso dolore per

riaffermarne la libidine masochistica e, più semplicemente, non

auspica alla ricerca di una gioia alternativa, di una gaiezza

propedeutica a risarcirne lo straziante schiudersi parallelo di quella

vita-morte che procede nella stessa direzione, fino a procreare,

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con relativo dispendio di energia dovuto alla sua intima ciclicità, un

risultato infimo quanto nullificante, insoddisfacente ed inutile.

La tripartizione della raccolta analizza il processo vita-morte

attraverso tre momenti che fermano l'autobiografismo sentimentale

nella prima sezione, Galleria Mazzoniana, per poi adagiarsi sulle

voci di quei poeti che hanno saputo intravvedere nel mondo e nella

società un chiaro destino di caoticità funeraria - e qui rimando a Di

parodia in parodia - fino al ritorno autobiografico e parodico, che si

fa summa delle precedenti due sezioni, contenuto dell'ultima parte

dei Dieci Haiku.

Ed allora nella prima assistiamo ad un ritorno incessante di fulgori

balenanti, di immagini poetiche, autobiografiche o meno, di

improvvisi lampi nitidi che si abbarbicano ad ombre di un passato

aleatorio che riacquista la sua connotazione vitale per ricadere in

un presente segnato da morte, ma pure indagini personali sul mio

destino, che scruta con interrogatori sibillini il futuro, presagio di

quella irreversibilità che mi allontana, ora, dal mio triste essere poi,

ma che in un batter d'occhio mi proietta, fantasticamente, nella

condizione di adulto, di maturo e di vecchio, fino a quella di

defunto. Nella seconda sezione il discorso sembra prendere una

piega più dolce e silenziosa, pacata e smorzata, in virtù di intenti

parodistico-ironici nel riproporre il tema conduttore vita-morte, che

assuefà l'intera raccolta, già analizzato da alcuni pilastri della

letteratura: così mi diverto, riproducendone anche l'invettiva

linguistica, badando molto ai significati ma pure interessandomi ai

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significanti ed agli accostamenti fonici, a contraffare i loro intenti, i

loro giudizi, ora accostandomene, ora allontanandomene, sempre

col massimo rispetto. Poi, si aggiunga una funzione prettamente

didascalica: quella di spronare l'ipotetico lettore a scandagliare più

a fondo l'operato dei poeti citati: con palazzeschiana, oltre che al

titolo della poesia e al nome del poeta burlato, vorrei che Aldo

Palazzeschi, all'anagrafe Aldo Giurlani, fosse conosciuto per ciò

che ha prodotto, e non perché titolo apparentemente scherzoso di

una poesia di un ventunenne. Infine la terza sezione cesella e

condensa, sotto la pretenziosità metrica e nipponica dell'haiku1,

stati d'animo già altrove espressi: i tre versi di cui si costituisce il

componimento (quinario – settenario – quinario) assorbe, giuochi

linguistici permettendo, una carica esplosiva di emozioni e di

invettive, mine vaganti gettate nel vuoto del mondo di cui non resta

che la natura, la sola esperienza autentica e vera, coi suoi

connotati semplici e gemmanti che fanno cogliere fugacemente

una via di scampo, presto sfumata e inglobata nella desolazione di

una realtà simbolica inattuabile.

Matteo Mazzone

1: a tal proposito l’eminente Zanzotto, oltre a lodarne <<la grazia mai tracotante>>, ne

sottolinea il suo <<non-luogo, un vago mancamento, un sussurro dolcemente ritualizzato, il

non-rumore del senso che si affaccia dentro il non senso della natura quasi a volerlo

preservare, perché la natura deve abitare in esso per restare madre di tutti i sensi>>.

Per chiarimenti, si vedano le limpide pagine della prosa saggistica zanzottiana di <<Cento

Haiku>>, in <<Fantasie di avvicinamento>>, di Andrea Zanzotto, Arnoldo Mondadori

Editore, Milano, 1991, pagg. 347-353.

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Galleria Mazzoniana

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Fantasticherie

Portami a vedere la cicoria blu

lassù, sì, lassù,

vedi come il campo è tutto blu

il loto cappellano

- che aspetta la carezza sul tronco -

poiché fredda è la malinconia quaggiù

che spezza ogni individuo

pure tu

non farti male, se cadi dai tuoi sogni

badabùm

non aver paura

poiché è solo la cicoria blu.

Portami lassù, dove tutto è blu,

- seminando gioia e dolore-

insegnami a non averne più,

degli alberi a non temer le foglie.

Portami

ora

la cicoria blu.

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Guarigione

Qualcuno può avere le chiavi

del mio cuore affranto.

Un soffio caldo

o poesia dagli occhi

si esprime e mi flette

di brivido in brivido.

Là, dove io sto beato,

mi rallegro d'avere

quell’angelo in terra.

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Ricordo

Zio, non senti le campane scandire

il tuo lutto? Ed il dramma? Non

affacci più lo sguardo terreno

sulla coltre diamantata di giada.

La lucertola intiepidisce il sangue

raffermo: ma tu, pallidamente rivolto,

assorbi gli indistinti fumi delle zolle

che smossi per te: ed è

là che tornammo, tristi inquietudini

frementi in un addio irrevocabile.

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Minuetto

Impartita è la lezione

in questo perdurato

tempo inabissato

la vita è un giuoco di pena.

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Il peccato vien poetando

Avanzi col tuo passo nel varco

stai fermo, astante, bavoso

e nutri paura

se lanciarti al di là del precipizio

accattivante il demonio

nello spazio circoscritto

agisce, sai, il demonio

ma a me piace essere malvagio

come a te essere buonista

giacere,

sentire l'onda del proibito che mi rabbrividisce

e godermi nel mio intimo segreto

un serafino ardente

che non vuole volare

ma si compiace nel paradiso del peccato.

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Irrecuperabilità di lei

Cercata ti ho

nelle cinabri profondità

mentre vapora quel che di me resta

maleodoranti putredini

dai confini impalpabili

un apice di soffusa bontà

schiariva le palpebre ombrose

addolciva l'eterno

cinguettio

nei nidi tra le diroccate cimase.

Quella lontana frescura

che mi rendeva a me

e tu a spargermi i fiori di loto

e l'incenso, ultimo saluto.

Adagiati mio emblema, Amore

tu che sei solita sverginarmi

col tuo odore

se impossessarti di questo

cadavere

per tu sola che m'ami

è la tua giusta dote.

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viva Bomba futurista

La devastazione

certo, la bomba è affascinante

come sgozzare una giugulare

quei dolci fiotti di sangue a macchiare la terra

così nemica

ricorda quel prato di fiori intriso di dolore

ovunque il piede si posi,

se l’uomo s’accorgesse che amare

in fondo è appassionarsi all’anima diversa

se smettesse

la genuflessioncella al male

d’epopea metastasiana

all’occhio del ricco d’odio unico comando.

Aldo, Paolo

gli imperi mancati, adesso divorati

si riassestano al tavolo diplomatico

a discutere nei faldoni secchi di merda

mentre

il tuo scandalo si abbarbica nelle coscienze

degli occidentali pudichi

e der Meister prepara il preludio,

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il preludio alla salvezza

cadenti curvanti lecci.

Che sia la morte la salvezza?

Disperazione

equivale a barlume nell’esserci.

Come è bella la bomba,

anti-futurista

anti- pubblicità

anti-amore.

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Leitmotiv

Esistenza

la ferita

a tratti

si lenisce.

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Palinodia -non celebre- alla vita

Nella dama di vetro

torcendomi, mi snodo

per salvare questa fragile entità

ch’al cuore s’appella

simile ad un apostolo dimenticato

che cerca di spiegarsi

al vento che parla

al sole che irradia

ma flette il girasole screziato

simbolo della mia decaduta speranza.

Zitto

nella dama di vetro

ad occhi chiusi lambisco la linea del confine

estesa in percorso verticale

da nadir a zenit della sua importanza

senza travalicare l’ignota felicità alla sua destra.

Rimpiangere la vita

è far seccare la rosea ninfea nel lago

e felicità è amarsi

mi amerò con dolore.

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Lo specolo

Guardando i tuoi occhi

il seme che aspetto da tempo

rinascere dallo sprofondo lugubre,

il silenzio che ravviva la metastasi

delle mie malattie

darti un bacio sulla guancia

e niente più caos nei miei pensieri.

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I passi

Un passo

due passi

l’acacia appoggiata al tetto della masseria:

la tempesta innocente

ha travolto il simbolo della tenacia.

*****

Un passo

due passi

il ragazzo laggiù nel folto del grano

di sangue sporcato

con in mano un libro del Penna, più lontano un Pascoli

a leggere il gemito lamentevole,

delizia mio ragazzo alle nostre orecchie:

tu, che vuoi amare solo il tuo

costernato dolore.

Lamento della cronica

inesistenza

impurezza

inutilità.

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Tempo dell’io asfittico

Mio tempo,

sui tetti non s'ode

che il batter lento della pioggia

calma sentenzia

lo scorrere acre

dell'ora maledettamente buia

cui mi accingo a spegner me stesso.

Il sonno è simile alla morte

quella dolce compagnia

esiziale ai più

che mi è fedele

se cammino per strada

se arcigno lo sguardo rivolgo

all’uomo primo mio defunto.

Volgendo al plenilunio

la nuvola s'allontana laggiù

nel cielo vorticoso di stelle infinite

il pianto è mio grido

di sconsolata triste realtà.

Io solo e furtivo,

di mio petto risoluto

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persisto in questa mia condizione

di assetato d'amore

noia è la vita

sentimento tormentoso

che mi punge come aghi e spine

e stilla un sangue rovente un’ignota consolazione.

Ora qua,

sul mondo dei terreni sentimenti,

mi accingo all’evenemenziale descrizione

di un io

segnato da asfissia.

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Leitmotiv 2

Miraggio

un bacio veloce

destino

erma morte s'appresti

ad essere

una.

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(Libri librati in postmodernismo)

Dei libri

vuotano l'agonia amara

quella sconsolata conclusione

cui arrivo quando chiudo

l'ultima pagina

e ricordo una vaga

loro voce misterica che rintocca

smisurata nel cuore invitto

infelice tremante, quel cuore

ferito dal dardo

della gnome esistenziale.

L'agonia partecipa attiva alla mia esistenza

palingenesi anti-costruttiva del dolore

anti-postmoderna

sentimentalmente patetica

quell'anti- anti, combattivo furore di gioventù

che riecheggia di echi militareschi

che vuole spruzzar sangue nero d'inchiostro

sulle pareti più terse della pelle umana

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nei languidi anfratti del piacere

nascosti ai più timidi

perché flagellati, malati di pudore

quel secco pudore

che rischia di eliminare l'esistenza

o se essa esiste

di convertirla in una piana, turpe, sempliciotta andatura

vitale

ora monotona, ora monotòna, che non stecca di una

nota

che non prova più di un piacere se non il lamento

continuo

inutile

della

sua

nul-

li-

tà.

Ah, quale negligenza l'esistenza,

l'essere in un vortice

di applicata infelicità

amoreggiare con Gadda

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o col suo intrinseco dolore

delimitando il confine tra libro ed anima.

Giacendo immobili,

seduti sul tridente purpureo

sfrecciando in pieno stile impero

di quell'eleganza di cui godi beato

e preghi che tal momento divenga infinito

t'assalga le membra di lodevole gioia:

amara consolazione

l'oggetto e non l'umano.

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Quartina malandrina

Mi sento cedere

desueta consueta malinconia

violenta stringimi

col tuo flagello che usma di vita.

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Alla sera

Nella sera sperduta

quando il tempo sembra fermarsi

ed il suono del vacuo

-non tanto quel vacuo di morte-

trapana assordante l'udito

me solo, d’umore sconsolato,

non voglio agire,

io non cerco se non quanto distrutto

nel mio silenzio indisturbato

nel mio isolamento forzato,

obliato

fin quando la luce dei vostri occhi

sia stata materna salvezza;

quale smisurata passione,

quale smisurato ardore

mi assalgono dirimpetto

e non la contraddizione di

essere qui lasciato come una cosa strappata

ma desiderare

di stare tra i più.

Page 33: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Nella sera sperduta

quando il tempo sembra fermarsi

di là nel mondo sento un rumore di esistenza

da me lontano né vicino.

Mi dimezzo alla finestra

seguendo il profumo sbocciato del pitosforo bianco

e mi annido su di lui

col mio cervello

intricato

in giravolte di pensieri.

Mentre tace buia la notte

bramo di disvelare Maia o Iside

sotto cui, o Natura,

dormi placido sonno:

afferrare quell'infinitesima parte

di tua bellezza,

eternità a me sconosciuta.

Piansi il mio bramare

piansi il mio sognare

piansi il mio piangere.

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La morte perfetta

Sovente

ripenso alla tua venuta

quando taciturna vuoterai

il corpo

per riempirlo di parossistico fremito.

Sovente

m'immagino il giuoco dei sogni,

tu ed io, io e tu

amorevolmente colti in amplesso,

uniti e disgiunti in

una sinuosa spirale di dolore

ed in fondo la luce

l'artefice produttrice delle mie parole,

la luce creatrice

e genitrice de' miei pianti .

Costruisco il non - essere

quella stasi immodificabile,

inattuabile;

ora

nel mio loden blu notte mi aggiro

simile a flâneur datato

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e degli uomini non vedo che il loro

apparire di ombre.

Talora cala il sogno

la magica mistica visione

l'ineffabile appiglio o

sessuale aggroviglio con lei:

(a chi posso raccontare?)

l’estasi inebriante

s'insinua morso dopo morso

morso di dolore o

morso d'amore

sulla carne profumata e tenera della

mia donna

caduca,

canuta,

sterile.

Amore, mia compagnia di sogno

pensiero dominante

perché bruci nei

botri inaciditi che son queste vene

in queste putredini assemblate?

Vorrei provare

ed osare la conoscenza

di un nuovo respiro

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in due

ma per ora vedo solo l'appannaggio

del mio alito

sullo specchio della finestra di camera.

Page 37: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Indissolubile fissità

Sapevo che il vento sfregiasse

il tuo volto già logoro:

m'ami ancora nel nostro

dissodato sodalizio ed un'ombra

impura assorbe i fiori angosciosi:

l'umanità sfrigola in fiale di fiele

discende perdendo il viale serotino

non più rimugina l'arcobaleno cromato

di rosso, poi verde, già giallo.

I miei dolori esorbitano in quel grumo

di sogni che vale come minaccia

inesorabilmente: poi una lenta

stanca dea di un mito che fu

si rinnova in deliri di luce,

simboli straziati dal tuo giuoco

di povertà.

Mi manchi, amore: mi manchi.

Annotta l'attimo esente dal tuo

capriccio di donna, che ti rende una,

indissolubile fissità.

Page 38: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Tu non ricordi

Era la notte

che affondava disperata le sue voci

in derisi avvertimenti di morte:

il melo limoncella profumava l'aria

sul pozzo rosso di mattoni

ed un sibilo straziante di cicala

incespicava laggiù, mai più

così triste la casa umana un tempo lare

del nostro segreto templare.

Un bivio traspare opaco tra me e te

gli allori di creta in cresta smuovono

la calura fissa e stantia: ravvia il tuo giuoco

che nuovo si rende uno smacco di luce

nel cielo smargiasso.

Rampicano i vetrici su d'un veliero

che svia di lontano il cammino: sarà

un inchino al tuo adulto amore snaturato.

Un'ombra tra ombre malinconica sopravvive:

divide l'eterno il suo volgersi dilatato;

giammai si spegne il suo nome che ha forza

di essere scorta di confine.

Page 39: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Ma io, trasecolato, vivrò la serenità

di un abbraccio carezzevole: il faro o la bara

di pansé chiuderà ad arco il tuo volto

incastonato di diamanti millantanti che nel folto

intorbidano il mio vuoto: nuoto là tra

onde di occasioni perdute immemore

del mio tatto che sfiorò il tuo corpo di donna sfatto.

Page 40: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Vita fu?

Dimenticato per sempre

quel dolce

sussurro di vita.

Ahimè, gli amanti nel letto che teneri baci devono darsi.

******

Semplicemente

il sole dipinge l’universo.

Naturalmente

tra la fuga del muro

il giusquiamo secerne

il veleno

con cui tacerò

questa

languida brezza

di voce.

Page 41: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Troppo umana

Da quando intonai il mio ultimo

canto, sparisti ancora più su

tra le spirali indolenti del tempo

assiepata tra l’ombre del pesco ricurvo:

fu l’attimo assente a concedermi

quel triste frangente di coscienza,

di caldo scibile: là nel tuo lungo

spazio adagiata come puro soffio,

inosservata tra i simulacri elisi

ti svisi più deforme che mai

più lunga del tuo passo contorto

che amai, inarcato l’ultimo sfiato:

il girasole scolla la sua libertà

volgendosi al corso del sole;

così il fuoco per cui consumo

si farà breccia del mio perduto orrore.

Page 42: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Ma tu continua ad evolverti, figura,

a non morire per me, a straziare

un lembo di pietà vitale nel tuo

non riconfluirmi troppo umana:

seduto sul limine di un fiume

il dolce barlume del tuo odore

udrò come quando bevemmo

il calice della nostra defunta ebbrezza.

Page 43: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Attesa

Già tuona il lampo nel cielo:

io zitto odo ora la cavalla

che nitrisce al tuo passaggio; lenta

si dimena la frusta di ginestra gialla

sul pendio dove prima erano le viti.

Ma potrà la solitudine arricchire

l'anziano tuo essere stata?

Dimentichi, raggelata

tra i contorni di una foto sbiadita

l'odore delle more macerate al sole:

poi le viole

che ancora cogliemmo in sogno d'allora.

Tu trinci la sagoma d'orpello

la mussolina rimuovi dal corpo imbellettato:

ed il nudo accende quel senso di pudico

riscatto; sinuosa mi squadri con quel

tuo ventaglio puro di piume ripudiato:

segui indiscreta ogni mia mossa verso

di te e la dote che ho perso

ti darò come pegno. Sarà un canto di colombi

a biasimare il nostro defunto epitalamio.

Page 44: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Frammenti d’un riflesso

Dinoccolano le strade lucenti

quando suona la litania delle

prefiche in corteo: sebbene

disparate nei loro tuguri in mucchi

seguono il cocchio aurato di giri

dove la vita è triste presentimento.

Mai più suona il violoncello nelle

notti dolci quando ti facesti preda

dei miei sogni: così nuda e fresca,

mi desti la tua mano al nostro

sodalizio d’amore: fu una tragedia

di scontri in guerra palpitanti: giammai

si stempra il tuo volto sul guanciale

laddove mi fece male il tuo

ridestarti muta: eppure illividita

come una perla ammaccata,

slavata dal non sentirti più mia,

salutavi morta ormai il mio nome

rifugiavi nella pietra del portone

laddove ti strinsi, tempo immemore.

Page 45: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Ora sul lagno giuoca un ragno

colla tela d’infinite presenze

mentre, volgendo, parlo di te

ai pini che avviliscono

sul confine del tuo giardino.

Page 46: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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I ligustri di San Marco

Per niente

non dispera il cuore.

Il desiderio di sapere che mi guardi

tra la nuvole tempestose nel cielo in dissesto

(ti ho sognata lontana stanotte

ti ho sognato lontano oggi)

o tra il fruscio lento dei ligustri centenari:

uno, due a coppie, tre abbarbicati

nell’alto dei loro fusti.

Chiamavo

una donna-uomo

un androgino che amore sappia darmi,

intensa morte, tua e mia.

Tra i fusti lisci

dov’è non v’è scorza muschiosa, s’affrascano le foglie

dei teneri ligustri:

stupisco a mirare il peso del peso

e mi bacio frettolosamente la mano

con cui ho abbrancato codesta penna

per scrivere quel poco che sono

o quel tanto che vorrei essere

Page 47: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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in questo limbo purgatoriale dove non è luce.

La mia luce s’infrasca tra le frasche riarse dei

miei ligustri

ma non riscalda a dovere l’epidermide esfoliante

che sfoglia come la foglia

per poi non buttare più.

Che bonomia la natura! Vedersi scortecciato.

Nella terra dove il sole non sorge mai -

là gli astri saranno ameni diademi splendenti,

anonimi indipendenti -

nella costruita Bengodi danzerò con te,

pur lì nettamente bolso di fatica

bilioso e borioso.

Un querulo pianto

e tu mi amerai come sempre,

solitudine.

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A mio nipote

Ventuno età in più

di misera esistenza,

non molti ad avvicinare

stesso sangue

purché legga nei tuoi occhi quello

che mancò nei miei,

amore mio.

Non so se sei un lui o una lei,

nemmeno se magro o pingue,

figurarsi se mancino o destro

che importa sapere

quando scoprire è più lieto:

lieto come il tonfo cadenzato di un’albicocca giugnola

o di quella tardiva agostana

che rotolando dall’albero

si posa al piè del fusto.

Dolce come vedere che raccoglierai

e ti ciberai di essa, succo di vita,

odioso bisillabo, meschino abusato,

di cui io non ricordo

neanche la sostanza.

Or sei poco più d’un baccello verde

Page 49: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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immaturo

in grembo:

aspetta, aspetta.

Mio principe, mia principessa

che noia avere uno zio poeta!

Uno zio scrittore, ventunenne,

sì amore,

che dice quel che sente:

sia di morire, sia di annegar tra la gente.

Ma tu,

lenta speranza

che voli nella fantasia

di questo mio qualunque giorno in corso d’essere,

leggerai chi fui

seduto su una scrivania di noce e di cristallo:

come un’ombra che la quercia fa al

piccolo querciolo

ti accarezzerò delicatamente

i capelli

sperando

di essermi sentito

per un baleno.

Page 50: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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13 Agosto 2015

È un delirio di piume:

si snodano sul campo dissodato

che scende lungo la piana dei pioppi

in argine;

ritorna il tuo segreto, bambina,

che non si stanca di apparire nuovo.

Non più varca l’orizzonte ancora

nel parapiglia di lampi tempestosi:

un giorno è già avanzato

come scaglia del tempo che fu.

Se di opali sei tutta circonfusa,

il tuo piccolo accestire lento si consuma:

arrechi indisturbata quel senso di vita

che il tuo nome infonde astrale

e più non cerchi l’estinto piacere;

ora muovi il tuo indice arcuato

nella realtà dei taciturni legami:

un tuo grido ferma la nostra discesa

incolmabile di ripidi trionfi. Là,

infingarda memoria trasalirà al tuo

ricordo: svezzata la pudica felicità

dirompe la tua dismisura assiale:

Page 51: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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che dolce come il mattino invernale

si colora di rosei albori d’attesa.

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L’ abbandono

Arieggi

soffice malinconia,

volteggi tra le fronde del loto supremo

che ha corteccia screpolata:

deh! carico di dolci frutti

che non ho mai visto maturare,

che mai mangiai con te.

Ed è appeso il bastone

su cui covavi l’ora,

non guardavi l’orologio:

nessun avvertimento; indolente,

amicale morte colpisti,

quel dolce amore al quale

le palpebre chiudesti

per il sonno eterno.

Svanì l’inganno che molti chiamano vita:

ma tu, pensiero dominatore

che non m’abbandoni,

chi ti generò?

Volteggi tra il fico ed il melo

ed il cerro laggiù:

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vedi: come non sono più le foglie,

come non sei più tu.

Come sono ancora io:

il mio singhiozzo di vita

ed il tuo spento e sigillato respiro

murato, mutato,

si allenta lentamente;

non è che un tempo di più facile

avvenire.

Al di là dell’aldilà

non si vive che di tormento.

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Sangue con amore

Non ho tempo

per l’indecisione sciacallo:

non ho tempo

di espiare i miei

peccati.

All’alba infliggere un pugnale

dipoi raccogliere le spoglie opime del mio sodale.

Oh amico!

Sei così pieno di sangue

che navighi già nel tuo bistratto ego volumetrico

che dice:

non-senso

non-sento

più ormai.

***

Quanto amai, qualche volta.

Gli mormorai tutto il mio disastroso enimma

e lui poco intese:

sorrise e pianse.

Io girovago vorticoso instancabile

m’addentravo nel spiegarmi meglio;

Page 55: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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mi guardava inebetito

niente profferì.

Quanto odiai, quasi sempre.

***

Divelte

le radici dell’esistenza

ci sciancammo assieme

come due

tarlati roveri secolari.

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Metafisica reale

Risboccia il fiore di mimosa

così come quello di datura

ritorna il tuo sorriso dalla rugiadosa velatura,

Ginevra,

ed il frangente del mio incedere

s’innesta nella mente.

Ciò che dissi più non dico

ciò che dico più non dirò

se gli astri vorranno l’infinito lamento perpetuare

di quei dolci giovani ragazzi

che sembrano felici! Fenici nel paradiso laggiù,

ah che tempi stretti son questi:

(il non-luogo implica il non-tempo:

da stazione a stazione

il mio braccio sfrega quello del vicino

e la ria aria s’annuvola d’erosione).

Una marcia carcassa - ciò che dissi -

di petali s’ammassa

attorno alla mia semenza spirituale:

sul mio stretto petto incombe il tuo volto

che fisso, fanciulla, mi fissa:

Page 57: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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se tenti di capirmi

divinamente consumati ,

tra le ginocchia sberciate.

Sbriciola il platano malato

che schianta gemente

al primo vento.

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Leitmotiv 3

Le tue ombre

di lacrime mi godo disperato.

Il tuo nero

ammanto circonfuso

alito freddo, oh mia metà, che sei morte:

più gradito sarai tra le

coperte appena dischiuse.

Page 59: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Autoritratto

Nell'intimo della mia promiscuità

avrei voluto essere diniego

a ciò che vissi

vivo e vivrò.

Se fosse stato semplice

annegarmi nel Lete colla galeazza

squagliarmi serenamente

come una ragazza

al suo primo amore

serenamente affievolirsi il canto blu

della viola melodiosa

ora non più dolore:

un calice d'oppio liquido

un altro

mi ravviva la droga, l'assuefazione che poi

da solo (non importa oppure non è nuovo)

degusto la mia anima

nel vortice allucinato della vostra sicurezza

che più non mi fotte.

Stasera abbandono la notte:

Page 60: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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non v'è posto per il funesto

che disconosce se stesso.

Page 61: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Campi di asfodeli

Infingardamente desisto

resisto

poi che il vento batte

di carne in carne

solipsistico rabdomante

la mia pausa accresce gli inani

asfissianti impetuosi

campi di asfodeli.

Page 62: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Poesia in poesia

Che so

intanto mi cerchi disperata creatura

dove vaghi

innominata velatura

volteggi insaziabile

tra la rosa bruma: non più distingui il movimento

lieve fermento

giallo zafferano il colle

tra le genziane di blu

nella vetusta terra blindata dal tuo pudore

mio odore di donna

che so, rossa di passione,

il volto, le gote tue umide

più non voli intorno all’amato disturbato

arancione razione

di zucca tu doni come dote:

colori l’attimo: fermati, bellezza!

Poesia è la negata esistenza

travolta

dall’insaziabile tuo fascino

Page 63: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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se avessi un presente, tempo o cosa,

a te lo darei come segno del mio amore:

una zolla di me

infuocato

scoppiettante desiderio;

evanescente

che muore ad ogni tuo bacio

leggero.

Page 64: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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La farfalla

Tu, lenta farfalla

il giuoco ripeti stanca:

il tempo sospeso s’annulla di corso in corso

non t’importa chi guardi

che cosa devii

melodico il colorato manto

affretti di qua di là

ed

annaspi di poche ore nel gorgoglio del sole

poi muori

tu, lenta farfalla che sei

destino insignificante

nelle melliflue stagnazioni plumbee;

ma poi di stagione in stazione

mi fermo a mirarti:

la pelle rabbrividisce al tuo caldo rimorso

di breve vita.

Potersi scambiare i ruoli

piuttosto che

tollerare e non soffrire.

Page 65: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Leitmotiv 4

Non so

se giocar di pietra

o di fango

annegando

in un grumo di gridi:

improvvisamente mattino.

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Fanticella addolorata

Languido il giorno decade

l’ultime ore consuma:

la fanticella addolorata si mostra sotto la frasca

inarcata:

strappa le foglie una ad una e

timida si disfà

nel lento fluire del tempo

una lucciola illumina i suoi occhi

spenti di morte matura.

Povera fanticella, oscura il volto colle mani

dipoi piange seduta s’un sasso:

le è greve il peso del domani.

Trascolora il lento giorno,

s’intorbida il tramonto lontano e voci corali non ode:

sola rimane in attesa

d’un cenno, d’un guizzo di felicità.

Ma i piedi batton la terra, confusa mistica madre:

tristezza, velocità

isterica riconoscenza

volubile metastasi epicicloidale

che vita è mai questa qua?

Un tratto di puro pietismo

Page 67: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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(manzoniano paternalismo)

fanticella che esisti

che sfidi l’usignolo più alto di te

od il falco issato

tra statue che vortica in sé:

tu speri in una mano sicura che culli

il nulla di cui è frutto il creato:

disfai povera pulzella;

non rimane che la tua ombra sulla terra

che prima battesti coi piedi.

Page 68: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Leitmotiv 5

Dispenso credendo

ribolle la lue

interiore

si sbottona il capezzale

di morte in morte

agrodolce.

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Leitmotiv 6

Postmoderno frullato in poesia:

invia l'invidia che invade la faccia mondiale

maniacale

mi si perde il mondo nel mondo per il mondo:

poi srotola la Parca il fatuo nefando

rifiuti inceneritori pullulanti liquami in natura

mi si pota la verzura od il pomario

le alberete secrete

attenti ai cani laggiù che sbirciano i lampi minacciosi:

la fontana del mi pais non doma più

si spegne il frontone musone gugliato.

Morte salva il salvabile

lavabile

a secco.

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Caldo, canicola, lucida follia

Non so se la via di

scampo al suo traguardo

sia proprio codesta:

tra le cimase dei palazzi

il frinire intorpidito delle cicale

mi sale

nelle ossa come morte frale,

rivela la debolezza della maschia specie:

amore od inganno

saranno?

Lungo la lunga inavvertita ragione

i sentimenti si dissolvono giustapposti

alla canicola rovente d’agosto:

rasente il muro di confine

la gelosia deambula colla schietta follia;

ravvia

la sdrucciolosa strada che devia

crepata e malsana

così

per sempre mi dirai quanto sarà infinita

per sempre mi dirai se sarò tuo:

Page 71: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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o dolce diavolo di repentini furori che

pulluli d’antro in antro e sbiadisci

nella indistinta cloaca

elemosinata

degli umani a te simili:

volanti cimici che svio

o disconosco nel deserto del mondo.

Consalvo mio!

Morte accomuna

amore ed odio.

Non so se il tragitto da evitare

sia il medesimo percorso:

mi perdo assuefatto e

l’inconfondibile accidioso rumore d’essere

subdolo manovratore della realtà

si appropria d’ogni respiro affannoso:

mi piace godermi nel male

intorpidimento delle mie ferite.

Page 72: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Chimera

Mi sembra d'assuefare

ora lascivio ed impudico,

di sorso in sorso

la tua meschina pelle struscio

nei solchi del proibito:

Essere confuso che sei,

Chimera,

la mia luce notturna

prima serotina soffusa

apparisti ad onor del vero

conciliante ai miei pensieri poetanti: là

nel vago bisbiglio creaturale, là

nel nebuloso biologale

tu discerni la vita dalla morte

e mi evidenzi, sicura,

nella mia stagione più florida:

la primavera crudele di giovinezza:

violentami.

Sei già stanca di lavorare

mio emblema?

Onde qualche volta sorridi al tuo padrone

ti fai battere come desiderosa prostituta da pagare

batton le botte,

Page 73: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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botte di piacere (anadiplosi, tu l'insegnasti)

quel cupo sadomaso

piacere dei poeti tristi e

lagnoni:

ma tu li risorgi dal loro spettro di sembianza

la maschera della latitanza:

così t'amo d'inconfondibile desiderio

m'ardo di giorno, di notte

nella carta, nella mente:

non so davvero più

del mio destino: intanto

la celia della vita

è tale che spingo il mio cadavere

dal balcone nel vuoto

esistenziale.

Page 74: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Il fieno

Tu qui, tra le fronde ossute dei pioppi

fustoni

saluti il mio fieno ravvolto in covoni

e già brucia un cero ad Eleusi per te

che annaspi nei tonfi di silenzio: ed è

laddove il delirio della vita è morto che

si sprofonda in una calma sentenziosa,

in quel piccolo antro o dispetto

quel muretto

recintato per pochi eletti neofiti: là,

ancora una volta,

si dispensano le volontà del linguaggio

del non detto

del patetico, esilarante verdetto.

Sulla riva del fiume in liminare

ci abbandoniamo alla farsa

crepuscolare.

Page 75: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Leitmotiv 7

Apriti mondo e con discrezione

esubera, sobilla nella tua indiscrezione

agita, manduca, maciulla

è una rabbia questa interna-esterna

persistenza, indolenza, prepotenza

che nel tuo bofonchiare somministri:

schizzi frizzi puffi buffi dipinti

sogni coglioni manfrine e vulvoni.

Page 76: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Di parodia in parodia

<<Àn tutte le cose la polizia

anche la poesia.>>

Aldo Palazzeschi

Page 77: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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pirandelliana

La sguerguenza.

Nocumento

così è

la vita se mi pare.

Page 78: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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palazzeschiana

La cattiva bonomia

doni cosa non hai

silenzioso, maligno

- maledicendoti -

standomene in disparte

ti disprezzo

australopiteco

rettile

e-rettile

se solo ti funzionasse quel poco di

cervello lamettriano (Perché il corpo?)

Amen. Io mangio,

vuoi favorirne?

Page 79: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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palazzeschiana 2

Amore, ti bacerei

rinchiuso nel mio antro camerale

davvero stupisco

: riflessi

nello sguardo della mia sbriciolata epopea

tu che donna sei

scorta e coorte della mia anima

adoprando la massima leggerezza

al contrario della esosa plasticità dell'Albany

amante del moderno allobrogo feroce

che facciamo mio destino

inscenare la farsa del cuore

nel teatro poetico

o rintanarsi nei riflessi della mediocrità.

Il buffo, il lazzo, lo scherzo

l'uomo che soffre va discreduto

o la morale pietosa

t'avvicina per scrupolo di coscienza?

mio Aldo!

Page 80: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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palazzeschiana 3

Ed ora fumo.

Non so

Aldo

se distingui la cloaca umana di defecatio:

ma a te piace intossicarti

con quel tuo fumo.

Valentino a vita migliore sei passato.

Oggi ne è morto un altro:

un escremento ha sgozzato un suo medesimo

che fiotti !

La ripetitività della morte

cosa affascinante, intendi Aldo.

Ma noi moriamo un poco ogni giorno.

Svegliarsi la mattina, specchiarsi e salutare

l’immagine funerea del nostro volto

per abituarsi

all’idea della felicità.

Aldo!

Amare il proprio doppio

cospargendo di baci la sua pelle

e sotto? Un cranio, un teschio, delle ossa fredde.

Page 81: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Le timide foglie frali dei platani

fan l’amore con quelle dei liquidambra:

se muoio,

seppelliscimi lontano da quel

tappeto: già

l’escremento ha contaminato abbastanza

laddove v’era purezza.

Page 82: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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morettiana

Piove sull’asfalto,

piovon le foglie sul grezzo marmo

il cotto sanguigno

assorbe l’indistinto ossessivo picchiettio,

quella nenia insignificante che solo comporre

sa la pioggia.

Scroscia l’acqua grigia sul muro ammuffito

dipoi scorre sul cancello arrugginito,

quel muro crepato

più vivo di me

ed ecco scendere nelle vene la malinconia

questa pazza malinconica follia:

migliore un frammento di cemento

invece che un vivente

dotato di nonsenso.

Piovon le foglie dei tigli

sui lunghi spazi dipinti

piove l’acqua trasversale saetta

Page 83: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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ma il tempo della rassegnazione

agita questo corpo:

la rassegnazione atona

o lucida sottomissione

alla consuetudine della vita mortale.

Page 84: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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ungarettiana

Le foglie ungarettiane

non stanno più:

agita i rami il vento

ed io cado giù

profondo manto rosso

cipermetrina

ferma il mio nervoso

colla morte che ha quel che

di lanuginoso

alla gola.

Page 85: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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ungarettiana 2

Non vedi non tocchi non odi

quaggiù lacrimante

involontariamente tremante

velenosa specie

che brami in cielo?

Page 86: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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palazzesco-pasoliniana

Sei tu nella nera fredda

cocolla

che ammicchi colle tue dita

lunghe, scheletriche

chiamandomi all’ombra

sul muro del mio genio?

Mi dici seguimi, seguimi,

vagare non so

sperduto

per il destino,

sgomento

della tua lucida veste di cui da tempo

mi innamorai.

Già ho potuto conoscerti

nei miei aspri ozi

gettato inattivo sul letto:

quando tutte le cose sono immobili

ed io simile a loro,

delirante la vita,

chiedo di vivere

ma viver non so.

Page 87: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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Quanto bella apparisti!

Silenziosa consorte

mi portasti sotto il tuo leggero tabarro materno,

un viaggio non lungo,

quella felice illusione

anelito di nuova rinascita

nei tuoi mondi dorati.

Come elegante eri!

Forse di fisico poco attraente, spezzabile

sguardo magnetico

t’avrei posseduta se solo non fossi stata

un’idea.

Un’idea lontana.

Quando l’orologio rintoccherà

l’ora il minuto e il secondo?

Di me conscio. In me conscio.

Mi concedi un altro ballo mia sposa?

Non lasciarmi ancora ansioso di te

contraddetto perpetuo

qui dove tu regni

onnipotente deità.

Page 88: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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sveviana

La tua città mi conquista

colle sue banche e colle sue barche:

irrefrenabile dipoi s'arrese

quel tuo giuoco di paura:

conoscemmo assieme la strana calura

della triste parassitaria cultura.

Intanto, in ammanto luccicante

qua, là, in tramonto d'alba sfavillante

gli sghei son sghei per todos:

chi fa il lenone gustone puppone

travestito da emperadór

ma poiché tu consumasti quel cor

che il destino t'inflisse

fra vernici e carte a capo chino

giammai letteratura avrà di te, inetto,

esemplare perfetto, virgulto nascente

qua, nell'Union dei commerci

a sentimento polivalente.

La servitù nel fumo psichiatrico

si addottora a pere e formaggio:

balle di balli dannunziane

e tu che, non lascivo, escogiti

una scrivania di lusso, fagociti

Page 89: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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un tuo spazio in reflusso.

Non adocchiare l'occhio dell'occhiuto

nel tuo trascorso letteraturizzato:

mancato quel soffio che sciabotta

la lordata nostra flotta.

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leopardiana

Quale

colle ospita piccole ombre d’animale

oppure strani e dolce frusci di vegetale

esiste, o grazioso Giacomo, l’agonale

mondo che tu dipingi nel tuo dire sì brutale:

pensasti che dal suo dì natale

l'uomo fosse votato ad infelicità e male:

se tale

è il grigiore della quiete mortale

sia tosto di medicina il pugnale,

o Giacomo, l’oggetto appuntito ma esiziale

a sacrificare l’affanno tremendo di cui poco ci cale.

Verrà il dolce speranzoso segnale:

a che vale

sprezzar la vita con pietra tombale?

Di questo si consta, mio Giacomo, il tuo memoriale

se non del discorre del finale

di ognuno di noi, misero creaturale?

Se poi assale

quell’insensato, asprigno e diseguale

tedio che tu ricordi nel canto pastorale,

Page 91: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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a che iscopo rimaner organismo a-normale

invece che iscender nel sonno abissale?

Il progresso Giacomo! Corale

è cotesto mondo globale!

Gino o Nicolò s’arraffano a tanto dispendio vitale:

meglio colloquiare col tuo genio marginale

assai meglio, mio amor di poeta. Ottimale

la tua denuncia alla dozzinale

condotta umana. Seppur distanti gli anni, ancestrale

ancora è la situazione comportamentale.

Così tale

è il nostro stato mortale.

Page 92: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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montaliana

Forse chiedi,

disperata fanciulla,

di assorbire il mio ricordo

la mia essenza esitante

tu

che non dimentichi

ciò ch’è stato e conosci ciò che sarà

od il tempo convenzione

dei tempi oggetto. Chissà

se tieni a cuore il distorto meccanismo del mondo:

la verità

e non il dubbio;

chissà se l’esistenza

è susseguirsi di attimi passati

di cui noi uomini siamo ombre.

Tu

mi segui lontana

disperata amica nell’ombra della paura

mi segui lontana

ed io mi struggo in agonia.

Page 93: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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mazzoniana

Stagionare, sgretolarsi

pian piano

decanto che decanta

lentamente biasimarsi:

flagello sei

sei flagello felicità.

Page 94: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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hegeliana

il vuoto è il vero

e più l'è voto tanto più sembra vero:

come pure, ora,

ciò che è reale è irrazionale

e nun pole esser d'altrimenti;

tu stenti, caparbio, a capir e riflettere

ma non dimandi o discerni

intendimenti ragionati o

filosofie di sofie in fie

non indaghi i subietti controlli

de' potenti, i monòpoli, i monopòli

con cui giuocan fanciulletti loro

il comando, i supremi abbietti

tu seguiti a sprizzar pulsanti

del tuo telefono: è tra i tanti

rimani pur numero

un disambiguo corpo slegato

dal suo cervello afono-atono.

Page 95: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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calviniana

Fu lo specchietto retrovisore

a far perdere il fugace io

squadrato truffato negletto

sì, laggiù in fondo al letto,

invisibili proprio nel Cottolengo

dove il pci alle sore sole non andava a genio:

vogliono che i malati votino democrazia

e cattolico il mondo fascista sia

neofascio littorio di pin pun Pàn

segreto faccio il palindromo nome

che sa di tenet, di anna, di radàr.

Poi mi rifletto tra il viaggiatore del libro

nel cerca e ricerca la bibliografia nelle biocrusche

chissà se i dimezzati rampanti vivono ancora lassù

sull’elce tutto blu

ed io cado giù

nel manicotto manicomiale dei Rondò

sfumati a mo’

di cafoni colla fune di un però, forse, potrei,

scusate, servirei.

Fiducia nella letteratura, Fenoglio in battitura

mi associo al neoOulipo di Queneau

intanto dico: adieu.

Page 96: Matteo Mazzone CAMPI DI ASFODELI - Associazione '9cento · Giuseppe Ungaretti

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palazzeschiana 4

Di certo

c’è il ronzio smussato

il silenzio forzato

di una maschera - prigione

che tutti addolora.

Parrebbe strano l’inventare

l’escogitare un mezzo inverso di

tendenza

al nulla.

Fra-Fre-Fri-Fro-Fru.

Baraba-berebe-biribi-

Borobo-burubù.

Ecciù-Ecciù.

Non ne possiamo

più.

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palazzeschiana 5

La Sora Chiara, la Sofia e la Laurina

tutta scema ed ubriaca che s'inchina

a disprezzare col suo rutto

ciò che fece di lei così brutto:

tra borghesi, chapeau , borghesizzati

tra domande ed atti e confini

latenti sedimenti sono, quei peli sopraffini

i baffi delle vecchie che il belletto

copre a stento: attento tu piccolino,

fatti dare una stampa di carta dal vicino

che sia del Nove o del Settecento

si sbatacchi come brando o verga l'ottocento

che più mai non ha da ire col suo dire.

Ma intanto, tra i panieri di sofà imbottiti,

le tavole imbandite, la mozzarella del lattaio

appena munta la vacca della Isabella,

la parmigiana soporifera di oppio in padella:

oh giammai divini pargoletti !

Genuflette la morale

quel gusto che sa d'anale

dovunque ti giri è pur sempre il suo capezzale.

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leopardiana 2

Amore

e

Morte

non ingeneronno la sorte.

Si sgretola la lingua; più non dice.

Resto come le grandi piramidi

infrante nell’ombra:

e

non sperimento l’arcano.

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gozzaniana

Amai i pomodori che colsi,

la fresca mattina

ferma s'innesta

laddove è sterpaglia

d'obnubilati passati sepolti.

Poi, qui

ora sento

il tuo incedere roco

in su per la valle, giù la pianura,

lieve la fronda si incurva

al ciglio l'erba s'inclina

spazia il loto al tuo passaggio

sebbene il sole ombra non copra

e più non respiri con me.

Furono le sembianze in divenire;

le successive apparenze d’esistenza:

spirate per sempre.

Di secondo in secondo al vivo uomo

lenta morte accade ma lui non coglie.

I calici rilucono la camicia del vino prosciugato,

la tavola né più mai è imbandita,

secco rimane il cibo consumato

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sulle stoviglie,

sbandan le sedie ora di qua

ora di là.

S’inceppa il disguido del ricordo: chissà

se tu ricordi. Chissà

se al freddo sei ancora

così quando nemmeno la ressa del battimani

ti svegliò.

(Ti siedi con me al tuo posto:

taci e guardo il tuo nulla.

La saetta smorza la roverella,

i lunghi abbai canini sulla vetta,

nel campo rapisce la gazzella un fiocco di senape.)

Amai il sentiero albeggiante

battuto di note lontane

(le pietre lisce parevano

volti bastonati di fatica)

e la redola pianeggiante

che camminammo a ritmo di pavane

---

la campana del mezzodì

suona ancora una volta:

ultima vuota nenia

incombe

che prima amai.

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Il tempo nella tinozza stantia,

il profumo dell’attimo roso,

la scialbatura derelitta

la mia feroce persistenza

ad obbedire

alla sopravvivenza.

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luziana

Non ho che un tempo:

dicesti che sempre ti avrei osservata

sempre palpata

lussureggiante sembianza serpentina

che svanisci

affievolisci delle caverne elicoidali.

Opera la baiadera colorita

nei miei sogni latenti

qua ora la materia del suo corpo opale

dimezza la mia malinconia

quel lento soffio spirale

che s’intramezza ad ogni passo,

calpestamento

di terra

vagheggiamento di vita.

Tu donna genitrice

sfiori questo secco uomo asfittico

come la notte di luce

in nuce.

Baiadera mia, danza ancora

ancora per me

finché le lacrime non detergono a fondo il volto

finché il segreto non si disperda tra le umane genti

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il mare - l’oceano - il monte - la collina

non son più.

Danzami solo questa notte,

si disgeli il cuore affossato

a modo di propaggine d’olivo

che pace non ho.

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pasoliniana

Poi al contrario

fantasticando sulla notte oscura

senza domanda l’incenso il turibolo oscilla

sul mio prato di porpora dilatante

colle mani m’aggrappo alla non luce

e tu il tuo odore mi sfiati addosso

come un palpitante anelito d’amore

da tremolanti labbra scosso:

baciami divina inquietudine

la mia vita è travaglio negligente

scandalo a discapito degli altri felici

che colgono fiori di glicini.

Il tempo è l’illusione temporale

lo scindere simultaneo dell’esistenza scandita

da un noi fummo, siamo e saremo.

Non importa volgersi al plenilunio con occhi lagrimanti

-autunno che strappi le foglie

primavera che disgeli il genocidio del divenire

ed il caprifoglio vitale abbarbica l'esplosa ringhiera-

ricordo il non possesso

il non accesso

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alla virulenza del mondo presente. Sarà

la dolce sinfonia di quando morirai, attimo,

trapassato dal mio cuore rosso addolorato.

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ad Andrea Bassani

ermetica

Cosa saranno le mute stelle

guardare la loro vita apparente:

morte che sei l’immagine istantanea del

presente

nuoti tra le fronde del susino accasciato

dispieghi la dolce sinfonia sul batter della roccia dolente;

nel vento disgeli il secco

presente.

I rossi cirri tormentano d’astio i due pini laggiù

un nugolo incombe blu.

Ma poi di tempo in tempo

temo il dissolvermi apparente

felicitazione: il corpo squama la sua castità;

l’odalisca ottomana

disfà.

Non potrò che dire:

mi

muoio.

Fermati Essere nel mio querulo pensamento

non diventare centrifuga apparizione

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isterico movimento

solo un grido di voce

che mi possa perdere in te.

Silenzio che doni la tua lingua

perdona lo scendere cadenzato dei gradini

algidi di marmo

a te che puoi più di ogni altro capire

la sordità dei fiori elisi.

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campaniana

Appare spare

tenebrosa vertigine allungata

di mano in mano il blu protende

poi disfà

la luce riflette i tre vasi bronzei

aliena l'anima dell'uomo prigioniero

ed in prigione di ferro purpureo

negozia la pena

l' arabesco squama ruggine impotente temporale

che scopre la danza macabra di una

troia cartomante notturna.

Tra blocchi mitragliati di colonne bianche

fermo lo sguardo

il silenzio trascorre lento senza goccia

arancio salmone l'agrume pende

come l'acanto aggrovigliato

più del gelsomino che non muore.

Una matrona fetida dai larghi fianchi

che spazia nel tramonto acidulo

di un fendente rosso collinare

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non più imita

la voce corale che chiama al lavoro:

uomini fatevi sotto

è calda profumata rosa lavata

l'aria ritarda l'eco sessuale magnetico dei corpi

la matrona indugia l'ora

del suo no.

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campaniana 2

Piazza Vittorio:

rannicchiato tra i pensieri del giorno

roso dal crepuscolo estatino

di nuovo ritorno

alle esequie del mio ultimo

incontro

addolorato furtivamente:

la giostra non conta le proprie giravolte

affanna il punto di partenza

e sul cavallo bianco di cieco presentimento

il bambino giuoca.

Poi giubbo

meditando il garzone che s’aggira scalzo

quel nauseante odor di umano

l’aria imprime nel suo volgersi atona:

paralitico il merlo sulla statua

lo spillo arancio muove

Firenze che tra gli archi si confonde

una Boboli di palagi.

Discendo: aggiusto la camicia:

il non ricordo vibra

la melodia scordata

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discendo: la camicia aggiusto:

vibra la melodia scordata

il non ricordo;

scordata il non ricordo

la melodia vibra.

Aggiusto la camicia, discendo.

Il mio presente

si spegne

in qualche posto

che non conosco

laddove il tempo trascorso

fu più breve di un passo scalcinato.

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a Giacomo Trinci

gaddiana (complicata)

Già dorme il demone paralitico

ascrive l’umano

io a peperonata invelenita gaddiana

già perora la sua decidua

evanescenza

perorata

d’animali usmato

e poi divorato

lenta-mente

a mente lenta:

l’io luetico si consuma

fottendosi due putans

occitaniche

così è stato insegnato

ben letratz et eseingnaz

non conosce altro intendimento della roca passione.

Già dorme il demone paralitico

disturbatore di sogni

che più non insegue l’algido disseccatore

pavone d’eccesso colorato

pennuto stramazzato

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l’io,

ì - ó

asinesco

cognizio sine qua non doloris per essere

defunti

registrati sul commemorativo acciaio

della vergine casta purità

integerrima quanto garrula verità

sulle bocche di tutti.

Abbondano l’io e il tu

fritti tra i pronomi

distanti dalla terra che li ingenerò.

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gaddiana 2

(duplicativa pronominale soggetto)

La un era così l'Italia del dumila

agiata spiritata traumatizzata

la Sora Chiaretta, tutta perfetta,

galluta adagio adagio,

cotta a lento farfugliamento del puffo

buffo buffone mandrillone

cagnone anguillone:

intanto lo cresce lo stupore, la

lascivia spiritica e spirocheta

bombarda, come il bombo o il mommo,

la buccam mandibolare di denti federali:

la un ci va dall'anestetico anestesista satanico

la un si dice perché né nennè

tra l'erba la cresce una pansé rossa ruvida

che sputa spumoni di saliva da gran gourmet.

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campaniana 3

Il suono indistinto

scorrevole di dita in dita

diviene riluttante

ai suoi docili albori mattutini

dove

le piaghe del tempo trascorso risanano

stanche

echi dolenti e recalcitranti.

Un’ubbia desiderosa

minacciosa

arreca nel suo sogno frivolo d’inconsistenza

la docile coscienza

di svergognato pensiero:

le mura arrossate di mattoni

s’oppongono al divenire

della realtà

ed in essa defluiscono non più pareti

divisorie

ma ponti slavati

arsi di doghe farinose,

verso un dove insicuro.

Non più obbedisci al mio aiuto,

presenza,

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se di te non confondo

l’odore acre tuo acceso

con quello di viburni appena sfiorati.

Mi disappari furtiva

ti piace velarti colla mia solitudine,

soddisfatta celandoti

a ridosso delle nappose lagerstroemie

dilegui come fa la corteccia matura:

decade e finisce sul cotto lanuginoso.

Riascolto il suono di ciò che

immobile

raccoglie le tue fughe:

ti sento di dita in dita

assenza

di solitudine fatta

ora presenza.

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sbarbariana

Trucioli, avanzi di manicaretti

così tra i desolati deserti

si stana il guazzabuglio medioevale

dell’ipocondriaco egosistema catacombale:

una falena che non sa quando vive

e quando muore: per pudore

di esser ferita tra le dita di sonnambuli

e decentemente sfasata in coriandoli

a ritmo di piano, pianissimo

la tortura si mastica a volontà

tra gli omuncoli defunti senza pietà

che sganciano una bomba, (che calamità!)

sui propri consimili babbioni: redimerli

sarebbe miraggio elettrizzante

come una bestia gorgogliante il suo frantumato

ecosistema per una lena ansimante

che s’aggira in dormiveglia ma

nessun pezzente osa mutar la sua sveglia.

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volponiana

Le industrie son belle

fatte a pennello per gli operai

lavoratori, non senzienti, non

comprendenti giammai:

lavora che gli lavora il plusvalore

in profitto si giace beato

così il borghimprenditore costernato dice:

piatto ricco mi ci ficco.

Mentre la manodopera in tram s'attanaglia

la Teodolinda pulisce colle scope di saggina il poltrone di

Don Kapò

colla sua faccina triste da

sottopagata, un po'

sottoproletaria proudhoniana

butterata e malsana di fatica

così è ita la partita del progresso-cesso

su cui sorvolano i mosconi del capitale

latrinale; eccetto che il super del presidente del mega

del direttore conte

istrambazzatore in polluzione all'altoparlante: "numeri

miei, muovetevi a procurarmi sghei

da bravi, non adombrate mestizia

soffrite, bestie, con pudicizia".

E chicchirichì chicchirichì chicchirichì.

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sbarbariana 2

Seduto sulla poltrona di sala

rimugino scorto dalla vita

la mia vile condizione, di scartafaccio

ingombrante che non sa decifrare

ammanettare

questo suo suono mortale, lento

come un lichene spento che arranca

sulla pianta fino al giorno seguente.

Tu fosti esente dalle ebbrezze di un passo

maturato, più docile sarà il trapasso

Camillo, verso cui, arzillo, depuro

anch'io me stesso rasentando il muro

della dimenticanza, del completo oblio

o disvio la distanza del precipizio

che incombe in me, suo sposo novizio.

Cara morte esprimi la nostra invocazione

all'ombra del faggio del postribolo: tu che sei la sola

donna da amare

nel deserto impietosito

dei bipedi da sgozzare. Non rimane

che un truciolo di spensieratezza, tu a Spotorno, io a

Pistoia: quella quieta

nefandezza che aprirà la bolgia mala

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di fuochi imperituri, ardenti per il nostro

diniego.

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pascoliana

Un’altra sera si somma

al mio tempo ombroso:

la pena non muta

di penna in penne

trascrivo l’apatico ozio

ingabbiato chi sa dove,

chi sa dove.

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zanzottiana

Ah ih già giù

è tutto un male quel mio

cosmogale di angui languenti

auguri marinai migranti con

aliquote a tasso variabile

poi aliquot currunt corregge

che casino i meteorologi

apoplessia di pollo alla griglia

con il Titiro che tu patulens sub

(ab in cum de per) non mi interessa

all'ombra di un faggio io mangio il maggio

mondo magma lava il lapillo

sbronzo fico di fuoco esiliato e

fecondo di immondo rifiuto in

cosmicomico dolore: ira per lira

se sì ma chi ci fotterà

la fontana deserta butta batte di vuoto

colore di nero

senza motore, zero

i rimasugli dell'ortica aitante

ballante adulante pallantes mores

non si cerca la ricetta

frivoletta guazzabuglio di pòiesis della

monaca di Monza infervorata

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dalla poesia in poesis amalgamata.

Addio bestia bestione di tozzi mozzi conati addio.

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penniana

Tu sei solito vivere addormentato

entro il dolce gorgoglio della vita:

tra ragazzi magnificenti

sedute dirompenti

isolotti e mutandine,

che mutano mutazioni

sei agra solitudine nel mondo privato del

singolo;

schiacci il mutuo dolore

calpesti la triste malinconica felicità:

e morirà

l'attimo esente dal tuo capriccio di sole.

Ma io s'andrò di giorno in giorno

sussurrando nel singulto della mia docile esistenza

parvenza di apparizione,

mi decido, deciduo tra i lilia,

a cogliere

il mio lento avvenire: giulivo

scarto e svio la dissolutezza o

l'ignominioso parossismo

piacere di piacere al prossimo demente:

fervente rintoppo

qualche scalcinata parte del mio essere

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con sicurezze labili all'innesto;

voglio vivere entro l'aspro borborigmo

della non vita.

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zanzottiana 2

Si sbotta la brocca in caciotta

parmigiana - ana

del mirto mistico poetico

erodoluetico tra i vedo e non ti vedo

discredo e discreo il mondo immondo

analisi speculativa di Tasi ed Iva

la son belle le merci in tardiva elezione

con tutte quelle parolone in ALE:

professionale- nazionale- super eccezionale

aggiungi il vademecum latrinale

che fa da prontuario pronto

a sconto in sordina di vaghina

endo-intro-eso-estro d'estro.

Giammai faremmo dei nostri guai

più vanto di quanto canto

laddove lei non abbarbicherà a

ridicolizzare il ridicolizzabile

(raro, rado e rato)

col suo pianto in ammanto di fiat lux:

stampate leggi abluzioni di Merdelà

legittimisti pro Leopoldo 2º fuori da qua.

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tozziana

False falsificazioni di firme

tra cambiali cambiate di cambi

mi bruciate i libri, fratelli,

dacché io dovrò acquisirne molte altri

per voi ciascuno.

In questo mondo goloso di golosoni

le leccornie di Enrico sono dolci con cui taffiare

tra la pappa dei papponi

che si pappano il dolco del groviglio

lautamente

e morituri se ne stanno a

defecare sulla carta mai aperta.

Letture di libri non letti,

pali di croci come inflitta punizione

a chilometro zero

s'addirizzano in virile erezione:

fa signori l'ignoranza

fece uomo il distinguo intellettuale

la minima appercezione

del nostro antico sedimento culturale.

Giulio è meglio di Enrico,

Niccolò firma la rovina dei tre:

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l'altro si gode nel suo edonè kinetikè.

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Dieci Haiku

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haiku 1

Imprigionato

nel crudele fandango

vivo in plastica.

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haiku 2

Attendiamo qui

tra accasciati asfodeli

il sonno eterno.

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haiku 3

Divampa attonita

la postmodernità:

pure Aldilà.

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haiku 4

Troppo e sculato

riverbera Esculapio:

di crisi in lisi.

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haiku 5

Felicità

sventrami aguzza il cuore

di uno sbarbaglio.

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haiku 6

Tu mia rima

cara, oh dolore e amore,

t’ho in me scolpita.

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haiku 7

Deh, pota il folle

topinambur di luce,

Montale everso !

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haiku 8

Grilli o nolenti,

tutti parlano e dicono

troppo sul troppo.

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haiku 9

Attorno attorno

mi turba la turba di

cerebrolesi.

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haiku 10

Ancora surge

il finocchio selvatico

nostro per sempre.

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Il paradiso arboreo di Matteo Mazzone

Chi conosce, anche solo superficialmente, Matteo Mazzone sa

quanto il mondo vegetale sia una presenza costante nella sua vita:

conversando con lui si parla ben presto di coltivazioni e potature,

orti e boschetti. Agli amici poi piace figurarselo immerso nell’orto a

seminare e innaffiare, e subito dopo sospeso a dieci metri da terra,

intento a sfrondare e dare forma al fogliame. Lassù,

temporaneamente rampante come il calviniano Cosimo ma senza

le risoluzioni polemiche di quello, Matteo guarda il mondo degli

uomini da un punto di vista privilegiato. Sale e scende, si

allontana nell’aria e torna a terra, alterna distacco e

coinvolgimento, ironia e passione. E poiché Matteo è anche poeta,

è naturale che piante, arbusti, fiori, erbe, frutti invadano i suoi

versi. Di più: quella arborea è assai probabilmente la cifra originale

delle raccolte finora stampate dal giovane scrittore pistoiese.

Mazzone se ne serve abbondantemente, disseminando le proprie

liriche di riferimenti alla natura, e in questo modo conferisce ad

esse un colore particolare. I frequenti, apparentemente involontari

lapsus, che rinviano al suo interesse principale accanto alla

letteratura e ai rapporti umani, costituiscono un campionario vasto

e ricco di immagini poetiche. Tutti insieme danno vita ad un

lussureggiante giardino orientale, un 'paràdeisos’ simile a quelli

delle Mille e una notte, e nel contempo ci forniscono la lente

personale con cui Mazzone osserva e legge la realtà che lo

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circonda. Il mondo vegetale è insieme il negativo di quello umano

e il suo silenzioso o sonoro compagno di vita.

Anche un primo spoglio delle liriche che fanno parte di questo libro

rivela una messe di correlativi oggettivi di matrice silvestre o

agreste, visualizzazioni di esperienze o stati d’animo vissuti dal

poeta. Ora il lettore, familiarizzando con queste liriche, impara

presto a ravvisare nel loro autore una personalità complessa,

continuamente in bilico fra l’avvilimento e l’entusiasmo, l’amara

denuncia e la generosa ricerca di un riscatto, il fardello del corpo e

la liberazione da esso. Insomma, ricordando Pasolini: non c’è mai /

disperazione senza un po’ di speranza. E’ ovvio attendersi che

quei correlativi oggettivi lo accompagnino in ogni momento del suo

cammino umano e poetico, e percorrano da un capo all’altro uno

spazio esistenziale assai variegato e variopinto. Questo accade

puntualmente: Mazzone è assai abile nell’associare ai differenti

vegetali altrettanti sentimenti o pensieri, usando la sua tavolozza in

funzione di quelli.

E i colori variano continuamente, creando un tessuto chiaroscurale

e pluristilistico, fatto di oggetti e nomi di uso comune accanto ad

altri più scelti e inconsueti. Nessuna delle tre sezioni della raccolta

(dalla prima insistentemente autobiografica, alla centrale che gioca

con la letteratura fra il palazzeschiano e il postmoderno, alla

conclusiva preziosamente cesellata) è priva di questi riferimenti,

che anzi si dispongono in climax: il nostro campionario si apre con

l’umile cicoria (Fantasticherie) e si conclude con l’aristocratico

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topinambur (Haiku 7). La gamma dei vegetali citati, poi, ne copre

molti a tutti noti e svariati altri meno conosciuti, a testimonianza

delle competenze botaniche ben più che dilettantisticamente

amatoriali del nostro poeta (valgano per tutte le parole pitosforo,

giusquiamo, datura).

Ecco dunque ripresentarsi il topico legame fra uomo e paesaggio,

trasversale a tanta della nostra letteratura, rivissuto stavolta senza

retorica anzi con la convinzione e la credibilità dell’esperienza

diretta. Le icone floreali suggeriscono alternativamente l’idea della

morte e della vita: verso quest’ultima Mazzone pronuncia, talvolta

con rassegnazione talvolta con determinazione, il suo sì

condizionato, e la condizione è la cognizione del dolore di matrice

eschilea, leopardiana e gaddiana. Qualche esempio a sostegno

della tesi suesposta potrà chiarirla ulteriormente. Non si rimanda

alle singole poesie, per dare modo a chi legge di operare un suo

proprio percorso di verifica completando questa semplice traccia.

Già il titolo, Campi di asfodeli, rinvia al senso di morte associato

dagli antichi a questa pianta dai fiori color bianco pallido, che essi

immaginavano ricoprire i prati del mondo sotterraneo sede dei

defunti; e parallelamente alla vita, rabbiosamente rivendicata nel

fallico tendere in alto dell’asfodelo. Le età della vita di ciascuno

vengono evocate mediante altrettante istantanee ‘verdi’: ecco

allora la propaggine degli olivi alludere alla nascita, il baccello

verde all’infanzia, il tiglio alla maturità; la quercia evoca l’anzianità,

il leccio la vecchiaia, il platano malato l’agonia, l’asfodelo la morte.

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La bellezza femminile viene legata alla rosea ninfea e alla rosa

comune, quella maschile al caprifoglio. Per esprimere le idee di

astio, sicurezza, eleganza, malinconia, entusiasmo, Mazzone

ricorre al ricordo rispettivamente del pino scaglioso, dell’arancia

compatta, della roverella (anche nei suoni), del loto, della cicoria

blu (impossibile non ricordare il famoso ‘blu Chagall’ che dà forma

nei quadri del pittore russo alla presenza del divino o shekinà).

Ancora: ad una dimensione colloquiale, informale, contaminata

dall’uso comune rimandano la zucca, l’erba medica, il fico, il rovere

tarlato; ad una più inconsueta e aristocraticamente vergine il

ligustro, la mimosa, il giusquiamo. Il grano e lo zafferano sono

compagni di cammino, l’albicocca di giugno fa intravedere la

felicità sognata e intatta, quella di agosto la felicità esperita e ormai

trascorsa. Perfino un testo programmatico come Poesia in poesia,

là dove Mazzone prende coscienza di sé come di un campo da cui

svellere una zolla per donarla alla Bellezza, si registra la presenza

dello zafferano e della genziana (giallo e blu, allegria e naufragio)

accanto alla zucca (semplicità un po’ scanzonata). L’antipoetico

pomodoro dialoga a distanza con il letterario viburno, l’umile

finocchio selvatico custodisce il profumo del mistero e

l’accessibilità della vera poesia al pari dello squillante girasole

(intenso e struggente è l’ultimo frammento, Haiku 10: Ancora

surge/ il finocchio selvatico/ nostro per sempre).

Tutta questa abbondanza e varietà di riferimenti giustifica

l’impressione, maturata col procedere della lettura, di un mondo

poetico alternativamente tragico e comico, apparentemente

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umorale in realtà articolato in molteplici pieghe e sfumature. E’

quello spoudoghèloion, mescolanza di serio e di leggero, che

intende esaurire la complessità e paradossalità dell’esperienza

umana, che sospende il principio di non contraddizione, come ci

hanno insegnato in tempi diversi Eraclito, Petrarca e Eliot. Al di là

del grido disperato e dello sconforto, come dell’ironia e del

divertissement, questa è l’essenza della parola poetica nei Campi

d’asfodeli di Matteo Mazzone.

Fausto Ciatti

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Ringraziamenti

Come sempre, l’ultima pagina è dedicata ai saluti meritevoli:

mamma Silvana e babbo Sergio, i miei fratelli Roberto, Claudio e

Lorenzo, le mie cognate Irene, Moira e Alice, mia nipote Ginevra

ancora poppante, poi i miei zii, Marco ed Anna in particolare, i miei

cugini vicini e lontani, tra cui Laura la dolce, sottolineando la

profonda disponibilità del primogenito Luca, autore della foto in

copertina, che mi ha aiutato per l'impaginazione del libro. Un

abbraccio ai miei colleghi accademici universitari Diletta, Elisa,

Davide, Lucrezia e Paolo e alla mia diade vecchiona inconfondibile

che si ritrova presente anche in questo libro, Alice e Marco. Poi

ancora Benedetta, Gregorio, Costanza e Giulio ed un caro saluto

ai romani Alessandro, Andrea. Ringrazio il caloroso gruppo di

lavoro dell’Associazione Culturale <<’9Cento>> e con cordiale

affettuosità la cara Elena Becheri, assessore alla cultura di Pistoia;

un particolare amorevole saluto a Donatella Solmi, al mio poeta

preferito Andrea Bassani, con cui condivido l’asfissiante,

increscioso peso di quel nulla che l’uomo può dare, ed al

magnanime poeta concittadino Giacomo Trinci, pluripremiato per

la sua metricista cifra stilistica di traduttore de’ tempi bui. Ancora

un saluto esageratamente grande, colmo di un affetto

intramontabile per Ernesto Marchese e Fausto Ciatti (quest’ultimo

tirato fuori dagli umbratili velari pascoliani): ancor lor colpa se

annoiovi col terzo libello. E tu, che voli infingardo tra i nostri campi,

ci sei tra le linee eteree della scrittura, dove resisti al tempo e nel

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tempo, scalfito nella mia memoria d’immagini: la convenzione del

tuo essere stato si perpetua nel continuo esserci ora,

nell’incommensurabilità di un attimo che ti ricorda definito ed

intatto.

Pistoia, 7 Frimaio anno CCXXIV

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L’autore

Ultimo di quattro fratelli, Matteo Mazzone nasce a Firenze il 5 maggio

1994. Esordisce con “Acre Tirso“, nel Dicembre 2012 (Tipografia

Bianchi), in cui, fra gli altri concetti, sono espressi i pilastri fondamentali

della vita: l’amicizia, i legami familiari e il rispetto del prossimo.

Intraprende la carriera accademica iscrivendosi alla Facoltà di Lettere di

Firenze. E’ il membro più giovane e socio dell’Associazione culturale 9

Cento Pistoia. Nel Giugno del 2014 ha pubblicato a Pistoia la seconda

raccolta “Dialogi” (Tipografia Breschi), assai diversa dalla precedente,

dalle poesie ora soggettivo-liriche, ora di mordace denuncia anti-

postmoderna. Ha collaborato con il Centro Documentazione della

Biblioteca San Giorgio di Pistoia, ha partecipato al ciclo di conferenze

poetiche intitolato “Eros ed Erosione”, nel quale sono state lette sue

liriche. Dal 2014 ha collaborato coll’emerito Circolo Letterario Giacomo

Leopardi di Pistoia, pubblicandovi saggi critici letterari come “Gozzano

ed il dannunzianesimo stroncato” e “Leopardi politico: storia di un’anima

patriottica”. Ha dedicato intensi studi a Ungaretti, Pasolini, Celan

Palazzeschi, Gadda. Vince nel 2015 il concorso nazionale "Habere Artem

XVII edizione", colla poesia "Lo specolo" ed è inserito nell’omonima

antologia di poeti contemporanei. Nel 2015 pubblica, sempre a Pistoia, la

terza raccolta “Campi di asfodeli” (Tipografia “Le Fotocopie”). Sta

lavorando alla riorganizzazione e pubblicazione critica delle poesie di

Marco Gargini, fu scultore e poeta pistoiese. I suoi testi sono disponibili

presso le biblioteche San Giorgio di Pistoia e Forteguerriana, oltre che

gratuitamente in internet sul sito dell’Associazione sueposta.

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