materiali foucaultiani iii5-6ss

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anno III, numero 5-6 gennaio-dicembre 2014 ISSN 2239-5962

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  • anno III, numero 5-6 gennaio-dicembre 2014

    ISSN 2239-5962

  • materiali foucaultianipeer reviewed

    DIREZIONE & REDAZIONE

    Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli

    COMITATO SCIENTIFICO

    Philippe Artires, tienne Balibar, Jean-Franois Bert, Alain Brossat, Judith Butler, Edgardo Castro, Sandro Chignola, Pierre Dardot, Arnold I. Davidson, Mitchell Dean, Didier Fassin, Domingo Fernndez Agis,

    Colin Gordon, Frdric Gros, David Halperin, Jonathan X. Inda, Bruno Karsenti, Christian Laval, Olivier Le Cour Grandmaison, Boyan Manchev, Manuel Mauer, Achille Mbembe, Sandro Mezzadra, Brett Neilson, Peter Nyers, Johanna Oksala,

    Aihwa Ong, Michael A. Peters, Mathieu Potte-Bonneville, Jacques Rancire, Judith Revel, Michel Senellart, Jon Solomon, Vincenzo Sorrentino,

    Ann Laura Stoler, William Walters, Robert J.C. Young

    Si ringrazia il Comitato di lettura per leccellente lavoro svolto.

    2014 mf/materiali foucaultianiwww.materialifoucaultiani.org

    e-mail: [email protected]

    ISSN 2239-5962

    Grafica e impaginazione | Daniele Lorenzini & Laura Cremonesi

    Copertina | Philippe Bazin

  • materiali foucaultiani ANNO III, NUMERO 5-6 GENNAIO-DICEMBRE 2014

    SOMMARIO

    4 Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli Il lavoro della sperimentazione

    La parrhesia e lattualit politica della critica 9 Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli Introduzione 15 Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli Nota di lettura 21 Michel Foucault La parrhesia 53 Mariangela Milone Dalla parrhesia alle pratiche politiche nella postcolonia 71 Nancy Luxon Authority, Interpretation and the Space of the Parrhesiastic Encounter 91 Johanna Oksala What is Political Philosophy? 113 Maurizio Lazzarato Enunciazione e politica. Una lettura parallela della democrazia: Foucault e Rancire 135 Giovanni Maria Mascaretti Michel Foucault on Problematization, Parrhesia and Critique

    Saggi 157 Ronan de Calan Foucault mitologo delle scienze. Per una rilettura de Le parole e le cose 177 Marta Menghi Le parole, le cose ed altre inquisizioni 197 Marcos Nalli The Normative Immanence of Life and Death in Foucauldian Analysis of Biopolitics 219 Ottavio Marzocca Dal potere sulla vita al governo dellethos. Centralit genealogica della governamentalit

  • Sguardi foucaultiani 243 Philippe Bazin Il muro del silenzio

    Nascita della societ punitiva 247 Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli Nota introduttiva 253 Frdric Gros Foucault e la societ punitiva 263 Sacha Raoult The Missing Link. An Inquiry into Michel Foucaults Distinction from Penal Evolution Literature between The Punitive Society and Discipline and Punish (1973-1975) 283 Corentin Durand Per una sociologia morale delle traiettorie di controllo. Una lettura de La socit punitive 307 Grgory Salle Dallillegalismo alla gestione differenziale degli illegalismi: ritorno su un concetto

  • Il lavoro della sperimentazionedi Laura Cremonesi, Orazio Irrera, Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli

  • Ci siamo spesso interrogati, in questa sede, sul senso della nozione di uso applicata al pensiero di Michel Foucault, nonch sulle ambiguit e sui rischi connessi a tale nozione primo fra tutti, stemperare un approccio, un metodo, una serie di problematizzazioni dotati di una spe-cificit storico-politica ben definita, in unimpresa di attualizzazione a tutti i costi, per descrivere realt e fenomeni radicalmente estranei al campo di oggetti illuminato dalle analisi foucaultiane (impresa nella quale la cas-setta degli attrezzi foucaultiana finisce per diventare una griglia analitica per decodificare ogni evento del presente). Allo stesso tempo, tuttavia, abbiamo sottolineato con forza la necessit di contrastare la monumen-talizzazione di Foucault, la trasformazione del suo pensiero in un clas-sico che saremmo chiamati soltanto ad interpretare, a studiare filologica-mente nella sua genesi e nella sua evoluzione, ma che non avrebbe pi nulla da dirci su di noi, sul nostro presente che sarebbe quindi inutile, o meglio inutilizzabile.

    Ma ecco che limbarazzo sorge nuovamente: se la nozione di uso, declinata naturalmente al plurale, si rivela unefficace difesa contro ogni forma di monumentalizzazione di Foucault, e se tuttavia tale nozione rac-chiude i rischi di cui sopra, come distinguere gli usi legittimi da quelli illegittimi? La risposta a questa domanda lungi dallessere semplice o evidente, ma ci sembra possibile, in ogni caso, svolgere due tipi di rifles-sione a tal proposito. Da una parte, non siamo sicuri che la distinzione legittimo/illegittimo sia qui pertinente: ci sono usi che si rivelano inte-ressanti, innovativi, filosoficamente ricchi di conseguenze, e ce ne sono altri che al contrario si rivelano sterili, banali, privi di interesse ma che non per questo possono essere bollati come illegittimi. Daltra parte, e di conseguenza, se una distinzione tra usi pi o meno interessanti, pi o meno innovativi, pi o meno carichi di conseguenze pu essere fatta, si tratter necessariamente di una distinzione a posteriori: nessuna selezione a priori degli usi di Foucault dovrebbe essere sottoscritta, pena lintroduzio-ne di una police discorsiva laddove, al contrario, la stessa pratica filosofica di Foucault ha sempre privilegiato la sperimentazione e difeso il diritto non tanto allerrore, quanto al ripensamento, al cambiamento repentino di direzione e, fino ad un certo punto, allimprovvisazione.

    Questo genere di riflessioni stato riproposto con particolare fre-quenza nel corso del 2014, trentennale della morte di Foucault che, in Francia e nel mondo intero, stato accompagnato da una lunga serie di eventi mediatici e/o scientifici. Elencarli tutti sarebbe impossibile. In que-

    materiali foucaultiani, a. III, n. 5-6, gennaio-dicembre 2014, pp. 4-7.

  • sta sede baster ricordare, oltre alla pubblicazione di numerose monogra-fie, volumi collettivi e numeri speciali di rivista dedicati al filosofo france-se, quella del suo Corso al Collge de France del 1980-1981, Subjectivit et vrit1; le tante trasmissioni televisive e radiofoniche (in ambito francese si pensi soprattutto al documentario Foucault contre lui-mme e alla settimana che France culture ha consacrato alla questione Que faire de Foucault aujou-rdhui?); gli innumerevoli dossier su quotidiani, settimanali e riviste culturali a grande tiratura (tra cui, per esempio, Le Monde des livres, Le Nouvel Obser-vateur, Le Magazine littraire, Sciences humaines, Le Point); i molti convegni e le giornate di studio nazionali e internazionali, come la significativa tre giorni Foucault(s) 1984-2014 ospitata dallUniversit Paris 1 Panthon-Sorbonne e dallUniversit Paris-Est Crteil a giugno, il convegno Michel Foucault: After 1984 svoltosi a Yale in ottobre, e i due convegni organizzati da materiali foucaultiani allUniversit di Palermo e allUniversit di Bologna in no-vembre e in dicembre.

    Il 2015, del resto, non sar da meno: in maggio prevista la pubblica-zione del Corso al Collge de France del 1971-1972, Thories et institutions pnales, con il quale si concluder limponente impresa editoriale comincia-ta nel 1997, destinata a restituire al grande pubblico lintegralit dellinse-gnamento di Foucault al Collge de France. Una dcade del Centre culturel international de Cerisy-la-Salle sar dedicata, in giugno, proprio a questo tema, mentre in autunno prevista ledizione Pliade delle opere di Fou-cault (libri pubblicati in vita e selezione degli articoli pi significativi). Pa-rallelamente, nel quadro del progetto editoriale Foucault indit (Librai-rie philosophique J. Vrin), dopo Lorigine de lhermneutique de soi2 e Quest-ce que la critique? suivi de La culture de soi3, sar pubblicata in autunno la prima edizione completa delle conferenze sulla parrhesia pronunciate da Foucault nel 1983 allUniversit di California Berkeley. E il fondo Foucault, deposi-tato alla Bibliothque nationale de France e ormai accessibile ai ricercatori di tutto il mondo, riserver senza alcun dubbio ancora tante sorprese

    1 M. Foucault, Subjectivit et vrit. Cours au Collge de France. 1980-1981, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2014.

    2 M. Foucault, Lorigine de lhermneutique de soi. Confrences prononces Dartmouth College, 1980, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, introduzione e apparato critico di L. Cremonesi, A.I. Davidson, O. Irrera, D. Lorenzini e M. Tazzioli, Vrin, Paris 2013.

    3 M. Foucault, Quest-ce que la critique? suivi de La culture de soi, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, introduzione e apparato critico di D. Lorenzini e A.I. Davidson, Vrin, Paris 2015.

    Il lavoro della sperimentazione 5

  • Cos, tra qualche mese, un primo processo di canonizzazione di Foucault sembra desinato a concludersi: oltre ai Dits et crits, saranno di-sponibili tutti i Corsi al Collge de France e ledizione critica delle sue opere pubblicate in vita, e cominceranno a fiorire i primi studi fondati sui documenti inediti (manoscritti, fiches preparatorie, giornale intellettuale, ecc.) consultabili alla BnF. Tutte le condizioni necessarie per trasformare Foucault in un classico della storia della filosofia saranno riunite, e non si tratta certo di rammaricarsene. Tuttavia, ci sembra che, proprio in questa giuntura estremamente delicata per gli studi foucaultiani, diventi essen-ziale, da una parte, porre il problema delleconomia della circolazione dei testi, problema che, accanto a quello della produzione teorica a partire da e su Foucault, sar una delle poste in gioco principali se si vuole scongiurare il rischio di canonizzare non solo lopera di Foucault, ma prima ancora Foucault come autore, in un gesto teorico-politico al quale lui stesso si era peraltro fermamente opposto4. Dallaltra parte, si tratter di porre nuo-vamente da una prospettiva senzaltro diversa il problema degli usi, e cercare di mantenere aperto uno spazio di riflessione comune, di dialogo, di scambio, di interazione, tra il lavoro storico-filologico su Foucault e tutto quel variegato universo discorsivo fatto di riprese, mises en perspective, attualizzazioni, e talvolta distorsioni, che non smetter di proliferare a par-tire dalle analisi foucaultiane.

    Sar questa una delle sfide principali dei prossimi anni: impedire la cristallizzazione di una differenza radicale, di una separazione senza ap-pello tra un approccio filologico e canonizzante allopera di Foucault e la molteplicit di usi che il pensiero foucaultiano continuer a suscitare; creare al contrario le condizioni per un reciproco arricchimento, per uno scambio fecondo e aperto, senza pregiudizi a priori, che tenti di introdurre sempre, nelle maglie del presente, lo scandalo della differenza attraverso il paziente (e irriverente) lavoro della sperimentazione.

    Jai tout fait conscience de me dplacer toujours la fois par rapport aux

    choses auxquelles je mintresse et par rapport ce que jai dj pens. Je ne

    pense jamais tout fait la mme chose pour la raison que mes livres sont pour

    moi des expriences, dans un sens que je voudrais le plus plein possible. Une

    4 Cfr. M. Foucault, Quest-ce quun auteur?, in Dits et crits I, 1954-1975, a cura di D. Defert e F. Ewald, Gallimard, Paris 2001, pp. 817-849.

    6 Cremonesi, Irrera, Lorenzini, Tazzioli

  • exprience est quelque chose dont on sort soi-mme transform. [] Je suis un exprimentateur en ce sens que jcris pour me changer moi-mme, et ne plus

    penser la mme chose quauparavant5.

    Londra, Parigi, Pisa, Tunisi marzo 2015Laura Cremonesi, Orazio Irrera,

    Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli

    5 M. Foucault, Entretien avec Michel Foucault, in Dits et crits II, 1976-1988, a cura di D. Defert e F. Ewald, Gallimard, Paris 2001, pp. 860-861.

    Il lavoro della sperimentazione 7

  • La parrhesia e lattualit politica della critica

  • Introduzione

    ormai noto che la questione della parrhesia ha costituito per Michel Foucault un argomento di grande rilievo, al quale egli dedic ricerche lun-ghe e approfondite. Per i non specialisti del pensiero foucaultiano, per, la rilevanza di questo tema una scoperta relativamente recente, che risale al 2001, anno della pubblicazione del Corso al Collge de France Lhermneu-tique du sujet1; in questa serie di lezioni, infatti, Foucault accorda ampio spa-zio al ruolo della parrhesia nel contesto della cura di s ellenistica e romana. per tra il 2008 e il 2009, con luscita degli ultimi due Corsi al Collge de France, Le gouvernement de soi et des autres e Le courage de la vrit2, interamente dedicati alla storia delle successive figure della parrhesia, che questo tema assume un ruolo di primo piano nellambito degli studi foucaultiani, dive-nendo oggetto di numerosi lavori e ricerche.

    Fino ad allora, la centralit della parrhesia nellultimo Foucault pote-va solo essere intravista, grazie alla pubblicazione (parziale e inaccurata) di una serie di conferenze tenute alluniversit di California Berkeley nel 1983, Discourse and Truth, tradotte in italiano nel 1994 da Donzelli con il titolo Discorso e verit nella Grecia antica3, o grazie ai resoconti delle registra-zioni degli ultimi due Corsi al Collge de France, offerti dai ricercatori che avevano avuto la possibilit di recarsi allInstitut mmoires de ldition contemporaine a Parigi, e in seguito a Caen, per ascoltarle4.

    1 M. Foucault, Lhermneutique du sujet. Cours au Collge de France. 1981-1982, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2001.

    2 M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collge de France. 1982-1983, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2008 e Le courage de la vrit. Le gouvernement de soi et des autres II. Cours au Collge de France. 1983-1984, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2009.

    3 M. Foucault, Fearless Speech, a cura di J. Pearson, Semiotext(e), Los Angeles 2001; trad. it. Discorso e verit nella Grecia antica, Donzelli, Roma 1994. Prima di essere riprese nelledizione Semiotext(e), queste conferenze sono state a lungo disponibili online sul sito .

    4 Va anche ricordato che, tra i Rsums dei Corsi tenuti da Foucault al Collge de France e pubblicati nei Dits et crits (1994), mancano proprio quelli riguardanti i Corsi del 1983 e del 1984, circostanza che ha reso ancora pi difficile laccesso alla trattazione foucaultiana della parrhesia.

    materiali foucaultiani, a. III, n. 5-6, gennaio-dicembre 2014, pp. 9-13.

  • La pubblicazione della conferenza di Grenoble si inscrive quindi nel movimento che, dal 2001 ad oggi, ha reso progressivamente dispo-nibile questo momento cruciale del pensiero foucaultiano, favorendo lapertura di un importante spazio condiviso di riflessione e di dibattito intorno ad esso.

    La presente sezione monografica intende inserirsi proprio allinter-no di questo spazio, proponendo una serie di interventi che si sofferma-no sia sul ruolo della parrhesia nel percorso filosofico foucaultiano, sia sul contributo che una riflessione su tale pratica pu offrire al pensiero politico contemporaneo.

    Gli autori che danno vita a questo dossier non hanno esitato a mo-strare come la parrhesia foucaultiana possa costituire un potente stru-mento per ripensare le forme della nostra democrazia, per mettere in discussione le pratiche politiche attuali e, non da ultimo, per rivedere il ruolo che la filosofia pu assumere, oggi, nei confronti della politica. Appare quindi evidente che linterpretazione foucaultiana della parrhesia non possa essere ridotta a un mero esercizio storico e filologico, ma che essa presenti una serie di poste in gioco che toccano profondamente la nostra attualit politica. Lanalisi della democrazia greca offerta da Fou-cault nei due ultimi Corsi al Collge de France analisi che ruota attorno alla pratica della parrhesia nella sua differenza dallisonomia e dallisegoria viene dunque del tutto naturalmente messa a confronto con le analisi di Hannah Arendt e Jacques Rancire, e impiegata come strumento cri-tico rispetto al modo in cui questi autori connettono la democrazia degli antichi a quella dei moderni.

    Obiettivo comune agli autori di questa sezione , quindi, quello di as-sumere la riflessione foucaultiana sulla parrhesia come uno strumento utile per loggi, al fine di aprire nuovi spazi in cui situare forme rinnovate del pensiero e della pratica politica.

    Mariangela Milone, ad esempio, ritiene che sia possibile partire dalla-nalisi foucaultiana della democrazia greca per rinnovare la storia delle no-zioni che ruotano intorno al concetto di democrazia. Se una storia lineare, che individua il punto di origine della democrazia occidentale nella polis greca, non oggi praticabile, il confronto che, nel Corso del 1983, Fou-cault conduce tra pratiche democratiche antiche e attuali ha il merito di mettere in questione proprio questa storia lineare, evidenziando le pro-fonde fratture che lattraversano. Milone mostra chiaramente come questa

    10 Cremonesi, Irrera, Lorenzini, Tazzioli

  • operazione foucaultiana converga, nel suo intento, con molteplici azioni politiche (per esempio quelle dei migranti) che, attualmente, rimettono in discussione una delle categorie pi problematiche della democrazia: la categoria di cittadinanza. Grazie al confronto con lesperienza greca, Foucault ci permette infatti sia di problematizzare la questione della cit-tadinanza, sia di pensare forme alternative di soggettivazione politica e di pratica della cittadinanza stessa.

    Anche per Nancy Luxon ad essere in gioco, nella riflessione foucaul-tiana sulla parrhesia, la forma attuale della nostra democrazia. Il suo arti-colo si basa principalmente sulla conferenza di Grenoble e sul confronto che, in essa, Foucault propone tra parrhesia e confessione. Come Luxon nota, la messa in relazione di queste due modalit storiche di veridizione infatti uno dei punti di maggior interesse del testo foucaultiano. E anche per Luxon, lo studio foucaultiano della parrhesia si rivela un utile strumen-to di analisi delle pratiche politiche attuali: la parrhesia, quale Foucault la descrive in particolar modo nel Corso del 1983, pu servire a smantellare gli spazi politici esistenti e ad aprire uno spazio di libert strutturalmente differente da quelli praticati nelle democrazie contemporanee e concepiti dal pensiero politico moderno (il riferimento , in particolare, alla sfera pubblica kantiana). Luxon vede dunque nella problematizzazione foucaul-tiana della parrhesia una delle possibili risposte a quella crisi dellautorit che era gi stata oggetto delle sue ricerche5.

    Johanna Oksala e Maurizio Lazzarato mettono invece a confronto la lettura foucaultiana del funzionamento della democrazia greca, rispettiva-mente, con quella svolta da Arendt e Rancire.

    Lo scopo di Oksala quello di mostrare come Foucault svolga una critica implicita alle tesi di Arendt, per proporre una nuova definizione della politica e del ruolo che la filosofia pu giocare nei suoi confronti. Secondo Oksala, ne Il governo di s e degli altri, Foucault individua in Platone un modello possibile del rapporto tra filosofia e politica, proponendo al tempo stesso una critica delle note tesi di Arendt sulla filosofia platoni-ca. Tramite una lettura accurata dellanalisi foucaultiana della Lettera VII, Oksala mostra come Foucault trovi in questo testo una nuova definizione del compito della filosofia nellambito della politica, che non consiste n nellesercizio diretto del governo, n nella proposta di un sistema politico

    5 N. Luxon, Crisis of Authority. Politics, Trust, and Truth-Telling in Freud and Foucault, Cambridge University Press, Cambridge 2013.

    Introduzione 11

  • valido, definibile dalla filosofia grazie al suo accesso privilegiato al vero (percorso che, per Arendt, il punto di origine di forme di governo tota-litarie). Il compito della filosofia nellambito della politica invece quello di tentare di modificarne la realt, rivendicando i principali caratteri della parrhesia: veridizione e contestazione coraggiosa del potere. Per Oksala, indubbio che lanalisi della parrhesia platonica faccia parte di quella sto-ria del presente praticata da Foucault in ogni sua ricerca. Cosa significa, quindi, attualizzare questa relazione tra filosofia e politica? Significa stimo-lare la filosofia a confrontarsi con la politica della verit, cio a svolgere incessantemente il lavoro che Foucault ha sempre portato avanti: storiciz-zare la verit, interrogarla, metterla in questione nei suoi effetti politici. questo il compito della filosofia che, definendosi come pratica parresiasti-ca, interviene nel reale della politica, al fine di trasformarla.

    Maurizio Lazzarato propone invece unanalisi di tutta la trattazione foucaultiana della parrhesia (dal suo emergere nella polis greca fino alla pra-tica cinica) e suggerisce che le figure parresiastiche individuate da Foucault offrono un valido appiglio per mettere in luce alcune debolezze insite nel-le teorie di Rancire. Entrambi questi autori, nota Lazzarato, assumono come punto di partenza la democrazia greca: gi in essa, secondo Ran-cire, si manifesta la capacit del linguaggio di contenere una potenzialit di uguaglianza, che deve poi essere resa effettiva dalla pratica politica. Per Foucault, invece, sin dalle origini della democrazia, la pratica della parola, nella forma della parrhesia, istituisce rapporti multiformi tra uguaglianza e differenza, che fanno s che essa sia una pratica ben pi complessa rispet-to allisegoria a quelluguaglianza di parola stabilita come diritto astratto. Le implicazioni contemporanee di queste due diverse letture dellorigine della democrazia sono evidenti. Minata sin nel suo fondamento dallanalisi foucaultiana, la proposta politica di Rancire appare, secondo Lazzarato, fortemente ipotecata anche nella sua validit attuale, mentre la riflessione di Foucault sui modi di soggettivazione si rivela uno strumento pi ade-guato per rendere conto delle lotte e dei movimenti contemporanei, e per prendervi parte.

    Infine, Giovanni Mascaretti si concentra sul ruolo che la nozione di parrhesia svolge allinterno della riflessione filosofica foucaultiana. A suo parere, lo studio della parrhesia permette a Foucault di elaborare una serie di strumenti per pensare la soggettivazione come pratica in grado di autoistituirsi e di offrire punti di resistenza alle relazioni di potere e di

    12 Cremonesi, Irrera, Lorenzini, Tazzioli

  • sapere. La parrhesia si rivela quindi essere la nozione chiave che permette a Foucault di aprire quella riflessione sulla critica e sul ruolo delletica che caratterizza le ultime fasi del suo pensiero. Per mostrare la centralit della nozione di parrhesia in questa importante tappa del percorso foucaul-tiano, Mascaretti mette in parallelo lelaborazione della questione della parrhesia con quella del concetto di problematizzazione, sostenendo che questi due temi assumono la propria piena intelligibilit solo se letti in modo congiunto e in relazione alla questione della critica come com-pito della filosofia.

    Londra, Parigi, Pisa, Tunisi marzo 2015Laura Cremonesi, Orazio Irrera,

    Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli

    Introduzione 13

  • Nota di lettura

    Il testo che qui presentiamo per la prima volta in traduzione italiana quello della conferenza sulla nozione e la pratica della parrhesia che Michel Foucault tenne allUniversit di Grenoble, su invito dellantichista Henry Joly, il 18 maggio 1982, qualche mese dopo la fine del suo Corso al Collge de France Lermeneutica del soggetto. La prima versione del testo di questa conferenza stata stabilita da Henri-Paul Fruchaud e Jean-Franois Bert ed apparsa nel 2012 su Anabases (n. 16)1. Attualmente in preparazione una versione rivista di questa conferenza, la cui pubblicazione per la colla-na Philosophie du prsent della casa editrice francese Vrin, a cura dello stesso Henri-Paul Fruchaud e di Daniele Lorenzini, attesa per la fine del 20152. La presente traduzione stata condotta sulla base di questa seconda versione, rispetto alla quale, per rendere pi agevole la lettura, abbiamo tuttavia scelto di alleggerire lapparato di note, non riportando gli ampi brani che fungono da cornice agli effettivi riferimenti testuali fatti da Fou-cault. Abbiamo infine deciso di snellire il testo tralasciando gli elementi pi dialogici e in qualche maniera di rito della conferenza, come lintrodu-zione iniziale di Henry Joly e la discussione finale, lacunosa in pi punti.

    Come noto, Foucault aveva cominciato a parlare della parrhesia nel quadro della direzione di coscienza nellAntichit greco-romana gi duran-te le lezioni del suo Corso al Collge de France, tra il gennaio e il marzo del 1982. Se, tanto in questo Corso come nella successiva conferenza di Grenoble, i principali riferimenti alla parrhesia in Epitteto (e Arriano), Fi-lodemo, Galeno e Seneca rimangono ugualmente al centro delle preoccu-pazioni di Foucault, bisogna comunque aggiungere che, dinanzi agli allievi di Joly, la nozione di parrhesia appare situata in un contesto pi ampio, in cui vengono anticipate alcune delle questioni che saranno ulteriormente sviluppate da Foucault negli ultimi due Corsi al Collge de France. Da un lato, limportanza che la parrhesia assume agli occhi di Foucault appare pi

    1 M. Foucault, La Parrsia, a cura di H.-P. Fruchaud e J.-F. Bert, in Anabases, n. 16 (2012), pp. 157-188.

    2 M. Foucault, La Parrsia, in Discours et vrit. La problmatisation de la parrsia, a cura di H.-P. Fruchaud e D. Lorenzini, Vrin, Paris 2015 (in corso di pubblicazione).

    materiali foucaultiani, a. III, n. 5-6, gennaio-dicembre 2014, pp. 15-20.

  • esplicitamente collegata al suo interesse per lobbligo di dire il vero su stessi come tratto decisivo (sebbene non esclusivo) di una genealogia del sog-getto moderno, che Foucault aveva condotto attraverso le sue precedenti ricerche sia sulle pratiche mediche, psichiatriche e giuridiche, sia sullistitu-zione e sulla pratica della confessione in ambito religioso (fino ai suoi studi sullexomologesis e sullexagoreusis)3. Dallaltro lato, diversamente da quanto era avvenuto nel Corso del 1982, Foucault fa riferimento per la prima volta a un quadro storico pi complesso, nel quale la nozione di parrhesia risulta innanzitutto legata allesercizio di un diritto politico che si ritrova nelle de-mocrazie della Grecia antica (soprattutto in quella ateniese) cos come, pi tardi, presso le corti dei tiranni e sotto lImpero romano.

    Nel primo caso, quello della democrazia greca, soprattutto il richia-mo a quattro tragedie di Euripide (Ione, Ippolito, Le Fenicie, Le Baccanti) a fornire a Foucault loccasione non solo di individuare le prime occorrenze del termine parrhesia, ma anche di introdurre una nuova importante dif-ferenza: quella tra una parrhesia buona, legata alla manifestazione della verit nellesercizio politico del diritto di parola, e una parrhesia cattiva, derivante dallarbitrio di poter dire e fare qualunque cosa, padroneggiando le armi della retorica e adulando il popolo durante le assemblee (Foucault anticipa cos alcune delle analisi che svilupper pi ampiamente durante il Corso del 1983, Il governo di s e degli altri)4. Pi in particolare, questa lettura foucaultiana delle Baccanti fa emergere per la prima volta due aspetti fon-damentali del patto parresiastico, al quale erano stati riservati solo rapidi cenni nel Corso del 1982, dove esso era esclusivamente riferito allimpe-gno volto a creare una stretta corrispondenza tra il soggetto dellenun-ciazione e il soggetto del comportamento, corrispondenza che l rappre-sentava il cuore stesso della parrhesia5. A Grenoble, questo patto viene in primo luogo considerato come un essenziale elemento di raccordo tra la

    3 Per una visione dinsieme sui rapporti tra lobbligo di dire il vero su se stessi e la genealogia del soggetto moderno, cfr. M. Foucault, Sullorigine dellermeneutica del s, a cura di mf / materiali foucaultiani, Cronopio, Napoli 2012, pp. 31-42.

    4 In particolare, si veda la lezione del 2 febbraio 1983, in M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres. Cours au Collge de France. 1982-1983, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2008, pp. 157-169; trad. it. di M. Galzigna, Il governo di s e degli altri. Corso al Collge de France (1982-1983), Feltrinelli, Milano 2011, pp. 167-180.

    5 M. Foucault, Lhermneutique du sujet. Cours au Collge de France. 1981-1982, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2001, pp. 388-389; trad. it. di M. Bertani, Lermeneutica del soggetto. Corso al Collge de France (1981-1982), Feltrinelli, Milano 2003, pp. 363-364.

    16 Cremonesi, Irrera, Lorenzini, Tazzioli

  • parrhesia politica e la parrhesia etica (da cui Foucault era partito nel 1982); mentre, in secondo luogo, esso introduce nella struttura a due termini della parrhesia unirriducibile componente di rischio, che sar fondamentale per le analisi successive condotte da Foucault, specialmente quando, nel Corso del 1984, il coraggio giocher un ruolo chiave nello studio della parrhesia in quanto modalit di veridizione6.

    Tutto ci appare molto chiaramente anche nella seconda forma di parrhesia politica esaminata da Foucault in questa conferenza (e che nel Corso del 1982 era stata appena sfiorata7), quella della corte del tiranno, del monarca, del principe, ovvero la corte come forma politica che, dopo il tramonto delle poleis greche, si era affermata sempre pi in epoca elleni-stica e imperiale, e dove lo spazio di libert despressione inaugurato dal patto parresiastico con il sovrano era diventato la condizione rischiosa e imprescindibile dellesercizio della parrhesia da parte del filosofo. Questul-timo, spesso nelle vesti del consigliere, trova allora nellanima del sovrano lorizzonte di azione privilegiato per mettere in atto la propria parrhesia, come risulta dagli esempi mobilitati da Foucault e tratti da Platone (in par-ticolare quello relativo alla monarchia persiana di Ciro, menzionato nelle Leggi) e da Isocrate (A Nicocle).

    Non quindi un caso che, proprio nel momento in cui Foucault si sofferma sulla transizione dalla parrhesia come esercizio di un diritto poli-tico alla parrhesia come rapporto tra anime, venga ad essere anticipato un altro tema che trover un ampio e importante sviluppo sia ne Il governo di s e degli altri sia ne Il coraggio della verit, e pi precisamente nella lettu-ra che Foucault proporr del Gorgia di Platone: il tema della parrhesia (o dellesistenza stessa del parresiasta) come pietra di paragone per chi vuole esercitarsi nella cura di s allinterno di un rapporto con un altro8. In occa-sione della conferenza di Grenoble per lesistenza di Callicle ad essere

    6 Si vedano le lezioni dell1 febbraio e del 22 febbraio del 1984 (in particolare lanalisi del Lachete di Platone), in M. Foucault, Le courage de la vrit. Cours au Collge de France. 1984, a cura di F. Gros, Seuil/Gallimard, Paris 2009, pp. 3-31 e 109-144; trad. it. di M. Galzigna, Il coraggio della verit. Corso al Collge de France (1984), Feltrinelli, Milano 2011, pp. 13-43 e 120-155.

    7 Cfr. la lezione del 27 gennaio 1982, la stessa in cui appare per la prima volta il termine parrhesia, in M. Foucault, Lhermneutique du sujet, cit., pp. 137-139; trad. it. cit., pp. 127-129.

    8 Cfr. la lezione del 9 marzo 1983, in M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres, cit., pp. 328-345; trad. it. cit., pp. 322-356.

    Nota di lettura 17

  • reputata da Socrate come pietra di paragone, mentre nel Corso del 1984, per Foucault, sar piuttosto la vita di Socrate a svolgere questa funzione la funzione di basanos9.

    Anche la successiva trattazione della parrhesia etica presenta alcune novit e sviluppi un po diversi sia rispetto al Corso del 1982, sia rispetto ai due Corsi successivi. In particolare, a diventare ancora pi comples-so rispetto a Lermeneutica del soggetto, il sistema di contrapposizioni che permette di definire in negativo la parrhesia. Non tanto per quel che riguarda lopposizione tra parrhesia e retorica, quanto per quel che con-cerne lopposizione tra parrhesia e adulazione. Nel Corso del 1982, questa opposizione risultava comprensibile attraverso la relazione di complemen-tariet che ladulazione intratteneva con la collera del potente10; pochi mesi dopo, a Grenoble, questo schema si compone invece di quattro termini: se la parrhesia lopposto delladulazione, e se questultima non pu a sua volta non richiamare la collera, allora, allopposto della collera, e allo stes-so tempo come elemento complementare alla parrhesia, ecco che emerge la clemenza. Linclusione di questo termine probabilmente da mettere in relazione con il nuovo interesse foucaultiano per la forma politica del patto parresiastico. Lo spazio della parrhesia non infatti inaugurato sol-tanto dalla presa di parola del parresiasta (o di chi dice un verit rischiosa), ma anche dallatteggiamento di clemenza richiesto al potente. in questo rapporto che vengono stabiliti il costo enunciativo e la possibilit stes-sa dellatto parresiastico, come Foucault mostrer pi compiutamente nel Corso del 198311.

    Ma la conferenza di Grenoble presenta due ulteriori passaggi che col-piscono particolarmente, nella misura in cui essi sembrano dare luogo a uninterpretazione assai differente, se non addirittura opposta, rispetto a quella che verr fornita sugli stessi punti nel Corso del 1983 e in quello del 1984. Si tratta di passaggi che, proprio per questa ragione, rendono bene li-dea di quanto Foucault, davanti a Joly e ai suoi allievi, stesse esponendo i pri-mi risultati di una ricerca che si trovava ancora in fase di febbrile svolgimento.

    9 Cfr. la lezione del 22 febbraio 1984 (seconda ora), in M. Foucault, Le courage de la vrit, cit., pp. 131-144; trad. it. cit., pp. 142-155.

    10 Cfr. la lezione del 10 marzo 1982, in M. Foucault, Lhermneutique du sujet, cit., pp. 355-369; trad. it. cit., pp. 330-340.

    11 Si vedano principalmente le lezioni del 12 gennaio e del 2 febbraio 1983, in M. Foucault, Le gouvernement de soi et des autres, cit., pp. 41-70 e 137-168; trad. it. cit., pp. 48-78 e 147-180.

    18 Cremonesi, Irrera, Lorenzini, Tazzioli

  • Cos, da un lato, Foucault dichiara a Grenoble di voler studiare la parrhesia etica dal punto di vista di una pragmatica del discorso, quando invece, ne Il governo di s e degli altri, durante la lezione del 12 gennaio 1983, Foucault procede di fatto in direzione contraria, affermando esplicitamen-te che la parrhesia piuttosto una drammatica del discorso e che costitu-isce quasi linverso, limmagine speculare di quella che viene chiamata la pragmatica del discorso12.

    Dallaltro lato, nella conferenza di Grenoble si riscontra una vistosa assenza: Foucault non fa alcun riferimento alla parrhesia cinica. Si tratta di unassenza che potrebbe sorprendere, specie se si pensa alla centralit che, nellultimo Corso tenuto al Collge de France, assumer per Foucault la parrhesia dei cinici (e presso i cinici), ma tale assenza ci mostra in realt che, a Grenoble, Foucault aveva ancora una considerazione molto diversa dei cinici e della stessa parrhesia rispetto a quella che avr nel 1984. Se, infatti, nel suo ultimo Corso, la parrhesia in quanto modalit di veridizione si di-stingue dalle altre (la profezia, le retorica, la saggezza) proprio in virt di unintrinseca forza di interpellazione che si concretizza sempre in una ma-nifestazione della verit allinterno di un orizzonte pubblico, sotto forma di scandalo della verit13 (seguendo quindi uninspirazione pi prossima al cinismo che ad altre scuole filosofiche), nella conferenza di Grenoble linterpretazione foucaultiana della parrhesia appare molto diversa e forte-mente condizionata da un punto di vista stoico.

    Ne costituisce una riprova il fatto che, tratteggiando ancora una volta negativamente la nozione di parrhesia, Foucault arriva a distinguerla anche dalla violenza diatribica impiegata dal filosofo cinico, che si rivolge alle persone sulla pubblica via, in mezzo alla folla, o in teatro, per interpellarle con limpeto e la veemenza che sono proprie di questo stile di esistenza filosofica. In tale frangente, gli stessi effetti di verit che pi tardi, nel 1984, saranno ritenuti appartenere costitutivamente alla forma pi caratteristica di parrhesia, sono qui invece interpretati, secondo quanto suggerisce Se-neca, come effetti supplementari, poich eccedono e addirittura impe-discono quella trasmissione del pensiero (la dianoia) in grado di incidere efficacemente sullanima delle persone e che, sempre per Seneca, la vera

    12 Ivi, pp. 65-66; trad. it. cit., pp. 72-73.13 Cfr. la lezione del 29 febbraio 1984, in M. Foucault, Le courage de la vrit, cit.,

    pp. 161-176; trad. it. cit., pp. 171-187.

    Nota di lettura 19

  • parrhesia dovrebbe realizzare solo attraverso le forme pi tradizionali dello scambio epistolare o della conversazione.

    Per concludere, vale la pena osservare che tanto le radicali inversioni di rotta dei passaggi appena menzionati, quanto i punti di esitazione, le oscillazioni teoriche, e le suture concettuali pi impercettibili che possono essere colti attraverso una lettura attenta e minuziosa di questi testi, resti-tuiscono plasticamente il valore e limportanza della conferenza di Greno-ble per gli studi foucaultiani. Sarebbe infatti riduttivo affermare che questo testo sia solo un ritaglio di materiali e analisi di pi ampio respiro proposte altrove nei Corsi al Collge de France. E questo proprio perch, attra-verso gli scarti talvolta minimi che possono essere reperiti tra le pieghe di una conferenza come quella di Grenoble, appaiono prospettive teoriche o politiche inedite su analisi svolte in altra sede, prospettive che spesso non potevano essere esplicitate n nei libri, n durante linsegnamento al Collge de France, n tanto meno negli scambi rapidi e concettualmente rarefatti di unintervista.

    La forma testuale della conferenza (di cui quella di Grenoble qui pre-sentata costituisce solo un esempio) diviene allora un sismografo prezioso in grado di consegnarci nella sua complessit la vitalit del pensiero di Foucault: un pensiero che non ha mai cessato di rimettere in discussione gli assunti sui quali si era fino a quel momento basato, di esaminare nuove fonti in grado di condurre il proprio autore a formulare ipotesi originali o a ritagliare orizzonti di problematizzazione ancora inesplorati. Trovare il modo di approcciare questo tipo di materiali senza rifugiarsi nello sguardo semplificatore della sintesi (tutto stato gi detto, e meglio, altrove) e senza consumarsi nei ciechi meandri di unesegesi solamente scolastica, costituisce oggi, quando limpresa editoriale della pubblicazione dei Corsi al Collge de France volge al termine, una delle scommesse pi importanti per gli studiosi di Michel Foucault.

    Londra, Parigi, Pisa, Tunisi marzo 2015Laura Cremonesi, Orazio Irrera,

    Daniele Lorenzini, Martina Tazzioli

    20 Cremonesi, Irrera, Lorenzini, Tazzioli

  • La parrhesia 1Michel Foucault

    Ti ringrazio molto per avermi invitato2. Come sapete, vengo qui per sol-lecitare. Quel che voglio dire che, fino a quattro o cinque anni fa, la mia specializzazione, il mio ambito di lavoro non riguardavano affatto la filo-sofia antica. stato in seguito a un certo numero di zigzag, di deviazioni o di risalite nel tempo che sono giunto a dirmi che essa poteva essere comunque molto interessante. Quindi, vengo qui con un lavoro ancora in corso. Una volta, mentre gli stavo ponendo alcune domande, mentre gli spiegavo i miei problemi, Henri Joly stato cos gentile da dirmi che voi avreste accettato di discuterne con me, pur nello stato di imperfezione in cui al momento si trova il mio lavoro. Si tratta di materiali, di riferimenti a testi, di indicazioni; la presentazione che sto per farvi quindi lacunosa e spero che sarete cos gentili da gridare quando quel che dico superato, da interrompermi quando non capite o perch c qualcosa che non funziona e da dirmi, alla fine, in ogni caso, cosa ne pensate.

    Ecco quindi come sono giunto a pormi questo genere di doman-de. Ci che avevo studiato gi da tempo, era la questione dellobbligo di dir-vero: che cos questa struttura etica interna al dir-vero, che cos questo legame, al di fuori delle esigenze che si riferiscono alla struttura del discorso o al riferimento del discorso, che fa s che qualcuno sia ob-bligato, in un dato momento, a dire il vero? Ho provato a porre, o meglio, ho incontrato questa questione dellobbligo di dir-vero, del fondamento etico del dir-vero, a proposito del dir-vero su se stessi. Credo in effetti di averla incontrata pi volte. Innanzitutto nella pratica medica e psichiatri-ca, perch a partire da un certo momento peraltro molto preciso e ben localizzabile, allinizio del XIX secolo vediamo che lobbligo di dir-vero su se stessi si inserisce allinterno del gran rituale della psichiatria. Chiara-mente, incontriamo questo problema del dire il vero su se stessi nella pra-

    1 Conferenza pronunciata da Michel Foucault allUniversit di Grenoble il 18 maggio 1982. Titolo originale: La Parrsia, Librairie Philosophique J. Vrin.

    2 Foucault si rivolge qui a Henri Joly, che ha appena detto qualche parola di presentazione.

    materiali foucaultiani, a. III, n. 5-6, gennaio-dicembre 2014, pp. 21-52.

  • tica giudiziaria, e in modo pi specifico nella pratica penale. Infine, lho incontrato per la terza volta a proposito di quelli che potremmo chiamare i problemi della sessualit, e pi esattamente della concupiscenza e della carne, allinterno del cristianesimo.

    stato quindi guardando un po pi da vicino la questione dellobbli-go di dir-vero su se stessi che la storia del cristianesimo la storia del cri-stianesimo primitivo mi parsa curiosa e interessante. Lo sapete meglio di me, la forma penitenziale che conosciamo, che costituisce il sacramento della penitenza, o meglio, la forma di confessione che legata al sacramen-to della penitenza, di istituzione relativamente recente, risale allincirca al XII secolo, ed stata messa a punto, definita, strutturata a partire da une-voluzione lenta e complessa. Se si risale indietro nel tempo, ci si accorge che, circa nel IV-V secolo, il sacramento della penitenza non esisteva, ma vi erano forme distinte di obbligo di dir-vero su se stessi, e pi esattamente due forme distinte: una era lobbligo di manifestare la verit su se stessi, e laltra era lobbligo di dir-vero su se stessi, in due contesti, in due forme e con due serie di effetti del tutto differenti.

    Lobbligo di manifestare la verit su se stessi fa parte del rituale del-la penitenza: lexomologesis, una specie di drammatizzazione di s come peccatore, che si fa attraverso le vesti, i digiuni, le prove, lesclusione dalla comunit, latteggiamento di supplice alla porta della chiesa, etc.; dramma-tizzazione di s, espressione drammatica di s come peccatore, con cui ci si riconosce come peccatore, ma senza passare o in ogni caso senza passa-re necessariamente, primariamente e fondamentalmente dal linguaggio. Questa lexomologesis.

    Guardando le istituzioni e le pratiche della spiritualit monastica, si vede invece unaltra pratica che del tutto differente dallexomologesis pe-nitenziale. Questaltra pratica imposta ad ogni novizio, ad ogni monaco, finch non giunge a un grado sufficiente di santit, se non fino alla fine della sua vita. Questa pratica non consiste nel porsi, nel rappresentarsi nello stato drammatico del peccatore dopotutto il monaco gi posto allinterno del rituale penitenziale. Egli deve invece dire, in linea di prin-cipio, a qualcuno, al suo direttore, tutto quello che accade in lui, tutti i movimenti del suo pensiero, tutti i movimenti del suo desiderio o della sua concupiscenza: quello che nella spiritualit greca, in Evagro Pontico, viene chiamato logismoi, che in latino viene del tutto naturalmente tradotto con

    22 Michel Foucault

  • cogitationes, di cui Cassiano3 ricorda il senso etimologico, e cio quello che lui chiama co-agitationes, il movimento, lagitazione dello spirito. questa agitazione dello spirito che deve essere restituita in un discorso che, in li-nea di principio, continuo e deve essere continuamente tenuto al proprio direttore. quello che in greco viene chiamato exagoreusis. Abbiamo quindi un obbligo molto singolare, che non troveremo pi in seguito, perch, do-potutto, la confessione dei peccati non lobbligo di dire tutto: la confes-sione dei peccati lobbligo di dire le colpe commesse, non lobbligo di dire tutto, di consegnare ad un altro il proprio pensiero. Lobbligo di dire tutto proprio una caratteristica singolare della spiritualit cristiana del IV-V secolo. Lo si ritrover per in seguito e, nonostante tutto, avr una lunga storia parallela e un po sotterranea rispetto al gran rituale della pe-nitenza: lo si ritrover chiaramente nella direzione di coscienza, per come si sviluppa e fiorisce nel XVI e XVII secolo.

    questa storia del dire tutto, lobbligo di dire tutto del movimento dei propri pensieri che ha attratto la mia attenzione e, di questo obbligo, ho provato a fare la storia, in ogni caso a vedere da dove provenisse. Na-turalmente, sono stato condotto a considerare la filosofia per cos dire greco-romana, [per] sapere se fosse possibile ritrovare un radicamento in questa pratica dellobbligo di dire tutto. Ho quindi esaminato questa fi-losofia, lho considerata come pratica, cio non proprio la filosofia come direzione di coscienza, perch non credo che questa nozione si applichi in modo esatto alla forma di filosofia cui sto pensando. Mi sembra che sia possibile reperire le forme e i concetti di questa pratica filosofica e comprenderne lo sviluppo se la si considera come linsieme dei princpi teorici, dei precetti pratici e delle procedure tecniche con cui si portati, chiamati ad assicurare lepimeleia heautou, la cura di se stessi; la filosofia, dunque, come fondamento teorico, regola pratica, strumentazione tecnica della cura di s. da questo punto di vista che prender in considerazione la filosofia dellepoca ellenistica, e soprattutto dellepoca romana dei due primi secoli dellimpero. Questo quindi il quadro in cui ho cercato di esaminare il problema dellobbligo di dire tutto.

    Certo, incontriamo qui una nozione importante, quella di parrhesia, nozione che etimologicamente significa in effetti dire tutto. Ora, la pri-

    3 Cassiano, Premire Confrence de lAbb Serenus. De la mobilit de lme et des esprits du mal, IV, in Confrences, t. I, ditions du Cerf, Paris 1955; trad. it. Conferenze spirituali, Edizioni Paoline, Milano 1965.

    La parrhesia 23

  • ma cosa che mi ha colpito, che la parola parrhesia, che troviamo nella spiritualit cristiana, con il senso di necessit, per il discepolo, di aprire in-teramente il cuore al suo direttore, per mostrargli il movimento dei propri pensieri questa nozione di parrhesia la ritrovate nella filosofia greco-ro-mana di epoca imperiale, con una differenza capitale: la parrhesia non un obbligo imposto al discepolo, ma invece un obbligo imposto al maestro. Del resto, in questa filosofia, nel senso in cui lho definita prima, caratte-ristico che si sia molto pi preoccupati di imporre al discepolo il silenzio. La regolazione degli atteggiamenti di silenzio, a partire dal pitagorismo, ma anche pi tardi, questa prescrizione degli atteggiamenti di silenzio essenziale; la ritrovate nel pitagorismo: ricordatevi del testo di Plutarco, il De audiendo4 e, in tuttaltro contesto, in Filone Alessandrino, La vita con-templativa5, [di] tutta la gestualit del silenzio imposta ai discepoli, perch il discepolo essenzialmente colui che tace, mentre, nel cristianesimo, nella spiritualit cristiana, il discepolo sar invece colui che deve parlare.

    Invece la parrhesia, lobbligo di dire tutto, appare come un precetto che si applica al maestro, alla guida, al direttore, a questo altro che neces-sario nella cura di s; in effetti, non si pu aver cura di s, non ci si pu occupare di se stessi, non si pu epimeleisthai heautou, che alla condizione di esser aiutati da qualcuno, ed su questo qualcuno, su questo altro nella cura di s, che pesa lobbligo di parrhesia.

    In fondo, quello che vorrei studiare non questa sera, ma nel quadro in cui mi sono posto la questione un po questo: questa specie di inver-sione di onere, inversione che fa s che la parrhesia, cio un certo obbligo di dire, nella filosofia antica pesasse sul maestro, mentre, nella spiritualit cristiana, peser sul discepolo, su colui che diretto, con tutti i cambia-menti di forma e di contenuto che, evidentemente, sono legati a questa inversione di onere.

    Ecco quindi il problema. Per prima cosa, vorrei vedere con voi alcuni testi, precedenti il periodo che ho scelto, cio i due primi secoli dellimpe-ro; prender in considerazione alcuni testi che vanno, a grandi linee, dal fa-moso trattato di Filodemo6, che data dellinizio dellimpero, fino a Galeno, cio alla fine degli Antonini. Questo il periodo che ho scelto. Vorrei per

    4 Plutarco, Comment couter, in uvres morales, t. I, 2, Les Belles Lettres, Paris 1989; trad. it. Larte di ascoltare, in Moralia, II, Biblioteca dellImmagine, Pordenone 1990.

    5 Filone Alessandrino, De vita contemplativa, ditions du Cerf, Paris 1963; trad. it. La vita contemplativa, Il Melangolo, Genova 1992.

    6 Si tratta del Peri parrhesia, edito da A. Olivieri, Teubner, Leipzig 1914.

    24 Michel Foucault

  • vedere comunque con voi altri testi precedenti, dirvi cosa mi suggeriscono e chiedervi cosa ne pensate.

    Sulla parola parrhesia abbiamo un celebre passaggio di Polibio7, in cui egli parla degli Achei e dice che il regime degli Achei era caratterizzato da tre cose: la demokratia, lisegoria e la parrhesia. La democrazia, cio la parte-cipazione di tutti, o meglio di tutti coloro che costituiscono il demos, alle-sercizio del potere; lisegoria, cio una certa uguaglianza nella distribuzione delle cariche; e la parrhesia, la possibilit, a quanto pare per tutti, di accedere alla parola, il diritto alla parola per tutti, dove la parola , ovviamente, quella determinante nel campo politico, la parola in quanto atto di affer-mazione di se stessi e della propria opinione allinterno del campo politi-co. Questo testo che associa parrhesia, demokratia e isegoria evidentemente importante. Credo per che si possa risalire ancora oltre questo testo di Polibio e individuare un certo numero di altri usi molto interessanti, in epoca classica, in particolare in Euripide e Platone.

    Euripide fa uso della parola parrhesia in quattro passaggi. Il primo pas-saggio nello Ione, versi 669-675. Il testo dice:

    Se non trover la donna che mi ha dato alla luce, la mia non sar vita. Posso esprimerti un voto? La vorrei di Atene, [questa donna che mi ha dato alla luce e che cerco,] per ricevere da lei il diritto di parlare da uomo libero (hos moi genetai metrothen parrhesian) [affinch la parrhesia mi venga da mia madre]. In una citt di purissima schiatta, lo straniero ha un bel diventare cittadino, la sua lingua resta quella di uno schiavo, senza libert di parola [non ha la parrhesia: ouk echei parrhesian]8.

    Credo che questo testo sia interessante in primo luogo perch si vede che la parrhesia un diritto, diritto che legato alla cittadinanza. Chi non cittadino, in una citt in cui la razza rimasta pura, non pu parlare; solo il cittadino abilitato a farlo, e questo diritto di parlare, lo si ha dalla nascita. [In secondo luogo,] si tratta di ottenere questo diritto di parlare in linea materna, un diritto che viene dalla madre. In ogni caso, la nascita, lappartenenza alla cittadinanza che, sola, in una citt ben organizzata, pu permettere di prendere la parola. Innanzitutto la parrhesia.

    7 Polibio, Histoires, II, 38, 6, Les Belles Lettres, Paris 1970; trad. it. Storie. Libri I-II, Rizzoli, Milano 2001.

    8 Euripide, Ion, 669-675, in Tragdies, t. III, Les Belles Lettres, Paris 2002, p. 211; trad. it. Ione, Garzanti, Milano 2003, p. 185.

    La parrhesia 25

  • Il secondo passaggio nellIppolito, versi 421 e seguenti. un testo molto interessante perch riprende il tema che abbiamo appena trovato nello Ione, ma con una leggera modulazione che significativa. Si trova nella confessione di Fedra, quando ella confessa la propria passione per Ippolito, ed evoca tutte quelle donne che, segretamente, disonorano il tala-mo dei mariti e, di conseguenza, disonorano anche i figli. Fedra dice:

    Vivano felici nella splendida Atene, con il parlar franco delluomo libero [Fe-dra sta parlando dei figli che ha, che avrebbe]; la fama della madre li rischiari. Ch quando la coscienza duna colpa del padre o della madre interviene, delluomo anche pi ardito fa uno schiavo9.

    Quello che si vede, che la parrhesia, che il diritto del cittadino, si tro-va intaccata dalle colpe, anche segrete, commesse dal padre o dalla madre. Quando il padre o la madre hanno commesso colpe, i figli sono in situa-zione di schiavi e, trovandosi in questa situazione, non hanno la parrhesia. La colpa morale fa decadere la parrhesia.

    Il terzo passaggio nelle Fenicie, [versi] 387 e seguenti: si tratta di un dialogo tra Giocasta e Polinice. In questo dialogo si parla dellesilio: Gio-casta interroga Polinice sui dolori e le sofferenze che lesilio provoca e dice, anzi, chiede:

    Giocasta: Che cosa vuol dire essere privi della patria? Un male cos grande?Polinice: Grandissimo, pi a provarlo che a dirlo.Giocasta: In che cosa consiste, cosa pesa allesule?Polinice: Ouk echei parrhesian [Non ha la parrhesia]. una grandissima

    menomazione.Giocasta: tipico degli schiavi [doulos]: tacere quel che si pensa [me legein ha

    tis phronei].Polinice: Bisogna sopportare le prevaricazioni di chi ha il potere.Giocasta: Eh s, doloroso anche far lo stupido con gli stupidi10.

    Questo testo interessante perch, come vedete, anche qui il diritto alla parola legato al fatto di essere cittadini nella propria citt. Quando si

    9 Euripide, Hippolyte, 421-425, in Tragdies, t. II, Les Belles Lettres, Paris 1960, p. 45; trad. it. Ippolito, in Le tragedie, Einaudi, Torino 2002, p. 129 [traduzione italiana modificata].

    10 Euripide, Les Phniciennes, 387-394, in Tragdies, t. V, Les Belles Lettres, Paris 1961, p. 170; trad. it. Le fenicie, in Tragedie, vol. III, UTET, Torino 2001, pp. 330-331.

    26 Michel Foucault

  • abita nella propria citt, si pu parlare; quando non si nella propria citt, non si ha la parrhesia. Lo schiavo non ha la parrhesia, perch non ha la citta-dinanza. Ma chi non ha la parrhesia, si trova al tempo stesso sottoposto alla stupidit, alla follia del padrone: vedete infatti apparire questidea che la parrhesia non solo un diritto, nel suo fondamento e nella sua origine, ma ha la funzione di poter dire qualcosa come la ragione e la verit di fronte a coloro che hanno torto, che non detengono la verit, e il cui spirito quel-lo della stupidit o della follia. La parrhesia dice il vero: quindi il diritto di dire il vero di fronte a colui che folle, a colui che non possiede la verit. E [non esiste] dolore pi grande che trovarsi in situazione di schiavo, sot-toposto alla follia degli altri, quando invece si potrebbe dir loro la verit, ma non lo si pu fare.

    Infine, quarto passaggio: nelle Baccanti, [versi] 668 e seguenti. un testo in cui il messaggero arriva con la notizia degli eccessi delle baccanti, ma ha paura di darla a Penteo, ha paura di parlare e dice:

    MessaGGero: Voglio per sapere se posso riferirti liberamente ci che accade lass o se devo misurare le parole.Mi spaventano, signore, limpetuosit del tuo cuore,lirruenza dellira e la superbia della regalit.

    Penteo: Parla, io non ti far nulla di male. Non bisogna adirarsi con le persone oneste11.

    Qui abbiamo una situazione completamente diversa: non un citta-dino che afferma o rivendica il proprio diritto di parlare, perch si trova sulla propria terra. Al contrario, il messaggero, il servitore che arriva e che ha una cattiva notizia da annunciare; teme di autorizzarsi a dare questa cattiva notizia e chiede in qualche modo di beneficiare della parrhesia, cio di parlare liberamente. E Penteo risponde: S, puoi parlare liberamente.

    Come vedete, ci troviamo in una situazione inversa rispetto a quella che abbiamo visto prima. C un servo che ha qualcosa da dire, che ha una cattiva notizia, notizia che far male a chi la ricever: potr beneficiare del diritto di parlare? Penteo, da padrone vigilante, che sa qual il proprio interesse e anche qual il proprio dovere, risponde: Certo, hai il diritto di parlare, non ti punir per la cattiva notizia che mi hai dato, me la prender

    11 Euripide, Les Bacchantes, 668-673, in Tragdies, t. VI-2, Les Belles Lettres, Paris 2002, p. 77; trad. it. Le Baccanti, Mondadori, Milano 1999, p. 49.

    La parrhesia 27

  • solo in seguito con le baccanti, e promette un castigo per loro. Linteresse di questo testo , credo, doppio. Da una parte, esso pone il problema, che si trova cos spesso anche in altre tragedie, di cosa fare del messaggero che porta una cattiva notizia: chi porta una cattiva notizia deve essere puni-to? Il diritto di parrhesia accordato al servo gli promette limpunit per la cattiva notizia che porta. E, al tempo stesso, vedete apparire qui qualcosa che avr, credo, una grande importanza: quello che potremmo chiamare il tema dellimpegno, del patto parresiastico: colui che il pi forte e che il padrone apre uno spazio di libert, uno spazio di diritto di parola, per colui che non il padrone e gli chiede di parlare, di dire la verit, una verit che pu ferirlo, ma per la quale il padrone si impegna a non punire colui che la dice, che la pronuncia, e a lasciarlo libero, cio a dissociare ci che enunciato da colui che lo enuncia.

    Ecco quattro testi in Euripide che mi sembrano porre molto chia-ramente un certo numero di questioni sulla parrhesia come esercizio del diritto politico. Anche in Platone si trovano un certo numero di passag-gi, ma ora prender in considerazione solo quelli che mi sembrano pi significativi.

    Innanzitutto, nella Repubblica, libro VIII, 557 b, dove si descrive la polis democratica, questa polis variopinta, diversificata, etc., in cui ognuno pu scegliere la forma di vita che vuole (idia kataskeue tou hautou biou)12, ognuno pu costituirsi il proprio modo di vita. in questo che consiste la libert: nella possibilit di fare ci che si vuole e di dire ci che si vuole. La parrhe-sia appare quindi come uno dei tratti di questa polis democratica.

    Un altro testo, pi interessante perch avr una fortuna storica molto pi grande, quello che si trova nel III libro delle Leggi, 694 a e seguenti13. In questo testo, si tratta del regime monarchico, e pi esattamente del re-gime di Ciro, della buona monarchia, della monarchia moderata, militare e moderata. Nellelogio che [Platone] fa del regime di Ciro, ci sono due cose da notare. Innanzitutto, il fatto che i soldati, nel regno di Ciro, nella monar-chia di Ciro, partecipavano in una certa misura al comando, potevano di-scutere con i capi, cosa che conferiva loro ardire nella lotta e anche amicizia per i comandanti. Daltra parte, il re stesso autorizzava, intorno a s, coloro

    12 Platone, La Rpublique, VIII, 557 b, in uvres compltes, t. VII-2, Les Belles Lettres, Paris 1964; trad. it. La Repubblica, vol. II, Rizzoli, Milano 1992.

    13 Platone, Les Lois, III, 694 a-b, in uvres compltes, t. XI-1, Les Belles Lettres, Paris 1975; trad. it. Le Leggi, Rizzoli, Milano 2005.

    28 Michel Foucault

  • che erano competenti ad avere il parlar franco, la parrhesia. Il re dava loro questo diritto, che gli assicurava effettivi successi, la prosperit, e che faceva s che questa monarchia fosse, al tempo stesso, caratterizzata dalleleutheria, la libert, dalla philia, lamicizia, e infine dalla koinonia, la comunit.

    A questo proposito, vorrei citare un brano del tutto simile che si trova nel discorso di Isocrate A Nicocle, in cui, come sapete, c una teoria, una rappresentazione del buon potere autocratico monarchico. Nel discorso A Nicocle, Isocrate dice questo:

    Considera fedeli non coloro che lodano qualunque cosa tu dica o faccia, ma chi biasima i tuoi errori. Concedi parrhesia agli uomini assennati [tois eyphronousin], per poterne avere il consiglio nelle questioni su cui sei incerto. Distingui gli abili adulatori dai servitori devoti, perch gli intriganti non prevalgano sugli onesti. Ascolta i discorsi che gli uomini fanno gli uni sugli altri, e cerca di riconoscere a un tempo il carattere di quelli che parlano e di quelli intorno a cui parlano14.

    Lasciamo ora da parte la fine del testo, forse ci torneremo pi tardi. Vedete che ci che caratterizza, che assicura la qualit di un buon governo monarchico, il fatto che il monarca lasci intorno a s uno spazio di liber-t, in cui gli altri potranno parlare e dargli consigli saggi.

    A questi primi testi di Platone, vorrei aggiungere un passaggio delle Leggi, libro VIII, 835 c, in cui, come sapete, Platone spiega come devono essere regolati e retti nella polis i canti, la ginnastica, la musica; da qui, passa poi alla padronanza delle passioni e allespulsione delle cattive passioni. Egli inizia questo nuovo sviluppo15 evocando la possibilit, la necessit di qualcuno che sarebbe come una sorta di maestro di morale. Come do-vrebbe essere questo maestro di morale? Dovrebbe essere qualcuno che, attraverso la parrhesia, prevarrebbe su tutti, ordinerebbe a ognuno ci che conforme alla politeia, alla costituzione della polis. Cos facendo, non fa-rebbe altro che ascoltare la ragione, la sola ragione, e sarebbe in qualche modo, nella citt, lunico ad ascoltare la sola ragione. Essere lunico ad ascoltare la sola ragione: questo che caratterizza colui che potremmo chiamare il parresiasta morale della citt.

    Vorrei ora aggiungere un altro testo di Platone, appartenente a un pe-riodo precedente, ma che , credo, anchesso estremamente interessante,

    14 Isocrate, Nicocls, 28, in Discours, t. II, Les Belles Lettres, Paris 1956, p. 105; trad. it. A Nicocle, in Opere, UTET, Torino 1991, p. 117.

    15 Platone, Le Leggi, cit., VIII, 835 c.

    La parrhesia 29

  • proprio per condurci al problema che vorrei evocare oggi. un brano del Gorgia, e questa volta vorrei leggerlo. Il passaggio si situa nel momento in cui Callicle ha appena fatto il suo primo e clamoroso ingresso, e in cui, dopo aver ripreso le insufficienze del discorso di Gorgia e di Polo, dice: io parler fino in fondo, non mi far ostacolare da tutta la timidezza di coloro che hanno parlato prima di me, e spiega come e perch possi-bile commettere unazione ingiusta in modo ragionevole. Dopo questo sviluppo, Socrate interviene e anche qui parler di parrhesia, e lo far in un modo interessante:

    socrate: Senti, Callicle: immagina che io avessi unanima doro, e che trovassi una di quelle pietre di paragone con cui saggiano loro, la migliore di tutte; e immagina che io toccassi la mia anima con la pietra e che avessi la conferma del suo valore, non credi che sarei contento di sapere che tutto a posto e che non c bisogno di altre prove?

    callicle: Perch mi fai questa domanda, Socrate?socrate: Incontrando te come se avessi trovato questa pietra straordinaria

    [la pietra che permettere di mettere alla prova la sua anima]: ecco perch.callicle: In che senso?socrate: Se tu ti troverai daccordo con quello che pensa la mia anima, io

    sar automaticamente certo che sia vero. Secondo me, uno che vuole dav-vero verificare se unanima vive bene o no, deve avere tre doti: episteme, eunoia, parrhesia; e tu ce le hai tutte. Ne incontro tanti che non sono capaci di mettermi alla prova, perch non sanno le stesse cose che sai tu. Ce ne sono poi altri che sono s sapienti []16.

    La parrhesia appare dunque qui in un senso molto diverso da quello di prima, sia quando era un diritto dei cittadini, sia quando era la necessit o il criterio di un governo monarchico ragionevole, che si lasciava dire la verit. Ora, si tratta di una parrhesia che servir da prova e da pietra di pa-ragone per lanima. Quando unanima vuole avere una pietra di paragone, se vuole cio sapere e il testo usa, a un dato momento (la traduzione non lo rende bene, ma poco importa) la parola importante di therapeuein se lanima, cio, cerca nella sua volont di curarsi, di prendersi cura di s, se vuole trovare una pietra di paragone che le permetta di reperire a che pun-to della propria salute, cio della verit delle proprie opinioni, ha bisogno

    16 Platone, Gorgias, 486 d-487 a, in uvres compltes, t. III-2, Les Belles Lettres, Paris 1972, pp. 166-167; trad. it. Gorgia, Rizzoli, Milano 1994, pp. 177-178.

    30 Michel Foucault

  • di qualcuno, di unaltra anima che si caratterizzer per lepisteme, il sapere, per leunoia, la benevolenza, e per la parrhesia. Alcune anime mancano di scienza, e non possono servire da buon criterio; altre mancano di amicizia, non hanno leunoia; quanto a Polo e Gorgia, che hanno appena parlato, Socrate dice, in effetti, che mancano di parrhesia, che sono stati timidi e hanno avuto vergogna di andare fino in fondo a ci che pensavano, cio che ragionevole commettere azioni ingiuste. Callicle, invece, dice Socra-te, evidentemente in modo ironico ma per il momento lasciamo da parte lironia sar la buona pietra di paragone dellanima in buona salute: ha lepisteme, o almeno pretende di averla, pretende di avere lamicizia e poi, appunto, non manca di questa parrhesia, non frenato da quello scrupolo, da quel pudore che caratterizzava Polo e Gorgia.

    Mi sembra che qui abbiamo la prima formulazione nel pensiero greco della parrhesia come elemento costitutivo e indispensabile del rapporto tra anime. Quando unanima vuole prendersi cura di s, quando vuole assicu-rare questa epimeleia heautou che fondamentale, quando vuole therapeuesthai se stessa, curarsi, ha bisogno di unaltra anima, e questaltra anima deve avere la parrhesia.

    Questo il contesto in cui vorrei ricollocare non tanto lanalisi, quanto le questioni da porre questa sera. In ogni caso, mi sembra che, se si volesse fare lanalisi della parrhesia, non certo provando ad abbracciare tutta la nozione nel suo campo generale, nei suoi significati generali [che sarebbe possibile farlo]. In fondo, credo che la nozione di parrhesia sia sempre lega-ta a una pratica. Se prendete i testi cui mi interesso I-II secolo vedete in effetti la nozione di parrhesia in vari contesti pratici molto diversi.

    In primo luogo, la trovate nel contesto della retorica Quintiliano, li-bro IX, capitolo 217 capitolo che dedicato alle figure di pensiero, senten-tiarum figurae, cio a tutto ci che fa s che il pensiero, quando si esprime, si allontani dal simplici modo indicandi. Quindi, in questo capitolo sulle figure di pensiero, ecco che Quintiliano fa posto a una figura del pensiero che una non-figura, che la figura zero, quella che fa crescere lemozione delludi-tore, quella che agisce, di conseguenza, sulluditore, senza essere adsimulata, senza essere arte composita, senza quindi essere n finta, n simulata, n com-posta dallarte e dalla tecnica; loratio libera, cio lesclamazione e lespres-sione diretta del pensiero senza alcuna figura particolare; questa oratio libera

    17 Quintiliano, Institution oratoire, X, 2, Les Belles Lettres, Paris 1978; trad. it. Istituzione oratoria, Zanichelli, Bologna 1972.

    La parrhesia 31

  • che Quintiliano afferma fosse chiamata dai Greci parrhesia e da Cornificio licentia. Ecco un primo contesto in cui trovate la parola parrhesia.

    Secondo contesto, molto interessante, molto ampio e che sarebbe da inventariare non ho fatto questo inventario, prover forse a farlo pi tardi: si tratta delluso della parola parrhesia nel pensiero politico. Qui bi-sognerebbe ritracciare la linea che abbiamo visto delinearsi con Platone, quando descriveva il regno di Ciro, o nel testo di Isocrate rivolto a Nico-cle, il discorso A Nicocle. Qui, la parrhesia appariva evidentemente come nozione molto importante, dal momento in cui si ha a che fare con una struttura politica in cui il principato, la monarchia e lautocrazia sono di-venuti, in effetti, un fatto politico. In tutti questi testi storici e politici, la parrhesia non pi legata, chiaramente, allisegoria o alla demokratia, ma in-vece legata allesercizio di un potere personale e a una struttura fortemente non egalitaria. Cos intesa, la parrhesia non ha affatto lo status di un diritto che si eserciterebbe per nascita; essa una libert, una libert accordata e concessa dal sovrano o dal ricco, dal potente. una libert che egli deve accordare per poter essere un buon sovrano, per essere ricco e potente come si deve. La parrhesia il criterio del buon sovrano, il criterio del regno illustre. Allora, a questo proposito, si potrebbero riprendere tutti i ritratti dei vari imperatori fatti dagli storici dellepoca. Credo che la pre-senza o lassenza di parrhesia sia sicuramente uno dei grandi tratti distintivi del buono o del cattivo sovrano: daltra parte, in questa posta in gioco che ruota intorno alla parrhesia presente tutto il problema dei rapporti tra limperatore e il senato.

    La parrhesia quindi una libert, ma una libert che il sovrano deve dare. Questa libert che dunque data dal principe ad altri, non deve es-sere compresa come una sorta di delega di potere, e non nemmeno una partecipazione al potere. A cosa si rivolge questa libert che il principe d al parresiasta, libert di cui egli ha tanto bisogno per governare? Qual il suo ambito di applicazione? Non la politica, non la gestione della repubblica, non una parte del proprio potere che viene ceduto ad altri. Egli d ad altri la libert di esercitare, se possono e se ne sono capaci, un potere sulla sua anima, sullanima del sovrano. La parrhesia politica ha per punto di applicazione non lambito dellazione politica, ma lanima del principe. In tale misura, vedete che questa parrhesia politica comunque molto vicina a quella che stiamo per studiare: la parrhesia nella direzione di coscienza. Vedete anche che questa parrhesia, intesa come libert di dire per

    32 Michel Foucault

  • agire sullanima del principe, legata a un certo tipo di struttura politica, ed anche legata alla forma politica della corte. Credo che ci sarebbe tutta una lunga storia della parrhesia []18, nei sistemi politici, in tutte le forme di sistemi politici che hanno comportato la corte. Fino al XVIII secolo, nel pensiero politico europeo, il problema della parrhesia, della libert di parlare per il consigliere del principe, un problema politico. Prima che si ponga il problema della libert di espressione per tutti, il problema del diritto al parlar franco allinterno dello spazio della corte stato uno dei principali problemi politici. Ci si potrebbe quindi divertire a vedere quale sia stato, rispetto alla parrhesia, il ritratto del buon consigliere; il favorito, come personaggio negativo: appunto ladulatore e non il parresiasta; il predicatore di corte: colui che, protetto dal suo status di sacerdote e dal luogo da cui parla, il pulpito, tenuto alla parrhesia. Questi sono i limiti della parrhesia. Credo che sarebbe possibile fare tutta unanalisi storico-culturale della parrhesia nel suo rapporto con la struttura della corte.

    Ad ogni modo, non sono questi i problemi che vorrei studiare oggi: oggi vorrei prendere in considerazione un altro contesto pratico, che non quello della retorica, n quello della politica, bens quello della direzione di coscienza. Vorrei quindi segnalare due o tre problemi di metodo. In primo luogo, la questione della parrhesia nella direzione di coscienza stata evocata in un certo numero di studi, ma non credo che abbia mai dato luogo a unanalisi diretta e chiara. Il testo che mi sembra pi ricco di infor-mazioni un articolo di Gigante, che sicuramente conoscerete, pubblicato negli atti del congresso Guillaume Bud del 196819: appunto una pre-sentazione del testo di Filodemo che si chiama Peri parrhesias20. Attraverso il testo di Gigante, che fa riferimento a Philippson e ad altri autori prece-denti, si vede allincirca quale sia la posta in gioco del dibattito: si tratta di sapere se la parrhesia deve essere considerata come una virt, se deve essere considerata come una tecnica, o se non si debba invece considerarla come un modo di vita. Per dire le cose in modo molto schematico, mi sembra []21 [difficile] che sia un modo di vita, un modo di vita come potrebbe

    18 Interruzione della registrazione.19 M. Gigante, Philodme. Sur la libert de parole, in Association Guillaume Bud, Actes

    du VIII Congrs, Paris, 5-10 avril 1968, Les Belles Lettres, Paris 1969, pp. 196-2220 Filodemo, Peri parrhesias, cit.21 Passaggio in parte non udibile. Si sente solo: Infine, quello che vorrei [] forse

    un po troppo ampio.

    La parrhesia 33

  • essere, ad esempio, il modo di vita filosofico. Sicuramente il modo di vita filosofico implica assolutamente la parrhesia: non pu esserci filosofo che non sia un parresiasta; il fatto di essere parresiasta, per, non coincide esattamente con il modo di vita filosofico. Credo o in ogni caso quel che vorrei suggerire che si dovrebbe considerare la parrhesia dal punto di vista di quella che viene ora chiamata una pragmatica del discorso, che si dovrebbe cio considerare la parrhesia come linsieme dei caratteri che fondano in diritto e che assicurano in efficacia i discorsi dellaltro nella pratica della cura di s. In altri termini, se la pratica filosofica in effetti, come dicevo prima, lesercizio della cura di s, o linsieme delle pratiche, delle regole e delle tecniche che assicurano lesercizio della cura di s, se quindi la pratica filosofica in effetti lesercizio della cura di s, se la cura di s ha bisogno dellaltro e del discorso dellaltro, qual il carattere essen-ziale di questo discorso dellaltro, considerato come atto, come azione su di me? Credo che questo discorso abbia, come carattere, quello di essere il discorso della parrhesia. La parrhesia caratterizza il discorso dellaltro nella cura di s.

    Per provare ad analizzare questo tema un po pi a fondo, far rife-rimento a un certo numero di testi. Nella sua presentazione del testo di Filodemo, Gigante si chiaramente basato sulla tradizione epicurea, che purtroppo, su questo punto esatto, conosciamo poco. Gigante si scontra con la famosa ipotesi, che chiamer italiana, dellAristotele perduto22, e prova a mostrare che Filodemo non dipendente da Aristotele. Tenter di prendere perch chiaramente non sono in grado di risolvere questo problema un ambito di riferimento un po pi ampio e prover a vedere, a studiare questa parrhesia dal punto di vista della pragmatica del discorso, attraverso in parte il testo di Filodemo che per talmente mutilato che sar difficile trarne molto , poi in Seneca, in Epitteto, in Plutarco, certo, e anche in un testo di Galeno.

    Vorrei quindi iniziare considerando due testi che mi serviranno un po da filo conduttore per studiare questa nozione di parrhesia. Uno sem-plicemente il testo di presentazione delle Diatribe di Epitteto, redatto da

    22 Allusione ai lavori di Ettore Bignone, che ipotizza uninfluenza di scritti di Ari-stotele, oggi andati perduti, su Epicuro e gli Epicurei. Cfr. E. Bignone, LAristotele per-duto e la formazione di Epicuro, La Nuova Italia, Firenze 1936; nuova edizione: Bompiani, Milano 2007.

    34 Michel Foucault

  • Arriano23. un testo molto interessante, ed un piccolo trattato sulla parrhesia, [una] riflessione sulla parrhesia una paginetta. Arriano spiega che stato condotto a pubblicare le Diatribe di Epitteto perch ne circola-vano versioni lacunose. Afferma di voler pubblicare queste Diatribe per far conoscere la dianoia e la parrhesia di Epitteto: la dianoia il movimento del pensiero, il movimento del pensiero di Epitteto, e [la] parrhesia appunto la forma specifica del suo discorso. Dianoia e parrhesia sono associate e, del resto, non verranno mai dissociate lungo tutto il testo; quel che Arriano vuole rendere presente, linsieme costituito dalla dianoia e dalla parrhesia di Epitteto. E cosa far, per poter restituire cos la dianoia e la parrhesia di Epitteto? Pubblicher, offrir al pubblico dice gli appunti che ha preso, gli hypomnemata. Quella di hypomnemata una nozione tecnica importante: si tratta della trascrizione degli appunti presi dalluditore mentre il filoso-fo sta parlando. Queste trascrizioni sono anche dei quaderni di esercizi, dato che, con questi hypomnemata che bisogna rileggere regolarmente, si riattiva in continuazione ci che stato detto dal maestro. Ricordatevi di Plutarco, ad esempio, che mandava il Peri epithymias a Paccio, dicendogli: so che sei hai fretta, hai assolutamente bisogno di un trattato sulla tran-quillit dellanima, in modo molto urgente. Non puoi aspettare, ti mando gli hypomnemata che ho scritto per me24. Allinterno stesso del testo di Epitteto, avete un certo numero di riferimenti a questo. Epitteto, ad esem-pio, in certi momenti dice: ecco cosa ho da dirvi, ora lo dovete meletan, meditarlo, riattualizzarlo, pensarvi senza sosta, lo dovete graphein, scriverlo, leggerlo e fare gymnazein, farne esercizio. Arriano offrir quindi al pubblico gli hypomnemata delle Diatribe di Epitteto.

    Questi hypomnemata incontreranno di certo delle obiezioni, poich si finir col dire, i lettori finiranno col dire, che Epitteto non capace di scrivere come si deve e disprezzeranno la sua parola senza affettazione; ma quel che precisamente costituisce la funzione degli hypomnemata di consegnare la spontanea conversazione dello stesso Epitteto, quel che egli stesso ha detto direttamente, hopote25. Per quel che riguarda Arriano, egli

    23 Epitteto, Entretiens. Arrien Lucius Gellus, t. I, 1-8, Les Belles Lettres, Paris 1948; trad. it. Le diatribe e i frammenti, Laterza, Bari 1960.

    24 Plutarco, De la tranquillit de lme, 464 E-F, in uvres morales, t. VII-1, Les Belles Lettres, Paris 1975; trad. it. La serenit interiore, in Moralia, I, Biblioteca dellImmagine, Pordenone 1989.

    25 Epitteto, Diatribe. Arriano a Lucio Gello, cit., 7.

    La parrhesia 35

  • corre il rischio di vedersi rimproverato di non essere uno scrittore valido, ma non ha importanza, poich quello che intende fare che cos? [] far s che venga nuovamente trasmessa la maniera in cui Epitteto agiva sulle ani-me quando parlava, in un modo in un certo senso trasparente, attraverso gli appunti che egli rende disponibili, in modo tale che questa azione operi immediatamente sui lettori. Cos come la parola di Epitetto era tale da pro-vocare, in chi lascoltava, esattamente i sentimenti e le impressioni che egli voleva, nella stessa maniera Arriano si auspica che coloro che leggeranno questo testo proveranno quel che Epitteto avrebbe voluto far loro prova-re. E se non lo provano, dice Arriano, concludendo la sua introduzione, perch delle due cose luna: o lui, Arriano, non ha saputo trascriverle come conviene e sar quindi colpa sua; oppure perch, sostiene, le cose dovevano essere cos, ovvero che coloro che leggono non sono in grado di comprendere. La parrhesia appare dunque qui come in rottura, laddove trascura le tradizionali forme della retorica e della scrittura: la parrhesia unazione, tale da agire, da permettere al discorso di agire direttamente sulle anime; e, nella misura in cui questa azione diretta sulle anime, la parrhesia trasmette la dianoia stessa attraverso un tipo di accoppiamento o di trasparenza tra il discorso e il movimento del pensiero. Ecco il primo testo cui volevo riferirmi.

    Adesso prender in esame un secondo testo, un testo di Galeno che si trova allinizio del trattato sulla cura delle passioni26. Linconveniente che si tratta, peraltro, dellunico testo, tra quelli che oggi vi citer, nel quale non figura la parola parrhesia tanto lespressione greca parrhesia, quanto quella latina libera oratio, o libertas, con cui normalmente si traduce parrhesia. Il termine parrhesia non figura quindi nel testo di Galeno, tuttavia sono convinto che sia assolutamente innegabile che si tratti esattamente della descrizione della parrhesia, ma vista da unaltra prospettiva, e che proprio questo sia tecnicamente molto interessante.

    Arriano poneva il seguente problema: Epitteto ha parlato, e se soltan-to la sua parola svolgeva unazione sullanima degli altri, come trasmette-re questa azione e quale potrebbe essere il veicolo di questa parrhesia? Il problema che pone Galeno completamente differente e molto curioso, ovvero: com possibile cercare, trovare ed essere sicuri di aver effettiva-mente scoperto il parresiasta di cui si ha bisogno quando ci si vuole oc-

    26 Galeno, Trait des passions de lme et de ses erreurs, Delagrave, Paris 1914; trad. it. Le passioni e gli errori dellanima. Opere morali, Marsilio, Venezia 1984.

    36 Michel Foucault

  • cupare di se stessi? Nel suo testo, infatti, Galeno suppone che, da un lato, non si pu diventare un uomo per bene, un uomo compiuto (teleios aner) se non si vigila su se stessi (sauto pronooumenos). Si deve aver trascorso la propria vita a vigilare su di s, e questa vigilanza su di s richiede esercizi, continui esercizi: deitai gar askeseon, come viene detto. Occorre un esercizio, una pratica che deve durare tutta la vita27. Ora, questa pratica non in grado di controllare se stessa; per regolarla, c bisogno di qualcun altro. Galeno dice che coloro che si sono rimessi agli altri per avere un parere su loro stessi, raramente si sono sbagliati; in compenso, coloro che non lhanno fatto hanno creduto di essere eccellenti e si sono spesso ingannati. Dunque c bisogno di qualcun altro per controllare lesercizio mediante il quale si diventer un teleios aner, un uomo compiuto. Come e dove si ritro-ver questo altro? Ci che appare degno di nota in questo lungo brano di Galeno, che non vi si parla affatto n della competenza tecnica e nem-meno del sapere di questo altro di cui si ha bisogno. Viene semplicemente detto: bisogna in qualche modo tendere un orecchio e vedere se si sente parlare di qualcuno, di qualcuno che ha la reputazione di non essere un adulatore. E, se si sentito parlare di una persona simile, allora si procede a un certo numero di verifiche ritorner tra poco su questo punto per essere completamente certi che egli sia aletheuein, capace di dire la verit, ed solo allora, quando si ben certi che sia capace di dire la verit, che si andr da lui chiedendogli quale opinione abbia di noi stessi; gli si chieder quale opinione ha di noi, spiegandogli quelli che crediamo essere i nostri difetti e i nostri pregi, attendendo infine la sua reazione28. E se siamo del tutto sicuri che, in effetti, egli sia severo quanto gli richiesto torner an-che su questo punto , allora potremo affidarci allaiuto delle sue cure, di cui abbiamo bisogno. Galeno spiega come egli stesso abbia svolto questo ruolo di aiuto e di guida per uno dei suoi amici, che si abbandonava troppo facilmente alla collera e che aveva ferito con un colpo di spada due dei suoi schiavi che, durante un viaggio, avevano smarrito i suoi bagagli (ma questo poco importante!), e come pure, detto in breve, questuomo in preda alla collera era stato guarito29.

    Credo che abbiamo qui un piccolo quadro della direzione di coscien-za e degli elementi costitutivi della parrhesia; ci troviamo in presenza degli

    27 Ibidem.28 Ibidem.29 Ibidem.

    La parrhesia 37

  • elementi che costituiscono la parrhesia innanzitutto perch si vede come la parrhesia sia legata molto chiaramente alla cura di s, la si vede molto chiaramente legata allaskesis, allesercizio, la si vede molto chiaramente le-gata alladulazione e la si vede in opposizione alla collera. Questi due testi [contengono] le esposizioni pi dense e al tempo stesso pi articolate sulla parrhesia; a partire da essi e servendomi di essi, quindi, vorrei vedere un po come questa parrhesia possa essere studiata non tanto come virt, non tanto come semplice tecnica, ma nemmeno come modo di vita.

    Che cosa si pu dire sulla parrhesia allinterno della pratica della dire-zione di coscienza o meglio, se volete, allinterno della pratica della cura di s? In primo luogo, la parrhesia si oppone alladulazione. Ladulazio-ne, come sapete, una nozione estremamente importante nelletica, e nelletica politica, di tutta lAntichit; ci sono infinitamente pi testi, pi riferimenti, pi considerazioni sulladulazione che, per esempio, sulletica sessuale o sulletica dei piaceri della carne, della golosit o della concupi-scenza. Ladulazione una nozione molto importante che, credo, si trova al cuore di molti problemi sul governo di s e sul governo degli altri. Credo daltronde che, per capire cosa sia ladulazione, la si debba affiancare a ci che le complementare; direi che la parrhesia linverso delladulazione e che ladulazione complementare alla collera. Nelletica antica, la collera non semplicemente lo sfogo di qualcuno contro qualcun altro o contro qualcosa; la collera sempre lo sfogo di colui che ha pi potere e che si trova nella situazione di esercitare questo maggior potere al di l dei limiti ragionevoli e moralmente accettabili. La collera sempre la reazione impe-tuosa del pi forte, e su questo abbiamo lassoluta evidenza che presentano le analisi di Seneca e di Plutarco. Dunque la collera il comportamento di colui che si scaglia contro qualcuno pi debole di lui. Ladulazione esat-tamente latteggiamento complementare: ladulazione il comportamento del pi debole che desidera attirare la benevolenza del pi forte. Se volete, potremmo dire che ci troviamo in presenza di un insieme abbastanza com-plesso: lopposto della collera la clemenza; il complementare della collera ladulazione; e lopposto delladulazione la parrhesia: collera e clemenza, adulazione e parrhesia. La parrhesia si oppone alladulazione, ne costituisce il limite, la controbatte, proprio come la clemenza limita la collera e la controbatte. La collera un comportamento che richiama ladulazione e la clemenza , per chi esercita il potere, un comportamento ragionevole che lascia aperto lo spazio per la parrhesia. Credo che si debba mantenere questa figura a quattro termini collera, clemenza, adulazione, parrhesia.

    38 Michel Foucault

  • Come si presenta la parrhesia come anti-adulazione? Si presenta in tre forme. In primo luogo, la parrhesia in diretta relazione col precetto del-fico, con lo gnothi seauton. [Per] ladulazione vi rinvio a Plutarco, al testo che certamente fondamentale a questo riguardo, ovvero Come distinguere ladulatore dallamico30, considerando che questo testo che, se volete, potrei chiamare il trattato delladulatore un trattato sullopposizione adula-zione-parrhesia. Il vero amico che contrapposto alladulatore sempre lamico che dice la verit. In questa misura, credo che il trattato di Plutarco sia assolutamente centrale per la maggior parte delle analisi che si devo-no svolgere a proposito della parrhesia e soprattutto sulla sua opposizione alladulazione. Infatti, il testo di Plutarco molto chiaro e dice: ladulatore colui che combatte il precetto delfico, colui che impedisce allaltro di conoscere se stesso. Di conseguenza, la parrhesia sar lo strumento neces-sario, sar quello che nellaltro permette, proprio a me, di conoscere me stesso. E Galeno fa eco a questo legame tra la parrhesia e il precetto delfico, o tra ladulazione e il misconoscimento del precetto delfico, allinizio dello stesso passaggio che citavo poco fa, ovvero allinizio del Trattato sulla cura delle passioni, laddove sostiene che, quando era giovane, proprio lui, Galeno, non accordava la minima importanza allo gnothi seauton e che solo in segui-to, quando cap il pericolo che correva nel voler piacere a se stesso e nel lasciare che gli adulatori lo adulassero, comprese limportanza dello gnothi seauton31. Dunque la parrhesia , e sar, lanti-adulazione, e in questa stessa misura sar loperatore del gnothi seauton.

    Dire che la parrhesia sia loperatore del gnothi seauton non vuol dire esat-tamente che la parrhesia debba parlare a proposito di se stessa; il parresiasta non colui che parler allindividuo di se stesso, dei suoi affari, dicendogli quel che esattamente , qual il suo carattere, ecc. Certo lo dovr fare, ma lessenziale della funzione parresiastica sar piuttosto di indicare al sogget-to qual il suo posto nel mondo; il parresiasta dunque colui che dovr fare discorsi su quel che luomo in generale, su quel che lordine del mondo, su quella che la necessit delle cose.