il uovo giorna le bobbio - sant'antonino · 2019-12-14 · cenza-bobbio, il 26 maggio 1940....

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il n uovo g iornale Inserto a “il Nuovo Giornale” - Settimanale della diocesi di Piacenza-Bobbio N° 24 di giovedì 20 giugno 2019 - Poste Italiane s.p.a. - Spediz. in abb. post. - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46 art. 1), comma 1, CN/PC - Aut. Trib. Piacenza n°4 - giugno 1948 Settimanale della Diocesi di Piacenza Bobbio SPECIALE S.ANTONINO 4 luglio, Antonino d’oro al vescovo Berni L’economista Zamagni: quale futuro per le nostre città?

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Page 1: il uovo giorna le Bobbio - Sant'Antonino · 2019-12-14 · cenza-Bobbio, il 26 maggio 1940. Sono l’ottavo di dieci fratelli, sette maschi e tre femmine. La nostra era una famiglia

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Settimanale della Diocesi di PiacenzaBobbio

SPECIALES. ANTONINO

4 luglio,Antoninod’oro al vescovoBerni

L’economistaZamagni:quale futuroper le nostrecittà?

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La Banca di Piacenzaè la banca di PiacenzaE NON È SOLO QUESTIONE DI UNA “B”

Quando serve, c’è

Maiuscola o minuscola, la “b”? In questo caso,non è un problema di ortografia: è, invece, unaquestione di storia.Voluta dai piacentini, per i piacentini, laBanca di Piacenza è sempre stata la bancapiacentina. La nostra banca.Passo dopo passo, questo legame, già forte, si èvia via rinsaldato sul cammino del comune sviluppo.I piacentini hanno sempre trovato nella loro bancaun punto di riferimento sicuro e solido, soprattut-to nei momenti più duri.

La Banca di Piacenza è sempre stata con loro: sta-bile e fedele.Ha assecondato i loro progetti, ha condiviso le dif-ficoltà, stimolato le iniziative. Con discrezione,prudenza, tenacia. Senza lasciarsi tentare dallemode o da avventurose ambizioni. Crescendoinsieme a Piacenza.E sarà così per tanti anni ancora.Lo dimostrano i fatti e tutta la sua lunga storia: laBanca di Piacenza è la banca di Piacenza.I piacentini, lo sanno.

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DITORIALEE

S ono passati più di 1700 anni dalla vitae dalla morte di Antonino. Quanti cam-biamenti avvenuti nel corso di così tan-ti secoli! Eppure, nonostante tutto, lamemoria di questo santo continua adessere cara alla popolazione piacentinache lo ricorda come suo patrono. È mo-tivo di gioia riconoscere la continuità diquesta tradizione: la nostra comunitàcontinua a venerare il suo patrono. Ègiusto apprezzare questa continuità edesprimere la nostra gratitudine: passa-no i tempi e cambiano le stagioni, ma lanostra storia piacentina continua.

Desidero sottolineare che il ricordodel nostro patrono ci invita a collocareal centro della nostra convivenza uma-na e cittadina la figura di un giovaneche testimonia la fede e l’amore, non laricchezza o il successo o il potere. È sta-to scelto questo giovane come patrono,perché nel suo martirio la comunità pia-centina ha visto il suo amore verso Dio e il suoamore verso il prossimo, verso tutti, compresi isuoi persecutori. Il martire cristiano è martire peramore, è il testimone dell’amore di Dio, nel qualecrede. La sua testimonianza esprime il mistero del-l’amore di Dio, che, in Gesù Cristo, dona la sua vi-ta per tutti, perché l’amore di Dio è per tutti, nes-suno escluso. Il martire Antonino ci ricorda chel’amore è la causa che ha spinto Gesù Cristo a da-re la sua vita per la salvezza di tutti.

La portata di questo amore offerto gratuitamen-te a tutti è la grande “rivoluzione” della storiaumana. Se l’uomo si apre all’iniziativa di Dio e ac-coglie il dono della sua carità, con la quale amaDio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di lui,la sua vita è trasformata: così è avvenuto in Anto-

nino. La sua testimonianza, come il se-me che muore, ha dato frutti buoni perla vita della nostra comunità. Nel corsodella storia, la testimonianza di Antoni-no è stata una semente efficace per lavita della comunità cristiana e dellabuona convivenza cittadina.

Per questo la nostra comunità pia-centina ha riconosciuto e continua a ri-conoscere che Antonino, con la sua vi-ta, ha offerto e offre un messaggio elo-quente che non ha bisogno di parole. Èil messaggio della fede, della speranza edell’amore, che porta la luce all’internodella nostra storia. È il messaggio delladignità della persona umana e della sualibertà: il martire cristiano che dà la suavita liberamente diventa il segno più al-to di una nuova libertà, in cui la perso-na si oppone allo strapotere di ogniideologia e di ogni sopruso: il ricordodell’ingiusta morte del giovane Antoni-

no che rifiuta di adorare l’imperatore ha alimenta-to e alimenta il desiderio di crescere nella vita buo-na che stima e rispetta ogni persona.

Celebrando la festa del nostro santo patrono,abbiamo la possibilità di riconoscere la presenzadi Dio nella nostra storia quotidiana. Dio ci parla eci mostra il segno del suo amore in questo giovaneche è testimone della vita santa di Dio. Con laconcretezza del suo gesto di amore e di libertà, An-tonino ci fa sperimentare che il Vangelo non è unarealtà astratta o un valore utopistico, ma è il donodella vita nuova in Cristo, è il lievito e il sale dellavita, è ciò che dà gusto, sapore, gioia e speranzaalla vita umana.

† Gianni Ambrosiovescovo di Piacenza-Bobbio

EDITORIALE ..................................................................................................................... pag. 1L’ANTONINO D’ORO 2019“”Sono contento, ho speso la mia vita per il Vangelo” ............... pag. 3“I cinesi portano il lavoro sulle Ande, ma scompare la solidarietà”.......................................................................................................... pag. 4L’“Antonino d’Oro” dal 1986 allo scorso anno............................... pag. 7

MANIFESTAZIONI ANTONINIANE 2019Dalla serata con Zamagni alla musica in piazza ............................... pag. 8

CULTURA DI IERI E DI OGGILe mostre nei chiostri di Sant’Antonino ............................................. pag. 9

IN MOSTRA IL 4 LUGLIOUna mensa medievale per “A tavola col Capitolo” ..................... pag. 11

LA CHIESA DEI POPOLI - 1Dall’America Latina a Piacenza con la forza della fede............... pag. 13

LA CHIESA DEI POPOLI - 2“Suora, mi confessa?”........................................................................................ pag. 17

L’ECONOMISTA ZAMAGNIUna città delle pietre o una città delle anime? ................................ pag. 19

Il primo incarico? Dirigere la Casa sulle Dolomiti volutada don Benzi per i ragazzi ............................................................................. pag. 21

IL SINDACO BARBIERI“Piacenza cresce. Ma c’è troppa paura di guardare al futuro” pag. 22

I GIOVANI E IL FUTURO DEL PAESE“Il grande male dell’Italia? Manca il senso civico”............................ pag. 24

MESSA IN BASILICA IL 4 LUGLIODon Borea, il giovane prete che spezzava l’odio ............................ pag. 27

UNA RISPOSTA ALLA CRISIFamiglia caput mundi. “La fede è il lievito di tutto” ....................... pag. 31

DA PIACENZA VERSO IL MONDOUna nuova generazione di giovani europei........................................ pag. 35

L’ARTISTA FIAMMINGOLe tele del De Longe narrano la vita di Sant’Antonino ............. pag. 39

LA PARROCCHIAFesta del Perdono: l’abbraccio del Padre misericordioso ........ pag. 43I bambini e la gioia di fare Comunione con Gesù ......................... pag. 45Camminare con la forza dello Spirito Santo ..................................... pag. 47

Sommario

IL MARTIRE È TESTIMONEDELL’AMORE DI DIO

1

Foto di copertina: la basilica di Sant’Antonino a Piacenza. (foto Corda)

SPECIALE S. ANTONINO

Il vescovo mons.Gianni Ambrosio.(foto Del Papa)

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2 SPECIALE S. ANTONINO

QUALE FUTURO PER LE NOSTRE CITTÀ?

Modera: Barbara Sartori

in collaborazione con:

Incontro con

STEFANO ZAMAGNIEconomista, presidente della

Pontificia Accademia delle Scienze Sociali

Piacenza, Sala dei Teatini Via Scalabrini 9

Martedì 2 luglio ore 21

Intervento musicale della Sunday Orchestra

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d’accordo col parroco perché io an-dassi al Seminario di Bedonia, peròil sogno si spezzò presto quando cidissero che ci sarebbero volute, ol-tre agli effetti personali, anche qua-si diecimila lire di retta al mese,una spesa che i miei non potevano

proprio permettersi. E così il capito-lo del Seminario sembrava chiuder-si prima ancora di potersi aprire.

— La Provvidenza però aprìun’altra via...

Decisamente. Fu grazie al mae-stro elementare di Carniglia, Gio-vanni Bottini. Lui sapeva del miocaso e si dette da fare per aiutarmi.Ogni mese andava a Genova a tro-vare il figlio che studiava in quellacittà e si fermava sempre dai padriagostiniani nella chiesa della Con-solazione.

Spiegò il mio caso al confessore,padre Pinasco, che subito gli disseche sarei potuto andare da loro aLoano, in provincia di Savona, dovenon si pagava la retta. E così, io chenon sapevo nemmeno che cosa fos-se la ferrovia, partii per Loano insie-me a mio padre. Lì feci le scuolemedie, il noviziato a San Gimigna-no in provincia di Siena, poi gli stu-di di filosofia a Viterbo e infine diteologia a Bologna.

Il 29 giugno 1966 sono diventatosacerdote. Poco tempo dopo l’ordi-

L’A

3SPECIALE S. ANTONINO

onsignor Domenico Berni Leonar-di, sacerdote agostiniano, è da po-co rientrato dal Perù dove si trova-va dal 1971. Il 4 luglio riceverà aPiacenza il Premio Antonino d’Oro.Ha dedicato tutta la sua vita al po-polo delle Ande, discendente delglorioso impero Incas, un popolodiventato cattolico dopo la conqui-sta spagnola, ma che nel suo spiri-to fiero conserva ancora tracciadelle millenarie tradizioni dei suoiantichi predecessori.

Vescovo dal 1989, padre Dome-nico ha sempre conservato il suospirito semplice di parroco tuttodedito all’annuncio, che lo ha spin-to a passare la maggior parte delsuo tempo in mezzo alla gente e aisacerdoti di quella terra affascinan-te e misteriosa.

— Com’è stata la sua infanzia?Sono nato a pochi chilometri da

Bedonia, a Piane di Carniglia, pro-vincia di Parma ma diocesi di Pia-cenza-Bobbio, il 26 maggio 1940.Sono l’ottavo di dieci fratelli, settemaschi e tre femmine. La nostraera una famiglia numerosa e pove-ra. Mio padre Angelo era mezza-dro; lavorava nei campi e cantavale canzoni di montagna e dei tempidella guerra. Da bambino lo aiuta-vo portando al pascolo nei boschivicini le vacche del padrone.

Mia mamma, Caterina Leonardi,è morta giovane nel 1954 all’età di49 anni. I miei fratelli subito dopola guerra emigrarono in Francia oin Canada. Un particolare: i mieigenitori non riuscivano a capacitar-si che uno dei loro figli potesse di-ventare sacerdote: non si riteneva-no degni, a loro pareva impossibileche da una famiglia così poverapotesse uscire un prete.

— Come nasce la sua vocazione?Da un incontro semplice e ca-

suale. Il parroco di Carniglia, donNarciso Acuti, era venuto a benedi-re la nostra casa. Parlando con miamadre, le chiese se, di tanti figlimaschi, non potesse regalarne unoal Signore. Ne parlarono lei e miopadre e io fui subito contento del-l’idea. Così i miei genitori si misero

M“SONO CONTENTO, HO SPESOLA MIA VITA PER IL VANGELO”

Sopra, mons. Berni durante una visita pastorale in Perù; a sinistra, un primo piano del Vescovo.

NTONINO D’ORO 2019

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4 SPECIALE S. ANTONINO

nazione, il Superiore provinciale michiese di andare a Roma a studiareDiritto canonico e civile comparato al-la Pontificia Università Lateranense elì rimasi per altri quattro anni.

— Com’è arrivata l’idea della mis-sione?

Fu un’altra circostanza della Prov-videnza. Nel 1968 i padri agostinianiavevano aperto, invitati da un vescovo

del Perù, una mis-sione e la SantaSede aveva affida-to loro una nuovaprelatura.

L’amministrato-re apostolico pa-dre Lorenzo Mi-cheli venne a tro-varmi a Roma:“Ma, padre Berni,cosa stai a fare quia Roma a studiarediritto, mentre noiabbiamo bisognodi missionari inPerù?”. Io diedisubito la mia di-sponibilità. Unavolta laureato, aLoano il Superioreprovinciale michiese di nuovose fossi disponibi-le per la missione.Ovvio che lo ero!Era febbraio, partiia fine luglio. I pat-ti erano che sarei

stato là solo due anni, ma sono diven-tati 47. Accettai, perché agli ordini deiSuperiori si può solo obbedire. — Come fu l’arrivo in terra di mis-sione?

Il viaggio fu lungo. Passai prima inFrancia e poi in Canada a Montréalper salutare i miei fratelli e ai primi diagosto del 1971 arrivai a Lima. All’ar-rivo l’impatto fu forte. Dal centro dellaprelatura a Chuquibambilla, dopo unmese, il Vescovo mi mandò ad Anta-bamba, a 3800 metri di altitudine do-ve sono rimasto per 15 anni. Quellaparrocchia oggi conta 14-15 mila abi-tanti. Non sapevo ancora parlare qua-si per nulla lo spagnolo. Mi spostavoquasi sempre a cavallo, perché nonc’erano altri mezzi di trasporto a di-sposizione. La vita era dura e l’iniziofu tutto in salita. Non fu facile abituar-si ad uno stile di vita tutto nuovo. Mal’avevo fortemente desiderato e, nono-stante le difficoltà, volevo con tuttome stesso andare avanti nel camminointrapreso. — Com’era il territorio che le venneaffidato?

Impervio e montuoso nel cuore del-la Cordigliera delle Ande, dove abitanoi cosiddetti “indigeni della sierra”, cioèdella montagna. Eravamo ad un’altez-

GLI EFFETTI DELLA GLOBALIZZAZIONE

(g. c.) Nonostante le Ande sianoun territorio molto ricco di minera-li, l’estrazione è sempre stata moltodifficile a causa dell’inospitalità delterritorio e fino a pochi anni fa ve-niva fatta con mezzi primitivi. “An-ni addietro - precisa mons. Berni -il governo militare iniziò una rifor-ma agraria, che però poteva fun-zionare solo nei grandi latifondiproduttivi che si trovavano lungola costa. Non in montagna, dove silavorava solo con i buoi o con l’a-ratro; lì non c’erano i soldi percomprare un trattore e i campi so-no piccoli. Sulle Ande si coltivanocereali e patate e si allevano ani-mali come maiali, porcellini d’In-dia, lama e alpaca e se ne mangiala carne, oltre a sfruttarne la lana,molto calda e pregiata”.

“Negli ultimi anni però - prose-gue l’analisi del Vescovo - qualcosaè cambiato anche lassù, special-mente dopo l’arrivo di imprese cine-si che hanno comprato migliaia diettari di montagna e hanno comin-ciato a sfruttare le miniere di rame edi altri minerali. Hanno portato la-voro a migliaia di persone e con illavoro un barlume di benessere, mad’altro canto bisogna riconoscereche il loro metodo ha sconvolto gliequilibri sociali. Un esempio: han-no spostato tredici piccoli villaggiper far spazio alla loro grandeazienda per lo sfruttamento dellaminiera e hanno costruito case nuo-ve di zecca per gli indigeni che ave-vano perso il loro villaggio. Sonocasette di uno o due piani, belline,con tutti i servizi. È stato un saltosociale enorme, è un po’ come por-tare uno che vive in una capanna inun appartamento in centro a Mila-no. Ora hanno tutto, ma non hannopiù i loro animali davanti a casa eneppure la loro vita di prima all’ariaaperta, il contatto con i vicini...”.

“Prima la casa rappresentava so-lo un tetto per ripararsi dalle intem-perie e dormire, il resto della vita sispendeva fuori, con gli altri. Conl’arrivo del benessere è sparita lasolidarietà. Ora ognuno pensa aipropri interessi e nessuno si preoc-cupa più degli altri”.

La globalizzazione senza regoleha un prezzo da pagare. Ma ne va-

le davvero lapena? I mis-sionari rendo-no i poverip ro tagon i s t idel loro riscat-to, mentre losviluppo eco-nomico dellemultinazionaliporta beneficiimmediati, maspesso a scapi-to dell’identitàdi un popolo.Certo, il dram-ma è grande.

Senza la di-gnità, le perso-ne si trasfor-mano in nu-meri, non con-tano più nulla.Come quandonegli anni ‘80e ‘90 fiorì l’e-sperienza ter-roristica diSendero Lumi-noso: “volevadistruggere tut-to, produssesolo violenza”- sottolinea mons. Berni. “La situa-zione dei giovani di queste terred’alta montagna non è facile - am-mette -. A quelle altitudini si trova-no solo le scuole elementari e nem-meno ovunque. Per andare alle me-die, bisogna trasferirsi in città. La-sciare casa, villaggio e amici e an-dare a vivere o a Lima o a Cuzco oin qualche altro grande centro ur-bano. Ci vogliono parecchie ore diviaggio e per un ragazzino di 13 o14 anni non dev’essere facile mol-lare tutto e tutti per andare a stu-diare lontano. Non solo: anchequelli più fortunati che riescono astudiare in città, dopo che hannoappreso una professione, qualun-que essa sia, non potranno tornaread esercitarla lassù sulle Ande,semplicemente per il fatto che lassùquella professione non c’è. Nessu-na speranza quindi di tornare undomani a vivere nel villaggio nata-le. Chi parte sa già che non ritor-nerà, se non in visita”.

Alcuni indios in Perù duranteuna celebrazione

religiosa.

“I CINESI PORTANO IL LAVOROSULLE ANDE MA SCOMPARE

LA SOLIDARIETÀ”

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5SPECIALE S. ANTONINO

za che va dai 3500 ai 4500 metri di al-titudine, con punte fino a 5mila.

Sulle Ande il popolo parla il que-chua, che è la lingua tradizionale delpopolo Incas. Una lingua antichissi-ma, che non aveva una scrittura pro-pria e la cui fonetica è stata tradottadagli spagnoli. In quechua Dio si dice“Apu”: Apu è lo spirito e si può riferireall’apu della montagna, all’apu del fiu-me, tutto ha uno spirito, una forza mi-steriosa e divina, nella loro cultura.

La prelatura conta circa 100milapersone e il territorio si divide in dueprovince, Chuquibambilla e Kotabam-ba. Il Perù ha una popolazione di 31milioni di persone su un’area che èquattro volte l’Italia. La difficoltà prin-cipale, in quel territorio accidentato, ènelle comunicazioni. Per più di 25 an-ni il nostro mezzo di comunicazione èstato il cavallo.

— Come si vive sulle Ande?La vita è dura, isolati da tutto e da

tutti. Per 20 anni abbiamo potuto co-municare con gli altri solo attraversoun ponte radio che ci era stato conces-so dallo Stato, e solo per un’ora algiorno, di sera.

L’energia elettrica è arrivata daqualche anno e i telefonini sono unacosa molto recente. Eppure, nonostan-te tutto, eravamo contenti. Liberi datutto. A volte, quando tornavo in Ita-lia, vedevo i miei amici sacerdoti cheavevano tutto ed erano tristi e mi do-mandavo perché. Noi non avevamonulla, eppure eravamo felici. Per lapovera gente, non era facile andareavanti. Le medicine sono state un mi-raggio per molto tempo e quando ci siammalava, si percorrevano anche 4 o5 ore di strada a piedi per trovareun’aspirina.

— Com’era organizzata la cateche-si?

Il conferimento del Premio amons. Domenico Berni vuole essereun atto di stima e di gratitudine neiconfronti di un figlio della nostraChiesa piacentina che ha dedicatoquasi 50 anni della sua vita alla mis-sione in Perù, prima come sacerdotee poi come Vescovo, svolgendo sem-pre il suo ministero con passione,umiltà e fedeltà nei confronti del po-polo a lui affidato e in particolareverso i più poveri.

Ha operato in un territorio imper-vio e montuoso, nel cuore della Cor-digliera delle Ande, dove abitano, inlocalità situate tra i 3000 e i 5000metri, migliaia di persone tra le piùpovere del Perù, i cosiddetti “indige-ni della sierra”, cioè della montagna.Persone geograficamente isolate,lontane dal mare e dalla forestaamazzonica costrette tuttora a unavita dura di agricoltura e pastorizia,priva di strade e di efficienti servizibasilari come educazione, salute,energia elettrica, telefono, acqua.

In questo contesto, monsignorBerni prodigandosi senza riservenell’attività di promozione umana edi evangelizzazione, ha dato conti-nuità e sviluppo all’azione missiona-ria iniziata nel 1968 per volontà diSan Paolo VI. Con le sue parole econ il suo stile di vita, umile e riser-vato, ha saputo mostrare il senso ela bellezza contenuti nella vocazio-ne sacerdotale. E tutto questo è ungrande dono, in un contesto in cuila figura del prete è spesso esposta,per vari motivi, al rischio di perderedi significato e di credibilità agli oc-chi di molti.

Nella testimonianza di vita dimons. Domenico Berni, riconoscia-mo alcuni “tratti” che possono esse-re presi come riferimento da tutti co-

loro che desiderano vivere con gioiae responsabilità la propria vocazionecristiana. In lui emergono una gran-de passione per l’annuncio del Van-gelo e per la vita di ogni persona, inparticolare quella più debole e ferita.Colpisce il suo desiderio di essere un“pastore con l’odore delle pecore”,vivendo a contatto con la gente, coni suoi preti, condividendone gioie edolori, vivendo con loro come un ve-ro fratello e un vero padre, facendolui stesso la scelta della povertàevangelica quasi a voler incarnare ilsogno richiamato anche da papaFrancesco nella sua famosa espres-sione: “Ah, come vorrei una Chiesapovera per i poveri!”. Una Chiesaquindi che non solo si mette a servi-zio dei poveri ma si lascia educareda essi per scoprire l’unica vera ric-chezza che salva: il Vangelo.

Per tali motivi il Capitolo dei Ca-nonici ha valutato opportuno asse-gnare a monsignor Domenico Berniquesto prestigioso Premio, come do-veroso tributo alla sua persona e atutti i missionari sparsi nel mondo.Inoltre, tale onorificenza è idealmen-te consegnata anche alla comunitàitalo-peruviana presente a Piacenza.Una bella realtà, perfettamente inte-grata nella nostra città, che ha sapu-to condividere le proprie tradizioniculturali e religiose con le nostre.Con gioia ricordiamo la festa del “Se-nor de los Milagros” più volte cele-brata anche nella nostra basilica diSant’Antonino. Il Premio “Antoninod’Oro”, giunto alla 34a edizione, vie-ne sponsorizzato e patrocinato dallaFamiglia Piasinteina.

Per il Capitolo dei Canonici di S.Antonino

Il PresidenteCan. Sac. Giuseppe Basini

LE MOTIVAZIONIDEL PREMIO 2019 ASSEGNATO A MONS. BERNI

Una foto della famiglia Berni. Al centro, seduti, i genitori: Angelo Berni e Caterina Leonardi. In piedi, da sinistra a destra: Luigi (nato nel 1936), Tranquillo (1934), Maria (1930),Celeste (1932), Dino (1926) e Remo (1928). In prima fila, i più piccoli, da sinistra a destra: Anna Bruna (1944), Claudio (1947)e Domenico (1940). La sorella Bruna (1938) è morta in un incidente nel fiume Taro nel 1941, a soli tre anni.

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6 SPECIALE S. ANTONINO

GIOVEDÌ 27 GIUGNOBasilica di Sant’Antonino, ore 21Concerto dell’orchestraMusicAliaDirige Franco Marzaroli

Da GIOVEDÌ 27 GIUGNOa DOMENICA 7 LUGLIOChiostro Basilica di Sant’Antoninoorari: 9-12 e 16-19

Sguardi oltre... mostra fotografica di Pino Balordi

Il giracielo e altre storie mostra di disegni realizzati dai bambini del CRA “Istituto Madonna della Bomba”

Salute secondo natura o per cultura(tra Storia e Trascendentali)mostra fotografica di Carlo Mistraletti Della Lucia

Da VENERDÌ 28 aDOMENICA 30 GIUGNOOratorio Santa Maria in Cortinavia Verdi 46dalle 18 alle 22.30 Visita al pozzo di Sant’Antonino

LUNEDÌ 1 LUGLIOBasilica di Sant’Antonino, ore 21Il sorriso di un angeloCoro Consonanze e Coro Ana Val Nure di BettolaDirige Patrizia Bernelich

MARTEDÌ 2 LUGLIOSala dei Teatinivia Scalabrini 9, ore 21

Quale futuro per le nostre città?Prof. Stefano Zamagni presidente della Pontificia Accademia delle Scienze SocialiIntervento musicale della Sunday Orchestra Coordina Barbara Sartori

MERCOLEDÌ 3 LUGLIOPiazza Sant’Antonino, ore 21Festival Internazionale dei GiovaniL’incontro con i giovani e le culture del mondo. Canti e danze del folklore internazionale. In collaborazione con Associazione OK Club

ManifestazioniANTONINIANE 2019

BASILICA DI SANT’ANTONINOmartire in Piacenza

MERCOLEDÌ 3 LUGLIOBasilica di Sant’Antonino, ore 18Celebrazione Eucaristica

GIOVEDÌ 4 LUGLIOBasilica di Sant’Antonino6.30 - Lodi mattutine, benedizione lavanda e colazione insieme

8 e 9 - Sante Messe

10 - Concerto della Banda Ponchielli da piazzale Genova a piazza Sant’Antonino

10.45 - Accoglienza Autorità in piazza Sant’Antonino

11 - Celebrazione Eucaristica solennePresiede S.E. Mons. Gianni Ambrosio Vescovo di Piacenza-BobbioOfferta del cero in onore del Patronoe consegna dell’onorificenza Antonino d’oro 201918 - Secondi Vespri e celebrazione Eucaristica Vespertinain memoria di don Giuseppe Borea e dei sacerdoti martiri della fede e della Resistenza

Celebrazioni del Santo

www.comune.piacenza.it

Iniziative ed Eventi Rassegna LiricaGIOVEDÌ 4 LUGLIOIn centro città dalle 7 alle 24

Fiera di Sant’AntoninoOratorio Santa Maria in Cortinavia Verdi, 46dalle 10 alle 19Visita al pozzo di S. Antonino

Chiostro Basilica di S. Antoninoore 15, 16, 17, 21A tavola col Capitolo. Cibi e usi alimentari dei canonici di Sant’Antonino nel Medioevomostra di documenti e codici dell’Archivio Capitolare

Museo Capitolare, ore 16Visita guidata al Museo della Basilica di S. AntoninoCoordina Anna Riva

Piazza Cavalli, ore 21

Piacenza nel cuoreRassegna della canzone dialettale piacentina

con Marilena Massarini(In caso di maltempo la rassegna si terrà presso il Salone monumentale di Palazzo Gotico)

DOMENICA 23 GIUGNOChiesa di San Lorenzovicolo del Consiglio 13, ore 21

Estate Opera Festival

NormaOpera in due atti di Vincenzo Belliniin collaborazione con Associazione Tampa Lirica

DOMENICA 30 GIUGNOChiesa di San Lorenzovicolo del Consiglio 13, ore 21

Estate Opera Festival

Lucia di LammermoorOpera in tre atti di Gaetano Donizettiin collaborazione con Associazione Tampa Lirica

SABATO 7 SETTEMBREPalazzo Farnese, piazza Cittadellaore 21.15

Rassegna “Lirica sotto le stelle” con cenaRigolettoOpera in tre atti di Giuseppe VerdiIn collaborazione conAssociazione Amici della Lirica

COMUNE DI PIACENZA

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7SPECIALE S. ANTONINO

Quando partivo per andare nei varivillaggi, vi rimanevo sempre da unasettimana a dieci giorni. Fare andata eritorno era impensabile, date le distan-ze. Portavo sempre con me le suore,che mi aiutavano nella catechesi nellescuole e svolgevano compiti anche dainfermiere, dove ce ne fosse bisogno.

Nei giorni di permanenza stavo coni sacerdoti, li conoscevo, ascoltavo lagente, i loro problemi, amministravo isacramenti. Non volevo un contattoche fosse solo formale, desideravo en-trare nella vita, nelle gioie e nei doloridi quelle persone. Nella mia vita daparroco e poi anche da Vescovo hofatto di tutto, anche il sacrestano.

— Quali sono state le sue prioritàpastorali?

L’evangelizzazione, senza dubbio.Un grande aiuto sul piano operativo edella catechesi è stato dato dai missio-nari, consacrati e laici, dell’Operazio-ne Mato Grosso, realtà fondata nel1967 dal salesiano padre Ugo de Cen-si, morto nel 2018 a Lima a 94 anni. Ilaici missionari portano avanti la cate-chesi e poi i sacerdoti e il vescovovanno per i sacramenti. Questo perchédi preti ce ne sono troppo pochi.

Un altro punto-chiave è stata la

riorganizzazione della Caritas diocesa-na che ho affidato a dei laici. Abbiamorealizzato opere sociali come i canalidi irrigazione per portare l’acqua pota-bile nelle comunità: la mancanza d’ac-qua è alla base della mancanza diigiene e la carenza di igiene è alla ba-se della mancanza di salute. Prima lemedicine erano praticamente introva-bili, ora la Caritas svolge il servizio didistribuzione di medicinali e cibo.

Il Perù è un paese di forte tradizio-ne cattolica. Ufficialmente il Perù èper il 95% cattolico, ma da qualcheanno sono arrivate diverse chieseevangeliche e altre realtà. Non sonomolto presenti nei territori impervi do-ve vivevo io, perché si tratta di luoghipoco appetibili, gente povera, di cuianche i politici si disinteressano abba-stanza. Tuttavia a Lima, Cuzco e nellegrandi città, gli evangelici hanno presoparecchio piede negli ultimi anni; in-viano tra la gente pastori che conosco-no a memoria versetti della Bibbiache ritrasmettono al popolo. Una tra-dizione molto diversa dalla nostra, ba-sata sui sacramenti e su un camminodi fede.

— Che cos’ha di unico la fede vissu-ta nell’America latina?

La fede nel popolo sudamericano èqualcosa di intrinseco, che fa partedella vita, una religiosità naturale chesi vive a livello popolare, in manieramolto semplice. La religiosità popolareè fatta di processioni, celebrazioni, de-vozioni di cui noi in Europa abbiamoperso completamente il gusto. Una de-vozione molto diffusa in tutto il Perù èquella al Cristo morto.

Quando Giovanni Paolo II visitò ilPerù per la seconda volta nel 1988,nell’incontro che ebbe con i Vescovidisse di aver sentito che i cristiani so-no chiamati “cristiani del venerdì san-to”. Con una battuta invitò tutta laConferenza episcopale peruviana anon fermarsi al Venerdì Santo e si rac-comandò di ricordare a tutti i cristianiche Cristo è risorto. Questo è il ruolodei missionari, in Perù come altrove:annunciare a tutti la speranza di unavita che non muore.

Mons. Berni ha concluso il suomandato alla guida della prelatura diChuquibambilla per raggiunti limiti dietà il 24 aprile 2018. Ma non è finito ildesiderio del bambino di Carniglia diservire il Signore.

Gaia Corrao

Il premio “Antonino d’Oro” è stato isti-tuito nel 1986 dal Capitolo della basi-lica antoniniana ed è patrocinato dallaFamiglia Piasinteina. È assegnato, al-ternativamente, ad un ecclesiastico ead un laico. 1986:dott. Piero Castignoli, stu-

dioso di S. Antonino.1987: card. Agostino Casaroli, se-

gretario di Stato di GiovanniPaolo II.

1988:prof. Ferdinando Arisi, criti-co d’arte.

1989: card. Luigi Poggi, nunzioapostolico in Italia.

1990:dott. Francesco Bussi, esper-to di musica.

1991:mons. Antonio Mazza, ve-scovo di Piacenza dal 1983 al1994.

1992:prof. Alessandro Beretta An-guissola, medico e scienziato.

1993: card. Ersilio Tonini, arcive-scovo emerito di Ravenna.

1994:prof. Luigi Rossi Bernardi,scienziato.

1995:mons. Carlo Poggi, vescovodi Fidenza.

1996:prof. Alberto Spigaroli, presi-dente dell’Ente per il restaurodi Palazzo Farnese.

1997:mons. Luciano Monari, ve-scovo di Piacenza-Bobbio dal1995 al 2007.

1998:Adelia Firetti, fondatrice Isti-tuto secolare missionarie sca-labriniane.

1999:padre Gherardo Gubertini,fondatore Casa del Fanciullo.

2000:avv. Corrado Sforza Foglia-ni, presidente del Comitatoesecutivo della Banca di Pia-cenza.

2001:mons. Luigi Ferrando, vesco-vo di Bragança (Brasile).

2002: ing. cav. Aldo Aonzo, im-prenditore.

2003:mons. Piero Marini, arcive-scovo.

2004: comm. Luigi Gatti, imprendi-tore.

2005:padre Sisto Caccia, superioredegli Scalabriniani di Piacen-za.

2006:dott. Gianfranco Agamenno-ne, medico chirurgo.

2007:don Luigi Mosconi, missiona-rio piacentino in Brasile.

2008:Dina Bergamini, direttrice di-dattica.

2009:mons. Gianni Ambrosio, ve-scovo di Piacenza-Bobbio.

2010:Paolo Perotti, scultore.2011:don Giorgio Bosini, fondato-

re dell’Associazione “La Ricer-ca”.

2012:Umberto e Giulia Chiappini,primi presidenti della Caritasdiocesana.

2013:mons. Antonio Lanfranchi,arcivescovo di Modena.

2014:Luigi Menozzi, educatore epioniere dello scoutismo a Pia-cenza.

2015:madre Anna Maria Cànopi,monaca benedettina, fondatri-ce ed abbadessa del monastero“Mater Ecclesiae” sull’isola diSan Giulio.

2016:Giancarlo Bianchini, presi-dente dell’associazioneAs.So.Fa..

2017:mons. Giorgio Corbellini,vescovo, presidente dell’Ufficiodel lavoro e della Commisionedisciplinare della Curia di Ro-ma, membro della Congrega-zione delle cause dei Santi.

2018:Linda Ghisoni, sottosegreta-rio per i fedeli laici al Dicasteroper i laici, la famiglia e la vita,Consultore della Congregazio-ne per la Dottrina della Fede.

L’“Antonino d’Oro” dal 1986 allo scorso annoLA STORIA

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8 SPECIALE S. ANTONINO

ANIFESTAZIONI ANTONINIANE 2019M

e celebrazioni per la festadel patrono Antonino pren-dono il via a Piacenza nellabasilica a lui dedicata mer-coledì 3 luglio con la mes-sa delle ore 18. Giovedì 4la basilica apre alle ore 6.30per le Lodi mattutine, la be-nedizione della lavanda e lacolazione insieme; seguonole messe delle ore 8 e 9. Al-le 10 concerto della BandaPonchielli da piazzale Ge-nova a piazza S. Antonino ealle 10.45 accoglienza delleautorità nella piazza. Alle11 messa solenne presiedu-ta dal vescovo mons.Gianni Ambrosio conl’offerta del cero inonore del Patrono e laconsegna dell’onorifi-cenza “Antonino d’Oro2019” a mons. Dome-nico Berni.

All’ingresso del Por-tale del Paradiso il 4 lu-glio sarà disponibile lalavanda; il ricavato saràdestinato al sostegnodelle famiglie bisogno-se.

Alle 18 secondi Ve-spri e messa vespertinain memoria di don Giuseppe Boreae dei sacerdoti martiri della fede edella Resistenza.

Le iniziative verso la festa delPatrono iniziano giovedì 27 giu-gno alle 21 nella basilica con ilconcerto dell’orchestra MusicAliadiretta dal prof. Franco Marzaroli.Lunedì 1° luglio alle 21 nella

basilica “Il sorriso di un angelo”con il coro “Consonanze” e il coro“Ana Val Nure” di Bettola; dirigePatrizia Bernelich.Martedì 2 luglio alle ore 21

nella Sala dei Teatini in via Scala-brini 9 serata sul tema “Quale futu-ro per le nostre città?” con il prof.Stefano Zamagni, presidente dellaPontificia Accademia delle ScienzeSociali e l’intervento musicale dellaSunday Orchestra; coordina la gior-nalista Barbara Sartori.Mercoledì 3 luglio in piazza

Sant’Antonino alle 21 “Festival In-ternazionale dei Giovani”: l’incon-tro con i giovani e le culture delmondo: canti e danze del folkloreinternazionale in collaborazionecon Associazione OK Club.Giovedì 4 in centro città dalle

ore 7 alle 24 Fiera di Sant’ Antoni-no, mentre nel chiostro della basili-ca è in programma la mostra di do-cumenti e codici dell’Archivio Ca-pitolare “A tavola col Capitolo. Cibie usi alimentari dei canonici diSant’Antonino nel Medioevo”; visi-ta guidata alle ore 15, 16, 17 e 21.Nel Museo Capitolare alle ore 16visita guidata. Coordina l’iniziativaAnna Riva.

Sempre giovedì 4 in serata alle21 in piazza Cavalli “Piacenza nelcuore”, rassegna della canzone dia-lettale piacentina con MarilenaMassarini.

Il 28, 29 e 30 giugno dalle 18alle 22.30 e il 4 luglio dalle 10 alle19, all’oratorio di Santa Maria inCortina , si potrà visitare il pozzodi Sant’Antonino con la discesasotterranea.

Inoltre, dal 27 giugno al 7 lu-glio (vedi anche articolo a pagina9) nel chiostro della basilica dalle9 alle 12 e dalle 16 alle 19 si po-tranno visitare “Sguardi oltre….”,mostra fotografica di Pino Balordidedicata al tema degli alberi; la21ª mostra fotografica di Carlo Mi-straletti; “Il giracielo e altre sto-rie”, mostra di disegni realizzatidai bambini del Centro Ambulato-riale di Riabilitazione (CAR) G. B.Scalabrini dell’Istituto Madonnadella Bomba. L’inaugurazione diquest’ultima mostra ha luogo gio-vedì 27 giugno nei chiostri dellabasilica.

L

Sopra, il parroco di S. Antonino don Giuseppe Basinicon i volontari della lavanda. A lato, il “Festival internazionale dei Giovani” negli scorsi anni con Carlo Devoti.

DALLA SERATA CON ZAMAGNIALLA MUSICA IN PIAZZA

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ell’ambito della festa patronale diSant’Antonino, nei chiostri dellabasilica vengono allestite alcunemostre.

Giovedì 4 luglio si potrà visitare“A TAVOLA COL CAPITOLO.CIBI E USI ALIMENTARI DEICANONICI DI SANT’ANTONI-NO NEL MEDIOEVO”: mostra didocumenti e codici dell’ArchivioCapitolare. Gli orari della visitaguidata: ore 15, 16, 17 e 21 (vediarticolo a pag. 19).

LA MOSTRA FOTOGRAFICADI PINO BALORDI. Il 4 luglio siapre la mostra fotografica di PinoBalordi “Sguardi oltre…”. Gli oraridi visita: 9-12 e 16-19.

“Certo apparirà strano, quantomeno inconsueto presentare in pie-

no periodo estivo una mostradal soggetto assai poco perti-nente con la stagione in cor-so - commenta Balordi -. C’èchi sostiene che un alberosenza foglie è come un uomosenza vita, senza sentimenti,senza brio. Penso che non cisia niente di più errato. Amola fotografia - continua - e ri-traendo questi alberi spogliho provato una gioia immen-sa, per il loro grafismo, la lo-ro imponenza o la loro esi-

lità, comunque la loro dignità. Perme il fatto che l’albero in autunnoperda le foglie è il paradigma del-l’esistenza. Le foglie cadute sono ilpassato. L’albero nudo è il presenteche già lascia intravedere il futuronascosto nelle minuscole gemme enei semi gelosamente racchiusi inelegantissimi scrigni. Gli alberi cheho fotografato non sono esemplariprestigiosi, ma comuni presenzeche mi hanno colpito lungo le stra-de che abitualmente percorro; tran-ne alcuni, non li sono andati a cer-care ma loro stessi si sono fatti tro-vare, immobili e silenziosi, fedeli eligi alla loro storia, ospitali e gene-rosi: docilmente accettano potaturee innesti per donarci frutti più co-piosi e di qualità migliore”.

IN MOSTRA I DISEGNI DEIBAMBINI DEL CAR. “Il giracieloe altre storie” è la mostra di disegnirealizzati dai bambini del CAR,Centro ambulatoriale di riabilita-zione G.B. Scalabrini che per laprima volta si presentano alla cittàin occasione della festa del Patro-no. L’inaugurazione è fissata pergiovedì 27 giugno nei chiostri dellabasilica di Sant’Antonino e sarà vi-sitabile fino al 7 luglio.

“Questi quadri, ispirati alla tec-nica Papier Decoupè di Henry Ma-tisse, - spiega la dott.ssa AntonellaRiboldi in servizio al CAR Scalabri-ni - sono uno strumento per poten-ziare in modo coinvolgente e diver-

tente le competenze dei bambinicome le funzioni esecutive, l’orga-nizzazione spazio-temporale, lamotricità fine, la coordinazioneoculo-manuale. Questa tecnicaprevede una serie di sequenzecreative obbligate: si stende il colo-re sui fogli e si preparano gli sfon-di; poi si ritaglia per creare gli ele-menti da comporre nel paesaggio;si incollano gli strati partendodall’alto in sequenza ordinata; infi-ne, si decora il quadro con disegnie personaggi che lo animano”.

“In questo modo - continua ladottoressa - tutti possono parteci-pare secondo le loro capacità e laloro creatività alla realizzazione diun’opera che è il risultato del talen-to di ognuno e della collaborazionedi tutti. La mostra è un modo pergratificare l’impegno dei bambini inprimis e delle loro famiglie”.

LA MOSTRA FOTOGRAFICADI CARLO MISTRALETTI. Dal 4luglio si potrà visitare anche lamostra fotografica di Carlo Mistra-letti, giunta alla sua ventunesimaedizione. Tema: “Antonino d’Oro edintorni. Salute secondo natura oper cultura (tra Storia e Trascen-dentali)”.

NSopra, una foto di Carlo Mistra-letti; a lato, una delle immaginiesposte alla mostra fotografica“Sguardi oltre..” di Pino Balordi.In basso, un quadro dei bambinidel CAR “Scalabrini”.

ULTURA DI IERI E DI OGGICLE MOSTRE NEI CHIOSTRI DI SANT’ANTONINO

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on gioia e passione Anna Riva, ar-chivista di Stato e responsabile del-l’Archivio del Capitolo di Sant’An-tonino, parla della mostra “A tavo-la col Capitolo” aperta al pubblicoper la festa del 4 luglio nel chiostrodella basilica del Patrono.

“Abbiamo ricostruito la tavolamedievale e posso anticipare chel’allestimento sarà piuttosto sugge-stivo”, dice Anna, che, con altri ri-cercatori, ha cercato nelle antichecarte dell’archivio della basilicaelementi che facessero luce sullemodalità dei festeggiamenti patro-nali all’epoca medievale. E la tavo-la, ben si sa, è l’elemento base perpredisporre l’animo a convivialità ebuon umore. Dalle spese, registratedal 1330 in avanti, si ha un’ideapratica del fervore dei preparativi:pulizia del chiostro e della cucina,molatura dei coltelli, acquisto dipentole e “scorbini”, assunzione diun cuoco e di un sottocuoco, elen-chi di prodotti alimentari.

Che cosa si mangiava? Carned’agnello, lardo per condimento,pesci, gamberi, legumi come i cecie la roveglia (precursoredell’odierno pisello). I cano-nici potevano permettersi an-che verdure fresche (biete,insalate, zucche, nel senso dizucchine estive più che altro)il cui approvvigionamentoavveniva o tramite un ortola-no di fiducia o direttamentedal proprio orto. Ingenti lespese alla voce “formaggi”,anche per il pagamento a chidoveva incidere la crosta.Tuttora le forme di grana so-no tagliate da specialisti.Una conferma che il nostrograna, il formaggio più cono-sciuto al mondo, era già notonel ‘300. Nelle liste di spesa sonomenzionate le “turte”, con cui si in-dicavano anche pasticci con pasta,formaggi, erbe, anticipatori dellenostre torte salate.

La festa di Sant’Antonino era nelMedioevo più che altro dedicata alclero cittadino, al Vescovo che ve-niva invitato con tutti gli onori e aisacerdoti della città, in particolareai canonici del Capitolo. Questa

istituzione già esisteva dal IX seco-lo. Nel XIII i canonici erano 14, al-cuni neanche ordinati, membrispesso della nobiltà e del patriziatopiacentino.

C’era la tradizione per Sant’An-tonino dei “confetti d’anice” offertial Vescovo. Le spezie confettateerano un ottimo e aromatico dige-stivo. I confetti, considerando chele spezie erano allora molto costo-

se, erano simbolo di prestigio e ric-chezza per chi li offriva e avevanoanche la funzione pratica di favori-re la digestione dopo i pasti lucul-liani.

Quest’anno sarà offerto un sac-chettino di “anici confettati” ai visi-tatori della mostra che alle ore 16,17, 21 del 4 luglio potranno usufrui-re di visite guidate. L’esclusività si èstemperata nei secoli: i “confetti d’a-nice” sono ora per tutti i palati.

Hanno collaborato, a vario tito-lo, alla realizzazione della mostra:Anna Riva, Giacomo Nicelli, Patri-zia Vezzosi, Barbara Graviani,Marco Carubbi, Carmine Anaclerioe Loris Guazzi.

Luisa Follini

C

Sopra, una scena di banchetto,particolare dell’arazzo di Bayeux.A lato, i confetti d’anice che verranno offerti ai visitatoridella mostra.

N MOSTRA IL 4 LUGLIOIUNA MENSA MEDIEVALE PER “A TAVOLA COL CAPITOLO”

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vero, un chilo di frutta qui costa co-me una cassa intera da dove vengo-no loro, e la qualità non è certo mi-gliore; ma, nonostante questo, i no-stri fratelli del Sudamerica a Piacen-za non si trovano per niente male.Sono più di 4mila quelli presenti incittà e provincia. Li abbiamo incon-trati per conoscere la loro storia e leloro tradizioni. Il Premio Antoninod’Oro assegnato quest’anno al ve-scovo mons. Domenico Berni, perquasi 50 anni in missione in Perù,invita, infatti, a guardare a questanumerosa comunità.

LA COMUNITÀ PERUVIANASilos Cruz viene dal Perù, è in

Italia dal 2004, è sposato, ha due fi-gli, e lavora come falegname peruna ditta di cantieristica navale diPodenzano. “Sono arrivato a Pia-cenza per raggiungere mia moglieche già lavorava qui - racconta -, esiamo dovuti andare via dal Perùperché, soprattutto dagli anni ’80-’90, la situazione politica e socialesi era fatta difficile. In Italia e a Pia-cenza, dove siamo arrivati per con-tatti con amici e parenti, ci troviamomolto bene: io faccio lo stesso me-stiere che facevo in Sudamerica, ap-pena arrivato lavoravo per un’altraditta che mi ha lasciato a casa nel2014, ma ho trovato subito lavoronello stesso settore”.

A Piacenza Silos è presidente dal2016 dell’associazione culturale“Señor de los Milagros”, il comitatoche si occupa dell’organizzazionedella festa patronale peruviana e dimolto altro: “L’associazione è a Pia-cenza da 22 anni - spiega Silos -, equando sono arrivato mi sono unitosubito, perché i peruviani sentonomolto questa festa: ha origine dal-l’immagine del Signore dei Miracoli,che nella cattedrale di Lima, nelXVII secolo, è rimasta miracolosa-mente intatta dopo più di un terre-moto. La seconda domenica di otto-bre celebriamo la messa in Duomo,

poi segue la processione con l’im-magine di Nostro Señor de los Mila-gros fino alla sede degli scalabrinia-ni. Partecipano anche peruviani daaltre città come Milano, Genova oLodi, perché le domeniche successi-ve siamo noi a spostarci, per tutto ilmese di ottobre. Dopo la processio-ne mangiamo insieme con balli edanze tipiche”.

Ma l’associazione non si occupasolo di questo: “Sappiamo che Dioci aiuta - riprende Silos -, ma anchenoi dobbiamo metterci del nostro,per questo l’associazione raccogliesoldi anche per peruviani in diffi-

coltà. Se in una famiglia c’è unmalato o un defunto, per noi è na-turale mettere a disposizione soldie aiuto, anche solo portando qual-cosa da mangiare a casa”.

ANCHE UNA GRIGLIATA PER DARSI UNA MANO

La comunità latino-americanapiù numerosa, con più di 3milapersone tra Piacenza e provincia,è quella ecuadoriana. Rufino Ter-reros e Rosa Riofrio, marito e mo-glie, sono a Piacenza insieme dal2005; lui, fruttivendolo in Ecuador,in Italia è stato operaio per più di12 anni. La comunità ecuadorianaè a Piacenza da più di 20 anni, e ilmomento di ritrovo più importanteè la festa della Madonna del Cisne

ÈSilos Cruz, presidente dell’associazioneculturale “Señor de los Milagros”.Sotto, un’immagined’archivio della festa patronale peruviana a Piacenza.

A CHIESA DEI POPOLI - 1LDALL’AMERICA LATINA A PIACENZACON LA FORZA DELLA FEDE

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il 15 agosto. “Io sono presidente del co-mitato organizzatore - spiega Rufino - eogni anno prepariamo nella sede degliscalabriniani una festa a cui partecipa-no anche sudamericani, non solo del-l’Ecuador, da altre città come Milano oGenova. Iniziamo con la messa inDuomo celebrata dal Vescovo con lapresenza anche delle autorità civili; se-gue la processione con la statua dellaMadonna del Cisne, fino alla sede degliscalabriniani: lì mangiamo insieme efacciamo festa con canti e balli”.

Anche in questa comunità ognimembro è importante ed è proprio ilgruppo della Virgen del Cisne che sioccupa di portare aiuto: “Se qualcunoè in difficoltà economiche - spiega Ru-fino -, organizziamo un’«actividad»,una grigliata ad esempio, per raccoglie-re soldi per aiutare. Sappiamo che nonè facile affrontare la migrazione, perquesto siamo sempre pronti a soccor-rerci l’un l’altro”.

“HO CONOSCIUTO BERGOGLIO, MIGRANTE TRA I MIGRANTI”

Appuntamento fisso dei sudamerica-ni di Piacenza è la messa delle 16.30 ladomenica in San Carlo, celebrata inspagnolo da padre Sante Zanetti, perdiversi anni consigliere ed economo ge-nerale degli scalabriniani,. Originario diVicenza, padre Sante negli anni ’80-’90ha frequentato il Seminario a BuenosAires, dove si è occupato anche di atti-vità missionaria con un maestro d’ecce-zione: “Ho conosciuto il cardinal Ber-goglio - racconta -, quando era ancoravescovo coadiutore di Buenos Aires,mentre io ero stato fatto superiore pro-vinciale scalabriniano per le missioni inArgentina, Cile, Uruguay e Bolivia. Èsempre stato attento ai problemi deimigranti, perché partiva dall’esperienzadella sua famiglia, che per prima avevamigrato dall’Italia al Sudamerica. Sape-va quanto fosse importante l’ospitalitàe l’inizio di una vita nuova”.

UN’INTEGRAZIONE CHE PROCEDE IN PARROCCHIA

Il percorso dei sudamericani a Pia-cenza, grazie a una fede ben praticata,sta andando nella direzione giusta:“Sono qui solo da un anno - spiega pa-dre Sante -, ma ho potuto notare unacosa: prima le comunità straniere eranopiù chiuse su se stesse, ora sono piùdiffuse sul territorio e si ritrovano soloin momenti speciali, come le feste delSeñor de los Milagros e la Madonnadel Cisne. Alcuni vanno anche a messanelle loro parrocchie senza venire sem-pre a quella in spagnolo di San Carlo.Questo è segno di un’integrazione chesta andando avanti: se una comunitàrimane chiusa nelle sue tradizioni, si

insterilisce e muore; se invece partecipaalla vita del nuovo Paese, rimane vivae si aprono per lei nuove prospettive”.

“Ho anche notato - continua - unagrande solidarietà nelle comunità: l’aiu-to reciproco che i sudamericani si dan-no è segno di una fede che c’entra ve-ramente con la vita. Per questa gentenon ha senso andare in chiesa e prega-re se poi non si aiuta il compagno indifficoltà, mettendo in comune soldi ocibo. Hanno veramente molto da inse-gnare a noi cristiani europei, per questoauspico un continuo dialogo nell’inte-grazione, e una collaborazione fra lapastorale dei migranti e quella di altriambienti dove sono presenti stranieri,come le carceri o gli ospedali”.

Alberto Gabbiani

Sopra, da sinistra, José Rufino Terreros e la moglie Rosa Riofrio; sopra, una processione della Virgin del Cisne a Piacenza negli scorsi anni.A lato, un primo piano di padre Sante Zanetti; sotto, un incontro di missionari a Buenos Aires con l’allora arcivescovo Jorge Mario Bergoglio.

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lla processione della Madonna delCisne, il 15 agosto, si radunano fi-no a mille persone. Per il Señor delos Milagros della tradizione peru-viana, in ottobre, si mobilita un ve-ro e proprio popolo. “Si parla spes-so delle radici cristiane dell’Euro-pa, ma la religiosità qui si sta raf-freddando. Invece i migranti dalSud America sentono ancora amo-re per la Chiesa, per la Madonna.È gente semplice, dalla fede sem-plice. Può insegnarci forse a torna-re a questa semplicità”. Suor Ange-lica Barajas delle Figlie di GesùBuon Pastore collabora con lo sca-labriniano padre Giovanni Mene-ghetti nella pastorale agli emigratidall’America Latina. La maggioran-za viene dal Perù e dall’Ecuador,ma non mancano - seppur con nu-meri ridotti - presenze dal Vene-zuela e da Santo Domingo. “Spes-so pensiamo al Sud America comea un blocco unico però ci sono del-le differenze. Pur parlando tutti lospagnolo, anche certe espressionisono diverse. Per noi è una ric-chezza. A me hanno insegnatomolto con la loro devozione e l’at-taccamento alla loro cultura”, sot-tolinea suor Angelica.

Pure lei è una migrante, anchese si è trasferita in Italia non per la-voro, ma per obbedienza ad unachiamata missionaria.

Originaria del Messico, vive aPiacenza dal 2004. In San Carlosegue la preparazione delle cele-brazioni e delle feste mutuate daiPaesi d’origine, la preparazione aisacramenti per gli adulti (“i bambi-ni e i ragazzi li indirizziamo nellerispettive parrocchie, perché fare ilcammino con i loro coetanei aiutal’integrazione”). Fa visita alle fami-glie e ai malati. “Hanno molta fidu-cia nella figura della suora e del

prete, si diventa un punto di riferi-mento”. Così capita che le chieda-no aiuto per il lavoro - “arrivano inItalia in cerca di un futuro miglioreper sé e per i figli, anche se il sognoè tornare a casa un giorno” - o perla casa. “Suor Angelica non fa micai miracoli!”, dice, scherzando, lareligiosa del Buon Pastore. Maquando c’è bisogno c’è sempre.Fosse solo per una parola di inco-raggiamento. A volte, c’è perfinoqualcuno che le chiede di potersiconfessare. “Io ti ascolto, ma aconfessarti devi andare dal sacer-dote”, ribatte lei. Anche questo èun segno che conferma il legamed’affetto con i migranti. Suor Ange-lica è ormai una di famiglia, concui si può parlare di tutto nella pro-

pria lingua madre, che resta la lin-gua degli affetti, delle confidenzepiù intime.

“Sentono molto anche il legamecon la diocesi. Noi lo precisiamosempre: anche se portiamo avantile devozioni e le tradizioni dei Pae-si d’origine, non siamo una Chiesadiversa, siamo parte di questa co-munità diocesana - sottolinea suorAngelica -. Per questo proponiamodi partecipare ad alcune celebra-zioni in Cattedrale, loro vengonovolentieri. Si sentono amati dallaChiesa piacentina, anche grazie alVescovo che li accoglie sempre conaffetto, parlando loro anche in spa-gnolo. È una piccola attenzioneche li fa sentire benvoluti”.

Barbara Sartori

A

Suor Angelica durante un pellegrinaggio.

A CHIESA DEI POPOLI -2 L

“SUORA, MI CONFESSA?”Suor Angelica Barajas, messicana, migrante accanto ai migranti dell’America Latina

17SPECIALE S. ANTONINO

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ogliamo costruire una città delleanime o una città delle pietre?”: èla domanda che non si può bypas-sare, quando si sta per celebrare lafesta del Patrono. Stefano Zama-gni, economista, eletto nel marzoscorso da papa Francesco presi-dente della Pontificia Accademiadelle scienze sociali, è chiaro. L’Ita-lia è a un bivio. Ma ha dalla suauna storia ed un modello di civiltàcittadina unica, che nessun altroPaese al mondo può vantare. Deveripartire da qui, per tornare ad es-sere la culla di un nuovo umanesi-mo che rivitalizza le relazioni civi-che come il tessuto economico.

Il professor Zamagni è l’ospitedell’edizione 2019 della serata vo-luta dalla parrocchia di Sant’Anto-nino in collaborazione con il Co-mune per dare ai piacentini un’oc-casione di approfondimento delledinamiche del nostro tempo. Il do-cente all’Università di Bologna, incurriculum una lunga esperienza distudio e ricerca sull’intreccio traetica ed economia, interverrà allaSala dei Teatini martedì 2 luglio al-le ore 21 sul tema “Quale futuroper le nostre città?”.

— Professor Zamagni, quale è ilrapporto del nostro Paese con ladimensione della città?

L’Italia è un Paese speciale suquesto punto: è in Italia che è statoinventato, tra il 1100 e il 1200, ilmodello di civiltà cittadina, che siriflette perfino sull’architettura. Lacittà italiana - che sia grande o me-dia o piccola - ha un centro, lapiazza, ai cui lati ci sono la Catte-drale, il palazzo comunale e la log-gia dei mercanti, ovvero il luogodelle transazioni. Negli altri Paesiinvece vigeva il modello dell’impe-ro o del regno: tutto era accentratoattorno alla figura del sovrano diturno.

— Questa unicità che conse-guenze ha prodotto nello svilup-po della dimensione cittadina?

Intanto, questo modello ci aiutaa capire come mai in Italia non ab-biamo megalopoli. Abbiamo duemetropoli - Roma e Milano - che

però al confronto con ciò che acca-de a Londra, a Parigi, o altrove so-no poco più che dei sobborghi. Ba-sti pensare che Milano ha 2 milionie mezzo di abitanti, Città del Mes-sico ne ha 22 milioni...

L’avere tante città dislocate sulterritorio è stata la nostra fortunafino al Rinascimento. A partire dal1600, con l’avvento della Rivolu-zione industriale in Inghilterra, lecondizioni strutturali dell’economiasono mutate e l’articolazione intante piccole città, ciascuna conuna propria autonomia, non haconsentito la realizzazione di quel-le che si chiamano economie discala. Ecco perché lo sviluppo hainteressato altri Paesi europei. Pen-siamo a cosa significa, per esem-pio, Londra per l’Inghilterra: metàdel prodotto interno inglese è gene-rato a Londra. Più o meno lo stessoaccade a Parigi per la Francia. Perònegli ultimi decenni c’è un ritornoal modello italiano.

— Come mai?Ci si è resi conto che le mega ci-

ties sono la garanzia del declino e

della immoralità. L’inurbamentoforzato provoca quartieri degradati,che diventano slums, ghetti. A Mi-lano tutti ormai sanno del degradoumano e morale del boschetto diRogoredo: non è un caso che av-venga alla periferia di una grandecittà. La città di piccola e media di-mensione invece è in grado eserci-tare un controllo sociale. All’esterosi sta provando a rivitalizzare i pic-coli centri, ma senza una storia ra-dicata in questa direzione si fa fati-ca. L’Italia ha quindi un vantaggio,ha la possibilità di recuperare lesue tradizioni e tornare grande co-me ai tempi dell’umanesimo e delrinascimento, due fenomeni chenon trovano uguali in nessun altrocontesto al mondo.

— Questa inversione di rotta co-sa impone alla classe dirigente?

La domanda che ci si deve porreè come fare, nella congiuntura pre-sente, a rivitalizzare quel modelloche caratterizza la storia italiana.Tenendo presente la differenza cheCicerone aveva introdotto più diduemila anni fa tra civitas ed urbs.

CONOMISTA ZAMAGNIEUNA CITTÀ DELLE PIETRE O UNA CITTÀ DELLE ANIME?

19SPECIALE S. ANTONINO

L’economista Stefano Zamagni. (foto Archivio SIR)

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L’

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La civitas è la città delle anime, la urbsè la città delle pietre. Noi a cosa vo-gliamo puntare?

Questa è la grande sfida del futuroed è importante che questa domandariecheggi alla festa patronale. Il patro-no in Italia ha sempre avuto questafunzione.

Non è un santo qualsiasi, è il santoche mette la mano sulla città perchéresti la città delle anime, dove non c’èsolo benessere materiale o comoditàdi movimento, ma dove c’è una dire-zione di marcia comune. È per questoche le feste patronali non devono ri-dursi a momento celebrativo di routi-ne. Devono essere aperte a tutti, an-che ai non credenti o aicredenti di altre fedi,per costruire questo co-mune senso di apparte-nenza che aiuta a co-struire la città delleanime.

— Però anche in unacittà piccola, comePiacenza, serpeggiala tentazione delghetto, della paura,della diffidenza. Ache risorse attingereper costruire la cittàdelle anime?

La prima risorsa èquella spirituale, cioèculturale. La paura nonesiste, è uno strumentodi potere. Un esempio: i genitori pocoavveduti per farsi obbedire minaccia-no i bambini con lo spauracchiodell’uomo nero o della strega. Ma lapaura viene inoculata da chi detieneil potere perché così la gente segue ilcapo a testa china senza discutere.Questo bisogna dirlo con forza. E an-che voi giornalisti avete le vostre re-sponsabilità: dedicando pagine e pa-gine ai fatti di cronaca negativi, e solopoche righe alle magnifiche opere dibene che si compiono, diventate com-plici del potere nel creare sentimentidi paura.

21SPECIALE S. ANTONINO

“Casa Madonna delle Vette” adAlba di Canazei, sulle Dolomiti: ilriminese don Oreste Benzi, per per-mettere ai ragazzi di “fare un in-contro simpatico con Cristo”, pensaanche a un luogo per le vacanze.Per seguire gli aspetti finanziari del-

la struttura, il fondatore della Co-munità Papa Giovanni XXIII si ri-volge ad un giovane fresco di lau-rea in economia: Stefano Zamagni.

Inizia così la “carriera” dell’eco-nomista nominato lo scorso marzoda papa Francesco presidente dellaPontificia Accademia delle scienzesociali.

Nato a Rimini il 4 gennaio 1943,Zamagni negli anni giovanili ha fat-to parte della GIAC della diocesi diRimini collaborando con don Benzial suo progetto educativo fra i pre-

adolescenti. Nel ’66 si laurea ineconomia e commercio all’Univer-sità Cattolica del Sacro Cuore diMilano e quindi si specializza adOxford.

Ha insegnato nelle Università diParma e alla sede bolognese dellaJohns Hopkins University. Semprea Bologna, è docente di economiaall’Università degli studi, ricopren-do diversi ruoli, tra cui la presiden-za della Facoltà di economia. È vi-cedirettore, sempre nel capoluogoemiliano, del Senior Adjunct Pro-fessor of International PoliticalEconomy (Sais).

È stato nominato accademicopontificio il 9 aprile 2013, entrandopoi a far parte del Consiglio dell’Ac-cademia.

Fra il 2007 ed il 2009 è tra prin-cipali collaboratori di papa Bene-detto XVI per la stesura dell’Enci-clica Caritas in veritate. È membrodi varie Istituzioni, fra le quali: ilComitato accademico del HumanDevelopment, Capability and Po-verty International Research Centerpresso l’Università di Harvard; ilConsiglio nazionale per il TerzoSettore, a Roma; il Consiglio scien-tifico del programma di dottorato ineconomia presso l’Università Cat-tolica Argentina.

I suoi studi e pubblicazioni ri-guardano l’ambito dell’economiapolitica internazionale, economiacivile, economia ed etica, teorie delcomportamento dei consumatori edella scelta sociale, epistemologiaeconomica.

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Zamagni con papa Francesco. (foto Agenzia SIR)

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L SINDACO BARBIERI I“PIACENZA CRESCE. MA C’È TROPPAPAURA DI GUARDARE AL FUTURO”ue anni fa s’insediava inquesti giorni l’Amministra-zione Barbieri. Reducedall’organizzazione del “Go-la Gola Festival”, che ha va-lorizzato l’enogastronomiapiacentina, e alle prese conla volontà di concentrare ri-sorse economiche e proget-tuali sulla manutenzione or-dinaria e straordinaria dellacittà, tracciamo un bilanciocon il sindaco Patrizia Bar-bieri, che ricopre anche lacarica di presidente dellaProvincia di Piacenza. Saràlei il 4 luglio a offrire il ceroin onore del Patrono a nomedi tutti i piacentini.

— Sindaco, siamo arrivatia due anni di mandato.Di cosa va più fiera finoad oggi?

Sicuramente siamo riu-sciti a creare un metodo dilavoro comune, ovveroquello di fare sistema a Piacenza.Lo si può vedere su quanto si stafacendo per lo sviluppo del marke-ting territoriale e del turismo. Quel-lo che percepivamo lo abbiamo poivisto registrare anche dai dati. Siconferma un turismo in forte cre-scita in provincia e in città. Per unacittà come la nostra, riservata, l’i-dea di fare squadra all’inizio sten-

tava a decollare… Ma nell’ultimoperiodo il “lavorare insieme” hadato i suoi frutti.

In questo 2019 abbiamo scom-messo su diversi eventi. Siamo ap-pena reduci dal “Gola Gola Festi-val” che ha attirato molte personeanche da fuori e fatto da vetrina aiproduttori piacentini: è stato il fe-stival dell’enogastronomia locale.

C’è grande atte-sa poi per lapresentazionedella prossimaGuida Michelin,che ospiteremonoi in autunno.

— Recentemen-te ha premiatoil vescovo Am-brosio per l’im-pegno dellaDiocesi neiconfronti ditutta la comu-nità piacenti-na…

Il rapportocon la Curia èfondamentale.

Sappiamo bene cosa può fare laDiocesi: lavorando in sinergia, so-no venuti fuori risultati eccellentiper la promozione di Piacenza. Ol-tre alla Diocesi, anche la Fondazio-ne di Piacenza e Vigevano e laBanca di Piacenza danno un’ener-gia assolutamente necessaria per lacittà. Grazie all’aiuto di tutti Pia-cenza può crescere e non subirel’influenza degli altri.

— Nella seconda metà del 2019,come Amministrazione, su cosavi concentrerete?

Abbiamo in cassa le risorse perportare a termine diversi progettiche la città attende da tempo. Conla vendita di una parte delle quoteIren abbiamo la possibilità final-mente di concretizzare una serie diinterventi. Quindi saremo concen-trati nel progettare queste opere emanutenzioni straordinarie perspendere i soldi messi a bilancio.Non solo il piano delle opere pub-bliche, ma ulteriori interventi in piùche la cittadinanza chiede su viabi-lità, mobilità, ambiente.

— Siete sempre alle prese con la

Il sindaco di Piacenza Patrizia Barbieri. Sotto, nella foto di Del Papa, il primocittadino durante la recente manifestazione del “Gola Gola Festival”.

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scelta dell’area del nuovo ospeda-le...

Ci siamo assicurati la certezza di po-ter disporre dei finanziamenti della Re-gione per costruire il nuovo ospedale.Entro la fine dell’estate verrà scelta l’a-rea che ospiterà il nosocomio. Sappia-mo che è una scelta decisiva per il futu-ro della sanità piacentina. Anche i piùpessimisti si devono ricredere: l’iterprocede e siamo a un passo dal definirel’area. Così come stiamo seguendo l’iterper trasformare in un parco pubblico laPertite. Un’altra partita importante perla città è il polo del ferro a Le Mose: an-che qui con Rfi si stanno facendo passiavanti per avere i fasci binari e trasferi-re su rotaia un po’ di logistica.

— Il cruccio di questi primi due an-ni di mandato?

Quello che è successo per il verdepubblico: il passaggio dal vecchio con-tratto di gestione delle aree verdi co-munali al nuovo bando ha creato unasituazione di rallentamento che ha da-to problemi. Non era quello che vole-vamo come Amministrazione. Mi di-spiace vedere che ci sono state situa-zioni di manutenzione del verde insofferenza. È sicuramente il mio cruc-cio, mi dispiaccio per quanto si è veri-ficato in città: mi scuso con i cittadiniperché non doveva accadere.

— Piacenza è sempre più anziana e

con meno figli. È un trend incontro-vertibile? Il Comune e la politica lo-cale possono fare qualcosa su que-sto fronte?

Penso che a volte c’è un po’ troppapaura verso il presente e il futuro. Vi-viamo in una società che enfatizzamolto la paura dell’avere figli. A mioavviso, da quella che è la mia posizio-ne ed esperienza, posso affermare chePiacenza è una città in crescita e cheavrà un futuro migliore, essendo unarealtà prosperosa. Non capisco questosentimento di preoccupazione verso ildomani, che influenza molto la possi-bilità di creare una famiglia o di allar-

garla. I messaggi che arrivano non so-no di ottimismo: bisogna recuperareun po’ di fiducia verso il futuro, esserepiù sereni per creare le condizioni per“mettere su famiglia”. Le giovani cop-pie attendono molto per avere figli odecidono di averne solo uno, proprioperché vivono una situazione di gran-de incertezza. Non sto facendo “lostruzzo”: guardandomi attorno possodire che siamo un territorio “ricco”,con imprese che addirittura lamentanodi non trovare lavoratori qualificati. Leoccasioni per costruire il proprio futu-ro, a Piacenza e provincia, ci sono.

Filippo Mulazzi

Il sindaco Barbieri agli Stati Generali della Ricerca. (foto Pagani)

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reare valore, generare ricchezza ecostruire un nuovo senso civico”:sono questi i paletti indicati daldott. Marco Livelli manager delGruppo FFG (presente a Piacenzacon l’azienda Jobs) e vicepresiden-te di Confindustria, per tracciareuna strada che dia all’Italia la forzadi ripartire.

IL DRAMMA DELL’ITALIA: NON SI PROMUOVE LA RICERCA

A pesare non è solo la crisi eco-nomica mondiale, scoppiata nel2007 negli Stati Uniti e che ha

spezzato il sogno di crescita di tan-ti, ma un problema più profondoche da anni affligge il Paese. “Ab-biamo l’arte, si vive e si mangia be-ne - dice il dott. Livelli - ma nonsappiamo offrire ai giovani prospet-tive incoraggianti. Il risultato è chei ragazzi, quelli che hanno la pas-sione di fare, non vedono l’ora diandare all’estero per incontrare unambiente di lavoro che li aiuti acrescere. E per un giovane sonofondamentali i primi cinque annidopo gli studi, sono il periodo-chia-

ve della sua vita professionale. L’U-niversità ti mette in tasca un sape-re, ma non basta; la vera scuola èun luogo stimolante in cui impara-re a lavorare. Il dramma dell’Italiaè che non si promuove la ricerca.Solo la ricerca aiuta le aziende afare meglio, altrimenti prevale l’i-nerzia che le porterà inevitabilmen-te a chiudere. Siamo soffocati dauno Stato che non brilla per effi-cienza e che non sa nemmenoprovvedere a sistemare le buchenelle strade”.

Livelli, manager da tanti anni,ha mosso i suoi primi passi nelmondo del lavoro in una multina-zionale nel settore della consulen-

za a Milano, e dopo altre esperien-ze in multinazionali, in contesti sfi-danti ed internazionali, spesso ac-quistando o rilanciando aziende, èoggi nel Gruppo asiatico FFG. Ra-giona sulle sorti dell’Italia a partireda una recente intervista al nostrosettimanale del presidente di Con-findustria Piacenza Alberto Rota:“Lombardia, Veneto ed Emilia,senza dimenticare il Piemonte, so-no le locomotive dell’Italia. Il Pae-se - spiega Livelli - si muove chia-ramente a due velocità. Il Nord

viaggia al ritmo della Baviera, men-tre il Sud è più lento. Più che pen-sare a colpire l’economia che fun-ziona, lo Stato dovrebbe fare di tut-to per aiutarla a crescere. Vannocolpiti gli evasori e non quelli chelavorano. Il vero tema - puntualiz-za il manager piacentino - è la«creazione del valore», cioè, saperrendere competitive le aziende ita-liane. Se le imprese funzionano ecreano ricchezza, si creano condi-zioni positive per tutti”.

GUAI ALL’AZIENDA CHE DIVENTA TROPPO VECCHIA

“Il futuro dell’economia - prose-gue Livelli - è inevitabilmente lega-to ai giovani. Guai all’azienda chediventa troppo vecchia. Chi è gio-vane ha una motivazione e una vi-talità che sono essenziali per un’a-

Il manager Marco Livelli.

(foto Archivio SIR)

GIOVANI E IL FUTURO DEL PAESEI“IL GRANDE MALE DELL’ITALIA?MANCA IL SENSO CIVICO”

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zienda e possiede le capacità di usareal meglio le nuove tecnologie. Ma perfare questo servono persone con unapassione infinita. La passione, non di-mentichiamolo, nasce dalla fame e dal-la voglia di fare. Chi tra noi ha davverofame? Per questo il rischio che corronoi giovani è l’appiattimento. In Italia diper sé non esiste la disoccupazione, lerichieste di lavoro sarebbero tante maè difficile individuare i giovani talenti.Non si investe nella ricerca e i giovanidi origine straniera spesso dimostranoun’intraprendenza e un desiderio diriuscire molto maggiori dei nostri con-nazionali”..

LA SFIDA: “CREARE VALORE”“Lo Stato italiano butta via i soldi in

inefficienza. I mancati investimenti nel-la ricerca sono uguali alle buche nellestrade. Non si fa più manutenzione eanche la ricerca si fa con quel che c’è.In America nelle università girano fiumidi denaro che vengono riversati sui gio-vani talentuosi. Da noi si rasenta l’as-surdo. Tra pochi anni, è solo un esem-pio, non avremo più medici. Se vuoi di-ventare medico in Italia devi affrontareun test d’ingresso che sembra una rou-lette. Fra dieci anni saremo pieni di me-dici importati dall’estero”.

Le questioni - per Livelli - sono chia-re: “Manca il senso civico e i risultati

sono evidenti. Lo Stato dev’essere unamacchina efficiente, e invece spesso sitrasforma in un carrozzone che fa ac-qua da tutte le parti, vedi il caso Alita-lia. Il settore pubblico ha un rapportocosti-risultati assurdo. Detto questo, cisono davvero molti eroi nel pubblico,che lavorano con grande passione nel-la scuola, nella sanità, nelle forzedell’ordine. Dall’altra parte, molti tro-vano facile fare i furbi, la giustizia hatempi assurdi. In Italia c’è un’econo-mia sommersa e un’evasione fiscaleche fanno paura. Che fare? Partiamocol diminuire il cuneo fiscale, la diffe-

renza tra quanto un’azienda paga equanto invece riceve in tasca il lavora-tore. Soluzioni come il reddito di citta-dinanza e la flat tax, a mio parere, nonportano lontano. È giusto aiutare chiha bisogno, ma col reddito di cittadi-nanza si fa passare la mentalità che al-la fine c’è sempre qualcuno che ci pen-sa. La flat tax, invece, rischia di rivelar-si un boomerang per lo Stato. Proba-bilmente, infatti, si cercherà di abbas-sare le aliquote della tassazione per iredditi fino a 50-60mila euro generan-do una bella operazione elettorale madrenando risorse nelle già povere cassedello Stato. Si continua a redistribuireuna ricchezza che non produciamo.Per questo il vero problema, di cui nes-suno parla, è come generare valore ericchezza. Possiamo anche urlare con-tro l’Europa, ma non possiamo negareil debito che l’Italia ha e che comun-que rimane sempre nostro”.

“Chiudo con un esempio: se un la-voratore che abita a Como si spostanella vicinissima Svizzera, guadagna inmedia il 40% in più. Svizzera che hauna grande una cura delle strade e del-le città. Non è che in Italia ci sianosprechi mostruosi? E perché il senso ci-vico di un danese è molto più alto delnostro? Il danese non butta la carta perterra. Se la butti, qualcuno dovrà poiandarla a raccogliere....”.

Davide Maloberti

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(foto Archivio SIR)

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ESSA IN BASILICA IL 4 LUGLIOM

27SPECIALE S. ANTONINO

ifendere strenuamente i valori dellalibertà, della giustizia e della fede,anche a costo della vita”. C’è un fi-lo saldissimo che lega il patrono diPiacenza, il soldato Antonino vis-suto nel II secolo d. C., e don Giu-seppe Borea, giovane prete di mon-tagna e cappellano dei partigianidurante la Resistenza: entrambimartiri, uccisi in odio alla fede cri-stiana, entrambi capaci di far ri-suonare l’eco potente della loro te-stimonianza nel nostro confusopresente.

Uomini come fari, che indicanoancora oggi una via di speranza al-la comunità.

SUI MONTI DI OBOLO A SPENDERSI SENZA RISERVE

Don Borea, protagonista negliultimi anni, di attente ricerche sto-riche e di pubblicazioni e articoliche ne hanno tratteggiato la figuraumana e la storia esemplare, saràricordato il 4 luglio nell’ambito del-le celebrazioni di S. Antonino. Du-rante la messa delle ore 18 nellabasilica dedicata al Patrono ci saràspazio per rievocare il sacrificio delsacerdote, nato in quello stessogiorno del 1910 nel cuore dellacittà. Un giovane esile, entusiasta,impetuoso e vitale che viene ordi-nato in Duomo il 28 marzo 1936 echiamato dopo un anno a reggerela piccola parrocchia di Obolo, nelcomune di Gropparello.

Tra quei monti don Giuseppe la-scerà un’indelebile traccia di amo-re, spendendosi senza riserve per ifedeli, e sempre lì il suo destino in-crocerà la grande storia, fatta diguerra, di lotte fratricide e di orrori.Sarà l’instancabile cappellano del-la Divisione partigiana val d’Arda,ma soprattutto il prete della miseri-cordia, che tutti accoglie, ascolta,consola; che ricompone, benedicee seppellisce i corpi dei vinti e deivincitori, che si prodiga con cuorecolmo di carità anche per i prigio-nieri fascisti, ricordando a tutti cheogni vita è sacra.

A pochi mesi dalla fine del se-condo conflitto mondiale don Bo-

rea verrà catturato, processato daun tribunale militare straordinario,infangato da calunnie costruite adarte e fucilato da un plotone di ese-cuzione. Il 9 febbraio 1945, pochiistanti prima di morire, pronunceràparole di perdono per i suoi carne-fici, parole che spezzano le catenedell’odio e restano scolpite nellamemoria.

“LUI CI DIEDE DA MANGIARE.POI MI ACCAREZZÒ E MI DISSE: «TI BENEDICO»”

La vicenda di questo piccologrande prete è impressa nel cuoredei piacentini, in particolare di chilo ha conosciuto e amato; tra questici sono i partigiani Ugo Magnaschie Giuseppe Filippa, che con donBorea hanno condiviso un pezzo diquel travagliato cammino verso lalibertà che fu la Resistenza. Filippa,classe 1928, ricorda bene gli annibui della guerra: “Eravamo impauri-ti, ogni sera andavamo a letto vesti-ti, pronti a fuggire. Il 2 maggio 1944ci fu una terribile incursione delleforze tedesche su Piacenza e tutta la

mia famiglia si ritrovò sfollata sopraa Farini d’Olmo. Fu lì che conobbi ipartigiani e i loro ideali, e a soli se-dici anni decisi di unirmi a loro percombattere il regime”.

L’incontro con don Borea viveancora oggi nella mente e nel cuoredi Giuseppe Filippa: “Io e un com-pagno partigiano dovevamo ritirarealcuni rifornimenti presso la par-rocchia di Obolo. Era sera tardi, civenne incontro questo giovane pre-te dall’aspetto minuto, estrema-mente cordiale e premuroso.Chiamò un uomo per aiutarci a ca-ricare i materiali e poi ci fece entra-re in canonica e ci diede da man-giare; ci intrattenemmo a lungo elui ci raccontò cosa accadeva nellavallata. Prima di congedarsi mi ac-carezzò con infinita tenerezza e midisse: «Sei così giovane… ti dò lamia benedizione”. Non lo dimenti-cherò mai, in quell’istante sentiidentro di me una sorprendentesensazione di pace. L’incontro conquel giovane prete di montagna halasciato un segno indelebile, ha li-berato in me un coraggio e una vo-lontà di vivere che nemmeno io co-noscevo. Sono certissimo che la

Da sinistra, i partigiani Giuseppe Filippa e Ugo Magnaschi.

DON BOREA, IL GIOVANE PRETECHE SPEZZAVA L’ODIO

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sua benedizione mi abbia aiutato a so-pravvivere alla guerra, e ad affrontaretutta la vita a venire”.

“PER NOI ERA UN PUNTO DI RIFERIMENTO SICURO IN UN MARE D’INCERTEZZA”

Anche Ugo Magnaschi, nato nel1927 a Montechino di Gropparello,conobbe don Borea durante la guerri-glia partigiana del 1944 e ne ricorda ilprodigarsi senza riserve e l’amore perla sua chiesa e i suoi parrocchiani.

“Portava una croce sulla giacca, enon lasciava mai il suo cappello daprete - racconta -; per noi era un pun-to di riferimento sicuro in un mared’incertezza, di dolore e di paura. Ac-coglieva e aiutava tutti, diceva messa,dava l’estrema unzione e benediva icorpi, avvisava le famiglie dei caduti.Gli ho visto compiere tanti gesti di so-lidarietà e di pietà cristiana: al Colom-bello sopra a Prato Barbieri, nel cam-po di prigionia gestito dai partigianidella Divisione Val d’Arda, si presen-tava ogni due giorni per sincerarsi chei prigionieri fascisti fossero trattati conumanità. Si incaricava anche di racco-gliere la loro corrispondenza per man-darla alle famiglie, e spesso provava aintercedere con i comandanti partigia-ni per evitare ai catturati la fucilazio-

ne, perché per lui erano innanzituttoesseri umani. Non abbandonò mai lasua chiesetta di Obolo, era solidalecon il popolo e la gente lo amava per-ché vedeva in lui la purezza degliideali e la forza di una fede autentica.Il comandante Prati ci disse un giorno:

questo cappellano ci voleva per noi,perché è retto e giusto con tutti, anchecon i nemici”.

È questa l’eredità di don Borea, unamore più forte di ogni ingiustizia e diogni divisione.

Annalisa Gobbi

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Don Borea nel giorno della celebrazione del matrimonio del fratello Carlo conMaria Amabile Chinosi il 3 giugno 1943.

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Palpi Costruzioni s.n.c.Costruzioni edili e ristrutturazioni

Le opere dell’impresa edile “Palpi Costruzioni”

La ditta Palpi Costruzioni opera nel campo dellecostruzioni e ristrutturazioni. L’azienda è costi-tuita dai tre fratelli Palpi: Edoardo, Emanuele ed En-rico, che con passione hanno dato seguito all’inizia-tiva del padre Carlo.L’impresa costruisce e ristruttura unità abitative.

Il lavoro intrapreso viene seguito passo passo concompetenza direttamente dagli imprenditori. Ed è

proprio questa la forza della DittaPalpi, ovvero la cura dei particola-ri e l’assistenza continua dei suoiresponsabili.“Ci interessiamo di piccole e

di grandi ristrutturazioni - spiegaEdoardo Palpi -, dal restyling delbagno a quello di un’intera palazzina o di singoli appartamenti,dal rifacimento di tetti anche in legno coibentati e facciate, allaposa di cappotti termici, dalla costruzione di ville e villette mo-derne, alla ri -strut tu ra zio -ne di rusticiin pietra, il

tutto con la stessa cura e qualità disempre. Curiamo le impermeabilizzazioni delle

zone interrate e il risanamento anti-umidità degli edifici storici”. “Seguiamo anche l’edilizia di culto - prosegue -. Uno dei lavori

in questi anni nelle parrocchie è stata la realizzazione di spoglia-toi per i campi da calcetto delle parrocchie di San GiuseppeOperaio e Caorso (nella foto a destra). Va poi ricordato che an-che per il 2019 per i privati è possibile usufruire degli incentivi fi-scali fino al 50% per le ristrutturazioni e fino al 65% per il rispar-mio energetico sia per i privati che per le aziende”.Tre fratelli, un’impiegata, un geometra e diversi muratori, ol-

tre alla collaborazione di artigiani e professionisti piacentini alservizio della clientela più esigente, per la realizzazione di ognigenere di progetto edile.

Ristrutturazioni, il nostro punto di forza

Palpi Costruzioni s.n.c.Via Merosi, 3 - 29122 Piacenza

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he cosa è chiamata a vivere oggiuna famiglia? Semplicemente a«essere famiglia». Se circola al suointerno un amore vero, la famigliaporta automaticamente nel mondoche ha attorno a sé ciò che deveportare: la certezza di essere ama-ti”. Massimo Vincini e Chiara Soli-nas, lui milanese originario di Ver-nasca, lei piacentina, si sono spo-sati nel 1988 a Piacenza.

Il loro incontro è avvenuto men-tre lui si era trasferito a Piacenzaper frequentare la facoltà di agrariaall’Università Cattolica. Massimo èricercatore all’Ateneo fondato dapadre Gemelli dove dirige a Pia-cenza l’area di telerilevamento delCentro “Crast” che analizza datisatellitari in relazione ai processiproduttivi dell’agricoltura. Chiara èinsegnante di tecnologia alle scuolemedie. “La famiglia è la cellula vi-tale della Chiesa e della società”: aribadirlo, più volte, papa France-sco, in linea con i suoi predecesso-

ri. “Il matrimonio tra un uomo euna donna - aggiungeva nel 2017parlando a un incontro di forma-zione dei parroci di Roma - è segnodell’unione sponsale tra Cristo e laChiesa”.

CANTARE INSIEME PER COSTRUIRE ARMONIA

Massimo e Chiara sono una fa-miglia come tante che affronta lepiccole grandi sfide di tutti i giornicon la luce della fede, capace di ge-nerare rapporti profondi dentro efuori le mura domestiche. La lorovita oggi è legata alla parrocchia diS. Antonino, nella quale partecipa-no al coro che anima la liturgia edè guidato da Anna, la sorella diChiara. “È stata lei ad invitarci apartecipare - raccontano -, dentrodi noi c’era già una forte sensibilitàal canto avendo fatto parte a lungodel Coro Polifonico Farnesiano di-retto dal maestro Pigazzini”.

Massimo come voce è un basso,

mentre Chiara è un contralto.“Cantare è per noi un’esperienza digrande comunione che ci trasmettedavvero tanta gioia. Pregare e can-tare insieme agli amici rende piùfacile e bella anche la partecipazio-ne alla liturgia. Non si canta da so-li, ma insieme: il coro ti aiuta ametterti in relazione con gli altri e acreare armonia con loro”.

A volte potrebbe sembrare che illegame con la Chiesa sottraggatempo ed energie al lavoro e alleresponsabilità familiari. Per Massi-mo e Chiara la parrocchia però nonè solo un riferimento istituzionale,ma una comunità con cui vivere ecamminare.

Per Chiara il contesto sociale incui viviamo è piuttosto indifferentealla fede e secolarizzato: “Occorreuna vera e propria difesa dell’uma-no aiutando i figli soprattutto neglianni dell’infanzia e l’adolescenza.Nel nostro caso abbiamo cercato divivere l’incontro cristiano per tra-smettere loro la fede per contatto,

NA RISPOSTA ALLA CRISIUFAMIGLIA CAPUT MUNDI. “LA FEDE È IL LIEVITO DI TUTTO”

Chiara Solinas e Massimo Vincini al matrimonio di Giulio, il primo deiloro tre figli, il 27 dicembre 2018 in Argentina. Sotto, nel 2013 al 25°anniversario delle loro nozze.

“C

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attraverso le scelte del vivere quotidia-no. I nostri figli hanno ricevuto diverseproposte legate alla fede, lasciandosempre a loro libertà di scelta. I risulta-ti non sono sempre stati positivi, maconfidiamo nella Provvidenza che ha acuore ciascuno dei suoi figli: nelle no-stre mani abbiamo poco ma quel pocodobbiamo donarlo”.

“DIO PADRE TI AMA”: LA CERTEZZA DA COMUNICARE AI FIGLI

“La prima cosa da comunicare ai fi-gli - aggiunge Massimo - è la certezzache qualcuno li ama, qualcuno di piùgrande di noi genitori, cioè Dio Padre.La fede in Lui è la sola forza che ti per-mette di affrontare e superare le diffi-coltà. Penso alla diversità di caratteretra Chiara e me, alla morte di personecare... Il legame che si crea negli anniin famiglia è un legame esistenziale,così profondo che ti definisce comepersona e ti permette di alzarti ognimattina con un progetto, che ci fa sen-tire creature amate in cammino versoil nostro destino ultimo”.

“Quando abbiamo chiesto aiuto aDio - aggiungono -, la sua risposta nonè mai mancata. La fede definisce lapersona, noi e l’altro, nel suo valoreeterno ed inestimabile”. “La fede - pre-

cisa Massimo, che frequenta gli incon-tri di Scuola di Comunità con il movi-mento di Comunione e Liberazione - ticomunica un giudizio sulla vita: tuttodiventa più chiaro e cambia il modo diguardare tutto. Ti accorgi che la moglieche hai accanto è una creatura di Dioanche lei come te, una creatura da ac-cogliere ed amare; e poi avverti il biso-gno interiore di essere continuamenteamato perdonato, cosa che dà la forza

di accettare e perdonare più facilmen-te gli altri. Se la fede sopravviverà, nelmezzo dell’individualismo estremo delmondo occidentale, dipenderà secon-do noi largamente da questa forza rap-presentata dalla famiglia, che è la basee l’embrione della comunità umana.La famiglia cristiana è il lievito di unaciviltà nuova e un’autentica promessadi bene”.

Stefania Micheli

Una parte del coro della parrocchia di S. Antonino diretto da Anna Solinas.Chiara è al centro con la chitarra, Massimo è il primo a destra.

Piacenza, via del Tempio 29 (Piazza della Prefettura)Tel. 0523.327273 Fax 0523.309214

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A PIACENZA VERSO IL MONDO DUNA NUOVA GENERAZIONEDI GIOVANI EUROPEIedere andare via i giovanilaureati che si sono formatiqui? Un autogol che nes-sun territorio si può per-mettere. La pensa così Nic-colò Morelli, piacentino26enne, che dopo il lingui-stico al liceo Gioia, si è lau-reato alla triennale in so-ciologia alla Cattolica. Haproseguito con la speciali-stica a Bologna, dove in se-guito ha vinto un dottoratodi ricerca. All’interno deldottorato è previsto un pe-riodo all’estero, per duevolte è così stato - per untotale di 7 mesi - all’univer-sità di Sciences Po a Parigiin Francia.

“Ora - spiega il giovane -sto terminando il dottorato:poi mi piacerebbe sicura-mente rimanere nell’ambitoaccademico in Italia, ma ilpanorama nazionale uni-versitario è abbastanzasconfortante. I finanzia-menti sono sempre meno,vedremo se c’è questa pos-sibilità”.

Andare a vivere all’este-ro per lavorare è un’opportunità,una necessità o un dramma? “Èun’opportunità se uno parte con l’i-dea di fare esperienza per un certoperiodo e sa che poi può rientrare

per lavorare. Altrimenti si chiamaesodo, ovvero emigrare per fare ciòper cui hai studiato e che vuoi fare.Il sistema d’istruzione italiano avràalcune pecche, ma dà tanto: è bello

restituire nel tuo Paese gliinvestimenti che sono statifatti per permettere lo stu-dio. Ma l’Italia non mettenelle condizioni di dare uncontributo e forza così atrasferirsi all’estero. Nelleaziende italiane il dottoratoquasi non conta nulla; ep-pure, si trovano di fronteun giovane che è più ag-giornato di altri sulla ricer-ca e che potenzialmente èin grado di fare innovazio-ne”.

LO SCOUTISMO: ESPERIENZA DI CRESCITA

Niccolò è molto legatoall’esperienza scout. “Sonocapoclan del Piacenza 1° –racconta -, la realtà Agescidella parrocchia diSant’Antonino. Ho iniziatoa 7 anni. E pensare cheche i miei genitori si eranoconosciuti proprio a uncampo scout... Quest’espe-rienza mi ha dato valori

fondamentali per la mia crescita,sia professionale che civica: hosempre cercato di seguire il mottodel fondatore Baden-Powell, «la-sciare il mondo migliore di comel’abbiamo trovato», valore «poten-te» in cui mi ritrovo. Lo scoutismopromuove esperienze forti che con-tribuiscono a costruire rapporti verie significativi, amicizie importantinella vita”.

“GIOVANI BLOCCATI NELLE PERIFERIE”

Ti senti un cittadino europeo?“Assolutamente sì - risponde il gio-vane convintamente -, ho avutol’opportunità di viaggiare e viverel’Europa. In altri continenti sarebbepiù difficile anche solo potersi tra-sferire da uno Stato all’altro, o stu-diare. A Parigi ho vissuto a strettocontatto con ragazzi greci, taiwane-si, messicani, tedeschi, finlandesi.

Niccolò Morelli, il primo a sinistra, ad una SummerSchool a Milano. Sotto, con un gruppo Scout du-rante un’uscita.

V

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Insieme abbiamo festeggiato nel di-cembre 2017 il centenario dell’indipen-denza della Finlandia. Lontano da ca-sa, sei spinto ad andare incontro aglialtri e a creare legami molto forti. La fe-de ti aiuta; nell’incontro con gli altri –ricordo la condivisione di esperienzecon un pakistano -, cerchi ciò che tiunisce, non ciò che divide”.

L’europeismo però è un sentimentoin crisi in questo momento, anche trai più giovani. “Occupandomi di socio-logia urbana - riflette il 26enne - os-servo che i giovani vivono con duetendenze diverse il loro rapporto conl’Europa. Da una parte coloro chesfruttano le possibilità di connessionee viaggiano, e così si sentono europei.Poi ci sono dei giovani «bloccati» nel-le periferie delle città e nelle aree in-terne che si stanno impoverendo sem-pre di più, che non hanno un lavorofisso e faticano a costruirsi una fami-glia: non si sentono per niente euro-pei, ma non si sentono neanche con-siderati dallo Stato italiano. Sono duetendenze e approcci compresenti nel-la stessa generazione di giovani italia-ni. Sto anche pensando a un progettodi studio grazie al quale poter intervi-stare i giovani italiani, dall’ingegnereal cameriere, che vivono all’estero perpoter cogliere le loro aspettative e illoro sguardo sull’Italia di oggi. Chissàche non possa essere anche uno spro-

ne per la nostra classe politica adaprire nuove strade”.

“LA PRIMA GENERAZIONE PIÙ POVERA RISPETTO AL PASSATO”

Anche in altri Paesi, in base alla tuaesperienza, cresce questo risentimen-to? “L’Italia parte più svantaggiata,perché abbiamo barriere linguistichepiù resistenti - mediamente i giovaniitaliani parlano meno le lingue stranie-re - e si investe meno in cultura. Maanche negli altri Paesi cresce questatendenza, perché per la prima voltanella sua storia l’Europa vede una ge-nerazione più povera economicamentedi quella precedente. E ogni Paese de-clina in maniera diversa questa reazio-ne popolare: Oltralpe, ad esempio, lasituazione dei francesi di seconda ge-nerazione nelle banlieues è più graveche nelle nostre periferie”.

SE PIACENZA PERDE I SUOI GIOVANI

Niccolò ha vissuto a Parigi in unperiodo non banale della sua storia,dopo gli attentati e durante la rivoltadei “gilets jaunes”. “È una città cara –ricorda -, carissima, in continuaespansione e trasformazione, entro il

2050 raddoppierà le sue dimensioni.Però è incredibile, ha una grande cul-tura, dà un sacco di opportunità e at-tira grandi energie dal mondo. Milanoè l’unica metropoli italiana che haqueste caratteristiche. Ma nel NordItalia abbiamo anche piccoli centriproduttivi che hanno grandi capacitàinnovative, come, ad esempio, è Carpinell’ambito del distretto industrialemodenese”.

E la nostra Piacenza? “Città tran-quilla, con le sue sicurezze, ma che sista un po’ buttando giù. Siamo a un’o-ra d’auto da Milano, ma ne siamotroppo dipendenti. La cosa più grave èche sta perdendo i suoi giovani laurea-ti. Qua vengono formati, nelle scuolepiacentine, nelle due università, nei seiatenei milanesi o a Parma. Piacenzafatica a valorizzare le sue esperienze econoscenze: quanti di questi laureatitrovano lavoro nella nostra provincia?Nella nostra realtà abbiamo fatto unascelta importante, forte: quella di inve-stire sulla logistica. Scelta che perònon attrae lavoratori qualificati, perchénon servono ingegneri. Però intanto lacittà e la provincia hanno speso molterisorse per formare i nostri ragazzi, perpoi vederli andare via con rassegnazio-ne. E spesso questi ragazzi, costretti aemigrare per lavorare, vengono anchecriticati. Così non va”.

Filippo Mulazzi

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l presbiterio della basilica diSant’Antonino è un vero trionfo delBarocco, scenografico e fastoso.Intotale contrasto con l’esterno chenel lato ovest, verso la piazza, sipresenta sobrio e austero con volu-mi di rigorosa geometria che si apro-no su via Scalabrini in un monu-mentale atrio gotico, con un altissi-mo arco ogivale che è un invito adentrare… ecco che, una volta entra-ti, tutto cambia.

DALLA NAVATA CENTRALE AL PRESBITERIO

Accolti dalla penombra del “tran-setto”, percorsa poi la navata cen-trale, ci dirigiamo verso l’altar mag-giore. Qui ci accoglie uno spaziograndioso, introdotto dalle monu-mentali cantorie dorate, capolavoridi invenzione e di intaglio dell’arti-sta romano Giovanni Battista Setti(1702-1705). Sono due linguaggi,due mondi molto diversi: il severoMedio Evo all’esterno, qui il magni-loquente Barocco.

Visitiamo ora il presbiterio che cipresenta tra gli altri un vero tesorod’arte: il ciclo pittorico realizzato daRobert De Longe, detto il Fiammin-go, negli anni 1693-95.

Dobbiamo prima ricordare che il

In particolare si sottolineò la centra-lità della celebrazione eucaristica edella figura di Gesù glorioso Reden-tore del mondo. Si ritrovò allora an-che nuova importanza, e devozione,per i Martiri dei primi secoli cristia-ni: con la loro testimonianza furonoveri pilastri fondanti della Chiesa.Per noi Sant’Antonino.

Il nuovo presbiterio fu interessatoin tappe successive da vari interven-ti: per prime furono affrescate le vol-te (Camillo Gavasetti, 1624-1628),con scene tratte dall’Apocalisse diSan Giovanni; verrà poi un bellissi-mo altar maggiore, un coro ligneocon gli stalli intagliati…; fu poi lavolta delle decorazioni in stucco,preparando così una ricca corniceper le enormi tele commissionate daiCanonici della Basilica al pittore De

pittore viene ad arredare uno spazio“nuovo”, realizzato nel 1562 quan-do venne abbattuta l’abside medie-vale per creare il nuovo presbiterio apianta quadrangolare e di più ampieproporzioni, in attuazione del pro-gramma post-conciliare. Il Conciliodi Trento (1545-1563), aperto da pa-pa Paolo III Farnese, si occupò diproblemi teologici; ne scaturironoanche disposizioni pratiche inerentigli spazi sacri, gli arredi, la liturgia.

Longe, allora al culmine della fama.La scrittura di Convenzione per “licinque quadri del Coro della chiesa diSant’Antonino” fu redatta “a dì 1marzo 1693”. Verrà narrata per im-magini la vita del santo patrono, an-cora oggi assai venerato: infatti inquesti mesi è anche oggetto di visitala chiesa di Santa Maria in Cortinacon la “discesa all’ipogeo”, sepolturadel santo (ricordo che in età romanaqui si trovava una necropoli).

IL LUNGO VIAGGIO DA BRUXELLES A PIACENZA

Il pittore De Longe, nato aBruxelles nel 1646, era sceso in Ita-lia per un necessario viaggio di ag-giornamento per conoscere l’arteitaliana: vera rivoluzione culturale,passando dall’arte nordica al nostroRinascimento e al Barocco. Risalen-do la penisola, ebbe delle commis-sioni di lavoro a Cremona, quindiper la Collegiata di Monticelli d’On-gina; giunse a Piacenza nel 1685,probabilmente chiamato dal vesco-vo Giorgio Barni, suo estimatore emecenate, per affreschi nel transettodella Cattedrale (ciclo quasi tuttoperduto), rimane il frammento “LaRisurrezione di Cristo”, ora all’in-gresso della cappella del battistero.

Furono per il Fiammingo lunghianni di intenso lavoro, per chiese epalazzi; si sposò ed ebbe famiglia,abitò presso il Duomo, poi in Stra-done Farnese al numero 18: fu dun-que parrocchiano di Sant’Antoninodove alla sua morte fu sepolto (an-no 1709).

LE GRANDI TELE DEDICATE AL MARTIRE ANTONINO

Il De Longe realizzò grandi tele(cm 315 x cm 555) racchiuse in fa-stose cornici in stucco (cm 450 x cm750), straordinarie invenzioni che siconcludono alla sommità con dueangioletti recanti un cartiglio: in lati-no, vi è indicato il titolo della telasottostante. Il tema complessivo ri-guarda la vita, la morte, il ritrova-mento e il nascente culto del Santomartire.

I

‘ARTISTA FIAMMINGOLLE TELE DEL DE LONGE NARRANOLA VITA DI SANT’ANTONINO

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La tela del De Longe raffigurante la “Predicazione di Sant’Antonino”. (foto Ufficio Beni culturali ecclesiastici, diocesi di Piacenza-Bobbio)

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Sul lato destro, partendo dal fondo,vediamo: la “Predicazione di Sant’An-tonino”. Siamo all’inizio del terzo seco-lo, l’età dell’imperatore Diocleziano. Ilgiovane ex legionario romano si rivolgealla folla accorsa ad ascoltarlo: annun-cia la Buona Novella e la sua conver-sione; a sinistra scaturisce miracolosa-mente una sorgente per dissetare i pre-senti; in primo piano una giovane ma-dre con due figlioletti, sulla destra unasolenne figura di vegliardo; la scena sisvolge in un paesaggio sereno.

Segue l’episodio della “Decapitazio-ne di Sant’Antonino”: qui il drammadella decollazione è amplificato da ge-sti concitati e volti drammatici del grup-po dei presenti assiepati sulla sinistra;forte il gesto deciso del carnefice, sere-na l’espressione del Santo inginocchia-to, gli occhi fiduciosi rivolti al cielo.

Il dipinto sul lato sinistro del presbi-terio ha per protagonisti soprattutto dueAngeli ad ali spiegate, seguiti da ungruppo di personaggi stupiti; rappresen-ta la “Traslazione del corpo del Santo”e la barca dove i due angeli trasportano

il capo - ormai cereo - del Martire de-collato, e l’ampolla che ne conserva ilsangue versato. Ultima tela: una granfolla assiste al “Ritrovamento del corpodi Sant’Antonino”; era stato sepolto inun ipogeo (tomba a pozzo), là dove oraè la chiesa di Santa Maria in Cortina; furinvenuto nel quarto secolo dal vescovoSavino - presente sulla destra nel dipin-to - e traslato nella chiesa-martyrion giàedificata dal protovescovo Vittore: pres-so il suo sepolcro fu deposto il Santo.

Di questi due ultimi dipinti si conser-vano nel Museo della basilica i bozzet-ti, quadri preparatori di piccole dimen-sioni, realizzati con pennellata frescaed immediata.

Nei grandi “teleri” il De Longe descri-ve efficacemente l’evento rappresentato,non solo attraverso le figure dei prota-gonisti, ma scegliendo ogni volta la giu-sta gamma cromatica, ora chiara orapiù cupa, vivificata da precisi contrastidi ombre e improvvisi lampi di luce.

Tutto il ciclo trova armonia e conclu-sione nella tela della parete di fondo,vera pala d’altare; il tema è “Sant’Anto-

nino indica a San Vittore la reliquia del-la Sacra Spina”. A sinistra nel dipinto sistaglia la figura atletica del giovane An-tonino, il bel volto sereno, il gesto effi-cace del braccio destro che indica in al-to il reliquiario della “Sacra Spina” rettoda due angioletti, in un cielo dorato che

è la luce del Para-diso; in basso a de-stra il vescovo Vit-tore, inginocchiato,in stupita adora-zione.

Opera del DeLonge sono anche

le belle decorazioni che ornano lequattro “paraste” che scandiscono lepareti del presbiterio: festose composi-zioni di angioletti ed elementi vegetalisu un prezioso sfondo aurato che sem-brano accompagnare il visitatore nelsuo percorso.

Per altre notizie sul De Longe vedi, della scrivente: “Il Nuovo Giornale”, 16 maggio 2019 pag. 6. Per approfondire, cito la grande monografia: AA.VV. a cura diF. Arisi, per la Fondazione di Piacenza e Vige-vano, Tip.Le.Co. 2012.

Mimma Berzolla

41SPECIALE S. ANTONINO

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delle famiglie

Nelle foto,due delle teledel De Longe,custodite nelpresbiteriodella basilica di S. Antonino:sopra, il “Ritrovamentodel corpo” del Santo; in alto, la“Traslazionedel corpo” del Patrono. (foto UfficioBeni culturaliecclesiastici,diocesi di Piacenza-Bobbio)

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ccompagnare dei piccoli a ricevereun sacramento, vuol dire soprattut-to scoprire la ricchezza del Vangeloche rivela sempre aspetti inesplora-ti… parlare di un Padre misericor-dioso che sempre attende il nostroritorno è stato come riappropriarsidell’unica cosa che rimane saldanel tempo: essere attesi e amati daun Padre che si rivela, oggi, perme, nella comunità cristiana; il fi-glio che lascia la casa ha richiama-to i tanti tentativi di cercare una li-

bertà dove siamo noi a dettare lalegge; il figlio che si sente “trascu-rato” anche se “giusto” ha messoin luce una “figliolanza” a volte so-lo formale…

Anche l’incontro di Gesù conZaccheo ha ribadito che, se soloabbiamo il desiderio di conoscer-Lo, il primo passo lo fa Lui: a noirimane il compito di risponderecon gioia alla Sua chiamata…

Ecco perché accompagnare i

bambini alla Prima Confessione di-venta un personale cammino di fe-de… anche per le catechiste…!

Beatrice, Mariateresa e Sannita

“Per me è stato bello perché dopola confessione mi sono sentita piùpulita e più in pace con i miei amicie sono fiera che Gesù mi ha perdo-nato”

Anna

“Quando ho fatto la mia primaconfessione mi sono sentito liberodai miei peccati e più contento. Gra-zie, Gesù!”

Leonardo

“A me la «Festa del perdono» èpiaciuta molto perché dopo che misono confessato mi sono sentitoun’altra persona, con la voglia di es-sere più bravo”

Edoardo

“Ero molto commossa nel vederemio figlio nel suo primo colloquiocon Gesù”

Giovanna

“Quando aspettavo ero emozio-nata e felice perché ad accompa-gnarmi c’era mia fratello. Dopo es-sermi confessata mi sentivo più puli-ta e con il cuore puro”

Flaminia

“La sera della prima Confessione,abbiamo chiesto a nostrofiglio quali erano state lesue sensazioni. Ci ha ri-sposto dicendoci che eramolto emozionato e «se-rio» e che si è sentito im-portante e che poi quandoil sacerdote gli ha dettoche Gesù gli aveva perdo-nato tutti i peccati eramolto contento. Ma poi hasubito rivolto anche a noila stessa domanda e gliabbiamo così confermatoche, come lui, anche noiconfessando i nostri pecca-ti eliminiamo tutti quegliostacoli che ci impedisco-no di stare vicini a Gesù edi essere perdonati/amatiin ogni momento della no-stra vita”

Gianni

“Quando vado a con-fessarmi è come se il miocuore si aprisse per far en-trare Gesù”

Rachele

“Per me è stato moltobello vivere il rito dellaconfessione con mia figliaed accompagnarla dal sa-

cerdote. Arrivavo da una giornatatroppo frenetica e tra me e me hopensato che non sarei riuscita adaiutare mia figlia nella preparazionespirituale di quel momento. Dopo ilrito però ho avuto voglia anch’io diconfessarmi e di condividere più afondo l’intimità con Cristo che per-dona sempre le mie mancanze, e af-fidando a Lui Rachele mi sono senti-ta amata così come sono”

Stella

AFESTA DEL PERDONO: L’ABBRACCIODEL PADRE MISERICORDIOSO

ARROCCHIA: VIVERE IL SACRAMENTO DELLA RICONCILIAZIONELA P

Il gruppo dei bambini, con le loro catechiste, che l’11 maggio hanno vissuto per laprima volta il sacramento della riconciliazione.

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orse non basterebbe una vi-ta intera per prepararci adaccogliere Gesù, ma noi ca-techisti insieme ai bambinidel terzo anno ci abbiamoprovato, passo dopo passo edomenica dopo domenica.Innanzitutto, cercando di ri-trovare nella nostra memo-ria quanto sperimentatol’anno precedente per poicontinuare, con entusiasmo,la ricerca di tutti quei valoricontenuti nel Vangelo chepossono orientare il nostroagire. Per esempio i valoridel perdono, della comunio-ne, della condivisione nellacertezza che Gesù è semprepresente nella nostra vita.

Cessata la frenesia deipreparativi, placate le ansiee i timori, i bambini hannopotuto così ricevere per laprima volta il Corpo e Sangue diGesù e vivere in pienezza l’incontrocon la Sua presenza invisibile maviva. Una celebrazione vissuta in-tensamente da tutta la comunità,uniti in un profondo raccoglimentoaccompagnato dai bellissimi cantidel nostro coro parrocchiale.

“Questa notte non sono riuscito adormire al pensiero che Gesù venivada me per la prima volta” ci ha con-fidato Andrea. E Martina ci ha det-to: “ero così emozionata davanti aldon quando ho ricevuto la Comu-nione!”. Veronica aggiunge: “erava-mo tutti vestiti di bianco, alcune ra-gazze con la coroncina di fiori in te-sta, tutti in processione verso l’altare,ma la gioia più grande è stato riceve-re Gesù nelle due specie, anche se ilsapore del vino non mi piace tanto,sono riuscita a non pensarci perchéero felice di riceverLo dentro di me”.

Alcuni genitori ci hanno detto:“È stata una celebrazione stupenda,tutto organizzato nei minimi dettaglie ci siamo anche commossi”.

Da parte nostra, come catechi-sti, ci sentiamo di dire un graziesentito a tutti i genitori e ai bambi-ni per i bei momenti che ci hannoregalato. Ci rendiamo conto chec’è stato uno scambio prezioso ereciproco: noi abbiamo cercato diaiutare i bambini nel loro cammino

di fede ma anche loro ci hanno do-nato molto attraverso il “viaggio”vissuto insieme, la partecipazioneassidua e sentita agli incontri, l’af-fetto dimostratoci, l’ascolto attentoe il loro porgerci domande anchedifficili e curiose. Tutti insieme ge-nitori, bambini e catechisti ringra-ziamo con molta riconoscenza donGiuseppe che ci ha sostenuto nelnostro cammino.

Elena, Margherita, Jonathan e Teresa

“Il giorno della mia prima comu-nione ho provato molta felicità edemozione di ricevere per la primavolta Gesù nella celebrazione eucari-stica e mi impegnerò per essere sem-pre fedele a Dio e rispettarlo nellamia vita. È stata un’esperienza indi-menticabile che rivivrò ogni domeni-ca a messa. Sono stata davvero for-tunatissima a vivere questo momen-to nella mia parrocchia con la miafamiglia, i miei amici e tutte le perso-ne che mi vogliono bene”.

Benedetta

“Mi colpiscono sempre l’intimità ela semplicità contenute nel giornodella «Prima Comunione». Il viverela comunione come una grande fa-miglia, dove i bambini vengono«presi per mano» e accompagnati in

questo cammino di fede così impor-tante. Mi auguro che il ricordo diquel giorno rimanga impresso nei lo-ro cuori per sempre. Mi ha emozio-nato ancora domenica scorsa vederemio figlio ricevere per la sua secondavolta la comunione con compostezzae con consapevolezza. Spero con tut-to il cuore che continui a crescerecon questa purezza guidato dai va-lori cristiani. Grazie ancora per il la-voro che voi come parrocchia fateper i nostri ragazzi”.

Angela

“Sono stato molto felice anche seero un po’ agitato e molto emoziona-to. Ho provato tanta gioia e mi sonosentito in comunione con gli altri,ma soprattutto con Gesù”.

Filippo

“Caro Gesù, ti ringrazio per aver-mi dato la tua amicizia e per la Co-munione che ho ricevuto qualchegiorno fa. Così sei ancora più vicinoa me e mi proteggi aiutandomi adessere un bambino sempre migliore.Io mi impegnerò e cercherò di segui-re i tuoi insegnamenti”

Kidus

La comunione è un atto di amici-zia e amore infiniti con Gesù.

Annachiara

I BAMBINI E LA GIOIA DI FARECOMUNIONE CON GESÙ

F

Il gruppo dei bambini che hanno ricevuto il 26 maggio nella basilica di S. An-tonino la Prima Comunione con don Giuseppe e i catechisti.

(foto Giancarlo Fava Studio Immagine)

ARROCCHIA: CELEBRARE IL SACRAMENTO DELL’EUCARISTIALA P

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nche quest’anno 28 ragazzi e ra-gazze della nostra comunità par-rocchiale, guidati con entusiasmoe fedeltà dalle catechiste suor Giu-seppina, Anna, Isabella, Rita, Ma-riarosa e Gaia, hanno ricevuto ildono del sacramento della Confer-mazione. È stato il gioioso compi-mento di un cammino di fede chela nostra comunità ha proprostoloro nel corso di sei anni. La cele-brazione si è svolta in Cattedralealla presenza del vescovo mons.Gianni Ambrosio il 9 giugno, so-lennità di Pentecoste.

Ringraziamo il Signore perquanto abbiamo potuto condivi-dere con questi ragazzi e le lorofamiglie. La speranza è che per al-cuni di loro ci sia la possibilità didare continuità a questo camminodi crescita all’interno della nostraparrocchia partecipando al gruppogiovanissimi, mettendosi a servi-zio dei più piccoli e prendendoparte attivamente alla celebrazio-ne eucaristica domenica.

Buon cammino a tutti!!

“Nel mio percorso di catechismomi sono divertito molto, ho fattonuove amicizie e ho imparato aconfrontarmi con gli altri anche suargomenti seri e delicati. Ho impa-rato ad ascoltare gli altri e ancheme stesso, a guardarmi dentro. Hogiocato, riso, scherzato ma sonostato anche serio e pronto all’ascol-to. Sono stati sei anni belli e intensima rispetto ai miei compagni sonopartito rassicurato perché con mec’erano Anna e don Giuseppe chegià conoscevo e la mia mamma enon nascondo che spesso ero gelo-so, soprattutto quando coccolava ipiù timorosi.

Grazie a suor Paola, Rita, Ma-riarosa e suor Giuseppina per la lo-ro preziosa testimonianza di fede.Mi auguro che lo Spirito Santo di-scenda si di me e su tutte le personea me care e mi accompagni per tut-ta la vita, anche quando sarò di-stratto da altre cose”.

Luca

“Forse ancora non ho capito be-ne il significato della Cresima mauna cosa la so: Gesù mi è vicino da

sempre e da oggi anch’io sarò piùvicino a Gesù”

Francesco

“Vieni Spirito e scendi su dinoi…” E proprio così è stato! Do-menica 9 giugno nel silenzio auste-ro e composto della cattedrale unaluce ci ha illuminati e ora noi por-tiamo questa luce nel mondo: a ciòsiamo chiamati. Mi sono preparataper tre anni a ricevere questo sacra-mento ed è stato un percorso bellis-simo, costellato di incontri signifi-cativi, amicizie che si sono consoli-date e la scoperta di una stima cre-scente delle nostre catechiste. E do-po averla ricevuta, devo dire cheper me la Cresima non è un muroche chiude un percorso, ma unaporta che ne incomincia uno nuo-vo”

Emilia

“Spirito Santo, aiutami a portarenel mio cuore la Parola di Gesù inuno dei momenti più importantidella mia vita cristiana. Aiutami inmodo che io compia numerose ope-re di bene. Aiutami ad avere un’a-nima pura. Aiutami a capire al me-glio l’importanza della Conferma-zione. Aiutami a trovare la via della

pace. Fa’ crescere nel mio cuore ilfiore della bontà”.

Cecilia

“Essere catechista oggi in una so-cietà piena di contraddizioni non èaffatto facile, anzi è una sfida conti-nua perché significa essere testimonifedeli della Parola di Dio nei con-fronti di tutti. In questi anni, comecatechiste, abbiamo cercato di man-tenere vivo nei ragazzi il loro incon-tro con Gesù: esperienza impegnati-va, ma era il nostro obiettivo princi-pale. Il giorno della Cresima, quan-do abbiamo visto tutti i ragazzi, bel-li, composti, così cresciuti da doveralzare la testa per incontrare il lorosguardo, la nostra mente è tornata asei anni fa quando erano dei bambi-ni; abbiamo rivissuto commosse ilcammino compiuto insieme. Speria-mo di aver dato loro una buona te-stimonianza, un seme, che alimenta-to dallo Spirito Santo possa sboccia-re e portare buoni frutti.

Sia Maria la vera madre di tuttinoi e protegga questi ragazzi nel lo-ro cammino verso l’età adulta, ver-so la maturità della fede. Questo èil nostro augurio come catechiste ecome mamme”.

Isabella

CAMMINARE CON LA FORZA DELLO SPIRITO SANTO

A

ARROCCHIA: LA CONFERMAZIONE PER 28 RAGAZZILA P

Il gruppo dei ragazzi che hanno ricevuto la Confermazione il 9 giugnoin Cattedrale con don Giuseppe e i catechisti.

(foto Giancarlo Fava Studio Immagine)

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