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www.risparmiolandia.it Gellindo Ghiandedoro e gli orchetti furiosi - 3 FIABAROMANZO DELL’ESTATE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER

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FIABAROMANZO DELL'ESTATE

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Gellindo Ghiandedoroe gli orchetti

furiosi - 3FIABAROMANZO DELL’ESTATE - FIABA DI MAURO NERI - ILLUSTRAZIONI DI FULBER

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Gellindo Ghiandedoro e gli orchetti furiosi - 3

(Riassunto delle puntate pRecedenti)Altro che un esercito di “trecento” orchetti: sono solo tre, i terribili orchetti che hanno rubato di notte tutte-tutte-tutte le castagne del Bosco dei Vecchi Ricci! Gli orchetti in questione si chiamano Anastasio, Timoteo ed Ermelinda: vivono in una vecchia tana di volpe e delle castagne rubate hanno fatto grande indigestione. I nostri amici del Villaggio degli Spaventapasseri, però, non sanno che quando un orchetto fa indigestione, e soprattutto un’indigestione di castagne buone, grosse e dolci, diventa ancor più cattivo di quel che normalmente è... Ecco allora che, quan-do scoppia un incendio nel Bosco delle Venti Querce, un incendio alquanto strano, perché le fiamme non bruciano e il fuoco non scotta, Gellindo Ghiandedoro, la civetta Brigida e gli amici spauracchi capiscono subito di chi può è la colpa: dei tre orchetti cattivelli e dispettosi.

un po’ di pioggia a ripulire ogni cosa – esclamò Fra’ Vesuvio, che fu il primo a sentire le gocciole cadere dal cielo.

In meno di dieci secondi le nuvole in cielo si aprirono e un’autentica cascata d’acqua cadde dall’alto, inon-dando i campi, i viottoli e le valli più piccole. I torrenti s’ingrossarono paurosamente e i ponticelli rischiaro-no d’esser portati via da quella furia inattesa e violenta.

– coRRiamo tutti ai RipaRi! – strillò la civetta Brigida, volando a rifugiar-si sotto le fronde della quercia più vicina.

– Venite, venite tutti a casa mia – urlò allora Gellindo Ghiandedoro. – È la più vicina e là ci salveremo tutti!

“tutti”... per modo di dire!D’accordo che la tana dello scoiat-

tolo risparmioso occupava l’intero tronco della quercia più grossa del Bosco e si sviluppava su quattro piani, ma gli spaventapasseri del vil-laggio erano una trentina e tutti belli grossi e cicciottelli... Ci entrarono tutti, ad eccezione di maestro Abbe-

– Devo proprio ammettere che sei in gamba, cugino Timoteo – far-fugliò l’orchetto Anastasio sputac-chiandosi addosso le castagne che gli riempivano la bocca.

– Quello del “fuoco finto” è un simpatico trucchetto che mi ha in-segnato lo zio Persovinto – rispose Timoteo, cercando di togliersi con le dita un pezzo di castagna che gli era rimasto incastrato fra i denti.

– A me invece – intervenne orchet-ta Ermelinda, che non voleva essere da meno, – sempre lo zio Persovinto ha insegnato il trucco dell’acqua che si vede ma che non c’è...

– E come sarebbe questo scher-zetto? – domandò incuriosito Anasta-sio.

Ermelinda si tirò su, mise in bocca l’ennesima castagna e masticando a bocca aperta barbugliò: – Adesso vi faccio vedere...

– Oh guarda che fortuna: è ap-pena finito l’incendio e adesso arriva

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cedario, che era più grosso degli altri e che rimase seduto nell’erba e sotto l’acqua come un pero cotto. Però...

– Ehi, anche se sono qua fuori sotto questo diluvio – urlò il vecchio maestro per farsi sentire da quelli dentro, – vi devo informare che non sono affatto bagnato!

– Come sarebbe a dire? – chiese Gellindo facendo capolino sull’ingres-so.

– Sarebbe a dire che, malgrado questa pioggia violenta, il mio vestito è asciuttissimo e non ho nemmeno una goccia d’acqua che si sia infilata sotto la camicia giù per la schiena!

Gellindo allungò una zampa, la mise sotto le gocce e...

– peR le code dRitte di diecimila sco-iattoli infuRiati! – strillò il poveretto sbarrando gli occhi. – Abbecedario ha ragione, amici: quella qui fuori non è una pioggia come tutte le altre piogge che conosciamo... È una pioggia che non bagna! È una pioggia finta, una “pioggia fatua”... Uscite tutti, venite fuori e lo scoprirete anche voi...

E la loro fu una scoperta veramen-te imbarazzante: le gocce là fuori sembravano vere e anche i torrenti impetuosi facevano paura. Però, se immergevi una mano o un braccio in quell’acqua, se ti ci tuffavi dentro, non ti bagnavi per nulla! Rimane-vi asciutto come se fossi rimasto a prendere il sole disteso sull’erba del prato...

– Vuoi vedere – mormorò allora Tisana la Dolce aggrottando la fronte

pensierosa... – vuoi vedere che, dopo il fuoco finto, quei tre terribili orchet-ti “ruba-castagne” si stanno diverten-do alle nostre spalle con questo bel temporale d’acqua “falsa”?

La povera Tisana non ebbe nem-meno il tempo di finir di parlare, che un ululato terrificante si alzò dal fondo della valle, un fischio grave e roco percorse i campi e i prati, acca-rezzò le punte degli alberi del Bosco delle Venti Querce e poi scese all’im-provviso verso terra, investendo con violenza terribile la compagnia degli spaventapasseri.

Era un vento feroce, quello, un vento che s’attorcigliava di continuo in cento e cento frulli, come mille piroette divertenti e dispettose che prendevano la polvere del sentiero e la gettavano negli occhi dei poveri disgraziati spauracchi, facendoli pian-gere di dolore.

Era un vento insistente e tenace: soffiava con un WWWuuuuuummmm potente che assomigliava tanto alla musica di un gigantesco pianoforte, uno di quegli organi di chiesa che però suonava sempre la medesima nota... WWWuuuuuummmm... WWWuuu-uuummmm... WWWuuuuuummmm...

E non era un vento fasullo, quello, non era un vento “finto”...

– aiutooo, Gellindooooo! – strillò Bellondina alzandosi in volo, rapita da una folata più forte delle altre...

– aRRivo, Bellondina... venGo io a salvaRti! – gridò tra le lacrime lo sco-iattolino che prese coraggio, saltò su

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quello stesso colpo di vento e venne portato via, su verso il cielo, da quella forza invisibile... WWWuuuuuummmm... WWWuuuuuummmm...

Quel ventaccio scoperchiò i tetti delle case del Villaggio...

...din... don... dan... si portò via lontano le campane della chiesa di Dindondolo...

...scompigliò le immondizie che Ratto Robaccio aveva accatastato con cura nella discarica e le lanciò in ogni direzione...

...portò disordine e distruzione negli orti degli spaventapasseri e di-strusse le piante di fagioli e di pomo-dori, i campi di granoturco e i frutteti di mele, di susine e di pere...

Quando alla fine quel finimondo si placò, ai poveri spauracchi non rimase altro da fare che controllare i danni e piangere su tutto quel disa-stro. Ma soprattutto...

–Avete visto Gellindo e Bellondi-na? – chiese Casoletta con gli occhi gonfi di lacrime.

– L’ultima volta erano lassù per aria – le rispose Candeloro, – e stavano volando stretti l’uno all’altra in dire-zione del Bosco delle Venti Querce...

– Allora tutti con me – fece mae-stro Abbecedario, lasciando perdere il suo orto a pezzi. – Prima di ogni altra cosa, andiamo a cercare i nostri amici!

– Caro il mio Anastasio, non pen-savo proprio di avere per cugino un orchetto terribile come te – ridacchiò

l’orchetta Ermelinda dondolandosi al ramo più basso della quercia più vicina.

– Vedi, mia cara – rispose quell’al-tro, – se a voi due zio Persovinto ha insegnato dei trucchetti per scate-nare disastri “finti” in modo da terro-rizzare la gente senza fargli però del male, come incendi che non bruciano e temporali che non bagnano, nonno Spernacchio invece mi ha confidato alcune formule magiche di cataclismi veri, verissimi, superveri!

– Proprio come il vento di poco fa – lo interruppe Timoteo, che non staccava gli occhi tondi di vitellino dal cuginetto così bravo, così forte, così in gamba... In meno di dieci minuti era diventato il suo idolo!

– Già, come il vento che tutto strappa, che tutto solleva, che tutto si porta via – cantilenò Anastasio rimi-randosi le unghie sporche e pettinan-dosi il ciuffo di capelli ricci, spettinati e unti.

– E che fine hanno fatto lo scoiat-tolo e la sua amica spaventapasseri che quel vento ha portato via? – chie-se Ermelinda staccandosi dal ramo e saltando a terra con i piedoni lunghi e sporchi.

L’orchetta non terminò nemmeno di parlare, che dall’alto degli albe-ri... WWWuuuuuummmm... aaaaiaa-ahhhhh!... patapumfff... Rotolòmmm!... Gellindo e Bellondina vennero giù come due proiettili abbracciati tra di loro e rotolarono fin davanti alla tana di Anastasio, che...

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– Eccoli qua, questi due impiastri – berciò l’orchetto mettendosi in boc-ca una dopo l’altra cinque castagne grosse così!

Gellindo, senza badare al bernoc-colo che gli stava crescendo in fronte e al colpo doloroso che gli infiamma-va il fondoschiena, aiutò l’amica ad alzarsi e...

– Andiamocene, Bellondina, ché qui non è aria per noi!

– Ecco sì, bravo: vattene – esclamò Timoteo, – ma prima prendi questo! – E una fiammata investì lo scoiattolo, senza però bruciarlo.

– E tu, bellina, fatti una bella doc-cia... eh! eh! eh! – aggiunse Ermelin-da, che scatenò una piccola cascata di acqua “finta” proprio sopra la povera spauracchia dolorante.

Per quella sera stessa fu convocata l’assemblea del Villaggio e all’appun-tamento in piazza non mancò nessu-no. C’erano i trenta spaventapasseri dal primo all’ultimo, le pantegane della discarica, gli animali del Bosco delle Venti Querce e si fecero vede-re anche l’oca Bernardina e l’aquila Cassandra.

Il problema dei tre orchetti dispet-tosi venne discusso in lungo e in largo e qualcuno perfino litigò, perché avrebbe voluto passare subito alle maniere forti.

– Dobbiamo fargli capire a quei tre che qui non possono fare quel che vogliono! – esclamò Lingualunga arrabbiato nero.

– Perché non li attacchiamo que-sta notte? Ci mettiamo tutti assieme, conquistiamo la loro tana e li caccia-mo lontani a forza di bastonate giù per la schiena! – propose lo spaven-tapasseri Candeloro

– Rispondere alla violenza con la violenza è la cosa più sciocca che pos-siamo fare – disse Abbecedario.

– È vero – lo appoggiò Gellindo, che aveva la testa fasciata per la botta di poco prima. – Noi possiamo anche far fuggire quei tre, ma prima o poi loro o altri come loro torneranno e saremo daccapo!

– E allora cosa proponete, voi “scienze”? – li sfidò Fra’ Vesuvio, che fra tutti era quello che avrebbe volentieri usato subito la forza per risolvere il problema.

– Io propongo di andare ancora una volta a parlare con Anastasio – disse Bellondina. – Dei tre è il più pericoloso perché, se Timoteo ed Ermerlinda conoscono alcune formu-le per scatenare dei “finti” disastri, lui ne conosce alcune con cui può sca-tenane catastrofi vere, verissime e... dolorose!

– E chi ci va, a parlare con quei babbei?

– Io – disse Gellindo facendo un passo avanti.

– E io ti accompagno! – fece Bel-londina.

– C’è un posto anche per me? – dis-se Abbecedario.

– Bene, basta... basta così – strillò Gellindo, per farsi sentire dai venti-

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trenta spaventapssseri che urlavano «Anch’io, anch’io... voglio venire pure io... No, scegliete me, ché sono forte e so menar le mani meglio di chiunque altro...»

Alla fine decisero che Gellindo, Abbecedario e Bellondina il giorno sarebbero andati a parlare con i tre orchetti, mentre gli altri avrebbero lavorato sodo per rimettere in ordine il villaggio distrutto dal vento violen-to. E, almeno per quella notte, la pace scese sulla Valle di Risparmiolandia.

A guardar bene, però, nel cuore del Bosco delle Venti Querce, pro-prio là dove in una vecchia tana di volpe vivevano gli orchetti Anastasio, Timoteo ed Ermelinda, una lucetta tremula era accesa davanti all’ingres-so e tre ombre piccole, grassottelle e puzzolenti stavano chiacchierando sottovoce tra di loro...

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– Allora sei pronto, Timoteo? – sta-va dicendo Anastasio con un sorriso cattivo disegnato in volto.

– Come no – rispose quell’altro. – Non s’immaginano nemmeno la sor-presa che li attende, quelli del villag-gio... Ah! Ah! Ah!

– Se domani si farà vedere qualcu-no – aggiunse Ermelinda soffiandosi il naso con le dita, – avrà un’accoglienza degna degli orchetti più terribili che ci siano al mondo...

– Ma certo, certo che verranno, quelli lì... si faranno vedere eccome – disse Anastasio scrutando nel buio del Bosco. – Le conosco troppo bene, quelle anime ingenue... Verranno, vedrete se verranno... E allora toc-cherà a Timoteo dargli la lezione che si meritano... eh! eh! eh!

E solo allora il silenzio della notte scese anche in quella parte del Bosco.

(3 - continua)

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