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Fitoterapia 2020 07. L’ artrosi ----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- 1 Artrosi, dolore ed infiammazione L’infiammazione L’infiammazione non è una malattia ma una reazione di difesa. È un processo molto complesso, i cui aspetti più evidenti furono individuati già nel primo secolo d.C. da un medico imperiale di nome Celso. Celso ebbe infatti il genio di comprendere che una serie di sintomi molto diversi tra loro erano tutti collegati ad uno stesso fenomeno, l’infiammazione. Tali sintomi vennero chiamati i quattro segni cardinali dell’infiammazione: calor, rubor, tumor e dolor. Oggi sappiamo che il meccanismo di difesa funziona così: I tessuti possono essere danneggiati da attacchi di microbi, da agenti chimici, da insulti fisici o da reazioni immunitarie. Di qualsiasi origine sia il danno, la risposta è sempre la stessa e cioè una risposta infiammatoria. Dai tessuti danneggiati partono dei segnali che determinano una risposta vascolare, con vasodilatazione (che determina arrossamento, il rubor, e aumento di temperatura superficiale, il calor) ed incremento della permeabilità dei capillari (il che determina la formazione di edema e gonfiori, il tumor). Contemporaneamente vengono liberate sostanze che trasmettono il dolore (dolor). La fase vascolare è quindi responsabile dei quattro segni cardinali dell’infiammazione. La fase vascolare è una preparazione del terreno per permettere la vera azione di difesa da parte dei leucociti, cioè la risposta cellulare. In questa fase neurofili prima e mastociti poi vengono condotti al sito dove si è manifestato il danno e qui provvedono ad eliminare eventuali batteri ed a fagocitare i residui dei tessuti danneggiati. L’azione di difesa ha così avuto successo e lo stimolo che ha indotto la risposta infiammatoria si spegne. Quando però lo stimolo permane o quando la risposta infiammatoria è sovradimensionata, l’azione aggressiva dei leucociti attacca anche i tessuti sani circostanti danneggiandoli e determinando il mantenimento dello stimolo infiammatorio. In altre parole la situazione può cronicizzare. In sintesi quindi, nel corso della reazione infiammatoria viene indotta una vasodilatazione, poi viene aumentata la permeabilità dei capillari e nel frattempo i leucociti circolanti vengono richiamati verso il sito dove si è verificato il danno. Qui giunti, si accumulano sulle pareti dei vasi ed iniziano a modificare la propria struttura per penetrare negli interstizi tra le cellule endoteliali, entrando nel tessuto edematoso che nel frattempo si è formato. A questo punto iniziano a muoversi verso l’area danneggiata e solo quando vi sono giunti iniziano ad attivare le loro armi per attaccare e distruggere i microbi invasori o i tessuti danneggiati. Per essere efficace, tutto questo deve avvenire in maniera coordinata. Come è gestito tutto questo? Ogni evento in questo quadro deve essere rigorosamente programmato. Ciò si ottiene con una complessa serie di interazioni tra cellule e fattori solubili, i mediatori dell’infiammazione: - ammine vasoattive (istamina, serotonina) - proteine (frammenti del complemento, chinine, fattori di coagulazione) - eicosanoidi (prostaglandine, leucotrieni, trombossani) - fosfolipidi (Platelet Activatin Factor) - polipeptidi (citolchine: interleuchina 1, TNF) - ossido di azoto - radicali liberi (ROS) - neuropeptidi (Sostanza P) - proteine di adesione (ICAM-1, VCAM-1) - ecc.

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Artrosi, dolore ed infiammazione

L’infiammazione L’infiammazione non è una malattia ma una reazione di difesa. È un processo molto complesso,

i cui aspetti più evidenti furono individuati già nel primo secolo d.C. da un medico imperiale di nome Celso. Celso ebbe infatti il genio di comprendere che una serie di sintomi molto diversi tra loro erano tutti collegati ad uno stesso fenomeno, l’infiammazione. Tali sintomi vennero chiamati i quattro segni cardinali dell’infiammazione: calor, rubor, tumor e dolor.

Oggi sappiamo che il meccanismo di difesa funziona così:

I tessuti possono essere danneggiati da attacchi di microbi, da agenti chimici, da insulti fisici o da reazioni immunitarie. Di qualsiasi origine sia il danno, la risposta è sempre la stessa e cioè una risposta infiammatoria.

Dai tessuti danneggiati partono dei segnali che determinano una risposta vascolare, con vasodilatazione (che determina arrossamento, il rubor, e aumento di temperatura superficiale, il calor) ed incremento della permeabilità dei capillari (il che determina la formazione di edema e gonfiori, il tumor). Contemporaneamente vengono liberate sostanze che trasmettono il dolore (dolor). La fase vascolare è quindi responsabile dei quattro segni cardinali dell’infiammazione.

La fase vascolare è una preparazione del terreno per permettere la vera azione di difesa da parte dei leucociti, cioè la risposta cellulare. In questa fase neurofili prima e mastociti poi vengono condotti al sito dove si è manifestato il danno e qui provvedono ad eliminare eventuali batteri ed a fagocitare i residui dei tessuti danneggiati.

L’azione di difesa ha così avuto successo e lo stimolo che ha indotto la risposta infiammatoria si spegne.

Quando però lo stimolo permane o quando la risposta infiammatoria è sovradimensionata, l’azione aggressiva dei leucociti attacca anche i tessuti sani circostanti danneggiandoli e determinando il mantenimento dello stimolo infiammatorio. In altre parole la situazione può cronicizzare.

In sintesi quindi, nel corso della reazione infiammatoria viene indotta una vasodilatazione, poi viene aumentata la permeabilità dei capillari e nel frattempo i leucociti circolanti vengono richiamati verso il sito dove si è verificato il danno. Qui giunti, si accumulano sulle pareti dei vasi ed iniziano a modificare la propria struttura per penetrare negli interstizi tra le cellule endoteliali, entrando nel tessuto edematoso che nel frattempo si è formato. A questo punto iniziano a muoversi verso l’area danneggiata e solo quando vi sono giunti iniziano ad attivare le loro armi per attaccare e distruggere i microbi invasori o i tessuti danneggiati. Per essere efficace, tutto questo deve avvenire in maniera coordinata.

Come è gestito tutto questo? Ogni evento in questo quadro deve essere rigorosamente programmato. Ciò si ottiene con una

complessa serie di interazioni tra cellule e fattori solubili, i mediatori dell’infiammazione: ­ ammine vasoattive (istamina, serotonina) ­ proteine (frammenti del complemento, chinine, fattori di coagulazione) ­ eicosanoidi (prostaglandine, leucotrieni, trombossani) ­ fosfolipidi (Platelet Activatin Factor) ­ polipeptidi (citolchine: interleuchina 1, TNF) ­ ossido di azoto ­ radicali liberi (ROS) ­ neuropeptidi (Sostanza P) ­ proteine di adesione (ICAM-1, VCAM-1) ­ ecc.

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Le azioni dei mediatori sono funzione della loro concentrazione, quindi bisogna innescarne la sintesi e provvedere alla loro rimozione nei tempi opportuni. Entrano qui in gioco fattori di trascrizione (NFk-B) ed elementi genici, in quanto lo stesso mediatore può avere effetti diversi a concentrazioni diverse, inoltre azioni eccitatorie spesso innescano effetti inibitori (feed-back).

Possiamo quindi dire che lo stato di salute di un organismo è dato dall’equilibrio dei molti fattori coinvolti nell’infiammazione piuttosto che dall’assenza di infiammazione [Nathan, 2002].

Cos’è quindi l’infiammazione? In definitiva, l’infiammazione non è una patologia ma è una modifica dello stato dell’organismo

derivato dall’equilibrio di una moltitudine di fattori. Possiamo cioè parlare di un stato infiammatorio costante, che normalmente è in equilibrio ma può sbilanciarsi verso risposte infiammatorie conclamate.

I farmaci di sintesi in genere colpiscono uno solo dei molti bersagli collegati a questo equilibrio e per ridurre uno stato infiammatorio conclamato devono colpire il loro bersaglio in maniera pressoché definitiva; ma ciò tende a squilibrare tutto il sistema, e ne derivano i loro tipici effetti collaterali.

Vedremo invece che alcuni prodotti naturali agiscono su vari bersagli e quindi intervengono nel meccanismo dell’infiammazione in vari punti ma non in maniera drastica; riescono così ad essere efficaci senza squilibrare troppo l’intero sistema e quindi senza effetti collaterali apprezzabili.

Una componente quasi sempre presente nelle patologie infiammatorie è il dolore, cioè il risultato di segnali nervosi provenienti da nocicettori stimolati da mediatori dell’infiammazione, ed in particolare dalla sostanza P; il Sistema Nervoso Centrale infatti interpreta questi segnali come dolore. Il significato del dolore conseguente all’infiammazione è presumibilmente quello di un segnale d’allarme per informarci che c’è qualcosa che non va ed un invito a lasciare il più possibile a riposo la parte dolorante.

Tra le molte infiammazioni che causano dolore prenderemo in considerazione l’artrosi, quale esempio di problema di dolore infiammatorio cronico, di non facile approccio terapeutico. Per comprendere però i possibili punti di attacco e per poter valutare l’affidabilità dei vari interventi proposti, sarà opportuno fare un breve riepilogo sui meccanismi dell’infiammazione.

L’artrosi L’artrosi o osteoartrosi (osteoarthritis per gli anglo-

sassoni) è uno dei dolori infiammatori più comuni che colpisce il 50% degli over 60. Sono più colpite le articolazioni che sopportano un carico importante, come le vertebre lombari o le ginocchia, con alterazio-ne della cartilagine e formazione di osteofiti (letteral-mente “piante ossee”), cioè delle escrescenze ossee

(freccia) causate da uno sbilanciamento dell’attivi-tà tra osteofiti ed osteo-blasti. Gli osteofiti ostaco-lano il movimento, distur-bano i tessuti circostanti e provocano infiammazione.

Le cause prime della patologia, al di là dell’usura dovuta al tempo, non sono note e quindi non esiste una terapia causale, ma ci si limita a trattare il dolore con i FANS, che però hanno un alto rischio di effetti avversi [Jones et al, 2019].

Di qui l’interesse di pubblico e medici per altre soluzioni ed in particolare per la fitoterapia.

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Una recente metanalisi Cochrane ha esaminato 49 studi clinici per oltre una dozzina di rimedi ed ha riscontrato prove di efficacia, seppur deboli, solo per Boswellia, per Arpagofito e per l’associazione Avocado + Soja [Cameron & Chrubasik, 2014].

Boswellia Boswellia serrata è un piccolo albero della famiglia

delle Burseraceae, la stessa dell’albero della mirra. Di origine indiana, ci giunge dalla tradizione dell’Ayurveda che la usava per svariati trattamenti, tra i quali anche l’artrosi. Se ne usa la resina, simile all’incenso, che cola dalla corteccia ed è chiamata Olibano o Frankin-censo.

Fitochimica. I componenti principali sono gli acidi boswellici che costituiscono

circa il 30% della resina. Due di questi presentano un gruppo chetonico in posizione 11 e sono gli unici dotati di attività anti-infiammatoria: il più attivo è l’ac. acetil-chetoboswellico (AKBA). Questa precisazione è importante perché i preparati più comuni sono titolati in acidi boswellici totali, di cui però solo circa il 15% sono quelli attivi e l’AKBA è solo il 6% [Ammon, 2006].

La farmacologia. Come abbiamo visto più sopra, la complessità della risposta infiammatoria non permette di fare

previsioni valide sull’efficacia di un preparato basandosi su risultati di prove in vitro, che saltano tutti gli elementi farmacocinetici ma soprattutto possono prendere in considerazione solo un mediatore o comunque una piccola fetta del complesso mondo dell’infiammazione. Quando poi si vuol valutare l’effetto sulla componente dolorifica, la provetta non può darci alcuna prova convincente di efficacia.

È quindi necessario ricorrere alla sperimentazione animale ed uno dei modelli più usati e meno invasivi è il tail flick test. In questo modello si misura la soglia del dolore di un animale, ratto o topo, applicando uno stimolo termico o pressorio alla coda dell’animale: quando l’animale sente dolore, sposta la coda. Si misura il peso sopportato prima della reazione di spostamento: minore è il peso sopportato, più bassa è la soglia del dolore. Oppure si misura il tempo trascorso dall’applicazione dello stimolo termico prima che l’animale sposti la coda: più lungo è il tempo, minore è la sensibilità al dolore.

Grazie a tali modelli l’attività analgesica di Boswellia fu evidenziata già molti anni fa. Nel grafico a lato sono portati i tempi di risposta ad uno stimolo termico nel ratto: si vede che i controlli hanno un tempo di reazione di 2 secondi mentre la morfina, potente antidolorifico, alza la soglia della sensibilità termica in modo che i ratti trattati reagiscono solo dopo 12 secondi; l’effetto analgesico dato da Boswellia è analogo [Menon et al, 1971].

Meccanismo d’azione. L’effetto analgesico della resina è legato ad un’attività antinfiammatoria per inibizione del complemento [Knaus & Wagner, 1989] e della 5-lipossigenasi

[Ammon, 1996]. Di particolare interesse per la terapia delle artrosi è l’azione sui mucopolisaccaridi

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(glicosaminoglicani) che grazie alla loro capacità di trattenere grandi quantità di acqua hanno due importanti azioni a livello articolare:

conferiscono alle cartilagini proprietà ammortizzanti;

svolgono funzioni lubrificanti all'interno della capsula articolare. Boswellia riduce la degradazione dei mucopolisaccaridi e protegge così le cartilagini; i FANS al contrario ne riducono la sintesi, accelerando il danno articolare [Reddy et al, 1989].

La clinica. Gli studi clinici più recenti misurano l’entità del

dolore su scale visuoanalogiche o con più complessi questionari come il WOMAC (Western Ontario and McMaster Universities Osteoarthritis Index) che distingue gli effetti sulle varie componenti della patologia. Per gli studi vengono in genere utilizzati preparati standardizzati al 30 o al 20% di AKBA.

L’effetto di 100 mg/die di un preparato al 30% di AKBA, registrato con il nome di 5-Loxin®, è stato studiato in 40 pazienti affetti da osteoartrosi al ginocchio, con i risultati riportati nella tabella seguente.

Scale (da 0 a 100) trattamento valore base a 90 giorni p

Visuoanalogica placebo 48/100 38/100 0,0013

5-Loxin 48/100 26/100 <0.0001

WOMAC pain placebo 44/100 36/100 0,0021

5-Loxin 46/100 25/100 <0.0001

WOMAC stiffness placebo 40/100 30/100 0,0059

5-Loxin 40/100 17/100 0.0001

WOMAC function placebo 42/100 32/100 0,0025

5-loxin 43/100 16/100 <0.0001

Si può osservare che su tutti i parametri il preparato a base di Boswellia ha dato risultati migliori del placebo [Sengupta et al, 2010].

Un altro preparato al 20% di (Aflapin®) a 100 mg/die ha dato risultati analoghi [Vishal et al, Int J Med

Sci, 2011].

La metanalisi Cochrane di Cameron e coll. su Boswellia conclude: There is moderate-quality evidence that in people with osteoarthritis Boswellia serrata

slightly improved pain and function. Further research may change the estimates. [Cameron & Chrubasik, 2014]

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Posologia Basandosi sugli studi clinici, si può definire ottimale una posologia corrispondente a 20-30 mg di

AKBA al giorno, in due somministrazioni.

Tossicità Non sono riportati effetti collaterali significativi. Nel ratto la dose più alta della resina che non dà

effetti tossici (NoEL) è di 500 mg/kg, lontanissima dalle usuali dosi terapeutiche. [Singh et al, 2012]

Prodotti Sul mercato esistono molti integratori alimentare a base di Boswellia, alcuni titolati

dal 95 al 30% in acidi boswellici totali. Un tipico integratore viene presentato in capsule da 250 mg di un estratto al 65% di acidi boswellici, il che, fatti i debiti calcoli, significa che ogni capsula contiene circa 10 mg di AKBA, cioè una quantità che permette facilmente di raggiungere la posologia consigliata. In rete si trovano tanto Aflapin® quanto 5-Loxin®, i due prodotti utilizzati negli studi clinici sopra riportati.

Avocado/Soia I frutti di Avocado (Persea gratissma) ed i semi di Soia (Glycine max) sono noti per l’alto contenuto in lipidi (23% e 6% rispettiva-mente), costituiti da trigliceridi (saponifica-bili) e da fitosteroli (insaponificabili).

Farmacologia.

Il -sitosterolo ha mostrato proprietà antinfiammatorie ed antipiretiche [Liu et al, 2019]. Studi successivi hanno mostrato la sua importanza proprio nei problemi articolari. È stata messa a punto una preparazione particolare, costituita dalle frazioni insaponificabili di avocado e soia, in proporzione di 1:2 e denominata ASU (Avocado Soybean Unsaponifiables). In vitro ASU ha mostrato le seguenti proprietà: stimola la sintesi di collagene nei condrociti articolari. I condrociti articolari sono le cellule poste

nelle articolazioni che producono il collagene ed il collagene è un costituente primario della cartilagine articolare; il sitosterolo va quindi ad agire proprio sulla componente critica dell’artrosi [Henrotin et al, 1998];

sembra inibire gli osteoblasti osteoartrosici delle epifisi. Gli osteoblasti sono le cellule deputate alla deposizione di nuovo materiale inorganico nelle ossa. Normalmente sono in equilibrio con gli osteoclasti che invece asportano continuamente tale materiale e ciò permette il continuo rinnovamento del tessuto osseo inorganico. In presenza di artrosi gli osteoblasti posti alle estremità delle ossa lunghe (epifisi) tendono a prevalere e portano alla formazione di nuovo tessuto osseo (osteofiti) che ostacolano il movimento e generano infiammazione. L’inibizione di tali osteoblasti impedisce o rallenta la formazione degli osteofiti [Henrotin et al, 2006].

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La Clinica. Il cosiddetto Studio Scandinavo è uno studio randomizzato, a doppio cieco e controllato con

placebo, che ha esaminato 260 pazienti sofferenti di osteoartrosi al ginocchio, trattati per tre mesi con ASU o placebo. I pazienti sono stati suddivisi in tre gruppi: placebo, ASU 300 mg/die e ASU 600 mg/die. A tutti era concessa l’utilizzazione di un determinato FANS nei momenti nei quali il dolore non era sopportabile. I parametri misurati erano:

mg di FANS assunti al giorno;

giornate in cui erano stati assunti FANS;

entità del dolore, misurato su scala visuoanalogica;

soddisfazione complessiva per il trattamento. Il risultato è riportato nella seguente tabella (valori medi):

Valori di partenza

Valori a 90 giorni

Placebo ASU 300 ASU 600

Assunzione FANS 140 mg 81 mg 45 mg 53 mg Giornate con FANS 24 21 14 13 Entità del dolore 55/100 42/100 24/100 28/100 Soddisfazione 28% 68% 55%

Si può osservare una certa entità dell’effetto placebo, soprattutto nella riduzione dell’assunzione giornaliera di FANS che passa dai 140 mg al giorno di partenza, ad 81 mg alla fine dello studio; meno evidente è l’effetto del placebo sui giorni in cui era necessaria l’assunzione dell’antidolorifico che si sono ridotti di circa il 10%. Anche l’effetto sull’entità percepita del dolore è stato modesto (da 55/100 a 42/100), mentre solo 1 paziente su 4 si è ritenuto soddisfatto del trattamento.

L’effetto dei entrambe le dosi di ASU è molto più marcato: l’assunzione di FANS si è ridotta dei due terzi, le giornate con assunzione di FANS si sono praticamente dimezzate come pure l’entità percepita del dolore; quasi il 70% dei trattati con la dose più bassa si sono dichiarati soddisfatti del trattamento. Non si è rilevata una differenza significativa tra le due dosi, anche se la più bassa ha dato un risultato leggermente migliore. Il quadro degli effetti collaterali dei trattati con ASU è risultato uguale a quello del gruppo di controllo.

Gli autori concludono che ASU è più efficace del placebo in tutti gli aspetti sintomatici e che la dose ottimale è 300 mg/die [Appelboom et al, 2001].

Uno studio più recente ha confrontato l’effetto di 300 mg/die di ASU con un farmaco standard per l’osteoartosi, la condroitina solfato, al dosaggio usuale di 1.200 mg/die su 300 pazienti con osteoartosi del ginocchio, con assunzione di FANS al bisogno.

Dopo 6 mesi di trattamento non vi era alcuna differenza tra ASU e condroitina nei parametri valutati con il WOMAC (dolore, rigidità, funzionalità ed efficacia). Anche la riduzione dell’assunzione di FANS al bisogno era uguale per i due trattamenti. Gli effetti perduravano anche due mesi dopo la fine del trattamento [Pavelka, 2010].

La già citata metanalisi di Cameron e coll. (2014) dopo aver valutato 9 studi clinici su ASU conclude:

There is moderate-quality evidence that ASU probably improved pain and function slightly,

but may not preserve joint space. Further research may change the estimates.

Riduzione dell’assunzione di FANS

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Preparati. In Italia ASU era commercializzato col nome di Piascledine®,

registrato come medicinale etico con obbligo di ricetta ripetibile, contenente 300 mg di ASU per capsula. Stranamente, la registra-zione riguardava indicazioni derma- e stomatologiche. Nel 2018 l’AIC è stata revocata, su rinuncia del produttore.

Sono oggi in vendita vari integratori alimentari come ASUkin, con la stessa composizione.

Arpagofito Si tratta di Harpagophytum procumbens, una pianta dei deserti

dell’Africa meridionale (Namibia), nota anche con il nome di Artiglio del Diavolo a causa della forma dei suoi frutti. La droga è costituita dalle radici secondarie tuberose, che contengono sino al 3% di iridoidi il principale dei quali è l’arpagoside (almeno l’1,2% secondo la PhEur).

Farmacologia. La droga ha proprietà antiinfiammatorie ed amaricanti. Il meccanismo d’azione è tipicamente

multifattoriale e riguarda due aspetti fondamentali per le infiammazioni articolari: l’attività antinfiammatoria con:

inibizione delle cicloossigenasi [Huang, 2005]

inibizione delle lipoossigenasi [Loew, 2001]

inibizione della NOsintetasi inducibile [Huang, 2005]

riduzione della produzione di radicali liberi dei neutrofili [Grant, 2016]

e la protezione delle cartilagini articolari, grazie a:

inibizione della produzione di metalloproteasi di matrice [Schulze-Tanzil, 2004]

inibizione della elastasi leucocitaria [Boje, 2004]. Tanto le metalloproteasi quanto l’elestasi dono enzimi che degradano la struttura proteica delle

cartilagini, quindi la loro inibizione protegge le cartilagini.

Studi clinici. Vari studi clinici confermano l’efficacia di Harpagophytum, in particolare nel trattamento del mal

di schiena acuto. Possiamo ricordare uno studio di confronto tra arpagofito ed un FANS di seconda generazione. Lo studio ha riguardato 88 soggetti con dolore lombare acuto che sono stati trattati per 6 settimane con un preparato a base di arpagofito (pari a 60 mg/die di arpagoside) oppure con Vioxx (12,5 mg die). Il parametro misurato in questo caso era la riduzione dell’assunzione di altri antidolorifici.

Gli autori non hanno riscontrato nessuna differenza tra i due trattamenti e ne hanno concluso che quella dose di arpagoside ha la stessa efficacia del FANS [Chrubasik et al, 2003].

Abbiamo anche uno studio su 260 pazienti con artrite; si tratta di uno studio aperto, nel quale cioè i soggetti trattati non vengono confrontati con un gruppo di controllo bensì ciascuno con i suoi

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parametri prima del trattamento. Il trattamento era costituito da due compresse da 480 mg di estratto secco, pari a 50 mg/die di arpagoside, per 12 settimane.

Il risultato soggettivo, valutato con i questio-nari WOMAC, ha mostrato un miglioramento di circa il 25% su tutti e quattro i parametri (dolore, rigidità, funzionalità e complessivo). La valutazione dei medici curanti è riportata nello schema a lato. Si può vedere come vi sia stato un grande miglioramento in oltre la metà dei trattati ed un miglioramento modesto in un altro 30%.

Gli autori concludano che “Arpagofito rappresenta un trattamento efficace e ben tollerato nei disturbi articolari leggeri o moderati, che migliora la qualità della vita” [Warnock et al, 2007].

Una metanalisi Cochrane conclude: H. procumbens has moderate evidence for the short-term treatment of acute episodes

of chronic non specific Low Back Pain at a standardized daily dosage of 50 mg harpagoside. [Gagnier et al, 2016]

Posologia. La Commissione E prevede 4,5 g di droga al giorno in infuso, oppure la quantità equiva-lente di

estratto secco. Dato che il titolo previsto dalla Ph.Eur. per Harpagophyti Radix è di 1,2 % in arpagoside, i 4 grammi e mezzo della Commissione E contengono 54 mg di arpagoside, cioè circa la dose ottimale individuata dagli studi clinici.

Tossicità. Dagli studi clinici emerge una bassa incidenza di effetti collaterali, sostanzialmente uguale a

quella dei gruppi trattati con placebo. Essenzialmente sono disturbi gastro-intestinali. Mancano però studi a lungo termine [Vlachojannis, 2008].

Estratti di riferimento: - Estratto WS 1531 (Schwabe) titolato all’8,3% in arpagoside - Estratto LI 174 (Lichtwer Pharma) titolato al 3% in arpagoside

Prodotti Rivoltan (non registrato in Italia)

Capsule da 500 mg di LI 174, pari a 15 mg di arpagoside. 3-4 capsule al giorno assicurano il dosaggio minimo. Integratori alimentari. Ce ne sono molti, con contenuti in arpagoside molto variabili. Riportiamo alcuni esempi:

artiglio del diavolo (Farmaderbe) Capsule da 12 mg arpagoside per capsula

Posologia consigliata: 2 cps/die (24 mg p.a.), ma per i 50 mg richiesti sono necessarie 4 cps/die

Artiglio del Diavolo Tintura Madre (Naturetica) Tintura con un titolo di 1,1 mg/ml arpagoside Posologia consigliata: 3 ml/die (3,3 mg p.a.) ma per i 50 mg richiesti sono necessari 45 ml/die

Harpadol arkocapsule (Arkofarm) Capsule da 530 mg di polvere criofrantumata, pari a 4,1 mg di arpagoside. Posologia consigliata: 1 – 2 capsule al dì (4 – 8 mg p.a.) ma per i 50 mg richiesti sono necessarie 10 capsule/die.

Harpadol bio (Arkofarm) Fiale orali monodose, non titolate.