failure is not an option?

2
19 MARZO 2015 #GEC2015 Quale cornice migliore del #GEC15 (Global Entrepreneurship Congress) per parlare di fallimento? Migliaia di Sturtuppers pronti a vincere le statistiche che li vedranno sparire con le loro imprese nell'83% dei casi entro 3 anni, con l'Italia fanalino di coda in termini di investimento in innovazione, ma ci sono ottime notizie da Milano: SI PUO' FA - LLIRE! Fermi tutti! Può non sembrare l'articolo da millenials entusiasta, nativo digitale, innamorato follemente di social HR, rinato tra le startup, sorridente e ottimista. Invece lo è eccome! Partendo da due citazioni: 1 4 Ragioni per fallire 1. AUMENTA LE PROBABILITÀ DI SUCCESSO 2. SI GUADAGNA ESPERIENZA OPERATIVA 3. SI DIVENTA PIÙ FORTI 4. SI IMPARA "Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio." (B.S.) "Il successo è l'abilità di passare da un fallimento all'altro senza perdere l'entusiasmo." (C.W.) FAILURE IS NOT AN OPTION?

Upload: alessandro-durello

Post on 24-Jul-2015

41 views

Category:

Small Business & Entrepreneurship


1 download

TRANSCRIPT

19 MARZO 2015 #GEC2015

Quale cornice migliore del #GEC15 (Global Entrepreneurship Congress) per parlare di fallimento? Migliaia di Sturtuppers pronti a vincere le statistiche che li vedranno sparire con le loro imprese nell'83% dei casi entro 3 anni, con l'Italia fanalino di coda in termini di investimento in innovazione, ma ci sono ottime notizie da Milano: SI PUO' FA - LLIRE!

Fermi tutti! Può non sembrare l'articolo da millenials entusiasta, nativo digitale, innamorato follemente di social HR, rinato tra le startup, sorridente e ottimista. Invece lo è eccome! Partendo da due citazioni:

!1

4 Ragioni per fallire

1. AUMENTA LE PROBABILITÀ DI

SUCCESSO

2. SI GUADAGNA ESPERIENZA OPERATIVA

3. SI DIVENTA PIÙ FORTI

4. SI IMPARA

"Ho provato, ho fallito. Non importa, riproverò. Fallirò meglio." (B.S.)

"Il successo è l'abilità di passare da un fallimento all'altro senza perdere l'entusiasmo." (C.W.)

FAILURE IS NOT AN OPTION?

19 MARZO 2015 [email protected]

Fallire, fa bene e l'abbiamo capito tutti quando, da gattonatori seriali, abbiamo iniziato a rovinarci le ginocchia per poter correre. Farsi un po' male, non è poi così grave e aiuta a prestare attenzione; le mie ginocchia lo sanno e lo mostrano con fierezza, da quando hanno tolto le rotelle alla mia bicicletta, 7/8 mila chilometri fa. "Uscire dalla logica del fallimento" non aiuta nessuno a crescere, lo vediamo palesato nel gap odierno tra dirigenti e millenials, all'interno del mondo del lavoro italiano. I primi hanno avuto la possibilità di sbagliare, in un mondo che viaggiava un po' più lento, meno ossessionato da metriche di crescita economica, dove il margine di azione e la visibilità dell'errore erano differenti. Nel tempo, queste figure, sono divenute sempre più centrali per le decisioni aziendali, sempre più perfezioniste, allontanandosi dai driver di cambiamento, per paura di fallire, vedendo intaccata la loro credibilità. Tantissimi rappresentanti della seconda categoria, invece, li trovi al GEC2015 per pitchare, fare fundraising, fare networking internazionale, ascoltare investitori e storie di chi, gettando il cuore oltre l'ostacolo, è riuscito nell'impresa. Sono tutti motivatissimi, consapevoli della possibilità del fallimento, ma con l'occhio a fanale di chi non vuole rinunciare a provarci. Si è creato un distacco tale che i millenials al lavoro non rendono, sono scostanti, poco precisi, oserei dire pasticcioni e davvero poco motivati; di tutta risposta i primi vietano i social al lavoro e i secondi lavorano con i social, facendo business da bilioni di dollari. Ma cos'è successo allora? Succede che l'innovazione ha cambiato piattaforma e il metodo per la creazione di valore distintivo (a dirla da strategic entrepreneurship lovers); gli startupper sono quelli che ci vogliono provare a costo di fallire, finanziati dagli stessi che non li hanno responsabilizzati in azienda, bloccandoli con processi non avvezzi al fallimento. La startup come palestra? Così pare! Ma con quali risultati? Il primo è il focus sul tasso di disoccupazione giovanile, affermazione che si avvicina all'ossimoro. Ma chi fa startup, sa benissimo che si vive di stenti, serve enorme commitment, servono spesso spalle coperte dalla famiglia e i team sono creature fragili, che esplodono alle prime difficoltà, segnando le persone in profondità; scegliere questa via, contro ogni statistica, significa che in azienda è anche molto peggio. Il secondo aspetto centrale è la difficoltà, tutta italiana, nell'attrarre investimenti degni della media europea e adatti a creare radici forti, con VC assenti e Angel che spesso si dimostrano diabolici.

Ma perché fallire, dunque, è così importante? Secondo il modesto parere, per quattro semplici e ottimi motivi: 1. Si impara. 2. Si guadagna in esperienza, non ottenibile in altro modo. 3. Si diventa più forti. 4. Le possibilità di successo aumentano ad ogni fallimento. In Italia, invece, fallire si traduce in assoluta perdita di credibilità, in esasperata critica, scoramento fino ad arrivare a vera e propria esclusione. La sfida del personal branding made in Italy, sarà quella di inserire tra i valori centrali del canvas anche i fallimenti avuti nel proprio percorso professionale, certi che tali aree saranno certamente dominate e interiorizzate anche a livello emotivo dalla persona.

!2

#GEC2015