socrate karterikos (platone, simposio 216c-221b), in: m. erler \u0026 m. tulli (eds.), plato in...

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Mauro Tulli / Michael Erler (eds.) Plato in Symposium

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Mauro Tulli / Michael Erler (eds.)

Plato in Symposium

International Plato Studies Published under the auspices of the

International Plato Society

Series Editors: Franco Ferrari (Salerno), Lesley Brown (Oxford),

Marcelo Boeri (Santiago de Chile), Filip Karfik (Fribourg), Dimitri El Murr (Paris)

Volume 35

PLATO IN SYMPOSIUM

SELECTED PAPERS FROM THE TENTH SYMPOSIUM PLATONICUM

Edited by

MAURO TULLI AND MICHAEL ERLER

Academia Verlag Sankt Augustin

Illustration on the cover by courtesy of the Bodleian Library, Oxford, MS. Ashmole 304, fol. 31 v.

Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der

Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.ddb.de abrufbar.

ISBN: 978-3-89665-678-0

1. Auflage 2016

© Academia Verlag Bahnstraße 7, D-53757 Sankt Augustin

Internet: www.academia-verlag.de E-Mail: [email protected]

Printed in Germany

Alle Rechte vorbehalten

Ohne schriftliche Genehmigung des Verlages ist es nicht gestattet, das Werk unter Verwendung mechanischer, elektronischer und anderer Systeme in

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und anderweitigen Bearbeitung.

Socrate karterikos (Platone, Simposio 216c-221b)

Alessandro Stavru Freie Universität Berlin

Il tema della karteria svolge un ruolo imprescindibile nell’economia del discorso di Al-cibiade. Si tratta di un tema che affiora ripetutamente nella letteratura socratica,1 e che Plato-ne pone al centro della sua caratterizzazione di Socrate fornita a conclusione del Simposio. Vedremo come in questo passo la peculiarità del rapporto tra Socrate e Alcibiade venga descritta proprio a partire dalla nozione di karteria. Il presente intervento sarà dedicato a mostrare come all’assenza di karteria da parte di Alcibiade si contrapponga l’impareggiabile karteria di Socrate,2 e come in conseguenza di questo scarto venga a determinarsi la tensione paideutica che anima l’ultima parte del Simposio.

Sin dalle prime battute del suo elogio, Alcibiade sottolinea le difficoltà del cimento con cui è in procinto di misurarsi (οὐ γάρ τι ῥᾴδιον: 215a2), poiché il suo discorso mirerà a cog-liere non ciò che di Socrate chiunque conosce, ma ciò che fa di lui un essere atopos, unico rispetto a tutti gli uomini del presente e del passato (221c5). Questa unicità rende Socrate una creatura meravigliosa, un thauma del quale si tratterà di rendere ragione dettagliatamente, in ogni momento del discorso. L’introduzione della similitudine con i sileni scolpiti, i quali este-riormente appaiono tracotanti (221e) ma al loro interno recano simulacri di virtù (215b3, 216d7, 216e6, 222a4), costituisce il primo, necessario avvicinamento alla peculiare natura di Socrate. Veniamo qui a sapere che Socrate è intrinsecamente duplice: da un lato i suoi atteg-giamenti esteriori appaiono ridicoli, non degni di essere presi in considerazione; dall’altro la sua interiorità, una volta penetrata, è in grado di offrire una bellezza talmente sublime da spingere a fare tutto ciò che egli comanda (216e-217a). Ma la sua duplicità coinvolge anche un altro aspetto, che la similitudine con i sileni scolpiti permette di illustrare con chiarezza. Esattamente come Marsia contrappone alla sua esteriorità ripugnante una melodia irresistibi-le, in grado di ammaliare i suoi uditori, così anche Socrate dispone di un logos capace di avvincere i suoi interlocutori persino quando chi a pronunciarli non è lui, ma un interprete scadente (215d4).

-------------------------------------------- 1 Cf. ad es. Amips. apud Diog. Laert. II 28 (= PCG II fr. 9 = SSR I A 10); Aristoph. Nub. 362-363, 412-422; Antisth. apud Diog. Laert. VI 7 (= SSR V A 90), apud Dio Or. 3, 83-85 (= SSR V A 126), apud Theod. Graec. aff. cur. III 53 (= SSR V A 53); Aristipp. apud Diog. Laert. II 67 (= SSR IV A 36), apud Diog. Laert. II 74-75 (= SSR IV A 96), apud Gnom. Vat. 34 (= SSR IV A 124); Simon apud Socr. Ep. 13.2 (= SSR IV A 224); Phaed. apud Cic. De fat. 5.10 (= fr. 6 Rossetti), apud Cass. Conl. 13.5.3 (= fr. 11 Rossetti); Xenoph. Mem. I 2, 1-5, I 6, 6-8, II 1, 18-20, II 6, 22, IV 5, 8-9; Symp. 8, 8; Apol. 25; Oec. V 4. Su questi passi cf. Boys-Stones & Rowe (2013), 66, 72-75, 105-110. 2 Secondo Chantraine (1990), 578-579, il sostantivo κράτος, indicante la ‘forza’, deriverebbe dalla ra-dice κρατ-, la quale esprimerebbe la nozione di “durata” (come in Od. IX 393). Esso sarebbe presente non soltanto nei termini καρτερία ed ἐγκράτεια, ma anche in una serie di formazioni onomastiche tra cui Σωκράτης. Di qui la suggestiva ipotesi di Dorion (2007), 121, secondo la quale gli Antichi avrebbero associato al nome di Socrate la sua proverbiale karteria ed enkrateia.

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Questo straordinario potere del logos socratico trova conferma in un episodio riportato da Eschine di Sfetto. Questi racconta di un incontro nel quale Aristippo, giunto a Olimpia e venuto a sapere di Socrate dall’allievo Iscomaco, gli chiede in cosa consistano i dialoghi con cui Socrate riesce a coinvolgere i giovani. Iscomaco gli offre qualche saggio dei logoi del maestro, al che Aristippo prova un turbamento così forte da decidere di partire immediata-mente per Atene e diventare allievo di Socrate.3 L’aneddoto è significativo, poiché conferma quanto si può osservare nel Simposio. Vi è uno scarto tra l’uomo Socrate con i suoi atteggia-menti carismatici, e i suoi discorsi, i quali vivono di vita propria. Socrate è dunque duplice in un duplice senso: sia per la sua scissione tra un’esteriorità tracotante e un’interiorità virtuosa, sia per la scissione tra la sua personalità in carne e ossa e i suoi discorsi, attivi anche in sua assenza.

Questa articolazione è di fondamentale importanza per la nostra indagine. La prima sezi-one del discorso di Alcibiade, 215a4-216c3, si focalizza infatti sui logoi di Socrate, mentre la seconda, 216c4-222b7, prende in esame l’uomo Socrate.4 L’assenza di karteria di Alcibiade viene chiamata in causa in entrambe le sezioni, mentre la karteria di Socrate trova spazio solo nella seconda.

Vediamo ora come questa struttura si articoli nel dettaglio. Dinanzi ai logoi di Socrate qualsiasi interlocutore, sia egli una donna, un uomo o un ragazzo ne resta sbigottito e pos-seduto (ἐκπεπληγµένοι ἐσµὲν καὶ κατεχόµεθα: 215d5-6). Tali effetti sono particolarmente evidenti in Alcibiade, il quale al solo ascolto dei logoi di Socrate cade in preda a un invasa-mento coribantico, scoppia in lacrime e viene a trovarsi in una condizione di schiavitù nei confronti di Socrate (215e). Tali discorsi abbattono ogni sua resistenza (οὐκ ἂν καρτερή-σαιµι: 216a4) e suscitano in lui violenti patimenti,5 fino a costringerlo ad ammettere che la sua vita non è degna di essere vissuta (216a1-2) e che l’unica via d’uscita da questa impasse sarebbe curarsi di se stesso anziché degli affari degli Ateniesi (216a5-6; cf. 222a). Poco oltre veniamo tuttavia a sapere che questi logoi non hanno un effetto duraturo su Alcibiade (216b). Essi sono infatti “attivi” soltanto in presenza del maestro: Alcibiade è consapevole che non appena si allontana da Socrate non è più in grado di seguire le sue esortazioni, e gli onori effimeri della politica finiscono per avere la meglio (216b5). Da questa sua incapacità6 di ottemperare ai logoi del maestro deriva la profonda vergogna che egli prova ogni qual volta lo incontra, al punto di voler fuggire lontano da lui, di evitarlo, persino di non vederlo più tra gli uomini.

Quel che manca ad Alcibiade per essere virtuoso è dunque la karteria: non riesce a rima-nere saldo di fronte ai discorsi del maestro (216a4), e una volta ascoltatili non è capace di metterne in pratica le indicazioni. Ma Alcibiade non intende rinunciare alla virtù: se non è in grado di acquisirla mediante i logoi occorrerà tentare un’altra via, o meglio una scorciatoia, che gli permetta di carpirla direttamente da Socrate. La seconda sezione del suo discorso è infatti dedicata interamente alla ricerca di una synousia con il maestro,7 dalla quale si propo--------------------------------------------- 3 Plut. De curios. 2, 516a (= SSR IV A 2). 4 Tale cesura è avvertibile con chiarezza in 216c4-5 e trova implicitamente conferma qualche pagina dopo, in 219b5, quando Alcibiade zittisce Socrate (οὐδ’ ἐπιτρέψας τούτῳ εἰπεῖν οὐδὲν ἔτι), disattivando dunque il potere dei suoi logoi in modo da poter muovere indisturbato alle proprie avances sessuali. 5 Significativa la circostanza che gli effetti dei logoi di Socrate vengano descritti mediante il verbo “tra-gico” paschein: 215d8, 215e4, 216a4, 216a8. 6 Il tema di Alcibiade apaideutos è un luogo comune della letteratura socratica: cf. soprattutto Antistene (apud Athen. XII 534a = SSR V A 198), Eschine (apud Cic. Tusc. III 32, 77 = SSR VI 47) e Senofonte (Mem. I 2, 40-47). 7 Le sezioni 217a-c permettono di cogliere la natura più intima di tale synousia. Si notino le forme µόνος (217a7, 217a8), µόνος µόνῳ (217b3-4), ma soprattutto la frequenza di forme verbali recanti il prefisso συν-: συνεγιγνόµην (217b1, 217b3), συνηµερεύσας (217b7), συγγυµνάζεσθαι (217b7, 217c1, 217c2),

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ne di attingere, in cambio della sua avvenenza fisica, i simulacri di divina bellezza che Socra-te custodisce al suo interno.8 Anche questo intendimento sarà tuttavia destinato all’insuc-cesso, poiché ancora una volta Alcibiade dimostrerà di essere sprovvisto della karteria neces-saria. Di contro, Socrate si distingue per un “meraviglioso potere” (δύναµιν ὡς θαυµασίαν: 216c7), poiché “si innamora, gira sempre attorno ai belli e ne rimane sconvolto”, ma ciò no-nostante è in grado di esercitare un pieno controllo sulle proprie passioni mediante la sophro-syne che alberga nella sua interiorità (216d7). Occorre notare che il verbo qui utilizzato per definire il turbamento di Socrate dinanzi alla bellezza dei giovani, ekplesso (216d3), è il me-desimo che Platone aveva adoperato quando si era trattato di definire la reazione di Alcibiade dinanzi ai logoi di Socrate (215d4-5). Alcibiade è sconvolto dai discorsi di Socrate esatta-mente come Socrate è sconvolto dai bei giovani. Ma a differenza di Alcibiade, che non sa come contenere le passioni suscitate dai logoi e finisce per farsi avvincere dagli effimeri o-nori della politica, Socrate dispone di una virtù interiore, la sophrosyne, che gli permette di disprezzare i beni esteriori e coloro che li inseguono (216d7-e4).9 Le ripetute e sempre più insistenti avances di Alcibiade sono volte a mettere alla prova la karteria di Socrate (217c5),10 ma ottengono l’effetto contrario: quanto più Alcibiade riesce a entrare in intimità con Socrate tanto più si trova costretto subire non soltanto il suo rifiuto (219c6-d2), ma anche il suo dileggio (219a1-4 e soprattutto 219a8-b2) e il suo disprezzo (219c4).11 Dunque ancora una volta Alcibiade si trova costretto a soffrire,12 questa volta non più per la sua incapacità di far fronte al potere dirompente dei logoi, bensì a causa della karteria dell’uomo Socrate. Non solo non è riuscito a barattare la sua bellezza con la virtù del maestro, ma nel corso di questo tentativo ha avuto decisamente la peggio: umiliato dal disprezzo di Socrate, si trova nuova-mente a dover fare i conti con la sua inadeguatezza, la quale si traduce in un disperato quanto inesaudito bisogno di filosofia (218a-b, 219c3-5).

Ma Alcibiade non esce sconfitto invano. Infatti, se da un lato è stato umiliato da Socrate, dall’altro ha potuto sperimentare dal vivo la sua incrollabile virtù e rendersi conto del valore inestimabile della sua synousia. Decide perciò di tenere a freno la sua rabbia e di proseguire il suo elogio ergendosi a testimone delle qualità di Socrate, e cioè di quelle stesse virtù che hanno determinato il fallimento del suo baratto. Le ragioni del suo risentimento vengono così a coincidere con le ragioni della sua ammirazione. Di Socrate Alcibiade loda la natura, la temperanza e il coraggio, specificando tuttavia che ciò che fa di lui un uomo irripetibile sono altre due virtù, la saggezza, la phronesis, e la capacità di resistenza, la karteria (219d). Nel

-------------------------------------------- συνδειπνεῖν (217c7). Cf. però anche 216a8, dove Alcibiade sembra spaventato di fronte all’eventualità di una synousia con Socrate vita natural durante: è qui del tutto evidente come l’intendimento di Alcibi-ade sia volto all’ottenimento di una synousia “utilitaristica”, legata alla mera acquisizione degli agalma-ta aretes conservati nell’interiorità di Socrate. Sulla stessa falsariga 219d8, dove Alcibiade riflette sui rischi che deriverebbero da una rinuncia alla synousia con Socrate. 8 Significativa in proposito la giustapposizione tra il kallos di Socrate e l’eumorphia di Alcibiade: 218e2-3. 9 Come appunto Alcibiade: l’intercalare λέγω ὑµῖν (216e4) va infatti letto come un’implicita ammissio-ne di Alcibiade, il quale a differenza di Socrate si identifica con i suoi κτήµατα. I beni esteriori ai quali si fa qui riferimento sembrano coincidere con quelli ai quali si era rifatto in precedenza Alcibiade: cf. τιµὴν […] τῶν ὑπὸ πλήθους µακαριζοµένων (216e2) con ἡττηµένῳ τῆς τιµῆς τῆς ὑπὸ τῶν πολλῶν (216b5). Una presa di distanze da tale identificazione si ha anche nell’Alcibiade I: cf. soprattutto 130c-131d. 10 Cf. 217c4-5: ἐπειδὴ δὲ οὐδαµῇ ταύτῃ ἥνυτον, ἔδοξέ µοι ἐπιθετέον εἶναι τῷ ἀνδρὶ κατὰ τὸ καρτερὸν καὶ οὐκ ἀνετέον. 11 Cf. soprattutto 219c4: κατεφρόνησεν καὶ κατεγέλασεν τῆς ἐµῆς ὥρας καὶ ὕβρισεν. Non potendo resi-stere all’umiliazione subita, Alcibiade si rivolge agli altri simposiasti per intentare un processo alla hyb-ris di Socrate: 219c5-6 (cf. 215b7, 217e5, 220b8, 221b3-4, 221e3-4). 12 Cf. 216c5, 217e6-8, e soprattutto 218a2-5.

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prosieguo del passo, Alcibiade si sofferma su una serie di episodi che hanno caratterizzato la sua synousia con Socrate nel passato, in ognuno dei quali la phronesis e la karteria trovano applicazione secondo proporzioni e modalità diverse. In primo luogo, quasi a chiosare il suo fallimento d’amore, Alcibiade ci fa sapere che Socrate è invulnerabile al denaro (219e1-2). Segue un brusco cambio di scena, ed ecco Alcibiade soffermarsi su una serie di episodi rela-tivi alle campagne militari che lo videro protagonista insieme a Socrate prima a Potidea, poi a Delio (219e6-221b10). Alcibiade racconta le gesta di Socrate ricorrendo a un linguaggio ago-nistico,13 e premettendo alle sue riflessioni che il maestro lo superò “non soltanto nel soppor-tare le fatiche, ma anche in tutto il resto” (219e7-8). I ponoi qui accennati vengono subito esplicitati: nessuno è capace di resistere, karterein (220a1), alla fame più di Socrate, il cui primato si esercita anche nella situazione opposta, e cioè nei banchetti, nei quali è il solo a trarre pieno godimento. Inoltre Socrate, pur non amando il vino, sconfigge chiunque, pantas enkratei (220a3), se costretto a cimentarsi in una gara di resistenza nel bere. Ciò che suscita il non plus ultra della meraviglia (ὃ πάντων θαυµαστότατον: 220a4) è infatti la circostanza che nessuno lo vide mai ubriaco.

Seguono ulteriori esempi di resistenza fisica, di kartereseis (220a6), di Socrate: egli è l’unico a resistere ai rigori dell’inverno (220a6-b7), al punto da camminare scalzo sul ghiac-cio. In tal modo, suscita la meraviglia di tutti i suoi commilitoni, ma al tempo stesso anche la loro diffidenza. Come si vedrà in seguito, la karteria di Socrate veniva infatti vista da molti dei suoi contemporanei, primi fra tutti i comici, come un elemento strano e disturbante, se non addirittura come un segno di tracotanza.

Alla resistenza di Socrate al gelo invernale fa eco un atteggiamento analogo in piena es-tate, il quale lo rende simile a Odisseo, un eroe celebre per la sua karteria. Alcibiade racconta come Socrate trascorse un giorno e una notte a meditare all’impiedi, suscitando anche in questo caso la meraviglia dei soldati presenti, usciti a dormire all’aperto per accertarsi dell’impresa (220c3-d5).

Seguono due ulteriori episodi, i quali a differenza dei precedenti sembrano essere indica-tivi soprattutto della phronesis di Socrate. Il primo, quello dell’aristeia attribuita a Socrate per aver salvato la vita ad Alcibiade (220d6-220e8), costituisce con ogni probabilità la riela-borazione di un racconto riportato da Antistene.14 Il secondo, quello relativo al suo sangue freddo in occasione della ritirata da Delio, in virtù del quale riesce a trarre in salvo niente-meno che il generale Lachete (220e8-221b9), potrebbe risalire anch’esso ad Antistene:15 è infatti assai probabile che Platone abbia qui reinterpretato il racconto antistenico, suddividen-dolo in due episodi che in origine erano uniti.

Occorre a questo punto chiamare in causa un ulteriore elemento di intertestualità in ques-to brano, il quale è di particolare interesse poiché rimanda ancora una volta al tema della kar-teria. Per descrivere il pieno controllo di Socrate sugli accadimenti, Platone ricorre a una ci-tazione da un passo delle Nuvole di Aristofane nel quale si assiste a una caricatura di Socrate: “tu che vai a testa alta per le strade e volgi gli occhi di traverso”.16 La citazione termina qui,

-------------------------------------------- 13 Cf. 219e7-8: τοῖς πόνοις οὐ µόνον ἐµοῦ περιῆν, ἀλλὰ καὶ τῶν ἄλλων ἁπάντων. Tale carattere agonis-tico emerge anche in 220c5 (ἐφύλαττον αὐτὸν εἰ καὶ τὴν νύκτα ἑστήξοι), dove la karteria di Socrate vie-ne sottoposta ad una vera e propria verifica da parte dei suoi commilitoni. 14 Herod. apud Athen. V 216b (= SSR V A 200): καὶ Ἀντισθένης δ’ ὁ Σωκρατικὸς περὶ τῶν ἀριστείων (τοῦ Σωκράτους) τὰ αὐτὰ τῷ Πλάτωνι ἱστορεῖ. […] ὁ γὰρ Ἀντισθένης καὶ προσεπάγει τῇ ψευδογραφίᾳ λέγων οὕτως· «ἡµεῖς δὲ ἀκούοµεν κἀν τῇ πρὸς Βοιωτοὺς µάχῃ τὰ ἀριστεῖά σε λαβεῖν. – εὐφήµει ὦ ξένε· Ἀλκιβιάδου τὸ γέρας, οὐκ ἐµόν. – σοῦ γε δόντος, ὡς ἡµεῖς ἀκούοµεν». Cf. in proposito le ricostruzioni di Rossetti (1975), 17-18, e Patzer (1999) = Patzer (2012), 203-247. 15 Vedi anche Pl. Lach. 181b, su cui cf. Kahn (1990), 289. 16 Aristoph. Nub. 362: ὅτι βρενθύει τ’ ἐν ταῖσιν ὁδοῖς καὶ τὠφθαλµὼ παραβάλλεις.

Socrate karterikos 351

ma è interessante continuare a leggere il testo aristofaneo per rendersi conto che la capacità di Socrate menzionata da Alcibiade in riferimento alla campagna di Potidea, quella cioè di camminare scalzo sul ghiaccio in pieno inverno, costituisce anch’essa una rielaborazione del-la karteria socratica da parte di Aristofane: “scalzo sopporti molti mali e per causa nostra ti dai un solenne contegno”.17

Al termine di questa rassegna delle molteplici sfaccettature del Socrate karterikos, ci sia consentito richiamare la conclusione del Simposio, laddove Socrate, dopo aver trascorso un’intera nottata a discutere, mette a dormire gli ultimi simposiasti rimasti in piedi, il com-mediografo Aristofane e il tragediografo Agatone, e trascorre la giornata come di suo solito, resistendo al sonno fino a sera (223d).

Questi dunque i tratti della karteria di Socrate quali emergono dal Simposio. Abbiamo visto come essi permettano non soltanto di comprendere la natura del rapporto intercorso tra Socrate e Alcibiade, ma anche la synousia filosofica tipica del magistero socratico. Questa considerazione ci spinge ad allargare l’orizzonte oltre il Simposio, e a interrogarci sul signifi-cato che la karteria viene ad assumere in altri testi della letteratura socratica, laddove essa viene messa in relazione, o a sovrapporsi, ad altre nozioni indicanti un controllo delle passio-ni quali phronesis, sophrosyne, enkrateia e ponos.

Conformemente alla definizione fornita da Platone nel Lachete (192b-d), la karteria è “qualcosa di pertinente all’anima” (192c4), che diventa una virtù assimilabile al coraggio soltanto se è meta phroneseos, “accompagnata da saggezza” (192c8). In questa prospettiva, una karteria squilibrata, spericolata e priva di raziocinio è pura follia, e in quanto tale danno-sa e fuorviante (192d). Non sono dunque la difficoltà del cimento né l’accanimento con cui questo viene perseguito a determinare la qualità della karteria, bensì il modo in cui tale ci-mento viene affrontato, e cioè con o senza saggezza.

Abbiamo qui, in sintesi, quanto si osserva nel Simposio: l’originalità di Socrate, ciò che fa di lui un unicum rispetto a tutti gli uomini del presente e del passato, è data per lo più dall’abbinamento di phronesis e karteria (219d). Con la sola eccezione della resistenza di Socrate a camminare scalzo sul ghiaccio, gli episodi raccontati da Alcibiade sono altrettante testimonianze dell’interdipendenza di queste due virtù. Ciò vale soprattutto per gli ultimi due aneddoti, dedicati rispettivamente ai salvataggi di Alcibiade a Potidea e di Lachete a Delio. Come nel Lachete, il coraggio di Socrate è qui principalmente sangue freddo, lucidità e razio-cinio.

Questa componente razionale è di fondamentale importanza per cogliere la peculiarità della posizione platonica. Recenti studi hanno messo in luce l’atteggiamento polemico di Pla-tone nei confronti di una nozione limitrofa alla karteria che ha la sua origine proprio in ambi-to socratico, e cioè l’enkrateia.18 È nota la confutazione che egli ne fornisce nel Carmide e soprattutto nel quarto libro della Repubblica, dove si legge: “non trovi ridicola l’espressione ‘governare se stessi’, kreitton hautou? Infatti colui che governa su se stesso verrà anche governato da se stesso, e a governare e ad essere governato sarà un’unica persona”.19 Dunque tale nozione va abbandonata, e l’istanza di un controllo sulla componente irrazionale dell’uomo affidata a virtù provviste di raziocinio quali la phronesis o, nell’ambito di un’anima bi- o tripartita, la sophrosyne.

-------------------------------------------- 17 Aristoph. Nub. 363: κἀνυπόδητος κακὰ πόλλ’ ἀνέχει κἀφ’ ἡµῖν σεµνοπροσωπεῖς. 18 Cf. Dorion (2007), 121-122. Fu Jaeger (1944), 103-104, il primo a rilevare come il sostantivo ἐγκράτεια faccia la sua comparsa nel IV secolo, e precisamente in ambito socratico (Isocrate, Platone e Senofonte), per poi diventare un elemento costitutivo della cultura etica dell’Occidente. 19 Pl. Resp. IV 430e-431a (cf. Charm. 168b-c).

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È stato congetturato che la critica platonica all’enkrateia potrebbe essere stata formulata in risposta ad alcuni scritti di Senofonte poi confluiti nella redazione finale dei Memorabili-a.20 L’ipotesi è certamente stimolante, e l’incerta datazione di gran parte dei Memorabilia non permette di escluderla. Fatto sta che la tesi portante di Senofonte, quella di una enkrateia fondamento della virtù e condizione necessaria per l’apprendimento e la messa in pratica di ogni nozione etica,21 appare in contrasto con le posizioni platoniche, ivi compresa quella che abbiamo visto nell’ultima parte del Simposio. La scissione “procedurale” tra il presupposto della continenza dei bisogni corporei e la successiva acquisizione della conoscenza utile all’azione morale è infatti un tratto distintivo della posizione senofontea, e trova conferma nel significato che egli attribuisce alla nozione di karteria, la quale appare – ancor più dell’enkrateia – del tutto scevra da implicazioni intellettualistiche.22 Particolarmente indicati-va per tale scissione è la conclusione dei Memorabilia, dove si ha una netta separazione tra il momento “fisico” della continenza e quello “intellettuale” del giudizio etico-razionale (IV 8, 11):

[Socrate] era talmente enkrates da non preferire mai il piacevole all’onesto e talmente phro-nimos da non sbagliare mai nel giudicare il bene e il male e, senza avere bisogno di suggeri-menti altrui, era in grado di distinguerli con le sue forze, di spiegarli e di definirli (sottolinea-tura nostra). In una posizione intermedia tra Platone e Senofonte si colloca Antistene, la cui nozione

di ponos sembra a prima vista avvicinarlo a Senofonte. Una lettura attenta dei frammenti permette tuttavia di cogliere alcune importanti sfumature che lo collocano in una posizione assai più prossima a Platone. Se infatti in Antistene la via della virtù è irta di innumerevoli fatiche, è anche vero che a conclusione di tale percorso i piaceri saranno tanto più intensi quanto più dure saranno state le rinunce compiute: “pertanto, colui che è amante delle fatiche, philoponos, e continente, enkrates, non solo è adatto a governare, ma avrà anche più piacere di vivere di colui che conduce uno stile di vita opposto”.23 Queste riflessioni ricordano il passo del Simposio platonico nel quale viene illustrata la capacità di Socrate di far fronte sia al ponos del digiuno sia alla hedone dei banchetti (219e-220a). Ma in Antistene è presente anche una forte componente intellettuale, poiché soltanto la sapienza e l’educazione possono fornire i criteri per vivere nel modo corretto. La pratica della filosofia coincide infatti con la ricerca della vita preferibile, la quale può essere perseguita soltanto mediante un impegno in-tellettuale volto al raggiungimento della perfezione dell’individuo.24 Nella via alla virtù proposta da Antistene ritroviamo dunque un percorso simile a quello del Simposio, caratteriz-zato dalla compresenza di una componente fisica e una intellettuale. Tale prossimità permette di cogliere, come nel caso dell’aristia di Socrate, alcune differenze ma anche significative analogie con Platone.

È dunque questo il quadro nel quale viene a collocarsi la concezione platonica della kar-teria di Socrate. Si è potuto vedere come importanti sfaccettature di questa nozione emergano a partire dal confronto con alcune posizioni riscontrabili nella letteratura socratica di V e IV -------------------------------------------- 20 Cf. Dorion (2007), 123. Sulla nozione di enkrateia cf. anche Dorion (2003) = Dorion (2013), 93-122; Rossetti (2008); Redfield (2010). 21 Xenoph. Mem. I 5, 4-5. 22 Cf. i passi senofontei citati alla nota 1. Ciò che permette di distinguere l’enkrateia dalla karteria in Senofonte è dunque non soltanto la sfera di pertinenza – per Dorion (2000), 69-70, ripreso da Bevilac-qua (2010), 275 n. 2, l’enkrateia consisterebbe nel saper dominare gli impulsi interiori, la karteria le afflizioni provenienti all’esterno –, quanto il fatto che l’enkrateia prelude all’acquisizione della virtù-scienza, costituendone il presupposto ineliminabile, mentre la karteria ne appare del tutto svincolata. 23 Dio Or. 3.83-85 (= SSR V A 126). 24 Dio Or. 13.26-27 (= SSR V A 208).

Socrate karterikos 353

secolo. Il presente intervento si è limitato a prenderne in esame le più significative al fine di mettere in luce la peculiarità dell’interpretazione platonica, rimandando a ricerche ulteriori un esame più approfondito.

*

Bevilacqua, F., Senofonte. Memorabili, Torino 2010 = Bevilacqua (2010). Boys-Stones, G., & Rowe, Ch. (eds.), The Circle of Socrates. Readings in the First-Generation

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