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Francesca Gambino Signore degli animali o guardiano di tori? Il vilain del Chevalier au lion di Chrétien de Troyes Abstract: Lun des personnages les plus mémorables du Chevalier au lion de Chrétien de Troyes est le paysan quon rencontre dans la forêt de Brocéliande, juste avant datteindre la source merveilleuse. Dans certains manuscrits il appa- raît comme le gardien des taureaux, des ours et des léopards qui se battent devant lui. Des associations similaires danimaux ne devaient pas surprendre les hom- mes du Moyen Âge, qui étaient familiers des histoires dans lesquelles coexistaient des animaux sauvages de différentes régions géographiques. Le passage corres- pondant du Mabinogi de Owein, texte gallois qui suit le même récit que le roman de Chrétien, énumère cerfs, lions, serpents, et «toutes sortes danimaux». Il est donc probable que la source commune aux deux romans citait plusieurs bêtes sauvages. Larchétype de ces personnages est probablement le légendaire «seig- neur des animaux», divinité qui dans les cultures des chasseurs de la préhistoire présidait à la reproduction et à la distribution du gibier et qui a subi plusieures métamorphoses dans les contes hagiographiques de différents saints et dans dautres textes de la littérature française médiévale. Lassociation danimaux disparates constitue donc un canevas narratif traditionnel et le passage de Chré- tien de Troyes se réfère à ce substrat mythique. Keywords: Romance Philology and Literature, Romance Languages, French Lite- rature in the Middle Ages Prof. Dr. Francesca Gambino: Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari, Università degli Studi di Padova, Palazzo Maldura, via Beato Pellegrino, 1, I-35137 Padova, E-Mail: [email protected] 1. Uno dei personaggi memorabili del Chevalier au lion di Chrétien de Troyes è il vilain che si incontra nella foresta di Brocéliande poco prima di giungere alla sorgente meravigliosa. Se ne sta seduto su di un ceppo con una grande mazza in mano e la sua bruttezza è orripilante al punto che per descriverla è necessario lausilio di un piccolo zoo: la testa più grossa di un ronzino, orecchie enormi e pelose come quelle di un elefante, occhi di civetta e naso da gatto, la bocca tagliata come un lupo, denti da cinghiale aguzzi e rugginosi. Oltre a questi tratti anatomici egli pare condividere con gli animali anche il mutismo, almeno inizial- DOI 10.1515/zrp-2013-0063 ZrP 2013; 129(3): 589607

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Francesca Gambino

Signore degli animali o guardiano di tori?

Il vilain del Chevalier au lion di Chrétien de Troyes

Abstract: L’un des personnages les plus mémorables du Chevalier au lion deChrétien de Troyes est le paysan qu’on rencontre dans la forêt de Brocéliande,juste avant d’atteindre la source merveilleuse. Dans certains manuscrits il appa-raît comme le gardien des taureaux, des ours et des léopards qui se battent devantlui. Des associations similaires d’animaux ne devaient pas surprendre les hom-mes du Moyen Âge, qui étaient familiers des histoires dans lesquelles coexistaientdes animaux sauvages de différentes régions géographiques. Le passage corres-pondant du Mabinogi de Owein, texte gallois qui suit le même récit que le romande Chrétien, énumère cerfs, lions, serpents, et «toutes sortes d’animaux». Il estdonc probable que la source commune aux deux romans citait plusieurs bêtessauvages. L’archétype de ces personnages est probablement le légendaire «seig-neur des animaux», divinité qui dans les cultures des chasseurs de la préhistoireprésidait à la reproduction et à la distribution du gibier et qui a subi plusieuresmétamorphoses dans les contes hagiographiques de différents saints et dansd’autres textes de la littérature française médiévale. L’association d’animauxdisparates constitue donc un canevas narratif traditionnel et le passage de Chré-tien de Troyes se réfère à ce substrat mythique.

Keywords: Romance Philology and Literature, Romance Languages, French Lite-rature in the Middle Ages

Prof. Dr. Francesca Gambino: Dipartimento di Studi Linguistici e Letterari,Università degli Studi di Padova, Palazzo Maldura, via Beato Pellegrino, 1, I-35137 Padova,E-Mail: [email protected]

1. Uno dei personaggi memorabili del Chevalier au lion di Chrétien de Troyes è ilvilain che si incontra nella foresta di Brocéliande poco prima di giungere allasorgente meravigliosa. Se ne sta seduto su di un ceppo con una grande mazza inmano e la sua bruttezza è orripilante al punto che per descriverla è necessariol’ausilio di un piccolo zoo: la testa più grossa di un ronzino, orecchie enormi epelose come quelle di un elefante, occhi di civetta e naso da gatto, la boccatagliata come un lupo, denti da cinghiale aguzzi e rugginosi. Oltre a questi trattianatomici egli pare condividere con gli animali anche il mutismo, almeno inizial-

DOI 10.1515/zrp-2013-0063 ZrP 2013; 129(3): 589–607

mente. Se poi aggiungiamo la fronte larga quasi due spanne, la faccia piatta,l’assenza di collo e la gobba, avremo il ritratto di un essere mostruoso chenell’ordine discendente della descrizione segue scrupolosamente le indicazionidelle arti poetiche (fisionomia, corpo, abiti) e ricorda le sculture di alcune catte-drali medievali nella sua espressiva plasticità:

Uns vileins, qui resanbloit Mor, Un contadino che sembrava un Moro,Leiz et hideus a desmesure, brutto e ripugnante a dismisura,Einsi tres leide criature 288 una creatura così orridaQu’an ne porroit dire de boche, da non potersi descrivere,Assis s’estoit sor une çoche, stava lì, seduto su di un ceppo,Une grant maçue en sa main. con una grande mazza in mano.Je m’aprochai vers le vilain, 292 Mi avvicinai al contadino,Si vi qu’il ot grosse la teste e vidi che aveva la testa grossaPlus que roncins ne autre beste, più di un ronzino o di altra bestia,Chevox mechiez et front pelé, capelli arruffati, fronte pelata,S’ot pres de deus espanz de lé 296 larga quasi due spanne,Oroilles mossues et granz orecchie pelose e grandiAutiex com a uns olifanz, come quelle di un elefante,Les sorcix granz et le vis plat, le sopracciglia spesse e la faccia piatta,Ialz de çuete et nes de chat, 300 occhi di civetta e naso da gatto,Boche fandue come lous, la bocca tagliata come un lupo,Danz de sengler aguz et rous, denti da cinghiale aguzzi e rugginosi,Barbe rosse, grenons tortiz, la barba rossiccia, i baffi attorcigliati,Et le manton aers au piz, 304 il mento unito al petto,Longue eschine torte et boçue; la schiena lunga, storta e ingobbita.Apoiez fu sor sa maçue, Stava appoggiato alla sua mazza,Vestuz de robe si estrange vestito di un abito ben strano,Qu’il n’i avoit ne lin ne lange, 308 dove non c’era lino né lana,Einz ot a son col atachiez ma al suo collo erano attaccatedeus cuirs de novel escorchiez, due pelli da poco scuoiateOu de deus tors ou de deus bués. di due tori o di due buoi.1

Questo contadino, coperto solo da due pelli da poco scuoiate e armato di mazza,ha certo molte caratteristiche in comune con il mitico essere che vive nelle foreste,l’Uomo selvaggio, ma la sua figura tende a confondersi anche con gli altri esclusiche popolano la letteratura arturiana: la statura smisurata (cinque metri) loapparenta al gigante, la carnagione scura al saraceno, la barba rossiccia al

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1 Cito testo e traduzione da Gambino (2011). In questa descrizione non manca neppure ilcanonico elogio della Natura o di Dio, qui sostituito da «Mes plus de cent foiz se seingna | De lamervoille que il ot, | Comant Nature feire sot | Oevre si leide et si vilainne», vv. 794–797 (‘più dicento volte si segnò | per la meraviglia che provò, | come Natura aveva potuto fare | una creaturacosì brutta e rozza’), per cui cf. Frappier (1969, 233).

diavolo, figure spesso sovrapponibili o intercambiabili.2 Un vilain si oppone delresto per definizione al mondo della cortesia e la funzione di guida verso l’AltroMondo, ereditata dal folclore celtico, è da lui svolta nel romanzo di Chrétien inmodo del tutto inconsapevole: «D’aventure ne sai je rien, | N’onques mes n’en oïparler», vv. 366–367 (‘di avventure non so nulla e non ne ho mai sentito parlare’),questa è la risposta alla domanda di Calogrenant, subito prima di indicare alcavaliere il cammino verso la sorgente che bolle e il pino sempreverde, l’avventu-ra delle avventure.3

Il vilain di Chrétien de Troyes riunisce in sé la maggior parte dei tratti dellatopica rappresentazione medievale dell’Uomo selvaggio che si ricostruisce attra-verso l’arte figurativa e la letteratura: l’ausilio di connotati umani e animaleschiper descriverlo, ad esempio, oppure l’esplicita dichiarazione sulla propria naturaumana, e ancora la famigliarità con gli animali della foresta, elemento quest’ulti-mo tra i più costanti.4 Esso è una sorta di vox media, antagonista e ausiliariodell’eroe,monstrum e prodigium al tempo stesso.5

Un aspetto al quale fino ad ora non mi pare sia stata data la giusta rilevanza,tuttavia, è il particolare delle grandi orecchie elefantiache. La loro dimensione èenorme, come si evince anche da un personaggio che pare direttamente clonatodalla figura descritta nel Chevalier au lion, il selvaggio Merlino che appare,sempre a Calogrenant, in Le livre d’Artus e che usa i propri padiglioni auricolariper proteggersi dalla pioggia (cf. il § 3.2).

Sin dalla tradizione letteraria classica i resoconti di viaggio menzionavanostrani esseri dalle orecchie così grandi da poter essere usate l’una come giaciglioe l’altra come coperta, i Panotii. Pare che questo nome (pan ‘tutto’, othi ‘orecchi’)sia stato usato per la prima volta da Pomponio Mela nel De Chorographia (primametà del I sec. d. C.), ma già il navigatore e geografo greco Scilace di Carianda(VI–V sec. a. C.) e lo storico Megastene (IV–III sec. a. C.) avevano descritto popola-zioni con le stesse caratteristiche fisiche (Enotocoetes ‘coloro che dormono nelleloro orecchie’, Otolicnes ‘con le orecchie grandi come un paniere’). Plinio distin-

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2 I particolari della taglia gigantesca e della carnagione scura sono sottolineati anche nelsecondo ritratto del personaggio: «Li veoirs li demore et tarde | Del vilain qui tant par est lez, |Granz, et hideus, et contrefez | Et noirs a guise de ferron», vv. 707–711 (‘Era impaziente di vedere |questo contadino tanto brutto, | grande, orrendo e deforme, | nero come un fabbro’).3 Sugli stereotipi culturali della figura del contadino, che appartiene al terzo e ultimo ordinedella società feudale, quello dei laboratores, cf. Piponnier/Bucaille (1976, 227–232); Le Goff (1977,131–144); de Combarieu du Grès (1978, 7–26) (la statura gigantesca è un tratto della bruttezza delcontadino); Vedrenne-Fajolles (2007).4 Cf. Bernheimer (1952, 1–18 e 26); Le Goff/Vidal-Naquet (1979, 265–319). Manca in Chrétienl’aspetto dell’aggressività sessuale.5 Su questo aspetto, cf. Dufournet (1990, 57–105).

gue due popolazioni: nel Nord della Scizia, accanto alle isole i cui abitantinascono con piedi di cavallo (Hippodes), ce ne sono «Panotiorum aliae in quibusnuda alioqui corpora praegrandes ipsorum aures tota contegant» (Naturalis histo-ria, IV, 95, ‘ce ne sono altre chiamate Isole dei tutto-orecchi, in cui i nativi hannoorecchie molto larghe che coprono interamente i loro corpi, che sono altrimentinudi’); in India, dopo aver menzionato gli uomini che nascono con una codapelosa e scattante, Plinio ricorda «alios auribus totos contegi» (Naturalis historia,VII, 30, ‘altri sono completamente coperti dalle loro orecchie’).6 L’Uomo selvaggiodel Chevalier au lion attinge chiaramente anche a questa tradizione.

2. Prima di incontrare il vilain, tuttavia, l’attenzione di Calogrenant è attirata daun gruppo di animali che si scontrano in una radura e proprio qui si trova il nododella questione che vorrei affrontare:

L’ostel gaires esloignié n’oi, 276 Nonmi ero allontanato molto,Qant je trovai en uns essarz quando trovai in un campo disboscatoTors salvages, ors et lieparz, tori selvaggi, orsi e leopardiQui s’antreconbatoient tuit che si combattevano tra di loroEt demenoient si grant bruit 280 e facevano un così gran rumore,Et tel fierté et tel orguel, erano tanto feroci e aggressiviSe voir conuistre vos an vuel, che, se volete sapere la verità,C’une piece me treis arriere indietreggiai un poco,Que nule beste n’est tant fiere 284 perché nessuna bestia è più feroceNe plus orguelleuse de tor. e più aggressiva del toro.

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6 Cf. Rackham (1942, 192 e 526); cf. inoltre Lecouteux (1980, 253–266); Sebenico (2005, 152s.); perla tradizione non solo europea di queste creature, cf. Izzi (1989, 276): in Giappone i Choji, inMelanesia i Dogai, etc. Il particolare delle orecchie larghe ‘come una cesta’, attestato dai mss. FG«Ausi lees come est .i. vans» (ASR «conme .ii. vans»), e non ‘come a un elefante’ (HPV «com a unsolifanz»), implica inoltre la conoscenza della tradizione che risale al Liber monstrorum (VIII sec.):«Ultra hoc ad orientem nascuntur homines longi pedum .XV. lati pedum .XV. caput magnum etaures habentes tamquam vanum unam», per cui cf. Lecouteux (1980, 257) (‘a oriente nasconouomini con piedi larghi 15 piedi e la testa grande 15 piedi, e che hanno orecchie come una cesta’).Le sigle dei manoscritti del Chevalier au lion di Chrétien de Troyes sono da sciogliere in questomodo: A = Chantilly, Musée Condé, Bibliothèque du Château, 472; F = Paris, BibliothèqueNationale de France, fr. 1450; G = Paris, Bibliothèque Nationale de France, fr. 12560; H = Paris,Bibliothèque Nationale de France, fr. 794; P = Paris, Bibliothèque Nationale de France, fr. 1433;R = Princeton (USA), University, Firestone Library, Garret 125; S = Paris, Bibliothèque Nationalede France, fr. 12603; V = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Reginensi Latini(Cristina di Svezia) 1725.

La maggior parte dei manoscritti che hanno tradito il Chevalier au lion indica inquesto punto una pluralità di animali, mentre due testimoni si limitano a menzio-nare un branco di tori. Da un lato dunque la figura tratteggiata sarebbe assimila-bile a quella di un «signore degli animali», con tutte le valenze culturali eantropologiche del caso, dall’altro si tratterebbe di un, pur straordinario, bovaro.

Ecco la varia lectio del passo problematico, il verso 278:

H Tors salvages ors et lieparzP Tors sauvages et espararsV Torz sauvages et espaarzF Et tors savages et luparsG Trois ors sauvages et .i. liepartA Ors sauvages lions luparsS Tors sauvaiges ours et luparsR Et tors salvages et lupars.7

2.1 Gli argomenti a favore della variante che attesta la presenza di soli tori sonomolteplici. La lezione tors è tràdita da P e da V, due manoscritti che per lo piùappartengono a rami diversi di tradizione e che sono di solito considerati abbas-tanza affidabili.

Certo gli studiosi sono concordi nel ritenere che una classificazione rigorosadei manoscritti del Chevalier au lion seguendo il principio lachmanniano deglierrori comuni sia impossibile. Nonostante si riescano a individuare delle parente-le sulla base di lacune, interpolazioni e errori simili, Wendelin Foerster e Alexan-dre Micha hanno infatti dimostrato che ci sono molte interferenze tra questiraggruppamenti in punti diversi del romanzo (come ad esempio HV o PGAS, PVcontro HFG), che le alleanze tra manoscritti subiscono cambiamenti repentini acausa della profonda e generalizzata contaminazione tra testimoni, e che nellatrasmissione dei testi di Chrétien devono essere considerati alcuni fattori cherendono difficile fissare i rapporti tra manoscritti in uno stemma definito: ilrifacimento libero e individuale da parte dei copisti; la possibilità di versionimultiple che risalgono all’autore; l’utilizzazione di più di un manoscritto comemodello da parte dei copisti. Il décalage temporale che separa la copiatura diquesti manoscritti dalla composizione dell’opera, almeno 25 anni per il più antico(An) e tra i 50 e 150 anni per gli altri, non fa che rendere più arduo seguire letappe, orali e scritte, che separano i testimoni che sono giunti fino a noi dal testo‘originale’. Tuttavia gli studi sulla tradizione manoscritta del romanzo fanno tuttiemergere la frequente ripartizione dei codici in tre famiglie: 1) H P. 2) An F G, A S

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7 Cf. Gambino (2011), dove è affrontata brevemente la questione nella nota al verso.

M R Mod. 3) V, che dà una versione particolare del romanzo, alleggerita di alcunecentinaia di versi e più vicina alla seconda famiglia che alla prima.8

Dopo aver descritto i combattimenti tra animali che si fronteggiano congrande strepito in modo feroce e aggressivo, Calogrenant confessa la sua pauraammettendo di aver indietreggiato un poco, perché, si giustifica «Que nule besten’est tant fiere | Ne plus orguelleuse de tor», vv. 282–285 (‘nessuna bestia è piùferoce e più aggressiva del toro’). Il toro è un animale temibile. Non per nulla il«gigante fellone» Harpins de la Montaingne (v. 3856), altro avatar in chiavediabolica dell’Uomo selvaggio (è armato di un bastone, ha il petto villoso, èricoperto da una pelle d’orso), è paragonato a un toro («Si bret et crie come tors»,v. 4228, ‘mugghiò e gridò come un toro’). Nel Chevalier de la charrete è invece uncavaliere a essere equiparato al toro, simbolo per antonomasia di «orgoglio».9

Nel raccontare a Calogrenant come riesce a dominare gli animali, il vilainafferma che, quando ne agguanta uno, lo stringe per le corna con le sue mani duree forti, tanto che gli altri tremano di paura e si raggruppano tutti intorno a lui:

N’i a celi qui s’ost movoir Non c’è nessuno che osi muoversiDes que ele me voit venir; non appenami vede avvicinare,Car quant j’en puis une tenir, perché, quando posso afferrarne uno,Si l’estraing si par les deus corz, lo stringo per le cornaAs poinz que j’ai et durs et forz, con le mie mani dure e forti,Que les autres de peor tranblent tanto che gli altri tremano di pauraEt tot environ moi s’asanblent, e si stringono tutti intorno a me,Ausi con por merci crïer. vv. 342–349 come per implorare pietà.

Negli incontri successivi con il vilain, infine, sono ricordati solo i tori. QuandoIvain prefigura il tragitto che dovrebbe fare sulle orme del cugino Calogrenant,immagina di vedere «i tori e la radura e il gigante che faceva loro la guardia»:

Puis verra les tors et l’essart Poi avrebbe visto i tori e la raduraEt le grant vilain qui les garde. vv. 706–707 e il gigante che faceva loro la guardia.

E quando Ivain giunge per davvero alla radura, vede «i tori e il contadino» che gliindica la strada:

Et vint es essarz l’andemain, L’indomani giunse alla radura,Si vit les tors et le vilain vide i tori e il contadino,Qui la voie li anseingna. vv. 791–797 che gli indicò la strada.

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8 Cf. Foerster (1887, VII–XXXIII); Micha (1939, 153); Jonin (1958, 88–93); Woledge (1986, vol. I,8s.).9 Cf. Beltrami (2004, vv. 2576–2577, 176).

2.2 Altri argomenti depongono però a favore di una molteplicità di animali e, purnon essendo risolutivi nella scelta tra le differenti versioni, illustrano il contestonel quale esse sono nate.

Come accade per la variante che attesta la presenza di soli tori, anche lavarietà faunistica è attestata da rami diversi di tradizione (H e FGASR), ed è inparticolare presente nel manoscritto Guiot (H), il testimone preso come base inmolte edizioni critiche perché ritenuto nel complesso il migliore.

Alla domanda di Calogrenant («Que fez tu ci?», v. 331, ‘Che fai qui?’) il vilainrisponde che sta sorvegliando gli animali del bosco («gart les bestes de cest bois»,v. 332, ‘sorveglio gli animali di questo bosco’), appellativo che sembra più appro-priato a un gruppo di animali selvaggi che non a un branco di tori.

La storia di Ivain ha origini celtiche insulari e Chrétien ha tratto molti elementidella sua trama da un racconto di origine folclorica sull’amore di un mortale conuna fata. Il suo viaggio verso il castello di Laudine ha anche una chiara ambienta-zione oltremondana ed è normale che prima di raggiungerlo l’eroe debba superarele barriere terrifiche che compaiono nei viaggi verso il tartaro: la valle piena difiere mostruose, insieme alla palizzata di teste, ne è una costante.10 Esiste nellospecifico un testo gallese, il mabinogi di Owein, che ha lo stesso nucleo narrativodel romanzo di Chrétien. A lungo si è discusso su quale fosse il rapporto tra le dueopere e la maggior parte degli studiosi ha concluso che entrambe derivano da unafonte comune diversamente rielaborata.

Un argomento rilevante a favore di una pluralità di animali consiste dunquenel fatto che nel passaggio corrispondente dell’Owein sono elencati cervi, leoni,serpenti e «ogni sorta di animale», ed è quindi probabile che l’archetipo comunealle due narrazioni citasse più bestie selvagge:11

Un peu avant dans le bois, tu rencontreras un chemin bifurquant à droite; suis-le jusqu’àune grande clairière unie; au milieu s’élève un tertre sur le haut duquel tu verras un grandhomme noir, aussi grand au moins que deux hommes de ce monde ci; il n’a qu’un pied et unseul œil au milieu du front; à la main il porte une massue de fer, et je te réponds qu’il n’y apas deux hommes au monde qui n’y trouvassent leur faix. Ce n’est pas que ce soit un hommeméchant, mais il est laid. C’est lui qui est le garde de la forêt, et tu verras mille animauxsauvages paissant autour de lui. Demande-lui la route qui conduit hors de la clairière. Il semontrera bourru à ton égard, mais il t’indiquera un chemin qui te permette de trouver ce quetu cherches. […]

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10 Cf. Donà (2003, 222).11 I due brani sono tratti dalla traduzione francese di Loth (1913, vol. II, 9s.); lo stesso passo ètradotto anche in Lambert (1993, 215s.); per l’edizione del testo celtico originale, cf. Thomson(1975).

En y arrivant, il me sembla bien voir là au moins trois fois plus d’animaux sauvages que nem’avait dits mon hôte. L’homme noir était assis au sommet du tertre; mon hôte m’avait ditqu’il était grand: il était bien plus grand que cela. L’homme noir était assis au sommet dutertre; mon hôte m’avait dit qu’il était grand: il était bien plus grand que cela. La massue defer qui, d’après lui, aurait chargé deux hommes, je suis bien sûr, Kei, que quatre hommes deguerre y eussent trouvé leur faix: l’homme noir la tenait à la main. Je saluai l’homme noirqui ne me répondit que d’une façon bourrue. Je lui demandai quel pouvoir il avait sur cesanimaux. «Je te le montrerai, petit homme», dit-il. Et de prendre son bâton et d’en déchargerun bon coup sur un cerf. Celui-ci fit entendre un grand bramement, et aussitôt, à sa voixaccoururent des animaux en aussi grand nombre que les étoiles dans l’air, au point que j’avaisgrand’ peine à me tenir debout au milieu d’eux dans la clairière; ajoutez qu’il y avait desserpents, des vipères, toute sorte d’animaux. Il jeta les yeux sur eux et leur ordonna d’allerpaître. Ils baissèrent la tête et lui témoignèrent le même respect que des hommes soumis àleur seigneur. «Vois-tu, petit homme», me dit alors l’homme noir, «le pouvoir que j’ai sur cesanimaux».

Il «grande uomo nero» dell’Owein, alto almeno «come due uomini», si staglia incima a un poggio «con una mazza di ferro in mano», mentre «mille animaliselvaggi» pascolano vicino a lui. Non è cattivo, ma è brutto, ha un piede solo e ununico occhio in mezzo alla fronte, vero gigante ciclopico. I tratti fantastici sono,come ènormale nei testi celtici,molto più accentuati. Le similitudini tra i personag-gi appaiono evidenti, ma anche le differenze sono significative e proprio quest’ulti-me sono servite a formulare l’ipotesi che le due opere siano debitrici nei confrontidi una tradizione comune alla quale gli autori attingono però liberamente.

È stato inoltre rilevato come il guardiano dell’Owein e quello del Chevalier aulion siano entrambi parenti stretti di alcuni personaggi che compaiono nei raccon-ti della tradizione celtica, primo tra tutti il multiforme Curoi, che può assumerel’aspetto di un pastore gigantesco a guardia di animali selvaggi.12

3. L’archetipo di tutte queste figure è probabilmente il leggendario «Signore deglianimali». Secondo la terminologia affermatasi nella storia delle religioni i «Signo-ri degli animali» erano divinità che nelle culture dei cacciatori preistorici presie-devano alla riproduzione e alla distribuzione della selvaggina. In cambio diofferte essi potevano concedere ai cacciatori di uccidere le loro prede, agendo inquesto modo come donatori di prosperità, ma erano contemporaneamente ancheprotettori degli animali e potenziali predatori degli uomini.13

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12 Brown (1903, 1–147; 70–74 per il guardiano di animali) è stato il primo a definire le originiceltiche insulari del racconto di Ivain; cf. inoltre Frappier (1969, 97); Woledge (1986, 74ss.);Walter (1994, 1171). Per la figura di Curoi, cf. invece Loomis (1949, 207–211; 285–289), e Marx(1952, 145ss. e 149 n. 1).13 Cf. Galloni (2007, 18s.).

Tali miti presentano punti in comune con l’iconografia dell’Uomo selvaggio,il gigante irsuto che vive tra le fiere, una delle possibili personificazioni del«Signore degli animali». Il tratto che più colpisce tra quelli che sono attribuitiall’Uomo selvaggio è infatti proprio il potere di dominare tutti gli animali con laforza fisica e con l’istintiva autorevolezza. Orsi e leoni, serpenti e draghi, animalireali e fantastici, tutti a lui si sottomettono e si adattano a servirlo come destrieri.Il motivo è sfruttato anche in alcuni testi di area germanica14 e particolarmenteinteressante dal nostro punto di vista è il poema epico del XII secolo Orendel, nelquale si legge la descrizione di una scena rappresentata su di una bardaturadecorata con oro sbalzato: sotto un tiglio giacciono un leone e un drago, un orso eun verro, mentre accanto a loro, ritto in piedi, si erge l’Uomo selvaggio:

Unter den linden gestrecket lak Distesi sotto un tiglioEin lewe und ein trac giacevano un leone e un drago,Ein ber und ein eberswin un orso e un verro,Waz mohte kluoger dâ gesîn tantobelli davederequantopotevanoesserlo.Daran stuond der wilde man Là si ergeva l’Uomo selvaggioFuer wâr ich iuch daz sagen kan e posso dirti che, pur fatto di oro,Von gold reht als er lebte.15 vv. 1253–1260 sembrava fosse vivo.

3.1 Tra le metamorfosi subite nel corso della storia da questi miti, particolarmen-te stringenti dal nostro punto di vista sono quelle occorse con l’avvento delCristianesimo. Nel culto di alcuni santi è possibile rinvenire tracce di queste figurepreistoriche a valenza totemica, nel racconto agiografico delle loro vite riaffioranomotivi e credenze di un fondo culturale remoto.16 È soprattutto un topos dell’agio-grafia altomedievale a essere interessante dal nostro punto di vista, quello del-l’eremita che, isolandosi in preghiera e penitenza, è circondato da moltitudini dianimali che lo proteggono (o ne sono protetti) e lo venerano, quasi ricostruendoattorno a sé l’armonia perduta dell’Eden.

Uno dei santi più noti da questo punto di vista è probabilmente San Biagio, ilmedico vissuto tra il III e il IV secolo a Sebaste in Armenia (Asia Minore). Persfuggire alle persecuzioni contro i cristiani, san Biagio si rifugiò in una grotta,

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14 Cf. Bernheimer (1952, 26), che riporta anche le immagini di alcune sculture, e 30 per i poemiepici di area germanica; Bartra (1992, 90).15 Steinger (1935). Questo passo dell’Orendel è un’interpolazione più tarda.16 Sul filone di testi leggendari relativi a santi dotati di poteri sulle fiere dei boschi, cf. Donà(2003, 85ss.), con numerosi esempi (sant’Albeo, san Colombano, etc.). Donà osserva che questopotere, attributo della divinità oracolare pagana ma anche squisitamente sciamanico, affiora inun gran numero di testi agiografici anteriori al Mille, provenienti soprattutto dall’area celtica o daquella germanica.

dove venivano a trovarlo per farsi curare le bestie selvatiche. Mentre il santopregava gli animali non lo disturbavano, ma aspettavano che finisse, ne riceveva-no la benedizione, e poi se ne tornavano da dove erano venuti. Quando il gover-natore della Cappadocia Agricolao inviò dei cacciatori nelle montagne intorno aSebaste alla ricerca di fiere per martirizzare i cristiani nell’arena, costoro furonosorpresi da un gran numero di animali di ogni specie (leoni, tigri, orsi, lupi) cheaspettavano pacificamente di fronte a una grotta. Era la grotta in cui stava pre-gando san Biagio.17

Ma forse ancora più interessante per noi è la leggenda di sant’Antonio abate.Sant’Antonio fu un eremita egiziano (250 circa – 17 gennaio 357). A lui si deve laformazione di gruppi di monaci che, sotto la guida di un padre spirituale, abbà, siconsacrano al servizio di Dio. Per questo egli è considerato il fondatore delmonachesimo cristiano e il primo degli abati. Sant’Antonio è però anche ilprotettore degli animali domestici: in alcune località dell’Abruzzo ancora oggi il17 gennaio si benedicono animali e stalle, ponendoli sotto la sua protezione, e glisi offrono primizie, un segno di abbondanza che costituisce un ulteriore collega-mento ai Signori degli animali dell’antichità.18

La Vita Antonii è stata scritta nel IV secolo da un discepolo, Atanasio diAlessandria. Il libro, una lunga lettera rivolta ai monaci d’Occidente per indicareloro l’ideale monastico vissuto dal santo, ebbe un’enorme fortuna, fu tradotto inmolte lingue e ricopiato in centinaia di codici, uno dei più grandi successi dellaletteratura cristiana. Nel racconto agiografico ampio spazio è dedicato alla nar-razione delle tentazioni. L’anacoreta, che visse a lungo in una grotta e come Cristoaccettò la sfida del demonio nel deserto, dovette subire ogni tipo di percosse, diseduzioni e di minacce. Le apparizioni e le metamorfosi con cui si attua laprovocazione assumono l’aspetto di figure femminili oppure di leoni, orsi, leopar-di, tori, serpenti, vipere e scorpioni, tutte facies del diavolo tentatore.

9. Allora, dunque, in quella notte i demoni fecero tanto rumore che tutto il luogo sembravascosso e, come se essi stessi avessero abbattuto le quattro pareti del sepolcro, parveropenetrare attraverso le mura assumendo l’aspetto di fiere e di rettili. In breve tempo tutto il

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17 Cf. gli Acta sanctorum (vol. IV, 341a e 349a). L’episodio è narrato anche nella Legenda aureadi Iacopo da Varazze, cap. XXXVIII (ed. Maggioni 2007), che parla di «magnam bestiarummultitudinem».18 Cf. Galloni (2007, 115–141 e 145). Sant’Antonio abate è spesso raffigurato insieme a un maialecon al collo una campanella. La tradizione iconografica nasce dal fatto che l’Ordine degliAntoniani allevava maiali, i quali circolavano liberamente nei centri abitati con al collo unacampanella, in quanto il loro grasso serviva per ungere gli ammalati colpiti dal fuoco disant’Antonio. Una storia affine è quella di san Pellegrino dell’Alpe, eremita che visse isolatoinsieme agli animali e ne divenne il guardiano, per cui cf. Benozzo (2011, 236).

luogo fu pieno di fantasmi di leoni, di orsi, di leopardi, di tori, di serpenti, di aspidi, discorpioni, di lupi. Ognuno di essi si comportava secondo la figura che aveva assunto. Il leoneruggiva, pronto ad aggredirlo, il toro sembrava colpirlo con le corna, il serpente strisciando nonriusciva a prenderlo, il lupo era trattenuto mentre tentava di assalirlo. Lo strepito di tuttequelle fiere che apparivano era terribile, come terribile era il loro aspetto.

52. Come canta Davide (Sal 34,16), il diavolo guardava Antonio e digrignava i denti contro dilui. Ma Antonio era consolato dal Salvatore e perciò non riceveva alcun danno dalla maliziae dalle varie attività del demonio. Una notte, mentre vegliava, il nemico gli scatenò controdelle belve, e quasi tutte quelle che erano nel deserto uscirono dalle tane, lo circondarono,minacciandolo con la bocca aperta di morderlo. Allora capì che era opera del nemico e dissea tutte: «Se avete ricevuto qualche potere contro di me, sono pronto a essere divorato da voi;se siete state mandate dai demoni, non fermatevi, ma andate via. Io sono servo di Cristo».Dopo che Antonio ebbe pronunciato queste parole, quelle fuggirono come inseguite dallasferza del suo discorso.

53. Dopo pochi giorni, mentre lavorava (infatti aveva anche cura del lavoro), uno si presentòalla porta e tirò la corda intrecciata con cui Antonio lavorava. Antonio infatti intrecciavadelle ceste che donava a quelli che gli facevano visita in cambio di quanto gli portavano. Sialzò e vide una bestia simile a un uomo fino alle cosce e un asino nelle gambe e nei piedi.Antonio si fece il segno di croce e disse: «Sono servo di Cristo; se sei stata mandata contro dime, eccomi pronto». La bestia con i suoi demoni fuggì così velocemente che cadde e morì.Ma la morte della belva in realtà era la caduta dei demoni. Tentarono in tutti i modi diallontanarlo dal deserto, ma non ci riuscirono.19

Ritornando al testo di Chrétien, possiamo osservare come alcuni elementi delracconto stabiliscano dei contatti con le leggende dei santi anacoreti e in partico-lare con la vita di Antonio. L’incontro di Calogrenant con le bestie selvaggeavviene in un essarz (v. 277), attualizzazione del deserto di sant’Antonio, e,quando il cavaliere vede il contadino, assimilato, l’abbiamo già ricordato, a piùanimali (ronzino, elefante, civetta, gatto, lupo, cinghiale), teme inizialmente ditrovarsi di fronte a un diavolo (vv. 326–330): «Va, car me di | Se tu es boene choseou non!» (‘Suvvia, dimmi se sei una creatura buona o no!’), chiede Calogrenant.«Je sui uns hon» (‘Sono un uomo’), risponde il contadino. «Quiex hom iés tu?»(‘Che specie di uomo’), insiste Calogrenant. «Tex con tu voiz» (‘Quella che vedi’),aggiungendo poi «Si ne sui autres nule foiz» (‘sono sempre lo stesso’). Con questoultimo dettaglio il contadino chiarisce di non essere un diavolo che può assumerediverse forme e risponde così al senso recondito della domanda di Calogrenant,timoroso di trovarsi di fronte a una creatura diabolica.

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19 Cito dalla traduzione italiana della Vita Antonii che si può leggere in rete all’indirizzo <http://www.tradizione.oodegr.com/tradizione_index/vitesanti/antonio.htm> (1 settembre 2012).

3.2 Una ricerca tra i testi della letteratura francese medievale permette di rinveni-re molti passi nei quali gli orsi sono associati ai leopardi (nel sogno di Carloma-gno raccontato nella Chanson de Roland, nella Chanson d’Aspremont, nella fores-ta di Berte aus grans piés di Adenet le Roi, etc.),20 oppure ai tori (nella Chansond’Aspremont),21 mentre tori, orsi e leopardi compaiono insieme ad altri animalinel romanzo dei Sette saggi o Dolopathos, dove il protagonista del raccontoincontra «Lou et lieon, leupars et ors, | singleit, buglë, aine salvaige, | tor, dragonet serpan volaige, | souterel, et mouton, et mostre | me venoient molt à l’ancon-tre», vv. 8613–8618 (‘Lupi e leoni, leopardi e orsi, cinghiali, asini selvatici, tori,draghi e serpenti alati, cavallette e montoni e mostri mi assalivano’).22 In questopasso il modello delle tentazioni di sant’Antonio mi pare abbastanza evidente.

Lo stesso modello si ritrova del resto agevolmente anche in altri testi, convarianti nel tipo di animali elencato: nel Roman de Thèbes («Par mi un bois vetchevauchant, | fieres bestes vet encontrant: | gripons, serpanz, guivres, dragons, |lieparz et tygres et lyons», vv. 649–652, ‘In mezzo a un bosco andavo cavalcan-do, | incontrando bestie feroci: | grifoni, serpenti, biscioni, dragoni, | leopardi,tigri e leoni’); nella Continuation de Perceval di Gerbert de Montreuil («Et sisachiez, de l’autre part, | Ors et lïon, sangler, lupart | Vont par ces rues comba-tant», vv. 6321–6323, ‘E sappiate che dall’altra parte, | orsi e leoni, cinghiali eleopardi | vanno combattendo per queste vie’); nel Roman de la fleur de lis diGuillaume de Digulleville («Que devant li fuiront lieppars, | Ours et lions de toutezpars», vv. 228–229, ‘che davanti a lui furono leopardi, | orsi e leoni da tutte leparti’), etc.23

In un episodio di Le livre d’Artus, seguito particolare e tardivo del Merlino-Vulgata (1230–1235), Merlino incontra Calogrenant dopo essersi trasfigurato eaver assunto le fattezze del vilain del Chevalier au lion.24 Il personaggio ricalca davicino quello di Chrétien: si trova «en un grant essart», ha in pugno una mazza«en guise de pastor» e sulle spalle indossa una pelle di lupo dai peli molto lunghi.Alto, nero, villoso, brutto da far paura, anche per la descrizione di questo «homsavages» il narratore si deve ispirare alle caratteristiche di più animali: gli occhigrandi e neri come una cerva,25 la testa grossa come un bufalo, la bocca largacome un drago fessa fino alle orecchie, due i piedi ma girati al contrario, con il

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20 Cf. rispettivamente Segre (1996, CLXXXV, vv. 2542–2544, 354); Brandin (1970, vv. 2072–2073,vol. I, 67); Henry (1982, XXII, vv. 647–648, 76).21 Cf. Brandin (1970, v. 6031, vol. I, 193).22 Cf. Leclanche (1997, 334).23 Cf. le edizioni di Raynaud de Lage (1991, 21); Williams (1922, 194); Piaget (1936, 339).24 L’opera è conservata da un unico manoscritto (Paris, Bibliothèque Nationale de France, fr.337, cc. 115a–294d) e meriterebbe studi più approfonditi.

tallone al posto delle dita. Più avanti, quando comincia a cadere un po’ dipioggerella, eccolo coprirsi la testa e le spalle con una delle sue orecchie,avvilupparsi tutto con l’altra: i suoi padiglioni auricolari sono evidentementevoluminosi come quelli di un elefante, nuovo particolare che rinvia al vilain diChrétien (cf. § 1).

La conversazione con Calogrenant segue di pari passo quella che già cono-sciamo, compresa la rassicurazione antidiabolica («li demande quex hom il est etil li dist: – Vassauls, qu’en volez vos faire? Ge sui itelx com vos veez, que autres nesui nule foiz», ‘gli chiede che tipo di uomo sia ed egli gli risponde: – Signore, checredete? Sono tale quale vedete, non cambio mai’). Merlino continua poi spiegan-do che se ne sta lì a sorvegliare «gli animali del bosco», dei quali è il signore («etgart les bestes de ces bois et la forest dont ge sui toz sires»), come già avevaaffermato il vilain di Chrétien («Einsi sui de mes bestes sire», v. 353). Prima diincontrare Calogrenant, Merlino aveva fatto arrivare appositamente («par art»)innumerevoli cervi, cerve, daini e «toutes manieres de bestes sauvages environlui pasturer» (‘e ogni tipo di animale selvaggio a pascolare intorno a lui’), tuttianimali a lui sottomessi tanto da non osare mangiare o bere senza il suo ordine.26

Anche in questo testo chiaramente ispirato al passo del Chevalier au lion,pertanto, è questione di molte specie di animali, non solo di tori, come pure nelletraduzioni antiche e nei rifacimenti che l’opera ha conosciuto: nell’Iwein diHartmann von Aue, traduzione poetica in antico tedesco dell’opera di Chrétiendatabile intorno al 1205, il vilain pare controllare più animali («aller der tierehande» v. 405, ‘controlla tutti gli animali’), anche se sono menzionati solo «wi-sente und ûrrinder» v. 411 (‘bisonti e uri’);27 nella traduzione duecentesca in prosain antico norreno è questione di «villigraðunga ok leóparða» cap. 2 A–B (‘tori

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25 In questo punto l’edizione Sommer (1913, 124 § 37) legge liche, voce lemmatizzata nelglossario con un punto interrogativo. A mio avviso si dovrebbe trattare appunto di una biche‘cerva’, termine che ricorre anche poco dopo alla pagina 125 § 4.26 Cf. Sommer (1913, 124 § 20–125 § 18). A tale edizione abbiamo apportato piccole modifiche peragevolarne la lettura (u > v, introduzione dei segni diacritici). In una delle profezie di Merlino cheseguono (Sommer 1913, 163 § 8), la lupa nutre il leopardo meraviglioso che difenderà la terra diBretagna dal dragone. Compaiono subito dopo un serpente dal capo d’oro, un leone e uncinghiale. La Vita Merlini di Geoffrey di Monmouth presenta già Merlino come un uomo deiboschi che raggruppa cervi, daini e capre selvagge, tutti animali a lui obbedienti: cf. Dubost(1991, 730–740).27 Cf. l’edizione di Wolff (1968, 10s.). Altri elementi indicano che l’autore doveva seguire unmodello affine al testo che leggiamo in FG, due manoscritti che citano più animali, come rivela ilparticolare delle orecchie ‘larghe come una cesta’ «breit alsam en wanne» v. 443, da confrontarecon FG «Ausi lees come est .i. vans» (ASR «conme .ii. vans»), e non ‘come a un elefante’ (HPV«com a uns olifanz»), per cui cf. anche § 1.

selvaggi e leopardi’);28 nel riadattamento poetico svedese di inizio Trecento com-paiono «leon, biörna ok pantiwr» v. 248 (‘leoni, orsi e pantere’);29 nella traduzioneinglese in versi si citano «lebard, | lions, beres, bath bul and bare» (‘leopardi,leoni, orsi, tori e cinghiali’).30

Il vilain di La Mule sanz Frain è gigantesco («plus estoit granz que saintMarcel» v. 510, ‘era più grande di san Marcello’), scuro come un Moro («qui morresanble de Moretaigne» v. 515, ‘assomigliava a un moro della Mauritania’) eporta in spalla una grande ascia. Ai suoi ordini troviamo leoni feroci e serpentisputafuoco, che hanno assassinato molti eroici cavalieri.31 Nel romance medio-inglese su Galvano e il Carle di Carlisle, infine, il racconto inizia con Galvano, Keue il vescovo di Baudewyn che si perdono nella nebbia inseguendo una renna(o un cervo, a seconda delle versioni) e giungono in un castello. Vi ci abita Carledi Carlisle, un uomo dalla statura imponente che li aspetta nella gran sala delcastello circondato da un toro selvaggio, un cinghiale «mortifero», un leone e unorso di meravigliosa grandezza.32

4. Riprendendo l’interrogativo dal quale siamo partiti, il personaggio che siincontra prima della fontana meravigliosa è un «signore degli animali» oppure unguardiano di tori? La risposta non può essere univoca e dipende in parte anchedal punto di vista. Si potrebbe infatti sostenere che la rappresentazione del vilainnel Chevalier au lion rifletta la percezione che ne ha Calogrenant. Un cavaliere èabituato a frequentare persone del suo rango, non gente umile e rozza. Egliconosce così poco il mondo popolare fuori dal suo castello che un guardiano dianimali che vive nella foresta, sporco e trasandato, assume per lui un aspettosoprannaturale. Si tratterebbe quindi di un incontro meraviglioso tale soltantoagli occhi di un cavaliere che si imbatte in una creatura a lui totalmente estranea.

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28 Cf. Blaisdell (1979, 10).29 Liffman/Stephens (1849, 10).30 Cf. Schleich (1887, 7); e inoltre Mills/Andrew (1992, 8). Nel rifacimento cinquecentesco diPierre Sala, invece, sono menzionati solo i tori: «Je n’eux pas fait voië loingteine | Que je trouveyune grant pleine | Ou je vis meins toreaulx saulvaiges, | Eschauffées et remplis de rages, | Quicruellement se batoyent | Et des cornes s’entrehurtoient | et demenoiënt si grant bruit | Que troismille grans sers en ruit | n’eussent pas fait plus grant tonnerre», vv. 265–273, ed. Servet (1996,107), (‘Non mi ero allontanato molto | quando trovai una grande pianura | dove vidi molti toriselvaggi, | esagitati e pieni di rabbia, | che crudelmente si combattevano | e si davano addossocon le corna | e facevano un così gran rumore, | che tremila grandi cervi in calore | non avrebberofatto più fracasso’).31 Cf. Orłowski (1911, 163ss.). Secondo Loomis (1949) anche questo personaggio sarebbe ispiratoal celtico Curoi.32 Cf. Donà (2003, 451s.).

L’affermazione che tale rappresentazione rifletta l’esperienza del soggettodiegetico potrebbe tuttavia essere vera anche in senso opposto, rovesciandonel’interpretazione: Calogrenant incontra un meraviglioso «signore degli animali» eper descriverlo lo riconduce a una figura a lui relativamente famigliare, uncontadino che sorveglia alcune bestie. Anche in altri passi del romanzo accadeche la meraviglia sia addomesticata e ricondotta nell’alveo rassicurante delverosimile. Nel descrivere la fontana meravigliosa, ad esempio, il vilain usa glistrumenti in suo possesso e racconta di un bacile di ferro (v. 384) che l’aristocra-tico Calogrenant accerterà essere invece di oro puro. Non è questo l’unico partico-lare a essere innalzato dall’avvenuto cambiamento di prospettiva: la grossa pietradi cui parla il contadino si rivelerà essere un blocco di smeraldo, con tanto dirubini rossi che la sorreggono, e il cavaliere aumenterà il numero dei dettagli chedescrivono tutta la scena.

Univoca è piuttosto la strategia di Chrétien de Troyes, sempre impegnato arazionalizzare il dato soprannaturale per inserirlo logicamente nell’intreccio delracconto. La componente meravigliosa si mescola insomma a un certo realismo, èmaneggiata con distanza critica e pure con una buona dose di ironia, tanto che,riprendendo le categorie di Todorov, sarebbe appropriato per il nostro passoparlare di fantastico e rappresentare con il termine l’esitazione del lettore e delpersonaggio di fronte a un fenomeno dalle caratteristiche, naturali oppure so-vrannaturali, ambigue.33

5. Ritorniamo al ramo di tradizione che attesta la presenza di più animali. Laversione originaria di questo ramo potrebbe essere a mio avviso proprio quella diH, Tors salvages ors et lieparz, condivisa da S Tors sauvaiges ours et lupars. Apartire da questo testo si possono infatti spiegare le lezioni degli altri manoscritti.

I tors ‘tori’ diventano trois ‘tre’ in G, con successiva quantificazione anche deileopardi, ridotti a uno (G Trois ors sauvages et .i. liepart). I Tors diventano ors in Aper caduta dell’iniziale del verso, il che innesca prima la sostituzione di ors conlions per evitare la ripetizione, poi la caduta della congiunzione et per far tornareil computo sillabico (A Ors sauvages lions lupars).

Un impoverimento faunistico sembra anche quello di RF, con la caduta di orse l’integrazione della congiunzione et a inizio verso, sempre per esigenze di tipometrico: R Et tors salvages et lupars, F Et tors savages et lupars.

È dunque vero che al v. 285 Calogrenant descrive il carattere temibile del solotoro, che al v. 345 il contadino dice di dominare gli animali stringendoli per lecorna, e che ai vv. 706 e 792 Yvain sulle tracce di Calogrenant menziona di nuovo

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33 Todorov (1970, 37s.).

solo i tori, ma questi sono i primi animali ricordati nel verso in questione. Il loronome sarebbe sufficiente a evocare l’intero gruppo di bestie per rimando metoni-mico, una sorta di sineddoche del tipo «la parte per il tutto».

Quanto alla versione dell’altro ramo di tradizione (P Tors sauvages et espa-rars, V Torz sauvages et espaarz), essa non è di facile interpretazione.

Il termine esparars di P (o l’eventuale esperars) non è lemmatizzato nell’Alt-französisches Wörterbuch. Il termine espaarz di V è invece lemmatizzato sotto lavoce espäart con il significato di ‘con corna a forma di spada’. L’aggettivo, unhapax, nei dizionari è messo in relazione con lo spagnolo espadarte ‘pesce spada’e l’immagine rinvierebbe alle corna dei tori, aguzze come delle spade.34

Ricordo infine la suggestiva soluzione proposta da Francis Bar: il testo diChrétien sarebbe tors sauvages, orz et espars: l’aggettivo orz assumerebbe l’acce-zione di ‘spaventosi’ (singolare ord), mentre espars significherebbe ‘che si trova-no qua e là, non legati, in libertà’ (participio passato di espardre ‘sparpagliare,disperdere’). Un copista avrebbe a un certo punto inteso ‘orsi’ e l’errore di bana-lizzazione avrebbe poi provocato la proliferazione di animali della tradizionemanoscritta. L’antecedente di PV, resosi conto del fraintendimento, avrebbe in-vece soppresso orz e allungato espars in espaars per recuperare la sillaba man-cante.35

6. In alcuni manoscritti del Chevalier au lion tori, orsi e leopardi si azzuffano difronte al loro guardiano. Simili associazioni di animali non dovevano sorprenderegli uomini medievali, i quali avevano famigliarità con racconti in cui convivevanobestie selvagge non provenienti dalla stessa regione geografica. L’associazionetra animali disparati costituisce un canovaccio narrativo tradizionale e il passo diChrétien de Troyes rinvia a questo substrato mitico.

604 Francesca Gambino

34 Cf. TL, III, col. 1136 «mit schwertförmigen Hörnern»; REW 8128 (< SPATHASPATHA); Gamillscheg 381as. v. épaulard; DCELC, II, 381a. Foerster (1912) sceglie di mettere a testo Tors sauvages et espaarz[e nel glossario «espaart? wild o herrenlos, verlaufen (wenn = espáve) *† 280»], ritenendo a paginaXXXIX che la versione con più animali probabilmente preserva una più antica forma della storiarispetto a quella contenuta nella versione francese di Chrétien; Hult (1994) Tors sauvages etesperars (‘sul punto di agire, in stato di eccitazione’, aggettivo che sarebbe calcato sui due verbiesperer ‘essere in attesa’ e esperir ‘svegliarsi, animarsi’); Uitti (1994) Tors salvages com lieparz, mala congiunzione com non è attestata in alcunmanoscritto.35 Cf. Bar (1966, 47–50).

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