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La Sapienza Università di Roma Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo Dottorato di Ricerca in Strumenti e Metodi per la Storia dell’Arte, XXVI ciclo Anno accademico 2010-11 Titolo della tesi Pierfrancesco Borgherini: storia del mecenatismo artistico di un banchiere fiorentino del Rinascimento, alla corte dei papi a Roma. Dottorando: Carlo Piga Tutor: Professore Emerito Silvia Danesi Squarzina

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La Sapienza Università di Roma

Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo

Dottorato di Ricerca in Strumenti e Metodi per la Storia dell’Arte, XXVI ciclo

Anno accademico 2010-11

Titolo della tesi

Pierfrancesco Borgherini: storia del mecenatismo artistico di un banchiere fiorentino

del Rinascimento, alla corte dei papi a Roma.

Dottorando: Carlo Piga Tutor: Professore Emerito

Silvia Danesi Squarzina

Indice

Introduzione pag. 1

Cap. I – Origini e ascesa della famiglia Borgherini: da Cerreto Guidi al Borgo dei SS. Apostoli

a Firenze. pag. 6

Cap. II – Da Firenze a Roma: Pierfrancesco Borgherini, un mercatore fiorentino con la passione

per l’arte alla corte di Leone X. pag. 27

Cap. III – La decorazione della Camera nuziale di Pierfrancesco Borgherini a Firenze. pag. 39

Cap. IV – La decorazione della Cappella Borgherini, nella chiesa di San Pietro in Montorio a

Roma. pag. 95

Cap. V – Due presunti ritratti di Pierfrancesco Borgherini, realizzati da Sebastiano del Piombo a

Roma. pag. 139

Cap. VI – Pierfrancesco e Giovanni, due fratelli d’opposte vedute nella Firenze Medicea e

Repubblicana: le ultime commissioni artistiche. pag. 155

Cap. VII – Le ultime volontà dei due fratelli: i testamenti inediti di Giovanni e Pierfrancesco

Borgherini. pag. 161

Conclusioni pag. 168

Appendice documentaria pag. 175

Bibliografia pag. 231

Abstract

L’oggetto di questa tesi è la storia del mecenatismo artistico di Pierfrancesco Borgherini (e della sua

famiglia), il maggiore esponente di una nobile dinastia di banchieri toscani del Rinascimento, attivi

tra Firenze e Roma, in un arco di tempo compreso all’incirca, dalla prima metà del Quattrocento,

alla fine del quarto decennio del secolo successivo. La scelta dell’argomento è nata dalla

constatazione che a fronte del prestigio raggiunto dal banchiere e dalla sua casata agli inizi del XVI

secolo, suggellato dall’avvio di una fiorente mecenatismo, la carenza d’informazioni a riguardo,

costituiva un ostacolo difficilmente sormontabile, che si frapponeva ad ogni serio tentativo di

ricomposizione del contesto, entro il quale traevano origine i pregevoli capolavori, entrati nel corso

del tempo in possesso della famiglia. A tale scopo la raccolta di un consistente corpus di dati

eterogenei, in gran parte inediti, ha costituito una solida base documentaria da cui procedere. Tra

questi cito in particolare: un gruppo di 54 pergamene, comprese nel fondo Castellani-Borgherini-

Nasi (quanto rimane dell’archivio di famiglia), conservate presso l’Archivio di Stato di Firenze, da

quanto mi risulta finora mai pubblicate, tre testamenti inediti con relativi codicilli, rispettivamente

di Salvi, Pierfrancesco e Giovanni Borgherini, che ho rintracciato, i primi due, sempre presso

l’ASF, il terzo nell’Archivio privato della famiglia Rosselli del Turco, conservato nella loro storica

residenza fiorentina in Borgo SS. Apostoli (ex Palazzo Borgherini). Le Carte di Giovanni Poggi,

dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, in Palazzo Strozzi a Firenze, fonte preziosa di

notizie e suggerimenti. Infine: atti notarili, transazioni economiche, passaggi di proprietà ecc.,

sparsi nei fondi di Firenze ma soprattutto di Roma, in particolare presso l’Archivio di Stato, o

nell’Archivio Segreto Vaticano. Collazionando queste informazioni con quanto già noto, è stato

possibile ricostruire l’origine e la genealogia dei rami principali della casata, con le relative

discendenze, seguirne la progressiva ascesa sociale ed economica, nell’ambito dell’attività

mercantile e finanziaria, favorita anche da un’accorta politica di alleanze matrimoniali, giunta al

colmo agli inizi del Cinquecento, quando i Borgherini potevano vantare estesi interessi, a Firenze in

Francia, ma soprattutto a Roma. Un successo che coincide maggiormente con il capostipite Salvi,

ma soprattutto con suo figlio Pierfrancesco, non primogenito come ritenuto fin qui, ma terzogenito

ed erede designato. All’esponente principale della casata è stato dedicato ampio spazio in questo

studio, con l’obiettivo di ricomporne in modo attendibile il poliedrico profilo, con particolare

attenzione alla “scena capitolina”, dove egli visse e operò per lunghi tratti delle sua esistenza.

Mercatore di Giulio II e di Leone X, abile finanziere e fine mecenate, amico di Michelangelo e

committente, tra gli altri, di Sebastiano Luciani, Baccio d’Agnolo, Pontormo, Andrea del Sarto,

Francesco Granacci, Benedetto da Rovezzano e Bachiacca.

Le notizie raccolte, hanno permesso di approfondire la conoscenza del contesto, sia fiorentino che

romano, entro il quale si trovarono ad operare i Borgherini: le loro residenze (di cui la principale

localizzata nella via Florea a Ponte), l’attività del banco e una parte di quella fitte rete di relazioni,

che legarono il giovane rampollo, agli ambienti della corte di Leone X (dove egli fu ammesso nel

1514, in virtù dei suoi trascorsi filo-medicei, come segretario delle lettere Apostoliche), e ai

connazionali della Nazione Fiorentina, di stanza nel quartiere della finanza. Sono emersi ad

esempio i rapporti d’affari con la corona spagnola, tramite il Viceré di Napoli Raimondo de

Cardona e con il cardinale della diocesi milanese Federico di Roberto Sanseverino, che si servì a

più riprese del banco Borgherini, e dal quale il banchiere acquisì un palazzo di sua proprietà alla

Suburra. Il prelato era associato al potente cardinale spagnolo: Bernardino Lopez de Carvajal,

protettore degli amadeiti di S. Pietro in Montorio, pertanto non è improbabile che sia stato proprio

lui uno dei possibili anelli di congiunzione con l’ambiente gianicolense, dove in seguito

Pierfrancesco dispose la propria cappella gentilizia, fatta decorare a Sebastiano Luciani.

Il periodo di maggior successo dei Borgherini coincide con l’inizio del loro mecenatismo, che vide

protagonista Salvi ma soprattutto Pierfrancesco e in tono minore suo fratello Giovanni.

Fu il capostipite a commissionare a Baccio D’Agnolo, intorno al 1507 l’edificazione del palazzo di

famiglia in Borgo SS. Apostoli a Firenze (dal 1750 Rosselli del Turco), con i relativi arredi interni,

comprensivi dei due camini monumentali, di cui il primo ancora in situ, e l’altro magnifico nelle

decorazioni scultoree classicheggianti, che lo ricoprono interamente, realizzate da Benedetto da

Rovezzano, conservato a partire dal 1882 presso il Museo Nazionale del Bargello di Firenze (figg.

2-3).

Fu lo stesso Salvi in occasione delle nozze di suo figlio con Margherita Acciaioli, celebrate nel

1515, a commissionare l’arredo per la camera degli sposi, composto dal pregevole fornimento in

noce (oggi scomparso), realizzato dal Baglioni, ancora attivo nel cantiere del palazzo, corredato da

una serie di 15 pannelli pittorici (fortunatamente sopravvissuti), raffiguranti la Storia di Giuseppe

Ebreo (fig. 4), eseguiti da un equipe di artisti che ruotavano intorno alla bottega del legnaiolo, tra i

quali: Francesco Granacci, Andrea del Sarto, il suo allievo Pontormo e Francesco Ubertini, detto il

Bachiacca, Tuttavia la morte di Salvi, intorno a questa data, lascia supporre, così come avvenne, per

la costruzione dell’edificio, che il giovane erede, subentrò al padre nella supervisore dei lavori,

intervenendo, con molta probabilità personalmente, nella scelta dei temi da rappresentare. D’altro

canto l’appellativo di Sciptore col quale viene designato il giovane rampollo in due bolle inedite di

Leone X, sembra attestarne una certe preparazione culturale.

Il nucleo principale della raccolta, è costituito dai due cicli decorativi della camera nuziale a Firenze

e della Cappella Borgherini, in San Pietro in Montorio a Roma, del Luciani (fig. 5), che rimandano

al protagonista principale del mecenatismo di famiglia. È piuttosto significativo, che entrambe le

commesse, cadano quasi nello stesso periodo, coincidente con il momento di maggior successo,

pubblico e privato del banchiere e con l’inizio della sua amicizia col Buonarroti, più grande di lui di

circa tredici anni. I due furono legati da un rapporto di profonda stima e reciproco affetto, e da una

sintonia d’ideali, soprattutto religiosi, protrattosi per oltre un decennio, iniziato a Roma e proseguito

a Firenze, che chiama in causa altri protagonisti. Leonardo Sellaio, legato ad entrambi, in qualità di

factotum di Pierfrancesco e amico e confidente di Michelangelo, nonché custode della sua bottega

romana, durante l’assenza in città del maestro; ma soprattutto Sebastiano Luciani, interprete

esemplare del “pensiero” michelangiolesco, nel ciclo decorativo gianicolense. La vicinanza col

grande artista, possiamo immaginare, costituì per il novello mecenate uno stimolo straordinario, che

finì per influenzarne il gusto e le future scelte estetiche. D’altra parte è evidente, fin dalle prime

battute, come il banchiere voglia coinvolgere il Buonarroti, facendogli richiesta di «una certa cosa

di pittura», che se, com’è stato notato, difficilmente poteva riferirsi alla decorazione della sua

cappella gentilizia (in quanto nel carteggio michelangiolesco si parla espressamente di un quadro),

forse potrebbe essere collegata in qualche modo, all’allestimento della sua camera nuziale, vista la

stretta pertinenza temporale. Seppur Michelangelo non tenne fede alla promessa del dipinto, è

ipotizzabile che egli intervenne in quell’impresa, sia sponsorizzando, con molta probabilità il suo

amico Francesco Granacci (al quale di fatto furono assegnati i pannelli di maggior visibilità), che

indirettamente, influenzando, sovente, le invenzioni dei pittori impegnati, in particolar modo quelli

a lui più vicini, oltre a Granacci, Andrea del Sarto, ma soprattutto Pontormo.

Ben diverso il coinvolgimento di Michelangelo nel ciclo decorativo della Cappella Borgherini a

Roma, dove egli ricoprì un ruolo di primo piano, non solo nell’indirizzare la scelta del banchiere

verso il “compare”, Sebastiano, ma come ben sappiamo, fornendo a quest’ultimo, seppur da dietro

le quinte, gran parte delle invenzioni.

La peculiarità del soggetto rappresentato dal Luciani, basato in larga parte sul contenuto profetico

dell’Apocalipsys nova, del Beato Amedeo, fondatore della congregazione dei francescani amadeiti

e del complesso Gianicolense, è stato analizzato in modo approfondito da Jhosephine Jungich.

Tuttavia a seguito dei recenti contributi di Silvia Danesi Squarzina e di Stefania Pasti, è stato

possibile focalizzare meglio i molteplici richiami all’esegesi concordistica elaborata da Gioacchino

da Fiore nel Liber del Concordia (a cui d’altro canto è ispirato il manoscritto dello pseudo-

Amedeo), presenti nelle immagini di Sebastiano. Una complessità dottrinale, attestata tra l’altro

dalla presenza della lingua dei patriarchi, nel Decalogo tenuto da Mosè (fig. 6), che da quanto mi

risulta, costituisce quasi un unicum, a questa data, nel panorama della pittura europea, soprattutto in

virtù della presenza del Tetragramma, l’innominato nome di Dio, seppur nella forma brevis.

Caratteristiche che rimandano a mio avviso, all’ambiente colto della Biblioteca Apostolica, in cui

come dimostrato da Danesi Squarzina gli scritti del mistico calabrese, venivano regolarmente

consultati dai dotti frequentatori, e dove aggiungo, circolava il De Verbo Mirifico di Johannes

Reuchlin, ossia il testo fondamentale per gli studi cabalistici, espressamente dedicato al ruolo

salvifico del nome divino, del quale, oltre ad Egidio da Viterbo, lo stesso Leone X era un

appassionato lettore. Dopo la morte di Filippo Beroaldo il giovane (1518), fu nominato

Bibliotecario Vaticano, Zanobi Acciaioli, dotto domenicano, fervente seguace del Savonarola, neo

parente di Pierfrancesco e vicino di casa dei Borgherini a Firenze. Ritengo pertanto plausibile una

sua partecipazione, in veste di consigliere, nell’elaborazione del soggetto di Sebastiano, e a questo

punto, anche per quello raffigurato nella camera nuziale.

È probabile che l’impegno dell’artista veneziano con il banchiere non si esaurì con l’impresa

gianicolense, ma incluse altre due commesse, in cui Pierfrancesco avvalendosi delle grandi doti

ritrattistiche di Sebastiano, si fece riprendere rispettivamente nelle vesti del donatore della Sacra

Famiglia con San Giovanni Battista, della National Gallery di Londra, e in quelle del Gentiluomo

col cappello in mano, del Museum of Art di San Diego.

Riguardo la tavola di Londra, la scoperta della data 1517, ha permesso di dare consistenza

all’ipotesi di Berenson di una possibile committenza Borgherini della Sacra Famiglia del Luciani,

riconoscendo nel dipinto quello citato nel carteggio michelangiolesco di quegli anni. Si tratterebbe

del quadro dipinto da Sebastiano in alternativa ad un altro del Sarto richiesto in precedenza dal

banchiere, che non aveva soddisfatto le sue aspettative. Per il capolavoro del Luciani, Michelangelo

come richiesto dall’amico veneziano, realizzò uno schema per la composizione, riconosciuto in

alcuni casi con un piccolo bozzetto di Madonna col Bambino e un donatore, conservato al Museo

Boymans van Beuningen di Rotterdam, in cui a mio avviso la presenza di una linea di riquadro

tracciata con la riga, potrebbe alludere a quelle misure del supporto, che Sebastiano, nella lettera

inviata al Buonarroti, afferma di voler comunicare al grande artista. Il passaggio alla composizione

orizzontale definitiva, tramite l’aggiunta dei due santi laterali, potrebbe essere avvenuto in seguito,

in virtù di un ripensamento del committente, che preferì al soggetto iniziale, quello attuale della

Sacra Famiglia con Giovanni Battista, forse perché ritenuto più adatto a celebrare quello che a mio

avviso era stato il motivo da cui traeva origine la commessa, ossia l’imminente nascita del

primogenito, che poi risultò essere la primogenita Lucrezia, venuta al mondo il 20 ottobre 1517,

deceduta prematuramente di peste il 18 aprile del 1531.

L’indubbia somiglianza del donatore, con l’elegante Gentiluomo del museo californiano, sempre

del Luciani, rende plausibile a mio avviso l‘ipotesi, avanzata da Hirst, che si tratti pure in questo

caso di un ritratto di Pierfrancesco Borgherini. Aggiungo che la presenza di un ramoscello di rose

sull’intera cornice del quadro, potrebbe richiamare il fiore araldico della famiglia, che compare

isolatamente, al di fuori degli stemmi, in diversi manufatti di loro proprietà, come nel soffitto della

residenza fiorentina, o nel sacello di San Pietro Martire ai SS. Apostoli a Firenze. Con l’ausilio di

immagini digitali ad alta definizione, gentilmente fornitemi dal dott. Marciari, del Museo

Californiano, è stato possibile mettere a fuoco alcuni dettagli finora sconosciuti, come la presenza di

un vistoso pentimento nell’area superiore della tela, in cui si nota chiaramente che in principio il

copricapo era stato pensato dal Luciani sopra la testa dell’uomo e una volta completato, cancellato e

trasferito nella mano del personaggio.

Questo breve excursus si conclude con due pitture da cavalletto, con cui si apre e si chiude la storia

del mecenatismo dei Borgherini (quantomeno per ciò che concerne l’epoca di pertinenza di questo

studio).

Si tratta nel primo caso del «ritratto d’esso Giovanni quando era giovane a Venezia, e nel medesimo quadro

il maestro che lo guidava», descritto da Vasari, in casa dei figlioli di Giovanni Borgherini a Firenze (ossia a

Palazzo Borgherini). L’opera riconosciuta, in una piccola tela della National Gallery of Art di Washington

(fig. 5), ascritta al maestro di Castelfranco, tra gli altri da Anderson, Gentili, e Lucco, era stata richiesta a

Giorgione da Salvi, intorno al 1505, durante un soggiorno trascorso a Venezia col minore dei suoi

figli. Nel duplice ritratto, accanto al giovane Borgherini che tiene in pugno alcuni strumenti e forse

un flauto, è raffigurato il suo precettore, il quale lo esorta a leggere il motto: “NON VALET

INGENIUM NISI FACTA VALEBUNT” (L’ingegno non ha valore se non è seguito dai fatti), che

pende dalla sfera armillare, sostenuta dall’uomo. Il personaggio è stato identificato con Trifone

Gabrieli (Fragolent 2006), insigne umanista veneto, con il quale Giovanni rimase anche in seguito

in stretto contatto.

Risale agli anni delle Seconda Repubblica Fiorentina, la tavola della Sacra Famiglia con San

Giovannino, meglio nota come Sacra Famiglia Borgherini, del Metropolitan Museum of Art di

New York, commissionata da Giovanni Borgherini ad Andrea del Sarto, il quale parimenti al

mecenate, era un sostenitore del governo repubblicano. Nel dipinto, il gesto con cui il Battista

inginocchiato (patrono di Firenze), offre il globo terrestre al piccolo Gesù, Salvatur Mundi, è stato

interpretato, alla luce dell’elezione di Cristo “Rex populi florentini”, avvenuta a Firenze il 9

febbraio 1528, (riprendendo la dottrina Savonaroliana), suggellata il 10 giugno dello stesso anno,

dall’affissione sopra il portale di Palazzo Vecchio, di un elegante apparato provvisto di targa

commemorativa, eseguito con molta probabilità da Baccio d’Agnolo. L’opera intrisa di spiritualità

neo-savonaroliana, è stata l’ultima in ordine di tempo ad essere acquisita dalla famiglia.

Dalla messa a confronto dei capolavori, sono emerse alcune linee di continuità, sia nella scelta dei

soggetti rappresentati, che in quella degli artisti impegnati, che lasciano supporre l’esistenza di un

gusto comune, e di una “estetica” di famiglia. Tra i soggetti sacri spiccano alcuni temi dottrinali

specifici, tra i quali: il dogma trinitario, dipinto da Granacci nel tondo di Berlino (Staatliche

Museen), e alluso nei suoi diversi riferimenti teologico-esegetici, nella Trasfigurazione Borgherini,

in San Pietro in Montorio a Roma; l’incarnazione di Cristo, il ruolo co-redentivo della Vergine e il

sacro nucleo di Gesù (questi ultimi trattati rispettivamente dal Luciani, nella Sacra Famiglia di

Londra, e dal Sarto nella Sacra Famiglia Borgherini, di Washington). Argomenti di una

disquisizione dottrinale, ruotante intorno al Mistero delle Redenzione e al tema di Cristo Salvatur

Mundi, al centro del programma escatologico-profetico della cappella gianicolense a Roma, del

ciclo decorativo della camera nuziale a Firenze, in cui la Storia di Giuseppe Ebreo, sin dai tempi di

Tertulliano veniva interpretata come prefigurazione di quella del Salvatore, e di nuovo, delle due

rappresentazioni della Sacra Famiglia. Tematiche che riflettono un tipo di religiosità, neo-

savonaroliana e francescana, prossima a quelle istanze di riforma della chiesa cattolica, professate

in quel momento sia a Roma che a Firenze, soprattutto nell’ambito degli ordini mendicanti,

francescani in primis, ai quali furono particolarmente legati i Borgherini. Una prossimità

all’universo francescano, nelle sue varie confessioni (Minori dell’Osservanza, Amadeiti), attestata

dalle disposizioni testamentarie, oltreché dalle diverse testimonianze documentarie raccolte, e

ribadita dalla scelta, operata dagli esponenti principali della casata, di disporre i propri luoghi di

culto e di sepoltura, fatta eccezione per la cappella di San Pietro Martire ai SS. Apostoli, in

complessi francescani (San Pietro in Montorio a Roma, San Salvatore al Monte a Firenze). Oppure,

come nel caso del sacello di San Gregorio a Cerreto Guidi, comunque assegnato per volontà di

Salvi, ai seguaci del poverello di Assisi.

L’altra grande componente, tematica rintracciabile nella raccolta, concernente gli aspetti

encomiastico-celebrativi, è resa manifesta in modo eloquente dal ritratto di Giovanni o dai due

presunti di Pierfrancesco, oppure dalla presenza dei due santi eponimi del banchiere nella cappella

gianicolense, o di quella del santo patrono di Giovanni nei due dipinti della Sacra Famiglia. Inoltre,

la speciale venerazione nutrita dai due fratelli per Cristo Salvatore, non è disgiunta, anche dai

riflessi onomastici che contiene nei riguardi del loro capostipite: Salvi, già evidenziati da Sherman,

in relazione all’iscrizione ECCE SALVATOR MUNDI, presente in uno dei pannelli dipinti da

Pontormo nel ciclo decorativo della camera nuziale. Forse per questo, entrambi scelsero per le loro

rispettive sepolture, la chiesa di San Salvatore a Firenze.

Anche San Giacomo maggiore godette di particolare devozione da parte dei Borgherini, i quali gli

dedicarono nel tempo: il sacello, l’ospizio e l’ospedale di Cerreto Guidi. Nelle vesti dell’apostolo

Giacomo, forse si fece ritrarre Pierfrancesco, nella calotta absidale della cappella gentilizia a Roma,

e suo fratello Giovanni, attenendosi al culto di famiglia per il santo ospedaliero, scelse

oculatamente, come luogo ove redigere il proprio testamento, il convento agostiniano di San

Giacomo alle fosse di Firenze.

Accanto a questi richiami, più o meno espliciti, nei temi rappresentati, si trovano diffuse allusioni

alla storia familiare e alle vicende personali dei suoi protagonisti, che traspaiono sovente sotto le

spoglie del racconto epico o biblico-religioso, contestualmente all’esaltazione dei valori etico-

morali della casata. Nel fregio del camino monumentale del Bargello, per fare un esempio, la Storia

di Re Creso, uomo ricchissimo e saggio, ben si prestava a mettere in risalto, per associazione, le

medesime virtù morali dei Borgherini, alludendo nel contempo, al loro successo commerciale.

Nell’episodio di Giuseppe in Egitto di Pontormo, posto a conclusione del ciclo decorativo della

camera nuziale di Palazzo Borgherini (fig. ), la benedizione-investitura, impartita da Giacobbe, non

al primo, bensì al secondogenito di Giuseppe: Efraim, probabilmente richiamava sottilmente la

stessa designazione “anomala” di Pierfrancesco, quale erede universale, da parte di suo padre Salvi.

Nell’episodio precedente, dipinto da Granacci nel pannello maggiore degli Uffizi (fig. ), la famiglia

che l’eroe biblico presenta al faraone, difronte ad un palazzo rinascimentale che ricorda quello dei

Borgherini a Firenze, allude a mio avviso a quella stessa di Pierfrancesco, rappresentata

dall’anziano capostipite e dai suoi quattro fratelli. In questo abile gioco di riflessi, che presiede

l’intero ciclo decorativo, la scena di edificazione del tempio ottagono, che si svolge in secondo

piano (che nella sua valenza polisemantica potrebbe alludere anche alla Resurrezione di Cristo,

secondo l’ipotesi avanzata da Calvesi, a proposito del tempio ottagono peruginesco della Sistina,

che Granacci ben conosceva), richiama sottilmente la costruzione di una nuova dinastia da parte del

novello sposo. I due pannelli disposti isolatamente nella parete dirimpetto al letto, dovevano

spiccare in modo particolare, forse non a caso, in quanto erano quelli in cui si celebravano le “glorie

familiari” del novello sposo.

A Firenze gran parte dei capolavori di famiglia, si concentravano in palazzo Borgherini, più

esattamente nell’alcova di Pierfrancesco. La “camera mia” era il luogo più intimo e privato

dell’abitazione, quello in cui si concentravano i beni più cari del proprietario. Nel dettare le sue

ultime volontà, Pierfrancesco, rimasto senza eredi, si preoccupa di scorporare dalla residenza

principale, dopo la sua morte, tutti gli ambienti ai quali era più intimamente legato, che

coincidevano con quelli in cui si trovavano gran parte delle opere d’arte di sua proprietà, compreso

il grande camino monumentale. Forse si trattava di un riflesso inconscio, scaturito dal desiderio di

preservare la sua raccolta di capolavori, pregevole testimonianza dei “fasti” di un recente passato.

Introduzione

L’oggetto di questa tesi, è la storia del mecenatismo artistico di Pierfrancesco Borgherini (e della

sua famiglia), il maggiore esponente di una nobile dinastia di banchieri toscani del Rinascimento,

attivi tra Firenze e Roma, in un arco di tempo compreso all’incirca, dalla prima metà del

Quattrocento, alla fine della quarta decade del secolo successivo. La scelta dell’argomento, nasce

dalla constatazione che a fronte del prestigio raggiunto dal banchiere e dalla sua casata agli inizi del

XVI secolo, suggellato dall’avvio di una fiorente mecenatismo, la carenza d’informazioni a

riguardo, costituiva un ostacolo difficilmente sormontabile, che si frapponeva ad ogni serio

tentativo di ricomposizione del contesto, entro cui traevano origine i pregevoli capolavori, entrati

nel corso del tempo in possesso della famiglia. A tal fine la raccolta di un consistente corpus di dati

eterogenei, in gran parte inediti, ha costituito una solida base documentaria da cui procedere. Tra

questi spicca in particolare: il fondo Borgherini, compreso nel fondo Castellani-Borgherini-Nasi

(d’ora in poi FCBN), che ho rintracciato presso l’Archivio di Stato di Firenze (da questo momento

ASF)1, da quanto mi risulta mai pubblicato, composto da un gruppo di 54 pergamene

(probabilmente quanto rimane dell’archivio di famiglia); tre testamenti con relativi codicilli,

rispettivamente di Salvi, Pierfrancesco e Giovanni Borgherini, che ho rinvenuto, i primi due,

sempre presso l’ASF, il terzo nell’Archivio privato della famiglia Rosselli del Turco (d’ora in poi

ARDT)2, conservato nella loro storica residenza fiorentina in Borgo SS. Apostoli (ex Palazzo

Borgherini)3. Inoltre le Carte di Giovanni Poggi (da questo momento CGP)

4, preziosa fonte di

1 Il fondo Borgherini, è composto da un corpus di 54 pergamene, da quanto mi risulta mai trascritte, che si trovano

presso l’ASF (ASF, Archivi Privati Diversi, Famiglie Castellani-Borgherini-Nasi), di cui esiste un indice dattiloscritto

(riportato parzialmente in appendice, insieme ai documenti più significativi del fondo), mai pubblicato, ad opera di

Carlo Vivoli, che si trova anch’esso presso l’ASF. In origine il primo nucleo era costituito dai documenti della famiglia

Nasi, confluiti nell’archivio Borgherini in seguito al matrimonio dell’ultimo esponente della famiglia: Anton Francesco

Nasi (1632-1708), con Maddalena di Vincenzo Borgherini (1643-1701). Successivamente l’unione tra Maria Ottavia di

Salvi Borgherini (1709-1775), ultima discendente della casata e Anton Francesco Gaetano di Bartolomeo Castellani

(1684-1752), determinò il passaggio della documentazione alla famiglia Castellani, e da lì all’Archivio di Stato di

Firenze, dove tuttora si trova. Del fondo Borgherini, che copre un lungo arco temporale, compreso tra il 1338 e il 1722,

saranno utilizzati in questo studio, circa una ventina di documenti, quelli più significativi e di più stretta pertinenza

cronologica con l’ambito temporale di questa ricerca, ai quali si farà riferimento, di volta in volta, in relazione ai singoli

argomenti trattati. Lo stato di conservazione delle pergamene, è generalmente piuttosto buono, anche se in alcuni casi in

virtù della loro grandezza sono state più volte ripiegate, di conseguenza presentano delle abrasioni in corrispondenza

delle piegature, che rendono illeggibile il testo. Inoltre, quelle che contengono Bolle Pontificie, mostrano una vistosa

lacuna al centro, nella parte precedentemente occupata dal sigillo del Papa. 2 I tre testamenti inediti, di Salvi, Giovanni e Pierfrancesco Borgherini, saranno trattati a parte, in modo approfondito,

all’interno dei singoli capitoli, e trascritti integralmente nell’appendice documentaria. 3 Si tratta di un archivio privato particolarmente interessante e solo parzialmente studiato, che raccoglie perlopiù

documenti riguardanti la famiglia Rosselli Del Turco. Tra questi però si trova un volume, da me analizzato, dedicato ai

due Fidecommessi Borgherini, che contiene inedita documentazione sulla famiglia di banchieri fiorentini, di cui sarà

dato ampio riscontro in questo studio.

notizie e suggerimenti, custodite presso l’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento (da ora

INSR), sito in Palazzo Strozzi a Firenze. Infine: atti notarili, transazioni economiche, passaggi di

proprietà ecc., sparsi nei fondi di Firenze e Roma. In quest’ultimo caso, in particolare, presso

l’Archivio di Stato (d’ora in poi ASR), nell’Archivio Segreto Vaticano (da questo momento ASV),

oppure presso l’Archivio dell’Arciconfraternita della Pietà di San Giovanni dei Fiorentini (d’ora in

poi AASGF). Collazionando queste informazioni con quanto già noto5, è stato possibile ricostruire

l’origine e la genealogia dei rami principali della casata, con le relative discendenze, seguirne la

progressiva ascesa sociale ed economica, nell’ambito dell’attività mercantile e finanziaria, favorita

anche da un’accorta politica di alleanze matrimoniali, che giunse al colmo agli inizi del

Cinquecento, quando i Borgherini potevano vantare estesi interessi, non solo a Firenze e Roma ma

anche nelle piazze francesi. Un successo che coincide maggiormente con il capostipite Salvi,

committente dello storico palazzo di famiglia in Borgo SS. Apostoli a Firenze, e del pregevole

arredo della camera nuziale di suo figlio Pierfrancesco, ma soprattutto con quest’ultimo, non

primogenito come ritenuto fin qui, ma erede designato. All’esponente principale della casata è stato

dedicato ampio spazio in questo studio, con l’obiettivo di ricomporne in modo attendibile il

4 Le Carte di Giovanni Poggi di argomento michelangiolesco, donate dal figlio Luigi il 6 novembre 1961, all’Istituto

Nazionale di Studi sul Rinascimento, dove tuttora si conservano, sono raccolte in 42 cartelle, divise in due serie, di cui

la prima, contiene un regesto di documenti relativi alla biografia e ai beni del Buonarroti e della sua famiglia, mentre la

seconda, meno ampia, riguarda le opere certe, attribuite o da respingere del grande maestro. All’interno del primo

gruppo, seguendo le indicazioni di Paola Barocchi, si può distinguere una terza serie, che contiene notizie su persone

che ebbero relazione con Michelangelo. Il fondo, nato con l’obiettivo della pubblicazione delle lettere del Buonarroti e

dei suoi corrispondenti, nonché dei documenti a carattere amministrativo che riguardavano sia lui che la sua casata, non

avendo ricevuto un assetto definitivo da parte del curatore, si presenta come una pletora di notizie eterogenee, disposte

in modo disorganico, in cui si intrecciano una fittissima rete di voci di collaboratori, esperti, giornalisti, antiquari ecc. I

documenti, sono stati utilizzati da molti studiosi, che ne hanno tratto il fondamento per la pubblicazione del Carteggio

di Michelangelo, (ed. postuma di G. Poggi a cura di P. Barocchi e R. Ristori, 5 voll. Firenze 1965-83; dei Ricordi di

Michelangelo (a cura della stessa P. Barocchi e di L. Bardeschi Ciulich, Firenze 1970), e del Carteggio indiretto di

Michelangelo (P. Barocchi, K. Loach Bramanti, R. Ristori, Il carteggio indiretto di Michelangelo, Firenze 1988-95, 2

voll.). Più recentemente, il prezioso contenuto dei libri dei conti del Banco Balducci (compresi nel fondo: Eredità di

Lemmo Balducci, conservato presso l’ASF), già trascritto in parte da Poggi nelle sue cartelle, è stato ampiamente

utilizzato tra gli altri da Hirst e Hatfield, i quali ne hanno fatto la base dei loro fondamentali studi di argomento

michelangiolesco (M. Hirst, J. Dunkerton, Michelangelo giovane: pittore e scultore a Roma, 1496-1501, Modena 1997;

R. Hatfield, The wealth of Michelangelo, Roma 2002). Tuttavia stando ad Hirst, non tutti i dati ivi contenuti sono stati

interamente sfruttati. Attualmente, l’unico strumento a disposizione per orientarsi sul contenuto delle Carte, è costituito

dall’Indice, pubblicato da Tampieri (R. Tampieri, Le Carte Poggi, dell’Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, in:

Quaderni di Rinascimento, Leo Olschki editore, Firenze 1997). Anche se recentemente ho avuto notizia di una nuova

pubblicazione degli indici, a cura di E. Lombardi. Prima di ciò, esisteva solo un quadernetto, in cui Giovanni Poggi

aveva trascritto in modo parziale i principali argomenti trattati e la loro rispettiva collocazione. Tra le Carte, si trova

una cartella, di undici fogli manoscritti, dedicata alla famiglia Borgherini (INSR, Carte Poggi - Notizie su persone e

luoghi in relazione con Michelangelo, Famiglia Borgherini, Serie I, busta X A, ff. 329-344), riportasti in appendice

(doc. 35). 5 Fino a questo momento, le scarne informazioni in nostro possesso sul conto dei Borgherini, si concentravano nei brevi

resoconti in nota alle analisi critiche di alcuni capolavori o cicli decorativi, di pertinenza della famiglia di banchieri

fiorentini, compresi all’interno di singole monografie di artisti o cataloghi di mostre. In particolare: M. Hirst,

Sebastiano del Piombo, Oxford 1981, p. 50, nota 4, oppure, L’officina della Maniera: varietà e fierezza nell’arte

fiorentina tra le due Repubbliche (1494-1530), catalogo della mostra, Firenze, settembre 1996, a cura di A. Cecchi e A.

Natali, Venezia 1996, pp. . Si tratta perlopiù di dati ricavati dai seguenti fondi: Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze

(da ora BNCF), Poligrafo Gargani, scheda 344 (doc. 34); ASF, Carte Sebregondi, Famiglia Borgherini; ASF, Carte

Ceramelli Papiani, che ad un confronto con altre fonti originali, si sono rivelati in alcuni casi inesatti o incompleti.

poliedrico profilo, con particolare attenzione alla “scena capitolina”, dove egli visse e operò per

lunghi tratti delle sua esistenza. Mercatore di Giulio II e familiare di Leone X, abile finanziere e

fine mecenate, amico di Michelangelo e committente, tra gli altri, di Sebastiano Luciani, Baccio

d’Agnolo, Pontormo, Andrea del Sarto, Francesco Granacci, Benedetto da Rovezzano, Bachiacca,

una pletora di artisti, tutti a vario titolo legati al grande maestro toscano, il quale ricoprì un ruolo di

primo piano, quantomeno per circa un decennio (dal 1515 al 1525 c.), sugli sviluppi del

mecenatismo del banchiere. È questo uno degli argomenti che attraversano trasversalmente i singoli

capitoli, in particolare quelli che trattano delle opere o dei cicli decorativi dove è possibile

rintracciare un legame più o meno diretto con l’arte del Buonarroti. Le notizie raccolte, hanno

permesso di approfondire la conoscenza del contesto, sia toscano che romano (il secondo in

particolare, per ciò che concerne pressappoco il primo venticinquennio del Cinquecento), entro cui

si trovarono ad operare Pierfrancesco e la sua famiglia: le loro residenze, l’attività del banco e una

parte di quella fitte rete di relazioni, che legarono il giovane rampollo, agli ambienti della corte di

Leone X (di cui entrò a far parte nel 1514), e ai connazionali della Nazione Fiorentina, di stanza nel

Rione Ponte. Sono emersi ad esempio i rapporti con il cardinale della diocesi milanese Federico di

Roberto Sanseverino, che si servì a più riprese del banco Borgherini, e dal quale il banchiere acquisì

un palazzo di sua proprietà alla Suburra. Il prelato era legato al potente cardinale spagnolo:

Bernardino Lopez de Carvajal, protettore degli amadeiti di S. Pietro in Montorio, pertanto non è

improbabile che sia stato proprio lui a fornire i contatti con l’ambiente gianicolense, dove in seguito

Pierfrancesco dispose la propria cappella gentilizia, fatta decorare al Luciani. Una parte di ricerca è

stata indirizzata presso l’Archivio della Venerabile Confraternita della Pietà di San Giovanni dei

Fiorentini a Roma, di cui il giovane Borgherini divenne confratello nel 1506. Le notizie inedite ivi

rintracciate, si sono rivelate utili per ricostruire l’attività di Pierfrancesco all’interno del sodalizio,

per conoscerne le strategie economiche e le alleanze politiche, attuate in seno alla potente comunità

fiorentina, divenuta egemone a Roma, in particolare all’epoca del pontificato di Giovanni de

Medici. Particolarmente interessante per l’argomento di questo studio, il ruolo ricoperto dal banco

Borgherini nel biennio 1520-21, quale depositario dei beni raccolti per l’edificazione della chiesa di

San Giovanni dei Fiorentini, a cui rimandano una serie di documenti, in parte inediti. Seguendo

l’esempio di suo padre Salvi, e dei suoi illustri connazionali, che avevano intuito da tempo l’enorme

valore propagandistico dell’arte, il periodo di maggior successo dell’erede Borgherini, coincide con

quello in cui cadono le maggiori commesse artistiche, che si segnalano per l’alta qualità dei

manufatti e l’eccellenza degli artisti impegnati. A cominciare dalla decorazione della cappella di

famiglia in San Pietro in Montorio, assegnata da Pierfrancesco a Sebastiano Luciani, su indicazione

del Buonarroti, il quale com’è noto, partecipò attivamente a quell’impresa. Radunare in un catalogo

ragionato, i diversi “pezzi” di una raccolta di capolavori, fissi e mobili, che da questo momento si

va formando, ha costituito l’obiettivo principale di questo lavoro. Il criterio scelto è stato quello di

dare la priorità a quelle opere commissionate direttamente dal banchiere, o a lui in qualche modo

collegate. È il caso ad esempio della decorazione della camera nuziale di Pierfrancesco, voluta da

Salvi, ma a suo figlio destinata, il quale, tra l’altro, così come avvenne per l’edificazione del

palazzo di famiglia in Borgo SS. Apostoli, e dei relativi arredi, subentrò al padre nella supervisore

dei lavori, intervenendo, con molta probabilità personalmente, nella scelta dei soggetti da

rappresentare. È così ad esempio, per ciò che riguarda la Storia di Re Creso, per il fregio del camino

monumentale, o per quella di Giuseppe Ebreo, raffigurata nei pannelli dell’apparato nuziale.

Accanto al gruppo principale di capolavori, sono state incluse nel catalogo, anche due pitture “da

cavalletto”: Il Ritratto di Giovanni Borgherini quando era giovane a Venezia, col suo maestro,

eseguito probabilmente da Giorgione intorno al 1505 (Washington, National Gallery of Art), e La

Sacra Famiglia Borgherini, di Andrea del Sarto, del 1528-30 c., (New York, Metropolitan Museum

of Art), che seppur non furono richieste direttamente da Pierfrancesco, stando alle fonti, entrarono

nel corso tempo nella sua residenza fiorentina. Per maggior chiarezza, ciascuna opera (di

architettura, pittura e scultura), o impresa decorativa, è stata analizzata a parte, in modo

approfondito, all’interno dei singoli capitoli, divisi per aree geografiche (Firenze, Roma, di nuovo

Firenze), cercando di rispettare, per quanto possibile, un ordine cronologico6. Con l’ausilio delle

informazioni raccolte, è stato possibile acquisire una maggiore conoscenza degli orientamenti politi

e soprattutto religiosi dell’erede Borgherini e dei suoi familiari, che sembrano improntati ad una

profonda spiritualità, prossima alle “inquietudini” della Devotio Moderna, che finì per riflettersi

nella scelta dei soggetti dottrinali rappresentati, nei due cicli decorativi, della Camera nuziale a

Firenze e soprattutto della Cappella Borgherini a Roma, ma anche in altri dipinti minori, come

nella Sacra Famiglia con San Giovanni Battista e donatore, della National Gallery di Londra,

realizzata con molta probabilità per il banchiere da Sebastiano del Piombo, o nella già citata Sacra

famiglia Borgherini, commissionata in questo caso dal fratello minore di Pierfrancesco: Giovanni,

ad Andrea del Sarto. Accanto ai motivi devozionali, tra le pieghe dei soggetti raffigurati, sono stati

rintracciati diffusi riferimenti encomiastici, riguardanti le diverse “glorie” della casata e

Pierfrancesco in particolare, che diventano eloquenti nella presenza del suo probabile ritratto, in

6 Per maggior chiarezza, l’analisi storico-contestuale, inclusa in questo lavoro, è stata divisa in tre periodi principali,

fermo restando le inevitabili sovrapposizioni temporali, necessarie per dare continuità e coerenza ai singoli argomenti. Il

primo che riguarda Firenze, prende le mosse dall’insediamento in città dei Borgherini, pressappoco al principio del XV

sec., e termina con il completamento della loro residenza in Borgo SS. Apostoli, intorno al 1529; Il secondo, che

riguarda Roma, inizia dall’arrivo nella città capitolina della famiglia di banchieri fiorentini, all’incirca negli anni trenta

del Quattrocento, e si conclude col Sacco di Roma (1527). Il terzo che riguarda di nuovo Firenze, comincia dalla fine

del secondo decennio del Cinquecento, e termina con gli anni della Seconda Repubblica Fiorentina (1527-30), con una

propaggine cronologica che giunge fino alla morte di Pierfrancesco Borgherini, nel 1558.

veste di devoto, nella Sacra Famiglia di Londra del Luciani. La forte somiglianza dell’austero

donatore, con l’anonimo Gentiluomo, ripreso col cappello in mano, dallo stesso artista veneziano,

su una tela poco nota, conservata a San Diego (Museum of Art), rilancia l’iniziale proposta di Hirts,

di un presunto ritratto del banchiere, alla quale sono state aggiunte alcune osservazioni inedite, atte

a dare maggiore consistenza al riconoscimento. Nelle conclusioni, le diverse trame del discorso,

sviluppate all’interno dei singoli capitoli, sono state riannodate in un ordito coerente, nel tentativo

di definire i tratti distintivi della raccolta Borgherini, espressione del gusto e della religiosità di

Pierfrancesco e della sua casata…

Il resto della tesi (di prossima pubblicazione), corredata di relative immagini e dell’appendice

documentaria, è al momento reperibile presso l’autore.

Carlo Piga, dottore di Ricerca

cell. 39+3280113481

e-mail [email protected]

Appendice documentaria

Fondo Borgherini, (ASF), indice parziale Pag. 175

Pergamene del Fondo Borgherini (doc. da 1 a 17) Pag. 181

Archivio di Stato di Roma (doc. da 18 a 25) Pag. 192

Archivio dell’Arciconfraternita della Pietà (doc. da 26 a 27) Pag. 195

I Testamenti inediti di Salvi, Giovanni e Pierfrancesco Borgherini Pag. 198

e la sentenza del 25 agosto 1713, sopra i due fidecommessi

Borgherini (doc. da 28 a 33)

BNCF, Poligrafo Gargani, Scheda 344 (doc. 34) Pag. 216

INSR, Carte Poggi (doc. 35) Pag. 221