orafi ed elaborazioni ottocentesche di materiali archeologici

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Alma Mater Studiorum - Università di Bologna Luoghi, artigiani e modi di produzione nell’oreficeria antica a cura di Isabella Baldini, Anna Lina Morelli Ornamenta 4 ESTRATTO

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Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

Luoghi, artigiani e modi di produzione nell’oreficeria antica

a cura di Isabella Baldini, Anna Lina Morelli

Ornamenta 4

ESTRATTO

© 2012 Ante Quem soc. coop.

Ante Quem soc. coop.Via Senzanome 10, 40123 Bologna - tel. e fax +39 051 4211109www.antequem.it

redazione e impaginazione: Enrico Gallì, Cristina Servadei

traduzione abstract e keywords: Victoria A. Constable

ISBN 978-88-7849-077-2

Con il contributo di

Alma Mater Studiorum - Università di Bologna

3

IndIce

Isabella Baldini, Anna Lina MorelliIntroduzione 7

Paola GiovettiDue collane monetali della Collezione Tabarroni del Museo Civico Archeologico di Bologna 9

Maria Grazia Granino CecereMargaritarii tra committenza privata e mercato urbano 25

Giovanna Di GiacomoDalla fornitura alla lavorazione dell’oro: il caso degli Auli Septicii artifices a Roma 37

Marina MilellaOri antichi della Romania nel Museo dei Fori Imperiali 53

Anna Lina Morelli, Erica FilippiniQuale ruolo per le zecche? Considerazioni su alcuni piatti di elargizione imperiale 69

Dieter QuastFiligree Networks. La distribuzione della decorazione a filigrana tra il Mar Nero e la Scandinavia nel III secolo d.C. 95

Joan Pinar GilUn gruppo poco studiato di fibule di epoca gota: produzione, circolazione, utenti 119

4

Manuela Catarsi, Cinzia Cavallari, Chiara GuarnieriTecniche e produzioni tardoantiche e altomedievali in Emilia Romagna: spunti per una ricerca 143

Federica PannutiFibule “a scatola”: rappresentazioni e contenuti ideologici 161

Enrica SgarziResti scheletrici e corredi tombali. Realizzazione di una scheda archeo-antropologica come ponte tra due discipline 173

Francesco Zanni BertelliFides e largitio nell’oreficeria tra Costantino e Giuliano 187

Luigi M. CaliòArtigianato orafo e modelli di produzione ad Atene in età classica 197

Yorgos BrokalakisMatrici di età protobizantina dall’impero bizantino 213

Caterina GiostraLa produzione orafa tra VI e VII secolo: il contributo dell’archeometria e dell’analisi tecnica 235

Isabella Baldini, Zuzanna NowakCeti artigiani e modi di produzione nell’oreficeria protobizantina 253

Balint Laszlo TothIdentifying pierced gold jewellery made in the imperial workshops of the palaces of Constantinople and Ravenna in the 5th century on technical and historical grounds 277

Stefano Gialanella, Elisa PossentiTecniche di doratura di età medievale: alcuni riscontri archeologici da materiali provenienti dal sito di San Rocco a Vittorio Veneto (TV) 299

Indice

5

Paolo de VingoThe problems of Langobard goldwork in Northern Italy: written sources versus archaeological data 311

Paola PortaArtigianato orafo longobardo: il caso di Spilamberto 339

Patrizia SerafinOrafi ed elaborazioni ottocentesche di materiali archeologici 353

Alessandro Pacini, Marco CasagrandeLa tecnica dell’opus interrasile 371

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Orafi ed elabOraziOni OttOcentesche di materiali archeOlOgici

Patrizia Serafin

Monete e gioielli Castellani

Se ornare significa “abbellire con ornamenti”, la forma riflessiva, riferita a persona, significherà “abbellire, ingentilire o rendere più mae-stoso e solenne il proprio aspetto con l’aggiunta di elementi decora-tivi, non strettamente essenziali, come un accessorio, un indumento, un monile...”. E, certo, il più bel complemento a tal fine è un gioiello, di per sé espressione di cosa pregiata e forse anche rara, fonte di godimento, piacere, allegrezza e gratificazione e, non di meno, ma-nifestazione di prestigio e di ricchezza. Se la preziosità è conferita dal metallo pregiato, da una gemma o qualunque altro oggetto vi sia incastonato e dalla sua lavorazione, rarità, grandezza e quant’altro, un gran pregio è conferito dall’abilità, dall’estro, dal gusto e dall’in-ventiva dell’esecutore di tale oggetto, quando sappia unire e fondere tutti gli elementi.

A ben vedere, l’unione di tanti elementi è spesso suggerita non solo dal gusto, ma anche da un preciso intento di conferire un “valo-re aggiunto” al gioiello che si crea, dando un senso, una storia, tra-smettendo un messaggio, non solo di gradimento e di ricchezza, ma anche del prestigio che ciascuno ha guadagnato attraverso i propri stili di vita, le sue attività e il suo ruolo. E ciò sarà tanto più evidente,

abstraCt: A coin-jewel joins the value of the jewel to the value of a coin, together with a great connotation power. This is why, from Antiquity, coin-jewellery was created and lasted, till it had a particular noteworthy diffusion in the nineteenth century, when many goldsmiths and artists produced such goods. The most famous was Fortunato Pio Castellani, who, together with his sons Augusto and Alessandro, held a creative and flourishing laboratory in Rome just in the years of its changing role, from the Papal city to the Capital of the new Reign of Italy. In the city where a rich class of noble Landowners had most of the wealth, a great city crowded by a middle class of well-to-do state officials who could buy some minor value jewels, Castellani produced a lot of different objects at various prices, to be sold not only in Rome, but all over Italy and Europe too.

Keywords: Coins, Ornament, Jewel, Goldsmith’s Art, Castellani.

Patrizia Serafin

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quanto più potrà essere esplicito il segnale che si mostra: uno stem-ma, un ritratto, un simbolo di appartenenza…

Forse anche per questo, fin dall’antichità, la moneta fu inserita in monili; la moneta è, infatti, un documento parlante e le figure o le scene che vi sono impresse hanno sempre un preciso significato che le rende privilegiate latrici di messaggi. Così nel mondo antico, come nel mondo moderno.

Tanto più ci è chiaro oggi, in un momento in cui l’immagine ha ripreso l’originario ruolo di sintetica visualizzazione del pensiero che essa giocava in un mondo assai meno dotato di mezzi di comuni-cazione rapida, meno alfabetizzato e, quindi, più pronto a recepire messaggi visivi, che, secondo il bagaglio di conoscenze di ciascuno, consentivano di elaborare lo stimolo visivo nell’ambito di informazio-ni sedimentate, recepite probabilmente per via orale, rielaborandole secondo i canoni del momento.

L’uso della moneta nel gioiello è, certo, sempre un uso seconda-rio di essa, ormai demonetizzata, ma sempre forte di uno dei suoi originari poteri, quello dell’immagine, diverso nei luoghi e nel tempo, simbolico, politico, religioso, affabulante.

Tanto è vero, che quello che può essere considerato il più antico gioiello monetale lato sensu, non inserisce una moneta, ma una ripro-duzione di essa, ricavata a sbalzo, direttamente da un conio mone-tale, denunciando, così, il suo valore fortemente significante: si trat-ta, infatti di una cintura femminile in lamina d’oro (o meglio, quanto rimane di essa) in cui è ben visibile una scena di sacrificio su un’ara, allusiva a un rito propiziatorio, devozionale o anche scaramantico, con tutta probabilità connesso al rito per la fertilità, che si vuole testi-moniato dai tetradrammi di Selinunte del VI secolo a.C.1.

L’uso di riprodurre un tipo monetale su lamina si è poi mantenuto nel tempo con il suo valore dell’immagine, se ne troviamo esempi an-cora nel II secolo d. C., in un pendente riadattato a fibula con l’effigie di Antonino Pio2 e poi ancora in un bracciale con i ritratti di Caracalla e Plautilla e così via. Così, anche la tecnica non viene mai totalmente dismessa, ma, anzi, cerca soluzioni sempre più rapide, fino a che, nel-la seconda metà del XIX secolo, nel momento di passaggio dall’uso di una tecnica puramente manuale a una meccanizzata, nella riprodu-zione di un tipo su lamina a sbalzo, è orgogliosamente esibita la pa-

1 Cfr. FuChs 1988, pp. 81-84 e seraFin 1993, p. 364. 2 ZadoKs Jitta 1984, pp. 163-169.

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rola “brevettato”, nell’interno del castone, a indicare una lavorazione a macchina, recente acquisizione della tecnologia. Tendenza esatta-mente inversa ai giorni nostri, in cui si tenta di far passare per fatto a mano ciò che in realtà è fatto a macchina, soprattutto in un’arte ormai rara come quella orafa o quasi completamente persa come il ricamo.

Tale volontà di riproduzione della moneta testimonia, anche, dell’ampia diffusione dell’uso della moneta vera e propria oltre il suo stretto valore economico, evidente, del resto, dalla sua presenza in contesti rituali o devozionali, quali fonti salutari, stipi votive, fiumi (in corrispondenza degli antichi guadi), deposizioni in contesti funerari e, anche, in monili, che poi nel tempo, da semplici pendenti con un foro di sospensione (come il noto statere ateniese dalla Gulbenkian Col-lection a Lisbona)3, assunsero la sostanza di ricchi e sontuosi gioielli. Dalla caratterizzazione ideologica o religiosa che determinò la scelta, si passò, dunque, a veri e propri monili.

L’elevato numero di monete forate che ci sono pervenute4 ci chia-risce la volontà di utilizzo a fini ornamentali, scaramantici o apotro-paici5 della moneta stessa mediante sospensione o cucitura. Tali fori potevano consentire i più svariati usi, oltre che per un gioiello vero e proprio, quali l’ornamento della capigliatura, di cinture, di abiti, per la decorazione di mobilio, pareti, insegne militari etc. Numerosi esem-plari di ogni epoca, a partire dall’Età del Ferro si trovano anche nel museo Nazionale danese.

Il foro di sospensione fu la forma più semplice (e anche rozza) di utilizzo della moneta a fini non istituzionali, ma è indice della consape-volezza del superamento della sua funzione strettamente economica, per assumere un valore ideologico, illustrativo, in senso religioso o politico, prima ancora che meramente decorativo. Ma non necessa-riamente questo doveva avvenire mediante foratura, come vediamo nei numerosi casi in cui la moneta è incastonata in montature di fogge diverse, dalle più semplici alle più elaborate.

La moneta, forse per la sua più immediata reperibilità, oltre che per il suo duplice valore di consistenza economica e di rappresenta-zione simbolica di ormai acquisita comprensibilità, venne, spesso, a

3 Splendidamente illustrato in FranKe hirMer 1972, n. 351. 4 Naturalmente alludo agli esemplari in cui il foro non sia dovuto a rottura casuale,

ma voluto e in asse con il tipo impresso sulla moneta stessa; talvolta si trova anche un doppio o triplo foro.

5 Pera 1993, pp. 347-359. Giovanni Crisostomo, Ad illuminandos Catechesis II, 5 lancia una violenta invettiva contro questo uso.

Patrizia Serafin

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sostituirsi alla gemma, finché in epoca tardoimperiale, in un periodo di incertezza economica e instabilità finanziaria, si ebbe una grande fioritura del gioiello monetale, magnificato da una tecnica di grande effetto, quale l’opus interrasile, che incastonando la moneta, le con-feriva, con il contrasto tra la compattezza dei volumi e la luminosità del traforo, anche una più evidente importanza.

Tale inserimento di monete in luogo di, o alternate a, gemme può essere stato determinato dalla non disponibilità di gemme incise di una certa qualità o con il soggetto desiderato, dalla volontà di esi-bizione di uno status sociale di buona agiatezza o addirittura dalla volontà di esibire la partecipazione alla vita delle più alte sfere dell’im-pero, quando i più rari medaglioni, provenienti dai donativa imperiali, si sostituiscono alle monete.

Il riutilizzo dei medaglioni, protrattosi in età barbarica, ci con-serva delle eccezionali testimonianze, quale la fibula, purtroppo malamente adattata a uno splendido quanto noto medaglione di Teodorico6, conosciuto in unico esemplare, conservato nel Museo Nazionale Romano.

Il gioiello monetale, dunque, fu anche un modo di “vivere la te-saurizzazione”, unendo al valore intrinseco il valore simbolico, dando alle monete sottratte alla circolazione una nuova vita, un senso e una dignità nuova. E che l’interesse centrale del gioiello stia nella moneta è confermato dal fatto che presso strati più modesti della popolazio-ne o nelle regioni confinarie dell’impero si fece più diffusa la pratica di perforare monete d’oro, per evidente uso ornamentale o di dorare monete di argento o di utilizzare modestissimi pendenti7: una sorta di adattamento povero a una moda dilagante, ma inarrivabile: un misero pret à porter rispetto all’alta moda.

Con il mutamento della temperie culturale, non cambia il senso e il valore dell’immagine, ma si perdono le chiavi di lettura per certi significati, non esistono più i legami con il contemporaneo o il pas-sato recente, si perde il senso della religiosità, venendo a manca-re il legame ideologico e sentimentale profondo che determinava le scelte. L’immagine spesso resta un decoro, anche se conserva il suo significato più evidente.

La moneta antica viene guardata come documento storico-illu-strativo da umanisti e studiosi, a partire dal Petrarca; è oggetto di

6 serra 2008, pp. 21-26. 7 bordenaChe battaglia 1983, p. 93, n. 1a/1b.

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collezionismo e questo, da un canto, induce a uno studio sempre più approfondito e a una trattazione scientifica che produce le grandi opere storiche e catalogiche, dall’altro, con il merito di preservarla nel tempo, fa sì che le si attribuisca un valore aggiunto di oggetto arche-ologico, diventando, talvolta, anche bene rifugio.

Così, l’uso della moneta a fini ornamentali si perpetua nel tem-po, come dimostrano anche un umoristico dipinto olandese del XVII secolo, in cui un bimbetto gioca e sta lasciando cadere in terra una collana con un pendaglio monetale8 nonché i molti e anche semplici ornamenti, che si ripetono nel tempo, come la preziosa documenta-zione che, in particolare, lo Schmukmuseum di Pforzheim ci offre.

Ma l’impulso più forte arriva intorno alla metà del XIX secolo, quando la moda del gioiello archeologico, lanciata da Fortunato Pio Castellani intorno agli anni ‘40 e sostenuta dai primi due dei suoi otto figli, Alessandro e Augusto, conquista il mercato internazionale, vei-colando anche il gusto per l’inserimento di monete antiche in gioielli.

Personalità caratterizzate da forti e differenti temperamenti, che non solo trovarono rispondenza, ma anche, al tempo stesso, pos-sibilità di espressione (non senza problemi) nei coevi mutamenti e contrasti politici e sociali che portarono alla creazione dello Stato Ita-liano, riuscirono a inserirsi e primeggiare nel mondo della produzione artistica orafa a livello europeo. Il loro atelier in Roma era frequentato dai nomi più prestigiosi dell’aristocrazia europea, come il registro del-le firme, oltre che le memorie di Augusto testimoniano9.

Fortunato Pio, figlio di un più modesto orafo, che venne a mancare prematuramente, lasciandolo orfano giovanissimo, fu avvicinato alla buona società romana da uno zio, precettore in casa Chigi. Ma fu il Duca di Sermoneta, Michelangelo Caetani, a determinarne il successo, ancor giovane, non solo introducendolo in quella ristretta cerchia di no-bili e ricchi che detenevano le grandi proprietà terriere10, ma anche cre-ando modelli di raffinato e fantasioso disegno per i gioielli da realizzare.

Su un animo evidentemente sensibile, anche se di non elevata cultura, influì, quindi, non poco lo spirito colto e raffinato di Michelan-gelo Caetani che fu sempre vicino alla famiglia, fino alla sua morte, successiva di molto a quella di Fortunato Pio.

8 Jan steen, Il mondo alla rovescia, Vienna, Kunsthistorisches Museum, inv. n. 791.9 Moretti sgubini 2005, p. 281, n. 1. Il diario di Augusto e le lettere sono fonti preziose

per molti studi di diversi autori che hanno contribuito al volume, passim.10 Pur non mancando ricchi viaggiatori, richiamati dal fascino, sempre vivo, della città

eterna, e agiati mercanti. Cfr. davis 2005 e walKer 2005.

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Orafi, collezionisti e antiquari nella Roma papalina e poi unitaria, i Castellani, dunque, vissero, con il secolo travagliato della nascita dello Stato italiano, anche l’epoca della grande rinascita degli studi archeologici. Personalità con differenze caratteriali, il fondatore, i primi due dei suoi otto figli e il figlio di Augusto, Alfredo (cui toccò nel 1930 di chiudere la bottega di famiglia) condussero una impresa che poté vantare una ricchissima produzione di oreficeria «di gusto eclettico, con netta preferenza per le forme classiche»11. Con Alessandro e Au-gusto la produzione raggiunse i massimi livelli, anche di diffusione e diversificazione: in una Roma, in cui la febbrile attività di trasformazio-ne dell’assetto urbano per il divenire della città, nel volgere di pochi anni, capitale del nuovo Stato, si sviluppò una intensa attività edilizia con conseguenze che dovevano incidere, da un canto, in un’intensifi-cazione dei rinvenimenti archeologici, dall’altro, e soprattutto, in rapidi mutamenti sociali ed economici, determinando la nascita della nuova classe impiegatizia e medio borghese, con nuove e diverse esigenze.

Nel volgere di pochi decenni, quindi, con la trasformazione di Roma in capitale, e tutto ciò che ne derivò dal punto di vista non solo politico, ma soprattutto sociale e imprenditoriale, anche la bot-tega Castellani mutò il suo status, ampliando e diversificando la sua produzione: mantenne, infatti, la linea del gioiello di gusto “antico” (archeologico, medievale e rinascimentale) con gemme e intagli sia antichi che moderni, smalti e micro mosaici, di costo elevato, realiz-zando parallelamente una serie di monili di produzione più corrente, a basso costo, come ci testimoniano i prezzi indicati nel catalogo e nelle memorie di Augusto pervenutici12.

è così che, fornitori dei più elevati ceti della Società internazionale (sovrani e nobili in Inghilterra, Austria, Francia, fino a Napoleone III) dettero luogo a un’ampia produzione orafa che, assieme ai gioielli in tutt’oro, lascia gioielli con pietre da scavo e moderne, incise da artisti del loro laboratorio o professionisti di loro fiducia, tra i quali spicca lo splendido smeraldo commissionato da Napoleone III per la fami-gerata Contessa di Castiglione13, pur non trascurando quella classe

11 Felice espressione della compianta G. Bordenache Battaglia.12 Indicate passim nel volume cit. a nota 9 e in Moretti sgubini 2000. 13 In collezione privata, esposto in mostra nel 1992 nel Castello di Belgioioso, e pub-

blicata nel relativo pregevole catalogo, Ornamenta 1992, che, con felice coinci-denza con la collana che raccoglie questi scritti, porta lo stesso titolo, come la serie curata dallo Schmuckmuseum di Pforzheim. Per il pendente, cfr. bordenaChe battaglia 1993.

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sempre più numerosa di burocrati e impiegati, che, con la formazione dell’apparato statale, venivano a formare quel ceto medio che non avrebbe potuto permettersi le più preziose e note creazioni dell’ate-lier, pur non volendo rinunciare a una firma prestigiosa.

L’ampia produzione Castellani risulta oggi conservata in musei e collezioni pubbliche e private e alcuni gioielli sono ancora giustamen-te esibiti dalle fortunate proprietarie; ma non è troppo difficile trovare esemplari nel commercio antiquario.

Per la vendita della sua produzione, l’impresa Castellani doveva poter mostrare un campionario, custodito nei locali espositivi delle sue diverse successive sedi, ultima delle quali in piazza Trevi, a lato della celebre fontana: sull’architrave del portone d’ingresso è ancora scritto a grandi lettere il nome della famiglia.

Tale campionario, assieme a una parte della collezione di fami-glia, è pervenuto allo Stato italiano e conservato nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia in Roma, quando l’ultimo erede, Alfredo, figlio di Augusto, dové chiudere la bottega, concludendo l’attività di una dinastia durata circa un secolo14.

Tra i gioielli con cammei, pietre incise, mosaico minuto, quelli con monete costituiscono solo una piccola percentuale della produzione, forse perché un fiorente commercio numismatico, di cui si alimen-tavano anche i grandi Medaglieri europei, dava luogo a una politica delle vendite che privilegiava le sole monete, disincentivando il loro utilizzo nella produzione di questo tipo di monili, che, pure, formano una classe ben definita, anche se non di particolare bellezza.

Oltre a questo fondamentale nucleo15, i gioielli monetali Castellani sono documentati da altre due minori, ma non meno importanti, colle-zioni pubbliche16, quella di Lisbona nel Museo Nacional de Ajuda17 e di

14 La sola ampiezza, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche qualitativo, della collezione di materiali archeologici, raccolti durante il secolo XIX, testimonia il forte rapporto della famiglia con gli oggetti antichi. Fondamentali quanto ampie notizie sulla famiglia e la collezione sono in bordenaChe battaglia, gaJo, Monsagrati 1978, oltre che negli scritti Moretti sgubini 2000 e 2005, che vi fanno riferimento. Per un inquadramento più ampio sui rapporti tra i Castellani e Carlo Giuliano e il loro inserimento nel circuito internazionale cfr. Munn 1983.

15 Il “campionario” comprendeva un repertorio abbastanza ampio di modelli; tra i gioielli con cammei, pietre incise, mosaico minuto e in “tutt’oro”, quelli con monete costituiscono solo una piccola percentuale della produzione, vedi seraFin 2000, anche se non esaustivo dell’intera collezione.

16 Essendo destinati alla vendita, molti sono conservati in proprietà privata come la gran parte degli altri preziosi, monili e oggetti vari.

17 silveira godinho 1992.

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Londra, la Hull Grundy Collection donata al British Museum18. Tre nu-clei di origine e formazione assai diversa, tuttavia certamente rappre-sentativi della migliore produzione sotto il profilo tecnico e dei modelli.

Nel primo sono comprese spille, pendenti, collane e un bracciale: solo in quest’ultimo e in una spilla, forse in pendant, sono incastonati esclusivamente aurei; per lo più venivano usate monete d’argento e talvolta di bronzo, certamente per un migliore effetto coloristico, ma forse anche per quella politica di contenimento dei costi, in rapporto all’ampliamento del mercato, di cui si è detto.

Il secondo nucleo è costituito da soli tre gioielli monetali in un co-fanetto con molti altri oggetti e gioielli diversi, regalo di nozze offerto dal popolo romano alla principessa Maria Pia di Savoia, quando andò sposa al re del Portogallo; nel terzo sono compresi alcuni esempla-ri raccolti in un’ampia collezione di 1188 oggetti, tra cui anche altri gioielli monetali di diversa produzione.

I gioielli monetali conservati nel Museo di Villa Giulia in Roma, co-stituiscono un gruppo piuttosto “compatto” con ventidue tra collane, bracciali, spille, pendenti, i cui modelli, salvo che in pochi casi, non imitano in toto i prototipi antichi, ma ne utilizzano alcune forme, ag-giungendovi elementi di nuova creazione, a imitazione, ma non copia, dell’antico. Queste forme base, comuni a tutti i gioielli, sono, poi, di-versamente assemblate per creare altri modelli. Si assiste, quindi, a una commistione di antico e moderno, in cui l’oggetto antico viene rivitalizzato con forme moderne, spesso ispirate dalle antiche.

La montatura moderna, così creata, solitamente in oro, costitui-sce una sorta di cornice per la moneta antica, la quale, a sua volta, aumenta, con il suo valore antiquario, quello intrinseco della parte moderna. E il valore è, come vedremo, “modulare”, in rapporto al numero (e forse anche la qualità) delle monete. In questi gioielli non sembra determinante il valore ideologico dell’immagine della moneta in sé, quanto, invece, l’armonia delle forme, ma non manca una certa coerenza dell’insieme, anche dal punto di vista storico19.

Sono da sottolineare alcuni particolari dell’esecuzione, che costi-tuiscono la peculiarità e, quindi, l’innovazione nei modelli della fami-glia di orafi romani, poi seguiti e imitati non solo da allievi e collabora-tori della bottega quali Giuliano e Melillo, ma anche all’estero (Pierret, Fontenay, Carpeaux, Gass, Bacher, Perrier etc.).

18 tait 1984.19 Vi sono differenze tra gioielli del campionario, privi di destinatario, e gli altri.

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Nel nucleo di Villa Giulia, assai più consistente degli altri due, no-tiamo, per una collana, la scelta armonica della grandezza delle mo-nete, che vanno a scalare verso la chiusura con due esemplari di dimensioni inferiori; la coerenza della scelta di sole monete greche (Magna Grecia) e la posizione delle teste, verso destra o verso sini-stra, ma tutte convergenti in direzione del punto centrale della collana e tutte in ottimo stato di conservazione. L’elemento di raccordo è co-stituito da una catenella d’oro che, collegando i pendenti che termi-nano con una piccola biglia, i cilindretti con funzione di distanziatori e gli appiccagnoli della vera e propria montatura delle monete, tutti in oro, si conclude con due biglie terminali che vengono unite da un gancio, consueto modo di chiudere le collane20.

Così anche la collana con ventuno oboli in cui, in qualità di distan-ziatori sono state inserite venti piccole anfore, dai manici molto allun-gati, che si alternano a piccole biglie e cilindri cui è saldato, in forma di pendente, la vera e propria montatura, costituita da un cerchio di consistente filo d’oro con quattro piccole grappe allungate verso l’in-terno per trattenere la moneta (fig. 1).

A ben vedere, i singoli elementi che compongono le collane, sono forme-base più volte utilizzate sole o con altri elementi, variamente composti per formare anche altri gioielli, non solo monetali: cilindretti lisci o traforati, biglie, mezze biglie, rondelle di diversi diametri, grap-pe, pendenti semplici desinenti in biglia e anforette, come pendenti, rielaborazioni, non pedisseque copie di elementi antichi.

Diverso, invece, il caso della collana, smontabile e composta di 7 elementi indipendenti, ma collegati attraverso un’asola e un gancio fissati nel retro. Le sei piccole monete in argento (vittoriati e quinari), come il tremisse di Anastasio, sono inserite a pressione in uno stretto anello, saldato in una cornice, di ben maggiore diametro, di spessa lamina intagliata non troppo finemente; vuol essere una sorta di imita-zione dell’ opus interrasile (fig. 2) ed è di grande impatto visivo: in que-sto caso la coerenza nella scelta degli esemplari si limita a sei di essi (tutti in argento), mentre il settimo se ne distanzia totalmente, essendo di tutt’altra epoca e per di più, in oro; l’unico elemento di conformità è il diametro. Anche in questo caso, la fiorita montatura è una creazione a lontana imitazione di un modello antico, assai più leggero. Il disegno del traforo è, poi, riutilizzato per altri gioielli, quali una coppia di orec-

20 Vedi seraFin 1993, tav. X n 20, che ha confronti con l’antico, e non solo, e seraFin 2000, p. 220, n. 194.

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chini con pendenti di perle del Victoria and Albert Museum e la spilla in oro con due pelte centrali e due piccole monete laterali, in bronzo21.

Tale spilla costituiva certamente un campione da mostrare a even-tuali acquirenti, in quanto le due monetine di bronzo risultano asso-lutamente illeggibili, condizione che rende impensabile che potesse essere venduta, nonché indossata. Prova ne è che la moneta, inca-stonata a pressione nel tamburo, è trattenuta da linguette “a filo”, dello stesso tipo di quella che, in un’altra spilla con moneta ben con-servata, risulta in parte rotta: la rottura potrebbe essere stata causata da un’operazione di sostituzione della moneta, confermando, così, l’ipotesi di possibilità di scelta delle monete da parte del cliente al momento dell’acquisto: le monete erano montate in modo da poter essere sostituite facilmente, come le linguette (piene o, meglio, a filo) facilmente consentivano.

Un bracciale “in tutt’oro” è composto di cinque aurei imperiali, uno ciascuno di Augusto, Tiberio, Vespasiano e due di Domiziano: ogni moneta è inserita in una montatura costituita da tre “cordelle” o fili ritorti sovrapposti a piramide e un filo liscio22 esterno. Ricorda molto

21 seraFin 1992, tav. 16 a e seraFin 2006, p. 234, n. 8.22 Per la tipologia dei fili, anche se con diversa denominazione, vedi ogden 2005, p.

162, fig. 7-6.

Fig. 1. Collana con oboli

Fig. 2. Collana in opus interrasile

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da vicino un bracciale dell’Hull Grundy Collection, in cui sono inserite sei raffinate gemme e rimanda all’episodio, annotato da Augusto nelle sue memorie, dell’entusiastico acquisto da parte di Napoleone III di due bracciali con ritratti di imperatori: «voilà mes Cesars!...»23; ma non è detto se su gemme o monete, potrebbero essere stati entrambi i tipi.

Il valore delle immagini è da questo episodio sottolineato ancora una volta. Ma dal punto di vista tecnico non può non essere notato il diverso modello dei due bracciali: i castoni delle monete sono provvi-sti di lunghe asole laterali, collegate da maglie allungate che formano un riquadro in cui è inserita una calotta convessa, quasi a voler man-tenere l’andamento geometrico delle forme tonde (fig. 3a); il bracciale con gemme, invece, ha un disegno assai più leggero: i castoni, for-mati da un giro di filo liscio e due cordelle, sono collegati da tre file di altri tre piccoli castoni in cui sono inseriti rubini o smeraldi cabochon o piccole biglie di oro (fig. 3b)24.

Certamente i Castellani furono leader nel lancio della moda del gio-iello archeologico, ma forse non i primi: in un dono fatto sempre dagli Hull Grundy al Glasgow City Museum compaiono una collana e due bracciali in argento e argento dorato, con monete romane; sulla scatola che li contiene, oltre alle iniziali del proprietario, è scritta una data, il 25 novembre 1835. In assenza di altre indicazioni che possano far risalire alla produzione, l’editore T. Wilson si astiene da ulteriori considerazio-ni, sottolineando l’importanza che avrebbe, ove quella indicata fosse la data di acquisto25. In realtà, una indicazione così precisa potrebbe riferirsi a un giorno particolarmente significativo o a una ricorrenza26: di sicuro attesta una data precedente alla produzione Castellani.

Numerose sono le spille, con montature semplici con uno o due giri di filo liscio27, o più elaborate, con due cartigli laterali, che rendono

23 Lettera dell’11 dicembre 1860 di Alessandro al padre, cfr. rudoe 1984, p. 159.24 rudoe 1984, I, pp. 158-159, II, pl. 47, n. 986.25 wilson 1984, p. 58.26 Nell’imminenza della quale i monili potrebbero essere stati prodotti. 27 seraFin 1993, tavv. VIII, IX e X e seraFin 2000, p. 221, nn. 196-197.

Fig. 3. Bracciale “dei Cesari”: a) cin monete; b) con penne

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importante un bel sesterzio, in verità, di conservazione modesta, del-la diva Faustina o un’ampia cornice con fili lisci e cordelle a simulare una treccia, racchiusi in un ampio giro di oro liscio, ma decorato sem-pre da una cordella disposta a piccoli archi, il tutto incorniciato da un filo ritorto e uno liscio di maggiore diametro; due piccole ali laterali, in corrispondenza dell’innesto dell’ago e dell’ardiglione, conferiscono un maggior volume all’insieme, quasi a dare più forza all’immagine di Ercole, impressa su una dracma di Alessandro Magno, nel cui rove-scio è Zeus in trono con l’aquila.

Un caso di falso statere di Siracusa28 pone un delicato quesito sul-la competenza numismatica dei Castellani sull’autenticità e/o consa-pevolezza della provenienza delle monete, ma resta il fatto che anche questo monile faceva parte del “campionario” da tenere a bottega, dove certo non mancavano altre monete o gemme, per deciderne la sostituzione con gli acquirenti

Non si evince, infatti, una ratio univoca per la scelta delle monete, talvolta, forse, scelte dai compratori, talaltra proposte dagli antiquari, come, probabilmente, nel caso delle collane che presentano gruppi di monete omogenei, frutto di scelta oculata o, forse, frutto dell’ac-quisto di interi ripostigli.

Non si sa nulla di preciso sulla destinazione o committenza di que-sto tipo di monili, salvo il raro caso della copia del sesterzio di Cali-gola per la vittoria sui Germani, un pendente assai significativo, ma semplice, commissionato per farne dono ai reduci del primo conflitto mondiale29, nel momento di decadenza dell’atelier, che si avviava, or-mai, alla chiusura.

Del tutto diverso come origine è invece il nucleo di Lisbona30. Come si è detto, è un dono per il quale si conosce la committenza, quindi, già in origine una creazione condizionata. Oltre ai veri e propri gioielli, comprendeva una serie di oggetti, come aghi crinali, un pettine e un diadema, tutti contenuti in un cofanetto di velluto rosso, sormonta-to da una lupa con gemelli in bronzo, simbolo degli offerenti (fig 4). La certezza della data (1862) costituisce una preziosa indicazione per la cronologia non solo degli oggetti, ma anche dei modelli; inoltre la conoscenza dell’occasione che ha determinato la produzione e della destinataria del dono, rende chiare le motivazioni della scelta.

28 seraFin 1992, tav 16d.29 seraFin 2006, p. 239, fig. 18.30 Cfr. supra, p. 360.

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In questo complesso, i gioielli monetali si limitano a una collana, un bracciale e una bulla; nei primi due le monete sono coerenti non solo per modulo, ma anche per origine: le sette monete in argento di piccolo modulo (dioboli e trioboli) della collana, provengono da Turii ed Eraclea e sono databili nell’ambito del IV secolo a.C.31, mentre i 7 de-nari del bracciale sono tutti databili intorno alla metà del I secolo a.C.32.

Gli esemplari della collana non sono in ottimo stato di conserva-zione e ricordano la collana con anforette conservata nel Museo di Villa Giulia; così anche per la patina, che tende a scurire l’argento, uniformandone il colore e conferendogli un aspetto “invecchiato”, co-mune ad altri gioielli e anche più evidente nella collana in cosiddetto opus interrasile, ottenuto con vapori di solfuro di rame. I castoni sono raccordati da una catenella tubolare su cui scorrono piccoli cilindri al-largati alle estremità. Nel complesso, ricorda uno dei classici modelli antichi con perle o smeraldi, e tutto concorre a conferire un aspetto di semplicità ed eleganza all’insieme, analogamente al bracciale, cui un castone con semplice triplo filo ritorto sovrapposto e due occhielli per lato, collegati agli altri da due piccoli cerchi lisci, conferisce una leggerezza ignota a quello con i ritratti degli imperatori, risultando più vicino a quello con gemme (fig. 3b); si nota, dunque, una produzione improntata alla massima semplicità, pur essendo destinata a perso-naggi di rango elevatissimo.

31 seraFin 1999, pp. 369-372, tav. 32b.32 seraFin 1999, pp. 369-372, tav. 32c.

Fig. 4. Cofanetto con monili, dono del popolo di Roma

alla principessa Maria Pia di Savoia

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La bulla, invece, è più elaborata e, pur riprendendo un’impostazio-ne tutta romana, ha una forte connotazione Castellani nel supporto “a libro”, guarnito e ornato da piccole biglie e delimitato da cordelle e fili lisci di diverso diametro33, cui è saldato il castone per le monete, ric-chissimo e grande, forse anche più del necessario, ornato allo stesso modo. Essa sembra costituire un unicum. I due esemplari incastonati, entrambi romani, appartengono a epoche diverse: un aureo di Anto-nino Pio e un bronzo di Costantino; alla chiusura della bulla restano visibili il D/ dell’aureo, la testa di Antonino Pio, forse augurale, a indi-care un sovrano saggio e buono (e quasi omonimo), ed il R/ del bron-zo con la lupa, eterno simbolo di Roma, a identificare la comunità dei donatori. Come mostra un ritratto fotografico, la regina usava questa bulla come pendente, con una catenina d’oro34 (fig. 5).

Verso l’interno, l’aureo è coperto da un vetro che forma una cap-sula, destinata a contenere un piccolo ricordo, forse capelli, come altri gioielli della regina e anche altre creazioni (con tutta probabilità)

33 Che ricorda un segmento del bracciale in “tutt’oro”, tait 1984, n. 959, con evidente ispirazione da bracciali della collezione Campana, vedi gaultier-MetZger 2005, p. 167. Da monili della stessa collezione sono ispirati anche altri motivi decorativi.

34 La principessa lo indossa nella celebre fotografia acquerellata di H. Le Llieure, nel Palácio Nacional de Ajuda, silveira godinho, batalha reis 1992, p. 87, n. 76.

Fig. 5. Bolla con due monete e ritratto della Regina del Portogallo

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Castellani, come il pendente in oro, con un denario, della collezione Hull Grundy, anch’esso piccolo contenitore35.

Infine, nella grande raccolta di Anne e John Hull Grundy, sono com-presi alcuni gioielli Castellani; pochi sono i monetali, e mai è presente il tipico marchio della bottega che ne garantisce la provenienza, ma confronti con la più ampia produzione consentono di attribuirli con un alto grado di probabilità: una spilla in argento con un denario repubbli-cano in una montatura a raggiera, con una biglia al termine di ognuno dei sedici corti raggi, che si confronta bene con una spilla a dieci raggi del gruppo nel museo di Villa Giulia e un pendente in oro, anch’esso con un denario repubblicano, con testa di Salus, forse beneaugurante, come le tante spille in micro mosaico recanti auguri ed esortazioni. Un vetro posto nel retro e trattenuto dalle linguette a filo (loops) che ab-biamo visto usate per trattenere le monete nella loro collocazione, for-ma una piccola teca, come nella bulla per la principessa Maria Luisa.

La mancanza del marchio di provenienza della bottega non implica necessariamente una non autenticità Castellani, poiché esso è assen-te anche in alcuni gioielli del loro stesso campionario (ad esempio la collana con anforette) e poiché si usava una placchetta con la doppia C incrociata che veniva saldata nell’interno del castone o nel rovescio del gioiello (fig. 6c) è possibile che fosse apposta anche al momento della vendita o che fosse riservata solo ai monili di maggior valore.

Tale disegno, suggerito con tutta probabilità dal creativo Miche-langelo Caetani (fig. 6b) ebbe, nel tempo, notevole fortuna: ripreso, quasi identico dalla maison Cartier e imitato in forme più arrotondate da Chanel, è ancora ben visibile, molto simile e a grandi dimensioni, sulla base dei lampioni di Londra! (fig. 6a).

Si è detto che i Castellani hanno prodotto gioielli di gusto eclet-tico (ispirandosi a diversi periodi del passato) con preferenza per le forme classiche, consuete soprattutto nei particolari, che utilizzano e ricompongono in maniera autonoma36: una pagina dell’Art Journal Illustrated Catalogue, riproducendo e commentando una collana pre-sentata all’esposizione universale di Parigi del 1878 e celebrando l’abilità degli orafi, famosi nel mondo, afferma che le loro non sono copie dall’antico, ma solo fonte di ispirazione e vuole dimostrarlo con

35 wilson 1984, n. 379. gere e rudoe, cui si devono i capitoli 10 e 11 del bel volume, pensano che anche gli alti castoni, con marchio Castellani (n. 921 un intaglio in sardonica) e con marchio Melillo (n. 964 collana con intagli di corallo) ora privi di vetro, dovessero costituire delle piccole teche.

36 Ripetendo, però, poi le loro creazioni.

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disegni37. Se questo è vero per la maggior parte della produzione, è ancor più vero ed evidente per i gioielli monetali, che non si ispirano minimamente agli sfarzosi omologhi romani e bizantini38, riprenden-do, piuttosto, solo alcuni elementi o mutuando modelli che ritroviamo anche nel resto delle loro creazioni.

Poiché è improbabile che non abbiano conosciuto la grande e sfarzosa gioielleria tardo-romana, dati i numerosi e importanti rinveni-menti dalla fine del ‘700-inizi ‘800, ciò deve essere frutto di una pre-cisa scelta: è evidente la volontà di conservazione “viva” dell’oggetto archeologico, non solo da conservare o commerciare, ma nel suo pieno valore di testimonianza.

A questo non fu estraneo quel fervore di studi che pervase tutto il secolo per il recupero dell’antichità classica, e in particolare, l’atten-zione riservata alle monete dopo il fondamentale lavoro dello Eckel, che dette l’avvio ai tanti studi successivi nel corso del XIX secolo.

Non si deve dimenticare come Augusto Castellani avesse donato un gran numero di monete ai musei Capitolini, che determinarono l’istituzione del prestigioso Medagliere della nuova Capitale39.

37 tait 1984, II, pp. 249, 279.38 Eccetto la collana con 7 monete nel museo di Villa Giulia.39 Un cospicuo numero di monete era stato donato anche al Medagliere Vaticano.

Fig. 6. a) Lampione londinese;b) Sigla Castellani (disegno);c) Sigla Castellani (marchio);

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