materiali dalla collezione subacquea del museo archeologico regionale “a. salinas”

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Cenni storici L’archeologia subacquea siciliana nasce, sul finire della II Guerra Mondiale, per la curiosità di alcuni ragazzi, che si immergono attratti dal mondo marino e disposti all’avventura dell’esplora- zione dell’ignoto “blu” dei nostri fondali. Le immersioni, all’inizio in apnea, divennero, anno dopo anno, più profonde con il contributo di mezzi tecnologici di sostegno, come l’autorespiratore e le mute di cui, ben presto, si avvalsero. Dalle poche decine di metri di profondità maggiori, che all’i- nizio mediamente si raggiungevano si passò alle isobate più profonde aprendo orizzonti naturali- stici, storici, archeologici sino a qualche anno prima del tutto impensabili. Ed a profondità più crescenti cominciarono a divenire più frequenti i reperti archeologici a partire dalle ancore liti- che, dalle ancore in piombo alle anfore. Ogget- ti di facile individuazione per i primi esploratori e di altrettanto facile prelievo perché spesso af- fioranti o nascosti tra gli scogli o ricoperti par- zialmente dalle posidonie dei fondali sabbiosi. Le ancore di piombo trovarono subito un favorevole mercato sia perché fuse se ne potevano ri- cavare più idonei piombi per appesantire le reti, sia perché gli istituti universitari se le accaparravano per farne casseforti per il materiale radioattivo di loro dotazione e ...grande fu la razzia di quegli anni! Finché un illuminato archeologo, il prof. Vincenzo Tusa, in un periodo storico in cui non esisteva un’a- deguata legislazione normativa nazionale per un problema del tutto nuovo, percependo il peso cul- turale e valutandone con lungimiranza l’importanza storica, scelse il metodo di convincere quei gio- vani a collaborare con il Museo che allora dirigeva. Suscitò in loro l’interesse intellettuale, invitandoli a conferire tutto quel materiale archeologico che trovavano durante le loro immersioni (fig.1), ripa- 1 Fig. 1

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Cenni storici

L’archeologia subacquea siciliana nasce, sul finire della II Guerra Mondiale, per la curiosità

di alcuni ragazzi, che si immergono attratti dal mondo marino e disposti all’avventura dell’esplora-

zione dell’ignoto “blu” dei nostri fondali. Le immersioni, all’inizio in apnea, divennero, anno dopo

anno, più profonde con il contributo di mezzi tecnologici di sostegno, come l’autorespiratore e le

mute di cui, ben presto, si avvalsero. Dalle poche decine di metri di profondità maggiori, che all’i-

nizio mediamente si raggiungevano si passò alle isobate più profonde aprendo orizzonti naturali-

stici, storici, archeologici sino a qualche anno

prima del tutto impensabili. Ed a profondità più

crescenti cominciarono a divenire più frequenti i

reperti archeologici a partire dalle ancore liti-

che, dalle ancore in piombo alle anfore. Ogget-

ti di facile individuazione per i primi esploratori

e di altrettanto facile prelievo perché spesso af-

fioranti o nascosti tra gli scogli o ricoperti par-

zialmente dalle posidonie dei fondali sabbiosi.

Le ancore di piombo trovarono subito un favorevole mercato sia perché fuse se ne potevano ri-

cavare più idonei piombi per appesantire le reti, sia perché gli istituti universitari se le accaparravano

per farne casseforti per il materiale radioattivo di loro dotazione e ...grande fu la razzia di quegli anni!

Finché un illuminato archeologo, il prof. Vincenzo Tusa, in un periodo storico in cui non esisteva un’a-

deguata legislazione normativa nazionale per un problema del tutto nuovo, percependo il peso cul-

turale e valutandone con lungimiranza l’importanza storica, scelse il metodo di convincere quei gio-

vani a collaborare con il Museo che allora dirigeva. Suscitò in loro l’interesse intellettuale, invitandoli

a conferire tutto quel materiale archeologico che trovavano durante le loro immersioni (fig.1), ripa-

1

Fig. 1

gandolo, alcune volte, con dei compensi che criteri del tutto inadeguati prevedevano.

Così nacque la collezione del Museo!

Al gruppo dei sub, che operavano nelle acque delle province nord-occidentali, primi fra tut-

ti Beppe Michelini che può considerarsi il trait d’union con il Museo, Ottavio Zanca, Enzo Sole e

Cecè Paladino, Ubaldo Cipolla e Dick D’Ayala, Mario Savona e Ciccio Pedone, facevano riscon-

tro il favignanese “Nitto” e Gasparino Virgilio, profondissimi conoscitori ed esploratori delle acque

delle Egadi e di Capo Granitola. Nella Sicilia orientale ed in particolare a Giardini Naxos, opera-

va, invece, un ufficiale dell’Aereonautica Militare, Franco Papò, che, guidato prima dal prof. Luigi

Bernabò Brea e poi dalla prof.ssa Paola Pelagatti, con passione ed entusiasmo, divideva il suo

tempo tra la pesca di stupende cernie e la raccolta di reperti archeologici in quel golfo antico.

I ritrovamenti in Sicilia sarebbero continuati, dunque, sulla scia delle prime iniziative nazio-

nali ed internazionali che già, alla fine degli anni ’50, erano portate avanti dal prof. Nino Lambo-

glia con la creazione del Centro Sperimentale di Archeologia Sottomarina di Albenga e di quelle

francesi condotte dal prof. Fernand Benoit dell’Insitut de Archeologie Submarine Meditérranéen-

ne, cui fecero seguito i Congressi Internazionali di Archeologia Sottomarina, considerati il punto

di partenza di tutte le ricerche che seguiranno.

Le avventure siciliane di ricerca subacquea sono state, infine, il frutto di illuminazioni lungi-

miranti di iniziative intellettuali di pochi ma ferventi collaboratori; pur non avendo trovato pronta

corrispondenza né adeguato sostegno nelle Istituzioni, hanno condotto, comunque, al recupero

di notevoli ed importanti reperti che hanno stimolato, solo di recente, la creazione della prima So-

printendenza del Mare per tutelare, gestire e valorizzare la cultura del mare in Sicilia.

I rinvenimenti, all’inizio, ebbero, ovviamente, carattere di casualità e disorganicità proprio

per la mancanza di sistematicità delle ricerche stesse, non condotte ovviamente da specialisti del

settore e gli oggetti recuperati, di cui spesso si ignoravano le forme ed usi, suscitarono scalpore

per le novità fornite. Con il passare del tempo, i ritrovamenti sempre più frequenti divennero di

2

3

scarsa presa pubblicitaria per la loro ripetitività, tranne nel caso di eccezionali recuperi come ad

esempio la nave punica di Marsala o il satiro di Mazara del Vallo, divenuti famosi per la loro uni-

cità ed anche per il sostegno di una battente campagna dei media di tutto il mondo.

Non bisogna però dimenticare (e mi rivolgo ai non addetti ai lavori, agli appassionati e ai

tanti numerosi sub) che i molti oggetti, come, ad esempio l’ansa di un’anfora o il frammento di

una semplice ciotola, non rappresentano soltanto dei cocci senza valore ma mantengono il loro

interesse se considerati in una loro complessità temporale e spaziale, quali esiti di processi che,

attraverso uno studio unitario e comparato, spiegano gli scambi commerciali antichi, le rotte di

navigazione, avvenimenti storici dunque, elaborati e complessi.

In seno all’archeologia subacquea hanno pertanto preso forma oggi, nuovi filoni di studio

che hanno sviluppato non solo l’aspetto storico-economico di un reperto nella sua unicità, ma

hanno privilegiato anche nuove strade di indirizzi di ricerca, coinvolgendo la complessità am-

bientale in cui esso è stato rinvenuto.

In realtà, ormai è l’attenta analisi del contesto di appartenenza che offre allo studioso la cor-

retta interpretazione degli oggetti recuperati per cui i nuovi indirizzi della ricerca subacquea non

prevedono più recuperi indiscriminati di materiali dal fondo del mare (come gli oggetti, qui analiz-

zati, che spero restino un esempio circoscritto!) ma un lavoro sistematico che stabilisce, prima di

tutto, l’inquadramento topografico delle aree interessate dalle presenze archeologiche.

Con questo sintetico contributo intendo tracciare un bilancio, sia pur sommario delle prime

esperienze della ricerca archeologica subacquea siciliana e come attraverso lo studio dei reperti

qui mostrati, essi si inseriscano nella cornice più ampia della ricerca sottomarina non solo italia-

na ma anche francese e dunque mediterranea.

La Collezione

Questo lavoro è il risultato di

uno studio intrapreso qualche anno fa

e si può considerare come la prima

complessiva edizione scientifica dei

materiali di provenienza sottomarina

conservati nel Museo.

Gli oggetti della collezione su-

bacquea sono visibili e fruibili al pub-

blico solo in minima parte (ancore litiche, i ceppi in piombo e alcune anfore), esposti attualmente

presso i due chiostri del Museo, mentre precedentemente erano collocati nella sala San Giorgio

(fig. 2); altro materiale è custodito nei magazzini sin dal loro ritrovamento e per la conoscenza di

alcuni di essi, si rimanda a lavori precedenti1.

Del materiale presente è stata eseguita una classificazione preliminare per comprendere

appieno la consistenza numerica del nucleo, con un semplice computo numerico di tutti i reperti

conservati.

Su un totale di circa 266 oggetti è stata avviata una schedatura analitica informatizzata in-

serendo in un database tutti i dati archeologici e archivistici in nostro possesso e, già da una pri-

ma osservazione complessiva ne è emerso un panorama assai vasto e ricco ma soprattutto va-

riegato della natura dei reperti catalogati.

L’ampiezza del repertorio tipologico ha dunque indotto a privilegiare, solo una parte dei re-

perti, circa una settantina, più significativi sia per tipo che per provenienze più o meno certe sia

4

1 Tusa 1961, 1973; Purpura 1986; Sarà 1999.

Fig. 2

5

per stato di conservazione, tralasciando i materiali di incerta attribuzione sulla cui provenienza

emerge la nota dolente di questo lavoro, per la totale casualità dei rinvenimenti.

Il gruppo che possiede delle informazioni sicure e certe sul luogo, sull’anno e sulle relative

profondità in cui è avvenuto il recupero rimane quello delle ancore (caso unico purtroppo!) a fron-

te della considerevole quantità di altri materiali privi totalmente di una sicura attribuzione. Per

nessuna delle ancore, ad eccezione, probabilmente di quelle provviste di iscrizioni, esisterebbe

la possibilità di un collegamento ad episodi delle navigazioni antiche in qualche modo rintraccia-

bili in documentazioni storiche per altri versi note. Nulla si può dire di eventuali naufragi o anche

di semplici incagliamenti con perdita delle ancore, solo la concentrazione di rinvenimenti in un si-

to ristretto potrebbe lasciar supporre la presenza di un approdo o di frequentazioni costiere.

Le anfore, per lo più integre, sono state in genere oggetto di recuperi indiscriminati ad ope-

ra di clandestini tra gli anni ’60-’70: l’unico dato archivistico in nostro possesso riguarda il seque-

stro effettuato dalla Guardia di Finanza presso il porto di Mazara del Vallo.

È impossibile, con tali modalità di recupero, poter solo ipotizzare il quadro areale interes-

sato da questi rinvenimenti perché ci si trova di fronte ad una vastissima zona ricchissima di in-

sediamenti archeologici, protesi verso il mare, quali le isole Egadi, lo Stagnone di Mozia, Marsa-

la e Selinunte.

Bisogna trattare, dunque, tali contenitori come oggetti “isolati” perché non è possibile con-

siderarli appartenenti al carico di una nave, non essendo corredati da una minima documenta-

zione sulla località esatta del loro ritrovamento e/o sulle modalità della loro giacitura in situ; emer-

ge, pertanto chiara la difficoltà oggettiva di poter tracciare una pur labile carta delle distribuzioni

dei rinvenimenti, che lasci, in qualche modo, solo ipotizzare circuiti commerciali che hanno inte-

ressato la Sicilia occidentale.

In questo caso l’archeologo è costretto a far “parlare” comunque gli oggetti, in assenza di

precisi dati stratigrafici, caratterizzando lo studio ad un approccio tipologico e cronologico che va-

6

da ad integrarsi, quale ulteriore tassello di conoscenze, in un mosaico molto più ampio della sto-

ria delle rotte lungo le coste siciliane, dei commerci e degli scambi, in un arco cronologico com-

preso tra l’età arcaica e il periodo bizantino.

Il mio principale proposito è quello di offrire un arricchimento al quadro storico-archeologi-

co ed economico di questa vasta area della Sicilia, di alcune problematiche che qui sono soltan-

to delineate e che potranno essere, in seguito, corrette o approfondite con il proseguimento del-

lo studio intrapreso.

I reperti sono stati suddivisi, dunque secondo le varie classi di appartenenza:

– Ancore in pietra

– Ceppi in piombo

– Anfore puniche

– Anfore greco-italiche

– Anfore romane: Dressel 1

– Anfore rodie

– Anfore africane

– Anfore bizantine

– Macine

– Altri materiali

Nell’ambito della presentazione è stata redatta una scheda informativa ed analitica di cia-

scun reperto mentre i confronti, l’inquadramento cronologico e le problematiche ad esso relative,

sono stati inseriti, in dettaglio, all’interno di ciascuna classe di materiali. Ogni reperto possiede

una referenza fotografica accompagnata da un grafico utilizzato accanto alle foto facendo pre-

sente che tutte le misure sono state espresse in centimetri e il peso in chilogrammi.

Tutte le foto sono conservate presso l’Archivio Fotografico del Museo, quelle in

bianco e nero (n. 1 neg. n. 6726; n. 2 neg. n. 6723); le fotografie-catalogo, a colori, sono state

realizzate dal Sig. Salvatore Perdichizzi. I grafici delle schede di catalogo nn. 1-6 e nn. 43-61 so-

no stati eseguiti in scala 1:2, dalla Sig.ra Ina Torretta; i grafici delle schede di catalogo nn. 7-42

sono stati effettuati in scala 1:1, dal Sig. Francesco Corso.

Il colore dell’argilla delle anfore qui presentate, è stato rilevato in maniera autoptica con

l’ausilio del Munsell, ma a causa di abbondanti incrostazioni calcaree e di conchiglie che rico-

prono quasi interamente la superficie dei recipienti, è stato difficoltoso approfondire lo studio su-

gli impasti.

7

Ancore in Pietra (1-9)

Le ancore in pietra della collezione museale sono nove e sono esposte nel Chiostro Mino-

re del Museo. Questo tipo di reperti è stato oggetto di interessanti studi a partire da quelli di H.

Frost2, che già nel 1963, ne aveva messo a punto la prima sintesi tipologica.

In passato si riteneva che le ancore litiche fossero ascrivibili ad epoca preistorica con pro-

babilità risalenti al neolitico e che il loro uso si fosse protratto fino all’età del ferro, mentre da qual-

che anno, con il susseguirsi dei rinvenimenti sottomarini, si ha una visione più problematica di ta-

le attrezzo di bordo per quanto concerne sia l’inquadramento cronologico sia i criteri di valutazio-

ne, operando pertanto una distinzione tra:

1 – pietre forate con la specifica funzione di ancoraggio durante la navigazione;

2 – corpi morti da usare vicino la riva in un specchio di mare calmo e riparato;

3 – pesi utilizzati per la pesca.

Nel testo, invece, ho preferito chiamarli tutti senza eccezione “ancore”, adoperando generi-

camente tale termine senza effettuare la necessaria distinzione perché a mio avviso, molte delle

pietre forate presentate in questa sede, sono di incerta attribuzione ad eccezione dei nn. cat. 3-4

e 6 che possono essere riconosciute con una certa sicurezza come ancore.

I reperti presentati sono, come la quasi totalità degli oggetti di questo studio, senza conte-

sto archeologico e provengono da Isola delle Femmine, Ustica, Solunto e Punta Priola presso

Mondello laddove, nello stesso braccio di mare, sono stati recuperati anche vari ceppi di ancore

in piombo e anfore ellenistiche. Nei siti anzidetti, si registra la compresenza di materiale ancora-

rio litico e plumbeo, a testimonianza della continuità di vita delle aree di ormeggio.

8

2 Frost 1963, pp. 1-20. Rimando in nota i lavori più conosciuti sull’argomento: Kapitän 1984, pp. 34-44; Riccardi 1996, pp. 9-30; Papò 2004.

Le ancore di peso notevole sono due rispettivamente di 90 Kg (n. cat. 1) e110 Kg (n. cat. 3)

mentre le altre sono invece di peso modesto, compreso tra i 17-60 Kg fabbricate prevalentemen-

te in pietra calcarea ad eccezione delle nn. cat. 1-2, 4, che sono di pietra vulcanica.

Delle nove ancore, quattro (nn. cat. 1-3, 8) sono dotate di un foro: due di esse (nn. cat. 2-8)

sono di forma irregolare e di manifattura rozza. Le ancore nn. cat. 2 e 4 si possono avvicinare al-

la tipologia del Kapitän: la n. cat. 2 si può confrontare all’ancora n. 3 e la n. cat. 3 alla n. 43.

Un’ ancora litica simile alla nostra (n. cat. 1) proviene dai fondali di Nora, in Sardegna4.

L’unico esemplare a due fori, di cui quello superiore passante, non trova confronti pertinen-

ti (n. cat. 7). Le restanti possiedono tre fori (nn. cat. 4-6), hanno una forma regolare ben definita

e una manifattura accurata con le superfici delle pareti rese lisce e verticali. La n. cat. 6 possiede

fori circolari mentre la n. cat. 4 ha i fori inferiori di forma quadrangolare5 per l’inserimento delle

marre in legno e trova confronti con il tipo PF36 cioè con il tipo di ancore a tre fori descritto da Pa-

pò, nel suo lavoro che passa in rassegna i rinvenimenti subacquei di ancore nel Mediterraneo.

Data l’insolita forma circolare e per la presenza di due piccoli fori sul bordo quasi in opposi-

zione, il reperto (n. cat. 9) potrebbe probabilmente riferirsi alla parte superiore di una macina per

cereali.

Le predette ancore sono state datate di età arcaica sulla base di criteri cronologici compa-

rativi pur se alcune di esse non sono facilmente inquadrabili cronologicamente per il loro lungo

utilizzo continuato fino ai nostri giorni.

9

3 Kapitän 1984, p. 34 n. 3 e n. 4.4 Solinas-Sanna 2005, p. 256, fig. 3.5 Tóth 2002, p. 151 e p. 159.6 Papò 2004, pp. 90-93 e p. 101, fig. 102.

Un caso a parte è l’ancora n. cat. 5: si tratta di un laterizio forato utilizzato come ancora a

tre fori già pubblicato dal V. Tusa7, da G. Purpura8 e in seguito da P. Gianfrotta9, datato da questo

autore all’età ellenistica. In Sicilia si segnala un altro rinvenimento simile, ancora inedito, prove-

niente dalle acque di Terrasini, mentre al di fuori dei contesti siciliani troviamo esempi di alcuni la-

terizi recuperati nel porto di Ancona10 datati però ad epoca imperiale.

10

7 Tusa 1961, p. 271, fig. 10.8 Purpura 1986, pp. 143-144, fig. 7, n. 23.9 Gianfrotta 1983, p. 338.10 Baldelli 1986, pp.49-50, fig. 4.

11

1) ANCORAN.I. 12818Da Isola delle Femmine (PA) Alt. 70; largh. 55; diam. foro 13,8; Kg 90

Concrezioni superficiali. Pietra lavica.Di forma quasi quadrangolare con grandeforo circolare posto nella parte superiore. Età arcaica.

2) ANCORAN.I. 12823Da Ustica (PA),Secca della Co-lombaia, recupe-rata dai sigg. C.Sacco e D. Sole nel 1969Alt. 42,5; largh. 28; spess. 18; diam. foro 5,3Kg 22

Concrezioni superficiali. Scheggiature sul bordo esterno, piccole cavità sulle superfici.Pietra lavica.Di forma ovoidale a superficie convessa, con un foro posto nella parte superiore. Integra.Età arcaica.

3) ANCORAN.I. 12817Da Isola delle Femmine (PA), recuperata al-la profondità di m -31 Alt. 92; largh. 56,5; diam. foro 16-19; Kg 110

Integra. Concrezioni superficiali. Calcarenite.Di forma ovoidale con grande foro circolare postonella parte superiore.Età arcaica.

4) ANCORAN.I. 12828Da Isola delle Femmine (PA) Alt. 45; largh. 29; spess. 11; Kg 36

Integra. Concrezioni superficiali. Pietra lavica.Di forma triangolare con tre fori: il primo posto nellaparte superiore e passante attraverso lo spessore edue quadrangolari sono posti nella parte inferiore.Età arcaica.

5) ANCORAN.I. 12830 Da Solunto, Scoglio della Formica (PA), recu-perata alla profondità di m -31 Alt. 46,5; largh. 35; spess. 6,5; diam. foro sup.3,4; diam. fori inf. 3,5; Kg 17

Argilla poco depurata di colore arancio chiaro. Inte-gra. Concrezioni superficiali.Laterizio di forma rettangolare con tre fori quadrangola-ri, un foro è posto nella parte superiore e gli altri due sono paralleli e simmetrici nella parte inferiore.Età ellenistica.

6) ANCORAN.I. 12827 Da Palermo, Punta Priola, recuperata alla pro-fondità di m -26-27 dal sig. F. Colosimo nel 1962 Alt. 68,5; largh. 51,5; spess. 14,5; diam. forosup. 3,4; diam. fori inf. 3,5; Kg 60

Integra. Concrezioni superficiali.Pietra calcarea.Di forma trapezoidale con tre fori, uno nella parte su-periore e due di dimensioni minori paralleli nella par-te inferiore.Età arcaica.

12

7) ANCORAN.I. 12826Da Isola delle Femmine, recuperata dai sigg.A. Nicitra e G. ArmaforteAlt. 42; largh. 25,5; diam. foro sup. 3,5; diam.foro inf. 4,7; Kg 12

Integra. Concrezioni. Pietra calcarea.Di forma triangolare con foro trasversale passantesulla sommità e foro di forma ovale in basso.

8) ANCORAN.I. 41348Provenienza ignotaAlt. 52; largh. 43,7; diam. foro 4,3

Integra. Concrezioni. Pietra calcarea.Di forma quasi quadrata con foro posto sulla parte inalto a destra.

9) ANCORAN.I. 41349Provenienza ignotaAlt. 35; diam. max. 36,5; diam. foro centrale

6,7; diam. fori da 2 a 2,7Integra. Calcarenite.Di forma circolare con foro centrale più grande e pic-coli fori più o meno simmetrici laterali. Parte superio-re di una piccola macina manuale in disuso, eviden-temente riadoperata come corpo morto.

13

14

Ancore in Piombo (10-34)

Le ancore in piombo della Collezione costituiscono un nucleo tra i più importanti del Medi-

terraneo; si possono ammirare nei chiostri del Museo, nell’antica disposizione voluta dal Prof.

Vincenzo Tusa che intorno agli anni ’60 diede notizia del loro ritrovamento al mondo scientifico.

Una documentazione dettagliata sul loro recupero è fortunatamente conservata negli archi-

vi del Museo. Essa racchiude vecchie schede di inventario (Modello 32), ormai desuete perché

non redatte secondo i moderni standards di catalogazione, ma, in ogni caso preziosissime, in

quanto provviste di dati identificativi degli oggetti relativi al reperimento (località, anno, profondi-

tà) e alla descrizione morfologica degli stessi. Sono riportati, inoltre i nomi dei subacquei-scopri-

tori ed allegate le fotografie in bianco e nero scattate all’epoca. Per i predetti reperti esiste una

ricca e specifica bibliografia11.

L’ introduzione del ceppo di piombo, avvenuta intorno al IV secolo a.C., costituì un enorme

progresso tecnico per tutta la marineria antica, principalmente per il peso specifico, la manovra-

bilità e il facile stivaggio a bordo12.

Le ancore con ceppo in piombo conservate al Museo sono per la maggior parte quelle co-

sì dette di tipo fisso, così definite perché il perno centrale all’interno della scatola da cui si dipar-

tono i bracci, veniva fuso nell’incastro del fusto ed il ceppo rimaneva fortemente saldato all’anco-

ra cui apparteneva, senza alcuna possibilità di smontaggio. Sono presenti, d’altra parte, ceppi

provvisti di scatola ma privi di perno centrale (nn. cat. 10, 13-15-17 e 20) quindi assimilabili al

ceppo di tipo fisso, ma nello stesso tempo smontabili e mobili. Siffatti ceppi che si presentano con

11 Tusa 1958, 1961; Purpura 1986. Tusa è stato il primo a mostrare al mondo scientifico tali reperti mentre Purpura in seguito ha delineato unacarta dei rinvenimenti della Sicilia Occidentale, proponendo una lettura per siti di provenienza, da Cefalù a Selinunte.

12 Riccardi 1996, pp. 13-14

15

sezione molto piatta e con altezza ridotta rispetto a quelli provvisti di perno, erano forse destinati

a navi militari, come è stato ipotizzato da Rossella Cester13, nello studio dei ceppi recuperati nel-

le acque dello Stretto di Messina.

Pochi invece sono gli esemplari di ceppi così detti di tipo mobile (nn. cat. 33-34), costituiti

da una semplice barra di piombo, sforniti di quel perno centrale e della scatola per cui potevano

essere facilmente smontati e applicati su altre ancore di bordo.

Nella revisione del materiale nel suo complesso, ho schematizzato nella tabella sottostan-

te le caratteristiche dei cinquanta ceppi esposti, suddividendoli secondo la tipologia ora in uso.

I ceppi di tipo fisso, divisi in quelli con perno centrale a sezione piena e in quelli con anima in

legno, predominano nettamente sui ceppi con scatola, priva di perno, e le ancore di tipo mobile.

La maggior parte dei ceppi non posseggono indicazioni di alcun genere; se presenti, le

iscrizioni in latino prevalgono su quelle in lingua greca (cfr. tavola riassuntiva n. 3), mentre, tra i

motivi decorativi, gli astragali sono in netta maggioranza (cfr. tavola riassuntiva n. 1).

Nel catalogo ho preferito presentare solamente i ceppi dotati di simboli ed iscrizioni rispet-

13 Cester 1997, pp.177-178

Ceppi in piombo 50Di tipo fisso con perno 35Di tipo fisso con anima in legno 4Di tipo mobile 2Di tipo fisso privo di perno 9Privi di motivi decorativi 22Iscrizioni in latino 11Iscrizioni in greco 1Astragali 6Altri simboli 10

16

to ai ceppi semplici cioè sprovvisti sui bracci di rappresentazioni simboliche poichè, al di là del

valore intrinseco di ogni reperto, lo studio dei motivi decorativi e delle iscrizioni fornisce notizie

fondamentali sulla cronologia delle ancore in piombo, in assenza del contesto di ritrovamento ori-

ginario ad eccezione di alcuni casi dove le componenti onomastiche e le decorazioni non sono

sufficientemente caratterizzanti.

Passando in rassegna le iscrizioni e le dediche alle divinità notiamo che il panorama docu-

mentario è variegato ed interessante. Esse si possono suddividere in due categorie epigrafiche,

nomi di persona e di divinità secondo il corpus delle iscrizioni sulle ancore raccolte da P. A. Gian-

frotta negli anni ’80 che per primo ha collegato il personaggio, di cui il nome figura sul braccio del

ceppo, alla storia del commercio di età romana. Sui ceppi del Museo di Palermo tra i nomi di per-

sona vogliamo sottolineare la presenza dei mercanti Publio Acilio14 (n. cat. 11) e Emilio Sulpicia-

no15 (n. cat. 19), forse mercator della famiglia degli Emili del I secolo a.C. L’iscrizione che merita

un’attenzione particolare è quella di Ahenobarbi (n. cat. 13) relativa ad un componente della po-

tente famiglia dei Domitii Ahenobarbi16.

Tale personaggio risulta essere non solo armatore ma anche proprietario delle merci tra-

sportate, perchè in età romana era comune tra i rappresentanti di famiglie nobili o tra senatori es-

sere sia armatori che mercanti17.

Proseguendo la rassegna dei nomi di persona troviamo su di un ceppo l’appaltatore di tra-

sporti marittimi (navicularius) Lucio Fulvio Eutichianus18 (n. cat. 18) la cui dedica sinistrorsa tra

caduceo e tridente, si ripresenta su di un altro ceppo recuperato a sud di Bosa in Sardegna. Qui

14 Gianfrotta 1989, p. 432.15 Ibidem, p. 433.16 Gianfrotta 1980, p.111, fig. 26; id. 1989, p. 433.17 Manacorda 1989, p. 461.18 Tusa 1961, p. 281, fig- 32-33; Tusa 1973, pp. 428-9, figg. 41-2; Gianfrotta 1989, p. 435; Sarà 1999, p. 86, figg. 3-4.

è stata ipotizzata l’esistenza di un latifondo con la relativa organizzazione marittima di scambi di

merci durante il I-II secolo d.C., tra Roma, Sicilia e Sardegna19.

Su di un altro ceppo è la dedica di Bione schiavo di origine greca20 divenuto successiva-

mente liberto di Claudio, del quale assunse il nome (n. cat. 15).

Per quanto riguarda le divinità, compaiono con frequenza le dediche a Giove insieme a Ve-

nere21 sui bracci della stessa ancora (n. cat. 12) e su di un altro ceppo, la stessa dedica a Giove

ma con l’appellativo di Casio22 (n. cat. 16); il nome di Eracle23 (n. cat. 10) invece, si riferisce con

molta probabilità al nome della nave.

I motivi decorativi sui ceppi in piombo in genere simboleggiano l’auspicio di una buona sor-

te per i naviganti. Sono presenti sette simboli: il caduceo24 che rivela la speranza di vantaggiosi

commerci (n. cat. 29); la chiave (nn. cat. 26-27); la lucerna25 (nn. cat. 14 e 31) perché illumini la

nave lungo il suo tragitto; il delfino26 (nn. cat. 22 e 28) che accompagna i marinai nella traversata

ed è salvatore di naufraghi; l’orecchio (n. cat. 32).

La figura sul ceppo (n. cat. 23) malgrado la lacuna potrebbe far pensare, con una certa

cautela, ad una raffigurazione del ciclo di Eracle, divinità protettrice dei mercanti marittimi.

Un altro motivo decorativo presente sui nostri esemplari sono gli astragali (nn. cat. 24-25,

28, 30, 33, 34) ossi brevi del tarso, a forma cuboide, delle zampe di ovini e caprini (cfr. tavola n.

17

19 Mastino 1992-1993, p. 122 e 124, fig. 3.20 Tusa 1961, p. 273, fig. 14; lo studioso ipotizza che la dedica fosse in onore all’imperatore Claudio; Gianfrotta 1989, p. 435.21 Gianfrotta 1980, p. 110, fig. 21.22 Ibidem 1980, p. 109; id. 1989, p. 434.23 Ibidem, p. 109, fig. 15; ibidem 1994, p. 605.24 Gianfrotta 1980, p. 108, fig. 7.25 Ibidem, p. 108, fig. 10.26 Un ceppo di ancora in piombo che presenta la medesima raffigurazione sui bracci proviene dal Museo di Ceuta: cfr.: Garum y Salazon..

2004, p. 104.

2) servivano tra gli antichi per giochi di azzardo, ma che potevano essere legati anche al mondo

della donna e dell’infanzia27.

Nella sfera maschile, il gioco degli astragali era in uso, ad esempio, durante il banchetto

dove si designava il re della festa con il colpo più fortunato, poiché gli astragali possedendo fac-

ce diverse, si prestavano a varie combinazioni multiple. Il colpo vincente era detto colpo di Vene-

re28 e simboleggiava, infatti, la gioia di vivere durante le feste a terra e si dedicava a Venere/ Afro-

dite divinità, nata dal mare e protettrice dei marinai e della navigazione e le era sacro il delfino,

l’allegro accompagnatore dei naviganti. Nell’Inno a Venere, Lucrezio così scrive: Quando tu vie-

ni, fuggono i venti e si dileguano le nuvole; per te la terra fa fiorire il leggiadro ornamento dei fio-

ri, per te sorride lo specchio delle acque del mare, e gli spazi lucenti del cielo splendono in silen-

zio (De Rerum Natura, 1-49).

Pertanto, l’uso degli astragali in uno strumento così importante come l’ancora, non solo era

di generico buon augurio per la navigazione, ma essi, in genere quattro, inseriti su una delle fac-

ce del ceppo, in diverse posizioni (a due a due o tutti e quattro consecutivi) assumevano un si-

gnificato religioso di tutela dell’ancora stessa, strumento essenziale per la salvezza degli uomini

e della barca in caso di tempeste e di cattivo tempo.

18

27 Queirel 1987, p. 210.28 Queirel 1987, pp. 209 ss.

19

Ceppi di ancora con iscrizioni

10) CEPPO D’ANCORAN.I. 12595Da Porticello (PA), Capo Zafferano, recuperato dal sig. G. Nichelini. Lungh. 173; lungh. bracci 66; scatola 23; alt. 11,8Piombo.

Con scatola rettangolare privo di perno centrale; suun braccio, iscrizione greca sinistrorsa: Hrakλeς.“Eracle” (nome della nave).Età ellenistica.

11) CEPPO D’ANCORAN.I. 12571Da Arenella (PA), recuperato dal sig. P. Vitale Lungh. 180; lungh. bracci 75-79; scatola 27,3Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola qua-drangolare deformata con torsione di un brac-cio. Sull’altro braccio, lettere latine a rilievo: P(ublius) Ac(ilius) o (Publii Acilii?).Nome dell’armatore o del proprietario della nave.Metà del II secolo a.C.

12) CEPPO D’ANCORAN.I. 12568Da Isola delle Femmine (PA), recuperato dal sig. F. Renota Lungh. 145; lungh. bracci 61; scatola 29Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola ret-tangolare. Sulla faccia di un braccio, lettere la-tine a rilievo:

Venerisull’altra:

JoviDedicato a Venere e a Giove.I secolo a.C.

13) CEPPO D’ANCORAN.I. 12594Da Isola delle Femmine (PA), recuperato dal sig. G. Michelini Lungh. 194; lungh. bracci 61-62; scatola 23,2; alt. 10,3-10,7Piombo.

Con scatola quadrangolare privo di perno cen-trale. Leggera torsione dei bracci. Su un brac-cio presenta l’iscrizione latina sinistrorsa a ri-lievo: Ahenobarbi (di Enobarbo) e sulla facciaopposta quattro astragali.I secolo a.C.

20

21

14) CEPPO IN PIOMBON.I. 12593Da Isola delle Femmine (PA), recuperato dal sig. G. Michelini Lungh. 161; lungh. bracci 69-70; scatola 22; alt. 11-11,5 Piombo.

Con scatola quadrangolare privo di perno cen-trale. Su un braccio presenta segni a rilievo:C•F•M seguita da una lucerna a volute che si ri-pete sulla faccia opposta dello stesso braccio.I secolo d.C.

15) CEPPO D’ANCORAN.I. 12592 Da Isola delle Femmine (PA), recuperato alla profondità di m -55 da G. Michelini nel 1963 Lungh 145,7 ; lungh. bracci 56-62; scatola 23,80; alt. 8,5-9,5.Piombo.

Con scatola quadrangolare privo di perno cen-trale e scatola quadrangolare.Torsioni deibracci. Su un braccio sulla faccia superiore,iscrizione latina incisa:

CLAU(DI) BIO(NIS)I secolo d.C.

22

16) CEPPO D’ANCORAN.I. 12567Da Mondello (PA), recuperato dal sig. E. Sole Lungh. 125; lungh. bracci 53-55; scatola 24Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola rettangolare.Su un braccio, iscrizione latina a rilievo: Casius [o Castus?]. Con riferimento probabile all’appellativo di Giove: Ca-sio.Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

17) CEPPO D’ANCORAN.I. 12596Da Isola delle Femmine (PA), recuperato dal sig. S. Rocca Lungh. 180; lungh. bracci 78; scatola 24,3; alt. 9,6 Piombo.

Con scatola quadrangolare privo di perno centra-le. Torsione dei bracci. Su un braccio, iscrizionelatina sinistrorsa con lettere rivolte verso destra:

Foeb.“Di Febo”(?).

Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

18) CEPPO D’ANCORAN.I. 12570Da Isola delle Femmine (PA), recuperato dal sig. S. Rocca Lungh. 161; lungh. bracci 78- 80; scatola 31,7Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola ret-tangolare, ma deformata. Su entrambi i bracci,fra tridente e caduceo, un’iscrizione latina a ri-lievo sinistrorsa :

L.Fulvi. Euti(chianus ?).Di Lucio Fulvio Eutichio.

I-II secolo d.C.

19) CEPPO D’ANCORAN.I. 12569 Da Mondello (PA)Lungh. 148; lungh. bracci 63-67; scatola 21 Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale, scatola rettan-golare e bracci con parte finale tondeggiante. Sulla faccia dei bracci iscrizione a caratteri latini: Aemili Sulpic (iani ?).“Di Emilio Sulpiciano”.I secolo a.C.

23

20) CEPPO D’ANCORAN.I. 12598Da Monte Cofano (TP), recuperato dal Vitale G.Lungh.147; lungh. bracci 63-65; scatola 25; alt. 12,8

Con scatola rettangolare privo di perno centra-le e scatola sulla faccia superiore dei bracci, arilievo, iscrizione in latino

ZE[—] ADall’età ellenistica al periodo imperiale.

21) CEPPO D’ANCORAN.I. 12591Da Isola delle Femmine (PA), recuperato alla profondità di m -55 Lungh. 146; lungh. bracci 60-62; scatola 24Piombo.

Scatola quadrangolare privo di perno centrale.Su un braccio, sulla parte superiore iscrizionenon identificata e sull’altro sei astragali a rilievo

L[…]B ADall’età ellenistica al periodo imperiale.

24

Ceppi di ancora con motivi decorativi

22) CEPPO D’ANCORAN.I. 12585Da Ustica (PA), secca della Colombaia, recu-perato dai sig.ri C. Sacco e V. Sole nel 1968Lungh. 1,48; lungh. bracci 66; scatola 23Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola rettangola-re; su entrambi i bracci, delfini contrapposti, a rilievo.Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

23) CEPPO D’ANCORAN.I. 12557Da Mondello o Capo Gallo (PA), recuperato dal sig. E. Sole Lungh. 132; lungh. bracci 58-59; scatola 20 Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola rettangolare. Su un braccio, a rilievo, entro un riquadro,una figura maschile di profilo, Eracle (?) congamba sinistra portante e destra indietro contallone sollevato; il braccio destro è anch’essopiegato indietro. Lacunosa la parte superioredel corpo. Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

25

24) CEPPO D’ANCORAN.I. 41334Provenienza ignota Lungh. 117; lungh. bracci 48-53; scatola 18 Piombo.

Di tipo fisso con scatola rettangolare e pernomancante. Su ciascuna faccia esterna deibracci, due astragali a rilievo.Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

25) CEPPO D’ANCORAN.I. 12563Da Mondello (PA), recuperato dal sig. A.Bellanca Lungh. 152,5; lungh. bracci 68-9; scato-la 24 Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale, scatola rettan-golare e bracci con parte finale tondeggiante. Su ciascuna faccia esterna dei bracci, dueastragali a rilievo.Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

26

26) CEPPO D’ANCORAN.I. 12560Da Monte Cofano (TP), recuperato dalsig. G. Vitale Lungh. 147; lungh. bracci 64; scatola 24Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola ret-tangolare. Su entrambi i bracci una chiaveorizzontale, a rilievo. Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

27) CEPPO D’ANCORAN. I. 12564Provenienza ignotaLungh. 176; lungh. bracci 77-8; scatola27,2Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale, scatola rettan-golare e bracci con parte finale tondeggiante.Sui bracci, a rilievo, una chiave (?) verticale traquattro segni di forma quadrangolare.Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

27

28) CEPPO D’ANCORAN.I. 12561Da Arenella (PA), recuperato dal sig. U. Ci-polla Lungh. 141; lungh. bracci 58-59; scatola 26,5Piombo.

Di tipo fisso e scatola quadrangolare. Su un brac-cio un delfino volto verso destra e sull’altro quat-tro astragali allineati, anch’essi a rilievo.Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

29) CEPPO D’ANCORAN.I. 12558Da Isola delle Femmine (PA), recuperato edonato dal sig. O. Zanca nel 1961 Lungh. 173; lungh. bracci 73-77; scatola 28,5Piombo.

Di tipo fisso e scatola quadrangolare. Su un brac-cio, un caduceo, posto orizzontalmente. Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

28

30) Ceppo d’ancoraN.I. 12562Da Monte Cofano (TP)Lungh. 170; lungh. bracci 73-75; scatola 25Piombo.

Di tipo fisso e scatola rettangolare e perno centra-le. Su un braccio, quattro astragali allineati a rilie-vo, forse uniti a conchiglie non ben leggibili.Dall’età ellenistica al periodo imperiale.

31) CEPPO D’ANCORAN.I. 12559Da Isola delle Femmine (PA), recuperatodal sig. G. MicheliniLungh. 113; lungh. bracci 51; scatola 17Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale e scatola ret-tangolare. Su entrambi i bracci, lucerna roma-na con ansa sormontante, a rilievo.I secolo d.C.

29

30

32) CEPPO D’ANCORAN.I.12579Da Isola delle Femmine (PA )Lungh. 178; lungh. bracci 77-80; scatola 29Piombo.

Di tipo fisso con perno centrale, scatola rettan-golare e bracci con parte finale tondeggiante.Sulla faccia esterna di un braccio, un orecchioa rilievo.

Ceppi di ancora di tipo mobile

33) CEPPO D’ANCORAN.I. 12600Da Isola degli Asinelli (TP), recuperatodal sig. G. Vitale nel 1963Lungh. 117; lungh. bracci 52-54; lungh.risalto 9Piombo.

Di tipo mobile con bordi arrotondati e risaltod’arresto, al centro, e foro al centro per il pernoed un altro posto nella parte finale del braccioper l’alloggiamento della cima. Dall’età ellenistica.

34) ANCORALa ricostruzione dell’ancora è stata effettuata dallo stesso subacqueo-scopritore ed è costi-tuita dal ceppo di tipo mobile in associazione alla sua contromarra.Lungh.262; lungh. bracci 99-102

34a) CEPPO (1)N.I. 12599Da Arenella (PA), recu-perato dal sig. U. Ci-polla nel 1969Lungh. 97; lungh. brac-ci 43-54; lungh. risalto9,7Piombo.

Di tipo mobile a sezione ret-tangolare con bordi arroton-dati, risalto d’arresto al cen-tro, foro centrale per il pernoed un altro posto sulla partefinale del braccio per l’allog-giamento della cima. Su diun braccio, a rilievo quattroastragali allineati, tra due astragali più grandi. Dal III secolo a.C. all’epoca imperiale.

34b) CONTROMARRA (2)N.I. 12625Lungh. base min. 50,5, lungh. base mag. 58,2 ; largh. 7Piombo.

A sezione trapezoidale provvista di tre fori d’incasso rettangolari.

31

32

1.Tavola riassuntiva dei motivi decorativi

n. cat. 14 n. cat. 21 n. cat. 22

n. cat. 23 n. cat. 24 n. cat. 25

n. cat. 26 n. cat. 27 n. cat. 28

n. cat. 29 n. cat. 30 n. cat. 31

n. cat. 32 n. cat. 34a

33

2.Tavola

34

3.Tavola riassuntiva delle iscrizioni

n. cat. 10 n. cat. 11 n. cat. 12

n. cat. 12 n. cat. 13 n. cat. 14

n. cat. 15 n. cat. 16 n. cat. 17

n. cat. 18 n. cat. 19 n. cat. 20

n. cat. 21

I Contenitori da Trasporto

Della collezione fanno parte numerose anfore di cui presentiamo gli esemplari tipologici più

significativi che costituiscono solo una minima parte della documentazione anforaria conservata

nei magazzini del Museo. I contenitori possiedono, come le ancore, la stessa documentazione

archivistica ma meno dettagliata di notizie; le schede di archivio, infatti sono totalmente prive di

dati sul recupero, profondità e soprattutto provenienza di esse, in quanto frutto di sequestri effet-

tuati dalla Guardia di Finanza durante gli anni del maggiore scempio dei fondali antistanti le co-

ste siciliane.

Gli atti giudiziari dei sequestri effettuati in quegli anni constano di vecchie denunce delle

autorità competenti per alcune persone trovate in possesso di reperti archeologici, sia di prove-

nienza terrestre che sottomarina. Esiste infatti un consistente carteggio di pratiche con una lunga

lista di nominativi di persone da me passato in rassegna per comprendere quanto meglio possi-

bile l’entità del materiale. Sono presenti altresì, i verbali di custodia giudiziaria cioè gli atti di con-

segna degli oggetti trafugati da parte delle autorità alla ex Sovrintendenza Archeologica della Si-

cilia Occidentale, che prendeva in carica tali materiali, tuttora conservati nei magazzini.

Da essi si desume che i sequestri sono stati effettuati soprattutto nei porti principali di Ma-

zara del Vallo e Trapani. Negli atti che documentano l’interrogatorio dei prelevatori abusivi, rara-

mente risulta il luogo di rinvenimento, anzi si deduce che essi sono volutamente assai reticenti

nel dare un’indicazione precisa. Presso il porto di Mazara del Vallo sono state sequestrate alcu-

ne anfore trafugate nelle acque de La Galite, negli isolotti antistanti la costa settentrionale della

Tunisia; altri contenitori furono trafugati nelle acque di Pantelleria in località ignota, forse Cala

Gadir.

Altre anfore, recuperate durante una delle tante azioni di sequestro compiute in quegli anni

dalla Guardia di Finanza, come si evince dalle pagine del Giornale di Sicilia del 12 febbraio 1965

35

36

conservate nella pratica, proverrebbero, con altri reperti archeologici, dalle necropoli di Selinunte

insieme a materiale anforico di origine subacquea rinvenuto nel tratto di mare antistante Mazara

del Vallo, in località sconosciuta.

Sui sequestri invece effettuati nel porto di Trapani si arguisce che le motobarche piene di

reperti trafugati provenissero con ogni probabilità dalle acque dell’Isola di Levanzo (Cala Minno-

la?). L’arcipelago delle Egadi ha in effetti rappresentato, soprattutto in età romana, una rotta pri-

vilegiata per le navi cariche di mercanzie dirette verso nord cioè in direzione dei porti italici o al

contrario dall’Italia verso gli scali africani. Per quanto riguarda le provenienze delle anfore della

costa palermitana, si dispone di dati più certi e si può affermare che molte anfore provengono da

Ustica, poche da Isola delle Femmine, mentre, rarissime sono quelle pervenute da Mondello e da

altri siti limitrofi.

La distribuzione dei rinvenimenti si concentra dunque, soprattutto lungo la costa trapanese,

attestando l’importanza geografica dei litorali di una costa molta battuta in diversi momenti stori-

ci da rotte commerciali.

L’analisi della tipologia delle anfore ha permesso di individuare diversi tipi anforici offrendo

una varia e ricca tipologia; la presentazione del materiale sarà impostata secondo criteri cronolo-

gici e copre un arco di tempo molto ampio compreso tra l’età arcaica e il periodo bizantino.

Allo studio tipologico purtroppo non è stato possibile affiancare un’analisi petrografica che

avrebbe potuto integrare con dati più precisi lo studio sulle aree di produzione dei contenitori.

Il contenitore più antico (n. cat. 35) è un’anfora punica arcaica ritrovata nelle acque di Tra-

pani o delle isole Egadi, che fa parte del gruppo più consistente di anfore, costituito da contenito-

ri punici principalmente di età ellenistica. Si tratta di un’anfora di tipo Ramon 1.3.2.1 datato al II

quarto del VI secolo a.C. ed è ampiamente documentata in rinvenimenti terrestri ma scarsamen-

te rappresentata tra i recuperi subacquei.

Le anfore puniche (nn. cat. 36-42) di fine III-I secolo a.C. invece sono ben rappresentate

37

sia da rinvenimenti terrestri che da recuperi subacquei, facenti parte di carichi di relitti naufragati

sulla costa spagnola, italiana e francese. Prevalgono infatti in tutta l’area del Tirreno nord-occi-

dentale e si tratta di contenitori trasportati dalle coste africane verso occidente attraverso il com-

mercio cartaginese.

Una presenza ben attestata che non rileva però un pronunciato cambiamento nelle forme

presenti nella collezione, è quella delle “greco-italiche” (nn. cat. 43-46) contenitori vinari prodotti

nell’Italia meridionale. Sono riconducibili ai tipi MGS V e VI gli ultimi gruppi della tipologia del

Vandermersch29 che raccoglie le anfore databili tra la metà del IV secolo a.C. e la fine del III se-

colo a.C. Si sono riscontrate due varianti distinte soprattutto nella morfologia dei labbri e si è rav-

visata per questi contenitori l’esigenza di una nuova sistemazione tipologica, così da poter ab-

bracciare tutti i cambiamenti formali del tipo, per l’esistenza di una vasta gamma di varianti.

Una maggiore omogeneità si riscontra nel nucleo composto dalle anfore Dressel 1 (nn. cat.

47-56) ed, indipendentemente dalle difficoltà di una classificazione precisa costituisce la parte

più uniforme di questa collezione. Esse risultano la forma anforica più rappresentata e per la loro

“insistenza” topografia potrebbero appartenere tutte allo stesso giacimento archeologico.

Le attestazioni di età imperiale di contenitori africani (nn. cat. 58-60) sono molto limitate.

Questi contenitori dimostrano il ruolo importante che assunsero le province romane del nord-afri-

ca nell’economia dell’Impero per l’approvvigionamento di beni alimentari per Roma e per tutto

l’intero bacino del Mediterraneo. Rinvenimenti isolati o come facenti parte di carichi di tanti relitti

sono la testimonianza dell’ampia diffusione e della circolazione marittima di tali anfore lungo le

rotte di collegamento tra l’Africa e la l’Italia, ma in particolare lungo le coste della Sicilia.

29 I due tipi MGS V e VI sovente si possono trovare associati poichè non è chiara l’esatta linea di confine tra le due forme.

Anfore Puniche (35-42)

Tra i contenitori fenicio-punici ho selezionato il reperto più integro: si tratta di un’anfora da

trasporto ben attestata nei centri del Mediterraneo Occidentale (n. cat. 35) caratterizzata da una

stretta imboccatura con orlo appena rilevato e da un corpo ovoidale che si espande nella parte

inferiore, che rientra nel tipo D1 di Bartoloni30 e 1.3.2.1 di Ramon Torres31. Lo studioso spagnolo

considera quest’anfora una forma derivata dal tipo 2.1.1.2 e che introduce, per il profilo del cor-

po, alle produzioni successive delle anfore a siluro32.

Questa tipologia è presente in Sicilia e la si riscontra sia in centri di fondazione fenicia, qua-

li Mozia e Palermo, sia nelle colonie greche come Himera e Camarina. Dalla “Zona A” di Mozia33

sono stati identificati alcuni frammenti probabilmente di importazione mentre un solo esemplare,

impiegato ad accogliere una sepoltura ad enchytrismos, proviene dai corredi della necropoli pu-

nica di Palermo34.

Numerose anfore, anch’esse utilizzate come cinerari, sono state recuperate nella necropo-

li di Pestavecchia ad Himera35 ma anche la Sicilia Orientale è interessata da siffatte presenze a

Camarina36 sono state trovate diverse anfore ascrivibili al predetto tipo. Si può affermare, dun-

que, che si tratti di un prodotto commerciale ampiamente diffuso nell’area del Mediterraneo cen-

trale37, il quale nella seconda metà del VI secolo a.C., evidenzia gli intensi scambi di merci tra le

genti fenicio-puniche ed i greci. Le altre anfore puniche sono inquadrabili tra il III e il I secolo a.C.

38

30 Bartoloni 1988, p. 44, fig. 8.31 Ramon Torres 1995, p. 171 e fig. 145, n. 25; Ibidem 2000, p. 282, fig. 3,1.32 Spanò-Giammellaro 2000, p. 308, fig. 11.33 Toti 2002, p. 278, tipo 4, tav. 2, 4-5.34 Falsone 1998, p. 317, n. R11.35 Vassallo 1993-1994, p. 1250, fig. 4,2; Ibidem 2005, p. 831, figg. 2-3; Spanò-Giammellaro 2000, p. 308, fig. 16.36 Pelagatti 1976-1977, tav. LXXVII, 9.37 Esemplari di questo tipo sono presenti a Cartagine, vedi Docter 1997, pp.181-182.

L’anfora (n. cat. 36) è attribuibile alla forma D della classificazione di Maňa38, alla forma E1 di

Bartoloni39 ed, infine, al tipo 5.2.3.1 della tipologia di Ramon Torres40. Si tratta di un contenitore di-

stinto da un lungo corpo cilindrico a pareti verticali che si conclude con un fondo rastremato con pun-

tale sagomato a bottone. Numerosissimi sono i ritrovamenti riconducibili a questo tipo di anfora ri-

trovate in quasi tutte le aree costiere del bacino del Mediterraneo, dall’ Andalusia41 alle Baleari, dal-

la Francia alla Sardegna e la Sicilia, che confermano la diffusione del contenitore di fabbrica nord-

africana che si inquadra cronologicamente tra gli ultimi anni del III e la prima metà del II secolo a.C.

Al medesimo orizzonte cronologico si possono ascrivere le anfore (nn. cat. 37-39) che ap-

partengono alla classe delle Maňa C. Le prime due (nn. cat. 37-38) sembrano confrontabili al

7.3.1.1 di Ramon Torres42 e al tipo C 1/2 cioè la forma intermedia tra la C1 e la C2 della tipologia

di Maňa. Lo studio di questi contenitori è stato in seguito ripreso da Guerriero Ayuso43 che ha ten-

tato, a circa trent’anni di distanza, di definire in modo migliore i tipi già evidenziati da Maňa e le

problematiche sull’origine degli stessi. Essi presentano le stesse caratteristiche morfologiche del-

le anfore Maňa C1 ma sono caratterizzate da un labbro non troppo svasato che prelude già a

quello marcatamente allargato delle C2 che s’imposta su un corto collo schiacciato, quasi inesi-

stente.

Due soltanto sono le anfore (nn. cat. 39-40) che Ramon Torres inserisce nel tipo 7.5.3.144.

Gli esemplari della Collezione qui presentati sono l’unico esempio di un tipo attestato nel Medi-

terraneo e provengono il primo da un sequestro e il secondo dalle acque di Ustica. Si tratta di un

39

38 Maňa 1951, pp. 203-210.39 Bartoloni 1988, p. 56, fig. 12.40 Ramon Torres 1995, pp. 197-198, fig. 63.41 In particolare per le anfore della baia Gaditana cfr. Ramon Torres 2004, pp. 67 ss.42 Ramon Torres 1995, pp. 206-207, fig. 75.43 Guerrero Ayuso 1986, p. 160 ss., fig. 6.44 Ramon Torres 1995, p. 217, figg. 90 e 182, n. 291.

40

contenitore che lo studioso spagnolo inserisce nel gruppo tipologico 7.5.0.0 per il caratteristico

orlo rettilineo che presenta un netto stacco all’attacco con il collo troncoconico che ben si diffe-

renzia dalla spalla. Questo unicum proveniente delle acque della Sicilia, viene datato dal Ramon

intorno alla fine del II-I secolo a.C. ed è probabilmente di produzione nord-africana.

L’ anfora (n. cat. 41) è rapportabile al tipo Ramon Torres 7.5.2.345 e si distingue per il labbro

a profilo convesso, corto collo a profilo concavo e ventre cilindrico a pareti verticali che si conclu-

de con un puntale conico che si va assottigliando nella parte finale. Il contenitore non molto atte-

stato nel bacino del Mediterraneo centro-occidentale veniva fabbricato nell’area del Sahel ed è

databile al I secolo a.C.

Per l’ultimo tipo di anfora (n. cat. 42) qui presentato non è stato possibile individuare un

puntuale confronto. Essa potrebbe rientrare nel gruppo delle 7.5.0.0 di Ramon Torres e generi-

camente rapportabile al 7.6.0.0 al quale sembrerebbe strettamente imparentata per le sue carat-

teristiche morfologiche soprattutto per il labbro troncoconico liscio che s’imposta direttamente su

uno stretto corpo cilindrico rastremato che termina con un sottile puntale conico.

Queste tre produzioni anforiche sembrano dominare il mercato dei centri della Sicilia dal-

l’età tardo arcaica fino al I secolo a.C. Esse furono utilizzate per il trasporto di derrate liquide (olio

e vino africano) e semiliquide, diffondendosi nelle aree del bacino del Mediterraneo occidentale,

sottolineando il ruolo fondamentale della Sicilia toccata da rotte transmarine a medio e lungo tra-

gitto.

45 Ibidem, p. 216, fig. 182.

35) ANFORA DA TRASPORTO FENICIO-PUNICA

N.I. 12742Da Trapani o isole EgadiAlt. 75,3; diam. orlo 12

Argilla di colore arancio-nocciola (Munsell 5Yr 7/4)con abbondanti inclusi neri. Parzialmente integra,priva di un’ansa e lesioni sul ventre e incrostazionicalcaree. Orlo costituito da breve collarino a profilo arrotonda-to, corpo ovoide, fondo leggermente convesso, an-se brevi impostate nella parte alta del contenitore.Di tipo Ramon Torres 1.3.2.1.II quarto del VI secolo a.C.

36) ANFORA DA TRASPORTO PUNICAN.I. 12743Provenienza ignota. Sequestro daMazara del ValloAlt. 121; diam. orlo 8

Argilla di colore arancione (Munsell 2.5Yr6/8) con abbondanti inclusi bianchi e neri emica sporadica. Integra, incrostazioni cal-caree sulla superficie e bolle di cottura.Orlo con scanalature concentriche, corpo asiluro attraversato da ampi solchi, puntalesagomato che si conclude con un bottone,anse brevi impostate nella parte alta delcontenitore.Di tipo Ramon Torres 5.2.3.1; Maňa D.Fine III-I metà del II secolo a.C.

41

37) ANFORA DA TRASPORTO PUNICAN.I. 12772Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo Alt. 80,1; diam. orlo 19,1. diam. max.24,1

Argilla di colore rosa-arancio (Munsell 5Yr7/4) con abbondanti inclusi grigi e neri. Inte-gra, incrostazioni calcaree sulla superficie.Labbro breve e svasato, corto collo corpocilindrico, puntale cilindrico, anse impostatea semicerchio.Di tipo Maňa C 1/2;Ramon Torres 7.3.1.1.Fine III- Prima metà II secolo a.C.

38) ANFORA DA TRASPORTO PUNICAN.I. 12764Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo.Alt. 73,7; diam. orlo 14,6. diam. max.19,7

Argilla di colore arancio (Munsell 5Yr 7/6).Parzialmente ricomposta, riadesi ca. 16frammenti, priva di un’ansa; incrostazionicalcaree.Orlo svasato, corto collo cilindrico, corpo ci-lindrico, alto puntale cilindrico, ansa a semi-cerchio impostate nella parte alta del conte-nitore.Di tipo Maňa C 1/2; Ramon Torres 7.3.1.1Fine III- Prima metà II secolo a.C.

42

39) ANFORA DA TRASPORTO PUNICAN.I. 12780Provenienza ignota. Sequestro daMazara del ValloAlt. 75,25; diam. orlo 13; diam. max. 17,9

Argilla di colore arancio-rossastra (Munsell2.5Yr 6/6) con abbondanti inclusi grigi e ne-ri. Parzialmente ricomposta, priva di un’an-sa, lacuna sulla spalla e incrostazioni calca-ree sulla superficie.Labbro rettilineo con listello nella parte su-periore, corpo cilindrico, grande puntale co-nico, anse a semicerchio impostate nellaparte alta del contenitore.Di tipo Ramon Torres 7.5.3.1.Fine II-I secolo a.C.

40) ANFORA DA TRASPORTO PUNICAN.I. 12779Ustica, recuperata dal sig. F. Renda al-la profondità di m -45 Alt. 75,7; diam. orlo 13,4. diam. max. 17,5

Argilla di colore rosso-marrone ruvida al tatto(Munsell 5Yr 5/6). Integra, incrostazioni cal-caree.Labbro rettilineo con listello nella parte supe-riore, corpo cilindrico, grande puntale conico,anse a semicerchio impostate nella parte altadel contenitore.Di tipo Ramon Torres 7.5.3.1. Produzione Bi-zacena.II-I secolo a.C.

43

44

41) ANFORA DA TRASPORTO PUNICAN.I. 12765Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo Alt. 81,9; diam. orlo 15. diam. max.21,5

Argilla di colore rosso-arancio (Munsell2.5Yr 6/5). Integra, incrostazioni calcaree.Orlo convesso leggermente arrotondato,corto collo cilindrico a profilo concavo, cor-po cilindrico, puntale cilindrico, anse a se-micerchio impostate nella parte alta delcontenitore.Di tipo Maňa C; Ramon Torres 7.5.2.3.I secolo a.C.

42) ANFORA DA TRASPORTO PUNICAN.I. 41537Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo Alt. 97,9; diam. orlo 17,2. diam. max.19,7

Argilla di colore rosso-arancio (Munsell 5Yr7/4) con abbondanti inclusi grigi e neri. Par-zialmente integra.Labbro troncoconico, spalla a profilo conti-nuo, ventre cilindrico che si va rastremandoverso la parte inferiore, sottile puntale coni-co, anse a semicerchio impostate nella par-te alta del contenitore.Fine II-I secolo a.C.?

45

Anfore “Greco-Italiche”46 (43-46)

Nel Museo sono state classificate circa quattro anfore greco-italiche anepigrafi di cui due si

presentano integre e due frammentarie. Esse sono rapportabili al tipo greco-italica antica, defini-

te dal Monacorda47 e sono assimilabili al tipo MGS V-VI di Vandermersch48. In questo piccolo nu-

cleo si sono individuati due tipi distinti per le varianti del labbro e per delle leggere differenze mor-

fologiche del corpo anche se il profilo generale appare molto simile.

Le anfore nn. cat. 43-44 presentano l’orlo a sezione triangolare con un listello nella parte in-

feriore del labbro, il collo è corto e le anse hanno un gomito più marcato, la spalla è carenata e il

ventre è meno panciuto. Gli ultimi due reperti nn. cat. 45-46 hanno l’orlo a sezione triangolare ma

privo del listello, anse più rettilinee e la spalla arrotondata a profilo continuo con il ventre. I primi

due esemplari sulla base delle caratteristiche morfologiche sono datate alla fine del IV e gli inizi

del III secolo a.C. mentre le altre due alla prima metà del III secolo a.C.

Tali contenitori sono attestati in contesti archeologici terrestri quali la Stoà di Camarina49 e

sono confrontabili con esemplari recuperati nel carico del relitto di Secca di Capistello50 datati al-

la fine del IV e gli inizi del III secolo a.C. Ricordiamo inoltre, il carico del relitto di Torre della Me-

loria (LI)51 e le anfore recuperate dalle navi del complesso ferroviario di Pisa-San Rossore52 assi-

milabili alla nostra variante più antica e anch’essi datati alla fine del IV e gli inizi del III secolo

46 La bibliografia relativa a questo tipo di anfore è molto vasta e lo sono anche i vari tentativi per una classificazione tipologica dunque riportoin nota i contributi più importanti: Benoit 1957, pp. 251-256; Lyding-Will 1982, pp. 338-344; Vandermersch 1994, pp. 76-80; Manacorda1986, pp. 581-586; Id. 1989, pp. 443-466.

47 Manacorda 1981, pp. 22-23. 48 Vandermersch 1994, p. 76. 49 Pelagatti 1984-1985, p. 687, tav. CXLVII, figg. 1-4.50 Frey, Hentschel, Keith 1978, p. 278, fig. 11; Iidem 1979, p. 15, fig. 10. 51 Cibecchini 2002, pp. 211-214.52 Le Navi di Pisa, p. 121 e p. 128, fig 1 (n. 801).

a.C.53. Anche sulle coste della Corsica si trovano i relitti di Tour d’Agnello e

Tour Fondue54, mentre lungo il litorale spagnolo è il relitto Cabrera B e sulle coste francesi i relitti

del Gran Congloué55 e di Héliopolis 256. Quest’ultimo, naufragato con un carico di “greco-italiche”

di tipo evoluto associate a quelle di tipo antico denominato gruppo 1, trova confronti con le anfo-

re comprese nella seconda variante (nn. cat. 45-46), databili entro una forchetta cronologica che

va dalla fine del III fino alla metà del II secolo a.C.

Tali contenitori che si inquadrano in uno stretto arco cronologico compreso tra la fine del

IV e la prima metà del III secolo a.C., testimoniano un momento di trasformazione di Roma che si

incominciava a preparare allo scontro con Cartagine (la seconda guerra punica alla fine del III se-

colo a.C.). Roma inizia così a controllare i mercati del Mediterraneo occidentale inserendosi in

quei circuiti commerciali un tempo battuti da Greci, Etruschi e Cartaginesi, servendosi di un con-

tenitore per il trasporto del vino, già in circolazione e fabbricato nelle officine della Sicilia e dell’I-

talia meridionale che dopo la vittoria sui Cartaginesi, verrà sostituito con le anfore “greco-italiche”

di tipo più evoluto.

46

53 Dell’Amico 2005, p. 168.54 Joncheray 1989, pp. 135 ss.55 Long 1987, pp. 9-36. La nave del Gran Congloué è stata scavata nel 1958 da F. Benoit e si può considerare come uno dei primi relitti della

storia dell’archeologia subacquea francese. Nel carico si trovarono numerose anfore greco-italiche (in associazione con ceramica campanada mensa a vernice nera) e Benoit per definire tali contenitori, coniò il termine di “greco-italiche”.

56 Joncheray, Long, 2002, pp. 139-140.

43) ANFORA DA TRASPORTOGRECO-ITALICA

N.I. 12699Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo Alt. 57,5; diam. orlo 17. diam. max. 38.

Argilla di colore rosso (Munsell 2.5Yr 5/4)poco depurata.Parzialmente integra, priva del puntale. In-crostazioni calcaree.Orlo a sezione triangolare con un listellonella parte inferiore del labbro, collo corto,spalla ampia e carenata e ventre ovoidale,anse con gomito marcato che s’impostanoal di sotto del labbro direttamente sullaspalla.Fine IV-inizi III secolo a.C.

44) ANFORA DA TRASPORTOGRECO-ITALICA

N.I. 12696Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo Alt. 42,5; diam.orlo 17,6

Argilla di colore arancio (Munsell 5Yr 6/6).Frammentaria, priva della parte inferiore delventre. Incrostazioni calcaree e conchiglie.Come sopra.Fine IV- inizi III secolo a.C.

47

45) ANFORA DA TRASPORTOGRECO-ITALICA

N.I. 12697Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo Alt. 58,3; diam. orlo 16,2. diam. max.37,3.

Argilla di colore nocciola-rossastra (Munsell7.5Yr 7/6 e 8/6). Mutila, priva della parte in-feriore del ventre e del puntale. Incrostazio-ni calcaree e conchiglie.Orlo a sezione triangolare, collo cilindrico-svasato, spalla ampia a profilo continuo,corpo ovoidale, anse verticali a nastro di-stanziate dal collo che s’impostano al di sot-to del labbro direttamente sulla spalla.Fine III secolo a.C.

46) FRAMMENTO DI ANFORADA TRASPORTO GRECO-ITALICA

N.I. 12806Palermo, Punta Priola, recuperata dalSig. F. Colosimo a m -26-27. Alt. 22,5; diam. orlo 18

Argilla di colore marrone-arancio (Munsell7.5Yr 4/6). Incrostazioni calcaree e conchi-glie.Come sopra.Fine III secolo a.C.

48

49

Anfore Romane: Dressel I (47-56)

Prendendo in esame le anfore Dressel I, molto numerose tra i materiali conservati al Mu-

seo, non bisogna dimenticare che esse sono strettamente legate alla famiglia delle così dette

greco-italiche. Le Dressel 1 si possono, infatti ritenere come i contenitori da trasporto tipici del

commercio vinario su suolo italico tra la fine del II secolo a.C. e per tutto il I secolo a.C. soppian-

tando per capacità e volume il tipo dell’anfora greco-italica più recente57.

Esse s’inquadrano in un nuovo clima economico dove Roma, vincitrice della II Guerra Pu-

nica, incomincia a confrontarsi con i diversi mercati del Mediterraneo58. La loro produzione infat-

ti, così come l’esportazione, diviene massiccia e dominante nel commercio transmarino del vino

in età repubblicana.

Il Lamboglia occupandosi delle anfore romane del relitto di Albenga le ha classificate di-

stinguendole in tre varianti canoniche, A - B - C , pur sostenendo già la difficoltà di una netta di-

stinzione tra le tre diverse tipologie59. Dai risultati emersi dalle ricerche di questi ultimi anni si col-

gono evidenti limiti di questa classificazione, per la coesistenza all’interno di codesta famiglia, di

differenti varianti visto il loro contemporaneo uso rilevato dai carichi dei grandi relitti di navi di età

repubblicana usate per il commercio del vino italico.

Dall’analisi operata tra i contenitori della collezione si evince che certe anfore non rientrano

nelle Dressel 1A o 1B con certezza, perché esistono delle differenze morfologiche sostanziali per

le proporzioni e la forma degli orli che rendono difficile l’ancoraggio alla tipologia canonica; di con-

seguenza, essendo in presenza come già ricordato, di reperti decontestualizzati, è stato indivi-

57 Lyding-Will 1989, pp. 297 ss.58 Rimando ad una bibliografia essenziale su questo argomento: Manacorda 1981; Lyding-Will 1989; Carandini 1989.59 Lamboglia 1955, pp. 246-247 e p. 261.

50

duato un gruppo più o meno omogeneo da assegnare ad una forma intermedia tra la 1A e la 1B.

A ciò bisogna aggiungere che non è stato semplice rilevare anche il colore dell’argilla per

studiarne gli impasti ed identificare possibilmente le aree di produzione, a causa delle abbondanti

incrostazioni che ricoprono la quasi totalità della superficie del contenitore. L’argilla varia da un

giallo arancio (10yR 6/6), ad un arancio (5yR 6/6) ad un rosso- arancio (2.5yR 6/6).

Sulle dieci anfore studiate si è cercato di individuare una sequenza tipologica distinguendo-

le in tre gruppi di cui il primo racchiude anfore riferibili a contenitori transizionali tra la forma evolu-

ta delle greco-italiche alle Dr. 1A, il secondo costituito da anfore ascrivibili alle Dr.1A e in ultimo un

sottogruppo di transizione tra la Dr. 1A e B. L’appartenenza ai vari tipi è stata effettuata tenendo

conto anche delle misure e delle proporzioni tra le varie parti dell’anfora: l’altezza degli esemplari

varia da 91 a 121 centimetri circa. Si nota inoltre, una netta variazione delle misure dell’altezza del

collo e delle anse che va ad aumentare nelle anfore che marcano il passaggio alle Dressel 1B.

L’anfora (n.cat. 47) è un contenitore che conserva il labbro a profilo triangolare, ascrivibile

alle “greco-italiche evolute”, mentre la spalla non ben marcata e il corpo più affusolato e slancia-

to si avvicina alle Dressel 1A.

Il primo gruppo comprende (nn. cat. 48-52) anfore caratterizzate da un orlo a sezione trian-

golare, già più alto, il collo cilindrico e le anse verticali, parallele ma arcuate che si impostano al

di sotto del labbro e finiscono accostate alla fine dell’attacco del collo e del corpo ovoidale.

I contenitori (nn. cat. 53-55) presentano un alto orlo a pareti quasi verticali e sono distinte

invece dalla spalla leggermente più marcata, meno a profilo continuo con il ventre e fanno parte

del secondo gruppo delle Dr 1A-B60.

L’anfora (n. cat. 56) presenta inclusi neri vulcanici ben visibili ad occhio nudo e la sua pro-

60 Joncheray 2002a, pp. 103-106.

venienza sembrerebbe campana; quest’ultimo esemplare si può ascrivere con certezza alle

Dressel 1B. Tutti i nostri contenitori sono privi di timbri anforici.

Carichi di anfore Dressel 1 nel Mediterraneo sono numerossissimi, ne citerò alcuni tra i più

importanti tra i quali, in Sicilia nelle isole Eolie a Vulcano relitto a Punta Luccia61, a Filicudi, il re-

litto A (Roghi)62 e le anfore rilevate dagli americani durante una prospezione a grande profondità,

a Skerki Bank63. In Italia ricordiamo il relitto di Spargi64, il relitto della secca dei mattoni a Ponza e

sulle coste francesi il relitto della Madrague de Giens65 e Chrétienne M.66.

51

61 Cavalier 1982b, pp. 66-68; Bound 1992, p. 70.62 Cavalier 1982c, pp. 112-113.63 McCann-Freed 1994, pp. 61 ss.64 Pallares 1986, pp. 90-93.65 Tchernia, Pomey, Hesnard 1978, pp.16-17, pl. XIV.66 Dell’Amico 2005, p. 172.

47) ANFORAN.I. 12686Provenienza ignota. Alt. 91; diam. orlo 16,6; diam. max.28; alt. collo 26; alt. anse 28,5.

Argilla poco depurata di colore arancio (Mun-sell 5Yr 6/6) con inclusi bianchi e neri di pic-cola e media grandezza. Parzialmente inte-gra, priva del puntale. Incrostazioni calcaree.Labbro a sezione triangolare con gradino,collo alto cilindrico, spalla arrotondata, ven-tre affusolato, anse verticali a nastro paral-lele, impostate al di sotto del labbro.Di tipo Greco-italica evoluta.Terzo quarto II secolo a.C.

48) ANFORAN.I. 12707Provenienza ignota. Sequestro daMazara del Vallo Alt. 89,2; diam. orlo 13,5; diam. max.31,7; alt. anse 26,5; alt. collo 28,5

Argilla poco depurata di colore arancio(Munsell 5Yr 5/8 e 6/8) con abbondanti in-clusi bianchi. Parzialmente integra, privadel puntale. Incrostazioni calcaree.Labbro a sezione triangolare, collo alto ci-lindrico svasato alla base, spalla arrotonda-ta, ventre affusolato, anse verticali a nastroed arcuate, impostate al di sotto del labbroe accostate al collo.Di tipo Dressel 1A.Fine II- inizi I secolo a.C.

52

49) ANFORAN.I. 12685Provenienza ignota. Sequestro da Mazaradel Vallo Alt. 98; diam. orlo 14,4; diam. max. 30; alt.anse 25; alt. collo 29,7.

Argilla poco depurata di colore arancio (Munsell5Yr 6/6) con inclusi bianchi e neri di piccola e mediagrandezza e mica. Integra, priva del puntale. Incro-stazioni calcaree. Labbro a sezione triangolare, collo alto cilindricosvasato alla base, spalla arrotondata, ventre affuso-lato, puntale cilindrico che si attacca a profilo conti-nuo con il ventre, anse sinuose a nastro impostateal di sotto del labbro che si concludono sulla spalla.Di tipo Dressel 1A.Fine II- inizi I secolo a.C.

50) ANFORAN.I. 12721Provenienza ignota. Sequestro da Mazaradel Vallo Alt. 84,8; diam. orlo 15,7; diam. max. 32,4;alt. anse 25-26; alt. collo 29.

Argilla poco depurata di colore rosa-arancio (Mun-sell 7.5Yr 7/6).Parzialmente integra, priva del puntale. Incrosta-zioni calcaree.Labbro a sezione triangolare, collo alto cilindricosvasato alla base, spalla arrotondata, ventre affu-solato, anse meno sinuose a nastro, impostate aldi sotto del labbro e accostate al collo.Di tipo Dressel 1A.Fine II- inizi I secolo a.C.

53

51) ANFORAN.I. 12704Provenienza ignota. Sequestro da Mazaradel Vallo.Alt. 92; diam. orlo 15,3; diam. max. 29,5;alt. anse 33-34; alt. collo 36.

Argilla poco depurata di colore arancio (Munsell5Yr 6/6) con inclusi bianchi e neri di piccola emedia grandezza.Parzialmente integra, priva del puntale. Incrosta-zioni calcaree. Labbro a sezione triangolare, collo alto cilindricosvasato alla base, spalla distinta, ventre affusola-to, anse verticali e parallele a nastro impostate aldi sotto del labbro che si concludono sulla spalla.Di tipo Dressel 1A.Fine II- inizi I secolo a.C.

52) ANFORAN.I. 12715Provenienza ignota. Sequestro da Mazaradel Vallo Alt. 92; diam. orlo 14,2; diam. max. 28,5 ;alt. anse 27-27,5; alt. collo 29

Argilla poco depurata di colore giallo-arancio(Munsell 10Yr 6/6) con inclusi bianchi, e spora-dici neri vulcanici. Parzialmente integra, privadel puntale. Incrostazioni calcaree.Labbro a profilo quasi verticale, collo alto cilindri-co svasato alla base, spalla distinta, ventre affu-solato, anse verticali a nastro impostate al di sot-to del labbro che si accostano sulla spalla. Di tipo Dressel 1A/1B.Fine II- inizi I secolo a.C.

54

53) ANFORAN.I. 12720Provenienza ignota. Sequestro da Mazaradel Vallo Alt. 96,5 ; diam. orlo 14,5; diam. max. 29;alt. anse 25; alt. collo 26

Argilla poco depurata di colore arancio-rosato(Munsell 7.5Yr 6/4).Parzialmente integra, priva di parte finale delpuntale. Incrostazioni calcaree.Alto labbro a profilo verticale, collo alto cilindrico,spalla arrotondata, ventre affusolato, anse vertica-li a nastro ed arcuate con scanalatura centrale, im-postate al di sotto del labbro e accostate al collo.Di tipo Dressel 1A.Fine II- inizi I secolo a.C.

54) ANFORAN.I. 12724Provenienza ignota. Sequestro da Mazaradel Vallo Alt. 94,2; diam. orlo 14,6; diam. max. 29,2;alt. anse 25,8; alt. collo 26,8

Argilla poco depurata di colore rosso-arancio(Munsell 2.5Yr 6/6) con abbondanti inclusi bian-chi, neri e mica.Parzialmente integra, priva del puntale. Incrosta-zioni calcaree. Alto labbro a profilo verticale, collo alto cilindrico,spalla arrotondata, ventre affusolato, anse verti-cali a nastro ed arcuate, impostate al di sotto dellabbro e accostate al collo.Di tipo Dressel 1A-1B.Fine II- inizi I secolo a.C.

55

55) ANFORAN.I. 12710Provenienza ignota. Sequestro da Mazaradel Vallo Alt. 102,3; diam. orlo 14,5; diam. max.30,5; alt. anse 28,8-30; alt. collo 30,5

Argilla poco depurata di colore arancio (Munsell2.5Yr 6/8) con abbondanti inclusi bianchi, neri emica. Parzialmente integra, priva di parte finaledel puntale.Incrostazioni calcaree. Alto labbro a profilo verticale, collo alto cilindrico,spalla arrotondata, ventre affusolato, anse vertica-li a nastro ed arcuate con scanalatura centrale, im-postate al di sotto del labbro e accostate al collo.Di tipo Dressel 1A-1B.Fine II- inizi I secolo a.C.

56) ANFORAN.I. 12703Provenienza ignota. Alt. 121,8; diam. orlo 18,5; diam. max.30,80; alt. anse 36; alt. collo 35,5

Argilla poco depurata di colore giallognolo (Munsell10Yr 8/4) con molti inclusi neri vulcanici di piccola emedia grandezza. Tracce di ingobbio di colore gial-lo-nocciola. Integra, incrostazioni calcaree.Alto labbro, collo alto cilindrico, spalla orizzonta-le, ventre affusolato, puntale cilindrico svasatonella parte inferiore, anse verticali a nastro impo-state su una spalla ben marcata.Di tipo Dressel 1B.Fine II- inizi I secolo a.C.

56

57

Anfore rodie (57)

Tra le numerose presenze anforiche della collezione esse costituiscono un caso isolato.

Si tratta di un frammento della parte superiore del collo dell’anfora, di cui è conservata una

sola ansa, bifida, distinta nella parte alta da un gomito.

L’unico confronto pertinente è stato possibile con alcune anfore simili recuperate nel relitto

de la Tradelière67, una nave naufragata a largo di Cannes, con un carico molto eterogeneo, com-

posto da anfore Dressel 2-4 e Lamboglia 2.

Sono molto numerosi i giacimenti relativi a relitti che trasportavano contenitori rodii di età

imperiale, soprattutto in Puglia e precisamente nella zona salentina68.

Le anfore rodie, anche dopo la conquista romana e durante la prima età imperiale, erano

destinate a contenere il vino rodio, prodotto pregiato del Mediterraneo Orientale a lungo esporta-

to verso Occidente.

57) FRAMMENTO DI ANFORA DA TRASPORTON.I. 12682Provenienza ignotaAlt.42; diam. orlo 11,5; alt. collo 21; alt. anse 30

Argilla di colore arancio-rosata (Munsell 5Yr 7/4). Frammen-taria, priva di parte del ventre e di un’ansa, lesioni; incrosta-zioni calcaree.Labbro breve a profilo arrotondato, collo cilindrico-svasato,ansa verticale, bifida a doppio bastoncello con gomito accen-tuato nella parte alta, spalla a profilo continuo.I secolo d.C.

67 Fiori, Joncheray 1975, p. 63, pl. I, n. 5.68 Auriemma 1997, p. 228.

58

Anfore africane (58-60)

Un gruppo di anfore, non molto numeroso ma comunque significativo è rappresentato da

contenitori nord-africani che afferiscono alla tipologia del Keay. Si tratta di grandi anfore, la prima

(n. cat. 58) è detta africana grande o Africana IIA e corrisponde al tipo V “con gradino”69 del Keay.

È un grande recipiente provvisto di un corpo cilindrico alto ed esteso con un collo breve e

piccole anse a nastro con solcature verticali prodotto nelle province romane dell’Africa Bizacena

databile tra la seconda metà del III secolo d.C. fino al V d.C.

Gli altri due esemplari detti africane piccole si possono ricondurre al tipo XXV, variante C70

(n. cat. 59) e variante G71 (n. cat. 60) del Keay.

Le due anfore, distinte da stretto corpo cilindrico con collo a profilo continuo con il ventre ed

anse piene e robuste, preludono già nella forma agli spateia, la cui produzione ha la massima dif-

fusione in tutto il Mediterraneo tra la metà del IV fino al VI secolo d.C.

I nostri esemplari sono due tipici contenitori cilindrici di medie dimensioni di tarda età impe-

riale che vanno a sostituire, per la loro forma funzionale, grazie alle dimensioni slanciate, le an-

fore di forma africana I e II e sono attestate alla fine del III secolo d.C. e per tutto il IV d.C.

Innumerevoli sono i confronti tra i naufragi nel Bacino Occidentale del Mediterraneo: in

Francia il relitto Dramont “E”72 con un carico misto di africane grandi e Keay XXV,G e il relitto Dra-

mont “F”; in Italia i relitti del complesso ferroviario Pisa-San Rossore73, il relitto delle Scole nell’i-

69 Keay 1984, pp. 113-115, fig. 43.70 Ibidem, p. 185 e p. 201; Ostia IV, p. 185, tav. XX, fig. 142.71 Ibidem, pp. 184-186, fig. 231; Ostia IV, p. 176, tav. XXII, figg. 147-148.72 Santamaria 1995, pp. 35-42.73 Le Navi di Pisa, p. 159, fig. 1.

sola del Giglio74; in Sicilia ne citiamo solo alcuni tra cui il relitto Porto A a Filicudi75, nella parte

orientale dell’isola il relitto dei marmi a Camarina76 mentre nella costa occidentale il relitto di Ma-

rausa77, antistante le isole Egadi scoperto nel 1999 e il materiale anforico recuperato a Cala Ga-

dir a Pantelleria78 (non è detto che il nostro esemplare non possa provenire proprio da lì!).

A proposito della destinazione d’uso di tali contenitori, oltre al trasporto soprattutto di olio,

sono attestati altri contenuti quali olive, conserve di pesce, ma altresì vino, miele e lenticchie79.

Queste anfore prodotte da officine del nord-Africa facevano parte di quei circuiti commer-

ciali che interessano sopratutto la costa meridionale della Sicilia80 diffondendosi ampiamente in

tutta l’area del Mediterraneo.

59

74 Relitti di Storia, pp. 106-108.75 Bernabò Brea-Cavalier 1985, pp. 95-96; Bound 1992, p. 80.76 Parker 1976, pp. 25-29.77 Tusa 2005, pp.133-136.78 Ibidem 2005, p. 142.79 Auriemma 1997a, p. 233.80 Auriemma 1997b, p. 139.

58) ANFORA DA TRASPORTON.I. 12693Ustica, secca della Colombaia, recu-perata dai sigg. C. Sacco e E. Sole Alt. 111,5; diam. orlo 17; diam. max. 48

Argilla poco depurata di colore arancio(Munsell 2.5Yr 6/4).Parzialmente ricomposta, lacune sulla spal-la; incrostazioni calcaree.Orlo a gradino, breve collo troncoconico,grande corpo cilindrico, brevi anse verticalia nastro con scanalature.Africana grande/ Africana IIA/ Keay V/ Bel-tran 56.Tardo III sec. d.C. – V sec. d.C.

59) ANFORA DA TRASPORTON.I. 12730Pantelleria Alt. 86; diam. orlo 12,5. diam. max. 19,8

Argilla di colore rosso (Munsell 2.5Yr 5/6)con inclusi bianchi millimetrici e mica spora-dica. Parzialmente integra, priva di parte fi-nale del puntale; incrostazioni calcaree.Orlo svasato, collo cilindrico, brevi anse ar-cuate accostate al collo, stretto corpo cilin-drico, puntale cilindrico massiccio.Tipo Keay XXV, G/ Beltran 64/Ostia IV.Fine III- IV secolo d.C.

60

61

60) ANFORA DA TRASPORTON.I. 12729Isola delle Femmine (?) Alt.105; diam. orlo 13,6. diam. max. 28

Argilla di colore rosso (Munsell 2.5Yr 5/6) con in-clusi bianchi e neri millimetrici. Frammentaria, pri-va di parte del ventre, lesioni; incrostazioni calca-ree.Labbro svasato, collo cilindrico-svasato, brevi an-se arcuate, corpo cilindrico, puntale cilindrico conrigonfiamento.Keay XXVG/ Beltran 64.Fine III - V secolo d.C.

Anfore Bizantine (61)

Si tratta di un esemplare recuperato da Kapitän circa trent’anni fa, durante alcune immer-

sioni condotte dallo studioso tedesco e successivamente consegnato al Prof. V. Tusa. Non ab-

biamo nessun dato circa la provenienza, tranne un’indicazione generica di recupero nelle acque

di Palermo. Si tratta di un’anfora vinaria che trova stretti paralleli tra i contenitori del relitto di Yas-

si Ada scavato dal Bass81 e attestata anche nell’Agorà di Atene82 agli inizi del VI secolo d.C.

61) ANFORAN.I. 47273Provenienza ignota. Recuperata nelle ac-que di Palermo e consegnata al Museo daKapitän nel 18/8/1969Alt. 52,2; diam. orlo 10,5

Argilla all’interno di colore rosso-arancio (Munsell2.5Yr 7/8) all’esterno di colore grigio-marrone(Munsell 2.5Yr 3/1).Frammentaria, priva dell’orlo e della parte inferio-re del ventre.Collo cilindrico svasato, spalla obliqua, corpo in-teramente solcato da strette stigilature orizzontalie parallele, anse arcuate, a nastro, con scanala-tura centrale.Inizi VI secolo d.C.

62

81 Bass 1982, pp. 185-186, P80.82 Athenian Agorà V, p. 115, pl. 33, M33

63

Macine (62-65)

In questi ultimi anni l’attenzione è stata rivolta in particolare a tutti quegli oggetti, recuperati e

riconosciuti non facenti parte del carico, come le macine83. Esse inizialmente, al momento del ritro-

vamento di un relitto, non erano studiate ma venivano liquidate come materiale impiegato come za-

vorra della nave. A seguito di indagini sempre più attente, l’interesse degli archeologi si è rivolto an-

che alla vita di bordo e agli oggetti di uso quotidiano e le macine sono dunque ora classificate, ana-

lizzate e interpretate come dotazione di bordo. In alcuni casi e più sporadicamente, esse sono rico-

nosciute come effettivo e principale carido della nave, anche in forme semilavorate84.

Strumento essenziale a bordo di una nave, la macina serviva per la molatura di cereali, per-

chè il grano o il farro ecc. erano imbarcati per lo più non macinati e le mole fornivano, al momento,

la farina per la preparazione del pane nauticus e di tutti quei cibi, come pagnotte, gallette e zuppe,

adatte alla dieta dell’equipaggio, durante le lunghe traversate in mare.

Al Museo85 sono presenti quattro macine provenienti dal mare, tutte lavorate in pietra vul-

canica, non complete perché mancanti della parte inferiore, cioè della meta. Le prime due prove-

nienti dalle acque di Mondello ed Ustica (nn. cat. 62-63) sono ascrivibili al tipo di macina rotato-

ria manuale che era la più comune e la più utilizzata a bordo delle navi romane86 in uso dall’età

repubblicana fino ad epoca imperiale.

Il frammento (n. cat. 64) possiede una presa laterale forata e si può avvicinare probabil-

83 Il lavoro, sulle macine, che ha dato nuovi impulsi per una più attenta analisi su questi manufatti è quello di Beltrame, Boetto 1997 e Beltra-me... con bibliografia.

84 Salvi, Sanna 2005, p. 259.85 Oltre agli esemplari, qui presentati di sicura provenienza sottomarina, al Museo, si trovano frammenti di macine, catilli e metae, di varie ti-

pologie, adagiate sul terreno del giardino del Chiostro Maggiore e di cui non si conoscono le provenienze.86 Beltrame, Boetto 1997, pp.168-169.

mente alle macine rotatorie manuali “regolabile” e trova confronti con un palmento recuperato

nelle acque di Camarina87.

La macina (n. cat. 65) invece è un frammento di catillus di macina così detta “pompeiana”88 ca-

ratterizzata da una parte superiore a forma di clessidra che si andava a sovrapporre su un palmento

inferiore conico.

L’esemplare di provenienza sconosciuta rientra in una tipologia già in uso nel IV secolo a.C.

e che perdura fino ad epoca imperiale ed è stato ipotizzato che questo tipo di macine difficilmen-

te erano utilizzate sulle navi, a causa del notevole peso e dell’ingombro che arrecava sul ponte89.

64

87 Iidem, p. 169, p. 178, p. 191, n. 63; McCann-Freed 1994, pp. 19-20.88 Iidem, p. 169 e p. 185.89 Beltrame 2002, p. 56.

62) CATILLUSN.I. 12836Mondello recuperata dal Sig. G. Mi-chelini a m -25-30Alt. 10; diam. max. 36,5; diam. foro 4,5Incrostazioni calcaree. Pietra lavica.

Palmento superiore circolare, con base piana, di macina rotatoria manuale con foro centrale e fo-ro laterale esterno per l’inserimento dei legni per la rotazione.Due piccole cavità si trovano diametralmente opposte al foro centrale.II secolo a.C

63) CATILLUSN.I. 12838Ustica, Secca della Colombaia, recu-perata dai sig.ri Sacco e SoleAlt. 15,5; diam. max. 38,7; diam. foro7,5.Incrostazioni calcaree. Pietra lavica.

Palmento superiore circolare, con base piana, di macina rotatoria manuale con foro centrale e fo-ro laterale esterno per l’inserimento dei legni per la rotazione.Due piccole cavità si trovano diametralmente opposte al foro centrale.II secolo a.C.

65

66

64) FRAMMENTO DI CATILLUSN.I. 12837Mondello, P. Priola, recuperata a ca. 800 metri dalla costa allaprof. di m -26/27 dal sig. F. ColosimoAlt. 11; diam. max. 35; diam. foro 6; incasso laterale: lungh. 12;largh. 5,5; diam. forellino 1,5

Mutilo, privo di circa la metà. Incrostazioni calcaree. Pietra lavica. Palmento superiore circolare, con base concava, pertinente probabilmente ad una macina rota-toria manuale “regolabile” con incasso laterale per agevolare la rotazione sulla meta.Età imperiale romana.

65) FRAMMENTO DI CATILLUS N.I. 12839Provenienza ignotaAlt. 36; diam. max. ricostruito 42,5;diam. foro ricostruito 12,5; presa late-rale diam. 3,5

Mutilo, privo di circa la metà. Incrostazioni calcaree. Pietra lavica.Parte superiore di macina così detta pompeiana, a forma di clessidra con piccolo cordolo e pre-sa passante laterale forata.Dal periodo ellenistico all’età romano imperiale.

67

Altri Materiali (66-69)

In questo capitolo sono presentati dei reperti appartenenti alla Collezione, anch’essi avulsi

da ogni contesto, ma che meritano un discorso a parte per la loro peculiarità. Sono oggetti che

hanno sempre fatto parte dell’esposizione museale e di cui, il bronzetto e il torso di Mozia sono

stati oggetto di numerosi studi.

La statuetta bronzea (n. cat. 66) è un pezzo unico della collezione ed esiste al riguardo tut-

ta una serie di studi90 che hanno esaminato le molteplici problematiche ad esso collegate, sulla

identificazione dell’immagine, sulla provenienza e sulla datazione.

Oggetto raro e prezioso, raffigurante Melquart divinità fenicia, probabilmente è un prodotto

di importazione siro-palestinese e si può collegare con le navigazioni cretesi-cicladiche e/o mice-

nee-fenicie che tra il XII e l’VIII secolo a.C. solcarono il mare Mediterraneo, in quelle rotte di col-

legamento tra Oriente ed Occidente passando dalla parte meridionale della Sicilia, con finalità

commerciali e non stanziali.

Il torso di Mozia91 (n. cat. 67) benché sia stato inserito nella collezione non si può conside-

rare, a parte la casualità del rinvenimento, un oggetto facente parte di un carico di una nave ma,

come è stato ipotizzato precedentemente, la statua potrebbe essere caduta in mare molto pro-

babilmente mentre si cercava di trasportarla da Mozia a Lilibeo sulla terraferma, dopo la disfatta

dionigiana nel 397 a.C.

Si tratta di una statua acefala, a tutto tondo, in pietra granitica che raffigura una divinità fe-

nicia in stile egittizzante e la sua datazione inizialmente controversa ormai è consolidata alla pri-

ma metà del VI secolo a.C.

90 Tusa 1973, pp. 173-179; Acquaro 1988, 422 (scheda n. 423); Camerata Scovazzo 2000, pp. 1-9. 91 Mingazzini 1938, pp. 505-509; Falsone 1970, pp. 54-61; Bondì 1993, p. 25.

I due elmi in bronzo (nn. cat. 68-69) qui presentati, già editi da G. Purpura92 sono stati pub-

blicati come ritrovamenti provenienti dalle acque di Ustica. Dopo i rinvenimenti di armi ed elmi re-

cuperati nelle navi di Spargi ed Albenga, per primo P.A. Gianfrotta93 ha tentato di capire l’uso a

bordo di questi oggetti, mettendoli in relazione al fenomeno della pirateria nel mondo antico.

Sulla continuità di questi studi è interessante il lavoro di L. Cavazzuti94 della fine degli anni

’90 che a seguito di numerose presenze archeologiche di tal genere, che testimoniavano l’uso

personale o di difesa sulle navi a causa dell’insorgere della pirateria, ha redatto un lungo elenco

di armi ritrovate nei relitti del Mediterraneo Orientale ed Occidentale.

Non si può d’altra parte non ricordare il recente lavoro di H. Pflug95 che ha passato in ras-

segna i ritrovamenti di elmi in Sicilia di provenienza sottomarina, in particolare quelli recuperati

nelle acque di Camarina, tracciando una carta di distribuzione dei rinvenimenti siciliani.

Gli elmi benchè completamente ricoperti da concrezioni e da grandi conchiglie, sono rico-

noscibili nel tipo ad elmetto di fantino (Jokeykappen)96, diffuso nel III-II secolo a.C. e trovano con-

fronti con elmi recuperati nelle acque della Sicilia e precisamente nella Baia di Camarina97, nelle

acque di Eraclea Minoa e di San Vito lo Capo98.

68

92 Purpura 1986, p. 145 e p. 147, fig. 3.93 Gianfrotta 1981, pp. 227-245, alla nota n. 34 cita gli elmi del Museo come rinvenimenti subacquei di provenienza ignota. Effettivamente dal-

le ricerche da me effettuate in Archivio, non ho rilevato alcuna informazione sull’origine certa dei due esemplari; ma confronta ancheId. 2001, p. 211, tav. XLI,a.

94 Cavazzuti 1997, pp. 197-214.95 Per la gentile cortesia dell’Autore, Pflug in c.d.s. che riporta le schede (H ed I) dei due elmi esposti nella sala “Bronzi” del Museo Salinas.96 Dintsis 1986, pp 149 ss., taf. 70.1; Calzecchi-Onesti 1991, pp. 76-77, tav. XIII, n. 114.97 Cavazzuti 1997, p. 205, fig. 9; Pflug in cds.98 Pflug cds.

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66) BRONZETTO FENICION.I. 3676 Recuperato nelle acque di Sciacca (AG) nel 1955Alt. 35,4Bronzo. Fusione piena.

Figura maschile, barbata, stante, di prospetto con lagamba sinistra avanzata e quella destra leggermentearretrata. Il torso è anch’esso di prospetto, con il bracciodestro sollevato e rivolto in avanti, chiuso a pugno perreggere un attributo andato perduto (forse un’arma),mentre il braccio sinistro proteso doveva anch’essostringere un oggetto.Sulla testa, alto copricapo conico con due alette lateraliche termina con una protuberanza “a bottone”. Sonoevidenziati i caratteri del viso: le sopracciglia sono deli-neate con un leggero solco; le concavità orbitali, resecon fossette piuttosto irregolari dovevano ospitare gliocchi, di materia diversa ma andati perduti; il naso èsottile, la bocca è poco marcata e le orecchie lievemen-te prominenti.L’ombelico è evidenziato con una piccola cavità roton-deggiante e la figura indossa un gonnellino liscio, intor-no alla vita che scende fino alle ginocchia. I piedi, chehanno le dita ben distinte e sono fermamente poggiati aterra, presentano sulla piante piccole appendici che ser-vivano a fissare la statuetta.Integro. Patina nerastra ricopre interamente la superficie; parte posteriore profondamente corro-sa. La mano sinistra e il tallone sinistro corrosi.Rientra nell’iconografia siro-palestinese del Dio abbattente, anche se gli attributi che impugnavasono andati perduti. Alla luce degli ultimi studi si considera un’opera fenicia di stile egittizzante, lacui cronologia si ascrive al I millennio e non più al tardo bronzo. Il bronzetto, potrebbe raffigurareReshef o Melquart, divinità del pantheon fenicio. Importato probabilmente dalla Fenicia.X-VIII secolo a.C.

67) TORSO VIRILEN.I. 5612Recuperato nelle acque prospicienti l’i-sola di Mozia nel 1933Alt. 127,5; largh. 67

Privo della testa e della parte inferiore. Man-cano gli attributi della divinità. Grossa fratturache la taglia trasversalmente. Lesione vertica-le dalla coscia destra fino alla cintola. Un foroall’altezza dell’ombelico. Abrasioni e corrosioni sulla superficie.Pietra granitica. A tutto tondo.La statua è acefala e nuda tranne che il gonnellino sulla vita. Il braccio destro è disteso lungo ilfianco e ha il pugno chiuso, il sinistro è piegato sul petto ed ha anch’esso il pugno serrato. Il gon-nellino, lo shenty, è tenuto da una cintura. Il modellato è vigoroso.Prima metà del VI secolo a.C.

68) ELMO A CALOTTAN.I. 42643Provenienza ignota Alt. 24,7; diam.; 25,6; largh. Tesa 2,9

Integro, superficie corrosa con incrostazioni e conchiglie.Bronzo laminato. Battitura a freddo e incisione.A calotta emisferica, liscia, sormontato da un bottone troncoconico de-corato con incisioni. Breve paranuca. Su ciascun lato delle zone temporali erano fissati, per mez-zo di cerniere mobili, dei paragnatidi. L’orlo è decorato con linee incise.Produzione italica. Tipo Montefortino III secolo a.C.

69) ELMO A CALOTTAN.I. 42644Provenienza ignotaAlt. 24,8; diam. 25,7Come sopra.

70

71

I materiali qui presentati sono costitui-

ti, per la maggior parte, da contenitori da tra-

sporto di varia tipologia e di diverso orizzon-

te cronologico ed, insieme ai ceppi in piom-

bo, rappresentano la maggioranza degli og-

getti custoditi nei magazzini del nostro Mu-

seo.

Sono stati scelti con l’intento di una

corretta identificazione tipologica e crono-

logica per poterli collocare, ove possibile,

in quella rete di rotte commerciali e di traffi-

ci marittimi che hanno interessato il Mediterraneo e la Sicilia per secoli, come è evidente dai ri-

trovamenti sempre più numerosi di navi naufragate, cariche di mercanzie sulle coste siciliane99

(fig. 3).

La frequente presenza di questi materiali nelle nostre acque pone pertanto lecite domande:

quali siano stati i porti di partenza e quelli di arrivo, quali le rotte seguite, quali le modalità dei nau-

fragi e se la suppellettile a bordo sia appartenuta a carichi cosiddetti omogenei o eterogenei.

Il materiale ceramico, ma soprattutto le anfore che hanno sempre suscitato un fascino

straordinario direttamente proporzionale allo sviluppo dell’archeologia subacquea che, in questi

Fig. 3 (da Parker 1992).

99 Per la conoscenza di tutti i relitti antichi, ritrovati nel Mediterraneo e nelle province romane, raggruppati per ambiti geografici e catalogati se-condo un ordine cronologico, per un totale di ca. 1189 relitti, rimando al lavoro di Parker pubblicato nel 1992 e alla fig. 3 che riporta la si-tuazione dei rinvenimenti siciliani. Dopo 15 anni dal poderoso repertorio del Parker, l’elenco dei relitti si è ulteriormente allungato e per unnuovo aggiornamento vorrei ricordare il recente volume di Dell’Amico 2005, che illustra schematicamente, in ordine alfabetico, i principalinaufragi lungo le coste del nostro mare soprattutto alcuni nuovi relitti scoperti dai francesi ed ancora inediti. Inoltre cfr. il catalogo della mo-stra Amphores à la mer!…

72

ultimi anni ha dato un notevole impulso agli studi di esse,100 mostrano con i ritrovamenti sempre

più frequenti, i rapporti mercantili tra città, relativi non solo a prodotti agricoli, quali il vino e l’olio

ma anche ad altre merci e derrate alimentari che servivano in cucina, quali ad esempio il garum

la ben nota salsa di pesce (condimento saporito di alcuni piatti della cucina romana) e i salsa-

menta.

Dietro il cibo e il vino c’è dunque l’uomo e ci sono i rapporti sociali tra genti diverse, acco-

munati da stessi sapori. Vini deliziosi e famosi circolavano in tutto il Mediterraneo ed erano im-

bottigliati e commercializzati in contenitori la cui forma era riconosciuta da tutti. Fondamentale è

infatti la relazione tra il contenitore, il contenuto101, la città di origine o l’area di produzione delle

anfore come ad esempio le rodie, tipiche anfore vinarie di cui siamo certi del contenuto traspor-

tato. È chiaro che siffatte osservazioni non possano generalizzarsi per altri tipi di contenitori che

invece potevano essere destinati alla conservazione e/o al trasferimento di più prodotti, si pensi

ad esempio alle anfore africane.

Nella mostrata collezione, che rappresenta i recuperi sottomarini della Sicilia occidentale,

esiste un vuoto che riguarda le anfore102 greche arcaiche che costituisce un argumentum ex si-

lentio. La presenza di quest’ultime è senza dubbio forte tra i ritrovamenti terrestri sia nelle necro-

poli che in contesti urbani e rurali.

A conferma di ciò, è da rilevare che lungo le coste dell’isola, i recuperi di relitti arcaici sono

sino a questo momento piuttosto rari ad eccezione di navi naufragate lungo la costa meridionale

100 A tal proposito, ricordiamo il capitolo sulle anfore di Dell’Amico 2005, pp. 77-99, che presenta le classificazioni di alcuni contenitori anforicidi età romana ripercorrendo i lavori-guida più importanti con le relative tipologie ancora in uso. Per un approfondimento sui ritrovamenti an-foracei in Sicilia in età romana cfr. Wilson 1990, pp. 262-268 con note a seguire.

101 Ibidem, pp. 325 ss., l’Autore affronta lo studio di alcuni contenitori da trasporto in relazione al loro prodotto trasportato e inserisce il teminebivalencia o multifunción per indicare l’uso di un’anfora con duplice scopo: ad esempio vinario e salsario.

102 Allo stato attuale delle ricerche esiste una lacuna di ritrovamenti sottomarini, altresì molto rari in contesti terrestri, di contenitori etruschi nel-la Sicilia occidentale tranne per un rinvenimento sporadico di un’anfora etrusca frazionaria datata alla I metà del VI secolo a.C. recuperataa m -100 presso Punta Galera ad Ustica, cfr.: Spatafora in cds per uno sguardo d’insieme sulla storia dell’isola di Ustica dalla preistoria al-l’età tardo romana.

della nostra isola: il relitto di P. Braccetto presso Camarina103, la nave greca di Gela104 dalla quale

sono state recuperate circa un centinaio di anfore da trasporto, di tipo chiota, lesbio, samio e corin-

zie A e B e il relitto di Stentinello (SR)105 riferibile ad un contesto leggermente più tardo. Dall’analisi

dei materiali recuperati emerge che le navi possedevano carichi misti e che probabilmente hanno

toccato più scali prima del porto di destinazione. Sembra pertanto lecito domandarsi se durante l’e-

poca arcaica nella Sicilia occidentale, in ambiente punico o fortemente punicizzato, le merci e i

contenitori commerciali d’importazione greca e greco-orientale venivano piuttosto veicolati dalle

colonie greche della Sicilia sud-orientale, attraverso tragitti terrestri a penetrazione interna piuttosto

che, in circuiti marittimi di distribuzione in cui si prediligeva forse una rotta meridionale.

Sono considerazioni annesse ad una problematica molto più ampia che interessa il com-

mercio in epoca arcaica che investe la nostra penisola e la Sicilia; in altri contesti regionali il qua-

dro appare più semplice come ad esempio, in Puglia e in particolare nel Salento, laddove esisto-

no numerosi rinvenimenti subacquei relativi a carichi misti di anfore corinzie A e B o a ritrova-

menti isolati poiché tale regione ha giocato un ruolo molto attivo nel commercio con il Mediterra-

neo orientale106.

In questo panorama anforario non si può escludere l’apporto del commercio di Cartagine e

la diffusione delle anfore puniche che fino alla conquista romana, nelle diverse elaborazioni tipo-

logiche, costituiscono le testimonianze del commercio inter-punico in tutto il Mediterraneo indiriz-

zato non solo alla produzione viticola107 ma anche al consumo alimentare di derrate solide.

Passando al periodo ellenistico il quadro delle relazioni commerciali cambia del tutto: in as-

sociazione alle anfore puniche “a siluro” e Maña C troviamo le anfore “greco-italiche” di tipo anti-

73

103 Di Stefano 1993-94, pp. 111-133.104 Panvini 1997, pp. 137-138; Eadem 2001.105 Kapitän 1976, pp. 87-103106 Auriemma 1997a, pp. 228-229 e 1997b, p. 138. 107 Spanò Giammellaro 2000b, per un approfondimento sull’uso del vino, in ambiente fenicio-punico.

74

s Ancore in pietral Ceppi in piombon Anfore da trasporto Punicheu Anfore da trasporto Greco-ItalicheH Dressel 1å Anfore da trasporto Africane6 Anfore da trasporto BizantineÛ MacineÝ Altri materiali

co che, nello scorcio del III-II secolo a.C. trasportano un vino prodotto da vitigni sicelioti e italioti

della Magna Grecia, pertinenti ad aree produttive ancora fortemente ellenizzate che prenderà il

sopravvento sul mercato di quell’epoca, offrendoci ampie documentazioni sui nuovi assetti politi-

ci e sulla neonata attività di Roma che incomincia ad affacciarsi a nuovi orizzonti.

In età romana repubblicana le anfore “greco-italiche” saranno sostituite da un nuovo conte-

nitore che Roma impone sul mercato viticolo e che servirà alla commercializzazione del vino del

Cecubo e del Falerno. Il vino contenuto in esse era acquistato, come consuetudine, “a scatola

chiusa” perché l’anfora che lo conteneva di per sé stessa faceva fede del prodotto trasportato fino

al punto che si compì, in zone geografiche lontane da stretti controlli di Roma, un vero e proprio

plagio. Emerge infatti da un recente studio spagnolo che venivano prodotte Dressel 1 di imitazio-

ne in alcuni fundi andalusi dove gli abitanti del luogo vendevano il vino locale, prodotto nella pro-

pria fattoria allo stesso prezzo del vino italico importato “ingannando i potenziali consumatori”108.

In tutte le epoche è stato possibile che accadessero episodi di contraffazione di tal genere,

la cui conoscenza sfugge all’archeologo in mancanza di analisi mineralogico-petrografiche sugli

impasti, finalizzati a determinare e ad individuare le aree di produzione locali o d’importazione dei

manufatti.

Prima di concludere, vorrei accennare in poche parole che il quadro generale offerto dai

materiali mi ha indotto a caratterizzare lo studio ad un approccio soprattutto tipologico, che spe-

ro abbia arricchito il panorama storico-archeologico di questa vasta area della Sicilia, di alcune

problematiche che qui sono state soltanto delineate e che nonostante i tempi previsti per questa

pubblicazione, non mi abbiano consentito di presentare la Collezione nella sua globalità.

Mi auguro, in seguito, che essa possa essere approfondita, corretta e completata.

75

108 Bernal Casasol 2004, pp. 333 e ss.

76

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