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Guido Romagnoli L’ACQUA DI BOTTINACCIO Uso e gestione dell’acqua in un villaggio contadino Bottinaccio - maggio 2013

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Guido Romagnoli

L’ACQUA DI BOTTINACCIO Uso e gestione dell’acqua in un villaggio contadino

Bottinaccio - maggio 2013

Il testo è stato presentato in occasione del Convegno Archeologia in Valdelsa, dalla ricerca alla valorizzazione, 11/12 maggio 2012, quale parte dell’intevento di Paolo Gennai, Luca Ranfagni e Guido Romagnoli, “Archeologia e antropologia dell’acqua fra età moderna e contemporanea. La valorizzazione dei due casi di Valvirginio e Bottinaccio (Montespertoli)”. Le notizie necessarie per elaborare questo testo sono frutto della disponibilità di tempo, dei racconti e dell'aiuto concreto nella ricerca sul territorio, pazientemente elargiti nel corso di un lungo periodo da: Marino Bardi, Antonio Landi, Valerio Lari, Mauro Luchini, Rina Bertelli, Ilvo Massini, Marina Cresti, Settimia Massini, Giovanni Orlandi, Roberto Semplici, Claudio Simoncini, Mirella Fulignati, Nello Simoncini, Giuseppe Simoncini, Carlo Sisti. La consultazione dell’Archivio Parrocchiale di Bottinaccio è stata possibile grazie alla disponibilità di don Angelo Gorini e Dino Dini. L’Arch. Luigi Falsetti mi ha fornito notizie sulla villa di Montecastello e su Le Rose. Il dott. Paolo Gennai, Direttore Scientifico del Sistema Museale della Valdelsa Fiorentina, ha sostenuto e stimolato la mia ricerca senza far pesare l' esser io, forse, uno tra quella gente vana che spreca il proprio tempo a trovar la Diana. Guido Romagnoli, Bottinaccio, seconda domenica di maggio 2013.

In copertina foto del pillone del Palazzaccio; in 4° di copertina planimetria catastale del borgo. Bottinaccio, 12 Maggio 2013 Proprietà letteraria riservata Guido Romagnoli [email protected]

«Hic lapis gestas undam que crimina tegat»1,l’acqua viva, elemento primigenio

indispensabile alla vita di tutte le creature, è da sempre oggetto di culto, simbolo di

vita, purificazione e rinascita. Fin dalla preistoria l'uomo esperisce la relazione

esistente tra le sorgenti, i fiumi, la pioggia e la fertilità della terra, la disponibilità di

cibo, la possibilità di riprodursi con sicurezza. La sacralità dell’acqua si perde così

nella notte dei tempi ed è possibile ipotizzare forme di venerazione dell’acqua fin

dal paleolitico. Intorno al VII-VI millennio a.C. con l’inizio dell’agricoltura e

dell’allevamento, l’acqua diventa sempre più chiaramente oggetto di culto: in alcuni

giacimenti neolitici ipogei sono stati rinvenuti contenitori ceramici che

raccoglievano l’acqua lattescente, che percola dalle stalattiti2. Quella stessa acqua,

satura di carbonato di calcio, evocava ancora ieri il latte materno, come

testimoniano le numerose fonti lattaie sparse sul nostro territorio, le sorgenti

galattogene a cui si attribuiva il potere di favorire la montata lattea delle puerpere.

Nelle nostre contrade tra il IX e il VII secolo a.C. si diffonde l’uso di deporre le

ceneri dei defunti nei cinerari biconici, recipienti utilizzati originariamente per

attingere e contenere acqua, defunzionalizzati tramite la rottura cultuale di un’ansa.

Per tutta l’antichità le sorgenti furono assiduamente frequentate da Dee e Ninfe; in

epoca tardo antica il processo di cristianizzazione delle campagne ed il sincretismo

con le ancestrali tradizioni pagane di origine centro europea, trasformarono le

vecchie Ninfe in Fate, ambigue creature che rifuggono i mortali. Le fonti ed i

lavatoi, durante la notte, continuarono ad essere talvolta frequentati da arcaiche

figure ancora più inquietanti, legate al mondo dei morti, come le Panas di

Sardegna, emanazioni delle donne morte di parto, intente a lavare i panni

insanguinati del fatale evento.

Non è ovviamente possibile stabilire una continuità nelle attestazioni delle

credenze che legano l’acqua ed il suo significato sacrale alle pratiche cultuali diffuse

nelle nostre campagne nel corso del tempo; si può solo notare come, soprattutto a

1 «Questa pietra contiene un’acqua viva (onda) che cancella le colpe». Epigrafe incisa su una acquasantiera del XII secolo proveniente dalla chiesa di Lucignano, conservata nel Museo di Arte Sacra di Montespertoli. 2 BERNABEI, M., GRIFONI CREMONESI, R. 1995, pag. 331-366.

livello di religiosità popolare le credenze si perpetuano a lungo corrompendosi e

modificandosi in un sincretismo culturale variegato; spesso queste pratiche

divergono in modo significativo rispetto ai canoni della religione ufficiale del

tempo. L’esempio classico della cristianizzazione dei riti propiziatori pagani e del

sincretismo tra religione ufficiale e religiosità popolare è dato dalla pratica delle

Rogazioni che furono ufficializzate nel VI secolo da San Gregorio Magno. Esse

presero il posto delle processioni propiziatrici di Robigus (Robigalia), dei Lari

campestri e delle Semones (Ambarvalia)3. Le Rogazioni si svolgevano per tre giorni,

alla fine del mese di aprile, di primo mattino, su percorsi codificati da consuetudini

secolari entro i confini del popolo; i fedeli salmodiavano le Litanie dei Santi e alle

soste prefissate il sacerdote dava la benedizione ai campi aspergendo l’Acqua Santa

ai quattro punti cardinali; furono celebrate fin verso la metà degli anni sessanta del

Novecento.

Nell’ambito territoriale preso in esame da questo studio, una sottile ma

precisa eco dello stretto rapporto che legava un tempo l’acqua e la categoria del

divino si rintraccia nella tradizione delle «intenzioni» (motivazioni) formulate

pubblicamente fino a qualche decennio fa dal popolo di Carcheri durante il

pellegrinaggio annuale alla miracolosa Effigie di Santa Maria della Pace, nota anche

come «Madonna della Grandine», conservata nel secentesco Convento di Bottinaccio:

si chiedeva espressamente la grazia di una pioggia gentile che fecondasse i campi

senza provocare danni ai raccolti.

Nel 1992 Tonino Landi, ultimo guardia della Fattoria di Montecastello, narrava

una vecchia leggenda secondo la quale sotto l’abitato di Bottinaccio esisterebbe un

lago sotterraneo che alimenta i pozzi, i lavatoi e le cisterne che circondano l’abitato.

Il racconto fornisce una spiegazione favolistica della presenza delle numerose

risorgive ed è simile ad altre leggende diffuse presso quegli insediamenti dove

esiste una discreta disponibilità di acqua pur in assenza di fiumi in superficie: è

significativa la tradizione della Diana di Siena, il fiume sotterraneo che

alimenterebbe le fonti ed i bottini e che si può udire scorrere nel silenzio profondo

3 Robigus era la personificazione della ruggine del grano; le Robigalia si celebravano a fine aprile. Le Ambarvalia erano circumambulazioni con animali sacrificali lungo il perimetro degli arva, le terre

coltivate di un villaggio; si celebravano alla fine di maggio in onore di Marte, dei Lari campestri, di Cerere e delle Semones, personificazione della capacità germinativa delle sementa.

della notte. Il racconto del lago ipogeo di Bottinaccio pone in evidenza i due

elementi peculiari dell’acqua di sorgente: la sua motilità e la provenienza

sotterranea.

Queste sono le ultime ed uniche tracce di una elaborazione folklorica riferita

all'elemento "acqua" nella sua accezione mitica e leggendaria riscontrabili nel

territorio esaminato. La toponomastica di tutta l’area è tuttora fortemente marcata

dalla copiosa presenza dell’acqua ma non serba mai memoria di una valenza sacra o

lustrale del liquido elemento: al contrario i riferimenti toponomastici sono sempre

connessi al suo uso strumentale4. La ricerca ha censito i manufatti di captazione e

raccolta dell’acqua esistenti entro i confini della Fattoria di Montecastello e del

patrimonio della Prioria di S. Andrea a Bottinaccio all’inizio degli anni Novanta del

Novecento.

Montecastello (263slm) fa parte del sistema collinare che divide la valle del

torrente Orme da quella del torrente Turbone. Tutta l’area è caratterizzata da una

struttura geologica di formazione alluvionale risalente al Pliocene medio (da 5 a 2,5

milioni di anni fa), costituita da banchi di conglomerato di ciottoli, talvolta molto

consistenti (grotte), strati di sabbia (tufi o spugne) e lenti di argilla alcune delle quali

molto estese. I depositi di argilla furono sfruttati nel passato dalle famiglie di

fornaciai di Montelupo (come i Bitossi, i Corradini, e gli Allegranti) e dalla stessa

fattoria di Montecastello che, come molte altre fattorie limitrofe, impiantò una

propria fornace di laterizi tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo. Bottinaccio

sorge sul versante ovest della collina a quota 223 slm su una terrazza di

conglomerato molto tenace a forma di mezzaluna. Sotto al conglomerato si trova un

deposito di argilla che determina una considerevole presenza di acqua di falda. E’

questo il lago sotterraneo della leggenda, questa la piccola Diana rurale di

Bottinaccio. La falda si è andata progressivamente inaridendo a causa della

4 Per i diversi approcci dell’uomo con l’acqua nel corso del tempo si veda: MANEGLIER, H. 1994. Non si intende indagare qui, in quanto non pertinente alla ricerca in oggetto, l’ambito più specificatamente privato ed esoterico relativo all’uso dell’acqua, da sola o in combinazione con altri fluidi, nel contesto di pratiche magiche, curative e scaramantiche diffuse nelle nostre campagne fino ad epoca recentissima ed attestate anche nel territorio di Bottinaccio e Montecastello.

diminuzione delle precipitazioni passate da 117 giorni annui nel trentennio

1931/1960 a 88 giorni nel trentennio 1971/20005.

La collina di Montecastello è stata sede di frequentazione umana fin

dalla preistoria: in località San Matteo sono stati trovati raschiatoi di diaspro

prodotti circa 30.000 anni fa nel paleolitico medio superiore6 . Nel Podere del Torrino

a Martignana Alta, a tre chilometri di distanza da Bottinaccio, è attestata una

necropoli etrusca risalente al VII secolo a.C. La necropoli fu localizzata a seguito di

un rinvenimento fortuito avvenuto nel 1957 quando un contadino trovò dei monili

d’oro all’interno di «damigiane di terracotta», forse cinerari simili a quelli del Poggio

di Carbone7, forse biconici con la tipica ansa troncata. Microtoponimi quali

Quarantola, Maiano, Fontemaggio, ecc, sembrano adombrare una frequentazione di

epoca romana non suffragata però, ad oggi, da attestazioni archeologiche: gli

insediamenti più vicini sono quelli ascrivibili a ville-fattorie rinvenuti sulle terrazze

fluviali immediatamente prospicienti la Pesa (Casa Cambi e Molino San Vincenzo).

Allo stato attuale non è possibile individuare con esattezza le origini

dell’insediamento umano sulla collina di Montecastello; le attestazioni

archeologiche nel villaggio di Bottinaccio risalgono al XIV secolo. La grande

disponibilità di acqua ne determinò probabilmente l’ubicazione, sulla strada che va

da Montelupo a Montespertoli, all'incrocio della via che da Santa Maria a Pulica e

San Donato a Livizzano conduceva a Villanova ed Empoli. La presenza di acqua

segna la toponomastica di tutta l’area circostante: sono numerosi i toponimi quali:

Fontaccia, Fontejandi, Fontemaggio, Font’a grilli, Font’al melo, ecc. La Chiesa di S.

Andrea è attestata nel 1296 come S.Andrea de Vivario8. Nel 1298 la stessa chiesa è

attestata come S. Andrea a Botinaccio9. Quest’ultimo toponimo, nelle varianti lene

(con una sola t) e forte (con due t), prevale già dal Trecento.

5 http://it.wikipedia.org/wiki/Stazione_meteorologica_di_Firenze_Peretola. (ENAV FLR).

6 MARTINI, F. 1984, pag 45-47; FENU, P., 2005 pagg.71. 7 La necropoli del podere Torrino, loc. Martignana Alta, è stata parzialmente indagata dall’Ass. Arch.Vol. Medio Valdarno (AAVMV) di Empoli. Sul Poggio di Carbone, località a nord ovest di San Vincenzo a Torri, fu scoperta dal Gruppo Archeologico di Montelupo (GAM) una necropoli del VIII sec. a.C. durante l’effettuazione di lavori agricoli nel Podere Falsettaia; i frammenti di cinerari, dalla caratteristica forma a botticella cordonata, sono conservati nel Museo Archeologico di Montelupo. 8 PIRILLO, P. 2001, pag. 225,226,227. 9 Inventario Archivio Frescobaldi, fondo dipl. parte I°, n. 1.

I termini Vivario e Bottinaccio fanno riferimento a manufatti connessi

all’utilizzo dell’acqua: persa qualsiasi connotazione sacra, l’acqua è ridotta a bene

utilitario e strumentale. Il sostantivo vivario deriva dal latino vivarium, vivaio, cioè

un «luogo concavo, pien d’ acqua viva, comunemente per uso di conservar pesci»10.

Bottinaccio deriva dal sostantivo tardo latino botte, attestato dal VI secolo, indica un

manufatto idoneo a contenere acqua11; buctinus, attestato dal 1226, indica un tunnel

di captazione dell’acqua scavato nel sottosuolo, ma anche un «ricetto d' acqua, o

pozzo murato, e chiuso»12. Il suffisso –accio veicola un significato di obsolescenza e

vetustà, suggerisce un senso di malmesso e vecchio; è molto diffuso nella zona:

Casaccia, Fangacci, Fontaccia, Cantinaccia, Muraccio, ecc. Il suffisso non è

necessariamente utilizzato per significare una presunta arcaicità o deterioramento

del manufatto a cui si riferisce, talvolta indica il contesto particolarmente selvaggio

o abbandonato in cui si trova il manufatto stesso all’epoca in cui la nominazione

entra nell’uso (per es. il Muraccio o la Fontaccia).

Alla fine del Duecento Bardo di Lamberto, rappresentante di spicco della

famiglia Frescobaldi di Firenze possedeva a Montecastello una casa torre ed altri

beni tra cui il podere de Vivario; nella seconda meta’ del Trecento suo figlio

Castellano edificò un palazzo fortificato (fortilitium) inglobando la torre duecentesca;

tra il 1630 e il 1640, il complesso, fu trasformato in villa13 e nel corso del Settecento

furono costruiti gli annessi della fattoria14. Negli anni 2000 la villa-fattoria subì una

pesante ristrutturazione che mirava a trasformarla in un lussuoso albergo.

Il Convento e il Santuario di Santa Maria della Pace, ubicato sul versante sud

della collina, fu edificato tra la fine del XVI e la prima metà del XVIII secolo. I frati

Minori dell'Osservanza Francescana lasciarono il Convento nel 1810; nel 1822 il

complesso fu messo all'asta dal Pubblico Demanio15 e acquistato dalla famiglia

Frescobaldi, che lo affittò a pigionali dal 1837.

10 ACCADEMIA DELLA CRUSCA 1612. 11 DEVOTO, G. 1966. Sull’interpretazione etimologica storica del toponimo si veda anche: REPETTI, E. 1833 e PIERI, S. 1919. 12 ACCADEMIA DELLA CRUSCA, op. cit. Sull’etimologia dei due toponimi si veda anche PIANIGIANI P.O. 1907. 13 PIRILLO, P., op.cit.; FRESCOBALDI, D., SOLINAS, F. 2004, pag. 204-205. 14 FALSETTI, L. 2012. 15 Bando vendita all’asta Convento Santa Maria della Pace, 1822.

La prioria di S. Andrea ha subito una serie di ristrutturazioni a partire dal

1830 che hanno completamente modificato l’antica struttura romanica. Il borgo è

costituito da cinque edifici principali: Poggiolo, Le Rose, Refettorio, Casa della Chiesa,

Palazzaccio. I casamenti sono stati ristrutturati più volte nel corso del tempo ma

conservano ancora imponenti tracce delle originarie strutture medievali costituite da

paramenti murari di ciottoli spaccati allineati in file regolari che si elevano fino al

secondo piano; sono ancora visibili numerose finestre ad arco, ormai tamponate. Il

Palazzaccio, costituito nel nucleo originario da una casa da signore, forse una casa

torre, fu ampliato in epoca rinascimentale e trasformato in villa; l’edificio, di

proprietà della famiglia di Filippo Baldinucci alla metà del Seicento fu adibito a villa

fattoria; Nei primi anni del Settecento, dopo un incendio e un successivo periodo di

abbandono, il Palazzaccio, il Refettorio, il casamento di Rose e tutti i relativi poderi

furono acquistati dalla famiglia Frescobaldi; il Palazzo fu ristrutturato e ridotto a

dimora di pigionali.

Nel villaggio, sparsi sul terreno, affiorano ancora frammenti sporadici di

ceramica arcaica oltre a numerosi frammenti di epoca più recente pertinente

soprattutto a terrecotte invetriate d'uso comune dei secoli XVIII e XIX. Intorno alla

scarpata su cui sono fondati gli edifici, si trovava una cortina muraria quasi

completamente obliterata dai continui riusi dei pillori (ciottoli spaccati); di essa

restano alcune tracce nei pressi dell’edificio delle Rose e nei pressi della canonica. Le

strutture idrauliche che fornivano l'acqua al villaggio sono ubicate lungo la scarpata

di ciottoli conglomerati. I manufatti sono ripartiti in modo quasi speculare tra la ex -

proprietà Frescobaldi e la proprietà della chiesa: a nord un pozzo, un lavatoio, un

abbeveratoio, una fonte e due cisterne; a sud un pozzo, un bottino di captazione, un

vivajo, un lavatoio e una cisterna. Sono opere databili, per la parte emergente fuori

terra, tra la fine del Settecento e la metà dell'Ottocento; tutte presentano

caratteristiche simili sia per i materiali da costruzione, sia per le forme che per le

dimensioni. Queste strutture costituiscono un vero e proprio sistema di

approvvigionamento idrico. Insieme ai pilloni costruiti nei poderi della Fattoria di

Montecastello, hanno sopperito al fabbisogno di acqua fino agli anni novanta del

Novecento, quando il sistema, ancora funzionante, andava in crisi nei mesi estivi a

causa del progressivo inaridimento della falda, del maggior consumo di acqua e

non ultimo, del cambiamento dell’assetto socio-economico che aveva governato il

territorio fino a quegli anni16.

Il bottino ed i vivai.

Presso la canonica si trova il vivaio alimentato da un bottino di captazione

dell’acqua. Forse proprio in questa area di proprietà della Chiesa, si trovavano

l’antico vivario ed il bottinaccio attestati alla fine del Duegento. I due manufatti sono

stati restaurati nella prima metà dell’Ottocento.

Il bottino è una galleria scavata nel conglomerato per captare l’acqua percolante

dalle spugne (strati compatti di sabbie e ghiaie). Il tunnel si inoltra nel sottosuolo per

circa 15 metri ed è preceduto da una «cantina» con volta in laterizi parzialmente

crollata; il bottino in alcuni punti è rinforzato con archi in laterizio. L’acqua era

raccolta in un gorello che la convogliava in tre vasche di decantazione, denominate

pille o purgatoj, dove si depositava la calcite; dall’ultima vasca l’acqua fluiva nel

sottostante vivaio; La cantina ed il bottino erano protetti da due porte provviste di

opportune feritoie per far circolare l’aria. Il vivaio è una grossa vasca di forma

trapezoidale; esso garantiva la disponibilità di pesce fresco per assolvere l’obbligo di

astinenza nei giorni penitenziali (di magro) previsti dal calendario liturgico.

L’acqua che fuoriusciva dalla vasca era incanalata nel vicino lavatoio ed in

alcune conche interrate utilizzate come deposito per l’irrigazione.

Un altro vivaio si trovava nel recinto del convento di S. Maria della Pace

addossato al lato sud dove tradizionalmente erano ubicati i servizi della struttura

conventuale: anche questa vasca serviva per la conservazione del pesce vivo per la

comunità francescana residente. Le vasche adibite a vivajo per la conservazione del

pesce sono spesso presenti presso le chiese ed i conventi: una vasca adibita ad

analoghe funzioni, ormai parzialmente interrata, si trova anche presso la Prioria di

Castiglioni.

I pozzi.

16 Tra la metà degli anni 60 e il 1970 furono costruiti due acquedotti privati che portarono l’acqua nelle case: i punti di captazione dei due acquedotti erano quelli già utilizzati in precedenza e cioè Fontejandi per l’acquedotto di fattoria ed i pozzi di Bucacce per l’acquedotto della Chiesa.

Sono stati individuati sei pozzi di cui uno nel giardino della villa di

Montecastello, uno al convento, due nel borgo e due presso case coloniche; il pozzo

di Rose, che capta una vena d’acqua di modesta portata ma perenne, è inserito nello

spessore della residua cortina muraria: è il manufatto più antico e meno

rimaneggiato del sistema idrico di Bottinaccio. Anche il pozzo della canonica

sembra inserito in un contesto analogo. Il pozzo del Lastrino serviva oltre alla casa

colonica del podere, la fornace di Fattoria (XVIII sec.) e la casa del podere Torricella,

edificio di origine medievale ampliato in epoche successive, ubicato in prossimità

della strada comunicativa che univa Bottinaccio a Pulica e San Donato. Presso la

colonica di Maiano esisteva un altro pozzo che è stato riempito negli anni 70 in

occasione dell’impianto di un vigneto.

I pilloni.

Sono stati individuati undici pilloni, di cui due nel borgo e nove sparsi nel

territorio circostante. Sono strutture di epoca moderna alcune delle quali rimaste in

uso fino agli ultimi decenni del Novecento. I pilloni sono organizzati in base ad un

semplice schema di sfruttamento idrico rimasto invariato dal medioevo: tre vasi con

trabocco a caditoio: il bottino o fontino (ricettacolo chiuso per l’acqua potabile), l’

abbeveratoio (per attingere acqua per gli animali) ed il lavatoio. Il bottino di

raccolta dell’acqua potabile era accessibile da un chiusino di legno e da un tubo

sottostante chiuso da uno zipolo di salice. L’abbeveratoio era chiuso da un coperchio

di assi di legno. Il lavaggio vero e proprio dei panni era effettuato, nella

tradizionale e diffusissima «choncha da buchato», invetriata e provvista di un foro nel

fondo; questo accessorio era presente anche nelle case dei contadini ed attestato (con

la grafia sopra riportata) nella nostra zona fin dal Quattrocento17. Il lavatoio serviva

soprattutto per il risciacquo dei panni che erano trattati con sapone prodotto in casa

o con ranno di cenere.

Le cisterne.

In tutta l’area esaminata sono state individuate cinque cisterne di cui due

sono alimentate esclusivamente da acqua piovana e tre sono provviste al loro

17 MAZZI, RAVEGGI, 1983, pag.213,214,348 e segg.

interno di un punto di captazione dell’acqua che attinge direttamente dalla falda. Le

cisterne rivestono un’importanza fondamentale nel sistema di approvvigionamento

idrico di Bottinaccio in quanto oltre a raccogliere e conservare una grande quantità

di acqua nei periodi più piovosi, permettono di ricostituire di notte la riserva idrica,

dopo che l’acqua è stata utilizzata durante la giornata; la possibilità di rigenerare

una riserva minima di acqua aveva una notevole importanza perché le sorgenti del

villaggio erogano acqua in modo costante ma con una portata piuttosto modesta.

Ferdinando Morozzi nel suo trattato sulle case dei contadini suggeriva numerosi

accorgimenti per la costruzione delle cisterne che prima di tutto dovevano garantire

la perfetta tenuta dell’acqua. Il Morozzi, che scriveva nella seconda metà del

Settecento, reputava l’acqua piovana decantata nelle cisterne più salubre dell’acqua

delle fonti che poteva essere più facilmente contaminata18.

Le serre e gli acquidocci: i sistemi di drenaggio delle acque.

In Val-di-Botte e in Tomba di Berto erano ubicate le sorgenti perenni, copiose

e di buona qualità che costituivano la riserva nei periodi di siccità prolungata. Fino

a pochi anni fa, passeggiando nel bosco di Val di Botte, ci si imbatteva in muretti di

laterizi che sbarravano trasversalmente il tracciato del rio: sono le serre, o briglie,

costruite negli anni Trenta e Quaranta dell'Ottocento per ridurre l’impeto erosivo

delle acque e per far depositare i sedimenti. Con tali opere si induceva la

formazione di colmate che annullavano lo sprofondamento del rio e favorivano

l’addolcimento del declivio. Nella prima metà dell'Ottocento tutta la pendice

collinare fu messa a coltura e drenata con un sistema di fossi e fognette orientati in

modo da ridurre la velocità dell'acqua di ruscellamento e favorire il deposito dei

sedimenti nei punti più depressi. A tal fine venivano costruite delle serre

(sbarramenti) di fastella e piote (zolle erbose) che nel corso del tempo davano origine

alle cosiddette colmate di monte. Questa tecnica, elaborata fin dalla seconda metà

del XVIII sec. dal prete Giovanbattista Landeschi a S. Angelo a Montorzo (San

Miniato al Tedesco), fu ottimizzata e resa famosa dal marchese Cosimo Ridolfi e dal

suo fattore Agostino Testaferrata nella Tenuta di Meleto presso Castelnuovo

18 MOROZZI, F. 1770, pag.45 e segg.

Valdelsa. La tecnica delle colmate e dei ciglionamenti fu messa in pratica a

Bottinaccio ad opera del prete Carlo Pierotti, priore della chiesa di S. Andrea dal

1829 al 1869.

Lo sfruttamento e la regimazione delle acque si colloca in un disegno più

ampio di miglioramento del patrimonio fondiario: il controllo delle acque –

meteoriche e di risorgiva - trasforma l’elemento naturale in agente di

domesticazione della natura, in strumento che contribuisce alla costruzione del

paesaggio della nostra campagna. Il sistema di drenaggio delle acque come quello di

approvvigionamento aveva però bisogno di attenta e consapevole supervisione; la

manutenzione, continua ed onerosa in termini di lavoro era necessaria per il buon

funzionamento del sistema.

Alla fine dell’Ottocento la capacità di erogazione idrica delle sorgenti della

collina di Bottinaccio era tale che il comune di Empoli, che già si serviva delle

sorgenti di Sammontana, chiese ed ottenne in concessione l’utilizzo di due sorgenti

ubicate in Tomba di Berto per aumentare la portata di acqua della fontana del

Pampaloni in piazza Farinata degli Uberti19. Nel 1886 i marchesi Frescobaldi ed il

Priore Giuseppe Bonardi, proprietari delle sorgenti, concessero l’uso gratuito in

cambio di:

- costruzione di un fontanile pubblico nel punto di captazione;

- erogazione gratuita di un metro cubo di acqua pro die all’ospedale San Giuseppe e

all’istituto Calasanzio in Najana;

- apposizione di targhe commemorative nei punti di captazione e di arrivo

dell’acqua.

In Piazza dei Leoni, sulla fontana di Luigi Pampaloni, c’è ancora oggi la targa

commemorativa.

L’assetto della proprietà fondiaria del villaggio e della tenuta di Montecastello

si consolida alla fine del XVII secolo e resta sostanzialmente uguale fino agli anni

Sessanta del Novecento. Fin dalla prima metà del Settecento si osserva nel villaggio

19 La fontana, completata nel 1828, fu inizialmente alimentata da un acquedotto che captava l’acqua di due sorgenti ubicate presso Sammontana: il progetto e le pratiche amministrative furono portate a compimento tra il 1822 e il 1824 dalL’Auditore Gaetano Romagnoli e dal notaro Lorenzo Pierotti, priore del Magistrato comunicativo e padre del futuro priore della chiesa di S. Andrea a Bottinaccio, Carlo Pierotti (MANCINI, E. 1920, pag.7 e segg.).

una struttura sociale abbastanza complessa: in edifici contigui vivevano famiglie di

contadini, camporajoli e pigionali che esercitavano vari mestieri (braccianti,

barrocciai, carbonai e boscaioli). Dai diversi status personali derivavano diritti e

doveri diversi per la conduzione del territorio, degli edifici e dei loro annessi: Il

contratto di mezzadria prevedeva specificatamente che «il colono deve ripulire quando

occorra e tenere in buon ordine tutte le fosse che passano per il suo podere»; altri obblighi

erano assolti dalla massaja, tra cui la la prestazione di manodopera per il bucato di

fattoria20.

Per quanto riguarda l’utilizzo delle strutture e degli spazi in comune,

soprattutto i due forni per la panificazione ed i pilloni, si svilupparono consuetudini

condivise da tutti allo scopo di ridurre le conflittualità tra i residenti. Queste

consuetudini avevano come modello di riferimento il patto colonico e

coinvolgevano soprattutto il mondo femminile. Il lavatoio veniva vuotato e ripulito

a turno dalle donne; la prima acqua veniva usata da chi aveva pulito la vasca, poi

dagli altri. Gli uomini provvedevano alla sgromatura delle spugne (eliminazione

delle concrezioni calcaree) e alla pulizia dei drenaggi, alla stuccatura delle vasche e

alla periodica sostituzione dei grossi zipoli di olmo che chiudevano gli scarichi. Una

cura particolare era riposta poi nella gestione di un altro tipo di bottini, presenti nel

borgo anche in prossimità dei pilloni e potenziali focolai di inquinamento delle

acque, eventualità che capitava spesso nei centri urbani; i pozzi neri erano svuotati

frequentemente anche per ricavare concime dalla parte solida del loro contenuto;

inoltre si cercava accuratamente di impedire le infiltrazioni di acque meteoriche al

loro interno21.

Il fabbisogno idrico del villaggio contadino era determinato dalla presenza

degli animali più che degli uomini: una vacca da lavoro consumava a seconda della

stagione, del cibo e dell’attività svolta da 100 a 150 litri di acqua al giorno, un maiale

circa 50 litri; ogni mezzadro possedeva almeno una coppia di vacche, talvolta un

20 PESTELLINI, T. 1904 pag.55,56,57 e 69,70.

21 La discreta disponibilità di acqua di buona qualità e la particolare attenzione nel governo delle acque sorgive e delle acque reflue possono aver contribuito a risparmiare Bottinaccio dalla virulenta epidemia di colera del 1855 che fece vittime anche nei vicini borghi rurali (Coeli Aula).

asino,quasi sempre uno o più maiali. Il consumo idrico stimato di un contadino e

dei suoi familiari era nell’Ottocento inferiore ai dieci litri pro capite al giorno.

Dalla metà del Trecento fino all’Ottocento il rapporto delle persone con

l’acqua è stato molto diverso da come lo intendiamo oggi. Il nesso tra igiene

personale e salute non era inteso come oggi e la pulizia del corpo era per lo più

limitata al lavaggio delle mani e della faccia. Si pensava che il bagno in acqua

provocasse un indebolimento dell’organismo e che la dilatazione dei pori causata

dall’acqua predisponesse il corpo ad essere attaccato dalle malattie. Queste teorie

scientifiche durarono fino a tutto il Settecento furono condivise da tutti, dai ricchi

proprietari cittadini e dalle classi rurali subalterne. il bagno completo era un evento

raro. Per la pulizia del corpo si ricorreva alla cosiddetta igiene asciutta: si utilizzavano

unguenti, decotti e , chi se li poteva permettere, profumi e creme; dopo aver

applicato queste sostanze, ci si strofinava il corpo con pezzuole pulite22.

I pilloni di Bottinaccio fanno parte di una serie di miglioramenti fondiari

intrapresi nella prima metà del XIX secolo dal priore Carlo Pierotti e dai Frescobaldi.

Essi testimoniano la fase di massimo sviluppo raggiunta dall’economia mezzadrile e

dal cosiddetto sistema di fattoria. Gli investimenti di capitale necessari furono

favoriti dalla politica agraria lorenese e si giovarono degli strumenti finanziari resi

disponibili da nuovi istituti di credito (la Cassa di Risparmio di Firenze fu aperta il 5

luglio 1829); Il Giornale Agrario Toscano dell’Accademia dei Georgofili promosse il

rinnovamento delle pratiche colturali e produttive e diffuse il clima di fervore

scientifico e didattico. Il 2 febbraio 1834 il marchese Cosimo Ridolfi inaugurava nella

sua tenuta di Meleto l’Istituto Agrario23, antesignano delle scuole di agraria come

quella di Castelletti (Signa) aperta nel 1859 da Leopoldo Cattani Cavalcanti. Queste

scuole, promosse da filantropi liberali, erano il frutto del dibattito sull’ opportunità

della diffusione dell’istruzione popolare portata avanti dalla Società delle scuole di

reciproco insegnamento fondata dallo stesso Ridolfi e dal canonico Raffaello

Lambruschini. Tra i convinti sostenitori che il miglioramento del patrimonio

fondiario potesse essere più facilmente ottenuto, oltre che con i necessari

22 SORCINELLI, P. 1998, pag. 55 e segg.

23 RIDOLFI, C. 1835, pag. 5,6.

investimenti, anche attraverso un moderato miglioramento delle condizioni di vita

dei contadini (in cui rientravano anche i rudimenti di un’istruzione mirata al loro

status), figurano molti parroci che produssero una considerevole messe di dispense,

manualetti e prontuari per l’edificazione e l’istruzione dei campagnoli; queste

pubblicazioni erano lette anche dai proprietari24. Nel 1845 si costituì in Empoli la

Società Empolese di Scienze Economiche Tecnico Pratiche, che tra l’altro promosse il

ciclo di «Lezioni orali di Agraria» tenute dal Ridolfi in Empoli dal 1857, poi «raccolte

stenograficamente e pubblicate ad utilità dei campagnoli ascoltatori delle medesime per cura

dell’Accademia Empolese»25.

Il priore Carlo Pierotti (1800-1869) si prodigò nell’ opera di risanamento dei

versanti collinari e del miglioramento fondiario del patrimonio della chiesa di S.

Andrea e fu pubblicamente elogiato dal Ridolfi nel 1845 per aver applicato con

successo il metodo della colmata di monte. Il Pierotti apparteneva ad una benestante

famiglia empolese: il padre, il notaio Dott. Lorenzo, aveva ricoperto numerosi

incarichi pubblici ed era ben introdotto nella classe dirigente locale. Nel 1818 Carlo

Pierotti fu nominato canonico della collegiata da monsignor Michele del Bianco; nel

luglio del 1829, nonostante il parere contrario dei familiari e di alcuni canonici della

Collegiata, chiese ed ottenne dal patrono, Cav. Matteo Frescobaldi, la cura di S. Andrea a

Bottinaccio. I rapporti con il nobile patrono si deteriorarono ben presto a causa della riottosità

di quest’ultimo ad intervenire in solido nel risanamento dei beni della chiesa, come sarebbe

stato obbligo in base al diritto canonico. La lite con la famiglia Frescobaldi non si ricompose

nemmeno con la morte del Cav. Matteo (1841), anzi si riacutizzò con il figlio Gherardo. Il

Pierotti mantenne le sue relazioni empolesi (e gli incarichi onorifici) per tutta la vita e si

giovò spesso delle sue influenti conoscenze; si avvalse in particolare dell’amicizia con

Vincenzio Salvagnoli chiedendogli a più riprese di intervenire in suo favore presso gli uffici

granducali e presso l’Arcivescovado 26

.

La ricerca sui manufatti di captazione e conservazione dell'acqua di

Bottinaccio ci permette così di aprire uno spiraglio sulla società mezzadrile che

popola il villaggio dalla prima metà del Settecento fino alla metà del secolo scorso.

L'immagine che ne viene fuori è quella di un mondo rigidamente gerarchizzato dove

24 BIGLIAZZI,L., BIGLIAZZI, L., 2000.

25 RIDOLFI, C. 1857. 26 Archivio Storico di Empoli, fondo Salvagnoli - Marchetti, carteggio Pierotti, 84/1.

nessuno è direttamente proprietario dei beni materiali da cui trae il sostentamento

(ed ai quali è legato da un vincolo che spesso va ben al di là dei semplici obblighi

giuridici), ma dove ad ognuno è assegnato un preciso ambito di competenza in virtù

di un contratto di tipo vassallatico: questa assegnazione non ha bisogno di confini

materiali, è sufficiente la forza della consuetudine e della tradizione. Nella società

rurale, uno dei valori più apprezzati e perseguiti, perlomeno dai proprietari, è quello

della stabilità sociale; la recinzione delle proprietà con siepi e muretti è spesso

superflua: i confini sono segnati da simboli: i colonnini segna poderi, i cipressi, i

fossi lungo le resole delle colmate.

Il mondo dei contadini, dei camporajoli e dei braccianti, fino agli anni del

boom economico dello scorso secolo, ben lungi dalle recenti e sostanzialmente false

rappresentazioni folkloristiche del «buon tempo andato», è governato da un'economia

che si pone appena sopra al livello di sussistenza: i residenti registrati negli Stati

d’Anime della prima metà dell’Ottocento nel villaggio di Bottinaccio sono definiti

«indigenti casuali»27 perchè il loro lavoro non assicura sempre la sussistenza. In

proposito è significativa l’alta incidenza della mortalità infantile sul totale della

popolazione del villaggio: Il libro dei morti registra accanto ai fisiologici decessi

delle persone anziane ed ai pochi casi di morte violenta per incidenti, una

impressionante sequenza di «angioli che volano al cielo a godere gli eterni gaudi»: l’età

di questi angioli varia da pochi giorni ai primi anni di vita28. In generale le

condizioni economiche migliorarono sensibilmente solo a partire dagli anni

Sessanta del Novecento grazie alla maggiore disponibilità finanziaria derivante dai

salari di coloro che lavoravano nelle fabbriche e dagli introiti del lavoro a domicilio

delle donne.

Nel 1988 don Bruno Tacci, priore di Sant’Andrea a Bottinaccio, lasciò la chiesa

per motivi di salute. Negli stessi anni la Fattoria di Montecastello fu venduta ad una

società che progettò una riconversione di tipo turistico. I due Istituti - Chiesa e

Fattoria - che avevano governato fino ad allora l’economia rurale ed indirizzato

l’identità socio-culturale della comunità, vennero a mancare nello stesso momento,

sigillando definitivamente il radicale cambiamento economico e sociale iniziato

27 Archivio Parrocchiale di S. Andrea a Bottinaccio, Stato d’anime del 1841. 28 Archivio Parrocchiale di S.Andrea a Bottinaccio, Libro dei Morti.

nelle nostre campagne dai primissimi anni Sessanta. In quegli anni anche a

Bottinaccio si registrarono grandi cambiamenti nella comunità rurale; i giovani

trovavano migliori opportunità di lavoro nelle ceramiche, nelle vetrerie e nei

calzaturifici di Montelupo e di Empoli, dove era possibile trovare case più piccole

ma confortevoli, con il bagno e il riscaldamento ed una scuola senza pluriclasse per i

figli. Col passare del tempo i contratti di mezzadria non furono più rinnovati e chi

restò a lavorare in fattoria fu assunto come operaio agricolo; molte famiglie di ex

mezzadri continuarono comunque ad abitare nelle vecchie coloniche; anche il

Convento ed il Palazzaccio restarono a lungo affittati ai vecchi locatari. I nuovi vetrai

e ceramisti si spostavano con la Vespa 150 e con le prime Cinquecento e appena

possibile prestavano opra per la vendemmia e la raccolta delle olive; le ex-massaje

rifinivano le scarpe a domicilio o rivestivano i fiaschetti di vetro verde prodotti nelle

vetrerie del piano29. Restava immutata la gerarchia di fattoria rappresentata dalle

tradizionali figure della gestione aziendale: il fattore ed il contabile, che

intrattenevano i rapporti con i proprietari cittadini; il guardia ed il terz’omo che

coordinavano direttamente il lavoro degli operai agricoli. Tra gli stessi operai

agricoli esisteva una specie di gerarchia non scritta che dagli anni Settanta in poi

vide emergere la figura del trattorista, vero e proprio operaio specializzato, che

prendeva definitivamente il posto del vecchio bifolco. Fino agli anni Novanta

insomma il territorio rimase presidiato dalla stessa struttura organizzativa che pur

di fronte ai rapidi cambiamenti imposti dall’evolversi dell’economia, era rimasta

sostanzialmente ancorata, dal punto di vista socio-culturale, alle vecchie categorie di

gestione mezzadrile.

La nuova proprietà della Tenuta di Montecastello impose l’abbandono delle

case coloniche e dei quartieri del Convento e del Palazzaccio, diminuì il numero degli

operai e la produzione agricola andò progressivamente calando. Fu abbandonata la

tradizionale gestione del territorio in vista di una riconversione della tenuta in senso

turistico che però non trovò compimento. La Villa, il Convento e Le Rose subirono

una sbrigativa ristrutturazione; nel breve volgere di pochi anni il Palazzaccio e le

coloniche, ormai abbandonati, furono vandalizzati ed i loro tetti crollarono; il

29 Indagine condotta dal 1992 al 2012 con interviste somministrate ai membri delle famiglie di residenti nel territorio esaminato.

territorio, non più presidiato dal personale della fattoria, fu saccheggiato e

depredato ed iniziò un processo di degrado che non si è ancora arrestato;

Il sistema idrico di Bottinaccio aveva sopperito alle esigenze della

popolazione rurale fino alla prima metà del XX secolo. Le opere idrauliche, per

funzionare e fornire acqua, avevano bisogno di continua manutenzione e di

un’attenta gestione del territorio circostante. L'efficienza del sistema dipendeva da

un costante impegno di tempo, lavoro e fatica. La manodopera necessaria poteva

essere fornita solo dal modello di lavoro mezzadrile e più in generale

dall’organizzazione della fattoria. Quando questo modello, non solo economico ma

culturale, venne a mancare, il sistema di approvvigionamento idrico su di esso

fondato, fu destinato a perdere efficienza ed infine cadde in disuso.

Repertorio delle opere idrauliche di Montecastello – Bottinaccio.

Bottini

bottino della

chiesa di

S.Andrea

parzialmente inaridito, alimenta il sottostante

vivaio; è costituito da una sala di ingresso (cantina)

con volta in laterizio parzialmente crollata ed un

corridoio di circa mt.15 con volta a botte rinforzata

in alcuni punti da archi in laterizio; al termine del

corridoio derivazione cruciforme rinforzata in

laterizio con volta a botte. E’ presente un gorello di

smaltimento lungo tutto il tunnel e n. 3 vasche di

decantazione (purgatoi). Il manufatto è antecedente

al 1830, anno in cui fu rinforzato e restaurato.

Vivai

Convento di

Santa Maria della

Pace

asciutto, trasformato negli anni 2000 in locale

coperto da una loggia.la vasca è presumibilmente

coeva alla costruzione degli annessi del lato sud

del Convento e pertanto ascrivibile alla prima

metà del 1600. La vasca è attestata nel 1822.

Prioria di

S.Andrea

vivo, tuttora in uso; vasca in laterizi di forma

trapezoidale di mt 8 x 5 con una profondità media

di mt 1,5; esistente in data antecedente al 1830,

anno in cui viene restaurata.

Pozzi

Prioria di

Sant’Andrea

vivo in uso

Le Rose vivo

Lastrino vivo

Maiano colmato negli anni 70

Convento Santa

Maria della Pace

vivo

Villa di

Montecastello

vivo in uso

Pilloni (Fonti/abbeveratoi/lavatoi)

Palazzaccio vivo in uso

Frantoio interrato, asciutto al primo sopralluogo 1992

Amore in fase di individuazione(attestato ma ricoperto da

rovi)

Querce bottino vivo in uso, abbeveratoio e lavatoio

interrati ed asciutti;

Val di Botte Interrato, asciutto

Spugne distrutto, diffusa presenza di acqua, presenza

laterizi e fittili

La Fontaccia

(Torricella)

bottino vivo parz.interrato,abbeveratoio e lavatoi

interrati

Fontejandi

(Fonteianni o

Fontevanni)

vivo, in uso,trasformato in pozzo di captazione e

cisterna per uso acquedotto fattoria.

Bellavista non indagato perché all’interno di proprietà

recintata.

Convento(sotto

ex pallaio)

distrutto durante la ristrutturazione del Convento,

presenza di acqua diffusa

Impruneta (Buca

di Sarre – Borro

ai Frati)

attestato ma ricoperto dal forteto, in fase di

individuazione

Per completezza di informazione, per la loro vicinanza e perché

utilizzati anche dal popolo di Bottinaccio si riportano tre pilloni

presenti su proprietà non indagate nella presente ricerca:

Fontemaggio

(LaMarta)

vivo in uso, trasformato in pozzo captazione e

cisterna La Marta

Fontino

(La Leccia)

vivo in uso

Cantagrilli

(La Leccia)

vivo in uso

Cisterne e pozzi-cisterna (pozzo scavato nel terreno con una camera di deposito dell’acqua

solitamente di sezione maggiore della colonna di adduzione)

villa di

Montecastello

piazzale lato sud est della capacità di circa mc 10;

attualmente utilizzata come serbatoio di raccolta e

distribuzione acquedotto di fattoria;

Palazzaccio

(interno)

ubicata sotto il piano di calpestio del locale

seminterrato lato ovest (sotto il piazzale

prospiciente l’ingresso – ex scuola)

Palazzaccio cisterna con punto di captazione dell’acqua al suo

interno; vivo in uso

Frantoio asciutta , ruderi, quasi completamente interrata

Spugne – (ex casa

del pastore)

Lato sud fabbricato di Spugne, tuttora in uso

Bucacce (rio Val

di Botte)

manufatto di epoca contemporanea (1960 circa)

costituito da un gorello all’aperto che raccoglie

l’acqua di percolazione delle spugne ubicate

nell’area e confluisce in un purgatojo (pozzetto di

decantazione) e da qui in due pozzi- cisterna di

fabbricazione contemporanea. – sorgente ancora

viva ma inutilizzata dal 1995

Punti di raccolta acqua per uso agricolo

Pietracava due vasche asciutte per uso agricolo indicate sulle

mappe catastali come pilloni – punto di captazione

non individuato

Bottinaccio, da ovest (Poggione).

Bottinaccio, da nord (Borratino).

Vivajo della Prioria di S. Andrea.

Bottino della Prioria di S.Andrea, camera di captazione.

Pozzo delle Rose.

Pozzo della Prioria di S.Andrea.

Pozzo del Lastrino (2011).

Montecastello, Villa con il pozzo (metà anni Novanta).

Montecastello, Villa, colonna di adduzione del pozzo.

Pilloni del Palazzaccio.

Cisterna presso i pilloni del Palazzaccio.

La Fontaccia (2007).

La Fontaccia, interno del bottino (2011).

Pilloni di Querce (2011).

Fonte di Val di Botte, bottino (2007).

Pilloni di Fontevanni (già Fontejanni e Fontejandi), 2011.

Rio Val di

Botte, Serra

costruita negli anni

Quaranta del

l’Ottocento (fo

to del 2004).

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