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La Sicilia nel Periplo dello pseudo-Scilace di Giovanni Uggeri All’epoca del ritorno delle città siceliote al regime democratico sotto la gui- da illuminata di Timoleonte viene datata comunemente la redazione finale di un periplo greco, che la critica filologica indica come Pseudo-Scilace. Anche se nella forma pervenutaci si deve ritenere a ragione compendiato ed interpolato, si tratta pur sempre di un documento prezioso per la sua antichità. Purtroppo il “Periplo dello pseudo-Scilace” ci è giunto in una sola copia del secolo XIII, oggi conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi 1 . Il codice è pseudoepigrafo e reca nell’intestazione il nome del famoso ammiraglio Scilace di Carianda (città della Caria), noto soprattutto per l’esplorazione dell’Oceano Indiano voluta dal re di Persia Dario verso la fine del VI secolo 2 a.C. Il testo del Periplo, nella consistenza pervenutaci, risulta costituito anzitut- to da un canovaccio uniforme, il portolano vero e proprio, redatto in maniera assai stringata e con un peculiare formulario monotono, che sembra risalire al- la fine del VI o all’inizio del V secolo a.C. 3 , ossia veramente all’età di Scilace e di Ecateo di Mileto. Non può ascriversi tuttavia a nessuno dei due, dato l’evi- dente contrasto tra alcune affermazioni del nostro testo e i pochi frammenti che ci sono stati tramandati di questi due autori. Del nucleo originario ci è per- venuta probabilmente una redazione assai compendiata, ridotta all’elencazio- ne dei popoli barbari, di pochi promontori e fiumi e dei porti greci. Successi- vamente – forse con intento non più pratico, ma esclusivamente erudito – vi sono stati apportati vari aggiornamenti eterogenei, che comunque non risulta- no spingersi oltre l’età di Filippo II di Macedonia, al quale si deve l’annessio- ne di Naupatto all’Etolia, situazione che troviamo registrata dal Periplo. Que- sta è pertanto l’epoca probabile della compilazione pervenutaci (circa 338 a.C.) 4 . Scendiamo così all’epoca del condottiero corinzio Timoleonte e della sua impresa epocale in Sicilia. Comunque, la compilazione è conclusa certa- mente in data anteriore alla fondazione di Alessandria (331 a.C.), ancora igno- rata dal documento, ma che immediatamente dopo avrebbe costituito un rife- rimento essenziale per qualsiasi portolano del Mediterraneo 5 . L’analisi che di recente ho condotto sulla parte del Periplo relativa al Pon- to Eusino, che si tendeva a ritenere l’unica parte superstite esclusivamente ar- caica, rimasta cioè indenne da ulteriori interventi, mi ha portato a dimostrare che anche nel settore pontico si riscontrano in realtà aggiornamenti di IV seco- lo. Essi sembrano ricollegabili agli interessi granari di Atene nel Mar Nero, che 1

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La Sicilia nel Periplodello pseudo-Scilace

di Giovanni Uggeri

All’epoca del ritorno delle città siceliote al regime democratico sotto la gui-da illuminata di Timoleonte viene datata comunemente la redazione finale diun periplo greco, che la critica filologica indica come Pseudo-Scilace. Anche senella forma pervenutaci si deve ritenere a ragione compendiato ed interpolato,si tratta pur sempre di un documento prezioso per la sua antichità.

Purtroppo il “Periplo dello pseudo-Scilace” ci è giunto in una sola copia delsecolo XIII, oggi conservata nella Biblioteca Nazionale di Parigi1. Il codice èpseudoepigrafo e reca nell’intestazione il nome del famoso ammiraglio Scilacedi Carianda (città della Caria), noto soprattutto per l’esplorazione dell’OceanoIndiano voluta dal re di Persia Dario verso la fine del VI secolo2 a.C.

Il testo del Periplo, nella consistenza pervenutaci, risulta costituito anzitut-to da un canovaccio uniforme, il portolano vero e proprio, redatto in manieraassai stringata e con un peculiare formulario monotono, che sembra risalire al-la fine del VI o all’inizio del V secolo a.C.3, ossia veramente all’età di Scilace edi Ecateo di Mileto. Non può ascriversi tuttavia a nessuno dei due, dato l’evi-dente contrasto tra alcune affermazioni del nostro testo e i pochi frammentiche ci sono stati tramandati di questi due autori. Del nucleo originario ci è per-venuta probabilmente una redazione assai compendiata, ridotta all’elencazio-ne dei popoli barbari, di pochi promontori e fiumi e dei porti greci. Successi-vamente – forse con intento non più pratico, ma esclusivamente erudito – visono stati apportati vari aggiornamenti eterogenei, che comunque non risulta-no spingersi oltre l’età di Filippo II di Macedonia, al quale si deve l’annessio-ne di Naupatto all’Etolia, situazione che troviamo registrata dal Periplo. Que-sta è pertanto l’epoca probabile della compilazione pervenutaci (circa 338a.C.)4. Scendiamo così all’epoca del condottiero corinzio Timoleonte e dellasua impresa epocale in Sicilia. Comunque, la compilazione è conclusa certa-mente in data anteriore alla fondazione di Alessandria (331 a.C.), ancora igno-rata dal documento, ma che immediatamente dopo avrebbe costituito un rife-rimento essenziale per qualsiasi portolano del Mediterraneo5.

L’analisi che di recente ho condotto sulla parte del Periplo relativa al Pon-to Eusino, che si tendeva a ritenere l’unica parte superstite esclusivamente ar-caica, rimasta cioè indenne da ulteriori interventi, mi ha portato a dimostrareche anche nel settore pontico si riscontrano in realtà aggiornamenti di IV seco-lo. Essi sembrano ricollegabili agli interessi granari di Atene nel Mar Nero, che 1

conosciamo in particolare dalla politica filobosporana di Atene, che fu capeg-giata strenuamente da Demostene, in contrapposizione all’intervento militaredi Filippo II di Macedonia nel Ponto Eusino6. Questo interesse per il Pontoben si accorda con l’ambiente attico, in cui verosimilmente è stato redatto il no-stro Periplo.

Il “Periplo dello pseudo-Scilace” descrive in senso orario le coste del Me-diterraneo, a partire dallo Stretto di Gibilterra e procedendo lungo l’Iberia, laGallia e l’Italia. Nel corso della descrizione della Magna Graecia, dopo aver de-scritto la costa tirrenica della penisola fino all’altezza di Reggio, il Periplo inter-cala un capitolo relativo alla descrizione della Sicilia (paragrafo 13). Va ricor-dato che nel Periplo le isole non vengono considerate parte dell’Europa, comevediamo infatti anche per Creta7, e tuttavia vengono descritte in corrisponden-za del punto più vicino della terraferma, com’è appunto Reggio per la Sicilia.

La descrizione della Sicilia si apre con l’inquadramento geografico dell’iso-la, definito soltanto dalla distanza dal continente europeo, che viene espressain stadi. Questo ricorso allo stadio per indicare distanze marittime potrebbesuggerire che si tratti di un’aggiunta posteriore, poiché in età arcaica le distan-ze marittime si computavano in giornate di navigazione8. Ma bisogna conside-rare che in questo caso non sarebbe stato possibile, trattandosi di un tragittominimo. La distanza indicata, 12 stadi, si ritrova più tardi in Polibio e in Pli-nio9; del resto in maniera assai simile nella seconda metà del IV secolo a.C. lostorico Timeo di Taormina indicava 13 stadi (in Diod. IV, 22, 6) e l’ammiraglioTimosthenes indicava 11 stadi (in Agathemero), segno che questa stima dellamisura dello Stretto di Messina era ormai consolidata nel IV secolo. Altre fon-ti riflettono una tradizione completamente diversa10, che registra una distanzadi sette stadi, l’eptastadio, che sembra voler assimilare convenzionalmente tut-ti gli stretti, dall’Ellesponto a Gades11.

Va precisato che nel nostro testo la seconda menzione di Reggio deve rite-nersi interpolata sulla base della frase precedente, perché non ha senso in que-sto contesto, dove c’è infatti il riferimento esplicito alla distanza dall’Europa alpromontorio Peloro, mentre la distanza da Reggio alla Sicilia sarebbe di granlunga maggiore (circa 80 stadi).

Il nucleo originario del periplo si ritiene caratterizzato dalla netta contrap-posizione tra l’elencazione delle popolazioni non greche (barbaroi) 12, senza in-dicazione di porti o città, e l’elenco minuzioso delle città portuali greche, chesono il principale obiettivo di un periplo greco. Nel caso della Sicilia alla quin-dicina di porti greci vengono contrapposti cinque popoli barbari, ossia Elimi,Sicani, Siculi, Fenici e Troiani. Nessun problema pongono le tre popolazionimeglio documentate, che occupavano rispettivamente la Sicilia orientale (i Si-culi), centro-occidentale (i Sicani) e occidentale costiera (i Fenici). Stupisce in-vece la compresenza di Elimi e Troiani, rispettivamente primi e ultimi in unelenco, che - non potendo essere topografico - potrebbe essere cronologico equindi mutuato da una fonte storiografica. Di solito Elimi è inteso come il no-2

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me che i Troiani fuggiaschi dopo la caduta di Ilio avrebbero assunto una voltastabilitisi in Sicilia, dal nome del loro condottiero, l’eroe Elimo, per cui i dueetnici sarebbero equivalenti13. Nel nostro caso, però, la duplice e distinta men-zione degli etnici ci porta a supporre che l’autore del Periplo avesse accoltoun’altra tradizione, meno comune, ossia quella conservataci da Ellanico di Mi-tilene14, che vedeva negli Elimi elementi immigrati in Sicilia dalla penisola ita-liana in seguito alla pressione degli Enotri, ben tre generazioni prima dellaguerra di Troia e del conseguente esodo dei Troiani15. Pertanto in questo ca-so non ci sarebbe uno sdoppiamento, ma si farebbe riferimento a due popoliimmigrati in Sicilia in momenti diversi e da regioni diverse.

La descrizione delle coste della Sicilia procede in senso orario, come per ilMediterraneo, cominciando dal vertice più vicino all’Europa costituito dal pro-montorio Peloro, elencando rigorosamente solo le città portuali greche. Per lacosta orientale, Messina con il suo porto, Taormina, Nasso, Catania e Lentini.Solo per Messina è ricordato specificamente il grande porto naturale (Fig. 1).

Problematico appare a prima vista il mancato ricordo del toponimo Zankle,che era presente invece in Ecateo. In un periplo arcaico sorprende infatti lapresenza di Messene, che implica l’avvenuto insediamento nell’antica Zancle diun gruppo di Messenii ad opera del tiranno Anassila di Reggio intorno al 490-8816. Possiamo pensare o ad una stesura del periplo dopo il 490-88 oppure adun aggiornamento, come succede poco oltre nel nostro testo per Thurii (444/3a.C.), senza riferimento a Sibari (ormai presente solo come idronimo), e perHeraclea di Lucania (434/3 a.C.), senza ricordare Siris.

Nell’elenco delle città greche sullo Ionio sembra uno strano doppione lacoppia Naxos – Tauromenion, se teniamo presente che la Taormina fondatanel 396/4 avrebbe dovuto sostituire la Naxos distrutta da Dionigi nel 403 a.C.,per cui la presenza dell’una dovrebbe escludere necessariamente l’altra. Perspiegarne la compresenza, si potrebbe supporre nel periplo un aggiornamentodi IV secolo (Taormina) senza ricordarsi di eliminare l’elemento originario or-mai fossile (Naxos); ma l’ipotesi è costosa e il dissidio potrebbe essere solo ap-parente. Si sa infatti che Taormina fu popolata nel 396-4 con elementi siculi epoi accresciuta nel 358/7 da Andromaco, padre di Timeo, richiamandovi i Na-xii sopravvissuti. Ma in realtà Tauromenion è un centro di origine ben più an-tica, come dimostra la necropoli di Cocolonazzo di Mola, che risale all’VIII se-colo a.C.17; dato che ben si accorda con la notizia fornitaci dallo pseudo-Scim-no, che ricorda che i calcidesi di Zancle vi fondarono una colonia18; Taurome-nio viene ad inserirsi pertanto a pieno titolo tra le città greche, anche se forsein posizione originariamente subalterna rispetto alla madrepatria. Del resto, ilporto e il sito senza mura della distrutta Naxos non furono abbandonati deltutto dopo la distruzione della città (403 a.C.) e, anche se Dionigi vi introdus-se dei Siculi19, non se ne mutò o dimenticò il nome, che infatti troviamo anco-ra nell’Itinerarium Antonini di IV secolo d.C. (e forse nell’odierno toponimoSchisò del suo promontorio), probabilmente per la persistenza della pratica 3

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marinara che sfruttava la corrente marina che dalla Grecia portava a Nasso, laquale continuò perciò nella sua funzione portuale, anche se ormai a serviziodell’alpestre e importuosa Taormina.

La descrizione di Leontini risulta ancora aderente all’originaria funzione diportolano del nostro documento: vi si precisa infatti che la città era raggiungi-bile dal mare aperto mediante una navigazione fluviale di venti stadi risalendoil fiume Terias20, ora San Leonardo. Alle soglie del Seicento Filippo Cluveriopropose una correzione in quaranta stadi, che sarebbe più aderente alla realtàtopografica, ma che forse non è necessaria, poiché l’informazione non potevaessere che approssimativa21. Ma addirittura non è da escludere la correttezzadella cifra tramandata, se si considera che il golfo di Agnone era allora più pro-fondo e che la grande depressione alluvionale tra l’autostrada 15 e le dune co-stiere (ossia la Tenuta Grande, la bonifica Gelsari e Pagliarazzi) non era anco-ra interrata nel V secolo a.C., per cui il fiume sboccava assai più all’interno, aipiedi della masseria di San Leonardo Soprano (Fig. 2).

Subito dopo, nel Periplo il riferimento al fiume Simeto risulta inserito fuo-ri posto, cioè non tra Catania e Lentini, ma dopo quest’ultima. È probabile chesi tratti di una zeppa introdotta successivamente, forse sulla base del testo diTucidide22, che infatti ricordava il fiume Simeto tra Catania e Siracusa, in ter-ritorio di Lentini, ma senza precisare se a Nord o a Sud di questa. Se così fos-se, la zeppa ci rimanderebbe alla fine del V secolo a.C.

Il Periplo ricorda successivamente la colonia di Megara Hyblaea, che fufondata da Megara Nisea nel 729/6 e venne distrutta dopo 245 anni, cioè nel484/1, e finalmente ricostruita da Timoleonte intorno al 338 a.C.; ma tutto ilcontesto del periplo non consente di pensare ad una data così tarda, per cuidovremo vedere nella distruzione del 484/1 un terminus ante quem per la com-pilazione del periplo, forse il più alto tra i vari indizi individuati.

Fuori posto sembrerebbe la menzione del limèn Xiphóneios, perché nonpuò riferirsi alla costa a sud di Megara, spettante a Thapsos, e quindi è gioco-forza riferirlo a quella a nord di Megara, ossia al Golfo di Augusta (Fig. 3).Questa identificazione ci viene confermata del resto dal testo di Edrisi, che re-gistra ’iksîfû a sei miglia dal Capo Tauro e a quattro miglia dalla penisola di Ma-gnisi (Thapsos)23, quindi in corrispondenza della futura Augusta. Si può sup-porre che la somiglianza ad una spada (in greco xiphos)24 della stretta, piatta elunga penisoletta di Augusta abbia suggerito la denominazione di questa Xi-phonìa, che è ricordata da Teopompo25 e forse da Diodoro (23, 4,1) come cit-tà26, ma come promontorio da Strabone27. L’esistenza di un abitato greco adAugusta sembra suggerita sul piano archeologico da una serie di ritrovamentipurtroppo non controllabili28. Si può inoltre ricordare l’esistenza di un abita-to almeno medievale sulla più esposta punta meridionale della penisola; essoinfatti venne denominato Terravecchia quando Federico II, poco prima del1231, fondò sull’istmo della penisola una nuova Terra, ossia Augusta29.

Per la sua collocazione la menzione del limèn Xiphóneios sembrerebbe per-4

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tanto una zeppa, in quanto il periplo riprende la descrizione da Megara e l’in-serzione potrebbe far pensare allora al già ricordato Teopompo o ad altra fon-te tarda; possiamo supporre che esso sia stato elencato dopo Megara solo inquanto compreso nella Megaride, come abbiamo visto per il Simeto a Lentini.

Della metropoli siceliota, Siracusa, il Periplo si sofferma a segnalare i dueporti, l’uno dei quali è detto dentro le mura. Abbiamo pertanto - come per ilfiume di Leontini - una specifica annotazione da portolano. Il Porto Piccolo,denominato Lakkios in Diodoro30, fu probabilmente abbracciato dalle muradella Grande Siracusa intorno al 485-78, data che verrebbe a suggerire un ter-minus post quem per la cronologia del periplo, forse il più basso individuato.

La descrizione della costa orientale della Sicilia si conclude con la menzio-ne della città di Eloro e del promontorio Pachino. L’epiteto polis accordato al-la subcolonia siracusana di Eloro potrebbe sorprenderci sul piano politico,trattandosi di un semplice chorion rimasto sempre senza autonomia e subalter-no rispetto alla madrepatria31, ma bisogna considerare che l’ottica della inser-zione in un periplo è legata invece all’efficienza di un centro abitato dotato diun porto alla foce del considerevole fiume omonimo (Heloros, ora Tellaro).Dal Pachino comincia la descrizione del secondo lato dell’isola con il susseguir-si delle città greche di Camarina, Gela, Akragas e Selinunte fino al terzo pro-montorio, il Lilibeo.

Quanto alla colonia di Camarina, distrutta nel VI secolo dalla madrepatriaSiracusa, possiamo supporre che possa essere stata inserita dopo la ricostruzio-ne geloa del 492 e prima della distruzione del 484; ma certo altri periodi, tra Ve IV secolo, sarebbero possibili nel corso della sua travagliata esistenza e per-tanto Camarina non può fornirci elementi pregnanti ai fini della cronologia delPeriplo32.

Dopo Gela e Akragas, che non possono dare indizi cronologici, la rassegnadei porti della costa meridionale dell’isola si conclude con Selinunte, la cittàgreca più occidentale, distrutta dai Cartaginesi nel 409, data che potrebbe co-stituire un terminus ante quem per il nostro Periplo. Ma in realtà grazie all’im-mediata ricostruzione del 408/7 da parte di Ermocrate Selinunte riuscì a man-tenersi città greca più o meno indipendente dai Cartaginesi fino alla distruzio-ne romana del 250 a.C. Certo continuavano ad accreditarne fortemente la gre-cità il tesoro che aveva dedicato ad Olimpia e i grandiosi templi superstiti.Quindi in realtà la sua presenza non fornisce elementi decisivi per definire lacronologia della nostra fonte.

Andrebbe sottolineato che il Periplo nell’ambito della descrizione della co-sta tra Agrigento e Selinunte non ricorda Heraclea Minoa. Possiamo formula-re due ipotesi contrastanti: o il nucleo arcaico del periplo è anteriore alla fon-dazione di Heraclea da parte di Selinunte (Herodt. 5, 46; tra il 505 e il 482?);oppure siamo in linea con la finalità del periplo greco, che non segnala centricartaginesi, quale Heraclea era almeno dal 383 al 35733; e poi ancora dal 313,quando risulta ceduta ai Cartaginesi34; forse fu greca soltanto sotto Timoleon- 5

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te, in forza del trattato dell’Halykos-Platani sancito con Cartagine nel 33835.Ma questi ultimi dati sono posteriori agli ultimi aggiornamenti sicuri del restodel Periplo e in ogni caso si tratterebbe di un inefficace argumentum e silentio.

Ovviamente non possono figurare in un Periplo greco i porti fenici della Si-cilia occidentale, per cui, dopo il riferimento geografico al promontorio Lili-beo, sul lato settentrionale dell’Isola la prima città segnalata è Himera, alla qua-le fanno seguito altre due città greche: Lipari sull’isola omonima e Milazzo conil suo porto. Selinunte sulla costa meridionale della Sicilia e Imera su quella set-tentrionale erano state effettivamente i due baluardi occidentali della grecitànel VI e nel V secolo, ma dobbiamo anche chiederci se non possa trattarsi difossili del testo originario, che si sarebbe trascurato di eliminare nella compila-zione tardiva del Periplo, visto che nel IV secolo Imera certamente non esiste-va più.

Imera infatti fu accanitamente distrutta dai Cartaginesi nel 409 a.C., ma adifferenza di Selinunte venne definitivamente abbandonata; tale la dice ancoraquattro secoli dopo Diodoro Siculo36. Il 409 è pertanto in questo caso un sicu-ro terminus ante quem.

Se anche per la Sicilia la redazione pervenutaci del Periplo dovesse esseretardiva come per altre zone del mondo greco, al posto di Imera ci dovremmoaspettare l’aggiornamento con Therma (Termini Imerese) e difatti C. Mülleraggiunse arbitrariamente al testo tà Thérma. Ma Therma era stata fondata do-dici chilometri a Ovest di Imera come colonia cartaginese nel 407/6 (Diodoro)e cartaginese la ritroviamo nel 396 con Imilcone e ancora nel 361 e praticamen-te fino alla conquista romana del 252 a.C. e quindi non poteva mai entrare inun periplo greco.

La tappa successiva è costituita da Milazzo, che viene definita città grecadotata di porto. La precisazione polis potrebbe far pensare ad una riconosciu-ta autonomia della città da Messina, della quale invece è solitamente indicatanelle fonti come semplice phrourion37; ma questo non mi pare necessario in undocumento a carattere pratico, al quale può non interessare la condizione po-litica di un porto greco, essenziale nella navigazione come testa di ponte per leisole Eolie. Un confronto calzante si ha nella menzione della città di Eloro, cheera certo un chorion di Siracusa38.

La distanza tra Milazzo e l’isola di Lipari è indicata nel Periplo in mezzagiornata di navigazione, secondo l’uso arcaico caratteristico della redazioneoriginaria, che anche nel testo che precede (§ 7) indica, ad esempio, la distan-za della Sicilia dalla Sardegna in due giornate di navigazione e la notte interpo-sta. Quest’uso, come si è già detto, è attestato espressamente per Scilace e Bot-thaios da Marciano.

La descrizione della Sicilia si chiude con un paráplous, che eccezionalmen-te non è espresso in giornate di navigazioni, ma, richiamata la forma triangola-re della Trinacria, ne valuta la lunghezza di ogni lato in circa 1500 stadi. Que-sta è certamente una glossa marginale39, perché venne ricopiata in maniera6

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maldestra nel contesto su Imera e perché il nostro Periplo non usa dare il pe-rimetro delle isole, che manca infatti per Creta e per Cipro40, ma soprattuttoperché la lunghezza è espressa in stadi, mentre ancora Tucidide aveva valutatoil periplo della Sicilia in otto giornate di navigazione.

Molteplici considerazioni sono suggerite da questo esame del brano sicilia-no del Periplo, sia in rapporto alla tipologia, che alla cronologia e all’ambientedi redazione del documento.

Tracce di indicazioni tecniche degne di un portolano arcaico sopravvivononella segnalazione dei grandi porti naturali, limena, che in Sicilia risultano sol-tanto quattro, Messina, Xiphonia, Siracusa e Milazzo, segno che le altre cittàgreche utilizzavano solo le foci fluviali, tra le quali è segnalata espressamentequella più nascosta di Leontini. Anche in Sicilia si ritrovano alcune caratteristi-che che Alessandro Baschmakoff, studiando in particolare la sezione ponticadel Periplo, aveva additato come tipicamente arcaiche41. Tali sono nel nostrocaso la ripartizione etnografica arcaica che conserva il ricordo degli Elimi e deiTroiani, l’uso di computare le distanze per giornate di navigazione come nellatraversata tra Milazzo e Lipari e il procedere in senso orario nella descrizionedelle coste42, al contrario dei peripli tardi che procedono invece in senso antio-rario43.

L’analisi del capitolo del Periplo relativo alla Sicilia, per quanto stringato edifficile, ci ha offerto in definitiva una testimonianza preziosa della percezioneche i marinai greci avevano in epoca tardo-arcaica dei porti della Sicilia neiquali erano soliti commerciare abitualmente, ma anche di alcuni irrinunciabiliretaggi culturali ellenici, come conferma la menzione dei Troes, che trova con-fronti nel resto del documento, che è sempre attento a ricordare i luoghi ome-rici.

Alcune presenze, e subordinatamente anche alcune assenze, possono indi-rizzarci infine nello stabilire la cronologia del brano esaminato del Periplo.

Se riprendiamo i vari termini ante quem analizzati, possiamo concludereche la redazione deve essere inquadrata non soltanto prima della distruzione diNaxos (403) e di Himera (409), ma anche prima di quella di Megara (e even-tualmente di Camarina, 484); potremmo anche aggiungere prima della fonda-zione di Heraclea (ante 482), se questo non fosse che un debole argumentum esilentio, come del resto la mancanza di Halaesa (403) e di Tindari (396 a.C.).

Quanto al termine post quem, possiamo suggerire che la datazione deve es-sere posta dopo la ricolonizzazione di Messina (490-88) ed eventualmente do-po la ricolonizzazione di Camarina (492), ma anche dopo la costruzione dellemura che abbracciarono il porto piccolo di Siracusa intorno al 485 a.C.

Sarebbe pertanto suggestiva una datazione tra questi due termini assai stret-ti, ossia intorno al 485-484 a.C., per il nucleo originario del nostro Periplo, cheper la parte relativa alla Sicilia non avrebbe avuto posteriori occasioni di ag-giornamento44.

In questo caso la mancata esigenza di aggiornamento, in altri termini il di- 7

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sinteresse per l’Isola, si potrebbe spiegare con il verosimile ambiente attico nelquale va collocata la revisione del Periplo effettuata nel IV secolo. Questa par-ticolare ottica squisitamente ateniese è evidente nell’attenzione rivolta alla po-litica di Filippo II di Macedonia, ma soprattutto nei numerosi riferimenti allacolonia di Turi, nell’attenzione riservata alle fortezze minori dell’Attica, nonchéai porti del Regno Bosporano sul Mar Nero. Una conferma più stringente è da-ta infine dal ricordo del tutto eccezionale di un ecista solo perché ateniese, os-sia il celebre oratore Callistrato di Aphidnae, che da esule guidò per conto del-la Macedonia la rifondazione di Daton in Tracia (circa 358 a.C.)45, ai piedi del-le miniere aurifere del Pangeo e forse in corrispondenza del porto naturale diEski Kavala, ora Eleftheres di Nea Peramos, chiuso dal promontorio Vrasidia,dodici chilometri a Sud-Ovest di Kavala.

D’altronde, per la datazione di questa redazione finale, l’assenza nel testopervenutoci di alcuni fatti di ampia rilevanza mediterranea induce a non scen-dere molto oltre il termine tradizionale suggerito dalle vicende di Filippo II del338 circa a.C. Infatti l’assenza di Alessandria sarebbe inconcepibile in un peri-plo del Mediterraneo dopo il 331, come anche l’assenza dello stato romano, alposto del quale compare ancora la menzione del territorio dei Latini (quandola Lega Latina era stata sciolta nel 338). Ritengo pertanto che il Periplo delloPseudo-Scilace sia stato aggiornato intorno al 338-332 ad Atene e solo relativa-mente agli interessi attici, ai quali rimaneva in quel momento estranea la Sici-lia, malgrado i recenti interventi filoellenici del corinzio Timoleonte.

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Giovanni Uggeri

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L’Africa Romana (Atti XI conv. Cartagine 1994), Sassari 1996, pp. 277-285.Uggeri 2008 = G. Uggeri, Spina polis hellenís (ps.-Scyl. 17), in S. Bruni (a cura di), Etru-

ria e Italia preromana. Studi in onore di Giovannangelo Camporeale, Pisa-Roma2009, pp. 893-98.

Uggeri 2009 = G. Uggeri, La cronologia del Periplo del Ponto Eusino dello pseudo-Sci-lace e gli interessi di Atene nel Mar Nero nel IV secolo a.C., in Mare Internum. Ar-cheologia e culture del Mediterraneo, dir. N. Bonacasa, I, 2009, pp. 65-76.

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1 Si tratta del ms. Parisinus graecus 443 suppl. Edizioni: GGM, ed. Müller 1855, pp. 11-96;Baschmakoff 1948 (postumo); Peretti 1979; Marcotte 1986; 2000; Counillon 2004; Shipley 2008.

2 Spedizione voluta da Dario I di Persia e databile tra il 515 e il 509 a.C., HERODT., 4, 44,1; altre notizie si leggono in ARISTOT., Polit., 1332b, e in STRAB., 12, 4, 8; 13, 1, 4; 14, 2, 20.Balcer 1972.

3 Gisinger, in RE, 5 A; Peretti 1979.4 Peretti 1979, p. 497. Non mi pare accettabile supporre un riferimento all’agro piacentino,

cioè ai Piceni deportati in Campania dopo il 268, indizio isolato che ci porterebbe al pieno se-colo successivo. Antonelli 2002. Piuttosto si tratterebbe di una tarda glossa isolata per Müller1855, p. XLIIa.

5 Anzi, lo Stadiasmus Maris Magni assumerà Alessandria come porto di partenza delle duerotte di cabotaggio verso l’Africa e verso l’Asia, cfr. Uggeri 1996.

6 Uggeri 2009, pp. 65-76.7 Ps-Scyl. § 47. Counillon 2001.8 Quest’uso in Scilace e in Botteo è ricordato da Marciano Heracl., Menippi Periplus, 2. Pe-

retti 1988.9 POLYB., 1, 42, 6; PLIN., N.H. 3, 14.10 STRAB., 6, p. 257; Schol. ad Apoll. Rhod. Arg. 4, 825.11 Cfr. Damastes di Sigeion e Avien. 370-74, in Müller 1855, intr.; cfr. ora Panchenko 2005,

pp. 173-80.12 Così soprattutto Alessandro Baschmakoff (Odessa 1859-1943), sulla base della sua dime-

stichezza con le coste pontiche e di alcune riflessioni soprattutto di carattere etnologico, Ba-schmakoff 1937.

13 Così in THUC. 6, 2,3.14 HELLAN. fr. 53; FGrH 4 F 79b.15 Un Elymos re dei Tirreni è ricordato da STEPH. BYZ., s.v. Elimeia. Cfr. le affinità con i

Liguri segnalate tradizionalmente e di contro i recenti studi sulla lingua dell’area elima, che sa-rebbe affine a quella dei Siculi.

16 THUC., 6, 4, 5-6. Per la cronologia, cfr. le emissioni monetali, databili al 488-80 a.C., inCaccamo Caltabiano 1987; Consolo Langher 1996, pp. 409-15.

17 Lentini 1987.18 Ps-Scymn., 289; cfr. Lasserre 1966, p. 229; Marcotte 2000.19 DIOD., 14, 15, 2 ss.20 Sembra da accogliere infatti l’emendamento del Cluverio, da ten rhian della tradizione

manoscritta, sulla base del confronto con THUC., 6, 50, 3; 94, 2; DIOD., 14, 14, 3 e PLIN., N.H.3, 14.

21 Ad un tipo d’indicazione piuttosto convenzionale potrebbe far pensare il fatto che la stes-sa cifra, 20 stadi, si ritrovi poco oltre per la navigazione sul Po dalla foce fino a Spina nello stes-so periplo al §17, cfr. Uggeri 2008.

22 THUC. 6, 65.23 Edrisi 1883, p. 66.24 L’immagine di xiphos trova riscontro in altre immagini adoperate in Sicilia per descrivere

analoghi promontori come zancle e drepanon, come osservò già K. Ziegler, in RE, IX A, 2134 ss.25 THEOP., Phil. 39, fr. 207, ma fr. 109 J., ap. Steph., s.v.26 Manni 1981, pp. 62, 242; ne dubita Dunbabin 1948, p. 19.27 STRAB., 6, 2, 2, dove l’espressione ‘promontorio della Xiphonia’ sembra però sottinten-

dere la città.28 Da segnalare la persistenza di un abitato medievale, nel quale un monastero benedettino

venne fondato nel 1219, Pirri 1733, p. 656.29 Nigrelli 1953, p. 173. 11

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30 DIOD. 14, 7,3.31 Manni 1981, p. 178.32 Fondata nel 599, ma presto distrutta, fu rifondata nel 492 e distrutta nel 484, rifondata

nel 461 e distrutta nel 405, rifondata nel 396 e potenziata nel 338 (DIOD. 16, 82, 7), saccheg-giata nel 275 dai Mamertini (DIOD. 23, 1, 4) e ancora distrutta dai Romani nel 258 a.C. Cfr. Pa-ce 1927.

33 DIOD. 15, 17, 5; 16, 9, 4; PLUT., Dion. 25, 11.34 DIOD., 19, 71, 7.35 PLUT., Tim. 34, 2; DIOD. 16, 82, 3. Talbert 1975, p. 159 sg.36 DIOD. 11, 49,4; 13, 62, 4.37 THUC. 6, 62; 7, 58; THEOPHR. 8, 3; DIOD. 12, 54, 5. Dopo il 403 accolse solo tempo-

raneamente i fuggiaschi di Naxos e Catane.38 Manni 1981, p. 178.39 Intrusione notata dal Müller 1855, p. XLI b.40 Ps-Scyl. 47 (Counillon 2001) e 103 rispettivamente.41 Baschmakoff 1948, pp. 14, 22-29.42 Come fanno Scilace anche nel Ponto Eusino, Ecateo, Eforo in Ps-Scimno, Dionigi Perie-

gete da fonti arcaiche.43 Si ricordino Artemidoro, Menippeo, Arriano e l’Anonimo bizantino (con una zeppa re-

trograda per 20 siti).44 L’ipotetica aggiunta di Taormina con riferimento alla rifondazione del 396 o addirittura

del 358 a.C., sarebbe in netto contrasto con il mancato aggiornamento degli altri dati sull’isola,sia città scomparse, che importanti città di nuova fondazione.

45 HERODT., 9, 75; ISOCR., De pac. 24; APPIAN., B.C. 4, 103. Uggeri 2009.

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