la cittadinanza europea alle urne: origine, evoluzione e prospettive future di introduzione

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FOCUS Michele Gradoli La cittadinanza europea alle urne: origine, evoluzione e prospettive future di Introduzione Il 2014 rappresenta un anno importante per l’Unione europea e in particolare per l’Italia per due ragioni principali: tra il 22 e il 25 maggio 2014 i cittadini europei saranno chiamati alle urne per vo- tare il nuovo Parlamento europeo mentre il 1° luglio di quest’anno l’Italia si vedrà attribuita la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, acquisendo quindi la possibilità di influire in modo più di- retto sui lavori dell’Unione. La presidenza italiana si colloca inoltre in un momento partico- lare dell’Unione da un lato e dell’Italia dall’altro: a livello europeo, infatti, la presidenza italiana segue quella della Grecia, da qualche anno ormai al centro dei dibattiti più accesi sull’assetto finanziario ed economico dell’Ue e dei suoi Stati, mentre, a livello nazionale, si starebbe presentando la presidenza italiana come un’opportunità reale di portare nel dibattito italiano le questioni europee e di riusci- re ad avvicinare l’Europa all’Italia. È proprio di questo avvicinamento tra l’Unione e uno dei suoi Paesi fondatori che si sente l’esigenza di parlare perché l’Italia, no- nostante il proprio status di Paese fondatore delle Comunità euro- pee, sembra sia ormai affetto da una sindrome di odio/amore nei confronti dell’Unione europea. Se, infatti, in passato – ma anche oggi – l’Italia ha contribuito alla realizzazione dell’Unione come la conosciamo, da qualche anno si è andato consolidando nel nostro Paese un forte sentimento di sfiducia nei confronti dell’Unione che 9 Rivista di Studi Politici - S. Pio V

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FOCUS

Michele Gradoli

La cittadinanza europea alle urne: origine,

evoluzione e prospettive future di Introduzione

Il 2014 rappresenta un anno importante per l’Unione europea e in particolare per l’Italia per due ragioni principali: tra il 22 e il 25 maggio 2014 i cittadini europei saranno chiamati alle urne per vo-tare il nuovo Parlamento europeo mentre il 1° luglio di quest’anno l’Italia si vedrà attribuita la presidenza del Consiglio dell’Unione europea, acquisendo quindi la possibilità di influire in modo più di-retto sui lavori dell’Unione.

La presidenza italiana si colloca inoltre in un momento partico-lare dell’Unione da un lato e dell’Italia dall’altro: a livello europeo, infatti, la presidenza italiana segue quella della Grecia, da qualche anno ormai al centro dei dibattiti più accesi sull’assetto finanziario

ed economico dell’Ue e dei suoi Stati, mentre, a livello nazionale, si starebbe presentando la presidenza italiana come un’opportunità reale di portare nel dibattito italiano le questioni europee e di riusci-re ad avvicinare l’Europa all’Italia.

È proprio di questo avvicinamento tra l’Unione e uno dei suoi Paesi fondatori che si sente l’esigenza di parlare perché l’Italia, no-nostante il proprio status di Paese fondatore delle Comunità euro-pee, sembra sia ormai affetto da una sindrome di odio/amore nei confronti dell’Unione europea. Se, infatti, in passato – ma anche oggi – l’Italia ha contribuito alla realizzazione dell’Unione come la conosciamo, da qualche anno si è andato consolidando nel nostro Paese un forte sentimento di sfiducia nei confronti dell’Unione che

9Rivista di Studi Politici - S. Pio V

i cittadini hanno iniziato a percepire come sempre più distante e astratta o, nei casi peggiori, semplicemente disinteressata alle pro-blematiche e alle questioni italiane.

Va sicuramente precisato che tale sentimento non va letto solo come tipico italiano; infatti, un’ondata antieuropeista sembra aver colpito tutto il Vecchio Continente soprattutto negli ultimi anni quando la crisi finanziaria globale ha acceso le proteste generali dei

cittadini, cavalcate poi da movimenti e partiti politici che hanno ac-cusato l’Unione di aver impoverito i suoi cittadini o di non interes-sarsi alle sorti di alcuni suoi Stati membri. In Italia, ad esempio, la polemica sugli effettivi vantaggi di aver aderito all’Unione europea e, in particolare, all’unione monetaria è di vecchia data ed è solita riemergere nei momenti più critici per il Paese e la sua economia e, come si vedrà, il tasso di sfiducia degli italiani verso l’Ue oggi è un

dato in crescita, aumentato dal 68,5% del 2011 al 73,2% del 20131.In questo contesto la presidenza italiana al Consiglio dell’Unio-

ne europea rappresenta un’opportunità importante per il Paese per assumere una dimensione maggiormente europea, puntando sull’in-clusione della cittadinanza nei processi decisionali e di formula-zione delle politiche. Infatti, le istituzioni, sia italiane che europee, spesso hanno trascurato la comunicazione dei valori dell’Unione alla cittadinanza, finendo per presentare l’Ue come una macchina

affamata volta alla realizzazione degli interessi di un’élite e non del bene comune. In un clima di forte anti-politica come quello che si vive oggi, il ‘semestre italiano’ 2014 non può che rappresentare una chance per le istituzioni e i rappresentanti dei cittadini italiani di di-mostrare come effettivamente l’Unione europea si stia attivando per la realizzazione delle aspettative e delle richieste dei Paesi membri.

Come i cittadini non possono fare a meno delle istituzioni statali ed europee, l’Unione europea non può vivere senza i suoi cittadini: nonostante le critiche numerose e sempre più aggressive sul suo de-

ficit democratico, non si può negare che l’Unione europea sia una

1 Fonte: Rapporto Eurispes Italia 2013. Si precisa inoltre che tale sentimento si concentra soprattutto nelle regioni del centro-Nord e tra gli ultrasessan-tenni.

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struttura ormai solida che prevede una legittimazione democratica per qualsiasi sua azione. Il passaggio più fragile è, invece, la comu-nicazione della democraticità dell’Unione e la realizzazione di una coscienza consapevole tra i cittadini che spesso, pur rappresentati nelle varie procedure decisionali, si sentono esclusi dalle scelte eu-ropee.

Non è un caso che il 2013, proprio prima delle elezioni del Parla-mento europeo del 2014, sia stato l’Anno europeo per la cittadinan-za attiva, a significare quanto l’Unione europea possa beneficiare di

una cittadinanza attiva e sempre meno svogliata e disinteressata.Le pagine che seguiranno intendono ripercorrere le evoluzioni

del concetto di cittadinanza europea introdotto nel 1992 e succes-sivamente ampliato nei suoi diritti con il Trattato di Lisbona, per intrecciare poi tali previsioni dei Trattati con i dati sulla percezione dell’Unione da parte dei cittadini al fine di tracciare un quadro reale

dello scenario nel quale si vanno a inserire le elezioni del Parlamen-to europeo previste per la fine di maggio 2014.

La cittadinanza europea

La nozione giuridica di cittadinanza europea nasce in un mo-mento particolare del processo di integrazione europea in quanto, inizialmente, non era stato previsto un concetto simile, o almeno con le caratteristiche oggi previste. I Trattati di Roma delle comu-nità europee, infatti, non avevano previsto la costituzione di una cittadinanza comune che attribuisse ai cittadini degli Stati membri gli stessi diritti e gli stessi doveri nei confronti delle Istituzioni che si andavano costruendo. Le ragioni di tale mancanza di previsione sono diverse e paiono tutte abbastanza comprensibili: gli Stati eu-ropei stavano uscendo in quel momento dal dramma della Seconda guerra mondiale che aveva visto contrapposti – ancora una volta – i popoli europei e quindi il campo di dialogo non poteva che essere quello economico della produzione carbosiderurgica e dell’energia e quello, più generale, delle attività commerciali.

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La prima libertà che venne riconosciuta dal Trattato che isti-tuisce la Comunità economica europea (Cee)2 ai cittadini degli Stati membri di allora fu, infatti, proprio quella della libera cir-colazione dei lavoratori. La possibilità di muoversi nel territorio dei Paesi dell’Ue sembra oggi una delle prerogative più naturali per i cittadini europei, tuttavia tale previsione del Trattato di Roma va analizzata nel contesto del tempo: in quegli anni, in-fatti, gli spostamenti delle persone tra un Paese e l’altro erano legati esclusivamente allo svolgimento di un’attività economica che fosse di tipo autonomo o dipendente o una prestazione di servizi quindi anche le libertà dei cittadini europei erano stret-tamente riferite alle attività economiche. Per tali ragioni anche la libertà di soggiorno sul territorio della Comunità fu ricono-sciuto successivamente innanzi tutto ai lavoratori subordinati e autonomi, fermo restando il legame ‘professionale’ con il Paese ospite3.

Gli anni successivi hanno visto l’emergere della cittadinanza dapprima sotto il profilo della sua rappresentanza nel quadro isti-tuzionale con le prime elezioni del Parlamento europeo nel 1979 che hanno confermato di voler sviluppare una riflessione concreta e

profonda sull’inclusione dei cittadini degli Stati membri nella vita delle Comunità europee4.

2 Come noto, il Trattato che istituisce la Comunità economica europea è stato firmato a Roma nel 1957 da Francia, Germania, Italia e Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Tale trattato verrà modificato dal Trattato di Maastricht nel 1992 che amplierà le competenze della Cee anche a settori non economici.

3 Molto vasta è la produzione della dottrina che ha commentato il diritto alla libera circolazione dei cittadini europei e tra i lavori più recenti si ricordano: B. Nascimbene, F. Rossi Dal Pozzo, Diritti di cittadinanza e libertà di cir-

colazione nell’Unione Europea, Cedam, Padova 2012; D. Luigi, Diritto del

mercato unico europeo: cittadinanza, libertà di circolazione, concorrenza,

aiuti di stato, Giuffrè, Milano 2012; M.C. Baruffi, I. Quadranti (a cura di), Libera circolazione e diritti dei cittadini europei, Edizioni scientifiche italiane, Roma-Napoli 2012.

4 Una ricostruzione efficace degli ultimi 50 anni del processo di integrazione europea è fornita da C. Zanghì e L. Panella in 50 anni di integrazione europea:

riflessioni e prospettive: Messina, 29-30 giugno 2007, Giappichelli, Torino 2011.

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Un ulteriore importante passo nella costruzione dell’insieme dei diritti dei cittadini europei è rappresentato dall’Atto unico europeo (1986) che ha modificato il Trattato di Roma, stabilendo la necessità

di creare entro il 31 dicembre 1992 uno spazio senza frontiere e di abolire i controlli alle frontiere interne sulle persone.

Quattro anni dopo, incoraggiato dalle previsioni dell’Atto unico europeo5, il Consiglio decise di estendere il diritto di soggiorno an-che alle persone che non esercitano un’attività economica, aprendo quindi la strada alla realizzazione di uno spazio effettivamente aper-to alla mobilità dei cittadini dei Paesi membri6.

Tali libertà sono state poi formalmente consacrate con il Trattato di Maastricht del 1992 che, come anticipato, ha introdotto il concet-to di cittadinanza europea definendone contenuti e diritti. Rinviando

la trattazione delle novità introdotte dal Trattato di Maastricht al paragrafo successivo, si può anticipare che il concetto di cittadinan-za europea è stato oggetto di discussioni e ampliamenti nel corso degli anni e, nel 1997, contestualmente al Trattato di Amsterdam, si è migliorata e ampliata la libertà di circolazione delle persone con l’introduzione dell’accordo di Schengen nel trattato sull’Unione eu-ropea7.

5 L’Atto unico europeo è stato firmato a Lussemburgo nel febbraio del 1986 ed è entrato in vigore il 1° luglio 1987. L’Atto unico europeo costituisce la prima modifica sostanziale del Trattato di Roma che istituisce la Comunità economica europea al fine di rilanciare l’integrazione europea e realizzare il mercato interno.

6 Va precisato che il Consiglio, pur estendendo la libertà di soggiorno anche ai cittadini degli Stati membri che non svolgessero un’attività economica, poneva come condizione che tali soggetti disponessero di risorse sufficienti per vivere.

7 L’accordo di Schengen è stato firmato il 14 giugno 1985 fra il Belgio, Lus-semburgo, Paesi Bassi, Francia e Germania con l’intenzione di eliminare progressivamente i controlli alle frontiere e introdurre un sistema di libera circolazione per i cittadini dei Paesi firmatari.

Tale accordo è stato seguito dalla relativa convenzione che ne completa e definisce le condizioni di applicazione. Tale convenzione è stata firmata il 19 giugno 1990 dagli stessi Stati firmatari dell’accordo ed è entrata in vigore nel 1995. L’accordo e la convenzione costituiscono un sistema di regole e norme definito “acquis di Schengen” e, dal 1999, tale insieme normativo è integrato

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Parallelamente al perfezionamento delle libertà di circolazione delle persone e dei capitali nell’Unione europea, si è sviluppata an-che una riflessione sull’effettiva partecipazione dei cittadini ai pro-cessi decisionali dell’Ue. Per svariati anni, infatti, parte dell’opi-nione pubblica e della politica hanno accusato l’Unione europea di essere una struttura lontana dai cittadini. Gli anni Duemila, infatti, hanno visto crescere sentimenti antieuropeisti in diversi Paesi Ue facendo spesso leva sulla presunta non rappresentanza dei cittadini nelle sedi decisionali europee, eccezion fatta per il Parlamento euro-peo, unica istituzione direttamente eletta dai cittadini europei.

Tale critica che è stata spesso presentata come deficit democrati-co dell’Unione è stata oggetto di una lunga riflessione da parte delle

istituzioni europee che hanno risposto con diverse azioni e, in par-ticolare, con l’introduzione dell’iniziativa legislativa dei cittadini, prevista dal Trattato di Lisbona e oggetto di approfondimento in uno dei prossimi paragrafi.

La definizione nel Trattato di Maastricht

Come anticipato nel precedente paragrafo, la definizione di citta-dinanza europea è formalmente introdotta nel Trattato di Maastricht che ha segnato un importante passo nel cammino dell’integrazione europea perché, per la prima volta nella storia dell’Ue, ha consentito di iniziare concretamente anche il processo di integrazione politica.

nel quadro giuridico dell’Ue, come definito dal secondo protocollo del Trattato di Amsterdam. Negli anni successivi l’accordo e la convenzione di Schengen sono stati firmati anche da altri Paesi europei come l’Italia (1990), la Spagna e il Portogallo (1991), la Grecia (1992), l’Austria (1995) e la Finlandia, la Svezia e la Danimarca (1996). Altri Paesi invece come il Regno Unito e l’Irlanda hanno mantenuto i controlli alle frontiere mentre l’Islanda e la Norvegia fanno parte dello spazio di Schengen dal 1996 pur non essendo Paesi dell’Unione europea e, per tale motivo, godono di un potere decisionale minore. Recentemente hanno aderito agli accordi di Schengen anche la Svizzera e il Liechtenstein. Dal canto suo l’Unione europea ha comunque ribadito la necessità di sottoscrivere tale accordo e convenzione tanto che gli allargamenti del 2004, 2007 e 2013 hanno richiesto ai Paesi che entravano nell’Unione, la firma di detti accordi.

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Tale scatto è stato reso possibile da una serie di fattori tra i quali il più evidente è sicuramente la caduta del muro di Berlino e l’unifica-zione della Germania che hanno permesso all’Unione di imporsi in maniera più decisa e forte nello scenario internazionale.

Sul piano interno, invece, il Trattato di Maastricht rappresenta il prodotto del lavoro dei governi dei Paesi membri intenzionati, in quegli anni, a dotarsi di una struttura più ampia e forte sul piano economico-monetario e su quello politico.

Il 27 e il 28 giugno 1988, infatti, era stato convocato ad Hanno-ver un Consiglio europeo che proponesse un disegno delle azioni da intraprendere per la realizzazione dell’unione economica. Pa-rallelamente, tale Consiglio europeo fu poi seguito dalla Conferen-za intergovernativa di Dublino del 1990 che avviò i lavori per la realizzazione di un’unione politica tra gli Stati membri della Cee, gettando quindi le basi per il Consiglio europeo del 9-10 dicembre 1991, fondamentale per la firma del Trattato di Maastricht. In tale

sede, infatti, i Capi di Stato e di Governo dei Paesi Cee riuscirono ad arrivare a un accordo sul testo del Trattato, decidendo di unificare

in un unico testo il processo di integrazione economica con quello dell’integrazione politica.

Dopo poche settimane, il 7 febbraio 1992, i governi dei Paesi membri firmarono a Maastricht il nuovo Trattato sull’Unione eu-ropea8 che presentava una Comunità dotata di rinnovati poteri e di una nuova struttura fondata su tre pilastri: le Comunità europee, la Politica estera e di sicurezza comune (Pesc), e la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale (Jai).

Rinviando ad altri studi più approfonditi la trattazione della nuo-va struttura dell’Unione europea introdotta a Maastricht9, in questa sede si vuole sottolineare come il Trattato di modifica del 1992 ab-bia introdotto per i cittadini di un gruppo di Paesi una condizione particolare e unica nello scenario internazionale.

8 Il Trattato di Maastricht è entrato in vigore il 1º novembre 1993. 9 Si vedano tra gli altri A. Tizzano, Trattati dell’unione europea, Giuffrè, Mi-

lano 2013 e U. Villani, Istituzioni di diritto dell’Unione Europea. Edizione

aggiornata al Trattato di Lisbona, Cacucci, Bari 2010.

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L’art. 8 della Parte II del Trattato di Maastricht ha istituito e de-finito la cittadinanza europea per cui è cittadino europeo “chiunque

abbia la cittadinanza di uno Stato membro” e tale definizione è se-guita dall’enunciazione dei singoli diritti collegati alla cittadinanza europea come il diritto “di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri”; il diritto di voto alle elezioni co-munali nello Stato membro in cui risiede, alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato di residenza, il diritto di voto alle elezioni del Parlamento europeo10; il diritto alla protezione diplomatica; il di-ritto di petizione al Parlamento europeo e il diritto di rivolgersi al Mediatore.

Dalla prima lettura del catalogo dei diritti del cittadino dell’Unio-ne si potrebbe osservare che la loro enunciazione ricalca il processo di integrazione europea e il ruolo che è stato dato ai cittadini durante questi anni. Il primo diritto, infatti, che viene enunciato è quello generale della libera circolazione delle persone che racchiude uno degli obiettivi più ambiziosi e forse anche meglio realizzati delle prime Comunità europee e dell’Unione oggi: la mobilità dei cittadi-ni nei territori dei Paesi membri. La nozione di libera circolazione delle persone, infatti, è stata introdotta con l’accordo di Schengen nel 1985 e della successiva convenzione di Schengen nel 1990, che, divenuta parte integrante della struttura giuridica e normativa del-l’Unione, è stata progressivamente estesa alla maggior parte degli Stati membri dell’Ue e ad alcuni Paesi extra Ue.

Attualmente i cittadini dell’Unione europea possono spostarsi tra i vari Stati membri con il solo documento di identità valido per l’espatrio secondo lo Stato di cittadinanza e senza la necessità di richiedere visti o permessi speciali al Paese ospite e tale libertà è possibile grazie allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia che, dal canto suo richiede una cooperazione rafforzata alle frontiere ester-ne. Tale libertà è assicurata nella sua realizzazione dalla direttiva

10 Va precisato che il Parlamento europeo era eletto direttamente dai cittadini dei Paesi membri dell’Unione già prima delle previsioni del Trattato di Maastricht e le prime elezioni dirette del Parlamento europeo si tennero il 9 e 10 dicembre 1979.

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europea 2004/38/CE11 e, nonostante le garanzie di detta direttiva, è comunque soggetta a una serie di limitazioni di cui la prima di carat-tere generale e temporale. I cittadini europei possono circolare libe-ramente nell’Unione europea purché la loro presenza sul territorio di uno Stato membro non si prolunghi oltre il terzo mese continua-tivo, trascorso il quale, anche il cittadino europeo sarà soggetto alla normativa nazionale in materia di immigrazione12. In particolare, il cittadino europeo dovrà dimostrare di essere un lavoratore autono-mo o in possesso di un contratto di lavoro o, qualora non fosse un la-voratore, di disporre di risorse economiche sufficienti. Un secondo

tipo di limitazione a detta libertà è quella prevista in caso di tutela dell’ordine pubblico per cui uno Stato può porre limiti agli ingressi nel proprio Paese alla luce di un ragionevole timore per la sicurezza o la salute pubblica.

Finora si è definito il diritto alla libera circolazione come un

diritto ‘generale’ e ‘complesso’ in quanto in esso vanno a confluire

una serie di diritti più specifici che ineriscono alle specifiche carat-teristiche di ogni singolo cittadino. Per essere più chiari, la libertà di circolazione comprende diversi diritti di cui il più importante è sicuramente quello della mobilità professionale. Come sintetizza-to inizialmente, il processo di integrazione europea nasce come un avvicinamento delle politiche economiche dei Paesi europei e la prima libertà di movimento riservata ai cittadini è proprio quella dei lavoratori, liberi di circolare nei diversi Paesi dell’Unione eu-ropea per allargare il proprio mercato di riferimento13. Va precisato infine che, tra le varie libertà di circolazione, quella dei lavoratori

è quella anche più complessa poiché si articola in libertà di stabi-11 La direttiva è stata recepita dall’Italia con il decreto n. 30 del 6 febbraio 2007

che sostanzialmente riprende il testo della direttiva aggiungendo poche norme di dettaglio.

12 Sul punto si veda: G. Carelli, L’immigrazione e le mobilità delle persone nel

diritto dell’Unione europea, Monduzzi, Bologna 2012.13 Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea definisce il diritto di cir-

colazione dei lavoratori all’art. 45, n. 3. Per un approfondimento sulla libera circolazione dei lavoratori si veda M.B. Deli (a cura di), Impresa e diritti

fondamentali nella prospettiva transnazionale, Edizioni scientifiche italiane, Roma-Napoli 2012.

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limento e in libertà di prestazione dei servizi riflettendo le diverse

esigenze dei lavoratori europei. Il mercato europeo, allargando le prospettive e le opportunità di lavoro per i singoli cittadini, ri-chiede una regolamentazione specifica e complessa per cui si è

operata a livello europeo una distinzione tra il cittadino europeo che intende trasferirsi con la propria attività professionale in un altro Paese europeo (libertà di stabilimento) da quei lavoratori che invece, pur non trasferendosi in un altro Stato membro, esercitano la propria professione in un altro Paese (libertà di prestazione dei servizi). Entrambe le declinazioni del diritto alla libera circolazio-ne dei lavoratori, inoltre, sono state rese possibili dall’emanazione di una serie di atti che hanno permesso un’armonizzazione concre-ta in materia di riconoscimento delle qualifiche professionali14: i lavoratori sono liberi di muoversi tra i Paesi dell’Ue solamente se riescono a trovare nei diversi Stati garanzie e tutele simili a quelle del Paese di origine. Tali complessità si riscontrano simili anche in altri settori come quello della mobilità degli studenti e dei ricer-catori per cui è stata introdotta una disciplina simile a quella delle qualifiche professionali, ma stavolta relativa ai titoli di studio, che

permette agli studenti europei di accedere alle scuole e alle univer-sità di un altro Paese dell’Unione senza avervi frequentato istituti d’istruzione.

Il secondo diritto dei cittadini europei enunciato dopo la libera circolazione è quello del diritto di voto al Parlamento europeo e alle elezioni comunali dello Stato di residenza. Tale diritto assicura che i cittadini europei siano coinvolti nella vita politica e decisionale dell’Unione europea tanto a livello sovrastatale attraverso la rappre-sentanza presso il Parlamento europeo tanto a livello delle comunità locali attraverso le elezioni comunali.

Seguendo la chiave di lettura cronologica dei diritti che si è pro-posta all’inizio della trattazione, il diritto di voto dei cittadini euro-14 La normativa europea sul riconoscimento delle qualifiche professionali è stata

introdotta con la direttiva 2005/36/CE e poi completata con il regolamento (Ue) n. 1024/2012 relativo alla cooperazione amministrativa attraverso il sistema di informazione del mercato interno (c.d. regolamento Imi). Tali norme sono state poi modificate e semplificate con la direttiva 2013/55/CE.

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pei si inserisce in un secondo momento del processo di integrazione europea e più precisamente nel 1979, quando per la prima volta i cittadini degli Stati membri hanno eletto direttamente il Parlamento europeo.

Il diritto di voto al Parlamento europeo costituisce un importan-te passo nel processo di riconoscimento della rappresentanza dei cittadini europei a livello istituzionale che fino ad allora erano stati

rappresentati dai Capi di Stato e di governo o dai ministri dei sin-goli Stati di appartenenza. Al fine di sottolineare la presenza della

cittadinanza europea nel suo insieme e non i singoli interessi na-zionali, che invece trovano loro rappresentazione in seno al Con-siglio dell’Unione europea, il Parlamento europeo è costituito da cittadini europei non solo direttamente eletti ma anche raggruppati per gruppi politici transnazionali di modo da poter riunire i membri del Parlamento europeo sulla base di affinità politiche e non delle

nazionalità15. Infine, gli ultimi diritti di cui viene fatta menzione nel Trattato

di Maastricht sono il diritto alla protezione diplomatica, il diritto di petizione al Parlamento europeo e il diritto di rivolgersi al Media-tore. Il diritto alla protezione diplomatica prevede che un cittadino europeo che si trovi in un Paese terzo all’Unione europea in cui non sia presente un consolato o un’ambasciata del proprio Stato di appar-tenenza può chiedere la stessa protezione e assistenza al consolato o all’ambasciata di uno Stato membro dell’Ue. Gli altri due diritti invece si riferiscono al rapporto con le istituzioni per cui, ricalcando struttura e meccanismi tradizionali nazionali, garantiscono il dialogo tra i cittadini e le istituzioni. In particolare i cittadini europei possono esercitare in qualsiasi momento il diritto di petizione al Parlamento europeo, sia individualmente che associandosi con altri come pre-visto dall’articolo 227 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea. Oggetto della petizione può essere una questione di inte-resse pubblico o privato ma deve rispondere a determinati requisiti: deve necessariamente rientrare in una delle materie di competenza

15 Attualmente i membri del Parlamento europeo sono 766, riuniti in 7 gruppi politici.

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dell’Unione; deve direttamente riguardare i cittadini firmatari la pe-tizione e deve riferirsi all’applicazione della normativa dell’Unione. Formalmente la petizione può presentarsi come una denuncia o una richiesta di parere su una determinata questione e, finora, continua

a essere lo strumento principale a disposizione dei cittadini europei per richiedere la posizione del Parlamento europeo su una questione o per segnalarvi una violazione del diritto dell’Ue.

L’ultimo diritto dei cittadini europei sancito a Maastricht è il ri-corso al Mediatore europeo che costituisce un importante strumento di reclamo dei casi di cattiva amministrazione. Istituito con il Trat-tato di Maastricht, il Mediatore mira a proteggere i cittadini europei dai casi di cattiva amministrazione da parte delle istituzioni europee e può operare sia di sua iniziativa che su denuncia dei singoli cit-tadini. È chiaro che si tratta di un’istituzione non giurisdizionale in quanto la sua pronuncia non è di carattere giudiziale e tra le sue competenze non vi rientra il controllo sull’applicazione del diritto unionale quanto più precisamente il monitoraggio e la tutela del di-ritto dei cittadini alla buona amministrazione.

Onde evitare sovrapposizioni con gli organismi nazionali di con-trollo e monitoraggio del buon funzionamento delle istituzioni, va precisato che il diritto alla buona amministrazione di cui parla il Trattato di Maastricht e di seguito i successivi trattati modificativi

fino a Lisbona si riferisce al livello europeo per cui il Mediatore può

essere interpellato per casi che coinvolgono istituzioni o organismi dell’Ue e non istituzioni nazionali, di competenza dei singoli Stati membri.

Come emerge da una prima lettura di questo catalogo, si tratta di diritti che si concentrano prevalentemente sul rapporto dei singoli cittadini con le istituzioni dell’Unione europea, e la definizione di

cittadinanza europea è stata ulteriormente esplicitata nelle disposi-zioni del Trattato sull’Unione europea come modificato nel 2007 dal

Trattato di Lisbona16. All’art. 9, infatti, viene definito ‘cittadino eu-

16 Si precisa che il Trattato di Lisbona è stato firmato dagli Stati membri nel 2007 ma è entrato in vigore solamente nel dicembre 2009, quasi tre anni dopo la sua firma.

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ropeo’ qualsiasi individuo che sia titolare della cittadinanza di uno degli Stati membri dell’Unione. Tale previsione ha sollevato negli anni passati diversi dibattiti circa le modalità di acquisto di questa cittadinanza sui generis in quanto ci si è interrogati sul rapporto gerarchico e sostanziale che tale status potesse avere con la condi-zione di cittadino nazionale. I dubbi sul rapporto gerarchico sono stati superati dalle disposizioni successive dell’art. 9 del Tue che afferma la complementarietà delle due cittadinanze per cui “la cit-tadinanza dell’Unione si aggiunge alla cittadinanza nazionale e non la sostituisce” mentre la dottrina si è ritrovata concorde nel definire

il processo di acquisto della cittadinanza europea come automati-co rispetto al momento dell’acquisto di una cittadinanza nazionale. Tuttavia, la previsione dell’art. 9 circa la complementarietà delle due cittadinanze non costituisce una novità in quanto si tratta di una disposizione che va a esplicitare orientamenti consolidatisi nel tem-po già espressi in altre occasioni come nell’ottobre 1992, dopo la firma del Trattato sull’Unione europea, quando il Consiglio europeo

di Birmingham dichiarò che “la cittadinanza dell’Unione comporta per i nostri cittadini una protezione e diritti supplementari senza so-stituirsi minimamente alla cittadinanza nazionale”.

Se quindi i dubbi di carattere tecnico che la definizione di cit-tadinanza avrebbe potuto sollevare sono stati risolti in brevissimo tempo dalla dottrina e dalle istituzioni europee, l’ultimo punto sopra descritto, relativo all’automaticità dell’acquisto, potrebbe sollevare critiche o perplessità circa le possibili discriminazioni che potrebbe-ro verificarsi nei confronti di un individuo che diventa cittadino di

un Paese membro in cui sia molto difficile acquisire la cittadinanza

nazionale. Se, infatti, pare ovvio e giusto che l’acquisizione della cittadinanza europea avvenga contemporaneamente a quella nazio-nale, ciò che potrebbe essere oggetto di critiche è la sostanziale dif-ferenza nelle discipline nazionali per l’acquisto della cittadinanza. Tali differenze normative, infatti, comportano una sostanziale diffe-renza nella possibilità di accesso a determinati diritti: divenire citta-dino italiano è assai più complicato che diventare cittadino tedesco e ciò significa che divenire cittadino europeo in Germania è più age-

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vole rispetto al divenirlo in Italia. Tali osservazioni, seppur banali, potrebbero tuttavia, da un lato, avere ripercussioni importanti sul piano della gestione dei flussi migratori interni all’Ue e, dall’altro,

potrebbero ispirare i legislatori dei Paesi più ‘conservatori’ a ripen-sare alle proprie discipline in materia di cittadinanza per avvicinarsi a quelle europee. È chiaro che la cittadinanza sia un fattore partico-larmente forte e importante nella costruzione dell’identità nazionale e, per tale ragione, resta – e forse resterà – di competenza dei singoli Stati membri, tuttavia è innegabile che il divario tra le discipline sulla cittadinanza è reale.

Il caso italiano è emblematico di questo processo di scambio e avvicinamento delle discipline nazionali poiché, in seguito al pro-cesso di convergenza normativa che interessa i Paesi europei, nel momento di presentare una riforma della legge n. 91 del 1992 sulla cittadinanza, si è ispirata anche alle discipline nazionali di altri Stati membri. Confrontata con queste normative, la legge n. 91 del 92 è una delle più severe circa i termini della naturalizzazione se con-frontata con quelle di altri Paesi europei, fatta eccezione per Grecia e Lussemburgo. Per tali ragioni, uno dei punti più rilevanti della pro-posta di legge n. 2670 del 30 luglio 2009 è proprio la riduzione dei dieci anni di residenza legale necessari per chiedere la cittadinanza a cinque anni: in Francia, nel Regno Unito e in Olanda, ad esempio, sono sufficienti cinque anni per richiedere la naturalizzazione, in

Germania ne occorrono otto, mentre la Spagna, in linea con il ter-mine italiano di dieci anni, concede la cittadinanza dopo due anni di residenza legale agli immigrati ispano-americani e filippini.

La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e l’intro-

duzione del diritto alla buona amministrazione

La Carta dei diritti fondamentali: formulazione, proclamazioni e

valore giuridico

Il catalogo dei diritti della cittadinanza europea introdotti dal Trattato di Maastricht è stato successivamente riorganizzato ed

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esteso in seguito all’entrata in vigore della Carta dei diritti fon-damentali, proclamata a Nizza il 7 dicembre del 2000. Il Trattato di Maastricht e la Carta di Nizza costituiscono i due punti cardine del processo di costituzione e tutela della cittadinanza europea e segnano l’inizio e la conclusione degli anni Novanta, periodo che ha rappresentato forse la più grande trasformazione per l’Unione europea a livello politico, istituzionale e sul piano del numero di Stati che in quegli anni hanno aderito all’Unione o vi si sono in qualche modo avvicinati17.

Il dibattito sulla cittadinanza, sui suoi diritti e sulle forme di tute-la che l’Ue potesse dedicarvi, iniziato nel 1992, culminò con il Con-siglio europeo di Colonia del 3-4 giugno 1999 nel quale si decise di dotare l’Unione di una Carta dei diritti, formulata da un organo specifico denominato Convenzione costituito da quindici rappresen-tanti tra i Capi di Stato o di governo degli Stati membri, un rappre-sentante della Commissione, sedici membri del Parlamento europeo e trenta membri dei Parlamenti nazionali18.

Tale organo avrebbe dovuto presentare al Consiglio europeo di dicembre 2000 un progetto di Carta e, nei mesi successivi, i lavori proseguirono pubblicamente coinvolgendo anche il Mediatore tra-mite audizioni specifiche, il Comitato economico e sociale, il Comi-tato delle regioni, e i rappresentati delle diverse organizzazioni della società civile e dei Paesi candidati all’adesione19. I lavori iniziarono 17 Si ricorda che nel 1995 entrano a far parte dell’Unione europea solamente

Austria, Finlandia e Svezia facendo salire a 15 il numero degli Stati membri, tuttavia, gli anni Novanta sono il momento in cui l’Ue si prepara al grande allargamento del 2004 quando entrano Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Mal-ta, Polonia, la Repubblica Ceca, la Repubblica Slovacca, Slovenia e Ungheria (Europa a 25).

18 La Convenzione nominò come suo presidente Roman Herzog, ex Presidente della Repubblica Federale di Germania, insieme con un comitato di reda-zione che potesse assisterlo nello svolgimento delle sue funzioni composto da Nikula (Finlandia), Bacelar de Vasconcelos (Portogallo) e Braibant (Francia), vicepresidente, dal commissario Vitorino, da Mendez de Vigo, vicepresidente e rappresentante dei membri del Parlamento europeo, da Gunnar Jansson, vicepresidente, rappresentante dei membri dei Parlamenti nazionali.

19 Anche la Corte di Giustizia e il Consiglio d’Europa hanno preso parte ai lavori

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concretamente il 17 dicembre 1999 e, quasi un anno dopo, il 26 set-tembre 2000 i membri della Convenzione trasmisero al presidente Roman Herzog la proposta di testo che fu inviata il 2 ottobre 2000 al Consiglio europeo. Al termine del Consiglio europeo di Biarritz il 14 ottobre 2000 il presidente Chirac dichiarò: “Questa mattina noi Capi di Stati e di governo abbiamo espresso l’accordo unanime sul progetto di Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Questa potrà pertanto essere proclamata al Consiglio europeo di Nizza, previo accordo di tutte le istituzioni interessate”. La Carta fu poi proclamata ufficialmente a Nizza il 7 dicembre 2000 dal Parla-mento europeo, dal Consiglio e dalla Commissione20 e si trattò di un passo fondamentale per il processo di integrazione europea sempre più ricca di contenuti ulteriori rispetto a quelli originali previsti dai Trattati di Roma.

Successivamente alla firma della Carta di Nizza i Capi di Stato

e di Governo, insieme con i ministri degli Affari Esteri dei 25 Paesi dell’Ue, si riunirono il 29 ottobre 2004, nella sala degli Orazi e dei Curiazi, luogo simbolico dell’inizio del processo di integrazione eu-ropea, per firmare il Trattato che adotta una Costituzione per l’Euro-pa al fine di dotare l’Ue di nuove strutture e strumenti per affrontare

le sfide del nuovo millennio. Tra questi la Costituzione, che come

noto non è mai entrata in vigore, individuava nella Carta di Nizza la base principale per la tutela dei diritti fondamentali nel contesto dell’Unione tanto da recepirla integralmente nella sua II parte21.

Nonostante la firma da parte dei Capi di Stato e di Governo dei

Paesi dell’Unione, la Costituzione non entrò in vigore a causa del-l’esito negativo dei referendum necessari per la ratifica del Trattato

in Francia e nei Paesi Bassi22 e quindi i Capi di Stato e di Governo

in qualità di osservatori.20 Al momento della proclamazione della Carta il presidente del Parlamento

europeo era Nicole Fontaine, il presidente del Consiglio dell’Unione Hubert Vedrine e il presidente della Commissione europea Romano Prodi.

21 All’art. I-9 la Costituzione stabiliva che “l’Unione riconosce i diritti, le li-bertà e i principi sanciti nella Carta dei diritti fondamentali che costituisce la parte II”.

22 I referendum si sono tenuti il 29 maggio 2005 in Francia e il 1º giugno 2005

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nel giugno 2005 approvarono una dichiarazione nella quale si impe-gnavano a promuovere un dialogo efficace per ridisegnare l’Unione

europea. Due anni più tardi, quindi, in seno al Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007 i Capi di Stato e di Governo istituirono una Conferenza intergovernativa che potesse redigere un nuovo testo e un nuovo Trattato di riforma e, il 13 dicembre dello stesso anno, la Carta di Nizza fu nuovamente proclamata al fine di potere essere

inserita nel nuovo progetto23.Il prodotto di tale conferenza ha preso il nome di Trattato di

Lisbona e, ad oggi, costituisce l’ultimo Trattato modificativo del-l’Unione europea che, al pari di Maastricht, ha cambiato radical-mente la struttura dell’Ue velocizzandone le procedure e ridise-gnandone gli equilibri istituzionali. Il Trattato di Lisbona è entrato in vigore il 13 dicembre 200924 e ha migliorato sostanzialmente gli assetti istituzionali dell’Unione europea toccando temi centrali come quello della cittadinanza, ma su questo punto si rinvia al pa-ragrafo successivo. Per il momento, sul tema della Carta dei diritti di Nizza, è sufficiente ricordare che in seguito all’entrata in vigore

del Trattato di Lisbona, l’art. 6 del Trattato sull’Unione europea ha conferito alla Carta lo stesso effetto giuridico vincolante dei trat-tati per cui attualmente si applica a tutte le istituzioni dell’Unione nel rispetto del principio di sussidiarietà e sulla sua applicazione, come per qualsiasi altra disposizione dei trattati, vigila la Corte di Giustizia dell’Ue.

nei Paesi Bassi.23 Un interessante approfondimento sulla Carta di Nizza e sul suo ruolo dopo

l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona è rappresentato da P. Gianniti (a cura di), I diritti fondamentali nell’Unione europea: la Carta di Nizza dopo il

Trattato di Lisbona, Zanichelli, Bologna 2013.24 Il Trattato di Lisbona è stato firmato il 13 dicembre 2007 dai 27 Capi di Stato

o di Governo e dai rispettivi ministri degli Esteri. In seguito alle modifi-che introdotte, il Trattato sull’Unione europea (Tue) mantiene il suo titolo attuale, mentre il Trattato che istituisce la Comunità europea (Tce) muta la sua denominazione in Trattato sul funzionamento dell’Unione. Inoltre, va ricordato che l’Unione europea succede alla Comunità europea, sostituen-dola e superando la struttura dell’Unione fondata su tre pilastri prevista a Maastricht.

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Il diritto alla buona amministrazione

Come anticipato, la Carta di Nizza costituisce un importante passo nella tutela dei diritti dell’uomo e del cittadino in Europa in quanto abbraccia settori e ambiti non originariamente previsti dai Trattati di Roma, riunendo in unico testo i diritti fondamentali le cui garanzie erano state disciplinate con strumenti e in tempi diver-si25. Va comunque precisato che nonostante la vocazione universale della Carta abbia fatto sì che si potessero raccogliere in un unico testo le diverse tradizioni costituzionali europee in materia di pro-tezione di diritti umani, la Carta dei diritti fondamentali prevede una distinzione soggettiva tra persone presenti sul territorio europeo e individui titolari della cittadinanza europea. Alla prima catego-ria sono dedicati i primi quattro capi della Carta, relativi alla tutela della dignità umana26, delle libertà fondamentali27, alla promozione dell’uguaglianza28 e della solidarietà29 insieme con il capo VI sulla

25 La Carta dei diritti fondamentali è costituita da un preambolo introduttivo e da 54 articoli suddivisi in sette capi.

26 I diritti garantiti dalle disposizioni del Capo I sono il diritto alla vita, all’in-tegrità della persona, la proibizione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, la proibizione della schiavitù e del lavoro forzato.

27 Le libertà fondamentali della Carta sono: il diritto alla libertà e alla sicurezza, il rispetto della vita privata e della vita familiare, la protezione dei dati di carattere personale, il diritto di sposarsi e di costituire una famiglia, la libertà di pensiero, di coscienza e di religione, la libertà di espressione e d’infor-mazione, la libertà di riunione e di associazione, la libertà delle arti e delle scienze, diritto all’istruzione, la libertà professionale e il diritto di lavorare, la libertà d’impresa, il diritto di proprietà, il diritto di asilo, la protezione in caso di allontanamento, di espulsione e di estradizione.

28 I diritti previsti in tale Capo sono il diritto all’uguaglianza davanti alla legge, il diritto alla non discriminazione, alla diversità culturale, religiosa e linguistica, alla parità tra uomini e donne, i diritti del bambino, i diritti degli anziani e per l’inserimento dei disabili.

29 I diritti previsti sono il diritto dei lavoratori all’informazione e alla consulta-zione nell’ambito dell’impresa, il diritto di negoziazione e di azioni collettive, il diritto di accesso ai servizi di collocamento, la tutela in caso di licenziamento ingiustificato, condizioni di lavoro giuste ed eque, il divieto del lavoro minorile e la protezione dei giovani sul luogo di lavoro, il diritto alla sicurezza sociale e all’assistenza sociale, alla protezione della salute, il diritto di accesso ai servizi d’interesse economico generale, la tutela dell’ambiente e la protezione

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giustizia30, mentre ai cittadini europei è dedicato un Capo specifico,

il quinto31.In tale sede la Carta raccoglie i diritti già enunciati dal Trattato di

Maastricht sopra esposti e a questi aggiunge due diritti specifici: il

diritto a una buona amministrazione, e il diritto d’accesso ai docu-menti. La menzione di questi due ulteriori diritti completa il catalo-go della cittadinanza che viene presentata ancora una volta nella sua dimensione relazionale con le istituzioni.

In particolare, l’introduzione di una previsione del genere risulta interessante non tanto per l’esplicitazione di un diritto che già era deducibile dalle disposizioni del Trattato di Maastricht, quanto per il contesto in cui si inserisce e il suo impatto sull’assetto istituzio-nale dell’Unione.

La dichiarazione del diritto alla buona amministrazione, infatti, è contestuale all’emanazione del codice europeo di buona condot-ta amministrativa della Commissione europea del 13 settembre 2000. Tale codice enuncia i principi di buona amministrazione come la legalità, la non discriminazione, la proporzionalità dei provvedimenti e la coerenza e prevede la possibilità per i cittadini europei di esporre un reclamo contro gli atti della Commissione che siano ritenuti in violazione di suddetti princìpi. Tuttavia, più della loro mera esplicitazione, il punto che è interessante analiz-zare è che sia stata proprio la Commissione a volersi dotare di uno strumento del genere. La Commissione, infatti, è l’istituzione che più volte è stata accusata di essere distante dai cittadini e maggiormente è stata oggetto di critiche relativamente alla sua legittimazione democratica. Per tali ragioni è proprio la Commis-sione la prima istituzione dell’Ue che si è dotata di uno strumento

dei consumatori.30 Questo Capo è dedicato alla trattazione del diritto a un ricorso effettivo e a un

giudice imparziale, della presunzione di innocenza e dei diritti della difesa, dei principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene, del diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato.

31 Per completezza va detto che la Carta prevede anche un sesto capo dedicato alle disposizioni generali sull’entrata in vigore della Carta e sulla sua concreta applicazione.

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del genere per poter non solo garantire il rispetto di princìpi che comunque valgono anche per le altre istituzioni, ma anche per comunicare alla cittadinanza il proprio corretto operare. Come si vedrà in seguito, infatti, tra le sfide che l’Unione europea ha do-vuto affrontare negli ultimi dieci anni c’è anche la costruzione di un rapporto di fiducia con la cittadinanza basato sulla trasparenza

e l’inclusione. Come si è sinteticamente esposto, il primo aspetto dei due è stato il centro delle politiche e delle iniziative istituzio-nali fino al Trattato di Lisbona quando si è iniziato a riflettere an-che sulle possibilità ulteriori di inclusione dei cittadini nella vita e nelle decisioni dell’Unione.

Le novità del Trattato di Lisbona per i cittadini europei: l’ini-

ziativa legislativa

Il Trattato di Lisbona ha costituito un passaggio fondamentale nella costruzione della nuova struttura dell’Unione e tra le sue di-sposizioni ha previsto un ampliamento dei poteri di intervento nei processi decisionali per i cittadini europei. Negli ultimi dieci anni, infatti, l’Unione europea è stata oggetto di numerose critiche rela-tivamente al c.d. deficit democratico per cui si presume che l’Ue sia un organismo carente di legittimazione democratica da parte dei suoi cittadini. Tale critica si basa sulla mancata elezione diretta dei rappresentanti europei da parte dei cittadini, legittimati a esprimersi solamente durante le elezioni del PE. Ciò che i sostenitori del deficit democratico, infatti, contestano è la legittimazione delle azioni e della normativa europea, avvertita come eterogenerata rispetto agli ordinamenti nazionali. Tali teorie tuttavia sono facilmente contesta-bili, tanto che si potrebbe pensare che siano più strumentali a certe visioni politiche piuttosto che frutto di una riflessione giuridica. Sul

piano tecnico, infatti, non è difficile rispondere alla critica del deficit democratico europeo, basti pensare alla composizione delle istitu-zioni decisionali dell’Unione: Commissione europea, Parlamento europeo e Consiglio dell’Unione europea.

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Rinviando ad altra sede la trattazione delle procedure decisionali dell’Unione europea, si può affermare che tutte e tre le suddette istituzioni sono democraticamente legittimate dalla cittadinanza eu-ropea seppur con modalità diverse. Tale legittimazione è evidente per il Parlamento europeo, direttamente eletto dal 1979 ma apparen-temente meno chiara per la Commissione europea, titolare del pote-re di iniziativa legislativa e il Consiglio dell’Unione che condivide con il PE il potere decisionale sulle proposte della Commissione. Quest’ultima, infatti, è composta da membri non eletti direttamente dai cittadini, bensì votati dal Parlamento europeo ogni cinque anni entro sei mesi dall’elezione del PE. In particolare, quest’ultimo elegge il Presidente della Commissione su proposta del Consiglio europeo e il presidente della Commissione, una volta eletto, indi-ca i singoli Commissari la cui nomina deve essere approvata dal Parlamento europeo. È quindi evidente che anche la procedura di nomina della Commissione europea si fonda su basi democratiche: il Consiglio europeo che propone le candidature per il presidente della Commissione europea è, infatti, formato dai Capi di Stato e di Governo degli Stati membri eletti a loro volta dai cittadini europei secondo le procedure previste dai singoli ordinamenti nazionali e tali proposte sono votate dal PE. Inoltre, prima di iniziare i propri lavori, l’intera Commissione europea è sottoposta ad approvazione da parte del Parlamento europeo32 che, in ogni caso, anche dopo la nomina dei commissari, può presentare una mozione di censura che assume le caratteristiche tipiche della sfiducia negli ordinamenti

nazionali. Tali previsioni dimostrano che, anche se l’organo titolare dell’iniziativa legislativa non è direttamente eletto dai cittadini, ciò non significa che tale istituzione non sia sottoposta a un controllo e

monitoraggio democratico che è svolto proprio da quel Parlamento eletto direttamente dai cittadini europei.

Questo per quanto riguarda la Commissione. Relativamente al Consiglio dell’Unione europea si può altrettanto sostenere che tutte

32 Va precisato che il Parlamento europeo vota la Commissione europea nel suo insieme, incluso l’Alto rappresentante per gli affari esteri che svolge anche il ruolo di vicepresidente della Commissione.

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le sue decisioni siano legittimate su una forte base democratica in quanto si tratta di un’istituzione composta dai ministri dei singoli Stati competenti per le materie trattate dall’ordine del giorno della sessione. Pertanto si deduce che sia l’unica istituzione a ‘geometria variabile’ in quanto i singoli membri che lo compongono variano a seconda del tema della discussione ma si tratta sempre di rappresen-tanti dei cittadini legittimati democraticamente secondo le procedu-re di nomina previste dai singoli Stati.

Per quanto discutibile, tale critica si è diffusa in Europa con una certa aggressività riuscendo a fornire ai partiti anti-Europa motivazioni pseudo-giuridiche ma comunque convincenti per gran parte dell’opinione pubblica. Tale sentimento anti-europeo ha in-terrogato le istituzioni che fino agli inizi degli anni Duemila ave-vano concentrato i propri sforzi per la proposta e la realizzazione di procedure trasparenti per i cittadini senza tuttavia riuscire a ri-durre la distanza della quale erano accusate. Alla riflessione sulla

trasparenza si aggiunse quindi un ripensamento delle formule di coinvolgimento dei cittadini nel processo decisionale e, nel 2007, si inserì tra le disposizioni del nuovo Trattato sull’Unione europea l’art. 11 lett. 4) che afferma: “I Cittadini dell’Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l’iniziativa d’invi-tare la Commissione europea, nell’ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle qua-li tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell’Unione ai fini dell’attuazione dei trattati”. Tale disposizione ha introdotto

quella che è stata denominata dalla stampa ‘iniziativa legislativa dei cittadini’ anche se il giurista non può precisare che non si tratti di un reale potere di iniziativa legislativa: l’art. 11, infatti, prevede che i cittadini europei possano solamente chiedere alla Commis-sione di attivarsi e iniziare l’iter legis come previsto dalle dispo-sizioni generali. Tale precisazione tuttavia non vuole sminuire la portata della nuova norma che come unico limite alle richieste dei cittadini prevede il rispetto del riparto di competenze tra l’Unione e gli Stati.

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Al fine di attuare tale disposizione è stato emanato il Regolamen-to n. 211 del 16 febbraio 2011 che ha specificato il numero degli

Stati membri e altri dettagli necessari alla formulazione dell’ini-ziativa. Il numero minimo di Stati membri coinvolti deve essere di sette e le firme dei cittadini devono essere raccolte da un ‘comitato

dei cittadini’ composto da almeno sette cittadini europei, ognuno re-sidente in un Paese Ue diverso33. Un punto interessante delle dispo-sizioni del regolamento al fine di mantenere tale diritto come uno

strumento proprio dei cittadini, è l’esclusione delle organizzazioni dalla gestione delle proposte che comunque possono essere suppor-tate e sostenute con campagne e iniziative da parte di associazioni.

Una volta formatosi, il comitato ha un anno di tempo per rac-cogliere le adesioni alla propria iniziativa che, dopo aver raccol-to il milione di firme necessario, sarà inviata alla Commissione.

Quest’ultima ha tre mesi di tempo a disposizione per esaminare il contenuto della proposta e incontrare i membri del Comitato che possono presentare la loro iniziativa anche in un’audizione pubbli-ca di fronte al PE.

Successivamente all’incontro con i rappresentanti del Comitato, la Commissione formula una comunicazione indirizzata ai cittadini contenente la proposta motivata di iniziativa legislativa che intende sostenere e avvia la procedura decisionale ordinaria.

Quest’ultimo passaggio, tuttavia, non è automatico in quanto l’art. 11 Tue non prevede un obbligo in capo alla Commissione di seguire le indicazioni del Comitato dei cittadini che possono essere rigettate o parzialmente accolte, sempre dietro la presentazione di motivazioni.

In conclusione, va rilevato che l’introduzione della proposta di iniziativa dei cittadini non è l’unica ipotesi che il nuovo Tfue pre-vede per sollecitare la Commissione ad attivare la procedura deci-sionale. Il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, infat-ti, prevede che sia il Parlamento europeo che il Consiglio possono

33 Ciascun membro del comitato deve aver raggiunto i 18 anni di età previsti dagli Stati membri per l’esercizio del diritto di voto, eccezion fatta per l’Austria che ne richiede 16.

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chiedere alla Commissione di iniziare l’iter legis: secondo l’art. 225 il PE può chiedere, votando a maggioranza assoluta, alla Commis-sione di presentare “adeguate proposte sulle questioni per le quali reputa necessaria l’elaborazione di un atto dell’Unione ai fini del-l’attuazione dei trattati”. Come per l’iniziativa dei cittadini ex art. 11 n. 4, non vale per la Commissione l’obbligo di eseguire tale ri-chiesta ma solo quello di presentare le motivazioni della mancata presentazione della proposta.

Anche il Consiglio, secondo l’art. 241 Tfue potrebbe richiedere alla Commissione di presentare proposte al PE e al Consiglio del-l’Unione per la loro approvazione e anche in questo caso si tratta comunque di una raccomandazione da parte del Consiglio non vin-colante per la Commissione.

Il rapporto con l’Unione europea: aspettative e proposte dei

cittadini europei

Il 2014 rappresenta un passaggio importante per l’Europa e per il nostro Paese: momenti significativi saranno le elezioni per il Parla-mento europeo alla fine di maggio e la Presidenza italiana del Con-siglio dell’Unione europea che inizierà a luglio. Si tratta di due oc-casioni importanti per il Paese di poter emergere e guidare l’Unione attraverso i suoi rappresentati nel PE e nel ruolo più breve ma an-cora più incisivo di Presidente del Consiglio dei ministri. Pertanto sembra opportuno concludere la breve trattazione sulla cittadinanza europea proprio con una fotografia sintetica del rapporto fra i cit-tadini europei e l’Unione europea di modo da poter confrontare le politiche e le misure finora descritte e messe in campo dall’Unione

e le loro effettive ripercussioni sulla cittadinanza.Si è accennato pocanzi che l’Unione europea negli ultimi venti

anni è stata oggetto di numerose critiche sulla sua legittimazione democratica ed è stata accusata di essere troppo lontana dalle vite dei cittadini che vivono in contesti a volte anche molto diversi tra di loro. Tali critiche da un lato hanno interrogato l’Unione europea

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che si è dotata di nuovi strumenti come quelli previsti dal Trattato di Lisbona sopra citato e, dall’altro, hanno alimentato un sentimento anti-europeo che si è diffuso a macchia d’olio tra i partiti degli Stati membri. Volendo tracciare una mappa della presenza di tale insof-ferenza all’Ue oggi, a pochi mesi dalle elezioni del PE di maggio 2014, emergerebbe un’Europa frammentata che vede l’euroscetti-cismo rappresentato in otto parlamenti nazionali, compresi gli Stati fondatori. In Francia il Fronte Nazionale di Le Pen ha aumentato il proprio bacino elettorale dal 17,9% delle elezioni del 2011 al 24% dei sondaggi di fine 2013, nel Bundestag tedesco le posizioni an-tieuro trovano loro rappresentazione nel partito Alternativa per la Germania di Lucke con il 5%, in Belgio alle elezioni provinciali del 2012 il partito Interesse Fiammingo che chiede l’indipendenza delle Fiandre e l’uscita dall’Unione europea, ha preso il 9% dei voti e alle ultime elezioni olandesi del 2012 il Partito delle Libertà di Wilders ha preso il 10% dei consensi34.

In Italia la situazione non è troppo diversa in quanto il Movi-mento 5 Stelle (25,5%) chiede che venga indetto un referendum sulla possibilità di uscire dall’area euro e il partito della Lega Nord (4,1%) rivendica un ruolo maggiore delle Regioni italiane nel pro-cesso decisionale dell’Ue.

Posizioni simili sono rintracciabili anche in altri Paesi dell’Ue come l’Irlanda, l’Austria e il Regno Unito, dove alle ultime elezioni del 2013 lo United Kingdom Independence Party ha raggiunto il 23%. Risultati meno consistenti ma comunque segni di una forte insofferenza nei confronti dell’Unione europea sono stati espressi quasi contemporaneamente anche nelle elezioni regionali austriache del 2013 quando le posizioni di Stronach hanno raccolto il 9% dei voti mentre l’euroscetticismo irlandese aveva già avuto modo di pa-lesarsi in occasione della ratifica del Trattato di Lisbona alla quale si

oppose il partito Libertas che nel 2009 aveva preso il 5,6%.Questo è il quadro della rappresentazione del sentimento anti-eu-

ropeo nelle assemblee parlamentari ma sarebbe riduttivo sminuire le relazioni tra la cittadinanza e l’Unione con le sole espressioni

34 Fonte: ilfattoquotidiano.it del 3 gennaio 2014.

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dell’insofferenza e dell’intolleranza di alcuni gruppi, pur trattandosi di un sentimento in crescita. Per tentare, quindi, di ricostruire un quadro completo della cittadinanza europea oggi è interessante ri-portare anche i dati dell’Eurobarometro relativi al sondaggio sulla percezione dell’Unione europea da parte dei cittadini, svolto tra il 7 e il 23 giugno 201335.

Nel sentire comune dei cittadini europei le libertà di circolazione e la pace tra gli Stati membri costituiscono i risultati più positivi dell’integrazione europea e, nonostante le forme di euroscetticismo sopra riportate, si tratta di un dato in crescita poiché nel giro di un anno il 52% dei cittadini che riteneva le libertà di movimento la mi-gliore conseguenza dell’adesione all’Ue è arrivato al 56% e il 50% che considerava la pace come l’obiettivo europeo più importante e riuscito, è aumentato di tre punti. Al terzo posto circa un quarto dei cittadini (24%) ritiene che il migliore risultato dell’Unione sia l’eu-ro e in questo caso, forse a causa della persistente crisi finanziaria,

il numero di persone convinte che l’unione monetaria sia necessaria per l’Europa è diminuito di un punto rispetto al 2012. Se rispet-to all’anno precedente il segno è negativo, non significa però che

debba essere interpretato come un segnale di maggiore sfiducia nei

confronti dell’euro in quanto da un lato si tratta solo di un punto e, in secondo luogo, se la politica enti-euro fosse stata davvero con-vincente tra la cittadinanza, allora il dato si sarebbe ulteriormente abbassato anche a causa della crisi perdurante dal 2008.

Da questi primi dati sembra emergere una cittadinanza quindi abbastanza diversa rispetto a quella raccontata da alcune frange po-litiche che la vorrebbero particolarmente insofferente e insoddisfat-ta. Anche in relazione al suo senso di identità, la maggioranza degli europei, infatti, dichiara di sentirsi sempre più legata sia a quella na-zionale che a quella europea (49%, sei punti in più rispetto al 2012) e la percentuale dei cittadini legati solamente all’identità nazionale è scesa dal 44% al 38%. Nonostante le difficoltà e le sfide che si sono

35 Il sondaggio di cui si riportano i dati è “A un anno dalle elezioni europee del 2014” che fa seguito al precedente “A due anni dalle elezioni europee del 2014”. Hanno partecipato al sondaggio 27624 cittadini europei.

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presentate negli ultimi dieci anni, il 44% degli intervistati ha dichia-rato inoltre di sentirsi “più europeo di prima” un dato rincuorante rispetto al 27% di coloro che invece si sentono delusi dal processo di integrazione europea. Si tratta di un’immagine tutto sommato po-sitiva che però, se incrociata con altri dati sul sentimento di attacca-mento dei cittadini all’Unione europea, verrebbe ridimensionata in quanto i cittadini europei si sentono ancora legati prevalentemente ai propri Stati nazionali. La comunità di riferimento per la maggior parte degli europei ha ancora una dimensione fortemente glocale: i cittadini europei, infatti, si dichiarano in primis legati al proprio Stato (91%), poi al proprio paese/città (88%), alla regione (88%) e solo per il 48% all’Unione europea36.

Sembra tuttavia che le ragioni di tale attaccamento al proprio Paese debbano essere ricondotte non tanto a sentimenti di intol-leranza nei confronti degli altri Stati membri ma probabilmente i cittadini europei ancora necessitano di tempo per metabolizzare e interiorizzare una dimensione sovranazionale di così recente intro-duzione e sui generis come quella della cittadinanza europea. In generale, infatti, più di sette europei su dieci pensano che “ciò che ci accomuna” sia più importante di “ciò che ci separa”, indicando chiaramente come il sentimento nei confronti dell’Unione non sia inquinato dai campanilismi.

Relativamente all’integrazione europea invece, l’immagine che emerge dai dati dell’Eurobarometro è di una cittadinanza comples-sivamente soddisfatta del percorso svolto finora e proiettata verso

un futuro comune. In generale, infatti, la metà degli intervistati ha dichiarato che essere parte dell’Ue sia un bene per il proprio Paese mentre i restanti si sono divisi tra un 31% di cittadini che ritiene che far parte dell’Unione non sia né un bene né un male e un 17% che invece assume posizioni totalmente pessimiste.

Meno positiva invece è la valutazione dell’inclusione dei cit-tadini nella fase di formulazione delle politiche e delle normative

36 Va comunque segnalato che anche in questo caso il dato di appartenenza all’Unione europea mostra un segno positivo di crescita se confrontato con il 46% del 2012.

35Rivista di Studi Politici - S. Pio V

europee in quanto solo il 39% degli intervistati ritiene che la “pro-pria voce sia ascoltata” in Europa, dato che nel 2012 era invece del 42%. Le ragioni per tale risposta potrebbero essere due: da un lato le campagne anti-Europa di cui si è parlato potrebbero aver convin-to, anche in modo superficiale, parte della popolazione, dall’altro si

potrebbe pensare che le previsioni del Trattato di Lisbona mirate al potenziamento dell’inclusione dei cittadini nell’Unione sono recen-ti e ancora necessitano di tempo per essere comprese e conosciute appieno. Nonostante la diminuzione del dato percentuale rispetto al 2012, infatti, altri dati confermano invece una seppur tiepida fiducia

degli europei nelle istituzioni dell’Unione in quanto il 62% degli in-tervistati ritiene che la voce del Paese di appartenenza sia ascoltata in Europa. Per meglio partecipare alla vita dell’Unione, i cittadini intervistati ritengono che l’esercizio del diritto di voto sia il primo modo (57%) per riuscire a rappresentare la propria posizione nel processo decisionale mentre, forse per le ragioni suddette, solo il 20% degli intervistati ritiene di voler utilizzare il diritto di iniziativa per esprimere la propria voce. C’è una richiesta forte di voler par-tecipare all’Unione sempre più attivamente: il 42%, infatti, ritiene che sempre di più i cittadini saranno coinvolti negli affari europei37 ed è importante registrate tale atteggiamento anche in vista delle elezioni 2014.

Si tratta quindi di una cittadinanza che da un lato si propone in-teressata all’Unione europea, dall’altro chiede all’Unione un inter-vento concreto in settori fondamentali della vita dei cittadini. Più della metà degli intervistati ritiene che il settore di azione più rile-vante dei prossimi anni sia l’impiego (55%), interesse che trova un suo parallelismo anche nelle risposte dei cittadini italiani (51%).

Gli italiani non presentano posizioni particolarmente divergenti rispetto agli altri europei eccezion fatta per il potenziamento delle politiche giovanili e della crescita economica, alle quali dedicano una maggiore attenzione. Il 29% degli europei ritiene, infatti, che l’accesso dei giovani al mondo del lavoro debba essere una delle prossime sfide dell’Unione e tale dato sale al 32% tra gli italiani

37 Il dato scende al 32% nel caso degli intervistati italiani.

36 Anno XXVI - Gennaio/marzo 2014

mentre solo il 18% della media europea considera la crescita econo-mica tra le priorità dei prossimi dieci anni, percentuale che sale al 25% tra gli italiani.

Conclusioni

La cittadinanza europea ha costituito un importante passaggio nel processo di integrazione europea in quanto strumento di coe-sione concreta tra i cittadini degli Stati membri finora legati soprat-tutto da vincoli giuridici, politici o economici. Da un punto di vista più prettamente sociale, l’introduzione della cittadinanza europea con i suoi diritti ha reso possibile l’avvicinamento reale dei citta-dini europei, dando un significato concreto al motto europeo “uniti

nella diversità”, presentando loro le differenze ma anche le basi comuni.

Su un piano giuridico invece la cittadinanza europea costituisce un caso ancora più interessante in quanto rappresenta un unicum nello scenario internazionale: nessun altro tipo di organizzazione internazionale, infatti, attribuisce ai cittadini degli Stati membri uno status simile. Come si è cercato di esporre precedentemente, la citta-dinanza europea attribuisce diritti direttamente in capo alle persone fisiche con i requisiti suddetti senza che ci sia un’intermediazione

degli Stati i quali devono agire positivamente per la realizzazione di tali diritti e non possono interferire sulla loro attribuzione38.

Un ulteriore punto rilevante relativo alla cittadinanza europea è la sua capacità di evolversi e migliorarsi in quanto il catalogo pre-sentato a Maastricht è da considerarsi aperto a inglobare nuove di-sposizioni come già successo con la Carta di Nizza. È probabile che non si assisterà nei prossimi anni a un ampliamento radicale dei di-

38 Sulle caratteristiche tipiche che distinguono la cittadinanza europea da ogni altro tipo di cittadinanza nazionale si vedano: P. Gargiulo, Le forme della cit-

tadinanza: tra cittadinanza europea e cittadinanza nazionale, Ediesse, Roma 2012; F. Strumia, La duplice metamorfosi della cittadinanza in Europa: da

cittadinanza sedentaria a cittadinanza itinerante: da cittadinanza sociale a

cittadinanza economica, Jovene, Napoli 2013.

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ritti della cittadinanza europea anche se piccoli spiragli di probabili evoluzioni sono ravvisabili almeno nel settore della pubblica ammi-nistrazione europea inaugurato a Nizza e nel campo dell’inclusione dei cittadini nel processo decisionale.

Tra le ipotesi di sviluppo del concetto di cittadinanza europea, meriterebbe una riflessione particolare l’opportunità di inserimento

di un catalogo di doveri in capo ai cittadini, elemento tipico di ogni tipo di cittadinanza nazionale ma assente in quella dell’Unione. Per tale ragione si potrebbe parlare di una cittadinanza univoca o ‘a sen-so unico’ volendo sottolineare come il legame tra Unione e cittadi-ni sia sorretto solamente dalle prestazioni positive delle istituzioni europee nei confronti dei cittadini sui quali non gravano obblighi specifici. In realtà a ben guardare si potrebbe scorgere anche un ca-talogo preciso di doveri in capo ai cittadini, vincolati al rispetto del-le norme nazionali sulla cittadinanza, violate le quali perderebbero la cittadinanza dello Stato e dell’Ue.

Queste riflessioni sul progresso della cittadinanza sono solo ipo-tesi su un futuro probabilmente non prossimo dell’Unione che inve-ce è chiamata a confrontarsi a breve con il voto dei cittadini tra il 22 e il 25 maggio 2014.

Come su detto, l’Europa oggi è turbata da forti sentimenti anti-europei tuttavia l’euroscetticismo non può rappresentare la risposta alle crisi che ha dovuto e continua a dover affrontare l’Unione euro-pea: l’euroscetticismo, insieme con l’anti-politica, sono elementi di-struttivi che minacciano non solo il corretto funzionamento dell’Ue ma anche quello dei Parlamenti, dei Governi e delle comunità. Il processo dell’integrazione europea, infatti, non può che proseguire coeso e compatto, soprattutto in un contesto globalizzato e agitato da crisi finanziarie ed economiche di dimensioni mondiali. Anche

i dati dell’Eurobarometro hanno dimostrato come effettivamente anche la maggior parte della cittadinanza chieda un maggior ruolo dei cittadini europei al fine di rendere l’Unione una realtà sempre

più viva e produttiva che possa creare una dimensione promotrice dei diritti umani e rispettosa delle aspettative dei cittadini che, a un passo dalle elezioni del PE, chiedono maggiori tutele e garanzie

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nel e per il mercato del lavoro e più agevolazioni per l’avviamento professionale dei giovani.

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