internet studies e metodologie di ricerca: uno sguardo di insieme

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VITA E PENSIERO

Università

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a cura di

SIMONE TOSONI

Nuovi media ericerca empiricaI percorsi metodologicidegli Internet Studies

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Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dal-l’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633.Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico ocommerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essereeffettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso diPorta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail: [email protected] e sito webwww.aidro.org

© 2010 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 MilanoISBN 978-88-343-2023-5

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INDICE

Prefazione di 7

SIMONE TOSONI

Internet Studies e metodologie di ricerca: uno sguardo di insieme 11

NICOLETTA VITTADINI

Addomesticare le nuove tecnologie 39

LUCA BARRA - MATTEO TARANTINO - SIMONE TOSONI

Etnografi a virtuale e convergenza: spazi, tempi, discorsi e pratiche della TV sul web 63

MARIA FRANCESCA MURRU

La politica in Rete: culture civiche connesse tra rappresentanza e partecipazione 91

MATTEO VERGANI

‘Folksonomy’ nel web, tra utopia e realtà 115

VALENTINA PARUZZI

Percorsi del ‘digital marketing’ 139

Bibliografi a 163

Gli Autori 179

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Prefazione

Il presente volume ha come scopo quello di fornire al lettore una serie di strumenti che lo supportino nell’acquisizione della sensibilità meto-dologica necessaria all’analisi del web e dei nuovi media. Per tale obiet-tivo non è suffi ciente, in sé, una presentazione dettagliata del ‘funziona-mento’ dei differenti approcci metodologici cui si è fatto e si fa ricorso nell’ambito degli Internet e New Media Studies. Per chi oggi è chiamato in prima persona a svolgere ricerca sui nuovi media (si tratti di ricerca accademica o di ricerca amministrativa) è infatti imprescindibile una specifi ca competenza nel saper riadattare, rimodellare e a volte reinven-tare gli strumenti di cui dotarsi per leggere il proprio oggetto di analisi: e ciò, per la natura stessa dei nuovi media, in costante e accelerata tra-sformazione e imbrigliati all’interno di pratiche e processi sociali sem-pre più numerosi e diversifi cati. In questo senso, il laboratorio metodo-logico degli Internet e New Media Studies appare come un cantiere in perenne costruzione: ciò che di meglio ha da offrire non è solo, o non è tanto, un repertorio di tecniche di analisi da selezionare e utilizzare in funzione delle proprie necessità, quanto invece una serie di indicazioni su come riconfi gurare e mettere a punto i propri strumenti di indagine in funzione di specifi ci obiettivi conoscitivi. A tale scopo occorre però interrogarlo facendo un sistematico sforzo di contestualizzazione: si trat-ta infatti di chiarire le differenti modalità con cui tale operazione è stata svolta nelle diversi fasi del percorso disciplinare, gli scenari in cui essa ha avuto luogo, i problemi di ordine teorico e operativo che i ricercatori si sono trovati a risolvere, e i punti di forza e di criticità che si sono accom-pagnati alle differenti scelte. È solo in tal modo infatti che è possibile appropriarsi di una vera e propria ‘esperienza disciplinare’, che sia in grado di orientare chi oggi si occupa di nuovi media nella defi nizione dei propri strumenti di indagine empirica.

Quello che si propone, nel primo saggio del volume1, è così un modello orientativo per ‘leggere’ le metodologie e i loro percorsi disci-

1 Cfr. infra il saggio di Tosoni.

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plinari: come si illustrerà nel dettaglio, la proposta è quella di ricondur-le ai quadri teorici di riferimento e agli specifi ci approcci dall’interno dei quali sono state mobilitate, alle differenti confi gurazioni di volta in volta assunte dall’oggetto di studio e a fattori di ordine contestuale, che contribuiscono a direzionare i percorsi disciplinari (e di conseguenza le tecniche di analisi). Quella che si postula tra i quattro elementi di tale schema è una relazione complessa, per la quale ogni elemento è in rap-porto bidirezionale con tutti gli altri, contribuendo a modellarli nello stesso momento in cui ne risulta modellato. Lo schema è dunque utiliz-zato come criterio guida per una ricognizione della storia degli Internet e New Media Studies: ricognizione che porterà a riconoscere, come si mostrerà, tre grandi fasi disciplinari, e che permetterà di segnalare alcu-ne delle tendenze (e dei motivi di problematicità) che caratterizzano la ricerca contemporanea sui nuovi media.

Gli altri saggi che compongono il volume, che ha un intento unita-rio, sono dedicati ciascuno all’approfondimento di una particolare linea di ricerca del campo disciplinare.

I due saggi a seguire propongono infatti uno sguardo più ravvicinato sugli approcci empirici alla domestication e all’appropriazione delle nuo-ve tecnologie di comunicazione, e agli scenari della convergenza media-le2: si tratta infatti dei due settori principali in cui si articolano oggi gli studi sui nuovi media, e in cui si osserva dunque una più vivace rifl essio-ne metodologica. Gli interventi presentano una simile struttura: dopo un inquadramento del tema di tipo teorico-metodologico, mostrano più dettagliatamente un caso concreto di ricerca empirica cui gli autori han-no preso parte in prima persona, per mostrare il funzionamento degli strumenti di analisi scelti e le operazioni di riadattamento che si sono rese necessarie.

Anche i restanti tre saggi presentano la medesima struttura. Il pri-mo, dedicato alla politica sul web3, affronta le traiettorie evolutive di un fi lone di indagine che, per la propria continuità, permette di ben inqua-drare il complesso rapporto tra impostazioni teoriche di riferimento e strumenti di analisi. Gli ultimi due saggi, dedicati rispettivamente al Web 2.0 (e in particolare al tema della folksonomy, il sistema di catalogazio-ne di contenuti ‘dal basso’ tipico degli scenari attuali) e al marketing digitale4, permettono invece di illuminare due settori dove la ricerca, e suoi strumenti, non sono solo chiamati ad adattarsi alle specifi cità del proprio oggetto, ma dove con maggiore evidenza contribuiscono essi

2 Cfr. infra i saggi di Vittadini e di Barra - Tarantino - Tosoni.3 Cfr. infra il saggio di Murru.4 Cfr. infra i saggi di Vergani e di Paruzzi.

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stessi a rimodellarlo: postulare una relazione bidirezionale tra tutti gli elementi del modello orientativo proposto signifi ca infatti suggerire un ruolo attivo della ricerca nel dare forma all’attuale panorama mediale, contribuendo in modo più o meno diretto alle direzioni del suo svilup-po. Spostando il quadro teorico di riferimento dalla ricerca accademica degli Internet e New Media Studies al marketing digitale, l’ultimo saggio permette anche di rendere conto di come i nuovi media sono letti attra-verso le lenti di una disciplina per molti versi affi ne ma non sovrapponi-bile, come pure del fi tto interscambio esistente tra i differenti imposta-zioni teoriche e metodologiche.

Il volume che qui si propone deriva dall’esperienza del «Seminario di tecniche di ricerca per i nuovi media», tenuto nell’ambito della laurea magistrale Comunicazione per l’impresa, i media e le organizzazioni complesse dell’Università Cattolica di Milano, cui gli autori hanno a diverso titolo preziosamente contribuito con le proprie specifi che com-petenze. I ringraziamenti di chi l’ha curato vanno, oltre che agli autori stessi, a Mauro Magatti, preside della facoltà di Sociologia, che ha ritenu-to che il lavoro svolto in quella sede meritasse di prende la forma della pubblicazione. Un vivo ringraziamento va anche a Michela Pistidda, che si è fatta carico della revisione delle bozze e della minuziosa uniforma-zione dei differenti interventi selezionati.

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SIMONE TOSONI

Internet Studies e metodologie di ricerca: uno sguardo di insieme

1. Leggere le metodologie

Per comprendere le traiettorie attraverso le quali una serie di metodolo-gie di analisi viene messa a punto, sperimentata o riadattata all’interno di un campo disciplinare, è necessario leggerle perlomeno alla tripli-ce luce del paradigma interpretativo – o dei paradigmi interpretativi – all’interno del quale vengono utilizzate, dell’oggetto cui esse si applica-no e dei modi in cui il contesto sociale contribuisce a dare forma all’in-contro tra paradigmi interpretativi e oggetti di ricerca.

Innanzitutto, infatti, un paradigma interpretativo inquadra un oggetto a partire da un particolare punto di vista, leggendolo alla luce dell’appa-rato concettuale generale di una disciplina, e di quello più specifi co che costituisce – assieme a una precisa serie di potenziali interessi conoscitivi e di ipotesi interpretative – la peculiarità del paradigma interpretativo stesso. Così, ad esempio, a un livello generale psicologia e sociologia leggeranno in modo differente un medesimo oggetto, nel nostro caso la Rete, selezio-nandone come rilevanti aspetti diversi e specifi ci. Allo stesso tempo, pur all’interno di un comune quadro concettuale generale di ordine sociolo-gico, paradigmi interpretativi di ordine meso o micro (attenti ad esempio alle forme di interazione on line, o alle problematiche relative alle moda-lità d’uso dei nuovi media) si distingueranno da paradigmi di ordine più macro (attenti ad esempio al rapporto tra Rete e forme sociali, o tra Rete e disuguaglianze sociali), come pure si distingueranno tra loro approcci ispi-rati a differenti correnti specializzate della disciplina di riferimento (per la sociologia, ad esempio, struttural-funzionalismo, interazionismo simbolico, fenomenologia ecc.). Ciascuna disciplina, e ciascuno specifi co paradigma interpretativo, tenderanno così a selezionare come maggiormente compa-tibili uno specifi co set di metodologie e tecniche di ricerca empirica1, come

1 In questa sede, defi niamo approccio metodologico l’insieme coordinato di una serie di specifi che scelte – o tecniche – metodologiche di ricerca. Così, ad esempio, l’etno-grafi a costituisce un approccio metodologico, mentre le differenti modalità di costru-zione del campo etnografi co rappresentano alcune tra le sue specifi che tecniche.

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pure una serie di strategie di riadattamento di metodologie di analisi già sperimentate su altri oggetti – o all’interno di altre discipline/paradigmi interpretativi.

Quanto detto a proposito di disciplina (o discipline) di riferimento, paradigmi interpretativi e metodologie di ricerca sta a indicare come questi, congiuntamente, contribuiscano a ‘costruire’ il proprio oggetto, delimitandone i confi ni, selezionando come pertinenti alcuni suoi tratti e aspetti e tralasciandone degli altri, e applicandogli specifi che metodo-logie e tecniche di lettura. L’oggetto però trascende tale operazione di costruzione: senza voler entrare in questa sede nel dibattito sul costrut-tivismo, basti segnalare come, se ciascun oggetto risulta interrogabile secondo punti di vista plurali, e attraverso le differenti metodologie asso-ciate a ciascuno di essi, esso non risulta interrogabile in modo pertinen-te da tutti i punti di vista, e attraverso qualsivoglia approccio o tecnica metodologica. Così ciascun oggetto, con le proprie specifi cità, contribu-irà a sua volta a selezionare, o a orientare, la sperimentazione e il riadat-tamento delle metodologie attraverso cui lo si interroga dall’interno di particolari paradigmi interpretativi. Per quanto riguarda la Rete quale oggetto di analisi, giocano tale ruolo tutte le caratteristiche del medium quale apparato socio-tecnico: ossia, da una parte, le caratteristiche tec-nico-operative della Rete nelle diverse fasi della sua storia (tanto quelle relative all’hardware quando quelle inscritte nel software); e, dall’altra, le sue caratteristiche come sistema «socio-economic[o] di utilizzo [...] [di tali] tecnologie [...] [ossia quale sistema formato] sia dagli attori sociali (i professionisti che lavorano con vari ruoli alla produzione e alla distribuzione, ma anche gli utenti-consumatori), sia da regole che nulla hanno a che vedere con lo sviluppo tecnico in se stesso, ma che possono dipendere da più generali condizioni storiche e di contesto»2.

2. Internet Studies e approcci metodologici: per uno sguardo d’insieme

Per quanto riguarda il settore disciplinare dei cosiddetti Internet Stu-dies, ossia dei Media Studies dedicati alla Rete, dare avvio a una rifl es-sione metodologica complessiva a partire dal triplice problema di meto-dologie e quadri interpretativi, metodologie e oggetti di analisi e meto-dologie e contesti sociali risulta un’operazione alquanto problematica: e ciò, a causa di una serie di caratteristiche che hanno accompagnato il campo disciplinare in tutto l’arco della sua storia, e che per alcuni versi continuano ad accompagnarlo. Se consideriamo come parte integrante

2 Colombo (2003), p. 17.

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degli Internet Studies anche i primi approcci di taglio umanistico alla Computer-Mediated Communication, che risalgono già alla fi ne degli anni Settanta3, questi vanno oggi a concludere, nel loro complesso, il terzo decennio della propria storia: in questi trent’anni il campo discipli-nare si è dimostrato fertile e vivace tanto per la molteplicità degli oggetti analizzati, quanto per la pluralità delle discipline e dei paradigmi inter-pretativi mobilitati, quanto – infi ne – per la diversità delle metodologie di ricerca impiegate e sperimentate.

Vivace in quanto a oggetti di ricerca, innanzitutto: nonostante non siano infatti mancati interventi di carattere principalmente speculativo e fi losofi co4, nella maggior parte dei casi gli Internet Studies hanno ela-borato i propri quadri teorici a partire da un serrato confronto analitico con casi e scenari concreti, caratterizzandosi in tutto l’arco della propria storia per il forte ancoraggio empirico. Tale ancoraggio si è tradotto, nonostante più di un caso di colpevole ritardo, nello sforzo da parte dei ricercatori di mantenere aggiornata la propria agenda di ricerca, rinno-vando costantemente gli oggetti al centro dell’attenzione disciplinare. Così, man mano che i nuovi strumenti di comunicazione telematica si sono succeduti, o affi ancati, l’uno all’altro, gli studiosi dei media digi-tali hanno spostato la propria attenzione dalle prime forme di CMC alle BBS e ai newsgroup, dalle chat di IRC all’e-mail, dai MUD e MOO agli MMORPG, dalle pagine web ai blog (specie personali, politici o informa-tivi). Oggi, quando tale tentativo ha preso ormai la forma di una vera e propria corsa a mantenere il passo segnato dal ritmo sempre più serrato dell’evoluzione tecnologica (un punto su cui torneremo5) l’agenda di lavoro dei ricercatori risulta aggiornata agli scenari della comunicazione visuale, del Web 2.06, come pure dell’Internet mobile, dei servizi basati sulla geolocalizzazione e dei social network.

Il campo di studi si è rivelato particolarmente vivace, in secondo luo-go, anche per le discipline e i quadri interpretativi mobilitati per approc-ciare la Rete. Allo sguardo della psicologia e della psicologia sociale, che hanno largamente egemonizzato la fase aurorale degli studi sulla CMC, si sono presto affi ancati, nel corso degli anni Ottanta, quelli dell’antro-

3 Cfr. ad esempio Hiltz - Turoff (1978), Nelson (1982), Kiesler - Siegel - McGuire (1984), Rice (1984) e Van Gelder (1985).4 Per quanto riguarda gli anni Novanta, è il caso ad esempio dei lavori di Pierre Lévy e di Thomas Maldonado, autori considerati emblematici di posizioni rispettiva-mente tecno-utopiche e tecno-scettiche. Cfr., tra gli altri lavori dei due autori, Lévy (1997) e Maldonado (1997).5 Cfr. infra, par. 3.4. 6 Per un’overview iniziale, cfr. ad esempio Beer - Burrows (2007).

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pologia, della sociologia, della linguistica e della semiotica, ma anche della fi losofi a e della teoria della complessità. Allo stesso modo sono sta-ti plurali – e non sempre compatibili – i paradigmi interpretativi con i quali, dall’interno di ciascuna disciplina, i ricercatori hanno inquadrato e interpretato il dato empirico, ad arricchire e complessifi care un pano-rama disciplinare già assai articolato. Nonostante il dialogo interno al campo di studi sia così risultato spesso diffi coltoso, questo ne è comun-que emerso come marcatamente multidisciplinare.

In terzo luogo, e infi ne, a tale ricchezza di oggetti e di quadri disci-plinari ha corrisposto una altrettanto vivace pluralità degli approcci di ricerca empirica sperimentati, tanto di tipo quantitativo quanto di tipo qualitativo, tanto utilizzati isolatamente, quanto triangolati tra loro. Come vedremo, tra le metodologie utilizzate più sistematicamente, l’ap-proccio empirico-sperimentale e quello etnografi co, differentemente declinati, sono quelli che sono riusciti a tracciare una più stabile linea di continuità disciplinare, e ad attivare di conseguenza una più sistematica rifl essione metodologica.

Se tale triplice ricchezza ha senza dubbio costituito una potenziale risorsa per la disciplina, va però anche segnalato come tale risorsa sia spesso risultata diffi cilmente valorizzabile, quando non abbia addirittu-ra rischiato di rovesciarsi nel proprio opposto: in un limite o comunque in un motivo di diffi coltà. E ciò, a causa di una quarta caratteristica che ha anch’essa accompagnato la disciplina in tutto l’arco della sua storia: si tratta della diffi coltà a elaborare un discorso compiutamente metadi-sciplinare, uno sguardo d’insieme in grado di mettere ordine all’interno della ‘triplice vivacità’ di cui si è detto. Non che tali tentativi siano del tutto mancati in differenti fasi della storia disciplinare, ma assai di rado essi sono riusciti a disegnare una sorta di mappa comune a partire dalla quale i ricercatori potessero non solo orientarsi, ma anche entrare in dialogo sistematico.

Basti ad esempio pensare – a un primo e più basilare livello – ai ten-tativi di articolare, perlomeno per macrofasi, una storia della disciplina, quale necessaria precondizione per guadagnare uno sguardo rifl essivo sul suo presente. Proposte in tal senso non sono certo mancate: si pensi ad esempio al contributo, per molti versi prezioso, dato a più riprese dalla rivista «New Media and Society», la cui linea editoriale si è da sem-pre dimostrata sensibile alle questioni metadisciplinari7. Tali tentativi, più che tracciare mappe di insieme, hanno però in genere cercato di rendere conto delle specifi cità di un presente disciplinare di cui si per-

7 Cfr. ad esempio Tae Kim - Weaver (2002), Wellman (2004), Schneider - Foot (2004) e Wakeford (2004).

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cepiva lo scarto rispetto a un passato più o meno immediato: percezione che risultava il più delle volte ridursi alla registrazione di un rinnova-mento degli oggetti nell’agenda di ricerca della disciplina, intendendo con ‘oggetti di ricerca’ nuovi sistemi tecnici di interazione (o, più rara-mente, nuove tematiche) da esplorare empiricamente. E il medesimo appunto può essere mosso anche ai più sporadici tentativi di tracciare ricostruzioni storiche complessive della disciplina: quand’anche tali ten-tativi siano riusciti a acquisire un suffi ciente livello di consenso da parte dei ricercatori, diffi cilmente sono risultati articolare proposte più com-plesse di una mappatura del campo disciplinare scandita per fasi ‘tema-tiche’, ossia per fasi scandite dalla centralità di temi o oggetti di ricerca diversi (emblematica in tal senso la citatissima, seppur datata, proposta di suddivisione degli Internet Studies in tre fasi avanzata da David Silver nel 20008), senza riuscire ad articolare rifl essioni metadisciplinari più consapevoli a livello teorico o metodologico.

Ancor più problematica appare poi la situazione di quella che Theo Röhle defi nisce ‘rifl essione metateorica’: si tratta della rifl essione relati-va alle diverse modalità – e ai limiti – con cui sono stati mobilitati, dall’in-terno delle diverse discipline, specifi ci paradigmi interpretativi con cui approcciare Internet e i media telematici. Ed è lo stesso Röhle, nell’in-tervento in cui dà avvio a tale rifl essione9 ricostruendo le linee evolu-tive di alcuni tra i meno intermittenti degli approcci alla Rete (quello habermasiano10 e quello foucaultiano, in particolare), a denunciare la rifl essione metateorica come sostanzialmente disertata.

È proprio alla luce di tali caratteristiche (di tali punti di forza, ma anche e soprattutto di tali motivi di criticità) che risulta diffi cile, come si anticipava, articolare all’interno del campo disciplinare una rifl essione metodologica di insieme, sia pure per fasi e sommi capi. Tale tentativo deve infatti prendere le mosse da uno sforzo di mappatura del campo

8 Cfr. Silver (2000). Secondo Silver alla fase della Popular Cyberculture – caratteriz-zata da una ‘natura descrittiva’, dall’opposizione tra ‘letture distopiche’ e ‘letture utopiche’ e dal taglio marcatamente giornalistico – succederebbero i Cyberculture Studies – caratterizzati dall’attenzione ai temi della Comunità Virtuale e dell’iden-tità, e dall’‘infl usso’ delle discipline accademiche. Questi ultimi, al momento del-la stesura dell’articolo, sarebbero stati in via di superamento da parte dei Critical Cyberculture Studies, divisi in 4 aree tematiche: interazioni on line, discorsi digitali, accesso e impossibilità di accesso a Internet, design dell’interfaccia del cyberspazio.9 Röhle ritiene in particolare non più procrastinabile la rifl essione in merito a tre questioni chiave: quella relativa al potere, alle forme di razionalità, e ai principi di limitazione di pertinenza di ricerca e teoria. Cfr. Röhle (2005).10 Per uno sguardo più approfondito sull’approccio habermasiano alla politica in rete, cfr. infra il saggio di Murru.

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disciplinare che segua criteri più complessi rispetto alla semplice enu-merazione degli oggetti di ricerca di volta in volta più praticati, per arri-vare a rendere conto delle differenti confi gurazioni assunte, nell’arco del percorso del campo di studi, dalle relazioni complesse tra oggetti, quadri disciplinari e interpretativi, caratteristiche contestuali e ovvia-mente opzioni metodologiche, secondo lo schema proposto nel primo paragrafo.

A tale scopo, proporremo una periodizzazione disciplinare che tenti di rendere conto di tali confi gurazioni a partire da elementi contestuali di ordine simbolico: ossia, a partire dalle metafore11 attraverso le quali, in modo più o meno rifl essivo, i ricercatori hanno letto la Rete12.

3. Le tre fasi (più una) degli Internet Studies

Qualora si considerino contemporaneamente i principali paradigmi interpretativi mobilitati all’interno degli Internet Studies, i particolari gruppi di oggetti e di tematiche affrontate empiricamente, i differenti contesti in cui ha trovato luogo la produzione del discorso disciplinare (intendendo ‘contesto’ tanto in senso socio-strutturale, quanto in senso socio-simbolico), e le scelte metodologiche che sono entrate in rappor-to con tali elementi, quelle che sembrano emergere sono tre grandi e distinte fasi disciplinari. Tra queste, l’ultima e più recente oggi caratte-rizzandosi per una serie di tensioni e tendenze per molti versi inedite (e che meritano dunque una specifi ca attenzione).

Nella prima fase – che va dagli anni Settanta, quando si inaugura la ricerca di taglio umanistico sulla CMC (in particolare di taglio psicologico e socio-psicologico) ai primi anni Novanta13 – la Rete (o meglio, il medium telematico) è pensato essenzialmente come un canale in grado di generare effetti sugli scambi comunicativi veicolati e, a partire da questi, sui compor-

11 Sul ruolo cognitivo ed epistemologico della metafora, cfr. Lakoff - Johnson (2003). 12 La proposta che qui presentiamo risulta compatibile con quella avanzata in Tosoni (2004), della quale costituisce tanto un aggiornamento ai percorsi disciplinari degli ultimi anni, quanto un approfondimento in direzione delle coordinate di rifl essione metadisciplinare delineate al paragrafo 1 del presente saggio.13 In realtà, approcci di taglio psicologico e socio-psicologico riconducibili a que-sta prima confi gurazione risultano essere stati praticati per tutti gli anni Novanta e fi nanche nel presente decennio, nonostante una loro progressiva marginalizza-zione. Per quanto riguarda i più recenti percorsi degli approcci riconducibili alla psicologia sociale e alla psicologia, e la loro fuoriuscita rispetto a questa prima confi -gurazione, cfr. la ricostruzione proposta da Carlo Galimberti in Galimberti (2010).

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tamenti degli utenti (ad esempio, quelli relativi alla scelta d’uso delle tec-nologie o all’interazione tra utenti). Si tratta, in questa fase, di prevedere tali effetti per meglio governarli in fase di implementazione delle nuove tecnologie della comunicazione all’interno di imprese e organizzazioni. L’approccio metodologico principale è così l’approccio empirico-speri-mentale – in laboratorio con il gruppo di controllo –, cui si affi anca anche, sebbene in modo meno sistematico, quello empirico sul campo.

La seconda fase, che dura per tutti gli anni Novanta, è caratterizzata da una radicale trasformazione della metafora attraverso la quale i ricer-catori pensano alla Rete: ora essa non è più concepita come un canale, ma essenzialmente come un luogo (il cyberspazio), uno spazio sociale abi-tato in grado di ospitare pratiche e addirittura culture tipiche della Rete. Quello centrato sulla metafora spaziale è un immaginario che ha origini marcatamente extra-accademiche (si pensi alla fantascienza e alla divul-gazione giornalistica, in primo luogo), e che il discorso accademico fa proprio assieme al taglio tecno-utopico che lo caratterizzava. La ricer-ca, che affi anca ai quadri interpretativi della psicologia sociale quelli dell’antropologia e della sociologia, non ha più un obiettivo predittivo e prescrittivo, ma sostanzialmente descrittivo e interpretativo. Nonostan-te un moltiplicarsi delle metodologie di ricerca sperimentate, perlopiù di ordine qualitativo, a risultare centrale è l’approccio etnografi co, che meglio risponde alla nuova metafora spaziale con cui si pensa alla Rete.

La metafora spaziale quale strumento teorico – usato in modo più o meno rifl essivo – per leggere la Rete entra in crisi con l’inizio del pre-sente decennio. In concomitanza con la diffusione sempre più capillare delle tecnologie telematiche, ciò cui si assiste è infatti uno spostamento di attenzione dei ricercatori dalle forme di socializzazione degli attori sociali a specifi che culture telematiche, alle modalità attraverso cui que-sti includono la Rete stessa all’interno della propria vita quotidiana. Tale svolta si accompagna a quattro ulteriori assi di riconfi gurazione del cam-po disciplinare. Innanzitutto, le metafore per ‘pensare’ la Rete non costi-tuiscono più strumenti di ricerca utilizzati in modo più o meno rifl essivo dai ricercatori, ma oggetti di ricerca. L’elaborazione di metafore è infatti letta come un momento centrale nelle strategie di appropriazione delle tecnologie telematiche messe in atto non solo dai ricercatori, ma anche dagli attori sociali: compito del ricercatore non sarà dunque quello di proporne di proprie, ma di ricostruire quelle cui fanno riferimento gli attori sociali, chiarendone le relazioni con le relative pratiche di appro-priazione e d’uso del medium. A partire da tale consapevolezza, prende poi avvio uno specifi co ambito di rifl essione e critica ideologica degli immaginari tecno-utopici che nel precedente decennio avevano inqua-drato la lettura della Rete: operazione di revisione che prosegue tuttora. Tale fase segna – in terzo luogo – anche il ricongiungimento degli Inter-

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net Studies con i più generali Media e Audience Studies (rispetto ai quali avevano fi n qui proceduto in modo parallelo, ma sostanzialmente attar-dato14), impegnati nel medesimo sforzo. Da un punto di vista metodo-logico, infi ne, non si assiste unicamente a una profonda revisione delle tecniche di ricerca associate all’approccio etnografi co, ma anche al suo reinserimento in strategie più complesse di triangolazione di metodolo-gie differenti e complementari, nel tentativo di rendere adeguatamente conto della complessità delle pratiche di appropriazione e d’uso.

Gli ultimi anni risultano infi ne segnati da una duplice tendenza opposta e contraddittoria: da una parte infatti si assiste a un consolidarsi degli scenari già emersi nella prima parte della terza fase. Il tema dell’ap-propriazione, che resta centrale, incontra peraltro quello della conver-genza, completando il percorso di avvicinamento tra Media e Internet Studies fi no a rendere la distinzione tra i due campi disciplinari sempre meno legittima. Al di là però di tali macrosettori di ricerca, che per loro natura spingono in direzione di un’unitarietà del campo disciplinare, questo sembra mostrare un certo disagio per il ritmo sempre più acce-lerato che caratterizza l’evoluzione tecnologica degli ultimissimi anni: la corsa a tenere aggiornata l’agenda di ricerca alla comparsa di nuovi ambienti e piattaforme spinge infatti il campo a strutturarsi per oggetti (studi sui social network, ad esempio, o sugli MMORPG), dando così vita a settori disciplinari iperspecializzati e in dialogo reciproco sempre più diffi cile, tanto dal punto di vista teorico quanto da quello metodologi-co. Se rendere conto delle specifi cità dei nuovi oggetti è ovviamente un compito non solo legittimo, ma anche urgente, tale processo rischia di radicalizzare i già ricordati motivi di diffi coltà del campo disciplinare, generando tendenze di carattere potenzialmente involutivo: primo fra tutti, il rischio per gli Internet Studies di scivolare nell’irrilevanza per iperspecializzazione, e la riproposizione di opzioni teorico-metodologi-che che era lecito ritenere già superate in fasi disciplinari meno recenti.

3.1. La Rete come canale

La ricerca sulla Comunicazione Mediata da Computer prende avvio e si sviluppa in un contesto profondamente differente rispetto a quel-lo attuale. A differire sono innanzitutto le caratteristiche tecniche del medium telematico: negli anni Ottanta siamo infatti ancora lontani dalla multimedialità e dalla semplicità d’uso del web (Mosaic, il primo browser grafi co, è del 1993) e della Rete così come la conosciamo oggi. Che si tratti di strumenti di comunicazione asincrona (e-mail, newsletter,

14 È quanto segnalato ad esempio in Sterne (1999).

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newsgroup) o anche sincrona (chat e MUD), i media telematici risulta-no di uso assai più complicato e macchinoso rispetto ai contemporanei sistemi user-friendly; inoltre, essi supportano una comunicazione di tipo esclusivamente testuale, dal momento che la ‘scarsa larghezza di banda’ che li caratterizza non è compatibile con una soddisfacente comunica-zione visiva e sonora.

Allo stesso modo, differiscono profondamente i contesti e i quadri sociali d’uso del medium: è proprio in questi anni infatti che la telemati-ca, ancora ben lontana dalla diffusione capillare che la caratterizza oggi (sia domestica, che sul luogo di lavoro, che in mobilità), inizia a muove-re i primi passi al di fuori dei laboratori universitari e dei centri di ricer-ca dove era stata messa a punto e utilizzata per la prima volta. In partico-lare, sono le strutture organizzative di grandi imprese ed enti pubblici a rappresentare i primi veri e propri contesti di nuova implementazione, sulla spinta delle possibilità comunicative offerte dal nuovo medium.

Se i vantaggi attesi dall’adozione delle nuove tecnologie son ben chia-ri (snellimento e accelerazione dei processi comunicativi, abbattimento dei costi), assai meno lo sono però i suoi possibili «effetti di secondo livello»15, quelli che Sproull e Kiesler riconducono alle «scelte della gen-te e [al] modo in cui si comporta con gli altri»16. Ciò che si teme è che, trasformando i processi comunicativi, i nuovi media possano modifi care anche i comportamenti di chi li utilizzerà, fi nendo per avere un impatto sul regolare funzionamento delle organizzazioni: diviene perciò urgen-te tentare di prevedere tali effetti, per limitarne i possibili aspetti proble-matici ed esaltarne quelli virtuosi.

È precisamente in questo senso che la Comunicazione Mediata da Computer è pensata essenzialmente come a un canale, dove il riferimen-to va ovviamente al modello trasmissivo della comunicazione di Shan-non e Weaver (modello che negli anni Ottanta i più generali Media Stu-dies avevano già rifi utato come inadeguato all’analisi della complessità dei fenomeni comunicativi). Tale canale risulterebbe però tutt’altro che neutro: rispetto alla comunicazione ‘naturale’ e non mediata (ossia fac-cia a faccia), questo opererebbe anzi, per sue caratteristiche tecniche (scarsa larghezza di banda), una distorsione sistematica degli scambi comunicativi, rimuovendo qualsiasi segno non verbale (e dunque non esprimibile col testo), come i segnali visivi o i tratti sovrasegmentali del

15 Gli «effetti di primo livello» sono quelli rappresentati dai «vantaggi previsti in ter-mini di effi cienza o produttività che giustifi cano un investimento in nuove tecno-logie», quali il contenimento di costi o l’incremento del valore aggiunto (Sproull - Kiesler, 1992, p.4).16 Sproull - Kiesler (1991), p. 4.

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discorso: sarebbe proprio tale distorsione a generare a sua volta effetti sui comportamenti degli utenti.

I paradigmi interpretativi mobilitati per tentare di prevedere tali effetti sono derivati dalla psicologia e dalla psicologia sociale17, con ipo-tesi che si articolano in due principali fi loni di ricerca18. Il primo, cui sono riconducibili approcci come quello della Media Richness Theory19, tenta di prevedere i futuri comportamenti di adozione e d’uso delle tec-nologie telematiche da parte dei propri utenti in funzione delle carat-teristiche del mezzo e degli obiettivi d’uso (per cui il nuovo medium, per sue caratteristiche tecniche, si presterebbe meglio a usi fortemente task-oriented). Il secondo fi lone mira invece a prevedere quali possano essere gli effetti sul comportamento di una comunicazione che avviene ‘in assenza di corpo’, dal momento che questo si ritiene cancellato dalla rimozione dei segnali visivi (semplicemente, i soggetti non si vedono più quando comunicano via computer). All’interno di questo quadro gene-rale, alcuni approcci tenderanno a rifl ettere maggiormente sugli effetti di un diminuito livello di percezione del proprio interlocutore (è il caso del modello della Social Presence20), mentre altri presteranno più atten-zione al problema dell’autoconsapevolezza del soggetto (è il caso dei celebri modelli RSC21, SIDE22 o Hyperpersonal23, ad esempio24).

Al di là di tali articolazioni del campo disciplinare, e dei risultati spes-so opposti cui pervengono i diversi approcci (è il caso ad esempio di RSC e SIDE, che prevedono un comportamento caotico e disinibito il primo, iperconformista il secondo, ‘dimostrando’ entrambi empiricamente), a restituire unitarietà al campo disciplinare non sono solo quadri teorici comparabili, ma anche il ricorso all’approccio empirico-sperimentale quale metodologia di ricerca largamente condivisa25.

17 Il modello RSC, uno dei più celebri modelli di questa fase, ricorre ad esempio alla teoria della de-individuazione, paragonando l’anonimato visivo dei soggetti impe-gnati nello scambio comunicativo via computer alla condizione dell’uomo nella fol-la, con conseguente effetto disinibitorio. Cfr. ad esempio Sproull - Kiesler (1986).18 Si tratta delle due aree di ricerca che Walther (Walther, 1997, pp. 344-345) defi ni-sce Media Selection Research e Media Effects Laboratory Research.19 Cfr. Daft - Lengel (1986).20 Cfr. Lombard - Ditton (1997).21 Reduced Social Cues. Cfr. Sproull - Kiesler (1991; 1992).22 Social Identity De-Individuation. Cfr. Spears - Lea (1992) e Spears - Lea - Lee (1990).23 Cfr. Walther (1997).24 Per una ricognizione critica di tutti i modelli citati, oltre a Tosoni (2004) cfr. Pac-cagnella (2000).25 Più raramente, e solo in fase più avanzata, all’approccio empirico-sperimentale si

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Semplifi cando, l’approccio empirico-sperimentale con il gruppo di controllo mira a ‘provare’ empiricamente un insieme preciso di ipotesi, traducendo queste e i concetti in cui sono espresse in serie di variabili indi-pendenti e dipendenti, e dimostrando l’esistenza di una correlazione tra le prime e le seconde. Nel caso della ricerca sulla CMC, la variabile indipen-dente è rappresentata precisamente dall’uso della comunicazione telema-tica, mentre le variabili dipendenti sono scelte strategicamente in funzione delle ipotesi da verifi care; se il tentativo è ad esempio quello di dimostra-re che la comunicazione al computer comporta per i soggetti una ridotta percezione dello status, e che ha dunque un corrispondente impatto sul loro comportamento (come vuole il modello RSC), le variabili dipendenti saranno quelle che operativizzano il concetto di ‘comportamento legato allo status’, rendendone misurabili le variazioni: si tratterà, ad esempio, della durata dei turni di parola, della loro frequenza, del numero di volte in cui un soggetto interrompe gli altri o li contraddice (per cui si vuole che soggetti dallo status più alto parlino più a lungo e più di frequente di quel-li con lo status più basso, tendendo anche a interromperli o contraddirli più facilmente). Vengono quindi costruiti due gruppi composti da soggetti che abbiano caratteristiche pertinenti alle ipotesi di ricerca, e che risultino identici per ciascuno degli aspetti ritenuti rilevanti: nel caso dell’esempio sulle differenze di status, si procederà a costruire due gruppi che siano caratterizzati dai medesimi squilibri interni di status (in tal senso, si è fatto spesso ricorso al controverso criterio di ricorrere a studenti di anni diversi per costruire i gruppi sperimentali), e identici per altre variabili secondarie come numero dei membri, loro gender e via dicendo. Fatti interagire i due gruppi l’uno via computer e l’altro faccia a faccia (gruppo di controllo) per un tempo defi nito a priori, ogni eventuale differenza nel comportamen-to dei soggetti (variabili dipendenti) potrà essere interpretata come effetto della variabile indipendente (presenza/assenza del medium telematico), eventualmente confermando le ipotesi (a patto ovviamente di una corretta operativizzazione). Così, ad esempio, si è potuto misurare come on line le differenze tra il comportamento di soggetti dotati di status elevato e quello di soggetti dotati di status inferiore siano meno numerose rispetto a quelle misurabili off line (e in particolare – appunto – quelle che fanno in riferi-mento alla frequenza e alla durata dei rispettivi turni di parola, nel numero delle interruzioni e delle contraddizioni): così, si è considerato dimostrato l’effetto di equalizzazione sociale della Computer-Mediated Communication,

è affi ancato quelle empirico sul campo, ossia svolto in setting naturali: una scelta che ha però trovato i ricercatori di questa prima fase piuttosto tiepidi, vista la ‘scarsa con-trollabilità’ delle condizioni di ricerca fuori dal laboratorio.

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ossia la sua capacità di ridurre la percepibilità delle differenze di status con conseguente impatto sui comportamenti.

Come si anticipava, è stata proprio la larga convergenza attorno a tale approccio a contribuire a conferire una forte unitarietà al campo di ricerca in questa prima fase della sua storia, tanto che non risultava possibile avanzare nuove ipotesi di indagine, in contraddizione con altre ritenute già ‘dimostrate’, senza prima aver in qualche modo confutato, o reinterpretato, la base sperimentale su cui poggiavano quelle vecchie. Si tratta di quanto avvenuto ad esempio nei primissimi anni Novanta, quando buona parte degli esperimenti che ‘provavano’ la validità del modello RSC sono stati sottoposti a ‘meta-analisi’ (ossia alla reinterpre-tazione dei vecchi dati alla luce delle nuove ipotesi) in favore di approc-ci più complessi e in controtendenza (a partire dal modello SIP di Wal-ther26): operazione resa possibile dal rigore e dalla esaustività degli appa-rati metodologici di quelle ricerche27. In estrema sintesi, Walther rileg-geva buona parte degli esperimenti che supportavano le ipotesi avanzate da RSC sulla CMC come forma di comunicazione fredda, impersonale e inadatta alla costruzione di relazioni sociali, dimostrando come si fosse arrivati a tale risultato solo perché gruppo di controllo e gruppo speri-mentale erano fatti interagire per una stessa durata di tempo, mentre la CMC avrebbe richiesto un tempo superiore affi nché i soggetti potessero arrivare a un livello di socializzazione tale da scambiarsi quantità di ‘con-tenuto socio-emotivo’ analoghe a quelle scambiate dal gruppo di con-trollo. Tanto maggiore risultava infatti la durata dell’esperimento, tanto minori risultavano le differenze registrate tra i due gruppi.

Come vedremo, tale operazione di rilettura sistematica dei ‘dati’ pro-venienti da vecchie ricerche alla luce di nuove ipotesi risulterà sempre meno necessaria, ma anche sempre meno possibile, nelle successive fasi del percorso disciplinare.

3.2. La Rete come luogo

Nonostante si continui a fare ricerca secondo il paradigma della ‘Rete come canale’ fi no al presente decennio, tale approccio inizia a perdere visibilità e centralità disciplinare a partire dalla metà degli anni Novan-

26 Sul modello del Social Information Processing e sull’operazione di ‘meta-analisi’, cfr. in particolare Walther - Anderson - Park (1994). 27 In realtà Walther segnala molti casi di errore e persino di falsifi cazione dei risultati fi nali, imputandoli alla volontà dei ricercatori di allineare i propri dati agli esiti più diffusi. Resta comunque vero che Walther può rilevare tali problematiche proprio grazie al rigore degli apparati metodologici pubblicati.

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ta, quando inizia a mostrarsi inadeguato a rendere conto dei nuovi inte-ressi conoscitivi e delle nuove domande che prendono forma intorno a uno scenario mediale in via di trasformazione sempre più rapida. Si tratta infatti degli anni in cui le tecnologie telematiche iniziano a essere interessate da un processo di diffusione che si fa via via più capillare, e se è vero che la telematica di massa è ancora lontana, è anche vero che sono sempre più comuni gli scenari d’uso privato della Rete, di tipo ludico o sociale o comunque sganciati da compiti immediatamente lavorativi e task-oriented.

Non è però la ricerca accademica a rendere conto per prima di tali scenari, ma altri discorsi sociali, e primo tra tutti quello della divul-gazione giornalistica specializzata (si pensi a riviste come «Wired» e «Mondo2000»28): sono infatti i giornalisti, che fanno spesso parte delle stesse subculture on line di cui raccontano, a iniziare a descrivere tali nuovi ‘mondi’. E per farlo, prendono a descrivere la Rete come un vero e proprio luogo, ossia come uno ‘spazio abitato’: in questo senso, Inter-net è descritto come una sorta di spazio ‘altro’, affascinante e diverso rispetto a quelli della vita quotidiana, dove incontrare persone, intrec-ciare relazioni, vivere avventure. Tale ‘luogo esotico’ risulterebbe infat-ti abitato da ‘nuovi nativi’, caratterizzati da pratiche e usanze proprie, come pure da propri costumi e norme (si pensi alla ‘netiquette’, l’eti-chetta per l’interazione on line): on line avrebbero in sostanza preso forma specifi che culture digitali, e nuove forme sociali osservabili solo in Rete, come ad esempio le cosiddette comunità virtuali29. Nasce così quella che Silver defi nisce Popular Cyberculture30, un’ampia letteratura che descrive tali nativi, le loro pratiche e le loro ‘vite sullo schermo’.

Tale immaginario poggia d’altra parte su quello già tratteggiato, fi n dalla metà degli anni Ottanta, dalla fantascienza (e in particolare dai suoi sottogeneri più vicini alle neonate subculture e controculture cyber, come il cyberpunk di William Gibson e Bruce Sterling), col quale entra in sinergia nel descrivere la Rete come un vero e proprio ‘luogo’ simboli-co. Già nel 1982 Steven Lisberger ambienta il suo fi lm Tron in uno spazio virtuale creato dal computer, e lo stesso farà due anni più tardi William Gibson rendendo celebre, grazie ai suoi racconti e romanzi, il cosiddet-to ‘cyberspazio’. Si tratta della visualizzazione grafi ca dello stesso ‘spazio al di là dello schermo’ descritto dal discorso giornalistico: come sugge-

28 La pubblicazione di «Mondo 2000» risale alla fi ne degli anni Ottanta, di «Wired» agli inizi degli anni Novanta. Sul ruolo svolto dalle due riviste nella costruzione degli immaginari di Rete tipici degli anni Novanta, cfr. Dery (1996) e Flichy (2001). 29 Cfr. Rheingold (1994). 30 Cfr. Silver (2000).

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stivamente lo defi nisce l’autore, il cyberspazio è un’«allucinazione con-sensuale» formata dalla rappresentazione grafi ca degli agglomerati dei dati contenuti in tutti i computer del mondo collegati in una matrice di «complessità impensabile». Proprio con tale defi nizione, il concetto di cyberspazio sarà sorprendentemente recuperato, come categoria analiti-ca, in buona parte dei libri accademici sulla Rete e sulla CMC usciti nella seconda metà degli anni Novanta.

La ricerca accademica si approprierà infatti presto di tali immagina-ri (come pure degli entusiasmi tecno-utopici che li caratterizzavano), rinnovando a fondo il proprio modo di leggere la Rete, le domande nella propria agenda di ricerca e le metodologie attraverso cui tenta-re di rispondervi: in sintesi, dando vita a tutta una nuova fase degli Internet Studies. A partire da alcuni pionieristici lavori databili ai pri-mi anni Novanta, sempre più spesso infatti i ricercatori si chiameranno a un’esplorazione in prima persona delle mondo digitale al di là dello schermo31. Per la ricerca non si tratterà più infatti di prevedere effetti, ma di descrivere e interpretare culture, forme sociali, pratiche, che tro-vano il proprio contesto nella Rete pensata come un luogo. E se tale è il nuovo obiettivo, allora risultano del tutto inadeguati gli approcci di ricerca empirica basati sulla costruzione di setting artifi ciali, come il laboratorio dell’approccio empirico-sperimentale. Non si tratterà più, infatti, di misurare il peso di singole variabili nella generazione di effetti di tipo psicologico o socio-psicologico, ma di descrivere le for-mazioni culturali e sociali presenti in Rete in tutta la loro complessità: formazioni culturali e sociali che possono essere descritte e interpre-tate solo ‘recandosi sul posto’ e osservandole, ossia, fuor di metafora, partecipando in modo più o meno attivo alla vita e alle interazione dei ‘gruppi’ on line. A diventare egemonico come approccio metodolo-gico è così quello etnografi co, differentemente declinato: come scrive la Stone, «è interessante notare come nel momento in cui gli ultimi, incontaminati campi di ricerca antropologica del mondo reale vanno scomparendo, un nuovo e inaspettato genere di campo si va aprendo – [costituito] incontrovertibilmente [da] spazi sociali in cui la gente si incontra ancora faccia a faccia, ma sotto nuove defi nizioni tanto di incontro quanto di faccia»32.

31 In realtà, come ricorda Lisa Nakamura (Nakamura, 2002), si tratta quasi esclusiva-mente di giovani ricercatori: la retorica dell’osservazione diretta e della testimonian-za personale, che essi oppongono al ‘rigore scientifi co’ dell’esperimento in labora-torio, risulta così aver giocato un ruolo anche nella strategia di accreditamento (e di occupazione di posizioni universitarie) delle nuove generazioni di ricercatori.32 Stone (1992), p. 506.

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A tale spostamento metodologico corrisponde però anche un certo livello di rilassamento del rigore metodologico che aveva caratterizzato la prima fase degli Internet Studies: in questi anni, più che di ‘etnogra-fi a’, sarà infatti più opportuno parlare di un genere ibrido, che sullo schema aneddotico e metodologicamente indisciplinato delle origini giornalistiche va innestando una serie di rifl essioni e inquadramenti teorici di derivazione sociologica e soprattutto antropologica: discipline che con il proprio bagaglio concettuale e con i propri schemi analitici vanno ad affi ancarsi agli approcci socio-psicologici, complessifi cando i quadri interpretativi degli Internet Studies.

A livello di rifl essione metodologica, risulterà però piuttosto diffi cile descrivere le concrete prassi di ricerca intraprese in questa fase, segna-lando una serie per quanto ristretta di tecniche condivise e accredita-te: la quasi totalità delle ricerche ‘etnografi che’ di questa seconda fase manca infatti del tutto di apparati metodologici rigorosi, o dedica alla metodologia nient’altro che rapide note, assolutamente inadeguate a garantire quella pubblicità delle scelte effettuate che costituisce, in ultima istanza, il principio fondamentale per la validazione della ricerca basata su metodologie qualitative e non standard. È ad esempio assai raro avere indicazioni su quanto a lungo i ricercatori siano rimasti sul campo, sul tipo di rapporto che li legava ai loro informatori, su come questi – e lo stesso ricercatore – fossero posizionati all’interno dello spazio sociale osservato (si trattava di soggetti marginali, o con un ruolo centrale nel gruppo sociale osservato?): tutte informazioni irrinunciabili per valuta-re appunto la validità dei risultati della ricerca etnografi ca.

Così, l’unica prassi comune che è forse possibile riconoscere in que-sta fase di ricerca etnografi ca (deducendola dalle ricerche pubblicate) consiste in una specifi ca e peculiare modalità di defi nizione del campo di osservazione33: tale prassi è infatti diretta conseguenza dell’assunzio-ne della metafora della ‘Rete come luogo’, cui è riconducibile il pas-saggio di fase disciplinare. Pensare alla Rete come a un luogo ha infatti implicato l’assunzione, spesso poco consapevole (e alcune volte addirit-tura negata a livello teorico, ma replicata metodologicamente), di una contrapposizione tra off line e on line, con lo sguardo dell’osservatore focalizzato esclusivamente su quanto avviene in questo secondo spazio. Quel che conta, in sostanza, sono esclusivamente le interazioni media-te dal computer, la comunicazione di Rete, e in genere tutto quanto è possibile osservare in quello ‘spazio’ che è la Rete stessa, omettendo

33 Torneremo più approfonditamente sul problema del taglio del campo etnografi co nella virtual ethnography, indicando anche tecniche diverse per operare la delimita-zione del campo d’osservazione. Cfr. infra il saggio di Barra - Tarantino - Tosoni.

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dall’analisi qualsiasi altra forma di contatto o di interazione (come quel-la faccia a faccia, o attraverso altri media) tra i soggetti appartenenti ai medesimi ‘gruppi virtuali’ che si è deciso di studiare: e questo, addirit-tura anche nei casi in cui se ne registri e riferisca l’esistenza. Più precisa-mente, il campo etnografi co è tagliato su singoli sistemi tecnici di inte-razione (etnografi a di una chat, etnografi a di un MUD, etnografi a di un newsgroup), proiettando sugli ambienti virtuali lo stesso ruolo svolto dal ‘villaggio’ quale (ormai superata) unità di analisi nella prassi di ricerca etnografi ca di taglio antropologico34.

Le distorsioni metodologiche implicate da tale scelta spesso poco consapevole appariranno nella loro piena portata unicamente quando, decostruita la metafora spaziale e inaugurata una nuova fase di ricerca, sarà possibile ripensare a fondo, e con rigore metodologico, l’approccio etnografi co, sperimentando ad esempio forme di etnografi a multisituata e transmediale. Basti in questa sede segnalare come tale modo di taglia-re il campo etnografi co abbia, innanzitutto, comportato una semplifi -cazione dei fenomeni osservati spesso fatale per la loro interpretazione (dal momento che risulta aver escluso dall’analisi tutto ciò che avveniva al di fuori del singolo sistema tecnico di interazione); in secondo luogo, abbia perpetuato la scollatura, già registrata nella fase precedente, tra Internet Studies e più generali Media Studies, dal momento che questi risultavano ormai da lungo tempo impegnati nel tentativo – in qualche modo opposto – di affrontare i fenomeni di fruizione mediale non in modo circoscritto, ma in tutta la loro complessità di azione sociale: ossia, ricostruendo in modo via via più raffi nato il complesso intreccio di prati-che sociali eterogenee in cui la fruizione mediale stessa risulta imbriglia-ta35; e infi ne, abbia permesso l’assunzione e la replicazione all’interno della ricerca accademica di marcate forme di tecno-utopia, elaborate in genere all’interno di quegli stessi discorsi sociali cui si doveva la prima elaborazione della metafora spaziale per pensare alla Rete. Concepita come un ‘altrove’ separato dai normali spazi della vita quotidiana, la Rete risulta infatti catalizzare e incarnare facilmente timori e speranze sociali di ampia portata, dando vita alla tipica contrapposizione tra posi-zioni apocalittiche e (più spesso) radicalmente utopiche. Cosa che pun-tualmente si registra per entrambi i grandi temi in cui si articola questa fase della ricerca: quello delle identità virtuali e quello delle comunità virtuali. Nel primo caso, infatti, la Rete è ritenuta rimuovere – permet-

34 È quanto ad esempio lamenta Luciano Paccagnella, in Paccagnella (2002).35 Il celebre studio sugli usi sociali della televisione di James Lull risale ad esempio al 1980. Cfr. Lull (1980). Per una panoramica più dettagliata, cfr. infra il saggio di Vittadini.

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tendo una comunicazione in assenza di corpo – l’ultimo ostacolo a feno-meni di totale autodeterminazione dell’identità da parte dei soggetti, completando un processo già avviato dall’allentarsi dalle rigidità tipiche della modernità: rimosso il corpo, il soggetto risulterebbe fi nalmente in grado di costruire identità fl uide o multiple, in modo del tutto indipen-dente dalle coordinate socio-biologiche (come gender, età o etnia) che lo caratterizzano off line36. Nel secondo caso, le forme sociali osservate in Rete – le comunità virtuali – permetterebbero il rinnovamento di un legame sociale logorato dai processi di individualizzazione della moder-nità, consentendo ai soggetti di recuperare il calore di forme di con-vivenza comunitaria, emendate però dal portato coercitivo tipico della loro forma premoderna37.

Non a caso, è solo a partire dalla decostruzione della metafora spazia-le – ossia nella terza fase degli Internet Studies – che avrà avvio un pro-fondo processo di ripensamento critico del carattere ideologico di tali forme di tecno-utopia, e un sistematico tentativo di presa di distanza dal-le compromissioni ideologiche della ricerca tipiche degli anni Novanta. Nonostante infatti non siano mancati risultati in controtendenza rispet-to ai suddetti entusiasmi tecno-utopici, questi hanno largamente segna-to il campo disciplinare per tutto il corso degli anni Novanta.

Tale forma di convivenza tra risultati opposti e incompatibili è peral-tro il segno di un’ultima – e problematica – trasformazione del campo disciplinare degli Internet Studies nel passaggio tra la prima e la seconda delle sue fasi. Si è visto infatti come nella prima fase l’approccio empiri-co-sperimentale risultasse un potente principio unifi catore per un cam-po disciplinare segnato da un confronto interno fi tto e costante. Proprio per le sue pretese di ‘scientifi cità’, tale approccio prevedeva infatti che non fosse possibile contraddire ipotesi già ‘dimostrate’ senza confron-tarsi con la base dati costituita dalle prove empiriche che le supporta-vano: confronto che avveniva precisamente attraverso la critica meto-dologica e la reinterpretazione dei vecchi risultati alla luce delle nuove ipotesi (si pensi alla già ricordata rivalutazione del fattore temporale da parte di Walther). Già si è detto come, allora, tale operazione fosse resa possibile dal rigore e dalla precisione degli apparati metodologici: nella seconda fase degli Internet Studies tale possibilità viene meno, proprio

36 Per un’analisi approfondita del modello – e dei suoi limiti – si rinvia ancora una volta a Tosoni (2004).37 Per una critica al tema della Comunità Virtuale come mito, cfr. Tosoni (2002); per un’analisi dei fattori del successo (disciplinare e non) di tale mito, e del loro recente venir meno, cfr. Tosoni (2008).

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per la genericità – o la latitanza – degli apparati metodologici38. Né tale operazione risulta peraltro più necessaria, dal momento che, per loro statuto, le metodologie qualitative di ricerca – e tra queste quelle etno-grafi che – non implicano (anzi, non permettono) la generalizzabilità, e non impongono quindi al ricercatore di confrontarsi con risultati oppo-sti registrati altrove; considerando che le ricerche etnografi che vengono tagliate appunto su singoli ambienti di interazione, risultati opposti e in controtendenza possono coesistere confi nando le pretese di validità delle diverse ricerche unicamente allo spazio – o al tipo di spazio – diret-tamente analizzato. Così, il campo disciplinare risulta sottoposto a ine-dite spinte disgregative, ricomposte unicamente dalla centralità dei temi ricordati, e dalla larga egemonia delle letture utopiche con cui li si inter-pretava: spinte disgregative che, come vedremo, torneranno a caratteriz-zare gli Internet Studies nel momento più recente della loro terza fase.

3.3. Rete e vita quotidiana

Con l’inizio del presente decennio Internet costituisce ormai un mezzo di comunicazione diffuso in modo capillare, tanto in contesti pubblici e lavorativi, quanto in contesti privati. Anche le sue tipologie di utenza si sono andate progressivamente moltiplicando e differenziando – una tendenza che proseguirà per tutto il decennio – fi no ad arrivare a inclu-dere soggetti, quali adulti e donne, che nella prima fase di penetrazione del medium erano risultati più diffi cili da raggiungere e coinvolgere. Ciò non è dovuto unicamente a una sempre maggiore facilità d’uso del medium, ma anche a una serie di processi concomitanti che vanno mol-tiplicando gli usi possibili della Rete, e dunque la sua appetibilità per un numero via via più vasto di utenze. È il risultato, ad esempio, degli investimenti sempre più sistematici da parte di imprese commerciali, ma anche di enti pubblici, che riconoscono nella rete un nuovo e poten-te canale di erogazione di servizi e prodotti. Allo stesso modo, l’affer-mazione del cosiddetto Web 2.0 tende a stimolare, facilitare e rendere prassi comune la produzione di contenuti da parti degli utenti stessi (un

38 Da questo punto di vista, il confronto con le principali esponenti del ‘postmoder-nismo radicale’, l’approccio egemonico degli anni Novanta che postula un portato profondamente decostruttivo di Internet per i processi di costruzione dell’identità – che ho tentato in Tosoni (2004) – risulta particolarmente diffi cile. Se tra le principali ricercatrici riconducibili a tale approccio, la Reid (1991; 1994) e la Bruckman (1992; 1993) rendono pubblici suffi cienti materiali empirici da permettere di avanzare qualche dubbio su alcuni dei loro passaggi argomentativi, tale operazione risulta del tutto impossibile con la Turkle (1997), che del postmodernismo radicale propone la versione più elaborata e raffi nata.

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fenomeno che ha comunque accompagnato la Rete fi n dai suoi primi passi), dando vita a un’offerta in grado di intercettare audience sem-pre più specializzate. Infi ne, è la stessa evoluzione tecnologica a rifl et-tere o intercettare tali tendenze, e a restituirle amplifi cate, in quello che sembra un vero e proprio circolo virtuoso: evoluzione tecnologica che riguarda sia le piattaforme software (con sistemi di comunicazione sempre più fl essibili e intuitivi) sia le caratteristiche dell’hardware. La diffusione della banda larga, ad esempio, contribuisce a trasformare la Rete da semplice strumento di comunicazione a canale di distribuzione e fruizione di prodotti audiovisivi e musicali. Allo stesso modo, e più di recente, l’Internet mobile prende a riarticolare i contesti e le modalità d’uso del medium, rendendo possibile una fruizione non più ancora-ta all’interno di household o di uffi ci (alla ‘scrivania’), ma virtualmente disponibile in ogni spazio attraversato dal soggetto – proprio come avvie-ne per la telefonia mobile, con cui si ibrida. Parallelamente agli spazi di fruizione vanno moltiplicandosi anche le gli usi del mezzo: si pensi anche solo alle nuove possibilità dischiuse dai servizi di geolocalizzazio-ne e alle applicazioni di augmented reality. In sintesi, la Rete diviene uno strumento di uso quotidiano e comune, in un processo che è allo stesso tempo di diffusione accelerata e di «banalizzazione»39: facendo ormai comunemente parte della vita quotidiana dei soggetti, Internet perde quell’aura di «incanto»40 che come si è detto l’aveva accompagnata, a livello di immaginari, fi no al decennio precedente.

Di fronte alla sfi da rappresentata da tale livello di complessità, i qua-dri interpretativi e metodologici messi a punto nella seconda fase degli Internet Studies risultano del tutto inadeguati. Tale sfi da non si esauri-sce semplicemente, infatti, in una ‘questione di nuovi oggetti di ricerca’, nonostante il recupero dell’attenzione disciplinare per applicazioni di uso ‘quotidiano’ (come l’e-mail o il web, ad esempio), troppo a lungo trascurate in favore di ambienti dal sapore più esotico (come chat molti-a-molti o MUD), ne costituisca un elemento centrale. In realtà, le ragioni a monte delle nuove tendenze disciplinari sono di ordine più profonda-mente teorico41: nel rinnovato panorama mediale, infatti, non si tratta più di studiare come i soggetti, ‘andando in Rete’, incontrino e si socia-lizzino a specifi che culture on line, partecipino a formazioni sociali in

39 Cfr. Herring (2004).40 Sulla Rete negli anni Novanta come tecnologia del reincanto, cfr. AA.VV. (1996).41 Ciononostante, la maggior parte dei ricercatori che ha segnalato l’inizio di una nuova fase degli Internet Studies all’inizio del presente decennio l’ha ricondotto, in modo pressoché esclusivo, proprio al rinnovamento degli oggetti affrontati dalla ricerca.

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Rete e costruiscano le proprie identità virtuali al di là dello schermo. Ribaltando completamente tale impostazione, si tratta invece di affron-tare i modi in cui i soggetti si appropriano della complessità rappresen-tata dalla Rete stessa, la inseriscono nelle loro routine quotidiane e nei loro ritmi sociali, ne selezionano alcuni usi piuttosto che altri e la inclu-dono nei propri orizzonti culturali. Sono gli utenti, e le loro prassi, a essere ora in primo piano: traiettoria che fi nalmente riallinea gli Inter-net Studies ai Media e Audience Studies, rispetto ai quali avevano fi n qui proceduto, come si è ricordato, in modo parallelo ma attardato.

Tale ribaltamento ha come mossa teorica centrale la decostruzione di quella metafora spaziale che aveva costituito il fattore unifi cante la seconda fase degli Internet Studies: decostruzione che procede con-giuntamente sia dal punto di vista ideologico che da quello teorico.

Da un punto di vista ideologico, innanzitutto: la svolta verso il recupe-ro di un’attenzione per il ‘banale’ e il quotidiano, e la constatazione che nessuno dei sogni tecno-utopici previsti negli anni Novanta si fosse effet-tivamente realizzato, iniziano proprio con il nuovo decennio a rendere evidenti le forme di compromissione ideologica che avevano caratteriz-zato buona parte della ricerca accademica. In modo sempre più chia-ro, tale compromissione viene ricondotta proprio all’assunzione poco meditata di una metafora spaziale per inquadrare la Rete: l’idea della Rete come ‘spazio altro’ appare infatti aver replicato (e aggiornato) il mito tipicamente americano di una ‘nuova frontiera’ di nuove libertà e possibilità, spingendo la ricerca accademica a ratifi care scientifi camente fi nanche le tecno-utopie più radicali42.

Da un punto di vista teorico, contemporaneamente, ci si rende con-to come non siano unicamente i ricercatori ad aver usato, e usare, spe-cifi che metafore per ‘comprendere’ la Rete, ma che al contrario tale operazione venga svolta da qualsiasi attore sociale nel momento in cui si appropria del medium, riducendone la complessità e associandovi specifi che pratiche d’uso. Così, per alcuni, la Rete rappresenterà una gigantesca biblioteca dove reperire informazioni, per altri un deposito di risorse mediali da scaricare o fruire direttamente on line, per altri ancora uno spazio sociale dove incontrare i proprio amici o addirittura sconosciuti, o anche tutte queste cose contemporaneamente. In questo senso, non sarà più compito dei ricercatori sostituire la vecchia metafora spaziale con una nuova e più adeguata metafora: sarà semmai loro com-

42 Un esempio emblematico di tale operazione di ripensamento è rappresentato da Morrison (2009), che sottopone a critica radicale la celebre Dichiarazione di indipen-denza del cyberspazio di Barlow (Barlow, 1996), le sue premesse teoriche e le sue impli-cazioni politiche.

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pito ricostruire le metafore utilizzate dagli attori sociali nel momento in cui si appropriano della Rete, chiarendo il legame complesso e dinami-co tra tali rappresentazioni sociali e le pratiche d’uso del medium. Così, la metafora, da strumento concettuale di ricerca usato dai ricercatori per comprendere la Rete, diviene oggetto di ricerca vero e proprio.

Ciò implica, peraltro, la parallela decostruzione della contrapposizio-ne frontale tra on line e off line che aveva caratterizzato la seconda fase degli Internet Studies: non si tratterà più – per la ricerca – di chiarire le innate differenze tra i due spazi, ed eventualmente gli effetti di una dimensione sull’altra, ma di leggere e interpretare come gli attori per-cepiscano e rappresentino i due ‘spazi’, costruendo con le proprie prati-che forme di contrapposizione o di raccordo (ad esempio, incontrando nella ‘vita reale’ i gruppi frequentati on line, o rifi utandosi di farlo).

Visto il ruolo centrale giocato dalla ricerca sull’appropriazione e sulla domestication (l’inserimento dei nuovi media negli spazi della vita quoti-diana e in quelli domestici) nella fase più recente degli Internet Studies, dedicheremo al tema e al relativo approfondimento metodologico uno specifi co capitolo43. Basti qui anticipare che la complessità di tale pratica sociale è tale da non poter essere affrontata se non attraverso una meti-colosa operazione di triangolazione di metodologie qualitative differen-ti e complementari: l’osservazione partecipante (degli spazi domestici, ad esempio), le interviste in profondità, i focus group e i diari di consumo sono solo le principali tra le metodologie mobilitate in modo congiun-to per ricostruire le dinamiche dell’incontro tra nuove tecnologie della comunicazione e attori sociali.

E una medesima pratica di triangolazione metodologica prende a caratterizzare anche il fi lone di ricerca che continua ad affrontare l’ana-lisi delle forme di interazione, o dei processi di costruzione dell’identi-tà, dei gruppi on line (inclusa la ricerca su MUD44 e MMORPG45, i loro ‘discendenti’ grafi ci): decostruita la metafora spaziale, risulta infat-ti sempre meno giustifi cabile quella chiusura del campo etnografi co di osservazione su un singolo sistema di interazione che aveva fi n qui caratterizzato l’approccio etnografi co. Sempre più infatti ci si accorge di come gli attori sociali non interagiscano tra loro a partire da un unico ambiente digitale, ma attraverso un assemblaggio complesso di spazi dif-ferenti, di tipo mediale o meno (i membri di un MUD o di un MMORPG,

43 Cfr. infra il saggio di Vittadini.44 Cfr. in particolare i lavori empirici della Cherny (1999) e della Kendall (2002).45 Gli MMORPG, acronimo di Massive Multiplayer Online Role-Playing Games, sono ambienti virtuali di tipo grafi co e ludico che mettono in scena mondi persistenti all’interno dei quali si trovano a interagire numerosi giocatori.

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ad esempio, potranno interagire anche attraverso mailing list o altri ser-vizi web, forme di telefonia tradizionale o voice over IP, o anche nella ‘vita reale’ – secondo una defi nizione, ereditata dalla tradizione disciplinare, che risulta sempre meno adeguata). Tali forme di assemblaggio di spazi differenti, che gli attori sociali compiono con stili diversi e risponden-do a esigenze e a rappresentazioni diverse della Rete46, rappresentano precisamente le specifi che modalità di appropriazione del medium da parte di gruppi che interagiscono (anche) on line: affrontarle nella loro complessità implica così il ricorso, da una parte, a una etnografi a propria-mente multisituata47, e dall’altra al già ricordato processo di triangolazio-ne metodologica quale strategia di lettura delle logiche di assemblaggio dello spazio plurale ed eterogeneo di interazione del gruppo, e delle dinamiche che interessano ciascuno spazio.

3.4. Alcune tendenze del campo disciplinare oggi

Negli ultimi anni, il campo disciplinare sembra segnato dall’emergere di tensioni contraddittorie, e tali da radicalizzare i motivi di problema-ticità che l’hanno da sempre caratterizzato, traducendoli in rischi veri e propri.

Da una parte, infatti, il paradigma della domestication e dell’appro-priazione continua a giocare un ruolo centrale nel campo disciplinare e a rappresentarne uno dei fi loni di ricerca principali. Come verrà illu-strato nel dettaglio48, l’approccio risulta in grado di affrontare le sfi de rappresentate dalle più recenti riconfi gurazioni degli scenari mediali contemporanei elaborando modelli teorici progressivamente più raffi -nati e fl essibili: così, ad esempio, alla diffusione dell’Internet mobile si associa uno spostamento dell’attenzione dai fenomeni di domestication

46 La percezione di una potenziale pericolosità degli incontri on line potrà ad esem-pio spingere gli attori sociali a confi nare le proprie ‘frequentazioni virtuali’ all’inter-no degli specifi ci spazi di interazione in cui esse hanno preso forma (ad esempio, in una chat), evitando incontri faccia a faccia o anche contatti telefonici o via e-mail: si tratta però in questo caso di uno dei molteplici ‘stili’ di gestione delle relazioni on line che è possibile osservare sul campo (e le cui logiche occorre spiegare), e non quanto appare al ricercatore per effetto di una sistematica distorsione prospettica legata a un problema metodologico (come la chiusura del campo etnografi co su un unico siste-ma tecnico di interazione, tipica della seconda fase degli Internet Studies). 47 Torneremo più esaustivamente sul problema del taglio del campo etnografi co e di una etnografi a multisituata (capace cioè di osservare cosa avviene in più spazi, compresi quelli off line) occupandoci specifi camente del tema della convergenza. Cfr. infra il saggio di Barra - Tarantino - Tosoni.48 Cfr. infra il saggio di Vittadini.

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– l’inserimento dei media telematici nello spazio domestico – verso quel-li relativi a una più generale appropriazione del medium da parte degli utenti. La condivisione di un comune quadro interpretativo, ricondu-cendo a unità la ricchezza della ricerca empirica sul tema, non permette però unicamente il sistematico confronto teorico tra i ricercatori, ma anche il prendere forma di una rifl essione metodologica condivisa che va facendosi progressivamente più costante e approfondita. A tale fi lo-ne di ricerca se ne va poi affi ancando per centralità un secondo: quello relativo all’analisi dei fenomeni di convergenza49, cui sarà dedicato uno specifi co approfondimento50. Basti in questa sede segnalare come anche questo secondo fi lone giochi un’importante funzione di unifi cazione del campo disciplinare, pur non risultando la relativa rifl essione meto-dologica ancora pienamente matura51. A un livello generale, infatti, anche la ricerca sulla convergenza risulta in grado di dispiegare un qua-dro teorico condiviso capace di ricondurre a unità una ricerca empirica che si va facendo rapidamente piuttosto vasta, permettendo il confron-to tra i ricercatori e l’ancoraggio sistematico della rifl essione teorica al dato empirico. Più nello specifi co, entrambi i settori di ricerca spingono per l’adozione di un punto di vista che trascende i singoli sistemi tecni-ci di interazione (ma anche i singoli media) in favore di un’attenzione specifi ca alle loro relazioni e alle pratiche dei loro utenti, funzionando così anche, come già più volte ricordato, da elemento di raccordo e di convergenza tra Internet Studies e Media Studies.

Al di là di tali settori centrali di ricerca (e di altri fi loni che, pur dan-do vita a una rifl essione metodologica più singhiozzante, risultano aver preso forma intorno alla continuità di specifi che tematiche52), il cam-po disciplinare sembra però subire con un certo disagio il passo sem-pre più rapido segnato dall’innovazione tecnologica. Il ritmo con cui i sistemi tecnici di interazione che compongono Internet si sono andati moltiplicando, o sostituendosi reciprocamente, ha infatti fi nito per farsi negli ultimi anni decisamente serrato: servizi di messaggistica, blog, chat visuale, piattaforme di produzione cooperativa e di condivisione di con-

49 Cfr. Jenkins (2007).50 Cfr. infra il saggio di Barra - Tarantino - Tosoni.51 Sempre nel saggio di Barra - Tarantino - Tosoni, assieme a una ricognizione sul tema, si tenterà di avanzare una proposta di riadattamento della metodologia della virtual ethnography agli scenari della convergenza.52 In questa sede ci occuperemo in particolare della ricerca sulla comunicazione politica e di quella sul cosiddetto Web 2.0, in particolare, sulle folksonomy e sulle pra-tiche di social tagging, la produzione cooperativa di classifi cazioni semantiche; cfr. infra i saggi di Murru e Vergani.

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tenuti, tipi diversi di social network, mondi virtuali, MMORPG, piattafor-me di analisi e condivisione di consumi culturali53, sistemi per il lavoro cooperativo, servizi di geolocalizzazione54 e di realtà aumentata55 vanno infatti succedendosi con cicli di vita sempre più contratti.

Nel tentativo di rispondere a tale sfi da, la ricerca risulta impegnata in una vera e propria corsa a rendere conto delle specifi cità dei differenti nuovi sistemi. Ciò a cui si va assistendo è così un processo di ristruttura-zione del campo disciplinare per oggetti, intesi come sistemi tecnici di interazione: ai settori principali di studio sopra ricordati, vanno infatti affi ancandosi sottoarticolazioni disciplinari sempre più numerose e spe-cializzate (studi sui blog, studi sugli MMORPG, studi sui social network, quando non addirittura studi dedicati a specifi ci ambienti, come il nutri-to settore di studi su Second Life, ad esempio). Tale processo rischia però di avere profonde ricadute sul campo disciplinare: a causa della debolezza della rifl essione metateorica e metodologica che – come si è detto56 – lo caratterizza storicamente, il dialogo tra tali sottoarticolazio-ni, e tra queste e il campo disciplinare nel suo complesso, risulta sempre più diffi coltoso.

Ciò espone una parte consistente della ricerca empirica – la cui ric-chezza ha da sempre costituito un punto di forza del campo disciplina-re – a un’inedita tendenza all’obsolescenza accelerata: obsolescenza che tende a ricalcare da vicino quella del ciclo di vita (sempre più rapido) dei diversi sistemi tecnici che strutturano la comunicazione su Internet. In questo senso, la ricerca su Internet tende oggi a ‘passare di moda’ rapidamente, e non per il superamento di quadri teorico-interpretativi o metodologici, ma per il perdere di rilevanza degli oggetti d’analisi. E ciò, proprio per l’assenza di una sistematica rifl essione metateorica,

53 È il caso di un sistema come GetGlue (http://getglue.com) il quale, basandosi sul principio degli agenti intelligenti, è in grado di analizzare le forme più eterogenee di consumo culturale dell’utente e di compararle con quelle di altri utenti, al fi ne di avanzare nuove proposte di consumo compatibili con il profi lo emerso. Anticipato dal celebre motore del sito di Amazon, il sistema – accessibile anche via smartphone – risulta poi in grado di interfacciarsi con diversi social network o con il blog dell’uten-te, secondo strategie tipiche dell’Internet mobile e convergente. 54 È ad esempio il caso di Foursquare (http://foursquare.com/) o di Facebook Pla-ces, che permettono all’utente di segnalare la propria posizione e di essere informa-to su quella dei propri contatti, condividendo informazioni sui luoghi visitati.55 È il caso di servizi come Layar (www.layar.com) che, sfruttando le videocamere e i sistemi di geolocalizzazione in dotazione agli smarthphone, permettono di visualizza-re informazioni relative al proprio contesto fi sico sovrapponendole virtualmente a questo. 56 Cfr. supra, par. 2.

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con una grande diffi coltà nel traghettare alla ‘fase successiva’ (al suc-cessivo oggetto di ricerca) acquisizioni teorico-metodologiche non lega-te alla specifi cità degli oggetti di volta in volta inquadrati dall’analisi. In tal modo, se è ovviamente auspicabile che ciascun oggetto di ricerca sia approcciato anche in base alle proprie specifi cità, il rischio è quello di ripartire, ogni volta, da zero, disegnando quadri la cui validità risul-ta a scadenza sempre più ravvicinata. Rischio cui si accompagna anche quello dell’iperspecializzazione di una parte del campo disciplinare, e di conseguenza di una sua rilevanza sempre più circoscritta all’interno dei Media Studies e degli approcci sociologici ai media.

A riguardare più da vicino le tematiche del presente intervento è però un terzo e ultimo rischio: quello di una tendenza involutiva delle prassi metodologiche della ricerca empirica, e delle sue conseguenti ricadute interpretative. La ristrutturazione per ambienti del campo disciplinare trova infatti spesso corrispondenza in approcci empirici di ricerca che tornano a chiudersi sui singoli sistemi di interazione, risultando così assai più vicini alle prassi tipiche degli anni Novanta che ai punti fermi acquisiti nella terza fase degli Internet Studies: ossia all’attenzione per le pratiche d’uso e di attribuzione di senso da parte degli utenti, e per le loro strate-gie di uso congiunto e integrato di differenti ambienti comunicativi.

È quanto si registra, ad esempio, in una parte consistente della lette-ratura sui social network57, che al momento costituisce una delle più fre-quentate e vivaci sottoarticolazioni del campo disciplinare. Per quanto riguarda i limiti del presente intervento, sia suffi ciente ricordare come tale letteratura partecipa pienamente a quella svolta in direzione di un recupero dell’attenzione per il ‘banale’ e il quotidiano che abbiamo visto caratterizzare il presente decennio; e ciò, in particolare, per quan-to riguarda la decisa presa di distanza rispetto ai modelli interpretativi tecno-utopici tipici degli anni Novanta, come quello delle comunità vir-tuali (sulle relazioni in Rete) e delle identità fl uide e multiple (sui pro-cessi di costruzione dell’identità).

Per quanto riguarda il tema delle relazioni sociali, si segnala come i social network presentino, e anzi esibiscano, forme di connessione rela-zionale non inquadrabili in termini comunitari: non si registra infatti l’emergere di un ‘noi’ simbolico condiviso dagli utenti (a essere messo in scena è soprattutto un ‘io’), come pure non si registrano le forme di scambio comunicativo e di dibattito che avrebbero dovuto permetter-ne l’emergere, secondo il modello reso celebre da Howard Rheingold58.

57 Per una panoramica, cfr. boyd - Ellison (2007).58 Cfr. Rheingold (1994), una delle più fortunate pubblicazioni su Internet degli anni Novanta.

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Semmai, l’enfasi è sulla forza e sull’estensione dei ‘legami deboli’ (recu-perando il paradigma interpretativo di Granovetter59) o latenti60.

Per quanto riguarda il tema dei processi di costruzione dell’identità, si sottolinea da più parti come lo scenario dei social network non pre-senti più le forme ludiche di reinvenzione del sé, e le identità cangianti e fl uide descritte dal postmodernismo radicale degli anni Novanta. Ciò a cui ci troviamo di fronte sembrano essere, semmai, forme di autopre-sentazione ottimizzata61 che avvengono in ‘scene’ goffmaniane di tipo simbolico (quelle tracciate dai confi ni del proprio network relazionale, o almeno dei propri ‘contatti’). Queste, peraltro, risultano abitate – per-lomeno in parte – dagli stessi pubblici della vita quotidiana del soggetto, sfumando i confi ni tra identità on line e identità off line (e aprendo semmai il problema di privacy dovuto alla sovrapposizione di pubblici che nella vita quotidiana sarebbero generalmente «segregati»62): conti-nuità che, nella maggior parte dei casi, è ricondotta all’assenza di ano-nimato che caratterizza i social network63, come pure alla presenza della visibilità del corpo legata al proliferare di una comunicazione visuale (fi lmati, foto digitali) che, semmai, lo iper-espone64.

In sostanza, focalizzando esclusivamente sul medium si perde let-teralmente di vista per motivi metodologici come tali caratteristiche siano da ricondursi più a precise scelte e strategie d’uso e di appropriazione da parte degli utenti, che a inevitabili conseguenze delle caratteristiche dell’ambiente di interazione (col rischio, dal punto di vista teorico, di replicare forme di determinismo tecnologico): sui social network resta infatti possibile costruire reti di contatti composte unicamente da ‘lega-mi forti’ (o addirittura, da relazioni esclusivamente familiari), è possibi-le costruire profi li anonimi o plurimi, è possibile occultare la visibilità del proprio corpo, è possibile segregare pubblici diversi o escluderne alcuni, è possibile dare vita a forme sociali di tipo comunitario, socia-lizzando collettivamente in spazi appositamente dedicati all’interno del social network, o in ambienti esterni a esso ma usati congiuntamente.

Chiarire perché, a differenza di quanto registrato negli anni Novan-ta, tali strategie d’uso non si verifi chino, o si verifi chino di rado, risulta semmai una questione da chiarire di rilevanza centrale non solo per gli

59 Cfr. Granovetter (1973; 1983).60 Cfr. Tufekci (2008).61 Cfr. boyd (2006; 2007).62 Cfr. Albrecthslund (2008).63 Cfr. Kennedy (2006) e Zhao - Grasmuck - Martin (2008).64 Cfr. ad esempio Ploderer et al. (2008).

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Internet Studies o i Media Studies, ma più in generale per le discipline che si occupano dei processi sociali e culturali tipici della contempora-neità: tutto un ordine di sfi de cui gli Internet Studies possono ambire di rispondere solo rilanciando, appunto, una sistematica rifl essione meto-dologica, a rendere possibile e sorreggere un’approfondita rifl essione metateorica.

4. Conclusioni

Come si è cercato di mostrare, ciascuna fase in cui risultano articolati gli Internet Studies è segnata da una particolare confi gurazione dello schema che si è proposto in apertura per la lettura delle metodologie: quello che le congiunge, in una relazione complessa – ossia di reciproca infl uenza tra tutti gli elementi –, a una serie di quadri interpretativi e approcci specializzati, oggetti (intesi tanto come sistemi tecnici di inte-razione, quanto come apparati socio-economici) e contesti (socio-strut-turali e socio-simbolici). Tale proposta (certo non l’unica possibile) non ha come obiettivo unicamente quello di avanzare uno schema interpre-tativo generale per leggere i percorsi storici della disciplina, ma anche quello di proporre un’occasione di comune rifl essione metodologica, che le più recenti tendenze del campo disciplinare rendono non rinvia-bile. A tale scopo, una volta tratteggiato lo schema generale, si tratta di approfondire quelli che sono emersi come i principali settori di studio nello scenario disciplinare contemporaneo: operazione che ci si propo-ne di compiere nei capitoli a seguire.

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