statuine ex voto di ferro dalla chiesa di san leonardo di san mauro di saline

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Sopra. La chiesa di San Leonardo sul Monte di San Moro (Foto U. Sauro).Pagina precedente. Ex voto proveniente dalla chiesa di San Leonardo (è il n. 1 dell’appendice) (Foto U. Sauro).

Le didascalie delle figure ex voto si trovano numerate in appendice, prima delle note. Le foto dei numeri 3, 18, 19, 20, 21, 22 sono della Di-rezione dei Musei d’Arte e Monumenti; le altre sono di U. Sauro.

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Il 25 aprile 1926 il re Vittorio Emanuele III inau-gurò il Museo di Castelvecchio di Verona, accompa-gnato dal direttore Antonio Avena 1. La sala LIII, al pian terreno, esponeva i reperti etnografici, dentro vetrine affastellate all’inverosimile: ex voto, suppellet-tili, oggetti d’arredo, stoviglie, statuine di presepio. La gran parte di questi cimeli apparteneva alla collezio-ne del conte Arrigo Balladoro, acquisita dal direttore nel 1923 2, mentre altri pezzi erano arrivati in tem-pi e modi diversi dal territorio veronese. Uno dei mobili-vetrina ospitava anche quindici statuette vo-tive di ferro battuto, rudimentali nella tecnica e ele-mentari nella forma, raffiguranti uomini e donne in preghiera, provenienti dalla chiesa di San Leonardo sul Monte di San Moro a San Mauro di Saline (già allora chiamata col titolo di San Moro, secondo l’uso invalso dal XIX secolo). Si trattava di una selezione tra i venti ex voto di ferro entrati fino ad allora nelle

Gli ex voto in ferro e la chiesa di San Leonardo tra storia e cultoRicerca sulle statuette in ferro provenientidalla chiesa di San Leonardo, sul Monte di San Moro(San Mauro di Saline).

raccolte civiche (cinque dei quali transitarono poi a lungo nei depositi del Museo di Storia Naturale).

«Dieci voti cristiani di ferro appartenenti alla chie-sa di San Moro di Saline» erano stati acquistati dalla Conservatoria del Museo, guidata da Stefano De Ste-fani, il 24 gennaio 1886 dall’antiquario e commer-ciante Emiliano Ferrari, come si legge nei registri di spesa 3, pagando la somma esigua di 42 lire, corrispon-denti in valuta moderna più o meno a 192 euro 4.

Una seconda decina era giunta al museo nel pri-mo dopoguerra, ma i documenti sul loro ingresso nelle collezioni civiche non sono reperibili. Ci sono, però, solide attestazioni indirette. Nel 1930, dopo aver visitato Castelvecchio, Berengario Gerola dedi-cò un saggio alle statuette di ferro (che analizzeremo nel prossimo paragrafo), riferendo che «furono rin-venute qualche anno fa nei lavori di restauro al cam-panile, nel ripiano sottostante la cella campanaria» 5. Il rimando generico di Gerola agli anni Venti colli-ma con le testimonianze orali raccolte da Gianfran-co Gasperini nel 1980 6. In particolare, il padre cap-puccino Zaccaria Varalta aveva indicato a memoria la data del rinvenimento nell’anno 1921. Il frate, nato a San Mauro in Saline nel 1904, era stato docente di diritto internazionale all’Università Lateranense a Roma, assumendo anche l’incarico di perito al Con-cilio Vaticano II 7. In vecchiaia, rientrato al convento di San Leopoldo a Padova, aveva raccolto un carteg-gio sul paese natale nella prospettiva di scrivere una storia della comunità di san Mauro che, nel 1997, quando il frate morì ormai ultranovantenne, era an-cora solo abbozzata 8. Quella di Varalta era dunque una voce autorevole e il ricordo del 1921 si approssi-ma ai documenti sulle vicende del campanile 9.

A partire dal 1919 la Soprintendenza ai Monu-menti, con il funzionario Alessandro Da Lisca (1868-1947) 10, diede avvio ai lavori di restauro alla chiesa di San Leonardo promossi dal parroco don Giuseppe Lonardi. Un nutrito carteggio nell’archivio della So-

Ettore Napione

«Si tratta, in fondo, di rappresentazioni mol-to primitive radicate nel più profondo del-la mentalità umana, troppo umana, di tutti i tempi e i paesi» (Julius von Schlosser)

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printendenza consente di ripercorrere le operazio-ni di demolizione del campanile, ormai pericolante, svolte tra il mese di gennaio e il mese di maggio del 1920, oltre alle fasi della sua ricostruzione entro il 1923 11. L’intervento dovette riguardare la parte del corpo di fabbrica sopra il tetto ecclesiale. Si può ra-gionevolmente ipotizzare che, tra il 1920 e il 1923, Da Lisca avesse consegnato al Museo Civico di Vero-na gli ex voto trovati sotto la cella campanaria, sapen-do dell’interesse di Antonio Avena per questi oggetti, mentre progettava le sezioni del suo Castelvecchio. Il parroco di San Mauro non aveva argomenti per trattenere gli oranti di ferro, sia perché San Leonardo era un cantiere aperto (quindi potenzialmente espo-sto ai furti), sia perché il finanziamento per i restauri del campanile fu assegnato dallo Stato (impersonato nella fattispecie dallo stesso marchese Da Lisca).

Quali ragioni avevano indotto Avena a dare visibi-lità agli ex voto di ferro?

Nel castello scaligero, detto Castelvecchio, rico-struito da Ferdinando Forlati, le opere d’arte erano mostrate come parte dell’arredo della reggia medie-vale. La natura stessa del museo era un modo di in-terpretare la Storia, nel quale la ‘verità’ e l’invenzio-ne della verità venivano consapevolmente intrecciate e confuse. Avena pensava che l’emozione di sentirsi parte del passato del castello contasse per il pubbli-co più del richiamo alla consapevolezza di fronte al valore degli artisti e allo scrupolo filologico nelle ge-rarchie di presentazione. Oggetti della religiosità po-polare come gli ex voto di San Leonardo, con i loro profili primordiali erano accolti perfettamente nei mobili-vetrina, pensati come imitazioni di Wunder-kammer borghesi dell’Ottocento, nelle quali mescolare oggetti preziosi e antichi, rarità etnografiche, testimo-nianze del folklore e «buone cose di pessimo gusto».

Queste statuine di ferro apparivano (e appaiono) ingenue nella loro rozzezza e allo stesso tempo at-traenti come piccoli totem apotropaici. Le silhouette

essenziali sostano nell’immaginario in una cronologia indistinta e per lo storico dell’arte sono un inquie-tante rompicapo 12, che scombina le categorie fondate sullo stile e sui valori estetici. Somigliano a sculture in metallo molto antiche, come quelle della civiltà nura-gica. Possono ricordare certi ex voto domestici di epo-ca romana. Non sono distanti da episodi alto medie-vali, come la statuetta di miles del Museo Canonicale di Verona 13. Allo stesso tempo legittimano il dubbio di essere il prodotto più o meno fraudolento (o più o meno imitativo) di un artigiano del XIX secolo. Non a caso circolarono voci sul fabbro-scultore Roberto Da Ronco, meglio noto come Berto da Cogolo, no-nostante l’evidente anacronismo, essendo Berto nato solo nel 1887 14, quando dieci voti di ferro erano già accasati al museo. In realtà, questo scultore fu folgo-rato tra gli anni Venti e Trenta del Novecento dall’e-spressività arcaica delle statuine di San Mauro, al pun-to da farle diventare un modulo figurativo della sua produzione artistica. Scriveva un commentatore nel 1966: «sotto le sue mani nascono piccole statue che ricordano gli ex voto di San Leonardo ma che, a dif-ferenza di questi, hanno una loro vita, una loro soffe-renza narrata attraverso il contorcimento spasmodico e doloroso del metallo in scene di alto lirismo come quelle delle quattordici stazioni della “Via Crucis”» 15.

Il modesto prezzo di mercato dei reperti votivi induce ad escludere che il fabbro artista di Cogollo di Tregnago (o qualche altro ‘falsario’ prima di lui) distribuisse omini di ferro nel mondo degli antiqua-ri. Berto intratteneva rapporti coi commercianti, ma forniva manufatti di ben altra abilità e per ben altri valori economici. Nel 1937 un singolo ex voto di fer-ro, pressoché identico per tipologia a quelli di San Mauro in Saline (ma con un profilo tondeggiante e un curioso capo ‘ad alabarda’), venne ad aggiungersi ai venti già presenti nelle raccolte civiche veronesi. Secondo i registri inventariali fu donato da tale «G. Bortoli» di Soave, ma senza altre precisazioni sul luo-

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go di provenienza del pezzo. Forse per questo episo-dio, considerato il legame di Berto da Cogolo con Soave, dove aveva frequentato la scuola d’arte e dove aveva realizzato le armature in stile del castello, con-viene tenere aperta, anche per scaramantica cautela, la congettura di uno ‘scherzo’ del fabbro-artista.

Tornando ad Avena, gli intenti più scientifici della sezione sulle tradizioni e sul folklore si ponevano nel solco della storiografia ottocentesca sulla cultura po-polare (la stessa, in fondo, che aveva spinto all’acqui-sto degli ex voto nel 1886), collegata ben presto dal direttore al programma del Fascismo sulla valorizza-zione delle manifestazioni di radicamento alla terra d’origine, allora considerate una tappa indispensabile

per guidare il ‘popolo’ verso il concetto unitario di nazione. Così anche le statuette di San Mauro in Sa-line vennero inviate a Milano alla Mostra nazionale d’arte popolare del 1938 e poi a Venezia all’esposizione Arte religiosa popolare in Italia del 1942 16.

Quanto fosse precisa la consapevolezza di Avena ri-spetto ai reperti di natura etnografica lo si comprende nel contrasto con gli accadimenti del secondo dopo-guerra. Il nuovo direttore Licisco Magagnato decise di rivoluzionare radicalmente il Museo di Castelvecchio nel 1958 e questi materiali furono tra i primi ad essere sacrificati (facendo spazio alla mostra temporanea Da Altichiero a Pisanello allestita da Carlo Scarpa, poi inca-ricato di riprogettare lo stesso museo), né mai si prese

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in esame una loro nuova esposizione. Non era solo una discriminazione di gusto rispetto alla nascita di un museo d’arte medievale e moderna fondato su criteri più colti e contemporanei (nell’Italia del tempo qua-si d’avanguardia), ma anche una diversa propensione storiografica, che nel sottrarre questi oggetti al mito e all’ideologia, affidava il loro studio a specialismi (e spe-cialisti) di settore, destinandone la visibilità a occasioni espositive geograficamente determinate. Appare sin-tomatico che proprio nel 1958 Lanfranco Franzoni 17, in procinto di diventare assistente di Magagnato per la sezione archeologica, avesse curato a Castelvecchio l’esposizione Sculture popolari dei XIII comuni verone-si, dedicata alla scultura votiva in pietra della Lessi-nia, iniziando il percorso proprio dalle figure di ferro di San Leonardo 18. Il ritorno alla dimensione locale, come modo esigente e preferenziale di guardare a ma-nufatti sospesi tra folklore e religiosità era palese fin dal titolo e, quasi a sigillo di un trentennio di studi sull’argomento (e a riprova della concezione museo-grafica conseguente), lo stesso Franzoni – incaricato della direzione dei musei civici di Verona tra l’agosto 1986 e il febbraio 1989 – stipulò un contratto con il Museo etnografico “Lessinia, Uomo, Ambiente” di Bosco Chiesanuova per il deposito di un certo nu-mero di sculture di pietra e di quindici oranti di ferro, affinché fossero esposti al pubblico nel contesto della montagna da cui provenivano (la consegna avvenne il 22 febbraio 1988). Tra i quindici ex voto assegnati a Bosco Chiesanuova finì, forse per distrazione, an-che quello acquisito nel 1937. Al Museo etnografi-co entrò in seguito una sedicesima statuina, priva di indicazioni, forse tramite qualche donazione locale, di cui non è rimasta, però, memoria e che solo per congettura si può collegare a San Mauro in Saline 19.

Le statuette votive, dunque, conservate tra Verona e Bosco Chiesanuova sono ventidue, venti attestate come provenienti da San Leonardo e due di origine non conosciuta.

L’interpretazione di Carlo Berengario Gerola e di Lanfranco Franzoni

Quando visitò la sala LIII del museo, Carlo Beren-gario Gerola (1908-1953), linguista e glottologo 20, fu attratto dagli ex voto di San Mauro in Saline, come fossero frammenti di una lingua perduta. Lo studio-so si accorse della loro somiglianza alle statuine votive collegate al culto di San Leonardo di Nobiliacum (o di Limoges) 21 conservate in diversi luoghi tra la Baviera e il Sud Tirolo. Questi oggetti erano stati studiati dal geografo ed etnografo tedesco Richard Andree (1835-1912), che nel 1904 aveva dato alle stampe a Braun-schweig il volume Votive und Weihegaben des katholi-schen Volks in Sueddeutschland (Voti e offerte votive cattolici nella Germania meridionale), diventato un caposaldo per questi argomenti e citato, tra l’altro, da Julius von Sch-losser nel famoso Geschichte der Porträtbildnerei in Wachs. Ein Versuch (Storia del ritratto in cera) del 1911 22.

Gerola conosceva in anteprima anche il repertorio di un altro tedesco, lo studioso del folklore Rudolf Kriss (1903-1973), pubblicato a Vienna nel 1930 col titolo Volkskundliches aus Altebayrischen Gnadenstätten (Usanze etniche nei luoghi di culto dell’antica Baviera). Tra la Germania meridionale e il Tirolo queste statu-ine di ferro raffiguranti uomini e donne in preghiera si trovavano (e in parte si trovano), per citare i casi principali, a San Leonardo di Lavanttale, a San Le-onardo di Aigen am Inn (ora al Leonhardi Museum Aigen) e a San Leonardo di Pasenbach. Un certo nu-mero sono ancora a Innsbruck, tra il Museum Fer-dinandeum e il Tiroler Volkskunstmuseum 23 (alcune comperate da un antiquario di Merano). Andree se-gnalava gli ex voto del museo di Augsburg provenienti da Buttenviesen, mentre il Bayerisches Nationalmu-seum di Monaco di Baviera possiede statuette rac-colte da diverse località della Baviera24. Alcuni reperti sono presenti anche nel più conosciuto San Leonar-do di Inchenhofen 25.

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Nell’articolo del 1930 per la rivista “Il Folklore Italiano”, dal titolo Il culto di San Leonardo e i suoi ex voto nei XIII comuni, Gerola collegava gli ex voto di San Mauro in Saline allo stanziamento in Lessinia di coloni tedeschi durante il medioevo (i cosiddetti Cimbri), per la comune particolare devozione a San Leonardo. Attraverso i confronti con i ferri votivi dell’area bavarese-tirolese, lo studioso poteva confer-mare così le conclusioni sulla provenienza dei cosid-detti Cimbri dalla Baviera, già «ricavate dall’esame dei dati linguistici» 26.

San Leonardo era specializzato nella protezione/li-berazione di chi era stato carcerato in modo ingiusto o a causa della guerra, e così anche nella prevenzio-ne del rischio di subire la prigione (per questo talora fu effigiato nell’ambito di battisteri, come protettore per chi iniziava una nuova vita, e di cappelle signori-li, come auspicio di salvaguardia rispetto a un pote-re sempre esposto a pericoli) 27. Lo rende evidente la sua iconografia ufficiale in veste di giovane monaco eremita, con i ceppi di ferro tra le mani 28. Sugli altari di cui era titolare erano deposte solitamente catene e

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cerchiature lasciate per voto da persone beneficiate della libertà o protette da detenzioni coercitive. An-che sulla collina di Verona nella chiesa di San Leonar-do di Valdonega (allora de monte Donico), già attestata come collegiata nel XII secolo 29 e passata nel 1236 alla Congregazione di San Marco di Mantova 30, l’al-tare maggiore era accompagnato da una raccolta di catene, di ceppi e di strumenti di tortura 31. Fin dalla diffusione del suo culto nella Francia del re Clodoveo (VI secolo), il santo veniva invocato anche come aiuto per le donne partorienti, ma gli esiti di questo feno-meno nel tempo e nello spazio non si appoggiano a manifestazioni votive riconosciute e riconoscibili 32.

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Tra la Baviera e le Alpi, queste qualificazioni prevalenti del santo 33 erano state associate a condizioni di malattia percepibili come giogo o prigione, a cominciare dalla malat-tia mentale (chi era affetto da disa-gi psichici portava i ceppi) facendo del santo uno speciale himmlischer Leibmedikus (risanatore celeste) 34. Le manifestazioni dei fedeli avve-nivano per il tramite di elemen-ti votivi in ferro: l’uso del metallo stabiliva metaforicamente il lega-me con San Leonardo nel ruolo di liberatore dalle catene della prigio-ne o da quelle della malattia.

Si diffuse anche l’uso di offrire statuine in ferro raffiguranti ani-mali da lavoro e da fattoria per i quali chiedere la protezione o il risanamento (Gerola citava, tra gli altri, gli esempi del Museo dioce-sano di Bressanone). Anche per gli animali il collegamento era il ferro della catena (gli animali in fondo sono ‘prigionieri’), oltre a quel-

lo applicato agli zoccoli, nel caso dei cavalli (nello specifico, però, i ferri fungevano anche come voto dei pellegrini) 35. Gerola aveva accolto le osservazioni svolte da Max Höfler in un saggio scritto tra il 1891 e il 1894 (Votivgaben beim St. Leonhardskult in Oberba-yern, ovvero Offerte votive per il culto di San Leonardo in Alta Baviera) 36, sulla genesi delle invocazioni a San Leonardo come risanatore degli animali solo dal XV secolo, quale ultimo stadio della devozione, in forme diventate poi quasi esclusive. La festa di San Leonardo, il giorno 6 novembre, nei centri bavaresi votati al san-to, come Benedicktbeuern, Inchenhofen e Kreuth, è basata su una processione di carri trainati da cavalli.

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del santo non era stato ‘aggiornato’ perché i Cimbri dopo il loro distacco dalla Baviera «non ebbero più contatti importanti col loro paese di origine».

Questo argomento fu ripreso da Lanfranco Fran-zoni negli studi sulla scultura popolare in pietra (al catalogo della mostra del 1958, fece seguito una mo-nografia nel 1964), forzando la tesi di Berengario Gerola fino a considerare gli ex voto di ferro «prodot-ti di importazione bavarese» 39 (sebbene il linguista si riferisse all’usanza e non ai manufatti). Franzoni os-servava che nei XIII comuni montani veronesi non si ritrova una speciale storia della lavorazione del ferro (come veniva narrato da ‘invenzioni della tradizione’,

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Il linguista Gerola si appoggia-va per la cronologia delle statuet-te a Carlo Cipolla, che, nel noto volumetto Le popolazioni dei XIII comuni veronesi. Ricerche storiche con l’appoggio di nuovi documenti, edito nel 1882, aveva fissato l’insedia-mento dei coloni tedeschi in Les-sinia alla fine del Duecento, in-dicando come testimone cardine l’atto di concessione del 1287 con cui il vescovo Bartolomeo de Scala aveva assegnato a un Olderico di Altissimo e a un Olderico detto «de episcopatu vicentino», defini-ti «teotonicos», un’area montana con centro Roverè, che aveva tra i suoi confini anche la contrada di Saline 37. I cosiddetti ‘Cimbri’ veronesi sarebbero venuti, dun-que, dai vicini monti del Vicenti-no (Altissimo, la località del pri-mo Olderico, si trova nella valle del Chiampo, a circa 27 km dal paese di San Mauro su strade mo-derne), dove erano arrivati qual-che tempo prima, forse spostandosi dalle colonie del Trentino, sebbene i documenti sulla storia di questi insediamenti siano a loro volta problematici 38.

A parere di Gerola, quindi, gli ex voto di San Le-onardo vennero realizzati da coloni tedeschi bavaresi «che si staccarono dalla madre patria dopo il secolo XII», portando con sé il costume degli ex voto di ferro. Sulla durata di questa usanza a San Mauro in Saline stabiliva come termine ante quem il principio del XV secolo, considerando dirimente la mancanza di voti di forma animale nel gruppo dei ‘ferri’ conservati, alla stregua degli argomenti di Höfler. La conclusione di Berengario Gerola era perentoria: in Lessinia il culto

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ancora mosse dal ‘mito’ Berto da Cogolo) 40, mentre la scultura votiva in pietra aveva manifestato in Les-sinia uno sviluppo continuo dal tardo medioevo al Novecento. Il fenomeno, peraltro, non era collega-to da Franzoni in modo stretto alla cultura ‘cimbra’, essendo frutto di una religiosità che accomunava le genti operose nelle montagne, basata sulla devozione alla Madonna e ai santi Sebastiano e Rocco (specie dopo la pestilenza del 1511).

Si percepisce il desiderio di Franzoni di margina-lizzare il senso della presenza dei ferri votivi, come se gli fossero d’ingombro rispetto alla scultura lapidea e

ai suoi primi testimoni nel Trecento. Dava quasi l’im-pressione di non misurare un dato documentario in-controvertibile, molto sottostimato da Gerola: le sole attestazioni sicure del costume delle statuine antro-pomorfe di ferro sono databili tra XV e XVI secolo. Kriss aveva segnalato un quadretto ex voto della chie-sa di San Leonardo di Lavanttal, dipinto nel Seicento quale copia di un precedente del 1413, raffigurante il committente che offre al santo una statuina di ferro per il soccorso ricevuto in prigionia (come precisa l’iscrizione dedicatoria) 41.

A Inchenhofen è la stessa piccola statua di San Leonardo, che anche oggi catalizza una parte del cul-to, ad essere stata realizzata interamente in ferro, for-se intorno al 1420 (datazione che i caratteri formali rendono verosimile) 42.

Nella visita pastorale del 4 agosto 1594 alla chie-sa di San Leonardo di Pufels (Bulla) della diocesi di Bressanone, resa nota nel 1920 da Hermann Mang (1908-1947) e citata anche da Gerola, viene registra-to il disappunto dei vicari di fronte alle statuette de-formi in ferro depositate presso l’altare («deformes quasdam statuas ferreas»), lasciando intendere che non si trattasse di sole figure animali. Fu ordinato ai rettori di Bulla di modificare l’usanza che ne ispirava la creazione («oblationesque ferreas imaginum sive statuarum in alios ecclesiae usus trasmutari et con-verti procuret») 43, testimoniando indirettamente che il costume degli ex voto con figure in ferro era ancora vitale alla fine del Cinquecento.

Forse il rifuggire da uno studio aggiornato del-le statuette di San Leonardo e dal senso di queste testimonianze, era consapevolmente premeditato in Franzoni. Nella Presentazione del volume Scultura po-polare dei Lessini del 1964, scriveva: «si attende l’edi-zione degli ex voto in ferro battuto di San Mauro di Saline conservati a Castelvecchio». Non è chiaro che cosa avesse in mente, ma di certo programmava un approfondimento monografico, rimasto poi disatteso.12

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Le ragioni degli EX VOTO

Il punto convincente del saggio di Gerola (e della sua rilettura da parte di Franzoni) rimane il collegamen-to delle statuette ex voto con i cosiddetti Cimbri e la loro particolare devozione a San Leonardo. Gli argo-menti discutibili sono la cronologia (come in parte si è detto), la contestualizzazione e, in Franzoni, l’e-sagerata stima della tradizione necessaria per il livello di fabbricazione materiale dei manufatti in ferro, tale da ritenere impossibile la loro produzione locale.

Cominciamo da quest’ultima valutazione.La metallurgia necessaria per realizzare le statuet-

te ex voto di San Leonardo è una metallurgia prima-ria, di sussistenza, per la quale è sufficiente il fabbro della comunità, che si occupava degli attrezzi per il lavoro o dei ferri per i cavalli (i diversi strumenti d’uso in ferro esposti al Museo dei Cimbri di Giaz-za e al Museo di Bosco Chiesanuova possono darne un’idea, pur essendo di epoche più recenti). In ge-nere, il minerale di ferro era miscelato col piombo per abbassare il suo punto di fusione, altrimenti dif-ficile da raggiungere (il primo fonde a 1530 gradi, il secondo a 327,4) 44, ottenendo delle barre, destinate poi a essere lavorate, con la tecnica, appunto, del fer-ro battuto. A partire dalla stessa barra quadrangola-re e incandescente da cui poteva essere ricavata, per esempio, la lama di un ascia per la legna, si ‘ritagliava’ la figura umana con uno scalpello, di cui si ricono-scono i segni nelle statuine in qualche piccolo scan-so tra gli arti. Si incidevano poi le lingue di metallo da sollevare per dare forma alle braccia, mentre solo in un paio di casi si riscontrano saldature tra pez-zi diversi attraverso la tecnica per ribollitura. Solo due o tre statuette, infatti, sono più ‘complicate’ per l’assemblaggio di elementi, (specie la donna con la veste da cui spuntano le gambe, saldate dal retro inv. 9145, n. 13) o per qualche premura nella forgiatu-ra il metallo, come la donna in ginocchio che ha le

mani ‘arrotolate’ come se fosse previsto l’inserto di una candelina (inv. 9144, n. 12). Non è facile stabilire quanto queste varianti possano essere indice di una cronologia differente (più bassa?), mentre lo standard tecnico uniforme delle gran parte dei venti ex voto provenienti da San Mauro di Saline parrebbe indica-re (ma è solo una sensazione) che furono realizzati in un arco di tempo limitato.

I nostri voti figurati furono prodotti dunque da una comunità religiosa che aveva necessità del fer-ro solo per esprimere il contatto speciale con San Leonardo e che probabilmente si serviva del fab-bro locale, senza richiedere e dare luogo a velleità di alto artigianato. La straordinarietà delle statuette consisteva (e consiste) nel fatto stesso di essere di ferro, ma osservate nella contemporaneità con gli ex voto antropomorfi prodotti in altri materiali come il legno, l’argento e soprattutto la cera 45, di cui lo stesso Andree nel 1904 aveva fornito un repertorio, perdono il loro aspetto sorprendente. La loro ecce-zionalità formale e devozionale si relativizza, diventa una delle modalità espressive di un costume votivo diffuso. Il 16 marzo 1429, per fare un esempio ve-ronese, tale Antonio Basinus di Roncà destinò alla chiesa di Santa Lucia extra di Verona «unam yma-ginem cerre in formam hominis precii viginti sol-dorum denariorum» 46. Dobbiamo immaginare che a San Leonardo, in modo più o meno formale, fos-se avvenuta la stessa cosa, ma chiedendo di usare (o usando) il ferro al posto della cera. Il metallo era adoperato, quindi, perché è sostanziale nella relazio-ne con il santo e non quale riscontro votivo di una tradizione artigianale di lavorazione del ferro nella montagna veronese.

L’ipotesi di Franzoni sull’importazione delle venti statuine dalla Baviera cade, dunque, perché la produ-zione dei ferri votivi prescinde da una consuetudine riconoscibile (e riconosciuta) di lavorazione d’arte in ferro battuto. Inoltre ogni ex voto era (ed è) creato

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per essere deposto sullo specifico altare di un santua-rio prescelto, così che un’importazione in Lessinia avrebbe dovuto sottendere una sottrazione dal luogo di culto del paese di provenienza, che contrasta con la logica stessa del voto, non essendo documentato un valore ‘mobile’ delle statuine in funzione di amu-leto o di oggetto per mettere in contatto il santo con un malato lontano.

Una volta accettato che i ferri votivi furono rea-lizzati espressamente per San Leonardo di San Mau-ro di Saline è logico interrogarsi sul senso della loro unicità negli altipiani dei cosiddetti Cimbri (la Lessi-nia e l’Altopiano d’Asiago). Sono dei testimoni mol-to isolati rispetto all’area del Tirolo e della Baviera. Per questo Gerola aveva considerato implicitamente che il caso di San Mauro di Saline fosse esempla-re per la cultura religiosa del complesso dei colo-ni tedeschi dell’area prealpina tra Verona e Vicenza. Le due chiese dedicate a San Leonardo dell’altipiano vicentino e ricondotte ad un culto favorito diretta-mente dai cosiddetti Cimbri sono quelle di Fongara, sotto Recoaro Mille 47, e di Ignago di Isola Vicenti-na 48, che i vecchi studi di Giovanni Mantese attesta-no solo dal Quattrocento. Nella montagna verone-se San Leonardo di Vestenanova è documentato dal XVI secolo 49. L’isolamento dei reperti di San Mauro in Saline risulta allora meno importante di quanto possa apparire di primo acchito, perché gli edifici di Vestenanova, Fongara e Ignago hanno subito delle ri-costruzioni pressoché integrali, anche tra XIX e XX secolo. Eventuali oggetti votivi per San Leonardo potrebbero essere andati distrutti o dispersi.

La debolezza maggiore della trattazione di Gerola è relativa, come detto, alla sua teoria sulla datazione dei voti di ferro di San Mauro di Saline dopo il XII secolo e prima del XV. Non solo per il peso delle fonti di cui si è riferito al paragrafo precedente, ma anche rispetto alle riflessioni di Andree sugli ex voto più espliciti nella nudità, con evidenziati i genitali. Tre

statuette infatti esibiscono i genitali maschili (invv. 9133, 9134, 9138; n. 1-2-6) e sei quelli femminili (il sesso è indicato da una punzonatura quadrangolare o da un’incisione a valva, inv. 9135, 9140, 9143, 45252, 45253, 45254; n. 3-8-11-18-19-20), come si vede in altre statuine della citata area bavarese. Per quelle maschili Andree aveva costruito la categoria Phalli-sche Opferfiguren (figura sacrificale fallica), riportando esempi: una con fallo eretto ad Angen e una indicata nella collezione Kloster Andechs am Ammersee, che porta la mano sinistra verso il pene.

Queste esibizioni di nudità nel voto potrebbero spiegarsi come invocazioni per la fertilità e la pro-sperità, forse per estensione della specializzazione se-condaria del santo nel proteggere le donne gravide durante il parto. In questo senso le due statuette fem-minili che oltre al sesso evidenziano l’ombelico (invv. 45253, 45254; n. 19-20) e, in un caso, anche il fianco prominente, potrebbero voler richiamare una gravi-danza in atto. L’ombelico sulla pancia delle donne gravide viene risaltato dalla dilatazione e costituisce un richiamo al cordone ombelicale. Forse questi due casi volevano manifestare in modo specifico la ri-chiesta di aiuto per il buon parto.

Inserendo le statuette di ferro nell’economia più generale degli ex voto antropomorfi (di cera, di legno, d’argento), Andree preferiva l’ipotesi che la nudità servisse come implorazione per guarire da malattie veneree, chiamando in causa la sifilide (o morbo gal-lico). Lo studioso non prendeva in esame l’inciden-za meglio attestata nel medioevo della gonorrea, pur avendo consapevolezza che la sifilide assunse carat-teri epidemici solo alla fine del Quattrocento. Chi scrive preferisce astenersi dall’approcciare ambiti di storia della medicina settoriali e molto discussi, ep-pure, stante l’ipotesi di Andree, è impossibile resistere dal segnalare che il vescovo Gian Matteo Giberti, il 6 gennaio 1529, recandosi in visita a San Mauro in Saline trovò il parroco, tale Andrea de Fundrunis (ov-

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vero Fuldruna, vicino a Cerro) «morbo gallico in-fectus propter malam conversationem quam habuit cum mulieribus, tenendo concubinas», così da esse-re rifiutato dalla comunità «propter ipsum morbum gallicum, quo habet in naso et fetentem flatum ex ore suo pro-cedentem» 50. L’episodio dimostra (se ce n’era bisogno) che la sifili-de era presente nella Lessinia del primo Cinquecento, ma sulla base del solo prete ‘cimbro’ 51 non si può supporre un contagio diffu-so. L’indizio non avvalora nessu-na tesi circa gli ex voto della chiesa di San Leonardo, anche perché le statuine portate come esempio da Andree esibiscano i genitali, quale organo malato, in modo più ac-centuato dei ‘ferri’ sobriamente nudi di San Mauro di Saline. Il caso, come si vede, rimane aperto. In ogni caso Gerola, datando gli ex voto di San Leonardo in epo-ca anteriore allo sviluppo cultuale in favore degli animali da fattoria (e quindi al primo Quattrocen-to), evitava di guardare al dettaglio delle statuine e ignorava l’osten-tazione della nudità (almeno del-le sei esposte a Castelvecchio), ri-nunciando ad affrontare in modo più organico le teorie di Andree e la sua preferenza per un perio-do di diffusione tra la fine del medioevo e l’inizio dell’età moderna.

Questa considerazione vale a maggior ragione qualora si osservi (come approfondiremo nel prossi-mo paragrafo) che le sole notizie sicure sulla chiesa di San Leonardo, compresa l’ipotetica fondazione,

sono successive al 1388, e che le principali trasfor-mazioni del luogo di culto, quale sintomo di vitalità della devozione a San Leonardo, si datano proprio tra la fine del Quattrocento e i primi decenni del Cin-

quecento. Si aggiunga che anche l’ipotesi di Gerola sull’isolamen-to dei Cimbri della Lessinia dagli sviluppi del culto di san Leonar-do in Baviera è superata. Stando ai documenti, l’ecclesia Sancti Le-onardi in Bayveria (identificata so-litamente con San Leonardo di Inchenhofen) era uno dei luoghi privilegiati di pellegrinaggio pro anima nel Quattrocento, come si ricava anche dai testamenti di abitanti della montagna veronese resi noti da Simone Fiorio: An-zolino de Ceredo di Sant’Anna d’Alfaedo nel 1433; Leonardo del fu Enrico de Alemania, residente a Monte di Valpolicella nel 1461 e soprattutto Iacopo del fu Mi-chele Stizzoli di Sprea con Pro-gno (l’odierna Badia Calavena) nel 1476 52. I gruppi familiari ‘te-deschi’ erano, inoltre, più mobili di quanto si creda e nel XV seco-lo migravano dalla Lessinia verso altri luoghi anche per ragioni di sopravvivenza 53. Non ci sono in-somma le condizioni per crede-re che l’emarginazione nelle valli

dei coloni tedeschi fosse sufficiente a renderli er-metici alle evoluzioni del culto del santo, né che le espressioni del culto attraverso gli ex voto di ferro debbano essere legate ai teutonici arrivati alla fine del Duecento, piuttosto che ad una fase relativa al loro radicamento successivo.

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La chiesa di San Leonardo

Per focalizzare l’origine dei voti di ferro è necessario fare una digressione di approfondimento sulla storia della chiesa di San Leonardo, su cui ancora non esiste uno studio affidabile.

La chiesa ha assunto ormai il titolo di San Moro 54. Gerola si era districato a fatica nel rebus di questo passaggio di dedicazioni, confuso anche dalla festa sul colle nella ricorrenza di San Matteo, il 21 settembre (e non nel giorno di San Leonardo, il 6 novembre), forse quale memoria della data di consacrazione, ma la ragione non è sicura 55. Nell’attestazione risalente alla visita pastorale del vescovo Gian Matteo Giberti del 1529, si nomina la titolazione a San Leonardo in monte de Salinis. Il nome di San Moro fa capoli-no solo nel 1763, nei verbali della visita pastorale di Niccolò Antonio Giustinani, come appellativo po-polare associato a quello esistente: «ecclesiam S. Leo-nardi, vulgo S. Moro» 56. Questo San Moro non sa-rebbe altro che lo stesso San Mauro (celebrato il 21 novembre) 57, vescovo di Verona dal 610 al 622, tito-lare della chiesa parrocchiale, sorta nel luogo del suo presunto ritiro come eremita (che forse fu piuttosto un luogo di segregazione o di rifugio, come spes-so per i presuli di queste epoche) 58. Stando a talune interpretazioni sviluppate nel XVIII secolo (quando si hanno degli indizi di una valorizzazione del cul-to) e assestate nel secolo a seguire, la denominazio-ne sarebbe sopravvissuta in modo latente nel tempo quale reminescenza del luogo nel quale fu eretta la chiesa originaria di San Mauro 59. A questa presunta fondazione primitiva sarebbe riferito il documento più antico su San Mauro in Saline, datato 1145, nel quale si nomina un Lanfranco priore Sancti Mauri, identificato nella letteratura come il superiore di un cenobio benedettino, ma che assai più probabilmente era il priore di una piccola collegiata di canonici re-golari 60. Questa ipotesi considera che il titolo di San

Leonardo, documentabile almeno dal 1388, si fosse sovrapposto a quello della supposta chiesa antica di San Mauro, che nel frattempo era stata spostata poco più a valle, dove ancora si trova (ma non si spiega perché, né in quali circostanze).

A nostro giudizio risulta più plausibile che la chiesa matrice fosse già stata fondata nel luogo in cui è ancora in essere e che San Leonardo avesse avuto una storia autonoma, sebbene, in assenza di nuovi documenti e di indagini archeologiche sui due edi-fici ecclesiali, ogni ipotesi diventa opinabile, conside-rando che la stessa vicenda biografica e agiografica di San Mauro – compresa la promozione del suo culto nel XII secolo 61, così intrecciata alla genesi della co-munità cristiana di Saline – resta nebulosa, mancando un approfondimento specifico.

Quello che a San Leonardo ancora si vede non consente di leggere fasi costruttive anteriori a quanto dichiara l’iscrizione sul fronte ecclesiale, sotto l’affre-sco del timpano con la Madonna della Misericordia. L’epigrafe dipinta in volgare veronese, ormai rovi-natissima, in corrispondenza del ritratto di uno dei committenti ricorda che nel 1388 Nardo de Serigon fece costruire l’edificio e realizzare le pitture 62. Ri-portiamo la trascrizione di Cipolla, evidenziando in neretto quello che ancora si riesce a leggere: «ANNO

D(omini) MCCCLXXXVIII ANOMO DE DIO / QUESTO EDE-

FICHO EDEPENTURE A / FATO FARO NARDO DE SERIGON

[…] / PER TUTE QUELLE PERSONE / …] ENO QUESTO / SANTO

LOGO / […] / PER RE […] / […] [E]».Nardo è abbreviazione di Leonardo, mentre Se-

rigon, tracciato in scriptio contigua alla stessa modo di altre parole del testo, si riferisce ad un patronimi-co che combina il titolo di ser (riferibile a un no-taio) col nome Rigon. Si può ritenere, infatti, che scrivendo l’epigrafe in volgare, come se stesse pro-nunciando il nome, il pittore facesse cadere una “r”, dando luogo a un tipico scempiamento della dop-pia consonante. La possibilità che (Leo)Nardo di ser

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Rigon fosse appartenete alle genti locali ‘tedesche’ è, per assonanza onomastica, prossima a quella di ser Rigus quondam ser Rigi di Roverè di Velo che nel 1376 si presentò davanti al vescovo Pietro della Sca-la con altri emissari del gruppo ‘cimbro’ per il rin-novo dei diritti concessi nel 1287 ai due Olderico teutonicos (il nome Rigo ricompare in un atto locale anche nel 1386) 63.

L’anonimo pittore del fronte della chiesa (di cui si riconoscono altre prove a San Nicolò di Postuman a Mezzane di Sotto e a San Micheletto in Tavigliana a Grezzana) 64, raffigura la Madonna della Misericordia proteggere col suo manto un gruppo di persone gui-date da due esponenti di punta, effigiati in ginocchio e accompagnati dalle consorti. Si vedono a sinistra Nardo, preceduto da San Leonardo che gli indica la Madonna col Bambino, e, alle sue spalle una donna, identificabile con la moglie. Dall’altro lato, una figura maschile dall’abbigliamento ben connotato, col bor-sello pendente dalla cintura, di cui ricordava il nome un’altra iscrizione compromessa: «questo / el mai-st / ro c…o». Di certo questo maistro non è iden-tificabile con il pittore, come pure fu scritto 65, ma piuttosto con qualche altra personalità di spicco del gruppo comunitario. Anch’egli, infatti, ha accanto la presunta consorte, stavolta sul fianco sinistro (per chi osserva). La pittura è rovinata, ma si legge ancora il viso della donna ruotato verso l’uomo, quasi lo invi-tasse a guardare la Vergine.

Gli affreschi interni di controfacciata completa-no il manifesto di Nardo di ser Rigon sulla comu-nità locale di origine tedesca: l’Annunciazione (con l’arcangelo Gabriele e la Madonna contrapposti) e il Cristo passo (al centro) costituiscono le figurazio-ni principali sotto cui fanno passerella cinque san-ti venerati in Lessinia dai coloni tedeschi, disposti in modo paratattico: San Michele Arcangelo, Santa Margherita (con la coda di un drago, che emerge tra i due) 66, San Giovanni Battista, San Bartolomeo

e San Giacomo maggiore 67. Può colpire che non ci sia san Mauro, come forse ci sarebbe potuto aspet-tare se davvero la chiesa fosse sorta nel luogo della primitiva parrocchiale, ma non sappiamo che cosa fosse rappresentato sulle altre pareti ecclesiali. Il pit-tore costruisce la scena, collocando architetture di palazzi sul fondo dell’Annunciazione con qualche abbozzata velleità prospettica e si compiace nell’e-seguire virtuose cornici geometriche a rombi poli-

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cromi tra loro intersecati, che si alternano a rosoni traforati. Il maestro esplicita i debiti con la cultura fi-gurativa di Altichiero, protagonista assoluto dell’arte nella Verona di Cansignorio della Scala, mostrando il meglio del suo scarso, ma non disprezzabile, talento 68. Le carat-teristiche degli affreschi e le iscri-zioni dimostrano che Nardo de ser Rigon, quando ancora i par-roci di San Mauro erano ‘tedeschi’ (pochi anni prima i documenti ci parlano di un Vicardo e poi un Pietro della diocesi di Colonia) 69, aveva privilegiato l’uso pubblico del volgare veronese (come già era accaduto a Verona, anche in ambito signorile) e una forma ce-lebrativa basata su prototipi ico-nografici da tempo consolidati in ambito urbano. Non spetta a chi scrive comprendere se questo ri-corso al volgare fosse la prova di un bilinguismo in essere nella co-munità o di una leadership di Nar-do, quale mediatore rispetto ai di-ritti e agli interessi economici del suo gruppo con Verona, dopo il passaggio dagli Scaligeri al domi-nio dei Visconti nel 1387. Appare comunque evidente che i modelli della città erano sentiti e proposti come un riferimento.

L’affresco e le sue cornici se-guono una forma a timpano e un preesistente profilo di tetto a capanna, tagliato sui fianchi dal semipila-stro delle navate laterali edificate un secolo dopo 70. Se ne ricava che la chiesa beneficiata da Nardo fosse un’aula a navata unica, più bassa dell’attuale e larga poco più dell’odierna navata centrale. L’epigrafe di-

pinta sembra dichiarare che Nardo fu il promotore di questa piccola fondazione ecclesiale, anche se la definizione della chiesa attraverso la parola generi-ca «edificio» al posto di termini più inequivocabi-

li e consueti («chiesa», appunto, o «oratorio»), con l’omissione del nome del santo titolare, genera qualche dubbio. Di fronte a que-sta ‘anomalia’ rispetto alle varian-ti d’uso del termine «edificio» nel volgare e nei repertori epigrafici è possibile che il committente aves-se promosso qualcosa di differente e che l’«edeficho» fosse una strut-tura in appoggio (forse un avan-corpo o una cappella) ad un ora-torio preesistente, di cui peraltro non restano tracce percepibili, an-che solo indiziarie. Se una chiesa di San Leonardo esisteva già pri-ma del 1388, fu cancellata dalle trasformazioni successive.

Quasi ottant’anni dopo l’in-tervento di Nardo di ser Rigon, l’8 maggio 1462, un cittadino di Verona, Giovanni del fu Barto-lomeo de Prato da San Vitale fece testamento e destinò una somma per restaurare (o rifare) la statua lignea del santo, che versava in pessime condizioni: «Item dixit dictus testator quod alias fecit vo-tum de ornando et reformando

quadam statuam ligneam vel lapideam sub imagine sancti Leonardi; qua statua est devastata et est in ec-clesia de Salinis; voluit et mandavit quod dicta statua reformetur, ornetur et pingatur expensis heredum. Et hoc ad honorem et reverentiam sancti Leonar-di» 71. Questo documento racconta che l’effige di

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San Leonardo era «devastata», come se fosse in ab-bandono, e dimostra al contempo una devozione vitale, mossa anche da persone in apparenza slegate dalla comunità locale. Forse quella del 1462 era an-cora la statua segnalata dal vescovo Gian Matteo Giberti nella visita pastorale del 1529, contenuta in un armadio/tabernacolo dipinto: «Item altare Sancti Leonardi cum imagine sancti Leonardi schulpita in ligno in armario picto». Forse la stessa opera esisteva anche un secolo dopo, quando il 6 ottobre 1634, il vescovo Marco Giustinia-ni ordinò che «la statua di detto santo si restauri et pinga di novo decentemente da buon maestro perito» 72. In seguito la scultura li-gnea andò perduta, sostituita dalla versione odierna in pietra, di mo-desta fattura, compiuta probabil-mente in contemporaneità con i cancelli di chiusura della campata, con l’altare rialzato su un podio da due gradini, come già ripor-tato nella visita del 1719 del ve-scovo Marco Gradenigo: «Alta-re S. Leonardi… cancellis lapidis clausu» 73.

La volontà di Giovanni da San Vitale del 1462 in favore di San Le-onardo sembra prefigurare le ini- ziative per l’ingrandimento della chiesa dei decenni a seguire e una fortuna del luogo collegata anche al suo essere punto di sosta a favore di chi era in viaggio nella valle. Quella verso i pelle-grini, intesi come passanti forestieri (prima che pro-tagonisti di pellegrinaggi religiosi), era, d’altro canto, un’altra delle funzioni radicate nella tradizione delle

chiese titolate al santo (l’esempio geograficamente vicino è quello della chiesa-ospedale di San Leo-nardo a Borghetto di Avio) 74. La presenza del porti-co, pur ricostruito, a lato del campanile, funge a suo

modo come memoria della voca-zione a fornire un riparo e l’iscri-zione sull’architrave del presbite-rio sotto il Crocifisso invita alla preghiera chi è di passaggio per la via (O vos omnes qui transitis per viam…). Le elemosine e le elargi-zioni dei ‘pellegrini’ consentiva-no alla comunità di San Mauro di gestire la chiesa, dove, comunque, non resideva alcun chierico. Nel verbale della visita di Giberti del 12 aprile 1529 si legge. «Ad quam ecclesiam conveniunt quampluri-me persone ex devotione et fiunt elemosine». Le offerte erano de-positate in una caspa con doppia chiave, una in mano a tale Domi-nus Baptiste e l’altra tenuta da un Mattheus quondam Gregorii 75.

San Leonardo fu trasformata a tre navate chiuse da absidi qua-drate verso la fine del Quattro-cento, alzando la navata centra-le, coperta da un tetto a capriate, mentre le navate laterali furono voltate a crociera 76. Dal lato della facciata le navatelle sporgono di circa un metro rispetto alla navata

centrale, dando luogo sul fronte a una forma a ferro di cavallo. In esterno lo si osserva bene per la navata sinistra, mentre a destra il campanile è impostato per contenere il prolungamento e appartiene alla stes-sa tornata costruttiva della navata minore. La posi-zione inconsueta del campanile davanti alla facciata

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rispetto alla chiesa consentiva di sfruttare lo spazio disponibile, secondo una ‘creatività’ dettata dalla si-tuazione, che si riconosce in altri luoghi montani 77. Il portico di facciata – sospeso tra lo stesso cam-panile e la sacrestia addossata nel XVIII secolo alla navata sinistra – partecipa dello stesso spirito. Poco utile come indizio cronologico è la campana ancora in essere del fonditore Giovanni Battista Bonaven-turini, datata 1594. La sua iscrizione espressamente dedicata a San Mauro «pastore buono», sembrereb-be indicare che fu realizzata per la chiesa parroc-chiale e trasferita a San Leonardo in un secondo momento 78.

Il sigillo finale della fase sviluppata tra XV e XVI secolo è testimoniato dalla campagna di pitture mu-rarie del 1532. Le campate delle absidi laterali furono affrescate dal pittore Daniele Dal Pozzo, proveniente dalla contrada dell’Isolo di Sotto a Verona, riconosci-bile nella firma monca «dan» apposta a lato della raf-figurazione dell’Ultima cena, con la data 13 novembre 1532. Questo maestro è certamente lo stesso che di-pinse la Trasfigurazione nell’abside di San Salvaro a San Pietro di Legnago, sottoscrivendo col nome «Daniel a Puteo Veronensis» 79, nel 1539. A fronte della me-diocrità nella resa delle figure, per il modo sghembo e goffo di trattare i volti e i corpi in movimento, Dal Pozzo è riconoscibilissimo per il gusto iperdecora-tivo con cui riempie vesti, cornici e pareti. A San Leonardo e a San Salvaro imita in modo identico sul muro absidale una tappezzeria di stoffa giostrata su meandri di festoni e di melograni color rosso-arancio. Oltre alle absidi, Daniele dipinse la campata di San Leonardo, come svelano le pur frammentarie e in larga parte illeggibili tracce di affreschi emerse sotto lo scialbo bianco nei restauri del 2002, specie sulla volta (un motivo-spia è la cornicetta con ton-di lungo il costolone ripresa dalla base del polittico dipinto nella parete dell’abside nord). L’unica figura in qualche modo intelligibile nella parete di fondo

potrebbe raffigurare un San Rocco, ma di certo era accompagnata da altri personaggi. Sembra dunque che intorno al 1532 alla statua di San Leonardo fosse associata l’immagine di San Rocco e di altri (erano altri santi taumaturghi?), come per ridefinire le ra-gioni del suo altare.

Questa campagna decorativa di Daniele Dal Poz-zo era stata preceduta dalla realizzazione del polittico ligneo absidale (trafugato nella giornata del 15 otto-bre 1967) 80, con San Leonardo collocato a destra della Madonna col Bambino, in compagnia di San Mauro, San Valentino e San Paolo, forse negli anni Dieci-Ven-ti del Cinquecento. Giberti descrive la «pulcherrima anchona» già in opera nel 1527. La struttura del ta-bernacolo visibile nelle vecchie fotografie 81 è libera di ogni residuo goticismo e connotata da colonne tornite a candelabra, con modanature di bulbi e gole di consolidato gusto rinascimentale.

Verso la fine del secolo, nella campata a sinistra dell’ingresso intervenne un pittore assimilabile ai modi di Ruggero Loredano (1536 circa-1609, co-municazione orale di Enrico Maria Guzzo e Marina Repetto Contaldo), ravennate di nascita e veronese d’adozione 82, per una Confraternita del Santo Rosa-rio, come si ricava dalla rappresentazione della Ma-donna del Rosario tra San Domenico (con la veste ormai molto scialbata) e Santa Caterina da Siena, posti a gui-dare rispettivamente un gruppo di devoti maschile e femminile. I Quattro Evangelisti sulla volta e le sante Caterina e Lucia sulla parete meridionale completa-no la campata dipinta per essere percepita come una cappella unitaria della Confraternita.

Questa fasi decorative cinquecentesche dimostra-no che la chiesa di San Leonardo ebbe il suo mo-mento di maggiore sviluppo tra XV e XVI secolo. A seguire ci fu una fase importante nel Settecento, a cui si può riferire la croce di consacrazione esterna, con la data 1740. Allora (o poco dopo) si costruì la sacrestia sul fronte, si edificarono (o riedificarono) gli

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alloggi retrostanti la chiesa, si aprì la finestra nell’ab-side sinistra (di cui in esterno si osserva la cornice murata), si scialbarono le pareti (gli affreschi interni riemersero infatti grazie ai restauri del 1925 e poi del 2002) e si realizzò l’altare tabernacolo ligneo della Madonna. Quando la parrocchiale di San Mauro fu ricostruita nel 1785 e poi nel 1825, San Leonardo probabilmente fu officiata come chiesa di supplen-za. Forse l’appellativo di San Moro si sviluppò anche in conseguenza di queste parentesi di protagonismo nella comunità.

Conclusioni

Torniamo, dunque, alle statuette di ferro.Nella visita pastorale di Gian Matteo Giberti del

1529, la statua lignea di San Leonardo in armario pic-to era descritta «cum multis ferris ex voto delatis» 83. Quindi dentro l’armario erano depositati degli ex voto di ferro, compresi probabilmente i nostri reperti a forma di orante. Nelle fonti pastorali dei decenni a seguire le informazioni sono più sintetiche. In quella del 6 ottobre 1634 del vescovo Marco Giustiniani

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precisate e sconvenienti «figurae pictae» dalla stessa parrocchiale di San Mauro in Saline 85. Dovremmo immaginare, perciò, che se avesse voluto mettere al bando le statuine avrebbe espressamente prescritto la loro eliminazione. Consideriamo che l’altare di San Leonardo potesse esporre un numero maggiore di pezzi rispetto ai venti esistenti, mentre non si con-servano ex voto di altro tipo (ad esempio i più classi-ci ceppi o catene). Un tempo c’erano dei cerchi di ferro appesi agli spuntoni in ferro della balaustra in-torno all’altare (ora conservati in parte a San Mauro,

ci si affida ad uno stringato «reliquis instructum» 84. Spesso si è ripetuto nella letteratura che gli ex voto antropomorfi furono rimossi nel clima riformistico del Cinquecento, basandosi sul caso della visita pa-storale a Bulla del 1594, ma appare più verosimile che a San Mauro in Saline, come in altre località, gli oranti-ex voto fossero stati ritirati in tempi e in modi diversi. Anche Giberti nelle sue visite alla diocesi fece rimuovere delle opere giudicate «troppo defor-mi», ma si trattava in genere di statue o di pitture poste sugli altari. Il vescovo fece togliere delle im-

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in parte nel Museo etnografico di Bosco Chiesanuo-va), ancora in uso negli anni Sessanta del Novecento, destinati a una celebrazione contro le malattie della testa nel giorno di San Matteo o a essere veicolo di guarigione per chi pregava il santo (come descritto da Gasperini nel 1980). Questa variante del culto di San Leonardo, ancora una volta inusuale, ha un’ori-gine collegata alla malattia mentale come disturbo psichico, un tempo contenuto con le catene. L’inizio di questa manifestazione votiva è incerto, ma di sicu-ro più recente delle statuine. I cerchi favorivano una funzione taumaturgica, erano resi disponibili ai fedeli e non costituivano, almeno inizialmente, un ex voto personale per supplica d’aiuto o per grazia ricevuta, come invece gli oranti di ferro.

Il nascondiglio delle statuine nel campanile identi-ficato nel primo dopoguerra del Novecento potreb-be essere spiegato, dunque, come tentativo di fermare una dispersione frammentaria, acuita nel XIX secolo, di cui è prova lo stesso acquisto dei Musei Civici di Verona presso un antiquario. La forza del sentimento religioso associato agli ex voto antropomorfi di ferro era svanita da tempo.

Quello che sappiamo della chiesa di San Leonar-do, come detto, spinge la cronologia delle nostre fi-gure in metallo almeno oltre il tempo della commit-tenza di Nardo de ser Rigon, ma con più probabilità tra XV e XVI secolo, quando anche in altri luoghi tra Baviera e Tirolo il culto si appoggiava a questo tipo di espressioni di fronte a una malattia o qua-le ringraziamento per una guarigione. Le statuine di San Mauro in Saline che esibiscono i genitali po-trebbero essere riferite tanto a raccomandazioni per la fertilità, quanto ad invocazioni contro le malattie veneree. Non siamo in grado di produrre elementi decisivi per favorire l’una o l’altra ipotesi, ma le due proposte potrebbero coesistere, assieme alla richiesta di sostegno per le partorienti. L’assenza di ex voto in forma di animale non può costituire un indicato-

re cronologico (come voleva Gerola) e può essere frutto semplicemente della mancata esigenza di dare corso a questa specializzazione, per ragioni legate alla valorizzazione di altri santi protettori (sant’Antonio abate, san Valentino, san Bovo) o per i tempi e i modi dilatati dell’impatto dell’allevamento nella vita dei coloni tedeschi, rispetto all’organizzazione dell’al-peggio controllata dai ceti dominanti di Verona 86.

Queste nostre conclusioni non possono e non vo-gliono essere definitive, ma l’ipotesi di un legame delle statuine ex voto con un oratorio più antico di quello del 1388 diventa flebile e deve restare aperta solo per prudenza rispetto ad un luogo che mostra ancora dei margini per lo studio e per la ricerca. I nostri oranti sarebbero in questo caso l’unico reperto di una fase pienamente medievale ormai invisibile. Il fatto stesso di interrogarsi su una fondazione precedente di San Leonardo voluta dalla comunità dei cosiddetti Cim-bri sconfina nelle annose e complicatissime discussioni sull’arrivo dei coloni in Lessinia. Ancora una volta si fluttua nel tempo, tra le tesi di Carlo Cipolla, con la data del 1287, e le ipotesi sugli insediamenti ‘tedeschi’ favoriti dall’abbazia di Santa Maria in Organo a par-tire dal secolo XI. In questa montagna veronese dei Cimbri così incline a salvaguardare il proprio passato tanto da ‘inventare’ continuamente la tradizione, ogni questione ne contiene un’altra. La storia diventa una matrioska senza fine, la scatola perfetta per i misteri di questi piccoli uomini di ferro, che pronunciano le loro preghiere arcane, sempre immutabili e sempre diverse.

Giugno 2015

Ringraziamenti: Ugo Sauro, Laura Ragnolini, Francesco Bletzo, Florence Caillaud, Giulia Becchi, Andrea e Juer-gen Schulz, padre Remigio Battel, Fabio Saggioro, Mari-na Cherubini, Andrea Zamboni, Enrico Bonfadini, Mar-gherita Bolla, Chiara Gattoli e Marta Bragantini.

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Appendice: didascalie degli ex voto

Fig. 1 – Statuina ex voto di orante nu-do, ferro battuto, cm 17,3 x 4, inv. 9133 5B1673, proveniente da San Mauro in Sali-ne, Direzione Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Occhi sono segnati come minu-te cavità ovali, bocca tratteggiata da un’in-cisione. Genitale maschile segnalato da un piccolo segmento di ferro che sporge verso il basso.

Fig. 2 – Statuina ex voto di orante nudo, ferro battuto, cm 16 x 5,3, inv. 9134 5B1674, proveniente da San Mauro in Saline, Dire-zione Musei d’Arte Monumenti, in deposi-to al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Occhi, naso e bocca incisi. Leggera protu-beranza forse riferibile a genitale maschile.

Fig. 3 – Statuina ex voto di donna oran-te nuda, ferro battuto, cm 16 x 5,5, inv. 9135 5B1675, proveniente da San Mauro in Sa-line, Direzione Musei d’Arte Monumenti. Foro quadrato evocante il sesso femminile. Manca il braccio sinistro.

Fig. 4 – Statuina ex voto di orante, ferro battuto, cm 20,5 x 6, inv. 9136 5B1676, pro-veniente da San Mauro in Saline, Direzio-ne Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988.

Fig. 5 – Statuina ex voto di orante, ferro battuto, cm 16 x 5, inv. 9137 5B1677, pro-veniente da San Mauro in Saline, Direzio-ne Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Occhi e naso incisi. Due incisioni sul tron-co, forse a evocare le braccia. Possibile frat-tura di protuberanza inguinale

Fig. 6 – Statuina ex voto di orante nudo, ferro battuto, cm 32 x 6, inv. 9138 5B1678, proveniente da San Mauro in Saline, Di-rezione Musei d’Arte Monumenti, in de-posito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Genitale evocato da leggera piegatura triangolare. Mancante del piede sinistro.

Fig. 7 – Statuina ex voto di orante nudo, ferro battuto, cm 19 x 6,5, inv. 9139 5B1679, proveniente da San Mauro in Saline, Di-rezione Musei d’Arte Monumenti, in de-

posito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Mancante del piede sinistro.

Fig. 8 – Statuina ex voto di donna orante nuda, ferro battuto, cm 18,5 x 7,5, inv. 9140 5B1680, proveniente da San Mauro in Sali-ne, Direzione Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Occhi, naso e bocca incisi. Sesso fem-minile evocato da foro quadrato inguinale.

Fig. 9 – Statuina ex voto di orante, ferro battuto, cm 19,5 x 6, inv. 9141 5B1681, pro-veniente da San Mauro in Saline, Direzio-ne Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Occhi e bocca incisi.

Fig. 10 – Statuina ex voto di uomo oran- te, ferro battuto, cm 22 x 5, inv. 9142 5B1682, proveniente da San Mauro in Sali-ne, Direzione Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Le mani in preghiera non sono congiunte.

Fig. 11 – Statuina ex voto di donna orante nuda, ferro battuto, cm 19 x 6,8, inv. 9143 5B1683, proveniente da San Mauro in Saline, Direzione Musei d’Arte Monu-menti, in deposito al Museo di Bosco Chie-sanuova dal 1988. Sesso femminile segnato da punzone quadro. Manca la gamba destra.

Fig. 12 – Statuina ex voto di donna oran-te in ginocchio, ferro battuto, cm 12 x 3, inv. 9144 5B1684, proveniente da San Mauro in Saline, Direzione Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bo-sco Chiesanuova dal 1988. Occhi e boc-ca incisi. Collo lungo e mani ‘arrotola- te’ come a formare un reggicero.

Fig. 13 – Statuina ex voto di donna orante, ferro battuto, cm 18 x 5, inv. 9145 5B1685, proveniente da San Mauro in Sali-ne, Direzione Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Donna con lunga veste. Occhi a puntino e naso a triangolo.

Fig. 14 – Statuina ex voto di orante, ferro battuto, cm 18 x 3,5, inv. 9146 5B1686, pro-veniente da San Mauro in Saline, Direzio-

ne Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Occhi, naso e bocca incisi. Mani enormi ri-spetto al resto del corpo.

Fig. 15 – Sagoma ex voto di orante, ferro battuto, cm 18 x 5,5, inv. 9147 5B1687, pro-veniente da San Mauro in Saline, Direzione Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. La-miera tagliata con sagoma umana di profilo e con foro per appendere.

Fig. 16 – Statuina ex voto di orante, ferro battuto, cm 16,5 x 4,3, inv. 16198 5B2087, dono di G. Bortoli di Soave 1937, prove-nienza sconosciuta, Direzione Musei d’Arte Monumenti, in deposito al Museo di Bosco Chiesanuova dal 1988. Orante con testa a forma di alabarda.

Fig. 17 – Statuina ex voto di orante nudo, ferro battuto, cm 19 x 5, senza numero d’in-ventario, provenienza sconosciuta, Museo di Bosco Chiesanuova. Occhi, naso e bocca incisi.

Fig. 18 – Statuina ex voto di donna orante nuda, ferro battuto, cm 22,5, inv. 45252, già al Museo di Storia Naturale, dal 31 maggio 2012 alla Direzione Musei d’Arte Monu-menti. Sesso femminile evidenziato con in-cavo quadrangolare. Manca il piede sinistro.

Fig. 19 – Statuina ex voto di donna oran-te nuda, ferro battuto, cm 18,4, inv. 45253, già al Museo di Storia Naturale, dal 31 maggio 2012 alla Direzione Musei d’Arte Monumenti. Incisioni per occhi bocca e naso. Sesso femminile segnato da un solco. Evidenziato l’ombelico.

Fig. 20 – Statuina ex voto di donna oran-te nuda, ferro battuto, cm 19,8, inv. 45254, già al Museo di Storia Naturale, dal 31 mag-gio 2012 alla Direzione Musei d’Arte Mo-numenti. Puntini per gli occhi, solchi per naso e bocca. Ombelico evidenziato. Sesso femminile segnato da incisione a valva.

Fig. 21 – Statuina ex voto di orante, ferro battuto, cm 19,7, inv. 45255, già al Museo di Storia Naturale, dal 31 maggio 2012 alla Direzione Musei d’Arte Monumenti. Inca-

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Note

1 Marini P., Il primo allestimento museale di Castelvecchio, in Medioevo ideale e medioe-vo reale nella cultura urbana. Antonio Avena e la Verona del primo Novecento, atti del con-vegno, Verona, 28 febbraio-1 marzo 2002, a cura di P. Marini, Verona 2003, pp. 155-181.

2 Archivio Storico Direzione Musei d’Ar- te Monumenti, busta 1923.

3 Archivio Storico Direzione Musei d’Ar- te Monumenti, Registro delle entrate e delle spese del Civico Museo dal 8 Marzo 1871 al 20 Gennaio 1894, carta n.n.

4 Secondo il calcolo effettuato con i co-efficienti di rivalutazione dell’istat.

5 Gerola B., Il culto di San Leonardo ed i suoi ex voto nei XIII comuni, in “Il Folklore Italiano. Archivio trimestrale per la raccolta e lo studio delle tradizioni popolari italia-ne”, V, 1930, 3-4, p. 102, nota 5.

6 Gasperini G., I cerchi di ferro della chiesa del monte di San Moro a San Mauro in Saline, in “La Lessinia - Ieri oggi domani”, 3, 1980, pp. 81-92.

7 Per un profilo biografico si veda: Lo-renzo da Fara, Ricordando padre Zaccaria a un anno dalla scomparsa, Mestre 1998.

8 L’archivio di lavoro personale di padre Zaccaria Varalta è consultabile presso l’Ar-chivio Provinciale dei Cappuccini Veneti di Mestre. I carteggi relativi a San Mauro recano il titolo generale: Padre Zaccaria Va-ralta. Raccolta di documenti confini stesura foto-mappe San Mauro in Saline, con segnatura 27 E 12. Comprendono in buona parte foto-copie relative alla bibliografia sulle chiese del paese. Sono presenti un certo numero di lettere informative firmate da Carlo Va-ralta di Montorio e il manoscritto per un testo storico di sintesi su San Mauro in Sa-line lasciato in fase ancora embrionale. Si

ringrazia per la disponibilità il responsabile dell’archivio, padre Remigio Battel.

9 Sul ritrovamento degli ex voto si re-gistrano a posteriori delle dicerie, vere o presunte, circa il clamore della scoperta, come quella riportata in Cambié G.M., Staghellini E., Berto da Cogollo e la tradi-zione del ferro battuto, Verona, s.d. [1966], p. 13: «La loro scoperta fece grande rumore e per un bel po’ di tempo furono l’argo-mento del giorno nelle osterie dei paesi vicini». Forse da queste ‘osterie’ nel 1958 Brenzoni raccolse divertito la voce che «di siffatti pezzi sagomati di ferro, se ne tro-vano parecchi ancora disseminati nei bo-schi circostanti» (Brenzoni R., Un fresco del ’500 e una tempera della fine del ’400, in “Miscellanea in onore di Roberto Cessi”, Roma 1958, II, p. 55).

10 Vecchiato M., Alessandro Da Lisca, in “Dizionario biografico dei Soprintendenti Architetti (1904-1974)”, Bologna 2011, pp. 230-232.

11 Archivio Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovi-go e Vicenza, busta VR Prov 74/2 San Mau-ro di Saline. Chiesa di San Moro (chiesa dei San Leonardo). La cella campanaria reca la data del 1923 con il nome del capomastro Ro-berto Cocco, cfr. Bonomi E., San Moro e il suo polittico, in“La Lessinia - Ieri oggi doma-ni”, 36, 2013, p. 135. Appare infondata alla luce dei documenti post bellici, la notizia riportata da Bonomi che durante la guerra il campanile fosse stato smontato fino all’al-tezza del tetto della chiesa «per evitare che fosse colpito dalle cannonate dell’artiglieria austriaca».

12 Cfr. Didi-Huberman G., Ex voto, Mi-lano 2007, p. 8: «le forme votive sono capaci, al tempo stesso, di sparire per periodi molti

lunghi e di riapparire quando meno ce lo si aspetta. E sono anche in grado di resistere a ogni evoluzione percettibile».

13 Franzoni L., Dal tardo antico all’alto me-dioevo, lacinie veronesi, in “Verona in età go-tica e longobarda”, atti del convegno 6-7 dicembre 1980, Verona 1982, pp. 105-117. La statuetta ha incastonata sul petto una moneta di Costantino.

14 Volpato G., Da Ronco Roberto, in “Di- zionario Biografico degli Italiani”, 32, Ro- ma 1986, pp. 806-807.

15 Cambié, Staghellini, Berto da Cogol-lo, cit., p. 17. Sulle voci di falsificazione cfr. Volpato G., Una vita per il ferro battuto. Berto da Cogollo e la sua opera, Verona 1977, p. 17: «Dedicate a S. Leonardo primo protettore della chiesetta situata sul colle, le statuette che denotano una lavorazione artigianale semplice e rustica, ma di pregevole fattura, sarebbero state anziché opera degli abitato-ri cimbri, dello stesso Berto, che con abilità avrebbe copiato, modificato ad arte consi-mili figure della civiltà nuragica. Tale tesi ci pare, oggi, infondata ed è assai presumibile l’originalità dei reperti in ferro battuto. La confusione era stata, forse, originata dal fatto che il Da Ronco sapeva imitare assai bene le forme antiche e non è escluso che egli stesso ne abbia ricalcato la copia per gli antiqua-ri per i quali, sovente, interrava gli oggetti affinché prendessero lo smalto del tempo».

16 Bona E., Arte religiosa popolare in Italia, catalogo della mostra, Venezia 1942.

17 Modonesi D., Lanfranco Franzoni e il patrimonio culturale veronese: un’indagine lunga una vita, in “Verona Illustrata”, 19, 2006, pp. 5-31. Franzoni aveva pubblicato un primo lungo articolo nel 1957: Franzoni L., Scul-ture popolari veronesi, in “Saggi e memorie di storia dell’arte”, I, 1957, pp. 227-258.

vi per gli occhi, incisa la bocca. Braccia al-lungate e chiuse tra loro a cerchio, come a simulare un abbraccio.

Fig. 22 – Statuina ex voto di orante, fer-ro battuto, cm 18, inv. 45256, già al Mu-seo di Storia Naturale, dal 31 maggio 2012

alla Direzione Musei d’Arte Monumenti. Monca del braccio destro. Presenti incro-stazioni di legante a malta.

Storia124

18 Lo scrive Magagnato nella Premessa al catalogo della mostra Sculture popolari dei XIII Comuni, Venezia 1958. Le ricerche di Franzoni ebbero subito eco nel volume di Toschi P., Arte popolare italiana, Roma 1960, figg. 485-488.

19 I curatori di Bosco Chiesanuova avan-zano l’ipotesi che fosse giunta per trami-te di Gianfranco Gasperini, che aveva una propria raccolta di oggetti ‘storici’ della Les-sinia e che collaborò con il museo.

20 Era allievo del più famoso Carlo Bat-tisti, autore anche del necrologio di Gerola: Battisti C., In memoria di Berengario Gerola, Firenze 1954.

21 Cignitti B., Leonardo di Nobiliacum, in “Bibliotheca Sanctorum”, VII, Roma 1966, pp. 1198-1203; Ricci G., Catene. Fi-gure e reperti della tradizione degli schiavi, in “Iconografia della solidarietà. La mediazio-ne delle immagini (secoli XIII-XVIII)”, a cura di M. Carboni, G.G. Muzzarelli, Ve-nezia 2011, pp. 211-212; Geltner G., La prigione medievale. Una storia sociale, Roma 2012, pp. 148-150.

22 Schlosser J. (von), Storia del ritratto in cera. Un saggio, a cura di A. Daninos, Mila-no 2011.

23 Menardi H., Tiroler Volkskunstmuseum di Innsbruck, II, Religiosità e feste popolari del Tirolo, del Trentino e delle Valli Ladine, Ivrea 1992, p. 24.

24 Weninger P., Volkskunst in den Alpen, Frankfurt am Main 1971, pp. 16-18. Alcu-ni esempi sono editi anche in Pizzati G., Arte cimbra, Vago di Lavagno 1970, pp. 26-27, tratti dal libretto illustrato di Kriss R., Volksglaube Europeas, I, Eisenopfer, Das Eise-nopfer in Brauchtum und Geschichte, Mün-chen 1957, in cui Kriss cita anche il caso dei voti di San Mauro in Saline (p. 15).

25 Klemenz M.A. B., Das Wallfahrtsmu-seum Inchenhofen. Die Verehrung des hl. Leon-hard, «Amperland», 30, 1994, pp. 221-226.

26 Gerola, Il culto di San Leonardo, cit., p. 124. In seguito è stato ripreso a livello locale, con diverse imprecisioni, vedi per esempio Pelloso Peretti E. M.P., Due santi venerati sulla montagna veronese: San Leonardo e San Vincenzo Ferreri, in “Val d’Illasi e val di

Mezzane. Note sul territorio”, Verona 1988, pp. 80-82.

27 Una sintesi sulla vita del santo ricava-ta dalla fonti agiografiche edite fu pubblica-ta a Verona da Antonio Spagnolo nel 1901, quando era cappellano della chiesa di San Leonardo in Valdonega: Spagnolo A., Vita di San Leonardo romito del Limosino. Storia del suo culto e de’ principali miracoli, Verona 1901.

28 Colafranceschi C., San Leonardo di Nobilacum. Iconografia, in “Bibliotheca San-ctorum”, VII, Roma 1966, pp. 1204-1208; Kaftal G., Iconography of the Saints in the Painting of North East Italy, Firenze 1978, coll. 611-613, n. 177.

29 Biancolini G., Notizie storiche delle chiese di Verona, VII, Verona 1766, pp. 123-134.

30 Castagnetti A., La famiglia veronese degli Avvocati (secoli XI-XIII), in Studi sul me-dioevo cristiano offerti a Raffaello Morghen per il 90° anniversario dell’Istituto Storico Italiano (1883-1973), Roma 1974, pp. 275-276.

31 Cfr. Cambié G.M., Ex voto veronesi, Ve-rona 1965, p. 27; Gasperini, I cerchi, cit., p. 88, fig. 13.

32 Un recente scavo a Monte Lucio nel Reggiano sembra, tra l’altro, collegare que-sta tipologia a delle inattese manifestazioni sepolcrali di infanti nella chiesa castrense de-dicata al santo, ma si tratta di una congettura ancora da vagliare. Sulla scavo vedi Augenti A., Fiorini A., Galetti P., Mancassola N., Mu-sina G., Scavo di Monte Lucio, Quattro Castella (Re), in “VI Congresso nazionale di Archeo-logia Medievale”, a cura di F. Redi, A. For-gione, Firenze 2012, pp. 233-237.

33 Rispetto alla diffusine alpina del culto, in aree boscose (come per il caso dei Cim-bri) è suggestivo il collegamento al raccon-to della vita solitaria del santo nella foresta e dell’assegnazione di terreni da dissodare nella foresta stessa a quanti erano accor-si a lui, dopo essere stati liberati dalla pri-gionia, affinché occupati nel lavoro agreste non tornassero a delinquere: cfr. Vita San Leonardi confessoris, XXXIV «Distribuens eis partem ex spatiosa latitudine silve», in ap-pendice a Arbellot F., Vie de Saint Léonard

solitaire en Limousine, ses miracles et son culte, Paris 1863.

34 Andree, Votive, cit, p. 41. Sul tema del-la malattia mentale, vedi p. 147.

35 Tralasciamo in questa sede di adden-trarci nel tema della continuità tra riti sa-crificali antichi e riti medievali, che sembra nascondersi sotto questo tipo di ex voto, ol-tre a quanto scrive Andree nel volume più volte citato, vedi ad esempio Brückner W., Volkstümliche Denkstrukturen und ho-chschichtliches Weltbild im Votivwesen: zur Forschungssit-uation und Theorie des bildlichen Opferkultes, in “Schweizerisches Archiv für Volkskunde”, 59, 1963, 3-4, pp.189-190.

36 Höfler M., Votivgaben beim St. Leon-hardskult in Oberbayern, in “Beiträge zur An-thropologie und Urgeschichte Bayerns”, 9 (1891), pp. 109-136; 11 (1894), pp. 45-89.

37 Cipolla C., Le popolazioni dei XIII co-muni veronesi. Ricerche storiche con l’appoggio di nuovi documenti, Venezia 1882, pp. 53-63. In seguito Cipolla temperò questa sua posi-zione immaginando che dal Vicentino po-tessero essersi spostati dei coloni anche pri-ma di quella data, ma comunque nel XIII secolo, vedi Cipolla F., Cipolla C., Dei coloni tedeschi nei XIII comuni veronesi saggio, Torino 1883.

38 Mantese G., Memorie storiche della chiesa vicentina, II, in “Dal Mille al Milletrecento”, Vicenza 1954, pp. 478-483. Cfr. sul tema l’ottima sintesi in Sauro U., Lessinia. Monta-gna teatro e montagna laboratorio, Verona 2010, pp. 124-137.

39 Franzoni L., Significato della scultura popolare dei Lessini, in “Vita Veronese”, IX, 1960, 9, p. 348.

40 Sono ammiccamenti di una presunta tradizione, più tardi esemplificati dal citato volumetto Berto da Cogollo e la tradizione del ferro battuto del 1966 e dal successivo Volpa-to G., Fabbri e battiferro nella Lessinia, Verona 1984, nel quale tra l’altro l’autore polemiz-za con Franzoni circa un piccolo Crocifisso rinvenuto a Badia Calavena e esposto nel Museo di Giazza, considerato di epoca vi-cina agli ex voto (Scultura popolare, cit., p. 10). Scrive Volpato: «Non accettiamo, invece, l’i-potesi avanzata da chi ha collocato in tale

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epoca anche un piccolo crocefisso in fer-ro, oggi al Museo etnografico succitato. A noi pare un’abile forgiatura moderna frutto, probabilmente, di mano cogollese» (p. 33).

41 Kriss R., Volkstümliche Kultformen im Lavanttal, in “Wiener Zeitschrift für Volks-kunde”, XL, 1935, pp. 61-62.

42 Klemenz, Das Wallfahrtmuseum, cit., p. 223.

43 Mang H., St. Lienhard mit der Eisen-kette, in “Der Schlern”, I, 1920, 17, p. 263.

44 Il risultato indiretto della presenza del piombo fu quello di favorire la durata dei manufatti. Le statuette hanno un de-grado assai inferiore a quello che speri-mentiamo con il ferro moderno aggredito dalla ruggine.

45 Come primo approccio generale, di una bibliografia sterminata: Didi-Huber-man, Ex voto, cit.; con attenzione all’area tedesca: Kriss L., Rettenbeck, Ex voto. Zeichen Bild und Abbild im christlichen Vo-tivbrauchtum, Zürich 1972; Brauneck M., Religiöse Volkskunst. Votivgaben, Andachtsbil-der, Hinterglas, Rosenkranz, Amulette, Köln 1978; sugli ex voto artistici in oro e argento: Lightbown R.W., Ex-votos in gold and sil-ver: a forgotten art, in “The Burlington Ma-gazine”, CXXI, 1979, 915, pp. 353-359; su-gli ex voto in cera, almeno Bisogni F., Ex voto e la scultura in cera nel tardo medioevo, in “Visions of holiness. Art and devotion in Renaissance Italy”, a cura di A. Ladies, S. Zuraw, Georgia 2000, pp. 66-91.

46 Fiorio S., Pellegrinaggi in Lessinia nel Quattrocento, in “Cimbri/Tzimbar - Vita e cultura delle comunità cimbre”, XXII, 2010, 44, p. 22.

47 Mantese G., La Chiesa Vicentina. Pano-rama storico, Vicenza 1962, p. 212.

48 Mantese G., Cocco F., Storia di Fon-gara, Valgagno 1991.

49 Gugole G., Lovatin R., Lovatin P., Menespà B., La chiesa parrocchiale di Veste-nanova (1848-2008) e il suo organo (1868-2008), Vestanova 2008, specie pp. 17 e 91.

50 Riforma pretridentina della diocesi di Ve-rona: visite pastorali del vescovo G.M. Giber-ti 1525-1542, a cura di A. Fasani, Vicenza 1989, I, p. 227.

51 Negli anni a seguire il cappellano è un ‘cimbro’ del Vicentino, tale Nicolaus de Fa-bris de Crispadoro, vedi Agostino Valier: visite pastorali a chiese della diocesi di Verona, anni 1565-1589. Trascrizione dei registri 13 e 14 delle Visite Pastorali, Verona 2001, p. 207.

52 Fiorio, Pellegrinaggi, cit, p. 38, 40, 43. Altri sono stati identificati nel XV seco-lo per il territorio vicentino da Giovan-ni Mantese, cfr. Schnell H., La devozione a San Leonardo nel Vicentino, in “Cimbri/Tzimbar - Vita e cultura delle comunità cimbre”, XXI, 2009, 42, pp. 67-73.

53 Varanini G.M., Note sull’emigrazione dalla montagna veronese nel Quattrocento, in “Cimbri/Tzimbar”, V, 11, pp. 31-54.

54 La pubblicistica sulla chiesa, oltre quan-to citato, nelle note precedenti, comprende: Dal Forno F., Chiesette e oratori in Lessinia, 1, Comune e parrocchia di San Mauro, Giazza 1993, pp. 13-23; Lazzarin G., Delibori M., La chiesa di San Leonardo. San Mauro in Sali-ne, Verona, Verona 2000.

55 Gerola pensava addirittura che la chie-sa fosse intitolata a San Matteo (Gerola, Il culto, cit., p. 102). Una prima attestazione della festa di san Matteo si ha in una visi-ta del vescovo Barbarigo alla fine Seicento: Giovanni Francesco Barbarigo, vescovo di Verona, 1698-1714: visita pastorale alle chiese della cit-tà e diocesi di Verona, anni 1699-1714, Verona 2006, I, p. 92.

56 Archivio Storico Curia Vescovile di Verona, Visite pastorali LXXV, Niccolò Anto-nio Giustiniani, c. 35v.

57 Tra i calendari liturgici veronesi lo at-testa in primis il calendario del Carpsum di Stefano cantore dell’XI secolo: Meerseman G.G., Adda E., Deshusses J.‚ L’orazionale dell’arcidiacono Pacifico e il Carpsum del cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia del duomo di Ve-rona dal IX all’XI secolo, Friburgo 1974, p. 214.

58 L’ipotesi è ventilata in Segala F., I ve-scovi di Verona e la città in età tardo antica e pre-carolingia (saecc. V-VIII), Verona 2014, p. 69. Un tentativo di spiegazione sulla sovrap-posizione dei “due” santi viene proposto in Ragnolini L., Da Benediktbeuern a Verona nell’anno Mille, in “Cimbri/Tzimbar - Vita e cultura delle comunità cimbre”, XXV, 2013, 48, pp.78-81.

59 Carlo Giuliari G.B., Le epigrafi vero-nesi in volgare raccolta cominciata da Scipione Maffei dal 1239 al 1542 continuata e accre-sciuta, Verona 1880, p. 12, secondo voci già in essere e raccolte per esempio dal vescovo De Riccabona nella visita svolta tra il 3 e il 5 luglio 1858 (Le visite pastorali di Pietro Au-relio Mutti (1842-1846) e Benedetto De Ric-cabona (1858) nella diocesi di Verona, a cura di A. Chiarello, Rovigo 1977, p. 432).

60 Vedi il documento in Biancolini, No-tizie storiche, cit., III, Verona 1750, pp. 320-321. Biancolini avviò la supposizione, poi sempre ripresa dalla letteratura locale, che il priore Lanfranco guidasse un gruppo di mo-naci benedettini, che furono anche collegati, pur in assenza di prove, all’abbazia dei santi Pietro, Vito e Modesto di Badia Calavena. Le circostanze del 1145, in cui il vescovo inter-venne in una disputa tra chierici, e il fatto che già nell’anno 1165 San Mauro fu unita alla chiesa archipresbiteriale di San Pietro in Castello di Verona (quindi a una collegiata guidata da un arciprete) fanno propende-re per l’ipotesi che Lanfranco fosse il priore di un canonicato. L’uso del termine priore per una comunità di canonici viene attestato dallo stesso Biancolini, ad esempio, per la già citata San Leonardo di Valdonega (Bianco-lini, Notizie storiche, cit., VII, p. 123), anche se in questo caso la regola comunitaria viene esplicitata. Non si è tenuto poi in conto che nel 1145 un titolo di San Mauro di pertinen-za dei benedettini rimanderebbe più diretta-mente a San Mauro abate, uno dei maggiori santi dell’ordine, piuttosto che al localissimo santo vescovo di Verona, a cui non è dedicata alcuna altra chiesa, oltre a quella di Saline.

61 Miller M.C., Chiesa e società in Verona medievale, Verona 1998, p. 125.

62 Cipolla, Le popolazioni dei XIII comu-ni, cit., pp. 99-100.

63 Cipolla, Le popolazioni dei XIII comu-ni, cit., p. 53 per l’atto del 1376 e per il Rigo quondam Giacomo del 1386, p. 74.

64 Si tratta in entrambi i casi di una Ma-donna col Bambino, cfr. Piccoli F., Tra centro e periferia: testimonianze di pittura e devozione del territorio veronese del secondo Trecento in “Reli-gione delle campagne”, a cura di M. Rossi,

Storia126

Verona 2007, p. 169, nel quale si assegna al pittore il nome convenzionale di Maestro di San Moro. L’autrice con comprensibile pru-denza considera il caso di Grezzana solo di cultura affine a questo maestro, ma le varia-zioni coloristiche dell’affresco sono dovute ad una pesante ridipintura del XVII secolo, allorché furono aggiunti gli angioletti che incoronano la Vergine.

65 Dal Forno F., Storia e arte nella valle di Mezzane, Verona 1975, p. 146, in nuova versione aggiornata Dal Forno F., Visione storico artistica della Valle di Mezzane, Verona 2002, p. 176.

66 Il corpo del drago è perduto. Davan-ti a Santa Marghertita s’intravede anche la parte superiore della testa di un’altra figura, non identificabile.

67 Si pensi ai titolari delle chiese: San Bartolomeo a San Bartolomeo delle Mon-tagne presso Selva di Progno; San Giacomo maggiore a Giazza, Santa Margherita a Bo-sco Chiesanuova. Sui santi dei coloni tede-schi rimandiamo per sintesi a Sauro, Lessi-nia, cit., in vari punti.

68 Piccoli F., Altichiero e la pittura a Verona nell’età scaligera, Verona 2010, p. 123.

69 Cipolla‚ Le popolazioni, cit., p. 75.70 Cfr. la relazione di restauro di Marina

Cherubini (Archivio Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, busta VR Prov 74/2 San Mauro di Saline. Chiesa di san Moro (chiesa dei San Leonardo). Non ha fondamento che il restauro avesse dimostrato che quella del 1388 era una ridipintura, come asserito in Bonomi, San Moro, cit., p. 136.

71 Archivio di Stato di Verona, Ufficio del Registro, Testamenti, m. 64, n. 55. Cfr. Fiorio, Pellegrinaggi, cit., p. 35.

72 Marco Giustiniani. Visitationes pasto-rales ecclesiarum civitatis et dioecesis Ve-ronensium ab anno 1632 usque ad annum 1650, Verona 1998, p. 69.

73 Archivio Curia Vescovile, Visite pa-storali, reg. L, c 14v.

74 Mason M., La chiesa di San Leonardo dell’ospedale dei Crociferi a Borghetto di Avio, in Una dinastia allo specchio. Il mecenatismo dei Castelbarco nel territorio di Avio e nella città di

Verona, a cura di Napione E., Peghini M., Avio 2005, pp. 52-73.

75 Riforma pretridentina, cit., I, p. 467. Nel-la visita successiva del 23 giugno 1530 (II, p. 648) fu trovato come custode un Gaspar quondam Alexii de Sancto Mauro, inadeguato nella preparazione cristiana. Questo stesso fu addirittura rimosso a seguito della visita del 12 giugno 1532 (II, p. 1014) per la sua vita dissennata, e il vescovo chiese di passare la gestione al cappellano Cristiano de Tessa-ris da Marcemigo. Nell’ultimo passaggio del vescovo del 20 luglio 1541 (III, p. 1540) il cappellano era un Andrea teutonicus.

76 Lo testimonierebbero indirettamente due travi con impresso l’anno 1494 della capriata sulla navata centrale, di cui si riferi-sce in Bonomi, San Moro, cit., p. 138. L’au-tore citando come fonte l’architetto Pietro Zamboni e un suo testo relativo al momen-to in cui fu sistemato il tetto tra il 1992 e il 1993 (comunicazione orale), riferisce di datazioni al carbonio radioattivo per la pri-ma, la terza e la quinta trave che avrebbero fornito cronologie tra la fine XIII e l’inizio del XIV secolo. Nei carteggi con la Soprin-tendenza non se ne trova riscontro. L’archi-tetto Silvano Carcereri che collaborava con Zamboni e Andrea Zamboni, figlio di Pie-tro, sostengono che tali analisi non furono mai eseguite. La notizia, quindi, deve consi-derarsi infondata. La storia della copertura, del resto, è complicata, come sempre capita. Il vescovo Alberto Valier nella visita del 10 luglio 1613 dispone: «reparetur tectum ec-clesiae Sancti Leonardi, devastatum, ut di-xerunt, a vento» (Alberto Valier. Visite pastorali del vescovo e dei vicari a chiese della città e dio-cesi di Verona anni 1605-1627, Verona 1999, p. 251). Anche nel secondo dopoguerra, nel 1951, la copertura fu ripristinata per rime-diare ai danni post conflitto, mettendo mano alle capriate (vedi la citazione archivistica alla nota 11).

77 La soluzione col campanile sul fronte davanti a una navata fu adottata a Sant’Elisio di Tesero in Trentino. Sulle colline veronesi è eccentrico il campanile di San Faustino di Bisano, tra Montorio, Trezzolano e Castagné, posto come torre di facciata, quasi a richia-

mare un westwerk del romanico transalpino. Segnaliamo che nel 1559, il portico davanti alla porta della chiesa, connesso al campanile era considerato bisognoso di restauro (Liber visitationis anni MDLIX: visite di vicari a chiese extraurbane: trascrizione del registro XIIb delle visite pastorali, Verona 1999, p. 26).

78 Per l’iscrizione cfr. Dal Forno, Storia, cit., pp. 147: sacerdos et pontifex mau-re pastor bone / in populo ora pro nobis dominum mdlxxxiiii. / io baptistae bon-venturini / praesbiteri verona opus. Sul maestro fonditore: Franzoni L., I Bonaven-turini, in Fonditori di campane a Verona dal XI al XX secolo, Verona 1979, p. 57.

79 La ricostruzione biografica del pittore di San Leonardo, con l’appoggio di docu-menti, si deve a Brenzoni R., Un fresco del ’500, cit., pp. 55-59. Dal Pozzo è attestato anche nella chiesa dei Santi Siro e Libera a Verona nel 1519 per un dipinto perduto dell’altare di San Siro (Rognini L., Gli ar-tisti che operarono al rinnovamento della chiesa dei Santi Siro e Libera (dal 1517 al 1525), in “Vita Veronese”, XXVI, 1973, 9-10, p. 278).

80 Le testimonianze raccolte dal padre Zaccaria Varalta collocano il fatto durante la giornata del 15 ottobre e non la notte, come dichiarato ufficialmente, fornendo an-che elementi per sospettare una regia del furto interna alla comunità parrocchiale.

81 Dal Forno, Visione storico-artistica, cit., fig. 197.

82 Repetto Contaldo M., Ruggero Lore-dano, in La pittura emiliana nel Veneto, a cura di Marinelli S., Mazza A., Verona 1999, pp. 107-114.

83 Riforma pretridentina, cit., I, p. 227.84 Marco Giustiniani, cit., p. 64.85 Vedi la selezione di questi casi com-

mentata in Franzoni L., Sui Lessini al tem-po del vescovo Giberti, in “Cimbri/Tzimbar - Vita e cultura delle Comunità cimbre”, VI, 1995, 14, pp.

86 Sauro, Lessinia, cit., pp. 106-120.