gestazione per altri le figure in gioco

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BIMESTRALE ANNO XX N. 115 GENNAIO 2016 SPED. IN ABB. POSTALE D.L. 353/1993 (CONV. L. 46/04) ART. 1 COMMA 1 DCB ROMA 10 EURO ARRETRATO 15 EURO ISSN 1121-641 N.115 GENNAIO 2016 amme mie! M 115 SPECIALE: Sui maschi, ancora MAMME MIE

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N 1

121-

641

HANNO SCRITTO

PER NOISara Bennet, Barbara Bonomo

Romagnoli, Caterina Botti,Francesca Caminoli, Maria

Clelia Cardona, Eleonora Cirant,Anna Maria Crispino, Giulia

Crispino, Cecilia D’Elia, ElviraFederici, Lorenzo Gasparrini,Tommaso Giartosio, Patrizia

Larese, Jolanda Leccese,Lucha y Siesta, Loredana

Magazzeni, Anna Mainardi,Daniela Matrònola, SilviaNeonato, Matilde Passa,Mariagrazia Pelaia, Sara

Pollice, Emma Rolla, ElisabettaSerafini, Giorgia Serughetti,

Nadia Tarantini, Maria VittoriaVittori, Grazia Zuffa

HANNO PARLATO

CON NOICooperativa BeFree

Mercedes Arriaga

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SPECIALE: Sui maschi, ancora

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Leggendaria Cover 115.qxp_434x300 02/02/16 17:26 Pagina 1

ISSN: 1121-6417ISBN 97 888 6252 3196

DIRETTA DA Anna Maria Crispino

COMITATO DI REDAZIONE Luciana Di Mauro, Monica Luongo, Silvia Neonato, Matilde Passa, Giovanna Pezzuoli, Bia Sarasini, Nadia Tarantini, Maria Vittoria Vittori

HANNO COLLABORATO Per i testi: Sara Bennet, Barbara Bonomo Romagnoli, Caterina Botti, Francesca Caminoli, Maria Clelia Cardona, Eleonora Cirant, Giulia Crispino, CeciliaD’Elia, Elvira Federici, Lorenzo Gasparrini, Tommaso Giartosio, Patrizia Larese, Jolanda Leccese, Lucha y Siesta, Loredana Magazzeni, Anna Mainardi,Daniela Matrònola, Silvia Neonato, Matilde Passa, Mariagrazia Pelaia, Sara Pollice, Emma Rolla, Elisabetta Serafini, Giorgia Serughetti, Nadia Tarantini,Maria Vittoria Vittori, Grazia Zuffa • Per le immagini:Mariella Biglino, Maria Grazia ZammarchiCopertina:Mariella Biglino • Disegno pp. 78:Marina Cianetti • Le icone delle rubriche sono di Mariella Biglino • Grafica, impaginazione:Mariella BiglinoStampa: Arti grafiche La Moderna, via Enrico Fermi 13/17 - 00012 Guidonia (Roma) • Chiuso in tipografia gennaio 2016Editore e direttore responsabile: Anna Maria CrispinoLeggendaria, bimestrale, anno XX, numero 115, gennaio 2016 • Reg. Trib. di Roma n. 551/96 del registro stampa dell’8/11/96Spedizione in abb. postale D.L.353/ 1993 (conv. L.46/04) art.1 – comma1 DCB RomaRedazione e amministrazione: via Amalasunta, 142 – 01010 Marta (VT) • www.leggendaria.it – [email protected] • Distribuzione Messaggerie Libri: vedi elenco librerie p. 80 e sul sito www.leggendaria.itLeggendaria fa parte del Cric

n.115

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• A/MARGINE• PRATICHE• PRIMOPIANO• SPECIALE• UNDER-15• LETTURE• NEWS

MAMME MIE!

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EDITORIALE

QUESTO NUMERO 4

TEMA/MAMME MIE!

a cura di Anna Maria Crispinoe Giorgia Serughetti 6

LA QUESTIONEdi A.M.C. 6

LO SCENARIO

Mamme mie!di Giorgia Serughetti 7

SURROGACY

Gestazione per altri, le figure in giocodi Cecilia D’Elia 10

Nessun veto in nome della libertàdi Eleonora Cirant 13

Agar, madre per altridi M.P. 14

Guardare con i nostri occhidi Grazia Zuffa 15

Ma perché non adottano?di Silvia Neonato 18

Riproduzione, soggettività e relazionidi Caterina Botti 20

A/MARGINE

WOMEN’S STUDIES

Studi di genere in Spagnadi Loredana Magazzeni 29

A Siviglia una rete di studi e ricercheintervista a Mercedes Arriagadi Loredana Magazzeni 31

TVÈ la dura legge della fiction, bellezze!di Nadia Tarantini 33

MOSTREIl fascino della vita di nottedi Patrizia Larese 34

PRATICHE

MOSTRERiscattate dall’obliodi S. Be. 35

STORIALa violenza sulle donne ha una lungaStoriadi Eisabetta Serafini 36

VIOLENZAContro la tratta: una buona praticaIntervista a cura di Sara Pollice 38

SPECIALE

Sui maschi, ancoraa cura di Barbara Bonomo Romagnoli 414

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SOMMARIOell’appassionato e appassionante dibattito sulnuovo scenario della riproduzione e sulle forme dellagenitorialità, suscitato – non proprio innocentemente –dall’arrivo in aula della proposta di legge che dovrebbefinalmente riconoscere e regolamentare le cosiddetteUnioni Civili, dedichiamo il nostro Tema d’apertura –curato da Anna Maria Crispino e Giorgia Serughetti –proprio alla Madre, o meglio alla scomposizione dellasua figura, nel concreto delle pratiche e nell’universodel simbolico. Di madri, Mamme mie!, non c’è n’è piùsolo una: la donna che tradizionalmente poteva e vo-

leva concepire un figlio/a, portare avanti la gravidanza, partorirlo e allevarloè e resta tuttora la figura prevalente. Ma ci sono donne che scelgono di donare(o conservare) i propri ovuli, altre che si sottopongono alle diverse tecnichedi procreazione assistita – omologhe ed eterologhe – madri surrogate, o peraltri/e. E sono queste ultime a fare scandalo: proviamo a discuterne con pa-catezza, mettendo al centro interrogativi e dubbi, tentando una sguardo unpo’ più lungo di quello contingente e rapido che i new media, specie i socialnetwork, a volte ci propongono. Perché certamente il processo che tendesempre più a separare la sessualità dalla riproduzione è, appunto, un pro-cesso, lo scenario è da tempo in mutamento, appare fluido, soggetto a ulte-riori cambiamenti, e dunque qualsiasi presa di posizione sulla sua regola-mentazione dovrà fare i conti con ciò che è già mutato ma anche con ciò checi aspetta. Mantenere aperto il dibattito nel rispetto non solo delle molte di-verse opinioni – ma anche, e soprattutto, delle diverse attrici in scena, com-prese le “convitate di pietra”, vale a dire le madri per altri/e, è a nostro avvisouna presa di posizione politica necessaria. Non scegliere la scorciatoia, pe-raltro inefficace, del proibizionismo “senza se e senza ma”: l’ascolto delle ra-gioni altrui – ma anche delle nostre, in cui non possiamo escludere unamaggiore o minore ambivalenza – è esercizio di pazienza che richiede con-sapevolezza e lucidità proprio su un terreno in cui desideri e sentimentisono potenti, a volte laceranti. Ma la posta in gioco è assai alta: ne va, perdirla nel modo più semplice, della maggiore conquista di libertà femminile:l’autodeterminazione, la nostra capacità di agire da soggetti all’altezza dellacomplessità del presente. Interventi di Giorgia Serughetti, Cecilia d’Elia,Eleonora Cirant, Grazia Zuffa, Silvia Neonato e Caterina Botti.

E gli uomini? Il Tema del nostro numero 113 “Ciao, maschi” ha fattomolto discutere, vi proponiamo quindi alcuni degli interventi che ne sonoscaturiti nello Speciale curato da Barbara Bonomo Romagnoli che abbia-mo intitolato “Maschi, ancora”: ancora, perché anche di quella che pochi epoche hanno ancora voglia di chiamare “la questione maschile” si dovràcontinuare a parlare, sia per la definizione stessa del termine maschilità –come auto percezione rispetto all’eteronormatività patriarcale ma anchecome agente sociale, politico e relazionale in un quadro di “disfacimento”del genere – sia in relazione alla paternità o alle nuove dimensioni dellagenitorialità in atto e che anche la stessa legge sulle Unioni Civili potrebbesancire.

Ci molte molte altre cose in questo numero, che segna l’inizio del no-stro 20esimo compleanno, e alcune novità: abbiamo arricchito la sezione Pra-tiche con l’idea di fornire con ogni fascicolo i tasselli di una cartografia inprogress del ricco universo di imprese e iniziative delle donne che abbiano unreale “carattere trasformativo”, come ci suggerisce Sara Pollice. Poi inaugu-riamo una nuova rubrica, In/Versi, dedicata alla poesia e curata per noi daMaria Clelia Cardona. Ma il miglior modo per festeggiare il ventennale diquesta nostra Leggendaria sono i vostri abbonamenti: andate alle pagine 78-79 e regalateci qualche minuto per leggere le ragioni che ci spingono a pro-seguire in questa impresa che vive contro ogni pronostico, e quelle per cui levostre sottoscrizioni ci sono indispensabili. A chi ha già rinnovato l’abbona-mento non possiamo che dire grazie. Buona lettura!

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GIULIANO CAPECELATROUno sguardo micidialedi Anna Maria Crispino 66

UNDER-15

L’amore salva tuttodi Anna Mainardi 67

LETTURE

MARILENA MENICUCCITra arcaico e modernodi Matilde Passa 68

EDNA O’BRIENLa voce vespertina delle madridi Maria Vittoria Vittori 69

MIA LECOMTEVariabili in amoredi Francesca Caminoli 70

DONNA FOLEY MABRYStoria di Maudedi A.M.C. 70

BEATRICE MONROYDidone rivisitatadi Anna Maria Crispino 71

ORNELLA VORPSIChi è la madre?di A.M.C. 71

RUBRICHE

IN/VERSIa cura di Maria Clelia Cardona Sulla poesia “femminile” 68

TOP FIVE a cura di Silvia Neonato 72Le nostre Leggendarie Madrine 73

NEWS a cura di Giulia Crispino 74

Campagna abbonamenti 2016 76

Elenco Librerie 78

ABSTRACTSvai su/go to>>> www.leggendaria.it

Una rivoluzione insufficientedi Tommaso Giartosio 42

Come ripensare “il maschile”di Lorenzo Gasparrini 45

Belli e impossibilidi S. Be. 46

Rompiamo le righe: i generi e la politicadi Lucha y Siesta 47

Tutti maschi in famigliadi Sara Bennet 47

Lavori in corsodi A.M.C. 49

PRIMOPIANO

MARIA GIMBUTASL’Antica Europa della Deadi Mariagrazia Pelaia 51

PIA PERAAndarsene, con dolcezzadi Francesca Caminoli 55

Pensare all’aria apertadi S.Be. 57

ELSA MORANTEQuella luce che emana dalla scritturadi Elvira Federici 58

VIRGINIA DELLA TORRE/CAROLINAGERMINILe debuttantidi Daniela Matrònola 60

ELIZABETH JANE HOWARDUna grande famiglia sull’orlo della crisidi Anna Maria Crispino 62

MIGRAZIONISe la voglia, o la necessità, è quella diandarsenedi Jolanda Leccese 63

MICHELA MURGIAAndare al cuore delle relazionidi Maria Vittoria Vittori 64 5

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COPERTINA

La foto di copertina e le immagini che accompagnano questonostro Tema sono di Maria Grazia Zan marchi daun’opera e sposta nella collettiva “Arte da indossare” alla GalleriaSpazio E di Ghemme (4 dicembre 2015-24 gennaio 2016).

Maria Grazia vive e lavora a Milano, in stretta connessione e dialogocon altre artiste; ha partecipato a numerose mostre collettive inItalia e all’estero (Argentina, Spagna, Stati Uniti) e ha esposto inalcune personali, tra le quali “Esercizi di memoria” alla Torre me -dievale, Corbetta - Milano (2012). La sua pagina FB èhttps://it-it.facebook.com/MGZanmarchi

Partendo da una citazione, “E le vestirono vesti amabili, meravigliaa vederle” (Odissea, Omero, Libro ottavo, versione di Rosa CalzecchiOnesti) Maria Grazia racconta in versi – da poeta qual è – la suaopera-testo:

Questo lavoro è un abito,lo si indossa infilandolo dalla testa, lentamente,

facendo uscire prima una spalla poi il braccio, con movimenti lenti,perché i capelli non rimangano impigliatinel filo di ferro;come quando ci si infila in un cespuglioper seguire con la mano un ramo carico di rosee ci si ingarbuglia e ci si punge,e si esce con i segni rossi sulle mani e sulla faccia,stringendo nella mano una rosa;questo lavoro è una corazza,è forte, resistente, elastico, inviolabile,si adatta al corpo, lo circonda, lo protegge,lo rende impenetrabile;duro, irto e tagliente, all’apparenza;a toccarlo, si rivela morbido e accogliente […]

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L A Q U E S T I O N E

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Un grande polverone è stato sollevato sulla questione della surro-gacy – gestazione per altri/e – in tempi assai sospetti, vale a

dire a pochi mesi dall’arrivo in parlamento per la discussione in aula delddl Cirinnà sulle cosiddette “Unioni Civili” per regolamentare, anche supressante sollecitazione dell’Unione Europea, le relazioni di convivenzadelle persone, anche di quelle dello stesso sesso. Un provvedimento atte-so da 30 anni. Il fronte che si oppone – che schiera il mondo cattolico ela destra, compresa la Lega, che è in primissima linea – com’è noto haaffermato che la cosiddetta stepchild adoption prevista nel provvedimen-to avrebbe “aperto la strada” alla possibilità di ricorrere alla surrogacy, dicui peraltro non si fa alcuna menzione nel disegno di legge. Va subitochiarito che la possibilità di adottare legalmente i figli già nati del/la part -ner in una coppia omosessuale è un provvedimento a tutela dei minori,che quindi, ragionevolmente, dovrebbe essere un fattore positivo per chiafferma di essere dalla parte di bambini. Ma non c’è niente di ragionevo-le nella battaglia ingaggiata dagli oppositori del ddl Cirinnà: pura ideolo-gia conservatrice in nome della difesa della famiglia tradizionale – o pre-sunta “naturale” – una posizione che resta cieca non solo ai diritti deisoggetti coinvolti – tutti, adulti e bambini – ma anche ai mutamenti giàavvenuti nel costume e nella società. Ancora nei giorni in cui scriviamo,in vista dell’ennesimo Family Day, il Papa ha ribadito che non vanno “con-fuse” la famiglia tradizione e altri tipi di unioni, dopo il ben più esplicitopronunciamento del cardinal Ruini, ex presidente della ConferenzaEpiscopale, secondo il quale «La legge sulle unioni civili è inammissibile,la Chiesa continuerà a battersi affinché i figli abbiano padre e madre» (IlCorriere della Sera, 20 gen. 2016). D’altronde, il recente Sinodo sullafamiglia non aveva aperto alcuno spiraglio sulla materia (vedi Leg gen -daria n. 114/2015), quindi la presa di posizione della Chiesa cattolica eradel tutto prevedibile. Specie considerando la virulenza della campagnacontro la cosiddetta “ideologia del gender” in corso ormai da tempo (vediLeggendaria n. 110/2015) che, alla luce di ciò che sta accadendo, aposteriori può anche essere interpretata come una iniziativa per “prepa-rare il terreno”.

Le divisioni tuttavia sono trasversali, tra e dentro le forze politichema anche nel mondo del femminismo, come si legge negli inter-

venti di questo nostro “Tema”. Indipendentemente dall’esito dell’iter par-lamentare del provvedimento sulle Unioni Civili, le questioni aperte daiprofondi mutamenti nella riproduzione umana – anche se poste qui edora in modo strumentale – sono da tempo all’ordine del giorno. Le tecni-che che hanno reso possibile negli ultimi decenni la separazione dellasessualità dalla riproduzione, l’invadenza sempre più massiccia dellamedicina sui corpi, la moltiplicazione dei soggetti in scena – le madri, inparticolare, sui cui corpi e sul cui desiderio e capacità di autodetermina-zione si gioca la partita, ma anche i padri, figure sempre più ai marginidella scena riproduttiva – aprono interrogativi e pongono una necessità diriflessione per cui non esistono facili scorciatoie. Lo scenario è assaicomplesso, e in movimento. Nessuna regolamentazione sarà in grado diassecondare i cambiamenti se non in maniera plastica e rivedibile. llfuturo ci riserva ulteriori novità cui occorrerà far fronte tenendo la barraben dritta: la prima parola e l’ultima è e deve restare alle donne. Tutte,anche quelle “convitate di pietra” – vale a dire le donne “portatrici”, spe-cie quelle dei paesi più poveri – di cui giustamente si preoccupa DeborahArdilli (Nazio ne Indiana, 24 gen. 2016), e sulle quali torneremo.

A.M.C.

(segue da pagina 5)

[…] questo lavoro è una rete,intessuta in un susseguirsi/di silenziosi movimenti,intrecciando le maglie/le une alle altre,raccogliendo pensieri/e parole e storiecuciti insieme con/il filo della memoria.Ho realizzato due tele/ dipinte di bianco,una protegge il petto e il cuore,l’altra mi segue quando corroo mi precede,nel caso mi fermasse la paura.

Maria Grazia Zanmarchi

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T E M A / L O S C E N A R I O

«Maternità surrogata» o “surrogazione di materni-tà” (surrogacy), “gestazione per altri” o “d’appog-gio”, maternità “di sostituzione” o “per procura”:sono solo alcune delle espressioni utilizzate nellediverse lingue per nominare una varietà di pratiche

messe in atto quando una donna si rende disponibile a portarea termine una gravidanza per conto di singoli o coppie sterili.In Italia in realtà è più frequente sentirne parlare come di “ute-

Problemi aperti nell’ampio e appassionato dibattito sulla cosidetta

“gestazione per altri/e”: etici e morali, politici e legislativi e persino

di nominazione. Non siamo all’anno zero, ma lo scenario è

in rapido mutamento

DI GIORGIA SERUGHETTI

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Mamme mie!

ro in affitto”, una locuzione dal sapore denigratorio usata da al-cuni per sciatteria o sensazionalismo giornalistico, da altri – in-cluse diverse voci femministe – per evidenziarnegli aspetti ri-provevoli e chiederne la messa al bando. Proprio per questo, èinvece evitata da osservatrici e osservatori più aperti alla di-scussione.

Non c’è consenso, però, nemmeno sulle altre diciture,intorno a cui si svolge un dibattito che rispecchia la complessità

In queste pagine e fino a pagina 27:M

aria Grazia Zanmarchi.

Materiali: M

aglia di filo di ferro, tarlatana, colla, gesso

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T E M A / S C E N A R I O

di posizioni morali e politiche su questa pratica.“Gestazione per altri” è la formula favorita dal mo-vimento Lgbt, mentre alcune femministe la ritengonoun eufemismo che allontana dalla verità. Dell’espres-sione “maternità surrogata”, poi, c’è chi contesta ilsostantivo, per esempio la scrittrice Michela Murgiache in una recente serie di post pubblicati in retecritica l’uso improprio della parola maternità, dovesarebbe più opportuno parlare di gestazione o gra-vidanza. La distinzione è richiamata anche da CeciliaD’Elia nelle pagine che seguono. C’è invece chi con-testa l’aggettivo surrogata,perché rimanda a tuttociò che non è autentico ma finge di essere tale.

Per Eleonora Cirant, come si legge in questo no-stro “Tema”, è da preferire il participio presente aquello passato, non surrogata ma surrogante, per-ché la seconda formula contiene un elemento diagency. La sociologa Daniela Danna, invece, nel suorecente libro Contract Children: Questioning Surro-gacy, contesta la formula “madre surrogata” perché– sostiene – la cosiddetta portatrice «non è in alcunmodo un sostituto». Ogni madre diviene tale solonel momento in cui il bambino nasce, quindi la co-siddetta surrogata o portatrice dovrebbe più corret-tamente essere chiamata “madre di nascita”, quelliche intendono diventare genitori sociali saranno“genitori intenzionali” ed eventuali ovo-donatrici ospermo-donatori vanno nominati come tali, noncome genitori “biologici”. La biologia della gravi-danza, sostiene Danna, prevale sul legame geneticonel definire chi è il genitore biologico, e questo haprecise implicazioni in termini di policy: è semprealla donna che ha messo al mondo, anche quandonon ha alcun legame genetico con il nuovo nato, co-lei a cui spetta l’ultima parola sul suo destino.

Di fronte al fenomeno della surrogacy (la chia-merò così per praticità) ci troviamo insomma nelbel mezzo di una crisi delle categorie tradizionali di

lettura della realtà, di cui i problemi linguistici sono uno spec-chio rivelatore. «Abbiamo bisogno di nuove parole per espri-mere forme diverse da quelle che si sono standardizzate neltempo», scrive Eleonora Mazzoni nel recente volume pubbli-cato dalla Casa delle donne di Milano Potere/volere essere ma-dri e padri: «Madri single. Madri lesbiche. Madri surrogate. Ma-dri donanti. Madri riceventi. Padri giuridici. Padri biologici. Cidicono troppo poco. E, a causa della loro insufficienza, creanoconfusione e frustrazione».

Le tecnologie riproduttive, sebbene siano ormai solo relati-vamente “nuove”, rappresentano ancora una sfida potente peril pensiero femminista, che infatti mostra in questo campo tut-ta la sua interna articolazione in posizionamenti differenti oopposti.

PERCHÉ ORA, PERCHÉ QUI?Sul tema complesso che stiamo trattando sarebbe un errore ra-gionare come se fossimo all’anno zero. Su maternità surrogatae tecnologie riproduttive il pensiero femminista, anche in Ita-lia, si interroga da tempo. È del 1998, per esempio, il libro diMaria Luisa Boccia e Grazia Zuffa, L’Eclissi della madre. Studio-se come Tamar Pitch e Maria Grazia Giammarinaro hanno of-ferto elementi importanti di lettura del fenomeno, specialmen-te rispetto al diritto, già due decenni fa. Per non parlare della fi-losofia americana, che vede due dei principali riferimenti inquesto panorama, Il contratto sessuale di Carole Pateman (re-centemente ripubblicato in Italia da Moretti & Vitali), e Nascereper contratto di Carmel Shalev, comparire già alla fine degli an-ni Ottanta. Dunque perché ora, perché qui?

Negli ultimi mesi, in Italia, il tema della surrogacy si è impo-sto all’attenzione pubblica non a causa di controversi casi giu-diziari né per effetto di proposte di riforma della legge 40 del2004, che come è noto regola in senso proibizionista l’accessoalle tecnologie riproduttive. È accaduto invece che, da un lato,sulla scorta di un movimento anti-surrogacy europeo che vedein prima fila le femministe francesi guidate da Sylviane Agacin-ski, il gruppo “Se Non Ora Quando – Libere” ha promosso unappello, firmato da personalità del mondo politico e dello spet-tacolo, per mettere al bando la pratica: «Noi rifiutiamo di con-siderare la maternità surrogata un atto di libertà o di amore –scrivono – I bambini non sono cose da vendere o da “donare”.Se vengono programmaticamente scissi dalla storia che li haportati alla luce e che comunque è la loro, i bambini diventanomerce».

Dall’altro lato, sull’“utero in affitto” si sono concentrate lecritiche di esponenti politici di vari colori, che ne hanno fatto ilfulcro della loro contrarietà alla previsione di legge sulla step-child adoption (la possibilità di adottare i figli già nati del part-ner dello stesso sesso) contenuta nel ddl sulle Unioni civili at-tualmente in discussione in Parlamento.

Come è noto, la nascita attraverso maternità surrogata ri-guarda in realtà una piccola minoranza degli attuali figli di cop-pie omosessuali, mentre il fenomeno nel mondo vede in primafila le coppie eterosessuali sterili, desiderose di avere un figlio.Tuttavia, la conflagrazione dei due temi ha dato origine a unconfronto acceso, non solo tra attivisti Lgbt e noti esponentidella destra omofoba, ma anche tra voci diverse all’interno delfemminismo. Sul fronte anti-surrogacy si sono schierate (an-che se spesso in polemica con l’appello di “Se Non Ora Quan-do-Libere”) femministe storiche come Luisa Muraro e Lea Me-landri, giornaliste come Paola Tavella e Ritanna Armeni, Cristi-na Gramolini di Arcilesbica, Aurelio Mancuso di Equality Italia,per citarne soli alcuni. Posizione del tutto opposta quella as-sunta dalla bioeticista Chiara Lalli, che difende il possibile va-lore etico della surrogacy, anche nelle sue espressioni commer-ciali, e mette in guardia dalla tentazione di sostituirsi alla vocedi altre donne. Su un tracciato simile si muove la riflessione diEleonora Cirant, nelle pagine che seguono, a testimonianza diun’articolazione del dibattito che vede spesso in disaccordogenerazioni diverse di femministe.

Molti, poi, sono stati i contributi – da Emma Bonino a Ema-nuele Trevi, da Alessandra Bocchetti a Michela Murgia, dallepensatrici che contribuiscono a questo tema su Leggendaria ablogger e attiviste in rete – che in vari modi hanno articolato lanecessità di respingere il diktat proibizionista dell’appello, infavore di una riflessione capace di far emergere un approcciofemminista alle nuove tecnologie riproduttive, calata nellacomplessità delle relazioni umane e – per citare Caterina Botti(infra pp. 20 e sgg.) – consapevole delle tante vulnerabilità chesi confrontano in questa esperienza. Un’esperienza che, primaancora che di giudizi, è oggetto di rappresentazioni e vissutianche molto diversi tra loro.

I PROBLEMILa prima bambina al mondo “figlia della provetta”, LouiseBrown, è nata in Inghilterra nel 1978, quindi è pressoché coeta-nea di chi scrive. Non è forse sorprendente che per me e peruna generazione di femministe più giovani il rapporto tra ri-produzione e tecnologie si collochi in un orizzonte di relativafamiliarità. Altrettanto familiare, a una generazione stretta nel-la morsa della crisi economica e presa nella riscrittura dellamaternità in biografie singole, secondo tempi e modalità sem-pre meno tradizionali, è l’insieme dei problemi da cui ha origi-ne il ricorso alla surrogacy, nonché più in generale alle tecnichedi procreazione medicalmente assistita (PMA). Parlo, ovvia-mente, dell’infertilità.

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Una coppia su sei quando cerca una gravidanza si trova adaffrontare problemi di infertilità, principalmente a causa del-l’età avanzata, che a sua volta dipende da fattori economici esociali. Secondo la rivista InGenere.it, in Europa la crisi econo-mica del 2008 ha già lasciato un’impronta visibile sui tassi di fe-condità, arrestando la già molto contenuta tendenza alla cre-scita della fecondità in alcuni Paesi e, in altri, invertendone ilsegno in negativo. In Italia, l’infertilità riguarda il 20-30% dellecoppie, nel 70% dei casi di età compresa tra i 35 e i 40 anni. Allabase di questo fenomeno ci sono ragioni fisiche, ma anche,sempre di più, motivazioni economiche, culturali e politiche: acausa di condizioni di lavoro precarie le coppie tendono infattia pensare ai figli dopo i 35 anni, cioè nel periodo in cui la ferti-lità cala drasticamente.

Eccoci, dunque, nel cuore del problema. Dall’infertilità dif-fusa discende non solo l’aumento di richieste di accesso a ciclidi procreazione assistita, omologa (cioè con gameti della cop-pia) ed eterologa (cioè con ovuli o spermatozoi provenienti dadonatore/donatrice), ma anche – fuori dall’Italia – alla surroga-zione di maternità. Si sentono spesso accusare le coppie etero-sessuali sterili, o quelle omosessuali, di volere “un figlio a tuttii costi”, un figlio che abbia i propri geni, o che almeno si stringaal seno appena nato, mentre sarebbe molto più “etico” o ragio-nevole adottare un orfano, anche di 6, 8, 12 anni. Silvia Neona-to ci racconta però in questo fascicolo cosa significa davverotentare un’adozione, sia sul piano delle procedure, lente emortificanti, sia come esperienza emotiva: «essere madre o fa-re la madre è la stessa cosa?», si chiede (p. 18).

Sono molte quindi le ragioni per cui le coppie si affidano allagestazione per altri, che, sottolinea Grazia Zuffa (p. 15), non èin sé una tecnologia ma una pratica sociale, e – aggiungerei –una relazione. Nella surrogacy viene meno la coincidenza, inuno stesso corpo di donna, di momenti ed esperienze che ten-diamo a collocare in un continuo: gravidanza, attesa e immagi-nazione della nascita, maternità come esperienza sociale. Equesto suscita non pochi dilemmi, tanto etici quanto giuridici.

In quella che viene chiamata surrogacy “tradizionale” – lecui radici per così dire “simboliche”affondano fin nella storiabiblica di Sara, Abramo e la schiava Agar – la madre surrogata èanche la madre genetica del bambino o della bambina, mentreil padre genetico è normalmente il genitore intenzionale. Ilconflitto che può sorgere è qui tra la madre a tutti gli effetti“biologica” del nuovo nato, da una parte, e la coppia commit-tente dall’altra, come nel famoso caso di Baby M del 1986 chefu infine risolto dalla Corte Suprema del New Jersey con il rico-noscimento della madre surrogata, Mary Beth Whitehead, co-me madre legale, ma con l’affidamento della bambina (chia-mata dapprima Sara, poi Melissa) al padre biologico e a suamoglie, nel “superiore interesse del minore”.

Nuovi scenari si aprono invece con il passaggio alla surroga-cy “gestazionale”, che è frutto delle tecniche di fecondazione invitro e trasferimento embrionale perché non prevede l’uso de-gli ovuli della madre surrogata ma quelli della madre intenzio-nale o di una donatrice. La risposta alla domanda “chi è la ma-dre?” è in questo caso particolarmente complessa, e l’orienta-mento dei tribunali, ma anche dell’opinione pubblica, diventameno favorevole alle madri surrogate. Daniela Danna ricordanel suo libro due sentenze opposte emesse in Italia, nel 1989 enel 2000: la prima in un caso di surrogacy tradizionale, in cui ilconflitto tra madre surrogata e coppia committente fu risoltoin favore della prima perché l’accordo di surrogazione fu rite-nuto contrario all’ordine pubblico e assimilato alla vendita delbambino; la seconda invece in un caso di surrogacy gestaziona-le che fu autorizzata dal tribunale avvalendosi del ragionamen-to secondo cui alla donna che porta avanti la gravidanza per al-tri – chiamata “superincubatrice” – non va attribuito il nome dimadre.

Ma i problemi non finiscono qui, perché la segmentazionedel processo tra soggetti, desideri, corpi distinti rende partico-larmente difficile distinguere quali pratiche sono espressionedi autodeterminazione e quali, invece, sono da ritenere effettidi quello sfruttamento delle capacità biologiche dei corpi ana-lizzato da Melinda Cooper e Catherine Waldby nel loro Biola-voro globale. Questo nervo si fa particolarmente scoperto negliaccordi di surrogazione stipulati all’interno di un mercato di ti-po transnazionale che coinvolge paesi poveri o emergenti, incui pesano gravemente le diseguaglianze sociali ed economi-che tra coppia committente, madre surrogata, ovodonatrice.Già, perché capita che la coppia di genitori intenzionali sia eu-ropea, chi porta avanti la gravidanza una donna indiana, e chidona l’ovulo una donna ucraina, bianca come i committenti.L’ovodonazione, tra l’altro, è una tecnica tutt’altro che leggera,che prevede trattamenti complessi e rischiosi per la salute.

LE LEGGIIn molti paesi, inclusa l’Italia, vale solo il concetto legale per cuimater semper certa est, la donna che partorisce un bambino neè considerata la madre a tutti gli effetti, e gli accordi di surroga-zione sono considerati nulli. In Italia, la legge 40/2004 puniscecon la reclusione da tre mesi a due anni e con la multa da600.000 a un milione di euro chiunque realizzi, organizzi opubblicizzi la gestazione per altri. Ci sono paesi, come la Greciao il Sud Africa, in cui invece a essere proibita è la surrogacycommerciale, ma è ammessa quella altruistica (con un tettomassimo per il rimborso delle spese sostenute dalla gestante),e i contratti sono considerati validi a tutti gli effetti. Altre nor-mative, come quella del Regno Unito, consentono gli accordi disurrogazione di tipo altruistico, con procedura accelerata diadozione dopo la nascita, ma restano vietate l’intermediazionee la pubblicità, e i contratti non sono riconosciuti. In paesi co-me il Belgio e l’Olanda, in cui la pratica è “tollerata”, cioè non èesplicitamente vietata ma nemmeno legale, con poche decinedi casi autorizzati all’anno, la regolarizzazione giuridica post-partum avviene attraverso lo strumento dell’adozione.

Gli Stati Uniti presentano un patchwork normativo, con di-versi stati in cui la gestazione per altri anche in forma commer-ciale è autorizzata e espressamente regolata, e la responsabilità

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genitoriale alla coppia “committente” è ricono-sciuta fin dal momento della nascita. La madreportatrice è normalmente selezionata in base arequisiti come l’essere già madre, essere liberada pressioni economiche, essere consapevole ditutti gli aspetti medici e legali, essere spinta daldesiderio di aiutare una coppia infeconda.

Accanto agli Stati Uniti, tra le principali metedi turismo procreativo si trovano poi paesi comel’India e l’Ucraina, dove si può praticare la surro-gacy anche in forma commerciale e i costi sonomolto più contenuti che in Nord America. Sonoperò anche più discutibili le condizioni in cui sistipula l’accordo tra madri surrogate e coppiecommittenti, essendo molto evidente la dispari-tà economica di partenza. Il movimento delle Fa-miglie Arcobaleno, per esempio, raccomandache le coppie omosessuali che intendono recarsiin paesi poveri o emergenti facciano particolareattenzione alle condizioni etiche in cui si svolgel’intero processo. Tra l’altro alcuni di questi Stati,per esempio l’India e la Thailandia, stanno intro-ducendo limitazioni nell’accesso alla gestazioneper altri escludendo le coppie straniere, oltre aquelle omosessuali. Tuttavia, come scrive su In-ternazionale Claudio Rossi Marcelli, «più cheun’ef fettiva volontà di evitare abusi sembra so-prattutto una corsa ai ripari per evitare compli-cazioni a livello internazionale».

Nel complesso, sono una trentina (secondol’Osservatorio sul turismo procreativo) le coppieitaliane che ogni anno si recano all’estero peravere figli attraverso questo tipo di pratiche.Mentre sono nell’ordine di ben 4.000 le coppieche vanno in cerca di trattamenti di procreazio-ne assistita, in particolare di fecondazione etero-loga, altra pratica illegale in base alla legge 40 fi-no alla decisione della Corte Costituzionale del2014 che ha fatto cadere il divieto. Insomma, lecoppie italiane si recano in altri paesi europei ed

extraeuropei anche per trattamenti che potrebbero ricevere inItalia, ma discuterne le ragioni ci porterebbe troppo lontano.Importante invece ricordare che il conflitto che viene a crearsi,nei casi di nascite da surrogacy, tra pratiche autorizzate al-l’estero e divieti nella normativa italiana, ha determinato alcu-ne decine di casi portati in Tribunale, con i genitori accusati,dopo il rientro in Italia, di alterazione dello stato di famiglia odi false dichiarazioni dinnanzi all’ufficiale di stato civile. Lecontraddizioni della giurisprudenza, la dimensione sovra-na-zionale del fenomeno, l’intreccio tra mercato globale, fenome-ni sociali, desideri individuali determinano insomma un nododi problemi non facili da districare per nessuna normativa.

Quel che ci appare certo è che, come argomentano varia-mente le autrici dei contributi raccolti in questo “Tema” di Leg-gendaria, la proibizione è una risposta sbagliata, oltre che inu-tile. La rinascita di un dibattito sulla maternità surrogata in Ita-lia, qualunque sia l’occasione che l’ha generata, può essere al-lora un’opportunità per fare un passo avanti nella discussionesulla regolazione dell’accesso alle tecniche e pratiche di fecon-dazione e di procreazione. Lungi dall’esaurirsi nella risposta aun appello, o dal rimanere confinato nel perimetro della di-scussione sulle Unioni civili, questo tema può rappresentare laprova più difficile in uno sforzo collettivo di ragionamentofemminista sui cambiamenti epocali introdotti dalle tecnolo-gie riproduttive, affinché diventino possibilità su cui esercitarel’autodeterminazione delle donne e non dispositivi usati con-tro la nostra libertà. n

C’era una volta la certezza della ma-dre. Figura arcaica della potenzageneratrice o ridotta a garante dellasicurezza della stirpe maschile, lamadre era una. Colei che porta in

grembo, che dà alla luce. Perché è con il parto checomincia la vita, che si viene al mondo, che si com-pie la meraviglia della nascita. Di parto si muore an-che, ancora oggi, ma questa è un’altra storia. Quivorremmo capire cosa diventa la madre al tempodella riproduzione senza sessualità, quando l’oscu-rità del grembo è stata illuminata e il cominciamentodella vita sembra essersi spostato al momento dellafecondazione. Nessuno, per fortuna, festeggia la suaorigine nel concepimento. Sarebbe davvero moltodifficile, ma da più di venti anni – fenomeno descrit-to all’epoca da Barbara Duden – madri e padri emo-zionati mostrano ecografie fetali come prova di vitadell’atteso bambino o bambina che verrà: l’essenzia-le è già successo, un ovulo è stato fecondato e sta cre-scendo in questo utero sempre più trasparente. Maquesta è ancora la scena in cui la madre è una, coleiche desidera e che crescerà la figlia o il figlio una vol-ta nato, lei è la fornitrice di ovulo, lei è la gestante e lafutura partoriente. Ora potrebbe non essere più così:la scena è mutata per tutte.

Nelle nostre società il desiderio di maternità ma-tura e vive in un contesto fortemente segnato dal-l’avanzamento dell’età del primo figlio, dall’oppor-tunità offerta dalle tecnologie, dalla separazione trasessualità e procreazione. Anche in un Paese comeil nostro, dove una legge proibizionista ha reso cosìdifficile il ricorso alle tecniche, creando grandi disu-guaglianze tra chi poteva ricorrervi all’estero e chiaveva più difficoltà a farlo, la fecondazione assistitaè una possibilità a cui si rivolgono donne di ogni ce-to sociale. Con affetto e ironia Eleonora Mazzoni cene offre uno spaccato nel suo libro Le difettose.

Questa scena ha moltiplicato le figure che posso-no contribuire alla nascita di un bambino o di unabambina e rimescolato le carte tra corpi, desideri,genitorialità, differenza sessuale. Di certo ha creatouna discontinuità generazionale nel modo in cui sipensa e si parla di maternità, paternità, gravidanza.Non ne ho prove statistiche, ma l’ho vista all’operaogni volta che ho partecipato a discussioni sulla ge-stazione per altri. E non posso negare che discuter-ne con donne più giovani di me ha illuminato diver-samente la rappresentazione che ne ho. Vorrei perquesto parlare della gestazione per altri abbando-nando il terreno dello scontro tra favorevoli e con-trarie, tra divieti e norme, tra sfruttamento e liberascelta, per guardare alle figure in gioco, non sfuggirealla necessità di dare un senso e di fare i conti con ladeflagrazione della madre, da cui nessun divietostatale ci salverà. Non ho certezze, ma credo sia es-senziale elaborare questo mutamento, nominarlonoi, non solo per le donne e le madri coinvolte, maanche per chi nasce. Madre genetica, madre sociale,madre gestante, dov’è la differenza? E se c’è, puòaiutare a fare ordine?

Non che questi interrogativi non siano stati giàposti. Penso, al libro di Maria Luisa Boccia e GraziaZuffa, L’eclissi della madre, anche questo degli anniNovanta, che si confrontava con le diverse opzionifemministe e la falsa simmetria della scena tecnolo-gica, dove i soggetti scompaiono, scissi tra biologia

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M. G. GIAMMARINARO

“DIRITTO LEGGEROE AUTONOMIA

PROCREATIVA”IN DEMOCRAZIA

E DIRITTO

GEN-MAR 1996

PP. 87-100

CAROLE PATEMAN

IL CONTRATTOSESSUALE

MORETTI & VITALI

BERGAMO 2015

344 PAGINE, 21 EURO

CARMEL SHALEVNASCERE

PER CONTRATTO

GIUFFRÈ, ROMA 1992

219 PAGINE, 10,33 EURO

MELINDA COOPERE CATHERINE WALDBY

BIOLAVORO GLOBALEDERIVEAPPRODI

ROMA 2015

249 PAGINE, 18 EURO

C. ROSSI MARCELLI

“LA MATERNITÀSURROGATA HA

BISOGNO DI PIÙ

REGOLE E MENO

POLEMICHE”INTERNAZIONALE

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e volontà-desiderio del figlio. Operazione opposta a quella fat-ta dalle donne negli anni Settanta, a partire dalla riflessionesull’aborto: la scoperta del corpo e del desiderio, la fine del cor-po contenitore passivo, della maternità come destino. Ha ra-gione Michela Murgia, autrice di un lungo intervento a puntatenel suo profilo Facebook, non basta rimanere incinta per par-lare di maternità: gravidanza e maternità non sono sinonimi.

Questo passaggio è essenziale alla soggettività femminile:non un ritorno al corpo-natura, ma il riconoscimento dellasoggettività incarnata. Il cui senso della differenza sessuale nonè dato una volta per sempre.

Nel frattempo vari Paesi hanno legiferato in materia, bambi-ni sono nati, famiglie si sono articolate. C’è più esperienza dainterrogare, soggettività da ascoltare, ma anche derive da con-trastare. Una per tutte, il grande valore identitario, in uno sce-nario così plurale, dato al materiale genetico. Il desiderio di

Gestazione per altri,le figure in giocoGravidanza e maternità non sono sinonimi. Con l’avvenuta

separazione della riproduzione dalla sessualità, la scena

procreativa è profondamente mutata, Madre genetica, madre

sociale, madre gestante, dov’è la differenza? E come fare ordine?

DI CECILIA D’ELIA

avere una discendenza che sia “carne della propria carne”, nel-la scena tecnologica può diventare ossessione e mettere in om-bra gli altri legami che entrano in gioco. Per esempio toglie va-lore alla madre committente quando non è lei a donare l’ovulo,oppure rifiuta il legame corporeo che si instaura nella gravi-danza, negando alla gestante lo status di madre biologica. Malavora anche sul versante dell’identità del figlio. Basti pensareal rilievo che oggi assume nei casi di adozione il diritto a cono-scere le proprie origini, fino alla messa in discussione dell’irre-versibilità della scelta dell’anonimato fatta dalla madre biolo-gica al momento della nascita. Richieste che non nascono dalgiusto bisogno di tutela del diritto alla salute.

Chiara Saraceno (“Anonimato e diritto a sapere. Anchel’eterologa impone regole”, La Repubblica, 9 marzo 2015), pre-occupata della direzione che potrebbe prendere un diritto illi-mitato a conoscere le proprie origini, ha proposto di pensare

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Quando mi è stato chiesto di scrivere perLeggendaria di maternità surrogata misono sentita felice e in ansia al tempostesso. Felice, perché da tanti anni riflettoda sola e in compagnia sul nodo mater-

nità/tecnica/femminismo. Ansiosa, perché navigarein queste acque è uno sport estremo. Sono acque in-sidiose, ad ogni onda c’è il rischio di annegare nelpregiudizio e nell’ideologia. Con marosi di questogenere è più che giustificata la tentazione di chiudersidietro all’oblò delle proprie certezze per paura disoccombere alla veemenza delle contraddizioni e diuna realtà inevitabile.

Serve dunque un timone da impugnare con en-trambe le mani. Serve una mappa. Servono nervisaldi e conoscenza.

Nella mano sinistra tengo quel che so della tecnica.Nella mano destra tengo quel che so del potere. Lamappa è quel che so della maternità surrogata (“sur-rogacy”, in inglese, “maternità per altri” nel politica-mente corretto, “utero in affitto” nel linguaggio me-diatico). I nervi saldi ci vogliono per non infuriarmiquando leggo che Se Non Ora Quando-Libere chiededi “mettere al bando” la maternità surrogata: ognivolta che qualcuno pretende di porre veti in nomedella libertà mi sale il fumo agli occhi e rischio dinon vederci più.

Vediamo cosa tengo nella mano sinistra. So chedalla seconda metà del secolo scorso, almeno perquanto riguarda il Paese in cui vivo, l’intenzionalitàsi è insediata stabilmente nel processo riproduttivo.Ma so bene che, anche prima e altrove, gli umani e leumane hanno sempre manipolato la materia viven-te, compresa la propria, e persino con il lasciapassa-re della divinità (vedi la storia di Sara, Abramo e Agara p. 14). Che la nostra specie agisca con intenzionesui processi di riproduzione biologica accade quan-tomeno da 12mila anni, cioè da quando abbiamoscoperto come domesticare le specie vegetali inven-tando, per così dire, il riso e il frumento che coltivia-mo e consumiamo oggi. Il dibattito politico contem-poraneo verte su quale tipo di agricoltura sia miglio-re, non se l’agricoltura sia lecita o meno. Forse 12mi-la anni fa qualcuno lanciò una petizione per mettereal bando la domesticazione dei semi perché questoavrebbe comportato l’accumulazione di risorse e, diconseguenza, la stanzialità, la divisione in classi e ladivisione sessuale del lavoro. Con il senno di poi,questa agricoltura ha creato un bel po’ di confu -sione.

Nella mano sinistra tengo contezza che tutto ciòche è umano è anche tecnico e che nulla di umano ècontronatura. Ne segue amara constatazione: checon questa faccenda dell’intenzione la nostra specietrova sempre nuovi modi per complicarsi la vita,porsi domande esistenziali, creare ingiustizie perpoter lottare contro di esse.

Ecco, ingiustizia. Veniamo così al secondo cornodel mio timone, quello che tengo nella mano destra:la questione del potere. Prendiamo un esempio acaso: la tecnica dell’aborto volontario. Le nostresorelle maggiori, le femministe italiane degli anniSettanta, hanno preteso “aborto libero, gratuito eassistito” come elemento essenziale di autodetermi-nazione. Grazie a loro, noi venute dopo non crepiamopiù nella macelleria dell’aborto clandestino. Allenostre sorelle cinesi è andata peggio. La miscela tra

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da subito a come normarlo, per esempio, nel caso difecondazione eterologa. Le due situazioni sono pro-fondamente diverse, nel secondo caso ciò che fa na-scere la bambina o il bambino è il desiderio dei fu-turi genitori, chi mette al mondo è la futura madre.Ma, se sganciamo totalmente la questione dell’i -den tità dalle relazioni di cura e dal desiderio di mes-sa al mondo del figlio e ne facciamo un diritto del-l’individuo giuridico astratto, l’accostamento èplausibile.

Ci aspetta un futuro di dominio delle determi-nanti biologiche sulle relazioni affettive di cura? Co-me diamo significato alla genitorialità oggi? Davve-ro possiamo mettere tra parentesi la differenza ses-suale o non si tratta di capire come e dove la sogget-tività femminile dà senso al venire al mondo oggi?

Nella gestazione per altri la madre genetica è co-lei che dona l’ovulo, può essere la stessa o menodella madre committente. Dove questa pratica èpermessa si preferisce non far coincidere la donatri-ce con la gestante, per rendere più labile il legametra quest’ultima e il feto. Qui è il punto più contro-verso e rilevante della gestazione per altri. Chi è lamadre gestante? Nel linguaggio del contratto è laportatrice, con il paradosso, descritto da YasmineErgas (“La leggenda della madre portatrice”, Pagina99, 13 dicembre 2015), che nel caso l’ovulo feconda-to non sia suo, non è giusto chiamarla madre biolo-gica.

E la gravidanza cos’è? Qui la differenza non può occultarsi.Ci vuole un corpo femminile per venire al mondo, e non è unsemplice e neutro contenitore. Questo corpo femminile gene-rante è quello che prioritariamente va interrogato e ascoltato.È attorno a questa soggettività che si strutturano le diverse re-lazioni. Se questo non può ridurla a contraente in posizione dipotere nel patto di surrogazione (Carmel Shalev), neanche puòsancire che ogni separazione sia riducibile a espropriazione ealienazione.

Sono indicative le parole di Natasha, raccolte da SerenaMarchi nel libro Madri comunque: «Durante le gravidanze chefaccio per altri genitori non penso mai: “Questo figlio è mio,me lo tengo”, perché so dal primo momento che non lo cre-scerò, che lo partorirò e poi lo darò ai suoi genitori […] Ancheadesso, quando sento i gemelli muoversi, quando ho le nau-see e mi duole la schiena, non si crea quel legame materno cheho avuto fin da subito con mio figlio». In questo caso lei ha da-to significati diversi a esperienze simili vissute con il suo cor-po. È difficile capirlo per chi ha memoria di gravidanze desi-derate, ma è anche vero che nessuna gravidanza è uguale aun’altra. Scelgo di ascoltarla. So che ha affrontato un grandeimpegno, che in gioco era soprattutto lei e la relazione, inter-na al suo corpo, con il nascituro. Lei deve poter decidere inogni momento di cambiare le sue scelte, deve poter tornaresulle sue decisioni.

Trovo ancora estremamente attuale un intervento di Ma-ria Grazia Giammarinaro (“Diritto leggero e autonomia pro-creativa”, in Democrazia e diritto, gennaio-marzo 1996) cherimetteva al centro del dibattito corpo generante e nascita.Questa è un evento dagli effetti imprevedibili, ancora oggi lasoglia del nostro venire al mondo. Perciò Giammarinaro sug-geriva un uso mite del diritto, oltre il proibizionismo e la me-ra libertà contrattuale. La bussola a me sembra che continuiad essere questa. C’è un corpo generante essenziale e signifi-cante, anche quando è tramite del desiderio di maternità dialtre donne, o di paternità di coppie di uomini. Attorno aquesta soggettività andrebbero tessute le relazioni tra le di-verse figure che partecipano alla nascita e alla cura del futurobambina o bambino. n

BARBARA DUDEN

IL CORPO DELLADONNA COME

LUOGO PUBBLICO

BOLLATI BORINGHIERI

TORINO 1994

SERENA MARCHI

MADRI COMUNQUEFANDANGO, 2015

ELENA MAZZONI

LE DIFETTOSEEINAUDI, TORINO 2012

CARMEL SHALEVNASCERE

PER CONTRATTO

GIUFFRÈ

MILANO1992

GRAZIA ZUFFAMARIA LUISA BOCCIA

L’ECLISSI DELLAMADRE

PRATICHE, PARMA 1998

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la cosiddetta “politica del figlio unico” (applicata dal 1980 perlimitare le nascite e abolita solo nel 2013) e l’antica tradizionepatrilineare ha innescato una reazione micidiale: il ricorso al-l’aborto selettivo sui feti di sesso femminile, con la mancatanascita di milioni di bambine (Anna Meldolesi ha ricostruito,fonti alla mano, l’entità del fenomeno nel mondo).

Tengo dunque il timone e quel che so del potere (o quel checredo di sapere) è di vivere in una società patriarcale, maschilistae capitalista. So dunque che la cultura è la mia natura e chesono i rapporti di potere a definire il bonus-malus di ognitecnica, vale a dire il prezzo che pagherò – o che farò pagare adaltri – in conseguenza del suo uso. D’altra parte, non c’è sfidapiù gustosa e genuinamente umana di quella di scoprire checosa c’è dietro (dentro, al di là). In questo terribile contesto, conmillenni di dominio scritti nella memoria di ogni mia singolacellula, so che la tecnica della maternità surrogata sarà facilmenteusata contro di me. Quindi la butto via? No. Voglio capire cometenere il coltello dalla parte del manico. Voglio imparare: sonoumana.

Ora che tengo saldamente il timone, posso guardare lamappa. Prima però voglio dirvi da dove parto. Sono una donnasenza figli per scelta, godo senza remore della mia libertà davincoli d’amore filiale e qualche volta dalle acque dell’inconsciosi affaccia la madre che non sono stata. Io e lei ci abbracciamo,facciamo due chiacchere e ci diamo una pacca sulla spalla com-plimentandoci a vicenda. Siamo la stessa ma siamo diverse e civogliamo bene.

Si può volere e al tempo stesso non volere? Si può. Capitapraticamente sempre.

Da questa sponda – di una che non tollera l’estro-progestinicodella pillola anticoncezionale e che neanche morta si metterebbeormoni in corpo per rimanere incinta – scruto con il cannocchialele donne che gravidano per altri. Esseri strani perché diversi dame, uomini e donne che entrano nell’intimità di un triangolosessuale in cerca di genitorialità. Tante dicono che questa azioneè bella se si fa gratis mentre fa schifo se si fa per denaro. Io dicoche non è il denaro a fare la differenza fra bello e schifo. Vedi lalezione di Paola Tabet, che ha dimostrato come le relazioni discambio sessuo-economico esistono anche quando non c’è dimezzo il denaro; in Occidente la forma più comune di questo

Da sempre si manipola la materia vivente – nulla di ciò

che è umano è contro natura – e da oltre mezzo secolo

la riproduzione è un processo intenzionale. Occorre

però una mappa dei nuovi territori della genitorialità

DI ELEONORA CIRANT

scambio impari è stato il matrimonio. L’antropologoDavid Graeber si è preso più di 500 pagine per di-mostrare che sono le coordinate culturali a definire iconnotati del debito e che lo scambio sessuo-eco-nomico vige anche in società non capitaliste.

Mi serve una mappa nel senso che ho bisogno disapere come è fatto questo territorio dove i genitorisono in numero e sesso variabile. Vorrei conoscerneusi e costumi, non andare là con animo colonizzato-re: non esporto democrazia e tantomeno femmini-smo. Vorrei andarci curiosa e disposta ad imparare.Mi interessa sapere se questa gente è felice o almenoun poco soddisfatta. Più di tutto mi interessa chenessuna stia chiedendo aiuto per essere stata messain catene contro la propria volontà, nel qual caso bi-sognerebbe attivarsi. Vorrei che tutti e tutte abbianola possibilità di interrogarsi e, se cadono, di salvarsi.Insomma che tutte abbiano possibilità di scegliere.

Contrasto l’idea che una scelta non sia libera semotivata da bisogni economici. Fare una scelta nonè soltanto come stare davanti a un bivio, a un trivioo in una rotonda. Queste sono scelte per dilettanti. Anoi intrepide della scelta e degli sport estremi piaccionosfide come quelle di una strada bloccata da un muro.Ci sono molte possibilità di scelta quando ci si trovadavanti davanti un muro, ad esempio: prenderlo acalci, cercare un piccone, sbatterci la testa contro,scavare un buco sotto, dipingerci sopra un trompel’oeil, appoggiarvisi con la schiena e recitare mantrafino a raggiungere la buddhità, percorrerlo in lun-ghezza, volarci sopra, tornare indietro. Qualsiasi cosafarete il muro resterà muro ma voi sarete cambiate:scegliere è proprio la stessa cosa.

Come è fatto dunque questo territorio di mammeper altri o altre? Lo ha descritto il Parlamento europeocon un Rapporto disponibile in rete, A ComparativeStudy on the Regime of Surrogacy in EU MemberStates*.È il documento pubblico più esaustivo che ho potutotrovare per quello che riguarda l’eurozona. Il Rapportodice che della surrogacy si sa poco e che è difficile

Nessun veto innome della libertà

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EMMA BAERIDIVIDUA. FEMMINISMO ECITTADINANZA

IL POLIGRAFO

VERONA 2013

ELEONORA CIRANTUNA SU CINQUENON LO FA. MATERNITÀE ALTRE SCELTE

FRANCO ANGELI

MILANO 2012

SARA FICHERAUTERO IN AFFITTO SÌ,UTERO IN

AFFITTO NO?21 DIC. 2015HTTP://WWW.LEVOLTAPA-

GINA.IT/UTERO-IN-AFFIT-

TO-SI-UTERO-IN-AFFIT-

TO-NO/

DAVID GRAEBER

DEBITO. I PRIMI5000 ANNIIL SAGGIATORE

MILANO 2012

ANNA MELDOLESI

MAI NATE. PERCHÉIL MONDO HA PERSO

100 MILIONIDI DONNE

MONDADORI

MILANO 2011

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La “gestazione per altri” non è un’invenzione moderna, moderni sono i metodi e la tecnologia applicata. Si può anche affer-mare, scusandoci per la forzatura, che la Gpa più famosa della storia, almeno della nostra, è quella intercorsa tra Abramo,Sara e Agar, la schiava egiziana che partorì Ismaele. La storia è narrata nel primo libro della Bibbia, Genesi: Sara era sterile

e, malgrado Dio avesse promesso ad Abramo una grande discendenza, il ventre di Sara restava inesorabilmente vuoto. Ormaivecchi i due coniugi avevano perduto la fiducia nella promessa di Dio. Fu allora che Sara propose ad Abramo di inseminare laschiava egiziana per poter procreare. Così fu, e Agar rimase incinta. Pratica assai diffusa all’epoca ma gravida sempre di conse-guenze, perché il potere del figlio metteva la madre in una posizione superiore a chiunque. Tant’è che Agar si insuperbì e nonportò più rispetto a Sara, la quale fece cacciare Agar dall’accampamento. Abbandonata e sola nel deserto Agar fu poi richiamataper intercessione di Dio e partorì sulle ginocchia di Sara, com’era usanza all’epoca per dare alla moglie sterile una parvenza dipartecipazione al parto. Ma la storia ebbe un seguito imprevisto perché nel frattempo Dio mantenne la sua promessa e regalò unfiglio a Sara ormai ultraottantenne. Va da sé che Sara non sopportò più la vista di Ismaele, che gli sembrava un rivale del legittimoIsacco e scacciò ancora una volta Agar e suo figlio, seme di Abramo. I due vagarono nel deserto dove rischiarono di morire di setefinché non comparve un angelo che fece scaturire una sorgente. E poi fu la voce di Dio stesso ad alleviare il dolore e la paura diAgar e a promettere per Ismaele una grande discendenza. La quale, secondo la tradizione, dette origine al popolo arabo. Trala-sciando le secolari interpretazioni religiose perché raccontiamo questa storia? Forse perché ci sembra molto significativo che laprima Gpa non sia stata una scelta volontaria, ma sia stata imposta a una schiava. n

reperire dati. Un ordine di grandezza del fenomeno viene daldato francese di 700 coppie che si sarebbero avvalse dellamaternità surrogata nel 2011 (nel 2007 erano state 300). IlRapporto dice che queste richieste potrebbero essere più diquelle tracciate, che ci sono prove che sempre più personeusano questa tecnica, la quale per una serie di motivi andrà adaumentare. Nel Rapporto è scritto anche (non in proprio inmodo così tranchant), che mettere al bando la maternitàsurrogata è un’idiozia perché sono proprio le legislazionirestrittive ad alimentare un mercato senza regole e lo sfruttamentodi chi ha meno potere contrattuale. 160 milioni di cittadinieuropei infatti non hanno pieno accesso alle procedure di ri-produzione eterologa (con donatore o donatrice di gameti) nelproprio Paese. In termini di domanda, 80.000 coppie avrebberobisogno di trattamenti proibiti nel proprio Paese ma disponibilialtrove**.

Lo stesso Rapporto offre anche notizie interessanti sulledonne che portano avanti la gravidanza per altri… possochiamarle surroganti? Surrogare vuol dire fare qualcosa al postodi un altro e surrogante ha il piglio di chi agisce, una che “siarroga il diritto di”. Udite udite! Le madri surroganti non sonouna categoria uniforme. Cambia molto se ad esserlo è unadonna che vive negli Stati Uniti, in Ucraina, o in India. Dallacomparazione degli studi si ricava che«quelle del mondo svi-luppato sono bene informate, professionali, fanno parte di unnetwork, e spesso sono perfettamente capaci di negoziare itermini del contratto. In contrasto, la loro controparte nei paesi

in via di sviluppo è molto più a rischio di sfrutta-mento, in genere molto povera e con un bassolivello di istruzione» (p. 33). Dice anche che, in en-trambe le situazioni, la presenza di un contratto edi uno scambio di denaro non entra in conflittocon la percezione di fare un dono, di fare qualcosadi buono per qualcun altro. Questa percezione di-pende invece dal tipo di relazione che si instauratra la madre surrogante e la madre o la coppia in-

Agar, madre per altri

tenzionale. Quando la prima non viene esclusa, quando non èabbandonata dai servizi subito dopo il parto, quando insommaci si prende cura di lei e non la si usa come un oggetto ma la siconsidera come persona, allora l’esperienza è vissuta come po-sitiva. Prendersi cura dei suoi sentimenti nel delicato momentodel distacco dal neonato riduce il rischio che questa esperienzasia traumatica, come invece è in molti casi analizzati dagli studiriportati nel Rapporto.

Sarebbe bello se lo scambio sessuo-economico non esistessee che nessuno usasse un’altra persona come mezzo per i proprifini. Invece questi scambi esistono e per questo sono utili icontratti. Che la presenza di un contratto tuteli e rinforzi laparte debole lo si vede nel caso delle madri povere dell’India.Queste sono, secondo il Rapporto, indottrinate dal personaledelle cliniche a vedere il loro stato come un dono divino che lerende abili a generare introiti per le proprie famiglie. In caso dicomplicazioni nella gravidanza, però, l’assenza di un contrattoe l’incapacità di far valere i propri diritti le rende totalmenteinermi. Queste donne, nel fare le madri per altri, sono indotte apensare di essere generose verso i propri figli, che potrannocosì studiare e avere una vita migliore. D’altra parte, la retoricadel dono agisce anche sulle coppie intenzionali, che si sentonosollevate al pensiero che il proprio denaro farà del bene a unafamiglia povera.

E le persone che pagano perché un’altra gravidi al postoloro? Della parte forte nella relazione di scambio sessuo-economico sappiamo ancora meno. Qualche indizio lo offre laBioTexCom, ditta ucraina che vende online il servizio di surrogacyper un costo da 10 a 40mila euro. Sul sito sono presentati anchei datidell’età delle madri intenzionali. È mediamente alta, tra i40 e i 50, con punte che toccano i 60. Il desiderio è come unseme che può e deve essere domesticato, quando spinge adusare gli altri come mezzo per la propria soddisfazione. Una viafemminista alla surrogacy esiste e la indica Sara Fichera in modoefficace e sintetico sul sito delle Voltapagina: «potrei ricorrereall’aiuto di un’altra donna se in Italia la gestazione per altrifosse legale? Probabilmente sì ma solo dopo aver intrecciatouna relazione con la cosiddetta portatrice, che per me sarebbecomunque un’altra mamma di mia figlia». n

*A Comparative Study on the Regime of Surrogacy in EU Member-States, Parlamento europeo, ©European Union, 2013,http://www.europarl.europa.eu/studies ** Mappa delle legislazionihttp://www.corriere.it/datablog/maternita-surrogata/

PAOLA TABETLA GRANDE BEFFA. SESSUALITÀ DELLEDONNE E SCAMBIO

SESSUO-ECONOMICORUBBETTINO, SOVERIA

MANNELLI (CS) 2004

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Perché si è acceso o riacceso il dibattito sulla maternitàsurrogata, anzi sull’“utero in affitto”? Su quale emer-genza si è fondato l’appello di Snoq-Libere “Che li-bertà”, uscito in dicembre e firmato da molte donne ealcuni uomini, che sollecita la proibizione della prati-

ca in tutti gli stati europei (non potendo sollecitarla in Italia, do-ve è già proibita)?

Non si può che partire da questa domanda, anche se la rispo-sta appare scontata: si discute di “utero in affitto” nell’ambitodelle Unioni civili e delle scelte genitoriali di omosessuali. È uti-le ricordarlo, non solo e non tanto per denunciare fin troppoevidenti strumentalità in questo aggancio; quanto per ragiona-re sulla rappresentazione sociale che ne emerge, circa la praticaspecifica e più in generale circa le tecnologie della riproduzione.

Partiamo dunque dall’evento scatenante del provvedimentoin discussione in Parlamento (legge Cirinnà), il cui punto ne-vralgico è costituito dalla cosiddetta stepchild adoption che di-venterebbe valida anche per le coppie omosessuali. Per il fronteparlamentare che vuole bloccare il provvedimento, questo tipodi adozione è inammissibile poiché “incoraggerebbe” la praticadell’utero in affitto (in altre parti del mondo), o peggio lo “legit-timerebbe” anche in Italia aggirando il divieto (questi i cavalli dibattaglia di Maurizio Sacconi e di Carlo Giovanardi). Tale argo-mento è stato avanzato di rincalzo alla questione principe della“in-appropriatezza genitoriale” delle coppie omosessuali, inquanto non conformi al modello “naturale” di famiglia: l’ab-bandono della naturalità nel legame sessualità-procreazioneaprirebbe la strada alla più “artificiale” delle tecnologie ripro-duttive, l’utero in affitto appunto, forma estrema della mercifi-cazione del corpo femminile. Fa pensare che questo fronte nonsi contenti del divieto già ottenuto nella legge 40, ma tenda ad

Guardare con i nostri occhi

t

Nel dibattito in corso, oltre al peso dell’ideologia,

risalta la fragilità dello strumento legislativo

di proibizione ai tempi della globalizzazione, la sua

rigidità a fronte del dinamismo delle pratiche sociali e

ai mutamenti intervenuti negli ultimi decenni circa

la sessualità e la procreazione. Come significare,

da donne, il nuovo scenario della maternità

DI GRAZIA ZUFFA

espandere il bando oltre confine (tratto questo comune all’ap-pello “Che libertà”) con una sorta di “appello alla legge oltre lalegge”: ciò da un lato rende l’aspirazione egemonica proibizio-nista alquanto grottesca nella sua vanità, rimarcandone la va-lenza ideologica; dall’altro fa risaltare la fragilità dello strumen-to legislativo di proibizione ai tempi della globalizzazione, lasua rigidità e immobilismo a fronte del dinamismo delle prati-che sociali e ai mutamenti intervenuti negli ultimi decenni circala sessualità e la procreazione.

Ancora più illuminante è la modalità con cui questo fronteanti-Unioni civili propone di usare la leva proibizionista percombattere l’utero in affitto: non potendo ricorrere a poteri le-gislativi sovranazionali, la soluzione sarebbe di impedire il rico-noscimento dei figli, eliminando appunto la stepchild adoption.Come ha scritto Vladimiro Zagrebelski (la Stampa, 7 dicembre2015), è assai dubbio che tale norma vada nell’interesse dei sin-goli minori, anzi: si rischia che una politica di carattere genera-le, diretta a contrastare la pratica prevalga contro il “bene” con-creto di uno specifico bambino che viene privato della protezio-ne legale, se non affettiva, di un adulto significativo. Da qui laconclusione: «È questa una materia in cui obblighi e divieti as-soluti non rendono giustizia a tutti i protagonisti delle vicendeumane: nel nostro caso ai bambini che sono venuti al mondo».

Da parte delle promotrici dell’appello “Che libertà”, dopoche questo è deflagrato come una mina nell’iter della legge sulleUnioni civili, si è ribadito che l’appello è assolutamente indi-pendente dal provvedimento, compreso il punto nevralgicodella stepchild adoption: alla quale le promotrici sarebbero fa-vorevoli, sia per le coppie etero che omosessuali. Ma se l’ado-zione è un istituto cui tutti e tutte dovrebbero accedere, tutt’al-tra cosa è la procreazione, campo in cui vanno posti dei limiti –

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così ragionano le promotrici. Il limite sarebbe tanto più oppor-tuno proprio nel momento in cui si affermano i diritti: «In que-sto contesto tardivo e sacrosanto dei diritti legati all’amore diqualsiasi coppia», si dovrebbe sancire un discrimine fra (dirittoalla) sessualità e genitorialità/procreazione perché «i bambininon si possono fabbricare su ordinazione» (Cristina Comencini,la Repubblica 6 dicembre 2015) e perché la «procreazione si fain due» (Francesca Izzo, la Stampa, 7 dicembre 2015). A fine dispiegazione, Izzo aggiunge che «ognuno può fare quello chevuole in privato ma non possiamo formalizzarlo in un diritto»

perché «la maternità e la paternità non sono undiritto». In più, la madre surrogata riporterebbe lagravidanza a puro processo bio-tecnologicoesposto alle leggi di mercato, negandola comeevento relazionale, che coinvolge il corpo e lamente di donna. Cruciale un passaggio dell’ap-pello: «Non possiamo accettare, solo perché latecnica lo rende possibile, e in nome di presuntidiritti individuali, che le donne tornino a essereoggetti a disposizione».

Prima di arrivare alla questione chiave del rap-porto fra corpo femminile e tecnologie, mi premeragionare sulla distinzione evocata fra “deside-rio” e “diritto alla genitorialità”, se non altro per-ché la critica del “diritto al figlio/a” è ampiamen-te presente e argomentata nel volume L’eclissidella madre da me scritto insieme a Maria LuisaBoccia alla fine degli anni Novanta. Solo che il no-stro discorso intorno al desiderio/diritto procedeper vie diverse e conduce a un esito perfettamen-te rovesciato. La nostra critica si concentra sullarazionalità che guida la medicina della procrea-zione, che pretende di agganciare il desiderio allasua realizzazione, secondo un’equivalenza di de-siderio-volontà-diritto. In tal modo si tende a ne-gare la dinamica, propria del desiderio, fra man-canza e appagamento, mentre i soggetti, scissi fravolontà procreativa, apporti biologici e funzionicorporali rischiano di uscire di scena, con un ef-fetto di spersonalizzazione dell’evento procreati-vo. In una parola, la torsione del desiderio in dirit-

to (attraverso la rappresentazione della “domanda” del figlio cuile tecnologie offrono una “risposta”) è una scorciatoia che perun verso prende atto dello ammutolimento dei corpi, e per l’al-tro lo rafforza, allontanando l’elaborazione del desiderio, la ri-cerca del suo significato. In altri termini, prendere le distanzedalla rappresentazione sociale del “diritto” al figlio significa ri-conquistare spazio alla soggettività dei corpi desideranti. Equesto spazio di elaborazione è prezioso non solo nelle vicendedi vita degli individui, delle individue e delle coppie; ma anchesul piano sociale, rispetto al significato dell’irrompere delle tec-nologie nella scena della procreazione. Come abbiamo scritto,il destino della tecnica «è rimesso nelle nostre mani» e dobbia-mo accogliere la sfida di significare noi il mutamento di scena-rio. «È da come le soggettività in gioco sapranno o meno nomi-nare il mutamento che dipenderà anche la sua governabilità so-ciale».

Dunque, la critica al “diritto” al figlio è funzionale all’apertu-ra del discorso pubblico sulle tecnologie, che richiede innanzi-tutto l’ascolto delle soggettività coinvolte e delle loro esperienzedi vita. Non fosse altro che per favorire una ri-elaborazione so-ciale delle tecniche, propugnavamo, e continuiamo a proporre,una collocazione della legge “ai limiti” della scena procreativa.E questo è tanto più vero oggi, in cui molte pratiche si sono dif-fuse, ben aldilà della finalità terapeutica con cui le tecnologie sisono legittimate e ben oltre i limiti imposti dalle leggi. Comescrive Bia Sarasini (il manifesto 5 dicembre 2015), solo l’ascoltodelle diverse voci può aiutare oggi a districarci nel labirinto dipossibilità offerte dalla frantumazione dei corpi in materiale genetico e funzioni. In questa luce, la proibizione è risposta sba-gliata oltre che vana. Detto altrimenti: il limite ai diritti va di paripasso col limite al diritto, compreso, anzi in primis, al diritto penale.

Al contrario, per le promotrici dell’appello, è il diritto penalea segnare il confine fra desiderio e diritto. Molto ci sarebbe dadire in generale circa quest’idea totalizzante del diritto penale,il cui compito sarebbe di discriminare fra valori e disvalori, enon di regolare/governare nel concreto i processi sociali. Mipreme di più ricordare il ruolo particolare che ha assunto, spe-cie in Italia, il diritto penale, nel regolamentare le tecnologiedella riproduzione per effetto della rappresentazione dominan-te. Costruendo i casi-scandalo delle genitorialità “anomale”, si

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è cercato di usare le tecniche per ribadire la norma/normalitàprocreativa, mettendo al bando quelle che a tale criterio noncorrispondono. E ponendo limiti e divieti ben più stringenti diquelli che incontra la stessa procreazione sessuale. Lanorma/normalità è identificata nella coppia eterosessuale, in-dicata come il solo soggetto legittimato a ricorrere alle tecnolo-gie – nonostante queste ultime insistano sul corpo femminile –e solo per sanare la sterilità. È questo il senso del divieto del-l’eterologa, sancito nella legge 40, poi cancellato dalla Corte Co-stituzionale. Vale la pena di ricordare che, se l’utero in affittoevoca il fantasma del corpo degradato a puro strumento di pro-creazione, il divieto alle cosiddette “donne sole” non è da meno:anche per questa via si ribadisce il corpo-oggetto femminile chesolo l’uomo può autorizzare a procreare.

A distanza di molti anni dal confronto intorno alla legge 40(2004, referendum 2005) e nonostante il diffondersi delle prati-che, quella rappresentazione delle tecniche, costruita su “nor-malità” contro “eccesso” persiste. E infatti il divieto dell’utero inaffitto è invocato nel dibattito sulle unioni omosessuali: perporre limiti e sanzioni a relazioni sessuali e genitoriali “anoma-le”. E per ribadire la norma che «a procreare bisogna essere indue», penalizzando allo stesso modo sia omosessuali che singo-li e soprattutto singole. Più importante, la polemica odiernaignora la differenza fra i sessi: la maternità surrogata non riguar-da la donna omosessuale che voglia avere un figlio, è l’uomoomosessuale che, nonostante le tecniche, non può fare a menodi un corpo femminile capace di partorire.

Nonostante le tecniche, ribadisco: perché il prestito d’uteroè una pratica sociale, non una tecnologia come la si vorrebbepresentare. Il dono di seme o di ovociti facilita il ricorso alla pra-tica permettendo un eventuale legame biologico, ma nientepiù. L’opposizione “natura”/tecnica-artificio, inglobandovi an-che ciò che tecnica non è, copre il fatto che molte delle combi-nazioni genitoriali “anomale” sono possibili anche con la pro-creazione tramite la sessualità. Non a caso la madre surrogatarichiama alla memoria usanze patriarcali antiche di “rimedio”alla sterilità femminile. Dunque, l’ “utero in affitto” è una possi-bilità per uomini che desiderano diventare padri ma non vo-gliono fare dell’eterosessualità una norma di vita; oppure perdonne che per diverse ragioni non siano in grado di portareavanti una gravidanza e abbiano perciò bisogno di un’altra

donna (la grande maggioranza delle madri surrogate). Non a ca-so, si tace che nella maternità surrogata la relazione significati-va è, nella maggioranza dei casi come si è detto, tra due donne,una delle quali realizza il desiderio di un figlio con l’aiuto del-l’altra. Dire questo non significa negare i rischi della mercifica-zione e dello sfruttamento dei corpi; rischi moltiplicati dallaglobalizzazione che esaspera le disuguaglianze. A questi rischioccorre porre un limite. Ma come?

La maternità di sostituzione è la situazione più problematicada regolare, e per farlo occorre mettere al centro del nuovo sce-nario la figura della madre (sostituta). La difficoltà a farlo è testi-moniata dalle divergenti letture femministe: fra chi vede le tec-nologie come opportunità per liberarsi dal destino biologicomaterno, trasformandolo in “potere” tramite il contratto d’ute-ro (Carmel Shalev); e chi invece respinge l’utero-macchina mer-cificato, metafora dell’appropriazione del corpo femminile daparte degli uomini (Gena Corea). Più dei pro/contro le tecnolo-gie, è in gioco la differenza femminile. Come significare il fattoche si continua a “nascere da donna”? Come conformare la leg-ge al primato femminile nella procreazione? Se è la donna alcentro delle relazioni procreative, la legge deve rispettare la suaautonomia. È questo il limite simbolico e pratico della legge.

Nel caso della maternità di sostituzione, può essere difficileparlare di autonomia in presenza di rapporti di denaro/poterespesso così svantaggiosi per molte donne. La difesa delle donnedallo sfruttamento è l’argomento principe di chi propone laproibizione. Ma va ricordato che questa si colloca in una tradi-zione patriarcale in cui il corpo femminile è stato oggetto di nor-mazione e divieti feroci, a iniziare da quello d’aborto. Ed è diffi-cile che la libertà femminile possa avanzare fra prescrizioni econtrolli. Per non dire che appare paradossale difendere l’operadi «corpo e di mente» della gravidanza, separandola dalla sog-gettività delle donne stesse.

Riaffermare la centralità del corpo e della soggettività fem-minile costituisce la difesa più valida contro l’espropriazionedel figlio: in primis, attraverso la garanzia alla madre gestantedella libertà di non separarsi dal figlio/a dopo la nascita. A unadonna non si può imporre di essere o non essere madre, e nep-pure di usare/non usare il suo corpo a fini riproduttivi. È unprincipio che discende dal saper «guardare con i nostri occhi» aquanto sta accadendo nel nuovo scenario procreativo. n

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Ma perché non adottano? Chi non può pro-creare, l’abbiamo sentito dire mille volte,dovrebbe adottare piuttosto che ricorrerealle tecniche di procreazione assistita (TPA)e, tra queste, meno che mai all’utero in affit-

to. Perché volere un figlio a tutti i costi? recita un’espressioneoggi in voga. Ma adottare è davvero un’alternativa ed è cosìsemplice tecnicamente e psicologicamente? Essere madre o

fare la madre è la stessa cosa? E non parlo della ge-stazione mancata, quanto piuttosto della lonta-nanza del figlio adottivo, un marziano cuccioloche piomba in casa, che magari non capisce la tualingua e per di più ha vissuto l’abbandono, la piùdolorosa delle esperienze.

Le TPA, oggi in crescita, ci illudono al contrarioche quel bimbo, portatore di parte del nostro pa-trimonio genetico o di quello del partner, sia piùconoscibile, avvicinabile. È così che si spiega, for-se, il fortissimo calo delle adozioni in tutto il mon-do. Ci pare meno ignoto e confidiamo che la tecni-ca gli/le risparmi l’esperienza dell’abbandono.Certo, “il figlio della notte” di cui scrive Silvia Ve-getti Finzi per spiegare l’immaginazione maternadurante la gravidanza (biologica), è ben diversodal figlio che verrà alla luce e la studiosa ci avverteche ogni madre deve comunque fare i conti con ilfiglio reale, dopo aver sognato e idealizzato il bim-bo nel proprio ventre. Aggiungo: e quello nel ven-tre della portatrice, che però, a mio parere, scate-na paure e fantasmi meno potenti se la genetica fada ponte e se è possibile assistere alla sua venuta

al mondo. La lontananza del marziano (forse) si riduce.Di fatto le adozioni nell’ultimo quindicennio sono calate

inesorabilmente e in America, che era il primo Paese al mon-do, si sono dimezzate. Da noi quelle internazionali tra il 2003e il 2013 sono passate da 42 mila a meno di 15 mila. I tempi diattesa restano in media di 3 anni e 3 mesi, le pratiche sonolunghe, costose e non tutti possono accedervi (sono esclusiomosessuali, single, persone non più giovani, coppie eterosposate da meno di tre anni). Al contrario, le procedure me-dicalmente assistite sono ormai rapide, diffuse quasi in ognigrosso centro occidentale, relativamente economiche e sicu-re. Secondo la Commissione per le adozioni internazionalipresso la Presidenza del consiglio italiana per ogni minoreadottato ci sono oramai 5 bebè nati con TPA. Sulla rivista online InGenere.it, che ha fatto una approfondita ricerca sul te-ma, si legge che ogni anno in Italia ben 70 mila coppie prova-no le tecniche di fecondazione assistista e, anche se in questacifra rientrano i tentativi ripetuti dalla stessa coppia, il nume-ro resta molto alto, soprattutto in confronto ai 190 mila ma-trimoni annuali. Sono dati che riguardano le coppie etero-sessuali, visto che la legge 40/2004 consente l’accesso alleTPA solo a loro.

L’infertilità riguarda oggi un terzo delle coppie eterosessualiperché ormai ci si decide a diventare genitori oltre i 35 anniquando si ha un’occupazione meno precaria. Ma dopo i 35anni la fertilità si riduce in modo drastico e le tecniche diprocreazione assistita promettono di risolvere il problemasenza neppure dovere affrontare ripetuti viaggi e lunghi sog-giorni all’estero per conoscere i piccoli prima di poterli portarea casa. Complicata anche l’adozione nazionale, ormai menodi mille casi l’anno, visto che sempre meno bambini vengono

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assistite. In tutto il mondo le adozioni

sono in grande calo perché lunghe,

complicate e costose, mentre le tecniche

sono ormai relativamente sicure, economiche

e diffuse. E poi un figlio che ha una parte del nostro

patrimonio genetico o di quello del/della partner sembra

rassicurarci di più

DI SILVIA NEONATO

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abbandonati, perfortuna. Nelle co-munità dove, nel2014, erano ospi-tati 19.245 ragazzie ragazze, solo il15% aveva menodi 6 anni e il43% era stra-niero. Chi sela sente di a -dottarli? Se le pratiche

dell’adozione in-ternazionale si ab-breviano, se vi dannoil bambino o la bam-bina poco dopo chelo avete conosciuto,diffidatene. Una ma-dre adottiva in crisimi ha raccontato chedieci anni fa arrivò colmarito in Bulgaria ele consegnarono labimba solo tre giornidopo. La piccola aveva

3 anni e quando si trovò inhotel con loro urlò disperata per giorni,

comprensibilmente terrorizzata. L’assistentedell’agenzia passava a rassicurarli e anzi li inco-

raggiò a rientrare a casa, dove le cose si sarebberomesse a posto. Seguironoinvece anni di insonnia, terribile

aggressività verso gli altri bambini, difficoltà di apprendi-mento, impossibilità di stabilire relazioni con chiunque, com-preso il padre. Ora che va meglio, la madre, esausta e privadei mezzi coi quali vorrebbe farsi sostenere, si chiede som-messamente chi glielo ha fatto fare.

Una madre “naturale” arriva a farsi una domanda simile?O se lo consente solo la madre la cui scelta adottiva è fruttodi un percorso vagliato per anni, con rigore giustificato mamicidiale, da psicologi e giudici minorili? Chi è passato attra-verso le pratiche dell’adozione sa che la lunga trafila puòessere dolorosa. Noi scegliemmo quasi trent’anni fa l’adozionenazionale e, come tutti, facemmo il percorso per essere di-chiarati idonei. Solo se idoneo, dopo mesi di dialoghi singolie di coppia e due visite in casa, venivi convocato con altredue, tre coppie al Tribunale dei minori, dove il giudice e lopsicologo spiegavano la storia del piccolo adottando. Sietedisponibili a adottarlo? Se rispondevi seduta stante di sì,venivi messo in attesa per circa due ore. Poi l’invito a rientraree se la tua coppia non era scelta, si restava disastrati, straniti,scossi. Tutto accadeva in così poco tempo, in cosa abbiamosbagliato, cosa aveva l’altra coppia e noi no, forse è meglioche rinunciamo?

Ricordo me e mio marito camminare per due volte davantial Tribunale dei minori prima del verdetto e poi, dopo l’esclu-sione, scappare via quasi vergognosi. Ricordo di essermi sen-tita contemporaneamente sconfitta e sollevata. Perché perfare la madre senza essere madre, mi pare ci voglia un desi-derio sterminato. Tutti parlano del bisogno dei figli di cono-scere le proprie origini. Ma anche una madre e credo un pa-dre, vorrebbero sapere qualcosa di più e di vero sulle originidel figlio, della figlia che intendono accogliere. E oscillano traeuforia e depressione, tra il plauso di chi ti sussurra come èbello, giusto e nobile adottare e gli esperti che, al contrario, timettono in guardia dicendoti quanto tuo figlio sarà difficile

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per via della sua storia. Ti vogliono aiutare, è ovvio, ma allostesso tempo, a volte, pare diluiscano il dramma di quel mi-nore di cui solo loro sanno almeno una parte della storia. Concautela ti avvertono che chi è abbandonato può essere moltoarrabbiato, sfiduciato, chiuso in sé.

Mi chiedevo: ci crederà che io l’ho scelto/a? Oppure mi di-rà: tu sei solo una che non poteva fare figli, perciò hai presome, ti sei accontentata. Queste fantasie furono paralizzanti emescolate ai due casi in cui il Tribunale ci preferì un’altracoppia, ci spinsero a riparare sull’affido di una ragazza alba-nese, restata con noi per cinque lunghi e felici anni. Per fareun figlio con mio marito avremmo dovuto ricorrere a una ge-stazione surrogata e, a quei tempi, sembrava davvero avveni-ristico, anche se già esistevano le madri portatrici. Io ci volaisopra col pensiero e poi fui conquistata dalla retorica del-l’adozione, quella che oggi mi pare venga usata come un’ar-ma contro le coppie infertili. Ma chi adotta è nel 95% dei casiuna coppia infertile. E allora? Molte delle adozioni più fortu-nate riguardano proprio quel 5% dei casi in cui la coppiaadottante ha già uno o più figli biologici. Nel suo bellissimoLa memoria impossibile. Storia felice di una adozione, EmiliaMarasco comincia il suo racconto quando vola in Etiopia aprendere Tila e Zene insieme al proprio figlio Andrea. È il dia-rio di un viaggio nell’amore materno, nella fame e nella guer-ra dei suoi due nuovi figli, nella loro gioia e paura, nella gelo-sia di Andrea e poi nella sua disponibilità a tornare in Africacol fratello, la sorella e tutta la famiglia multietnica.

Se l’infertilità nel mondo occidentale è ancora destinata acrescere nei prossimi decenni, tanto che l’Organizzazionemondiale della sanità la annovera tra le malattie sociali,dovremo pensare a una diversa genitorialità. E credo siasbagliato pensare che chi vuole un figlio “a tutti i costi” siaviziato, egocentrico o vecchio. Dice Eleonora Mazzoni, autricedel romanzo Le difettose, in cui racconta con ironia la propriasofferta scelta della procreazione assistita: «È sbagliato pensareche in altre epoche fosse più facile prenderla con filosofia.Dammi dei figli sennò muoio, dice Rachele a Giacobbe nellaBibbia: lo stesso grido lo trovo nelle lettere e nei messaggi chericevo da lettrici e lettori del libro, lo stesso struggimento loleggo nelle numerosissime favole che parlano di coppie chenon riescono a procreare (bellissima quella del XVII secolodove una regina per rimanere incinta di giorno prega Dio e dinotte il diavolo). In altre epoche forse erano diverse le soluzionie i bambini si adottavano "artigianalmente". Se una famigliane aveva troppi e la vicina di casa nessuna, quelli in piùvenivano ceduti con una disinvoltura, oggi inimmaginabile osi rubavano (ad esempio quelli delle serve). Ma il dolore per lapropria sterilità, da sempre considerata alla stregua di una di-sgrazia o, peggio, di una punizione divina, è lo stesso».

Ecco perché penso profondamente che ogni storia vadaprima ascoltata e non mi sento di invocare una legge chebandisca la gestazione per altri dall’intero pianeta, pur ve-dendone i rischi da tante e tanti sollevati. Eva Cantarella direcente, sul blog La 27tesima Ora ha citato una brano di Ap-piano. «Catone il Giovane aveva sposato Marzia, la figlia diFilippo, quando era ancora molto giovane; era molto attacca-to a lei, e da lei aveva avuto dei figli. Tuttavia, la diede a Or-tensio, uno dei suoi amici, che desiderava avere figli ma cheera sposato a una donna sterile. Dopo che Marzia ebbe datoun figlio anche a lui, Catone la riprese di nuovo in casa, comese la avesse prestata».

Cosa pensasse Marzia, lo storico Appiano non lo scrive néprobabilmente a nessuno venne in mente di consultarla. Ma-gari sarebbe stata contenta di aiutare una coppia di amici.Chiudo col lieto fine e una preghiera: non facciamo, venti se-coli dopo, lo stesso crudele errore di non chiedere alle madri,a tutte le madri, cosa pensano. n

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Sul recente dibattito in materia

di maternità surrogata

DI CATERINA BOTTI

Riproduzione,soggettività erelazioni

Com’è noto all’inizio di dicembre scorso è stato pubblicato un ap-

pello di Se non ora quando-Libere, rivolto alle istituzioni euro-

pee, per chiedere la messa al bando della pratica della maternità

surrogata, firmato – come un appello simile prodotto in Fran-

cia – da una serie di intellettuali e personalità dello spettacolo.

All’indomani della sua pubblicazione molte sono state le reazio-

ni, sia in favore, sia critiche. L’appello, com’è anche noto, è stato

pubblicato mentre era(ed è) in discussione in parlamento il dise-

gno di legge sulle Unioni civili che contiene, tra le altre, anche

norme relative all’adozione e alla cosiddetta stepchild adoption

(cioè la possibilità per uno dei partner di adottare il figlio/a del-

l’altro, se adottabile), che a sua volta era, ed è, al centro di un

aspro confronto. I due dibattiti si sono dunque mescolati. In quei

giorni, in cui fioccavano interventi e opinioni su media e social,

sono stata contattata da qualche giornalista per dare un parere,

ma ho declinato tutti gli inviti, nonostante avessi molto da dire

sulla materia e anche sui toni del dibattito: non sono brava a sta-

re sul pezzo a caldo. Ho invece scritto delle note, più per me che

per altri, che formano la struttura portante del testo che, debita-

mente rivisto (ma non troppo), qui propongo.

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Da più parti mi e venuta la sollecitazione a prende-re posizione nella discussione che si sta svilup-pando intorno al tema della maternità surrogata.Ciononostante non ho molta voglia di interveni-re, in primo luogo perché al momento ci sono

questioni che sento più urgenti, da quelle enormi come i ventidi guerra che sento levarsi, a quelle più circoscritte come losgombero del centro di accoglienza Baobab a Roma, o di nuo-vo – e ancora – il tema dell’aborto e della sua difficile praticabi-lità nel nostro Paese. In questo caso ho firmato di recente unappello, di cui quasi nessuno ha parlato –mi pare – che chiede-va alla ministra della salute, così preoccupata di eliminare spe-se sanitarie inutili, di rendere possibile il ricorso all’aborto far-macologico in regime ambulatoriale, risparmiando sui costiinutili del ricovero e rendendo più accessibile, ed accessibile apiù donne, questa procedura.

Il tema dell’aborto, non solo nel senso della sua difficile pra-ticabilità in Italia, o altrove, ma anche in relazione alle riflessio-ni che schiude su soggettività e relazionalità, su responsabilitàe libertà e sul conflitto tra i sessi, è un tema su cui mi sono spesaa lungo e che, a mio avviso, rimane centrale e mai eliminabilein una riflessione su sessualità, riproduzione e libertà, femmi-nile e non solo; cioè per quella stessa riflessione da cui si puòmuovere per pensare alla maternità surrogata.

A questo proposito una delle maggiori difficoltà che ho pro-vato riguardo al dibattito che si è acceso in questi giorni, al di làdei termini un po’ rissosi e violenti che lo caratterizzano, staproprio nel fatto che si discute solo di maternità surrogata, sen-za riflettere in modo più ampio sulla riproduzione umana, neisuoi nessi con la corporeità, la sessualità, la sessuazione, maanche con la tecnica e il sapere medico, da una parte, e con larelazionalità umana e le istituzioni che la regolano, dall’altra e,infine, con le molte dimensioni del potere che attraversano tut-to questo.

In realtà, dunque, al di là dell’urgenza sentita o meno, è pro-prio l’angustia del dibattito che mi rende difficile trovare unacollocazione e semplicemente dire: io sto di qua o di là. Se, in-

fatti, non mi trovo d’accordo con le tesi sostenute nell’appellodi Snoq-Libere, devo ammettere che, d’altra parte, non mi tro-vo neanche a mio agio con molte delle reazioni critiche chel’appello ha suscitato. Non posso dunque solo schierarmi, madevo provare ad articolare una posizione, una posizione che iointendo terza rispetto alle due predominanti, che possiamo persemplicità definire come: da una parte, quella di quante vedo-no nella maternità surrogata l’ennesima, se non una tra le piùgravi, forma di assoggettamento femminile, o una forma disnaturamento dell’umanità; dall’altra, quella di quante invecevedono in quella che hanno ribattezzato “gestazione per altri”una scelta libera o possibilmente tale delle donne, leggibile en-tro i termini di una libertà intesa classicamente come sovranitàsu di sé (quella di John Stuart Mill per capirci che, com’è noto,sosteneva che sul proprio corpo e sulla propria mente ciascunoè sovrano).

Mi allineo dunque con quante hanno cercato invece, inquesto frangente, di non cedere alla tentazione dello schiera-mento di tipo calcistico, e hanno fatto o vogliono fare di questaun’occasione tra le altre per interrogarsi, dialogare, tornare ariflettere su momenti fondamentali del nostro dirci umani, maanche sulla pluralità dei modi in cui si possono declinare e del-le esperienze che li possono incarnare. Una riflessione che par-ta dunque dalla consapevolezza, per me ormai scontata (e quista per esempio il mio femminismo), che è difficile e rischiosochiudere l’umano in una definizione data una volta per tutte,che fissi linee e contenuti precisi, validi per tutte e tutti, non so-lo perché quelle linee e quei contenuti sono spesso fissati guar-dando solo a parti dell’umanità e non all’umanità nella sua va-riabilità, ma perché essa è comunque inesauribile: le linee simuovono ei contenuti mutano. L’umano si fa, diviene e muta.Se dunque proviamo a dare una norma fissa che definisca, peresempio, il “modo umano” di fare figli, per quanto ampia que-sta norma ci possa sembrare, per quanto antica e autorevoleessa ci possa apparire (o, al contrario, nuova e progressista),corriamo sempre il rischio che essa risulti violenta e condannideterminate esperienze all’invisibilità, o viceversa che tale nor-

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ma venga smentita nei fatti o contestata propriosulla base dell’esperienza di altri che finalmenteguadagna visibilità.

POSIZIONARSI Adrienne Rich, in uno dei testi che io considero fon-damentali per il mio definirmi femminista (quelloin cui, presa consapevolezza della parzialità delfem minismo bianco e borghese in cui aveva milita-to, inaugura la pratica e la politica del posiziona-mento), dice:

Abbiamo iniziato il discorso respingendo frasi checominciano con “le donne sono state sempre eovunque asservite all’uomo” oppure “le donne han-no sempre avuto istinto materno”. Se abbiamo capi-to qualcosa in questi anni, sul femminismo del XXsecolo, è che quel sempre cancella tutto quello cheveramente abbiamo bisogno di sapere: quando, do-ve, e in quali condizioni può essere vera quella frase?(A. Rich, La politica del posizionamento, p. 16)

Io nutro dunque, con Rich, un certo sospetto su af-fermazioni apodittiche che si aprono e si chiudonosu un qualsivoglia sempre.

Questo non vuol dire che non ci si possa interro-gare su cosa riteniamo giusto e cosa sbagliato, o cer-care di dare un nome e un significato alle nostre eanche alle altrui esperienze e perorare cause e farebattaglie. Ma vuol dire che non possiamo – nel farquesto – non prestare attenzione alla parzialità delnostro luogo di enunciazione, all’instabilità dellenostre categorie (direbbe Sandra Harding); nonpossiamo non considerare che non siamo in gradoda sole di esaurire il dicibile; vuol dire che dobbia-mo stare attente a che le categorie su cui fa perno ilnostro pensiero non oscurino, per quanto possibile,l’esperienza altrui (come direbbe Judith Butler). Ilche ovviamente è vero per le femministe come an-che, auspicabilmente, per tutti.

E questa attenzione è quel che, a mio modo divedere, è mancata in gran parte del recente dibatti-to sulla maternità surrogata.

Io credo, infatti, che solo posizionando il nostropunto di vista, e realizzandone la limitatezza (il chenon vuol dire che esso non possa essere radicale, alcontrario, lo può essere proprio nel suo essere radi-cato in un’esperienza), possiamo poi dislocare etrasformare il nostro pensiero, e forse, con attenzio-ne e non senza difficoltà, incontrare l’altro, cioè chimuove da punti di vista e posizioni diverse.

Si badi infatti che, almeno nella mia compren-sione, muovere dalla propria esperienza o posizio-ne non vuol dire necessariamente rinchiudersi su diessa o al suo interno, non vuol dire chiudersi nellarivendicazione degli interessi o delle esigenze dellapropria parte, ma avere presente la peculiarità (cheè la ricchezza e anche il limite) della posizione dacui si guarda al mondo e quindi anche agli altri e allealtre. Invece, a volte, si ha la sensazione di assistere

a una frammentazione e separazione delle istanze per cui cia-scuno si sente legittimato a perseguire le proprie esigenze e aporle senza darsi pensiero di quelle degli altri, nella speranzache qualche meccanismo astratto le componga tutte. Al con-trario, io penso che pensare il mondo sia sempre possibile, an-corché solo a partire dalla propria parzialità, e che questa par-zialità si debba poi confrontare e fin confliggere con altre percercare di trasformarlo in un posto migliore.

L’idea che non ci sia, non sia più pensabile, un soggetto uni-co di trasformazione e liberazione che, liberando se stesso, li-bererà tutti e tutte, è ormai acquisita, come lo è anche l’ideache la comprensione delle esigenze diverse che caratterizzanoesistenze diverse possa essere molto complicata o quasi im-possibile, ma tutto questo non ci esime dal tentare di farci de-gli scrupoli e tentare di ragionare anche su ciò che accade aglialtri, di interloquire, o di preoccuparci. Il problema è come. Ela mia risposta è che ciò che è sicuramente importante in que-sto sforzo è la consapevolezza della natura strategica, tentativae rivedibile di ogni nostra affermazione.

Questo fa sì, io credo, che una riflessione che potremmo de-finire etica (e politica), come è quella che si fa intorno alla ma-ternità surrogata, non solo non debba prendere la forma dellamera difesa di determinati interessi o diritti (per quanto fon-damentali essi possano essere considerati, per sé o per gli al-tri), ma neanche debba prendere principalmente la forma deldare giudizi, quanto piuttosto quella del sospendere il giudi-zio, per cercare un contatto – complesso e difficile – con l’altro,un contatto che possa trasformare se stessi, forse l’altro e forseil mondo.

Se noi parliamo e cerchiamo di rendere conto di noi da que-sto spazio incerto – dice ad esempio Butler – non dovremmomai essere irresponsabili e, d’altra parte, verremmo perdonateove, nonostante la nostra attenzione, lo risultassimo (J. Butler,Critica della violenza etica, p. 180).

NOI CHI?Dunque, tornando alla cronaca, cosa dire della maternità sur-rogata da una posizione così interlocutoria?

Come dicevo, proporre delle considerazioni non è facile,soprattutto se non ci si vuole appiattire su posizioni semplifi-cate, poiché il tema che è in gioco, il rapporto tra corpi, sessua-lità, riproduzione, soggettività, denaro e potere non è certo deipiù semplici.

Su questo, per altro, molto è stato detto e scritto, anche seun’altra caratteristica che mi ha colpito negli scambi che holetto è come non sembri esserci traccia, nei diversi interventi,di quanto è stato già detto esplorando questo tema: ci si con-fronta con il tema della maternità surrogata come se fosseun’assoluta novità su cui misurare umori o intuizioni, come se

A. BALZANOC. FLAMIGNI

SESSUALITÀE RIPRODUZIONE

ANANKELAB

TORINO 2015

I. BERLINLIBERTÀ

FELTRINELLI

MILANO 2005

G. ZUFFAM. L. BOCCIA

L’ECLISSIDELLA MADRE

PRATICHE, PARMA1998

C. BOTTIMADRI CATTIVE.UNA RIFLESSIONE

SU BIOETICAE GRAVIDANZA

IL SAGGIATORE

MILANO 2007

PROSPETTIVEFEMMINISTE.

MORALE, BIOETICAE VITA QUOTIDIANA

MIMESIS, MILANO 2014

J.BUTLERLA DISFATTADEL GENERE

MELTEMI, ROMA 2006

CRITICA DELLAVIOLENZA

ETICAFELTRINELLI

MILANO 2006

M. COOPERC. WALDY

BIOLAVORO GLOBALE.CORPI E NUOVAMANODOPERADERIVE APPRODI

ROMA 2015

S. HARDING

“THE INSTABILITYOF THE ANALYTICAL

CATHEGORIESOF FEMINIST THEORY”

IN SIGNS, 11, 4, 1986

PP. 645-664

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non si fosse già a lungo tentato di ragionarvi, anche in modi di-versi e articolati.

Tanto per fare un esempio ormai parecchi anni fa Carol Pa-teman nel suo Contratto sessuale (1988) aveva appunto ragio-nato sull’incrocio tra questi temi ampi, giungendo a una posi-zione forse ancora interessante per chi voglia interrogarsi criti-camente intorno alla maternità surrogata e cioè indicando,nell’orizzonte politico moderno, una differenza di valore delcontratto quando essa riguardi (il corpo di) una donna o un uo-mo, perché diverso è, in questo orizzonte, ancora e nonostantetutto, per così dire, il luogo da cui uomini e donne contrattano;diverso è ciò che donne e uomini mettono in gioco con il con-tratto (sociale o sessuale) o ciò che esso coinvolge. E appuntomatrimonio, prostituzione e maternità surrogata sono i suoiesempi. Così come, negli stessi anni, Carmel Shalev, in Nascereper contratto (1989), argomentava a favore della tesi opposta,ovvero che distinguere il contratto di surrogazione da altri con-tratti voleva dire considerare le donne vincolate dalla loro bio-logia e incapaci di impegni responsabili. Il libro di Shalev di-scuteva per altro il caso di Baby M, neonata contesa negli Usa(anno 1986), tra madre surrogata e coppia (eterosessuale) com-mittente, sostenendo la tesi che il contratto dovesse essereconsiderato vincolante, e quindi la neonata consegnata allacoppia, come esito appunto della pari capacità di uomini edonne di vincolarsi ad impegni, e in particolare – nel caso dellariproduzione – di farlo prima del concepimento.

Tanta acqua è passata sotto i ponti da allora, e il femmini-smo si è mosso rispetto a posizioni che postulano un “sempre”iniziale e conclusivo, come sono in fondo quelle di Pateman eShalev, arricchendo e complicando le loro analisi (tanto per di-re, in Italia ne hanno discusso e scritto con acume Maria LuisaBoccia e TamarPitch). Citare queste autrici non vuol dire dun-que qui, per me, indicare delle autorità cui tornare, ma solo ri-cordare che esiste una storia, un pensiero, una serie di ragiona-menti e di esperienze (ma su questo tema tornerò) su cui pos-siamo fare leva, per cercare di comprendere le nostre circo-stanze, e quelle altrui. Circostanze che forse sono diverse daquelle su cui ragionavano quelle prime autrici, visto che il feno-meno di cui stiamo parlando ha assunto in parte caratteri di-versi, non solo in termini di eccezionalità o meno della pratica,ma anche nei termini di chi vi è coinvolto. Circostanze diverse

che rendono evidente, tra l’altro, come questa pratica non pos-sa più essere letta solo attraverso il riferimento all’asse delladifferenza sessuale, ma debba essere considerata anche tenen-do presente un riferimento critico al regime eteronormativo e,infine, all’asse che distingue ciò che, secondo la riflessione po-stcoloniale, possiamo chiamare il mondo dell’un terzo dalmondo dei due terzi; circostanze che richiedono però la stessaattenzione, la stessa cura nel modo in cui vi riflettiamo o neparliamo. Senza slogan e massimalismi.

Ciò detto provo a dire qualcosa anche io. E vorrei partiredal tema dell’esperienza. In fondo quello che vorrei provare afare è mettere in gioco me stessa, dire che cosa dice di me ocosa mi sembra di poter dire, a partire dalla mia esperienza edai modi in cui l’ho rielaborata, sulla questione della materni-tà surrogata.

Ma questo tipo di posizionamento mi porta subito a solleva-re un dubbio. Anche verso di me. Di fatto uno dei problemi chemisuro, se provo a percorrere questa strada, è quello di una“mancanza di esperienza”. E con questo non mi riferisco soloal fatto che non ho esperienza diretta, personale, di questa pra-tica; potrei infatti comunque dire che cosa certi discorsi fattiintorno alla maternità surrogata dicono di me, o quali farei io apartire dalla mia esperienza, di donna, di femminista, di donnache ha avuto una gravidanza, che ha un figlio, che non si è spo-sata, che non lo ha cresciuto con il padre ecc. ecc. Ciò di cuisento la mancanza, l’esperienza che non ho, in relazione a que-sta vicenda, è quella che in altri tempi ha caratterizzato la pra-tica e il pensiero femminista, cioè quella della condivisione: ilmettere in gioco e confrontare il proprio vissuto, e le proprie ri-flessioni su di esso, con il vissuto e le riflessioni delle altre.

Proverò a spiegarmi tornando all’appello di Snoq-Libere. Aldi là dei contenuti, su cui verrò, la cosa che mi ha colpito è statol’incipit: «Noi di Se non ora quando – Libere rifiutiamo di con-siderare la “maternità surrogata” un atto di libertà o di amore».

È un incipit potente, che ha sicuramente il merito di mette-re, come si dice, i piedi nel piatto. Ma qual è la sua autorevolez-za o la sua forza? Di chi è fatto quel noi? Al di là di quelle poche,o tante, firme poste in calce?

L’incipit potrebbe ricordare, nella sua formulazione, lo stiledi Rivolta Femminile (non se ne abbiano a male le cultrici di Ri-volta e di Lonzi tra le quali modestamente vorrei annoverarmi).

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Al di là della grave esclusione delle coppie gay e lesbiche, que-sto impianto esclude anche donne sole e uomini soli, ma ancheterzetti, quartetti o quant’altro, definendo implicitamente loschema di ciò che va considerato famiglia, ovvero definendochi sono gli individui a cui è consentito di riprodursi (legittima-mente). Io, che non sono una convinta sostenitrice del valoredella coppia, soprattutto in relazione alla “salute mentale” deifigli trovo questo limite molto discutibile. Esso di fatto stigma-tizza e rende invisibile chi desideri riprodursi o di fatto si ripro-duca (ricorrendo a queste tecniche all’estero o anche senza ri-corrervi) trovandosi – e volendosi trovare – in una di quellecondizioni “eterodosse”.

D’altra parte, e questo è il punto che in questo contesto mipreme di più sottolineare, questo impianto sembra ricono-scere un ugual coinvolgimento e peso, nell’accesso a questetecniche, ai due membri della coppia, ovvero – stando all’im-postazione della legge – all’uomo e alla donna coinvolti,quan do in realtà l’unica che deve accedere a uno studio me-dico per sottoporsi a degli interventi medici è la donna (e que-sto sarebbe vero anche nel caso di coppie lesbiche e gay, diterzetti e quartetti, o nel caso in cui a riprodursi fosse un uo-mo solo). E anche questo è un punto che può essere valida-mente messo in discussione.

Sfruttando questa asimmetria di coinvolgimenti (senza nes-sun essenzialismo, può darsi che le cose possano cambiare sot-to questo aspetto e allora dovremo ripensare la cosa), io ho so-stenuto più volte la tesi – come altre (penso per esempio a Ta-mar Pitch) – che possano ritenersi più adeguati impianti nor-mativi, leggeri sotto altri aspetti, che riconoscano come unicosoggetto della richiesta di accedere alle diverse pratiche di pro-creazione assistita la singola donna che vi si sottopone, e rico-noscano la legittimità di quella richiesta qualsiasi sia lo statusdi quella donna: sia essa in coppia con un uomo, con una don-na, o sola, sia essa sposata, convivente o meno, e – venendo allaquestione della surrogazione – lo faccia per sé o per altri, ovve-ro decida di tenere il bambino o la bambina che ne nascerannoo darli a terzi.

Un’impostazione di questo genere permetterebbe, a mioavviso, di riconoscere – concretamente e simbolicamente – lasoggettività femminile e, contemporaneamente, l’ampio nu-mero di relazioni che possono prendere forma intorno alla na-scita di un figlio o di una figlia, e la loro diversità, evitando im-posizioni patriarcali o eteronormative, ma anche rischiosi ri-duzionismi genetici.

Su quest’ultimo punto vorrei soffermarmi per ricordare che,dal mio punto di vista, non è la biologia – né quella dei gameti,né quella della gravidanza – a definire la genitorialità, ma il si-gnificato che noi diamo a questi elementi biologici. La biologiadella riproduzione o la genetica non ci offrono una sola verità:la fecondazione eterologa di una donna, cioè (assumendo loschema eteronormativo della discussione più comune)quellacon il seme di un uomo che non è il suo partner, può essereconsiderata da lei come un modo per avere un figlio con il part -ner che non ha dato contributi biologici, oppure può essere,nel caso di una gravidanza portata avanti per altri, pensato co-me il modo di dare un figlio all’uomo che non è il suo partner,ma che è invece colui che ha dato il seme, e alla sua compagnao compagno se ci sono. E così per parte maschile diverso sarà ilsignificato che darà al suo seme un donatore che vuole rimane-re anonimo o chi invece lo fa per riprodursi.

Infine, pensiamo al significato dell’ovodonazione: per alcu-ne che la ricevono essa è solo un modo per avere una gravidan-za e un figlio, per altre invece è la garanzia che la creatura chenasce dal loro ventre non è la loro (si usa com’è noto nel casodella surrogazione ricorrere all’ovodonazione, per diverse ra-gioni, tra cui quella di limitare la possibilità di accampare pre-tese sul nascituro da parte della donna che porta avanti la gra-

Per esempio il breve scritto Sessualità femminile eaborto, si apre così:

«Noi di Rivolta Femminile sosteniamo che dauno a tra milioni di aborti clandestini calcolati inItalia ogni anno costituiscono un numero sufficien-te per considerare decaduta di fatto la legge antia-bortiva» e continua così: «noi accederemo alla liber-tà di aborto e non a una nuova legislazione su di es-so, a fianco di quei miliardi di donne che costitui-scono la storia della rivolta femminile…».

Erano poche le donne di Rivolta, eppure quel“noi” è tanto diverso da quello dell’appello di Snoq-Libere. L’elaborazione di Rivolta, sia pure particola-re nei modi e nei contenuti, si inseriva infatti, na-sceva, prendeva linfa da, e nutriva, uno scambio tradonne, reale, effettivo, sulla loro vita, sulla loro ses-sualità, sulla gravidanza e l’aborto, sulle loro espe-rienze; nasceva dalla pratica degli aborti fatti nellecase dalle femministe o nei consultori auto-orga-nizzati per evitare le mammane, era riflessione suesperienza vissuta, partiva dall’autocoscienza fem-minile e la spronava, con un elemento di profezia.

Niente di tutto questo sta dietro l’appello diSnoq-Libere, ma niente di tutto questo mi sembrastia dietro anche alle diverse prese di posizione chesi sono succedute in questi giorni, neanche dietro aquesto mio scritto, se non nella forma della parolascambiata tra poche e pochi su questioni che nonnecessariamente ineriscono al nostro vissuto e checi si pongono piuttosto come questioni astratte.

Con questo non voglio dire che in mancanza diquesta esperienza non si possa più parlare, o avan-zare una posizione, ma che forse bisognerebbe farloin modo diverso, trovare formule diverse, perchéquella forma non funziona più, o non funziona nel-lo stesso modo: il “noi” rimane chiuso sulle pochefirme in calce allo scritto, firme che dovrebbero ri-conoscere dunque la loro limitatezza.

Se a un appello devo pensare, dunque, non èquello a vietare nel nostro Paese, o nel mondo, unacerta pratica, ma quello a riunirci per riflettere in-sieme, a trovare il modo di confrontarci, parlarci,scambiarci esperienze e ascoltarci (ovvero a farlonei modi che l’oggi ci rende disponibili o a cui ci ob-bliga) tra donne, donne di diverse generazioni, convissuti diversi, ma anche con uomini, eterosessualie gay, cercando tutte e tutti il contatto con chi è

molto lontano da noi, visto che la pratica della maternità sur-rogata o per altri, coinvolge spesso uomini e donne divisi da di-stanze geografiche e geopolitiche imponenti. Una riflessioneche parta dalla consapevolezza che il femminismo, che tantoha contribuito alla crisi delle grandi narrazioni, non può certocandidarsi a diventarlo esso stesso, e che nessuna ne è più au-torevole testimone di altre; una riflessione che tenga presenteche il nostro scambio non può che essere limitato e tempora-neo a fronte della vastità e variabilità del mondo umano.

Non trovo altro modo che cominciare da qui, da dove sonoe siamo. Nel tentativo di riaprire una stagione di riflessioneampia, penso possa valere la pena di ripartire da una riflessio-ne sulla legge 40 e sui suoi divieti (i pochi ancora vigenti).

RIPRODUZIONE, RELAZIONI E CORPIRitengo che uno dei problemi più grandi dell’impianto dellalegge 40 sia quello di considerare come motore della richiestadi accesso alla procreazione assistita le coppie, e in particolarele coppie eterosessuali (i cui componenti siano per altro en-trambi vivi, sposati tra loro o stabilmente conviventi, ecc. ecc.).

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IL CONTRATTOSESSUALE

MORETTI&VITALI

BERGAMO 2015

T. PITCHUN DIRITTO PER DUE

IL SAGGIATORE

MILANO1998

A. RICH“LA POLITICA DELPOSIZIONAMENTO”IN MEDITERRANEAN,

2, 1996

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RIVOLTA FEMMINILE

“SESSUALITÀFEMMINILE

E ABORTO”IN C. LONZI

SPUTIAMO SU HEGELLA DONNA CLITORIDEAE LA DONNA VAGINALE

E ALTRI SCRITTI

SCRITTI DI RIVOLTAFEMMINILE

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C. SHALEVNASCERE

PER CONTRATTO

GIUFFRÈ, MILANO 1992

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vidanza, oltre che spesso per far sì che il nato/a abbia caratte-ristiche più simili a quelle di chi lo riceverà).

Detto dunque che non c’è una verità che la biologia ci con-segna, che non è la biologia a fare ordine, ma altro, il proble-ma diviene quello di capire chi ha il potere di dare significaticosì diversi alle stesse cose, e anche come questo potere è di-stribuito.

A mio avviso, rimane pur vero che se seme, ovociti o uterinon sono apportatori di verità, le diverse soggettività coinvolteinvece lo sono e hanno ruoli diversi nella possibilità di dare si-gnificato a questi elementi o all’intero processo riproduttivo. Èper questo che io considero che, seppure all’interno di un con-testo relazionale che può essere ampio e non ininfluente, laprima parola e l’ultima dal punto di vista della legge (altri pianiessendo ovviamente agibili in modo diverso) debba restare al-la donna che accede alla tecnica, sul cui corpo si opera.

La stessa cosa ho sostenuto a proposito dell’aborto. E que-sto non sulla base di una concezione proprietaria del corpo (èil suo corpo, su cui è sovrana), ma sulla base di una concezio-ne incarnata della soggettività: ne va di lei e di chi nasce in unmodo diverso da quello in cui ne va di altri. E questa conside-razione, peraltro, apre anche alla possibilità di pensare che daquesto particolare vissuto emerga – quasi inevitabilmente –una dimensione di responsabilità sentita in modo diverso ri-spetto a quella sentita da altri (ho discusso di questo in Pro-spettive femministe, capp. 4 e 5).

Ogni singola donna dovrebbe dunque poter accedere allepratiche di riproduzione assistita, a tutte le pratiche, feconda-zioni con “donazioni” incluse, e poter dare poi lei la definizio-ne di quel suo atto in merito al suo voler essere riconosciuta omeno come la madre di chi nascerà e indicare chi possa, es-sendosi a ciò impegnato in precedenza, essere riconosciutocome padre di quel nato/a (se c’è), o anche eventualmente chipossa essere riconosciuta come la madre della creatura chenasce dal suo ventre (nello stesso modo in cui una donna può,nel nostro ordinamento, scegliere di non riconoscere un fi-glio/a concepito per via sessuale**o in alcuni Stati, per esem-pio negli Usa, proporlo all’adozione mentre ancora lo fa cre-scere nel suo grembo).

SOGGETTIVITÀ FEMMINILE E MATERNITÀ SURROGATACon questo – venendo alla questione della maternità surroga-ta – sto chiaramente dicendo che in questo quadro non è in-concepibile per me riconoscere la possibilità di portare avantiuna gravidanza per altre o altri e farlo, per le donne che lo fan-no,da soggetti. Sto anche dicendo che evidentemente io nonfirmerei una richiesta di bando di queste pratiche, la cui possi-bilità di arricchire e rendere visibile la variabilità dell’umanomi pare evidente. Ciò detto, questo non chiude il discorso dafare sulla questione specifica della maternità surrogata.

Comincio da me: esperienzialmente, io che ho vissuto unagravidanza felicissima, e invece con più fatica i primi anni di vi-ta di mio figlio – dicevo spesso scherzando, a quei tempi, cheavrei desiderato un’altra gravidanza ma non un altro figlio… eche sarei stata disponibile a fare un figlio/a per un’amica. Manon l’ho fatto e questa per me non era allora che un’ipotesi teo-rica piuttosto iperbolica. Devo dire che, comunque, nel pen-sarci, vedevo un’ipotesi di questo tipo sempre nel quadro diuna qualche forma di relazione tra me e la persona per cuil’avrei fatto, tra me e chi sarebbe poi nato, una relazione nonnecessariamente di maternità o familiarità, ma comunque in-terna a una dimensione di conoscenza personale che conside-ravo come opposta all’impersonalità di certi scambi (anche seoggi imparo da racconti sentiti e letti che non necessariamentela relazione personale deve darsi prima dell’accordo, e che essapuò nascere anche dopo). Ma questo è solo il mio vissuto, nonlo propongo qui altro che per chiarire che certe pratiche non

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mi suscitano scandalo e che riesco a pensarle con relativa faci-lità come scelte soggettive e libere. Il punto dirimente, ciò det-to, è però se ci sono – e nel caso quali sono – le condizioni perdefinire questo tipo di scelte come atti di un soggetto libero.

Del resto è evidente che c’è uno iato tra un’esperienza im-maginata e un’esperienza vissuta, e che c’è uno iato tra il tipodi esperienza che io potevo pensare di vivere (in Italia, perun’amica ecc.) e quella di molte delle donne che portano real-mente avanti gravidanze per altre/i. Per esempio le esperienzedelle donne che si prestano a portare avanti gravidanze in seriein paesi dell’Est Europa, in India o negli Stati Uniti, e che vedo-no in questo una forma di lavoro o di guadagno, magari miglio-re di altri, ma che comunque si trovano nel contesto di un mer-cato deregolato, che può facilmente far pensare a forme disfruttamento. Donne che vengono sottopagate, a cui è impedi-to di abortire o che possono essere, invece, obbligate ad abor-tire, nel caso di una malformazione o di una gravidanza pluri-gemellare (aborto selettivo di uno o più feti), che mettono a re-pentaglio la loro salute ecc. ecc. (si veda su questo M. Cooper,C. Waldy, Biolavoro globale. Corpi e nuova manodopera, o ildialogo tra A. Balzano e C. Flamigni)

Ora qui il discorso si fa spinoso, ma di fatto, mi pare che ilnucleo più interessante del dibattito in corso sulla maternitàsurrogata riguardi esattamente questo punto: la condizione disoggettività e libertà della donna che porta avanti una gravi-danza per dare la creatura che ne nasce ad altre o altri.

Su questo, come ho già ricordato, si contrappongono dueposizioni: da una parte vi è chi sostiene che la natura stessa delgesto denoti una condizione di assoggettamento e illibertà dichi lo fa (o meglio, in questa ottica, lo subisce), come quello dichi si rendesse schiavo. Dall’altra parte, vi è chi sostiene chequesto gesto possa e debba essere invece pensato proprio co-me il frutto di una scelta libera di un individuo sovrano. Queste

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due tesi sono articolate in modi diversi, con toni e accenti di-versi, e anche – e questo è interessante – tagliando in modo di-verso la questione della gratuità o della mercificazione dellamaternità per altre/i, che ovviamente è punto importante delladiscussione.

Vi è dunque chi, partendo dalla violenza – quasi di snatura-mento – considerata insita nel gesto di dare via la creatura chesi partorisce, considera che solo donne assoggettate possanoprestarvisi, e mette a tema la reificazione non solo della donnain questione, ma anche, e forse soprattutto, del bambino obambina che nasce e viene“ceduto”. Chi sostiene questa tesi,come per esempio nell’appello di Snoq-Libere, considera chenon si possa mai trattare di un gesto soggettivo e libero, non so-lo quando vi sia di mezzo del denaro, ma anche quando si trattidi dono. Esattamente come per la schiavitù, sarebbe la condi-zione stessa a cui ci si vincola ad essere contraria alla libertà,non il fatto che qualche fattore esterno ci abbia costretto. Co-me per la schiavitù, la surrogazione sarebbe dunque una con-dizione che comportala negazione della libertà, sia quandoquesta è imposta, sia quando è scelta.

Altre, invece, pur rimanendo critiche della pratica, sosten-gono più semplicemente che, vista la violenza del gesto o dellacondizione di spossessamento in cui ci si trova, solo una con-dizione di bisogno indicibile possa renderla accettabile, e chenessun soggetto libero da bisogni economici o da altro tipo divincoli (simbolici oltre che materiali) la prenderebbe in consi-derazione.

Dall’altra parte, vi è chi invece sostiene, al contrario, la pos-sibilità e la positività del riconoscere in questo tipo di gesti del-le scelte libere, contestando appunto una lettura che vede ledonne come schiacciate su un istinto di maternità di chiaramarca patriarcale o prigioniere del loro corpo. Anche qui, però,il fronte poi si divide per quanto riguarda la possibilità di agirequesta libertà in relazione al bisogno economico. Vi è, infatti,chi considera questa possibilità di scelta libera solo ove questobisogno sia ininfluente (ove dunque la commercializzazione diqueste pratiche sia vietata o la donna coinvolta non sia in unostato di bisogno) e chi invece considera che la libertà di ciascu-na e ciascuno si estenda fino alla possibilità di decidere comefare fronte alle proprie esigenze o anche ai propri terribili biso-gni materiali, equiparando queste pratiche a molte altre prati-che più che diffuse, o chi – infine – propone di leggere questaquestione all’interno di una più ampia e generale richiesta digiustizia nel mondo, non fossilizzandosi su questo caso in par-ticolare.

IL MERCATO, LA LIBERTÀ E LE SUE CONDIZIONI… E UNA PROPOSTAA questo punto non posso esimermi dal dire come la penso eper provare ad articolare un pensiero voglio partire da IsaiahBerlin, un grande teorico della libertà, molto conservatore e di-scutibile ma al contempo molto radicale (un po’ come potreb-be esserlo Pasolini). Berlin in tutta la sua produzione mette inguardia dai rischi e dagli orrori generati dal tentativo, ricorren-te nella storia umana, di definire chi è libero e chi non lo è, daltentativo cioè di definire positivamente la libertà, per poi basa-re su questa definizione ideale di libertà, istituzioni o politicheche di fatto, a suo avviso, negano la libertà di una moltitudinedi individui. La sua tesi è che ciò che va garantito a ciascuno èinvece il rispetto di uno spazio, sia pure minimo, di libertà in-dividuale, cioè di uno spazio tutelato rispetto alle interferenzealtrui (o dall’alto) sulle proprie scelte, anche dove l’interferen-za sia pensata come un modo di migliorare le condizioni dellastessa libertà di quella persona (ad esempio l’obbligo scolasti-co, per tornare a Pasolini). In questo senso Berlin non può chesostenere che ogni individuo è in qualche senso (anzi in sensometafisico, ma questo qui non interessa) già da sempre libero eche non sta a noi (o ai filosofi) definire chi lo è e chi non lo è, an-

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che se le condizioni in cui gli individui si trovano possono poideterminare e limitare la loro libertà, che in quanto tale però(ovvero per quel che ci concerne) è lì e lì rimane, anche se offe-sa. Di fatto, per altro, nella sua visione tragica della condizioneumana, in cui tutti siamo costantemente tirati da valori e biso-gni diversi e in conflitto tra loro, non c’è modo di dettare ricetteunivoche per il comportamento o la felicità umana, c’è solo lavisione (romantica) della fragilità dell’individuo che cerca ditrovare da sé il modo migliore per vivere, un individuo destina-to comunque e sempre a rinunciare a qualcosa.

Non cito Berlin perché voglio seguire la sua strada, che noncondivido nei suoi esiti. Di fatto, dopo aver distinto – diciamocosì – la libertà dalle sue condizioni, Berlin si disinteressa, co-me io non farei, di queste ultime. Lo cito, piuttosto, perché co-munque egli fa un pezzo di strada importante, quello di farepresente la difficoltà di chiudere in un elenco dato di caratteri-stiche positive ciò in cui si dovrebbe incarnare o di cui dovreb-be consistere la libertà di ciascuno.

Questo tipo di considerazioni mi sembra rilevante, difatti,rispetto alla questione del commercio e dello scambio econo-mico in relazione alla maternità surrogata. Evidentemente ame verrebbe quasi immediato pensare – e di fatto mi trovo apensarlo – che perché la scelta sia davvero agita liberamente,essa non dovrebbe essere dettata dal bisogno materiale, ma – equi interviene Berlin – non mi sento in grado di dire, in unmondo così palesemente iniquo, che gli individui debbanopercorrere certi e non altri modi di fare fronte ai loro bisognimateriali: questo sì offenderebbe la loro soggettività e libertà.Del resto non ha senso neanche parlare in modo così astratto egenerale. In termini astratti e generali si può dire che il nostroè un mondo profondamente iniquo, ma questo non può por-tarci, tanto più dall’alto della nostra buona sorte, a dire come sidebbano comportare gli altri nelle loro circostanze particolari,che noi non stiamo esperendo. Su certe questioni, dice Berlin,i filosofi devono tacere.

A differenza di Berlin io penso, però, non solo che ci si debbacollettivamente impegnare contro l’iniquità del mondo (nonattraverso inutili, fragili e discutibili divieti, ma con impegnipolitici di ben altro spessore, per esempio in questo contestoimpegnandosi in favore di forme di regolamentazione del mer-cato, di sindacalizzazione ecc. ecc.), ma anche che nel farlo cisia spazio per l’impegno individuale. Se non possiamo giudi-care gli altri, possiamo però giudicare noi stessi, e dunquedomandarci in che condizioni ci relazioniamo al prossimo. Peresempio io vorrei pensare che l’obiezione a un certo tipo discambi terribilmente impari, se essa deve darsi, non debba pro-venire da un divieto imposto dall’alto, ma dalla consapevolezzadi chi vi prende parte. Nel caso della maternità per altri, pensoche potrebbero essere gli “altri” in questione a farsi degli scru-poli, per esempio ad accertarsi che almeno alcune garanzieminime (o massime) di libertà siano rispettate (come penso,per fare un esempio a partire dal caso della prostituzione,spesso citato come analogo, che chi va con una prostituta sipossa e debba rendere conto della differenza che passa tra unavittima di tratta e una sex worker). Il che ovviamente comportaun lavoro non banale di presa di coscienza anche da parte dichi offre questo tipo di “prestazioni”.

Dunque è per me difficile dire una parola definitiva sullaquestione della commercializzazione. A complicare il quadroaggiungo anche un altro paio di considerazioni rilevanti. Laprima è che vorrei che tenessimo presente, quando – comemolte fanno – parliamo di libertà e mercato nel caso della sur-rogazione, e della sua inevitabilità, che nel nostro Paese e inmolti altri è invece limitata la possibilità di cedere in cambio didenaro sangue e organi (penso soprattutto al caso di trapiantoda vivo di organi pari, ad es. i reni), che invece si possono do-nare. Dunque ove mettessimo a tema la possibilità di pagare

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per una maternità surrogata, dovremo anche mettere in di-scussione il divieto che limita la possibilità di pagare per unacessione di sangue o per un organo. A mio avviso non ci sonoinfatti differenze rilevanti tra questi casi.

In secondo luogo, sempre a proposito di commercializza-zione e di mercato, vorrei far presente che non è solo di mater-nità surrogata che è bene discutere. Ben più fiorente è infatti ilmercato di ovociti, necessari non solo per l’ovodonazione inmolti casi di riproduzione assistita, ma anche per la ricercascientifica. La produzione di un gran numero di ovociti e il loroprelievo sono pratiche particolarmente rischiose e dannoseper la salute delle donne, forse più di una o più gravidanze, so-prattutto se ripetute (si veda in proposito quanto riportato daBalzano e Flamigni nel loro recente, Sessualità e riproduzione).Dunque la questione è più ampia e non riguarda solo la mater-nità surrogata.

Infine, sempre in tema di libertà e vincoli, vorrei ricordareche molto spesso, sia per quanto riguarda le donazioni di ovo-citi a fine di riproduzione assistita, sia per quanto riguarda lamaternità surrogata, si prediligono donne che hanno già avutofigli, e se sposate si richiede il consenso del marito. Non è dun-que solo la questione economica che insiste sulla libertà fem-minile e molti sono gli aspetti (anche simbolici) cui bisogne-rebbe guardare.

Come dicevo, una parola finale è difficile. Al di là di conside-razioni sulla possibile regolamentazione del mercato e dellecondizioni degli scambi, io credo che si tratti in prima istanzadi creare le condizioni della consapevolezza da parte di tuttidelle tante vulnerabilità che si confrontano in questa vicenda.

Proprio in quest’ottica penso che un modo di sollecitarequesta consapevolezza e di guardare alle dimensioni anchesimboliche (che si legano in modo inscindibile a mio avviso aquelle materiali) della libertà delle donne sia quello di conside-rare, e provare a far riconoscere, anche nella istituzionalizza-zione di questo tipo di pratiche, l’idea che la donna debba po-ter sempre cambiare idea e decidere alla fine della gravidanzase dare e non dare ad altre/i il bambino o la bambina che nenasce. Considero dunque che se una battaglia va fatta sia quel-la di considerare che, in questo tipo di accordi, la donna che sipresta a portare avanti una gravidanza per altri possa semprerecedere da questa decisione, e interrompere la gravidanzacon un aborto (ovvero rifiutarsi di farlo se le viene richiesto),oppure tenersi il/la bambino/a alla nascita.

Non mi illudo che questo cambi di molto le condizioni dellalibertà di molte, ovviamente condizionamenti vari possonosempre pesare sulla condotta di alcune e impedire loro di direo fare ciò che desiderano o perfino di esserne consapevoli, o diessere ascoltate, ma questa mi sembra la condizione minima diuna interlocuzione tra soggetti, e come dicevo una condizioneche chiama tutte le persone coinvolte alla responsabilità e allaconsapevolezza della vulnerabilità che ci attraversa tutti e tut-te. Vulnerabilità, si badi, che non è solo quella di una donnache può essere costretta a fare qualcosa che non farebbe in al-tre condizioni, ma anche quella di quante e quanti, per ragionidiverse, si trovano in bisogno del suo contributo.

Infine, voglio concludere da dove ho aperto, tornando sul-l’aborto. Proprio nell’ottica di quanto ho appena detto io pen-so che a nessuna donna mai (qui oso un mai, che è come un

sempre…), in nessuna condizione, anche quando ha presol’impegno di portare avanti una gravidanza per altri, debba es-sere impedito di abortire. Considero l’aborto e la disponibilitàdi anticoncezionali, una pratica fondamentale di liberta fem-minile, e umana, e come tale qualcosa su cui non solo le donnema anche gli uomini, etero o gay, dovrebbero impegnarsi, cosìcome io donna etero mi impegno per il riconoscimento della li-bertà di amare di tutti.

Se un appello vorrei firmare, da rivolgere alle istituzionieuropee o mondiali, è quello a fare sì che aborto e anticonce-zionali siano disponibili per le donne, e gli uomini, di tutto ilmondo. n

�* Continuo a chiamare la pratica intorno a cui si discute “maternità surrogata”. La ragione di questa scelta non va rintracciata in una pas-sione per questa definizione (maternità di sostituzione, maternità o gravidanza per altre/i, mi sembrano sicuramente denominazioni piùappropriate), ma è legata al fatto che nel mondo è così che questa pratica viene chiamata (in inglese surrogacy che sta per surrogate mo-therhood o surrogate gestation, e la traduzione italiana a oggi è genericamente quella di “maternità surrogata”) e fino a che non sarannoquante e quanti prendono attivamente parte a queste pratiche a ridefinirle, sopratutto quante sono nella posizione più debole nella vi-cenda, non voglio arrogarmi io il diritto di proporre definizioni diverse.** È bene ricordare che al momento questa possibilità è negata dalla legge 40 alle donne che fanno ricorso alla PMA.

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I prossimi appuntamenti:•26 febbraio 2016 ore 163. RUOLI APPESI A UN FILOVisione del film Forza Maggiore (Ruben Östlund, 2014)Modera Mariagabriella di GiacomoIntervengono: Francesca Terrenato, Rita Debora Toti, Anna Belorozovitch

•18 marzo 2016 ore 164.TRADIMENTO DEL FEMMINISMO? Percorsi e nuove proposteDiscussione di Nancy Fraser, Fortune del femminismo. Dal capitalismo regolato dallo stato alla crisi neoliberista,trad. Anna Curcio, Ombre Corte 2015Modera Maria Serena SapegnIntervengono: Fabrizia Giuliani, Sara Gvero, Valentina Pinoia

•29 aprile 2016 ore 16 5.“NON SONO FEMMINISTA, MA…” Cinquanta sfumature di femminismo Discussione di Chimamanda Ngozi Adichie, Dovremmo essere tutti femministi, Einaudi 2015Modera Rita Debora Toti Intervengono: Gabriella de Angelis, Laura Salvini, 2 portavoce del Gruppo organizzativo: video con brevi interviste; dossier con i dati elaborati da memoir (target: 15-35 anni) scritti a partire dalla traccia:Quando hai sentito per la prima volta la parola “femminista”? Cosa significa per te? Ti ritieni femminista?Motiva la risposta e descrivi la tua esperienza in non più di 15 righe.

•20 maggio 2016 ore 106. DAL PATRIARCATO ALLA PATERNITÀGiornata conclusiva sulla paternità – discussione sui modelli – rappresentazioni Modera Sara de Simone

Tutti gli incontri, salvo quando diversamente indicato, si terranno nell’aula seminario, III piano, Dipartimentodi studi europei, americani e interculturali, Facoltà di lettere e filosofia, Sapienza-Università di Roma, piazzaleAldo Moro 5, Roma. Il Laboratorio Sguardi sulle Differenze propone alla discussione delle partecipanti testiteorici, cinematografici e/o multimediali prodotti dalla cultura delle donne e dagli studi femministi. Vengono presiin considerazione sia i materiali frutto diretto della pratica politica degli anni Settanta, sia i più significativi inter-venti editi nei decenni successivi. Il tutto tenendo conto di tradizioni e problematiche relative ad ambiti geo-po-litici diversi. Le relazioni che introducono ogni incontro mettono a confronto gli sguardi di donne appartenenti agenerazioni diverse.La partecipazione è aperta. Il ciclo annuale di incontri proposti dal Laboratorio Sguardi sulle Differenze faparte dell’offerta didattica della Facoltà di lettere e filosofia della Sapienza, Università di Roma.

SGUARDI SULLE DIFFERENZELABORATORIO DI STUDI FEMMINISTI «ANNA RITA SIMEONE» • UNIVERSITÀ DI ROMA LA [email protected] • HTTPS://WWW.FACEBOOK.COM/SGUARDISULLEDIFFERENZE

HTTP://TWITTER.COM/SGUARDIFFERENZE

Il Laboratorio Sguardi sulle differenze anno accademico 2015-2016della SAPIENZA UNIVERSITÀ DI ROMA

INCLINARE LA NORMA: modelli in crisi e pratichenuove tra donne e uomini d’oggi

INCLINARE LA NORMA: FEDRA E LE ALTRE

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In un dicembre che sembra una pri-mavera, grazie al passaparola fem-minista di giovani amiche asse-gniste di ricerca come Chiara Cre-tella (Università di Bologna), ma

anche all’entusiasmo delle mie docentidi riferimento dell’area storico-educati-va e di letteratura per l’infanzia, EmyBe-seghi e Tiziana Pironi, mi ritrovo a Sivi-glia presso la magnifica sede della Fa-cultad de Filología de la Universidad, unavolta sede della Real Manifattura Tabac-chi. Dal 10 al 12 dicembre 2015 qui si èsvolto il XII Congresso internazionaleorganizzato dal Grupo de InvestigatiónEscritoras y Escrituras (www.escritora-syescrituras.com) coordinato e diretto daMercedes Arriaga (Università di Siviglia). Mi colpisce la quantità e la qualità del-

le sessioni di lavoro, che si svolgono pa-rallele in panel coordinati da giovani egiovanissimi ricercatori, dottorandi, stu-diosi. Oltre un centinaio le presenze neitre giorni, cui si aggiungono sessioni in-troduttive e conclusive, animate da pre-sentazioni di libri, una mostra di pittura,letture di poesia, letture drammatizzate,spettacoli di jazz e di guitarra flamenca.L’atmosfera è vitale, laboriosa, ben co-ordinata. Si avverte un senso di appar-tenenza e collaborazione, di relazionicresciute e consolidate nel tempo, ce-mentate da una lunga pratica di reci-procità e condivisione, come quella conAdriana Assini, cui si devono, fra l’altro,le immagini e il logo del convegno. UnCD, edito da ArCiBel Editores, raccogliele 1758 pagine dei saggi scelti, fra quellipervenuti, da un’equipe formata da Mi-lagro Martín Clavijo (Universidad de Sa-lamanca), Mercedes Gonzáles de Sande(Universidad de Oviedo), Daniele Cerra-to e Eva María Moreno Lago (Universidadde Siviglia).Tocco con mano cosa vuol dire, per i

giovani italiani che incontro qui, lavora-re in un contesto internazionale stimo-lante, guidati da attivissime donne, le pro-fesore, che uniscono una pratica di rela-zione nuova, che è la pratica politica del-le donne, a quella scientifica, mettendoal centro la storia, la letteratura e lascienza delle donne nell’impianto globalee particolare di questo convegno. I panel coprono un arco interdiscipli-

nare e riguardano le più svariate forme dipresenza femminile nell’arte e nelle let-terature. Si intitolano infatti:Literaturasdel mundo, Literatura italiana, Poesía ita-

Si è svolto a Siviglia il XII

Congresso del “Grupo de Investigatión

Escritoras y Escrituras” dal titolo:

Locas. Escritoras y Personayes femeninos

questionando las normas

DI LOREDANA MAGAZZENI*

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Studi di genere in Spagna

Adriana Asssini, Le rose di Cordoba

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A seguire la storica Angela Giallongo(Università di Urbino) presenta il suo Ladonna serpente. Storie di un enigma dal-l’antichità al XXI secolo (Dedalo, 2013).Questo libro attraversa le rappresenta-zioni femminili nell’immaginario pa-triarcale dall’Europa protostorica, dove iserpenti rappresentavano la saggezzafemminile, riconosciuta da tutta la co-munità, per piegarsi poi, verso l’VIII se-colo a.C. ad esprimere, con la leggenda diPerseo e Medusa, la dicotomia ordine co-smico (Perseo) e disordine (Medusa),espressione delle passioni folli e irrazio-nali femminili, dove l’ira appare esserel’anticamera della follia. Le Meduse cy-borg di oggi, le Angry Women, perfor-mano, secondo la studiosa, una rabbia vi-sta come lucidità espressiva, spinta ne-cessaria alla creatività e conclude il suointervento asserendo che compito dellestoriche oggi è commentare «ciò chenon è mai avvenuto».

Singenerodedudas.com è la comunitàvirtuale nata per la creazione, l’inter-scambio, e la diffusione delle conoscen-ze di genere, su cui relaziona Rosa MaríaRodríguez Magda, che auspica, a con-clusione del suo interessante interventosui femminismi oggi, la creazione di un“fratriarcato” che rivisiti i concetti divulnerabilità e di eroismo.La mattina si conclude con Virginia

Imaz Quijera, del teatro OihulariKlown,che riprende tutti gli interventi in unasimpaticissima performance dal titolo Losdelirios de Casandra.Il pomeriggio e le sessioni dei giorni

successivi sono dedicate ai moltissimi in-terventi da parte di giovani dottorandi e

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liana, Mujeres fuera del canon, Literatu-ra teatral italiana, Mujeres y política,Mujeres y el teatro, Artista y locura, Lite-ratura inglesa y irlandesa, Científicas yacadémicas, Escritoras y locura, Litera-tura española, Literatura en español, Li-teratura Francesa, Literatura clásica y mi-tos. Al loro interno le sessioni si articolanoin interventi, rigorosamente di 15 minuti,disciplinati da un coordinatore. Ci si in-segue nei corridoi, ci si cerca durante lecomide e le cene comuni, per prenderecontatti, scambiare pareri e biglietti da vi-sita, prima che ciascuno raggiunga le pro-prie sedi universitarie sparse ai quattroangoli del mondo. Le relatrici e i relatori vengono infat-

ti non solo dalle molteplici accademiespagnole (le molte sedi di Madrid, e poidi Sevilla, Granada, València, Nebrija,Murcia, Salamanca, Santiago de Com-postela, Oviedo, Barcelona, Cádiz, Cór-doba, del País Vasco, de Cantabria, de Ex-tremadura, de Almería, de La Coruña) odal vicino Portogallo, dalla Francia e dal-l’Italia (Università di Genova, Roma3,Foggia, Bologna, Trento, Enna “Kore”,Firenze, Sassari, Catania, Milano, Ferra-ra, Napoli e Napoli Orientale), proven-gono dalle Università di Varsavia (tregiovani ricercatori, Stefano Redaelli,Anna Tylusińska-Kowalska e Giulia Cil-loni), Lubiana (Irena Prosenc su unascrittrice slovena, Berta Boeta), Croa-zia, Vienna e Danzica, ma anche dalConnecticut, dall’Australia (Luciana d’Ar-cangeli, Università di Flinders), dal Ca-nada (Università di Toronto e Victoria,con Paolo Frascà e Marina Bettaglio) e dalvastissimo mondo ispanofono latino-americano. Da questa realtà viene DulcePio Nascimento, della Universidade doEstado do Amazonas, che relaziona sul-la poetessa e scrittrice brasiliana HildaHilst; altrettanto interessanti i saggi del-le ricercatrici della Universidad Autó-noma Metropolitana di Azcapotzalco(Città del Messico), di Tucumán (Argen-tina), di Quito (Alexandra Astudillo Fi-gueroa presenta il suo studio su “DoloresVeintimilla de Galindo y la (des)coloni-zación del ser feminino”). Paula Tesche,della Universidad Andrés Bello del Chi-le, parla di “La locura en la poesia di Ga-briela Mistral”, mentre dalla UniversidadTécnica Particular de Loja (Ecuador) vie-ne Carmen Delia Benítez Correa,cheporta i suoi studi sulla femminista ecua-

doregna Matilde Hidalgo, “la mujer quecreyó en los derechs de las mujeres”. Ma che si tratti, già in primis, di una ri-

lettura dell’autorità femminile in sé, miappare chiaro fin dal primo intervento,quello di Maria Rosal Nadales, Directo-ra di Igualidad e Directora de la Cátedrade estudios de la Mujeres “Leonor deGuzmán” dell’Università di Córdova(doppio biglietto da visita), che dovendofare la sua comunicazione su “Autoironiay subversión en el sujeto lirico”, è stata au-torizzata a parlare della sua poesia. Seisono i focus della sua e della modernapoesia prodotta da donne, secondo Ro-sales: autoironia, erotismo, metacogni-zione, intertestualità, riscrittura del mitoe critica sociale. Durante la comida sonoal suo fianco e le dico che in Italia nessunconvegno scientifico si aprirebbe con lapoesia, e con la poesia di una donna, malei mi dice che anche in Spagna è così, maè Mercedes Arriaga ad essere speciale. Simonetta Ulivieri, l’insigne maestra

degli studi sull’educazione femminile, in-treccia, nella sua comunicazione d’aper-tura dedicata a Sibilla Aleramo, tre aspet-ti metodologi e disciplinari differenti:quello della storia sociale dell’educa-zione, quello della storia dell’emancipa-zione delle donne, e il recupero di sé at-traverso l’autobiografia, dimostrandocome il libro Una donna possa ancoraoggi essere considerato un classico del-l’emancipazione. Adriana Assini, scrittricee pittrice già nota a Leggendaria, ha par-lato del suo romanzo storico Le rose diCordova (Napoli, Scrittura & Scritture2007) appena tradotto in spagnolo daMercedes Gonzáles de Sande.

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ricercatori, ma anche di Senior Lecturer,Maître de Conférences, professori/e or-dinari/e, associati/e e aggregati/e. Nellesessioni di Letteratura italiana, coordinateda Fabio Contu (Università di Siviglia) eda Francesca Di Blasio (Università diTrento) spicca l’Ottocento per la locura inscrittrici e personaggi come Neera o En-richetta Caracciolo o Annie Vivanti, au-trice cui è destinato un acuto studio inchiave di genere di Sharon Wood e EricaMoretti, ma anche il Novecento di AnnaMaria Ortese, Natalia Ginzburg, Goliar-da Sapienza, Elena Ferrante, FabriziaRamondino e, per la poesia italiana,Amelia Rosselli, Alda Merini, Amalia Gu-glielminetti, la mia Patrizia Vicinelli. Nonmanca la locura nel soggetto femminilemalato di Alzheimer, a partire da OnBeing Ill di V. Woolf e Uscirne vivi di Ali-ce Munro a Le giovani parole di Marian-gela Gualtieri, nel denso saggio di MariaMicaela Coppola.Ben rappresentato il teatro con Fran-

ca Rame e Dacia Maraini (Antonella Ca-pra, Università de Toulouse-Jean Jaurèse Luciana D’Arcangeli, Università di Flin-ders), ma anche una inedita Franca Va-leri, studiata da Mauro Canova (Univer-sità di Genova).Nella sessione dedicata ai rapporti

fra donne e politica, coordinata da Ma-ria Micaela Coppola (Università di Tren-to) si parla di eroine e personaggi tra-sgressivi nella narrativa italiana attuale,ma anche di Eleonora de Fonseca Pi-mentel, di Juana I, di donne folli del-l’universo mafioso (Dominica Michalat,Università di Varsavia). Fra le presenta-zioni di libri spicca lo studio di Antonel-la Cagnolati, La costilla de Adan. Mujeresy escritura en el Renacimiento (Arcibel).Cagnolati, che insegna Storia dell’edu-cazione di genere presso l’Università diFoggia, è vicepresidente della spagnolaAUDEM, l’Associazione Universitaria diStudi delle Donne. n

*Loredana Magazzeni, laureata in Letterepresso l’Università di Bologna, si occupa discrittura delle donne. Sta svolgendo unDottorato di Ricerca presso il Dipartimen-to di Scienze dell’Educazione dell’Univer-sità di Bologna, con particolare attenzioneall’educazione di genere. Collabora con laLibreria delle Donne di Bologna e con altreassociazioni.

:a margine

Com’è nato il gruppo di ricerca Escritoras y Escrituras, come lavora,di quante persone è composto?

«È nato nel 2002 da un piccolo gruppo di tre persone. Adesso, nel 2015, sia-mo 53 ricercatrici e ricercatori di Spagna, Italia, Grecia, Polonia, Inghilter-ra, Francia, Marocco, Giordania, Cile, Messico, Germania e USA. Insomma,una rete di persone che lavorano sugli stessi temi: le scrittrici, gli stereoti-pi femminili nella produzione culturale (sia testuale, sia virtuale o media-tica), le ginocritiche, la traduzione di scrittrici, donne e letteratura, e temiaffini. La nostra idea è fare scienze umanistiche con/da un’ottica di gene-re, per così correggere la visione androcentrica che ancora oggi soffrono que-ste scienze. Oltre alla ricerca personale che ognuno porta avanti, organiz-ziamo degli incontri, seminari, convegni, corsi, progetti con altre universitào altre associazioni di donne, nel tentativo di far conoscere gli studi di ge-nere e promuovere la visibilità delle donne nella cultura.

Quali sono stati i convegni che avete realizzato?«Quest’anno abbiamo tenuto il nostro XII convegno internazionale, che or-ganizziamo senza interruzioni dal 2004, quasi sempre a Siviglia, ma anchein altre università dove ci sono componenti del gruppo: siamo stati a Tetuan,l’anno scorso, e prima a Oviedo, Salamanca, Madrid, Bergamo e Sassari. Inostri convegni radunano persone di tutto il mondo e sono sempre inter-disciplinari. In essi vogliamo la presenza di accademiche, ma anche di ar-tiste e coinvolgiamo anche giovani ricercatrici/ricercatori, poiché è fon-damentale che i nostri studi abbiano un futuro nelle università. Anche sepromuoviamo i convegni dal nostro campo privilegiato, la letteratura, spes-so vi partecipano antropologhe, sociologhe, psicologhe, ecc. Cerchiamo anche dei titoli particolari, ironici, che colpiscano, come l’ul-

timo appena concluso intitolato Pazze. Scrittrici e personaggi femminili cheinterrogano le norme, che fa il paio con il primo, del 2004, intitolato Senzacarne. Rappresentazioni e simulacri del corpo femminile. Nel 2013 si intitolava:Assenze. Donne ai margini della cultura, quello del 2012 Le voci delle dee,prima ancora La Querelle de femmes in Europa e America Latina, Masche-re femminili, Le rivoluzionarie, Scritti dietro/fra/senza frontiere, Scrittrici epensatrici europee, Dall’Andalusia. Donne del Mediterraneo. I convegni ser-vono per estendere la rete degli studi di genere ad altre università e ancheper promuovere lo studio delle scrittrici di diverse lingue e culture del mon-do, il che significa promuovere una visione anche femminile del mondo edella realtà.

Quali sono le difficoltà più grandi incontrate nel tempo e quali le mag-giori soddisfazioni e novità che le attività del gruppo hanno portato?

« Le difficoltà sono molte, poiché gli studi di genere non sono riconosciu-ti come un vero e proprio campo di ricerca, allo stesso livello delle altre di-scipline presenti nelle università. Non ci sono dipartimenti, e quindi chi fa

A Sivigliauna rete di studi e ricerca

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INTERVISTA A MERCEDES ARRIAGA* DI LOREDANA MAGAZZENI Mercedes Arriaga

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studi di genere nell’accademia, lo fa a“suo rischio e pericolo”, a volte incon-trando l’ostilità o la derisione. A secondadel settore dei tuoi studi, puoi trovare piùo meno complicità: in Spagna sono le fi-lologhe inglesi quelle che hanno aperto lastrada ai nostri studi, e quindi molte ri-cercatrici provengono da questo settore. Lematerie letterarie e filologiche hanno mol-to bisogno di questo tipo di studi, poichétutte le materie che fanno parte dei diversicorsi di laurea si basano su un insegna-mento della letteratura in cui le autricisono praticamente assenti e su metodi dianalisi e di interpretazione dei testi mar-catamente androcentrici. Risulta un po’paradossale praticare o mantenere unascienza “umanistica”, che lasci fuori lametà dell’umanità, cioè le donne, allora diquali studi umanistici parliamo? Molte per-sone che fanno studi di genere devono ave-re un doppio curriculum, poiché spessochi giudica i meriti della ricerca conside-ra che le scrittrici non fanno parte della let-teratura o della cultura, ma che sono sem-plicemente “cose da donne”. Ovviamenteil nostro lavoro tenta di correggere questapercezione erronea, dimostrando con lenostre ricerche che le scrittrici non sonocasi isolati e che la loro presenza nella cul-tura è fondamentale.

Come si sta sviluppando la collabo-razione con le donne più giovani e conil territorio?

« Il nostro gruppo ci tiene molto ad ap-poggiare le donne giovani che vogliono in-traprendere la difficile strada degli studi digenere. Negli ultimi anni abbiamo avutodiverse borsiste che sono venute dall’Ita-lia, ma anche da altri paesi, come il Mes-sico. Persone che hanno conosciuto il no-stro gruppo e hanno voluto venire a Sivi-glia a incontrarci. Questa è una grande sod-disfazione. Poi abbiamo un certo numerodi donne (ma anche uomini) in forma-zione, che fanno il dottorato nella nostralinea di ricerca: “donne, scrittura e comu-nicazione”, che adesso fa parte di un dot-torato più ampio in studi filologici della Fa-coltà di filologia dell’università di Siviglia.Per me far scuola è fondamentale, e per

fare scuola c’è bisogno di qualcosa di piùche condividere la stessa linea di ricercaaccademica, come avere una visione fem-minista del mondo, che non è altro checredere nella parità, nell´interculturalità,nella necessità della pace, della non vio-lenza, nell’accoglienza e nella solidarietà,

nel rispetto fra gli esseri umani. Perché unavisione femminista del mondo significa, infondo, la volontà di volerlo cambiare. Cer-to non facciamo grandi cose, ma nel no-stro piccolo qualcosa abbiamo seminato:molte delle persone che si sono formatenel nostro gruppo, adesso insegnano inmolte università del mondo (Cile, Messi-co, Francia, Italia, Grecia), tutte si occu-pano di studi di genere, molte hanno de-gli incarichi in posti dove si contrasta laviolenza contro le donne o creano mate-riali didattici per la parità. Anche questa èuna soddisfazione.La scuola si fa mettendo assieme di-

verse persone in diversi stadi di forma-zione: ordinarie, professoresse associate,ricercatrici, dottori di ricerca, dottorandee anche laureate, così l’esperienza diven-ta una grande risorsa e la solidarietà e ilmettersi al posto dell’altra una prassi.Così, nel nostro gruppo, chi ha una posi-zione migliore e maggiori risorse, condi-vide con chi sta all’inizio. Noi gestiamo ifondi che abbiamo in maniera “comuni-taria”, facendo quella che io chiamo “in-gegneria economica”, tentando di coprirele spese che comporta la ricerca e chie-dendo fondi a destra e a manca per fi-nanziare i nostri progetti.Un punto importante per noi è anche

diffondere i nostri studi, tradurre le nostrericerche scientifiche in un linguaggio di-vulgativo che le persone possano capire.Così il nostro gruppo cerca relazioni conassociazioni di donne e associazioni cul-turali, oltre a quelle che stabiliamo con al-tre università, facendo molti corsi divul-gativi, corsi estivi, conferenze. L’annoscorso abbiamo preparato un seminariosulle politiche europee in materia di genereper i futuri maestri e le future maestre del-la facoltà di Scienze dell’educazione. Ab-biamo appena vinto un Erasmus+ da at-tuare con giovani donne di associazioni diLibano, Egitto, Marocco, Ungheria e Italia,naturalmente (per noi l’Italia è sempre pre-sente in qualsiasi progetto facciamo). Unprogetto che si chiama Be Brave. Empoweryourself. Lo stiamo organizzando per mag-gio 2016, a Siviglia. A settembre ormai datre anni teniamo un altro seminario dal ti-tolo Le altre. Esperienze di donne in unmondo interconnesso, con scambi di espe-rienze fra le donne dell’università e ledonne di associazioni e ONG.Il nostro gruppo non si occupa dunque

soltanto di letteratura o di testi (tantoimportanti, perché ci “formano” e ci “con-

formano”), ma anche di donne reali, diesperienze e politiche femminili. Siamo ungruppo di ricerca “attivista”, che tenta di te-nere assieme e ben presenti la teoria e laprassi, come ci insegnano le nostre filosofefemministe.

Come si stanno evolvendo in Spagnagli studi delle donne? Ci sono moltigruppi di studio all’interno delleUniversità? C’è una collaborazionecon le associazioni di donne delle va-rie città?

«Gli studi di genere in Spagna si stavanosviluppando molto bene nelle università,grazie alle leggi sulla parità che abbiamo.Ma adesso questa spinta si è fermata,quindi gli studi sulle donne si continuanoa fare dove le accademiche femministehanno potuto lavorare meglio aggirandoil sistema: nei master e nei dottorati. Co-munque molte università contano sugruppi femministi che si sono organizza-ti in associazioni universitarie, in seminaripermanenti, in centri e gruppi di ricerca,in cattedre. In questo senso la nostra si-tuazione è molto migliore di quella che c’èin Italia, dove gli studi di genere sono cir-coscritti a pochi gruppi e poche universi-tà. In Spagna tutte le università possonocontare su una “Unità per la parità”, qua-si un vicerettorato che si incarica di vegliareper la parità, ma anche di promuovere glistudi di genere.

Esistono in Spagna molte Libreriedelle donne e Biblioteche nazionalidelle donne, come ad esempio ab-biamo a Bologna?

« Ci sono delle librerie di donne, ma nonci sono biblioteche dedicate solo alle don-ne, e i Centri di documentazione sulle don-ne non sono tanti. “L’Istituto della donna”,che esiste in tutte le regioni spagnole, di so-lito conta con un Centro di documenta-zione, ma ovviamente i fondi non sono an-tichi, anche se contengono molti materialie studi. n

*Mercedes Arriaga Flórez, laureata in Filo-logia presso l’Università di Salamanca e in Let-tere presso l’Università degli Studi di Bari, èricercatrice presso l’Università di Siviglia.Vicepresidente della Società degli Italianistispagnoli, coordina il Grupo de investigationEscritoras y Escrituras presso l’Università diSiviglia. Si occupa di letteratura scritta da don-ne e teoria letteraria

WOMEN’S STUDIES a margine:a margine

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una fiction che esiste dal 2005; e nellaquale Derek e Meredith hanno vissutotutto quello che potevano vivere. Quan-do finalmente lei si era arresa a lui, e alsuo amore. Quando la loro vita era per-fetta.È la dura legge della fiction, ragazze,

fatevene una ragione. Ma, a volte, la fic-tion non è così distante dalla realtà, co-me ci vogliono far credere i denigratoridel genere. Perché potesse morire proprio lui;

perché lui e non Meredith, all’apice dellaloro felicità, dopo dieci anni di passioni econflitti, dure separazioni e difficili ri-congiungimenti, ce lo ha anticipato De-rek stesso, nel momento in cui la storiad’amore prende decisamente la stradadel progetto di vita. Durante il miticoepisodio “Lettere in ascensore”, quandole fa la sua dichiarazione con le paretitappezzate dalle Tac degli interventi fattiinsieme. «Ho capito di aver bisogno dite… Perché se c’è una crisi tu non ti bloc-chi, tu vai avanti e fai andare avanti an-che tutti noi, perché hai visto il peggio, alpeggio sei sopravvissuta e sai che anchenoi sopravvivremo. Dici di essere cupa etorbida ma non è un difetto, è una forza,una forza che fa di te quello che sei». Meredith sopravvivrà all’amore della

sua vita perché è già sopravvissuta. Altentato suicidio della madre, quando

bambina ha visto colare a terra il sanguedai suoi polsi. Perché ha capito in terapiache la madre – grande chirurga – sapevache non sarebbe morta, dunque non vo-leva uccidersi, ma solo richiamare a sél’uomo che l’aveva abbandonata. Perchéogni volta che Derek ha tradito le sueaspettative, l’ha abbandonata, ha mo-strato inadeguatezza e fragilità, lei è rie-mersa dal pozzo trovando dentro di sé esolo dentro di sé le risorse per reagire. Nella fiction sopravvive chi va avanti,

chi non si blocca – perché così portaavanti la storia, la dinamizza. L’apre anuovi sviluppi. Chi non ripete ogni voltala stessa dinamica, chi si evolve. E so-pravvive chi desidera e vuole un’altrapersona, ma non ne ha un bisogno asso-luto, non dipende totalmente da lui/lei.È ancora in un dialogo fra Derek e Mere-dith, che possiamo trovare l’indizio. Do-po l’ultima crisi, nell’ultimo ritorno in-sieme, quando tutto pare essersi pacifi-cato per sempre. «Ho bisogno di te, ti vo-glio perché ho bisogno di te», le dice lui.«Non ho bisogno di te, ma ti voglio», ri-sponde Meredith. Lei può finalmente ar-rendersi al suo amore perché nell’ultimatravagliata separazione ha scoperto dipoter bastare a se stessa; di riuscire a la-vorare e avere il massimo successo nel la-voro; di stare bene con i suoi figli e nellaloro casa, anche da sola. n

: TVa margine

È la dura leggedella fiction,bellezze!

Il bel Derek dallo sguardo languidoè morto. Grey’s anatomy ha persola coppia attorno alla quale ruota-vano tutte le sue storie. Il neuro-chirurgo dalle pupille blu, liquide

di desiderio e di amore per la sua Mere-dith, dove passavano sentimenti forti econflitti ambivalenti, è stato ucciso dallasua creatrice (e produttrice della serie, lapadrona a dir poco). Una morte annun-ciata da tempo, avvenuta negli Usa mol-to prima che da noi – quindi già consu-mata sui social network e superata dalladodicesima serie in onda in questa sta-gione su Sky. Noi comuni mortali abbia-mo visto soltanto l’undicesima (su La7),e piangiamo tutte le nostre lacrime. Pri-ma che scoccasse l’ultimo giorno del2015, abbiamo celebrato in Derek’s me-mories i momenti salienti di una dellepiù riuscite storie d’amore della fictiontelevisiva, interrogandoci sui motivi diuna tale crudeltà. Shonda Rhymes, sceneggiatrice unica

oltre che creatrice/produttrice del medi-cal drama, gli ha dato una morte glorio-sa. Derek ha perso la vita in un banalissi-mo incidente, per distrazione, sfinitodall’aver salvato quattro vite in un terri-bile scontro stradale cui aveva assistitoandando all’aeroporto. Ed è morto in unospedale di provincia, dove non hannocapito quale fosse il suo problema prin-cipale. Le sue ultime ore le ha passate asuggerire diagnosi e interventi ai mediciche lo avevano preso in cura. Ma senzapoter parlare – soltanto noi lo abbiamosentito. L’emorragia cerebrale, una comele tante che aveva diagnosticato e opera-to, se l’è portato via.Il gossip planetario ha voluto che

Shonda lo avesse in antipatia da moltotempo, e che aspettasse solo l’occasionegiusta per farlo fuori. Lei ha dichiarato:«L’unico modo per far rimanere onesta lastoria d’amore con Meredith era far mo-rire Derek. Se lui l’avesse lasciata sarebbestato come dire che il loro non era veroamore e che tutto quello che abbiamoraccontato per undici stagioni era falso».E ha scelto il momento in cui la relazionefra Meredith e Derek, e le loro storie pro-fessionali e personali, avessero esauritotutte le loro potenzialità, quando tantaaudacia potesse giustificarsi in un nuovo,più articolato movimento dei personaggie dello sviluppo della trama. Nel mo-mento in cui la morte di Derek fosse ingrado di scuotere le acque stagnanti di

Il bel Derek ucciso dalla sua

creatrice: drammatica svolta

a Grey’s Anatomy, il serial

ambientato in un ospedale

di Seattle DI NADIA TARANTINI

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Henri de Toulouse-Lautrec,conte e illustre pittore bo-hémiendella Parigi di fineOttocento, è presente aRoma al Museo dell’Ara

Pacis (fino all’8 maggio 2016) con 170opere provenienti dalla collezione delMuseo di Belle Arti di Budapest. La mo-stra offre una visione completa dell’operagrafica di Toulouse-Lautrec tra manifesti,illustrazioni, copertine di spartiti e lo-candine, alcune delle quali vere e proprierarità perché stampate in tirature limitate,firmate, numerate con dedica autografatadell’artista.Nonostante la breve vita (morì a soli 36

anni) e la tormentata esistenza – soffrivadi una malattia genetica delle ossa che locondizionò pesantemente – l’artista riu-scì a superare i suoi handicap esprimen-dosi nelle sue creazioni pittoriche inmodo del tutto innovativo ed originale,esplorando nuove correnti nelle arti fi-gurative. Maestro famoso di manifesti estampe, è considerato il precursore delcartellone pubblicitario.Nel 1881, da Albi si trasferisce con la

madre a Parigi per approfondire gli studiartistici, poi va a vivere a Montmartre. Quifrequenta i locali del quartiere che tantaparte avranno nelle sue opere ed incon-tra i personaggi che diventeranno i pro-tagonisti assoluti dei suoi lavori. In que-sto ambiente non convenzionale ma ric-co di stimoli umani e intellettuali trovaispirazione per la sua arte illustrando lapiù disparata umanità, ritraendola nellavita quotidiana e nei momenti di svago edi divertimento.Il successo arriva nel 1891 quando, su

commissione, disegna il manifesto per

pubblicizzare il Moulin Rouge, il locale delceleberrimo can-can, inaugurato solodue anni prima, e del quale divenne un as-siduo frequentatore. Il manifestoAl Mou-lin Rouge. LaGoulue e sua sorella ritrae LaGoulue (Louise Weber), una ballerina al-l’epoca molto popolare. Seguono altrecommesse tra cui: i manifesti di AristideBruant, il cantante e compositore dal-l’ingombrante mantello blu, il cappellonero a falde larghe e l’inconfondibilesciarpa rossa intorno al collo, il Divan Ja-ponais in cui ritrae la ballerina e amicaJane Avril durante un’esibizione in uncaffè concerto. La borghesia francese ri-mane affascinata da questi temi e daisuoi lavori consacrandolo come uno de-gli illustratori e disegnatori più famosi erichiesti del tempo.La mostra, curata da Zsuzsa Gonda e Kata

Bodor, è strutturata in cinque sezioni temati-che per scandire le esperienze formative, ar-tistiche e intellettuali dell’artista: la vita not-turna di Parigi con le case chiuse e i teatri diMontmartre; le donne, soggetto preferito dal-l’artista, attrici, dive, prostitute, modiste oppuredonne borghesi o incontrate per caso comel’enigmatica La passeggera della 54.Una sezione della mostra è dedicata

alle signore della notte, le prostitute. Trail 1892 ed il 1895 Lautrec si trasferì per lun-ghi periodi nei bordelli nei pressi del-l’Opera e della Borsa, condividendo conle ragazze e i clienti la quotidianità, ritra-endo con grande naturalezza i loro at-teggiamenti sessuali, talvolta ambigui.L’artista le osservava a lungo nella loro in-timità, ascoltava le loro storie traendo ispi-razione per le sue opere. Frutto di questa

esperienza è Elles l’album di litografie de-dicato dall’autore alle prostitute.Nella parte dedicata al teatro si entra

nella vita dello spettacolo. Dal 1893 al 1896Lautrec partecipa attivamente al mondodel dramma, della commedia, osservacon attenzione gli attori catturandone lagestualità esasperata, la mimica, le espres-sioni, disegnando programmi di sala e raf-figurando scene teatrali. La sua fonte diispirazione principale erano le xilografiegiapponesi da cui apprese l’arte di “con-gelare” gesti e movimenti trasferendoli sucarta.La mostra si conclude con documen-

ti legati ad altre attività di illustratore, allavita privata ed agli affetti. In questa sezionecompaiono anche i disegni per la La Re-vue Blanche, bozzetti per copertine di li-bri e opere che attestano la passione perle corse dei cavalli a Longchamp (Il fan-tino 1899), le gite quotidiane al Bois deBoulogne (Gita in campagna, 1897).In una Parigi in cui l’impressionismo

muoveva i primi passi e gli artisti si ritro-vavano sulle rive della Senna per dipingereen plein air, Lautrec prediligeva gli am-bienti chiusi come i bordelli e ritraeva per-sone diseredate e disprezzate come leprostitute. Egli andava cercando qualco-sa al di là, esplorando i luoghi più recon-diti e tetri perché, diceva, «Sempre e do-vunque anche il brutto ha i suoi aspetti af-fascinanti; è eccitante scoprirli là dove nes-suno prima li ha notati». n

MOSTRE a margine:a margine

Il fascino dellavita di notte

Palco con la maschera dorata -Locandina per il “Théâtre Libre”

In mostra a Roma fino all’8 maggio

le opere di Henri de Toulouse-Lautrec

DI PATRIZIA LARESE

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S’intitola “Anche la cancel-lazione è violenza” la bellamostra organizzata da LeVoltaPagina, gruppo cata-nese “eterogeneo” na to

dall’incontro di tre generazioni di donnefemministe. Nel loro manifesto (reperi-bile su www.levoltapagina.it) si defini-scono «Un gruppo di donne con età edesperienze diverse che si confrontanoanimate dal medesimo desiderio di direbasta a questa interminabile deriva eticae culturale, a questo imbarbarimentoinarrestabile del nostro paese. Un gruppoche dice basta alla passività di osserva-trici lucide ed impotenti di fronte all’ar-retramento della condizione delle donnein tutti i campi. Una condizione per cuiin passato il Movimento aveva appassio-natamente lottato e vinto».Di qui, la volontà di riprendere la

pratica del “partire da sé”, di esercitareuno sguardo sul mondo a partire dalladifferenza di genere e dalle loro diffe-renze individuali, di fare rete con altri

/ MOSTREpratiche

Olympe de Gouges, scrittrice e femministaautrice della "Dichiarazione dei Diritti della Donna e della Cittadina" (1793)

Riscattatedall’oblio

Lise Meitner (1878 – 1968) è stata una fisica austriaca, diede la spiegazione teorica della prima fissione nucleare

Maria Sibylla Merian, entomologa, naturalista e pittrice(Pesce d’alto mare, granchi e lumache di mare)

Anna Maria van Schurman, poetessa e teologa filosofa, detta “La Minerva olandese” o “La stella di Utrecht”, una delle menti

più brillanti ed eclettiche del Seicento

gruppi. Attivissime sul web, ma anchevisibili nelle piazze, specie sui temi del-la violenza e del femminicidio, lo scorso25 novembre (Giornata internazionalecontro la violenza sulle donne) le Volta-pagine hanno avuto una idea semplicee straordinaria: mostrare una galleria di“donne eccellenti” per denunciare cheanche la loro cancellazione dalla Storia– dai libri di testo, dai media, dalla tra-smissione generazionale, dalla storiadella politica, dell’arte, della letteratura,della scienza – è una violenza. «Consi-deriamo infatti una forma pervasiva diviolenza la cancellazione di tante don-

ne, geniali, curiose, creative e capaci dilasciare un segno di sé nella storia. Tan-te donne che non hanno avuto il rico-noscimento che meritavano né in vitané dopo», scrivono nella presentazionedelle loro istallazioni. Scorrono cosìsotto gli occhi dei/delle visitatrici i voltidi Adrienne Rich e Olympe de Gouges,Anne Marie von Schurman e Lise Meit-ner, e tante altre cui restituire un volto eun posto nella nostra memoria.

S.Be.

La mostra può essere replicata chiedendo imateriali a www.levoltapagina.it/progetti

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La violenza sulle donne ha una lunga Storia

pratiche/praticheSTORIA

genere, si adattino ai mutamenti in attonella società o tendano a permanere. Vor-remmo dunque andare oltre le discussio-ni cronachistiche ed emergenziali, comeha sottolineato la presidente della SIS, Isa-belle Chabot, in apertura di convegno. Per-ché, se è vero che il mondo cambia, ma laviolenza di genere resta, i mutamenti aiquali è soggetto non sono che epifenomenie la violenza di genere resterà finché a mu-tare non saranno le strutture patriarcali. Con questo intento, un gruppo di sto-

riche dell’area romana della SIS (la sotto-scritta, insieme alle promotrici del con-vegno, Simona Feci e Laura Schettini, e conRosanna De Longis, Alessia D’Innocenzo,Federica Di Sarcina, Susanna Mantioni,Chiara Pavone, Beatrice Pisa, Paola Stelli-feri), in occasione della Giornata interna-zionale per l’eliminazione della violenzacontro le donne, ha voluto impostare unapubblica riflessione sulle variazioni e sul-le permanenze della violenza contro ledonne, in un lungo periodo sul quale nonsi è generalmente abituate a ragionare. At-

traverso una richiesta di contributi che hariscosso un notevole successo, e che ha co-stretto a un’accurata selezione, si sono in-tercettati e sollecitati studi che mettono inevidenza non solo le declinazioni storichedella violenza, ma anche un’analisi dei lin-guaggi che le definiscono, dei contestiche le producono e delle risposte politichead esse.I risultati della seconda indagine Mul-

tiscopo Istat, tra altri dati sconfortanti checonfermano il perdurare del fenomeno,segnalano però qualche miglioramentonegli ultimi dieci anni: le violenze fisicheo sessuali sono passate dal 13,3% al -l’11,3%. Se i dati sui quali oggi contiamoci permettono di monitorarne le flut-tuazioni e di indagare quali condizioni ledeterminino, lo stesso non possiamopurtroppo fare per epoche storiche in cuii maltrattamenti inferti alle mogli daiconiugi non venivano ritenuti reati, comeha illustrato Lucia Ferrante nel suo in-tervento su violenza di genere e politicanella Bologna della prima età moderna.

Nel novembre 2015, la Società Italiane delle Storiche ha organizzato

a Roma il convegno La violenza contro le donne in una prospettiva

storica. Linguaggi, contesti, politiche del diritto (secoli XV-XXI).

Ne scrive per noi una delle studiose protagoniste dell’incontro

DI ELISABETTA SERAFINI

Nella piena condivisione del-la prospettiva con cui die-ci anni fa veniva introdot-to dalle curatrici Maria Cla-ra Donato e Lucia Ferrante

il numero di Genesis dedicato alla Violen-za, la Società Italiana delle Storiche ha sen-tito la necessità di tornare a riflettere sultema. Una violenza che deve essere con-testualizzata per essere altrimenti defini-ta, il cui volto muta nel tempo e con essoil suo significante: parlare di violenza“contro le donne”, di “violenza coniugale”o “di genere” non è questione di sola no-menclatura ma «lo stesso susseguirsi dinuove denominazioni del fenomeno di-mostra lo sforzo di concettualizzarlo afronte di una realtà in rapida trasforma-zione»2.A distanza di un decennio, è impre-

scindibile tornare a parlare di violenza con-tro le donne in prospettiva diacronica, ri-flettere insieme su come le forme, le mo-dalità e i contenuti di una violenza che siedifica e alimenta da disuguali rapporti di

[…] la violenza maschile esercitata sulle donne nelle relazioni familiari-affettive. Una violenza che non cono-sce confini geografici, né barriere culturali, e resiste ai cambiamenti, come una specie di virus che si adatta esi trasforma mantenendo immutata la propria pericolosità. Il mondo cambia, ma la violenza di genere resta,cambiando, a sua volta, forme, modalità, contenuti1.

Manifesto del convegno

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Attraverso le relazioni che hanno con-dotto più à rebours, come quella citata diFerrante o quella di Maria Macchi – de-dicata al gratuito patrocinio offerto dal-le confraternite romane di ancien règimealle donne vittime di violenza –, si è po-tuto ricostruire un percorso tutt’altroche lineare verso un miglioramento del-le condizioni di vita femminili, dentrocome fuori le mura domestiche. Indub-biamente la decostruzione di una visio-ne progressiva e progressista della storiaeuropea è un processo di cui siamo stu-diose non solo consapevoli ma protago-niste a tutti gli effetti.

LE RESPONSABILITÀ DEL PENSIERO LIBERALEQuesti interventi hanno confermato comenon sia la cultura religiosa la matrice pri-ma dei rapporti di potere tra i sessi, quan-to piuttosto il pensiero liberale, al quale ifemminismi sono certamente connessi, adaver istituito una distinzione tra pubblicoe privato e tra soggetti fruitori e non di di-ritti. Di certo, pur osservando come la purearticolata politica ecclesiastica abbia ri-conosciuto delle autonomie femminili,siamo chiamate a constatare ancora unavolta come sul corpo delle donne si sianodisputati conflitti politici e scontrate sfe-re di potere. In questa ottica Andrea Bor-gione, illustrando casi di separazioni legalinella Torino del pieno Ottocento, ha mes-so in evidenza come anche in un momentoin cui era alta l’attenzione nei confronti deimaltrattamenti domestici, il discorso ri-maneva venato di accenti paternalistici einquadrato in una cornice patriarcale.Soltanto nel momento in cui le donne han-no rivendicato e ottenuto parola politicae potere decisionale sulle loro vite è av-venuto il primo vero cambiamento, comeha illustrato Beatrice Pisa con il suo focussulla nascita del primo centro anti-violenzain via del Governo Vecchio, a Roma, nel1976.Attraverso quattro panel molto parte-

cipati si è sviscerato, a livello diacronico emultidisciplinare, il tema della violenza

privata, nel pubblico dibattito e nella co-difica in termini di diritti, ma anche in ar-ticolazioni più ampie e certamente rive-latrici della medesima matrice culturale,come quella della violenza agita dalledonne stesse: parlo dei riferimenti puntualialla Roma del XVII secolo proposti da Be-nedetta Borello e Simona Feci e delle fa-miglie inserite in contesti mafiosi, pre-sentate dalla giovane studiosa Chiara Sta-gno. Così come si è ritenuto imprescindi-bile considerare fisionomie più ampie,altre, parimenti insidiose anche se menofacilmente individuabili di violenza (psi-cologica e “limitante”, oltre che fisica e ses-suale,) sulle quali è importante ragionare.L’utilità della riflessione storica per

comprendere il fenomeno e la genesi diforme culturali nuove che ne permettanola progressiva erosione, congiunta alla let-tura della contemporaneità, sono state alcentro di dibattiti in cui hanno parlatodonne di diverse professioni e generazioni.Tra le altre, Antonella Petricone, compo-nente di BeFree, cooperativa sociale con-tro tratta, violenza e discriminazioni (vedip. 38), che ha coordinato il panel dedica-to a “Violenza e famiglia”, ma anche so-ciologhe, come Maria Grazia Rossilli, cheha affrontato il tema delle politiche eu-ropee di contrasto alla violenza di gene-re, e avvocate, come Elena Boiano, attiva,oltre che nella ricerca giuridica, sul cam-po come membro dell’ufficio legale di Dif-ferenza donna. Purtroppo gli uomini an-cora una volta sono stati pressoché as-senti: la violenza continua ad essere per-cepita come “cosa nostra”. Vuoto testi-moniato anche dalla ricerca di CristinaGamberi, esperta di studi di genere, la qua-le ha illustrato come la figura di colui cheagisce la violenza sia completamenteestromessa nel discorso mediatico sulfemminicidio, centrato principalmentesulla retorica della vittima.

L’IMPEGNO DELLA SIS NELLE SCUOLEA fronte dunque degli importanti cam-biamenti degli ultimi decenni, perman-

/ STORIApratiche

1. Genesis, Rivista della Società Italiana delle Storiche, IX/2, 2010, Introduzione di M.C. Donato e L. Ferrante, pp. 7-18: 7 • 2. Ibidem

gono elementi che ci inducono a riflette-re su una mancata presa di coscienza so-ciale della violenza di genere, come fatto-re endemico e non episodico. Per dirla conSusan Brownmiller – il cui pensiero è sta-to illustrato dall’intervento di SusannaMantioni – a distanza di quarant’anni dal-la pubblicazione del suo Against Our Will:Men, Women, and Rape, capita ancora chela nostra cultura si mostri “solidale” colpensiero violento.Ci è parso importante terminare perciò

il convegno con quello che dovrebbe essereil punto di partenza della de-costruzionee della ri-costruzione culturali: la scuola. Ilcensimento da me effettuato, con la col-laborazione di Chiara Pavone (entrambesiamo ricercatrici e insegnanti), sui progetticondotti nelle scuole romane con lo sco-po di promuovere le differenze di genere,ci ha permesso di rilevare quanto sia sta-to fatto, quanto sia ancora da fare e quan-to sia da fare meglio: la promozione di unacultura egualitaria in termini di diritti pas-sa necessariamente per la promozione diinterventi organici (troppo spesso essisono oggi legati a finanziamenti disconti-nui e a sensibilità politiche personali), e peril coinvolgimento di professionalità esper-te. L’obiettivo è quello di formare inse-gnanti che sappiano proporre autonoma-mente, nei relativi settori disciplinari, in-terventi che rendano fattiva «l’educazionealla parità tra i sessi, la prevenzione dellaviolenza di genere» garantita e promossadalla cosiddetta legge sulla Buona scuola,finora rimasta troppo spesso soltanto sul-la carta. Discutere il tema della violenza e pro-

muovere una cultura delle differenze apartire dalla più tenera età, rende forse ac-cettabile pensarlo, come ha chiosato Chia-ra Pavone. Il nostro ruolo di storiche – e lodimostra anche il lavoro di formazionesvolto nelle scuole dal gruppo di studio sul-la Toponomastica femminile – è quello diconsentire una lettura del passato al plu-rale, per potere allo stesso modo concepi-re il presente e il futuro. n

• LA SIS A SCUOLA •La SIS, in collaborazione con la casa editrice Settenove (vedi Leggendaria 114/2015), sta realizzando una nuova collana di albi illu-strati per introdurre la storia delle donne e di genere a scuola. Il progetto è stato presentato al convegno Educare alle differenze orga-nizzato a Roma dall’associazione Scosse nel settembre 2015. Settenove è nata nel 2013 per prevenire la discriminazione e la violen-za di genere attraverso i libri di ogni genere letterario, con particolare attenzione ai libri per ragazzi (info@ settenove.it. Sito, blog ecopertine all’indirizzo: www.settenove.it)

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pratiche/praticheTRATTA

Come affronta BeFree il problemadella tratta di esseri umani?

« La nostra attività si concentra ed ema-na nel luogo stesso in cui molte donne vit-time di tratta vengono trattenute, ovveroil Centro di Identificazione ed Espulsionedi Ponte Galeria (CIE) a Roma. Si tratta diun centro di detenzione amministrativa incui la libertà di movimento è inesistente eil contesto deprimente e traumatizzante.Le persone sono trattenute non perché ab-biano commesso reati ma perché non inregola con la normativa sull’immigrazio-ne. Qui teniamo uno sportello settimana-le nell’ambito dei progetti per l’emersio-ne delle storie di tratta e sfruttamento, ai

sensi dell’art. 13 L. 228/03. Il nostro obiet-tivo è quello di far emergere queste storiee sostenere le donne che vogliono usciredalla condizione di violenza e di sfrutta-mento, attraverso il loro inserimento inprogrammi di protezione sociale. Le assi-stiamo nella richiesta del permesso disoggiorno speciale, a carattere umanitario,ne facilitiamo l’accoglienza in struttureprotette e l’accesso a formazione lingui-stica e lavorativa. In pratica, ci sforziamodi sottrarre queste donne a un destino se-gnato: tornare nel contesto deprivantedal quale vorrebbero fuggire o essere rim-patriate nei Paesi d’origine, nei quali sono

stigmatizzate, giudicate e spesso ri-traffi-cate.

Quale è la vostra metodologia di ap-proccio verso donne che vengono dapaesi diversi, con storie tanto trau-matiche?

« Per nostra esperienza, il recupero del-l’unicità delle storie delle donne vittime ditratta è centrale. Come è cruciale l’affer-mazione dei loro diritti. Questo è possibilesolo attraverso una pratica professionaleche preveda un ascolto partecipato ed em-patico e la creazione di una rete tra più ser-vizi e figure professionali. Ci adoperiamoperché la rete metta al centro la donna, isuoi bisogni e i suoi diritti. Questo ap-proccio è in linea con le strategie inter-nazionalmente riconosciute di contrastoallo sfruttamento della persona, fondatesulla promozione e la tutela dei dirittiumani e sulla collaborazione di tutti isoggetti interessati.

In che modo questa pratica si puòdefinire trasformativa?

« In primo luogo perché è centrata sul-l’empowerment delle donne trafficate concui entriamo in contatto, ovvero la mobi-litazione delle loro risorse individuali pernuovi progetti di vita che mettano al cen-tro la loro dignità, i loro bisogni e i loro in-teressi. In secondo luogo, questo significamettere in discussione noi stesse, il nostroruolo e cogliere la sfida di una nuova de-finizione dell’operatrice antitratta: nonneutra, non tramite per accedere ad unprogetto standard, ma complesso di sto-

Be Free, cooperativa sociale contro tratta,

violenze, discriminazioni nasce nel febbraio 2007

per volontà di un gruppo di operatrici con grande

esperienza nell’accoglienza e nel sostegno

a vittime di soprusi, abusi, maltrattamenti,

traffico di esseri umani maturata presso altre

strutture del privato sociale, in ottica improntata

al genere. Ad oggi gestisce e coordina servizi

antiviolenza e antitratta, progetti nazionali

ed internazionali, formazione professionale,

campagne di sensibilizzazione

INTERVISTA A CURA DI SARA POLLICE

Controla tratta: unabuona pratica

foto da archivio Be Free

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pratiche

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/praticherie, ricordi, aspirazioni e frustrazioni chesi modulano differentemente e spessoinconsapevolmente nell’approccio conle nostre interlocutrici.

In che modo l’aumento dei flussi mi-gratori attraverso il Mediterraneo viha visto coinvolte?

«Nel luglio scorso, 66 donne nigeriane, unnumero senza precedenti, è arrivato al CIEprovenienti dalla Libia. Al loro arrivo in Si-cilia, nessuno le aveva informate del lorodiritto a richiedere protezione interna-zionale, cosa che hanno fatto solo in se-guito. Sono state ascoltate dalla Commis-sione e 45 di loro hanno avuto un prov-vedimento di diniego della protezione. Lapolizia ha organizzato il rimpatrio per 20di loro, senza aspettare le sospensive daparte del tribunale, nel contempo la Com-missione territoriale per il riconoscimen-to della protezione internazionale ha ri-chiesto a BeFree di esaminare la situazio-ne di 16 donne a causa della elevata pro-babilità che si trattasse di persone traffi-cate a scopo di sfruttamento sessuale. Inalcuni casi, abbiamo potuto aiutare levittime a sporgere denuncia. In generale,abbiamo notato che molte di queste don-ne erano giovanissime, scarsamente istrui-te e impaurite per possibili ritorsioni con-tro di loro e le loro famiglie. Abbiamo ac-certato che molte donne avevano subitodiversi tipi di violenza durante il viaggio,compresa la violenza sessuale e la prosti-tuzione forzata, e che le reti di trafficantirestano in agguato in Italia e altrove. Seavessimo avuto più tempo a disposizioneavremmo potuto stabilire un rapporto difiducia che avrebbe permesso a questedonne di parlare più apertamente dellaloro situazione e di fornire descrizionipiù precise del loro calvario. Dieci delledonne intervistate hanno ottenuto la pro-tezione internazionale e sono state tra-sferite in strutture protette. Un altro gran-de gruppo è arrivato a Ponte Galeria nel di-cembre scorso. Questa situazione è desti-nata a ripetersi in una cornice in cuil’identificazione viene fatta all’interno deicosiddetti Hotspot, alla presenza di sole for-ze di polizia e la tempistica per l’accerta-mento delle loro condizioni e situazioni èsempre più proibitiva. Sono questi pro-blemi che BeFree porterà all’attenzionedell’opinione pubblica attraverso un lavorod’informazione e sensibilizzazione siacon le istituzioni, che con i media, che coni nostri interlocutori di rete. n

1-2-3-4 LUGLIOLE DEE DENTRO DI NOI: AFRODITE(La dea alchemica)Per trasformare i disagi in leggerezza, piacere e gratitudinePAOLA LEONARDI con… sorpresa!

Il percorso di formazione ed esperienza utilizzamodalità di parola, attività grafico-pittorica, yoga,danza, scrittura di sé e della propria storia comeauto-cura. Possibilità di aprire altri Centri Autostima. Si può par-tecipare anche solo ad un incontro.La Scuola si basa sull’economia del dono anzichésu quella del profitto.

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ISCRIZIONI ENTRO IL 15 APRILE 2016(inviando curriculum + storia di vita)

SCUOLA BIENNALE DI FORMAZIONE IN

SOCIO-PSICOLOGIA DELLE DONNE

PROGRAMMA 2016

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• PRIMO INCONTRO – Venerdì 29 gennaio 2016 EMANCIPAZIONE E LIBERAZIONEfederica castelli - enrica giannuzzinel primo incontro del seminario si rifletterà insieme sui concetti di “emancipazione”e “liberazione”. da quali contesti, esperienze, situazioni esistenziali nascono le lottedelle donne per la parità dei diritti civili? e che differenza c’è tra questa lotta per i di-ritti civili e la “liberazione”, cioè una trasformazione di sé ma anche dei rapporti di po-tere nella società? a partire da questa coppia di concetti si metteranno a fuoco i varimodi in cui è possibile “diventare soggetti”. si illustreranno alcuni obiettivi politicidell’emancipazione e alcune pratiche di liberazione degli anni settanta come il se-paratismo, il gruppo di autocoscienza e il selfhelp.scopo dell’incontro è illustrare le diverse posizioni, pratiche e obiettivi che caratte-rizzano, spesso in modo conflittuale, il femminismo degli anni settanta.

• SECONDO INCONTRO – Lunedì 8 febbraio 2016UGUAGLIANZA / DIFFERENZAfederica giardini - alessandra chiricosta Questo incontro muove da uno spostamento interessante, da un cambio radicalenel modo di intendere i rapporti tra donne e uomini nella società e le modalità disoggettivazione politica delle donne. Questo spostamento è avvenuto, all’internodel dibattito femminista, tramite un cambio di paradigma, che dall’idea di uguaglianzatra uomini e donne, un’uguaglianza neutralizzante e depotenziante, già costruita sulmaschile, si sposta verso la differenza sessuale. mettere a tema la differenza ses-suale significa innanzi tutto scardinare l’illusione di un neutro e il fallologocentrismosu cui esso si fonda. significa cercare e trovare pratiche e avviare relazioni politichea partire dal proprio posizionamento sessuato e a partire dalla propria esperienza.Questo spostamento segnerà indelebilmente buona parte della riflessione femmini-sta dagli anni ottanta in poi. ma cosa accade nel momento in cui il corpo a partiredal quale la differenza viene pensata, viene definito secondo altre categorie, chefuoriescono dalle dicotomie tradizionali natura/cultura, mente/corpo? come pensarele differenze al di fuori delle opposizioni, cogliendole invece nella loro relazione, nel-l’incontro, senza ricadere nel sistema dicotomico su cui giace il paradigma del-l’uguaglianza e dell’emancipazione?

• TERZO INCONTRO – Lunedì 22 febbraio 2016 IDENTITÀ/ REDISTRIBUZIONEfederica giardini - gea piccardinegli anni novanta, l’impresa femminista del “diventare soggetti”, raccolta anche da

altri gruppi – dalle minoranze culturali ed etniche agli orientamenti non eteroses-suali – conosce negli stati uniti la nuova definizione di “politiche dell’identità” o “po-litiche del riconoscimento”. di recente, anche a causa delle mutate condizioni di vitanel nord del mondo, si auspica un abbandono della prospettiva che si concentra suldominio e sulle disuguaglianze di potere a favore di una riapertura delle lotte controlo sfruttamento e per la giustizia sociale. già negli anni settanta, tra francia e ita-lia, si era data una contrapposizione tra un femminismo materialista e un femmini-smo del simbolico.l’incontro sarà dedicato a un’analisi degli elementi dei dibattiti diallora e di oggi e si concluderà con una riflessione sul tema di un’economia politicafemminista.

• QUARTO INCONTRO – Venerdì 4 marzo 2016 LINGUAGGIO E POLITICAchiara zamboni – federica giardinimolte partecipanti al femminismo degli ultimi decenni hanno attribuito una funzionedecisiva al rapporto tra diventare soggetti e linguaggio: la gabbia delle definizioni, deipregiudizi, degli stereotipi, della coerenza scientifica sono stati ostacoli di prim’ordineper l’accesso delle donne alla piena partecipazione alla vita comune. una questioneoramai conclusa? niente affatto, saper parlare, prendere parola, sono compiti ancoratutti da realizzare. tra menzogna, opinione e retoriche, il mancato accesso o eser-cizio di una parola piena continua e torna a essere una sfida in vista di un ordine po-litico giusto.

• QUINTO INCONTRO – Lunedì 14 marzo 2016 CONFLITTO E RESISTENZEfederica castelli - alessandra chiricostaprendendo una decisa distanza dallo stereotipo che vuole la donna debole o vit-tima, il seminario esamina due esperienze fondamentali: la violenza e il conflitto. daun lato, analizza le narrazioni prodotte sulle donne e sulla loro violenza, tra depoli-ticizzazione, oblio, mostruosità. si rileggeranno sia figure del mito sia momenti dellastoria, in cui le figure ed esperienze si sono manifestate, sono state soffocate o ri-plasmate nell’immaginario. si analizzerà anche il discorso mitico, ma anche quelloscientifico, civilizzatore e normalizzante, che cattura le donne tra un’innata irrazio-nalità furente, che le rende pericolose e violente, e una “naturale passività” e debo-lezza. infine si prenderà in considerazione ciò che le donne hanno agito e pensatoautonomamente sulla violenza e il conflitto in politica. si apriranno nuove visioni ge-nerative e non distruttive, fuori dai dualismi uno contro uno, mors tua vita mea, vio-lenza versus ragione.

I mutamenti sociali e culturali dell’ultimo trentennio del XX secolo hanno registrato la forza della presenza delle donne nella sfera pubblicae della Storia. Se questi mutamenti, non sono presi in carico – in termini di visione, sguardo, epistemologia – come pensiero, linguaggio, praticadi relazione, si impoverisce la portata del cambiamento stesso: donne e uomini rischiano di perdere il guadagno simbolico più significativo,di questa duplicazione dello sguardo e dell’esperienza, di questa apertura della conoscenza. Ecco dunque un seminario dedicato alle parole

chiave del femminismo dagli anni Settanta a oggi. Il Seminario propone di offrire degli strumenti elementari e fondamentali per affrontare sia leretoriche sia le analisi più avanzate del contemporaneo, intervenendo su una lacuna della formazione accademica, ma anche sulla discontinuità

nella memoria delle lotte e dei saperi prodotti dalle donne. L’iniziativa si rivolge a chi desidera apprendere, aggiornarsi, discutere, disporredi strumenti per l’azione, con particolare riguardo a coloro che insegnano o si preparano ad insegnare, cui verrà rilasciato attestato

di partecipazione (Iaph, Università Roma3)

Orario: 15,30 – 18,30 • Sede: Biblioteca Consorziale, viale Trento 18/E Viterboindicazioni per una documentazione generale, e per le bibliografie di riferimento specifiche e di approfondimento su “materiali di lavoro” http://www.iaphitalia.org/lineamenti/

INFO E ISCRIZIONI: cell. 328-6646088 – MAIL TO: [email protected] • IL MODULO FA PARTE DEL MASTER PARI OPPORTUNITÀ DI ROMA3, che rilasciaattestato di partecipazione, valido ai fini dell’aggiornamento e della formazione in servizio dei docenti e spendibile come credito formativoper i corsisti di TFA • i docenti che intendono ricevere l’attestato, utilizzando il bonus previsto dalla l.107/2015 debbono effettuare un bonificodi € 50,00 intestato a: IAPH ITALIA iban: it23e0200805180000101685620 con la causale: modulo formativo lineamenti teorico-politici di femminismi,genere, differenza - del master pari opportunità, università roma3- iaph. LA RICEVUTA DEL BONIFICO E L’ATTESTATO, CHE VERRÀ RILASCIATO CONL’INDICAZIONE DEL NUMERO DELLE ORE EFFETTUATE, SONO VALIDI AI FINI DELLA DOCUMENTAZIONE DELLE SPESE FORMATIVE EFFETTUATE CON IL BONUS.

LINEAMENTI TEORICO-POLITICI DI FEMMINISMI, GENERE, DIFFERENZA.

VITERBO 29 GENNAIO - 8 FEBBRAIO - 22 FEBBRAIO - 4 MARZO - 14 MARZO 2016

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Dopo Colonia, mentre le unioni civili sono sotto attacco, quando ogni

giorno si registrano violenze contro le donne se non femminicidi,

occorre continuare il dialogo tra femminismi e uomini consapevoli

avviato con il nostro numero “Ciao, maschi”

A CURA DI BARBARA BONOMI ROMAGNOLI

Mettersi in discussione costa fatica, pub-blicamente ancora di più, ma farlo in-sieme ad altri restituisce il senso diquello che siamo e vorremmo essere. Èforse per questo che il numero di Leg-

gendaria dedicato ad indagare la cosiddetta “questionemaschile” – Ciao, Maschi n. 113/2015 – ha suscitato vi-vaci dibattiti, commenti e critiche, riflessioni e spuntiper non chiuderla lì, la discussione, perché non fosseuna semplice parentesi, uno squarcio veloce fra lettera-ture e femminismi. Da qui questo nuovo focus, con altriinterventi, molto differenti fra loro eppure con un filo

comune che, mi pare, balza subito agli occhi: per prose-guire a ragionare di “uomini nuovi” è necessario uncambiamento radicale, uno smarcamento totale dai di-spositivi eterodiretti nei quali nasciamo tutte e tutti, undesiderio rivoluzionario capace di ri-generarci ancheoltre i generi. Significa, per dirla con le parole di Tommaso Giartosio,

sfidare frontalmente il patriarcato che, contrariamentea quanto è stato detto anche in riferimento ai recentifatti di Colonia, a me non sembra per niente morto oscricchiolante. Né tantomeno in crisi, come sottolineaLorenzo Gasparrini. In molte riteniamo che abbia

t

Sui maschi, ancora

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1. MASCHILITÀ E PATRIARCATOSecondo l’apologo filosofico della “navedi Teseo” – narrato da Plutarco e altri au-tori classici – la nave su cui aveva naviga-to il mitico eroe greco venne conservataper secoli, sostituendo via via i pezzidanneggiati con delle copie, finché nonrimase nessun pezzo originale. A quelpunto, si trattava ancora della nave diTeseo? E se non lo era, quando aveva ces-sato di esserlo? Questo racconto è l’ela-borazione più fortunata del problemadell’identità: è stato ripreso da pensatoricome Hobbes, Locke, Leibniz, Hume, fi-no a Blumenberg e Quine. In realtà neesistono innumerevoli varianti popolari.Alla nave del conquistatore dell’Attica siaffiancano nel corso dei secoli, in aned-doti o Witz perfettamente analoghi (incui la perdita dei pezzi si pone semprecome potenziale perdita di identità), al-tre metafore: per esempio l’ascia di Wa-shington o di Lincoln, che ha perso pri-ma la lama e poi il manico (tradizioneorale USA); oppure, con caratteristicheanaloghe, il coltello del santo cacciatoreSant’Uberto (Francia) o del patriota un-gherese Lajos Kossuth (Ungheria), l’asciadel nonno (ancora gli USA), il temperinodi famiglia (i paesi ispanici), e così via. Non so se sia mai stato osservato che

queste narrazioni – a partire da quella ar-chetipica – mettono ostinatamente incampo un immaginario fallico, familistae patriarcale. La carena, la lama, l’eroe, ilcapostipite. È come se una circolazionedi pensiero che problematizza la com-pattezza identitaria non potesse fare ameno di mettersi alla prova – non senzaironia e angoscia – sul soggetto teorica-mente più compatto che l’ideologia of-fra: il maschio patriarcale, il fallo1. Interrogarsi sull’identità maschile

non è dunque analogo a interrogarsi sul-la consistenza identitaria di qualsiasi al-tro ente o concetto, giacché l’idea stessadi identità unitaria sembra essersi con-solidata attorno all’idea di maschilità,come una corazza protettiva. L’identitàcoesa sarebbe quindi un dispositivo delpatriarcato (una forma di logocentri-smo). La ricerca di un terreno comunetra uomini etero e uomini gay, cioè diuna definizione condivisa della “maschi-lità”, rischierebbe di portare dritto drittoalla ricostruzione del patriarcato etero-sessista.Questo è particolarmente evidente,

mi sembra, quando il progetto di ridefi-nire una maschilità omogenea tenta diancorarsi al corpo, come se la potenteoggettività del dato corporeo fosse im-mediatamente spendibile sul piano dellariflessione teorica. C’è il pericolo che giànel descrivere una condizione biologicale si attribuisca significati orientati. Un

mutato volti e modalità, probabilmenteanche gli strumenti del suo potere, e nonha certo ridotto aggressività e violenza,travolgendo non solo i corpi delle donne. Proprio per questo, come sostengono

le donne di Lucha y Siesta, è nell’intrec-cio di classe e genere che alla questionefemminile si annoda quella maschile. Diun maschile che certamente non brillaper forte e originale reazione nei mo-menti in cui, da Colonia alla polemicasulla “gestazione per altre/i”, avremmobisogno di molte più voci maschili, auto-revoli e autodeterminate, capaci di fer-mare i discorsi da bar, di capovolgerli esovvertirli, di indicare vie per alleanzefertili fra movimenti femministi e uomi-ni consapevoli. Oltre alle scontate proteste femministe,

avrei voluto vedere scendere in piazzamigliaia e migliaia di uomini a smentirela pretesa dei maschi occidentali (cristianie musulmani) di tutelarci dallo straniero;a raccontare le loro storie come padri,etero o gay, che scelgono una genitorialitàallargata, perché anche di questo si do-vrebbe parlare quando invece si etichettatutto come “utero in affitto”, quasi chepoi quella bimba o quel bimbo divenisserosubito adulti; a provare a nominare leloro emozioni dinanzi all’ennesimo fem-minicidio; a gridare forte insieme a noifemministe che l’ingerenza del Vaticanonella politica del nostro Paese è inaccet-tabile e che alla obiezione di coscienzasi dovrebbe rispondere con una disob-bedienza civile di massa. Questo silenzio assordante degli uo-

mini lo ha ben descritto Davide Rostan,pastore valdese a Susa, che in un com-mento su Colonia (16 gennaio 2016,riforma.it), scrive: «Forse come suggeri-sce Musa Okwonga, giornalista afro-te-desco, sul Guardian, potremmo prenderequesto ennesimo atto di violenza controle donne, perché noi uomini, senza guar-dare al nostro background etnico, reli-gioso o culturale, aprissimo una rifles-sione sul nostro rapporto con il corpo econ la violenza senza accontentarci di

chiamarci fuori dicendo che non ab-biamo mai compiuto azioni di violenza(e ci mancherebbe) e senza delegare labattaglia per cambiare questa cultura del“prendere” alle nostre amiche, compa-gne, madri e sorelle».Poche le voci limpide come questa,

per il resto si registra ancora una forte ti-midezza, o forse è tentennamento, con-fusione, incertezza e paura, ma l’oriz-zonte è ricco di esperienze costruttive, dirivoluzioni possibili su cui rilanciare,senza nasconderci le difficoltà e contrad-dizioni. Giartosio parla di complicità, di

«sguardo patriarcale e misogino che ca-ratterizza ancora non pochi omosessua-li» eppure intravede lì «una promessa,una possibilità di dialogo con i maschieterosessuali (e ovviamente non solo conloro)»; Gasparrini indica «il paradosso dilottare contro il patriarcato da dentro ilpatriarcato» perché «opporsi al patriar-cato, al sessismo, alla violenza non lo sifa "per le donne" – come continua a direuna ipocrita versione di politcal correct-ness tipica della sinistra al potere: lo si faper noi, per avere la libertà che il patriar-cato ci toglie ripagandoci con i vantaggidella sua distorta idea di potere maschi-le»; le amiche di Lucha Y Siesta ritengonoche «il patriarcato abbia semplicementeassunto sembianze paternalistiche, con-tribuendo così a un velocissimo regressosociale e culturale e a un immobilismo incui si innestano le varie forme di violen-za», motivo per cui è ancora più urgentelavorare tutti assieme per «riconoscerenei nostri spazi e nelle nostre pratichepolitiche il terreno fertile per il manteni-mento del patriarcato» e nominano l’e-sperienza – non solo romana – di assem-blee pubbliche sulla violenza maschilenei luoghi misti di sinistra e antagonisti,in quelli che vorremmo che fossero i no-stri luoghi. E perché lo siano in tempi brevissimi,

continuiamo a dialogare, a leggere espe-rienze di altre e altri che come noi cam-minano dubitando. n

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esempio: il corpo maschile oggi è narratoda una vasta pubblicistica “per uomini”(penso a riviste come Men’s Health) chequanto più si limita a fornire informazio-ni scientifiche d’ambito fisiologico, bio-chimico, neurobiologico, tanto più rein-scrive (in modo piuttosto palese e osses-sivo) come specifico maschile la dimen-sione della performance – sportiva, lavo-rativa, sessuale. È l’ennesimo uso politi-co dell’idea di natura2. Resta l’altra strada: cercare la specifi-

cità del maschile sul piano dei discorsi: ildiscorso dello status quo e quelli che glisi possono opporre. Se il patriarcato è undispositivo ideologico che alloca varia-mente a tutti i soggetti identità, risorse,obblighi, sanzioni, essere maschi signifi-cherebbe fare i conti con esso dalla posi-zione di chi ne trae i principali vantaggi,quindi avere un certo tipo di rapportocon il potere – interno, non-triangolato,o triangolato solo su un soggetto femmi-nile ritenuto subalterno. E a partire daquesto dato, si possono elaborare alter-native.Ma proprio sul piano discorsivo si

pone la questione della collocazioneambigua del gay, che occupa insieme laposizione del padrone e del servo. Cer-to, il maschio omosessuale (soprattuttose dichiarato, cioè appunto spendibilesul piano del discorso) viene fermamen-te collocato dalla dòxa in una posizionedi inferiorità analoga a quella femmini-

le, ma più abietta: la “falsa donna”, il“traditore del suo sesso”. Tuttavia que-sto dato di fatto ha oscurato spesso que-gli aspetti della condizione gay, magariminoritari ma indiscutibilmente pre-senti, in cui invece si mantiene il privile-gio maschile: per esempio lo sguardopatriarcale e misogino che caratterizzaancora non pochi omosessuali (così co-me non poche donne). Anche l’alleanzapercepita (e a volte effettiva) tra gay euniverso femminile è segnata da moltiequivoci, come il ricorso a stereotipifemminili positivi ma non per questomeno costrittivi. Eppure il gay rischia disentire che il patriarcato semplicemen-te non lo riguarda, se non come parte le-sa, e che la sua identità sessuale è suffi-ciente a garantirgli una tessera di impe-gno antipatriarcale. David Halperin hascritto: «A volte penso che l’omosessua-lità sia sprecata sui gay».Questa aporia3 non andrebbe persa

di vista. Pur non avendo una conoscen-za approfondita dei Men’s Studies, hol’impressione che in quest’ambito siamancata spesso la capacità di includerel’omosessualità nella riflessione sul ma-schile. Essere maschi di Stefano Cicconeè un felicissimo esempio in controten-denza (le storie di uomini omosessuali edi transessuali mtf, scrive Ciccone, «miaiutano a leggere la non univocità dellamia esperienza»), ma al tempo stessoregistra un’impasse: «Nel nostro percor-

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so il punto di riferimento è stata la nor-ma eterosessuale. Non credo che que-sto possa essere considerato esclusiva-mente un limite: ci ha infatti costretti amisurarci dal di dentro con le normedominanti e ci ha impedito di pensareuna nostra facile estraneità alle rappre-sentazioni che sottoponevamo a criti-ca»4. Il ritenere che gli uomini gay si col-lochino fuori dalla norma dominante (enon, per così dire, a cavallo di essa, sen-za nulla togliere alla loro condizione disoggetti violentemente discriminati), eche la loro estraneità alle rappresenta-zioni patriarcali sia qualcosa di ovvio, èuna traccia di complicità con quella mi-tologia del “gay naturaliter antipatriar-cale” di cui noi gay siamo corresponsa-bili. In altri termini: la riflessione sullaShoah ha da tempo affrontato, conHannah Arendt e Primo Levi, il nodo delcollaborazionismo ebraico. La riflessio-ne sul patriarcato ha fatto qualcosa disimile?Ma paradossalmente il fatto che gli

omosessuali siano in parte collusi colpatriarcato è anche una promessa, unapossibilità di dialogo con i maschi ete-rosessuali (e ovviamente non solo conloro). Il rapporto tra uomini etero e uo-mini gay sarà produttivo se la presenzadi questi ultimi scompiglia le carte, leaffiliazioni, le identificazioni; se contri-buisce a una lettura più complessa deldispositivo patriarcale, e più in generale

Una rivoluzioneinsufficiente La ricerca di un terreno comune tra uomini etero

e uomini gay, cioè di una definizione condivisa

della “maschilità”, rischia di ricondurre alla prospettiva

patriarcale. Come evitarlo? Affrontando il cuore

del patriarcato: la paternità

DI TOMMASO GIARTOSIO

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contrasta una lettura della realtà che es-senzializza la differenza di genere. Lavoragine tra le maschilità non è quellatra etero e gay, ma tra essenzialisti-dif-ferenzialisti e costruzionisti-queer. Puravendo appena postulato una differen-za essenziale, io sto con i secondi.

2. MASCHI E PADRIChe ruolo può svolgere la genitorialitàgay in questo dialogo, troppo spesso solopotenziale? L’esperienza dei padri gay fa corpo con

quel tentativo di ripensare il paterno cheè ormai in corso da tempo, anche se faticaad affermarsi. A parlare di padri gay si ri-schia di mettere in un unico fascio espe-rienze molto diverse: padri single o incoppia, a tempo pieno o parziale o deltutto occasionale; separati, adottivi, ve-dovi, o divenuti padri tramite la gesta-zione per altri (o surrogacy). C’è quasisempre la necessità di assumere nella vitaquotidiana anche un ruolo di cura tradi-zionalmente femminile, e in molti casi diassumerlo pienamente, senza cioè dele-garlo in parte a una donna. La pedagogiapermette oggi di superare il binarismodei ruoli genitoriali, parlando di diversefunzioni (protettiva, affettiva, regolativa,rappresentativa ecc.) che possono anchevenire alternate dalla stessa persona nelcorso della giornata. Ma mentre il padreetero post-patriarcale può modulare e va-riare questo ripensamento dei ruoli, con-frontandosi con la madre, col mondo e…con se stesso, il padre gay “ci piomba den-tro con tutte le scarpe”.Qui corro certamente il rischio di ipo-

statizzare e generalizzare un certo mododi vivere la genitorialità gay, tralasciandoil fatto che alcune coppie di uomini re-plicano al loro interno le più viete sparti-zioni di ruoli oppure ricorrono all’apportodecisivo di zie, nonne, tate, ex-mogli. Macredo davvero, in base all’esperienza ditante Famiglie Arcobaleno, che i padri gaysiano meno compromessi con la tradi-zione della famiglia patriarcale. Forse gliè anche più facile, per motivi legati allastoria delle identità gay, accettare di svol-gere compiti tradizionalmente femminili.

con i figli piccoli continuamente, comefarebbero se stessero prendendo l’auto-bus con una persona!Ma soprattutto, è il nesso “padre”-

“gay” a fare la differenza. L’idea di unpapà caregiver può destare simpatia, te-nerezza, in alcuni preoccupazione; seperò è gay, tra le reazioni se ne annovera-no di ben più radicali. È nozione anticache per gli omosessuali sia “naturale”svolgere compiti di cura e educazione:ma la letteralizzazione della metafora èsempre perturbante. Non è casuale chesulla genitorialità gay si combatta unabattaglia durissima. La filiazione è il cuo-re simbolico dell’omofobia patriarcale.Di qui le fortissime resistenze anche daparte di molti gay, a conferma di quel po-sizionamento trasversale di cui ho giàparlato.Per un gay occupare la posizione pa-

terna, fare i conti con la questione dellapotenza e della violenza paterne, signifi-ca sfidare frontalmente il patriarcato. Maanche porsi il problema della propriacomplicità con esso, così facile da sotta-cere finché non sei letteralmente padre:e porselo in modo molto operativo, comechi deve trovare ogni giorno una soluzio-ne che gli permetta di tornare a casa lasera e giustificare il suo posto a tavola. Inquesta presa in carico c’è la promessa diun’oggettiva confluenza con la posizionedel maschio etero antipatriarcale, chepure può trovarsi un po’ sconcertato erimpiangere forme di trasgressione piùtradizionali. Non ha tutti i torti: esiste in-dubbiamente la minaccia dell’omologa-zione. Cirus Rinaldi osserva che le nuoveidentità gay hanno perso il contatto conl’abietto, l’indecoroso, il femminilizza-to7. Anche il padre gay costituisce troppospesso una mutazione troppo decorosa.È tentato di smettere di schecchare (usoquesto verbo che amo), e a volte lo fa.La paternità gay non è una voga o una

bizzarria, è indiscutibilmente una rivo-luzione. Forse una rivoluzione insuffi-ciente. Ma una rivoluzione che avesse lapretesa di esaudire il desiderio palinge-netico, non sarebbe per ciò stesso rea-zionaria? n

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Del resto, nella nostra cultura la cura deifigli è tanto tipicamente femminile, cheun uomo che si occupa di bambini inmodo continuativo ha necessariamentemolto a che fare con donne: pediatre,maestre, amiche, mamme etero, le pre-ziosissime mamme lesbiche; e ovvia-mente, nel caso della gestazione per altri,donatrici e portatrici, che in moltissimicasi non sono vittime biecamente sfrut-tate ma donne forti, consapevoli e in ognisenso autosufficienti5. Così accade che il padre gay scopra in

sé e nel mondo che lo circonda una cul-tura e una pratica del materno6. Ciò chegli succede, in fondo, è una replica im-plicita a chi dice che il padre è un genitoremeramente sociale. È la smentita di quel“meramente”; è la riprova che, senzanulla togliere alla gestazione e al parto, laparte cruciale della genitorialità femmi-nile e maschile ha luogo – sul piano fisico,psichico, etico, e sociale – dopo la nascita. Questo padre continua a fare ciò che

fa un padre tradizionale (qualcuno devepur farlo), ma in più si ritrova a mam-meggiare. La sua percezione del propriocorpo cambia. Allenta la schiena, arro-tonda le spalle. Diventa concavo, ricet-tivo, auscultante. Scopre nuovi ritmi delpasso, del sonno. Perde o modifica ilsenso del ribrezzo fisico (escrementi, ali-menti infantili). Sposta i mobili. Scopre ilcontinente inesplorato della pazienza, l’i-sola della paura. Si becca tante malattiedell’infanzia, e anche la bambinite. È in-gordo dei suoi figli. Inventa lingue perloro. Gli dà il nido e le ali.Si può obiettare che tutto questo ac-

cade anche ai padri eterosessuali, in pro-porzione alla consistenza del loro effettivocoinvolgimento con i figli. Ma i padrietero che si occupano in modo esclusivodei figli sono rarissimi. E questo ha delleconseguenze. Quanto è raro vedere suimezzi pubblici padri che interagiscono

1.Uno spunto da approfondire: a fronte della nave di Teseo si può porre la tela di Penelope: entità liquida, palinsesto che significa l’es-senza femminile della devozione non nonostante, ma in quanto viene costantemente distrutta e rifatta. Ricordo che la tela in questioneè un sudario per il padre di Ulisse • 2.Un altro esempio è la proposta di Stefano Ciccone di pensare la maschilità come “impossibilità digenerare”; concordo con le critiche mosse a questa ipotesi da Federico Zappino. Cfr. Leggendaria 113 (2015), pp. 36-37 • 3.David M. Hal-perin, How To Be Gay, Harvard University Press, Cambridge 2012, p. 448. Nell’inqualificabile edizione italiana (Essere gay. Identità ste-reotipi cultura, Ferrari Sinibaldi, Milano 2013) la frase è stata tagliata • 4. Stefano Ciccone, Essere maschi. Tra potere e libertà, Rosenberg& Sellier, Torino 2009, pp. 87-88 e 240 • 5. Il discorso sulla gestazione per altri è complesso, importante, e sarebbe ovviamente assai piùlungo. Per qualche primo appunto rimando a questo mio breve intervento:http://www.pagina99.it/2015/12/12/perche-dire-si-alla- gravidanza-surrogata/ Sul piano dell’esperienza vissuta, si può leggere questa intervista di qualche anno fa: http://www.una cit -ta.it/new site/intervista.asp?id=2209 • 6. Ovviamente può ritrovarla anche nella cultura gay: Bouvard e Pécuchet, Le sorelle Materassi, laRecherche, Tutto su mia madre, ecc.• 7. Leggendaria 113 (2015), p. 36

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Il paradosso della nave di Teseo: identità attraverso il tempo

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Da attivista antisessista sonostato ben felice che il nu-mero 113 di Leggendariacontenesse parole di uomi-ni come me impegnati a

lottare contro il patriarcato vigente; perripensare insieme politicamente ed esi-stenzialmente “il maschile” – qualunquecosa esso sia, al di fuori del patriarcatoche finora lo ha definito. Ciò che scrivo èperò anche il frutto di alcune perplessitàsorte durante la lettura degli articoli a fir-ma di uomini contenuti nel fascicolo.Nell’introduzione – a firma di Stefano

Ciccone e Alberto Leiss – a tutto il “Te-ma”, intitolato Ciao, maschi, si legge di«un invito a riprendere una riflessione eun dialogo in una fase che ci appare diimpasse». Non mi è chiaro, poiché sem-bra dato per scontato, chi siano i “ci” acui appare l’impasse; la mia condizione ènon avere tempo e modo di essere dietroa tutte le iniziative antisessiste, non per-cepisco impasse. «Nel campo della sini-stra [...] c’è un silenzio assordante sui te-mi posti dalle donne» e sono d’accordo,ma se poco sopra si constata «il perdu-rante esercizio di potere e di possessodegli uomini che innerva la nostra cultu-ra», allora il problema è trasversale al-l’appartenenza politica, quindi è natura-le «la diffidenza delle interlocutrici»: pas-sa il tempo e cambia la politica, ma lepratiche maschili non cambiano. Forse proprio la definizione di “que-

stione maschile” ha qualcosa che nonfunziona. Sarebbe da chiedere prima ditutto agli uomini stessi che intraprendono

un percorso antisessista che cosa puòchiamarsi “questione maschile”. Visto chesi denuncia un’impasse, andrebbe stabi-lito prima che cosa è a un’impasse. Comeabbiamo imparato a smettere di parlaredi “femminismo” per abituarsi a parlaredi “femminismi”, si potrebbe smettere diparlare di “questione maschile” e comin-ciare a pensare che di questioni maschilice ne sono molte; una è dentro quella si-nistra che sembra essere sorda e indiffe-rente. Proprio perché identifichiamo una“sinistra”, quella questione maschile nonpuò essere la stessa di uomini che non siidentificano a sinistra, come non può es-sere quella di uomini che non si identifi-cano in generale con nessuno schiera-mento politico. Sono, ad esempio, glistessi femminismi a indicare da tempoche la classe sociale, il colore della pelle,l’ambiente culturale nel quale si cresce,il linguaggio dei media, sono tutti ele-menti determinanti per comprendere ledinamiche delle questioni di genere nellequali si trova ad agire, o a essere agito,un individuo. Usare ancora un’etichettacome “questione maschile” potrebbe es-sere insufficiente per una congerie di pro-blemi sociali e culturali molto diversi traloro. Io comprendo l’inevitabile parzialitàdelle domande, ma bisognerebbe purecomprendere che a furia di rimanere solicon i propri esempi e le proprie espe-rienze non si va molto avanti. Chi ha in-contrato «la passione per la politica e lalibertà» di cui si parla nel primo articolo,negli anni Novanta, non può capire senon molto astrattamente «l’energia

espressa» da Paestum 2012 –se mai ne fosse al corrente – epuò darsi che ancora si do-mandi quale energia è stataespressa. Sembrerebbe chechi non c’era, a Paestum, nonconti nulla.Quando si rievoca «un in-

ciampo» (complimenti per ladelicatezza del termine...),cioè «il caso di un amico dimaschileplurale accusato dauna donna di aver esercitatosu di lei violenza psicologica», più sottosi constata che «sul terreno delle iniziati-ve che si propongono di affrontare e argi-nare la violenza maschile [...] emergonola diffidenza e il giudizio negativo piùforti da parte di alcune donne». Se dopoanni e anni di esperienze dei centri anti-violenza, e dopo anni che queste espe-rienze sono divulgate e testimoniate, an-cora ci sono uomini impegnati politica-mente nella cosiddetta “questione ma-schile” che hanno problemi a capire «laquestione dell’atteggiamento da assu-mere nei confronti degli uomini che agi-scono violenza», allora ci credo che siraccoglie diffidenza: alla prova dei fatti,le donne sanno cosa fare e gli uomini no. Un antisessista non dovrebbe sentirsi

fuori dalle dinamiche patriarcali; considerocontinuo e incessante il lavoro su mestesso per mantenermi fuori da quelledinamiche, e non mi considero immuneo definitivamente escluso dall’essere coin-volto in fenomeni di violenza di un qua-lunque tipo. Io non rifletterei, ancora e

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S P E C I A L E

PAOLO GODANISENZA PADRI

ECONOMIA DEL

DESIDERIO E

CONDIZIONI DI

LIBERTÀ NEL

CAPITALISMO

CONTEMPORANEO

DERIVEAPPRODI

ROMA 2014

168 PAGINE, 12 EURO

Come ripensare“il maschile”Un intervento critico sulle opinioni a firma di uomini

pubblicate su “Ciao, maschi” che chiede di

re-impostare il discorso uscendo dalla retorica

della “questione maschile”

DI LORENZO GASPARRINI

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ancora, su «cosa ci manca» e sul desiderio.Io rifletterei su cosa impedisce, a uominiche si dicono disposti a mettersi in di-scussione, di mettersi in discussione.Davanti a una denuncia di violenza psi-cologica, le domande su «come viviamoil desiderio, il corpo, le relazioni» nonservono. Davanti a un dato di fatto in-quietante e tragico, s’è ripresentato unvecchio stereotipo: le donne sanno cosafare, gli uomini stanno lì fermi a pensare.È da un pezzo il tempo di mettere inpratica quello che i femminismi ci rac-contano, e di cominciare a fare quelleesperienze pratiche di politica tra i corpiche da troppo rimandiamo per teorizzare.Lo dico da lettore abituato a sofismi

dialettici e a retoriche complesse, e chenon ne può più di leggere – l’esempiocapita a proposito – stili affabulatoristerili come quello dell’articolo L’om-bra dell’altro (Leggendaria, n. 113/2015pp. 10-11). Stessa sensazione per Comesi fa a diventare maschi? (ibidem, pp.12-13), articolo che ancora propone latesi secondo cui «il risultato delle lotteche hanno visto le donne protagonistenegli ultimi decenni del secolo scorso»è il sostanziale declino del patriarcato.Pure mi risulta molto difficile leggereun articolo che usa, per impostare undiscorso possibile “tra uomini” su que-stioni del proprio genere, i pensieri diMassimo Recalcati, un personaggio cheha dimostrato a più riprese la sua totaleignoranza di questioni e studi di genere,palesando impreparazione e confusio-ne. Nell’ottimo Senza padri di PaoloGodani – un esempio possibile tra tanti– si dimostra quanto l’impostazione ditutta la retorica legata al “complesso diTelemaco” e simili costruzioni teorichesia reazionaria e violenta quanto quellocontro cui fa finta di scagliarsi. Le vociautorevoli e documentate contro il “la-canismo” di personaggi come Recalcatisono parecchie. “Come si fa a diventaremaschi” lo sanno tutti i maschi: bastavenire al mondo maschi. Il mondo è giàcostruito apposta per loro, con tutte lecomodità del caso pronte per prepararegenerazioni di oppressori – tra le como-dità, aver educato un altro genere al no-stro servizio, e gli altri generi a scompa-rire in quanto “diversi”. Il “padre” non è “evaporato”, la tra-

gicomica fine che ci viene raccontata diGruppo Trasformazione lo spiega bene.Una volta fatto un libro, esso ha conclu-so una esperienza invece di cominciar-ne effettivamente una più incisiva, nelmondo esterno al gruppo. «Sarà neces-sario [...] riflettere sull’esito di questaesperienza», certo, ma chi deve riflet-terci visto che il gruppo non c’è più?Questo esempio racconta di un patriar-cato in crisi? A me non pare proprio.

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Solo nel dialogo a tre tra Ciccone,Zappino e Rinaldi (ibidem, pp. 35-39)compaiono a parlare maschilità fuoridagli schemi etero, ma il risultato è peròun non-dialogo. Dopo poche battuteciascuno regola l’intervento dell’altro, atestimoniare una mancanza di fondo,che si denuncia in questo numero diLeggendaria fin dall’inizio ma che nonsi nomina mai, e alla fine appare: non sifa politica attiva e pratica insieme a ma-schi non eterosessuali, e insieme a maschiche hanno conosciuto femminismi di-versi da quelli di chi «ha incontrato lapassione per la politica e la libertà nel‘68, e chi un decennio dopo». Il risultatoè lì: non ci si intende su cos’è mascolinità,non ci si intende su norme e pratiche,non ci si intende su cos’è femminile,non ci s’intende su cosa vuol dire desi-derare diversamente. Non ci si intende.Avrei voluto leggere, in questo nu-

mero, di uomini che stanno provando acostruire politicamente qualcosa di di-verso senza chiedere confronti o dialo-ghi o appoggi. I femminismi sono unimmenso e prezioso patrimonio di pra-tiche da studiare, di ispirazioni da as-sorbire, di analisi da ricordare – ma ionon sono una donna. Io non posso di-menticare di avere la maschera, il vesti-to, le abitudini dell’oppressore. Sonochiamato a fare qualcosa di diverso,qualunque cosa che possa essere so-cialmente condivisa non tanto dalledonne – hanno parecchia roba da con-dividere già tra loro, sanno cosa fare,non gli serve altro – ma condivisa daglialtri uomini. Opporsi al patriarcato, alsessismo, alla violenza non lo si fa “perle donne” – come continua a dire unaipocrita versione di political correctnesstipica della sinistra al potere: lo si fa pernoi, per avere libertà che il patriarcatoci toglie ripagandoci con i vantaggi del-la sua distorta idea di potere maschile.Si tratta di vivere fino in fondo il pa-

radosso di lottare contro il patriarcatoda dentro il patriarcato, nascendo “pa-triarcali” per forza di cose – e convinceregli altri uomini che fuori da queste strut-ture di potere c’è una vita personale esociale migliore. Cambiando tutti i giorniil proprio linguaggio, le proprie abitudini,e dicendolo in giro, agli amici, nellescuole, in tutti i luoghi reali e virtualiche frequentiamo. Lottando per una vi-sione intersezionale delle questioni so-ciali, senza quelle odiose gerarchie diproblemi che sanno di benaltrismoquando non di vera e propria malafede,perché sessismo, violenza di genere,lotta di classe (esiste, esiste ancora, nonè sparita neanche lei), parità dei diritti,sono la stessa lotta contro un potereonnipresente e coercitivo. Un potere ti-picamente maschile. n

Da Bartolomeo Pagano – divo del cinema mu-to – a Riccardo Scamarcio, il cui volto occu-pa gli schermi delle produzioni cinemato-

grafiche e anche televisive per un pubblico “medio”:una carrellata di attori lunga un secolo che Jaqueli-ne Reich e Catherine O’Rawe utilizzano per metterea fuoco non solo come e quando alle favolose divedel cinema muto si affiancarono anche i Divi comemodelli, spesso impossibili, di mascolinità, ma an-che per analizzare – con originalità di sguardo –quale rapporto si instaura tra le star e la mascolinitànell’immaginario italiano. La sequenza è indicativadei mutamenti del gusto, ma anche di come il profi-lo, per così dire estetico, dell’attore registra il muta-mento in corso nell’idea di “maschio”: da VittorioDe Sica e Amedeo Nazzari, “l’italiano ideale” neglianni tra le due guerre, all’icona del neorealismo RafVallone, per poi procedere sul doppio binario dellacommedia all’italiana – con gli interpreti de “l’italia-no medio” (Alberto Sordi) e del cinema impegnato(Gianmaria Volonté), dove a volte volti e corpi si so-vrappongono, due facce di una medaglia – il comicoe il tragico – come nel caso di Marcello Mastroianni,

che porta con sé un che di inetti-tudine. Il tutto nel tempo in-frammezzato ai virili interpretidel cinema americano, nella ver-sione dalla bellezza levigata(Cary Grant) o più rude (comeHumphrey Bogart). Nel tempo anoi più vicino emerge poi il mo-dello del l’attore-regista interpre-te di se stesso come Roberto Be-

nigni, Carlo Verdone, Nanni Moretti, che esprimo-no anche un’appartenenza regionale o di “ambien-te sociale”assai riconoscibili. Un capitolo, bello sepur breve, è dedicato al versatile Toni Servillo, “starcome performer” di esplicita impronta teatrale, «ve-ra e propria maschera ricorrente del nuovo cinemaitaliano di qualità». Il volume, promosso da Centrosperimentale della cinematografia-Cineteca nazio-nale, in definitiva ruota intorno alla domanda:«Quali sono dunque le strutture culturali e socialicostitutive della mascolinità italiana?», e le autricisembrano trovare una prima risposta – che poi siandrà articolando – affermando che «[…] le formedella mascolinità moderna sono fragili, instabili ecostantemente soggette a cambiamenti incontrolla-bili, in particolare perché l’Italia nel XX e XXI secoloè sottoposta, come nazione, a rapidi cambiamentisociali, politici, economici e culturali». Questi diver-si modelli, aggiungono con un rifermento al lavorodi Elena dell’Agnese, «[…] trova[no] nella culturapopolare, ancor più che nell’alta cultura, gli stru-menti per insegnare agli uomini come comportarsi“da uomini”». S. Be

JAQUELINE REICHCATHERINE O’RAWE

DIVI.LAMASCOLINITÀ NEL

CINEMA ITALIANO

DONZELLI

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Belli e impossibili

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«Esiste una questione ma-schile e, in caso, come decli-narla? È connessa al temadella violenza o ne è la cau-sa? E, soprattutto, che rap-

porti ci sono fra femministe, attiviste e igruppi di uomini che da anni lavoranosui temi del sessismo e rielaborano an-che le pratiche femministe?». Ci siamointerrogate a partire da queste doman-de, e dai punti di vista letti in Ciao, ma-schi (Leggendaria, n. 113/2015) e abbia-mo raccolto in un unico lungo discorso –come un percorso – i nostri pensieri,suggestioni e visioni.Partiamo dal dato che i fattori di ri-

schio nelle nostre vite sono molteplici: lamolestia, la minaccia, il mobbing, lamancanza di libertà, il controllo su dovevai e come ti vesti, la prevaricazione fisi-ca, verbale o psicologica possono toc-carci tutte con una intensità variabile,ma ognuna ha vissuto almeno una voltanella vita l’esperienza di sentirsi discri-minata o vulnerabile solo per il fatto diessere donna. Nessuna, operaia e casa-linga, intellettuale e agricoltrice, mili-tante politica e studentessa, può sentirsial sicuro finché tutte non lo saremo. Torniamo a dirlo: questo è un Paese

che discrimina fortemente in chiave ses-sista e in cui ancora resistono forme di

dominio patriarcale del maschio sullafemmina in famiglia, a scuola, in fabbri-ca come in tribunale, nelle strade, nelleorganizzazioni politiche e in quelle so-ciali. Spesso sono le donne stesse a nonammettere questo stato di cose, renden-do quasi impossibile un’inversione dirotta. Sarà perché in molte in quest’Occi-dente dedito all’apparenza ci acconten-tiamo di una libertà di facciata.Riconoscere tutte e tutti i compro-

messi e i ricatti che il corpo sociale conti-nua a legittimare a danno delle donne eindividuare le strettoie che abbiamo at-traversato col fiato sospeso, può aprireuna nuova stagione favorevole all’auto-determinazione delle donne e alla messaa tema di una nuova questione femmini-le insieme a una questione maschile.Su questo punto la visione più lucida

che oggi ci interroga è a nostro avvisoquella formulata e praticata dalle donne– e dagli uomini – in Kurdistan. Il patriar-cato e il capitalismo, secondo loro, cihanno pervaso così profondamente cheper riconoscerli e combatterli è necessa-ria un’intima autocritica personale, ac-compagnata da una continua formazio-ne teorico-pratica che è destinata a tutt*e per tutta la vita. La questione dellosfruttamento di genere e dell’autodeter-minazione è assunta come nodo centrale

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Rompiamo lerighe: i generie la politicaUna vera e propria “questione maschile”, intesa

come radicale messa in discussione

del privilegio patriarcale, esiste a pieno

unicamente nel ragionamento femminista

DI CASA DELLE DONNE LUCHA Y SIESTA*

Mentre infuriano le battaglie ideologiche sul“gender”, c’è chi si prende la briga di rac-contare, con ironia e semplicità come si

conviene ad un romanzo per Young Adults, quell’u-niverso meravigliosamente ricco che sono le nuovefamiglie. Così, divertono e appassionano le avven-ture tragicomiche della famiglia Fletcher, formatada Quattro ragazzi e due papà, raccontate nella for-ma di diario di un anno scolastico. I ragazzi, tuttiadottati, hanno tra i 6 e i 12 anni: Sam, il maggiore,è un brunetto appassionato di calcio che troverànel teatro nuove relazioni fuori dal gruppo di solimaschi – e forse anche il primissimo amore per lasua compagna di scuola, che lo batte a hockey; Eli,un biondino con gli occhiali da nerd che ha fatto ditutto per entrare in una scuola per alunni superin-telligenti si accorgerà che non vuole stare in un am-biente dove lo studio serve soprattutto alla compe-tizione, ma non gli sarà facile ammettere di aversbagliato; l’afro Jax capirà molte cose lavorando auna ricerca sui veterani di guer-ra che lo mette in contatto conlo scorbutico vicino di casa; e ilpiccolo Frog, che viene dallalontana India, dimostrerà a tut-ta la famiglia che Coccinella nonè un’amica immaginaria, ma lasua compagna di scuola asiati-ca, figlia in carne e ossa di duemadri. I padri regnano sulla pic-cola tribù con mano ferma ma non oppressiva, per-ché c’è un patto siglato da tutti, il Regolamento del-la Famiglia Fletcher, che assegna compiti e respon-sabilità. Papà Tom fa l’insegnate, papà Jason lavorainvece da casa ed entrambi si trovano a dover af-frontare e risolvere – senza assumere atteggiamenti“mammeschi” – i disastri quotidiani provocati daquattro figli maschi diversissimi tra di loro ma tuttiugualmente amati. Si respira nella narrazione diDana Alison Levy un’atmosfera di “normalità” chenon implica l’ipocrita nascondimento della “diver-sità”: padri e figli sono ben consapevoli di essereuna famiglia fuori dagli schemi tradizionali, manon c’è niente da spiegare o da giustificare: i Flet-cher dimostrano che dove c’è amore c’è famiglia, enon il contrario – come di solito si proclama E nelvicinato, a scuola, sui campi sportivi, alla festa diHalloween o nelle ricorrenze di tutte le religioni chei Fletcher di necessità celebrano davvero nessunopuò metterlo in dubbio. Troppo ottimismo? Buoni-smo? Political correctness? Forse, anzi sicuramente.Ma che male c’è?

Sara Bennet

DANA ALISON LEVYQUATTRO RAGAZZI

PER DUE PAPÀ

TRAD. DIAURELIA MARTELLI

EDT/GIRALANGOLO

TORINO 2015

259 PAGINE, 14 EURO

Tutti maschiin famiglia

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La Casa delle Donne Lucha y Siesta nasce nel 2008 dal recupero e dalla valorizzazione di una palazzina degli anni Venti di proprietàdell’Atac nella zona di Cinecittà a Roma. Negli anni questo luogo abbandonato si è trasformato in uno spazio materiale e simbolicodi autodeterminazione delle donne. Un progetto di accoglienza abitativa e sociale che fornisce informazione, orientamento, ascoltoe accoglienza alle donne che ne hanno necessità; in cui si svolgono diverse attività culturali e produttive che rendono Lucha y Siestauno spazio di socialità, condivisione di esperienze e competenze. Per il prossimo compleanno della Casa, l’8 marzo 2016, si è pen-sato di pubblicare un testo che racconta la storia di Lucha. Il libro conterrà l’intero progetto fotografico Lucha realizzato da Marian-na Ciuffreda, Chiara Moncada e Marco Vignola, e contributi scritti di Barbara Bonomi Romagnoli, Federica Giardini, Sandro Medici,Anna Simone e la complicità di Rita Petruccioli e Zerocalcare. Per sostenere il progetto: http://www.kisskissbankbank.com/lucha-y-siesta-lotta-e-riposo?ref=recent

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dell’agire politico collettivo, partendodalla consapevolezza che le relazioni dipotere capitaliste nascono dallo sviluppodelle relazioni di potere fra uomo e don-na, e crescono con la nostra storia politi-ca, civile e sociale, trovando perfetta fog-gia nella pervasione del capitale in ognisfera delle nostre vite. In Italia invece, e purtroppo, le que-

stioni poste dai femminismi sono rimastemarginali e, pur avendo raggiunto con-quiste fondamentali e aver ottenuto lostatus di discipline accademiche, oggisembrano essere scomparse dall’agirequotidiano e dalla consapevolezza dellamaggior parte delle donne. Crediamo cheil patriarcato abbia semplicemente as-sunto sembianze paternalistiche, contri-buendo così a un velocissimo regressosociale e culturale e a un immobilismo incui si innestano le varie forme di violenza.Questa violenza sessista è mossa per af-fermare, o riaffermare, la supremazia mi-nacciata e la relazione proprietaria sulcorpo delle donne, su cui agisce il discri-mine del poter fare e del non poter fare,del poter essere o non poterlo, dell’ob-bligo più che del desiderio. Scrivendo suifatti di Colonia (Internazionale, 8 gennaio2016), Ida Dominijanni ricordava quantobene conosciamo in Occidente la sin-drome di un patriarcato che diventa sem-pre più aggressivo proprio quando scric-chiola.Insomma, mentre la Conferenza delle

donne del Medio Oriente ha proposto il9 gennaio come giornata mondiale controi femminicidi politici – a tre anni dallabrutale uccisione delle curde Leyla Soy-melez, Sakine Cansiz e Fidan Dogan, av-venuta a Parigi nel 2013 per mano servizisegreti turchi – per noi oggi è difficile an-che solo riuscire a comunicare l’impor-tanza dei presidi socio-sanitari come iconsultori, oppure la necessità di man-tenere agibili gli spazi sociali autogestitidalle donne.Per loro è molto chiaro il senso politico

dell’asservimento delle donne e l’usodello stupro come arma di guerra, per noista diventando quasi impossibile anchesolo spiegare perché bisogna impedireche negli ospedali vengano assunti sologinecologi obiettori di coscienza.Eppure sappiamo bene che l’origine

della discriminazione contro le donne si

trova nella divisione dei ruoli e del lavoroe che è funzionale a istituire gerarchieche rendono possibile e agevole lo sfrut-tamento. Il meccanismo d’inferiorizza-zione delle donne che ha permesso, e per-mette, lo sfruttamento del lavorocasalingo e di cura (non retribuito) è lostesso che rintracciamo nel razzismo e,soprattutto, nella divisione in classi.Guardare all’azione della discriminazionedi genere e a quella di classe come a pro-cessi interconnessi, ci permette di nonperdere il filo, di comprendere che ruologiochi la violenza, anche quella nelle isti-tuzioni. È, dunque, tale filo che vogliamo pro-

vare a ricostruire per non perderci. Se neseguiamo la trama ci sembra di giungerea un’unica, ingarbugliata, matassa che,tenendo intrecciate genere e classe, an-noda la questione femminile a quella ma-schile. Nel nostro agire politico, così comeall’interno della Casa delle donne Luchay Siesta, i nostri studi e le nostre pratichesi sono date in correlazione al maschilecome attore fondamentale nell’immagi-nare la rivoluzione sociale, in termini ditrasformazione dell’esistente, come redi-stribuzione di ruoli, responsabilità e ri-sorse. Ciò non significa, sia chiaro, chenon servano spazi di ragionamento se-parati tra donne: questi non chiudono masono funzionali a scardinare i modelli inun clima d’inclusione e riconoscimentoreciproco cui molte di noi non sono piùdisposte a rinunciare e che, invece,spesso, nella pratica politica mista civiene negato.Dunque, il piano della conquista del-

l’autodeterminazione parte da noi, manon può che estendersi a tutti gli altri sog-getti sociali. Guardando alla disparità ealla violenza sessista come a quella ma-tassa politica, sociale e culturale, l’uomosessista perde le sembianze del mostroda eliminare e diventa soggetto da teneredentro il ragionamento, soggetto e og-getto della trasformazione necessaria. La questione di genere è, quindi, una

questione collettiva ed è necessario e ur-gente darvi risposte collettivamente. Lanostra esperienza ci restituisce però laconsapevolezza che la pratica femministae l’assunzione della disparità di generenon si insegnano né si impongono dal-l’alto, ma vanno vissute nella quotidia-

nità. È qui che troviamo i nodi più intri-cati della matassa. Se, infatti, molte donnesi sono liberate dal controllo maschile ecombattono ogni giorno il modello pa-triarcale di cui esse stesse sono portatrici,non ci sembra di rintracciare una libera-zione maschile da un sistema che schiac-cia gli uomini e li costringe entro gli stretticonfini del ruolo del “vero maschio”.Detta in altri termini, una vera e propria“questione maschile”, intesa come radi-cale messa in discussione del proprio pri-vilegio patriarcale, esiste a pieno unica-mente nel ragionamento femminista. Lo dimostra ancora una volta il dibat-

tito europeo generatosi all’indomani dei“fatti di Colonia”. Non vogliamo qui af-frontare l’accaduto, frutto anche dellaguerra economica e culturale in atto inquesta fase storica poiché avrebbe biso-gno di una lettura ampia e complessa.Quello che ci preme sottolineare è che,ancora una volta, il punto di vista secu-ritario di stampo evidentemente sessista– le nostre donne! È stato l’uomo nero! –ha soppiantato le cause e il senso dellaviolenza di genere perpetrata, anche e so-prattutto in questa occasione. Per questo è fondamentale avere uno

sguardo ampio e tenere insieme i vari li-velli in cui si articola la questione; tenerlisullo stesso piano di importanza, affron-tandoli in modo strategico e scalzandodalle fondamenta le origini della discri-minazione. Partendo dal sé, individualee collettivo, ovviamente, sia per le donneche per gli uomini.C’è innanzitutto un livello politico. Le

discriminazioni (tutte: genere, etnia, clas -se e religione) sono funzionali al potereed è molto difficile comprendere i modiin cui si declinano nel vivere quotidiano.Per noi è evidente che quella di genere èla prima e fondamentale, quella dallaquale partire per poterle contrastare tutte.Questa consapevolezza non è però con-divisa da tutti e, anzi, soprattutto a sini-stra, si tende a fare “l’elenco” delle discri-minazioni e non a vederne gli intrecciatilegami. C’è poi, e ha pari valore, il livello delle

relazioni personali. Non è possibile af-frontare le radici del sessismo, che ci èstato inoculato sin dall’infanzia, senzamettere in gioco anche il vissuto perso-nale. Leggere nella propria esperienza,

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nelle relazioni di coppia ma non solo, glieffetti del sistema sociale non è cosa dapoco. Viviamo immersi in relazioni di po-tere, le creiamo e le subiamo, ci confor-miamo. Ma questa consapevolezza nonè fuori dalla politica, è dentro, ne è ilcuore. Tale centralità è di difficile accet-tazione soprattutto per i compagni. Tra-sformare la propria vulnerabilità in forza,in gesto politico che rompe le relazionidi potere, significa in primo luogo affron-tare che si è vulnerabili, che bisogna met-tersi in discussione oltre che lottare peril cambiamento. È un percorso complessoe faticoso che raramente viene intrapreso,eppure è rivoluzionario in quanto per-metterebbe di spostarsi dall’ “io” al “noi”.Da diversi mesi a Roma esiste uno spa-

zio di ragionamento, eterogeneo e parte-cipatissimo, l’Assemblea delle compagnecontro la violenza sessista nel movimento(https://www. facebook. com/Adesso-Basta 481695618680549/), nato dall’esi-genza di rispondere ai molti episodi diviolenza e sessismo interni ai movimentiemersi negli ultimi mesi. È fortissima intutte la consapevolezza che le relazionidi potere stanno togliendo forza alle lottepolitiche che portiamo avanti. Tale spa-zio, per quanto ancora in una sua faseiniziale, sta avendo, a nostro avviso, lastraordinaria forza di mettersi in discus-sione come parte di una comunità più

Il denso volume curato da Saveria Chemotti daltitolo La questione maschile. Archetipi, transi-zioni, metamorfosi mantiene ciò che promet-

te: un’ampia disamina degli studi sul tema dellamaschilità, una sorta di “stato dell’arte” della ri-flessione, at work in campi diversi, sull’ormaisfuggente categoria dell’identità maschile. Nonche l’identità sia mai stata immobile e monolitica,ma certo è che i cambiamenti socio-culturalidell’ultimo secolo, che sembranostraordinariamente acceleratinegli ultimi decenni anche grazieai femminismi, hanno incisoprofondamente sulla figura e larappresentazione, la cultura e l’i-dentificazione di genere, degliuomini. Cambiamenti in seno aun patriarcato – evidentementepoco disposto a ritenersi finito, altramonto o anche solo indeboli-to – che mostra tutta la sua natu-ra metamorfica? Spostamenti disenso e significato dell’essere “uomo” e delle suerelazioni con le donne e con il femminile? Lo sce-nario è di estrema complessità, anche perché –come dimostra anche l’estrema poliedricità deisaggi contenuti nel volume (che propone gli Attidell’omonimo convegno che si è svolto a Padovanel marzo del 2015 nell’ambito delle iniziativepromosse dal Forum d’Ateneo per le politiche egli studi di genere – praticamente non c’è campoo esperienza della vita e della cultura che non sipresti ad essere interrogata alla luce della “que-stione maschile”. Questione, infatti, cioè interro-gazione, ma anche nel senso – politico ed espe-rienziale – di problema da affrontare. Uno dei filiche collegano una parte dei saggi è proprio quellodel mutamento: come, quando, perché l’idea dimaschilità è cambiata (Roberto Deidier, MicheleTondi, Loredana Magazzeni e altri/e)? Quanto c’èdi indicibile in questo cambiamento (GiuseppeBurgio)? Come metterlo a tema di fronte al “disfa-cimento del concetto di genere” (Nicla Vassallo)?Va in direzione di un superamento del machismoo al contrario ne produce nuove forme (KriziaNardini)? E quanto è possibile “disertare il pa-triarcato” (Lorenzo Gasperrini)? Ma altri scritti ri-flettono sulla poesia di Novalis (Davide Susanet-ti) e il pater familias di epoca romana (FrancescaCenerini), del mannaro (Sonia Maura Barillari) edi Don Giovanni (Umberto Curi), di Pinocchio(Paolo Aldo Rossi) e della mascolinità di Cristo(Benedetta Selene Zorzi), dei rudi cow boys deifilm western all’italiana (Giorgio Tinazzi) e deicantanti d’opera (Annamaria Cecconi) e persinodella mascolinità nella Cina classica (Amina Cri-sma). Vale dunque la pena di costruire dentroquesto volume i propri percorsi di lettura, piste diricerca che le bibliografie possono aiutare ad ap-profondire. Con la consapevolezza che il lavoroda fare è ancora moltissimo ma di certo assai ap-passionante.

A.M.C.

AA.VV.LA QUESTIONE

MASCHILE

ARCHETIPI,TRANSIZIONI,METAMORFOSI

A CURA DI

SAVERIA CHEMOTTIIL POLIGRAFO

PADOVA 2015

587 PAGINE, 28 EURO

Lavori in corso

ampia, una comunità politica che sentel’urgenza di dare risposte al sessismo, dalquale non è immune, e di porre l’accentosu quanto le lotte sociali non possano es-sere scollegate da quella al patriarcato. Il faticoso lavoro di riconoscimento

delle infinite declinazioni del sessismoall’interno degli spazi politici e sociali cheattraversiamo e animiamo contribuiscea rendere chiaro l’intreccio tra questionemaschile e femminile. Riconoscere neinostri spazi e nelle nostre pratiche poli-tiche il terreno fertile per il manteni-mento del patriarcato apre scenari di ra-gionamento collettivo indispensabili cherivendichino il sapere e la pratica fem-minista come punto di partenza impre-scindibile per tutti e tutte.Non è semplice cominciare a sbrogliare

la matassa, ma crediamo che questo siapossibile solo rifiutando quella “gerarchiadelle lotte” che continua a considerare lequestioni di genere marginali e delegabilialle sole compagne. Questa inversione diparadigma ci sembra possa essere l’avviodi una nuova fase politica, questa sì,carica di potenza rivoluzionaria. n

*Hanno contribuito alla stesura di questariflessione collettiva Simona Ammerata,Rachele Damiani, Milva Pistoni e MichelaCicculli – Casa delle donne Lucha y Siestahttps://luchaysiesta.wordpress.com

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Marija Gimbutasnasce a Vilno,in Lituania, nel1921. La sua èstata un’inten-sa vita di lavo-ro e studio. La

direzione della sua ricerca si è palesa dasé, cammin facendo. Il senso del sacrodella Madre Terra è una realtà che l’acco-glie fin da bambina: la tarda cristianizza-zione della Lituania (nel XIV secolo) con-sente infatti la permanenza dei riti del-l’Antica Europa, per esempio il culto deiserpenti, dei cicli stagionali e di fenome-ni naturali (oggi l’antica religione ha avu-to riconoscimento statale).

L’elemento femminile è forte anchein famiglia: sua madre è la prima donnamedico in Lituania. La bimba e poi laragazza viene incoraggiata a essere in-dipendente, libera e creativa. Purtroppola morte del padre quando ha 15 annigetta un’ombra sulla sua adolescenza, eprecocemente inizia a interessarsi ai te-mi della morte e delle credenze sulla vi-ta dopo la nascita. La tesi di laurea uni-versitaria è sugli antichi usi funerari delsuo popolo. Suo padre e sua madre so-no attivisti del movimento di resistenzapatriottico, fanno studiare Marija nellescuole dove si parla la lingua madre e

non quella degli invasori. Rinforzano ilsuo legame con le radici popolari e ilmondo un po’ fatato che ha trovato in-torno a sé. Negli studi etnografici dellagiovinezza raccoglie antichi canti popo-lari (dainas), pieni di forze magiche na-turali.

La seconda guerra mondiale e l’inva-sione sovietica la spingono alla fuga. Tro-va rifugio in Germania dove riesce acompletare un dottorato in archeologia,sempre specializzandosi nella preistorialituana. Si trasferisce infine negli StatiUniti con marito e figlie, e trova impiegoall’università di Harvard come traduttri-ce. Marija possiede enormi competenzelinguistiche, conosce diverse lingue slavegrazie alle quali rende disponibili testi fi-no al suo arrivo inaccessibili al mondoscientifico americano. Dopo aver dimo-strato le sue capacità comincia a ottene-re fondi per la pubblicazione delle sueopere, il primo libro importante è sull’ar-cheologia dell’Europa Orientale nell’etàdel Bronzo (1965). La sua autorità in que-sto campo è ormai riconosciuta e ottieneuna cattedra universitaria, ma deve tra-sferirsi in California. A Harvard, in annidi forte maschilismo ancora imperante,sarebbe stato impossibile per lei andareavanti. In California trova la sua dimen-sione ideale.

Con gli scavi da lei personalmentecondotti negli anni Sessanta e Settanta inEuropa (Obre-Bosnia, Anza-Stip, Mace-donia, Karanovo/Sitagroi-Drama, Gre-cia; Starcevo e Vinca, Macedonia; Sesklo-Achilleion, Grecia; Grotta Scaloria, Man-fredonia, Puglia) scopre una mole dinuovi documenti e reperti che riguarda-no stavolta l’età Neolitica, caratterizzatadal rinvenimento di un grande numerodi statuette femminili con evidenti carat-teristiche cultuali.

La Gimbutas non aveva modelli concui raffrontare i nuovi reperti che anda-vano accumulandosi, ha studiato, dise-gnato e classificato con passione certosi-na tutto quello che man mano trovava.Quel materiale ha quasi preso da sé laparola e si è presentato. Le sue grandi do-ti intuitive e il talento nell’ascolto hannofatto il resto, doti probabilmente affinatedal grande lavoro di traduttrice. L’attitu-dine alla decodifica linguistica l’ha aiuta-ta nell’affrontare un linguaggio simboli-co ignoto, man mano svelato.

In Goddesses and Gods descrive ilcomplesso pantheon e il ricco mondo ri-tuale degli antichi europei neolitici (misto attualmente occupando della sua tra-duzione per Stampa Alternativa). Unaneddoto: la prima edizione nel 1974 do-vette uscire con il titolo di Gods and God-

P R I M O P I A N O M A R I J A G I M B U T A S

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L’antica Europadella DeaA poco più di vent’anni dalla sua scomparsa

(1994), le ricerche di Marija Gimbutas sulle civiltà

della protostoria suscitano sempre più interesse

nel mondo delle donne ma aspettano ancora un

pieno riconoscimento negli ambienti accademici

DI MARIAGRAZIA PELAIA

Donna con un cappuccio, Francia

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desses, solo con la seconda edizione del1982 la Gimbutas poté ripristinare quelloda lei deciso sulla base del numero note-volmente superiore di statuette femmi-nili raccolte nei siti.

Nel Linguaggio della Dea (1989; Lon-ganesi 1990, trad. di N. Crocetti) il pro-cesso di decodifica si spinge in avanti e sifa ancora più organico. In Civiltà dellaDea (1991; Stampa Alternativa 2012-13)la Gimbutas presenta un’esposizionesintetica di tutto il suo lavoro di ricerca.L’edizione italiana da me curata e tradot-ta rappresenta una coraggiosa scelta daparte della casa editrice. In questa ver-sione si è scelto di dividere l’opera in duevolumi, seguendo una divisione idealedell’opera già decisa dall’Autrice (v. Pre-fazione, p. 7).

Poco tempo dopo aver terminato l’ul-timo lavoro l’autrice si spegne, nel 1994,nella sua casa in California, dopo unalunga e dolorosa malattia affrontata inmodo esemplare, senza fermare un atti-mo il lavoro e continuando anche a viag-giare. È sepolta in Lituania.

Il primo volume di Civiltà della Deapresenta un quadro cronologico di tut-te le culture neolitiche europee. La pre-fazione affronta subito un tema di cru-ciale importanza: Cos’è la civiltà? Mari-ja Gimbutas ribadisce fermamente lasua tesi centrale: il Neolitico europeotestimonia una Civiltà diversa dalla no-stra, finora considerata l’Unica. Sonostati tre-quattromila anni (e forse anchepiù) di vita pacifica, creativa ed equili-brata, in armonia con la Natura, consi-derata entità sacra e raffigurata in unaDea multiforme.

Il primo capitolo del libro è dedicatoalle origini e alla diffusione dell’agricol-tura, e ci porta nella penisola anatolica enei siti di Çatal Hüyük (7250-6150 a.C.),la più grande città neolitica europea fi-nora riportata alla luce, dove tutt’oggi so-no in corso scavi (Ian Hodder), e di Haci-lar, altra cultura indipendente della re-gione (6500-5500 a.C.).

A Çatal Hüyük si trova un ciclo di af-freschi mozzafiato, la cui complessità ebellezza non è certo opera di mano emente primitiva, come a noi piace im-maginare la preistoria. Ritroviamo sullepareti del complesso una simbologia checonfluisce in epoca successiva nell’am-bito mediterraneo: Dea avvoltoio, bu-crani, raffigurazioni animali e altro an-cora; il motivo della Dea partorienteinvece si perde.

Nei capitoli successivi si descrive unmovimento di espansione inarrestabile.

mergono con nomi diversi, ma i manu-fatti, le abitazioni, le sepolture e i reperticeramici hanno tratti comuni. A Nord:cultura del Bicchiere imbutiforme e cul-ture Nemunas e Narva (paesi del Balti-co). In Italia: Passo di Corvo nel Tavolieredi Puglia (6500-5000 a.C.), dove oggi ab-biamo uno dei siti neolitici più grandid’Europa, e in Sardegna e Corsica culturadi Ozieri (dal VII millennio al IV millen-nio a.C.). Un grande complesso neoliticomediterraneo è a Malta (dal VI al III mil-lennio a.C.). Ad occidente tra Svizzera eFrancia: Cultura di Chassey (V-VI millen-nio a.C.), cultura di Lagozza (Vasi a boc-ca quadrata, prima metà del Quinto mil-lennio a.C.) e cultura di Cortaillod (IVmillennio a.C.). In Francia e nella peniso-la iberica ci sono tombe megalitiche (fraV e III millennio) e infine i complessi me-galitici di Bretagna, Inghilterra e Irlanda(4500 a.C.).

Per tutte queste popolazioni vengonofornite descrizioni dettagliate: stratigra-fie, cronologie, serie ceramiche, utensile-ria, piante degli abitati e necropoli e in-formazioni sul tipo di reperti presenticon informazioni del contesto di ritrova-mento quando disponibili.

Il secondo volume presenta un qua-dro interpretativo d’insieme. I grandi te-mi affrontati da Marija Gimbutas sono lareligione della Dea, la scrittura sacra, lastruttura sociale e la fine dell’antica Eu-ropa con l’invasione delle popolazioniindoeuropee di cultura Kurgan prove-nienti dalle steppe russe meridionali.

Per quanto riguarda la religione, sievidenzia il culto di una Grande Dea (enon Grande Madre) le cui radici affonda-no nel Paleolitico. Le prime immaginifemminili e animali scolpite su pietra ri-salgono a cinquecentomila anni fa, pie-tre triangolari su sepolture e coppellescolpite sono ricorrenti, ma questo pri-mitivo simbolismo religioso non è anco-ra stato studiato con sistematicità. NelPaleolitico superiore, a partire dal 25.000a.C., compaiono le famose veneri prei-storiche, con natiche e seni di volumeesagerato, che si è tentato inizialmente diconsiderare strumenti magici per propi-ziare la fertilità o eccitare la sessualitàmaschile. Nel Neolitico vi è continuitàiconografica ma le statuette, ritrovate innumero copioso nei siti scavati, presen-tano una varietà di stili e motivi sorpren-dente e varia. La Gimbutas ha identifica-to e classificato questo pantheon cheperlopiù è composto da divinità femmi-nili, ma c’è anche una quota minoritariadi statuette maschili. Alle varie dee si as-

P R I M O P I A N O

L’Antica Europa del nucleo più antico sisviluppa nella regione sud-orientale,nella penisola balcanica e lungo il baci-no del Danubio: sono questi i luoghidelle nostre vere radici europee. Nomiche a noi oggi non dicono niente sonoquelli delle popolazioni autoctone no-stre antenate: le più antiche sono le cul-ture Starcevo, Sesklo, Karanovo, cerami-ca lineare, Bükk e Bug-Dnestr, tra 6500e 5500 a.C.

Arriviamo all’apice nel 5500-3500 a.C.con le culture Danilo, Hvar, Butmir, Vinca,Tibisco, Lengyel, Boian, Hamangia, Kara-novo, Petresti, Cucuteni, Dnepr-Donec.Queste culture si estendono sul territo-rio oggi occupato da Bulgaria, Romania,Moldavia, Ucraina, paesi dell’ex Jugosla-via, Grecia settentrionale, e a nord fino inUngheria.

Man mano che le invasioni Kurganportano alla dissoluzione di questo com-plesso culturale si nota uno spostamentoverso nord, verso occidente e lungo la co-sta mediterranea. Le popolazioni rie-

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Schizzi dal libro di Marija Gimbutas

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socia un sistema di segni geometrici eastratti, in cui si individuano repertoriiconografici: triangolo e V, stilizzazionedel pube, linea tripla, X raddoppiamentodi V, meandri, puntini, coppelle, labirinti,zigzag, losanghe, spirali… Le statuetteevidenziano tratti sessuali femminili:vulve e seni. Le dee sono spesso raffigu-rate in compagnia di animali e a volte so-no rese con tratti zoomorfici, come laDea uccello e la Dea serpente, le due tra-dizioni iconografiche più ricorrenti.

Le statuette, caratterizzate da ric-chezza di acconciature e abbigliamenti,evocano un mondo in cui la componenterituale ha grande importanza. Interes-santi anche le principali zone di rinveni-mento: intorno ai forni delle case e neicortili, nei templi (che hanno una dimen-sione domestica in cui il forno è sempreelemento centrale e non si distinguonomolto dalle abitazioni), nelle necropoli enelle grotte. Questa grande produzioneceramica per uso sacro testimonia unagrande partecipazione popolare ai riti etestimonia un forte legame con la Natura,i cicli naturali e la trasformazione. Si ce-lebravano le energie vitali della Terra, e illoro incessante ciclo di fioritura, esauri-mento e rigenerazione.

Emerge l’ipotesi che le popolazionineolitiche avessero una scrittura. Questoè il punto centrale a sostegno della tesidella Gimbutas sull’esistenza di una ci-viltà europea neolitica. Si trattava di unalingua non indoeuropea, come il gerogli-fico cretese, il lineare A e il cipro-minoico,tuttora indecifrate per la stessa ragione.La Gimbutas auspica prima o poi il ritro-vamento di una stele di Rosetta multilin-guistica, cosa che non si può escludere inassoluto. Questa scrittura si differenzianettamente da quella sumera antica nataper scopi amministrativo-commerciali, leiscrizioni appaiono solo su oggetti reli-giosi, quindi è congegnata per uso ritualedi un sofisticato culto della Dea.

Dal punto di vista sociale si notaun’ulteriore evoluzione delle “societàdella Dea” paleolitiche, come tutte le piùantiche civiltà del mondo (oltre all’Euro-pa: Cina, Egitto, Tibet, Vicino Oriente).L’agricoltura è un’invenzione femminileche ha offerto le migliori condizioni perperpetuare un sistema matrilineare edendogamo, ereditato dai tempi paleoliti-ci. Il matriclan aveva principi organizza-tivi collettivisti. Non esistono testimo-nianze di una società patriarcale, contombe reali e palazzi costruiti su alture. Iriti di sepoltura evidenziano una distri-buzione della ricchezza egualitaria. La

Gimbutas riconosce l’importanza deglistudi sul matriarcato di J.J. Bachofen e diRobert Briffault, i pionieri che hanno ri-portato questa realtà storica alla luce. Mabisogna stare attenti a non considerarecon occhi moderni lontane realtà sociali.Proprio per questo la Gimbutas preferi-sce evitare il termine di “matriarcato”,che evoca immediatamente una societàgerarchica dominata da donne in cui gliuomini vengono cancellati. La Gimbutaspreferisce parlare di “matrismo”, cioèuna società matrilineare dove i sessi so-no più o meno sullo stesso piano. Potreb-be essere definita “gilania” come propo-sto da Riane Eisler, in cui i suffissi gyne eandros sono collegati dalla l di link (con-nettere) o del greco lyein (fondere) o lyo(liberare).

Il saggio si conclude cercando le cau-se che portano alla fine della civiltà del-l’Antica Europa. Si è trattato di un pro-cesso di trasformazione culturale concambiamenti drastici che ricorda la con-quista europea del continente america-no. Le testimonianze archeologiche so-stenute dalla linguistica e dalla mitologiaindoeuropea suggeriscono lo scontro didue ideologie, di due modelli socioeco-nomici. Da una parte l’Antica Europa e

dall’altra una popolazione nomade che asuccessive ondate invade il continenteeuropeo, i Kurgan (protoindoeuropei),così denominati dalla Gimbutas dal no-me della sepoltura tipica di quella cultu-ra (collinetta a tumulo) già nel 1956. Daallora la preistoria e la storia europea di-vennero simili a una torta marmorizzatacomposta di elementi non indoeuropei eindoeuropei.

Fino al 4500-4300 a.C. non si trovanoarmi nelle sepolture e non vi è traccia diinsediamenti fortificati in altura. Macon l’arrivo dei Kurgan, a cavallo e ar-mati, il paesaggio comincia a modifi-carsi. La Gimbutas contrappone l’Anti-ca Europa pacifica, sedentaria, matrilo-cale, matrilineare ed egualitaria nei rap-porti fra i generi, ai Kurgan, guerrafon-dai, patriarcali e organizzati gerarchica-mente, con riti di sepoltura legati astrutture a capanna di legno o pietra,coperte da un basso tumulo di pietre ouna collinetta di terra. L’economia Kur-gan è essenzialmente legata alla pasto-rizia, associata a un’agricoltura rudi-mentale. Le abitazioni sono tempora-nee e parzialmente interrate.

Le tre ondate di invasioni si verifica-no nel 4400-4300 a.C., nel 3500 a.C. edopo il 3000 a.C. Non si tratta di un sin-golo gruppo ma di un certo numero dipopolazioni delle steppe che condivi-devano una tradizione comune. LaGimbutas collega questo processo alladesertificazione nella Saharasia, che haspinto popolazioni al nomadismo gra-zie all’uso del cavallo e alla pratica del-la pastorizia. Sono stili di vita che ne-cessitano forza fisica e quindi più adat-te a una popolazione maschile, che vie-ne educata con una particolare corazzapsicologica per resistere a condizioni divita estreme e dure. La Gimbutas si rife-risce qui agli studi di James DeMeo (Sa-harasia, Orgone Biophysical ResearchLab, 1998, 2006).

La civiltà della Dea è al tempo stessoun classico della saggistica archeologicaaccademica e un testo di rottura che apreprospettive nuove nello studio del nostroantico passato, e che si può sintetizzarecome un approccio metodologico inter-disciplinare, definito archeomitologia.Se dal punto di vista dell’archeologia tra-dizionale il suo contributo è già stato ec-cezionale, la sua opera di ricostruzioneha dell’incredibile per capacità di analisi,sintesi e organizzazione.

Donna dell’Europa orientale, esulenegli Stati Uniti, ai margini della localecomunità accademica in anni in cui il

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Statua dedicata alla dea sumera Inanna

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ce: la Gimbutas «ha assommato di-versi saperi: archeologia, lin-

guistica, profonda cono-scenza del folklore e dellamitologia del suo paese,combinando la sapienzadi un filosofo della natura

con la percezione esteticadi un artista» (dalla prefa-

zione di From the Realm ofthe Ancestors. An Anthology in

Honor of Marija Gimbutas, Kno-wledge, Ideas & Trends 1997).

È proprio questo il lato più de-bole del suo lavoro agli occhi

dell’attuale comunità scien-tifica: la capacità intuitiva, vi-

sionaria e artistica con cuila studiosa ha tenta-

to una ricostru-zione olisticadei materiali

anal izzat i .Co me scriveEr nestine El-ster, dappri-ma sua allie-va, poi sua

collega e ami-ca e oggi sua bio-

grafa: «Inizialmentegli archeologi hanno

fatto scena muta quan-do ha pro posto le sueinterpretazioni ardite einsolite sul ruolo delle

onnipresenti statuetted’argilla e sulla proto-scrittura (segni incisi odipinti sulla ceramica).Era la principale studiosa,

la più accreditata, dell’Eu-ropa preistorica sud-orien-

tale, con un’enorme padro-nanza di un vasto databaseinternazionale. […] Ha presen-

tato un’analisi del sistema di cre-denze e dell’organizzazione del-

l’antica Europa matrilocale, pacifica eimpostata intorno a un pantheon di di-vinità femminili e maschili che presie-

dono alla fertilità e alla rigenerazione.Questo è più che proporre un programmadi ricerca: costringe la disciplina a consi-derare seriamente una categoria di ma-nufatti che fino ad allora erano stati ritenutiparte di un “culto” e quindi non interpre-tabili finché la cultura popolare ha inizia-to a celebrare le scoperte della Gimbutas»(da: “Le nuove scoperte dell’archeologianeolitica”, in Prometeo, n. 121- marzo 2013,pp. 55-57; mia traduzione).

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P R I M O P I A N O

sessismo imperava nelle istituzioni cul-turali americane, nonostante restrizionie difficoltà Gimbutas ha saputo mettereinsieme una mole imponente di dati e re-perti che grazie alla sua intuizione ha ri-composto in un quadro persuasivo. Sucosa ha basato l’ardita ricostruzione?

Scrive Joan Marler, sua attuale portavo-

Questa era la situazione dieci anni do-po la morte della Gimbutas (per un ag-giornamento rimando alla Nota all’edi-zione italiana in fondo al primo volumedi Civiltà). Joan Marler e Harald Haar-mann (che è al lavoro sull’Old Europeanscript) in uno scritto congiunto concor-dano che per riconoscere il contributo da-to dalla Gimbutas alla conoscenza dellapreistoria europea occorre un cambia-mento di paradigma, ossia di punto di vi-sta: «Il consenso non è una chiave cheapre prospettive rivoluzionarie nel mon-do scientifico. Il progresso è determinatoda un’esplorazione di nuovi orizzontiche provoca discussioni su temi contro-versi, e non un’onda di silenzio che av-volge le questioni sul tappeto non anco-ra risolte» (p. 277).

Oggi l’opera di insabbiamento acca-demico prosegue, con qualche rara ec-cezione, per esempio nell’ambito deglistudi indoeuropei l’ipotesi che identifi-ca nei Kurgan i protoindoeuropei è finoad oggi la più accreditata. Ad ogni mo-do la sua grande rilettura del nostropassato ci dà spunti per affrontare lacrisi attuale della nostra civiltà, il mo-dello Kurgan che ha trionfato e ha crea-to una società a forte gerarchia maschi-le, in cui dominio e guerra sono i pila-stri fondanti. Dominio e guerra nei con-fronti delle donne, dei deboli e della na-tura. A dire il vero l’antica cultura non èdel tutto scomparsa, ha lasciato traccenei miti, nel folklore, nell’arte e nella re-ligione. Nella seconda metà del secoloscorso è stato compiuto un lavoro di ri-scoperta.

Tornare a un passato così diverso e ve-dere che si può realizzare un’alternativasu questa terra, perché già esistita (l’etàdell’oro che diventa realtà storica), puòincoraggiare il cambiamento, un futurodi evoluzione che dovrà passare per unanuova visione ecologica e culturale, incui l’Antica Europa potrà dare un ottimoesempio e punto di riferimento. A parte idettagli e i singoli punti della ricostruzio-ne di Marija Gimbutas, ciò che conta è lavisione, nel suo insieme, di un mondo inpace e in equilibrio, in cui il principiofemminile è rispettato e divinizzato, manon prevaricante. Un mondo della part -nership, per dirla con le parole di RianeEisler. n

• Altre info nel blog dedicato a Civiltà dellaDea, a cura di Stampa Alternativa http://www.stampalternativa.it/wordpress/la-ci-vilta-della-dea/

Venere di Willendorf

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P I A P E R A

«[…] La mia preferenza (chesia retorica?) per un lentomorire, consapevole diquanto sta accadendo, reg-gerà alla prova dei fatti? Mi

permette di scoprire qualcosa che vale lapena raccontare?» si chiede Pia Pera nelsuo struggente e insieme lieve, indispen-sabile e di cui avrei voluto non dover maiscrivere, Al giardino ancora non l’ho det-to. La risposta è molto facile: certamentesì, perché con questo libro-diario Pia ci faun dono enorme, generoso e onesto fin

all’ultima fibra dei suoi motoneuroni chestanno un po’ alla volta e inesorabilmen-te degenerando. Pia Pera ha la Sla e nonha ancora detto al suo amato giardino,dalla bellissima poesia di Emily Dickin-son che dà il titolo al libro, che «una tan-to timida-tanto ignara abbia l’audacia dimorire», che «nemmeno ho la forza ades-so di confessarlo all’ape».

Deve passare un po’ di tempo primache Pia possa riscoprire la felicità del suoincontro con il giardino e con l’orto,dell’«aggirarsi nella natura, nella magia di

uno stupore ininterrotto. E forse, ognitanto, venire colti dalla sensazione di in-contrare qualcosa di non visibile. Un flut-to di gioia». Prima ci sono gli studi assolu-tamente classici, a Lucca dove è nata, laCultura che lascia poco spazio alla legge-rezza «[…] dove sono le canzoni dei mieicoetanei? Non le conosco […]», e poi aMosca, Londra, Milano. Cura e traducealcuni classici della letteratura russa,Puškin, Lermontov, Checov, Afanas’ev ealtri. Scrive libri di narrativa e non fiction:La bellezza dell’asino, Diario di Lo, L’arci-

P R I M O P I A N O

Andarsene, con dolcezza

Un libro-diario che, citando Dickinson, cerca il come accomiatarsi

con levità dalla vita. E dal giardino e l’orto, i luoghi dove l’autrice

ha consapevolmente cercato proprio quella vita

DI FRANCESCA CAMINOLI

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Pia Pera

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pelago di Longo maï, I VecchiCredenti e L’Anticristo.

Poi, una ventina di anni fa,lascia Milano e torna a vivere aLucca, in campagna, poco fuo-ri le Mura, sulle pendici delmonte Pisano «[...] Avrei la-sciato anch’io il lavoro di città»scrive in L’orto di un perdi-giorno. Confessioni di un ap-prendista ortolano; pubblicatonel 2003, il suo primo librodella vita nuova, «per il pode-re avito. Lì avrei trovato il pa-radiso». Così è. «Sbuccio unamelagrana. I chicchi si stacca-no rosso rubino e aciduli daglialveoli biancastri. Il nespolodi Germania è picchiettato difrutti bronzei. Giacca e cap-pello d’incerata, stivali di gom-ma, davanti a me foglie fattesiluce. È la felicità». E il premioGiardini Botanici Hanbury diGrinzane Cavour.

L’orto e il giardino sono ilsuo “apprendistato di felici-tà”, come si intitola la rubricache tiene sulla rivista Garde-nia. Una felicità che viene avolte messa alla prova da«quel vago senso di oppres-sione che suscitano certi vi-vai furbetti, certe mostre or-ticole organizzate senz’om-bra di idee», scrive in Controil giardino, del 2007, unoscambio epistolare con ilpaesaggista e botanico Anto-nio Perazzi, «e che lascianochi davvero ama la natura colsospetto di una profanazione[…] Può esserci un giardinoquando non c’è più natura?».No perché, come concludePia nell’ultima lettera, «Fareun giardino, in fondo, è unmodo di invocare la natura –enunciare una sorta di pre-ghiera in cui si sussurra lasperanza di non averla anco-

ra perduta […] Chiamiamolo il nostroantico cercare, tra le piante, la vita».

Ma che cosa è la vita se non il sempli-ce essere qui? Quante volte lo dimenti-chiamo, sopraffatti da irrequietezze, pro-blemi, anche gravi certo, depressioni an-che serie certo, ma quanto spesso ingi-gantiti dalla mente che, in questa nostravita che deve essere sempre efficiente, hadimenticato il corpo? Non il corpo dellepalestre o del bisturi, ovvio, quel corpo

primitivo che ha bisogno di vento e terra.«Tra le piante» scrive Pia nella premessadi Giardino & ortoterapia, del 2010, «siprova la sensazione di avere trovato conestrema facilità il nostro posto al mondo.Di trovarci esattamente dove dovremmoessere. Che questo avvenga semplice-mente per la più primordiale delle com-plementarità, quella tra animale e pian-ta? Tra creature specularmente opposte,che si nutrono l’una del respiro dell’altra?Non saprei. Ma l’importante è questo:funziona».

Se venissero dei dubbi, ecco nel 2011Le vie dell’orto, storie di tredici ortolani,del benessere trasmesso da «un serenocorpo a corpo con la terra» e che invita atrovare, fosse anche solo con un piccoloorto su un terrazzo, «la forza d’animo ne-cessaria a difendere il nostro diritto piùosteggiato: quello alla semplicità». E di-rei, ancora, alla felicità: perché il propriogiardino o orto, anche minimo, su un bal-cone, come scrive Pia nell’introduzioneal suo Il giardino che vorrei, del 2015, è ilpiù caro a chi l’ha fatto. Lo si ama «nonper le sue qualità intrinseche, ma perchéci apparteniamo». Nell’ultimo capitoloPia, già malata, citando la poesia di EmilyDickinson, comincia a mettere in guar-dia, noi e il suo giardino, su quello chesuccederà, «che un giorno il giardinierenon terrà fede al suo appuntamento […]che un giorno qualcuno non verrà, il gel-somino dovrà vedersela da solo, con altrepiante più vigorose. Quella pergola rego-larmente potata, straborderà. Quella sie-pe di lecci diventerà un bosco […] e alpensiero della nostra scomparsa venissequasi da chiedere scusa per l’involontarioabbandono».

Mi rendo conto che sto tirando in lun-go prima di ritornare Al giardino ancoranon l’ho detto, in uscita a febbraio 2016.Perché Pia è una mia amica, un’amica acui mi lega un lungo affetto, che si è ce-mentato dopo la morte di mio figlio. Lei,con cui non ero a quei tempi molto inti-ma, si presentò a casa mia la mattina do-po il mio ritorno la notte da Otranto, do-ve Guido si era tolto la vita, dicendo sem-plicemente «ho pensato che tu avessi vo-glia di un caffè». E me lo preparò. Grazie aquel piccolo ed essenziale gesto, ho capi-to quanto l’amore di Pia non fosse so-prattutto per i suoi cani, le sue piante, lesue verdure, cosa che, te lo confesso quiPia, avevo sempre un po’ pensato. Mi sba-gliavo, come mi sbagliavo! Era, ed è, ungrande amore timido per tutto e tutti.Scrive ora «[…] provo una tristezza im-mensa per la vulnerabilità e l’imperfezio-

ne di ognuno. Che sia questo, l’amore?».Forse è proprio così, quel tuo piccologrande gesto me lo fece capire.

Mi è difficile continuare, tergiversoancora un po’: nel 2006 Pia ha aperto il si-to www.ortidipace.org, dove si tratta diorti e giardini didattici nelle scuole, ortiterapeutici per coltivare la pace interiore,orti per tutti coloro che, pur non posse-dendo terra, desiderino coltivare fiori eortaggi in uno spazio pubblico. E ancora:per diversi anni ha collaborato con Gian-na Nannini e dal loro lavoro comune nel2007 è nata l’opera rock Pia come la can-to io, dedicata a Pia de’ Tolomei, musicadella Nannini, parole di Pia Pera.

Ora non è proprio più tempo di girarciattorno. Al giardino non l’ho ancora dettoè un libro bellissimo, sincero, importan-te, universale. Universale perché non sitratta tanto, o solo, del giardiniere davan-ti alla morte, del «rifugiarsi in un luogodove morire non sia aspro. Ove morirefaccia un po’ meno paura. Dove sia possi-bile non darsi troppa importanza perl’inevitabile non esserci più, un giorno.Accettando con calma di essere qualcosadi piccolo e indefinito, un puntino nelpaesaggio». Si tratta di molto di più: ditutti noi davanti alla morte. Ma anche: ditutti noi davanti alla morte e alla vita, dicome stare nella vita. E di come stare da-vanti a quel momento della vita in cui«nulla conta più tanto perché nulla pos-siamo più decidere» e «in questo ritrarsi,c’è anche dolcezza». Non è che in questomomento non manchino, e Pia raccontatutto, i pensieri più neri, le rabbie, le pau-re, i passi avanti e indietro. Racconta i tre-mendi dubbi su come andarsene. Forsein una nota clinica svizzera che accom-pagna al suicidio? O forse no, perché«quando toccherà a me mi piacerebbe es-sere sola […] non con gente intorno cheaspetta che la cosa sia fatta e in qualchemodo mi fa fretta. Se mi verrà in menteancora una pagina da leggere, una letterada scrivere, voglio poterlo fare. Se mi ve-nisse voglia di fare boccacce, di cantare asquarciagola, di rannicchiarmi, vogliopoterlo fare non vista. Mi piacerebbe […]spegnere la luce, mettermi su un fiancocon la testa sul cuscino, come ogni seraquando vado a dormire. Che orrore, do-verlo fare in pieno giorno, come se mori-re fosse togliersi un dente». Racconta itentativi, le speranze, l’affidarsi allascienza, ai medici, agli amici, ai ciarlata-ni, a tutto quello che ci rende umani. Po-tersene andare anche se «[…] la Hume’sBlush la scorgo dalla terrazza dietro casama non l’ho più a tiro di naso: la sfuma-

P R I M O P I A N O P I A P E R A

PIA PERA

AL GIARDINO ANCORA

NON L’HO DETTO

PONTE ALLE GRAZIE

MILANO 2016

215 PAGINE, 15 EURO

IL GIARDINO

CHE VORREI

PONTE ALLE GRAZIE

MILANO 2015

165 PAGINE, 13 EURO

LE VIE DELL’ORTO

TERRE DI MEZZO EDITORE

MILANO 2011

181 PAGINE, 14 EURO

GIARDINO&ORTO

TERAPIA

SALANI EDITORE

MILANO 2010

125 PAGINE, 11 EURO

CONTRO IL GIARDINO

PONTE ALLE GRAZIE

MILANO 2007

159 PAGINE, 13,50 EURO

L’ORTO DI

UN PERDIGIORNO

PONTE ALLE GRAZIE

MILANO 2003

205 PAGINE, 12 EURO

L’ARCIPELAGO DI

LONGO MAÏ

BALDINI&CASTOLDI

MILANO 2000

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DIARIO DI LO

MARSILIO

VENEZIA 1995

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LA BELLEZZA

DELL’ASINO

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VENEZIA 1992

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I VECCHI CREDENTI E

L’ANTICRISTO

MARIETTI EDITORE

GENOVA 1992

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tura di crema al limone dei suoi petali mi aiuta a ri-cordarne la fragranza», allora «l’addio sarà forse piùdolce. Traendo forza dall’avere imparato ad amare,in questi anni, la vita che mi circonda».

Al giardino ancora non l’ho detto sospende il re-spiro e fa inumidire gli occhi. Diverse volte. Ne citouna, tra le tante: quando sua mamma, di cui ragaz-zina ha sempre temuto il raziocinio – «era il mondomaterno da cui, adolescente, mi sentivo minaccia -ta» – le regala per il compleanno i suoi Appunti su Ze-none di Elea. «Capisco finalmente il valore di miamadre […] Chi sa come, questo essere meraviglioso èrimasto impastoiato in difficoltà tali da impedirle dispiegare le ali, che aveva grandi». Ma il libro di Pia an-che apre alla leggerezza, come quando racconta diGiulio, il suo badantedello dello Sri Lanka, «una pre-senza benefica, non mi dà nessun fastidio, è schietto,diretto». O della sua adorata cagnolina Macchia «fa-rei di tutto per non abbandonarla». Apre al sorriso.

Come non sorridere dell’ironia con cui Pia rac-conta dei vari ciarlatani a cui si è di volta in volta af-fidata: l’elettroterapista che «accoglie i clienti conbonomia da venditore di saponette», quello che«spedisce testi di preghiere rivolte alle pietre curati-ve di cui vende i flaconi vibratori», il tedesco che«aveva girato per casa con la sua bacchetta avverten-do campi magnetici e così diceva, annullandoli». Delresto, anche se Pia vorrebbe restarsene nel suo giar-dino, «non consumarmi nella ricerca vana della cu-ra», è normale ed umano che si tenti tutto. Ma poinon riesce «a credere come un bambino cui raccon-tano di Babbo Natale. Vorrei poterlo fare? Non so. Ilmio amore per la verità è troppo grande per barat-tarlo col guadagno materiale della guarigione. So be-ne che la verità è irraggiungibile, ma questa non èuna buona ragione per inchinarsi alla scaltrezza». Ecome non sorridere quando una peraltro seria dot-toressa cinese che le fornisce erbe speciali le consi-glia di ascoltare gli Abba, per tirarsi su il morale e Piapensa a un possibile sottotitolo per il suo libro: comegli Abba ti possono salvare la vita. Riesce persino afarci sorridere della paura della morte. «Gratta grat-ta, a questo si arriva forse tutti: la paura di morire. Al-tro che preoccuparsi di cosa ne sarà del giardino.Non saremmo tutti pronti ad abbandonare i nostrigiardini al loro destino, pur di avere salva la pelle?».

È probabile. Ma forse, dopo aver letto il suo libro,riusciremo anche noi a pensarla con più leggerezza.Accompagnati dalle sue parole, che passano congrazia da Leopardi agli hamamelis, da Derek Jarmanal Dyospiroslotus, un alberello di cachi in miniatura,dal malvone appena fiorito a Puškin, da Spinoza al-l’albero di Giuda, guardando anche solo i nostri pic-coli vasi casalinghi di basilico o di semplici gerani al-la finestra, riusciremo forse a fare nostro quel ne po-nimaju, non capisco, della sua amica russa Vera. «Neponimaju è rifiuto di un intelligenza che presume diprescindere dalla bontà, dall’affetto […] è scelta dialtro capire, sete di un non sapere che è mantenere ilcuore vuoto, sgombro di cianfrusaglie, colmo solo diamore».

E per questo, abbracciarla e ringraziarla. n

P R I M O P I A N O

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Da Aristotele in poi, il pensiero si è nutritodel verde intorno a noi: lo sostiene il filo-sofo australiano Damon Young, in un vo-

lume che appare come una gradevolissima carrel-lata di esempi che dal Liceo, che sorgeva nei pres-si di ombrosi boschetti e in cui c’era anche il primoorto botanico, dove il pensatore ateniese «inse-gnava ai suoi studenti mente passeggiava lungo icolonnati, i peripatoi», a Cicerone che descriveva«la gioia particolare che gli dava osservare la cre-scita delle piante», fino ad Agostino «che si con-vertì al cristianesimo in un giardino». Young però si concentrapoi su scrittori e filosofi più vicini a noi: da Marcel Proust a Frie-drich Nietzsche, da Jean-Jacuqes Rousseau, a George Orwell,da Voltaire a Jean-Paul Sartre. Uno dei pregi di Filosofia in giar-dino è proprio questo: riconoscere che “pensare” non è un’atti-vità solo dei filosofi di professione, ma anche degli scrittori.L’altra, è che tra gli 11 profili biografici costruiti da questo par-ticolare punto di vista, ci siano tre scrittrici di cui si riconosceesplicitamente il valore di pensatrici: Jane Austen, Emily Dic-kinson e Colette. Ma anche dietro i personaggi maschili sceltidall’autore, si stagliano figure di donne di grande importanza:Virginia nel saggio su Leonard Woolf, Simone de Beauvoir die-tro quello su Jean-Paul Sartre. Young, ad esempio, ci fornisceuna visione di Jane Austen intenta a scrivere in un ritaglio ditempo: «[…] Si concentra intensamente perché non ha unostudio tranquillo tutto per sé […] Alla fine i rumori della cucina,delle pulizie e delle conversazioni hanno la meglio. Le trame ele contro-trame del romanzo si scontrano. Le pentole che urta-no e le chiacchiere della servitù le feriscono l’orecchio e gli oc-chi le bruciano. Ripone la penna nel calamaio ed esce nel giar-dino di Chawton Cottage. […] Cammina lentamente, si guardaattorno con attenzione, respira profondamente. […] Ritorna alsuo piccolo scrittoio rinfrancata […] da una piccola vacanza inmezzo agli alberi da frutto, il prato ben curato e le piante esoti-che di recente importazione».

S. Be.

DAMON YOUNG

FILOSOFIA IN GIARDINO

TRAD. DI

MARINA VITALE

ILL. DI

MARIELLA BIGLINO

IACOBELLIEDITORE

GUIDONIA-ROMA 2015

191 PAGINE, 16 EURO

Pensare all’aria aperta

pp 51-66 PPiano n115.qxp_215x300 04/02/16 09:38 Pagina 57

P R I M O -

In occasione dei trent’anni dallamorte di Elsa Morante, avvenutail 25 novembre 1985, sono statenumerosi gli articoli e le iniziativeper ricordarla, di seguito a quelli

che solo nel 2012 celebrarono i 100 annidella nascita di colei che è considerata lamaggiore scrittrice italiana del Nove-cento. Più che la maggiore, forse l’unica,se dovessimo attenerci al canone che lestorie della letteratura di eminenti stu-diosi (Ferroni, Asor Rosa) e gli interventidella critica (Garboli, Debenedetti, For-tini, Berardinelli) hanno tracciato. Mo-rante, sola o quasi, vi è rappresentata,ora per la La Storia ora, con sottile vena-tura polemica proprio nei confronti delcontroverso romanzo uscito nel 1974,per L’isola di Arturo. In una solitudineche più che sottolinearne la grandezzasembra rimarcarne la stravaganza, l’ec-cezionalità.

Lo “scrittore” Morante infatti appareamata e odiata non per l’opera in sé ma aseconda del grado di adesione al quadrodi riferimento ideologico o all’enciclope-dia del critico di turno. Non sono pochiquelli che si fermano alle prime operedella scrittrice, considerando Il mondo sal-vato dai ragazzini e, soprattutto, La Storiae l’ultimo romanzo, Aracoeli, come il se-

gno della perduta innocenza, della suaresa alla pesanteur (Simone Weil, tra lesue più sentite letture).

La varietà di strutture e di linguaggiodell’opera di Morante disorienta la criticaperché non si inquadra nella storia lette-raria italiana; Garboli sostiene di Moranteche «non si sa da dove venga», con la suaradicalità, la sua scorrettezza incendiariarispetto a qualsiasi canone.

La singolarità della sua opera sembraavere a che fare con la peculiarità del suocarattere: «netta, drastica, estrema. Me-nestrella, strafottente, saltimbanca, smar-giassa» scrive di lei Garboli, mentre Fer-roni la considera smisurata scrittrice epersona senza misura.

Insomma, a dispetto del suo desideriodi non essere discriminata in quantodonna, Morante si trova iscritta nel pan-theon in forza della sua differenza. E forseè per questa pur riconosciuta – ma im-perdonabile – differenza che l’attenzioneda parte dei critici (maschi) verso questascrittrice – le altre tutte relegate in pocherighe disattente o del tutto omesse – siferma spesso alla lettura di una singolaopera, attraverso un’operazione di taglio,espunzione, ripulitura dell’eccesso; at-traverso una sorta di normalizzazione.

O forse, per restituire a tutta l’opera

Una raccolta di saggi che ribalta la vulgata critica

sull’opera morantiana proponendo un nuovo prezioso

sguardo sulla sua poetica e il suo pensiero

DI ELVIRA FEDERICI

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morantiana l’unitarietà che la caratterizzac’era bisogno di tempo e dell’avvento diun altro sguardo. Perché vista dagli occhidella critica maschile, autoconvocatosi adefinire il canone, Morante è un unicume un’anomalia. Nello sguardo della criticafemminile invece, Morante abita un uni-verso in cui non rappresenta più un’ecce-zionalità, una stravaganza. Ce lo ricordaGiuliana Misserville nell’intenso saggioche apre Morante la luminosa, il lavorocollettivo (con contributi di Graziella Ber-nabò, Maria Rosa Cutrufelli, Simona DiBucci Felicetti, Laura Fortini, Maria In-versi, Dacia Maraini, Giuliana Missser-ville, Stefania Parigi, Bia Sarasini, NadiaSetti, Elena Stancanelli, Maria VittoriaTessitore, Maria Vittoria Vittori) da leistessa curato insieme a Laura Fortini eNadia Setti.

Semmai, potremmo aggiungere, Mo-rante abita un mondo popolato di Imper-donabili. Imperdonabile è l’attributo inu-sitato e calzante che Cristina Campoannette a «colui che si dimostra attento,senza batter ciglia, alle sole realtà desti-nate al poeta: la gloria e lo scempio dellacreatura perfetta, la definita ironia dellapolvere. Un ballo, una stella,una morte,un cespuglio di sorbo». In questa defini-zione di Cristina Campo, non pensata

Quella luce cheemana dalla

scrittura

Elsa Morante

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P R I M O P I A N O E L S A M O R A N T E

certo per Morante, ritroviamo – serendi-pità oppure segno di un’intensa e segretarelazione che regna nella scrittura delledonne? – una delle chiavi di lettura sug-gerite, qui da Giuliana Misserville, in Mo-rante la luminosa: «Morante scrive dellavita mettendo in gioco tutto quanto lavita le mette a disposizione, fa parlare icorpi, muovendo a un coinvolgimento to-tale di chi legge. E questa capacità di at-traversare ogni inferno in un’ansiaestrema di vita e di amore, che fa di Mo-rante una scrittrice luminosa, capace diparlare a tutti e per tutti».

La luminosità di Morante sta nella suaintransigente fede nella realtà, cui di-chiara essere votato lo scrittore, il poeta;cui non si sottrae neppure di fronte alsenso di disgregazione e di irrealtà (vedi ilsaggio Pro o contro la bomba atomica)che i tempi mettono a disposizione, nep-pure di fronte al suo stesso decadimento.«Avere fede nella realtà di qualcosa, an-corché non constatabile né dimostrabile,significa accordare a questa una certaquantità di attenzione» (Simone Weil).

Ed è l’attenzione, che Morante applicaagli ultimi, alle creature piccole spazzatedalla Storia, ai ragazzini, agli idioti: por elanalfabeto a quien escribo (dedica ne LaStoria). La realtà spetta dunque ai F. P. (Fe-lici Pochi), ai ragazzini, innocenti dellaloro stessa bellezza, capaci, direbbe Cri-stina Campo, della sprezzatura: «una spe-cie di trasognata noncuranza nata dallagrazia». Presidiano l’integrità della realtàcoloro che sono immuni dall’«eserciziodel potere, che è un vizio degradante, ca-pace di rendere ciechi di fronte alla re-

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Elsa Morante

altà» rileva Elena Stancanelli in un altrointenso saggio di Morante la luminosa. IF.P della Canzone, il Pazzariello, la pic-cola Antigone “ciociara” della Serata a Co-lono non sono distanti dagli operai diWeil, dai Minimi di Ortese (folletti, uccel-lini, iguana, bestie angelo), dagli animalimuti di Lispector, dalla capra dal viso se-mita di Saba (il poeta di tutta la vita, scrivedi lui Morante).

La scrittura è l’impegno estremo versola realtà ma l’integrità di quest’ultima stanel sentire dei corpi, con la loro pesan-tezza e il dolore che sono in grado di sop-portare e la scrittura stessa è il corpo at-traversato dalla gioia, dall’allegria, daldolore, dalla malattia, che «come unflusso luminoso funge da contrappuntoalla tragedia » scrive Nadia Setti.

Il volume Morante la luminosa cui,grazie all’impegno della Società Italianadelle Letterate, hanno concorso nume-rose saggiste e anche due scrittrici “lau-reate” come Dacia Maraini ed Elena Stan-canelli, è tra quei libri preziosi che sonocapaci di dare conto di quello che è acca-duto nella lettura, nella ricerca, nella sto-ria di questi anni attraversati dal femmi-nismo: in esso brilla la novità di unosguardo differente che permette di vederealtro e di più su Morante e tutta la suaopera.

Vi troviamo la composizione della ce-sura pretestuosa individuata da più di uncritico tra la prima e la seconda Morante;vi troviamo, per quanto implicitamente, ilriverbero di altre scritture di donne,donne la cui coesistenza e incidenza in unanalogo contesto storico e culturale non

è stata rilevata dalla criticamaschile, troppo occupata aseparare o a costruire genea-logie e tradizioni solo per gliscrittori o forse ignorante diquanto stava avvenendo nelvasto universo della scritturafemminile. Sono quindi ledonne, saggiste o romanziere,che sembrano in grado dislargare i riferimenti attra-verso cui leggere la singola-rità di Morante, di ricostruire un’altra pos-sibile interpretazione attraverso unatessitura in absentia: con Antonia Pozzi,Silvia Plath, Amelia Rosselli, Ingeborg Ba-chmann per la biografa Gabriella Ber-nabò; con Deledda, Ortese in primo luogoe poi Banti, Romano, Ginzburg per DaciaMaraini; Simone Weil, di cui solo recen-temente si è scoperta l’intensa frequen-tazione di Morante, per Bia Sarasini maanche con le chiavi di lettura messe a di-sposizione retroattivamente da Luce Iri-garay e Hélène Cixoux, per Nadia Setti (oda Cristina Campo per la redattrice diquesta recensione).

In Morante la luminosa non solo sco-priamo altro della grande scrittrice maanche molto del punto di vista da cuiun’opera di tale complessità può essereletta. Un diverso è più ricco apparato divoci, una moltiplicazione di richiami chepermettono il riconoscimento di unflusso luminoso di pensiero e di scritturache attraversa la letteratura a firma fem-minile, dove ogni unicità dichiara il suodebito con il corpo, la grazia, il senso ne-cessario del legame. n

AA.VV.

MORANTE

LA LUMINOSA

A CURA DI

LAURA FORTINI

GIULIANA MISSERVILLE

NADIA SETTI

IACOBELLI EDITORE

ROMA 2015

210 PAGINE, 14,90 EURO

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P R I M O P I A N O

La prima a venirmi incontro,delle due debuttanti in que-stione, è stata Virginia DellaTorre, di anni 17, che un annoabbondante prima, nei suoi

16 anni, ha composto un romanzo, Ciò cheresta di noi, sorprendente. La storia di unamore impossibile che va oltre ogni sha-kespeariana immaginazione, superandopersino il classico, ormai, Romeo e Giu-lietta. E che nel tessuto della scrittura rie-sce a incorporare le radici diaristiche delromanzo moderno, le risorse del roman-zo epistolare (classico e nuovo), e le virtùellittiche della poesia metafisica di JohnDonne. Pertanto questo romanzo è la di-mostrazione che T. S. Eliot aveva ragione:ogni nuovo autore nell’atto di scrivere en-tra in magico contatto con la tradizione;si connette con tutte le opere e gli autoridel mondo, che li conosca o no; entra cioènel tessuto, anzi nel grande fiume dellanarrazione. È la scrittura a intermediareil contatto l’interazione l’osmosi.

Dunque questa nuova autrice racco-glie il testimone con plastico gesto arti-

stico-sportivo e si volge versol’avvenire: nel presente ese-gue una rotazione che la por-ta a rilanciare con la propriaopera, a protendersi come unponte verso tutta la scritturache ancora verrà.

Virginia Della Torre, licea-le, per ovvie ragioni anagrafi-che non può avere già un ba-gaglio tale di studi e lettureche possa giustificare una si-mile conoscenza della vita edella letteratura, una similesapienza tecnica, una simile

capacità di “stare dentro la scrittura”.Nella “Nota” che apre il libro, l’autrice ciparla dell’immagine primaria che ha ge-nerato il romanzo: un grande albero,«possente e florido», rassicurante, con-templato nel parco dell’istituzione mani-comiale romana, Santa Maria della Pietà(chiuso gradualmente entro il 2000 a di-spetto della Legge 180, la Legge Basaglia,che prescriveva la chiusura dei manico-mi già dal 1978: i fatti narrati dal roman-zo sono situati tra l’86 e l’87). A partire daquesta “visione” precisa (ecco un aggetti-vo ricorrente nel dettato del romanzo),Della Torre dichiara di aver avuto una “il-luminazione”. Quel luogo, visitato dal-l’autrice un giorno, avrebbe dovuto de-starle terrore, paura, perlomeno ango-scia, invece in lei ha prevalso un senso dirassicurazione, che le proveniva dall’al-bero, robusto longevo e protettivo, e dal-lo sguardo di sua madre. In un primomomento cioè l’autrice non riesce a“sentire” tutta la vita che è passata di lì. Eanche se è già stata “visitata” dai suoi duepersonaggi (Camilla e Alessandro), provala vertigine della “pagina bianca”. Poi simette in ascolto e riesce non solo a inter-cettare tutto il dolore e la sofferenza el’assurdo che hanno riempito quel teatrodi violenza e crudeltà e rabbia, ma pro-prio lì, proprio nel manicomio, riesce a“vedere”, e costruisce, un teatro d’amore.

I due attori di questo teatro sono: Ca-milla, epilettica, ricoverata temporanea-mente a soli 14 anni, e Alessandro, orfa-no, solo al mondo, per questa ragione,come spesso capitava, rinchiuso in ma-nicomio a soli 8 anni e ora alle soglie del18° anno, cioè della maggior età che po-trebbe aprirgli le porte della libertà pur-

VIRGINIA DELLA TORRE

CIÒ CHE RESTA DI NOI

CREATESPACE

INDEPENDENT

PUBLISHING PLATFORM

AMAZON.IT

PAGINE 331, 9,87 EURO

E-BOOK 2,99

CAROLINA GERMINI

DILLO CON UN FIORE

ROMA, TEATRO ANTIGONE

DICEMBRE 2015

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ché qualcuno nel mondo là fuori pro-metta di prenderlo con sé e accudirlo,occuparsene. Alessandro, dotato per ildisegno, sua vera arma di comunicazio-ne, pensa a sé stesso come a un’aquila,fiera e possente, ed è intenzionato a spic-care il volo. Il suo resoconto dell’amoreclandestino con Camilla nel contestoconcentrazionario del manicomio è resonarrativamente ex post, mentre da Ca-milla otteniamo il diario contestuale del-la loro rivoluzionaria vicenda.

Dunque leggiamo su una doppia trac-cia, in modalità binaria, la memoria, laricostruzione e la testimonianza del loroamore proibito, ma il romanzo aggiungela funzione di edificare, cioè di costruiredal nulla, una storia esemplare che co-niuga queste due esistenze: da questoprende vita una speranza che nei fatticrudi del manicomio non c’è – dunqueVirginia Della Torre ha dato voce a unasperanza paradossale finora inedita. Inquesto romanzo-romanzo, da autriceconsumata (a dispetto della assoluta ver-ginità di debuttante) Virginia Della Torreha trovato uno stile, una voce, una formaromanzesca, una lingua sapiente, oltreche le proprie “controfigure letterarie”. Equesta, care e cari, È LETTERATURA.

Con simile autenticità e audacia dadebuttante, Carolina Germini (22 anni,“studente in filosofia” per dirlo con leparole di Ivan Graziani) ha scritto unapièce, Dillo con un fiore, che utilizza ilmetodo del mosaico incastrando una se-rie di quadri rapidi e surreali, ed ha lachiave di raccordo proprio nel ruolo diCecilia, che Carolina Germini ha rita-gliato per sé. Cecilia è una giovanissimafiglia, creatura aperta e desiderosa di vi-

Le DebuttantiUna scrittrice 17enne e una

drammaturga 22enne producono

testi che entrano autorevolmente

nel grande fiume della narrazione

DI DANIELA MATRÒNOLA

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V I R G I N I A D E L L A T O R R E E C A R O L I N A G E R M I N I P R I M O P I A N O

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ogni caso trattasi di legame lento, resoancor più lasco da una remota idea dimare, o di scantonamento. La portieras’accascia mentre la fioraia «ha sempreuna parola buona per tutti», e con il lin-guaggio dei fiori prova a fornire chiavidi comportamento e di identificazione.In questa direzione è figura significati-va il pittore che ritraendo Mme Pochet-te rende sulla tela il ritratto di Cecilia,figlia negata. Alla fine, paradossalmen-te, il personaggio più realistico è la car-tomante, rediviva Mme Sosostris (Eliotancora) che mente come respira e consfacciata spudoratezza. È proprio leiche “legge” e divina il destino di tuttisemplicemente parlando per enigmiapparenti e dopotutto dando in pasto atutti ciò che ciascuno desidera sentirsiraccontare: echeggia a volte la sua ag-ghiacciante risata. È la controparteideale di Cecilia, figlia rifiutata che tor-na al mare, che si abbandona all’acquache la ingoia, rinnovando il chiaro sim-bolo woolfiano dell’acqua come liqui-do amniotico, e del mare come grembomaterno – al punto che, ex post, “sen-tiamo” che questa figlia potrebbe nonessere veramente mai nata: non è statarigettata “dopo”, proprio non è riuscitaa conquistare la nascita, a connetterebiologicamente i propri genitori in unautentico concepimento.

La dissolvenza tra un quadro e l’altroè sempre siglata da una canzonetta“classica”, che fa da cerniera e cesura ag-guantando di volta in volta un bandoloanche tenue di corrispondenze liriche otematiche.

I temi in ballo sono tutti forti, e il cli-max del rifiuto della figlia, per interiezio-

ni molto plastiche e fisiche, è moltodrammatico – sembra di rivivere speciein un passaggio preciso certi momenti diAnna dei miracoli. Ma il tono generaledella pièce è leggera, a volte buffo quan-do è davvero surreale, e persino comiconei passaggi più spiazzanti rispetto alsenso comune. Persino Cecilia, in appa-renza, è come le altre svampita.

Carolina Germini, di Dillo con un fio-re (che ha tenuto il cartellone del TeatroAntigone per alcune sere di fila, a RomaTestaccio), di questa pièce e della suamessinscena è responsabile totale: è au-trice del testo, ha creato la Compagniadegli Intronati, ha curato la regia e otte-nuto il totale affidamento degli attori(chi sa di teatro conosce il senso dell’“af-fidamento” dell’attore al regista, quasiuna professione di fede).

Anche nel caso di Carolina Germini edella sua pièce, l’opera è un rilancio.Non solo si è riconnessa a tutta una tra-dizione, lontana e recente, incluse leavanguardie novecentesche che noi or-mai assaporiamo come brodo classico (ilsurrealismo l’assurdo la rabbia la violen-za la crudeltà) ma ha trovato una voceplurale e una modalità corale (sganghe-rata in apparenza e invece perfettamen-te confluente nel risultato) per aggiorna-re il mito umano, e render conto del no-stro bla bla muto-autistico, attuale for-ma rilevabile di noi “umanità liquida”(per la gioia di Zygmunt Bauman e sottosotto anche di Marc Augé) ma per nientesdilinquita, al punto che non riusciremomai a sostituire il perdono (che già ci vie-ne difficile) con l’auspicata e ben più pe-requativa riconciliazione, suggerita daHannah Arendt. n

vere, di esserci, d’essere riconosciuta.Perché il problema al cuore di Dillo conun fiore, commedia leggera e profonda,è l’identità – anzi meglio l’identificazio-ne, la riconoscibilità, tra smemoratezzae speranza di lucidità, tra sbadataggine epoca vocazione alla (auto)consapevo-lezza (ecco T. S. Eliot che si ripresenta).Madame Pochette, donna minuta e ele-gante che richiama certe figure femmi-nili sperse nei desolati ritratti d’Americadi Edward Hopper, e il signor Filo, figliodi una sarta, e filosofo di ascendenzaleibniziana dunque piuttosto portato arestare una monade ( i genitori a quantopare di Cecilia), si sono incontrati e han-no flirtato a suo tempo per caso, anzi anaso, attraverso schermaglie da far invi-dia a certi duologhi del teatro dell’assur-do, da Osborne a Pinter a Jonesco a Bec-kett. Il giorno del matrimonio, al mo-mento del fatidico sì, Mme Pochette(che invece della borsetta porta un cap-pellino a calotta) pronuncia un «Ve -diamo» – risposta possibilista, battutaspiazzante.

Come sappiamo, Ulisse, viaggiatoreper punizione divina nel poema omeri-co, già era stato declassato da Joyce avanesio e pubblicitario, ansioso di rien-trare nel ruolo di padre trovandosi unnuovo Telemaco: qui Ulisse è viaggiato-re sì, ma è anche uno smemorato, op-pure, a piacere, è un cane smarrito. Pe-nelope giura, «Io ti troverò», mentre di-pana un gomitolo, novella Arianna, o fabolle di sapone, ma l’Ulisse che cercaalla fine è il cane che non torna o unmarito partito? Non lo aspetta, lo vuoletrovare. E il gomitolo potrebbe assurge-re a simbolo di guinzaglio o laccio. In

Compagnia degli intronati: a sinistra e nella pagina a fianco Carolina Germini, a destra Virginia della Torre

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P R I M O P I A N O E L I Z A B E T H J A N E H O W A R D

C’è un particolare tipo dinostalgia – un rimpiantoche si ammanta, sebbe-ne non sempre opportu-nisticamente o consa-

pevolmente, di critica sociale – che ha unceppo robusto nella narrativa britannica: ilbel tempo che fu, quello dell’Impero certo,ma anche – soprattutto direi – quello dellatradizione riconosciuta e raccontata cometipicamente british, dove anche i residui in-sopportabilmente vittoriani – patriarchi ti-rannici ma saggi, zitelle attempate noio-sissime eppure capaci quando necessario,mariti fedifraghi e allo stesso tempo forte-mente attaccati alla famiglia, servitù sfian-cata dalla fatica ma fedele e così via – si com-pongono in grandiosi scenari, preferibil-mente familiari. La molla – il trigger – del-la narrazione è il declino irreversibile, ine-vitabilmente malinconico: pensate al serialtelevisivo Downton Abbey (dal 2010, 6 sta-gioni) – un successo mondiale – e prima an-cora all’incomparabile Gosford Parkdi Ro-bert Altman (2001): entrambi “inventano”

mondi fittizi che quella tradi-zione la riproducono raffor-zandola, suscitando quel mi-scuglio specifico di fascino eriprovazione che ha come ele-mento dinamico l’ipocrisia diabitudini, convenzioni, com-portamenti e differenze di clas-se mascherate dalla cortesiaformale, relazioni che hanno ache fare con i sentimenti, certo,

ma anche, moltissimo, con il denaro. Giu-sto per sottolineare la consistenza del tema,tra alto e basso del campo narrativo, nel fi-lone potremmo includere alcuni romanzi diVirginia Woolf – La signora Dalloway, Gitaal faroma anche Tra un atto e l’altro – e ilmagnifico Il libro dei bambini di AntoniaByatt (2009) che al pari di Woolf coglie l’in-combenza della “guerra” – la prima guerramondiale nel suo caso – come elemento sca-tenante.

Ebbene, è in questo filone che si collocala “Saga dei Cazalet”, di cui l’editore Fazi haappena pubblicato il primo volume: Gli annidella leggerezza (promettendo gli altri quat-tro). La lunga narrazione di Elizabeth JaneHoward parte dall’estate del 1937, quantola famiglia Cazalet – ricchi mercanti di le-gname – si trova riunita nella casa di cam-pagna per le vacanze: il patriarca William èuna figura archetipica, sua moglie Kitty hatutti i pregi e difetti di una buona moglie vit-toriana. Ci sono tre figli maschi – i primi duehanno combattuto nella prima guerra mon-diale, il terzo – vedovo e risposato con unagiovane bellissima ma priva di cervello – ri-schia di essere arruolato nella seconda. Cisono le loro mogli e 8 bambini. E c’è l’al-truista Rachel, unica figlia di Will e Kitty, chenon si è voluta sposare e su cui di conse-guenza ricadono le mille incombenze dicura e presenza che una grande famiglia ri-chiede. E c’è la servitù: cuoche, cameriere,autisti, giardinieri, stallieri, bambinaie. Unafolla di personaggi (e per fortuna, all’inizioc’è un albero genealogico e un elenco dei

nomi di servi e padroni diviso per nuclei fa-migliari!) per una narrazione di ampio re-spiro che mette al centro le dinamichecomplesse di una famiglia in cui le vite pri-vate sono inestricabilmente connesse conil lavoro nell’azienda di famiglia che dà davivere a tutti.

La Howard riesce a mettere in luce sia irapporti interni alle coppie, sia i difficili pas-saggi d’età dei più giovani, bambini e ragazziche cercano di diventare grandi tra i moltisilenzi degli adulti. E le figure dei “servi”, conla loro gerarchia interna: la cuoca che regnain cucina, lo stalliere in conflitto con l’au-tista di auto che sostituiranno sempre di piùi cavalli, il giardiniere che produce ortaggie fiori che vincono immancabilmente ipremi delle fiere locali, la governante, le ca-meriere, l’insegnante privata delle ragazze,figura patetica di vecchia zitella che vive unavita di stenti ma sa donare cultura e inco-raggiamento a fanciulle che mai frequen-teranno l’università . Una narrazione flui-da e appassionante che si divide in due par-ti: nella prima sono raccontati gli anni del-la leggerezza, quelli in cui sembra che nul-la debba davvero cambiare; la seconda –l’estate successiva, quella del 1938 – in cuil’incombere della guerra allarga lo scenarioalla grande Storia in cui si muove il primoministro Chamberlain nel tentativo di strin-gere un accordo con la Germania di Hitlerper evitare il conflitto. Il primo volumedella Saga si chiude così: nell’illusione cheil trattato anglo-tedesco regga davvero e chela guerra alla fine non scoppi.

Immaginiamo che gli altri volumi ter-ranno saldi i fili che costituiscono l’orditodella complessa storia, seguendo i tradi-menti del bell’Edward e i tormenti di suamoglie, l’amicizia lesbica di Rachel con Sid(che è per metà ebrea), il destino dei ragazziche non sono ancora uomini e donne maper i quali la guerra, inevitabilmente, trac-cerà un percorso di vita che non sarà quel-lo cui sembravano destinati. n

Una grandefamiglia sull’orlodella crisi

L’appassionante saga dei Cazalet racconta

le storie di un complesso gruppo di personaggi

alla vigilia della seconda guerra mondiale

DI ANNA MARIA CRISPINO

ELIZABETH J. HOWARD

GLI ANNI DELLA

LEGGEREZZA

TRAD. DI

MANUELA

FRANCESCON

FAZI, ROMA 2015

606 PAGINE, 18,50 EURO

E-BOOK 12,99 EURO

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Elizabeth Jane Howard

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M I G R A Z I O N IP R I M O P I A N O

Ogni anno cresce il numerodegli italiani che fanno levalige e si trasferiscono al-l’estero: è questo ormai undato acquisito intorno al

quale le cifre si susseguano e non sempreconcordano. Ad emigrare sono in parti-colare persone tra i 20 ed i 45 anni, alla ri-cerca di adeguate opportunità che l’Italiapurtroppo non riesce a offrire. Secondo idati offerti da una delle indagini più re-centi promossa dall’Istituto Toniolo (incollaborazione con l’Università Cattoli-ca), quest’anno, per la prima volta, lamaggioranza dei giovani italiani, oltre il61%, è pronta ad emigrare all’estero percercare lavoro. E non parliamo solo dilaureati in fuga, come spesso appare nelquadro usualmente fornito nei mass-media; la propensione ad andarsene èsentita in tutte le categorie e a tutti i livel-li di istruzione.

Essere cervelli in fuga è un problema opuò anche diventare un fattore positivo,un vantaggio? È una domanda che sicu-ramente si sono posti tre giovani repor-ter, Martino Migli, Gabriele Sansini,Francesco Taranto, noti a un pubblico digiovanissimi come conduttori di un pro-gramma radiofonico in onda su RTL102.5. Cervellini in fuga: questo il titolodel programma che presenta in direttatestimonianze di giovani italiani emigra-ti all’estero per lavoro, provenienti daquasi tutte le regioni d’Italia, pronti a ri-spondere alle domande degli intervista-

tori. Il successo arriso alla trasmissioneha invogliato gli organizzatori a fare dipiù. Hanno voluto affidare alla paginascritta i nomi degli intervistati, associarea ciascuno la propria storia; sicuramentelimare, ridurre e condensare, “le più bel-le storie” in cui si sono imbattuti per con-ferire loro una ricchezza di senso che su-pera di gran lunga la comunicazione ora-le, l’immediatezza dei tempi radiofonici.Ne è nato un lavoro a più mani, confluitoin un libro che porta il titolo dell’omoni-mo format radiofonico.

Viaggi e destini si sfiorano in questo li-bro seguendo le tracce non casuali di unabussola: quella posseduta dagli autori, fi-gure fuori dagli schemi tradizionali, vocinarranti di queste storie ma anche viag-giatori lungo rotte prestabilite che li por-tano ad incrociare le strade dei loro in-tervistati.

Nulla a che vedere, dunque, con lefiammate improvvise. Si tratta di appun-tamenti fissati ma resta intatta quella cheè l’essenza più bella del viaggiare: «cono-scersi per poi incontrarsi, forse, di nuo-vo...». Se dunque il viaggio è l’elementoportante del testo, sono le storie dei sin-goli a occupare la scena, sostenute dauna prosa leggera e colloquiale, senzascomodare politologi o psicologi ma pro-vando semplicemente ad ascoltare “icervellini” secondo modalità di approc-cio che variano da persona a persona.

A Parigi come a Creta, a Saigon e poi an-cora a Melbourne, Porlamar, Kabul, i no-stri autori non si confrontano con le ari-de cifre delle statistiche ma con uomini edonne in “carne ed ossa”: Alessandro «hala stazza di uno che sa arrangiarsi in si-tuazioni estreme [...] la sua stretta di ma-no è quella di uno che non ama perdersiin convenevoli»; Samantha «un concen-trato di energia e battute pronte, accom-pagnate da un capello riccio e rosso»;Gianluca «alto, folti capelli scuri [...] conil sorriso sempre stampato».

Aprono una finestra sul mondo le lorostorie: un mondo in cui l’ordinario si al-terna all’eccezionale secondo numeroseangolazioni. Con Elena, Francesca, Ros-sana, Alessia, Samantha, Paola non siparla certo di “fiori d’arancio” né di inter-venti di chirurgia estetica quanto piutto-sto di curricula affollati da elenchi di varilavori, di difficoltà incontrate nell’usodella lingua, nel rapporto con gli “altri”.«Si parte sempre con l’idea di essere a ca-sa propria, invece non è così e bisognaimparare a comportarsi in modo da esse-re accettati», afferma Francesca che ge-stisce a Creta un ben avviatoB&B. Le fa eco Samantha cheè stata venditrice di perle, piz-zaiola, crespellara, prima diconseguire un dottorato di ri-cerca alla Columbia Universi-ty e lavorare per la Mount Si-nai School of Medicine nelsettore della statistica. E se

Se la voglia, o lanecessità, è quella

di andarseneSempre di più i giovani disposti a partire per re-invertarsi

una vita altrove: 18 testimonianze di “cervellini” e “cervelline”

in fuga dall’Italia

DI JOLANDA LECCESE

MARTINO MIGLI

GABRIELE SANSINI

FRANCESCO TARANTO

CERVELLINI IN FUGA

MONDADORI

MILANO 2015

156 PAGINE, 16.90 EURO

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P R I M O P I A N O

Alessia, ricercatrice nell’ambito dellabioenergetica mitocondriale presso l’U -niversità di Philadelphia, è orgogliosa diaffermare che la sua è stata una liberascelta e non accetta l’etichetta di “italia-na scappata”, Rossana da Bari, vulcano-loga presso l’Università di Città del Mes-sico, potrebbe essere definita come ap-partenente alla categoria “no change”per aver trovato difficoltà ad entrare co-me ricercatrice presso l’Università di Na-poli.

«Se mi dicono che non posso fare unacosa, faccio vedere subito che inveceposso» afferma con orgoglio Francesca,ora controllore di volo nell’aeroporto diMiami (3000 voli al giorno), dopo averprestato servizio nella Marina MilitareAmericana. Orgoglio, insieme a ottimi-smo e simpatia contagiosa, sono le qua-lità precipue di Paola da Messina che sioccupa di traduzione e redazione di arti-coli per una casa editrice a Parigi (c’è an-che un’altra Paola a Parigi, ormai affer-mata nella sua attività di “facilitatrice divita”).

Confesso di aver fatto una lettura par-tigiana del libro. Ho letto subito le testi-monianze delle “cervelline” ed in tutte hotrovato non solo il coraggio di cambiare,la voglia di lavorare, ma anche una gran-de capacità di contenere le emozioni, so-prattutto quando parlano dell’Italia lon-tana, di non abbandonarsi a quella emo-tività debordante cui tanta Tv vuole abi-tuarci. Belle e interessanti le loro storiema non sono da meno quelle di Alessan-dro, video-giornalista, grande estimatoredi Herzog, che ha vissuto per tre anni aKabul come corrispondente di guerraper conto della NATO; o quelle di Andreache dirige, a Saigon, uno studio fotografi-co cui ha affiancato, recentemente, unaattività casearia; o quella di Mario, parti-to dalla Sardegna pensando alla vita mo-nastica e finito a Mosca ad occuparsi dimercato immobiliare.

Sono diciotto le storie che riguardanoquesta “consistente percentuale minori-taria” per usare una bella definizione cheappare nella postfazione di Gino e Mi-chele. Il lettore ha l’occasione di con-frontarsi, sia pure per rapidi riferimenti,con altre culture, con altri sistemi di vita.Ma, alla fine, restano in primo piano levicende dei protagonisti che ti si aggan-ciano addosso. Tante quanti sono i luo-ghi, tante quanti gli umori, i ritratti deiprotagonisti che restano nella mente eche spingono a continuare la lettura dialtre storie ed ancora storie. n

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C’è, nelle storie raccontate da Michela Murgia, un desi-derio pressante di andare al cuore delle relazioni, manon per cercare di svelarne i meccanismi più segreti,quanto piuttosto per saggiarne l’irriducibilità a ogniunivoca e pronta comprensione. La comprensione,

seppur ci sarà, arriverà per gradi e per lente stratificazioni poiché «nontutte le cose si ascoltano per capirle subito», secondo l’intuizione dellapiccola Maria, una delle protagoniste di Accabadora. Se già non era fa-cile, in quel romanzo, penetrare nel mistero della relazione tra Tzia Bo-naria e Maria, è ancor più complicato inoltrarsi in quel labirinto di mi-steriosi impulsi, attrazioni e più o meno fondate motivazioni, costituitodal rapporto tra Eleonora, trentottenne attrice di teatro, e Chirù. Questodiciottenne violinista, dalla bellezza trascurata e però evidente, dotatodi grande sensibilità e pari sfrontatezza, al tempo stesso ferito e irriden-te, possiede tutte le caratteristiche per far breccia nell’immaginario col-lettivo e visto che tale immaginario oggi ha le sembianze dei social, nonstupisce che, contestualmente all’uscita del libro, la scrittrice lo abbiadotato di un profilo Facebook: Chirù Casti, personaggio inventato.

Ma al di là di questa modalità comunicativa – che pure, va detto, hariscosso grande successo – quello che interessa nel romanzo è, come siaccennava, il complicato pas à deux che si intreccia tra lui e Eleonora. È

Andareal cuoredellerelazioniLa manipolazione di emozioni

e sentimenti è un fantasma felpato

e inquietante che segna la relazione tra

i protagonisti di Chirù, l’ultimo romanzo

della scrittrice

DI MARIA VITTORIA VITTORI

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la scena si sposta agevolmente da unaCagliari culturalmente aperta e vivace auna Stoccolma che elude i luoghi co-muni, da una Praga teatro di rivelazioniall’atmosfera romana propiziatrice diambiguità. E l’oscura ritualità che pre-siedeva alle trame relazionali e alle sta-zioni fondamentali della vita dei perso-naggi – il rito della nascita, della prepa-razione delle nozze, del parto, dellamorte – è qui risolta in modalità razio-nalmente dispiegate e pienamentespendibili in società, come le articolatee affilate lezioni di gusto e di stile, di in-telligenza relazionale e di comporta-mento sociale che Eleonora disinvolta-mente impartisce a Chirù.

Che sarà pure impetuoso e talvoltaun po’ grezzo ma conosce bene il suoinnato capitale di seduttività: cosicchéil rapporto fra i due è da subito ambiguoe da subito è difficile capire, per en-trambi (ma ancor di più per Eleonorache avverte in lui il suo stesso «odore dicose marcite»), dove inizia il gioco delraffinamento delle consapevolezze in-tellettuali e relazionali e dove quello delreciproco controllo e della dipendenzaemotiva.

Risorta dal vissuto familiare di en-trambi – più fresco quello di Chirù, conmadre asserragliata nel suo ruolo e pa-

dre farmacista dalle false certezze; piùantico e doloroso quello di Eleonora – lamanipolazione di emozioni e senti-menti è un fantasma felpato e inquie-tante che s’aggira in tutte le stanze dellaloro relazione.

Certamente questo romanzo di Mi-chela Murgia racconta una storia intri-gante, con protagonisti così incisiva-mente delineati da incidersi nella me-moria, e con sviluppi inaspettati, dovu-ti all’entrata in scena di un terzo perso-naggio che riesce ad allacciare conEleonora un legame di solidarietà fino-ra a lei sconosciuto; eppure io credo chela sua qualità migliore – “croco perduto”in mezzo al polveroso prato di una nar-rativa che produce buone trame maracconta in modo piatto – risieda nellascrittura. E più precisamente, in quelfuoco segreto e paradossale che stadentro la scrittura di Michela Murgia:una logica affilata, un linguaggio terso erigoroso, e sempre musicale nel ritmo,applicati all’intreccio delle emozioni,dei sentimenti e delle falsemotivazioni. Con l’ironicaconsapevolezza che per certigrovigli non può esistere lo-gica sufficiente, come attestala spiazzante conclusionedel romanzo. n

P R I M O P I A N O M I C H E L A M U R G I A

MICHELA MURGIA

CHIRÙ

ENAUDI, TORINO 2015

192 PAGINE, 18,50 EURO

E-BOOK 9,99 EURO

proprio lei a narrare in prima persona: unpresente di attrice che le regala soddi-sfazioni e nuove consapevolezze, un pas-sato familiare scandito da incompren-sioni e violenze che torna periodica-mente a tormentarla e che lei il più del-le volte riesce a imbrigliare nella tramanetta delle sue meditate rielaborazioni.

Né pienamente figlia – perché non èmai riuscita a sentirsi tale – né minima-mente materna – anche se forse neavrebbe il desiderio – e neppure inse-gnante nei modi canonici, Eleonora hascelto per sé una strada insolita e ri-schiosa, quella di affiancare adolescen-ti nel loro percorso verso la maturità ar-tistica ed esistenziale. Così è accadutocon Teo, «che possedeva la spinta di unafreccia già scoccata», con Alessandroche aveva dentro «mille porte spalanca-te»; ma il rapporto con Nin, il più genia-le e il più fragile, che ha in sé qualcosa di«esageratamente esposto», è ancorauna ferita aperta nell’interiorità di Eleo-nora. Ed è forse nella scelta di queste re-lazioni che è possibile riconoscereun’eco di quell’affiliazione che occupa-va il centro della scena in Accabadora:un legame di segrete affinità che scaval-ca le ragioni del sangue.

Ma qui si è ben distanti dall’arcaicomondo contadino e pastorale di Soreni;

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Michela Murgia

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La storia di Cesare della Valle,duca di Ventignano, che Giu-liano Capecelatro ci raccontacon la consueta maestria edeleganza di scrittura in Le cor-

na del duca, ha come motivazione più im-mediata quella di ricostruire la vicenda diuno dei più noti “jettatori” della Storia, resocelebre da Alexandre Dumas. Ma manmano che si va avanti nella lettura, quel-lo che si percepisce – e che appassiona –è che l’autore ha trovato ancora una vol-ta – come già nelle sue monografie sulPrincipe di San Severo (Un sole nel labi-rinto, 2000) e su Caravaggio (Tutti i mieipeccati sono mortali, 2003) – una forma ori-ginale e propria per raccontare un secolodi Storia, dalla fine del Settecento al-l’Unità d’Italia, dalla prospettiva di una cit-tà, Napoli, determinante per gli esiti di quel

processo. Non solo perché lacapitale del Regno dei Borbo-ni era allora una delle città piùimportanti d’Europa, ma per-ché vi si legge in filigrana ilgioco complesso delle conti-nuità e delle rotture – sociali,politiche e culturali – che han-

no accompagnato il farsi e disfarsi degli as-setti di potere, e le sue conseguenze per ilPaese unificato sotto i Savoia.

Capecelatro non esita a calarsi nei pan-ni del suo Duca, ad assumerne il punto divista, nel ricostruire le prime avvisaglie diquella “sinistra fama” che lo avrebbe ac-compagnato per tutta la vita. Cesare del-la Valle è un convinto conservatore, credefermamente nel diritto divino dei sovrania governare e nella sacralità del corpo delRe e svolge quindi diligentemente il suomodesto incarico a corte – censore dei te-sti delle opere per il Teatro San Carlo.Ovunque vada però la gente – gli aristo-cratici e i lazzaroni – si “toccano” per sca-ramanzia, e fanno con le mani il tipico ge-sto delle corna: a lui, ai suoi potenti occhimalefici, vengono attribuiti gli eventi ca-tastrofici più disparati, dalle disgrazie fa-miliari agli incidenti pubblici, compresol’incendio del Teatro, l’attentato al Re e per-sino la fine del Regno.

La storia prende l’avvio una notte nelsontuoso palazzo rosso pompeiano deiVentignano, che si protende come la pruadi una grossa nave sul dedalo di vicoli dovesi ammassa la plebe cenciosa – quel “po-

polo” che, com’è noto, convive gomito a go-mito con l’aristocrazia napoletana occu-pando tutti gli interstizi che la disordina-ta urbanista cittadina lascia liberi. Il ducaè ormai novantenne, è ora che faccia un bi-lancio della sua lunga vita ma non è, comevorrebbe, la razionalità a guidarlo: gli ap-pare infatti un mostruoso fanciullo dal sor-riso osceno, che gli parla, irridente e irri-spettoso, con un pesante accento napole-tano: è o’monaciello, e sarà con lui, volen-te o nolente, che Cesare della Valle riper-correrà a ritroso le tappe di una vicendapersonale e pubblica.

Cambiare, per il duca, è sempre stato ar-duo: non riesce a pensare la sua città sen-za la guida del sovrano cui è fedelissimo,ma persino adattarsi al ridimensiona-mento delle parrucche gli riesce difficile.Non coglie, il duca, che il mutamento ècontinuo e inarrestabile, anche se tutta lasua vita è stata punteggiata da cambia-menti bruschi e spesso tragici: la morte delfratello cui il titolo era destinato, quella delpadre che certo non lo preferiva, quello del-la moglie che pure aveva amato. Osserva lerivolte che si susseguono nella città con losguardo di chi ha la certezza che tutto pri-ma o poi tornerà nel suo ordine “naturale”,vale a dire in quell’unica forma che gli sem-bra voluta da un Dio cui spesso si rivolgedopo aver molto peccato.

La scrittura di Capecelatro, dentro un’ar-chitettura narrativa complessa ma del tut-to leggibile come un palinsesto accurato,è sontuosa al limite della ricercatezza,frutto – mi pare – di una ricerca linguisti-ca che eviti l’usura delle parole cui i newmedia ci hanno tristemente abituati/e, eanimata al suo interno dalla ricchezza diun’altra lingua, il napoletano, colto e po-polare, di cui ricalca la musicalità internain un’accuratezza descrittiva che ci resti-tuisce una città allo stesso tempo solare enotturna, ambigua e sfacciata nella sua bel-lezza e nelle sue brutture. L’ineliminabilecontiguità, anche fisica, tra aristocrazia eplebe, nobili e straccioni, signori e servi,crea qui una sorta di doppio registro chedescrive ben più di una cartografia socia-le: siamo di fronte alla sapiente messa inscena di una complessità sul piano sim-bolico che esclude ogni semplificazione bi-naria, ogni facile lettura di un conflitto diclasse spesso interpretato come motoredella Storia. Molte e potenti sono le forzein campo a determinare quei cambia-menti che Cesare della Valle, duca di Ven-tignano, consapevolmente combatté pertutta la sua vita. O di cui invece, sebbeneinconsapevolmente, fu anche causa conl’immensa potenza dei suoi “occhi”? n

P R I M O P I A N O

Uno sguardomicidialeDove, se non a Napoli, poteva aver vissuto il più

noto “jettatore” della Storia? Tra corna e

scongiuri, catastrofi e rivoluzioni, la vita del duca

di Ventignano si snoda nel tempo del “secolo

lungo” che disfece l’ordine dell’Ancien Régime

europeo DI ANNA MARIA CRISPINO

GIULIANO

CAPECELATRO

LE CORNA DEL DUCA

IL SAGGIATORE

MILANO 2015

294 PAGINE, 17 EURO

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G I U L I A N O C A P E C E L A T R O

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PINK LADY è il soprannome con cui il ventenne Marco chiama scherzosa-mente la diciassettenne Anna, la quale in realtà appare più come uno spi-noso istrice che come la mela croccante e dolce a cui il nome si riferisce. Daquanto tuttavia veniamo a sapere della sua vita comprendiamo che qual-che ragione lei pure ce l’ha. Prima di tutto Anna, che racconta inprima persona, è reduce da un terribile lutto che l’ha prostrata:la morte per incidente delle giovanissima sorella. Da allora i suoigenitori sembrano non accorgersi più di lei e, per sovrappiù, han-no deciso di piantare baracca e burattini e di trasferirsi da Mila-no a un oscuro e afoso paesello di provincia, Belmonte, dove lamadre, architetta, spera di ricominciare a vivere ristrutturandouna vecchia villa in disuso da decenni. Ce n’è abbastanza di chesentirsi affranta e rabbiosa per cui è meglio restare «Zitta. Im-permeabile. Insensibile. Così si sopravvive» (p. 49). Anna ci rac-conta dunque in prima persona la sua storia e confessa tutte lesue difficoltà, dal rifiuto della nuova casa, della nuova scuola, dei nuovi com-pagni, dei suoi stessi genitori fino a una sorta di processo autodistruttivoa base di piercing e tatuaggi di cui peraltro nessuno sembra accorgersi, va-nificando quella che vorrebbe essere una protesta. Fa di tutto, Anna, pur dicercare di soffocare la terribile sofferenza che la piega ma, nonostante la suacostanza nel rendersi sgradevole, trova sul suo cammino una serie di cir-costanze favorevoli. Per prima cosa alcuni coetanei, “angeli custodi” in-consapevoli, che la circondano di attenzioni e, per seconda, una sorte distoria parallela che scoprirà proprio tra le mura di quella nuova abitazio-ne inizialmente tanto aborrita. Sarà l’occasione per capire una cosa moltoimportante e cioè che purtroppo non si può cambiare ciò che è successo,ma è necessario, pur senza dimenticare, andare avanti e vivere pienamen-te il futuro che è lì dietro l’angolo. Dulcis in fundo l’innamoramento per Mar-co «Molto alto. Molto bello». Sarà soprattutto questo a schiudere il suo cuo-re contratto e a farle tornare la voglia di vivere. Questa storia, che potreb-be inizialmente rattristarci e indurci a leggere altro, dipana invece, con unascrittura scorrevole e ironica, la quotidianità di una vicenda esistenziale ap-parentemente compromessa da un tragico evento e da una crisi di cresci-ta, incanalandola in una visione che prelude a una vita familiare classica ecristianamente “giusta”. Evidentemente l’autrice, al suo primo romanzo, sabene interpretare l’animo giovanile che ha modo di conoscere nella sua du-plice veste di insegnante e di madre e riesce perciò a utilizzare la sua espe-rienza, la sua passione per la scrittura e forse anche qualche nota auto-biografica per confezionare una bella storia, adatta soprattutto a un pub-blico di giovanissimi lettori che potranno riconoscersi in molte delle insi-curezze e dei tormenti di cui soffre la protagonista.

Anna Mainardi

• DI GRANDE FORMATO VERTICALE il cartonato di EricPuybaret che punta tutto sulle immagini per rac-contare una storia lieve e quasi poetica. Nella cit-tà d Maranabò tutti devono dotarsi di trampoli per-ché le case sono costruite sull’acqua ma Leopoldoha i trampoli talmente alti da stare sempre Con latesta tra le nuvole. Se ne sta lassù tra le nuvole e nonsi accorge di chi lo chiama da sotto per chiedergliaiuto quando durante la Grande Festa tutta la le-gna preparata per accendere il grande falò cade nel-l’acqua e si bagna irrimediabilmente. Grande è losconcerto, perché senza il falò la festa proprio nonpuò andare avanti. Ma quando tutti sono appenatornati a casa, si sente un odore di legna che arde:è Leopoldo, che ha sacrificato i suoi altissimi tram-poli per il falò e ora cammina come tutti gli altri ap-pena sopra la superficie delle acque. (testo italia-no di Anselmo Roveda, Edt/Giralangolo, Torino2015, 15 euro)

• MA CHE BELLA IDEA ispirarsi all’opera di Boccac-cio per questo Decamerino! Guia Risari – con le il-lustrazioni di Elisa Macellari – costruisce la corni-ce delle narrazioni intorno a un gruppo di bambi-ni che hanno capito una cosa essenziale: «Gliadulti non erano perfetti» e quindi poteva accade-re che si distraessero. E loro, in 10, ne avevano ap-profittato per scappare dalla scuola, salire di cor-sa sulla collinetta, mettersi seduti in cerchio e co-minciare a raccontare. Tutti si erano impegnati adinventare storie originali e, nel corso della giorna-ta, ciascuno e ciascuna racconterà la sua. Comin-cia Mario – tarchiato, grassoccio e con la erre mo-scia – con la storia del Principe Gandolfo, che ave-va tante virtù e un solo difetto: mangiava in modoesagerato tutto quello che riusciva a trovare. Di-vorato tutto ciò che c’era di commestibile nel Re-gno, lasciando i sudditi affamati e macilenti, la si-tuazione rischiava di precipitare… E poi c’è lastoria di Valeria – piccola e bionda ma in realtà unvero maschiaccio – che racconta del paese di Ar-cicavolo dove si rifugiano un sacco di pirati e dovevive la potente Capitan Eola; e quella di Carolina –tanto simile a una gatta con quegli occhi verdi – chenientedimeno è la vera storia della Terra di Mezzo!E così, via, 10 storie di 10 piccoli grandi narratoriche sarà un piacere leggere ma anche ascoltare let-ti ad alta voce. (Primi Junior, Oscar Mondadori, Mi-lano 2015, 9,50 euro, e-book 4,99 euro)

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L’amoresalvatutto

BENEDETTA

BONFIGLIOLI

PINK LADY

ED. SAN PAOLO

CINISELLO

BALSAMO (MI)

[2012] 2014

149 PAGINE, 14 EURO

E-BOOK 5,99 EURO

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Si è molto parlato negli ulti-mi tempi di morte dellapoesia, commentando la

chiusura – reale o solo ventilata –di alcune storiche collane e rivisteitaliane. Anche gli spazi dedicati aipoeti/e nei giornali e nei media sisono molto ridotti e l’interessedel pubblico si direbbe assai af-fievolito. In realtà basta spostarsidalle grandi alle piccole case edi-trici e dalle pagine culturali deiquotidiani alla rete per trovarsi difronte a una situazione radical-mente diversa: ogni anno in Italiaviene pubblicata una quantità ele-vatissima di libri di poesia, e si notaanche on-line e sui social net-work una crescente presenza di te-sti poetici in siti, blog, riviste, pre-mi. In questa situazione (disper-siva? caotica? vitale?), dato anchel’alto numero – forse la prevalen-za – di libri scritti da donne, èriaffiorato il dibattito sulla poesiafemminile: al tema è dedicato ilnumero di dicembre di VersanteRipido, fanzine «a uscita più omeno mensile per la diffusionedella buona poesia». Scorrendogli interventi delle autrici, tuttimolto interessanti e vari, accom-pagnati da testi creativi e intervi-ste, ciò che subito colpisce è il ten-tativo di aggiornare la riflessionenata con il femminismo degli anniSettanta, rapportandola ai muta-menti intervenuti negli ultimi tem-pi. Ne affiora l’idea di un soggettopoetico femminile metamorfico,aperto al divenire, capace di usci-re dalle tematiche autoreferen-ziali per “indagare il reale”, anchemettendosi in discussione, e so-prattutto deciso a non farsi rin-chiudere in nuovi ghetti. Già l’edi-toriale di Marinella Polidori, Ledonne non scrivono molto bene,vuole essere una utile “provoca-zione”: riprendendo il filo di filo-sofe e linguiste come Luce Irigaray,Julia Kristeva, Hélène Cixous, Ca-

rol Gilligan e Adriana Cavarero, esviluppandone le premesse, Poli-dori nota come la poesia delledonne in Italia oggi rischi di «ri-manere invischiata nel caos post-patriarcale e neoliberale» e quin-di di restare confinata nella sfera diun appartato godimento, anzichédi misurarsi, in quanto conoscen-za, con l’interpretazione del pre-sente. Rischio potenziato da unacondizione che vede le donne pe-nalizzate rispetto agli uomini nel-le sedi con maggiore potere deci-sionale, come le redazioni deigiornali e delle case editrici. AnnaLombardo sottolinea poi nel suointervento come l’emancipazionenon abbia eliminato nelle donneil senso di colpa per il tempo sot-tratto con la scrittura ai doveri fa-miliari e abbia provocato, oltre auna loro ridotta coscienza pro-fessionale, anche senso di inade-guatezza e a volte autoemargina-zione: «Killing the Angel in theHouse» raccomanda l’autrice ri-ferendosi a The Angel in the Hou-se di Virginia Woolf. Quanto allacontroversa definizione di poesiafemminile, Francesca del Mororitiene che «sia da respingere nel-la misura in cui ruota intorno adalcuni stereotipi (primato del sen-timento sulla ragione, dell’espe-rienza personale sull’universalità,del contenuto sulla forma)… mache resti opportuno portare avan-ti un discorso sulle tematiche di ge-nere». Occorre però avere il co-raggio anche di «puntare il faro»contro se stesse. Infine Roberta Si-reno, riprendendo la critica control’Umanesimo condotta da MichelFoucault e il concetto di “postu-mano” di Rosi Braidotti, parla di un“divenire-donna” che «supera idualismi di mascolinità/femmi-nilità per una visione più estesa, vi-talista e trasversale di soggetto», ca-pace di trasformare la scrittura in«forza nomade e trasversale». n

I N / V E R S I letture

MARILENA MENICUCCI

LA DOMENICA DELLE DONNE

MUGNANO

ANNI CINQUANTA-SESSANTA

ED. FUTURA PRO LOCO MUGNANO

PERUGIA 2013

162 PAGINE, 15 EURO

Ci sono memorie sto-riche e memoriecronachistiche, me-

morie vissute nella carnee memorie rievocate nel-lo spirito, memorie con-

crete e memorie poetiche, me-morie sognate o desiderate. Diquesto intreccio, quasi una telasulla quale si incrociano imma-gini realistiche e suggestioni, èintessuto La domenica delledonne, libro nel quale MarilenaMenicucci racconta la vita nelsuo paese natale umbro. E se iltitolo potrebbe far pensare a unsaggio storico-antropologicosulla vita delle donne, già dal-l’introduzione l’autrice ci mettein guardia spiegando che l’ap-proccio è quello della narrazio-ne letteraria. Siamo dunque inun'altra atmosfera, quella delricordo affettuoso e partecipeper un mondo ancora contadi-no alle prese con la “rivoluzione”tra gli anni Cinquanta e Ses-santa, la prima industrializza-zione, i timidi cenni di libertà perle donne, l’inizio di un muta-mento radicale che avrebbe tra-sformato Mugnano, antico bor-go umbro sede di una impor-tante Abbazia, in quella misce-la di arcaico e moderno che se-gna tanti luoghi del nostro Pae-se. Si tratta della terza puntata diuna trilogia dedicata alla storiadi Mugnano che segue i primidue, Memorie di lavoro e di vita

Tra arcaico

moderno

A CURA DIMARIA CLELIACARDONA

SULLA POESIA “FEMMINILE”

La poesia femminile, Versante ripido n.11/dicembre 2015– www.versanteripido.it –

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lettureletturelettureee La colonia. Ci sarebbe dachiedersi perché, nel raccon-tare le donne di Mugnano, laloro vita sacrificata, i sogniperduti o mai sognati, l’autri-ce abbia abbandonato il cam-po dell’inchiesta e si sia la-sciata andare alla narrazionelibera, alla suggestione. Forseperché l’inchiesta non lasciaspazio per i sentimenti, per lerievocazioni che danno colo-re ai ricordi. Ne scaturisce unlibro poetico e pieno di calore,soprattutto nella ricostruzionedella vita quotidiana che cam-bia rapidamente negli annidel boom. Arriva la prima te-levisione ed è subito scompa-ginamento di abitudini, luoghidi riunione, desideri. Arrivanole prime fabbriche, muta ilpaesaggio esteriore e interio-re secondo quei modi che chiè nato nel dopoguerra o pocodopo ha sperimentato su di sé.Ma la parte centrale del libroè dedicato allaDomenica del-le donne.Perché la domenica?Perché a Mugnano, paese in-triso di religiosità – ma certonon solo lì – la domenica eraun tempo dove per una voltaa settimana le donne avevanodiritto a una pausa sia purepiccola, a un luogo e un tem-po tutto per sé. Meno di un’oranel corso della quale l’unicaautorità che aveva valore eraquella di Dio trasmessa dalprete. Che era la chiesa, lamessa mattutina. Il tempo do-menicale di Mugnano erascandito dal rintocco dellecampane. Le prime della do-menica chiamavano a raccol-ta le donne, le massaie, perusare un termine ormai in di-suso. La prima messa era perloro, la seconda per le nonnecon i nipotini, la terza per tut-ti gli altri, uomini e giovanot-ti e ragazze. Era l’ora deglisguardi furtivi e civettuoli, diincontri neppure tanto na-scosti. Ma l’attenzione, il ri-cordo di Menicucci prende ilvolo nel raccontare il modo incui le donne di Mugnano at-traversavano le varie fasi del-la Messa. Un rito liberatorio in

La voce vespertinadelle madri

EDNA O’BRIEN

LA LUCE DELLA SERA

TRAD. DI

COSETTA CAVALLANTE

ELLIOT, ROMA 2015

332 PAGINE, 17,50 EURO

Di storie incentrate sulrapporto madre/fi-glia ce ne sono tante,

ma una rappresentazione co-sì viva, articolata e multifor-me come quella che ne dà Ed-na O’Brien in questo che è ilsuo ultimo romanzo pubbli-cato in Italia, La luce della se-ra, è veramente cosa rara epreziosa. È la varietà delleprospettive che incanta inquesto romanzo, e provocastruggimento: le voci narrantisi alternano a comporre unagenealogia di madri – Bridget,Dilly, Eleanora – che non sisono mai trovate troppo benené tra loro né con la loro ma-drepatria, l’Irlanda, e che tut-tavia non potrebbero maiconcepire una possibile defi-nitiva separazione. La vocesolitaria e vespertina dellemadri – avverte l’autrice nelprologo – è la voce di chi sabenissimo, per esperienza,che «non è colpa nostra sepiangiamo così, ma è colpadella natura che prima ciriempie e poi ci lascia vuote»,eppure l’esperienza del dolo-re sofferto non impedisce diprovocarne altro. Così ancheDilly, madre di Eleanora – tra-sparenti controfigure dell’au-trice e di sua madre, che poiincontreremo con i loro verinomi e le loro storie in Coun-try girl, l’autobiografia scrittaa distanza di qualche anno daquesto romanzo – recupera invecchiaia, nella stanza d’o -spedale in cui è ricoverata, ciòche ha riempito il suo animoda giovane: i sogni di evasio-ne, la fuga dall’Irlanda, l’ecci-

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cui tutto contribuiva a farlesentire finalmente libere dalgiogo della fatica e del ruolosottomesso. Sono pagine dislancio mistico che seguono imomenti della messa comealtrettanti passaggi catartici.«Solo a messa potevano staresedute e partecipare ad unafaccenda a loro familiare, si-mile a un pranzo; era l’unicopasto dove venivano serviteda un uomo, diversamente dacasa, dove gli uomini e i vecchisi sedevano tranquillamentea tavola, sicuri d’essere servitida donne, che di fatto rima-nevano in piedi». Menicuccireinterpreta in modo sugge-stivo (ma quanto realistico?) ilsimbolico della messa, unmodo che affascina anche lateologa Cettina Militello laquale, nell’introduzione, dopoaver sottolineato l’originalitàdella rievocazione di Meni-cucci aggiunge: «Ecco, lo spa-zio religioso, quello che oggi ledonne rivendicano altrimenti,appare felice e fruttuoso, pa-cificato e rappacificante, gra-tificante, spazio “proprio”, sen-za bisogno di ulteriori aggetti-vazioni. Certo alla nostra sen-sibilità d’oggi non basta. Ri-proporlo non può giustificarela marginalità complice cheha avallato e incentivato, oltrela sosta consolante pure offer-ta». Quasi per ridimensionarela temperatura emotiva tocca-ta con la messa, eccoci preci-pitare nella più carnale delleesperienze, quella per prepa-rare “La coppa”, il succulentoinsaccato che utilizza tutti gliscarti del preziosissimo maia-le. Odori pungenti e indimen-ticabili che la scrittura di Me-nicucci ci restituisce quasi fi-sicamente, consegnando le ul-time pagine del libro a unanatura morta pantagruelica.Come in un trittico dove leimmagini sacre sono incorni-ciate dalla materialità dellavita quotidiana La domenicadelle donne ci racconta unmondo scomparso eppure an-cora dentro di noi.

Matilde Passa

tazione degli anni trascorsi inAmerica. E la voce, che all’ini-zio narrava in terza persona,fa presto a scivolare nella pri-ma dando espressione allagiovanissima Dilly e al suosguardo confuso, avido, im-paurito di fronte ai luoghi ealle persone. Le arrivano let-tere allarmate da sua madreBridget, ma lei non se ne pre-occupa, troppo presa dallasua nuova vita. Gli innamora-menti vaghi eppure lancinan-ti di quell’età si scavano unaloro nicchia intoccabile: ed èforse per il fatto di non essereriuscita a dimenticare, nell’ar-co di una vita densa di diffi-coltà e tribolazioni, il bel Ga-briel che l’ha abbracciata inun lontanissimo giorno di fe-sta a Coney Island, che Dilly –divenuta madre di una donnairrequieta come Elea nora –non riesce a perdonarle quelcontinuo bisogno di innamo-rarsi che si porta dentro. An-che Dilly, proprio come suamadre, trasmette le sue pre-occupazioni alla figlia lonta-na, che vive a Londra, attra-verso le lettere: lettere cheEleanora ignora o sottovaluta.E nel romanzo si apre unalunga parentesi dedicata a lei,alla sua insoddisfazione, alsuo matrimonio infelice, allasua attività di scrittrice che leprocura critiche feroci nellasua Irlanda e nella sua fami-glia di origine. E però Dilly, inqualche modo misterioso, diquesta figlia è orgogliosa el’aspetta con impazienza nel-la sua stanza d’ospedale.Eleanora non ha il tempo dirimanere, né il desiderio diconfrontarsi con lei; e a Dillyrimane tra le mani, per aspralegge del contrappasso, la pic-cola borsa di tessuto in cui lafiglia ha riposto il suo diario:un diario che inizia in modo

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DONNA FOLEY MABRY

NON AVEVO SCELTA

TRAD. DI

ENRICA FARSETTI E ANNA RICCI

NEWTON COMPTON, ROMA 2015

384 PAGINE, 12 EURO

E-BOOK 1,99 EURO

Una bellissima tremen-da storia quella diMaude, che la nipote

Donna racconta in Non avevoscelta, che forse sarebbe pia-ciuta a Frank Capra. Perché seil titolo italiano dà l’idea di

l

MIA LECOMTE

CRONACHE DA UN’IMPOSSIBILITÀ

QUARUP, PESCARA 2015

130 PAGINE, 13,90 EURO

Scorre come un torrente inpiena Cronache da unaim possibilità, primo li-

bro di narrativa di Mia Lecom-te, poetessa (ha pubblicato Ter-ra di risulta, Intanto il tempo,For the Maintenance of Lan-dscape), scrittrice di libri perbambini (Come un pesce nel di-luvio, L’altracittà), studiosa diletteratura transnazionale ita-

lofona, redattrice di varie rivi-ste letterarie e di poesia, colla-boratrice dell’edizione italianadi Le Monde diplomatique,ideatrice e membro della Com-pagnia delle Poete, compostada una ventina di poete stra-niere e italo-straniere acco-munate da una particolare sto-ria personale di migranza, chescrivono in italiano. Un tor-rente d’alta montagna con ca-scate, gorghi, rapide, dove nonè dolce naufragar ma stimo-lante di sicuro. Perché le paro-le dei dieci racconti di Mia Le-comte danno più brividi del-l’acqua gelida che scende daighiacciai: «[…] siate consape-voli delle parole», scrive in Abi-tando. «Non sono sputi infettida scagliare nel vuoto, a ca-saccio, arrotondatele, assapo-ratele e poi accompagnatele».Parole da non dire, come quel-le che non dice la protagonistade L’ospite: ha solo se stessa e«così compongo il mio nume-ro di casa». Parole tremende dichi ha scelto di lasciare la vitain InExitu: «Il mio giorno staper finire per interposta per-sona. In un bicchierino di pla-stica biodegradabile offerto dauna delle poche associazioni almondo che prevede la mortesu ordinazione, e assiste». Pa-role che sono anche speri-mentali: che cosa è vero nelracconto Costrutti? Quello cheviene detto o quello che vienepensato, messo tra parentesi?«Ero un uomo (cosiddetto) dimezza età (ora son ben oltre,un discreto tre quarti) e non eroancora riuscito a realizzare(forse soltanto sperare) nientedi quello in cui avevo creduto(o mi avevano fatto credere, èlo stesso)». Parole quasi tuttetra uomini e donne, a espri-mere ogni cosa, anche l’indi-cibile. Come arrivare ad offrireall’amato una donna, «proprioquella che lui vorrebbe, la suadonna» del racconto L’ospite,per «restituirgli la vita tramiteil femminile più generico, so-stantivo singolare, di genere.Quel femminile, senza distin-zioni, dell’insondabile ine-

una vita passiva – nell’origina-le è semplicemente Maude – lavicenda è invece quella di unadonna che attraversa il Nove-cento con una forza e una de-terminazione che nessuna ca-lamità sembra poter piegare.Una storia “grandiosa”, la defi-nisce l’autrice nella Premes-sa. Grandiosa e oscura, come levite di molte donne. Maudeha solo 14 anni quando si spo-sa: per amore certo, ma ancheperché, morti i genitori in unincendio, non c’è posto per leinella casa della sorella mag-giore Helen e di suo marito. Leiavrebbe voluto aspettare qual-che anno per finire di studiare,ma lascia che siano gli altri adecidere per lei. Siamo agli ini-zi del secolo, in un paesino diquella America rurale dove lebambine rischiano di diventa-re piccole donne ben prima diquanto sarebbe opportuno:nello stesso giorno i cui perdei genitori, la piccola si ritrova adassistere da sola al parto dellasorella. Si farà carico di Helene delle faccende domesticheper anni e poi per il resto del-la sua vita. Il matrimonio con ilgiovanissimo James sarà l’uni-co periodo davvero felice del-la sua esistenza, ma quando re-sta vedova a soli 16 anni sirimbocca le maniche e riesce aguadagnare abbastanza conlavori di cucito per mantenerese stessa e la figlia. Si sposa dinuova 10 anni dopo, avrà altri4 figli, attraverserà la prima e laseconda guerra mondiale sen-za riuscire ad evitare le deva-stanti conseguenze della Gran-de Depressione degli anniTrenta. E quando la nuora Eve-lyn abbandona il suo adoratofiglio, sarà lei a occuparsi del-la piccola Donna: nonna e ni-pote dormono insieme peranni, e Maude le racconta lasua vita che ora è diventataquesto romanzo – così simile auna commovente ballata inonore di una eroina scono-sciuta – che è arrivato ai verti-ci della classifica dei best-sel-ler negli Usa.

A.M.C.

Variabiliin amore

Storiadi Maude

crudo, come un pugno che vadritto allo stomaco: «Lei, ma-dre orfana di madre, e anch’ioero madre orfana di madre,milioni, trilioni di madri sen-za madre coi loro segreti indi-fesi». E crudamente prosegue,tra resoconti di avventureerotiche e innamoramentipiù o meno deludenti e senti-menti contrastanti, tra pietà ecrudeltà, nei confronti di suamadre. Il grande cruccio diEleanora, dopo la morte diDilly, sarà legato proprio aquesto diario, l’ultima tracciadi lei che la madre ha tenutotra le mani. Eppure, nessunacondanna: l’assoluzione ver-rà, infine, in nome del lorocondiviso intenerimento (siapur nella cristallizzata formadel ricordo) verso le lusinghedell’amore, e davanti alle piùpiccole e commoventi sugge-stioni della natura. Più che inogni altro romanzo di EdnaO’Brien, si percepisce qui intutta la sua dolorosa e talvoltainaccettabile ambivalenza ilmistero che ogni vita, anchequella che ci sembra più pros-sima e familiare, racchiudedentro di sé.

Maria Vittoria Vittori

spresso maschile. Della me-moria e dell’aspettativa». È so-prattutto quando si arriva auna certa età, ed è «da tempoche il corpo segue le proprie lo-giche, ma un tratto si fanno evi-denti, escono dalla clandesti-nità», ne Al compleanno, che leparole tra uomini e donne sifanno, se possibile, più diverse.Dice lei nella lettera al suoamore in La salvezza: «Nonpotrei fare più a meno, neppureadesso, della certezza di questanostra preghiera quotidiana,senza la quale la mia vita nondetta cesserebbe di essere, latua non ascoltata non sarebbemai stata»; mentre lui, nel rac-conto Ritorna «forse pensavache in un futuro non troppolontano avrei avuto il piacere diaiutarlo a catalogare in bel-l’ordine tutte le donne dellasua vita. […] Ci sarebbe stataanche la mia brava iscrizione,ovviamente, e avrei saputo ac-cettarla di buon grado, comeogni vera donna». Ma forse,come conclude l’ultimo rac-conto, saremmo (saremo) sta-ti «come felici, intanto». No-nostante/per tutte quelle va-riabili dell’amore che Mia Le-comte tanto bene ci fa vedereo intravedere.

Francesca Caminoli

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BEATRICE MONROY

DIDO OPERETTA POP

AVAGLIANO, ROMA 2015

262 PAGINE, 15 EURO

Con la scrittura sontuosa,immaginifica, saporitache la contraddistin-

gue, Beatrice Monroy rielabo-ra la figura di Didone in un te-sto strabiliante, una sfida post-modernista esplicita peraltrogià nel titolo: Dido operettapop. Partendo dal IV Cantodell’Eneide, Monroy compieuna vera e propria operazionedi ri-scrittura (nei modi sug-geriti da Adrienne Rich) chemescola la narrazione mitolo-gica dell’infelice regina ab-bandonata da Enea con l’epo-pea tragica dei migranti che at-traversano il Mediterraneo, latirannide di fatto che la mafiaesercita nella sua Sicilia, la vo-lontà di pace a fronte dellaperpetua belligeranza tra ma-schi, la difficoltà di reggere lasolitudine necessaria a nondare a un uomo il potere su unadonna. «Didone insiste per vo-ler essere raccontata, me lochiede» (p. 235), scrive Monroynella bellissima appendice“Viaggio intorno a Didone”che conclude il volume, dove sirintracciano i molti materialiletterari, storici, politici e im-maginari che si sono impasta-ti nella sua narrazione. Cui cisi deve abbandonare, per poimagari ritornarci, pagina perpagina. L’autrice infatti entranella storia per una porta ap-parentemente laterale: ritraeAnna, la sorella della bella Elis-sa, recente vedova di Sicheo, ree sommo sacerdote di Tiro –che il fratello ha fatto uccidereper prenderne il potere – inscarpette da tennis e I-pod concuffiette nelle orecchie, checorre per la città. Elissa ha vistoin sogno il marito, che le ha

svelato la verità sulla sua mor-te, e lei in cambio gli ha giura-to eterna fedeltà: resterà sola.È l’intelligente e indomita Annaperò il vero motore della storiaperché, bruttina e insignifi-cante – “sorcetta” – organizze-rà la fuga da Tiro convincendola riluttante sorella – che vor-rebbe starsene tranquilla nelpalazzo del cognato – a rubarei tesori de regno e andare permare a cercare un luogo dovefondare una città dell’Utopia. Ilpiano si attua nel giorno in cuia Tiro si festeggia la Dea conuna grande processione (il 15luglio, Festa di Santa Rosalia aPalermo), le due sorelle conun manipolo di altri uomini edonne, si mettono in viaggio –perché «un altro mondo è pos-sibile ma non qui» (p. 27), in-siste Anna. Ed è in questo viag-gio attraverso il Grande Mareche Elissa diventa Didone, l’er-rante. «Noi non possiamo cheessere con lei, come lei errare,nel doppio senso di avviare unpercorso e di sbagliare, vagare,ascoltare, nominare, prendere,ponderare e riconoscere», scri-ve Monroy (p. 51), quasi a se-gnare il punto di cesura da cuiindietro non si torna. La II par-te è la sfida all’incognito, cheriecheggia il ritmo narrativoomerico, del tempo in cui si sta,e si va, per mare come temposospeso, uno spazio “tra”: pas-sato e futuro, sogno e realtà. Ecosì le pagine di Monroy si po-polano di sirene e arpie, dischiave oggetto di tratta, di “ci-vili” terre di sfruttamento cui siapproda ma da cui occorre infretta ripartire. Alla fine Carta-gine viene fondata, ma arrivaEnea, che piace a tutti con isuoi cellulari ultimo modello,ma poi se ne va «bel maledu-cato, senza salutare nessuno»(p. 224) e lei, Didone si gettasulla pira ardente. Persino Mer-curio, Dio della scrittura, «nonci può credere, quella pazza siè davvero gettata nel fuococome vuole la tradizione» (p225). O forse no? «Le donne!Dondolano sull’altalena dellaloro esistenza, attorno, si aggi-

rano i maschi» (p. 239). Cado-no, da quelle altalene, e spessosi spezzano.

Anna Maria Crispino

relazione con il figlio e quellacon la figura della madre Nata-sha, amatissima anche se ves-satoria e colpevolizzante, in undoppio movimento di irriduci-bile ambivalenza. La madre èanche la terra che ha lasciato, leistraniera in Francia, che deveincontrare un amante che le èestraneo. Ma anche il figliolet-to per Katrina è uno straniero:«Ti ci devi abituare, cucciolomio, mi devi accettare, ti devoaccettare. Nemmeno io ti co-nosco, anche tu sei uno stra-niero. Lo sai? Non sei qui dasempre, come mia madre […]ho vissuto a lungo senza di te»(pp.25-26). Katrina ha osser-vato le altre madri, quelle percui il figlio diventa ragione divita, ma sa di non essere così.«Chi è la madre – si chiede – Chiè Natasha, che Katarina ha am-mantato di eternità e amatocome nessun altro al mondo?Oggi, la Madre le fa paura, ca-pisce che una madre può be-nissimo essere in errore», cidice Vorpsi. I suoi libri sono tra-dotti in 18 lingue, fotografa,pittrice Vorpsi è consideratatra le migliori autrici europee:nata in Albania nel 1968, è vis-suta a lungo (dal 1991) in Italia– dove ha pubblicato, scriven-do direttamente in italiano, Ilpaese dove non si muore mai(2005) e altri libri – dal 1997 è re-sidente in Francia: l’asciuttez-za sontuosa della sua prosa, inqualsiasi lingua scriva, ha l’af-filatura di chi ha molto pensa-to, e guardato se stessa e ilmondo con estrema attenzione.

A. M. C.

Didonerivisitata

ORNELLA VORPSI

VIAGGIO INTORNO

ALLA MADRE

TRAD. DI

GINEVRA BOMPIANI

BENEDETTA TORRANI

NOTTETEMPO, ROMA 2015

103 PAGINE, 12,50 EURO

Una scrittura vertigino-sa quella di Ornela Vor-spi in Viaggio intorno

alla madre – il suo primo libroscritto direttamente in france-se e tradotto da Ginevra Bom-piani e Benedetta Torrani inmaniera, mi pare, eccellente –vertigine che va assecondatanella lettura, perché si tienesul crinale scivoloso di un deli-rio tra il narrativo e l’autoco-scienziale, sebbene in terzapersona. Lei, Katarina, è unamadre, il suo piccolo di dueanni ha la febbre, ma nella lun-ga notte insonne che precede ilgiorno che dovrà incontrare ilsuo giovane amante, medita diimbottirlo di medicine e por-tarlo comunque al nido. Nonpuò rinunciare all’incontro conun uomo che pure mette sottoil microscopio, notandone labellezza levigata ma anche itratti di superficialità. Lei loama e lo odia al tempo stesso,eppure non può fare a meno diandare da lui, per un’ultimavolta, si dice. Perché «Katarinaha bisogno di amare e di esse-re amata da morire». Tradiredunque le è indispensabile,pur amando il marito. E nelpensiero che si aggroviglia in-torno al suo desiderio di quelcorpo giovane – lei che sente distare invecchiando – emergecontemporaneamente la sua

Chi è lamadre?

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LA NOSTRACLASSIFICADEI LIBRI PREFERITI

DASA DRNDIC

TRIESTE

BOMPIANI, MILANO 2015

445 PAGINE, 19 EURO

Libro indimenticabile, unicoper forma e contenuti, cheavrebbe meritato da noi il suc-cesso avuto negli Usa, dovel’autrice, croata, ha insegnato.Nella prima pagina, siamo nel2006, Haya Tedeschi, sola nellasua casa di Gorizia, attende il fi-glio, nato 62 anni prima dallarelazione con un ufficiale delleSS. Lui era Kurt Franz, real-mente uno dei dirigenti del la-ger di Treblinka, trasferito nel-la zona di Trieste per organiz-zare la deportazione degli ebreiitaliani e regolare i conti con laguerra partigiana. Il libro, dicela copertina, è un romanzo do-cumentario. E infatti mescolastoria e fiction, ma in quale in-credibile modo! A metà librotroverete l’elenco degli 8000nomi degli ebrei passati per laRisiera triestina di San Sabba.Poi il racconto riprende con-frammenti di interrogatori deinazisti processati dopo Norim-berga, a metà degli anni Ses-santa, per iniziativa dei tede-schi. Ma vi si raccontano conritmo infernale anche come sicomportò la Svizzera con i tre-ni di deportati; il piano nazistadi creare i bambini ariani dabionde madri scandinave, po-lacche e tedesche ingravidateda biondi soldati delle SS e l’or-ganizzazione perfetta dei bor-delli di guerra. Ma solo alla fine

scoprirete se Haya e il suo al-bero genealogico sono reali oescamotage narrativo. E avreteimparato molto della storia eu-ropea.

PETER SCHNEIDER

GLI AMORI DI MIA MADRE

L’ORMA, ROMA 2015

302 PAGINE, 16 EURO

Magnifica e perturbante storiadella madre dello scrittore te-desco da lui ricostruita conamore, sincerità e rabbia.Schneider è ormai sessantennequando si decide a fare decrit-tare un pacchetto di lettere disua madre scritte in una linguacifrata. Scopre che la giovanedonna che lo trascinava, insie-me agli altri tre fratellini, daDresda a Monaco sui treni mi-tragliati dagli alleati e affollati dimilioni di profughi tedeschistremati, affamati e in fuga,come lei, davanti all’avanzatarussa, scriveva nel contempolettere appassionate al proprioamante. Fissando, tra l’altro,appuntamenti in hotel tra ma-cerie e bombe. Ma anche almarito, direttore d’orchestradell’opera e collega del suoamante, lei scrive tenere e amo-rose missive. Il figlio, turbato, avolte scandalizzato, è stupitoper la qualità della scrittura eancor più per il coraggio el’energia. La madre, che è mor-ta poco dopo la fine della guer-ra, non ne faceva mistero colpadre, anche lui ormai morto.Peccato, perché il figlio vorreb-be ora sapere cosa pensava lui,di quel triangolo e vorrebbeanche insultare l’amante che fa-ceva soffrire la madre. E a volteanche lei, che si umilia a pre-garlo. Da non perdere.

SVETLANA ALEKSIEVIC

LA GUERRA NON HA

UNVOLTO DI DONNA

BOMPIANI, MILANO 2015

444 PAGINE, 20 EURO

L’epopea delle donne sovietichenella Seconda guerra mondiale:questo il sottotitolo del magni-fico racconto corale della scrit-trice bielorussa che ha vinto ilNobel 2015. Sette anni di lavoro,tra il 1975 e il 1982, per incon-trare e intervistare circa 500 del-le donne (allora) sovietiche cheandarono volontarie in guerradopo l’invasione di Hitler delgiugno 1941. Partirono in unmilione, determinate a fermarel’invasore, a volte erano ragazzi-ne cui furono tagliate le trecceper andare al fronte: fanti, cec-chine, infermiere, addette alla lo-gistica o alle mitragliatrici, pilo-te di aereo, autiste, non c’è ruo-lo che abbiano scartato. C’è unmodo femminile di narrare laguerra si chiede la giornalista escrittrice? Scoprirete con lei cheesiste, mentre le voci, incrocia-te mirabilmente, affiancate leune alle altre e divise per temi (ecapitoli), vi faranno scoprire unastoria che non avete mai letto.Duro ma senza alcuna esteticadella guerra e della morte.

STEPHEN KING

ONWRITING

FRASSINELLI, MILANO 2015

284 PAGINE, 20 EURO

Influenzata da Loredana Lippe-rini che lo ha prefato in questanuova edizione e che non sistanca di scriverne con entusia-smo, ho finalmente letto il ma-nuale di King, da lui stesso defi-nito nel sottotitolo “Autobiogra-fia di un mestiere”. L’attenzione

al linguaggio, le indispensabililetture, l’elenco dei ferri del me-stiere e il consiglio di stupirsi del-la vita senta temerne l’intensità:sono queste le sollecitazioni diKing ai suoi lettori che voglianoscrivere o capire come si scrive osemplicemente leggere con con-sapevolezza. Ma nel testo si tro-vano anche mille aneddoti auto-biografici sulla madre abbando-nata dal padre e da King amata estimata; sull’infanzia, l’alcool, lapaura, gli altri scrittori e scrittri-ci. Una delizia scritta da un nar-ratore eccellente.

PATRIZIA RINALDI

MA GIÀ PRIMA

DI GIUGNO

E/O, ROMA 2015

160 PAGINE, 16,50 EURO

Ena ormai anziana, è costrettaa letto: dalla sua postazione, os-serva quel che riesce ancora avedere del mondo e bistratta labadante. Nonostante tutto, èironica e coraggiosa. Con lasua penna ricca, densa, aspracome le sue donne, PatriziaRinaldi ci propone una storiache parte dall’Italia fascista,quando la madre di Ena, MariaAntonia, bella e povera, ha se-guito il marito, ufficiale e be-nestante, a Spalato. Dopo cheil poveretto viene gettato nellefoibe, Maria Antonia torna inItalia con la figlia. Assetata divita, si permette una storiascandalosa con un uomo mol-to più giovane di lei. La figlia,ormai alla fine, ripercorre ilrapporto con la madre e sem-bra capirne oggi finalmente laforza, la libertà, la determina-zione. Pagine intense della na-poletana Rinaldi che finoraaveva pubblicato esclusiva-mente gialli, tre in tutto, unomeglio dell’altro. Protagonistala poliziotto ipovedente Blan-ca Occhiuzzi. Cercateli, sempreper i tipi di e/o. Il primo si in-titola Blanca, seguono Tre, nu-mero imperfetto e Rosso caldo.Napoli fa da sfondo a storie ori-ginali e profonde che raccon-tano come è bella e difficile lavita.

T O P F I V EA CURA DI SILVIA NEONATO

Top five dei libri più venduti di domenica 31 gennaio 2016 da

1. Francesco&Tornielli, Il nome di Dio è misericordia, Piemme,15 euro

2. Nicolas Sparks, Nei tuoi occhi, Sperling&Kupfer, 19,90 euro3. Andrea Camilleri, Noli me tangere, Mondadori, 17 euro4. Fabio Volo, È tutta vita, Mondadori, 19 euro5. Paula Hawkins, La ragazza del treno, Piemme, 19,50 euro

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AMICHE DI MARY SHELLEY C/O CARLA SAGUINETI – AMEGLIA (SP)ASS.PROV. DI VITERBO “ITALIA-NICARAGUA” – TUSCANIA (VT)ASS. DONNE TERREMUTATE – L’AQUILA (AQ)MONICA BONETTI – TRAPPENKAMP (GERMANIA)ANNA BRAVO – TORINO (TO)ROSI BRESSAN – BOLZANO (BZ)FRANCESCA CAMINOLI – LUCCA (LU)FRANCESCA MARIA CASINI – FIRENZE (FI)ADRIANA CHEMELLO – VICENZA (VI)SAVERIA CHEMOTTI – PADOVA (PD)MARINA CIANETTI – ROMA (RM)ANTONIO D’ANDREA – CAPRACOTTA (IS)ROBERTA DE MARTINO – PORDENONE (PN)LUCIANA DI MAURO – ROMA (RM)SILVANA DONNO – MODUGNO (BA)BARBARA FITTIPALDI – ROMA (RM)MARIA ELENA JOLANDA LECCESE – TARANTO (TA)GIOVANNA MAJNO – MILANO (MI)CRISTINA GIUDICE – TORINO (TO)PAOLA LEONARDI – FRAMURA (SP)MARISTELLA LIPPOLIS – PESCARA (PE)LILIANA MADEO – ROMA (RM)

DONATELLA MANICARDI – VERGIATE (VA)ROBERTA MAZZANTI – FIRENZE (FI)EDDA MELON – TORINO (TO)GIULIANA MISSERVILLE – ROMA (RM)SILVIA NEONATO – CAMOGLI (GE)SILVIA RICCI LEMPEN – LAUSANNE (SVIZZERA)GIOVANNA PEZZUOLI – MILANO (MI)PAOLA PITTALIS – SASSARI (SS)SIMONA RICCIARDELLI – NAPOLI (NA)ARTURO RICCIARDI – ROMA (RM)ALESSANDRA RICCIO – NAPOLI (NA)EMMA ROLLA – ROMA (RM)MARIA ANTONIETTA SARACINO – ROMA (RM)BIA SARASINI – ROMA (RM)BIANCA TAROZZI – VENEZIA (VE)MARINA VITALE – NAPOLI (NA)GRAZIA ZUFFA – FIRENZE (FI)

LEGGENDARIE “MADRINE” 2016L’elenco dei nomi che leggete in questa pagina non ha nientea che fare con la burocrazia. Si tratta prima di tutto di un gestodi trasparenza: viviamo solo del denaro che ci arriva tramite gliabbonamenti, cui aggiungiamo molto lavoro fatto con passione

e del tutto gratuitamente dalla redazione e dalle moltecollaboratrici, giovani e diversamente giovani, appassionate come

noi. Non è retorica: non abbiamo finanziamenti di alcun tipo, népubblici né privati, né di partiti né di mecenate/i. È un piccolomiracolo, in questo Paese triste e scoraggiato. Ma pensateci:

se Leggendaria può uscire puntualmente con i suoi seinumeri l’anno è perché ci sono lettrici e (alcuni) lettori per cui

la rivista è tanto importante da scegliere di concedersi il piccololusso di investire su di lei qualcosa in più del prezzo

dell’abbonamento. Capita così che una campagna lanciata nel 2013, quelladelle “Madrine leggendarie”, mirata a finanziare il restyling del nostro sito, eche doveva concludersi a fine anno, stia continuando spontaneamente.Alcune hanno sottoscritto l’abbonamento speciale a 100 euro anche per il2016, alcune hanno fatto anche di più. Che cosa possiamo dire? Soltantograzie. Questo ci spingerà a cercare di fare sempre di più e meglio per la

nostra piccola grande impresa. Perché, ne siamo convinte, in questo Paesepiù che mai, LA CULTURA È GIÀ POLITICA.

www.leggendaria.it

Abbonamento Speciale 2016

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perativo che suona quasi comeuna preghiera per “non di-menticate”, un monito che di-viene per tutti noi un imperati-vo categorico. Al centro di que-sta quinta edizione il ruolo gio-cato dalle donne, un ruolo trop-po spesso trascurato, sottova-lutato con presenze di donne ec-cellenti: Elena Ottolenghi e Pao-la Vita Finzi, rispettivamenteclasse 1929 e 1932, la scrittricePaola Fargion e Anna Foa, unadelle maggiori storiche con-temporanee, tutte chiamate aportare la loro testimonianza, iloro ricordi, il loro pensiero. info:

www.filosofilungologlio.it

Firenze fino all’8 marzo 2016ALTRA MISURA. ARTE, FOTOGRAFIA E FEMMINISMO IN ITALIA NEGLI ANNI SETTANTAAlla galleria Frittelli Arte Con-temporanea continua con suc-cesso la mostra curata da Raf-faella Perna che raccoglie cir-ca cento opere di undici arti-ste italiane, o che lavorano sta-bilmente in Italia: Tomaso Bin-ga, Diane Bond, Lisetta Carmi,Nicole Gravier, Ketty La Rocca,Lucia Marcucci, Paola Mattio-li, Libera Mazzoleni, VeritaMonselles, Anna Oberto e Clo-ti Ricciardi.L’esposizione offre ai visitatorila riflessione sui nessi tra cor-po e identità femminile avvia-ta dalle artiste negli anni ’70,accomunate dalla scelta dellefotografia come mezzo espres-sivo capace di rappresentare leistanze del vissuto personale eintimo delle artiste.info:

055.410153

www.frittelliarte.it

Siracusamaggio-giugno 2016ELETTRA, ALCESTI, FEDRA“Una stagione all’insegna del-la donna”. Così la fondazioneINDA - Istituto Nazionale delDramma Antico - presenta lastagione teatrale del 2016 al

Roma19 febbraio 2016CRITICA, COMMENTO E PARTECIPAZIONETerzo ed ultimo incontro del ci-clo Potenziali di trasforma-zione, organizzato dall’asso-ciazione doppiozero alla SalaGraziella Lonardi Buontempodel Museo Maxxi. Artisti, gior-nalisti, critici, studiosi si sonoincontrati per analizzare comela rete sia capace oggi di offrirenuove opportunità di creazioneletteraria e artistica, di produr-re nuovi luoghi di partecipa-zione, critica e commento,esplorando le diverse forme discrittura che oggi rigenerano etrasformano lo sguardo sulmondo contemporaneo.Nel terzo incontro, dopo la ri-flessione su come costruire in-dipendenza, e sulle mosse del-le case editrici nella rete, l'at-tenzione sarà rivolta alle formedi dibattito critico attraverso lerete, di cui i blog letterari sonoprotagonisti, sul loro ruolo esulla loro influenza.info:

www.doppiozereo.com

www.fondazionemaxxi.it

Orzinuovi, Chiari, Rovato e Flero (BS) fino al 6 marzo 2016DONNE E SHOAHÈ in corso il ciclo di incontri FareMemoria sezione invernale cheanticipa il Festival Filosofi lun-go l’Oglio. La rassegna si svi-luppa in un circuito itinerante diincontri per affermare la ne-cessità del “fare memoria” per lacoscienza collettiva, per le nuo-ve generazioni, per le inevitabi-li sfide che pone l’ingresso nel-l’era della post memoria, quel-la in cui i testimoni oculari del-l’orrore se ne stanno andandouno ad uno, lasciandoci un im-

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A CURA DI GIULIA CRISPINO

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IL Comitato Promotore diBologna in Lettere ha

aperto ufficialmente il Can-tiere per la quarta edizioneche avrà luogo a Maggio del2016. Il progetto globaleconsta anche di una serie dieventi speciali di vario tipoche avranno luogo fino adaprile 2016. Per la suaquarta edizione il Festivalsarà dedicato alla figura diAmelia Rosselli. Al di là degliinviti diretti, tutti gli autoriche vorranno proporsi (persingole letture, per progettispecifici, per partecipare allaselezione delle rassegne divideo-arte e cortometraggi,ecc.) al Festival possono inol-trare richiesta

VIENNA (AUSTRIA)24 FEBBRAIO-19 GIUGNOPrima retrospettiva chel’Austria abbia mai dedi-cata al conte BalthasarKlossowski de Rola, inarte Balthus (1908-2001).La mostra è allestita alBank Austria Kunstforum(Freyung 8, 1010 Wien)

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BOLOGNA IN LETTERE

Festival Multi-disciplinare diLetteratura ContemporaneaIV EDIZIONE 2016 • Stratificazioni (arte-fatti contemporanei)

Balthus , Pazienza, 1943

BALTHUS

L’AQUILA

>> Info: www.kunstforumwien.at

Comincia ad animarsi la Casa delle Donne de L’Aquila, inau-gurata il 7 e 8 novembre 2015, per iniziativa di TerreMutate.Dall’11 gennaio è aperta la Biblioteca “Donatella Tellini” (già Bi-blioteca delle Donne Melusine), con i seguenti orari: lunedì 15 –19; martedì 10 -12 e 15 -19; mercoledì 10 – 12; giovedì 15 – 19;venerdì 10 -12. Nella Biblioteca, ricchissima di testi, è disponibileanche la collezione completa della nostra rivista, donata da Leg-gendaria. Da fine gennaio è on-line il sito www.laquiladonne.com,completamente rinnovato: seguitelo per carpire le iniziative chesono in cantiere, di TerreMutate, della Biblioteca e del Centro An-tiviolenza pure presente nella struttura. Navigatelo per segnalarcierrori o dimenticanze, specialmente nelle pagine “La nostra sto-ria”, “La nostra rete di sostegno”, “Staffette”, “Adesioni”. CONTINUATE A SOSTENERE LA CASA DELLE DONNE ALLA PAGINA “SOSTIENICI” SEGUITE LA PAGINA FB TERREMUTATE E L’ACCOUNT TWITTER #TERREMUTATE

>> Info: [email protected]

TERREMUTATE

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Teatro Greco di Siracusa. Quel-lo del 2016 sarà il 52° ciclo del-le rappresentazioni classiche, lecui date di apertura e chiusu-ra saranno rispettivamente il13 maggio e il 26 giugno. An-che questo nuovo ciclo di spet-tacoli sarà caratterizzato dallapresenza di tre tragedie e que-st’anno le rappresentazioniscelte saranno l’Elettra di So-focle, l’Alcesti di Euripide e laFedra di Seneca.Da sottolineare che mentre iltesto di Sofocle era già statomesso in scena nel 1956, nel1970 e nel 1990 e quello euri-pideo nel 1992, la Fedra sene-chiana rappresenta una novi-tà che andrà anche in tournée– dopo Siracusa – nei più im-portanti teatri antichi. Elettra eAlcesti verranno rappresenta-te dal 13 maggio al 19 giugnomentre Fedra verrà messa inscena dal 23 al 26 giugno.Fonte:

catania.liveuniversity.it

Bra (Cuneo)28 maggio-18 giugno 2016PRIMA BIENNALE DELLA CREATIVITÀ AL FEMMINILEArte contemporanea e arti ap-plicate, al femminile: saràun’esposizione completamen-te dedicata al talento delle don-ne la “W.A.B – Women Art Bra”,prima “Biennale della creativi-tà al femminile”. L’evento, or-ganizzato dal Comune di Bra incollaborazione con la Consul-ta Pari Opportunità è in pro-gramma negli spazi del Movi-centro, vuole rendere omaggioall’arte proposta dalle donne,in ogni sua sfaccettatura. Po-tranno così candidarsi tramiteil bando di selezione le artisteche si distinguono nella pittu-ra, nel disegno, nella scultura,nella fotografia, nel design enelle arti applicate: una solaopera potrà partecipare al con-corso – che permetterà allaprima classificata di allestireuna mostra personale nellaprestigiosa sede di Palazzo Ma-this, oltre che di aggiudicarsi iltrofeo Biennale della Creativi-

tà Femminile WAB –, mentre alMovicentro sarà possibileesporre fino a un massimo diotto opere, nell’ambito di unostand personale. Un catalogoraccoglierà i profili e le operedelle artiste partecipanti, lacui premiazione sarà a giudiziodel pubblico, che effettueràvotazioni mediante appositeschede di gradimento. Per par-tecipare alla selezione è ne-cessario inviare la documen-tazione richiesta all’[email protected] lunedì 4 aprile 2016. Laquota di iscrizione è di 30 europer chi espone una sola opera,100 euro per chi intende alle-stire uno stand personale; en-trambe le quote comprendonola partecipazione di un’opera alconcorso.info:

Il bando e il modulo di partecipazione

sono scaricabili dai siti

www.comune.bra.cn.it

www.turismoinbra.it.

Tel. 0172.430185.

Salecina (Svizzera)dal 23 al 26 giugno 2016SEMINARIO DELLE DONNE QUEER E FEMMINISTA«A tutte le ottimiste / scrittrici/ fricchettone politicanti / ci-nefile e produttrici di tutti igeneri»: era introdotto cosìtrent‘anni fa l‘invito che le or-ganizzatrici del seminario ri-volgevano alle donne che vo-levano discutere sul sistemadel lavoro, della produzione esul sessismo. Con il seminariodelle donne di giugno 2015abbiamo ripreso una tradizio-ne quasi dimenticata e l’ab-biamo fatta rivivere con suc-cesso. Invitiamo quindi per il2016 tutte le coraggiose chehanno timore e tutte le timo-rose che non vogliono arren-dersi, tutte le curiose o quellepiù ricche d’esperienza chesperano di scoprire percorsidimenticati e tutte le malmo-stose e giovani che voglionoscoprire strade mai percorse,ed anche tutte le prudenti chevogliono provare la loro capa-cità di resistenza di fronte al

nuovo, insomma tutte coloroche non si fanno chiudere incassetti e si vogliono ritrovareda qualche altra parte.Per mantenere sufficiente spa-zio per discussioni e temi ete-rogenei, lasciamo inizialmentelo specifico programma aperto.Con l’aiuto di un “open calls forworkshops” i temi concreti ver-ranno raccolti tra di voi (dea-dline a fine febbraio 2016). Ilprogramma provvisorio verràinviato a marzo 2016.Costi: la partecipazione costatra i 190 e i 256 Fr. svizzeri, inbase alla valutazione delle pro-prie disponibilità economiche.Chi ha particolari difficoltà eco-nomiche può pagare il prezzoridotto di 125 Fr. Giovani adul-ti fino a 26 anni pagano 99 Fr.Nel prezzo è compreso il semi-nario, i pernottamenti a pen-sione completa e le tasse disoggiorno. L‘eventuale pranzoal sacco non è compreso, mapuò essere acquistato a Saleci-na.Il convegno viene finanzia-to dal fondo di Salecina a favo-re dei seminari politici.Iscrizioni: su www.salecina.ch,sotto la voce “Prenotazioni”,per telefono, o per e-mail. Per informazioni su contenu-ti e suggerimenti per workshop,potete rivolgervi direttamenteal gruppo organizzatore (in te-desco, inglese, francese o ita-liano) al seguente indirizzo:[email protected]

Sono invitate tutte le donne etrans, che si vogliono occupare ditemi queer e femministi. Ci deveessere spazio e tempo per pro-muovere il dialogo e la coopera-zione superando i confini, incon-trarsi nella pluralità e scambiarsiopinioni con la massima apertu-ra e rispetto. Qual è la situazionenella molteplicità dei movimentidi donne queer e femministi?Quale sono le prospettive storichee biografiche nella teoria e nellaprassi femminista? Quale rap-porto hanno le donne queer efemministe tra loro, con la politi-ca di sinistra in generale e con Sa-lecina in particolare? Dobbiamocreare uno spazio per discutere inmodo approfondito su temi re-gionali e non, ma anche su argo-menti che riguardano singoli Pae-si e su temi specificatamente ita-liani, affinché possa aver luogouno scambio intenso con parte-cipanti di lingua tedesca e di altrelingue.Plurilinguismo: le lingue princi-pali saranno l’italiano e il tedesco.Programmiamo gli workshops intedesco, italiano e inglese. Ci sonopartecipanti che possono dare laloro disponibilità a collaboraread un programma di traduzioni edessere disponibili a tradurre du-rante gli incontri? Possiamo offri-re un pernottamento gratuito e/oun minimo di compenso. Rivol-getevi pure a noi.info:

http://www.salecina.ch

PHILADELPHIA (USA)24 FEBBRAIO - 15 MAGGIO 2016Al Philadelphia Museum of Artuna mostra che esamina il con-cetto di pop art come fenomenoglobale. Dipinti, sculture, istalla-zioni, assemblaggi, stampe efilm di 80 artisti/e tra i quali An-tônio Henrique Amaral, EvelyneAxell, Waldemar Cordeiro, Ri-chard Hamilton, Jasper Johns,Yves Klein, Claes Oldenburg, Sig-mar Polke, Martial Raysse, Ger-hard Richter, Mimmo Rotella,Ed Ruscha, Niki De Saint Phalle,Ushio Shinohara e Andy WarholEvelyne Axell, Ice cream (1964)

INTERNATIONAL POP

>> Info: philamuseum.org

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ABBONARSI È FACILISSIMO>Tramite il sito www.leggendaria.itcon sistema di pagamento Paypal>Tramite versamento in ccpostale: ilbollettino va intestato a Leggendariacc n. 95131009 >Tramite bonifico bancario IBAN:IT08W0760103200000095131009

IL 2016 È ARRIVATO, FESTEGGIATE

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E dunque, non possiamo che dire grazie a tutte e tutti gli abbonati, le lettrici e i lettori che ci hannoconsentito di arrivare a questo traguardo. Dopo i primi 10 anni in compagnia di noidonne (“cangurate”dall’allora mensile, negli anni 1987-1996), cominciammo l’avventura di andare da sole nel mondo senza“dote” (leggi soldi!), ricche solo della nostra grande determinazione, la passione e la voglia di fare dellarivista un luogo ricco, diversificato, accogliente e sapiente. Grazie al contributo gratuito e sempre assaigeneroso delle componenti della nostra redazione, e a quello attento e partecipe delle centinaia di donne – epiù di recente anche di diversi uomini - che hanno collaborato con idee, proposte, testi e recensioni.

Abbiamo avuto una cura particolare non solo per i temi che intendevamo trattare, ma anche per la qualitàdella scrittura, della grafica, delle “confezione” insomma. E, sin da subito, una consapevole attenzione afavorire il contributo di donne diverse, per saperi, collocazione politico-culturale, età. Una “miscela” cheabbiamo rimescolato ad ogni numero dei 114 che, da quell’inizio nel 1997, sono usciti regolarmente - e anchequesto non era facile né scontato non avendo una vera struttura “aziendale”.

Sembrava una scommessa impossibile, una navigazione assai perigliosa in un mare, quello della piccolaeditoria di qualità, che ha affrontato grandissime difficoltà negli ultimi anni per i noti processi diconcentrazione (della distribuzione e ultimamente anche dei marchi), per la crisi delle librerie indipendenti(assorbite dalla grandi catene), per l’aumento continuo dei costi, specie quelli continui e oramai assai gravosiper le spedizioni postali (che troviamo particolarmente disdicevoli perché penalizzano proprio le piccoleimprese indipendenti).

Ma siamo qui: Leggendaria si è rivelata una piccola creatura resistente, resiliente – finora - nel suo rialzarsidopo ogni schiaffo del vento avverso. In questi anni la rivista è cambiata insieme a tutte/i voi: numero dipagine, formato (cartaceo ed elettronico), scansione interna. Cambiamenti che hanno consentito, ci pare, diessere sempre più in sintonia con chi ci legge. E allora è a voi che ci leggete, a voi che sulla rivista scrivete, avoi che di Leggendaria siete state/i negli ultimi tre anni anche “madrine” - accettando di sottoscrivereabbonamenti “speciali” che ci aiutassero ad andare avanti - che chiediamo ancora una volta di confermarci ilvostro sostegno: abbonatevi, con una qualsiasi delle formule che vi proponiamo, regalate un annoleggendario alle persone che vi sono care – le giovani ci stanno particolarmente a cuore, fate loro un donoprezioso. Siete, lo sapete bene, la nostra unica ricchezza!

visitate il nostro sito <www.leggendaria.it> • scriveteci a <[email protected]> • seguiteci su Facebook<https:\\www.facebook.com\pages\leggendaria\192977200856327 > e Twitter <https:\\twitter.com\leggendaria>

L’abbonamento vale sempre per 6 numeri della rivista, indipendentemente dal fascicolo da cui inizia. Ci scusiamo con le abbonate straniere per l’aumento spropositato dei costi di spedizione postali. • L’abbonamento “Madrina leggendaria” 100 euro • L’abbonamento ordinario costa 50 euro• L’abbonamento speciale under-35, 38 euro • L’abbonamento in versione elettronica (PDF) 30 euro• L’abbonamento per Europa e Israele 90 euro • L’abbonamento per Americhe, Asia e Africa 100 euro• Solo fino al 31 marzo 2016, abbonamento speciale Leggendaria + quota annuale Sil 80 euro.

CON NOI I 20 ANNIDI LEGGENDARIA!

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Ancona – LaFeltrinelli Librerie – Corso Garibaldi, 35Bari – LaFeltrinelli Libri & Musica – Via Melo, 119Bologna – LaFeltrinelli Librerie – Piazza Ravegnana, 1Bologna – Libreria Delle Donne – Via San Felice, 16/ABolsena – Le Sorgenti Caffè Libreria – Via Porta Fiorentina, 1Catania – LaFeltrinelli Libri & Musica – Via Etnea, 283 / 285 / 287

(Commerciale Le Barche)Ferrara – LaFeltrinelli Librerie – Via Garibaldi, 30/AFirenze – LaFeltrinelli Librerie – Via dei Cerretani, 30/32 RFirenze – Libreria Delle Donne – Via Fiesolana, 2/BGenova – LaFeltrinelli Libri & Musica – Via Ceccardi,16-24r.Grosseto – Libreria Delle Ragazze – Via Pergolesi, 3/ALivorno – LaFeltrinelli Librerie – Via di Franco, 12Livorno – Caffè-Libreria "Le cicale operose" c.so Amedeo, 101Lucca – Libreria Luccalibri – Corso Garibaldi, 54Mestre – LaFeltrinelli Libri & Musica – Piazza XXVII Ottobre,1 (CentroMilano – LaFeltrinelli Librerie – Via Manzoni, 12Milano – LaFeltrinelli Librerie – Via Ugo Foscolo, 1/3Milano – LaFeltrinelli Libri & Musica – Corso Buenos Aires, 33/35Milano – LaFeltrinelli Libri & Musica – Piazza Piemonte, 1Milano – Libreria Delle Donne – Via Pietro Calvi, 29Milano – Libreria Popolare di V. Tadino – Via Alessadro Tadino, 18Modena – LaFeltrinelli Librerie – Via Cesare Battisti, 17Napoli – LaFeltrinelli Librerie – Via San Tommaso D’aquino, 70/76Napoli – LaFeltrinelli Libri & Musica – Via Santa Caterina a Chiaia, 23

(Angolo Piazza dei Martiri)Napoli – Libreria “Io ci sto” – Via Cimarosa, 20 (Piazza Fuga, Vomero)Padova – LaFeltrinelli Librerie – Via San Francesco, 7Padova – Libreria Delle Donne “Librati” – Via Barbarigo, 91Palermo – LaFeltrinelli Libri & Musica – Via Cavour, 133Parma – LaFeltrinelli Librerie – Strada Carlo Farini, 17Pescara – LaFeltrinelli Librerie – Via Trento (Angolo Via Milano)Pisa – LaFeltrinelli Librerie – Corso Italia, 50Pistoia – Libreria “Lo Spazio” – Via Dell’ospizio, 26/28Ravenna – LaFeltrinelli Librerie – Via Armando Diaz, 14Roma – LaFeltrinelli Librerie – Via V.E. Orlando, 78/81Roma – Libreria “Koob” – Via Luigi Poletti, 2Salerno – LaFeltrinelli Libri & Musica – Corso Vittorio Emanuele, 230Torino – LaFeltrinelli Librerie – Piazza Castello, 19Torino – Libreria “Il Ponte Sulla Dora” – Via Pisa, 46Trento – La Rivisteria – Via S. Vigilo, 23Verona – Libreria “Libre!” – Via Scrimiari, 51/B Verona – Libreria “Pagina Dodici” – Corte Sgarzerie, 6/AViterbo – Libreria “Etruria Libri” – Via Cavour, 34

ELENCO LIBRERIE CHE RIVENDONO LEGGENDARIA

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