due tombe inedite dalla necropoli del portone di volterra

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Φιλική Συναυλία Studies in Mediterranean Archaeology for Mario Benzi BAR International Series 2460 2013 Edited by Giampaolo Graziadio Riccardo Guglielmino Valeria Lenuzza Salvatore Vitale

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Φιλική Συναυλία Studies in Mediterranean

Archaeology for Mario Benzi

BAR International Series 24602013

Edited by

Giampaolo GraziadioRiccardo Guglielmino

Valeria LenuzzaSalvatore Vitale

Published by

ArchaeopressPublishers of British Archaeological ReportsGordon House276 Banbury RoadOxford OX2 [email protected]

BAR 2460

Φιλική Συναυλία: Studies in Mediterranean Archaeology for Mario Benzi

© Archaeopress and the individual authors 2013

ISBN 978 1 4073 1068 8

Articles written in English by non-native speakers were edited for language by Teresa Hancock Vitale

Printed in England by Information Press, Oxford

All BAR titles are available from:

Hadrian Books Ltd122 Banbury RoadOxfordOX2 7BPEnglandwww.hadrianbooks.co.uk

The current BAR catalogue with details of all titles in print, prices and means of payment is available free from Hadrian Books or may be downloaded from www.archaeopress.com

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DUE TOMBE INEDITE DALLA NECROPOLI DEL PORTONE DI VOLTERRA

LISA ROSSELLI

ABSTRACT Two unpublIshed ToMbs In The neCropolIs of porTone, volTerra. The Portone necropolis, located on the northern side of the Volterra plateau, is one of the largest burial grounds of the Etruscan city and shows an intensive use in particular during the Hellenistic age. This paper presents two small chamber tombs in the necropolis, which came to light by chance in 1969 along the Sant’Ottaviano route, descending from Volterra to the Era valley, and are still unpublished. Both of them yielded cremation burials belonging to members of two small families. The grave assemblages, preserved in the Museum Guarnacci, consist of alabaster and tufa urns of fine craftsmanship and typical Etruscan ceramic products dating to the second century BC.

KEYWORDS Volterra, necropolis, graves, grave assemblages.

In occasione di una recente visita al magazzino del Museo Guarnacci di Volterra ho avuto la possibilità di notare un gruppo di materiali di età ellenistica, in gran parte frammentati e lacunosi, che un biglietto allegato attribuisce a due corredi tombali recuperati nella necropoli del Portone tra il 18 e il 21 settembre 1969. La letteratura archeologica relativa alle ricerche e ai ritrovamenti effettuati in questa estesa area sepolcrale volterrana, ubicata sulla pendice settentrionale del colle fuori dalla Porta Diana, riferisce che, dopo una fervida e fruttuosissima stagione di scavi portati avanti tra Settecento e Ottocento sia da privati proprietari dei terreni che dall’Amministrazione comunale (la cronaca più completa delle indagini compiute durante tale lungo periodo, in questa come nelle altre necropoli volterrane, rimane ancora quella di Fiumi (Fiumi 1977)), non furono compiute ulteriori indagini per circa un secolo, fino ai primi anni Settanta del Novecento. In particolare, dopo gli scavi condotti tra il 1873 e il 1874 da Annibale Cinci, su incarico del Comune di Volterra, nei poderi Luoghino, Lecceto e Osteriaccia, che portarono alla scoperta di circa trenta ipogei a camera (Cinci 1874; Fiumi 1957), le esplorazioni in quest’area archeologica ripresero soltanto a partire dall’estate 1970, in occasione dei lavori di ampliamento del piano stradale della via comunale di S. Ottaviano. I lavori furono condotti sotto la supervisione di Enrico Fiumi e, pochi mesi dopo, di Mauro Cristofani per conto della Soprintendenza Archeologica della Toscana (Fiumi 1975; Cristofani 1973).

In realtà già nell’anno precedente, a seguito di segnalazioni di scavi clandestini nella zona detta La Chiusa del Portone, l’intervento di Enrico Fiumi aveva portato all’individuazione e al successivo scavo di due ipogei di età ellenistica, al cui interno furono ritrovati pochi materiali in frammenti. Che si tratti esattamente dei materiali attualmente conservati in uno degli armadi del magazzino del Museo Guarnacci, con generica provenienza dal Portone, è confermato da una comunicazione scritta il giorno 18 settembre 1969 da Enrico Fiumi al Soprintendente di allora Guglielmo Maetzke: ‘Mi pregio riferire alla S.Vs. che da sopralluogo effettuato ieri, mi sono reso conto che nella necropoli del Portone, in località Chiusa erano in corso saggi di scavo ad opera di clandestini. Il proprietario

del terreno ed i contadini (la casa colonica è distante) sono persone al di fuori di ogni sospetto. Sono immediatamente intervenuto, inviando sul posto tre scavatori di mia piena fiducia, per esplorare il costone e togliere, almeno in quella zona, ogni possibilità di scavo clandestino..Prego la Tenenza dei CC, cui la presente è diretta per conoscenza, di predisporre, se possibile, qualche ricognizione notturna nelle zone di Badia, dei Marmini ed alla Chiusa al Portone, sotto l’Osteriaccia, nei giorni che seguiranno lo scavo di questo Museo’.1

La Chiusa del Portone è un lembo di terreno affacciato sulla Valle di Sotto e costituito da una serie di terrazzi pianeggianti lievemente digradanti verso NE, sul lato sinistro della via di S. Ottaviano, immediatamente dopo la curva dell’Osteriaccia [Figura 1]. Si tratta di un fondo che è stato ampiamente scavato in maniera incontrollata nei secoli scorsi dai proprietari dei poderi limitrofi (Bardini, Taddei, solo per fare alcuni nomi) e che nel luglio 1970, durante le accurate indagini di Fiumi, ha restituito tre ipogei a camera di età ellenistica: la Tomba 1 fu trovata vuota, mentre le Tombe 2 e 4, a sepoltura multipla, corrispondenti rispettivamente alle Tombe XII e XIII edite nel primo volume del Corpus delle Urne Volterrane, furono trovate inviolate.2 La Tomba 4, conosciuta come ‘Tomba Pineschi’, è attualmente esposta al secondo piano del Museo, sala 37 (Cateni 2004: 114-115).

A queste occorrenze vengono ad aggiungersi ora i dati relativi ai due ipogei scavati nel settembre 1969, denominati Tombe A e B. Nonostante la completa assenza di notizie sul tipo di strutture tombali nelle quali erano stati deposti i corredi recuperati, possiamo immaginare che si trattasse, anche in questo caso, di piccoli ipogei a camera o nicchiotti scavati nel tenero calcare volterrano, ciascuno contenente le sepolture di più componenti di un nucleo familiare. Per quanto i materiali recuperati siano

1  Lettera conservata nell’Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Anni 1961-1970, Posizione 9 Pisa 7, fascicolo ‘Volterra Varia’, prot. 3275 del 18/9/1969. 2  Comunicazione conservata nell’Archivio Storico della Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Anni 1971-1980, Pos. 9 Pisa 5, fascicolo ‘Volterra Varia’, prot. 2211 del 13/7/1970.

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alquanto frammentati e, in alcuni casi, in un precario stato di conservazione,3 nondimeno possono offrire qualche informazioni sul rituale di sepoltura e sulla tipologia dei corredi.

3  Solo una parte dei materiali elencati presenta una sigla di inventario, gli altri vengono qui indicati con la formula ‘non inv’.

toMBA A, portone (scavo 18-21/9/69)

Urne cinerarie- Due frammenti di cassa di alabastro [Figura 2]Non inv. Lungh. cornice 20cm circa, lungh. cassa 30cm.Si conserva un frammento di cornice ricomposto e integrato, che presenta un kymation ionico, due fasce oblique, dentelli, perle e un fregio di foglie. Sul secondo frammento, non contiguo ma pertinente al medesimo

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rilievo, sono rappresentati tre personaggi recumbenti su klinai. La figura sulla destra, maschile e barbata, ha il braccio destro mutilo e indossa un chitone cinto in vita e un himation che scende dalla spalla sinistra a formare un ampio sinus sul ventre. Gli altri due personaggi, acefali ma con ogni probabilità maschili, sono entrambi appoggiati su doppio cuscino, indossano un chitone privo di cintura e un himation e compiono il medesimo gesto di tenere

entrambe le mani posate sul rotolo della stoffa del mantello, adagiato sul ventre. Nonostante l’esigua porzione di rilievo conservato, la rappresentazione è riferibile ad una scena di convito, che trova una replica puntuale nell’Urna 484 del Museo Guarnacci (Brunn e Körte 1890: 226), altrettanto lacunosa [Figura 3]. Tra gli altri esemplari che recano lo stesso soggetto, ma con alcune varianti, si possono annoverare l’Urna Guarnacci 196 (Brunn e Körte

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1890: CII, 5), l’Urna 1906-XII dall’ipogeo di Morrona (Brunn e Körte 1890: 227-228; Bonamici 1984: 84) e la 78478 proveniente dalla Tomba Inghirami (Cristofani 1975b: 86-87): in questi ultimi casi tuttavia i personaggi non poggiano entrambe le mani sulla stoffa del mantello, ma stringono alcune suppellettili da banchetto. La decorazione della cornice dell’urna rappresenta il motivo-firma di un’officina che produce il cosiddetto ‘gruppo del fregio di foglie’, attiva nella seconda metà del II secolo a.C. (Maggiani 1977: 131).

- Frammento di coperchio di alabastroSi conserva un frammento di avambraccio destro femminile, nudo, ornato da un bracciale a serpente. La defunta tiene in mano uno specchio a scatola quadrata con i bordi perlinati, a doppia valva, del quale si conserva una sola delle due componenti. Secondo gli studi sui coperchi delle urne volterrane effettuati dalla Nielsen, si assiste all’introduzione dello specchio come attributo femminile a partire dagli inizi del periodo definito Roman Style Phase, in voga sullo scorcio del II secolo a.C. (Nielsen 1975: 314-315).

- Due frammenti di cassa di alabastro [Figura 4]Non inv. Lungh. frammento maggiore 35cm.Si conserva una porzione di cassa con rilievo fortemente corroso, interpretabile come una scena di viaggio agli inferi in carpentum. Nonostante le lacune e la superficie rovinata

sono infatti riconoscibili gli elementi caratteristici di questa composizione figurata: due cavalli appaiati condotti da un fanciullo con corta tunica e scure nella mano sinistra. Il gruppo è preceduto da una figura ammantata, di cui rimane solo la parte inferiore. Il grado di corrosione dello zoccolo non permette di identificarne la decorazione originaria. Con ogni probabilità a questo rilievo appartiene anche un frammento di cassa con una piccola figura femminile che reca una brocca nella mano destra, da identificarsi come la servetta che segue il carro che trasporta i defunti, secondo uno schema iconografico ricorrente nei monumenti funerari volterrani e offerto ad esempio dall’Urna 78494 proveniente dalla Tomba Inghirami (Cristofani 1975b: 98-99) e dall’Urna Guarnacci 133 (Cristofani 1977: 144-145).

- Tre frammenti di coperchio di tufo [Figura 5]Non inv. La scultura, lacunosa e in parte restaurata, rappresenta una figura femminile recumbente su cuscino, vestita di chitone cinto in vita, velata e diademata. I capelli formano intorno alla fronte una fascia di ciocche arricciate. Il braccio destro è disteso lungo il fianco e la mano regge un flabello rivolto verso l’alto, mentre la mano sinistra tiene una melagrana. I tratti del volto e le pieghe del panneggio, ancora abbastanza morbide, mostrano notevole affinità stilistica con i coperchi più antichi della Tomba R del Portone (soprattutto i numeri 2 e 4: Cristofani 1975a: 8) e con il coperchio dell’Urna Guarnacci 311 (Cateni 1986: 58-59), inserito dalla Nielsen nel suo ‘Book-Scroll Group’

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(Nielsen 1975: 346, fig. 24). Sulla base dei confronti con le urne della Tomba R è possibile datare il coperchio ancora sullo scorcio del II secolo a.C.

- Due frammenti di cassa di tufo [Figura 6]Non inv. Si conservano due parti della medesima cassa: una porzione della cornice, corrosa e restaurata, costituita da una fila di perle, due bande oblique lisce, una fila di dentelli e ancora una fila di perle racchiusa tra bande lisce.

All’estremità sinistra della fronte della cassa è conservata una testa di cavallo. Sul secondo frammento, anch’esso restaurato, è raffigurata una figura femminile recumbente su una kline, vestita di chitone e velata. La combinazione dei due frammenti permette di riconoscere senza difficoltà nel bassorilievo la scena del ‘marito defunto che appare alla moglie’, tema particolarmente caro alle maestranze volterrane produttrici di casse di tufo e di alabastro. In particolare, la presenza del cavallo all’estremità della

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cassa e le pieghe semirigide del panneggio femminile consentono di confrontare quest’urna con le Guarnacci 304 e 308 (Cateni 1986: 46-47 e 56-57), con le 96935 e 96943 provenienti dalla Tomba R del Portone (Cristofani 1975b: 76-77) e con la 642 della Tomba A di Poggio alle Croci (Fiumi 1959: 255; Cristofani 1975b: 130-131), attribuite dalla Martelli all’omonima ‘bottega di Poggio alle Croci’, attiva tra fine II e inizi del I secolo a.C. (Cristofani Martelli 1974-1975: 229).

Ceramica a vernice nera - Fondo di olletta [Figura 7.1]Non inv. h. 4cm, d. 4.5cm. Impasto depurato rosato compatto. Piede a disco a costa obliqua e profilo esterno concavo, corpo ovoide. Vernice nera lucida e coprente, scalfita sotto il piede.Forma Morel 7222 – Pasquinucci 134, prodotta in area nord-etrusca, in particolare a Volterra e Chiusi, fino alla seconda metà del II secolo a.C. La forma è presente nella Tomba a camera 60/D della necropoli di Badia, le cui sepolture più tarde sono datate al terzo quarto del II secolo a.C. (Fiumi 1972: 65, fig. 15c).

- Orlo di piattello [Figura 7.3]Non inv. h. 1.7cm, d. 16cm. Impasto depurato arancio-rosato compatto. Orlo a tesa ingrossato con solcatura sulla superficie superiore, vasca

a profilo teso. Vernice nera coprente, parzialmente scalfita.Probabilmente attribuibile alla forma Morel 1281, attestata nel II secolo a.C. a Cosa e in area etrusco-settentrionale (Morel 1981: 101).

Ceramica acroma depurata- Piede ad anello di forma chiusa [Figura 7.2] Non inv. h. 3cm, d. 9.2cm. Impasto depurato arancio-rosato poroso, con inclusi calcarei e micacei argentati. Piede ad anello a costa arrotondata e parte di ventre a profilo globulare. Superfici abrase e vacuolate.

- Spalla di lagynos [Figura 7.4]Non inv. h. 3.1cm, largh. 5.6cm. Impasto rosato compatto, con inclusi calcarei. Frammento di spalla obliqua con accenno di carena e attacco di ansa verticale a nastro a doppia costolatura. Superfici incrostate.Nonostante l’esiguità del frammento, il profilo convesso della parete, l’accenno di carena e l’ansa verticale costolata fanno propendere per una lagynos carenata di forma Ca1 (Sciarma 2005: 232, fig. 3), attestata nella Tomba R della necropoli del Portone (Cristofani 1975a: 21, 37) e datata nella seconda metà del II secolo a.C.

- Elemento di fusto di candelabro fittile [Figura 7.5]Non inv. h. 7cm.

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Impasto rosato poroso con inclusi micacei e calcarei. Superficie abrasa. Leggera scialbatura superficiale. Elemento a cilindro con foro passante, modanato da tre costolature orizzontali. Questo insolito oggetto è interpretabile come un elemento di rivestimento del fusto, verosimilmente ligneo, di un candelabro di terracotta, prodotto ad imitazione della versione metallica dell’oggetto. Nella piena età ellenistica candelabri e thymiateria di bronzo venivano infatti spesso realizzati in materiali meno pregiati come il ferro o la ceramica a vernice nera o acroma e riservati ad un ceto medio o medio-basso (Ambrosini 2002: 451-454). Si può stabilire un confronto con il fusto dei due candelabri fittili a vernice rossa da Montepitti (Shepherd 1992: 156-158).

toMBA B, portone (scavo 18-21/9/1969)

Urne cinerarie- Coperchio di tufo [Figura 8]Inv. 688. h. 37cm, l. 46cm, prof. 20cmFigura recumbente femminile velata e diademata. Indossa una tunica trattenuta sotto il seno da una cintura a placche perlinata. L’himation scende dalla testa e avvolge il ventre con un ampio sinus. Al collo indossa un torques a cordoncino, al braccio destro un’armilla e alle orecchie ha fori per gli orecchini. Nella mano destra stringe un flabello decorato con perline ed elementi vegetali stilizzati e nella mano sinistra una melagrana. E’ appoggiata su due cuscini con bordo ondulato e nappine agli angoli. E’ indicata la punta del piede, mentre il retro del coperchio è liscio. Superficie corrosa, in particolare nella testa e nel volto. Scheggiature nel plinto.

L’esecuzione piuttosto rigida delle pieghe del panneggio, lo scollo a ‘V’ della tunica, i lobi delle orecchie forati, la levigatezza delle superfici sono caratteri che contraddistinguono i coperchi del ‘gruppo idealizzante’ (Nielsen 1975: 301-315; Nielsen 1977: 138), prodotti da un atelier particolarmente prolifico tra l’ultimo quarto del II e i primi decenni del I secolo a.C. La scultura imita esemplari più accurati eseguiti sia in alabastro, come il coperchio Guarnacci 257 (Cateni 1986: 110-111), che in tufo, ad esempio l’Urna 78516 proveniente dalla Tomba Inghirami (Cristofani 1975b: 110-111).

- Frammento di cassa di tufo [Figura 9]Inv. 689. h. 41cm, l. 55.5cm, prof. 20.5cmCassa parallelepipeda frammentata con due bassi peducci posteriori. Sulla fronte, delimitata ai lati da due sguinci di porta e in basso da uno zoccolo liscio, si conserva la parte inferiore di quattro figure ammantate, in posizione stante, disposte due a due ai lati di una base quadrata modanata, forse un altare. Lati corti lisci.Nella raffigurazione si può riconoscere una scena di congedo funebre ai lati di un segnacolo di pietra, da interpretarsi come il limite tra il mondo dei vivi e dei morti. Si tratta di un soggetto ampiamente ricorrente nel repertorio dei motivi decorativi di carattere funerario utilizzati per le urne, preferibilmente di tufo. Se nell’oggetto al centro dell’immagine si deve riconoscere un’ara, siamo tuttavia di fronte ad un caso insolito, dal momento che nelle scene di congedo l’elemento architettonico, ove presente, è solitamente costituito da un alto pilastro modanato (ad esempio l’Urna Guarnacci 84: Cristofani 1977: 92-93). La frammentarietà dell’urna non permette inoltre di capire se

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sulla base modanata è appoggiato qualche oggetto.4 Dal punto di vista stilistico, lo zoccolo liscio, l’inquadratura della scena entro quinte e la disposizione simmetrica delle figure possono trovare un parallelo nella cassa 96925 proveniente dalla Tomba R del Portone (Cristofani 1975b: 72-73), datata da Cristofani nell’ultimo trentennio del II secolo a.C. e nell’Urna 243 da Montaione (Cristofani 1975b: 156-157), collocabile nel medesimo orizzonte cronologico.

- Frammento di vaso cinerario a campana acromo [Figura 10]Non inv. h. max 20.6cm, d. orlo 22cmImpasto rosato poroso, vacuolato, con minuti inclusi calcarei e miche argentate. Superficie abrasa, evidenti linee di tornitura su collo e ventre. Ricomposto da tredici frammenti, mancano la metà inferiore del corpo e il fondo. Orlo a fascia a sezione triangolare, corpo campaniforme carenato. Deboli tracce di vernice rossa sul collo.Questa morfologia vascolare, priva di anse e dal lungo collo carenato, rappresenta l’esito finale del processo di semplificazione e di impoverimento dei contenitori cinerari di età tardo-ellenistica diffusi in area volterrana a partire dalla seconda metà del II secolo a.C. Attribuibile al tipo C delle classificazioni di Boldrini (Boldrini 1987: 7) e Ciampoltrini (Ciampoltrini 1984: 75), il tipo è attestato

4  Sono in ogni caso da escludere scene mitologiche nelle quali ricorre l’ara, come il riconoscimento di Paride, l’uccisione di Mirtilo o il sacrificio di Ifigenia, nelle quali le figure umane sono sempre in movimento e sono disposte su piani diversi, mentre nell’urna in questione i personaggi sono chiaramente in posizione statica e convergenti verso il centro della scena.

nelle Tombe H e R del Portone (Cristofani 1973: 268, fig. 180 e Cristofani 1975a: 19, fig. 14).

Ceramica a vernice nera- Frammento di situla a campana Morel 4521 – Pasquinucci 143a [Figura 11.1]Non inv. h. 5.2cm, d. orlo 29cm Impasto depurato beige-rosato compatto. Ricomposto da tre frammenti e localmente scalfito. Si conserva un frammento di orlo piatto a fascia, a profilo sagomato e l’attacco del corpo a profilo lievemente concavo. Vernice nera brillante e uniforme. Sulla superficie esterna si osservano segni impressi preparatori per applique. La forma, creata ad imitazione di prototipi metallici, appartiene alla produzione volterrana di Malacena ed è attestata in duplice esemplare nella Tomba 61/4 della necropoli di Badia (Fiumi 1972: 94, fig. 48), inquadrabile agli inizi del III secolo a.C.

- Frammento di piatto Morel 1611a – Pasquinucci 126 [Figura 11.2]Non inv. h. 1.5cmImpasto beige depurato e compatto. Si conserva parte della vasca con attacco di parete obliqua. L’interno è decorato con una fila di ovuli circolari che evidenziano la carena. Il centro della vasca, racchiuso tra due linee concentriche, è decorato con stampiglie con palmette stilizzate a tredici petali intorno ad uno stelo. Ogni palmetta è racchiusa in una cornice circolare. Vernice nera semiopaca, sottile e poco coprente.Nonostante l’esiguità del frammento, vi si può riconoscere

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la forma del piatto inv. 466 del Museo Guarnacci [Figura 18], a parete obliqua e fondo piatto, decorato al centro della vasca con una protome a stampo e da una raggiera di palmette impresse. Il tipo, assai poco attestato, è attribuito alla produzione volterrana di Malacena di fine IV-III secolo a.C. (Pasquinucci 1972: 400). La stessa palmetta si ritrova inoltre nella decorazione di una patera ombelicata di pieno III secolo dalla Tomba 205 della necropoli di Castiglioncello con teorie di delfini stilizzati sovrapposti ad una fascia di motivi simili a baccellature (Gambogi e Palladino 1999: 113, fig. 74).

- Piede di forma aperta [Figura 11.3]Non inv. h. 1.9cm, d. 5cm Impasto depurato beige-rosato compatto, rari inclusi micacei. Piede ad anello a costa sagomata, fondo di vasca con decorazione incisa e stampigliata: due solcature concentriche, dieci giri di rotellature, quattro palmette e quattro fiori di loto alternati. Vernice nera brillante, uniforme e compatta.La particolare conformazione sagomata del profilo del piede e la decorazione a stampiglie della vasca interna consentono di attribuire il frammento, con un buon margine di certezza, alla kylix con anse non ripiegate forma Morel 4115b – Pasquinucci 82, tipico oggetto simposiaco prodotto dalle officine etrusco-settentrionali tra la fine del IV e il III secolo a.C. (ampia bibliografia in Palermo 2003: 302-303).

- Coppa biansata Morel 3121 – Pasquinucci 127 [Figura 12.1]Inv. P/B 2. h. 8.7cm, d. orlo 17.7cm, d. piede 4.6cmImpasto beige depurato e compatto. Ricomposta da sette frammenti, un’ansa frammentata, scalfitture sull’orlo e nella vasca. Orlo arrotondato verticale, vasca emisferica, piede ad anello a costa arrotondata, anse bifide ripiegate e impostate sotto l’orlo. Vernice plumbea, brillante e uniforme, impronte digitali intorno al piede.Questo tipo di coppa, ampiamente diffuso a Volterra in contesti sia tombali che abitativi, è prodotto da officine dell’Etruria sia settentrionale che meridionale (Norchia, Tarquinia, Tuscania), oltre che in Campana B, ed è attestato durante il II secolo a.C., in particolar modo nella seconda metà.

- Coppa biansata Morel 3121 – Pasquinucci 127 [Figura 12.3]Non inv. h. 7cm, d. orlo 15.2cmImpasto beige-rosato depurato e compatto. Ricomposta da otto frammenti contigui, tre frammenti pertinenti, mancano due terzi della vasca e il piede, scalfitture sulla superficie. Orlo verticale assottigliato, vasca emisferica, anse bifide ripiegate e impostate sotto l’orlo e sulla vasca. Evidenti linee di tornitura sulla superficie esterna. Vernice plumbea semiopaca uniforme.Vedi scheda della figura 12.1.

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- Coppa biansata Morel 3121 – Pasquinucci 127 [Figura 12.5]Inv. P/B 2. h. 7,5cm, d. orlo 14.5cm, d. piede 4.2cmImpasto beige depurato e compatto. Ricomposta da quattro frammenti e lacunosa nel corpo, anse mancanti. Orlo verticale arrotondato, vasca emisferica, piccolo piede ad anello a costa arrotondata. Vernice plumbea, opaca, sottile, tracce di impronte digitali intorno al piede, non verniciato esternamente.Vedi scheda della figura 12.1.

- Frammento di coppetta carenata Morel 2523b – Pasquinucci 95 [Figura 12.2]Non inv. h. 4.3cm, d. orlo 7cm, d. piede 3.7cm

Impasto rosato depurato e compatto. Ricomposta da due frammenti, conservata solo per metà. Orlo a fascia carenato, a sezione triangolare, con margine rientrante distinto da piccola solcatura, piccola vasca compressa con depressione circolare con bordo a rilievo, piede ad anello troncoconico a costa arrotondata. Decorazione incisa a crudo sull’esterno dell’orlo con fitti zig-zag e metopa con croce a sei braccia. Vernice nera brillante, uniforme e coprente. Tracce di impronte digitali intorno al piede.Si tratta di una forma tipica delle produzioni etrusco-laziali di metà III-inizi II secolo a.C. (Cavagnaro Vanoni 1996: 233, fig. 74, n. 33). A Volterra, oltre ad un esemplare nel Museo Guarnacci, è attestata in uno strato tardo-ellenistico del santuario dell’acropoli (Palermo 2003: 341).

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- Frammento di coppetta Morel 2820 [Figura 12.4]Non inv. h. 4.9cm, d. orlo 11cm, d. piede 5.4cmImpasto depurato beige-rosato compatto. Ricomposta da due frammenti, conservato solo un terzo della forma. Orlo verticale a margine assottigliato, vasca emisferica con lieve carena, piede ad anello cilindrico a costa arrotondata. Nella vasca interna tre giri concentrici di rotellature. Vernice nera opaca, uniforme e coprente, tracce di impronte digitali attorno al piede.Questa forma, tipica della Campana A, è imitata localmente nelle produzioni etrusco-settentrionali a vernice nera meno pregiate ed è databile genericamente nel II secolo a.C. (Morel 1981: 229).

- Piccolo askòs forma Pasquinucci 107 [Figura 16.4]Inv. P/B 3. h. 9cm, d. bocchello 3.1cm, d. piede 4.4cmImpasto depurato beige-rosato compatto. Bocchello ad imbuto con orlo arrotondato, corpo globulare compresso con evidenti linee di tornitura parallele, piede ad anello a costa carenata, beccuccio obliquo, ansa orizzontale a nastro impostata sul collo e alla base del beccuccio. Vernice plumbea, opaca e sottile, localmente scrostata, tracce di impronte digitali intorno al piede.Questo tipo di askòs è prodotto in area etrusco-laziale tra il III e il II secolo a.C. In ambito volterrano la forma è tipica della produzione a vernice nera più scadente ed è caratterizzata da uno sviluppo in lunghezza maggiore che in altezza.

- Frammento di oinochoe trilobata Morel 5611 – Pasquinucci 144 Non inv. h. 6.2cmImpasto depurato beige. Frammento di orlo trilobato a margine arrotondato, collo cilindrico con collarino a

rilievo. Vernice plumbea brillante e coprente.Questa oinochoe a bocca trilobata, che presenta solitamente un corpo liscio o strigilato e ansa costolata sormontante, desinente in applique conformata a testa umana, è un tipico prodotto da simposio della fabbrica di Malacena, databile tra la fine del IV e la prima metà del III secolo. E’ ampiamente attestata nelle sepolture più ricche di Volterra di età alto-ellenistica (Fiumi 1972: 58 e Cristofani 1973: 253, n. 68) e viene esportata, oltre che in alcuni siti minori del territorio (Monteriggioni), anche in diversi centri dell’Etruria settentrionale e centrale come Chiusi, Bolsena, Todi, Sovana.

Ceramica a vernice rossa - Coppa Morel 2538 – Pasquinucci 83 [Figura 12.6]Inv. P/B 5. h. 5.3cm, d. orlo 12.7cm, d. piede 5.3cmImpasto depurato arancio-rosato poroso, con vacuoli ed inclusi calcarei. Ricomposta da nove frammenti, lacunosa nella vasca. Orlo verticale a margine assottigliato, solcatura orizzontale sotto l’orlo, vasca emisferica, piede ad anello troncoconico a costa obliqua. Tracce di vernice rossa opaca, sottile ed evanida.Le coppe a vernice nera di questa serie, ampiamente diffuse in area volterrana e aretina, sono attribuibili a numerose officine dell’Etruria settentrionale interna, che le producono per un lungo arco di tempo, tra gli ultimi decenni del IV e gli inizi del II secolo a.C. Sono attestate nell’Etruria padana già a partire dallo scorcio del IV secolo e ben presto imitate da fabbriche locali. Raramente, e nella fase più tarda della produzione, sono realizzate anche in vernice rossa.

- Piccola olpe monoansata [Figura 14.4]Inv. P/B 13. h. 7.5cm, d. orlo 5.5cm, d. piede 3.5cm

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Impasto granuloso beige. Ricomposta da quattro frammenti, lacunosa nell’orlo e nella spalla. Orlo a margine acuto, estroflesso, a profilo interno concavo, spalla rigonfia, corpo ovoide, piede ad anello a costa arrotondata, piccola ansa a bastoncello impostata sotto l’orlo e nel punto di massima espansione del corpo. Vernice rossa opaca, sottile, non omogenea e localmente scrostata.Il tipo trova un parallelo nella forma Pasquinucci 157 della produzione locale a vernice nera, di qualità scadente. Un esemplare simile, ma con fondo piatto, proviene dalla Tomba R della necropoli del Portone (Cristofani 1975a: 19, n. 22), datata tra fine II e inizi I secolo a.C.

Ceramica parzialmente verniciata- Bottiglia monoansata [Figura 13.1]Inv. P/B 9. h. 16.2cm, d. bocca 4.7cm, d. fondo 5.1cmImpasto semidepurato rosato, superficie abrasa e incrostata. Asimmetrica, lieve scalfittura sul bocchello. Orlo arrotondato estroflesso, breve collo a imbuto, spalla pronunciata, corpo cilindrico rastremato verso il basso con solcatura orizzontale presso il fondo piatto, ansa a bastoncello schiacciato impostata sotto l’orlo e desinente sulla spalla. Tracce di vernice bruna su collo, spalla e ansa.Simile alla forma Morel 5281 della produzione a vernice

nera, questa bottiglia cilindrica, nella versione acroma o verniciata soltanto nella parte superiore, è ampiamente diffusa nelle tombe di Volterra e del territorio (Montaione, Casone) tra la fine del III e il II secolo a.C. (Cristofani 1973: 266, fig. 179; Cristofani 1975a: 17).

- Bottiglia monoansata [Figura 13.2]Inv. P/B 10. h. 15.6cm, d. bocca 4cm, d. fondo 4.5cmImpasto rosato depurato, superficie ruvida con incrostazioni e deformazioni sul corpo. Linee di tornitura parallele sul corpo. Orlo arrotondato, breve collo a imbuto, corpo cilindrico rastremato verso il basso, fondo piatto, ansa a nastro con costolatura centrale impostata su collo e spalla. Orlo, spalla e ansa con vernice rossa opaca.Vedi scheda della figura 13.1.

- Unguentario fusiforme [Figura 14.1]Inv. P/B 11. h. 16.3cm, d. orlo 2.3cm, d. piede 2.4cmImpasto rosato depurato, superficie lisciata. Ricomposto e integrato nel corpo. Orlo a fascia verticale con sezione triangolare, collo cilindrico, corpo ovoide, breve stelo, piede a disco troncoconico. Orlo e collo con vernice rosso-bruna opaca non uniforme.Questi unguentari fusiformi a corpo ovoide allungato e con

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fasce a vernice rossastra sono abbastanza diffusi nelle sepolture volterrane tra il tardo III e il II secolo a.C. La forma è inquadrabile nel tipo B 13.2 della classificazione di Camilli (Camilli 1999), corrispondente al tipo Forti IV-V (Forti 1962), e trova confronti puntuali negli esemplari della Tomba R del Portone (Cristofani 1975a: 18, fig. 13), databili sullo scorcio del II secolo a.C.

- Unguentario fusiforme [Figura 14.2]Inv. P/B 12. h. 13.5cm, d. orlo 2.3cmImpasto arancio-rosato depurato, superficie lisciata. Lacunoso nell’orlo, mancante di stelo e piede. Incrostazioni calcaree sulla superficie. Orlo a fascia verticale, collo cilindrico, corpo ovoide allungato. Orlo e collo con vernice rossa opaca.Rientra nel tipo Forti V (Forti 1962), leggermente più tardo dell’esemplare precedente, con orlo a fascia semplice e non più a sezione triangolare. Datazione: fine II-inizi I secolo a.C.

- Fondo di oinochoe [Figura 14.3]Non inv. h. 5cm, d. fondo 7cmImpasto beige depurato e compatto. Corpo a profilo concavo, fondo rialzato. Vernice nera opaca, sottile, stesa sul corpo fino ad un cm dal fondo.

Ceramica acroma- Piattello [Figura 14.5]Inv. P/B 14. h. 3.9-5cm, d. orlo 15.4cm, d. piede 5.6cmImpasto arancio semidepurato con minuti inclusi calcarei e litici. Superficie vacuolata e incrostata, scalfitture sull’orlo, leggermente asimmetrico. Orlo a tesa arrotondato, vasca poco profonda con lieve carena esterna, piede a disco a profilo sagomato, fondo esterno concavo. Tre tacche verticali parallele incise sulla tesa dell’orlo.

I piattelli acromi con bassa vasca dalla linea esterna convessa rappresentano il punto di arrivo di un processo di evoluzione morfologica che da tipi arcaici, caratterizzati da una vasca a profilo carenato, conduce, in età medio e tardo-ellenistica, ad esemplari a profilo quasi continuo. Datazione: III-II secolo a.C.

- Lagynos [Figura 15.1]Inv. P/B 7. h. 19.5cm, d. bocca 4.9cm, d. piede 5.2cmImpasto poroso beige-rosato, ruvido, con minuti inclusi micacei. Ricomposta da dodici frammenti, lacune nel corpo, scalfitture sull’orlo, superfici incrostate. Orlo arrotondato estroflesso, sottile collo cilindrico, spalla pronunciata, corpo a trottola, piede ad anello troncoconico, ansa verticale a nastro, insellata, impostata sul collo e sulla spalla.Il tipo appartiene alla serie delle lagynoi carenate ad alto ventre ed è attribuibile alla variante Ca2 della classificazione della Sciarma (Sciarma 2005: 233, fig. 5), diffusa in Etruria settentrionale e meridionale tra il II secolo e l’età proto-imperiale. In ambito volterrano il confronto più puntuale è rappresentato da un esemplare proveniente dalla Tomba O del Portone (Cristofani 1973: 266, fig. 179), datata nell’ultimo quarto del II secolo a.C. Altri due esemplari analoghi provengono dalla Tomba del Poggetto di Vada, inquadrabile nel medesimo orizzonte cronologico (Massa 2005: 715, nn. 16-17).

- Lagynos [Figura 15.2]Inv. P/B 10. h. 20.5cm, d. bocca 5.3cm, d. piede 5.7cmImpasto beige-rosato compatto, con minuti inclusi calcarei e micacei. Ricomposta da sedici frammenti, lacune nella bocca, nel corpo e nell’ansa, scalfitture sul piede, superfici incrostate. Orlo arrotondato svasato, appena distinto, collo cilindrico, spalla pronunciata, corpo a trottola, piede ad

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anello a costa sagomata, attacco di ansa verticale a nastro, insellata, impostata sotto l’orlo.Vedi scheda della figura 15.1.

- Lagynos [Figura 16.1]Inv. P/B 6. h. 13.2cm, d. bocca 5cm, d. piede 5.5cmImpasto depurato beige-rosato compatto, superficie lisciata e incrostata nella parte inferiore del corpo. Ricomposta da otto frammenti e integrata nell’orlo e nel corpo. Orlo a fascia orizzontale scanalata, breve collo cilindrico, corpo biconico, piede ad anello troncoconico, ansa verticale a nastro con doppia solcatura, impostata sotto l’orlo e sulla spalla.Si tratta del tipo di lagynos definito ‘biconico’, diffuso in Etruria tra la seconda metà del II e il I secolo a.C. Attestata ampiamente in contesti tardo-ellenistici di Volterra e del territorio limitrofo (S. Miniato, Papena, Vada), può essere considerata una variante del tipo carenato. Al di là di generiche tendenze e numerosi tentativi infatti, la grande varietà adottata per le varie parti di questo tipo di vaso ne rende difficile la classificazione e lo studio dell’evoluzione morfologica.

- Askòs [Figura 16.2]Inv. P/B 5. h. 13.2cm, d. bocchello 5.2cm, d. piede 5.1cmImpasto depurato rosato, compatto. Ricomposto da tre frammenti, beccuccio posteriore mancante, scalfittura

nella parte posteriore del corpo. Bocchello con orlo a fascia, collo cilindrico, corpo ovoide compresso, piede ad anello a costa sagomata, ansa orizzontale a nastro, insellata, impostata sotto l’orlo e sulla terminazione del beccuccio.Beazley ha definito questo tipo di askòs globulare con beccuccio sulla coda ‘deep askòs type B’, distinguendolo dal tipo ovoide schiacciato, denominato invece ‘shallow askòs’ (Beazley 1947: 272-278). Esso appare in Etruria poco prima della metà del III secolo e rimane in uso almeno fino alla metà del secolo successivo.

Ceramica sigillata - Frammento di coppetta [Figura 16.3]Non inv. h. 4.2cm, d. piede 4.4cmImpasto rosato depurato con minutissimi inclusi calcarei. Ricomposto da due frammenti e uno pertinente. Vasca carenata, piede a disco troncoconico con bottone a rilievo sulla superficie esterna. Vernice rosso-arancio opaca, sottile. Sulla parete esterna, al di sopra della carena, decorazione à la barbotine con tralcio vegetale stilizzato e tre punti.La coppetta è attribuibile alla produzione più tarda della ceramica italica liscia, caratterizzata da una qualità più scadente di impasto, di colore rosato o nocciola, e di vernice, di colore rosso arancio opaco (Pucci 1973: 317) ed è analoga alla forma Pucci 29, corrispondente alla

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Goudineau 41, che compare nella prima metà del I sec a.C ma perdura per tutto il secolo successivo, come indicano le attestazioni di Pompei e gli strati flavio-traianei di Ostia. La decorazione à la barbotine è simile a quella applicata alle tazze e ai piatti della tomba a pozzetto di Poggio alle Croci, datata su base numismatica all’età traianea (Fiumi 1959: 266, figg. 14-15).

Bronzo- Manico di cofanetto [Figura 17.1]Inv. P/B 3. h. 3.4cm, largh. 5.6cmSuperficie ossidata e fessurata. Manico a ferro di cavallo con estremità ripiegate verso l’alto e decorate da pomi e rondelle.Questo genere di maniglie a fusione piena di piccole dimensioni (per il tipo si veda Bini, Caramella e Buccioli

1995: 575, tav. 113.13) è solitamente pertinente a vasi di forma aperta (piccole situle) oppure applicato a cassettine o cofanetti lignei (in quest’ultima circostanza si trovano associate, come nel nostro caso, a serrature e borchiette di varia conformazione). Sono ben diffuse in Etruria in epoca ellenistica e romana, in produzioni di carattere locale, ma si ritrovano genericamente anche in ambito centro-italico e magno-greco (Taranto). A Volterra il pezzo trova un confronto puntuale in un piccolo manico bronzeo recuperato nella Tomba R del Portone (Cristofani 1975a: 30, fig. 22).

- Serratura [Figura 17.2]Inv. P/B 6. h. 3cm, largh. 3.5cmFrammento di lamina rettangolare con lati concavi, ossidata, con bottone conico centrale fissato alla placca

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mediante un listello sottostante. Ai lati due borchiette (0.5cm) di fissaggio al supporto. Fessura di chiusura verticale a lato del bottone centrale.Vedi scheda della figura 17.1.

- Cinque borchiette con anelli [Figura 17.3]Non inv. d. borchie 1.5cm, d. anelli 1.8cmOssidati, un esemplare integro, due esemplari saldati e frammentati, due in frammenti.Borchiette circolari schiacciate con ombelico a rilievo forato nel quale è inserito un anellino circolare raccordato da una campanella ovale.Vedi scheda della figura 17.1.

- Bulla [Figura 17.4]Non inv. d. 2.2cmIntegra, ossidata, formata da doppia lamina con appiccagnolo di forma trapezoidale con foro passante. Al centro della bulla, su entrambi i lati, piccolo bottone a rilievo.Il tipo di bulla liscia, priva di decorazione, spesso in associazione con altri esemplari così da formare una collana di pendenti, è attestato tanto nel mondo etrusco che romano, senza che sia possibile stabilirne una evoluzione morfo-cronologica. Per un confronto puntuale con esemplari provenienti dalla Tomba 3/97 della necropoli di Castiglioncello, datati nel pieno III secolo a.C., si veda Gambogi e Palladino 1999: 125, fig. 95.

- Due borchie [Figura 17.5]Non inv. d. 1.9cmBorchie ossidate a fusione piena. Calotta emisferica, chiodo centrale fratturato.Attribuibili al tipo IB della classificazione degli instrumenta bronzei di Tarquinia (Bini, Caramella e Buccioli 1995: 523, tav. 110.12-13), conoscono un’ampia diffusione in ambito etrusco tra VI e II secolo a.C.

Ferro- Cesoie [Figura 17.6]Non inv. Lungh. 11cm, largh. 3.3cm.Ricomposte da due frammenti, una punta di lama è rotta. Superficie completamente ossidata e incrostata, le lame sono saldate insieme. Lame triangolari piatte e appuntite, manico rettangolare a sezione quadrata.Questo strumento, unico esemplare finora attestato in un contesto tombale volterrano, non pare appartenere al costume funerario propriamente etrusco, mentre lo si ritrova frequentemente, in genere in ferro ma in taluni casi anche in bronzo, in ambienti celtici o celto-liguri di età ellenistica, deposto in corredi di pertinenza esclusivamente maschile permeati dall’ideologia del simposio, del consumo del vino e delle carni, del gioco e della palestra. Non a caso, le cesoie si trovano spesso in associazione con altri oggetti per la cura del corpo (strigili, unguentari). Non è escluso inoltre che la loro presenza potesse alludere ad un determinato status socio-economico del defunto, legato in particolare al mondo della pastorizia. Numerose le attestazioni nelle sepolture galliche di pieno

III secolo a.C. di Bologna e del territorio, deposte insieme ad elementi tipici dei corredi lateniani come le fibule di ferro: Tombe Benacci 185, 934, 953, 968 e De Luca 83, 85, 105, Tomba del Guerriero di Ceretolo (Vitali 1992: 399) e Tomba 86 di Casalecchio di Reno (Ortalli 2008: 308, fig. 18). Altri esemplari in ferro di età alto e medio-ellenistica provengono dall’ambiente ligure, dalla Tomba 54 della necropoli di Ameglia (Durante 2004: 419), di pieno III secolo, dall’ambiente piceno, dalla Tomba 352 della necropoli di Campovalano (Di Felice e Torrieri 2006: 82) e da contesti atestini, come quello della Tomba a cassetta L della necropoli di Arquà Petrarca (Padova), datata nel pieno II secolo a.C. (Gamba 1987: 258-262, fig. 16.5). Un’isolata attestazione è presente anche a Taranto, proveniente dalla Tomba 4 della necropoli dell’area di S. Francesco di Paola (De Juliis 1986: 407).

- Frammento di spiedo [Figura 19]Inv. P/B 1. Lungh. 27cm.Verga a sezione subcircolare, ricomposta da numerosi frammenti, completamente ossidata.

Argento- Olletta miniaturistica con coperchio [Figura 17.7]Inv. P/B 1. h. 3.9cm, d. orlo 3.6cm, d. piede 2.4cm, spessore lamina 1mmSuperficie interamente ossidata, con fratture, lacuna nell’orlo. Il coperchio è saldato al vaso.Orlo svasato, corpo globulare compresso, piede ad imbuto, coperchio a tesa con presa a bottone. Il coperchio è ossidato con un frammento di cesoie di ferro.

- Pisside miniaturistica [Figura 17.8]Inv. P/B 2. h. 2.2cm, d. orlo 3.3cm, d. piede 1.9cm, spessore lamina 1mmSuperficie interamente ossidata, con integrazioni nel corpo e nel coperchio, in parte lacunoso. Il coperchio è saldato al vaso.Orlo non visibile, vasca emisferica, piede ad anello troncoconico. Coperchio piatto ad incastro con presa a bottone. Il piede è ossidato con un frammento di cesoie di ferro.Questi due oggetti miniaturistici in sottilissima lamina probabilmente di argento,5 non trovano al momento termini di confronto in ambito etrusco-italico. Fermo restando il carattere simbolico e defunzionalizzato dei due piccoli vasetti, verosimilmente allusivi alla sfera della toilette femminile, è forse possibile cercare una sorta di modello nelle piccole pissidi di lamina di piombo attestate in alcune sepolture tarantine di fine III-inizi II secolo a.C. (De Juliis 1986: 354, n. 315), realizzate in qualche caso anche in ceramica a pareti sottili.

Dall’analisi dei corredi tombali della Chiusa del Portone si deduce che nella tomba A, nel corso della seconda metà del

5  La completa ossidazione delle superfici dei due piccoli contenitori non consente di stabilire con assoluta certezza la natura del metallo utilizzato. L’osservazione al microscopio del colore e dell’aspetto delle concrezioni fa tuttavia propendere per una lamina di argento.

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II secolo a.C., furono deposti entro urne cinerarie almeno tre individui, due di sesso femminile e uno maschile, senza considerare una serie di minuti frammenti di tufo e di alabastro che, a causa del pessimo stato di conservazione, non consentono di ipotizzare l’eventuale presenza di altri defunti nella tomba. Gli scarsissimi materiali pertinenti a questa struttura tombale non aggiungono dati rilevanti sulle peculiarità del corredo, trattandosi di forme ceramiche ampiamente attestate nelle sepolture volterrane di età tardo-ellenistica, ad eccezione del frammento di candelabro, che costituisce invece un’insolita variante della consueta versione metallica dell’elemento da banchetto.

La Tomba B si presta a considerazioni di carattere più ampio. Fermo restando il fatto che la coppa in ceramica sigillata difficilmente dovette far parte del corredo tombale, mentre è assai probabile che si tratti di un residuo di una sepoltura tarda realizzata a poca profondità dal piano di calpestio, mescolatasi forse al corredo dell’ipogeo durante le operazioni di recupero (Fiumi 1972: 136), è possibile individuare con certezza due sepolture ad incinerazione, una entro urna litica l’altra entro vaso, entrambe collocabili nell’ultimo trentennio del II secolo a.C. Una delle sepolture era sicuramente pertinente ad un individuo femminile, identificato dal coperchio di urna e, probabilmente, dalla presenza dei resti del cofanetto ligneo, l’altra con ogni probabilità doveva appartenere ad un uomo, come suggerisce la presenza delle cesoie di ferro e del frammento di spiedo. La maggior parte dei reperti ceramici a vernice nera tarda, a vernice rossa, acromi e parzialmente verniciati si inquadra nella seconda metà del II secolo a.C., concordando quindi con l’orizzonte cronologico fissato dai contenitori delle spoglie dei defunti. Qualche problema solleva invece l’appartenenza ai corredi di alcune forme ceramiche a vernice nera della produzione di Malacena (situla, piatto stampigliato, oinochoe trilobata, kylix ad anse non ripiegate), dal momento che l’assenza di ulteriori cinerari comporta una certa difficoltà nell’attribuire questi pezzi alle deposizioni accertate, notevolmente più tarde, a meno di non invocare la parziale perdita del complesso funerario originale o l’esistenza, all’interno della medesima struttura tombale, di una più antica deposizione ad inumazione andata perduta nelle operazioni di recupero dei materiali. In questo caso, con tutte le cautele che può offrire un argumentum ex silentio, la tomba potrebbe essere stata inaugurata per un defunto nel pieno III secolo a.C., per essere poi riaperta e riutilizzata almeno un secolo dopo per altre due sepolture ravvicinate.

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