aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle nazioni unite

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SCRITTI IN MEMORIA DI MARIA RITA SAULLE

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SCRITTI IN MEMORIA DI MARIA RITA SAULLE

Comitato promotore

SERGIO MARCHISIO

CARLO CURTI GIALDINO

RAFFAELE CADIN

LUIGINO MANCA

Comitato redazionale

TOMMASO NATOLI, GIANFRANCO GABRIELE NUCERA, CHIARA PELAIA

SCRITTI IN MEMORIA DI

MARIA RITA SAULLE

II

EDITORIALE SCIENTIFICA NAPOLI

La realizzazione degli Scritti è stata possibile grazie al contributo finanziario del Master in Tutela internazionale dei diritti umani “Maria Rita Saulle” e della Sapienza Università di Roma.

Proprietà letteraria riservata

© Copyright 2014 Editoriale Scientifica s.r.l. Via San Biagio dei Librai, 39 – 80138 Napoli

ISBN 978-88-6342-652-6

INDICE GENERALE Presentazione XV Nota biografica XVII Pubblicazioni di Maria Rita Saulle XXI Abbreviazioni XXXIII

VOLUME I Sergio MARCHISIO Il contributo di Maria Rita Saulle alla causa dei diritti umani 3 Moira AGRIMI La tutela dei diritti umani nel progetto della nuova Costituzione tunisina 11 Tito BALLARINO RtoP/Responsibility to Protect 23 Paolo BARGIACCHI Protezione umanitaria degli sfollati e libera circolazione delle persone nello spazio Schengen: la disputa italo-francese del 2011 49 Elisa BARONCINI Il Trattato di Lisbona e la procedura di conclusione degli accordi internazionali 63 Velia BARTOLI Un semplice accorgimento per perfezionare le previsioni della popolazione anziana: un’applicazione alla popolazione italiana 95 Andrea BIXIO Nuova statualità e sistema dei tribunali internazionali 111

INDICE GENERALE

VIII

Giorgio BOSCO I Tribunali penali internazionali per la ex Jugoslavia e il Ruanda verso la conclusione delle loro attività 119 Alfredo BRECCIA La “Carta” dell’ONU e la formazione dell’Alleanza Atlantica 131 Giuseppe BRIENZA L’esperienza del Comitato UNESCO sul fondamento dei diritti dell’uomo in rapporto al giusnaturalismo ed alla Dichiarazione universale del 1948 153 Fernanda BRUNO Il deficit democratico dell’Unione europea: il ruolo dei Parlamenti nazionali 171 Raffaele CADIN «We Have an African Dream»: sviluppi istituzionali e giurisprudenziali del sistema africano di protezione dei diritti umani e dei popoli 195 Silvia CANTONI Prime annotazioni alla nuova Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e contro la violenza domestica 227 Ida CARACCIOLO, Francesca GRAZIANI Diritto internazionale e conflitto tra giurisdizioni nel caso «Enrica Lexie» 245 Cristiana CARLETTI Parità, accesso, inclusione: i diritti delle persone disabili nella normativa convenzionale internazionale e nella definizione delle politiche di cooperazione allo sviluppo 281 Mario CARTA La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale dopo il Trattato di Lisbona 309 Francesco Paolo CASAVOLA Per un’analisi della transizione in Italia 335

INDICE GENERALE

IX

Maria Clelia CICIRIELLO, Fiammetta BORGIA L’autodeterminazione dei popoli del Nord 345 Nicola COLACINO Tutela internazionale dell’ambiente e diritti umani: il primato dei diritti funzionali 365 Antonella COLONNA VILASI Il terrorismo: lineamenti giuridici 391 Andrea CRESCENZI L’ABS nella Convenzione sulla biodiversità: il Protocollo di Nagoya 399 Carlo CURTI GIALDINO Sulla prerogativa dell’esercizio del culto nella sede della missione diplomatica: rilevanza dell’istituto in tempi di intolleranza religiosa 415 Patrizia DE PASQUALE La tutela delle minoranze linguistiche nell’Unione europea 449 Angela DEL VECCHIO La pace come diritto degli Stati e diritto della persona umana 467 Anna Maria DEL VECCHIO Il problema dell’impatto della criminalità organizzata nel quadro della mondializzazione 479 Valentina DELLA FINA Discriminazione multipla e tutela dei soggetti deboli 495 Angela DI STASI Il rispetto dei diritti fondamentali nello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia: limite o fondamento della cooperazione giudiziaria in materia penale? 519 Alberta FABBRICOTTI Universalism and Regionalism in International Trade Law. Is the WTO a Truly Universal International Organizaion? 559 Laura FEROLA I matrimoni precoci. Quali diritti per le spose bambine? 575

INDICE GENERALE

X

Ornella FERRAJOLO Ricorsi individuali (ma non collettivi) al Comitato per i diritti del bambino nel Protocollo del 2011 alla Convenzione di New York 595 Serena FORLATI Monitoring Compliance with International Obligations in the Field of Human Trafficking: Towards a «Systemic Integration» of Control Mechanisms? 621 Pietro FRANZINA Some Recent Trends Concerning the Work of the Hague Conference on Private International Law 637 Marinella FUMAGALLI MERAVIGLIA La revisione periodica universale al suo secondo ciclo: conferme di un trend non sempre virtuoso 651 Franco GALLO I rapporti fra il diritto nazionale e il diritto europeo (UE e CEDU) nella giurisprudenza costituzionale italiana 671 Luciano GAROFALO Exequatur e procedimento sommario di cognizione 683 Giuseppe GIOFFREDI The 1989 United Nations Convention on the Rights of the Child and its three Optional Protocols 701 Antonia GRANDE Il sistema di protezione dei diritti umani in India con particolare riferimento al ruolo della Commissione nazionale dei diritti umani 713 Giancarlo GUARINO Autodétermination des peuples et respect de la volonté populaire 735 Cristopher HEIN Access to Protection and International Human Rights Obligations: Challenges for the European Union 769

INDICE GENERALE

XI

Stefania JACONIS Converging and Diverging Trends in Europe in the Presence of “Money Manager” Capitalism. Different Analytical Approaches 783 Christine JEANGEY Gli acquiferi transfrontalieri nel diritto internazionale: alcune riflessioni alla luce del diritto internazionale dei diritti dell’uomo 793 Fulco LANCHESTER Tremblement de terre avec liquéfaction et perspectives de la réforme institutionnelle en Italie 807 Umberto LEANZA La lotta ai traffici di droga via mare: il ruolo della Convenzione di Vienna del 1988 821

VOLUME II Paolo MADDALENA Crisi ambientale e crisi economica-finanziaria: il nuovo quadro di riferimento per la soluzione dei problemi ambientali 837 Luigino MANCA I minori nel sistema africano di tutela dei diritti umani 849 Stefano MARANELLA Il principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie penali nel sistema comunitario 875 Antonio MARCHESI Upholding the Promise of Article 15. Sul complesso rapporto fra cittadinanza e diritti umani 885 Luca MARINI La privatizzazione dei servizi militari e di sicurezza nel diritto internazionale 899

INDICE GENERALE

XII

Gerardo MARTINO Le linee di sviluppo del sistema commerciale multilaterale delineate dai lavori della Conferenza ministeriale OMC 913 Olga MARZOVILLA Aspetti del fenomeno migratorio in Italia 937 Eleonora MASCI Il diritto della donna alla partecipazione politica 959 Michele MESSINA The Right to a Fair Trial in EU Antitrust Proceedings: The Strasbourg Court Tests Itself Ahead of the EU Accession to the European Convention on Human Rights 975 Maria MIGLIAZZA Tutela della proprietà intellettuale in internet nel mercato interno europeo 991 Claudia MORVIDUCCI Il Servizio europeo per l’azione esterna: un inizio problematico 1007 Franco MOSCONI, Cristina CAMPIGLIO I matrimoni tra persone dello stesso sesso: livello “federale” e livello statale in Europa e negli Stati Uniti 1037 Tommaso NATOLI Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite 1057 Stefania NEGRI Consenso informato, diritti umani e biodiritto internazionale 1083 Gianfranco Gabriele NUCERA La Conferenza delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile (Rio+20) 1109 Maurizio ORLANDI Il Trattato di Lisbona e il nuovo sistema di ripartizione di competenze tra Unione europea e Stati membri: alcune note critiche 1129

INDICE GENERALE

XIII

Lorenzo Federico PACE Accesso agli atti delle Autorità di tutela della concorrenza e azione di risarcimento danni antitrust: le sentenze CDC e Pfleiderer e le conseguenze delle promesse non mantenute dalla Commissione 1155 Giuseppe PALMISANO La protezione dei diritti delle persone con disabilità nella Carta sociale europea 1171 Massimo PANEBIANCO L’universalismo nel diritto internazionale 1193 Lina PANELLA L’informazione televisiva e la tutela dei minori nel diritto internazionale ed europeo 1205 Nicoletta PARISI La Procura europea: un tassello per lo Spazio europeo di giustizia penale 1217 Ilja Richard PAVONE Le organizzazioni internazionali e il contrasto alla moderna pirateria nell’Oceano Indiano 1243 Chiara PELAIA La tutela dei diritti delle donne nel sistema ONU: dal principio di non discriminazione al gender mainstreaming 1265 Stefano PEPE Il contributo della Prof.ssa Maria Rita Saulle all’affermazione del pieno e incondizionato riconoscimento dei diritti fondamentali nella giurisprudenza costituzionale 1287 Francesca PERRINI I diritti umani e le imprese multinazionali 1293 Anna PITRONE Riflessioni sulla questione dell’imputabilità delle violazioni dei diritti umani nell’ambito delle operazioni di Peace-keeping 1307

INDICE GENERALE

XIV

Ornella PORCHIA La dinamica dei rapporti tra norme interne e dell’Unione nel dialogo tra giudici nazionali e Corte di giustizia 1319 Giuseppe PORRO L’azione dell’Unione europea in materia di tutela consolare 1351 Susanna QUADRI La politica dell’Unione europea in materia di “energia sostenibile” 1357 Maria Piera RIZZO Contratto di organizzazione di viaggio e danno da vacanza rovinata 1375 Walter RODINÒ Maria Rita Saulle e l’UNIDROIT 1407 Francesco SALERNO Costituzione ed efficacia nello spazio della legge processuale 1413 Andrea SANTINI Il sistema di allarme rapido per gli alimenti e i mangimi: brevi considerazioni alla luce del regolamento della Commissione contenente le disposizioni di applicazione 1433 Tullio SCOVAZZI Il respingimento in alto mare di migranti diretti verso l’Italia 1445 Francesco SEATZU The Right to Live and Be Different and the European Convention on Human Rights 1463 Letizia SEMINARA The Council of Europe Convention on Preventing and Combating Violence Against Women and Domestic Violence 1487 Teresa SERRA Nuovi soggetti e nuove guerre 1505 Gaetano SILVESTRI Estradizione, mandato di arresto europeo e altre forme di cooperazione in materia penale 1515

INDICE GENERALE

XV

Paolo SIMONCELLI Sulla radiazione di Santi Romano dall’Accademia dei Lincei. Nuovi documenti 1523 Augusto SINAGRA Il futuro della democrazia albanese nel prossimo decennio 1537 Ersiliagrazia SPATAFORA Brevi riflessioni sulla “sentenza Saadi”: una sentenza pilota nella giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo per “violazione virtuale” del divieto di tortura in caso di espulsione? 1547 Giuseppe TESAURO Una riflessione oggi sul principio di nazionalità in Pasquale Stanislao Mancini 1557 Sara TONOLO Ordine pubblico e trascrivibilità dei provvedimenti concernenti lo status e i rapporti di famiglia dei cittadini stranieri residenti in Italia: sulla necessità di modificare l’art. 19 dell’ordinamento di stato civile 1571 Lucia TRIA Quale uguaglianza per gli stranieri extracomunitari? 1591 Anna Lucia VALVO Sulla necessità di un sistema di multi-level governance in ambito europeo 1609 Talitha VASSALLI DI DACHENHAUSEN Sulle modalità di ascolto del minore in giudizio nella Convenzione sui diritti del fanciullo e nelle pronunce del giudice italiano 1617 Alessandra VIVIANI Patologia dei rapporti familiari e diritti dei minori: l’Italia di fronte alla Corte europea dei diritti dell’uomo 1627

INDICE GENERALE

XVI

Valentina ZAMBRANO Il favor dei giudici di Strasburgo verso la protezione dei diritti delle persone con disabilità nel quadro dell’interpretazione evolutiva della CEDU 1657 Claudio ZANGHÌ I progetti di protocolli 15 e 16 alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo 1677

TOMMASO NATOLI*

ASPETTI ISTITUZIONALI DELLA RISPOSTA AI DISASTRI NEL SISTEMA DELLE NAZIONI UNITE

SOMMARIO: 1. Premessa. – 2. Il soccorso umanitario negli scenari post-catastrofe: il rispetto della sovranità e il problema del coordinamento. – 3. L’ordinamento internazionale e i disastri: una prospettiva storica. – 4. Il ruolo e l’attività delle Nazioni Unite nella risposta ai disastri. – 5. Il progetto di articoli sulla “Prote-zione delle persone in caso di disastro”. – 6. Considerazioni conclusive.

1. Premessa L’attenzione riservata dall’ordinamento internazionale ai disastri, in

particolare quelli di origine naturale, è storicamente caratterizzata da una sostanziale debolezza. Come osservato dalla Federazione Internazionale di Croce Rossa, la disaster response ha costituito, almeno fino agli inizi di que-sto secolo, «a long neglected facet of international law»1, e in effetti non è facile individuare un aspetto altrettanto minaccioso per gli esseri umani che abbia ricevuto una così scarsa considerazione dal punto di vista norma-tivo. Nel corso della seconda metà del novecento, i principali organismi in-tergovernativi e non governativi hanno cercato di colmare tale carenza at-traverso la formulazione di documenti di indirizzo, linee guida e principi operativi, nonché elaborando prassi organizzative e attuando modelli di in-tervento operativo.

La presente indagine intende ricostruire l’evoluzione delle dinamiche organizzative di risposta internazionale ai disastri su vasta scala, con un’attenzione particolare riservata agli aspetti istituzionali riconducibili al sistema delle Nazioni Unite. Verrà quindi analizzato il progetto a cui ha da-to vita la Commissione di diritto internazionale nel 2006, finalizzato alla creazione di un quadro normativo di riferimento in materia di protezione delle persone colpite da disastro. A tal fine sarà prima necessario delineare i caratteri tipici degli scenari di riferimento e le principali problematiche ad essi inerenti, nonché tracciare l’evoluzione storica del settore in esame nella fase antecedente alla nascita dell’ONU.

* Dottorando di ricerca in “Ordine internazionale e diritti umani”, Sapienza Università

di Roma. 1 International Federation of Red Cross and Red Crescent Societies, World Disaster

Report 2000, p. 157.

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2. Il soccorso umanitario negli scenari post-catastrofe: il rispetto della sovrani-tà e il problema del coordinamento

A partire dalle prime eruzioni del Vesuvio documentate, risalenti al

primo secolo d.C., fino ad arrivare al terremoto che ha devastato la Re-pubblica di Haiti nel gennaio 2010, i dati raccolti hanno permesso di valu-tare l’impatto che gli eventi catastrofici hanno avuto sulla vita dell’uomo e sullo sviluppo delle società sulle quali si sono abbattuti. Nonostante il loro ciclico manifestarsi, l’analisi dei trend statistici relativi all’ultimo secolo di-mostra come la frequenza e la gravità di tali fenomeni abbia avuto nel tem-po un incremento costante2. Tra le cause di questa tendenza si possono an-noverare non solo gli effetti dell’attività umana sull’ecosistema, come il cambiamento climatico e il degrado ambientale, ma anche l’attuazione di modelli di sviluppo inappropriati che hanno aumentato la vulnerabilità delle popolazioni, soprattutto nei Paesi del mondo in condizioni economi-che più arretrate3.

Sebbene la distinzione tra disastri naturali e antropici possa ritenersi oggi superata, a favore di una prospettiva incentrata sulle conseguenze dell’evento piuttosto che sulle sue cause scatenanti, i primi costituiranno l’oggetto principale del presente lavoro, se non altro in virtù della loro maggiore rilevanza in termini di frequenza e importanza dei danni provo-cati4. È stato in effetti rilevato come, negli ultimi anni, si siano verificati al-

2 Per una panoramica sui dati relativi ai disastri registrati dal 1900 al 2011 si vedano i grafici disponibili sul sito: www.emdat.be/natural-disasters-trends (disastri naturali) e www.emdat.be/technological-disasters-trends (disastri tecnologici).

3 Report del Segretario Generale ONU, A/60/227 del 12 agosto 2005, International co-operation on humanitarian assistance in the field of natural disasters, from relief to develop-ment, § 2 e 4.

4 Ai fini del presente contributo con i termini “disastro” o “catastrofe” si farà riferimento alla seguente definizione fornita dall’art. 3 del Progetto di articoli della Commissione di diritto internazionale sulla ‘Protezione delle persone in caso di disastro’: «a calamitous event or series of events resulting in widespread loss of life, great human suffering and distress, or large-scale material or environmental damage, thereby seriously disrupting the functioning of society». In linea con la recente tendenza generale, tale definizione è volta a ricomprendere eventi ai quali non corrisponde necessariamente una vasta perdita di vite umane, od un dispiegamento dei propri effetti al livello trans-nazionale. Il focus è quindi posto sulle conseguenze piuttosto che sulle cause dell’evento, risolvendo così il problema della differenziazione tra gli eventi di causa naturale e i disastri così detti “antropici” o “tecnologici”. Ciò anche in considerazione di quanto specificato dal Segretario generale delle Nazioni Unite nel Report A/60/227, cit., (§ 1), secondo cui : « […] will not be used, as it conveys the mistaken assumption that disasters occurring as a result of natural hazards are wholly “natural”, and therefore inevitable and outside human con-trol. Instead, it is widely recognized that such disasters are the result of the way individuals and societies relate to threats originating from natural hazards. The nature and scale of threats inherent in hazards vary. The risks and potential for disasters associated with natural hazards are largely shaped by prevailing levels of vulnerability and measures taken to pre-vent, mitigate and prepare for disasters. Thus, disasters are, to a great extent, determined by human action, or the lack of it.»

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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cuni dei disastri di origine naturale tra i più devastanti mai registrati dall’inizio del ventesimo secolo5. Il loro enorme impatto in termini di per-sone colpite, danni materiali, economici e sociali, ha comportato una rea-zione crescente da parte di tutti gli attori della Comunità internazionale, e catalizzato l’attenzione sui meccanismi e le dinamiche di intervento a scopo di soccorso umanitario. Si è così preso atto della grande complessità che caratterizza questa tipologia di interventi umanitari, dovuta in primo luogo alle caratteristiche proprie dei sudden disasters: la scarsa prevedibilità dell’evento, nonché, chiaramente, il dispiegamento dei suoi effetti in ma-niera improvvisa e dirompente. In stretta relazione a questi aspetti, gli sce-nari post-catastrofe mobilitano oggi una vera e propria “galassia umanita-ria”, composta da una miriade di soggetti fortemente eterogenea (organiz-zazioni intergovernative, non governative, private corporations6) che si tro-vano ad operare congiuntamente agli organismi nazionali (privati, civili e militari), in situazione di crisi.

Si comprende quindi come la natura di questa tipologia di eventi mar-chi una profonda distinzione con le crisi umanitarie cosiddette “struttura-li”, che dispiegano cioè i loro effetti nel medio o lungo periodo e che sono determinate da fattori naturali sistemici (come le carestie, le siccità, i pe-riodi di forte abbassamento o innalzamento delle temperature) o legati all’attività umana (conflitti armati, degrado e inquinamento ambientale)7. Occorre poi considerare la natura di per sé caotica dei contesti post-catastrofe, nei quali gli operatori umanitari sono chiamati ad agire nella maniera più rapida ed efficace possibile, e sottoposti perciò ad una forte pressione sul piano sia tecnico-operativo, che politico-mediatico8.

5 Secondo i dati forniti dal Centre for Research on the Epidemiology of Disasters (EM-

DAT/CRED) il numero dei disastri naturali registrati nel periodo 1975-1990 oscilla tra i 60 e i 200 all’anno mentre quello relativo all’ultimo decennio è praticamente raddoppiato. Per maggiori dettagli si veda: http://cred.be/sites/default/files/PressConference2011.pdf.

6 Il crescente coinvolgimento delle imprese multinazionali nelle attività di soccorso e assistenza post-catastrofe è stato sottolineato dal Segretario Generale Kofi Annan a seguito dello Tsunami nell’Oceano Indiano del 2004, il quale ha evidenziato come in quel caso vi sia stato «an imprecedent influx, at all levels of the relief efforts, of goods and services from the corporate business community»; Report, A/60/227 cit., § 52.

7 La risposta a tali tipologie di crisi, altrettanto devastanti sul piano umanitario rispetto a quelle “improvvise”, necessitano di meccanismi decisionali di intervento elaborati su tempistiche differenti, mentre al contrario il fattore dell’immediatezza è, nel secondo caso, determinante.

8 Per avere un’idea di cosa voglia dire una situazione di improvvisa criticità, nella quale la normalità viene stravolta nel giro di pochi attimi, si pensi agli effetti del terremoto che colpì la città di Bam nel sud-est dell’Iran il 26 dicembre del 2003. La prima scossa, di magnitudo 6.6 e della durata circa venti secondi, provocò la morte di 26,271 presone, il ferimento di altre 30.000 (su un totale di 97,000), il danneggiamento dell’85-90% degli edifici e delle infrastrutture e la completa distruzione del 75% delle abitazioni, privando circa 100.000 persone della propria abitazione nel giro di pochi minuti. In quella circostanza la risposta da parte della Comunità internazionale fu imponente: nei giorni seguenti personale umanitario e squadre di soccorso furono inviate da 44 paesi, e altri 60

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Da questo insieme di elementi appare quindi chiaro quanto sia fonda-mentale una ripartizione ex ante dei ruoli e delle responsabilità di tutti co-loro che si trovano ad operare congiuntamente in questi scenari, fermo re-stando il presupposto giuridico che concerne il ruolo del governo dello Stato colpito, la cui preminenza nella gestione del disastro e del coordina-mento degli aiuti internazionali è saldamente stabilita dal principio di do-mestic jurisdiction9. In ragione di ciò, l’azione degli attori umanitari “ester-ni” deve essere intrapresa, in primo luogo, solo nei casi in cui lo Stato col-pito ne faccia formalmente richiesta tramite i canali ufficiali, e in secondo luogo in senso integrativo, ovvero a supporto e sostegno alle attività intra-prese dalle autorità territoriali10.

Può tuttavia accadere che le capacità dello Stato colpito di far fronte all’emergenza risultino insufficienti o inadeguate, o che non esista un qua-dro normativo di riferimento chiaro e uniforme al livello nazionale. In tali circostanze le richieste di ingresso e di intervento da parte degli operatori umanitari internazionali, spesso presentate attraverso canali non contem-plati da accordi precedentemente stabiliti con lo Stato territoriale, entrano in diretto conflitto con la necessità di quest’ultimo di far fronte alla crisi mantenendo allo stesso tempo il controllo sulle attività che si svolgono sul suo territorio, a tutela della propria sovranità e sicurezza nazionale11.

Quando esistenti, l’alto grado di frammentarietà ed eterogeneità delle legislazioni interne con le quali gli enti umanitari devono confrontarsi, dà origine ad una nutrita gamma di ostacoli giuridici e di barriere amministra-tive, con l’effetto di rallentare notevolmente la fornitura di beni e servizi di

offrirono la loro assistenza. Secondo Jesper Lund, team leader di UNDAC (United Nations Disaster Assessment and Coordination), circa 1.300 operatori umanitari di 34 nazionalità diverse si recarono sul posto nei primi tre giorni seguenti al terremoto. Cfr. A. KATOCH, The Responders’ Cauldron: The Uniqueness of International Disaster Response, in Journ. Int. Aff., 2006, vol. 59/2, p. 157.

9 Così come stabilito dall’articolo 2.1 della Carta delle Nazioni Unite. Rosalyn Higgins, ex giudice della Corte Internazionale di Giustizia, ha definito la domestic jurisdiction come «an allocation of competence to states, which is important for the avoidance of conflict of authority.» in Problems and Process: International Law and How to use it, Oxford, 1994, p. 56.

10 È inoltre possibile che il governo dello Stato colpito non accetti l’assistenza internazionale in base a ragioni di natura politica, o che tale accettazione avvenga in maniera intempestiva. Cfr. gen. M. COSTAS TRASCASAS, Access to the Territory of a Disaster – Affected State, in International Disaster Response Law, in A. DE GUTTRY, M. GESTRI, G. VENTURINI (a cura di), International Disaster Response Law, 2012, pp. 224-227; P. HARVEY, Towards good humanitarian government – The role of the affected state in disaster response, Humanitarian Policy Group Report, settembre 2009.

11 L’assistenza umanitaria inter-statale ad esempio, può costituire un canale attraverso il quale perseguire anche obiettivi di politica estera e di sicurezza, o legati alla previsione di futuri guadagni economici. Ciò rende “fisiologico”, un certo grado di resistenza da parte dello Stato colpito dal disastro. Cfr. D. FIDLER, Disaster Relief and Governance After the Indian Ocean Tsunami: What Role for International Law, in Melb. Journ. Int. Law, vol. 6, 2005, p. 461.

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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soccorso12. Inoltre le capacità amministrative degli Stati, in particolare di quelli in via di sviluppo, sono spesso inadeguate a gestire l’ingresso massic-cio di beni e personale umanitario, e ciò può comportare il così detto effet-to “collo di bottiglia”, sfavorevole cioè ad un dispiegamento degli aiuti tempestivo ed efficiente, il tutto a scapito delle popolazioni colpite13.

Altro caso da considerare è quello in cui gli organi ufficiali dello Stato colpito, così come i vertici decisionali di enti territoriali e comunità locali, rimangano essi stessi vittime del disastro, o che la loro capacità operativa venga meno in maniera indiretta. In questi casi si possono verificare vuoti di potere, interruzioni nella catena di comando, falle nei sistemi di trasfe-rimento delle informazioni, interferenze tra i diversi livelli di autorità deci-sionale e quindi sovrapposizioni dei diversi piani di intervento (locale, na-zionale ed internazionale). La funzionalità delle operazioni di soccorso, in-fatti, può anche essere compromessa dal fatto che solitamente, nelle prime ore successive al disastro, i soccorsi affluiscono in maniera spontanea e di-

12 Sull’eterogeneità dei quadri normativi nazionali si veda M. MANCINI, The National

Legal Frameworks, in International Disaster Response Law, op. cit., pp. 267-285; Arnold Pronto, Senior Legal Officer dell’Ufficio affari legali delle Nazioni Unite e membro del Segretariato della Commissione di diritto internazionale ha proposto la seguente cataloga-zione delle specifiche questioni legali rintracciabili nel corso delle varie fasi dell’assistenza internazionale: «a) the legal aspects of the initiation of disaster assistance (consent, notifica-tion, requests and offers); b) the conditionality of assistance (e.g. retention of national con-trol, compliance with international and nationals rules and standards); c) issues of access of humanitarian personnel (visas, work permits, recognition of professional qualifications) and of importation of humanitarian goods and materials (temporary admission, identification requirements, re-exportation requirements, exemption of taxes, customs clearance, finan-cial limitations); d) issues relating to movement of personnel and goods (transit, over flight rights, freedom of movement and access within the receiving state); e) issues relating to sta-tus, identification requirements, privileges and immunities, and the distinction between United Nations officials and other humanitarian relief personnel; f) issues pertaining to the mechanics of the provision of relief (exchange of information, telecommunications, and the use of civil and military defense assets, as well as questions concerning the quality of relief assistance, costs, liability and compensation for inter-State relief, as well as compensation for victims; g) issues concerning protection, of humanitarian relief personnel as well as that of victims of disasters; h) the termination of assistance (the date of legal termination of assis-tance being relevant, for example, for the triggering of re-exportation requirements, for the ascertainment of cost estimates, for the expiration of special dispensations for access by humanitarian assistance personnel, etc.)». Cfr. A. PRONTO, Consideration of the Protection of Persons in the Event of Disasters by the International Law Commission, in ILSA Journ. Int. Comp. Law, vol. 15/2, 2009, p. 451.

13 «For example, although both governments made significant efforts to accommodate international relief, customs clearance became so backlogged in both Sri Lanka and Indo-nesia after the december 2004 tsunami that hundreds of containers of relief goods remained stranded long after many of the items they contained, such as tents, blankets and body bags, were no longer needed and food had perished». Cfr. IFRC, Law and legal issues in interna-tional disaster response: a desk study, 2007, p. 13; Cfr. anche G. ADINOLFI, Customs obsta-cles to Relief Consignments Under International Disaster Response Law, in International Dis-aster Response Law, op. cit., pp. 533-550.

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sorganizzata dalle comunità locali circostanti e dalle organizzazioni di so-cietà civile presenti sul territorio14.

Vi sono poi da considerare gli ostacoli logistici derivanti dalla distru-zione e dal danneggiamento delle infrastrutture di base. Nel corso delle prime ore successive al disastro le operazioni di soccorso sono quasi sem-pre rallentate dall’impraticabilità di strade, porti e aeroporti, o dal venir meno delle linee di comunicazione. In questi casi può risultare necessario l’invio e il dispiegamento di mezzi e personale militare, essendo gli eserciti nazionali spesso gli unici a disporre della necessaria capacità operativa e logistica15. Tale circostanza introduce però ulteriori elementi di criticità, dovuti alle divergenze “culturali” e ai differenti approcci operativi esistenti tra le componenti civili e quelle militari, e che possono determinare diffi-coltà negli scambi di informazioni e nella pianificazione di interventi co-muni o concertati16.

La scarsa competenza di alcuni attori umanitari, la cui esperienza spes-so non è verificabile preventivamente, può portare ad intraprendere inter-venti dagli esiti dannosi o sfavorevoli alla riabilitazione delle comunità col-pite, come ad esempio nei casi di forniture di beni e materiali inutili o ina-deguati: vestiario inadatto, medicinali scaduti, attrezzature superflue, ali-menti od oggetti culturalmente inappropriati al contesto17. Una questione centrale riguarda infatti la mancanza di criteri stabiliti sul piano interna-zionale relativi ai requisiti professionali e agli standard, sia operativi che qualitativi, ai quali gli operatori del settore dovrebbero conformarsi ex an-te, ovvero prima che l’evento disastroso si scateni. Un ulteriore aspetto problematico, relativo all’intervento messo in campo dalle ONG, sul quale

14 Tale flusso di aiuti, che può consistere in beni di cui non vi sia immediato bisogno,

forniti in quantità eccessiva o insufficiente da parte di individui volenterosi ma privi dell’esperienza necessaria, si riversa nell’area colpita prima che si siano accertati i bisogni effettivi, contribuendo a congestionare le vie di collegamento e di comunicazione impedendo alle autorità ufficiali di attuare i piani di emergenza previsti. Allo stesso tempo però il contributo delle organizzazioni locali è estremamente utile in quanto la conoscenza pregressa delle condizioni sociali e ambientali delle località colpite può risultare decisivo.

15 «The recent disasters in the United States and Pakistan have highlighted how useful certain military capabilities can be when first responders find themselves overwhelmed. Strategic airlift is crucial to transport urgently needed relief supplies as commercial aircraft are not always available in sufficient numbers. Moreover, helicopters have proven essential in the first phase of a disaster-relief operation when roads are often too badly damaged to be passable and sealift capabilities are critical to sustaining the relief effort in a more cost-effective way in the weeks and months following a disaster. Rapidly deployable military hospitals and medical personnel can also help out overburdened first responders. In addi-tion, military engineers, water purification units and search-and-rescue teams all have the skills that can greatly improve crisis-response capabilities and save lives.» Cfr. M. JOCHEMS, NATO’s growing humanitarian role, in NATO Review, 2006, consultabile su: http://www.nato.int/docu/review/2006/issue1/english/art4.html.

16 Cfr. P. CALVI PARISETTI, The Use of Civil and Military Defense Assets in Emergency Situations, in International Disaster Response Law, op. cit., pp. 585-599.

17 Cfr., Desk study, op. cit., p. 14.

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sarebbe importante porre l’attenzione, riguarda l’influenza politica che, come è stato riscontrato in vari casi, può essere esercitata sulla loro azione da parte dei maggiori finanziatori della loro attività, in primis gli Stati. In questi casi è opportuno considerare la possibilità che gli obiettivi umanitari cedano il passo alle priorità strategico-politiche nazionali elaborate in am-bito di politica estera.

Anche all’interno della stessa “Comunità internazionale umanitaria” si possono verificare dinamiche disfunzionali suscettibili di indebolire le atti-vità di soccorso. Uno dei fattori determinanti in questo senso riguarda cer-tamente la grande mediatizzazione degli eventi catastrofici e la diffusione immediata e globale delle immagini provenienti dalle zone colpite, con i relativi effetti di un potere comunicativo che, se da una parte ha favorito il coinvolgimento dell’opinione pubblica globale e la diffusione di uno spiri-to di solidarietà internazionale, ha comportato allo stesso tempo un feno-meno di “sovraffollamento” e di concentrazione improvvisa di organizza-zioni. Il luogo del disastro costituisce ormai una sorta di palcoscenico glo-bale per quelle organizzazioni che, approfittando del mainstreaming media-tico, mirano ad acquisire maggiore visibilità per trarne poi vantaggi futuri in termini di donazioni e raccolte fondi18.

Da questa serie di considerazioni appare dunque evidente quanto il coordinamento sul campo assuma, in questo contesto, un’importanza cen-trale. Questo dovrebbe potersi articolare secondo una scala di integrazione crescente: dal semplice scambio di dati e informazioni sugli effetti del disa-stro, sull’entità e la tipologia degli aiuti necessari, sulla localizzazione dei vari attori sul campo e sulle attività che essi intendono intraprendere, si dovrebbe arrivare alla realizzazione di un vero e proprio coordinamento operativo, sulla base del quale i vari attori possano presentare i loro proget-ti d’intervento cercando di armonizzarli tra loro, al fine di stabilire obiettivi comuni attraverso una strategia condivisa. In realtà, a tutt’oggi, bisogna constatare come la necessità di istituire di volta in volta una piattaforma comune di riferimento sul luogo del disastro sia fortemente ostacolata dalla mancanza di procedure prestabilite e di modelli di riferimento, nonché dal-la resistenza di alcune delle maggiori organizzazioni umanitarie che preferi-scono mantenere un certo grado di indipendenza e autonomia dai sistemi elaborati in seno alle principali organizzazioni intergovernative di riferi-mento, in primis le Nazioni Unite.

Come si vedrà a breve, le problematiche fin qui esposte sono tutte so-stanzialmente riconducibili al considerevole vuoto normativo che caratte-rizza l’ambito delle relazioni internazionali relativo alla risposta ai disastri. Oltretutto tale aspetto è aggravato dalla difficoltà di individuare un unico regime giuridico di riferimento per i diversi attori coinvolti, in primis le or-

18 Le stesse logiche mediatiche sono poi alla base della diminuzione improvvisa

dell’attenzione da parte dell’opinione pubblica globale, una volta superata la fase “choc” della crisi, proprio nel momento in cui i meccanismi di aiuto e assistenza dovrebbero aver raggiunto un buon grado di organizzazione e avrebbero più bisogno di un sostegno stabile e continuato da un punto di vista economico.

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ganizzazioni internazionali non governative e le grandi corporations, non essendo queste riconosciute come soggetti dall’ordinamento internaziona-le19. L’evidenza, a cui si è assistito, di tale disorganizzazione strutturale e dell’incertezza relativa ai ruoli e alle responsabilità degli attori che, diso-mogenei per capacità ed obiettivi, si trovano a dover agire simultaneamente in quello che l’Alto funzionario delle Nazioni Unite Arjun Katoch ha de-scritto come il “calderone dei primi soccorritori”20, ha coinvolto in misura sempre maggiore gli organi e le risorse del sistema delle Nazioni Unite. Ciò è avvenuto sulla base di principi di intervento e prassi organizzative che, sebbene siano ancora oggi in via di definizione, affondano le proprie radici in una fase antecedente alla nascita dell’Organizzazione.

3. L’ordinamento internazionale e i disastri: una prospettiva storica

In senso storico, la carenza normativa poc’anzi descritta può essere

messa ulteriormente in luce dall’accostamento ad altri settori del diritto in-ternazionale, primo fra tutti quello relativo ai conflitti armati, rispetto al quale si è pervenuti alla codificazione di un corpus giuridico ben radicato e articolato, capace di portare all’affermazione di principi e obblighi di por-tata generale21. Ancora più evidente è la disparità che sussiste rispetto a ca-tegorie di eventi catastrofici verificabili in tempo di pace, come ad esempio le epidemie, i disastri industriali, nucleari e marittimi, rispetto ai quali gli Stati e le organizzazioni intergovernative hanno favorito un considerevole sviluppo normativo già a partire dalla fine del XIX secolo22.

Appare dunque naturale interrogarsi sulle ragioni di una tendenza che ha relegato le attività internazionali di soccorso post-disastro in un “limbo” caratterizzato da una commistione di valutazioni geo-politiche, formule or-ganizzative ibride in continua evoluzione e un intricato corpus di norme di natura prevalentemente bilaterale23. Una prima spiegazione si può far risa-

19 A tal proposito è comunque opportuno sottolineare come le Organizzazioni non

governative svolgano ormai una funzione estremamente rilevante nello scenario internazionale, in grado di influire sul suo assetto normativo, seppure in maniera indiretta.

20 Vedi nota 8. 21 Si pensi ad esempio al ben noto art. 3 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra

del 1949. 22 Cfr. D. FIDLER, op. cit., p. 460. L’esistenza stessa dell’Organizzazione Mondiale della

Sanità (OMS), e la sua fervente attività regolamentare, conferma quanto detto. Si considerino poi, ad esempio, la Convenzione sull’assistenza in caso di incidenti nucleari ed emergenza radiologica del 1986 (1457 UNTS 133), la Convenzione sulla tempestiva notifica di un incidente nucleare del 1986 (1439 UNTS 275), la Convenzione internazionale sulla preparazione, la risposta e la cooperazione in caso di inquinamento da petrolio del 1990 (1891 UNTS 77) e la Convenzione sugli effetti transfrontalieri degli incidenti industriali del 1992 (2105 UNTS 457).

23 Cfr. gen. A. DE GUTTRY, Surveying the law, in International Disaster Response Law, op. cit., pp. 3-44.

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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lire al fatto che, in una Comunità internazionale “non-integrata”24, stori-camente animata da principi individualistici di natura “hobbesiana”, l’impossibilità di individuare specifiche responsabilità soggettive per i dan-ni provocati dalle grandi calamità abbia costituito un freno al processo di creazione normativa tra soggetti normalmente indotti ad accettare limita-zioni solo in vista di un interesse ben indentificabile. È possibile ritenere che la natura imprevedibile, episodica e relativamente breve di questi fe-nomeni abbia infatti favorito un atteggiamento cinico e fatalista da parte degli Stati.

In passato non sono comunque mancati i tentativi di contrastare tale tendenza, se non altro sul piano teorico-giuridico. Nel 1758, facendo ap-pello ad un principio giusnaturalistico di comune solidarietà tra i popoli, Emmerich de Vattel sostenne l’esistenza di un dovere morale di assistenza reciproca tra tutti gli Stati in caso di carestia e di altri disastri. Sulla base di questa impostazione fortemente idealista, il giurista svizzero elaborò anche una serie di considerazioni più realistiche, individuando ad esempio l’esistenza di un margine di discrezionalità in merito alla scelta di fornire tale assistenza, e all’entità della stessa, la quale non avrebbe mai dovuto esporre gli stessi Stati soccorritori al rischio di “scarsità”. Egli sottolineò inoltre come fosse legittimo richiedere alla nazione bisognosa una corre-sponsione per le provvigioni fornite, per quanto equa e nei limiti delle pos-sibilità25.

Tali elaborazioni teoriche sono rimaste tali fino ai giorni nostri. Gli in-teressi materiali, di natura sia politica che economica, che inevitabilmente gravitano attorno alle attività di soccorso umanitario, hanno indotto gli Sta-ti a mantenere un alto livello di discrezionalità, sia nella fornitura che nella ricezione degli aiuti, e a tutelare la propria sovranità territoriale a scapito della formazione di norme internazionali vincolanti. Non a caso, nel corso di tutto il XX secolo, i trattati internazionali multilaterali a vocazione uni-versale relativi alla disaster response sono stati solamente tre, due dei quali limitati rispettivamente nell’oggetto e nel numero di Stati parti26, ed uno

24 Sul carattere “non-integrato” della Comunità internazionale si veda G. ARANGIO-

RUIZ, Reflections on the problem of organization in integrated and non integrated societies, Milano, 1961 (Estr. Da: Rivista di diritto internazionale).

25 E. DE VATTEL, Le droit des gens or the principles of natural law applied to the conduct and affairs of nations and sovereigns, Vol. II, libro 2, § 5-7, 1758, second cui «[I]f a nation is suffering from famine, all those who have provisions to spare should assist it in its need, without however, exposing themselves to scarcity […] Whatever be the calamity affecting a Nation, the same help is due to it».

26 Si tratta della Convenzione di Tampere sulla fornitura di risorse di telecomu-nicazione per l’attenuazione degli effetti delle catastrofi e le operazioni di soccorso in caso di catastrofe, conclusa il 18 giugno 1998 ed entrata in vigore l’8 gennaio del 2005 e della Convenzione quadro sull’assistenza e la protezione civile, adottata il Ginevra il 22 maggio 2000. Mentre la prima, pur rappresentando ad oggi l’unico trattato multilaterale in vigore contenente norme vincolanti direttamente riferibili alle attività post-catastrofe soffre di un’applicazione settoriale limitata ad aspetti di natura tecnica, la Convenzione quadro sull’assistenza e la protezione civile conta invece ad oggi solamente 15 ratifiche.

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estinto senza essere di fatto mai riuscito a dispiegare i propri effetti. Que-sto fu la Convenzione che portò alla nascita dell’Unione internazionale di soccorso (UIS), conclusa a seguito di lavori portati avanti in seno all’Assemblea della Società delle Nazioni, ed entrata in vigore il 27 dicem-bre del 1932. Tale strumento costituisce ad oggi l’unico tentativo di perve-nire alla creazione di un organismo intergovernativo espressamente incari-cato di «promuovere l’aiuto reciproco in caso di calamità, […] incoraggia-re i soccorsi internazionali con l’apprestamento metodico dei mezzi dispo-nibili e [di] preparare qualsiasi progresso del diritto internazionale in que-sto dominio»27.

La UIS era stata creata con l’obiettivo di centralizzare ed armonizzare le attività di soccorso internazionale attraverso la creazione di una base di coordinamento volta a «procurare alle popolazioni funestate i primi soc-corsi e di riunire a questo scopo i doni, i mezzi e le prestazioni di ogni spe-cie» nel caso in cui si fossero verificate «calamità dovute a casi di forza maggiore e la cui gravità eccezionale ecceda le facoltà o i mezzi del popolo colpito»28. Tra i vari compiti dell’organizzazione vi era poi quello di studia-re l’elaborazione di misure di prevenzione delle calamità naturali, introdu-cendo quindi una dimensione ulteriore rispetto alla semplice attività di re-sponse. Sul piano operativo, l’area di intervento della nuova organizzazione sarebbe stata ovviamente limitata ai territori degli Stati parti, e ogni attività vincolata al consenso dello Stato territoriale29. Inoltre non erano state pre-viste limitazioni rationae materiae, non contenendo il trattato alcuna defi-nizione specifica relativa alla tipologia di eventi a seguito dei quali si sareb-be aperta la possibilità di intervento, a parte un generico riferimento alla «forza maggiore» che avrebbe dovuto generare le eventuali «calamità pub-bliche»30.

La neonata organizzazione soffrì da subito di una notevole debolezza strutturale, dovuta principalmente alla questione del sostegno economico che avrebbe dovuto garantirne il funzionamento. Oltre all’obbligo in capo agli Stati membri, originari e successivi, di fornire un contributo iniziale, non vennero previsti altri sistemi obbligatori di contribuzione31. Ad ecce-

27 Convenzione UIS, Preambolo. 28 Id., art. 2. È da notare come tali disposizioni mancassero di ulteriori specificazioni di

carattere operativo. 29 Id., artt. 3-4. 30 Tale ambiguità non venne mai del tutto superata, al punto che il governo britannico

chiese l’intervento dell’UIS in aiuto delle vittime della Guerra civile spagnola. Pare che l’intenzione iniziale di Giovanni Ciraolo, l’allora Presidente della Croce Rossa Italiana ed uno dei padri fondatori dell’UIS, fosse quella di allargare il campo di applicazione anche ai disastri generati da attività umane, inclusi quelli dovuti ai conflitti armati, ma questa proposta venne bocciata nella fase di redazione del trattato, dove si optò per l’adozione di formule più generiche. Cfr. J. F. HUTCHINSON, Disasters and the International Order. II: The International Relief Union, in Int. His. Rev., Vol. 23/2, 2001, pp. 264-265.

31 Nella versione definitiva del testo ci si limitò a prevedere la possibilità di ricevere fondi su base volontaria da parte di governi o società private, e i costi relativi al funzionamento ordinario vennero addossati alle componenti internazionali del Movimento

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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zione di alcuni interventi sporadici, e di qualche studio sulla prevenzione e la mitigazione dei disastri, l’Unione internazionale di soccorso non ebbe mai il sostegno necessario per potersi attivare concretamente. La sua attivi-tà cessò di fatto negli ultimi anni trenta, anche se la sua estinzione formale risale al 1968, quando l’UNESCO ereditò nominalmente le funzioni “scientifiche” dell’UIS, e quello che ne restava da un punto di vista struttu-rale32.

4. Il ruolo e l’attività delle Nazioni Unite nella risposta ai disastri Nel corso dei primi anni di vita dell’Organizzazione delle Nazioni Uni-

te l’attenzione rivolta alle questioni relative ai disastri fu limitata e sporadi-ca33. Le prime risoluzioni dell’Assemblea generale dedicate a questo tema, approvate agli inizi degli anni sessanta, furono relative ad eventi specifici, in particolare due terremoti - il primo avvenuto in Iran nel 1962, e il se-condo che rase al suolo la città di Skopje in Jugoslavia nel 1963 – e un ura-gano che nello stesso anno flagellò alcuni paesi del Centro America34.

In questa prima fase, le risoluzioni dell’Assemblea – realizzate sulla ba-se di documenti approvati in seno al Consiglio Economico e Sociale (ECOSOC), e di studi realizzati dal Segretario generale – si limitarono ad esortare i vertici dei propri organi operativi (lo stesso Segretario generale, i Capi delle Agenzie specializzate, il Direttore del Fondo speciale, il Diretto-re esecutivo del World Food Programme e dello United Nations Children’s Fund e i Comitati di assistenza tecnica) a dare la massima attenzione alle specifiche situazioni di crisi, e ad attivare tutte le risorse tecniche, umane e

di Croce Rossa, che avrebbero svolto le funzioni di segretariato generale sotto la direzione del Comitato esecutivo. Convenzione UIS, artt. 9-11.

32 Di certo il contesto internazionale nel quale questa nacque non fu dei più favorevoli. In primo luogo a causa della crisi economica del 1929, delle spinte isolazioniste da questa provocate, e del voto contrario del Senato americano che fece vacillare la già delicata struttura della Società delle Nazioni e con lei la visione delle relazioni internazionali di cui si faceva promotrice, ma soprattutto la lenta discesa verso il baratro della Seconda guerra mondiale costituirono uno scenario fortemente avverso all’UIS, e ai valori sui quali essa era stata fondata.

33 Cfr. gen. S. MARCHISIO, L’ONU. Il diritto delle Nazioni Unite, Bologna, 2012. L’assistenza umanitaria, pur non comparendo tra le attività dell’Organizzazione previste in maniera esplicita dalla Carta dell’ONU, può tuttavia essere intesa come parte dell’obiettivo di conseguire la cooperazione internazionale nella risoluzione di problemi internazionali – tra cui quelli di carattere umanitario – ex art. 3.1. Secondo l’art. 60 tali tale obiettivo ricadrebbe nell’ambito di attività dell’Assemblea Generale e, sotto la sua direzione, del Consiglio Economico e Sociale.

34 UNGA Ris. 1753 (XVII) del 5 ottobre del 1962, Measures to be adopted in connexion with the earthquake in Iran; UNGA Ris. 1882 (XVIII) del 14 ottobre 1963, Measures in connexion with the earthquake at Skoplje, Yugoslavia; UNGA Ris. 1888 (XVIII) del 1° no-vembre 1963, Measures in connexion with the hurricane which has struck the territories of Cuba, the Dominican Republic, Haiti, Jamaica, and Trinidad and Tobago.

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finanziarie a loro disposizione per venire incontro alle richieste e alle ne-cessità dei Paesi colpiti. In mancanza di procedure di intervento specifiche e prestabilite, sul piano operativo veniva lasciata ampia discrezione «when deciding, within the scope of their resources and authority, on the additio-nal service sto be extended to Member Stases»35. Con particolare riguardo ai terremoti e ai maremoti, sia gli Stati membri che gli enti specializzati ve-nivano esortati a favorire la cooperazione in materia di ricerca sismologica (analisi dei dati, mappature, codici e regolamenti ingegneristici per la rea-lizzazione di strutture antisismiche), con lo scopo di ottenere una condivi-sione dei risultati degli studi sulle cause e sugli effetti di tali fenomeni36. Nei confronti degli Stati terzi e delle ONG internazionali, l’Organizzazione si limitava ad esortare in maniera generale l’elaborazione di modalità di fornitura di assistenza su larga scala ai territori colpiti, sia al livello indivi-duale che collettivo.

Perché venisse approvato un documento basato su un approccio mag-giormente “olistico”, si dovette attendere il 1964, quando l’ECOSOC fece esplicita richiesta al Segretario generale U Thant di promuovere la realizza-zione di uno studio generale in materia di soccorso umanitario in caso di disastro37. Tale studio, realizzato l’anno successivo, portò all’approvazione della prima risoluzione dell’Assemblea generale dedicata alla ‘assistenza in-ternazionale in caso di disastro naturale’, nella quale vennero inseriti per la prima volta alcuni elementi di carattere generale, non riferiti a singoli ca-si38.

In essa i singoli Stati membri furono invitati ad elaborare un proprio piano nazionale di emergenza in caso di catastrofe, anche con l’ausilio dei funzionari ONU stanziati in loco, nel quale prefigurare un insieme di pro-cedure operative adeguate e commisurate alle particolari condizioni e ca-ratteristiche del Paese, nonché le corrispondenti entità e tipologie di soc-corso necessari in caso di catastrofe. Tale piano di emergenza avrebbe in primo luogo garantito una gestione ed un indirizzo unitario alle operazioni di soccorso39. Per gli Stati nel ruolo attivo di soccorritori, la risoluzione prevedeva la necessità di conformarsi ai rispettivi piani nazionali di emer-genza degli Stati colpiti, e di fornire al Segretario Generale comunicazioni tempestive circa le proprie capacità e effettive attività di assistenza e soc-corso40. La nuova risoluzione raccomandava poi, agli Stati che non l’avessero ancora fatto, di considerare l’istituzione di una Società nazionale di Croce Rossa o di Mezzaluna Rossa sul proprio territorio41, e accoglieva con soddisfazione la realizzazione di accordi di collegamento tra le agenzie dell’ONU e altre organizzazioni non governative, tra cui la Lega delle So-

35 UNGA Ris. 1753, punto 2. 36 Id., punti 6 e 7. 37 ECOSOC Ris. 1049 (XXXVII) del 14 Agosto 1964. 38 UNGA Ris. 2034 (XX) del 7 dicembre 1965, Assistance in case of natural disaster. 39 Id., punto 1 (a). 40 Id., punto 2. 41 Id., punto 1 (b).

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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cietà di Croce Rossa42. Ma la vera innovazione, da un punto di vista opera-tivo, riguardò la previsione di un fondo annuale per il soccorso d’emergenza, da far gravare sul Working capital Fund dell’Organizzazione e pari a 100.000 dollari statunitensi. Tale somma sarebbe stata utilizzata nei casi di disastro, con un tetto di un quinto del fondo per ogni paese colpi-to43.

Negli anni successivi, sulla base di quanto stabilito nella risoluzione del 1965, l’ECOSOC e l’Assemblea Generale dedicarono un’attenzione cre-scente al settore della risposta ai disastri, e strutturarono la propria attività attraverso l’adozione di documenti dal contenuto sempre più operativo. Questi furono in un primo momento rivolti principalmente agli Stati membri, al fine di incentivarli ad aumentare la propria capacità di risposta attraverso la realizzazione di specifici accordi amministrativi, programmi di addestramento del personale di soccorso, stoccaggio di forniture ed attrez-zature, pre-destinazione di mezzi di trasporto, sviluppo di sistemi di allerta preventiva e di comunicazioni d’emergenza44. In questa fase, il crescente impiego di personale messo a disposizione dall’Organizzazione spinse l’Assemblea a chiedere al Segretario generale di valutare la questione dello status di coloro che venivano inviati nelle unità di soccorso, al fine di ga-rantirne una tutela maggiore in relazione ai possibili vuoti giuridici dell’ordinamento interno dello Stato nel quale si trovavano ad operare45. Un interesse particolare continuò ad essere riservato alla promozione della ricerca scientifica, allo studio delle cause dei fenomeni catastrofici di origi-ne naturale, al riconoscimento tempestivo dei segnali premonitori, e all’accertamento delle aree di maggiore vulnerabilità46.

A seguito di questa prima sistematizzazione, le Nazioni Unite comin-ciarono ad assumere un vero e proprio ruolo di supervisione dei soccorsi. Allo stesso tempo l’Organizzazione iniziò ad elaborare altre modalità indi-rizzate ad un suo maggiore e diretto coinvolgimento nelle attività di respon-se, grazie anche all’attività del Segretario generale che si attivò motu proprio nella promozione di vaste operazioni di soccorso. Nondimeno le risoluzio-ni dell’Assemblea Generale riconobbero presto l’insufficienza delle misure intraprese fino a quel momento47, e cominciarono ad esaminare nuove pro-cedure in grado di rafforzare il ruolo di coordinamento dell’Organiz-zazione. In questa stessa fase si cominciò a mettere in luce l’impatto degli eventi calamitosi sui processi di sviluppo dei Paesi economicamente più arretrati, e in relazione a ciò, l’importanza di continuare in quei contesti le

42 Id., punto 3. 43 Id., punto 5. 44 UNGA Ris. 2435 (XXIII) 19 dicembre 1968, Assistance in case of natural disasters,

punto 1. 45 Id., punto 6. 46 Id., punto 2. 47 «Aware that the assistance envisaged in cases of natural disaster in resolution 2435

(XXIII) in inadequate for relief in calamities of major magnitude». UNGA Ris. 2717 (XXV) del 15 dicembre 1970, Assistance in case of natural disasters, considerando.

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attività di assistenza riabilitativa anche nelle fasi successive a quella della rispo-sta immediata (reconstruction, rehabilitation and development)48, attraverso un maggiore coinvolgimento dello United Nations Development Program (UNDP) e della Banca Internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo49.

Con la Risoluzione 2816 del 1971, l’Assemblea Generale fece richiesta al Segretario generale di istituire, sotto la sua direzione, una figura di Coordinatore dei soccorsi in caso di disastro (Disaster Relief Coordinator - DRC), e un ufficio permanente con sede a Ginevra a sostegno delle sue at-tività (United Nations Disaster Relief Office – UNDRO)50. Tale figura sa-rebbe stata incaricata in primo luogo di mobilitare, dirigere e coordinare le attività di soccorso umanitario attivabili all’interno del sistema delle Na-zioni Unite, così come di gestire le offerte di soccorsi inter-statali, e di oc-cuparsi del coordinamento con gli organismi del Movimento internazionale di Croce rossa e le altre organizzazioni non governative51. Allo stesso tem-po al DRC furono attribuite funzioni di gestione dei fondi messi a disposi-zione dalle Agenzie specializzate e dai Programmi ONU52, di affiancamen-to del governo dello Stato colpito nella valutazione delle necessità e delle priorità53, e di promozione di studi specifici sulla prevenzione, il controllo e la previsione dei disastri, al fine di favorire la diffusione e la condivisione di informazioni, e di piani operativi e logistici54. Nella stessa risoluzione venne anche chiesto ai governi degli Stati membri di individuare un refe-rente nazionale per la gestione dei soccorsi internazionali incaricato della preparazione dei piani nazionali d’emergenza, della formazione di persona-le amministrativo qualificato, e di incentivare la produzione legislativa in-terna volta a facilitare il recepimento degli aiuti, ad esempio in materia di diritti di sorvolo e di atterraggio, o di privilegi ed immunità per le squadre di soccorso55.

Negli anni successivi all’istituzione del DRC, l’Assemblea continuò ad affermare la necessità di mantenere, in materia di disastri, un’attenzione costante sul piano del coordinamento tra le agenzie ONU, gli Stati e gli at-tori umanitari non governativi, sottolineando la necessità di un rafforza-mento dello staff delle risorse e delle strutture a disposizione dell’UNDRO, in ragione delle difficoltà da questo riscontrate nel raggiungimento degli obiettivi previsti56.

Con una Risoluzione del novembre del 1974, si prese atto del fatto che

48 Id., punto 5(g). 49 Id., punti 8 e 9. Sullo UNDP e la Banca internazionale per la ricostruzione e lo svi-

luppo cfr. S. MARCHISIO, op. cit., pp. 311 e ss. 50 UNGA Ris. 2816 (XXVI) del 14 dicembre 1971, Assistance in case of natural disasters

and other disaster situations, punti 1 e 3. 51 Id., punti 1. (a), (b), (c). 52 Id., punto (d). 53 Id., punto (e). 54 Id., punti (f), (g) e (h). 55 Id., punto 8. 56 F. ZORZI GIUSTINIANI, Le Nazioni Unite e l’assistenza umanitaria, Napoli, 2008, pp. 207-209.

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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«the lack of adequate co-ordination on a world-wide basis results, in some cases, in lapses in meeting priority needs and, in others, in costly duplica-tion and the supply of unneeded assistance»57. Assunse inoltre sempre più rilievo il fatto che molte delle difficoltà incontrate nel dispiegamento dei soccorsi, erano riconducibili a questioni inerenti l’ordinamento giuridico interno degli Stati. A tal proposito, sulla base di uno studio successivo condotto congiuntamente dall’UNDRO e dalla Lega delle Società di Croce Rossa, inerente alle questioni normative legate al soccorso umanitario, l’ECOSOC adottò un elenco dettagliato di raccomandazioni rivolte agli Stati al fine di facilitare l’assistenza internazionale, denominato Measures to Expedite International Relief58. Questo identificò una serie di misure da adottare in alcuni specifici settori, tra cui quello doganale (riduzione dei tempi per il rilascio dei documenti, o delle restrizioni previste per determi-nate categorie di beni), quello dei trasporti (concessione di diritti di sorvo-lo ed atterraggio) o quello delle comunicazioni (accesso alle infrastrutture e alle linee nazionali). Le misure contenevano poi uno specifico appello ai donatori, ai quali venne chiesto di evitare l’invio di beni irrilevanti, e di no-tificare preventivamente ed in maniera tempestiva le spedizioni imminenti.

Con il tramonto dell’era bipolare, e la profonda ristrutturazione del si-stema internazionale che ne conseguì, il ruolo dell’ONU nelle attività di risposta ai disastri acquisì nuove caratteristiche. È da rilevare, in primo luogo, una nuova definizione dell’oggetto delle risoluzioni dell’Assemblea, nelle quali si cominciò a fare riferimento anche alle «similar emergency si-tuations», realtà equiparate ai disastri naturali per ciò che concerne la ri-sposta umanitaria. In questo senso le disposizioni di indirizzo dell’azione umanitaria nei casi di sudden disasters assumevano una valenza generale, estendendosi anche alle crisi umanitarie “complesse” e di lungo periodo. Inoltre, se fino a quel momento ci si era concentrati sulle capacità di inter-vento diretto degli organismi collegati all’Organizzazione (Fondi, Pro-grammi ed Istituti specializzati), il vertiginoso aumento del numero di or-ganizzazioni umanitarie non governative e delle attività da queste intrapre-se, rese necessario ricalibrare il focus sulla definizione di un regime genera-le di regolazione e di coordinamento delle operazioni di soccorso59. Alcuni dei punti contenuti nelle Measures del 1977 furono infatti ripresi in due importanti Risoluzioni adottate tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, in base alle quali le autorità territoriali impegnate nella risposta ai disa-stri avrebbero dovuto facilitare il lavoro delle organizzazioni umanitarie impegnate nella distribuzione di cibo, medicinali e assistenza sanitaria,

57 UNGA Res. 3243 (XXIX) del 29 novembre 1974, Strengthening of the Office of the

Disaster Relief Coordinator, punto 5. Tale risoluzione portò alla creazione dell’UNDRO Trust Fund, che permise a tale Ufficio di assumere maggiore indipendenza finanziaria rispetto all’Assemblea Generale.

58 ECOSOC Ris. 2012 (LXIII) (1977), recepita dall’Assemblea generale con la UNGA Ris. 32/56 dell’8 dicembre 1977, Office of the UN Disaster Relief Co-ordinator.

59 F. ZORZI GIUSTINIANI, op. cit., pp. 13-14.

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mentre gli Stati limitrofi vennero esortati a facilitarne il transito sul proprio territorio60.

In questa fase la questione dell’accesso alle vittime dei disastri comin-ciò dunque ad assumere grande rilevanza. La maggior parte degli Stati rappresentati all’interno dell’Assemblea Generale cominciò a pretendere che nei documenti adottati dall’AG venisse contemplato il rispetto della sovranità degli Stati e della loro integrità territoriale – aspetto che andava assumendo un’importanza centrale di fronte al crescente timore di “inge-renze umanitarie”61. Allo stesso tempo un’attenzione crescente venne posta sul tema della responsabilità degli stessi Stati di far fronte ai bisogni prima-ri della propria popolazione, derivante dalla considerazione del fatto che «the abandonment of the victims of natural disasters and similar emergen-cy situations without humanitarian assistance constitutes a threat to human life and an offence to human dignity»62. Sebbene, allora come oggi, non si possa rilevare l’esistenza di una norma volta a sancire un diritto umano all’assistenza umanitaria, il graduale mutamento interpretativo del princi-pio di dominio riservato e il rafforzamento degli obblighi in capo agli Stati in materia di tutela dei diritti fondamentali dell’individuo – in primis quel-lo alla vita, ad un livello di vita sufficiente e alla salute – hanno dato vita al progressivo riconoscimento della responsabilità degli Stati di provvedere ai bisogni primari della propria popolazione in ogni situazione, e quindi an-che (e soprattutto) in situazione di crisi umanitaria63.

Il primary role statale cominciò quindi ad assumere una doppia valenza: al riconoscimento della preminenza nel controllo delle attività di assistenza umanitaria in tutte le sue fasi – initiation, organization, co-ordination and implementation64 – venne fatto corrispondere una sorta di “dovere morale”

60 UNGA Ris. 43/131 dell’8 dicembre 1988, Humanitarian Assistance to victims of nat-

ural disasters and similar emergency situations, punti 4 e 6; UNGA Ris. 45/100 del 14 dicembre 1990, Humanitarian assistance to victims of natural disasters and similar emergency situations, punti 4 e 7.

61 Nel corso del dibattito antecedente all’adozione della Ris. 43/131 i Paesi in via di sviluppo si opposero per «il timore che l’azione umanitaria potesse divenire lo strumento di una politica “neocolonizzatrice”». Cfr. F. ZORZI GIUSTINIANI, op. cit., p. 25.

62 UNGA Ris. 43/131 cit., preambolo. Tale convincimento fu ripreso successivamente nella Ris. UNGA 48/188 del 9 marzo 1994, International Decade for Natural Disaster Reduc-tion, nella quale si precisò come «each country bears the primary responsibility for protect-ing its people, infrastructure and other national assets from the impact of natural disasters».

63 Per un approfondimento Cfr. gen. J. BENTON HEATH, Disasters, Relief, and Neglect, the duty to accept humanitarian assistance and the work of the international law commission, in New York Uni. Journ. Int. Law. Pol., 43/2010-2011, pp. 419 e ss.; A. CRETA, A (Human) Right to Humanitarian Assistance in Disaster Situations? Surveying Public International Law, in International Disaster Response Law, op. cit., pp. 353 e ss.; Nella Ris. 3318 (XXIX) del 14 dicembre 1974, Declaration on the protection of women and children in emergency and armed conflict, l’AG aveva già fatto riferimento ad un collegamento esistente tra i diritti fondamentali elencati negli strumenti giuridici di tutela dei diritti umani, e la protezione da garantire a donne e bambini in situazioni di emergenza e di conflitto armato.

64 UNGA 45/100 cit., punti 2, 6 e 8. Il primary role statale era peraltro già stato

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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di soccorrere la propria popolazione nella maniera più rapida ed efficace possibile, anche favorendo l’ingresso e l’operatività degli aiuti internaziona-li e permettendo la creazione di “corridoi umanitari”65.

Al fine di favorire una maggiore apertura da parte degli Stati nel per-mettere l’accesso alle vittime, e di definire le coordinate generali delle atti-vità di assistenza post-catastrofe, si ritenne poi necessario stabilire alcuni di principi guida di riferimento. È in questa fase che, nelle risoluzioni dell’AG, vennero menzionati per la prima volta i concetti di umanità, im-parzialità e neutralità – ripresi nel loro contenuto dai principi fondamentali del Movimento internazionale di Croce rossa66 – come criteri di riferimento e indirizzo per l’azione di tutti gli operatori internazionali, una volta fatto ingresso nel territorio dello Stato colpito. Il rispetto di questi principi pre-tendeva che l’azione umanitaria avesse come unico obiettivo quello di alle-viare la sofferenza umana, operando in base ad un criterio di priorità volto a valutare esclusivamente la gravità e le afflizioni più urgenti, senza alcuna distinzione fondata su criteri di appartenenza etnica, religiosa, sociale o po-litica. Si stabilì, di conseguenza, che il personale umanitario dovesse aste-nersi dalla partecipazione, anche indiretta, ai conflitti interni o a qualsiasi controversia di ordine sociale, politico, etnico, religioso o ideologico in corso nel Paese67. In relazione alla questione dell’accountability, venne an-che considerata la possibilità di creare delle liste (roster) di operatori affi-

affermato nella UNGA 36/225 del 17 dicembre 1981, Strengthening the capacity of the United Nations system to respond to natural disaster and other disaster situations, punto 2.

65 UNGA 45/100 cit., punto 4. Il linguaggio utilizzato («Invites all States whose population are in need of such assistance, to facilitate the work of these organizations in implementing humanitarian assistance»), fu chiaramente volto ad escludere l’esistenza di un obbligo di natura giuridica in tal senso. Una relativa apertura sulla necessità del consenso dello Stato colpito per l’ingresso degli enti umanitari sul suo territorio sarà inserita nel testo della Ris. 46/182, nella quale si afferma che l’assistenza umanitaria «should be provided with the consent of the affected country and in principle on the basis of an appeal by the affected country» (corsivo aggiunto). È interessante notare come in questa fase, sebbene in un contesto differente come quello che caratterizzò la crisi somala del 1992, anche nel Con-siglio di sicurezza si registrò un importante mutamento di prospettiva, con il riconoscimen-to di un legame diretto tra crisi umanitaria (aggravata dall’impossibilità di dispiegare l’assistenza internazionale) e minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, si veda in propostio R. CADIN, I presupposti dell’azione del Consiglio di Sicurezza nell’articolo 39 della Carta delle Nazioni Unite, Milano, 2008, pp. 102-109.

66 UNGA Ris. 43/131 cit., considerando. Per un approfondimento sulla genesi e sul contenuto di tali principi si consulti la pagina http://www.ifrc.org/vision-et-mission/vision-et-mission/les-7-principes----les-7-principes/.

67 Le diverse interpretazione di tali principi da parte delle principali organizzazioni non governative umanitarie, hanno dato vita nel tempo ad una serie di modelli operativi di riferimento per l’azione umanitaria, come ad esempio lo human rights approach e il developmentalist approach. Per un interessante approfondimento in merito si veda F. ZORZI

GIUSTINIANI, op. cit., pp. 148-154.

TOMMASO NATOLI 1074

dabili ed esperti nella gestione dell’assistenza umanitaria d’emergenza, a cui poter fare riferimento in caso di necessità68.

Un notevole passo in avanti fu compiuto agli inizi degli anni ‘90, a se-guito della decisione dell’ONU di istituire un quadro internazionale d’azione decennale relativo alla riduzione dei disastri naturali69. Di impor-tanza fondamentale in questo senso fu l’approvazione della risoluzione 46/182, dedicata al rafforzamento del ruolo di coordinamento delle Nazio-ni Unite nel settore dell’assistenza umanitaria d’emergenza, e in particolare dell’articolato documento ad essa annesso70. Tale documento rappresenta ancora oggi un punto di riferimento del settore, in quanto sistematizzò il contenuto di tutte le Risoluzioni elaborate ed approvate fino a quel mo-mento da parte degli Stati membri, e fornì allo stesso tempo una base per le successive evoluzioni del ruolo dell’ONU, di cui venne definitivamente affermato il «central and unique role to play in providing leadership and coordinating the efforts of the international community to support the af-fected countries»71. Le principali novità contenute in questo documento riguardavano in primo luogo l’individuazione di una serie di meccanismi di “preparazione” (preparedness) alle catastrofi, attraverso la messa a punto di sistemi di early warning information, in grado di facilitare uno scambio re-pentino e senza restrizioni delle informazioni raccolte dagli organismi tec-nici specializzati72. In riferimento alla gestione della risposta vera e propria, veniva poi affrontata la questione della stand-by capacity, e in particolare degli accordi relativi ai fondi per l’emergenza, il cui utilizzo venne previsto secondo un sistema complementare centralizzato interno al sistema “onu-siano”, in grado di mettere a disposizione subito le risorse adeguate ad una risposta efficace nelle fasi iniziali dell’emergenza. L’entità di tale fondo, da crearsi grazie a donazioni volontarie, fu stabilita per 50 milioni di dollari statunitensi, dai quali gli organismi operativi dell’ONU avrebbero potuto attingere in maniera immediata i finanziamenti necessari, previo il successi-vo rimborso tramite i bilanci ordinari73.

Le competenze e il ruolo del DRC vennero rafforzati dal conferimento della qualifica di Sottosegretario per gli affari umanitari, come desumibile dalla nuova denominazione di Emergency Relief Coordinator (ERC). Que-sto fu incaricato di gestire le richieste provenienti dagli Stati impegnati nel-

68 UNGA Ris. 45/100 cit., punto 9. 69 UNGA Ris. 42/169 dell’11 dicembre 1987, International Decade for Natural Disaster

Reduction e UNGA Ris. 44/236 del 22 dicembre 1989, International Decade for Natural Disaster Reduction, annesso.

70 UNGA Ris. 46/182 del 19 dicembre 1991, Strengthening of the coordination of hu-manitarian emergency assistance of the United Nations.

71 Id., annesso, punto 12. 72 Id., annesso, punti 19 e 20. 73 Id., punti 21-26, e 31 annesso. Si tratta del Central emergency Revolving Fund -

CERF. Tale sistema avrebbe operato in funzione di una valutazione centralizzata dei biso-gni delle popolazioni colpite, per mezzo di un Consolidated Appeal Process, istituito come punto di riferimento per le richieste di finanziamento ai donatori.

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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la risposta ad un’emergenza su vasta scala, nonché la negoziazione e il coordinamento per garantire l’accesso degli attori umanitari alle aree colpi-te. L’ERC avrebbe svolto inoltre un ruolo di guida organizzativa per le Agenzie specializzate e i Programmi delle Nazioni Unite, e per i coordina-tori residenti nel paese colpito (i così detti Resident Coordinators), sostitui-bili, in base ai vari modelli di coordinamento, dal rappresentante di una Lead Agency individuata all’interno del sistema ONU74. Sempre tra le competenze dell’ERC, venne individuata anche quella di favorire la diffu-sione di dati e informazioni attraverso la realizzazione di report messi a di-sposizione di tutti i governi che ne avessero fatto richiesta, relativi alle mo-dalità e all’entità dell’assistenza che l’Organizzazione sarebbe stata in grado di offrire in caso di bisogno. A fronte del potenziamento di ruolo e funzio-ni nella figura del sottosegretario, venne inoltre previsto il rafforzamento della struttura a sua disposizione, attraverso l’istituzione di un vero e pro-prio Departement of Humanitarian Affairs (che sarebbe divenuto sei anni dopo l’attuale Office for the Coordination of Humanitarian Affairs – OCHA), il quale avrebbe gestito anche la risposta ad emergenze strutturali maggiormente prolungate o complesse75.

La risoluzione 46/182 sancì anche la creazione di un nuovo importante organismo, l’Inter-Agency Standing Committee (IASC), presieduto dal-l’ERC. Le funzioni di questo Comitato prevedevano l’elaborazione di linee comuni di politica umanitaria e, in caso di emergenza, l’organizzazione tempestiva riunioni di coordinamento e valutazione tra i rappresentanti degli organi sussidiari e delle agenzie specializzate ONU con competenze nel settore umanitario e dello sviluppo76. Oltre a questi, fu prevista anche la partecipazione di rappresentanti di organizzazioni “esterne” come la Fe-derazione internazionale di Croce Rossa e Mezzaluna Rossa (FICR), il Co-mitato internazionale di Croce rossa (CICR), l’Organizzazione internazio-nale per le migrazioni (OIM), e i rappresentanti delle più importanti orga-nizzazioni non governative77.

Con una successiva Risoluzione del 1994, venne posta l’attenzione an-che sulla necessità di incoraggiare la creazione di corpi di volontari al livel-lo nazionale, attraverso l’identificazione, l’addestramento e lo stanziamento di squadre specializzate in grado di intervenire prontamente in caso di ne-cessità. La White Helmets Initiative, così venne definito questo organismo creato dal governo argentino, venne inquadrato come supporto prezioso nel campo dell’attività umanitaria dell’ONU, e posta sotto il coordinamen-

74 Per un approfondimento sui diversi modelli di coordinamento utilizzati dalle

Nazioni Unite sul campo si veda, F. ZORZI GIUSTINIANI, op. cit., pp. 215-234. 75 UNGA Ris. 46/182 cit., punti 33-37, annesso. 76 In particolare dai direttori esecutivi di UNICEF, UNDP, FAO, WFP, WHO,

UNHCR, OHCHR e Banca mondiale; Si veda in proposito www.humanitarianinfo.org/iasc/.

77 UNGA Ris. 46/182 cit., punto 38, annesso.

TOMMASO NATOLI 1076

to del Dipartimento degli affari umanitari, del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (UNDP) e dei United Nations Volunteers78.

Se la seconda metà degli anni novanta ha costituito un periodo di so-stanziale assestamento dell’impostazione voluta dalla risoluzione 46/182, nel corso dell’ultimo decennio il tema dei disastri naturali è stato inserito all’interno di strategie di più ampio respiro elaborate in seno all’ONU. Un riferimento importante al tema della disaster response è contenuto ad esempio negli ‘Obiettivi di sviluppo del millennio’, elaborati ed approvati nel settembre del 2000. Tra gli impegni assunti dalla Comunità internazio-nale in quel frangente, contenuti nella United Nations Millennium Declara-tion, veniva introdotto anche quello di «intensificare la cooperazione volta a ridurre il numero e gli effetti dei disastri naturali e antropici» e quello di «non risparmiarsi nel tentare di assicurare ai bambini e a tutte le popola-zioni civili che soffrono in maniera sproporzionata le conseguenze dei disa-stri naturali […] e di altre emergenze umanitarie, ogni tipo di assistenza e protezione che possa ricondurli a delle condizioni di vita il più possibile normali»79.

La World Conference on Disaster Reduction, tenutasi nel gennaio del 2005 a Hyogo (Giappone), ha invece portato all’elaborazione di un quadro d’azione decennale con l’obiettivo di favorire la conoscenza e la diffusione di policies e buone pratiche sulla riduzione dei disastri nel contesto dello sviluppo sostenibile80.

Negli ultimi anni, per non lasciare che tali obiettivi di lungo periodo rimanessero enunciazioni di fatto prive di effetti concreti, l’Assemblea ge-nerale ha adottato risoluzioni relative ad alcuni specifici aspetti delle attivi-tà di soccorso. Una di queste ha riguardato ad esempio le operazioni di search and rescue condotte in territori urbani81. Rispetto a queste operazio-ni, gli Stati riceventi il soccorso venivano sollecitati a «simplify or reduce customs and administrative procedures related to the entry, transit, stay and exit of international urban search and rescue teams and their equip-ment and materials». Allo stesso tempo veniva però chiesto agli Stati forni-tori di assicurarsi che le proprie squadre operative operassero in conformi-tà con le apposite linee guida realizzate dall’International Search and Rescue

78 UNGA Ris. 49/139 del 3 febbraio 1995, Strengthening the coordination of humanitar-ian emergency assistance of the United Nations, parte B.

79 United Nations Millennium Declaration, UNGA Res. 55/2, del 18 settembre 2000, § 23, 26. Sebbene la riduzione dei disastri non sia elencata tra gli obiettivi del millennio, è sta-to riconosciuto dall’AG come i progressi in questo campo siano decisivi per il raggiungi-mento degli altri obiettivi. Si veda UNGA Ris. 61/200, 16 febbraio 2007, Natural disaster and vulnerability, §4.

80 La Hyogo Framework for Action è stata recepita dall’AG con la Ris. 60/195 del 2 marzo 2006, International Strategy for Disaster Reduction. Tale risoluzione ha collocato la questione dei disastri naturali nella cornice generale della riduzione del rischio. Tali aspetti non verranno approfonditi in questo contributo, incentrato sulle attività di risposta a tali eventi.

81 UNGA Ris. 57/150 del 16 dicembre 2002, Strengthening the Effectiveness and Coor-dination of International USAR Assistance.

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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Advisory Group (INSARAG), in particolare in relazione a «timely de-ployment, self-sufficiency, training, operating procedures and equipment, and cultural awareness»82.

Nel 2006, a seguito di operazioni post-catastrofe nel corso delle quali le forze armate si erano dimostrate le uniche in grado di svolgere determinate operazioni di soccorso in contesti di forte criticità, come ad esempio nel caso del terremoto nel Kashmir dell’ottobre 200583, l’AG ha ritenuto utile cominciare a stabilire in maniera più chiara le modalità di cooperazione e coordinamento umanitario relative al coinvolgimento di organismi militari. Per la prima volta, pur riaffermando il ruolo guida delle organizzazioni ci-vili nelle attività di assistenza umanitaria, veniva riconosciuta la possibilità di impiego delle risorse e le capacità militari a supporto di tali attività, pur-ché in conformità alle norme di diritto internazionale umanitario e ai prin-cipi umanitari84. Il Segretario generale venne quindi incaricato di sviluppa-re piani di collegamento con le autorità nazionali, per identificare le rispet-tive disponibilità in tale senso ed inquadrare la collaborazione civile-militare, anche di natura inter-statale, nella risposta alle catastrofi85.

Lo stesso anno, all’interno dell’Assemblea, si trovava un accordo in merito alla creazione della United Nations Platform for Space-based Infor-mation for Disaster Management and Emergency Response (UN-SPIDER)86. Obiettivo del nuovo programma sarebbe stato quello di creare un portale digitale per l’accesso e l’utilizzo di ogni tipo di dati e informazioni raccolti da tecnologie spaziali, in grado di favorire una migliore gestione dei disa-stri in tutte le sue fasi, compresa quella della risposta. Ciò sarebbe andato a vantaggio sia degli Stati che delle organizzazioni internazionali e regionali, e avrebbe favorito una relazione sinergica tra la comunità scientifica e gli operatori del disaster management, implementata sul modello di open net-work, come strumento utile per le strategie di riduzione delle perdite di vi-te e di beni soprattutto nei paesi meno avanzati, nei quali l’accesso a questo tipo di tecnologie è più difficoltoso87.

82 Per maggiori informazioni si rimanda alla pagina http://www.unocha.org/what-we-

do/coordination-tools/insarag/overview 83 V. nota 15. 84 UNGA Ris. 61/134 del 2007, Strengthening of the coordination of humanitarian

emergency assistance of the United Nations, punto 5. 85 Id., punto 6. 86 UNGA Ris. 61/110 del 14 dicembre 2006, United Nations Platform for Space-based

Information for Disaster Management and Emergency Response. 87 Cfr. S. MARCHISIO, Contractual Issues and Economic Considerations. Prevention of

Natural Disasters: Space and Environmental Law at the Crossroad, in Proceedings of the In-ternational Conference: Natural Disasters and the Role of Satellite Remote-Sensing: Economic and Legal Considerations. Tunisi, 26-28 aprile 2005, pp. 59-64, Parigi, 2006.

TOMMASO NATOLI 1078

5. Il progetto di articoli sulla “Protezione delle persone in caso di disastri” Ad oggi la prassi del soccorso umanitario post-catastrofe è, come si è

visto, ancora in via di definizione e molti sono gli aspetti che rimangono delicati ed incerti. L’elaborazione di strumenti di soft law (risoluzioni e di-chiarazioni di principi), nonché di studi, linee guida e piani d’azione, non è riuscita a compensare la mancanza di un quadro giuridico sistematizzato, attorno al quale costruire una pratica consolidata e in base al quale stabilire in maniera chiara ruoli, obblighi e responsabilità di tutti gli attori coinvolti. È anche per questa ragione che nel 2006 la Commissione del diritto inter-nazionale delle Nazioni Unite (CDI) ha invitato il Segretario generale ad avviare uno studio sull’argomento, e assegnato ad un relatore speciale, il colombiano Eduardo Valencia-Ospina, il compito di esaminare la questio-ne in vista dell’elaborazione di un progetto di articoli88.

Sebbene al momento in cui si scrive i lavori non siano ancora conclusi, è possibile metterne in luce alcuni elementi di rilievo. Già dalla lettura del topic del progetto – ‘Protezione delle persone in caso di disastri’ – si desu-me come la sua finalità sia quella di definire una cornice generale volta a favorire il rispetto dei diritti fondamentali individuali in situazioni di emer-genza post-catastrofe, indipendentemente dalle cause scatenanti, a partire da una valutazione dei bisogni essenziali delle popolazioni colpite89. L’intento non sembra essere quindi quello di compiere un’analisi esaustiva di tutte le implicazioni tecnico-normative generate dal verificarsi di eventi catastrofici, quanto piuttosto quello di cristallizzare una serie di principi fondamentali e creare così uno spazio legale solido all’interno del quale elaborare e condurre le attività di soccorso90.

L’impostazione inizialmente voluta dallo Special Rapporteur, caratteriz-zata da un approccio fortemente rights-based, era stata strutturata attorno due assi principali – diritti e obblighi degli Stati nelle loro reciproche rela-zioni e diritti e obblighi degli Stati nei confronti delle persone bisognose di protezione91. Questa è stata ridimensionata nel tempo a causa delle resi-stenze incontrate, sia in seno alla CDI che all’interno della sesta Grande Commissione dell’AG, incaricata di affrontare le questioni legali e di svi-

88 Tale decisione venne presa anche a seguito di una serie di eventi catastrofici che sconvolsero la Comunità internazionale per i loro effetti distruttivi come il terremoto e maremoto nell’Oceano indiano del 26 dicembre del 2004, il terremoto nel sub continente indiano dell’8 ottobre 2005 e l’uragano Katrina che flagellò le coste statunitensi nell’agosto del 2005. Sul Progetto Cfr. Gen. F. ZORZI GIUSTINIANI, The Works of the International Law Commission on ‘Protection of Persons in the Event of Disasters’, A Critical Appraisal, in International Disaster Response Law, op. cit., pp. 65-84; sulla Commissione del diritto internazionale Cfr. gen. S. MARCHISIO, op. cit., 2012, p. 156.

89 «The purpose of the present draft articles is to facilitate an adequate and effective re-sponse to disasters that meets the essential needs of the persons concerned, with full respect for their rights.» Art. 2, U.N.Doc A/CN.4/L.758.

90 Vedi A/CN.4/598 del 5 maggio 2008, Preliminary report on the protection of persons in the event of disasters, § 11.

91 Id., punto 2.

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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luppo progressivo del diritto internazionale, rispetto ad interpretazioni in-novative del principio di non ingerenza negli affari interni degli Stati. Nel definire il ruolo dello Stato colpito, ad esempio, il Progetto si limita a riaf-fermare la lettura dicotomica del principio di sovranità, come già stabilito nelle risoluzioni dell’AG (ruolo primario nel controllo e nella gestione de-gli aiuti esterni e doveri nei confronti della propria popolazione), evitando ogni riferimento alla questione della responsabilità statale per eventuali di-nieghi di soccorso.

A tal proposito, sembra potersi registrare in una serie di documenti più recenti una graduale tendenza verso il riconoscimento di un obbligo se-condario in capo agli Stati di non impedire i soccorsi esterni quando questi siano necessari92, ed è stato inoltre sostenuto come, nell’eventuale rifiuto arbitrario ed ingiustificato da parte delle autorità territoriali a consentire l’ingresso di soccorsi esterni, si possa ravvisare ad oggi una grave responsa-bilità delle stesse in riferimento ad una delle fattispecie elencate nello Sta-tuto della Corte Penale Internazionale, tra gli atti riconducibili al crimine di sterminio93.

Sebbene nel Progetto venga stabilito un obbligo generale di coopera-zione tra tutti i soggetti coinvolti94, e si preveda un (generico) richiamo ai diritti umani e alla dignità delle vittime di disastro95, non è stata prevista alcuna apertura rispetto all’esistenza di un diritto umano all’assistenza umanitaria in casi di emergenza96.

Nel definire il ruolo dello Stato colpito, viene tuttavia stabilito come esso abbia il dovere di cercare (duty to seek) l’assistenza internazionale qualora la propria capacità di risposta risulti insufficiente e, pur ribadendo la necessità del consenso delle autorità sovrane all’ingresso sul territorio di operatori umanitari esterni, il Progetto esclude la possibilità che questo possa essere negato in maniera arbitraria97. In entrambi i casi però non vengono specificati i criteri sulla base dei quali stabilire l’incapacità di ri-

92 Si vedano in proposito i Guiding Principles on Internal Displacement, U.N. Doc.

E/CN.4/1998/53/Add. 2 (1998), principio 25, §§ 2 e 3; il Code of Conduct for the Interna-tional Red Cross and Red Crescent Movement and NGOs in Disaster Relief (IFRC), 1995, annesso 1, § 2.; Institute De Droit International, Bruges session (2003), Humanitarian assis-tance, § 8.1.

93 Rome Statute of the International Criminal Court, art. 7., punto 2 (b). Cfr. gen. F. STUART, Is the Failure to Respond Appropriately to a Natural Disaster a Crime against Hu-manity - The Responsibility to Protect and Individual Criminal Responsibility in the After-math of Cyclone Nargis, in Denver Journ. Int. Law Pol., 227/38, 2010.

94 A/CN.4/L.758 Protection of persons in the event of disasters, texts and titles of draft articles 6, 7, 8 and 9 provisionally adopted by the Drafting Committee, texts of draft articles 1, 2, 3, 4 and 5 as provisionally adopted by the Drafting Committee, il 24 luglio 2009, art. 5.

95 A/CN.4/L.776 Protection of persons in the event of disasters, texts and titles of draft articles 6, 7, 8 and 9 provisionally adopted by the Drafting Committee, 14 luglio 2010, art. 7.

96 Id, art 9. 97 La CDI ha ritenuto di poter inserire tale disposizione in virtù degli obblighi che

gravano in capo agli Stati derivanti dai principali strumenti di tutela dei diritti umani e al diritto internazionale generale. Si veda ILC Report, A/66/10, 2011, § 289.

TOMMASO NATOLI 1080

sposta dello Stato territoriale o gli indicatori atti a valutare l’arbitrarietà del suo rifiuto, né viene individuata un’istituzione legittimata a effettuare tali valutazioni98.

L’offerta di assistenza, ma non la sua fornitura, viene riconosciuta come un diritto in capo agli Stati terzi, alle Nazioni Unite e alle altre (relevant) organizzazioni umanitarie, e per tale ragione questa non potrà essere sem-plicemente ignorata99. Sempre secondo il Progetto, le autorità dello Stato colpito sarebbero libere di stabilire le precise condizioni di fornitura degli aiuti, purché conformi alle norme interne ed internazionali applicabili, e purché formulate in funzione dei bisogni della popolazione, e della necessi-tà di assicurarsi un certo livello di qualità dell’assistenza100. Allo stesso tempo le stesse autorità dovranno (shall) facilitare l’assistenza internaziona-le adottando una serie di misure necessarie al suo pronto dispiegamento, nonché concertarne preventivamente il termine finale101.

6. Considerazioni conclusive Il quadro fin qui delineato ha inteso ricostruire le dinamiche organizza-

tive elaborate all’interno del sistema onusiano nel tentativo di colmare il vuoto normativo che caratterizza questo settore. In una prima fase, collo-cabile tra l’inizio degli anni sessanta e la fine della Guerra fredda, l’obiettivo principale dell’Organizzazione è stato quello di favorire la coo-perazione inter-statale nell’invio dei soccorsi e nello scambio di dati e in-formazioni tecniche, individuando nella figura del Segretario generale il principale punto di riferimento istituzionale. Solo in un secondo momento si sono create le basi per l’attuazione di piani di intervento diretto nei teatri post-catastrofe da parte degli organismi afferenti alle Nazioni Unite. Una parte delle risorse a disposizione di Programmi, Fondi e altri organi sussi-diari (UNHCR, UNRWA, UNICEF, WFP, UNDP) è stato destinato al soccorso umanitario d’emergenza, e si è inoltre cercato di favorire il coor-dinamento con gli Istituti specializzati, principalmente WHO e FAO, at-traverso memoranda di intesa volti a stabilire rispettive competenze setto-riali. All’inizio degli anni settanta, nella direzione di garantire una maggiore

98 Cfr. M. COSTAS TRASCASAS, op. cit., pp. 228-230. 99 V. A/CN.4/L.794 Protection of persons in the event of disasters, texts and titles of

draft articles 10 and 11 provisionally adopted by the Drafting Committee, 19 luglio 2011, artt. 10 e 11 e A/CN.4/L.812 Protection of persons in the event of disasters, texts and titles of draft articles 5 bis, 12, 13, 14 and 15 provisionally adopted by the Drafting Committee, 12 luglio 2012, art. 12. Come giustamente notato altrove, tale disposizione contrasterebbe con il carattere erga omnes della protezione di alcuni diritti fondamentali, la cui protezione interessa la Comunità internazionale nella sua interezza, generando un diritto per gli Stati terzi non solo di offrire ma anche di dispiegare l’assistenza umanitaria, v. F. ZORZI

GIUSTINIANI, op. cit, 2012, pp. 82-83. 100 Id., Art. 13. 101 Id., Art. 14, 15.

Aspetti istituzionali della risposta ai disastri nel sistema delle Nazioni Unite

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efficienza operativa, si è poi ritenuto necessario istituire nuove figure di coordinamento, alle quali si è cercato di affidare responsabilità, strutture e risorse, in misura sempre maggiore (DRC, ERC).

La fine del bi-polarismo, e l’improvvisa espansione della “Comunità in-ternazionale umanitaria”, hanno portato l’Organizzazione a rivolgere gra-dualmente la propria attenzione verso il coordinamento e la regolamenta-zione non solamente delle proprie agenzie, ma anche degli interventi di soccorso realizzati da enti “terzi”. A questo proposito, la riforma del-l’azione e del mandato del Dipartimento per gli affari umanitari è stata fi-nalizzata a rendere la sua missione il più possibile chiara ed adeguata102.

Nonostante tali evoluzioni, le strutture preposte alla risposta ai disastri riconducibili al sistema ONU non sembrano aver ancora ottenuto un livel-lo adeguato di poteri e risorse – umane e finanziarie – tale da permettergli di svolgere quel ruolo cardine dell’azione umanitaria globale per cui erano state ideate103. Dalla prassi recente è inoltre emersa una certa riluttanza, da parte di alcune delle maggiori ONG umanitarie, ad accettare di strutturare i propri interventi all’interno di un quadro di coordinamento generale ge-stito dalle Nazioni Unite, in ragione dell’asserita diminuzione dei loro mar-gini di operatività e indipendenza104. In particolare è stato sostenuto come il modello di partnership adottato nel 2006 da parte dell’ONU, il così detto Cluster Approach105, relegherebbe le ONG ad un ruolo puramente esecuti-

102 Ciò avvenne in particolare con il programma di riforme portato a termine nel 1998

dal Segretario Generale Kofi Annan (v. UNGA A/51/950 14 luglio 1997, Renewing the United Nations: a Programme for Reform), in base al quale il DHA fu riorganizzato nell’Ufficio per il coordinamento degli affari umanitari (OCHA), e il cui mandato fu reso meno operativo e ottimizzato attorno a tre specifici settori di attività: coordinamento della risposta umanitaria, elaborazione di policies, e advocacy umanitaria. Vi veda in proposito: www.unocha.org/about-us/who-we-are/history.

103 In particolare il ruolo dell’ERC non ha mai raggiunto un grado di autorità sufficiente per permettergli di prevalere in caso di emergenza sulle decisioni delle Agenzie specializzate, il cui supporto, benché necessario, non è garantito da alcuna normativa interna al sistema ONU. Dei fondi a disposizione di OCHA solo l’11% grava sul bilancio ordinario dell’Organizzazione, mentre la parte restante proviene per lo più da donazioni volontarie statali la cui uniformità e continuità non è garantita. Tali problematiche continuano ad essere sottolineate nei Report del Segretario generale e nelle risoluzioni dell’AG (si veda in proposito: UNGA Res 64/76 del 2 febbraio 2010, Strengthening of the coordination of emergency humanitarian assistance of the United Nations, e il relativo Report A/64/84-E/2009/87).

104 F. ZORZI GIUSTINIANI, op. cit., 2008, pp. 234-235. 105 «Clusters are groups of humanitarian organizations (UN and non-UN) working in

the main sectors of humanitarian action, e.g. shelter and health. They are created when clear humanitarian needs exist within a sector, when there are numerous actors within sec-tors and when national authorities need coordination support. Clusters provide a clear point of contact and are accountable for adequate and appropriate humanitarian assistance. Clusters create partnerships between international humanitarian actors, national and local authorities, and civil society». Si veda www.unocha.org/what-we-do/coordination-tools/cluster-coordination.

TOMMASO NATOLI 1082

vo, subordinando la loro attività a strategie “calate dall’alto”, elaborate se-condo dinamiche non sufficientemente trasparenti ed inclusive106.

Alla luce di quanto detto, assume un rilievo particolare il tentativo del-la CDI di stabilire una cornice generale di riferimento, in grado di stabilire un punto di equilibrio tra diritti e doveri degli attori coinvolti. Il Progetto, benché ancora in corso di realizzazione, sembrerebbe essere indebolito in alcuni passaggi l’utilizzo di formule dal contenuto non sempre evidente e definizioni in alcuni casi eccessivamente generiche. Sono stati tuttavia con-templati al suo interno una serie di interessanti elementi di lex ferenda, a dimostrazione della tendenza evolutiva in atto, indirizzata verso una rilet-tura del ruolo e delle prerogative degli Stati nei confronti degli individui sottoposti alla loro giurisdizione. In particolare il tentativo sembra essere quello di affermare l’esistenza di obblighi procedurali, o secondari, di ac-cettazione dell’assistenza internazionale, sebbene a determinate condizioni, o quantomeno di presentare ragioni plausibili ad un suo eventuale rifiuto.

Al di là di queste considerazioni si può in ogni caso ritenere che in un settore ancora così “amorfo” del diritto internazionale, tale progetto di co-dificazione vada comunque accolto positivamente, ferma restando la spe-ranza che questo non rimanga un testo di riferimento per la dottrina e che, in virtù di un ritrovato spirito solidaristico, incontri nel prossimo futuro il sostegno e l’approvazione di gran parte della Comunità internazionale.

106 Ciò avrebbe spinto le maggiori ONG ad organizzarsi autonomamente e a rifiutare il

ruolo di coordinamento dell’ONU. Si veda in proposito l’Inter – Agency Standing Commit-tee (IASC) Guidance Note on Using the Cluster Approach to Strenghthen Humanitarian Re-sponse, del 24 novembre 2006.