una chiesa, due stati, tre “nazioni”: la chiesa del santo sudario dei piemontesi a roma tra...

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L a b o r a t o i r e L a n g a g e s L i t t é r a t u r e s S o c i é t é s Université de Savoie Sociétés Religions politiques Les échanges religieux entre l’Italie et la France, 1760-1850 Regards croisés - Scambi religiosi tra Francia e Italia, 1760-1850 Sguardi incrociati Textes réunis par Frédéric Meyer et Sylvain Milbach 15

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Université de SavoieISBN: 978-2-915797-61-9ISSN : 1771-6195

Les échanges religieux franco-italiens  de 1750 à 1850 ? L’objet ne s’impose pas à l’évidence. Pourtant sa cohérence se justifie par la période choisie : enjamber la période révolutionnaire permet de restituer des mouvements de fond de la vie de l’Église aux prises avec des débats totalement inédits dans le cadre d’une Europe en bouleversement. De l’Aufklarung au tournant intransigeant, il y a bien ici un temps crucial de l’évolution de la catholicité caractérisé, notamment, par son recentrage autour de Rome, comme le rappelle la couverture de cet ouvrage. Il ne s’agissait pas de revenir sur les événements eux-mêmes ; les aspects diplomatiques et politiques, mieux connus, ont été écartés. Les organisateurs ont voulu privilégier une approche dynamique  selon le principe des flux : mouvement des hommes et des femmes, des doctrines, des dévotions, des pratiques, des institutions, etc. avec une attention marquée à la notion de réseaux qui les canalisent. La période envisagée, du milieu du xviiie siècle au milieu du xixe siècle, se révèle alors dans son unité, en dépit de – ou grâce à – la rupture révolutionnaire. Elle fut, notamment, un temps de maturation des positions de l’Église catholique et de réorientation de la vie religieuse face aux profondes transformations contemporaines, de la réaction aux Lumières jusqu’aux événements décisifs de 1848-1850. En somme, il s’agissait de saisir les évolutions en termes de diffusion et de réception de modèles et de traditions, profondément enracinées ou réinventées. Les échanges de toutes natures, dont il n’était pas question ici de dresser l’inventaire, participèrent bien à nourrir la réponse catholique aux défis multiples d’un siècle de mutations accélérées.

Frédéric Meyer et Sylvain Milbach sont maîtres de conférences à l’Université de Savoie.

20 €

SociétésReligionspolitiques

Les échanges religieux entre l’Italie et la France,

1760-1850Regards croisés

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Scambi religiosi tra Francia e Italia,

1760-1850Sguardi incrociati

Textes réunis par

Frédéric Meyer et Sylvain Milbach

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Illustration de couverture : « Le pape Pie VII ». Frontispice à François-Marie Bigex, Étrennes religieuses aux fidèles du diocèse de Genève pour l’an de grâce mil huit cent un, an Ier du dix-neuvième siècle, an 2 du pontificat de Pie VII, s.l., 1801, un volume in 12°. Collections Bibliothèque municipale de Chambéry (SEM P 814) ; cliché Éric Beccaro.

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Una chiesa, dUe stati, tre «nazioni»: la chiesa del santo sUdario dei Piemontesi a roma

fra restaUrazione e risorgimento

Paolo cozzo

Université de Turin

Queste pagine sono dedicate ad uno spazio sacro – la chiesa del Santo Sudario a Roma – che negli anni del Risorgimento fu oggetto di una vivace contesa diplomatica fra il governo francese e quello italiano, entrambi convinti di poter rivendicare, in base a motivazioni di carattere storico, la titolarità di un luogo di culto nato come chiesa nazionale dei sudditi dei duchi di Savoia. All’origine della disputa tra la Francia di Napoleone  III e l’Italia appena unificata sotto Vittorio Emanuele II vi era dunque l’am-bigua identità nazionale di una chiesa che, per oltre trecento anni, aveva rappresentato nell’Urbe la sacralità di uno stato anfibio e, per molti versi, ambiguo, come quello sabaudo, sospeso per secoli fra un disagevole retaggio filo-francese e una tortuosa vocazione filo-italiana1. Non è forse un caso che proprio nel secolo – il Cinquecento – nel quale la complessa identità dello stato sabaudo tendeva ad assumere una fisionomia più precisa2, i sudditi del

1 Assai ampia è ormai la bibliografia sulla natura “anfibia” dello stato sabaudo : fra i lavori più significativi L. Marini Savoiardi e piemontesi nello stato sabaudo (1418-1601), Roma, 1962 (su cui A. Barbero, Savoiardi e piemontesi nel ducato sabaudo all’ inizio del Cinquecento, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 87, 1989, pp. 591-637) ; La frontiera da stato a nazione. Il caso Piemonte, a cura di C. Ossola, C Raffestin, M. Ricciardi, Roma, 1987 ; A. Barbero, Il ducato di Savoia. Amministrazione e corte di uno stato franco-italiano, Roma-Bari, 2002 ; L’ affermarsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Piemonte e Savoia fra tardo medioevo e prima età moderna, a cura di P. Bianchi e L.C. Gentile, Torino, 2006 ; Lo spazio sabaudo. Intersezioni, frontiere e confini in età moderna, a cura di B.A. Raviola, Milano, 2007. Il Piemonte come eccezione, Rifessioni sulla «piedmontese excetpion», Atti del seminario internazionale, Reggia di Venaria, 30 novembre-1 dicembre 2007, a cura di P. Bianchi, Torino, 2008.2 P. Merlin, Il Cinquecento, in Id., C. Rosso, G. Symcox, G. Ricuperati, Il Piemonte sabaudo. Stato e territori in età moderna, Torino, 1994, pp. 3-170.

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duca di Savoia residenti a Roma sentirono l’esigenza di riunirsi attorno ad una loro chiesa.

Le prime attestazioni di un pio sodalizio dei sudditi sabaudi (dunque piemontesi, savoiardi e nizzardi) presenti nell’Urbe risalgono infatti al 1560, ma solo nel 1597 una confraternita venne ufficialmente costituita e intitolata alla Sindone, il culto che, già allora, si presentava come il più rappresenta-tivo della casa di Savoia. La compagnia devozionale (presto elevata al rango di arciconfraternita) trovò sede dapprima nell’antica cappella di San Luigi, ubicata in regione Sancti Eustachii prope plateam furnariorum (nei pressi dell’attuale via Monte della Farina); poi (agli inizi del Seicento), nella nuova chiesa voluta dal duca Carlo Emanuele I e realizzata dall’architetto Carlo di Castellamonte nell’attuale via del Sudario, nei pressi di Torre Argentina3.

La localizzazione dell’arciconfraternita non era casuale : essa veniva infatti ad inserirsi in quel rione di Sant’Eustachio che sin dal XV secolo era stato la culla della «universitas curialium Nationis Gallicanae» e dove ave-vano trovato origine la congregazione e la chiesa di San Luigi dei Francesi4. Secondo la tradizione conciliare tardomedievale nella «natio gallicana» andavano compresi «regnum Francie, ducatus Sabaudiae, Provincia, Delfi-natus et alia circumdiacentia dominia que, licet sint de imperio, sunt tamen de loquela et nacione gallicana»5 : dunque oltre ai sudditi del re di Francia anche i lorenesi, i borgognoni, e i savoiardi. Questi ultimi, intesi come «tous les sujets du duc de Savoie parlant le français»6, erano stati inizialmente coin-volti, insieme ai lorenesi, nell’amministrazione di San Luigi7. Col tempo, tuttavia, la loro presenza e la loro influenza si fecero marginali : la chiesa che era nata per rappresentare l’universitas delle popolazioni «de loquela galli-cana» si stava infatti rapidamente trasformando nella chiesa dei sudditi della monarchia gigliata. In una Francia nella quale era ormai dominante l’idea «d’une nation coïncidant avec le royaume»8, era inevitabile che il concetto

3 G. Croset Mouchet, La chiesa ed arciconfraternita del SS. Sudario dei Piemontesi in Roma, Pinerolo, 1870, p. 66 e ss. 4 S. Roberto, San Luigi dei Francesi. La fabbrica di una chiesa nazionale nella Roma del Cinquecento, Roma, 2005, pp. 1-6.5 Il passo, tratto da un decreto del Concilio di Costanza del 1414-1418, è citato da F.C. Uginet, L’ idée de «Natio Gallicana» et la fin de la présence savoisienne dans l’ église nationale de Saint-Louis à Rome, in Les fondations nationales dans la Rome pontificale, Roma, 1981, p. 85-99, in part. p. 86, nota 5.6 «C’est-à-dire qu’ ils viennent des diocèses de Genève, Tarentaise, Maurienne, Aoste et Belley, de la partie savoisienne des diocèses de Grenoble, de Lyon et de Lausanne» (ibid., p. 86-87.)7 Nel 1581 la congregazione per l’amministrazione della chiesa e dell’ospedale di San Luigi prevedeva la presenza di 24 membri, dei quali, 12 dovevano essere originari del regno di Francia, 6 lorenesi e se savoiardi (ibid., p. 90).8 Ibid., p. 87.

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di «natio gallicana» perdesse i semplici connotati linguistici e culturali ela-borati nel medioevo per assumere nuovi significati, politici e territoriali, tipici dello stato moderno. Sempre più intesa e percepita come simbolo reli-gioso del regno di Francia in Roma, San Luigi abbandonò l’antica gestione «pluralista» è assunse una direzione «centralista», il cui garante non poteva che essere l’ambasciatore francese. Se è vero che ancora nel 1725 dei circa 2 500 pellegrini accolti dall’ospedale di San Luigi ben 198 provenivano dalla Savoia9, è inconfutabile che sin dagli inizi del Seicento la presenza dei savoiardi (e dei lorenesi) nell’amministrazione della chiesa era divenuta pressoché formale, essendo mantenuta per conservare «la fiction de l’unité de l’ancienne nation française»10. Non è un caso, allora, che le due «nazioni» progressivamente messe ai margini di San Luigi cercassero nuovi spazi sacri per rappresentare le loro identità : i lorenesi lo trovarono in San Nicola in Agone11, i savoiardi (ossia coloro che provenivano dalla «province d’un État dont la partie la plus riche et la plus influente se trouvait sur le versant oriental del Alpes»12) nel Santissimo Sudario.

L’ apertura di questo luogo pio ebbe forti implicazioni politiche, pron-tamente percepite tanto a Roma quanto a Torino. Raggruppati in un’arci-confraternita e dotati di una propria chiesa, i sudditi sabaudi residenti (circa 300 agli inizi del XVII secolo13, senza contare quelli che giungevano a Roma

9 Questo dato fa dei sudditi sabaudi la quasi totalità (90%) dei pellegrini “stranieri” (complessivamente 222) accolti dall’ospedale di San Luigi nel corso dell’anno santo (cfr. Gilles Caillotin, pèlerin. Le retour de Rome d’un sergier rémois, édité et présenté par D. Julia, Rome, 2006, p. 285-286).10 Uginet, L’ idée de «Natio Gallicana» et la fin de la présence savoisienne Ibid., cit., p. 90. Nel 1622 la riforma degli Statuti di San Luigi, voluta dall’ambasciatore francese, dimezzò il numero dei rappresentanti lorenesi e savoiardi nella congregazione della chiesa, mentre aumentò a 18 quello dei sudditi del re di Francia (ibid., p. 91).11 Su questa chiesa cfr. P. Violette, La décoration de l’ église de Saint-Nicolas-des-Lorrains, in Les fondations nationales dans la Rome pontificale, cit., p. 487-539, in part. p. 488-493.12 Uginet, L’ idée de «Natio gallicana», cit., p. 93.13 Questo numero è indicato in una nota dell’ambasciatore ducale a Roma Anastasio Germonio del 1601 (Archivio di Stato di Torino [d’ora in poi] ASTo, Corte, Materia politica per rapporto agli Esteri, Lettere Ministri [d’ora in poi LM], Roma, mz. 20, fasc. 1, Lettere dell’abate Germonio, n. 18, Roma 21 aprile 1601). Da notare che fra i sudditi sabaudi residenti a Roma significativa era la presenza di artisti e artigiani (cfr. A. Bertolotti, «Artisti subalpini in Roma nei secoli XV, XVI e XVII. Notizie e documenti raccolti nell’Archivio di Stato romano», in Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino, 1, 1875-1877, p. 259-314 ; Id., Artisti subalpini in Roma nei secoli xv, xvi e xvii. Appendice, in «Atti della Società di Archeologia e Belle Arti per la Provincia di Torino», 2, 1878, pp. 121-182).

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in pellegrinaggio14) si sarebbero finalmente potuti sentire su di un piano di parità nei confronti delle altre comunità che nell’Urbe, ormai da secoli, si identificavano in chiese e compagnie «nazionali» come Sant’Antonio dei Portoghesi, San Stanislao dei Polacchi, Santa Maria dell’Anima dei Tedeschi, San Girolamo degli Illirici, San Giacomo degli Spagnoli, Santa Maria del Monserrato degli Aragonesi e dei Catalani, San Giuliano dei Fiamminghi, San Luigi di Francesi, Sant’Ivo dei Bretoni, San Nicola dei Lorenesi, san Claudio dei Borgognoni, e per venire all’Italia (e alla sua accentuata frantu-mazione politico-territoriale) Sant’Ambrogio dei Lombardi, San Giovanni Battista dei Genovesi, San Giovanni Decollato dei Fiorentini, lo Spirito Santo dei Napoletani, Santa Maria Odigitria dei Siciliani, per citare solo le più note. Inoltre la chiesa avrebbe assunto una funzione altamente rappre-sentativa per una dinastia – quella di Savoia – che anche Roma, «teatro del mondo», cercava faticosamente di uscire «dal mazzo» dei principi d’Italia attraverso la forza della sacralità sindonica, ritenuta per secoli unica e impa-reggiabile. Arrivata nel Quattrocento nelle mani dei Savoia, la Sindone aveva acquisito ben presto un notevole valore politico : tanto all’interno (come ele-mento di coesione fra popoli diversi, unificati dalla devozione alla maggiore reliquia della cristianità), quanto all’esterno dello Stato (come elemento di propaganda di una stirpe legittimata dal possesso della vera immagine di Cristo)15.

La dimensione celebrativa della dinastia e dello stato sabaudo che il culto della Sindone, promosso e mediato dalla confraternita, alimentava nella città dei papi venne efficacemente riassunta dalle parole usate dall’am-basciatore ducale Anastasio Germonio (che fu poi arcivescovo di Tarantasia) per descrivere a Carlo Emanuele I una processione organizzata dalla compa-gnia del Sudario : «si può rallegrare di havere in questo theatro del mondo una così numerosa et honorata compagnia de sudditi, ch’i suoi predecessori non l’hanno mai havuta, onde si può sperare tuttavia meglio per riputatione e grandezza di lei»16. In effetti, negli anni di Carlo Emanuele molti furono

14 Sul flusso dei pellegrini provenienti a Roma da tutta Europa, specialmente in occasione dei giubilei, cfr. D. Julia, L’ accoglienza dei pellegrini a Roma, in Storia d’Italia, annali 16, Roma, la città del papa. Vita civile e religiosa dal giubileo di Bonifacio VIII al giubileo di papa Wojtila, a cura di L. Fiorani e A. Prosperi, Torino, 2000, pp. 823-861.15 Gli studi sulla dimensione ideologica e propagandistica del culto sindonico si sono assai arricchiti negli ultimi anni : per una sintesi (anche bibliografica) mi permetto di rinviare al mio La geografia celeste dei duchi di Savoia. Religione, devozioni e sacralità in uno Stato di età moderna (secoli xvi-xvii), Bologna, 2006, pp. 62-74, 182-199.16 ASTo, LM, Roma, mz. 20, fasc. 1, Lettere dell’abate Germonio, n. 18, cit. Germonio descrisse poi minuziosamente l’andamento della processione, aperta da «un bellissimo stendardo e ricchissimo, nel quale vi è dipinto esso Santissimo Sudario, sostenuto da duoi

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gli sforzi per potenziare a Roma il culto sindonico con il chiaro intento non solo di rimpiazzare una devozione cristologica da poco scomparsa (quella della Veronica, che – secondo una tradizione – sarebbe stata scip-pata durante il sacco del 1527), ma soprattutto di rafforzare l’immagine del ducato di Savoia e dei suoi sovrani. Non a caso quando il principe Maurizio ottenne la porpora cardinalizia – un evento che sanciva l’ingresso, sia pur fugace, dei Savoia nei gangli vitali della curia romana – da Torino si tentò di ottenere che «si faccia chiamare sempre del titolo del SS. Sudario di Nostro Signore Gesù Christo, acciò risplenda maggiormente dappertutto qual gran-dissimo tesoro di Sua Altezza»17. Veicolando riti e processioni, immagini e libri di devozione ma anche copie della reliquia abilmente donate alle più influenti personalità della corte pontificia, la chiesa e la confraternita del Santo Sudario divennero il baricentro della presenza sabauda a Roma. Lo attesta il gentiluomo romano Prospero Bonafamiglia, cavaliere mauriziano, che in un’opera del 1608 dedicata alla confraternita vedeva nello zelo «delle nationi soggette alla Serenissima Altezza» il più efficace strumento per fare Roma «emola» di Torino «nell’adorare la Sindone del Signore»18.

É assai significativo che Bonafamiglia riferendosi ai sudditi di Carlo Emanuele  I parli di «nationi» : segno che anche nel teatro del mondo il ducato di Savoia veniva percepito come un’entità plurima e polimorfa. Che lo stato sabaudo di prima età moderna, dal punto di vista delle sue compo-nenti linguistiche e culturali interne, fosse già allora considerato molto più simile ad un mosaico che ad un monolite è un dato ormai assodato dalla sto-

angeli e tutto attorno i misterii della Passione, e nella parte inferiore l’armi, e tra queste quella di Sua Santità e quella di Vostra Altezza. C’era poi un gran catafalcho finto, però ripieno d’arbori, herbe e fiori, et in mezzo un sepulchro, e nella parte anteriore stavano tre putti musici vestiti con habiti lugubri, finti per le tre Marie ; e nella parte posteriore duoi altri vestiti da angioli. Et avanti ad esso catafalcho ci andava un gran choro di musici, il quale cantava in musica Da nobis Maria quid vidisti in vita, e la Madalene rispondevano Angelicos testes Sudarium et vestem. Et in quello instante et davanti duoi angeli cavassero fuori di esso sepulchro con bellissimo garbo un altro Sudario, e lo mostrarono al populo, il quale hebbe di questa nuova, pia e santa representatione infinita soddisfatione et edificatione” (ibid.).17 É un passo di una lettera del conte Ludovico d’Aglié a Giorgio provana di Leinì, prefetto della compagnia, del 19 giugno 1615 (citata in Cozzo, La geografia celeste, cit., p. 253).18 P. Bonafamiglia, La Sacra historia della Santissima Sindone di Christo Signor Nostro. Raccolta in compendio da gravi Auttori per Prospero Bonafamiglia romano, Cavaglier delli SS. Mauritio e Lazaro. Con una pia essortatione. All’ illustrissima Archiconfraternità del Santo Sudario di Roma, In Roma & ristampata in Torino appresso i FF. de’ Cavaleris, MDCVIII, pp. 4-5 (per più dettagliate considerazioni su quest’opera mi permetto di rinviare a P. Cozzo, Culto sindonico e propaganda dinastica. Esempio di una «politica del sacro» nel ducato sabaudo fra Cinque e Seicento, in «Schifanoia. Notizie dell’Istituto di Studi rinascimentali di Ferrara», 22/23, 2002, pp. 171-182) ; Id, In seconda fila: la presenza sabauda nella Roma pontificia della pria età moderna, in Il Piemonte come eccezione?, cit. pp. 141-159.

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riografia. Abbandonati gli stereotipi ottocenteschi sulla ineluttabile «voca-zione italiana» dei duchi di Savoia, da tempo la storia dei domini sabaudi è stata analizzata con ottiche assai attente a cogliere la profonda compene-trazione fra due identità (quella «francese» e quella «italiana») la cui secolare interrelazione non può essere letta con le semplici (e a volte semplicistiche) categorie della sostituzione progressiva dell’una all’altra.

Se è vero che già a partire dal XV secolo si intravede la tendenza ege-monica di Torino (e dunque della componente italofona) sulle altre città del ducato (Chambéry compresa)19, è altrettanto vero che dalla seconda metà del Cinquecento (quando il baricentro dei domini di casa Savoia si spostò definitivamente al di qua delle Alpi) la presenza e l’influenza della componente francofona non furono certo annullate20. La complessa identità «nazionale» di uno Stato territorialmente, linguisticamente e culturalmente composito, viene riflessa anche dalle sue autorappresentazioni sacrali. Non è pertanto casuale, a tal proposito, che la chiesa del Sudario a Roma venisse chiamata indifferentemente dei Piemontesi o dei Savoiardi, essendo i due aggettivi («piemontesi» e «savoiardi») usati indistintamente per descrivere tutte le «nazioni» soggette al duca di Savoia.

Questa fluidità onomastica, riflesso di un’ambiguità politico-istitu-zionale mantenutasi per tutta la prima età moderna, caratterizzò la chiesa fino al  XVIII secolo quando, con l’elevazione della dinastia sabauda alla dignità regale e con l’intensificazione delle relazioni fra la Sede apostolica e la monarchia sarda, anche il luogo pio assunse una nuova e più chiara identità. Infatti, se nei secoli precedenti la chiesa del Santo Sudario era stata, prima di tutto, il punto di riferimento religioso della comunità dei sudditi ducali residenti a Roma21, nel Settecento essa si istituzionalizzò trasforman-dosi progressivamente in spazio sacro della legazione sarda presso la Santa Sede. Lo conferma il fatto che una personalità di spicco della diplomazia

19 A. Barbero, Il mutamento dei rapporti fra Torino e le altre comunità del Piemonte nel nuovo assetto del ducato sabaudo, in Storia di Torino, II, Il basso Medioevo e la prima età moderna (1280-1536), a cura di R. Comba, Torino, 1997, p. 373-419, in part. pp. 381-400.20 Cfr. L. Sozzi, Tra Ronsard e Desportes : le poesie francesi di Carlo Emanuele, in Politica e cultura nell’età dei Carlo Emanuele  I. Torino, Parigi, Madrid, Atti del Convegno internazionale di studi (Torino, 21-24 febbraio 1995), a cura di M. Masoero, S. Mamino, C. Rosso, Firenze, 1999, p. 215-225 ; G. Mombello, Un poeta francese alla corte di Carlo Emanuele  I : Pierre Bertelot (1581-1615), ibid., pp. 227-262 ; G. Bosco, L’ epico D’Urfé, cortigiano sabaudo, ibid., pp. 263-273.21 Fu il caso, ad esempio, dell’abate biellese Giovanni Ercole Gromo, che nel suo lungo soggiorno romano, fra gli anni Ottanta e Novanta del Seicento, trovò nella fondazione del Santo Sudario il centro vitale della «nazione» subalpina (cfr. G. Dell’Oro, L’ abate conte Giovanni Ercole Gromo tra il Piemonte sabaudo e la Roma tardo barocca (1645-1706), Milano, 2001, pp. 116-121.

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sabauda, il potente ministro Simeone Balbis di Rivera, plenipotenziario dal 1737 al 1777, fu fra i più prodighi patrocinatori della chiesa, dove volle essere tumulato22. Da Torino anche il re Carlo Emanuele  III mostrò un rinnovato fervore verso quella che, a tutti gli effetti, era divenuta la cappella della sua ambasciata a Roma. Nel 1764 regalò alla chiesa una reliquia del Beato Amedeo, assegnando un fondo di 120 scudi annui perché venissero celebrate con decoro le sacre funzioni della Sindone, di San Maurizio, di San Francesco di Sales, del Beato Amedeo e della Beata Margherita di Savoia23.

Questo quadro era però destinato a mutare alla fine del secolo. Dopo lo scoppio della rivoluzione giacobina24, nel 1799 l’arciconfraternita venne soppressa e la chiesa del Santo Sudario venne chiusa al culto dalle autorità repubblicane. Nel 1801, su pressioni di Carlo Emanuele IV e della moglie Maria Clotilde, la chiesa venne riaperta. Si trattò di un’esistenza effimera e precaria, preludio di una radicale trasformazione istituzionale a cui la fon-dazione stava andando incontro.

Sin dal febbraio 1799 la Savoia, il Nizzardo e il Piemonte erano stati annessi alla repubblica francese ; poi, dopo la breve parentesi della restaura-zione austro-russa, conclusasi con la vittoria di Napoleone a Marengo, gli antichi domini sabaudi divennero, dal 1802, parte integrante della Francia napoleonica25. Le ripercussioni si fecero sentire anche a Roma : nel 1804,

22 A testimonianza della sua dedizione verso la chiesa del S. Sudario è la lapide mortuaria posta al centro della chiesa nel 1777, anno della morte dell’ambasciatore, dal suo successore Damiano di Priocca (cfr. Croset Mouchet, La chiesa e arciconfraternita del SS. Sudario dei piemontesi in Roma. Cenni storici, Pinerolo, Lobetti-Bodoni, 1870 ; p. 111-112). Sul ruolo giocato da Balbis di Rivera e dalla diplomazia sabauda nelle trattative che portarono all’erezione del vescovado di Pinerolo si veda P. Cozzo, “Un affare ridotto a buon termine”. L’ erezione della diocesi di Pinerolo (1747-1749), in Il Settecento religioso nel Pinerolese, a cura di A. Bernardi, M.M. Pacchiola, G. G. Merlo, P. Pazè, Pinerolo, 2001, pp. 341-412 ; più in generale, sulla diplomazia piemontese nel XVIII secolo si veda D. Frigo, Principi, ambasciatori e “ jus gentium”. L’ amministrazione della politica estera nel Piemonte del Settecento, Roma, 1991, in part. pp. 119-268 ; C. Storrs, Ormea as Foreign Minister 1732-45 : The Savoyard State between England and Spain, in Nobiltà e Stato in Piemonte. I Ferrero d’Ormea, atti del convegno Torino-Mondovì, 3-5 ottobre 2001, a cura di A. Merlotti, Torino, 2003, pp. 231-248 ; A. Raviola, «Le tout-puissant» : Carlo Francesco Vincenzo d’Ormea nella corrispondenza degli ambasciatori francesi, ibid., pp. 249-277.23 Croset Mouchet, La Chiesa e arciconfraternita, cit., p. 27-33. Sul culto di Margherita di Savoia cfr. S. Mostaccio, Le sante di corte. La riscoperta sabauda di Margherita di Savoia-Acaia, in Politica e cultura nell’età dei Carlo Emanuele I, cit., pp. 461-473.24 Sulla rivoluzione giacobina del 1798 cfr. M. P. Donato, Roma in rivoluzione (1798, 1848, 1870), in Storia d’Italia. Annali 16. Roma, la città del papa, cit., p 906-933, in part. pp. 907-913.25 B. Bongiovanni, La conquista francese : epilogo di una insurrezione mancata, in Storia di Torino. VI. La città nel Risorgimento (1798-1864), a cura di U. Levra, Torino, 2000,

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infatti, la chiesa del Santo Sudario venne unita a San Luigi dei Francesi, divenuta intanto chiesa imperiale26. Questa aggregazione comportò una forte decadenza : il tempio finì per essere chiuso in più occasioni, e le sue ren-dite, già divenute assai esigue, furono dirottate verso le fondazioni francesi.27

Con la Restaurazione il Santo Sudario ritrovò la sua indipendenza : nel 1814 Pio VII ne decretò infatti la divisione da San Luigi. Ciò non com-portò, tuttavia, la sua immediata riapertura ; solo nel 1837, infatti, la chiesa nazionale sarda (questa la nuova denominazione assunta) riprese la sue fun-zioni pubbliche, passando ufficialmente alle dipendenze del Ministero degli Affari Esteri del Regno28.

Il nuovo status consentì di realizzare, con finanziamenti ministe-riali, primari interventi di restauro e consolidamento dell’edificio. Essi non furono tuttavia sufficienti, e nel marzo 1858, stante «le urgenti riparazioni necessarie eseguirsi», la chiesa venne nuovamente chiusa con autorizzazione pontificia29. La chiusura, complice il deterioramento dei rapporti fra la Sede apostolica e il governo piemontese negli anni cruciali del progetto unitario, si protrasse per oltre dieci anni. Solo sullo scorcio del 1869 il governo, da Firenze (divenuta intanto la nuova capitale del Regno d’Italia) cominciò a preoccuparsi della riapertura della chiesa nazionale.

Forti erano le pressioni per ridare dignità e funzionalità ad un’istitu-zione ormai degradata. Da Torino don Bosco aveva fatto conoscere al minis-tro degli Esteri Luigi Federico Menabrea la disponibilità sua personale o di un altro salesiano a prendersi cura dell’ufficiatura delle funzioni religiose nella chiesa romana30. E il ministro degli Esteri (sotto le cui competenze rientrava l’amministrazione della chiesa, che continuava formalmente a far parte del patrimonio della legazione italiana nello Stato pontificio) era forte-mente intenzionato a riaprire al culto l’edificio sacro, dopo gli indispensabili interventi di restauro.

Per risollevare le sorti della chiesa romana, a don Bosco Menabrea preferì tuttavia un altro ecclesiastico. Si trattava di un suo vecchio compagno

pp. 5-18, in part. pp. 12-14.26 P. Levillain, Les fondations françaises de la Révolution à la fin du Second Empire (1793-1870), in Les fondations nationales dans la Rome pontificale, cit., pp. 101-11227 Sugli anni di aggregazione alla chiesa di San Luigi dei Francesi della chiesa del Santo Sudario cfr. Croset Mouchet, La chiesa e arciconfraternita, cit., pp. 41-44.28 Ibid., pp. 52-55.29 Ibid., pp. 58-60. La citazione, tratta da una supplica dell’ambasciatore sardo a Roma a papa Pio IX, è a p. 59.30 La lettera di don Bosco al ministro degli Esteri, del 19 maggio 1869, è pubblicata da G. Croset Mouchet, Dello stato presente della R. Chiesa del SS. Sudario in Roma, Roma, 1872, pp. 12-13.

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di studi universitari, il sacerdote teologo savoiardo Joseph Croset Mouchet. Originario di Annecy, nel 1836 si era stabilito a Pinerolo ; qui era stato nominato canonico della cattedrale ed aveva svolto le mansioni di segretario del vescovo Andrea Charvaz. Nella cittadina piemontese Croset Mouchet, che aveva apertamente abbracciato la causa dell’unità italiana nella speranza «che si potesse costruire uno Stato nazionale nuovo, moderno e liberale, però non “laicista” come il francese»31, coltivò gli studi di erudizione storica, ottenendo l’affiliazione a prestigiose Società scientifiche torinesi, come l’Accademia delle Scienze e la Deputazione di Storia Patria32. I suoi contatti con esponenti di spicco della nobiltà sabauda e del governo (che lo avevano agevolato nell’elezione a consigliere comunale di Pinerolo e nella nomina ad ufficiale dell’Ordine Mauriziano) permisero al canonico di essere scelto come rettore della chiesa del Sudario, carica che mantenne sino alla morte, sopraggiunta nel 187533. Quando arrivò a Roma, nel 1869,

31 G. Di Francesco, Contributi per la storia del solidarismo pinerolese, in Bollettino della Società storica pinerolese, XVII (2000), pp. 65-130, in part. p. 72. Le idee filorisorgimentali di Croset-Mouchet (che bene emergono nella sua opera Gridi di guerra usitati nelle guerre delle nazioni moderne. Considerazioni filosofiche, Pinerolo, Chiantore 1864), ebbero modo di alimentarsi negli ambienti liberali e borghesi del «Circolo Politico», un sodalizio frequentato dell’élites locali di cui il canonico fu socio e presidente (Di Francesco, Contributi, cit., p. 71-72) 32 La produzione storiografica di Croset Mouchet, oltre alle due citate opere sull’arciconfraternita del S. Sudario in Roma, annovera : L’ abbaye de Sainte-Marie de Piegneol, au bourg de Saint-Veran, Pignerol, Lobetti-Bodoni 1845 ; Jean Alarmet de Brogny… Notice historique, Turin, Imprimerie sociale 1847 ; Pinerolo antico e moderno e i suoi dintorni, Pinerolo, Chiantore, 1854 ; Le general Annibal de Saluces chevalier de l’Ordre suprême de l’Annonciade... histoire de sa vie et des principaux événements de son temps, Pignerol, Chantore, 1856 ; Histoire de saint Giullaume d’Ivrée de la famille d’Ardoin, roi d’Italie, abbé de St. Bénigne de Dijon. Études sur le premier établissement en Europe de l’architecture chrétienne dite gothique, Turin, Marzorati 1859 ; S. Anselme (d’Aoste) archevêque de Cantorbery : histoire de sa vie et de son temps, Paris, Lethielleux, 1859 ; Le comte Antoine de Toulongeon, histoire des trois dernières années de sa vie en charge de gouverneur de la ville et citadelle de Pignerol pour le roi de France Louis XIII, Roma, Regia Regia tipografia, 1873 ; Vita della veneranda serva di Dio l’ infanta Maria Francesca Apollonia principessa di Savoia, morta a Roma in odore di santità il 14 luglio 1656, opera postuma di Giuseppe Croset-Mouchet pubblicata per cura del suo nipote Vincenzo Croset-Mouchet, Torino, Unione tipografico-editrice, 1878 (alcuni accenni sulla sua produzione storiografica in. P. Cozzo, Libri e polemica religiosa nel Pinerolese fra Settecento e Ottocento, in Libri, biblioteche e cultura nelle Valli valdesi in età moderna, Atti del XLIV Convegno di studi sulla Riforma e sui movimenti religiosi in Italia, Torre Pellice, 28-29 agosto 2004, a cura di M. Fratini, Torino, 2006, pp. 181-189, in part. pp. 183-186).33 Sull’interessante figura di Joseph Croset Mouchet non esiste, purtroppo, un’adeguata bibliografia. Le maggiori informazioni sono reperibili in A. Caffaro, Notizie e documenti della Chiesa Pinerolese, II, Pinerolo, 1896, p. 249 ; A. Pittavino, Storia di Pinerolo e del Pinerolese, Milano, 1964, pp. 417, 425-426. Per un inquadramento generale sulla Chiesa pinerolese durante l’episcopato di mons. Charvaz, durante il quale Croset Mouchet giunse

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Croset Mouchet dedicò particolare attenzione alla raccolta e allo studio dei documenti dell’archivio dell’arciconfraternita. E ciò non solo per soddisfare la sua passione erudita, ma anche per fornire al governo italiano adeguati strumenti – sotto forma di materiale documentario – da impegnare in un’aspra contesa politico-diplomatica.

Sin dal 1864, infatti, il governo francese aveva rivendicato la titolarità del luogo sacro. Il passaggio della Savoia alla Francia, scaturito dagli accordi di Plombières34, implicava infatti, secondo Parigi, che anche la chiesa del Sudario, come antica fondazione nazionale dei savoiardi, passasse sotto la titolarità francese. Per il governo italiano, al contrario, il pio sodalizio era nato per volontà di savoiardi, piemontesi e nizzardi, ossia di sudditi di un sovrano italiano (qual’era stato il duca di Savoia), che nei secoli aveva pro-tetto la fondazione sino a farne la rappresentanza religiosa del suo Stato nella Roma pontificia. Le pretese francesi non avevano dunque fondamento secondo l’esecutivo italiano, che per risolvere il contenzioso si rivolse al Consiglio di Stato, il quale, il 9 luglio 1869, emise una sentenza che rigettava come infondate le rivendicazioni transalpine35.

Il ricorso ad argomentazioni di carattere storico e documentario per dimostrare la “nazionalità” di uno spazio sacro – una prassi che anche i francesi avrebbero usato, oltre mezzo secolo dopo, per respingere le riven-dicazioni dell’Italia fascista su Trinità dei Monti36 – spiega le ragioni che indussero Menabrea a preferire Croset Muchet a Giovanni Bosco nella ret-toria della chiesa romana. Le ricerche archivistiche condotte dal canonico di

a Pinerolo e iniziò la sua attività storiografica, si veda il volume miscellaneo Andrea Charvaz (1793-1870). Un savoiardo vescovo a Pinerolo, numero monografico di «Studi, ricerche, documenti sulla Chiesa e sul cattolicesimo pineolese», 1, (1995).34 P. Guichonnet, De la restauration à l’annexion (1814-1860), in Nouvelle histoire de la Savoie, sous la direction de P. Guichonnet, Toulouse, 1996, pp. 257-293, in part. pp. 279-283.35 Sulla vicenda si veda Croset Mouchet, Dello stato presente, cit., pp. 4-10. Il parere del Consiglio di Stato venne emesso dalla sezione Grazia, Giustizia e Culti, formato dai consiglieri Michelangelo Tonello, Luigi Chiesi, Marco Tabarrini, Achille Mauri, Terenzio Mamiani della Rovere, Vincenzo Errante, e presieduto dal senatore Cristoforo Mameli (cfr. Calendario Generale del Regno d’Italia per 1869, Firenze, 1869, p. 912). 36 Negli anni Trenta del ‘900 il governo francese fu impegnato a «rappeler concrètement les droits de la France» sul complesso di Trinità dei Monti, a più riprese rivendicato dal regime fascista. Anche in questo caso «on appela surtout les érudits à la rescousse : en 1933 parurent les ouvrages historiques de Mr Fourier Bonnard [Histoire du couvent royal de la Trinité au Mont Pincio à Rome, Rome, 1933] et Mgr Jean-Marie Vidal [Les Droits de la France à la Trinité des Monts, Rome, 1933] sur la Trinité-des-Monts». Nonostante gli sforzi della diplomazia francese, dal 1940 al 1943 Trinità dei Monti fu posta sotto sequestro dal governo fascista (Y. Bruley, A. Rauwel, La Trinité des Monts, Rome, 2001, pp. 88-90). Ringrazio J-M. Ticchi per avermi fornito queste informazioni.

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Pinerolo, poi pubblicate in due opuscoli usciti fra il 1870 e il 1872, rispon-devano infatti ad un preciso obiettivo ideologico : dimostrare l’«italianità» di uno spazio sacro rivendicato dai francesi. «La storia bastava da se sola a rintuzzare codeste infondate pretese», scriveva Croset Mouchet nell’opus-colo pubblicato a Roma nel 1872, quando la battaglia per la «nazionalità» della chiesa sembrava ormai vinta anche per effetto dei rivolgimenti poli-tici che avevano sconvolto la Francia all’indomani della disastrosa guerra con la Prussia37. Nella conclusione dell’opera di Croset Muchet l’italianità del Santo Sudario diventa ancora più esplicita : l’importanza assunta dalla chiesa nei secoli era infatti ascrivibile allo zelo delle «religiosissime popo-lazioni subalpine … che appartengono alle antiche provincie di Savoia, di Piemonte e di Liguria». Liguria – si badi – e non Nizzardo, terra da poco passata alla Francia38, che pure era stata una delle tre «nazioni» dalle quali nel Cinquecento era nato il pio sodalizio religioso. La sostituzione del Niz-zardo (ormai francese) con la Liguria italiana è un concetto ribadito da Cro-set Mouchet nella descrizione della cerimonia di consacrazione della chiesa, riaperta al culto dopo lavori di restauro il 16 novembre 1871. Al solenne rito presero parte, fra gli alti, il carmelitano Vincenzo Barla «ligure» e don Giovanni Roera, «piemontese», «rappresentanti insieme al rettore canonico Croset-Mouchet, di patria savoiardo, le tre nazionalità dei primi fondatori e successivi amministratori della chiesa e del pio instituto»39.

La chiesa consacrata nel 1871, all’indomani della breccia di Porta Pia, aveva però assunto un nuovo status giuridico. Venuta a cadere, con l’annes-sione di Roma al regno d’Italia, la funzione di cappella delle rappresentanza diplomatica italiana nello Stato pontificio, la chiesa del Santo Sudario non poteva più considerarsi alle dipendenze del Ministero degli Esteri. Difatti, sin dall’ottobre 1870, si trattò la successione di competenze dal dicastero degli Esteri a quello della Real Casa. Il passaggio delle consegne avvenne il 2 dicembre 1871 : la chiesa diventò allora cappella regia, e la sua amministra-zione passò direttamente alle dipendenze del Quirinale40.

Questa trasformazione servì solo in parte a placare un certo malessere emerso in alcuni ambienti del clero savoiardo, rimasto in Savoia e dunque divenuto, a tutti gli effetti, francese. Lo si desume dalle pagine dedicate alla

37 Croset Mouchet, Dello stato presente, cit., p. 6.38 Sul passaggio di Nizza alla Francia cfr. P. Gonnet, La réunion de Nice à la France, Breil-sur-Roya, 2003, pp. ??  ; A. Ruggiero, 1848-1872 : une période d’ incertitude, in Nouvelle histoire de Nice, sous la direction de A. Ruggiero, Toulouse, 2006, pp. 171-189. 39 Croset Mouchet, cit., Dello stato presente, p. 52.40 Sul passaggio di competenze si veda Croset Mouchet, Dello stato presente, cit., pp. 54-67, ove pure è riportato l’atto di consegna al Ministero della Real Casa del 2 dicembre 1871 (pp. 64-66).

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storia della chiesa del Santo Sudario da un altro erudito ecclesiastico, Joseph Mailland, canonico della cattedrale di Chambéry. Socio effettivo dell’Acadé-mie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Savoie, Mailland compì accurati studi per dimostrare l’identità «savoisienne» di due chiese romane (il Santo Sudario e San Luigi dei Francesi41), ognuna delle quali era stata costruita e mantenuta nei secoli grazie al determinante contributo dei savoiardi. Entrambe le chiese furono tuttavia trasformate dai governi francese ed ita-liano nelle rispettive chiese nazionali a Roma, senza tenere in debito conto il ruolo avuto (e quindi i diritti maturati) dai loro antichi fondatori. In par-ticolare per il Santo Sudario, la diatriba scoppiata tra Francia e Italia appa-riva assurda a Mailland : ambedue i governi sbagliavano nel rivendicare un monopolio di sovranità su di una chiesa che «appartient à ceux qui l’ont fondé : c’est-à-dire aux Savoyards, aux Piémontais et aux Niçois»42. In assenza di espliciti documenti di abbandono, cessione o alienazione del luogo sacro da parte dei fondatori, esso doveva infatti continuare a ritenersi di proprietà delle tre comunità che nel XVI secolo gli avevano dato vita, prima fra tutte quella dei fedeli provenienti dalla Savoia. «Il faut donc un acte, et un acte authentique, revêtu de toutes les formes légales, pour qu’un personnage quel qu’ il soit, autre que les fondateurs, puisse dire : “cet immeuble m’appartient”»43. A rigor di logica tale affermazione non sarebbe potuta essere pronunciata neppure dai re di Casa Savoia, sotto la cui giurisdizione la chiesa era da poco passata. Certo, il controllo diretto della dinastia era per certi versi il male minore, alla luce del «vif intérêt que tous leurs augustes ancêtres ont manifesté à son égard»; ma sarebbe stato comunque inaccettabile «que L.M. considèrent notre

41 J. Mailland, Les Savoyards et l’Église du Saint-Suaire (Rome), Memoires de l’Académie des Sciences Belles-Lettres et Arts de Savoie, IV série, IX (1902), p. 355-456 ; J. Mailland, Les Savoyards et Saint-Louis des Français (Rome), Chambéry, 1889. Entrambi gli studi sono ricordati da M. D’Arcollières, nel Compte Rendu des travaux de l’Académie des Sciences, Belles-Lettres et Arts de Savoie (1896-1900): «Avec Les Savoyards et l’Église du Saint-Suaire à Rome, M. Le chanoine Mailland a composé une intéressante étude sur cette église, la congrégation qui l’a fait bâtir et la part importante prise par les Savoisiens dans cette fondation. L’ auteur a conclu que l’établissement du Saint-Suaire doit appartenir à ceux qui l’ont créé, c’est-à-dire aux Savoisiens, tout aussi bien qu’aux Piémontais et aux Niçards. En 1889, il avait déjà formulé une réclamation du même genre ; seulement, cette fois-là, elle s’adressait à la France et non à l’Italie, et c’était sur l’Église de Saint-Louis des Français que M. Mailland faisait valoir les prétentions de ses compatriotes immédiats» («Mémoires de l’Académie des Sciences Belles-Lettres et Arts de Savoie», IV série, IX, 1902, pp. I-CXXIII, in part. pp. VIII-IX ). É tuttavia opportuno rilevare che l’opera storiografica di Mailland, sia pur «riche en documents», va utilizzata «avec la plus grande prudence en raison de ses nombreuses approximations et erreurs de détail» (F.-C. Uginet, L’ idée de «Natio gallicana», cit., p. 83, nota 1).42 Mailland, Les Savoyards et l’Église du Saint-Suaire, cit., p. 412.43 Ivi, p. 413.

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établissement du Saint Suaire comme un immeuble leur appartenant à l’ ins-tar du Palais-Royal ou du Palais-Madame de Turin». L’ esito delle riflessioni del canonico di Chambéry, restio ad accettare il processo di italianizzazione che la chiesa aveva conosciuto nei secoli, era «clair» e «net» : analogamente a quanto aveva già concluso a proposito di San Luigi dei Francesi, «on ne peut exprimer d’une manière plus précise la coopération de Savoyards à la fondation de l’ établissement du Saint-Suaire et leur quote-parte en fait de propriété»44.

Le rivendicazioni «nazionaliste» di Mailland, fondate su argomenta-zioni di carattere storico-documentario (largamente mutuate – va detto – dalle due opere di Croset Mouchet) non sortirono l’effetto sperato e il Santo Sudario continuò ad essere percepito come una chiesa «piemontese», con tutte le connotazioni politiche (prima che geografiche) assunte da questo aggettivo nella Roma post-unitaria. Dopo lo strappo consumatosi il XX set-tembre 1870, anche nella chiesa divenuta la cappella dei re d’Italia si cercò tuttavia di superare, almeno sul piano simbolico, la rottura con il papato. Ne è una prova la decisione, assunta già nel 1871, di consacrare l’altare maggiore (dedicato al Santo Sudario) anche a San Giuseppe (proclamato da Pio IX protettore della Chiesa cattolica l’8 dicembre 1870, «in tempi difficili per la Chiesa»45) e ai Santi Pietro e Paolo, i patroni della Sede Apostolica il cui culto era stato incentivato proprio in quegli anni dal papa46. Si trattava di un gesto tanto emblematico da apparire quasi provocatorio : divenuti nuovi signori di Roma dopo aver detronizzato Pio IX, i Savoia rendevano omaggio al pontefice non più sovrano proprio in quella chiesa che per quasi tre secoli era stata il vessillo della loro pietà nell’Urbe47.

44 Ivi, p. 426.45 Così, sulla proclamazione voluta da Pio  IX, si esprime Giovanni Paolo  II nella Redemptoris Custos, l’esortazione apostolica del 15 agosto 1989 sulla figura e la missione di San Giuseppe nella vita di Cristo e della Chiesa (cfr. l’art. 28 della sezione VI, Patrono della Chiesa del nostro tempo).46 D. Menozzi, La Chiesa cattolica, in Storia del Cristianesimo. L’ età contemporanea, a cura di G. Filoramo e D. Menozzi, Roma-Bari, 1997, pp.129-257, in part. p. 160.47 Dopo il compimento del processo unitario la chiesa del Santo Sudario divenne cappella regia sotto il patronato della Real Casa. Nel 1946, con la fine della monarchia e l’avvento della repubblica, la chiesa mutò anche il suo status giuridico. Divenuta capofila di tutte le ex regie cappelle d’Italia, nel 1948 passò sotto il patronato della Presidenza della Repubblica, e la sua officiatura venne affidata ai cappellani palatini di Roma (F. Lombardi, Roma. Chiese, conventi, chiostri. Progetto per un inventario : 313-1925, Roma, 1993, p. 197). In seguito al Concordato del 1984 fra la Repubblica italiana e lo Stato della Città del Vaticano, la legge 20 maggio 1985, n. 222, Disposizioni sugli enti e beni ecclesiastici in Italia e per il sostentamento del clero cattolico in servizio nelle diocesi, pubblicata nel Supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale del 3 giugno 1985, n. 129, ha stabilito (titolo IV, art. 66) che il clero addetto alla chiesa venga «nominato liberamente, secondo il diritto canonico comune, dalla autorità ecclesiastica competente», cioè il Vicariato di Roma.