la gestione dell'ospedale. regolamenti e cariche istituzionali a firenze tra xv e xvi secolo in...

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127 1. PREMESSA Tra XV e XVI secolo, negli ospedali dell’area urbana fiorentina, emerge l’avvicendamento di personaggi, chiamati a ricoprire più volte, talvolta nel medesimo ospedale, più frequentemente in isti- tuzioni diverse, le principali cariche istituzionali, come spedalinghi, detti anche priori e rettori o come provveditori, camarlinghi, notai e procuratori. Un manipolo qualificato di operatori, quello emerso, eletti dagli organi deliberanti, quale il capitolo dei frati dei conventi- ospedali o i consoli dell’Arte patrona, negli ospedali retti dalle Arti che, unitamente agli operai, gli ufficiali cioè preposti ai lavori delle fabbricerie, governavano in genere, a Firenze, tali istituzioni assi- stenziali. Alcune delle Arti Maggiori (Seta, Calimala, Cambio, Giu- dici e Notai, Medici e Speziali), tra XIV e XV secolo, infatti, vennero investite per delega comunale, della gestione del settore sanitario- assistenziale della città. Unica eccezione al quadro cittadino, rispetto all’assetto direttivo-istituzionale, ma non all’avvicendamento diri- genziale, sopra accennato, era l’ospedale di Santa Maria Nuova, posto dall’origine sotto il patronato della famiglia dei Portinari e soggetto ad una più diretta ingerenza dell’autorità comunale e vescovile. Il Comune infatti si era fatto da subito garante, nei con- fronti di Santa Maria Nuova, in modo esemplare, di privilegi, esen- zioni, assegnamenti finanziari, estesi, di volta in volta, agli altri ospe- LA GESTIONE DELL’OSPEDALE. REGOLAMENTI E CARICHE ISTITUZIONALI A FIRENZE TRA XV E XVI SECOLO Lucia Sandri

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1. PREMESSA

Tra XV e XVI secolo, negli ospedali dell’area urbana fiorentina,emerge l’avvicendamento di personaggi, chiamati a ricoprire piùvolte, talvolta nel medesimo ospedale, più frequentemente in isti-tuzioni diverse, le principali cariche istituzionali, come spedalinghi,detti anche priori e rettori o come provveditori, camarlinghi, notaie procuratori. Un manipolo qualificato di operatori, quello emerso,eletti dagli organi deliberanti, quale il capitolo dei frati dei conventi-ospedali o i consoli dell’Arte patrona, negli ospedali retti dalle Artiche, unitamente agli operai, gli ufficiali cioè preposti ai lavori dellefabbricerie, governavano in genere, a Firenze, tali istituzioni assi-stenziali. Alcune delle Arti Maggiori (Seta, Calimala, Cambio, Giu-dici e Notai, Medici e Speziali), tra XIV e XV secolo, infatti, venneroinvestite per delega comunale, della gestione del settore sanitario-assistenziale della città. Unica eccezione al quadro cittadino, rispettoall’assetto direttivo-istituzionale, ma non all’avvicendamento diri-genziale, sopra accennato, era l’ospedale di Santa Maria Nuova,posto dall’origine sotto il patronato della famiglia dei Portinari esoggetto ad una più diretta ingerenza dell’autorità comunale evescovile. Il Comune infatti si era fatto da subito garante, nei con-fronti di Santa Maria Nuova, in modo esemplare, di privilegi, esen-zioni, assegnamenti finanziari, estesi, di volta in volta, agli altri ospe-

LA GESTIONE DELL’OSPEDALE.REGOLAMENTI E CARICHE ISTITUZIONALI

A FIRENZE TRA XV E XVI SECOLO

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dali fondati successivamente, sino ad individuarlo, come vedremo,persino come ente gestore di fondi da destinare a costruzioni dinuovi luoghi di cura e di assistenza1. Al vescovo spettava invece,oltre al riconoscimento formale della sua autorità nella conduzionegenerale dell’ospedale, il controllo del modo dell’accoglienza deimalati e quello della moralità del personale. La sovrintendenzaecclesiastica finì senza dubbio col determinare certe caratteristicheassistenziali del grande ospedale fiorentino, basti pensare al dirot-tamento in altre istituzioni dei bambini abbandonati, balie e madrial seguito, fino a rifiutare, nel 1410, anche la delega datiniana, perla gestione della costruzione di un ospedale per i trovatelli. La rea-lizzazione del futuro brefotrofio degli Innocenti, sarà affidata infatti,in seconda battuta e dopo l’intervento del Comune, come è noto,all’Arte della Seta2.

La ricerca è stata condotta sui fondi documentari dei vari ospe-dali, conservati nell’Archivio di Stato e in quello dell’opedale degliInnocenti di Firenze, secondo varie campionature cronologiche,rispondenti tuttavia agli anni di alcuni priorati, ritenuti significativiper la vita dei vari enti e testimoniati da quei passaggi reiterati dicariche sopra indicati.

L’indagine sul quadro dirigenziale istituzionale degli enti, haconsentito di valutare inoltre la capacità organizzativa dei varipersonaggi individuati, sia rispetto alle emergenze sanitarie, chealla messa a punto di nuovi regolamenti e alla gestione, infine, deitanti cantieri, aperti nelle diverse sedi ospedaliere urbane, conuna particolare attenzione a Santa Maria Nuova, interessato traQuattro e Cinquecento, da importanti modificazioni architetto-niche. In questo modo è stato possibile approfondire alcune lineeguida dell’evoluzione della storia istituzionale, amministrativa,architettonica, normativa e assistenziale sia del maggiore ospe-dale cittadino, che degli altri ospedali fiorentini. Ne è provenutocosì un ulteriore scavo del profilo politico-istituzionale di tali enti,con la possibilità di valutare, caso per caso, l’apporto dei singoli

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individui, chiamati alla formazione, modificazione, perfeziona-mento di quel modello architettonico/organizzativo, rappresentatoin Toscana dall’ospedale della Scala di Siena e dal Santa MariaNuova di Firenze e poi, con l’affermazione del Granducato, quasiunicamente da quest’ultimo3.

È infatti ormai acquisita dagli specialisti del settore la diversità,per limitarci al caso toscano, tra organizzazione assistenziale senese,del grande ospedale cioè polifunzionale, rimasto tale sino quasi allesoglie dell’epoca contemporanea e il quadro assistenziale fiorentino,espanso in più e grandi ospedali, già improntati dalla fine del Tre-cento e ancor più nel Quattrocento, a specializzazioni assistenzialidifferenti. Caratteristica questa che diversifica, in quest’epoca, pernumero e attitudini caritativo-sanitarie, Firenze anche dalle altrerealtà extraregionali, come già enunciavano nel 1977, RichardGoldthwaite e William Rearick, nel corso del loro lavoro storico,artistico, architettonico sull’ospedale di San Paolo in Santa MariaNovella4. I due studiosi sono stati, tra l’altro, i primi ad informarcidi come il loggiato e l’impianto a crociera, fossero gli elementi carat-terizzanti dell’architettura dell’ospedale rinascimentale, altrimentiimprontata ancora all’architettura religiosa: chiesa e chiostri. Unprototipo di ospedale, quello da loro individuato rintracciabileappunto proprio nelle caratteristiche salienti di alcune istituzioniospedaliere fiorentine, seppure non ancora tutte riunite in unicofabbricato. Basti pensare al loggiato degli Innocenti, realizzato nellaprima metà del Quattrocento, poi ampiamente imitato in altri ospe-dali cittadini, a cominciare proprio da quello di San Paolo, maanche dall’ospedale di Sant’Antonio alla Lastra e da quello piùtardo del Ceppo di Pistoia5. Un aspetto inoltre, questo della tipo-logia e modalità dello sviluppo architettonico, divenuto di recentedi fondamentale importanza anche per gli storici delle istituzioniospedaliere tardomedievali e rinascimentali, perché connesso inparte – mi riferisco principalmente alla presenza o meno dell’im-pianto a croce, l’altro dei due elementi caratterizzanti –, all’evolu-

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zione delle funzioni assistenziali dell’organismo ospedaliero ingenere, collegato cioè al suo divenire luogo di cura verso la separa-zione, mai pienamente raggiunta, né raggiungibile, del piano assi-stenziale da quello sanitario. L’ampliamento delle cure sanitarie siconcretizza dunque in nuove, esemplari, forme architettoniche (lacroce, il loggiato), verso una funzionalità sempre più orientata al per-fezionamento di norme gestionali e igienico-sanitarie, che sono proie-zione e sostanza insieme dell’organizzazione medesima dello Stato.

Tale evoluzione architettonica e organizzativa è raggiunta, comevedremo, nei diversi ospedali, e in Santa Maria Nuova più chealtrove, grazie al concorso di capacità imprenditoriali, convogliatead esprimersi al meglio, nuovamente per il bene pubblico e la gran-dezza di uno Stato in formazione. Ecco il perché, come diremo,degli abati tolti alla meditazione dei chiostri e mandati a dirigerecantieri, scrivere regolamenti, spostati da un ospedale all’altro, viavia che i lavori giungono a maturazione, in modo da beneficiareappieno e dappertutto del loro operato. Ecco il perché di improv-vise sostituzioni, sovrapposizioni di cariche, andirivieni di perso-naggi noti e meno noti: tutto doveva funzionare e realizzarsi,secondo un disegno al quale, dopo essere stato a lungo concettua-lizzato, premeva ora dare forma. Se già esisteva, come ci pare, sulmercato una categoria di professionisti, di amministratori, applicatispecialmente alla direzione di conventi e ospedali, si cercano orauomini nuovi, culturalmente attivi, dotati di provate, eccezionalicapacità, in grado di tradurre in pratica finalità assistenziali a lungoteorizzate e concettualmente diffuse (basti pensare ad Antonino,frate domenicano poi arcivescovo della città, e ai suoi dettami infatto di assistenza e persino di ospedali)6.

Impegno architettonico e organizzativo, coniugati insieme,furono il prodotto esemplare dunque, che venne esportato nellapenisola e in Europa, altamente apprezzato per la sua funzionalità7.Ma la Storia è fatta, come sappiamo, di ritardi, priorità congiunturesociali, politiche, economiche, della mentalità. La storia, special-

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mente questa degli ospedali, è fatta di persone, architetti, camar-linghi, priori, signori e granduchi. Vediamo quali e in che modofurono chiamati ad operare.

2. SULLE TRACCE DI PRIORI, CAMARLINGHI, RAGIONIERI

E PROCURATORI

Relativamente ai protagonisti, alle persone cioè che a variotitolo operarono negli ospedali fiorentini, l’attenzione è stata rivolta,come si è detto sopra, prevalentemente, a coloro che svolsero la loroattività in più istituzioni ospedaliere e tutti in Santa Maria Nuova,ente privilegiato dalla presente ricerca. Si è voluto vedere cioè, perquanto è stato possibile, come e perché si stabilivano incarichi, pas-saggi e sostituzioni di persone nelle alte cariche di tali enti e ilritorno economico e culturale di queste nomine.

Sino al 1450 circa, ed è questo un primo risultato, si assiste ingenere all’avvicendarsi di personaggi più o meno conosciuti, affe-renti ad un pool di professionisti, chiamati all’occasione a ricoprireposti vacanti nelle varie categorie dirigenziali istituzionali. Ed è ilcaso di camarlinghi, camarlinghi-priori, provveditori, procuratori,nominati dalle Arti patrone o, secondo i casi, dai membri dellefamiglie dei fondatori.

Dalla metà del XV secolo in poi, periodo che coincide con l’af-fermarsi della signoria medicea e, nel XVI secolo, del Principato e,in seguito, del Granducato, prevale invece l’alternarsi di personalità,che possiamo definire eccezionali, perché di elevato grado culturale,nominate ad assolvere gli importanti ministeri dall’autorità algoverno.

Partendo dalla prima categoria, più defilata rispetto alla leva-tura culturale-manageriale, come vedremo, degli ‘attori’, per dirla intermini giuridico-amministrativi, propri della fine del Quattrocentoe del Cinquecento, ma pur tuttavia con uno spessore di tuttorispetto visto, come vedremo, l’impegnativo iter professionale per-

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corso da alcuni di loro, colpiscono anche in questo caso coinci-denze, che fanno sì che i medesimi personaggi siano attivi, già inquest’epoca, talvolta anche contemporaneamente, in più enti assi-stenziali dell’area urbana fiorentina. La loro carriera pare progredirea tappe, procedendo da camarlinghi a priori, dove l’ente ospedalierodi arrivo non è mai quello di partenza e dove, in genere, ma spe-cialmente alla seconda metà del secolo, l’escalation procede e con-verge in Santa Maria Nuova, il maggiore ospedale fiorentino.

Per il periodo antecedente al 1450 si può affermare dunqueche, relativamente alle cariche gestionali, il motore di presenze ecoincidenze di personaggi di rilievo, che pure si verificano a stig-matizzare importanti accadimenti, è ancora quello della vena cari-tativo-assistenziale, che aveva le sue radici nella società mercantiletardomedievale e che tanti esempi annovera tra i fondatori medesimidegli enti ospedalieri. Basti pensare a Folco Portinari, fondatore diSanta Maria Nuova, a Bonifazio Lupi dell’ospedale di Bonifazio, aGuidalotto di Volto dall’Orco di quello di San Gallo, a Lapo diCione Pollini dell’ospedale fiorentino della Scala, per limitarci adalcuni nomi ed enti tra i più noti nell’ambito cittadino.

Riguardo alla coincidenza di presenze, talvolta legate ad eventie personaggi importanti per la storia dell’ospedale, nel 1410, l’annoin cui Francesco Datini, il noto mercante pratese, decise di nominareil Santa Maria Nuova, quale destinatario di un lascito di 1000 fioriniper la costruzione di un luogo di ricovero per i bambini abbando-nati, l’allora notaio e procuratore dell’ospedale era ser Lapo Mazzeigià notaio della Repubblica fiorentina e amico oltre che curatorelegale del medesimo testatore8. È noto poi come il rifiuto opposto daSanta Maria Nuova all’offerta di gestione del nuovo cantiere, sirivolgesse a favore dell’Arte della Seta, che divenne destinataria dellascito e prosecutrice, oltre che in parte finanziatrice, del progettodi costruzione del brefotrofio degli Innocenti. Nell’ambito invecedei benefattori e delle iniziative caritativo-assistenziali, di cui essi sifecero promotori, tra il 1443 e il 1448, troviamo attivo in Santa

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Maria Nuova, con mansioni di fiducia, forse un commesso – sortadi benefattore inquadrato nell’organigramma dell’Ente, da cui rice-veva in cambio una rendita a vita –, un certo ser Piero di ser Lanzodella Volpaia, personaggio anch’esso conosciuto in quest’ambito,perché già fondatore di un ospedale a Radda e benefattore degliInnocenti, dove tra il 1434 e il 1439, all’epoca cioè della costruzionedel brefotrofio, aveva ricoperto l’alta carica di “provveditore dellamuraglia”9. Altra figura, ancora una volta anello di congiunzione trale due istituzioni sopra nominate, ma appartenente più propria-mente alla tipologia degli operatori-amministratori, di cui ci accin-giamo a parlare, è quella di Baroncello di Leonardo Baroncelli.Baroncello, associa infatti spostamenti e cariche ad avanzamentidella carriera, passando da una posizione iniziale di commesso-benefattore a quella di camarlingo-amministratore e, infine, dipriore. Strutturato nell’organigramma di Santa Maria Nuova giànel 1441 come commesso, nel 1446-1448 come camarlingo, passa trail 1448 e il 1450 con la medesima carica, su nomina dei consoli del-l’Arte della Seta, agli Innocenti, al tempo del priorato di Lapo diPacino10. È forse il legame instaurato con l’Arte della Seta, patronadegli Innocenti, a determinare l’ascesa del Baroncelli che, nel 1450,al culmine della sua carriera, è nominato priore dell’ospedale dellaScala di Firenze, sottoposto alla medesima Arte11. Nel 1453, Baron-cello, a dimostrazione della fiducia accordatagli quale amministra-tore, è incaricato dal priore del Santa Maria della Scala di Siena,certo Niccolò Bolgherini, a rivedere la ragione contabile dell’omo-nimo e dipendente ospedale di San Gimignano12.

Varie sono le vicende che affiorano dal Catasto sul conto diBaroncello. Primogenito di nove figli, Baroncello, che è probabil-mente avviato dal padre, Leonardo di Luca, alla professione di con-tabile-amministratore, appare collegato negli anni giovanili all’Uf-ficio del Monte, dove forse esercita l’attività di camarlingo13. Nel1441, quando è già commesso in Santa Maria Nuova, Baroncelloricorre difatti più volte nella veste di destinatario di partite a suo cre-

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dito per più “prestanzoni” elargiti all’ospedale14. Santa Maria Nuovarappresenta per Baroncello, nonostante il suo lungo priorato nelSanta Maria della Scala, un punto costante di riferimento per sé eper la sua famiglia15. Nel 1446, la madre Lisa ottiene dall’ospedale,lui camarlingo, 100 fiorini per far fronte al matrimonio di un altrofiglio16. Nel 1447, anche Baroncello – la condizione di commessonon impediva il matrimonio –, acquista dall’ospedale un gioiello per“Smerarda sua donna”17. Nel 1465, quando già è al culmine della suacarriera, e copre la carica di priore in quello della Scala, istituisceuna rendita a vita per Caterina, una sua serva, che ricorre alla ren-dita per tutto il 146818. Di Baroncello abbiamo notizie sino al 1470,probabilmente l’anno della sua morte, avvenuta a 63 anni, comedimostrano le sue spese per medicine, impiastri, unzioni, la dieta abase di confetti e cialdoni ma più che altro le messe, fatte dire perlui in Santa Maria Novella19.

L’attività e la carriera di Baroncello di Leonardo Baroncelli, sisnoda dunque principalmente fra più ospedali: quello di SantaMaria Nuova, quello degli Innocenti e quelli di Santa Maria dellaScala di Firenze e di San Gimignano. Commesso sino dal 1441 inSanta Maria Nuova e poi camarlingo sino al 1446, poco dopo l’a-pertura del nuovo ospedale degli Innocenti, Baroncello passa al ser-vizio del brefotrofio, a seguito dell’elezione dei consoli dell’Arte diPor Santa Maria. Il filo conduttore di questo primo periodo è dun-que sicuramente la stretta rete di rapporti esistente tra i due ospe-dali, tra Santa Maria Nuova cioè e quello degli Innocenti, tanto dadividersi i medesimi commessi-benefattori, camarlinghi e, comevedremo in seguito, anche gli stessi priori. L’Arte della Seta è poi iltramite della successiva carriera del Baroncelli, che diverrà difattipriore del Santa Maria della Scala di Firenze, sottoposto alla mede-sima Arte. Si può dire infine che la semplice figura di Baroncello,risulta fortemente radicata ad un aspetto della tradizione ospitalieratardomedievale, dei laici cioè divenuti commessi, oblati, destinataridi rendite a vita, promotori di benefici per sé e per i propri fami-

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liari, ma tuttavia strettamente ancorati all’ente da loro ammini-strato, scelto a sostegno della propria esistenza e erede designatodei loro beni.

3. SPEDALINGHI D’ECCEZIONE

3.1. Lo “spedalingo costruttore”: Benino d’Antonio di Maso Benini

Se negli ospedali fiorentini retti dalle arti, l’elezione dello spe-dalingo e di conseguenza anche del camarlingo, scelto in genere dalpriore neoletto, spettava, come si è accennato nella premesa, allacorporazione patrona, Santa Maria Nuova sottostava invece per lenomine dei suoi priori al parere dei Portinari, fondatori e patronidell’ospedale. Tale prerogativa dei Portinari, considerata ufficial-mente decaduta ai primi del Seicento, appare tuttavia fortementeinapplicata nella pratica già nel corso del XV secolo, specie a par-tire dalla sua seconda metà, all’epoca cioè del maturo potere medi-ceo, per divenire quasi esclusivamente di nomina granducale nelcorso del XVI secolo.

Risale al 1477 la presenza in Santa Maria Nuova di uno spe-dalingo di eccezione, il primo di una serie interessante, che si snodadal XV al XVI secolo: Benino d’Antonio di Maso Benini da Firenze,prete, anzi pievano di San Piero a Sillano e già spedalingo dell’o-spedale di San Paolo, in Santa Maria Novella20 (fig. 19). La nominadi Benino a priore di Santa Maria Nuova e la sua carriera di rettoredi enti ospedalieri è da annoverarsi tra quelle tipiche della secondametà o meglio dell’ultimo quarto del Quattrocento, periodo carat-terizzato dall’alternarsi di personaggi, oltre che di nomina signorile,di spiccata levatura culturale e capacità dirigenziale. L’elezione delBenini a spedalingo di Santa Maria Nuova, ad opera di Lorenzo deiMedici, lo coglie nel pieno della sua attività di spedalingo-costrut-tore nell’ospedale dei pinzocheri in Santa Maria Novella, carica

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quest’ultima che egli porta avanti contemporaneamente al nuovocompito affidatogli in Santa Maria Nuova21. In San Paolo, il Beniniaveva già dato prova infatti di notevoli capacità gestionali special-mente in relazione alle opere murarie, resesi necessarie per la partedel convento-ospedale dei pinzocheri di San Paolo, abitata dalledonne, le suore, in particolare per i locali della cucina, del refetto-rio e del chiostro, oltre a riparazioni e modificazioni alla parte abi-tata dagli uomini, i frati. Dal 18 maggio del 1463, “pel convento de’frati come quello delle suore”, i Capitani di Parte Guelfa, unita-mente agli operai dell’Opera di San Paolo, avevano disposto, conscritta di mano del sottonotaio del cancelliere di Parte Guelfa,certo Giovanni Salvetti da Colle, l’elargizione di 1000 fiorini, darestituirsi da parte del monastero a lavori ultimati22. Insieme alleopere murarie, il Benini aveva attuato in San Paolo anche unariforma della vita conventuale, che aveva incontrato non pocheostilità tra i membri della medesima comunità religiosa. Gli anni ’60e ’70 del Quattrocento, sino all’anno della sua nomina a spedalingodi Santa Maria Nuova – Benino era priore in San Paolo dal 1451 –trascorrono per il religioso nel fervore di lavori, che sono anche l’es-senza del suo spirito riformatore, ad esaudire gli auspici di Anto-nino Pierozzi, vescovo della città, e di papa Niccolò V, sostenitoridella sua elezione a spedalingo a vita di San Paolo23. “Ricordocome noi mettemmo le nostre donne dove stavano gli uominil’anno 1473 e noi tornammo dove stavano le donne”, dice Beninostesso al termine dei lavori da lui condotti in San Paolo, a signifi-care la buona riuscita dell’operazione di ristrutturazione del luogoe di riorganizzazione della vita conventuale da lui presieduta24. Nel1475, la riforma prosegue anche sotto il profilo formale, con l’ac-quisto, per il valore di 51 fiorini, delle “bolle dei privilegi dell’or-dine di San Francesco e dello spedale di Santa Maria Nuova”,concessi nel corso dei secoli dai vari pontefici. Anche l’ospedale diSan Paolo, come già quello di Santa Maria Nuova, poteva ora cosìconcedere l’indulgenza plenaria25.

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Ritornato stabilmente in San Paolo nel 1484, dopo la parentesi,durata sette anni, di Santa Maria Nuova, Benini diede ancora provadelle sue straordinarie capacità, portando a termine il pregevole log-giato opera di Michelozzo, terminato nel 1493, lui vivente. È propriol’eccezionalità del suo prodigarsi tra un ospedale e l’altro, a tra-smetterci la precisa memoria del suo operato in Santa Maria Nuova.In un piccolo registro del fondo di San Paolo, di formato tascabile,che il Benini forse portava con sé nel suo andirivieni da un ospedaleall’altro, tra Santa Maria Novella e il Duomo, a pochi passi dal qualesorgeva e sorge ancora oggi l’antico ospedale di Santa Maria Nuova,troviamo infatti la testimonianza scritta dei lavori da lui intrapresinegli anni, che lo videro alla direzione dei due ospedali. Si tratta diuna scrittura redatta intenzionalmente a memoria dei posteri, neglianni ’90 del Quattrocento, successivamente cioè agli eventi narratiquando, tornato definitivamente agli affari di San Paolo, andavariassaporando nella quiete di quel chiostro le fasi salienti del suomurare26. Dalla lettura delle note memorialistiche, dedicate tuttaviaai soli lavori relativi al mandato da lui svolto per Santa Maria Nuova,appare chiaramente come la sua attività di costruttore, si fosse eser-citata anche nei confronti del San Bastiano il nuovo ospedale per gliappestati, commissionato dall’autorità governativa, come dimostranogli stanziamenti fatti a favore dell’ospedale, a Santa Maria Nuova eda erigersi, sotto la sua direzione appunto, sul Prato detto dellaGiustizia27. Ecco uno stralcio di quanto annotato dal Benini sia inmerito ai lavori eseguiti in Santa Maria Nuova, che a quelli fatti peril San Bastiano, dandoci di quest’ultimo, tra l’altro, un’immagine ine-dita e unica, data la sua successiva distruzione di lì a pochi anni:

L’anno 1477 quello feci di muraglie in Santa Maria Nuova erospedalingo. Feci rifare le catene e tutte le scale dell’edificio deibucati. Feci alzare la fogna drieto alle donne dal canto dello spe-dale alla cinta da San Piero e lastrichare la via quanto tiene elmuro dello spedale; fecesi la casa dirimpetto al forno; fecesi el

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braccio dello spedale; fecesi la casa della Torraccia; fecesi il pignonedel risciacquatoio; fecesi quella bella sala col porticho el ponte col-l’ale del muro dallato; fecesi dalle soglie del finestrato del primospedale di San Bastiano insino al fine; fecesi il secondo spedaleverso la porta, con porta e tetto verso la via, colle mura intorno, lamaggiore parte rivolta verso la porta alla Croce e l’(altr)a rivoltaverso e’ Pelacani alte braccia 4 in circa; fecesi che la metà del tettodelle donne colle colonne. Tutte queste cose feci io Benino d’An-tonio Benini, spedalingo di detto spedale di Santa Maria Nuovainsieme cum questo spedale di San Paolo28.

Da quanto sopra descritto, di mano del medesimo Benini, sievince il progresso dei lavori da lui intrapresi: catene, scale, fogna-ture, risciacquatoi, lastricature, che vanno a migliorare la parte diSanta Maria Nuova, destinata alle donne e anche di quelli mirati allacostruzione di un ulteriore braccio (quello della croce), a miglioriedel patrimonio fondiario, della Torraccia per esempio e, infine,come si è detto, destinati alla costruzione dell’ospedale di SanBastiano. Il nuovo ospedale appare, nella descrizione che ne fa ilBenini, dotato di ponte con muretto ai lati, di una sala col porticoe composto di due parti o “spedali”, presumibilmente quello degliuomini e quello per le donne. Quest’ultimo caratterizzato da unaparte del tetto sorretta da colonne a formare un verone per tendere,come pensiamo, il bucato. L’ospedale per accedere al quale si attra-versava un ponte, appare anche circondato da mura alte quattrobraccia con una parte, quella maggiore, rivolta verso la porta allaCroce e l’altra verso la via dei Pelacani. Il San Bastiano ci apparedunque, in queste brevi note di descrizione, virtualmente definitonella sua semplicità architettonica, che pare ancora di tipo conven-tuale. L’impianto a croce, assente nel San Bastiano, era infatti, comesi è accennato nella premessa, strettamente collegato all’esercizio diun’attività terapeutica. La struttura della croce, così faticosamenteperseguita in Santa Maria Nuova, permetteva, infatti, a uomini edonne, seppure separati nelle corsie, di godere della centralità orga-

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nizzativo-terapeutica dell’ente di accoglienza. Il San Bastiano conl’essere destinato agli appestati – equiparati, all’epoca, ai lebbrosiper l’incurabilità della malattia di cui, tuttavia, si intuiva il contagio– era solo un luogo separato dalla società dei sani e non di cura.Ugualmente si può portare l’esempio del più volte nominato ospe-dale degli Innocenti per l’accoglienza dei trovatelli, anch’esso, nono-stante la novità del loggiato, d’impianto conventuale e privo dicroce. I piccoli abbandonati infatti non necessitavano – avutoriguardo al progresso scientifico dell’epoca in materia di puericul-tura e di pediatria, che si svilupperanno solo in pieno Settecento –di un luogo di cura, bensì di un luogo, per quanto architettonica-mente grandioso, di sola accoglienza.

È dunque la concezione dell’ospedale come luogo di cura degliinfermi, che porta alla razionalizzazione degli spazi e, per quantoconcerne l’epoca di cui ci occupiamo, il XV e XVI secolo, allacostruzione ex novo o alla prosecuzione, nel caso degli antichi ospe-dali come questo di Santa Maria Nuova, dell’impianto a croce,destinato a divenire un modello, anzi il modello architettonico del-l’ospedale rinascimentale.

Benini fece costruire il “braccio” sinistro (della croce) dell’O-spedale ma, come ritiene la Ciuccetti, provvedette non a farlo ma arifarlo: “fecesi el braccio dello spedale degli uomini, che si dettecompimento allo spedale ch’era imperfetto”29. Per la Ciuccetti infattiil grande ospedale fiorentino aveva addirittura già nel XIV secolouna “pianta tendente alla forma di croce” di cui, verificatane neltempo e la funzionalità e la bellezza simbolica (la cappella visibile datutti i lati), aveva proceduto pian piano alla sostituzione degli ele-menti più antichi, costruiti troppo frettolosamente, a seguire, final-mente, uno schema simmetrico e razionale30. Dunque non una pro-grammazione a priori ma una lenta verifica, cui seguirà la diffusionedel modello e la sua faticosa realizzazione in tempi successivi. EstherDiana vede invece nel primo braccio della croce, costruito tra il 1313e il 1315 – una corsia ad andamento longitudinale – il ripetersi di

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modelli di costruzioni ospedaliere europee, caratterizzate appuntoda “aule rettangolari”, a suo parere note ai Portinari, coinvolti inattività diffuse oltre il territorio della penisola. Se così fosse è da que-ste aule rettangolari-longitudinali che si svilupperebbe allora, pro-babilmente, l’idea del loro intersecarsi a crociera, a costituire ilmodello architettonico toscano, ivi incluso anche quello senese(croce a forma di T), ugualmente se non più antico e precoce31.

Sarà il Buontalenti, come sappiamo a terminare il quarto brac-cio a nord dopo il 1575.

Anche la Ciuccetti ritiene che l’esportazione del modello fio-rentino sia stata, per così dire, “virtuale”. Cosimo il Vecchio, infattiinviò allo Sforza nel 1456 un modello (un disegno o una ricostru-zione in scala), “tratto parte dal nostro qui ma è molto più bello econ più ordine che non è”, riferendosi all’assetto reale, frutto di unprocesso da lui stesso definito “a pezzi e bocconi”, dell’impiantocruciforme di Santa Maria Nuova. Modello, che trovò pronta rea-lizzazione, con l’edificazione di entrambe le due croci (degli uominie delle donne) nell’edificazione dell’ospedale Maggiore di Milano,sorto ex novo, dopo approfondite ricerche e sondaggi in terratoscana32.

Lorenzo il Magnifico dunque porta avanti il desiderio del padree nomina il Benini a realizzare quel modello che, tutto conchiusonella teoria, doveva ancora a fatica concretizzarsi nella pratica.

Santa Maria Nuova acquisisce dunque tardivamente le duecaratteristiche che a detta, di Goldthwaite e Rearick, erano allabase della distinzione, relativamente all’architettura, dell’ospe-dale rinascimentale: croce e loggiato, ma sono i Medici, i loroartisti e i loro architetti, a produrre ed esportare comunque l’ideadi un modello ospedaliero e non solo, come vedremo, di tipoarchitettonico33.

Nel 1482, Benino, infine, essendo ormai prossimo al terminedel suo incarico in Santa Maria Nuova – pare vi rinunziasse luistesso nel 1484 – sentì anche la necessità di “far ricordo” di tutti i

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beni “venduti e introdotti” durante il suo priorato34. Nello specifico,i beni “aquistati di nuovo”, ereditati cioè come spiega, durante il suoincarico provenivano da benefattori, quali i Minerbetti, gli Aldo-brandini, i Castellani, in parte erano stati anche comprati, per untotale di oltre 12.000 fiorini e risultavano posti a Montughi, Pozzo-latico, nel piano di Ripoli verso Candeli, nel Valdarno, nella Roma-gna toscana e nel contado di Prato; i beni “alienati” oltrepassavanodi poco i 3500 fiorini35. Del resto, il vasto patrimonio fondiario del-l’ospedale si era andato formando proprio tra XV e XVI secolo, aseguito di lasciti e donazioni36. Ma nel 1530 il debito dell’ospedaleera altissimo e ammontava a 92.000 scudi37.

4. GLI SPEDALINGHI-RIFORMATORI-COSTRUTTORI AL TEMPO DEI

GRANDUCHI: ISIDORO DA MONTAUTO E DON VITO BUONACCOLTI

4.1. Isidoro da Montauto

Il XVI secolo si apre su una serie di nomine granducali postealla guida dell’ospedale. È del 1544 l’elezione, dopo quella di donAgnolo Morsi, voluta da Giulio de’ Medici (Clemente VII), dell’a-bate della Badia di Firenze, Isidoro da Montauto, chiamato daCosimo I – promotore di varie riforme dell’apparato amministrativodel Granducato – a risanare le finanze dell’ospedale38. Sulla disa-strosa situazione di Santa Maria Nuova, dovuta anche agli “infinitidanni” sopportati a causa della “guerra passata”, quella del 1530,erano già intervenuti, nel 1533, sia il pontefice con una sovven-zione tratta dalle decime, che il governo fiorentino con la conces-sione di una dilazione di quattro anni per soddisfare i creditori39.Sempre dal governo, l’ospedale otterrà ancora, nel 1546, una sommadi 3200 scudi da pagarsi dal camarlingo del Monte, provenienti davarie gabelle (del pane, del sale, sui traini di legname, sulle condanneecc.)40. I debiti dell’ospedale, come il medesimo Montauto si affretta

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ad accertare, ammontavano al 1544, l’anno dell’accettazione dellacarica, a oltre 42000 fiorini, rappresentati per lo più dai depositi:“sutoli tolti molti depositi et fattogli pagare più somme di denari”41.Tale attività bancaria espletata da Santa Maria Nuova era tuttaviacomune anche ad altri ospedali cittadini, tra cui quello degli Inno-centi e, seppure in misura minore, era stata perseguita, almeno sinoalla fine del XV secolo, anche dal San Paolo42. Il nuovo spedalingo,ripropostosi di pagare sino a 25000 fiorini, opera da subito uno sgra-vio delle passività, annullando circa 11000 fiorini, dovuti per via diobblighi perpetui e rendite vitalizie, “gli incarichi” cioè, che rap-presentavano una pesante voce in uscita in tutti gli enti religiosi eassistenziali per via dei tanti legati testamentari.

Appena entrato al governo dell’ospedale, il Montauto proce-dette, come era la regola a ogni nuova elezione, all’inventario deibeni, censendo circa 24 fattorie e 5 piccoli ospedali soggetti e appu-rando che i beni già venduti nel precedente priorato per risanare lefinanze, avevano raggiunto il valore di circa 12000 fiorini, anche se,a detta del nuovo priore, “non sarebbe bastato venderli tutti persanare i debiti dell’ospedale”43. Isidoro da Montauto, personaggio dispicco nella cultura fiorentina dell’epoca, amico di don VincenzoBorghini – entrambi erano abati benedettini della Badia di Firenze,nominati priori quasi contemporaneamente dei due maggiori ospe-dali fiorentini – improntò il suo priorato secondo una linea profon-damente innovatrice44. Relativamente al suo impegno nell’organiz-zazione dell’ente, il Montauto è da considerarsi il prototipo dellospedalingo rifomatore. Caratteristica questa che lo vede anche,significativamente, attivo, nel 1560, in una “Commissione Ducale”,istituita da Cosimo contro l’eresia45. È forse ancora in questa suaveste di ‘riformatore’ che il Montauto, accettato l’incarico di priorein Santa Maria Nuova, scioglie la Compagnia di San Luca, primonucleo, a detta del Vasari, che non gli lesina accuse in tal senso, del-l’Accademia del Disegno, i cui membri, forse sospetti agli occhi diIsidoro, si adunavano nei sotterranei dell’ospedale da lui diretto46. È

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tuttavia significativo che il primo esempio conosciuto dell’Accade-mia del Disegno, che tanto lustro darà alla città nei secoli a venire,avesse origine poi proprio in un ospedale – si ricostituì infatti suc-cessivamente in quello degli Innocenti sotto il governo del Bor-ghini –, luogo peraltro adatto allo studio anatomico. In questa suaveste di ‘regolatore’, Isidoro si dimostra da subito avverso alle com-missioni (oblazioni) e all’utilizzo dei commessi-oblati nei vari ufficiistituzionali. È suo l’invito al Granduca a legiferare per costringeregli oblati al servizio, in cambio della rendita a vita loro spettante, colsottoporli a punizioni in caso di mancanze, se non proprio, comepare si verificasse di frequente, di veri e propri “misfatti”, come eglistesso denunzia in un suo rapporto, ritrovato nel libro intitolatoStratto dell’ospedale, iniziato l’anno 1544, cui faremo riferimentonelle considerazioni che seguono47. Aspro è il suo rammarico neiconfronti dei commessi da lui trovati al suo ingresso in ospedale edispersisi nel corso degli anni. Credevo “haver fatto una congrega-tione d’huomini da bene”, scrive deluso mentre in realtà, molti“gettarono l’abito”, vissero “tristamente”, furono di “malavita” ofurono mandati in “galea”(come forzati sulle navi cioè) o in prigionee, conclude, “capitarono quasi tutti male”48. Ai commessi, “ladri emarioli”, viene vietata, per sua disposizione, la gestione della medi-cheria e della spezieria, affidate invece, a partire dal suo priorato, agarzoni salariati, arrivando a precludere loro, significativamente,l’accesso all’ufficio del camarlingato, la massima carica istituzio-nale dopo quella del priore, talvolta ricoperta da lui medesimo. Icamarlinghi di Isidoro saranno infatti esclusivamente preti, uominidi sua fiducia e di specchiata onestà. Tra i compiti del camarlingo,inoltre, Isidoro inserisce anche la visita frequente agli infermi,uomini e donne. Relativamente alle inferme, egli, inoltre, resosiconto delle tante “merende e stravizi”, che si consumavano nel set-tore, che le ospitava, vieta l’ingresso a chiunque, tranne che almedico e al confessore. Severo anche il regolamento imposto dalMontauto alle commesse, le oblate, che vivevano al modo delle

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religiose. Solo i parenti potevano andare a parlare alle monache, leoblate cioè in servizio nel reparto delle donne, ma solo“alla ferrata”della cappella e, infine, solo la monaca a capo della cucina e quellaa capo della sartoria, potevano maneggiare denaro per evitare che siinstaurassero “pratiche”, ovvero relazioni non lecite e disdicevoli peril loro stato di religiose49.

La riforma dell’abate benedettino si spinge anche sul pianomedico-sanitario, istituendo il numero di due medici fisici fissi nellamedicheria, di cui uno assegnato alle donne più altri due tenuti avisitare tutti gli infermi mattina e sera, coadiuvati da personale sala-riato, quei “giovani” cioè detti anche “garzoni”, tenuti anche a rife-rire ai medici sulle “cure” seguite dai ricoverati.

La necessità di mettere al governo della spezieria e delle medi-cheria persone fidate, rispondeva certo all’intento di salvaguardareil decoro oltre che le finanze dell’ospedale, oberato dai furti deicommessi, peraltro insolenti e superbi nella descrizione del Mon-tauto. Agli speziali, ora stipendiati, viene ulteriormente vietato “dimandare fuora nulla senza licenzia” e ai “cerusici”, loro assimilati,è vietato di “medicare per le camere” o di andare a “medicarefuora” e portare fuora “cose attenenti alla medicheria”. Per le mede-sime ragioni di onestà il Montauto vieta ai commessi anche la caricadi fattore, detto anche agente, nelle proprieà ospedaliere. In ultimoil nuovo regolamento prende in considerazione anche la tenutadelle scritture da tenersi da parte del camarlingo, come i libri dientrata e uscita e i quaderni di cassa, mentre è lo scrivano la personadesignata a tenere i libri dei perpetui, delle vestizioni dei commessi,delle “mulina”, e spettava al cancelliere (il notaio dell’ente), e soloa lui, la stesura e la tenuta di quelli dei contratti50. Tra le regole delMontauto ne compare anche, significativamente, una di natura for-male, che lo vedeva obbligato, lui priore, a mangiare almeno unavolta la settimana con gli altri nel refettorio.

È forse, questa sopra enunciata, semplicemente una primatraccia di quella “Nota delle constitutioni et consuetudini”, di mano

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di Isidoro, rivista più volte da Lelio Torelli, auditore e uomo difiducia del Granduca, e da lui inviata al segretario granducale Cri-stiano Pagni. “Nota”, come viene specificato, di ciò che si sarebbedovuto osservare “perché”, come spiega il Torelli, “ho trovato chemolti capitoli vi sono che non si osservano et molte cose si osservanoche non sono nei capitoli”. Tale “Nota” che riassumeva “tutte lecose necessarie” al buon andamento dell’ospedale era stata “fattaridurre in buona latinità et chiara da don Vincenzio Borghino,monaco di Badia, il quale è il più dotto frate ch’io conosca dellebuone lettere latine et greche et il più dabbene”51. È tale la qualitàdella regola che il Torelli ne consiglia la stampa, in quanto, a suoparere, ben rappresentava “l’ordine della più pietosa et gloriosa casad’Italia, et come io credo del mondo”. Torelli infine prega il Gran-duca di restituirgliela in modo da poterla dare indietro a FrancescoPortinari, rivelandoci così che la regola è forse la medesima, cheproprio il Portinari si dice avesse trasmesso nel 1525 al re d’Inghil-terra, che ne aveva fatto richiesta, probabilmente in seguito, solo rie-laborata da Isidoro. La medesima regola, infine, che Cosimo I invierà,accompagnata da una relazione del Borghini, anche a Ferdinandod’Austria52.

Si tratta di un tassello molto importante, che ci illustra l’altastima in cui era tenuto, tra l’altro, Vincenzo Borghini, benedettinodella badia fiorentina, amico di Isidoro, eletto anche lui per volontàgranducale a priore degli Innocenti, ragione questa degli strettirapporti intercorsi tra le due istituzioni negli anni del loro priorato.Il Borghini ci appare qui nella sua veste di erudito, già esperto‘regolatore’ di monasteri, attività questa perseguita sino dai suoi annigiovanili e, specialmente, futuro pedagogo e riformatore degli Inno-centi e di altri ospedali per trovatelli della Toscana53.

Tocca al Montauto infine, come anche all’amico Borghini nelsuo brefotrofio, gestire i rapporti con la corte granducale, divenutipiù difficili con Francesco I, succeduto al padre nel 1574, speciesotto l’aspetto finanziario, allorché Santa Maria Nuova, ma accade

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la medesima cosa per gli Innocenti, diviene una delle banche, se non‘la banca’, al servizio del Granduca. Tuttavia, il ruolo di Santa MariaNuova appare in quest’ambito più complesso. Cosimo I fa depositareai “fattori” delle compagnie di casa Medici gli utili dell’attività mer-cantile-imprenditoriale proprio in Santa Maria Nuova, senza cheniente, come lui stesso comanda, “appaia di scritto”, ma sia palesesolo il passaggio delle somme di denaro. Somme, che poi, massic-ciamente, sono richieste dal Granduca per acquisti di case, poderi,ma più che altro per far fronte ai mandati di pagamento dei lavoridella muraglia per il palazzo, o meglio la “casa”, da farsi in Cerreto,una delle tante, prestigiose residenze private dei Medici54. Quello chesi può dire di sicuro allo stato attuale della ricerca, così come vienepresentata da Emanuela Ferretti, che ci sollecita peraltro a rifletterviulteriormente, è che Cosimo I pare utilizzare Santa Maria Nuovacome banca di deposito al pari degli altri depositanti (con versamenticioè e ordini di pagamento) senza ricorrere, come pare, a prestiti.I rapporti tra ospedale e Granduca, tuttavia, paiono improntati aduna certa correttezza amministrativa poiché, riferendosi ai depositifatti dagli agenti della compagnia Medici, si esige un passaggio effet-tivo di denaro e non il ricorso a strumenti di credito (assegni, pro-messe di pagamento), per non creare problemi di liquidità e dunquedi solvibilità futura all’ente ospedaliero55.

L’argomento relativo all’attività di istituzioni di credito degliospedali, meriterebbe poi di essere studiato in modo sistematico pervalutare anche, nel caso specifico di Santa Maria Nuova, le sommeeffettivamente versate e consumate da Cosimo. Toccò a Isidoro daMontauto, come anche al Borghini per gli Innocenti, gestire la dif-ficile congiuntura finanziaria determinatasi a seguito di tale attivitàcreditizia, nonostante i forti legami con la corte granducale.

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5. DON VITO BUONACCOLTI

Anche Don Vito Buonaccolti appartiene alla categoria deglispedalinghi nominati da Cosimo I. L’anno della sua nomina a priorein Santa Maria Nuova, don Vito è spedalingo a Bonifazio, chiama-tovi due anni prima dal medesimo Granduca, dopo essere statoper lungo tempo abate di Monteoliveto. Nominato da Cosimo I, egliperò condurrà a termine il suo mandato quasi interamente sotto ilnuovo Granduca, Francesco I. Il suo ingresso in Santa Maria Nuovail giorno stesso della morte del Montauto è minuziosamentedescritto56:

[…] et giunto in questa casa da tutta la famiglia mi furno portatele grazie et promesso ubidientia si dalli homini come anco dallemonache, et di poi entrato nella camera del priore, trovai il reve-rendo Isidoro Monteacuto morto il giorno medesimo, et vestito diabito pontificale quale io segnai secondo l’ordine et detti modo dafare l’esequie onoratamente invitando tutte le regole di Firenze etordinando si dessi una falcola di 1 libbra per uno a tutto l’altoclero: Et di poi mentre tornavo a Bonifazio la sera medesima, nelquale luogo io era priore, stato due anni et mesi dua et avanti checi entrassi in quel luogo ero abate di Monte Uliveto stato assaitempo et per ordine del Granduca fui messo in Bonifazio […] etla sera in Bonifazio trovai mala contenteria in tutta la famiglia etdelle monache particolarmente, causata dall’aver pigliato questopossesso insperato da loro et da me insieme et così sorti 30 giorniavendo cura et di Santa Maria Nuova et di Bonifazio avanti faces-simo nuovo spedalingo con molto mio scomodo […].

Spetta a lui dunque predisporre il cerimoniale per le esequiesolenni del Montauto, che trova composto in abiti pontificali. È inte-ressante il suo narrarci poi lo scontento della “famiglia” dell’altroospedale, quello di Bonifazio, che per qualche tempo, amministra,seppure con disagio, congiuntamente al Santa Maria Nuova,

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facendo la spola, come già il Benini un secolo prima, da un ospedaleall’altro. Alla nomina del suo successore in Bonifazio, don Vito,rende conto del suo operato ai consoli dell’Arte dei Mercatanti,l’arte patrona. È in quest’occasione che don Vito può dimostrarecon soddisfazione l’accrescimento, sotto il suo priorato, della pro-prietà immobiliare e fondiaria dell’ospedale di Bonifazio, il rifaci-mento di più case da lavoratore, molte delle quali ricostruite dai fon-damenti, compresa la ricostruzione della chiesa di Santa Maria aCorbinaio, che era quasi distrutta, e di quella di San Silvestro,entrambe sulle proprietà dell’ente ospedaliero da lui governato.Don Vito aggiunge a ciò la memoria di nuove piantagioni, vigne eolivi, per passare poi ad elencare tutti gli animali posseduti (daicastrati nelle stalle ai capponi nelle stie) e il grano prodotto, inquantità tale da essere “ bastevole fino ad Ognissanti”, in avanzocioè oltre il nuovo raccolto. Termina poi il resoconto del suo operatocon l’indicazione dei denari presenti in Bonifazio e pari, “tra incasa et sul banco de’ Ricci”, a 1000 fiorini.

La consistenza di denaro lasciatagli dal Montauto in SantaMaria Nuova risulta pari a 5310 fiorini di cui però, come precisa ilnuovo spedalingo, a minimizzare la superiorità della cifra rispetto aquella disponibile in Bonifazio, 2300 fiorini erano attinenti al depo-sito, frutto cioè di un’attività soggetta alle richieste dei depositantie dunque da utilizzarsi con cautela. Somme, quelle indicate nellememorie del Montauto, in entrambi i casi, tutto sommato modeste,che riflettevano la difficile gestione di questi enti, dove il non averdebiti e l’accrescimento della proprietà fondiara, come aveva dimo-strato don Vito per Bonifazio, erano comunque, motivi di onore edi capacità non comuni dell’allora priore in carica.

Anche don Vito Buonaccolti, l’ultimo degli spedalinghi da noiesaminati, appartiene dunque alla categoria dei costruttori/rifor-matori. Difatti, come abbiamo visto, l’impegno da lui profuso nelleopere murarie era stato una delle prerogative, che avevano con-traddistinto, come già il Benini in San Paolo, il suo priorato in

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Bonifazio. Avuta la direzione di Santa Maria Nuova, nel 1573, inau-gura una stagione di opere non solo murarie e destinate anche allacomodità e al decoro degli infermi, con particolare riguardo al set-tore femminile, il più arretrato, come è noto, sia dal punto di vistasanitario che dal punto di vista strutturale-architettonico57. Appenaarrivato, don Vito provvede, difatti, all’ammattonatura dello “spe-dale delle donne”: “ed éssi ammattonato poco manco che mezzo”58

e prosegue con la sistemazione di tutti i letti delle inferme, dallematerasse ai coltroni, alle lenzuola, alle coltrici. Per le lenzuoladecide di farne 300 paia, di cui metà di due teli e metà, di tre teliavendo osservato che quelle di due teli “non bastavano a coprire lipoveri malati anzi rovinavano li materassi”59. Sempre per la sezionefemminile, fa fare, secondo l’uso del tempo, che voleva al capezzaledi ogni letto una rappresentazione sacra, 70 tavolette di legno isto-riate con storie della Madonna e 150 bacinelle di rame stagnato peri loro bisogni igienici60. Tali quantità, ci fanno intendere come ilnumero dei letti fosse pari ad almeno 70 con due inferme per letto(come dimostrerebbero le 150 bacinelle ordinate per loro), mentrele lenzuola, 300 in tutto, erano il doppio preciso, per garantire ilcambio dei letti61.

Il Buonaccolti passa poi ad organizzare la sezione degli uomini,dove provvede anche lì alla sistemazione dei letti, con l’ordinare100 materassi nuovi da mettere a ciascun letto “dove stanno due opiù l’uno”, testimoniandoci così nuovamente l’utilizzo dei letti perpiù di un malato. Inoltre le 350 “bacinelle di rame stagnato con suacampanelle”, “acciò e’ poveri infermi si possino spurgare et mandarefuora loro escrementi corrotti”, ordinate “due per ogni letto”, oltrea confermarci ancora una volta l’uso doppio e triplo dei giacigli, cidanno anche un’idea della ricettività totale del settore maschile.Anche per gli uomini vengono ordinate poi 100 tavolette con storie,le più “notabili”, questa volta, del “testamento vecchio dalla crea-zione d’huomo”, fatte fare ad un certo maestro “Francesco di Dome-nico, torniaio”. Ma non è tutto, don Vito vuole garantire agli infermi

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anche una certa riservatezza e fa fare 100 “vele”(tante quante i letti),tende cioè di panno lino da mettere tra un letto e l’altro, grazie a ferriconficcati nel muro, e pari a otto braccia ciascuna di ampiezza per untotale di 800 braccia. Il successore di Isidoro aveva dunque benchiaro il tenore igienico-sanitario di un ospedale e il suo spedalingatoin Bonifazio aveva certo contribuito ad accrescere la sua sensibilitàorganizzativa in quest’ambito, essendo quello di Bonifazio un ospe-dale avanzato sotto questo profilo. Contrariamente invece a quantopredicato da Isidoro, don Vito concede nuovamente, nel 1576, l’in-carico di infermiere degli uomini ad un commesso62.

Notevole è anche il suo intervento in opere murarie di rilievo,che hanno fatto la storia architettonica di Santa Maria Nuova. È del1575 il conio, ordinato da lui, di più medaglie commemorative percelebrare l’accrescimento dell’ospedale, cioè del braccio, presumi-bilmente quello sinistro, della croce63. Le medaglie sono ordinate peressere messe nelle fondamenta il giorno dell’inaugurazione, insiemea monete ed oggetti preziosi da lui minuziosamente descritti: “lequali tutte cose si sono fatte a gloria et honore di questo Santo Spe-dale et per memoria di tale hedifitio… per ordine et mandato delserenissimo Granduca di Toscana”. Ed è proprio il 25 marzo del1575 che il Buonaccolti fa memoria, confermandoci proprio di avermesso la prima pietra “nello spedale s’aggiunge degli uomini”, sottoil “maiesterio del maestro Bernardo Buontalenti”64. Impegno che ilBuonaccolti trasfonde anche in opere artistiche, come appare da unpagamento fatto nel 1573 ad Alessandro Allori per “fattura et pit-tura del quadro della samaritana nel chiostro et nella faccia di dettorefettorio”65. Sempre nel medesimo anno aveva provveduto ancheall’assunzione di un musico, un organista, certo Francesco Cortesida Firenze, “con obbligo che debba sonare tutte le domeniche”,mattina e sera, comprese le feste comandate e altre festività66.

Nel 1577, giunto a morte il suo corpo verrà esposto nel brac-cio della croce degli uomini da lui completato. Solenne il “mortorio”riservatogli, tra i presenti un rappresentante dei Portinari, tutti gli

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spedalinghi degli altri ospedali fiorentini e tutti i rappresentantidegli ordini religiosi ed altre autorità ecclesiatiche e secolari.

La figura del Buonaccolti, come già quella del Montauto e delBenini, si inserisce dunque armoniosamente nel contesto culturaledegli spedalinghi d’eccezione (ivi compreso il Borghini, priore agliInnocenti e ad essi culturalmente collegato), mecenati dell’arte,amanti della musica, riformatori di comunità laiche e religiose.Dopo il Buonaccolti pare interrompersi la fortunata serie degli spe-dalinghi costruttori-riformatori del periodo granducale. Il succes-sore di don Vito, Filippo Guidiccioni è anzi passato alla storia perle sue poco edificanti malversazioni amministrative, nonostante l’i-stituzione da lui voluta, in Santa Maria Nuova, di una scuola perchierici, dove fino dall’infanzia i bambini potevano imparare lagrammatica. Il gerosolimitano fra’ Giulio Zanchini, che venne dopodi lui, dovette rinunciare all’incarico per malattia67.

Col XVII secolo, ha termine in Santa Maria Nuova, il giàesautorato patronato dei Portinari, la data precisa di tale rimozioneè il 1617 proprio quella dell’ingresso a nuovo priore dell’ospedaledi Giovanni Mattioli, già stato priore per nomina granducale omeglio a seguito di richiesta del Principe alle Arti patrone (delCambio e della Seta), sia all’ospedale di San Matteo che, contem-poraneamente, in quello degli Innocenti, a confermarci il prose-guimento della consuetudine dello spostamento da un ospedaleall’altro degli uomini migliori, là dove più urgente era il bisogno68.A sostituire il Mattioli agli Innocenti, il Granduca provvide adinviare Marco Settimanni, a sua volta già camarlingo, dal 1614, inSanta Maria Nuova69. Pochi anni dopo il Settimanni, ormai col-laudato nella sua professionalità di rettore, sarà nuovamente richia-mato in Santa Maria Nuova a coprire la carica di priore70. Infine,nel 1645 è Filippo di Paolo Ricasoli, già priore degli Innocenti apassare al governo di Santa Maria Nuova. Il Ricasoli sarà unodegli ultimi spedalinghi costruttori, per riprendere ancora unavolta l’espressione utilizzata per primi dal Goldthwaite e dal Rea-

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rick71. Al Ricasoli sarà affidata infatti la costruzione della secondacroce dell’ospedale, quella delle donne72.

6. NOTE CONCLUSIVE

La sequenza, tra XV e XVI secolo, di camarlinghi e priori dinomina prima medicea e poi granducale, fa intendere come l’isti-tuzione ospedaliera a Firenze e in Toscana, rivesta, a quest’epoca,una rilevanza notevole nella conduzione dello Stato e come l’ospe-dale divenga il luogo, dove esercitare, per utilizzare un’espressionedi Adriano Prosperi, anche il “piacere dell’edificazione” cioè delmurare oltre a quello, aggiungerei, dell’innovazione terapeutica edella sperimentazione73. Basti pensare a quanto si è andato sopraenumerando relativamente alle opere murarie, profuse nelle fab-briche dai vari rettori dei diversi ospedali. Per quanto riguarda lasperimentazione, il progresso cioè, raggiunto proprio in Santa MariaNuova, basta pensare allo sviluppo, avvenuto proprio nel XV secolo,dell’anatomia patologica, disciplina che deve molto anche alla con-fluenza di ingegni, proprio nell’orbita dell’istituzione ospedaliera,penso ad Antonio Benivieni, medico e chirurgo di notevole rilevanzain quest’ambito nel Quattrocento.

L’ente ospedaliero in genere, e nello specifico quello di SantaMaria Nuova, che ha rappresentato il principale punto di riferi-mento della ricerca, risulta essere in questo periodo storico, oltre cheespressione di bellezza e funzionalità architettonica e artistica ancheluogo di progresso scientifico e ingranaggio patrimoniale e finan-ziario dello Stato. Le concentrazioni ospedaliere, a partire da quelledi Cosimo I, sono difatti espressione di una volontà di controllo sututta la rete ospedaliera toscana. Al Santa Maria Nuova viene affi-data la sovrintendenza su altri enti ospedalieri toscani, di Pisa, diPistoia, di Livorno. Successivamente, si faranno anche sperimenta-zioni gestionali congiunte, anticipatrici delle moderne commissioni

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amministrative. Nel 1594, il nuovo Granduca, nell’eleggere Gio-vanni Battista Totti, ex operaio di Santa Maria Nuova, a speda-lingo degli Innocenti, gli raccomandava che quando fosse andato invisita ai beni del brefotrofio da lui ora diretto, di visitare anchequelli di Santa Maria Nuova, dove quest’ultimo ospedale, assu-meva ora chiaramente una posizione preminente di mandante,rispetto all’altro dei trovatelli. È in questo clima, per ritornare allamotivazione iniziale della ricerca, di espansione cioè del potere sta-tuale in materia sanitaria, che possiamo, infine, comprendere quel-l’avvicendamento di cariche sopra illustrato, quale modalità di uti-lizzo di un patrimonio intellettuale-culturale d’eccezione, conside-rato al servizio del governo mediceo prima e granducale poi.

NOTE

1 Cfr., per esempio per l’affidamento a Santa Maria Nuova della costruzionedell’ospedale dei “morbati”, L. SANDRI, La gestione dell’assistenza a Firenze nel XVsecolo, in La Toscana al tempo di Lorenzo il Magnifico. Politica Economia CulturaArte, Convegno di Studi promosso dalle Università di Firenze, Pisa e Siena 5-8novembre 1992, Pacini Editore, Pisa 1994, vol. III, p. 1379.

2 Cfr., R.A. GOLDTHWAITE, La fondazione e il consenso della città, in L. SAN-DRI (a cura di), Gli Innocenti e Firenze nei secoli. Un ospedale, un archivio, una città,Firenze, Spes, 1996, pp. 7-14.

3 Cfr., L. SANDRI, Ospedali e assistenza, in M. CILIBERTO (a cura di), Storiadella civiltà toscana. Il Rinascimento, Firenze, Le Monnier, 2001, pp. 610-612

4 Crf., R.A. GOLDTHWAITE, W.R. REARICK, Michelozzo and the Ospedale diSan Paolo in Florence, «Mitteilungen des Kunsthistoriches Institut von Florenz»,1977, 21, n. 3, pp. 221-305 e L. SANDRI, Aspetti dell’assistenza ospedaliera a Firenzenel XV secolo, in Città e servizi sociali nell’Italia dei secoli XII-XV, Atti del dodi-cesimo Convegno Internazionale di studio tenuto a Pistoia dal 9 al 12 ottobre1987, Bologna, Editografica, 1990, pp. 237-257.

5 Tale passaggio di modelli architettonici a Pistoia pare giustificato anche dal-l’essere quello del Ceppo annesso nel 1501 a quello di Santa Maria Nuova diFirenze, L. GAI, Interventi rinascimentali nello Spedale del Ceppo di Pistoia, in Con-tributi per una storia dello Spedale del Ceppo di Pistoia, Pistoia, Centro Studi di Sto-ria e d’Arte, 1977, pp. 76-91.

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6 L. SANDRI, Ospedali e assistenza, in M. CILIBERTO (a cura di), Storia dellaciviltà, cit., pp. 603-604.

7 Ciò avvenne per esempio con la realizzazione a Milano dell’OspedaleMaggiore. Fondato ex novo fu infatti possibile realizzare da subito i modelli archi-tettonici, compiutamente teorizzati ma non ancora risolti nella pratica, degli ospe-dali toscani, L. SANDRI, Ospedali e assistenza, cit., p. 608.

8 Per il lascito datiniano cfr., R.A. GOLDTHWAITE, La fondazione e il consensodella città, in L. SANDRI, Gli Innocenti e Firenze, cit., p. 7. La presenza di ser LapoMazzei in Santa Maria Nuova è testimoniata a partire dal 1399, al tempo dello spe-dalingo ser Piero Mini, Archivio di Stato di Firenze, Santa Maria Nuova , d’ora inavanti A.S.F, OSMN, f. 31, cc. 1, 4.È noto il carteggio intercorso tra il Datini e ilMazzei, conservato presso l’Archivio di Stato di Prato e edito da C. GUASTI, Let-tere di un notaro a un mercante del secolo XIV, Firenze, 1880, rist. anastatica SalaBolognese, 1979.

9 A.S.F., OSMN, f. 36,c. 40 e Archivio dell’Ospedale degli Innocenti diFirenze, d’ora in avanti A.O.I.Fi., Libro delle muraglie D, s. 7, n. 3; cfr., anche perla presenza di ser Lorenzo agli Innocenti, S. GELLI, G. PINTO, La presenza del-l’Ospedale nel contado (sec. XV), in Gli Innocenti e Firenze, cit., p. 97.

10 Le tracce dell’attività di Baroncello in Santa Maria Nuova in questi annisono molteplici. Tra il 1446 e il 1448 è camarlingo, A.S.F., OSMN, f. 4491, c. 1.Agli Innocenti Baroncello è presente comer camarlingo-priore, tra il 1448 e il 1450,A.O.I.Fi., Ospedale degli Innocenti, s. 122, n. 2, c. 1; per Lapo di Pacino, exsetaiolo, priore in questi anni e il primo a vestire l’abito di commesso nel brefo-trofio, cfr., P. SENESI, Un uomo d’affari del XV secolo: Lapo di Pacino da Castel-fiorentino, «Rivista di Storia dell’Agricoltura», 1997, 37, n. 2, pp. 1-26.

11 A.O.I.iF., Ospedale della Scala, s. 3, n. 11, c. 1.12 Cfr., L. SANDRI, L’ospedale di S. Maria della Scala nel Quattrocento. Con-

tributo alla storia dell’infanzia abbandonata, Firenze, Pacini Editore, 1982, p. 22.Pochi anni dopo l’ospedale di San Gimignano verrà riunito a quello degli Inno-centi di Firenze.

13 A.S.F., Catasto, f. 66, c. 312 (1427). Baroncello è al 1427, il primogenito diben nove figli. Il padre Leonardo di Luca, forse con un qualche incarico all’Uffi-cio del Monte, risulta essere proprietario di casa e podere a Legnaia e con un capi-tale mobile di 1905 fiorini, investito in crediti di Monte, mentre i suoi incarichiammontano a 2300 fiorini.

14 Ibidem, OSMN, f. 5817, cc. 81, 104.15 Baroncello è infatti indicato come commesso già al 1443, ibidem, f. 36, c. 382.16 Ibidem, f. 5062, c. 9.17 Ibidem, c. 254v.18 Ibidem, c. 24.19 A.O.I.Fi., Ospedale della Scala, s. 3, 18, cc. 1. 24.

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LUCIA SANDRI

20 Sulla figura di Benino o Bonino d’Antonio di Maso Benini o Bonini,rimando a L. PASSERINI, Storia degli stabilimenti di beneficenza e d’istruzione gra-tuita della città di Firenze, Firenze, Le Monnier, 1853, p. 174.

21 Cfr., per l’attribuzione della nomina del Benini a Lorenzo il Magnifico, L.CIUCCETTI, Lo spedale di Santa Maria Nuova e la sua evoluzione attraverso settecentoanni di storia, in L. CIUCCETTI, F. BRASIOLI, Santa Maria Nuova: il tesoro dell’artenell’antico ospedale fiorentino, Firenze, Becocci, 1989, p. 22, che avvalora quantogià detto in proposito da L. PASSERINI, Storia degli stabilimenti di beneficenza, cit.,Per la carica di spedalingo ricoperta da Benini in San Paolo e per le vicendearchitettoniche di quell’ospedale, rimando R.A. GOLDTHWAITE, W.R. REARICK,Michelozzo and the Ospedale di San Paolo, cit., e a R.A. GOLDTHWAITE, Michelozzoand the Ospedale di San Paolo in Florence: addendum, «Mitteilungen des Kun-sthistorichen Institutes in Florenz», 2000, XLIV, pp. 338-339.

22 A.S.F., Ospedale di San Paolo, d’ora in avanti OSP, 25, c. 7. 23 Cfr., R.A. GOLDTHWAITE, W.R. REARICK, Michelozzo and the Ospedale di

San Paolo, cit., p. 227.24 A.S.F., OSMN, f. 531, c. 34.25 Ibidem.26 Si tratta del registro n. 24, del fondo dell’ospedale di San Paolo (OSP).27 A.S.F., OSMN, f. 5878, c. 373; f. 5879, c. 84. L’ospedale di San Bastiano

(Sebastiano) de’ morbati, destinato appunto agli appestati, fu terminato intornoal 1494-1495 e andò distrutto in occasione dell’assedio del 1530.

28 A.S.F., OSP, f. 24, 11.29 Cfr., L. CIUCCETTI, Lo spedale di Santa Maria Nuova, cit., p. 55 e Lo spedale

di S. Maria Nuova e la costruzione del loggiato di Bernardo Buontalenti, cit., p. 21.30 Cfr., L. CIUCCETTI, Lo spedale di Santa Maria Nuova, cit., e E. DIANA,

Dinamiche fondiarie e caratteri insediativi degli ospedali tra XIV e XVI secolo: il casofiorentino, «Medicina & Storia», 2003, 6, p. 46.

31 Cfr., F. LEVEROTTI, Ricerche sulle origini dell’ospedale Maggiore di Milano,«Archivio Storico», 1981-1984, CVII, pp. 236-268, dove indica Siena quale pro-babile prototipo dell’ospedale milanese.

32 Cfr., L. CIUCCETTI, Lo spedale di Santa Maria Nuova, cit., pp. 55-57. Cfr.,per l’esportazione del modello in Italia e in Europa e la sua realizzazione milanese,quanto espongo nel mio Ospedali e assistenza, cit., pp. 697-612; vedi ancora F.LEVEROTTI, Ricerche sulle origini dell’ospedale Maggiore, cit.

33 Cfr., R.A. GOLDTHWAITE, W.R. REARICK, Michelozzo and the Ospedale diSan Paolo, cit., pp. 279-280.

34 Cfr., L. CIUCCETTI, Lo spedale di Santa Maria Nuova, cit., p. 37.35 A.S.F., OSMN, f. 531, cc. 23-24.36 Cfr., G. PALLANTI, Le fattorie dell’ospedale di S. Maria di Firenze tra il XVI

e il XVIII secolo, in G. COPPOLA (a cura di), Agricoltura e aziende agrarie nell’Ita-

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LA GESTIONE DELL’OSPEDALE

lia centro-settentrionale (secoli XVI-XIX), Milano, Franco Angeli, 1983, pp. 220-245; G.B. RAVENNI, I libri dei morti dell’ospedale di Santa Maria Nuova di Firenzecome fonti per lo studio dellla mobilità durante le crisi di sussistenza in La popola-zione italiana nel Settecento, Bologna, Clueb, 1980, p. 516.

37 Cfr., G. PAMPALONI (a cura di), Lo spedale di S. Maria Nuova e la costru-zione del loggiato di Bernardo Buontalenti ora completata dalla Cassa di Rispar-mio di Firenze, introduzione di Ugo Procacci, Firenze, Editrice Giuntina, 1961,pp. 12-13.

38 Cfr., L. CIUCCETTI, Lo spedale di Santa Maria Nuova, cit., p. 28.39 A.S.F., OSMN, f. 7, c. 6v.40 Ibidem, c. 7.41 Ibidem.42 Cfr., L.SANDRI, L’attività di banco deposito dell’Ospedale degli Innocenti di

Firenze. Don Vincenzo Borghini e la ‘bancarotta’ del 1579, in A. PASTORE, M.GARBELLOTTI (a cura di), L’uso del denaro. Patrimoni e amministrazione nei luoghipii e negli enti ecclesiastici in Italia (secoli XV-XVIII), Bologna, Il Mulino, 2001,pp. 153-178.

43 A.S.F., OSMN, f. 588, cc. 1-100.44 Per Isidoro da Montauto e la famiglia dei Montauto, per i quali fu dipinta

da Alessandro Allori, una cappella nella basilica della SS.ma Annunziata, e per levicende che si intrecciarono con i nostri personaggi (Isidoro da Montauto e Vin-cenzo Borghini) e altre personalità del mondo culturale-artistico del tempo(Vasari), rimando al bel lavoro di E. PILLIOD, Pontormo, Bronzino, Allori. AGenealogy of florentine Art, Yale University Press. New Haven - London, 2001.

45 Cfr., per questo, E. PILLIOD, Pontormo, Bronzino, Allori, cit., p. 176 e labibliografia da lei citata.

46 Cfr., ancora E. PILLIOD, Pontormo, Bronzino, Allori, cit., p. 176.47 A.S.F., OSMN, f. 588, 7, cc. 7-8.48 Ibidem, c. 131.49 Ibidem.50 Ibidem.51 Cfr., A. LORENZONI, Carteggio artistico inedito di D. Vincenzo Borghini,

Firenze, Succ. B. Seeber edit., 1912, p. 274.52 Cfr., a questo proposito, L. PASSERINI, Storia degli stabilimenti, cit., p. 308,

che parla anche di una relazione richiesta da Cosimo I al Borghini nel 1546, pro-prio gli anni in questione, sul medesimo regolamento dell’ospedale, da inviare aFerdinado d’Austria, cfr., il mio Ospedali e assistenza, cit., p. 610.

53 A.O.I.Fi., s. 62, 17, dove compare il regolamento per le “fanciulle” degliInnocenti e ibidem, s. 144, V, dove compaiono note di mano del Borghini per lacompilazione di “regole” per l’ospedale di San Paolo, per il conservatorio delleConvertite e la riforma della clausura in genere.

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LUCIA SANDRI

54 E. FERRETTI, Il Palazzo di Cerreto, in E. FERRETTI, G. MICHELI, Il palazzodi Cosimo I a Cerreto Guidi: la villa medicea dalla fabbrica di Davitte Fortini allacorte di Isabella, introduzione di A. Prosperi e G.C. Romby, Vinci, Museo IdealeLeonardo da Vinci, Polistampa, 1998, p. 104.

55 E. FERRETTI, Il Palazzo di Cerreto, cit., p. 10456 A.S.F., OSMN, f. 5733, c. 1.57 Cfr., L. SANDRI, Ospedali e utenti dell’assistenza nella Firenze, cit., pp. 62-100. 58 A.S.F., OSMN, f. 5733, c. 4.59 Ibidem, c. 2.60 All’ospedale di San Giovanni di Dio in Borgognissanti, erano in uso già tra

XVI e XVII secolo tavolette floreali, rappresentanti cioè erbe e fiori curativi, daposizionare accanto ai letti degli infermi.

61 A.S.F., OSMN, f. 5733, c. 2.62 Ibidem, c. 61v.63 Ibidem,c. 40.64 Ibidem,c. 36v.65 Ibidem,c. 85.66 Ibidem, f. 47, c. 4267 O. NALDINI, L’assistenza spirituale nell’ospedale di S. Maria Nuova, in

Santa Maria Nuova in Firenze. Memorie, testimonianze, prospettive dell’istituzioneper la cultura dell’Arte, VII centenario della fondazione dell’ospedale. Atti dellegiornate celebrative, Firenze 1991, p. 168.

68 A.O.I.Fi., 62, n. 23.69 A.S.F., OSMN, f. 2, c. 170 A.O.I.Fi., 62, n. 8171 R.A. GOLDTHWAITE, W.R. REARICK, Michelozzo and the Ospedale di

S. Paolo, cit..72 S. ARDINGHI, Significato storico e patrimoniale, in Santa Maria Nuova in

Firenze. Memorie, testimonianze, prospettive, cit., p. 54.73 E. FERRETTI, G. MICHELI, Il palazzo di Cosimo I a Cerreto, cit., p. 8.

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LA GESTIONE DELL’OSPEDALE