a come amici no. 26

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Semestrale d’informazione arte e cultura dell’Associazione Dare promosso dalla Fondazione Leo Amici 7 OTTOBRE XXVII edizione Giornata della Solidarietà OMELIE Mons. Mario Russotto N. 26 come AMICI 16 Aprile 2013 INCONTRI DI SPIRITUALITÀ Don Vittorio Peri RIFLESSIONI IN PREPARAZIONE ALLA QUARESIMA E ALLA S.PASQUA Padre Vittorio Viola BENVENUTO PAPA FRANCESCO L’affetto e le emozioni dei ragazzi I GIOVANI E L’APPARTENENZA ALLA CHIESA Campo formativo a Manfredonia relatore Carlo Tedeschi

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Semestrale d’informazione arte e cultura dell ’Associazione Dare promosso dalla Fondazione Leo Amici

7 OTTOBREXXVII edizione

Giornata della Solidarietà

OMELIEMons. Mario Russotto

N. 26

comeAMICI

16 Aprile 2013

INCONTRI DI SPIRITUALITÀDon Vittorio Peri

RIFLESSIONI IN PREPARAZIONE ALLA QUARESIMA E ALLA S.PASQUA

Padre Vittorio Viola

BENVENUTO PAPA FRANCESCO L’affetto e le emozioni dei ragazzi

I GIOVANI E L’APPARTENENZA ALLA CHIESACampo formativo a Manfredonia

relatore Carlo Tedeschi

2

gg mmmmm

4 PRESENTAZIONE

12 MARZO 2012 12 Incontri di Spiritualità “Alzati, ascolta, mangia”

15 Conclusione della Missione Biblica a Caltanissetta

17 APRILE 2012 17 Incontri di Spiritualità “La Pasqua”

21 “Patto di luce” - Un messaggio d’amore per tutti!

22 MAGGIO 2012 Incontri di Spiritualità “La figura di Maria”

25 GIUGNO 2012 “Chiara di Dio” - Basilica di Sant’Antonio (Padova)

26 AGOSTO 2012 Campo formativo “I giovani e l’appartenenza alla Chiesa” relatore Carlo Tedeschi

40 SETTEMBRE 2012 40 Incontri di Spiritualità “Il tempo che siamo”

43 Buon compleanno... Andrea Bocelli

44 OTTOBRE 2012 44 7 ottobre - XXVII Edizione della Giornata della Solidarietà

62 PAROLA E SILENZIO - di S.E. Mons. Russotto

67 MALATTIA E FEDE - di S.E. Mons. Russotto

69 700 giovani a San Gabriele

Celebrazione dell’anno della Fede a San Gabriele

70 NOVEMBRE 2012 70 Cresce il seme di... Bagheria

71 Inizia il cammino del nuovo ufficio di Pastorale giovanile di Caltanissetta

72 Cresce il seme di... Casa Betania

74 Anno della Fede: Parola ai giovani studenti

75 La natività si fa musical

76 Una speranza per la demenza e l’alzheimer - conferenza del Dott. Samorindo Peci

78 DICEMBRE 2012 78 Natale in Musica.. al Piccolo Paese fuori dal Mondo

80 Natale in Musica.. per un “Progetto d’Amore”comeAMICI

Semestraled’informazione arte e cultura

Unione Stampa Periodica Italiana

www.acomeamici.it

Editore e Redazione: Associazione DareVia Enrico Mattei 6/8 - 61010 Sassofeltrio (PU)

Direttore responsabile: Rosanna Tomassini

Direzione:Maihri Arcangeli - Carmen Cariddi Rita Cataldo - Anna De Persio Vincenzo Lombardo Ciro Mennella - Stefano NataleVincenzo Occhipinti - Costantino Paganelli - Sauro Vitali

Redazione:

Alessandra Maria Antonelli Nicole Bella!oreAlessandra De MattiaAntonella Di Muoio Francesco TroiloGiacomo Zatti dall’Estero:Ralph Flum (Amburgo)Sven Skinner (Lugano)

Stampa:Ramberti Arti Gra!che - Rimini!nito di stampare il 15 aprile 2013

Autorizzazione n° 21 del 25 Settembre 2000 Tribunale di Rimini

Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione n. 17577

Copyright © 2012 by Associazione Dare.Riproduzione vietata. Tutti i diritti riservati.

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Per contribuzioni: versamento su c/c postale n. 41167917codice IBAN IT66H0760113200000041167917intestato ad Associazione Darevia Resistenza n.1 47833 Morciano di Romagna (Rn)

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SOMMARIO

IL DIRETTORE

di Rosanna Tomassini

81 Natale in... Piazza San Pietro

“Notte di Natale 1223” al Lyrick Theatre

82 Presepe vivente a Mattinata

83 Rassegna stampa “Notte di Natale 1223”

Capodanno ad Assisi

84 Testimonianza a conclusione dell’anno 2012 al Lago di Monte Colombo

84 GENNAIO 2013 84 50 anni dal Concilio Vaticano II

85 Un omaggio a Don Ivo Meini

87 “I mille sì di Maria” - Pianello (PG)

88 FEBBRAIO 2013 88 “I mille sì di Maria” - Bastia Umbra (PG)

90 Rassegna stampa Chiara di Dio

92 “Chiara di Dio”.. in Slow Tour

93 MARZO 2013 93 Storie vere che fanno bene

94 GDG a Pozzuoli

Diritti umani... lezione a teatro!

Via Crucis

95 Benvenuto Papa Francesco

98 HANNO DETTO...

107 LETTERE E TESTIMONIANZE

Benvenuto Papa Francesco!  Mi permetto di interpretare anche il sentimento di tutti quelli che hanno scritto su questo giornale. Benvenuto Papa Francesco, dal cuore! E quanto la sua forza comunicativa sia prorompente è testimoniata da come i giovani l’hanno accolto: anche tanti ragazzi dell’Associazione Dare hanno voluto dare il loro saluto al nuovo Ponte!ce. Alcune di queste dichiarazioni  le abbiamo riportate all’interno del nostro periodico. Inoltre la scelta del nome di Francesco ha fatto sì che Sua Santità sia subito divenuto “vicino” ad ognuno di noi, a tutti noi che nelle !gure di Francesco e Chiara abbiamo letto un grande esempio per la nostra vita. La dimostrazione di umiltà e sensibilità, apertura e condivisione per gli ultimi che Papa Francesco ha dato è un grande invito per tutti, un’esortazione a vivere il Vangelo nella semplicità e nell’accoglienza agli altri.È lo stesso spirito che anima il nostro giornale nel quale troverete un diario di quanto accaduto negli ultimi mesi, dagli incontri di evangelizzazione alle riunioni per comprendere meglio la Parola di Dio.

26CAMPO FORMATIVO A MANFREDONIA

94VIA CRUCIS

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MARZO 2012

Si inizia con la lettura di una pagina del profeta Ezechiele: «Mi disse: “Figlio d’uomo alzati ti voglio parlare”, mentre Egli parlava, venne a me uno spirito che mi fece alzare in piedi e io ascoltai colui che mi parlava. Egli mi disse: “Figlio d’uomo, io ti mando alla casa d’Israele da una gente

ribelle che si è rivoltata contro di me essi e i loro padri si sono rivoltati contro di me fino a questo momento. Sono figli dalla faccia insolente e dal cuore duro quelli ai quali ti mando. Tu dirai loro: così dice Dio, mio Signore: magari ascoltas-sero e la smettessero ma sono una casa ribelle però dovranno riconoscere che c’è un profeta in mezzo a loro e tu figlio d’uomo non aver paura di loro, delle loro parole, ti saranno ostili, saranno come spine siederai come su scorpioni ma non abbatterti di fronte a loro perché sono una casa ribelle. Riferirai loro le mie parole, magari ascoltassero e la smet-tessero, ma sono una casa ribelle; tu figlio d’uomo ascolta ciò che ti dirò e non essere ribelle come questa casa ribelle, apri la bocca e mangia quello che ti do.” Ed ecco vidi una mano tesa verso di me che teneva un rotolo scritto, lo stese dinanzi a me, era scritto all’interno e all’esterno e vi erano scritte lamentazioni, gemiti e guai.“Ezechiele sentinella d’Israele”, mi disse “figlio d’uomo, mangia ciò che stai vedendo: mangia questo rotolo, poi va e parla alla casa d’Israele.” Io aprii la bocca e mangiai quel rotolo. Poi Egli mi disse: “Figlio d’uomo nutri il ventre e sazia le viscere con questo rotolo che ti do.” Io lo mangiai e fu per la prima volta dolce come il miele, poi mi disse: “Figlio d’uomo va alla casa d’Israele e riferisci ad essi la mia parola. Non sei inviato a un popolo dal linguaggio oscuro e dalla lingua ostica, ma alla casa d’Israele. Neppure sei inviato a popoli numerosi dal linguaggio oscuro e dalla lingua ostica di cui non capisci le parole eppure se ti inviassi a loro ti ascolterebbero, ma la casa d’Israele non vorrà ascoltarti perché non vogliono ascoltare me. Infatti tutti quelli della casa d’Israele sono di faccia dura e di cuore insolente, ma ecco io rendo la tua faccia dura quanto la loro e la tua fronte quanto la loro fronte. Come un diamante è più duro della roccia io ho reso la tua fronte. Non temerli e non abbatterti di fronte a loro perché sono una casa ribelle.” Poi mi disse: “Figlio d’uomo ogni parola che ti dirò accoglila nel tuo cuore e ascoltala bene. Orsù va dagli esuli, dai tuoi connazionali e parla loro. Dirai: così dice Dio mio Signore: magari ascoltassero e la smettessero”.

“Ezechiele è uno dei quat-tro grandi profeti dell’An-tico Testamento, con Isaia, Geremia e Daniele. Ora, per comprendere bene questo racconto c’è da fare un’an-notazione di carattere sto-rico. Sei secoli prima di Cri-sto, più precisamente nel 597 a.C., accadde che la Pa-lestina, la terra del popolo d’Israele, fu invasa dall’eser-cito babilonese. Il generale Nabucodonosor occupò la Palestina, cinse d’assedio la città di Gerusalemme, di-strusse il tempio costruito da Salomone, cominciò il

TEATRO LEO AMICILAGO DI MONTECOLOMBO

INCONTRI DI SPIRITUALITÀa cura di Mons. Vittorio Peri, Vicario episcopale per la cultura Curia di Assisi

Alzati, Ascolta, Mangia

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MARZO 2012

grande esilio durato dal 597 al 537 a.C. I deportati ave-vano perso ogni speranza di tornare. Erano oppressi e diventati schiavi in Babilonia, come lo erano stati mol-to tempo prima in Egitto. Nel corso di questi cinquanta anni sorse in mezzo al popolo d’Israele, per volontà di Dio il profeta Ezechie-le con il mandato di dare speranza al popolo d’Israele: quella della liberazione.

1. ALZATI!

Il brano comincia con l’espressione ‘’mi disse’’. È dun-que Dio che vuole parlare a Ezechiele.Ogni parola ha pertanto un significato, è un nutrimen-to per la nostra vita. Il Signore che parlava ad Ezechie-le, questa sera è qui, a teatro, e parla a noi. Rivolge ad ognuno di noi parole che devono entrare nel cuore, perché la sua parola è sempre contemporanea. Dio parla sempre al presente. È il Dio del passato, certo, ma sopratutto è del presente oltre che del futuro. Io vi pregherei di avvertire la presenza del Signore che è in mezzo a noi. Non è una fantasia, ma una realtà che attraverso questa pagina della Bibbia ci parla. Qui si parla di un rotolo, poiché i libri o codici a quel tempo non esistevano. Qual è il primo invito che Ezechiele ri-ceve dal Signore? È alzati! Questo comando il Signo-re lo ripete continuamente nei Vangeli. Egli non dice mai a nessuno ‘Resta seduto’. Nel Vangelo è sempre descritto come una persona che cammina e incontra altre persone. E queste sono sempre ferme, talvolta se-dute. Gesù dice “Alzati”. È chiaro che Gesù non intende a scuotere fisicamente, ci dice: ‘Svegliati tu che dor-mi! Tu che sei stanco e sfiduciato. Riprendi coraggio, riprendi il tuo cammino.’ Un celebre invito ad alzarsi è nel Vangelo secondo Matteo. Questi svolgeva la professione di esattore delle imposte. Gesù passa, lo vede seduto al banco delle imposte e gli dice: “Alzati”. E lui lascia tutto quello che aveva sul banco per segui-re Gesù. Se questa sera il Signore dicesse anche a noi: Alzati! Vieni: lo faremmo? Tutti dobbiamo metterci in cammino. Siamo talvolta stanchi, sfiduciati, come per-sone che hanno perduto la gioia di vivere. “Alzati” vuol dire “vivi, sii libero, vola! Abbi dei pensieri alti, non ti appiattire sulla terra, non ti scoraggiare”. Il Signore ci rivolge questo invito, anche qui, in questo momento. E voi siete qui proprio per riprendere con più vigore il cammino della vita. Anzi, verso la vita, che è Cristo.C’ è poi l’espressione: “ti voglio parlare” e qui siamo nel

cuore del Vangelo, della fede cristiana. Vedete in tutte le religioni è la persona umana, l’uomo e la donna, che si rivolgono a Dio per chiedere, invocare, lodare. Nel Cristianesimo è il contrario: non è l’uomo o donna che parlano a Lui; è Lui che vuole parlare a noi. Non siamo noi che andiamo incontro a Lui, ma è Lui che ci vie-ne incontro, è venuto incontro a noi attraverso Cristo, verbo incarnato nel grembo di Maria di Nazareth ed è venuto incontro a noi.

2.ASCOLTA

C’è una richiesta di Dio registrata nel Deuteronomio, il quinto libro della Scrittura, al sesto capitolo: “Ascolta Israele, il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo, tu amerai il tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze”. Questo invito ‘Ascolta Israele’ è an-cora oggi ripetuta continuamente dagli ebrei davanti al Muro del Pianto. Il Signore che ci chiede l’ascolto, continuamente. Non parla ogni tanto, ma sempre. È come un innamorato che vuol parlare alla sua amata: cioè a ciascuno di noi. Papa Luciani, affermando che Dio è padre e madre, non ha detto nulla di nuovo per chi conosce la Bibbia. Ci ama con un amore totale, e come una mamma, un papà non si stancano di amare il figlio anche se ne combina di tutti i colori, così Egli ci rassicura, ci tende la mano.

3.MANGIA!

Nella seconda parte di questo episodio, c’è la chiama-ta che fa il Signore ad Ezechiele di parlare agli esuli in Babilonia. Scrive Ezechiele: Ecco vidi una mano tesa ver-so di me che teneva un rotolo scritto. Lo stese dinanzi a me, era scritto all’interno e all’esterno e vi erano scritte lamentazioni, gemiti e guai. Ora vorrei mettere in luce qualche aspetto, di questo gesto che il Signore fa di fronte ad Ezechiele. Dice una mano tesa verso di me, e non è un particolare insignifi-cante, ma ha un grande valore di carattere teologico-spirituale. E il valore è questo: la mano tesa non è da parte di Ezechiele nei confronti di Dio per chiedere qualcosa ma viceversa, è la mano di Dio verso l’uomo. In questo momento, in questo teatro, il Signore, tende la mano verso ciascuno di noi e ci dice: mangia quello che io ti do, mangia questo rotolo.

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MARZO 2012

È sempre il Signore che prende l’iniziativa: il suo brac-cio non è mai stanco, è sempre forte. Egli ci tende la mano e noi la mettiamo in tasca, rifiutando la comu-nione con Lui. Questo è il peccato. Il peccato non è solo quello che facciamo di male. É anche non fare il bene. È il rifiuto di Dio, è chiudere le finestre al Sole che vuole illuminarci. C’è una frase molto bella nel libro del profeta Geremia (al capi-tolo X) che, ricordando la sua vocazione, si rivolge al Signore così: “Quando le tue parole mi vennero incontro, io le divorai con avidità. La tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore”. Possiamo essere certi che non c’è gioia più profonda, più dura-tura, non c’è esperienza più affascinante che es-sere inondati da questa Parola che entra nel cuo-re, perché la Parola di Dio è Dio stesso. Ecco perché dovremmo ogni giorno ascoltare questa Parola, mangiarla. Andando avanti c’è una successione di verbi: mangia (ascolta), alzati, e parla. Accade spesso che prima si parla e poi si pensa: il testo che stiamo meditando ci insegna che noi dobbiamo impa-rare prima a pensare e riflettere, e poi parlare. Perché ogni parola deve essere soppesata, corrispondente ad una verità. E per noi cristiani la verità suprema è con-tenuta nella parola di Dio nella Bibbia.Ma una delle più grandi povertà è proprio l’ignoranza della Parola di Dio. E la parola nel nostro cuore produ-ce, crea sempre ciò che significa. Le nostre parole sono descrittive, oppure augurali: la Parola è invece sacra-mentale, rende concreto ciò che esprime, una medici-na che produce la guarigione interiore, dà la vita. Isaia ce lo fa capire con una immagine «Come la pioggia e la neve scendono dal cielo e non vi ritornano senza avere irrigato la terra, senza averla fecondata e fatta germo-

gliare, perché dia il seme al seminatore così sarà della mia parola». Il Signore ci assicura che la Parola non ritornerà a Lui senza effetto. La Sua Parola entra nel cuore come la pioggia entra nella terra, e la feconda. Anche se non la comprendiamo fino in fondo, illumina il cuore e la mente, dà luce e gioia. Vita vera. Dobbiamo avere fiducia e speranza, perché la Parola

dà forza e coraggio, quando siamo stanchi. Ci assicura che Dio è con noi e per noi, come dice San Paolo: “Si Deus nobiscum, qui contra nos?” Se Dio è con noi, chi mai potrà essere contro di noi? Noi siamo ricchi di spe-ranze (che spesso delu-dono) e poveri di spe-ranza (che non delude mai). Le speranze sono attese di piccole cose; la speranza è Cristo che non delude mai. È un messaggio di speranza quello che vorrei con-segnare a chi in que-sto momento si sente ferito nel cuore, nella mente, negli affetti, nella vita familiare, so-ciale, lavorativa. Il Si-gnore ci parla sempre e non delude mai. Al di fuori di questa certez-

za vivacchiamo, sopravviviamo: ma non viviamo. Non vi accontentate delle piccole cose, non date ascolto a chi vi dice che l’importante è avere soldi, successo, potere. Questi tradiscono la vostra esistenza, uccido-no la speranza, spengono il futuro. Fidatevi di chi vi dice: “Volate alto”. Irrobustite le radici e le ali. Radici sui valori autentici e ali per volare alto. Radici piantate su valori importanti, ali per decollare verso Dio. Queste ali sono la fede, la speranza, la carità.La carità. Chiudo con la speranza che anche questo in-contro possa lasciare in voi il desiderio di mettersi in cammino, di ascoltare e mangiare. Come fece il profe-ta Ezechiele.

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MARZO 2012

Palacarelli - Caltanissetta

Conclusione della Missione Biblica Diocesana “Dal Sogno al Senso”

Ciao a tutti, siete uno spettacolo magni!co! Siamo a dieci giorni dall’i-nizio della primavera, ma la vera primavera è già venuta oggi qui con voi! In molte scuole, insieme ai ragazzi della Compagnia di Francesco Miceli, c’erano i ragazzi della Casa del Ponte di Santa Caterina e di Casa Betania a Caltanissetta, cioè i giovani della Compagnia teatrale di Carlo Tedeschi. Nei giorni scorsi molti di voi hanno chiesto: «Ma chi è Carlo Tedeschi? Come facciamo noi ad incontrare un “Carlo Tedeschi” nella nostra vita?». Se ricordate, Giacomo vi ha spiegato che non è im-portante che si chiami così, perché nelle vostre strade potete incon-trare tante persone che vi possono aiutare a trovare l’orientamento

nella vita. Ma oggi ho voluto farvi un dono: ho invitato Carlo Tedeschi a parlare e a dialogare con voi prima della Celebrazione Eucaristica. E tutti avete avuto modo di capire che si può essere eccezionali pur nella ferialità della vita, perché chi ha incontrato Gesù, come Carlo, rimane con il volto e il corpo di prima, ma il cuore è cambiato e da esso si irradia una luce che rende luminoso ogni gesto, illuminata ogni parola, tras!gurata ogni azione…

Precetto Pasquale, 30 marzo 2012 - Mons. M. Russotto e Carlo Tedeschi parlano ai cinquemila studenti degli Istituti superiori di Caltanissetta. Si conclude così la Missione Biblica Dal Sogno al Senso con l’incontro delle

scolaresche assieme al gruppo giovani della Missione Biblica al Palazzetto dello Sport con l’esibizione sul palco di canzoni e danze.

NON ABBIATE PAURA!Omelia di Mons. M. Russotto, Vescovo di Caltanissetta

1. Voi pagina nuova

Carissimi ragazzi, nelle ultime settimane ho avuto oc-casione di incontrarvi nelle vostre scuole insieme con alcuni giovani che come voi hanno vissuto o vivono le inquietudini e gli interrogativi dell’esistenza. E voi, oggi, siete venuti qui tutti insieme da diversi paesi e scuole, a#nché voi ed io insieme ci lasciamo incontrare dal Signore. Durante la Missione Biblica Diocesana nelle scuole abbiamo avuto ben trentadue incontri. Questo è il trentatreesimo, tanti quanti sono gli anni della vita terrena di Gesù, e con esso portiamo a compimento questo percorso di incontri che ha lasciato nel vostro e nel mio cuore un segno indelebile. Ho accolto sulla mia spalla le lacrime di tanti di voi. Tutte le vostre an-sie, le vostre domande e i vostri sogni li ho deposti ogni giorno ai piedi di Gesù, fra le mani di Maria, Madre sua e nostra, la prima Donna alla quale Dio dice: «Rallegrati, gioisci!».

Duemila anni fa Dio ha scritto una nuova pagina di sto-ria, e ha voluto cominciare da due giovani innamorati: Maria e Giuseppe. Essi avevano i loro sogni e i loro ideali di vita. Il Signore è entrato nel loro amore e nella loro relazione; si è presentato a Maria come una Parola che viene dall’intimo dell’anima e a Giuseppe attraverso il

sogno. Quando Dio fa irruzione nella nostra vita, la sua presenza provoca gioia, seppur nell’inquietudine, nel timore e nel tremore. Ma Dio non viene a rubare nul-la di quello che noi siamo, viene piuttosto a restituirci l’immagine di Lui che noi siamo, viene a scrivere nel-la pergamena della nostra anima una pagina nuova di storia, un’avventura di vita. Dio non ha cominciato da coloro che detenevano il potere a Gerusalemme, non è partito dai sommi sacerdoti… ma inizia la sua nuova storia con noi da due cuori innamorati, da due giovani: Maria e Giuseppe.

2. Scommettere la vita

Oggi, carissimi giovani, Dio vuole ripartire da voi nella nostra Diocesi, nel nostro territorio e nella nostra socie-tà. Voi siete il "ore più bello di Dio in questa storia, Egli vuole ricominciare da voi! Nelle scuole ci sono state tante domande, tante osservazioni nei confronti della società e della Chiesa. Sì, è vero, troppo spesso noi preti, noi uomini di Chiesa, siamo stati lontani da voi, non vi abbiamo cercato, abbiamo solo parlato di voi, ma ab-biamo sempre avuto paura di parlare con voi. Ebbene, in questi trentatré incontri, la Chiesa di Caltanissetta - nella persona del Vescovo, dei sacerdoti, dei giovani che sono venuti con me, dei seminaristi che hanno detto sì

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MARZO 2012

Dio in questo momento è qui ed è accanto ad ognuno di voi. Dio è una persona, come noi. Se noi ci guar-dassimo profondamente l’un l’altro potremmo scoprire un’espressione del volto di Dio. Dio è persona, parla con noi e noi con lui. Se siete qui è perché voi credete che Dio esista. A chi tra di voi ancora avesse qualche dubbio chiedo di guardarsi nel profondo della propria anima, nel profondo di quell’invisibile che è dentro di lui e lì troverà Dio, come persona, che risponderà a tutte le sue domande. La fede è qualcosa di grandissimo, è dono, è il dono della Sua risposta, quando lo cerchiamo. Siccome è persona, quando noi bussiamo alla Sua porta, Lui risponde, apre la porta, si fa conoscere... Questo è il Suo dono: ci riceve nella Sua casa. Oggi questa è la Sua casa, questa è la Sua Chiesa. La ricerca, però, è compito vostro, voi dovete cercare Dio, Lui risponderà ad ognuno di voi. Dunque se Lui c’è, se Dio è persona, ognuno di noi cosa deve fare? Dob-biamo diventare santi! Cosa signi!ca? Essere santi signi!ca essere uomini e donne veri! Il mondo è vostro, il futuro è vostro e se voi siete veri oggi, perché avete toccato con mano Dio, signi!ca che il mondo domani cambierà, che sarà migliore. Cosa signi!ca essere veri? Signi!ca scartare il male. Il mondo è pieno di male, voi lo sapete bene. Scartatelo, scegliete il bene e i doni che sono dentro di voi, che sono il modello di Dio: ognuno di noi è fatto a Sua imma-gine e somiglianza, e dentro di noi c’è la bontà, la sincerità, la lealtà, la volontà, l’intelligenza: tutti doni che dobbiamo sviluppare. Quando, invece, si a$acciano l’egoismo, l’ira, il nervoso: so$ochiamoli! Quello è il male che attanaglia il mondo, è il male che seguono gli adulti, che non sono più giovani, che si sono rassegnati. Dio è persona, Dio è dentro di voi! Facciamoci santi, perché santi signi!ca essere uomini e donne veri.

Carlo Tedeschi

a Dio o$rendo a Lui per voi la loro vita - noi abbiamo parlato con voi, ci siamo posti in ascolto del vostro cuore, abbiamo accolto le vostre inquietudini e i vostri smar-rimenti. Non abbiamo ricette sicure per trovare il senso della vita o per garantirvi un futuro, ma possiamo darvi quello che noi abbiamo trovato: una Persona: Gesù!

Lui è il senso della nostra vita! Perché ci comprende, si è fatto uomo, ha preso i nostri smarrimenti, ha capito cosa vuol dire non avere futuro, essere perseguitato a morte, emigrare in una nazione straniera… Lui ha per-corso villaggi e città, ha camminato per tante strade, ha abbracciato le prostitute e i peccatori, è entrato nelle loro case e nei loro cuori, si è fatto lavare i piedi con le lacrime da una prostituta, ha permesso a Maria di Mag-dala di abbracciarlo quando è risorto dai morti… Per-ché niente può incatenare l’amore! Neanche la morte!

Adesso Gesù vuole entrare nei sentieri del vostro cuore. Non abbiate paura! Aprite la porta a Cristo Gesù! È Lui il senso della vostra vita e viene a restituirvi libertà e gioia di vivere! Non tiratevi indietro se vi domanda impegni alti, se vi chiede di scommettere sul serio la vostra vita. Dio vuole sognare insieme a voi! Gesù è il più grande sognatore della storia e vuole cominciare oggi da voi! Noi, Chiesa di Caltanissetta, vogliamo cominciare da voi giovani!

3. Dire sì all’amore

Questo incontro non è solo la conclusione di quelli che abbiamo fatto nelle scuole, non è un punto d’arrivo, ma un punto di ripartenza e un segno di speranza. Voi

giovani siete il sorriso di Dio nella nostra storia! Voi sie-te l’abbraccio di gioia di Dio per noi che spesso siamo vecchi nel cuore. Noi Vescovi e preti abbiamo bisogno di voi, carissimi giovani! Come voi avete bisogno di noi, non perché siamo più bravi e neanche perché siamo più grandi di età. Avete bisogno di noi perché, pur nelle nostre fragilità e debolezze, Dio si consegna alle nostre labbra, scende nella culla delle nostre mani per esse-re Corpo vivo per voi, perché voi possiate diventare altri Lui, altri Gesù, perché - come vi ho scritto nel mio mes-saggio - se sogniamo insieme, il sogno diventerà realtà!

Questa oggi è la più bella di tutte le chiese del mon-do, anche di S. Pietro, e non perché c’è il Vescovo o i sacerdoti, ma perché ci siete voi! Questa è la nostra cat-tedrale e Gesù è qui, lo sentiamo presente e scende-rà nell’Eucaristia, perché non vuole mangiare la vostra carne o i vostri sogni, ma vuole consegnarsi come pane vivo per la nostra fame di felicità, perché noi abbiamo fame e sete di amore vero. Gesù non tradisce l’amore, non tradisce la sua amicizia per noi, per questo a noi si consegna, a ciascuno di noi!

Non abbiate paura, accostatevi all’Eucarestia! Gesù non viene a condannarvi, a Lui non importano i nostri pec-cati, per Lui voi siete importanti così come siete. Facciamo festa a Gesù! Facciamo festa all’amore che trionfa sulle nostre solitudini e, sgorgando dal nostro cuore, irradia il mondo ormai immerso nella tristezza. Abbiamo il co-raggio di dire sì all’amore! Abbiate il coraggio di dire sì a Dio! Lui l’ha detto !no alla morte di croce, ha detto sì a ciascuno di noi. Solo in Lui troverete il coraggio di dire sì alla vita!

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APRILE 2012

TEATRO LEO AMICILAGO DI MONTECOLOMBO

INCONTRI DI SPIRITUALITÀa cura di Mons. Vittorio Peri, Vicario episcopale per la cultura Curia di Assisi

La Pasqua

LA PASQUA DEI NOMADI

Siamo nel tempo di Pasqua, io vorrei restare in tema tornando indietro di secoli, perché la Pa-squa cristiana non è altro che il punto termina-

le di una serie di “pasque” che si sono susseguite nella storia. Per capire bene la Pasqua di Gesù è dunque ne-cessario ricordare che i nostri antichissimi progenitori erano nomadi, persone non stanziali, ma sempre in cammino. I pascoli e le pecore erano la prima fonte di sostentamento. A primavera i pastori portavano il gregge in cerca di pascoli nuovi. Durante questo passaggio, detto la tran-sumanza, accadeva che il gregge veniva colpito da epidemie ritenute conseguenza di qualche spirito ma-ligno, nemico del gregge e dei proprietari. Lo spirito della morte poteva essere allontanato soltanto attra-verso l’ elemento che assicura la vita, cioè il sangue. Il sangue per gli antichi era il simbolo della vita: avere sangue nelle arterie signi!ca avere la vita; perdere san-gue signi!ca morire. C’era dunque un solo modo per allontanare questi spiriti della morte: il rito propiziatorio dell’uccisione di un agnello maschio (la vita, secondo gli antichi, veniva dal maschio, di un anno, robusto, il cui sangue veni-va sparso sui paletti delle tende dei nomadi. Lo spirito del male, vedendo il simbolo della vita, passava oltre, compiendo un salto un passaggio (pesah).) La traslit-terazione di questa parola aramaica pesah è Pasqua. Pasqua: un passaggio da una situazione ad un’altra. Lo spirito maligno di fronte al sangue dell’agnello fa-ceva un salto, e il gregge era salvo. Come è chiamato Gesù nella Bibbia? Agnello. Come il sangue dell’agnel-lo allontanava il Male, così Cristo: il Suo sangue versato sulla croce è fonte della nostra salvezza. Quando Gio-vanni il Battista vede passare Gesù dice ai suoi disce-poli: ecco l’Agnello di Dio.

LA PASQUA DEGLI AGRICOLTORIQuesta è la prima Pasqua del mondo pre-israelitico.I nomadi diventarono gradualmente sedentari, perché trovano un luogo dove fermarsi e invece di fare la pa-storizia, si dedicavano all’agricoltura.

La coltivazione più di$usa era quella del grano. Aven-do una forte concezione religiosa, essi ritenevano che i greggi e i frutti della terra fossero un dono di Dio. Vo-lendo quindi rendere grazie al Signore per il raccolto abbondante si coglievano nei campi le prime spighe di grano, sfarinavano i chicchi, facevano della farina, impastavano con l’acqua, cuocevano le piadine su pie-tre arroventate e le mangiavano in onore del Signore. Attenzione: la pasta non era lievitata perché il lievito nei campi non c’era. Questo era il rito degli azzimi, (a-zumè, ‘senza lievito’). Ecco che nello stesso periodo primaverile con%uivano due distinti riti: il primo rito, l’o$erta dell’agnello immolato; il secondo, quello degli “azzimi”. Questa parola è molto importante nella letteratura cristiana. San Paolo, scrivendo ai Corinzi raccomanda: «Togliete via da voi il lievito vecchio per essere pasta nuo-va, poiché voi siete azzimi». Egli quali!ca i cristiani con il termine azzimi, perché sono nuovi (il lievito è una cosa vecchia), non contaminati, puri, nel cuore e nel com-portamento. Questi due primi riti, nel mondo ebraico, venivano celebrati nello stesso tempo, come si legge in questo brano tratto dal secondo libro della Scrittura: l’Esodo.

LA PASQUA DEGLI EBREIIl Signore disse a Mosè e ad Aronne nel paese d’Egitto: «Questo mese per voi sarà l’inizio dei mesi, per voi sarà il primo mese dell’anno; parlate a tutta la comunità d’Isra-ele dicendo: il 10 di questo mese ognuno prenda per sé un agnello per famiglia, un agnello per casa. Se la famiglia è poco numerosa per consumare un agnello, si assocerà a chi abita più vicino alla propria casa, secondo il nume-ro delle persone. Calcolerete la quantità di agnello che ognuno può mangiare. Sarà un agnello integro, maschio, di un anno e lo prenderete tra le pecore o tra le capre, lo conserverete presso di voi "no al quattordicesimo giorno di questo mese e tutta l’assemblea della comunità d’Isra-ele lo sgozzerà al tramonto. Prenderà poi del sangue e lo metterà su i due stipiti e sull’architrave di quelle case dove lo si mangerà. In questa mangerà la carne arrostita al fuoco, mangerà azzimi con erbe amare. Non mangia-

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tene però cruda o bollita nell’acqua, ma solo arrostita al fuoco, con la testa, le zampe e gli intestini. Non ne farete avanzare per il mattino e quello che sarà rimasto al mat-tino lo brucerete nel fuoco. Così lo mangerete: i "anchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, lo mangerete in fretta. È la Pasqua del Signore. In quella notte attraver-serò il paese d’Egitto e colpirò ogni primogenito in terra d’Egitto, dall’uomo alla bestia e farò giustizia di tutti gli dèi d’Egitto, io il Signore. Il sangue sarà per voi un segno sulle case nelle quali siete, vedrò il sangue e vi oltrepas-serò e non ci sarà per voi #agello di distruzione quando colpirò il paese d’Egitto. Quel giorno sarà per voi un gior-no memoriale e lo festeggerete come festa del Signore di generazione in generazione, lo festeggerete come rito perenne».

Questo brano è di straordinario valore storico e teolo-gico per comprendere la Pasqua cristiana. Siamo in Egitto, intorno al 1250 a.C., gli Ebrei sono op-pressi dai faraoni e chiedono al Signore di essere libe-rati. Il Signore manda Mosè a liberare il popolo d’Isra-ele. E venne la liberazione, l’uscita. Questa uscita fu un passaggio, fu la pasqua del popolo ebraico e avvenne di primavera, in coincidenza con il rito dell’agnello e degli azzimi. Il Signore disse a Mosè e ad Aronne: “Que-sto mese, (primo mese dell’anno Abib o Nisan) parlate a tutta la comunità d’Israele dicendo : il 10 di questo mese ognuno prenda per sé un agnello per famiglia”. Se la fa-miglia è poco numerosa per consumare un agnello, si as-socerà a chi abita più vicino alla propria casa, secondo il numero delle persone”. Qui si rompe la catena dell’egoismo: bisogna fare co-munione. La Bibbia, e il Vangelo in particolare, inse-gnano a rompere il guscio che ci chiude e ci separa dagli altri. In concomitanza con questa cena avviene l’esodo, il passaggio degli Ebrei attraverso il Mar Rosso. In questo racconto i credenti ebrei, ancora oggi, trovano la loro identità. Ogni anno rinnovano questo rito. Potremmo dire: come la Celebrazione Eucaristica rappresenta il momento culminante della vita cristiana, per gli ebrei questa cena è il rito ove ritrovano la loro identità. Man-geranno l’agnello con azzimi e con erbe amare e ciò per ricordare l’amarezza dei quaranta anni di schiavitù passati in Egitto. E ancora «Non ne dovete far avanzare !no al matti-no; quello che sarà rimasto al mattino lo brucerete nel fuoco». Lasciare il cibo per il giorno dopo poteva signi-!care una mancanza di !ducia in Dio che provvede al cibo anche per gli uccelli del cielo, come dirà Gesù. «Lo mangerete con i !anchi cinti, i sandali ai piedi, il basto-ne in mano». Perché questi particolari? Perché bisogna mettersi in cammino.

Nel libro del Deuteronomio si legge che il Signore fa ri-cordare agli Ebrei ciò che era accaduto ai loro antenati, è il cosiddetto “Zekor” che in lingua ebraica signi!ca ‘memoria, ricordo’. Gli ebrei vagarono nel deserto del Sinai, per quarant’ anni; quaranta, un numero simbo-lico che indica un lunghissimo periodo, o meglio, una forte esperienza. Gesù digiunò per quaranta giorni. Il diluvio universale durò quaranta giorni. È da ricorda-re che i numeri biblici sono simbolici: qualitativi, non quantitativi. Come il Padre Nostro, preghiera perfetta è composto di sette parti Dice dunque Dio a Israele:«Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi qua-rant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova».Il Signore ci mette alla prova, talvolta anche con prove dure. Anche un allenatore mette alla prova un atleta, per forti!carlo. Mettere alla prova signi!ca mettere in di#coltà non per umiliare una persona, ma per far scaturire le sue qualità. Le di#coltà che incontriamo, le situazioni di#cili sono “grazie” che il Signore ci dà per forti!carci, per uscirne più robusti. Non ci induce in tentazione: la tentazione è la situazione in cui noi sia-mo tentati di distaccarci da Lui; e questo certamente il Signore non può farlo. La nuova traduzione del Padre Nostro è: «non abbandonarci nella tentazione».Continua il testo del Deuteronomio a proposito della prova: «Per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avessi o no osservato i suoi comandi». Noi talvolta siamo messi nella prova per scoprire ciò che c’è dentro di noi: se c’è davvero la fede autentica o una fede super!ciale. La prova è mandata anche per irrobustire la fede. Se di fronte alle di#coltà diciamo che Dio ci ha abbandonato, vuol dire che forse non ab-biamo mai avuto una fede autentica. La fede è !darsi di Dio. Anche quando non si capisce ciò che ci accade.E ancora: «Per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore». Queste parole ver-ranno pronunciate da Gesù, tentato nel deserto. «Il tuo vestito non ti si è logorato ad-dosso, (il Signore è come un mantello: ci ripara dal freddo e dalle intemperie) il tuo pie-de non si è gon"ato durante questi quarant’anni (il Signore è per noi come un sandalo. È provvidenza).»

Ritorniamo ora al racconto

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del “Seder”, la cena ebraica dell’esodo.«...Lo mangerete in fretta». Perché in fretta? Perché quel-la notte è la Pasqua del Signore, il Suo passaggio nel paese d’Egitto. Dio interviene con dei segni molto forti nei confronti del popolo egizio che aveva per quattro-cento anni sfruttato gli ebrei: «In quella notte attraver-serò il paese d’Egitto e colpirò ogni primogenito in terra d’Egitto, dall’uomo alla bestia e farò giustizia di tutti gli dei d’Egitto. Io sono il Signore». «Quel giorno sarà per voi un giorno memoriale». Cos’è un memoriale? La parola esprime molto più che la parola memoria. La memoria non è altro che il ricordo di un evento passato. Quando noi celebriamo l’Eucarestia facciamo forse un semplice ricordo? La stessa cosa? No, facciamo un memoriale perché riviviamo un av-venimento passato, lo rendiamo presente, lo attualiz-ziamo. Il ricordo è un movimento che dal presente va verso il passato che resta tale. Non si rivive, lo si ricorda soltanto. Il memoriale è invece il movimento inverso: quell’evento passato si rende presente hic et nunc, ‘qui e adesso’. Quando noi celebriamo la Pasqua quell’e-vento rivive nella nostra stessa vita, viene attualizzato, innestato nel tempo presente. Gli Ebrei ricordano ancora l’Esodo come l’evento cen-trale della loro storia. Secondo il comando del Signore: «Quando sarete en-trati nel paese che il Signore vi darà, osserverete questo rito. Allora i vostri "gli vi diranno: cosa signi"ca quello che stiamo facendo? Voi direte loro: è il sacri"cio della Pasqua per il Signore, il quale è passato oltre le case degli israeliti, in Egitto, quando colpì l’Egitto e salvò le nostre case e noi attraversammo il Mar Rosso». Qui c’è la catechesi familiare. La casa deve essere il luo-go della catechesi, della trasmissione della fede.

...ALLA PASQUA DEL NUOVO TESTAMENTO L’ultima Pasqua di cui parleremo è la Pasqua cristiana. Leggiamo nel Vangelo secondo Luca: «Si avvicinava la festa degli azzimi, e i sommi sacerdoti e gli scribi cerca-vano di toglierlo di mezzo. Allora satana entrò in Giuda, detto Iscariota. Egli andò a discutere con i sommi sa-cerdoti del tempio, con i capi delle guardie, sul modo di consegnarlo nelle loro mani. Essi si rallegrarono e si ac-cordarono di dargli del denaro. Egli fu d’accordo e cerca-va l’occasione propizia per consegnarlo nelle loro mani. Venne il giorno degli Azzimi, nel quale si doveva immola-re la vittima della Pasqua. Gesù mandò Pietro e Giovanni dicendo - Andate a preparare per noi la Pasqua. Quan-do fu ora prese posto a tavola e disse - Ho desiderato ar-dentemente di mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione, poiché vi dico, non la mangerò più !nché non si compia nel regno di Dio, !nché non avverrà il regno di Dio dove ci ritroveremo di nuovo insieme. Prese un calice, rese grazie, poi prese un pane, rese grazie, lo spezzò, lo diede loro dicendo - Questo è il mio corpo che è dato per voi. Fate questo in memoria di me. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese il calice dicendo - Questo calice è la nuova alleanza nel mio san-gue versato per voi. Questa cena celebrata da Gesù con i dodici apostoli, non si svolse come tradizionalmente accadeva in tut-te le famiglie in quella stessa sera, ma in maniera del tutto diversa, in modo discontinuo. Ad un certo punto Gesù, prende il pane, rende grazie, lo dà a loro dicendo - Questo è il mio corpo che è dato per voi. C’è un’identi!cazione tra Gesù che parla e il pane che ha in mano. Quel pane in quel momento non è più, se non all’apparenza, un cibo quotidiano, ma è il segno

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della presenza vera di Cristo nel cuore degli apostoli che lo ricevono. Gesù si è consegnato ai carne!ci per la nostra salvezza, ha dato la sua vita a#nché noi potes-simo ricevere la vita. Fece sua la nostra morte perché noi potessimo fare nostra la sua vita. Fate questo in me-moria di me. In queste parole semplici c’è l’istituzione del sacramento dell’Eucarestia. Il calice è il segno della nuova alleanza tra Dio e l’umanità. Nella Pasqua antica il sangue dell’agnello costituiva la salvezza del gregge. Questa volta il sangue versato non è di un qualsiasi agnello, ma dell’Agnello. Ecco perché Gesù è chiamato Agnello di Dio, colui che versa il Suo sangue per la nostra salvezza. Mentre Gesù celebra la Pasqua ebraica (Seder), la trasforma, la tras!gura. Il rito tradizionale, diventa una cosa del tutto nuova. Questo pane e questo vino rendono veramente presente Gesù in mezzo a noi. La Pasqua cristiana è il passaggio di Gesù dalla morte alla vita senza !ne. Gesù muore per noi e risorge per noi e noi con Lui. Come per gli ebrei il passaggio del Mar Rosso era l’ evento fondamentale della loro storia, per noi cristiani lo è la Pasqua del Signore. Con Cristo siamo già risorti. Il dono della vita nuova è già entra-to nella nostra vita, o meglio ancora, noi siamo entrati nell’orizzonte della vita eterna. Ci siamo già entrati an-che se non ancora in maniera piena. Dobbiamo infatti percorrere ancora un pezzo di stra-da su questa Terra, ci troviamo nel tempo cronologico, ma noi siamo in attesa dell’eskaton. Di una realtà che avverrà. Noi non dobbiamo restare attaccati, come l’e-dera alla pianta, al tempo che passa. Certamente dob-biamo viverlo intensamente, ma con gli occhi orientati sul “tempo” che non passerà mai. La resurrezione del Signore è qualcosa di nuovo. Laz-zaro ritornerà alla vita di prima, per morire ancora: un uomo morto due volte. Gesù, con la sua resurrezione, inaugurò i tempi nuovi, entrò nella vita de!nitiva dove la morte è per sempre cancellata. La Resurrezione non è una reincarnazione come a$erma qualche religio-ne non cristiana. Dopo la morte, l’anima si incarna di nuovo in un altro essere vivente. Per il Vangelo la vita cronologica è una soltanto, e si conclude con il nostro passaggio alla vita eterna. Ad Assisi la sera del 3 ottobre si celebra il transito di San Francesco, cioè la morte di San Francesco. Chiamiamo transito la sua morte perché meglio esprime la Pasqua cristiana, che è un esodo, un transito. Dire “morte” si-gni!ca vita !nita. Per noi cristiani invece la morte non chiude, ma apre, tanto che Francesco quali!ca la mor-te con un termine assolutamente inedito, nuovo, nel Cantico delle Creature è detta “sorella”: Laudato sii mi Si-gnore per sora nostra morte corporale. Perché la morte non è l’ultimo capitolo della storia umana, ma il penul-timo; non è l’ultima parola ma la penultima. L’ultima è la resurrezione. Morendo all’età di quarantacinque

anni, e vedendo i suoi frati piangenti, li invita a canta-re. Devono cantare perché lui sta entrando nel giorno senza tramonto, nella vita che solo amore e luce ha per con"ne, come direbbe Dante.

Questa è la nostra Pasqua, la Pasqua di Cristo. Dirà San Paolo, Cristo è la nostra Pasqua, la nostra resurrezione. Quando celebriamo la Pasqua di Gesù dobbiamo dire: Anch’io risorgerò. Gesù dice: Chi crede in me ha la vita eterna. Ha già, non avrà con Lui e per Lui anche noi ri-sorgeremo. Chi lo considera fondamento e pietra an-golare della propria esistenza, chi lo sente come stella luminosa, come bussola che orienta il pellegrinaggio terreno, vivrà come Lui, per Lui. La vita è già dentro di noi, come un regalo. Dobbiamo vivere in coerenza con questo dono, comportarci se-condo la prima e unica legge della vita cristiana: l’A-more. L’ Amore verso Dio e verso gli altri. Se uno dice Tu mi piaci, è vero amore? Il centro del discorso sono io. Tu sei uno strumento. Di una macchina posso dire: mi piace. Ma una persona è ben più che una macchina! L’espressione mi piaci mette al centro l’io. L’amore che ci ha insegnato Gesù è: ti voglio bene, ti amo. Voglio il tuo, non il mio bene: tutto ciò che serve per farti crescere, tutto ciò che ti serve per realizzare la tua umanità. L’amore non è un sentimento passegge-ro, è un impegno duraturo, altruista e personale, non generico. Dio ama non al plurale, ma al singolare; ama uno per uno da sempre. Siamo dall’eternità nel cuore di Dio, come insegna il profeta Geremia: «Mi fu rivolta la Parola del Signore: ‘Prima di formarti nel grembo ma-terno ti conoscevo». Dio pensa a noi da quando è Dio cioè da sempre. Sia-mo oggetto da tutta l’eternità dell’amore di Dio. Se Dio da sempre ha pensato a noi, in qualche modo potrem-mo dire che siamo eterni come lui. E ha pensato a noi, a ciascuno, ancor prima, quando ancora i miei genitori nemmeno pensavano che potessi esistere. E ha pensa-to a me come io sono, mentre i genitori ci hanno dato la vita, ma senza conoscerci. Ecco perché la persona, ogni persona è importante. Ecco perché dobbiamo avere rispetto, amore, tenerez-za, attenzione, cura di noi e degli altri. Ogni attentato alla persona è un attentato contro Dio; ogni violenza contro una persona è una violenza contro Dio. Perché Dio si immedesima con la persona. La vita eterna è amare il Signore e amarLo negli altri.Allora, in questa prospettiva, la Pasqua non è soltanto un ricordo psicologico, ma un evento da sperimentare. Quella Resurrezione avvenuta duemila anni fa, conti-nua nell’ oggi. Cristo è risorto: anche noi ci sentiamo trascinati da questa forza vitale, che ci porta in alto.

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Da quasi tre anni in pianta stabile

Un messaggio d’amore.. per tutti!di Francesco T.

Gli alunni della scuola elemen-tare di S. Clemente (RN), dopo

la visione di Patto di luce, il musi-cal di Carlo Tedeschi, in uno dei mattiné che la Compagnia o$re alle scolaresche, si adopera per un collage di disegni inerenti la rappresentazione (vedi immagine sotto). Una vera e propria testimo-nianza! Non solo traspare l’innocenza e la tenerezza dei cuori puri dei bambini, ma emergono ben evidenti i mes-saggi che lo spettacolo tende a trasmettere attraverso una leggenda che colpisce tanto. A quanto pare i bam-bini rimangono a$ascinati, non solo dagli e$etti scenici, dalle musiche e dalla natura rappresentata, ma soprat-tutto dall’elevato contenuto tematico su cui esso si basa. Continua così la s!da di Patto di luce che resta in pianta stabile al Lago di Monte Colombo (RN) da circa 3 anni.. Non solo quale evento teatrale di alto valore etico e so-ciale, ma quale tenace testimonianza di pace e amore!

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Siamo in Maggio, mese particolarmente dedicato a Maria. Ri%etteremo su un episodio che riguarda la !gura di Maria. L’episodio è tratto dal Vangelo se-

condo Luca, che è il Vangelo che più di ogni altro riferisce episodi di Maria. Se noi non avessimo avuto il Vangelo di Luca, sapremmo pochissimo di Maria di Nazareth.

“In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabet-ta fu piena di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: ‘Bene-detta tu tra le donne, e benedetto il frutto del tuo grembo. A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Ecco: appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo. È Beata colei che ha creduto nell’adempimento delle parole del Signore’. Allora Maria disse: “L’anima mia magni"ca il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore. Perché ha guardato l’umiltà della sua serva, d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipo-tente e santo è il suo nome. Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio. Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ha ricolmato di beni gli a$amati, ha rimandato i ricchi a mani vuote”[…]

Questo brano contiene una grande ricchezza di messaggi di carattere teologico e spirituale. Potrei dire che ogni pa-rola dovrebbe essere attentamente messa a fuoco, ogni parola deve essere scavata, approfondita e meditata. Le pagine della Bibbia contengono perle preziose, gli anti-chi ebrei dicevano che ogni parola della Bibbia è come una perla che ha settanta facce. Settanta è un numero simbolico per dire un’in!nità di signi!cati. Una parola più si medita e più rivela luminescenze, messaggi e contenuti nuovi; non è mai su#cientemente scavata.Il racconto che precede questo brano è l’Annunciazione, quando l’Angelo Gabriele fu mandato da Dio in un pae-sino della Galilea, chiamato Nazareth dove c’era una gio-vanissima ragazza chiamata Miriam, Maria. Maria riceve il saluto dell’Angelo, lo Spirito Santo scende su di lei, rima-ne incinta per opera appunto dello Spirito Santo (questo grande intervento di Dio nella vita di Maria attraverso lo

Spirito Santo) e si mise in viaggio verso la montagna, ver-so la Giudea. Nella Giudea c’è una grande città, la capitale della Palestina, Gerusalemme. Vicino Gerusalemme c’è un paesino tra le montagne chiamato Ainkarim, il luogo dove Maria si dirige perché deve incontrare due perso-ne, parenti della sua famiglia. Il testo dice ‘si mise in viag-gio’, da quello che possiamo comprendere era da sola e ciò sorprende molto. Come è possibile che una ragazza si metta in viaggio da sola, giovanissima, per percorrere centoquaranta chilometri circa, da Nazareth per arrivare ad Ainkarim vicino Gerusalemme? Qui Luca vuole evi-denziare che Maria è una ragazza che sa prendere del-le decisioni e a quel tempo la donna non era autonoma come lo potrebbe essere una ragazza di oggi. Qui Luca vuole dire che Maria è talmente responsabile di quello che fa, ha talmente la consapevolezza di essere una per-sona che ha una missione da compiere. La donna in quel tempo, ma ancora oggi nel Medio Oriente, non è mai se stessa, è sempre in relazione ad un uomo: ‘!glia di suo padre’, ‘madre di’ e ‘moglie di’. Maria dimostra di essere una donna che a$erma la sua personalità: si mise in viag-gio verso la montagna. E raggiunse in fretta: c’è qualche altro episodio in cui si parla di qualcuno che si muove in fretta? E questo in fretta indica disponibilità, indica uno slancio del cuore, non soltanto un movimento delle gam-be ma un movimento del cuore. Nell’Esodo dove si racconta la cena pasquale, “Questo agnello - dice il Signore a Mosè – lo mangerete in fretta” perché si dovrà attraversare il Mar Rosso e andare verso la terra promessa. Qui siamo nell’Antico Testamento. Nel Nuovo Testamento? A Betania, una cittadina della Giu-dea, ci sono le due sorelle Marta e Maria con il fratello Lazzaro. Gesù andava spesso in questa casa, erano molto amici di Gesù, si fermava anche per riposarsi. C’è un epi-sodio in cui Gesù entra in questa casa e Marta si dava da fare per preparare diremmo oggi la cena, mentre Maria si mette ai piedi di Gesù per ascoltarlo. Marta fa nota-re a Gesù che sta lavorando mentre sua sorella sta lì ad ascoltarLo. Gesù dice a Marta: “Marta, Marta tu ti agiti e ti a$anni per troppe cose. Maria ha scelto la parte migliore”. Perché Maria ha scelto la parte migliore? Perché si riposa, perché non fa niente? Da cosa nasce la lode di Gesù a Maria? Qual è la parte migliore nella vita di un cristiano? Ascoltare la Parola di Gesù. È il primo atteggiamento che noi dovremmo assumere come cristiani. Allora ecco che

TEATRO LEO AMICILAGO DI MONTECOLOMBO

INCONTRI DI SPIRITUALITÀa cura di Mons. Vittorio Peri, Vicario episcopale per la cultura Curia di Assisi

La figura di Maria

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quel rimprovero fraterno, dolce di Gesù vale anche per noi. ‘Marta’ è ognuno di noi perché siamo a$annati per tante cose, mentre la cosa più importante che ci sfugge è quella di ascoltare Gesù che ci parla. Dobbiamo dircelo con molta chiarezza: se il mondo va male, la società, e anche la Chiesa è perché tante organizzazioni, tanti impegni, tanti convegni, tante riunioni, tanto cor-rere da una parte all’altra e alla !ne si parla tanto di Dio ma non c’è più il tempo di parlare con Dio e di ascoltarLo. “Marta, Marta tu ti agiti e ti a$anni per troppe cose. Maria ha scelto la parte migliore”. Sia ben chiaro: non vuol dire che non bisogna lavorare, ma c’è una gerarchia di valori. Tornando al discorso precedente, quando Gesù si avvicina alla tomba di Lazzaro, qualcuno dice a Maria che Gesù le vuole par-lare e Maria si alza in fretta per andare da Gesù. Quando San Francesco era pieno di sé e di progetti mondani, parte da Assisi e va al seguito di un capitano di ventura, Gualtiero di Brienne, verso le Puglie e un suo biografo, Tommaso da Celano, racconta: Quando il Signo-re gli fece sentire (a Francesco) che non doveva proseguire per le Puglie (diventare cavaliere non era la sua strada) Francesco se ne tornò senza indugio (in fretta capì la voce di Dio e se ne andò).C’è un altro episodio: Gesù arriva a Gerico, passando alza lo sguardo sopra una pianta e sulla pianta c’è un tizio ap-pollaiato, Zaccheo, di professione esattore delle imposte, considerati dei grandi ladri. A Gerico c’è ancora una pian-ta curiosa lo sicomoro che cresce in diagonale e dunque era facile arrampicarsi. Zaccheo che era piccolo di statu-ra, voleva vedere Gesù e si arrampica. Gesù passa, alza gli occhi e dice a Zaccheo di scendere in fretta, subito. La Parola di Gesù è rivolta a tutti noi: dobbiamo muoverci; se capiamo una cosa importante dobbiamo farla subi-to, non domani. Gesù gli dice di scendere subito perché deve andare a casa sua, a casa di Zaccheo. Quando Gesù entra a casa di Zaccheo è come una grande luce accesa in una stanza buia: si vede tutto quello che c’è. Zaccheo riconosce di essere un ladruncolo e cambia vita: “Se ho frodato le persone, io restituisco quattro volte tanto”.“Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta”. Zaccaria ed Elisabetta sono marito e moglie, sono anziani e anche Elisabetta aspetta un bambino, ma era più avanti nella gravidanza di Maria. Maria è andata a servire Elisabetta che anziana aspetta un bambino. È importante questo: Maria, Regina del mondo, che noi immaginiamo nella gloria, nella luce, certamente ora lo è, ma quando era su questa terra, Maria aveva le mani screpolate dal lavoro, dalle faccende di casa, faticava, lavorava, ha vissuto una vita normale a servizio del Signore e di Giuseppe suo marito. Maria saluta Elisabetta con la parola “Shalom” che signi!ca pace, amicizia, gioia, serenità, salute. È la parola che racchiude ogni augurio. Gesù entra nel Cenacolo la sera della Resurrezione e usa la parola Shalom. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sus-sultò nel grembo. Il bambino nel grembo di Elisabetta è

Giovanni Battista che battezzerà Gesù. Maria porta Gesù in grembo ed è proprio Lui che si fa sentire attraverso le parole di Maria e il piccolo Giovanni esulta nel grembo di sua madre perché ha avvertito la presenza di Gesù. “Elisabetta fu piena di Spirito Santo” quindi Maria non soltanto porta Gesù nella vita di Elisabetta e di Zacca-ria, ma porta anche lo Spirito Santo. La prima Pentecoste non è quella raccontata negli Atti degli Apostoli, quando lo Spirito Santo discende nel Cenacolo sulla testa degli apostoli come lingue di fuoco. La prima Pentecoste, la prima e$usione dello Spirito Santo avviene ad Ainkarim. Elisabetta esclama a gran voce una meravigliosa bene-dizione che ricorda l’Ave Maria dell’Annunciazione. Oltre alla prima Pentecoste c’è la prima benedizione del Van-gelo, la prima benedizione del Nuovo Testamento. La benedizione è pronunciata da una donna, quando solo i sacerdoti potevano pronunciarla nel Tempio. Cosa vuol dire benedetta? Cosa vuol dire che il Signore ci benedi-ce? Benedire signi!ca “dire bene”. Quando noi diciamo bene degli altri facciamo una cosa buona, ma quando è Dio che dice bene di noi, non dice ma dà il bene che ci viene comunicato. Quando Gesù dice Shalom (Pace) non è un augurio ma un dono. Se io ti dico ‘buonasera’ è un augurio, se è il Signore a dirti ‘buonasera’ quella sera sarà buona e bella. La benedizione è un dono. La ricchezza della Parola di Dio se meditata da soli è grande, ma meditata insieme è ancora più grande.“A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?” Elisabetta si sente quasi imbarazzata, lei chiama Maria “madre del mio Signore”: chi gliel’ha detto? Lo Spirito Santo, la luce che entra dentro di noi e ci apre gli oriz-zonti della mente, ci fa comprendere quello che noi non comprenderemmo. Lo Spirito Santo è il maestro, è il di-

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daskalon (colui che insegna) da cui la parola ‘didascalia’: lo Spirito Santo, potremmo dire, è la didascalia di Dio negli avvenimenti della nostra vita, ci fa capire che cosa accade. Elisabetta piena di Spirito Santo sa che questa ragazza che è venuta a trovarla, che si mette a suo ser-vizio è la madre del suo Signore. Questa donna che si mette il grembiule, potremmo dire, e non la corona in testa. Chi esulta, chi danza nel grembo di Elisabetta? Un bambino non nato, un bambino che ancora non è nato, che riconosce il Messia per primo nella storia.Per qualcuno oggi un bambino non nato non esiste. Per alcuni un bambino non nato non ha alcun diritto. Per la legge ita-liana un bambino non nato può ereditare dal padre e dalla ma-dre, dunque è capace di diritti e doveri sul piano materiale, ma non ha il diritto di poter nascere. La legge permissiva ha fatto diventare norma-le anche un delitto, perché uccidere un uomo che ab-bia quarant’anni, un anno, otto mesi o cinque mesi non cambia nulla è sempre una persona umana. Chi uccide una persona uccide l’umani-tà, uccide Dio perché Dio si immedesima nelle persone. Il bambino esulta di gioia, non di allegria. L’allegria è una faccia esteriore e super-!ciale, la gioia sta dentro, nel cuore. Noi dobbiamo chiedere al Signore la grazia di gioire, di essere felici inte-riormente. Una volta ho letto un raccontino leggendario: Un saggio dice al suo allievo: “Ti aiuterò ad avere di più”. Allora l’allievo dice: “E come?” Il saggio risponde: “A desiderare di meno”. Avrai di più se saprai desiderare di meno; è felice colui che è soddisfatto di ciò che ha, colui che vuole ciò che ha, non che ambi-sce a ciò che non ha. Viviamo in una società progredita, il progresso ci ha portato molte più comodità di una volta, ma probabilmente non ci ha dato più felicità. Non voglio fare quello che loda i tempi passati, ma indubbiamente nel passato la gente aveva molto di meno ma da quello che sento dire e che mi ricordo, era più serena.Per noi cristiani c’è un motivo di gioia che non può venir meno: la gioia di sentirci pensati, cercati, amati, perdo-nati da Dio. Anche sotto l’aspetto umano, una persona che si sente pensata da qualcun’altra si sente conten-ta. La felicità in fondo consiste nell’essere chiamati per nome, nell’essere pensati da qualcuno, nell’essere attesi da qualcuno.

Questa è una delle pagine più straordinarie di tutta la Bibbia: il celeberrimo Magni!cat. Allora Maria disse: “L’a-nima mia magni"ca il Signore, e il mio spirito esulta in Dio mio Salvatore”. Nella letteratura biblica la persona umana è formata da tre elementi fondamentali: anima, corpo e spirito. Lo spirito è il so#o vitale che è entrato dentro di noi al momento della Creazione, quella comunicazione della vita di Dio che fa all’uomo e alla donna. Attraverso lo spirito siamo diventati simili a Dio. Maria restituisce a Dio la benedizione ricevuta da Elisabetta. Ognuno di noi è ricchissimo di qualità, forse noi conosciamo soltanto

una piccola parte delle nostre qualità che il Si-gnore ci ha dato, dei nostri carismi. Carisma è

un dono, viene da Karis che in greco signi-!ca ‘dono’, regalo, da cui viene la paro-

la ‘carezza’. In fondo un dono di Dio è una carezza; Dio ci dà delle carezze, dei regali, delle cose belle. Noi dob-biamo scoprire le carezze che ci ha dato. Maria riconosce la sorgente della carezza che ha ricevuto. Eli-sabetta aveva magni!cato Maria e Maria magni!ca il Signore. Si risale alla sorgente. Noi ci ricordiamo di magni!care il Signore, di lodarLo, di ringraziarLo per i doni che ci ha dato? Talvolta non riconosciamo questi doni, questa ricchezza. Gli ita-liani, negli anni Trenta, attraverso le guerre di conquista, conquistarono alcune parti dell’Africa che si a$ac-cia sul Mediterraneo, ricchissima di petrolio. Gli italiani vi coltivavano i datteri mentre camminavano sopra enormi pozzi di petrolio e non lo sa-pevano. Noi talvolta siamo come co-loro che coltivano i datteri (una cosa

povera, semplice, importante) ma camminiamo su pozzi di petrolio che non conosciamo. I pozzi di petrolio sono la mente, il cuore, la coscienza, la vita, il corpo, l’anima, sono tutte le carezze che Dio ci ha fatto. È importante scoprire la ricchezza, le potenzialità che abbiamo dentro, saperle esaltare perché sono dono di Dio e metterle a disposizione di tutte le persone che ci sono accanto. Perché ha guardato l’umiltà della sua serva. Maria si au-tode!nisce serva; noi oggi la chiamiamo Regina. Già nell’Annunciazione Maria si quali!ca come serva del Si-gnore. Il Signore ha guardato l’umiltà di Maria; notate la profezia: d’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Il Signore si serve anche delle piccole persone per realizzare grandi progetti. Questo è un messaggio di grande valore spirituale. Grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente. Qual è stata la più grande cosa che l’Onnipotente ha fatto in Maria? Concepire Gesù: il Dio invisibile è diventato uno di noi, si è reso visibile attraverso Maria. Maria è stata la strada

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Padova, Venerdì 22 giugno - Sul sagrato della Ba-silica papale di Sant’Antonio, una delle quattro

appartenenti allo Stato della città del Vaticano e dislocata fuori dal suo territorio, è andato in scena il musical Chiara di Dio. L’evento si è svolto a con-clusione della VI edizione del Giugno Antoniano: rassegna di eventi, incontri culturali e momenti religiosi dedicati alla !gura di S.Antonio. Tale rappresentazione ha costituito un mo-mento di particolare importanza per la Compagnia che, in pianta stabile ad As-sisi, ha lasciato l’abi-tuale postazione per esibirsi in una piazza gremita di gente.

GIUGNO 2012

scelta da Dio per venire in mezzo a noi. Se Dio eterno è voluto diventare storico, se Dio invisibile è voluto diven-tare visibile, se Dio immenso ed in!nito ha voluto assu-mere una realtà piccola e !nita come quella del corpo umano attraverso Maria, se ha scelto questa strada c’è un motivo: che questa strada, Maria, è la strada attra-verso cui noi siamo chiamati ad andare a Dio. Dio si è servito di Maria per venire a noi, noi dobbiamo “servirci” di Maria per arrivare a Lui. Ecco perché i cristiani sono invitati a guardare a Maria, a pregarla, non perché lei è la salvezza, ma la strada che ci porta alla salvezza. Molti cristiani hanno un atteggiamento sbagliato guardano Maria come se fosse una dea. Maria non è una dea, è una donna. Noi dobbiamo guardare a lei come strada; c’è un termine “odigitria” dal greco odos (strada), cioè colei che indica la strada. E santo è il suo nome. Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono. Maria qui dice che la carezza che Dio ha dato a lei si stende su tutti quelli che amano il Signore. Noi possiamo diventare si-mili a lei; lei ha avuto grandi privilegi ma anche noi pos-siamo essere come lei: generare Cristo non !sicamente ma con il cuore. Noi dobbiamo poter generare, come Maria, nel cuore nostro e in quello degli altri.

Ha spiegato la potenza del suo braccio. Maria si riferisce agli avvenimenti del passato, soprattutto all’evento cen-trale della storia del popolo ebraico raccontato nell’E-sodo, cioè la liberazione dall’Egitto. Ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore. In questo caso, a quel tempo il superbo era il faraone che voleva impedire agli ebrei di tornare nella loro terra.Ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili. Ma-ria rovescia la cultura. La grandezza di una persona non sta nella sua potenza, nell’essere seduta su un trono, ma sta nell’amore e nel servizio agli altri. Ha innalzato gli umili, come Maria. Dio cambia la mentalità: beati i miti, beati i semplici, beati gli umili, beati gli ultimi. È una le-zione di umanità e di spiritualità straordinaria. Non met-tete davanti alla vostra prospettiva il traguardo di diven-tare importanti, potenti, quelli che fanno opinione, di cui tutti parlano; c’è gente che vive per la gloria, ma la gloria passa mentre il valore della persona resta. Ha ricolmato di beni gli a$amati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Noi dobbiamo entrare nella logica di Dio.La bellezza salverà il mondo. La bellezza dell’arte, dello spettacolo, del canto e anche del testo che abbiamo me-ditato insieme.

foto di Madero - Padova

Chiara di Dio in tour

Basilica di Sant’Antonio Padova

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AGOSTO 2012

Don Salvatore Miscio - Ho chiesto a Carlo di raccontarci la sua esperienza e, soprattutto, di aiutarci come Chiesa e come giovani, a ri#ettere sull’appar-tenenza ecclesiale, sull’essere Chiesa, sull’essere protagonisti all’interno di una comunità, che non è un modo per restringere il cam-po, ma un modo per trovare il luogo giusto per mettere le radici, unico modo, sembra, per spiccare veramen-te il volo. Grazie di cuo-re per tutto quello che siete per noi. Quello che già avete comin-ciato a fare in mezzo a noi, a Monte Sant’An-gelo, a San Giovanni Rotondo, a Mattinata, è soltanto un punto di partenza perché l’idea, che probabilmente il Signore ci ha messo nel cuore, è quella di realizzare qualcosa di ancora più stabile, sen-za mettere limiti né ai carismi né allo Spirito Santo. Adesso, Carlo, ci metteremo in ascolto e ci lasceremo guidare da te per questo mo-mento di ri#essione.

ESSERE PRIMA DI APPARTENERECarlo Tedeschi - Una cellula rigenerante nella Chiesa, nel corpo mistico di Gesù: questo vogliamo essere! Non abbiamo detto o fatto niente di ori-ginale, è quello che tutti dovrem-mo essere, sia individualmente, che come gruppo. Tutto si ripete, la verità è come un cerchio che prima

o poi ritorna sempre nello stesso punto. Non sono tanto le parole dunque che contano, quanto i fatti: bisogna fare e per fare bisogna es-sere. Bisogna ricercare cosa essere. Parlare di appartenenza alla Chie-sa è un argomento molto delicato.

Non me ne sentivo all’altezza, così non ho preparato nulla, ho voluto buttarmi nel vuoto, in un atto di fede, pensando: «Se don Salvatore me l’ha chiesto, c’è un movimen-to dall’alto, dunque rispondo di sì a qualsiasi prezzo, anche quello di

fare una brutta !gura». La mia vita è un continuo ripetersi di salti nel vuoto partendo dal 1982, quando ho conosciuto Leo Amici che mi ha fatto assaporare, abbracciandomi, l’abbraccio di Dio e per la prima vol-ta ho sentito il Suo calore.

Ero un giovane chiu-so, pieno di ansie e paure, balbuziente. È stato su#ciente quell’abbraccio per sciogliere tutto il male che mi aveva fatto pri-gioniero. Ho comin-ciato il mio percorso e la mia ricerca per capire che cosa signi-!casse “essere”. Allora credo che prima di dire “appartengo alla Chiesa”, bisognereb-be dire “appartengo a me stesso, alla mia libera volontà”.Il Signore ci ha creati “individui”. Quando pensiamo profonda-mente ci conoscia-mo, se “peschiamo” nella nostra parte più intima i pensieri più profondi. Noi siamo “intimi” con il nostro corpo, la nostra men-te ma anche con la nostra anima, ed è lì che cominciamo a co-noscere chi è l’uomo, dunque chi siamo, e

chi è Dio. Dio ci ha fatti a Sua immagine e so-miglianza, di conseguenza gli asso-migliamo. I nostri pensieri, la nostra anima, il nostro corpo, sono a Sua immagine e somiglianza. Attraverso Gesù, infatti, si è fatto uomo. I nostri

4° Campo formativo per educatori e giovaniManfredonia 17-19 Agosto

I giovani e l’appartenenza alla Chiesarelatore Carlo Tedeschi

e testimonianze

AGOSTO 2012

pensieri sono i Suoi e parlano di Dio, il nostro corpo è il Suo. Più conoscia-mo noi stessi, più conosciamo Dio, in una misura e in una proporzione diversa, ma intanto possiamo inco-minciare a conoscere la Sua scintilla di vita, quella che Lui ha innestato dentro noi. Purtroppo il male esi-ste, esiste il condizionamento del-la società, dei genitori (benché ci amino), della scuola.. Conoscersi e, attraverso noi stessi, conoscere Dio, viene condizionato e limitato dal male che ci circonda. Non dico che società, scuola, genitori siano male, ma che i condizionamenti sono possibili e il male sarebbe pro-prio lasciarsi condizionare. Nel male spesso ci sentiamo sporchi, in colpa e dimentichiamo che quella par-te di Dio, che è dentro di noi, non ha mai colpa, che i nostri !gli non hanno mai colpa. Semmai la colpa è della società, se noi, purtroppo, ci lasciamo condizionare. Dovete immaginare che quando noi stiamo male, somigliando a Lui, anche Lui sta male; quando noi ab-biamo un pensiero cattivo, anche in Lui corrisponde, per quanto non se ne faccia contaminare, mentre noi sì. Come noi reagiamo all’amo-re e ne siamo felici (con carezza del papà, della mamma, di una !danza-ta, di un !glio), così anche Lui, se lo “accarezziamo” è felice. Viceversa, quando noi ci sentiamo soli e ci riempiamo di dubbi o di angosce, dobbiamo riconoscere che anche

Gesù, anche Dio, quando pecchia-mo e ci allontaniamo da loro, vivo-no le nostre stesse angosce, le no-stre stesse paure. Conosciamoli un po’ di più, mettiamoci di più nei loro panni, se così si può dire..RICERCARE DENTRO E FUORI DI NOIGesù ci ha detto: «Dovete essere buoni com’è buono il Padre mio che è nei cieli» E come è possibile esse-re buoni come Dio? Se Gesù lo ha detto signi!ca che è possibile: in-credibile! Ci sentiamo talmente pic-coli, peccatori, bisognosi di miseri-cordia! Sembra impossibile essere buoni come Gesù. Invece è possibi-le perché la bontà è dentro di noi. Se noi iniziamo a essere buoni, la Sua bontà si fonderà con la nostra o la nostra si fonderà con la Sua, ecco perché si può essere buoni come Lui. Questo è l’inizio di una ricerca all’interno di noi stessi per cercare di capire chi vogliamo essere. C’è, inoltre, una ricerca al di fuori di noi: nelle cose che ci circondano, nelle persone, nella natura. Come in noi stessi vediamo la Sua bellezza, la Sua perfezione, (anche ciò che, at-traverso di esse, ci vuole insegnare), così nella natura ci sono tante Sue espressioni stupende, di bene asso-luto. Ci sono però anche espressioni che insegnano che cos’è il male: il temporale, l’uragano, il terremoto.. Tutte espressioni negative di cui ab-biamo paura. Ecco, guardiamo la natura e com-

prendiamo che la perfezione di Dio vive e noi ne siamo immersi. Il male ci spinge all’osservazione, all’anali-si, alla ricerca. Perché? Perché Dio, buono e grande, ha creato l’univer-so, il nostro pianeta, noi e tutta la bellezza che ci circonda.. Allora per-ché c’è il male? Partiamo dalla “favola” di Adamo ed Eva, in cui l’uomo ha tradito la per-fezione in cui era immerso per di-sobbedienza, per poi arrivare ai no-stri giorni. Epoca in cui dovremmo cominciare a ricercare in noi stessi per capire chi siamo, per capire chi è Lui e cosa desidera da noi; a capire se ci sta indicando qualcosa.

IL BENE ED IL MALE..Bene e male sono due realtà: il bene porta altro bene, è una forza poten-te, è la forza potente di Dio che co-struisce; il male, al contrario, è una forza opposta che distrugge. Vi è mai capitato di iniziare da un “solo” fatto negativo per poi preci-pitare? Da quel momento sempre peggio. Finché non si oppone a questo stato di fatto, una forza ben più grande come la fede, l’amore. Bisogna imporsi per interrompere una catena così mostruosa. Il male, quando inizia, è come il sas-solino di una montagna che crea una valanga! Il bene, invece, anche se a fatica, un mattone dopo l’altro, piano piano costruisce. Con tanta fatica si arriva al tetto e, se le fon-damenta sono state buone, la casa

Il Paradiso - Tintoretto

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non crollerà mai più! ..Nonostante le bufere o il male o il terremoto! Quando si è piccoli apparteniamo ai nostri genitori, è una dipendenza totale. Per i bambini, i genitori sono il “loro Dio”. C’è un legame così pro-fondo come quello che potrebbe legare l’umanità a Dio. Intorno ai 12 anni, quando si distingue il bene dal male, i nostri genitori non sono più “il nostro Dio” perché cominciamo a guardarci intorno. Mentre prima il bambino è concentrato su se stes-so, a conoscersi, superato il limite del “fermo”, si sforza di imparare a camminare, poi a correre e così via... Ecco, questo percorso potremmo farlo anche noi da adulti, nella no-stra ricerca personale. È come un salto nel vuoto, come quello che ho fatto io stamattina non preparan-domi a questo incontro, ma volen-do respirare, insieme a voi, il respiro di Dio e la Sua presenza in mezzo a noi. Tutti i popoli, tutte le religioni lo re-spirano! Nel nostro oggi potremmo pensare che in quella sedia rimasta vuota potrebbe esserci seduto Gesù: non potremmo vederlo e neanche esse-re certi della sua presenza. Invece dovremmo esserne certi perchè lui ci dice: «Quando due o più persone si riuniscono nel mio nome, io sono con loro». Dunque c’è. Purtroppo non lo vediamo, non lo sentiamo, ma c’è. Dovremmo fare un salto nel vuoto per essere certi che Lui ci sia e probabilmente in questo salto un qualcosa dentro noi, un sussurro o una parola, ci testimonierebbe che è vero.Anche questo fa parte della ricerca di cui vi sto parlando.

APPARTENERE A GESÙPrima di dire appartengo alla Chie-sa, bisognerebbe appartenere a Gesù! Penso che solo appartenendo a Lui si possa dire di appartenere alla Chiesa. Credo sia anche un termine improprio... Non si può “appartene-re” alla Chiesa, ma bisogna essere Chiesa. In questo momento noi siamo Chiesa. Allora, perché que-

sto termine: “appartenere”? Perché l’uomo ha bisogno di appartenere ad una famiglia, ad una nazione, ad una donna, ad un uomo, perché, immersi come siamo nel male, tutto traballa e niente ci sembra duratu-ro di quello che possediamo. Così si ha paura di non avere più il cibo per sopravvivere, un tetto sotto cui ripararsi, un uomo o una donna da amare e dal quale essere amati. Si ha paura di non avere più quel !glio tanto caro, che la morte potrebbe strapparci. Dunque abbiamo biso-gno di “appartenere”. Ma prima di poter dire “appartengo alla Chiesa”, “sono Chiesa”, soprattutto per noi educatori (“educatori” è una parola che mi sembra quasi presuntuosa e arrogante), che siamo stati chia-mati o che ci siamo ritrovati in que-sto ruolo, bisognerebbe capire chi siamo e che cosa vogliamo essere. Poi nella ricerca, dovremmo essere talmente sicuri della nostra fede, da sentirci profondamente, carnal-mente appartenenti a Gesù. Questo me lo ha fatto pensare il Vangelo di Luca, quando dice la nostra fede deve essere anche ragionata.

RAGIONARE, SENTIRE, TOCCARE CON MANOLa fede, in e$etti, dovrebbe essere ragionata, sentita, toccata con mano. Ragionata, perché siamo nati con un cervello e dobbiamo ragionare su tutto, analizzare tutto. E questa è la ricerca: analizzare con la nostra mente, per capire, altrimenti, per quale motivo ci sarebbe stata dona-ta l’intelligenza? (da intelligere, ca-pire le cose, dopo averle guardate, osservate)Sentita, attraverso le sue espressio-ni... la luce, i colori del tramonto, il profumo di un !ore che fanno senti-re e gustare un’ espressione di Dio. E le sue espressioni nella natura sono talmente dolci da commuovere ed a$ascinare anche chi non crede. Sono tutte espressioni di Dio, dove Lui ti dice Io ci sono, Io esisto ma l’uo-mo le calpesta perché gli fa como-do così. Prova quella sensazione, gli piace e poi non ragiona più, non usa

più il cervello, l’intelligenza per chie-dersi: Perché il profumo di un "ore mi tocca? Perché quei colori mi toccano? Perché le espressioni di un bambino innocente mi fanno commuovere? La nostra fede, dunque, deve esse-re ragionata, sentita, toccata con mano, perché il Signore non si ac-contenta di averci dato l’intelligen-za e di aiutarci ad usarla; non si li-mita a ripetere e moltiplicare le Sue espressioni all’in!nito, (nella natura ha messo in moto un meccanismo che all’in!nito ci trasmette le Sue espressioni più grandi e più belle). Ma se lo ricerchiamo, se bussiamo continuamente alla sua porta, Lui si farà evidente. Se crediamo che Gesù è seduto in quella sedia, Lui si farà evidente, a tal punto che non potre-mo più dire Chissà se è vero! Se è solo una sensazione! Se ho immaginato o fantasticato io! Ci sono dei momen-ti, nella nostra vita, di una precisio-ne talmente millimetrica che non è più possibile dirci che è un caso; ma non possiamo che arrenderci alla Sua evidenza, all’evidenza che Lui c’è, vive con noi, parla con noi. Pur-troppo noi siamo spesso distratti. Se vogliamo perfezionare la nostra fede, continuare in questo percorso senza accontentarci di dove siamo arrivati o di chi siamo oggi, ricomin-ciamo a cercarlo da zero, con il cuo-re pulito, da bambino e, per come ha detto ieri il vicario, rimettiamoci sempre in discussione, azzeriamo tutto, tutti i princìpi, anche quel-li giusti, quelli d’amore, di fede, di conoscenza, di esperienza che ab-biamo avuto come educatori, come papà, mamme o sacerdoti, e rico-minciamo. Tutto ciò che noi avremo acquisito di buono, di bene, di grande, non lo perderemo mai, anzi lo ritroveremo per la strada: è un bagaglio che por-tiamo con noi, che il Signore non distrugge. Scopriremo altri anfratti, altre zone, magari in ombra, nelle quali portare luce. Ci perfezionere-mo sempre di più ed è questo il no-stro compito, !no all’ultimo respiro della nostra vita!In questo perfezionarci so$ochere-

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mo, allontaneremo, rinunceremo al male, dando così senso e com-pimento alla nostra vita, al perché il Signore ha permesso che nella bellezza della nostra vita si espri-messe una forza opposta e negati-va: il male! Un male al quale, forse, dovremmo addirittura essere grati (se così si può dire) perché, se non ci fosse il male, non sapremmo ap-prezzare il bene! Se non ci fosse l’assenza di Dio, non potremmo mai constatare la sua presenza! Se non ci fosse il nero non sapremmo mai che cos’è il bianco! È proprio gra-zie al superamento di questa forza negativa, della tentazione di fare il contrario di ciò che la nostra na-tura, legata a lui, ci suggerisce, noi cresciamo, ci ra$orziamo e dimo-striamo, a noi stessi e a Dio, a “chi” vogliamo appartenere.

Vassily - Vengo dalla Bielorussia, ho vissuto per dieci anni in un orfano-tro!o e all’età di 15 anni sono stato adottato e mi sono trasferito in Ita-lia e, come tanti ragazzi di quell’e-tà, inizialmente ero molto attratto da tutto ciò che non avevo potuto avere durante la mia infanzia. Que-sto mi ha portato ad escludermi e a non guardare ciò che avevo dentro. Ho sempre visto Carlo al Lago, face-

va tutti i giorni gli incontri con i gio-vani. Ogni tanto a qualche incontro ci andavo, però all’inizio ero un po’ titubante, mi faceva comodo non credere. Un giorno ho detto io devo sciogliermi, voglio provare a guar-dare dentro il mio cuore cosa c’è ve-ramente. In uno di quegli incontri e nell’abbraccio con Carlo ho sentito Gesù, tanto che non ho potuto dor-mire tutta la notte.. è stata una sen-sazione che non si può dimenticare. Da quel momento ho cominciato… Beh, cos’è cambiato nella mia vita? È cambiato che ora so l’importanza di esprimere sempre il cuore, l’impor-tanza di stare insieme ad altri fratel-li, l’importanza di amarci, di parlarci e di cercare. Questo ha fatto sì che potessi inoltrarmi in una ricerca molto più profonda.

Carlo T. - Io credo che se manca uno di questi elementi (ragionare, sentire, toccare con mano) la nostra fede c’è ma è limitata. Si potrebbe incontrare un ostacolo e non saper-lo superare. Purtroppo accade nei nostri gruppi parrocchiali, nei nostri movimenti, nelle nostre associa-zioni, come ha ricordato anche ieri il vicario, che ci sono giovani che si allontanano. È vero che il giovane è scostante, è volubile, ma tutti dob-

biamo guardarci dentro per vedere se siamo stati chiamati dal Signore a cambiare posizione... Forse, a suo tempo, era quella del bisogno, del desiderio di appartenere e dunque ci siamo avvicinati, poi passato il tempo e aumentata la nostra fede, il Signore ci ha chiamato ad essere magari in un altro punto: quello di attirare a noi altri giovani. Si ha an-che paura, sacerdoti ed educatori, ad avere questo carisma e di cadere nella vana gloria, nella scarsa umil-tà, nella vanità. Non bisogna avere paura perché se la nostra fede è ragionata, sentita, toccata con mano, sappiamo che tutto il nostro essere, ciò che respi-riamo, ciò che trasmettiamo agli al-tri, i nostri fatti, non sono altro che frutto di un movimento di perfezio-ne, nel quale ci siamo inseriti.

ESSERE ALTRI GESÙSe consideriamo che tutto parte da nostro Padre, da Gesù, fratello e presente insieme a noi nel nostro agire, tutto vive e viene celebrato, compiuto, esaltato dalla forza dello spirito. Il nostro compito è proprio questo: essere “un altro Gesù”. Se noi non diventiamo un altro Gesù, e dunque non apparteniamo talmen-te tanto a lui da fonderci con lui, con

la sua sostanza divi-na che si fonde con quella nostra umana, siamo dei cattolici falliti, abbiamo falli-to il nostro compito. Quando Gesù è stato messo in croce vole-vano chiuderne il ca-pitolo: lo uccidiamo e non abbiamo più problemi. Da quel momento in poi, Pie-tro, Paolo e tutti gli altri hanno iniziato, a risorgere... E il mon-do si è riempito di altri Gesù! Esempi vi-cini alla nostra realtà sono San Francesco o Padre Pio: altri Gesù. Quando con scon-

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certante semplicità Vassily dice: « ho abbracciato Carlo, ho abbraccia-to Gesù...» non si deve aver paura che un giovane dica questo, ma che non dica mai “oggi l’ho abbracciato e non ho incontrato Gesù”! Questo dobbiamo temere!

IL PROPRIO “IO”Leggiamo il testo della canzone che abbiamo ascoltato, scritta da Vas-sily: “Ti raggiungerò ovunque tu sarai, ti raggiungerò la mia luce tu sarai, il mio io rinnegherò, alla croce metterò, con te risorgerò col garbo del tuo amore”. Si capisce che è pro-prio il nostro io che dobbiamo “uc-cidere” per essere un altro Gesù. È quello che ci ostacola continua-mente, che si frappone sempre tra noi e Gesù, tra noi e il Padre, tra noi e un giovane, tra noi e la Chiesa. Esso non è la nostra verità, non è l’es-senza della nostra anima, perché la nostra anima ha una personalità, è persona. Persona che deve trovare, attraverso la vita, la sua realizzazio-ne eterna seguendo la sua vera na-tura, percorrendo i passi alla seque-la di Gesù, per arrivare !no al Padre. È lì che trova la sua realizzazione, in quei passi, in quei passaggi, quan-do cade e si rialza, quando inciam-pa, perde l’equilibrio, quando Gesù tende una mano e la prende: que-sta è la nostra “realizzazione” eterna. Il nostro io invece non è altro che il condizionamento che la nostra ani-ma, il nostro corpo, hanno subito nel crescere, in una famiglia che, benché ci voglia bene, è umana e dunque con le fragilità, i dubbi e le debolezze umane. Cresciamo in un mondo dove il male fa da padrone, condiziona le nostre reazioni, crea dei princìpi personali di autodifesa.

Pasquale - Penso che sia fonda-mentale, nel cammino di fede, ucci-dere, o meglio, so$ocare il proprio io. È un percorso in cui so$ochiamo i punti negativi del nostro essere, quelli che ci allontanano dal Signo-re. Con la lotta, con il sacri!cio, che è una cosa che al giorno d’oggi non molti riescono a fare, riusciamo a

valorizzare i punti positivi che ci fanno, invece, avvicinare al Signore e, quindi, ai fratelli. Ci fanno aprire il nostro cuore.

Carlo T. - Uccidere il nostro io non signi!ca morti!care il nostro essere, ma uccidere quei principi negati-vi che impediscono di realizzare il comandamento di Gesù: «Vi do un nuovo comandamento, l’undicesi-mo, amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato». Quando cominciamo a formare un gruppo, a stare insieme, ci accorgia-mo che i limiti sono proprio quelli del nostro io. Abbiamo dei princìpi, delle abitudini, dei vizi, dei modi di pensare che vanno contro quelli dell’altro, che non ci capisce. Non riusciamo a decodi!carlo e ad in-serirlo dentro ai codici che ci siamo costruiti noi. Gesù invece non ha co-dici o binari, insegna solamente ad amare. Il comandamento è amare, e chi ama è disposto a so$ocare i pro-pri principi, a non farli agire dentro di sé, a non reagire male. Piuttosto morti!care se stesso, nel silenzio, pur di sorridere ad un fratello since-ramente. Facendo questo, come ha detto Pasquale, realizza i doni del Signore, li aumenta, li esprime ed, esprimendoli, aumenta la loro po-tenzialità e capacità. Noi nasciamo con un bagaglio in-!nito di componenti positivi, oltre quelli che la Cresima ci dona. Ci vengono elargiti, secondo le nostre reazioni, durante la ricerca del calo-re di Dio e sono questi punti posi-tivi, che appartengono al Signore, a realizzare nella sostanza la nostra personalità eterna. Dunque uccide-re il nostro io non morti!ca nulla, anzi, uccide quella parte di noi che non vuole che ci realizziamo in una personalità eterna. Il Signore ama in!nitamente le personalità eterne, quelle costanti, quelle che potranno vivere con Lui per l’eternità. Lui cerca amici per l’e-ternità, amici che non si fermano a dei princìpi stupidi, umani , terreni. Cerca amici con cui “giocare”, con cui “mangiare”, con cui “divertirsi”..

L’eternità è il Suo regno dove non ci annoieremo e non ci stuferemo mai. È la vita che ci porta noia. Ripetere gli stessi errori, inciampare negli stessi princìpi, sentire la stanchezza, ammalarsi, è questo che provoca noia; ma l’eternità non ci annoierà mai perché il Bene costruisce ed il male distrugge. La distruzione del male la vediamo solamente qui. Nell’eternità c’è solamente il Bene che costruisce e che ci porterà sem-pre novità davanti perché costruirà per l’eternità.

LA SCELTAPasquale - Fare questo movimento dentro se stessi è anche una que-stione di scelte. Nella nostra vita a volte facciamo delle scelte per pau-ra di qualcos’altro o addirittura non le facciamo perché abbiamo sem-pre paura che ciò a cui abbiamo rinunciato, scegliendo quella cosa, ci venga a mancare. Noi dobbiamo guardare a ciò che stiamo sceglien-do e non a ciò a cui rinunciamo. In questo scegliere o non scegliere si cade in quel comodo che a volte è come una barca che ti trascina len-tamente e ti fa andare alla deriva. Quella scelta di comodo …

ESSERE “INGRANAGGIO VIVENTE”Carlo T. - Che ti fa scivolare indie-tro! Hai fatto un pezzo di strada e il comodo ti fa scivolare indietro e to-glierti da quel meccanismo partico-lare, che ti inserisce nella perfezione come quello della natura della qua-le facciamo parte. In essa si diventa veramente un “ingranaggio viven-te”, lo Spirito che qui vive, ci condu-ce per mano, nelle sue mète e l’im-portante è che noi siamo docili. Per essere docili dobbiamo eliminare il nostro io che ci tiene ancorati alle cose umane. Al contrario lo Spirito ci conduce in quelle divine. A quel punto ci farà comprendere di più anche le cose umane. Personaggi come Santa Chiara, che passano alla storia per il loro misticismo, sono anche persone estremamente umane, molto più

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umane degli umani! Chiara mentre muore desidera una ciliegia! San Francesco chiede a sorella “Jacopa dei sette soli” di cucinare i mostac-cioli, i biscotti. Sono persone che riescono ad intuire e a guardare un tratto della bellezza del volto di Dio e poi sono più pratici di noi. Chiara sapeva portare avanti un convento, educare le sue consorelle, dare da mangiare ai poveri, sanarli, guarirli, confortarli e abbracciarli. Io sono conosciuto come regista, sono anche invidiato e ostacolato, perché non capiscono la logica di Dio con la quale agisco. Nel mondo, invece, la logica è l’opposto di quel-la di Dio. Sul palcoscenico non met-to chi ha talento, metto chi cerca Dio, perché quando sul palcosceni-co c’è un giovane che cerca Dio, Dio entra dentro di lui!

Tommaso - Arrivo al Lago, tramite la Compagnia amatoriale del mio paese che ha inscenato Un fremito d’ali dove io interpretavo l’anima. Andiamo in pellegrinaggio al Lago di Monte Colombo. Quando sono entrato in quel posto e hanno aper-to i cancelli, ha cominciato a batter-mi forte il cuore: non capivo il per-ché. Quando ho conosciuto il posto poi ho capito: il posto, la gente, ti fanno respirare davvero Dio, c è la Sua presenza viva. Allora ne sono ri-masto a$ascinato. Ci sono ritornato ed ho incontrato Carlo. Ricordo che

quando siamo entrati nella stanza c’erano lui e Daniela, io sono rima-sto sull’uscio della porta, perché quando l’ho visto ho avuto timore che mi leggesse dentro. Sono rima-sto sull’uscio della porta e ho pen-sato: «Adesso resto qui, così tutti si siedono e io mi siedo per ultimo, lontano da Carlo». É accaduto, però, che si sono seduti tutti e l’unica se-dia che é rimasta vuota era quella di fronte a lui. Lui mi ha guardato e mi ha detto: «Ti piacerebbe conoscere Dio?».In quel momento gli ho risposto solo di sì. Poi, andando a casa, ri%ettevo sem-pre su questa domanda. Ho sempre frequentato la parrocchia però pro-fondamente non avevo mai capito chi fosse Dio, cosa volesse da me e allora ho scelto di cambiare drasti-camente, di trasferirmi, di frequen-tare l’università a Rimini e di iscri-vermi all’accademia al Lago. Arriva gennaio, faccio un esame all’univer-sità, prendo un voto brutto e Carlo mi dice: «Non è tanto alto questo voto. Come mai?» Io gli rispondo: «Non mi piace tanto l’università» , e lui: «Quando hai il prossimo esa-me?». «Tra quattro giorni ho anato-mia.. è impossibile, non riuscirò mai a farlo!». Lui continua «Non ti preoc-cupare, non tornare a Rimini dove puoi distrarti e disperdere il tempo. Fermati nella casa famiglia e studia tutto il giorno, senza distrarti. Ti aiu-

teremo, ci sono dei !sioterapisti, dei tecnici di laboratorio.. Resta qui a studiare !no al giorno dell’esame!». Io ho accettato solo perché lui ave-va avuto !ducia in me, ma non per-ché io l’avessi in me stesso. Il terzo giorno comincia a nevicare, annul-lano l’esame e lo posticipano di una settimana, continua a nevicare e lo posticipano di altre due settima-ne. Sostengo l’esame e lo supero! Questo per me è stato un segno. Ho sentito la presenza e l’accompagna-mento di Dio. Per me è stato un atto di fede! Lo sento vivo, lo sento ogni giorno, nelle piccole e nelle grandi cose, ci aiuta e ci guida, se ci rivol-giamo a Lui, se Lo teniamo sempre presente.

IL SALTO NEL VUOTOCarlo T. - Quando ho cominciato a sentire di appartenere a Gesù, in virtù di quell’abbraccio che ho sentito con Leo Amici, ero molto appassionato del mare. L’avevo co-nosciuto a maggio e, essendo giu-gno, sarebbe iniziata la stagione a Rimini. Venivo dalla Liguria dove andavo al mare !n da bambino. Ero cresciuto con l’odore del mare, la salsedine.. dunque non desidera-vo altro che stare in spiaggia. Pen-savo: «Voglio andare al mare, cosa faccio di male? Che male faccio a volermi abbronzare? Che male fac-cio a voler sentire l’odore del mare come da bambino?» Sono molto

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freddoloso quando entro in acqua, così faccio !nta di nulla, faccio !nta di guardare il paesaggio.. per non far vedere che devo entrare piano piano. In quella circostanza, ad un certo punto, mi è venuto in men-te un discorso di Leo Amici su Dio. Dio! Dio! Dio! Il Suo nome entra nel-la mia anima e si ripete all’in!nito. E se ti chiedesse di… Non ho fatto in tempo a !nire il pensiero.. che già mi ero buttato in acqua! E mi sono sorpreso perché è stato un salto nel vuoto, il mio primo salto di fede nel vuoto! Il buttarmi, nonostante tut-to, mi ha fatto capire l’amore che Dio aveva dato a me, l’amore di cui mi stava circondando e la mia gra-titudine profonda che velocemente ha permesso quel salto nel vuoto. Il Signore mi aveva guardato, mi sta-va riscaldando ed io per gratitudi-ne, sentivo di ricambiarlo nella mia piccola quantità, e qualità, d’amore! Quando sono entrato in acqua ho scoperto che era meglio tu$arsi su-bito perché l’acqua non era poi così fredda come immaginavo! Mentre ero a mollo pensavo: «Ma come, adesso che hai conosciuto Dio, il suo calore, che lo senti così vicino a te e stai considerando Gesù come tuo fratello, come persona che vive con te, in te, per te, cosa vorresti? Tu adesso cosa fai qui a mollo? Ci stai tutta l’estate?» Allora uscii di corsa e pensai: «Vado a conoscere tutti coloro che hanno conosciuto Leo Amici! Chiederò di parlarmi di Dio e della loro fede». Ho cominciato dagli adulti di allora: i bisnonni di Asia (una ragazza presente), poi quelli di altri ragazzi che il Signore mi ha dato l’onore di avere ancora con me insieme ai loro nonni e ai genitori. Ho iniziato da queste ge-nerazioni !no ad arrivare ai ragazzi come Tommaso o Francesco che si uniscono ancora a questo “esercito”, si uniscono oggi alla Chiesa.

Giulia - Mi chiamo Giulia, volevo collegarmi al discorso del salto nel vuoto... Fin da piccola sono sempre stata molto timida ed ero anche molto rigida di corpo, non mi muo-

vevo bene così sul palco non pote-vo proprio starci. Carlo mi ha pro-posto di fare uno stage ad Assisi e di interpretare lo spettacolo Chiara di Dio. Io però non volevo superare una cosa morale: la rigidità, sia !sica che interiore. Non riuscivo ad espri-mermi, a dire le mie emozioni, mi te-nevo tutto dentro, so$ocavo tutto. Questo male che c’era nel mio cuo-re è diventato anche !sico, tanto da togliermi tutte le forze, portandomi a letto con la febbre, che non mi faceva più muovere. Sono tornata, dunque, a casa a#nchè i miei geni-tori potessero occuparsi meglio di me. Passa il tempo e stavo ancora male, !no a che non mi arriva la pro-posta di Carlo di interpretare Chiara da giovane. Nello spettacolo Notte di Natale 1223, dovevo interpretare l’Angelo e non ne ero assolutamen-te in grado. Carlo pensava “non è in grado di interpretare nemmeno Chiara!”. Anch’io sapevo di non es-serne in grado, ma ho comunque voluto accettare e sono partita per Assisi. Avevo freddo, ero sempre con il cappotto, non mi muovevo.. non facevo niente.. ma c’è stata una mattina in cui mi sono svegliata e mi sono sentita “viva”, ed ho iniziato a dirlo a tutti.. sentivo l’amore di Dio! Questo amore ha iniziato a scioglie-re tutto il dolore, !sico e morale che mi bloccava nell’esprimermi. Sono riuscita a salire sul palco e ho visto che “quell’esprimermi”, “quell’esse-re viva”, se non lo avessi fatto nella mia vita, non sarei riuscita a farlo neanche lì. Facendolo, invece, sono riuscita anche ad interpretare il ruo-lo di Santa Chiara, che per me non era assolutamente stare sul palco, recitare, era proprio “vivere”! Anche studiare questo personaggio mi ha tanto aiutato a scoprire di me del-le cose positive che non sapevo di avere o, magari, non volevo tirare fuori!

Carlo T. - Un giovane cerca Dio per la prima volta quando riconosce che nella sua vita c’è un “vuoto”. Si riconosce che nella nostra vita c’è un “vuoto” quando non c’è il “pieno

di Dio”. Quando riconosciamo che abbiamo sbagliato strada, quando ci riconosciamo “persi”. Forse il gio-vane non si riconosce “perso”, ma sa che quelle azioni che gli hanno portato il vuoto lo hanno tenuto lontano da “qualcos’altro” che spera esista. Se noi diamo amore, com-prensione, accoglienza, e usiamo misericordia con lui, nel senso che uniamo il nostro cuore al suo, allo-ra il giovane inizia a riempire quel “vuoto”, si riconosce bisognoso di “qualcuno” e bisognoso di “qualco-sa” di grande, se noi gli indichiamo Dio.

RIEPILOGANDOCi siamo detti che per essere un “altro Gesù” dobbiamo iniziare a guardarci dentro e a conoscere noi stessi, o meglio la parte di Dio che è dentro di noi, perché Egli ci ha fatto a Sua immagine e somiglian-za e dunque più conosciamo noi stessi, più conosciamo Dio. Ci siamo detti che, benché in una proporzione diversa, le nostre rea-zioni al bene e al male sono le Sue, proprio perché noi gli somigliamo. Abbiamo iniziato, quindi, un per-corso immaginario, prima dentro di noi, poi fuori di noi, per ricono-scere la perfezione e la bellezza di Dio con tutte le Sue espressioni che calpestiamo perché così ci fa comodo.Abbiamo osservato che nella bel-lezza di Dio, nella perfezione di Dio, fuori di noi, c’è anche il male, quello dell’uragano, del terremo-to, del maremoto, male che noi produciamo: le guerre, gli omici-di, i furti. Ma che tutto questo è dovuto ad un meccanismo che ha messo in moto Dio e che è dege-nerato attraverso la nostra libera volontà. Perché Dio ha messo in moto un meccanismo in cui ap-parentemente c’è del male, come il pesce grande che mangia quello piccolo? Perché tutto rientra nel-la perfezione, nell’equilibrio na-turale. Ma anche perché noi, con il nostro discernimento, possiamo riconoscere, anche attraverso la

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natura, il bene ed il male. In questo percorso immaginario siamo arrivati poi ad un “inizio” di fede sentendo la Sua presenza: pri-ma dentro di noi, poi fuori di noi. Ci siamo detti che la fede per es-sere tale, per essere una fede forte, ricca, dovrebbe essere ragionata, sentita, toccata con mano. Ragio-nata perché abbiamo un’intelli-genza e dobbiamo capire i feno-meni che accadono intorno a noi, dentro di noi. Sentita attraverso le Sue espressioni come quella di un !ore, di un tramonto. Il mondo è pieno delle Sue espressioni! Toc-cata con mano attraverso le Sue evidenze, che non sono più “casi” e che è impossibile chiamarli così perché c’è la Sua mano! il Suo inter-vento! Il Suo dirti “Io ci sono, sono Io che ho determinato quell’avve-nimento per te!”. Facendo questo percorso si arriva alla certezza che Egli c’è, che Dio vive, che ci ama, che è misericordioso, che ci ha messi al mondo per un !ne, ed è

proprio attraverso questa certezza che riusciamo a fare quello che ha detto Pasquale: eliminare i punti negativi, e valorizzare quelli po-sitivi! Solo se abbiamo la certezza che Dio c’è, il sacri!cio che noi fac-ciamo, di rinunciare al nostro io e al male, ha un !ne: quello di realiz-zare la nostra personalità eterna.

COME SU UNA BARCA..C’è uno scritto di Leo Amici, di 30 anni fa, che dice così - La maggior parte dicono “io non faccio male a nessuno, faccio la carità, se posso aiu-tare aiuto, perciò se c’è Dio sono a po-sto”. Forse anche noi ci arrendiamo spesso, non riusciamo a far cedere l’altro con amore e ci giusti!chiamo dicendo “ma io gliel’ho detto mille volte e lui, non l’ha fatto!” Non ba-sta porgere l’altra guancia, bisogna saper far cedere l’altro con amore! Difatti questo è il commento di Leo Amici: È una barca senza remi, por-tata dal vento. Se c’è un naufrago lo raccoglie e lo salva dalla tempesta.. il

naufrago che a malapena gal-leggia, incontra per caso quel-la barca e ci si può appoggiare - spesso siamo stati barca per tanti giovani, ma senza una direzione.. - La barca, sbanda-ta dalle acque, senza dare una onesta coordinata al timone.. il mare ritorna ad agitarsi, la barca sbattuta dalle onde la-scia ricadere il naufrago che resta annegato.. Terribile questa immagine, nessuno dei naufraghi che abbiamo salvato dovrà rischiare di an-negare una seconda volta. Se noi uccidiamo il nostro io riusciamo a tenere vicino tutti, come Gesù tiene vicino noi, perché è la Sua forza che agisce in noi - La barca conti-nua il suo viaggio, poi il mare si calma del tutto, la barca galleggia senza fare una mini-ma mossa, rischiarata da una magni"ca giornata, marcata dai ri#essi solari e si trova are-nata in una riva trasportata da quel so%ce vento. Non sa dove si trova e cosa è andata a

fare. Che cosa ha portato? Tutti punti negativi! Eppure non ha fatto male a nessuno, ha cercato di aiutare ed ora ha "nito. La barca è arenata, dove è il suo "ne?Noi non possiamo amare i giovani solo con il nostro amore, non pos-siamo organizzare o animare i grup-pi con il nostro “amore umano”, non porteremmo da nessuna parte! Sa-remmo una barca senza remi, sen-za una direzione precisa, dunque dobbiamo fare viceversa: è Lui che conduce i nostri passi. Spesso incontriamo giovani che sono contro gli adulti, contro il mondo: hanno ragione! Non gli abbiamo costruito un bel mondo! Pensate solo che le nostre case sono un pericolo per i nostri bimbi, sono ricolme di vetri, spigoli, prese di corrente.. Il mondo che costruia-mo a nostra misura di adulto, come ci piace, per come ci fa comodo, è terribile per un bambino. In casa lo sentiamo addirittura protetto, ed è

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solo un’illusione! Dunque il mondo che abbiamo costruito per i giova-ni è un mondo di#cile, è un mondo brutto. Il giovane vede il falso e spara a zero, prende un “mitra” e si mette a sparare tutta la sua disperazione. Questo lo sottovalutiamo, anche se il cuore di Dio non è vecchio come il nostro, il cuore di Dio è giovane come quello dei giovani, sia per-ché Gesù è stato giovane ed è mor-to giovane e poi perché Dio vive in una dimensione di perfezione

eterna dove saremo tutti giovani. Nel nostro corpo glorioso non ri-troveremo le nostre rughe, i nostri acciacchi, le nostre vecchie malattie attraverso le quali, magari, saremo anche morti! Saremo eternamente giovani, eternamente belli, lo dimo-stra Pietro quando, sul monte Tabor, vedendo il corpo glorioso di Gesù dice: «Facciamo una tenda, fermia-moci qui insieme a Te, che sei bellis-simo, insieme a Mosè e ad Elia che sono luminosi come il Tuo corpo lu-minoso!». Ecco l’immagine di come

saremo eternamente. Dunque Dio ha un cuore giovane, e noi dobbia-mo avere il cuore giovane di Dio per accogliere i giovani (vedi pag. 59). Il primo passo per noi quando si avvicina un giovane, è di prenderlo per mano, soccorrerlo se occorre e portarlo nella Chiesa, ma prima del-le regole o di quello che a noi è caro, (come potrebbero essere le lodi, i vespri, un rosario o una messa), hanno bisogno del nostro amore.

La prassi della celebrazione eucaristica come allegoria del percorso spirituale di chi ricerca Dio

La Santa Messa, che è il fulcro del-la nostra religione, inizia, appunto, con il riconoscersi peccatori, biso-gnosi, pronunciando l’atto di peni-tenza.

CORPO MISTICOHo vissuto un’esperienza particola-re, che mi ha portato ad una ri%es-sione molto profonda sulla Chiesa. Quando morì il fondatore del Pic-colo Paese del Lago di Monte Co-

lombo, fui io a continuare portando avanti quei principi di pace, amore e fratellanza di cui era stato promo-tore. Pensai: “Ma di quest’uomo chi poteva parlare se non io che l’ho conosciuto? Se non il gruppo di persone che da lui aveva ricevuto o era stato bene!ciato? Chi poteva portare a compimento la sua vo-lontà se non queste persone? Non certo quelle del paese limitrofo! Non certo degli stranieri! Non certo

dei buddisti! Non certo degli indù o dei testimoni di Geova! Come po-tevano, se neanche sapevano della vita di quest’uomo o non ne cono-scevano il nome?”. Chi gli è stato ac-canto ha continuato a tenerne vivo il ricordo, il messaggio, l’esempio, a trasmetterlo anche al prossimo. Da lui arriviamo !no a oggi e sono già passati trent’anni!Ma così è stato, ho pensato, anche per la Chiesa: dai primi.. !no ad

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oggi! Se Leo Amici, il suo carisma, il suo spirito, ancora vive, così, oggi in grande, Gesù, che ha voluto e ha fondato la Chiesa! Egli è vivo nella Chiesa! E se sono certo che le mani-festazioni, le espressioni di Dio siano per tutti gli uomini e per tutte le religioni, se anche io sono certo che Gesù si manifesti anche a chi non conosce il Suo nome, e forse si presenterà a loro con un altro nome, sono certo invece che con il Suo nome si presenta a noi, in que-sto contesto in cui solo la Chiesa può portare nella storia il nome di Gesù e può portare la Sua presenza nella storia. Ecco perché si parla di Corpo mistico. È una realtà profon-da, una realtà che riusciremo a toc-care e di cui avere le prove che sia verità solamente se iniziamo quel percorso di cui abbiamo parlato.

RICONOSCERSI PECCATORIIn questo momento, virtualmente, abbiamo iniziato la Messa, dove abbiamo confessato i nostri pec-cati, dove ci siamo riconosciuti peccatori e bisognosi di misericor-dia. Dopo che ci siamo riconosciuti peccatori, questo riconoscersi bi-sognosi di qualche cosa, fa spazio dentro di noi (come quel giovane che si avvicina a qualcuno di noi, riconosce che nella sua vita c’è un vuoto e si predispone a colmarlo con qualche cosa che ci chiede o che spera che noi possiamo dargli). e in questo spazio agisce sempre la parola di Dio.

L’ASCOLTO DELLA PAROLAAnche nella Messa, dopo esserci riconosciuti peccatori e aver fatto questo vuoto, ecco che leggiamo l’Antico ed il Nuovo Testamento, ascoltiamo la Sua Parola e dopo la commentiamo o meglio il sacer-dote la commenta per noi. Nella nostra vita e nel nostro percorso individuale, anche noi di fronte alla parola di Dio dovremmo, anzi ab-biamo il dovere di pensare, di ana-lizzare, di capire, di farla penetrare a#nché possa schiarire zone d’om-bra, guarire punti ammalati.

PROFESSIONE DI FEDEE, continuando virtualmente in questo percorso, dopo il commen-to del sacerdote, solo a quel punto (riconoscendo che la parola di Dio ha colmato quel vuoto, ricono-scendo che la “buona novella” che abbiamo trasmesso a quel giovane ha colmato di speranza quel cuore), c’è una professione di fede, dove noi diciamo io credo! La parola di Dio, se è entrata dentro di noi, se ha colmato quel vuoto, se l’abbiamo analizzata, se l’abbiamo accolta e se ci siamo fatti curare, porta verso la fede.A quel punto il vuoto è stato col-mato e la verità ormai si è vestita di quelle parole, delle parole di Dio. Ecco che noi spontaneamente di-ciamo: “Allora Dio c’è , allora credo, allora è possibile, l’amore c’è!” Il fulcro di tutta la Chiesa, dicevo, è la Santa Messa, proprio perché il fulcro della Chiesa è Gesù. L’Eu-carestia è il momento in cui egli è presente nella Sua totalità umana e divina. Gesù possiamo metter-lo nel posto vuoto accanto a noi, Gesù si fa presente, Gesù possiamo accoglierlo nel nostro cuore, nella nostra anima, ma anche nel nostro corpo, quando andiamo a riceverLo nell’ostia consacrata. È stato Lui stesso a dirci fate questo in memoria di me, perché abbiamo bisogno di un percorso per arrivare !no a Lui, abbiamo bisogno anche di un rito che lo segnali. Questo percorso, che è individuale, ha bi-sogno di essere trasmesso ad altri che lo condividano, come ci ricor-dava questa mattina il nostro Ve-scovo: Gesù ci insegna a pregare - Dacci oggi il nostro pane quotidiano – Dacci, non dammi.

L’AMORE DIVENTA OFFERTAÈ importante per un giovane riu-scire ad aprire il suo cuore, a condi-videre, a dire: adesso credo, adesso sto colmando quel vuoto. È questa la Chiesa, l’unione tra persone che si amano. Vi lascio un nuovo co-mandamento - dice Gesù - amatevi come io vi ho amato. Nell’amarsi c’è il non tenere nulla per sé, ma il dare tutto agli altri e, spontaneamente,

un giovane lo fa quando inizia a colmare quel vuoto. Questa matti-na il vostro Vescovo (ma che pos-so considerare anche mio) diceva che spesso si pensa o si considera che da una famiglia malata, cresca un !glio malato e viceversa. È una bestemmia, come lui ha sottoline-ato. Però è anche vero purtroppo, e parlo per esperienza personale, che ci sono dei solchi nei quali è facile inciampare, ma che vanno ricol-mati del nostro amore per primo e dell’amore di un giovane, che ven-ga motivato a raggiungere questo !ne. Questo, nel percorso virtuale che stiamo facendo durante la Messa, diventa o!ertorio. Guardate come i passaggi siano precisi: solo dopo che mi sono riempito della Parola sento il desiderio di fare una pro-fessione di fede, dico è vero, l’amo-re c’è, Dio esiste e dopo o$ro la mia testimonianza, ho “bisogno” di dirla a qualcun altro. In questo c’è il sen-so della Chiesa, l’unione tra noi e l’o$ertorio. Nel caso di un educatore c’è l’o$er-ta totale di se stessi, come ha fatto Gesù, che ha dato la vita per i suoi amici. Dobbiamo infatti riuscire a far cedere con amore quel giova-ne, anche perché, purtroppo, la volontà è libera. Il Signore stesso si deve rassegnare. Sappiamo che nel giudizio, prima di vivere la nostra eternità, c’è un Paradiso, un Purga-torio, un Inferno (per de!nire le di-mensioni in gergo dantesco). Sono luoghi dove c’è la Sua presenza, la Sua educazione, la Sua assenza. Il Purgatorio, e dunque il ripulirsi da tutto ciò di cui l’anima si sporca. Ma noi siamo ancora in una dimensio-ne dove tutto è possibile, dove il Suo agire è possibile, dove il male dà delle opportunità che poi nella vita eterna non potremo avere più. Benché vivremo in pace, benché vivremo nella Sua luce, ciò che qui abbiamo seminato, lì lo raccoglie-remo: lo sforzo di questa vita non si potrà più ripetere nell’altra. La Chiesa, ci ha ricordato ancora il nostro Vescovo, spesso è vista come l’icona di una barca ed ecco anche perché abbiamo letto uno scritto

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sull’immagine di una nostra barca personale, dove potremmo anche salvare un naufrago, ma se non ab-biamo una direzione ben precisa, il naufrago può annegare. La Chiesa non è la nostra barca individuale, ma è la barca sulla quale noi pos-siamo salire. Anche nello spettaco-lo Chiara di Dio si vede bene questa icona della barca dove S.Chiara, in-sieme alle sue consorelle, pronun-cia delle parole precise (scritte da Maria Di Gregorio), che sono quel-le che dovremmo pronunciare noi all’interno della chiesa per essere Chiesa e sentirne l’appartenenza. Appartenere alla Chiesa non solo signi!ca “essere” (dopo aver per-corso tutti i passaggi), ma signi!ca anche essere talmente uniti agli altri in una situazione ecclesiale, in una situazione di unione profonda, per un solo !ne, con una unica di-rezione, che ci sentiamo di appar-tenervi proprio per la certezza di quello che stiamo vivendo. Come i ragazzi che abbiamo incontrato questa mattina, che hanno fatto la loro testimonianza di come, an-che pur non sapendolo, sono sulla Sua barca. Anche senza la consa-pevolezza di appartenere o di es-sere Chiesa, per loro l’importante è essere arrivati alla professione di fede, di trasmetterla ad altri e, dun-que, sono Chiesa. Nella loro stessa posizione, tanti anni fa c’era Giacomo, oggi invece nominato da Monsignor Russotto, Vescovo di Caltanissetta, responsa-bile della Pastorale Giovanile della sua diocesi. Giacomo oggi vive con sua moglie a casa Betania, casa del-la diocesi, luogo di incontro dove è stata aperta anche un’accademia. Mons. M. Russotto, lo scorso inver-no, ha dato vita a una “Missione Biblica”, una testimonianza a tutte le scuole della diocesi. Per questo porta con sé Giacomo, Michela, Leri e Francesco. (vedi pag.15)In questi incontri uno di questi studenti contestava la Chiesa, ne contestava la ricchezza, ecc.. a quel punto Giacomo, prendendo la pa-rola, risponde direttamente: «Io e mia moglie siamo partiti da Rimini,

abbiamo lasciato la nostra casa (di proprietà) e siamo venuti qui. Ab-biamo dormito nella casa di Santa Caterina insieme ad altri giovani, in una casa di accoglienza, ora il Ve-scovo mi ha fatto trasferire in Casa Betania qui a Caltanissetta. Ho la-sciato il mio lavoro, interpretavo San Francesco nel musical Chiara di Dio ad Assisi e sono venuto qui: io e mia moglie siamo poveri, ma io e mia moglie siamo Chiesa». Quel ragazzo si è seduto ed ha ascolta-to il Vescovo e tutto quello che di lì in poi avrebbe detto. Credo che sia molto emblematico questo epi-sodio, che ci serva tanto per capire profondamente che noi veramente siamo Chiesa!

LA CONSACRAZIONE, IL PADRE NOSTRO, LA PACEContinuando il percorso virtuale della Messa, siamo arrivati all’o$er-torio, all’o$rire tutto di noi o per-lomeno, per quello che riguarda il percorso di un giovane, a parlare di sé, ad avere il desiderio, la necessi-tà quasi, di trasmettere ciò che vive nel profondo del proprio animo. Arriviamo alla consacrazione, alla preghiera di Gesù che è il Padre Nostro e, nel percorso simbolico, il giovane inizia ad accettare la pre-ghiera che prima non accettava. Poi, lo scambio della pace dopo il Padre Nostro (perché la preghie-ra, soprattutto il Padre Nostro, da tanta pace), a quel punto, non è soltanto una testimonianza, ma è anche la pace che abbiamo rag-giunto.

LA COMUNIONEIn!ne la Comunione, dunque l’in-contro con Gesù. Questa è la tappa conclusiva di qualsiasi percorso, di qualsiasi inizio da zero. Ricordando le parole di ieri del vicario la Chiesa ha bisogno di mettersi in discussio-ne, di abbattere tutte le sovrastruttu-re che si è creata, anche se giuste, an-che se valide; e spesso si ha bisogno di ricominciare da zero. Nella ne-cessità di ricominciare da zero non dobbiamo avere la paura di perde-re per strada la nostra esperienza o

quello che della nostra esperienza è buono, perché ce lo ritroveremo come bagaglio leggero.

Agata (giovane interprete nella Compagnia siciliana di Carlo T.) - Ciao a tutti, ho conosciuto la real-tà che vivevano in Sicilia circa un anno e mezzo fa, quando stavano preparando il musical sulla vita di Padre Pio. Mi hanno catapultato sul palco come ballerina, ed ero felice di ballare, perché mi interessava solo quello. Facevo lo spettacolo ma non pensavo a Dio, non me ne importava proprio niente. Poi ho continuato a frequentarli, mi sono iscritta all’accademia in estate e ad ottobre abbiamo fatto tre repli-che dello spettacolo Chiara di Dio in provincia di Palermo. Sono sta-ti giorni caotici quelli delle prove, però mi sentivo forte, perché ave-vo ricevuto tanto. In una di quelle sere ho visto una signora piangere tra il pubblico e lì ho sentito Dio, perché mi sono detta "nalmente sei riuscita a dare quello che avevi ricevuto, non l’hai più tenuto solo per te! Da allora provo sempre a farlo, a trasmetterlo, anche inter-pretando l’angelo di Padre Pio. In questo percorso ho trovato tante di#coltà, perché non abito nel pa-ese dove facciamo le prove, e con la danza e la scuola tutto si rende-va un po’ di#cile, però ce l’ho fat-ta. In più quest’anno ho fatto una visita medica, mi hanno detto che non avrei più potuto ballare per problemi alla schiena, ma ho detto No!. Ho lasciato la scuola di danza del mio paese dopo dieci anni, ed è stato un trauma. Ma non ho voluto rinunciare a quello che avevo tro-vato, alla “famiglia”, al Dio che ho trovato, no non ci rinuncio! Allora ho iniziato ad organizzarmi con la scuola e la ginnastica correttiva, gli spettacoli, !no ad essere stata qui a San Giovanni Rotondo un mese e mezzo per gli spettacoli. Io non parlo mai, però ogni volta che rac-conto la mia esperienza mi sento bene, perché mi faccio conoscere e soprattutto perché voglio tra-smettere agli altri quello che sento,

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quello che ho capito.

Lucia (giovane interprete nella Com-pagnia siciliana di Carlo T.) - Sono arrivata a Manfredonia sapendo che avrei avuto la possibilità di in-terpretare la parte della Madonna, anche se nella mia vita non ho mai studiato canto come professioni-sta o altre discipline come danza, recitazione, che mi avrebbero fat-to sentire sicura di riuscire ad in-terpretare al meglio questa parte. Dunque ero un po’ spaventata e non stavo tranquilla. A tavola, men-tre eravamo insieme, non ho avuto la forza di dire quello che provavo, ma mentre ascoltavo ciò che dice-vano, ciò che provavano gli altri, ho sentito che questa preoccupa-zione, questa paura mi si sgretola-va dentro. Non so se canterò bene questa sera, però spero che non passi quello che sono io, ma che arrivi quella che è la bellezza della !gura della Madonna.

LA COMUNIONE DEI SANTICarlo Tedeschi - La comunione dei santi è anche la cura che le “grandi personalità celesti” usano nei nostri confronti, ma non solo nei nostri, che siamo attori e parliamo di loro, bensì verso tutti perché, come ab-biamo detto in precedenza, esiste un mondo invisibile più concreto della nostra realtà.

COME APPARTENERE ALLA CHIESAC’è uno scritto, pubblicato su A come amici che potrebbe servire come conclusione. Proviamo a met-terlo sulla bocca di Gesù: Volete es-sere Chiesa? Volete esserne i mattoni? In una chiesa ci sono tanti angoli, c’è l’altare, la sacrestia, ci sono i banchi, c’è l’Altissimo Signore Assoluto, Im-menso Amore, che vi è stato donato, che è stato donato all’universo. Allo-ra, volete essere i mattoni della mia Chiesa? Pensate se insieme potessi-mo farlo, non voglio da solo essere nel mondo. Desidero che, inchinan-doci al Cielo, voi rinasciate con me e diventiate la mia Chiesa, i mattoni

della mia Chiesa, un unico insieme su cui rimbalzeranno gli sguardi di tutti coloro che ameremo. Il mio cuore al centro, legato a voi come se ne foste i raggi, così questo nucleo di luce sarà quel che è giusto essere, darà quel-lo che è giusto dare. Dio attende il compimento di ciò che gli è dovuto. I mattoni sono umili, stabili, senza di loro nulla potrebbe essere edi"cato; i banchi accolgono, come un abbrac-cio; l’altare è il centro su cui tutti gli occhi si posano alla ricerca, qual-che volta disperata, di amore. Gli altari laterali accolgono i momenti personali, sono ornamento e mai si confondono con l’altare maggiore, pur essendone, nella similitudine, specchio e coronamento; le candele, con l’esile "ammella, testimoniano la perenne predisposizione di amore che vuole bruciare ma che va alimen-tato. Noi, voi, ognuno di noi che cosa vuole essere? Oggi è un mattone? Domani un banco che abbraccia, un altare laterale che accoglie i momen-ti personali che mai si confondono con l’altare maggiore, pur essendone nella similitudine specchio e corona-mento, oppure un’esile candela, che testimoniano la perenne predisposi-zione dell’amore che va alimentato? Non importa, chi siamo, siamo. Vole-te essere la mia Chiesa? Volete essere Chiesa? Commosso il mio cuore vi abbraccia, commosso guardo i cuo-ri di chi già inchinato sarà una nota di un grande concerto d’amore. Figli miei, la Chiesa dell’Altissimo sarà l’o-biettivo dell’animo di chi, ancorato al Cielo, vorrà stringere la mia mano. Andremo per il mondo e in silenzio ameremo

Laura - Questa mattina ancora di più mi sono svegliata con la gio-ia, con la gioia nel cuore perché ho provato la gratitudine di esse-re !glia di Dio, di poter dire Lui mi ama e anch’io posso amarlo e pos-so farglielo capire, attraverso i fat-ti, non solo parlando. Queste che dico sono parole, ma ogni giorno mi sforzo, cerco di ripulire, di non rispondere male, di tenere sempre il cuore aperto. In questi giorni ho

sentito parlare anche voi giovani, gli educatori, e mi ha fatto pensa-re a quanto veramente Dio ci vuole tutti vicino a Lui. Oggi, durante la messa, ho provato la gioia di can-tare. A me piace tanto cantare, sin da quando ero piccola. Poi crescen-do ho scoperto che si può cantare per Dio, che ti ascolta e che non ti fa mancare mai nulla, e questa cosa mi ha commosso tanto.

Asia - Oggi mi viene spontaneo sorridere, perché ho sentito e sento ancora tanta grandezza e tanta bel-lezza, quella che viene da Dio che lo sento forte. Sto gustando tutto questo, anche in questo momento che lo sto portando al vivo, e vole-vo dirvi che il sapore dell’amore è dolce, è tanto dolce e desidero che ognuno di voi lo possa sentire. Io sono convinta che questa sera du-rante lo spettacolo ognuno di voi sentirà tanto amore nel cuore. Io ho visto le prove e mi hanno tocca-to molto. È vero, è una compagnia amatoriale, ma non importa, per-ché quello che importa è il cuore. Sono contenta ogni volta che por-to al vivo quello che sento, perché secondo me è la base della ricerca e lo voglio fare tutti i giorni, come adesso. Sono contenta di vedervi, anche se non conosco la maggior parte di voi, però se è vero che Dio è mio Padre ed è vostro Padre, vuol dire allora che voi siete i miei fratelli e sono contenta di questo.

Fabio - Vorrei raccontare la mia sto-ria di come ho conosciuto Carlo e questa grande famiglia. Da piccolo ho avuto diversi problemi di salute. Era la settimana Santa e il venerdì i medici dissero ai miei genitori che avevo due ore di vita. Alle tre di quel venerdì santo riuscirono a salvarmi e da quel giorno ringrazio il Signore per essere ancora in vita. All’età di sette anni circa, per ciò che avevo ricevuto, i miei genitori mi hanno spinto verso la chiesa, la messa, il catechismo. Ho sentito il dovere di andarci, mi sentivo quasi obbligato, ma quando ero in chiesa non sen-

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tivo Cristo, mi sentivo come incate-nato, come se mi avessero buttato lì, senza conoscerne il signi!cato. Arri-vato all’età di undici anni i sacerdoti mi hanno spinto ad entrare in semi-nario e stando lì per un paio di mesi ho capito che non ero felice, non avevo conosciuto Dio, per questo ho abbandonato completamente la Chiesa e ho preso un’altra strada, la strada della droga, dell’essere bullo, mi sentivo superiore a tutti. Quando vedevo un povero, un ragazzo ma-landato, mi disgustavo, così volevo sentirmi felice ed ero arrogante, però, allo stesso tempo, mi sentivo solo. Gli amici non mi davano quello che cercavo veramente. Un giorno ho incontrato una mia amica in parrocchia che mi ha pro-posto di fare un musical. Ho accet-tato, non sapendo neanche di che musical si trattasse. Ho visto un gruppo di ragazzi che facevano le prove, sorridevano tutti, ho visto una vera famiglia. Provavano il mu-sical Chiara di Dio. Ho fatto le prove solo da comparsa e quella compa-gnia amatoriale ha organizzato un pellegrinaggio ad Assisi per il de-butto, nel 2008, di Chiara di Dio al teatro Metastasio. Ci sono andato e mentre vedevo lo spettacolo, io che non avevo mai avuto la voglia di fare musical, non so perché, mi immaginavo su quel palco, vedevo la luce di quei ragazzi che, mentre rappresentavano il musical, erano veri e mi avevano trasmesso tanto!Alla !ne del musical, Annamaria Bianchini, la protagonista, mi ha raccontato dell’Accademia del Lago e della possibilità di fare accademia. A quel punto ho detto a mia madre che, !nita la scuola, mi sarei trasfe-rito, ma lei non mi ha preso seria-mente in considerazione. È nata in me la voglia di conoscere la !gura di Francesco, così ho iniziato a far parte della Gifra. Lì ho scoperto S. Francesco e grazie a lui ho scoperto Cristo. Mi sono sentito veramente felice perché avevo trovato quello che cercavo. Sono diventato anche educatore dei ragazzi adolescenti della Gifra. Finita la scuola, ho chie-sto a mia madre di trasferirmi al

Lago di Monte Colombo, ma mi ha risposto di no. Un giorno un mio amico mi diede il semestrale della Fondazione, A come Amici, l’ho fatto vedere a mia madre e il giorno dopo mi disse: «Fabio, vai in agenzia e fai i biglietti del treno per il Lago, ho letto qual-che cosa che mi attira. Andiamoci!». Quando ho visto Chiara di Dio la prima volta sono andato nella ba-silica di San Francesco, ho iniziato a pregare e ho pianto tanto. Non avevo mai pianto così, !nché ho sentito dietro di me un signore che ha detto: «smettila di piangere, sor-ridi e fai sorridere sempre gli altri». Voltandomi, dietro di me non c’era nessuno, ma c’era la tomba di frate Leone! Questa cosa io non l’avevo detta a nessuno. Quando con i miei genitori sono andato al Lago ed ho conosciuto Carlo, mi hanno detto che c’era la possibilità di andare ad Assisi per frequentare l’accademia. Quindi mi sono dato da fare per cer-care casa con un mio amico e l’ab-biamo trovata a dieci metri dal tea-tro. Ho iniziato a frequentare i corsi. Nel periodo di Natale, mentre alle-stivano lo spettacolo Notte di Nata-le, 1223, Carlo, come già altre volte è accaduto, inserisce dei ragazzi iscritti all’accademia come compar-se, se a loro fa piacere farlo, così ha inserito anche me. Durante le prove generali mi chiama e mi fa un pro-vino per il ruolo di frate Leone, e mi dice: «Ricorda, se vuoi interpretare bene questa parte ti devi divertire e far divertire gli altri!». A queste pa-role ho collegato subito la voce che avevo sentito in basilica davanti la tomba di frate Leone. Poi Carlo mi ha inserito in Chiara di Dio e oggi sono ancora qui e lo ringrazio per avermi fatto entrare in questa gran-de famiglia del Signore.

Carlo T. - Continuiamo questo per-corso con le parole che il mio ve-scovo ha messo in bocca a Marco l’Evangelista, parole che spiegano bene che cos’è la Chiesa (da Apocri" del terzo millennio): «Se non si cam-mina dietro di Lui, non si arriva al Gòlgota; ma se arrivati lì non Lo si

riconosce come il vero !glio di Dio, allora si potrà anche essere laureati in teologia, ma non si è ancora ve-ramente cristiani». Ecco la Chiesa è Gesù, con noi, per il mondo. Se man-ca uno di questi tre elementi non si ha la Chiesa. Gesù da solo non fa la Chiesa, come non la facciamo noi senza di Lui, ma se noi con Lui non ci apriamo al mondo, noi non siamo la Sua Chiesa.

NASCE LA VOGLIA DI ESSERE CHIESADon salvatore - Mi viene sponta-neo nel cuore dire un grazie al Si-gnore. Alla !ne di questo quarto campo formativo, non mi resta che esprimere a nome di tutti un gran-de grazie. Andremo via con la con-sapevolezza che nessuno di noi è un “incidente” in questa storia, ma siamo tutti importanti, nella misura in cui siamo legati a Cristo. Da gior-ni come questi nasce la voglia di es-sere Chiesa, la voglia soprattutto di vivere !no in fondo quello che Gesù Cristo ci ha proposto e sono questi i momenti nei quali, fermandoci un attimo, ci rendiamo conto che non viviamo mai !no in fondo quello che ci chiede Gesù Cristo, perché non appena proviamo a viverlo, ci rendiamo conto che i polmoni si dilatano e le braccia non vogliono fermarsi solo per trattenere, ma co-minciano a voler dare, che i piedi sentono l’esigenza di andare perché la Chiesa è nell’andare, nel cammi-nare. Rendetevi megafono di quello che abbiamo vissuto qui in questi giorni, raccontate, perché il Vangelo è questo, la Chiesa è questo: il rac-conto! Quando si racconta si sta dicendo un’idea, si sta parlando di sé, quello a cui dobbiamo sentire di apparte-nere profondamente, perché c’è chi lo ama questo nostro “sé”, questa nostra persona che siamo. Questo ci aiuta ad appartenere sempre di più a noi stessi, come diceva Carlo, e a scoprire che l’appartenenza a sé non è chiusura, anzi! È appartenen-za a quella parte profonda di sé, che è il luogo dove abita Dio.

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Giovanni Giannone (pastorale giovanile diocesi di Manfredonia – Vieste – S.G. Rotondo) - Le attività della casa di Mattinata sono inerenti sicuramente il musical, ma rivolte a far stare insieme i giovani. L’in-tento e il desiderio che ho nel cuore è quello che in piccola parte si veri!cherà questa sera, dove tanti giovani di tante città, di tante parrocchie, potran-no esprimersi, potranno esprimere ciò che vivo-no dentro tramite uno strumento che è il musical; tramite gli incontri, tramite un dialogo personale, tramite tutto ciò che porta una condivisione di sé. Sì, perché il musical di questa sera non sarà rappre-sentato solo da una compagnia “u#ciale”, ma ci sa-ranno in scena molti ragazzi di Mattinata, di Monte Sant’Angelo, di Manfredonia, di San Giovanni, che abbiamo incontrato nelle parrocchie, nelle strade, nei quartieri e che, in qualche modo, si sono avvi-cinati al teatro; chi perché amava la danza, chi per-ché aveva voglia di stare insieme. Questa sera, quindi, sarà uno spettacolo particola-re, rappresentato da tanti bei giovani che stanno insieme e per questo devo dire grazie di tutto a Dio, a Carlo, a don Salvatore e a questa diocesi che, in questo momento e in futuro, accoglieranno, sono certo, tutto quello che può venire da un movimen-to del cuore di un giovane, che si proporrà e porte-rà avanti queste iniziative.

A conclusione del campo formativo, in Piazza del Popolo (Manfredonia)

il musical Serenata a Maria

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IL TEMPO È PREZIOSO…“Immagina – disse un tale ad un amico -, di trovare ogni mattina sul tuo conto bancario un accredito di 86.400 euro. Una bella fortuna, dirai. Ed è vero. Ma tieni conto che ci sono due clausole da rispettare. La prima è che quel denaro bisogna spenderlo tutto, entro la giorna-ta. Nemmeno un centesimo può essere trasferito in altri conti, o messo da parte. La seconda è che la banca può interrompere il quotidiano accredito in qualsiasi mo-mento, anche senza preavviso. Che cosa faresti di una tale fortuna?Preso così, alla sprovvista, l’amico rispose: “ma che stai dicendo! Una banca del genere non esiste. Dove vuoi arrivare?”. “E invece esiste, eccome! – precisò il primo -, e ne siamo tutti clienti. È la banca del tempo che, ogni giorno, regala a tutti ben 86.400 secondi. Da spendere tutti in giornata. Il bello è che la magìa ricomincia nei giorni successivi. Il meno bello è che il %usso dei secon-di può cessare in qualsiasi momento, senza preavviso”.Il messaggio della storiella è che il tempo – krònos, nel-la letteratura greca - è la cosa più preziosa che abbiamo. Ne parliamo sempre ma, come una realtà impalpabile, non sappiamo de!nirlo. “Se nessuno mi chiede cosa sia, io lo so - scriveva sant’Agostino nelle Confessioni. Se però qualcuno me lo chiede, non so rispondere”. Tutti sperimentiamo che il tempo è troppo lento per chi aspetta, troppo lungo per chi so$re, troppo breve per chi è felice. E sappiamo, soprattutto, che logora e sciupa ogni cosa (“edax rerum”, divoratore delle cose, scriveva il poeta romano Ovidio), a cominciare dalla vita stessa. Lo sanno bene gli anziani che sperimentano che “la giovinezza e i capelli neri sono un so#o”, come scrive il saggio Qoèlet (11,10) e che “cursus in "ne velo-cior” come dicevano gli antichi latini: la corsa, alla !ne, diviene più veloce. “Il tempo dorme, ma sollecitamente fa il suo corso”, scriveva santa Caterina da Siena. E io non so, come è stato detto con !ne umorismo, se il tempo sia il miglior medico; certo, è il peggiore estetista. E forse per que-sto la mitologia greca presentava Crono (il Saturno dei

Romani), come una crudele divinità che divorava i suoi stessi !gli.

…E NULLA È PIÙ PREZIOSO DEL TEMPOIl tempo è prezioso perché non concede alcun bis. A nessuno. L’istante appesa passato non torna più. È uni-co e irripetibile. Possiamo accumulare tutto, o quasi: il denaro, gli oggetti, i ricordi, per!no l’aria. Ma il tempo no, non possiamo metterlo da parte per quando ne avremo bisogno. Si consuma con lo stesso ritmo con cui arriva. Ed è prezioso perché equivale alla vita. La vita dura quanto il tempo, e !nisce quando il tempo scompare. Sprecarlo è dunque una pazzia. La pazzia di chi uccide la vita: propria o altrui.E’ allora importante viverlo bene, qui e adesso, utiliz-zando con sapienza ogni istante che ci viene donato. E non fare come quelli che perdono il tempo “aspettando che il tempo passi”, come scriveva l’umorista Giovanni Guareschi; e nemmeno come quelli di cui parla una deliziosa favola ebraica secondo la quale, un giorno, Dio mandò un angelo sulla terra per o$rire almeno a una persona il dono della felicità. Ritornato in paradiso, l’angelo aveva ancora quel regalo tra le mani. E a Dio che gli chiedeva spiegazioni disse: “Nessuno ha avuto tempo per ascoltarmi, perché tutti avevano un piede nel passato e l’altro nel futuro. Nessuno badava al pre-sente”.“Così fanno – a$erma ancora la santa senese – i perdito-ri del tempo dicendo sempre: Domani farò. E così giun-gono al punto della morte senza avvedersene: allora vogliono il tempo, ma non lo possono avere, avendolo già speso tutto miseramente” (Lettera 85). A questo punto d. Vittorio ha letto la seguente bellissima preghiera intitolata: NON HO TEMPO:

Sono uscito per strada.Tutti andavano, venivano, correvano.

Correvano le biciclette, le moto, le auto. Tutti.

TEATRO LEO AMICILAGO DI MONTECOLOMBO

INCONTRI DI SPIRITUALITÀa cura di Mons. Vittorio Peri, Vicario episcopale per la cultura Curia di Assisi

Il tempo... che siamo

Presentiamo una sintesi, rivista dall’autore, di due ri%essioni sul valore del tempo proposte da don Vittorio Peri nell’incontro di spiritualità del 29-30 settembre scorso, cui hanno partecipato, oltre a molti ragazzi e adulti dell’Associazione DARE, anche altre persone venute da lontano. L’incontro, iniziato nel pomeriggio di

sabato 29 e proseguito la mattina seguente, ha avuto inizio e conclusione sempre con dei canti intonati da alcuni ragazzi. Il testo che segue sintetizza i due diversi momenti della medesima ri%essione.

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Per non perdere tempo. Per guadagnare tempo.“Ciao, scusami, adesso non ho tempo”.

“Non posso aspettare, ripasserò più tardi”.

“Ti telefonerò domani, ora ho da fare”. “Vorrei pregare di più, ma ho tanto da

fare”.Il ragazzo deve andare a scuola, in piscina, all’allena-mento.Non ha tempo per il catechismo.La ragazza ha la danza, lo sport, le amiche.Non ha tempo per andare a messa.Gli adulti hanno i !gli, il lavoro, la politica.Neanch’essi hanno tempo.Solo gli anziani ne hanno,ma non sanno più cosa farne.Forse tu, o Signore, hai fatto i giorni troppo corti, le ore troppo veloci, la vita troppo breve.Tu, che sei fuori dal tempo,sorriderai nel vederci sempre di corsa, a$annati anche per le cose superflue, informati sul prezzo di tutto e sul valore di niente.Ti chiedo allora la grazia di fare con calma, nel tempo che mi resta,quello che è giusto che io faccia.

TEMPO QUANTITATIVO E TEMPO QUALITATIVOCi sono due modi di concepire il tempo. Il primo, è quel-lo scandito dalle stagioni e misurato dagli orologi. Po-tremmo chiamarlo tempo quantitativo o cronologico (dal greco krònos, tempo). Contenitore delle cose che ci mettiamo dentro, è uguale per tutti, anche se non tutti ne ricevono nella stessa misura. E’ uguale per chi edi!-ca e per chi demolisce, per chi ama e per chi odia, per chi fa la pace e per chi fa la guerra. I pochi minuti che servono per leggere questo opuscoletto sono gli stessi di chi sta camminando o di chi prega.Il tempo-krònos è casa e strada, patria ed esilio È la cornice entro cui ciascuno di-pinge la propria tela. La cornice è il dono che Dio fa a ciascuno; la tela è il dono che facciamo a lui. La cornice è la stessa, e non dipende da noi; la tela è diversa, ed è come la vogliamo. Può ra#gurare scene di vita o di morte, di pace o di guerra; può essere dipinta con colori luminosi, oppu-re cupi. Fuori metafora, dipende da ciascuno far sì che il proprio sia un tempo di grazia e tramutare il semplice krònos in kairòs. È questa la parola biblica che de!nisce l’altro modo di considerare il tempo: quello qualitativo. Il termine kairòs indi-ca non il contenitore, ma il contenuto del

tempo: ciò che in esso avviene, ciò che noi facciamo. Un’ora di sballo in discoteca è cronologicamente ugua-le a un’ora passata a curare un malato, ma i contenuti sono divergenti. Il krònos è lo stesso, ma il kairòs è assai diverso. Il tempo storico si apre al tempo eterno ogni volta che un qualsiasi frammento di vita si arricchisce di amore. Nella Scrittura, indica il tempo della conversione - “È or-mai tempo di svegliarvi dal sonno”, scrive s. Paolo nella lettera ai Romani (13,11) -, da non rimandare al dopo perché inesorabilmente sfugge dalle nostre mani. E può sfuggire come sabbia riarsa, o come semente per un nuovo germoglio. Siamo noi a decidere l’una o l’al-tra cosa.

TEMPO CHIUSO E TEMPO APERTOLa sostanziale diversità di questi due tempi può essere evidenziata attraverso due contrapposte immagini ge-ometriche: il cerchio e la linea. Il cerchio, visivamente, rimanda a una realtà chiu-sa, ripetitiva come l’orbita di una giostra. Un’orbita in cui l’uomo è costretto a girare e rigirare senza tregua, come un asino attorno alla mola, obbligato a ripetere il passato senza la possibilità di piani!care un cammi-no diverso. Un uomo che ha davanti non un futuro da programmare con fantasia e libertà, ma un semplice avvenire già pre!ssato: qualcosa che accade alla velo-cità di sessanta minuti all’ora, qualsiasi cosa si faccia e chiunque la faccia.Di questo tempo ripetitivo il libro biblico del Qoèlet pre-senta una poetica descrizione che il relatore ha fatto leg-gere ad una persona presente al teatro Leo Amici:

“Una generazione va e una generazione viene, ma la terra resta sempre la stessa.

Il sole sorge e il sole tramonta, si a$retta verso il luogo dove risorgerà.

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Il vento so#a a mezzogiorno, poi gira a tramontana,gira e rigira, e sopra i suoi giri il vento ritorna.

Tutti i "umi vanno al mare, eppure il mare non è mai pieno: raggiunta la loro mèta,

i !umi riprendono la loro marcia.(…) Ciò che è stato sarà, e ciò che si è fatto si rifarà.

Non c’è niente di nuovo sotto il sole.C’è forse qualcosa di cui si possa dire: ‘Guarda, questa è

un novità?” (1, 4-8; 9-10).

ALTRI DUE SIMBOLIQuesta visione ciclica, e dunque pessimistica del tem-po e della vita, è rappresentata in modo emblematico dalla vicenda del mitico Ulisse, protagonista del cele-berrimo poema omerico dell’Odissea. Ulisse, re di Ita-ca, lascia la sua isola, partecipa alla decennale guerra contro Troia, compie una drammatica navigazione !tta di tempestose avventure, e alla !ne ritorna all’isola da cui era partito. Da Itaca ad Itaca: un perfetto itinerario circolare, ripetitivo come l’eterno Sali-scendi del dispe-rato Sisifo lungo la costa della montagna per riportare in cima il masso che ripetutamente precipita a valle. Un eterno ritorno dell’identico. Una cupa visione che il caustico Ambrose Bierce pennella con la folgorante battuta: “L’anno solare? Una serie di 365 delusioni”.La visione lineare del tempo può essere ra#gurata dal patriarca del popolo ebraico, Abramo, di cui parla il li-bro della Genesi. Su invito del Signore, egli lascia la terra mesopotamica dove pensava di piantare le tende per sé e per i suoi, e inizia un cammino senza sapere dove sarebbe arrivato. Unica carta di navigazione: la promes-sa di Dio: “Vattene dal tuo paese, dalla tua patria e dalla casa di tuo padre verso il paese che io ti indicherò. Farò di te un grande popolo e ti benedirò” (12, 1-2). Fidando-si della Parola, Abramo giunge in Egitto e, dopo mille peripezie, approda nella “terra promessa”, l’attuale Terra Santa. E là conclude i suoi giorni. Il lungo suo cammino, ascendente e aperto al futuro, appare l’emblema di un’esistenza guidata, presa per mano dall’Alto e proiettata sull’in!nito orizzonte ove l’uomo diventa più grande di se stesso; ove, scriveva Biagio Pascal “l’uomo supera in!nitamente l’uomo”. L’orizzonte di Dio.Ulisse e Abramo: !gure di due contrapposte concezio-ni del tempo e della vita: quella pagana o comunque agnostica, per la quale ogni istante della vita è un pas-so verso la morte, e quella biblica. Da una parte la vita quasi ingabbiata; dall’altra, aperta al futuro e tras!gu-rata. “Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra – si leg-ge nell’Apocalisse - , perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi, e il mare non c’era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme. (…) Non ci sarà più né lutto, né lamento né a$anno, perché le cose di prima sono passate. (…) Ecco, io faccio nuove tutte le cose” (21, 1-2;4-5). Per la fede cristiana, in particolare, l’orbita del tempo è

stata come spezzata dall’incarnazione e dalla risurrezio-ne di Cristo, il cui insegnamento annuncia che ciascuno può avere un futuro totalmente diverso dal passato (la conversione!). Con lui, il tempo è divenuto come una linea ascensionale, aperta alla speranza. Un tempo non più perduto, ma redento; non più circolare, ma lineare; non più prigione, ma casa. L’uomo non è più costretto a rappresentare il solito dramma, a girare su se stesso come una trottola. “Non ricordate più le cose passate, non pensate alle cose an-tiche! Ecco, io faccio una cosa nuova…”, scrive il profeta Isaia (43, 18).“Solo dopo Cristo – si legge in quel grande a$resco che è il romanzo Il Dottor Zivago - i secoli e le generazioni hanno respirato liberamente. Solo dopo lui è comincia-ta la vita nella posterità e l’uomo non muore più per la strada sotto un muro di cinta, ma in casa sua, nella storia, nel culmine di un’attività rivolta al superamento della morte”.

CONTINUITÀ NELLA DISCONTINUITÀLa risurrezione – verità di fede! -, reintegra l’umanità nello stato in cui si trovava prima della morte, e tuttavia spiritualizzato, in un rapporto di continuità/discontinu-ità le cui modalità ci sfuggono. La discontinuità è data dall’alterità tra il presente e il fu-turo, allo stesso modo che la notte si dilegua all’arrivo della luce. La continuità, invece, sta nel fatto che la vita storica si tramuta in vita eterna. Non in un’altra vita, ma in una vita che diverrà altra, totalmente diversa; non contrapposta, ma in continuità con questa. Ove saremo sfamati dal pane che avremo condiviso, immersi nella pace che ora stiamo costruendo, uniti a Colui per il qua-le e con il quale viviamo. Possiamo anzi dire che abitiamo già, in qualche modo, dove è orientato il nostro desiderio (de-sideribus, dalle stelle), perché un cuore che desidera Dio riposa già in lui. Diversamente, è sempre in esilio, perché essere in esilio non è stare lontano dalla patria, ma non averne nostalgia. In quel giorno senza tramonto saremo noi stessi, anche se non più gli stessi. Noi stessi e nel contempo diversi, perché ri-creati. Se così non fosse, sarebbe annullata la continuità del nostro “io”, l’irripetibile identità di ciascu-no e la continuazione delle gioiose relazioni che rendo-no vivibile la vita terrena.

IL TEMPO SIAMO NOITutto questo ci dice che il tempo non è qualcosa di di-verso da noi, ma che noi siamo il nostro tempo. È quel-lo che ne facciamo e come lo viviamo. Sant’Agostino, con il solito acume, diceva che non si dovrebbe parlare di passato, di presente e di futuro: tre tempi che sono nella nostra mente, ma non nella realtà, ove esiste solo l’attimo che ci è donato. È solo nel presente che possia-mo parlare di passato e di futuro. Un presente, tuttavia,

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che in un lampo diventa passato. Ce n’è abbastanza per renderci conto che il “qui e ades-so” è una moneta da spendere con saggezza, in vista della vita che ci attende. Che poi – giova ripeterlo -, non sarà un’altra vita, ma una vita altra da questa. Una sua continuazione. Il tempo è dunque ciò che ne facciamo. Ce l’ha detto Gesù stesso, all’inizio della sua missione: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino. Convertitevi e cre-dete al Vangelo”. Pensava a noi - a me che scrivo e a te che stai leggendo -, quando pronunciava queste pa-role. È dunque questo il momento di accogliere la sua Parola per dare signi!cato alla vita. Ecco perché, ad una blasonata signora, con piena ra-gione Caterina da Siena scriveva: “Non aspettate il tem-po, perché il tempo non aspetta voi”.

Al termine della vita – ha detto il relatore concludendo la ri%essione -, ricorderemo con gioia il tempo vissu-to alla luce del Vangelo, mentre rimpiangeremo quello sprecato spendendo denaro per ciò che non sazia (cf Isaia 55,2) o, inseguendo ciò che è vano, annullando-ci (cf Geremia 2,5). Tale infatti diventa la persona quali sono le cose che ama.E, allora, più che la quantità dei giorni che viviamo, con-ta la qualità di ciò stiamo facendo.E se è importante far sì che si aggiungano giorni alla nostra vita, ben più lo è aggiungere Vita ai nostri giorni illuminandoli della luce di Colui che a Marta assicurava di essere “la Risurrezione e la Vita” (Gio-vanni 11,25).

Il 22 Settembre sono giunti al Teatro Metastasio di Assisi, quali ospiti graditi, l’illustre tenore di fama internazio-nale Andrea Bocelli e la gentilissima compagna Veronica. L’evento è stato organizzato dal Centro internazionale per la pace fra i popoli di Assisi, che ha voluto conferire all’artista il premio “Pellegrino di Pace”, quale personaggio

illustre del nostro tempo che si distingue nell’ impegno per la solidarietà.«Prima di me - a$erma il cantante - hanno ricevuto questo premio persone come Madre Teresa di Calcutta, che per la pace hanno fatto veramente molto. Mi sento indegno di ritirare questo premio perché per la pace ho fatto, per ora, ben poco, anche se in essa ho sempre creduto come valore essenziale, principale per la vita di ciascuno di noi. È al vertice di tutti quei valori che un uomo deve cercare di inseguire per essere felice».Andrea Bocelli ha ricevuto e ritirato il prestigioso premio il giorno stesso del suo compleanno: Auguri! E gli artisti della Compagnia di Carlo Tedeschi, hanno potuto omaggiarne il talento e l’umanità cantando per lui un brano tratto dal musical Chiara di Dio.

Buon compleanno... Andrea Bocelli!Un omaggio al celebre tenore, ospite al Teatro Metastasio di Assisi.

«Siamo giovani artisti in cammino. Ciò che ci lega a lei, oltre all’ar-te e alla passione per questo mezzo straordinario, che è un gran-de dono del cielo, è qualcosa di umano, o meglio, qualcosa di più grande di noi. Noi crediamo in qualcosa di più grande e vogliamo trasmetterlo, come Carlo Tedeschi lo ha trasmesso a noi. In que-sto abbiamo trovato la nostra realizzazione come artisti sì, ma soprattutto come uomini, con dei valori quali la fede. Spero che tra noi nasca qualcosa di più, sia come uomini che come amici. La invitiamo quindi al Lago di Monte Colombo dove troverà sempre una famiglia e lo stesso Carlo ad accoglierla.»

Francesco (Compagnia teatrale)

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7 OTTOBRE 2012XXVII EDIZIONE DELLA GIORNATA DELLA SOLIDARIETÀ

“Quando un uomo tira fuori i suoi valori e li riconosce diventa un ingranaggio vivente.

Se invece non li tira fuori e non li riconosce, li soffoca”

Si sono concluse anche quest’anno le giornate in memoria della nascita di Leo Amici che vedono presenti centinaia di persone provenienti da ogni luogo, spinti e legati da un comune sentimento: quello della soli-darietà. In particolare, è giunto un gruppo di seminaristi della diocesi di Caltanissetta, accompagnati da S.E.

Mons Mario Russotto e proprio in virtù di questo arrivo si sono svolti due incontri di esercizi spirituali tenuti da Carlo Tedeschi, sul tema “Quando un uomo tira fuori i suoi valori e li riconosce diventa un ingranaggio vivente. Se invece non li tira fuori e non li riconosce, li soffoca”. Viene riportato qui di seguito un sunto della tematica svilup-pata, alla quale si sono alternate testimonianze e brani cantati dagli artisti della sua compagnia.

(Tratto dalla deregistrazione degli incontri)

Carlo Tedeschi - Nella mia vita non penso mai vado a pregare, ho biso-gno di pregare, perché continua-mente mi sento “in preghiera”. Il solo fatto di respirare è una lode al Signore. È Lui che ha creato il nostro respiro, è Lui che ha dato il primo so#o al nostro corpo e lo ha fatto vivere. Dunque la nostra vita, ogni nostro pensiero (se si è consapevo-li), è una continua preghiera. Noi respiriamo nel respiro di Dio, arrivando a Lui attraverso la strada splendida, luminosa, che è Gesù.

Respiriamo il respiro dello spirito di Dio, del Santo Spirito, continua-mente, ecco perché la nostra vita dovrebbe essere una preghiera, un incessante consapevole collega-mento con Lui. Il nostro amore, i nostri sentimenti, benché piccoli, fanno parte dei suoi sentimenti, del suo amore. Il nostro amore è una piccola goccia del suo oceano d’amore. La goccia di un oceano, se la assaggiamo, sa di mare, è salata come tutte le altre in!nite gocce che lo compongono,

dunque, benché piccolo, il nostro amore è l’amore di Dio. Nella mia preghiera continua, nella mia consapevolezza costante di es-sere nel cuore di Dio e di avere Dio nel mio cuore, pensando a voi, mi è venuta nella mente la frase che poteva essere il tema di queste gior-nate insieme: «Quando tiri fuori i tuoi valori e li riconosci, diventi un ingranaggio vivente; quando non li riconosci, li so$ochi».

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I VALORI DELL’UOMO I valori sono i talenti che Dio ci ha dato, che troviamo nel nostro cor-po, quelli che l’anima usa nell’e-sprimersi; quelli del nostro modo di porci di fronte al prossimo, di fron-te ai sentimenti, di fronte alla fede. Sono quelli che abbiamo cresciuto, in diversa misura, attingendo ora gli uni, ora gli altri sin da bambini, mi-sure che diversi!cano il nostro esse-re da quello di un’altro.La parabola dei talenti del Vangelo ci insegna a non sotterrarli. «Quan-do tiri fuori i tuoi valori e li ricono-sci, diventi un ingranaggio vivente. Se non li riconosci...» Se non li rico-nosci è perché non li hai tirati fuo-ri, dunque non li hai visti all’opera, li hai lasciati sotto la terra e non ri-cordi nemmeno più, dopo un po’ di tempo, se sono moneta d’oro o d’ar-gento, se di bronzo, se diamante, o acqua marina, non ricordi più nulla. Ognuno di noi ha un compito nel-la sua vita, una missione da svol-gere ma, e mi riferisco ai seminari-sti presenti: chi sceglie la strada del sacerdozio, sceglie una via del tutto particolare, una strada diversa dagli altri fratelli. Dunque a maggior ra-gione avete bisogno di esprimere i vostri valori e di riconoscerli.Perché? Non certamente per farne un vanto, ma perché ogni nostro va-lore, ogni nostro talento è un arma, un’arma al servizio di Dio, uno stru-mento attraverso il quale l’amore di Dio può esprimersi.I nostri talenti o componenti sono tanti: la bontà, l’umiltà, l’intelligen-za, la volontà, ecc.Siamo esseri complessi, non sola-mente !sicamente, ma anche mo-ralmente, spiritualmente. Ciò che ci anima, ciò che anima il nostro cor-po, che è vita formata da anima e spirito, è un’entità complessa. L’a-nima è sicuramente più complessa del corpo, o perlomeno complessa ai nostri occhi ma non tanto agli occhi di Dio che dimostra invece, continuamente, di conoscerci. Com-plessa perché, ricca di tante espres-sioni, reazioni e manifestazioni. Riconoscerle signi!ca avere armi, strumenti attraverso i quali l’amore di Dio può esprimersi, attraverso i

quali noi stessi possiamo esprimer-ci: noi con la goccia d’oceano, Dio con il suo in!nito oceano di gocce d’amore. NOI , UOMINI COME GESÙ (o meglio GESÙ COME NOI UOMINI) Sono strumenti che Egli ci ha dato per farci perfettibili e contrastare il male che ci impedisce di essere per-fetti ai suoi occhi, di essere Gesù. Noi, il nostro “spirito”: lo spirito con cui faremo le cose, lo spirito con cui ameremo Dio, lo spirito con cui ameremo i nostri !gli, lo spirito con cui faremo i sacerdoti, lo sviluppere-mo mano a mano che le espressioni dei nostri valori modelleranno il no-stro “essere” e dunque una “persona-lità” in Dio Padre.Dio non fa discriminazioni: nascia-mo tutti intelligenti, completi, non ci sono distinzioni di fronte ai suoi occhi; nasciamo diversi gli uni dagli altri, ma totalmente perfet-ti nella nostra perfettibilità. Se qualche bimbo nasce con qualche imperfezione, ci sono motivi forse misteriosi a noi, ma non misteriosi agli occhi di Dio e tutto ha una sua spiegazione. L’anima particolare e divina di Gesù con i componenti umani, si è ritrova-ta dentro il suo corpo, esattamente come noi ci siamo ritrovati dentro al nostro, divenendo un unico essere. La di$erenza tra Lui e noi qual è? Lui non si è fermato mai, Lui vera-mente ha ubbidito alla spinta inte-riore, a ciò che batteva dentro il suo petto a ciò che lo ha portato, nel de-serto, a non cedere alle tentazioni. Anche nel petto di ognuno di noi vive la coscienza della voce di Dio che ci indica il nostro "ne. La fedeltà di Gesù e la sua ubbidien-za verso il Padre sono state incre-dibilmente grandi, come grande, dunque, è quell’oceano divino che è entrato in Lui, ma che il suo corpo poteva contenere solo nella sostan-za (come il nostro) e non nella in!-nitezza dell’amore del Padre. Vero è, infatti, che sono due persone distin-te, come distinto è il frutto del loro amore che diventa tuttavia la perso-na dello Spirito Santo (pur scorren-do l’uno nell’altro), e dunque perso-

na unica; come unica è la divinità. Anche noi saremo, dopo la morte, tutti in tutto, che è Lui. Già oggi però possiamo sperimen-tare questo scambio d’amore tra il Padre, il Figlio e il loro Spirito Santo, con la piccola goccia d’oceano, che siamo noi, che è il nostro amore, che è il nostro valore, somma dei talen-ti o componenti dell’essere che ci sono stati donati.

LIBERTÀ DI ESPRESSIONE PER AMARE Siamo sempre un po’ schivi, un po’ reticenti nel parlare di noi, nel dire di noi, nell’esporre a cuore aperto i nostri princìpi. Non siamo mai liberi. Siamo ostacolati da una forza che ci sembra superiore alla nostra e che ostacola il percorso verso Dio, la nostra fusione in Lui, che già respi-ra con noi, che già vive con noi. Ma che ugualmente ci insegue e ci cor-teggia per fondersi in noi, per avere in se stesso un’altra parte di quel se stesso da cui si è separato quando ci ha dato la vita: perché la vita era nelle sue mani e gli apparteneva. Come i genitori danno qualcosa di sé, a#nché da quel momento pos-sano chiamarsi madre e padre, così Dio ha dato qualcosa di Sé perché noi vivessimo e perché con Lui condividessimo questa nostra vita che si sta realizzando qui, in questo passaggio, in questo banco di pro-va, !no all’eternità, quando questo percorso sarà !nito. Quanto è di#cile per noi esprimere ciò che abbiamo nel cuore! Ciò che pensiamo! Dire quali sono i nostri princìpi! Se non li esprimiamo non conosce-remo la libertà. È meglio tirare fuori i nostri pensieri, i nostri sentimenti, gli impulsi, le vergogne, le timidez-ze; tirare fuori signi"ca poterli va-lutare, giudicare, e a quel punto, come sopra un tavolo, poterli "-nalmente guardare nitidamente, nei contorni. Quando invece sono dentro di noi i nostri pensieri, den-tro la nostra testa, non hanno mai un nome; cercano di condizionarci ver-so qualche cosa che si rivela spesso negativo. Quando ci esprimiamo, quando parliamo, quando li tiria-

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mo fuori da noi stessi, sentiamo che questo ci porta sempre verso qual-cosa di positivo. Anche se il nostro pensiero o quello che diciamo con la bocca fosse l’esternare qualcosa di negativo o fosse un lamento, un pensiero sbagliato, un’idea sbaglia-ta, il fatto stesso di tirar fuori signi-!cherebbe che da solo posso giudi-care, posso valutare, o qualcun altro può farlo per me perché mi senti-rebbe parlare, udrebbe qualcosa di mio. Dunque, anche attraverso qualcun altro Dio potrebbe dirmi delle cose, se io saprò riconosce-re la Sua voce e le Sue parole, non solo dentro di me quando penso tra me e me e !ltro con la mia coscien-za, ma anche quando qualcun altro potrà parlare con me.

Anche il risultato dell’intimo collo-quio con Dio attraverso la preghie-ra, non riesco a tenerlo per me. Ho bisogno di comunicarlo. Anche se fosse il frutto certo del risultato del mio pensiero fuso col pensiero di Dio, io sento il dovere di comunicar-lo e non di tenerlo solo per me. Do-vremmo farlo tutti, perché proprio nel dirlo c’è il senso della nostra vita: comunicare l’uno con l’altro. Dio non ci avrebbe mai creato un corpo se non avesse potuto co-municare con noi, se non avesse sperato che, il popolo in"nito go-vernato da Lui, un giorno, avreb-be comunicato con Lui, anche e per sempre nell’eternità. Come po-trebbe Dio parlare con noi, come potremmo capire il Suo linguaggio o il Suo sguardo? Benché Egli sappia come fare con noi, così come noi, in piccolo, sappiamo fare con un bam-bino parlandogli col suo linguaggio, ciò non basta. È bello infatti parlare con un bimbo, ma è indispensabile anche parlare con il proprio simile, la propria donna, l’amico, il sacerdo-te. Parlarci ad un livello più alto del-le contingenze quotidiane, ad un li-vello dove io ti do e tu mi dai, dove c’è uno scambio d’amore vero. È questo che desidera Dio da cia-scuno di noi. Dio ci chiama per nome. Dio co-nosce il nostro nome, ci ha dato il nome indicandoci la nostra

strada. Desidera comunicare con ognuno di noi. Percorriamo bene o male, consape-voli o meno, la strada di Gesù che porta al Padre. Gesù che ci prende per mano e ci conduce. Gesù: il no-stro modello gradito a Dio! Un mo-dello, di ubbidienza. Modello che si è realizzato anche terrenamente, umanamente, con lo sforzo dell’u-mano, con lo stesso sforzo che noi usiamo per poterci esprimere, per poter parlare l’uno con l’altro. Ecco perché Gesù ci dice: <Vi do un nuo-vo comandamento: Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato>. Ama-tevi gli uni gli altri! Che cos’è l’amore se non l’espres-sione totale e completa dei valori che Dio ha messo dentro di noi?

I COMPONENTI NEGATIVI C’è sempre , però, un componente opposto, negativo, che si frappone. Anche i seminaristi, nella propria vocazione, hanno avuto l’illumina-zione, e poi una spinta, quindi una corsa verso la loro “meta”, dopo-dichè l’insicurezza, l’incertezza, il dubbio, il discernimento, la lotta, la vittoria...o la scon!tta che declina in un’altra direzione.C’è sempre qualcosa di negativo che si frappone tra noi e la nostra ricerca di Dio e, se già crediamo, tra noi e la realizzazione del modello gradito a Dio come quello di Gesù.

ESSERE COME GESÙQuando Gesù è stato croci!sso, chi lo ha condannato, pensava di averne chiuso un capitolo. Gesù era stata una !gura scomoda: ben-ché semplice, umile, buona. Pro-prio per tutto ciò, era innocua agli occhi di tutti ma non a quelli dei potenti. Certamente anche Pilato, uno degli ultimi che lo ha guarda-to negli occhi, ha avvertito nell’a-nima che quest’altra “anima” era di una grandezza in!nita e che in qualche modo faceva parte della propria vita, della propria eternità dalla quale proveniamo e alla quale stiamo riapprodando. Se la Sua vita proveniva da Dio, Pilato come pote-va non sentirlo, non avvertirlo? Se ne lava però le mani e come molti

altri che lo avevano incontrato. Pie-tro agisce, si può dire, come Pilato, pur avendo assaporato le carezze di Gesù, toccato le sue mani; pur avendolo potuto accostare, sentire il profumo dei suoi capelli cosparsi delle essenze della Maddalena; pur avendo udito la sua voce, guarda-to il colore e la profondità dei suoi occhi, lo rinnega tre volte e per ben tre volte si “lava le mani” di tutto ciò che aveva visto e di cui poteva te-stimoniare. Eppure è proprio Pietro che, dopo aver vissuto ed espresso !no ai con!ni più bassi la sua ter-renità, la sua umanità, risorge, gra-zie all’amore di Gesù. Dalla “morte” dell’anima diventerà un “altro Gesù”. Così Paolo, nonostante le iniziali dif-!coltà, le persecuzioni, la condanna a morte, risorgerà quale “altro Gesù”, e poi ce ne sarà un terzo, un quar-to, un quinto, !no dieci, cento, mille Gesù nel mondo. Noi dobbiamo essere un altro Gesù. Ciascuno di voi sacerdoti, per pri-mo, deve essere un “altro Gesù”, altrimenti sarete ostacolo a tutte le persone che vi incontreranno per essere, a loro volta, altri Gesù. Tutti abbiamo bisogno di vedere Gesù attraverso il colore dei vostri occhi; attraverso le vostre mani, le vostre parole; attraverso i vostri componenti realizzati in Lui, attra-verso i valori che bisogna tirare fuo-ri, riconoscere per diventare ingra-naggi viventi nel respiro di Dio, nella perfezione dove Dio ci porrà, dove Lui potrà agire, anche in noi.

Francesco T. – Ri%ettevo sul ti-rar fuori i propri valori... È una cosa che ho iniziato a fare poco tempo fa, quando ho iniziato a considera-re davvero l’esistenza di Dio. Tirare fuori i valori vuol dire riconoscerli.. si ha voglia di farli vedere al mondo. Nella conoscenza di se stessi, si ti-rano fuori scoprendo la bellezza di ciò che Dio ha seminato dentro di noi e dunque di poterli esprimere al mondo. Si sente anche l’esigenza di far vedere al mondo o di dire ciò che di bello è successo nella propria vita, così come è accaduto a me. Per diciott’anni ho sempre represso

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i miei valori, li ho schiacciati perché non avevo mai trovato né ambiti, né possibilità, né persone a cui farli vi-vere e mostrarli, né avevo mai con-siderato Dio in tutta la Sua perfezio-ne. Vivevo una vita infelice, niente mi soddisfaceva, mai. Da quando Carlo per la prima volta mi ha abbracciato, da quando sono arrivato al Lago di Monte Colombo occasionalmente e da quando ho visto in esso riversato un amore così grande, una realtà così meraviglio-sa, ho iniziato a considerare Dio. Più passa il tempo e più sento di voler o$rire tutto di me stesso, di voler tirare fuori i miei valori e dunque ricambiare tutto ciò che mi è stato dato. Voglio vivere nella bellezza di una vita all’insegna dell’amore. Dare l’amore. Quello di cui abbia-mo sempre tutti bisogno. Prima di questa mia scelta, inconsa-pevolmente, ero bisognoso d’amore ma !no a quando non ho trovato il Vero Amore, quello che proviene da Dio e che Gesù ci insegna non avevo mai trovato la felicità. Io voglio esse-re il testimone di questo per tutti i giovani presenti e per quelli che lo sono stati. Solo in questo procedi-mento ho trovato la mia realizzazio-ne, in tutto.

Carlo Tedeschi - Io conosco Gesù, attraverso la piccola parte di quella goccia di cui abbiamo parlato prima. Lo conosco, conosco il suo “sapore”, conosco il suo “profumo”, lo ricono-sco quando ci riempiamo della gra-zia di Dio, lo riconosco nei miei fra-telli, nelle mie sorelle, ma non è solo una peculiarità mia. Tutti Lo ricono-sciamo. Tutti sentiamo il calore del sole, tutti sentiamo il freddo dell’in-verno, tutti gioiamo se qualcuno ci parla con dolcezza, ci fa una carezza. Tutti possiamo avvertire Gesù in un altro fratello, nel prossimo. Anni fa anche Vassily (russo di ori-gine, oggi 22enne, ma da bambino colpito dal disastro di Cernobyl e curato nella crescita dal l’Ass. Dare), qui presente, volle sperimentare quello che aveva “sentito” in un in-contro come quello di oggi parlan-do a Gesù, anche con qualche can-zone. E Gesù fece per lui una cosa

straordinaria, come per ringraziare questo ragazzo che si era spinto così in avanti verso di lui, come per dargli prova che tutto è vero: entrò quasi prepotentemente in lui. Pur mante-nendo naturalmente i tratti del vol-to di Vassily, il suo volto era molto rilasciato, i suoi occhi dolcissimi, tra me e lui percepii una straordinaria intesa, come quella che sento tra me e quel “me” colmo di Gesù. Per la prima volta, sentii e “vidi” Gesù al di fuori di me stesso, mi sembrava di poterlo quasi toccare. Da quel mo-mento la collaborazione di Vassily con la mia persona, per tutti i giova-ni che abbiamo incontrato in quei giorni, fu straordinaria. Naturalmen-te questa bellezza di Dio, non pote-va durare per sempre.Dio rispetta la nostra libertà, i nostri tempi, la nostra maturità. Un "ore per dare profumo ha bi-sogno del tempo e ogni "ore ha il suo tempo, e così Vassily.

Vassiliy - La prima volta che sono venuto in Italia avevo otto-nove anni e sono rimasto per un periodo di tre mesi d’estate e due mesi d’in-verno durante i quali ho conosciuto la coppia che mi ha adottato. Il tutto è durato per altri cinque o sei anni !nché un giorno mi hanno detto “noi ti veniamo a prendere”. Quella era la cosa che io volevo anche per-ché provenivo dall’orfanotro!o. Mio papà era morto quando avevo otto anni ed a mia mamma hanno tolto la patria potestà. Eravamo cir-ca mille bambini emi ricordo che in quei giorni (ma è una cosa che mi è venuta in mente solo otto-nove mesi fa) io pregavo, forse neppu-re sapevo che pregavo Dio. Non gli avevo dato un volto, una !gura, però nel cuore dicevo a qualcuno lassù più in alto: «fa in modo che mi adottino, così un giorno ti ri-pagherò». Dopo tre anni di documenti, perché le pratiche erano molto complica-te e di#cili, all’età di quindici anni i miei genitori adottivi sono riusciti a portarmi in Italia. Ho cominciando la scuola, ho iniziato una vita tan-to diversa da quella di prima, che mi sono ritrovato dal nulla ad ave-

re tutto. La voglia di avere tutto mi ha portato poi a sperimentare tutto, e sto parlando della discoteca, dei !lms, del computer. Sapevo che in questo posto Car-lo insieme ad altri giovani teneva degli incontri, dove ognuno aveva l’occasione di parlare a cuore aper-to, di esprimere sia il positivo che il negativo di se stesso. Questo lato mi attirava, però io ho pensato: «Ades-so non lo voglio fare, adesso voglio fare altro». Dopo due anni avevo fatto amici-zia con dei ragazzi, così nel vederli parlare ed esprimersi apertamente e liberamente, mi sono detto: «Per-ché non posso essere come loro? Che cosa ho io in meno di loro?» Così quando per la prima volta ho aperto il cuore, mi sono sentito rinascere. È stato come se per la prima volta avessi sentito la vera essenza della mia vita, la vita che scorreva.. e per me tutto era cam-biato, anche nei modi di fare. Quasi tutto il passato, in quel momento, non aveva più alcun signi!cato.

Carlo Tedeschi - La notte prece-dente ero sveglio e sentivo il cuore palpitare, fortissimo. In un primo momento mi spaventai, poi pen-sai: “Perché? Di chi è questo cuore che batte in me? Vassiliy!”. In quel momento Vassily era presente nella mia vita per la sua storia e, soprat-tutto, per tutto ciò che avrebbe do-vuto capire per poter crescere sano nel corpo, nella mente, nello spirito. In quei giorni però ero assillato per altri volti, altri nomi. Vassiliy era ri-masto infatti ai margini.. era lonta-no.. mentre quella notte il suo nome diventa presente mentre stava sce-gliendo di aprirsi. L’indomani, quando egli cominciò, quasi balbettando, a parlarmi da-vanti ad altri giovani, confermò che quella notte aveva sentito il proprio cuore a cento all’ora per le decisioni che stava prendendo. Pensate alla grandezza di Dio! Al suo amore! Batte il cuore di Vassily, batte il cuore di Dio, batte il mio! Pensate a quanto Egli sia collegato con ognuno di noi! Questo soprattutto dovete esse-

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re voi, futuri sacerdoti, anche se abbiamo il dovere di farlo tutti, abbiamo il dovere ed il piacere di amarci come Dio ci ama. Voi sicuramente lo state scegliendo, state per “consacrarlo”, scegliendo di contenere Gesù in voi, sempre, di essere un altro Gesù, portare nel mondo non solo la parola di Dio, ma la sostanza di quella parola che è la carità, che è l’amore. L’amore con cui Egli ha ispirato i suoi profeti! Dovete sentire dentro di voi battere il cuore di Dio, altrimenti non sarete mai dei bravi sacerdoti. È un cammino, è un movimento, è.. appunto.. tirare fuo-ri i propri valori. Valori che proven-gono da Dio e passano dalla nostra umanità e dall’umanità di Gesù per divenire dei valori divini. Ricordiamoci che Gesù ci ha anche detto: «Dovete essere buoni com’è buono il Padre mio che è nei cieli!». E come si fa? Basta voler contenere la Sua bontà, che sia “goccia” o che sia “oceano”, siamo buoni come Lui! La nostra bontà, benché goccia, avrà il sapore dell’oceano!Dobbiamo contenere la bontà di Dio. Pensate se fossimo tutti così! Il sen-so della nostra vita sarebbe compiu-to, così il “banco di prova”. Avremmo portato qui il Suo regno e dunque anche il nostro pianeta, l’universo, che sono di passaggio, che !niran-no, avrebbero raggiunto il loro sco-po, per poi vivere eternamente in quest’altro luogo che lui ha prepa-rato. Ma.. siamo qui e abbiamo tut-ta la nostra vita davanti per poter realizzare i valori di cui stiamo parlando.

DIVERSITÀ DI VALORI Un ragazzo che oggi non c’è e che in questo momento non è presente nella mia vita, se non con delle let-tere, dove mi scrive: «C’è tanto bi-sogno di te, Carlo, di persone come te, nel mondo. Io ero con te, adesso sono nel mondo e il mondo è vuoto senza di te». Lui pensa di essere in questa situazione perché io sono il buono e lui è diventato il cattivo, ma non è così. Quando manca anche solo uno di noi è il mondo di Dio che è vuoto!

Per me è il “lago” che è vuoto senza questo ragazzo, che forse ha biso-gno di camminare un po’ da solo nel mondo!Un giorno egli scrisse una canzone, “Dolce in"nito”: una preghiera di anelito verso Dio, di nostalgia as-soluta della creatura per il suo Cre-atore. Dio ha risposto alle parole facendolo entrare nel “mio mondo”, per fargli incontrare la sua dolcezza in!nita attraverso tutti i giovani che ha incontrato e conosciuto in que-sto luogo. Questa canzone è cantata da Pa-trick, un’artista della Compagnia teatrale, svizzero di origine, che ha una storia particolare. Nella scuola che ha frequentato, infatti con lui erano molto severi, si scandalizza-vano pensando che fosse un bam-bino “ritardato” per la sua irrequieta vivacità, un bambino “sicuramente” con problemi psicologici. Pensava-no dunque di “isolarlo” dividendolo dagli altri compagni che sembra-vano “più normali” di lui. Ebbi pau-ra per lui, quindi trovai in Italia una casa, e un lavoro per il papà. I geni-tori si trasferirono a Monte Colom-bo e Patrick cominciò a frequentare l’Accademia. Espresse la sua “vivaci-tà” diventando ballerino, oggi è an-che insegnante, insieme alla moglie Larissa, che ha vissuto come Vassily in orfanotro!o.Vedete quanto nella nostra vita con-tano le persone che incontriamo? Quanto conterete voi, futuri sacer-doti? Da voi si pretenderebbe, giu-stamente, la corrispondenza, sem-pre. Non si vorrebbe comprendere un sacerdote, è il sacerdote che do-vrebbe comprendere. Se aveste bisogno di comprensione ci sono i vostri superiori, la vostra coscienza, i vostri compagni di viaggio, gli altri giovani seminaristi, ma non potre-ste chiedere comprensione a nessu-no, voi dovreste comprendere per primi, con la comprensione di Gesù e Lui sarà più generoso con voi che con altri, se lo vorrete!Certi sacerdoti non vogliono ca-pire quanto dovrebbero elevarsi spiritualmente per essere punti di riferimento, apostoli! Un sacerdote, ad esempio, non dovrebbe arriva-

re all’esaurimento nervoso! Non è certo Dio a portarti !n lì, ma tu, sci-volando nelle cose negative! Vale per tutti, anche per noi, anche noi abbiamo il dovere di non scivolare !n lì! VITA NELL’ETERNITÀ Se Patrick, ad esempio, non conti-nuasse a cantare, prima o poi non riuscirebbe a cantare più! Dentro di noi spesso ci sentiamo giusti, a posto, o ci giusti!chiamo sempre. Pensiamo di avere sempre le stesse capacità nonostante tutto perché ci guardiamo dall’interno, mentre dovremmo guardarci dall’esterno, guardare i nostri fatti, i frutti del nostro operare, del nostro dire, non per vantarci, ma per essere certi di dove stiamo camminando, altri-menti sostiamo in un nostro mon-do interiore dove la natura umana, i difetti, le imperfezioni fanno da pa-drone e, di conseguenza, so$ochia-mo i nostri valori senza rendercene conto. Nell’eternità raccoglieremo ciò che abbiamo seminato. Il frutto sarà lì, nell’eternità. Tutto ciò che di bene realizziamo in noi, la “sostan-za” che qui sappiamo produrre, Dio la prende e la chiude come in una cassaforte per la nostra eter-nità. Ecco perché in certi momenti ci sentiamo vuoti, ci sentiamo come se non avessimo realizzato nulla. Ma come? Perché Dio rimane in silen-zio, non lo “sento più”, se !no a ieri mi ha parlato? Stupidi che siamo! Ha preso il risultato, non lo ha lascia-to qui altrimenti lo potremmo spre-care, ci potremmo gon!are di boria pensando di essere chissà chi.Dio al contrario della nostra logica prende tutto quello che è nostra sostanza, frutto dei talenti che non so$ochia-mo; portandolo nell’eternità Egli ci lascia così nelle condizioni di rico-minciare a riprodurre sostanza per realizzarci sempre più e sempre me-glio per l’esperienza acquisita!

COME AMARE IL PROPRIO PROSSIMOL’amore non si accontenta mai. Quando ami il prossimo lo vuoi amare sempre di più, non basta mai e quando lo vuoi amare di più vedi che non ne sei capace. Se oggi mi chiede a sorpresa qualche cosa che

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non avevo previsto, che non ho, al-lora mi spingo a ricercarlo dentro di me. Sorprendentemente lo trovo e lo esprimo. Esprimendolo lo realiz-zo, lo tiro fuori di me, lo riconosco e così, piano piano, nel tempo rico-noscerò che il mio amore usa anche la mia intelligenza, la mia bontà, la mia semplicità, l’astuzia. Posso amare e posso capire con la mia sensibilità che esprimo compren-dendo “come” vuole essere amato il mio prossimo. Ognuno ha proprie esigenze. Farlo con i bambini è facile, si com-prende subito di che cosa ha biso-gno: se piange, se ha fame, paura o è caduto. Bisogna rassicurarlo, abbracciarlo, fargli sentire il calore. Per gli adulti, per i nostri fratelli più grandi è più di#cile sapere il per-ché di uno stato d’animo, capirlo, perché c’è un mondo in!nito (così come è in!nito Dio) dentro di lui. Se si accoglie Dio però, si conosce anche quel fratello, così da poterlo soccorrere. Madre Teresa dava da mangiare a chi aveva fame, dava le medicine a chi era ammalato: erano bisogni semplici, immediati, anche se dona-ti da lei con una sostanza che san-ti!cava i suoi gesti. Noi abbiamo a che fare con il nostro prossimo che, apparentemente, è come noi, dun-que, come possiamo amarlo? Ecco: sentire l’impulso dell’amore, amare, volerlo realizzare nella propria vita, voler vivere di quella “goccia” per-ché possano moltiplicarsi tali gesti per fare spazio sempre di più all’in-!nito amore di Nostro Padre nel nostro cuore e nel nostro spirito. Si-gni!cherebbe, appunto, realizzarsi sempre di più perché l’amore non ha barriere, ti fa vedere i tuoi limi-ti, che scavalcherai trovando den-tro di te un altro valore che Dio ti ha dato e che ancora non hai tira-to fuori e non hai riconosciuto, e che ti servirà come arma per coprire quel tratto d’amore che non hai sa-puto dare al tuo prossimo.

IL MODELLO DELLA DONNALe varie testimonianze delle ragaz-ze, oggi, ci hanno dato un esempio di valori al femminile: la sensibilità e la logica di come una donna sa os-

servare e guardare le cose. È una meraviglia essere nati ma-schi e femmine, con peculiarità tanto diverse ma tanto sinergiche tra loro! Dio ci ha amato con il dolce ed in!nito Suo amore, con la Sua ca-rità! Le donne, il modello femminile, sono una meraviglia! Se immaginiamo la fanciulla di Na-zareth che, nella sua sensibilità, dice di sì a qualcosa che non capi-sce, che non conosce, che per lei è misterioso, ci dovremmo stupire di meraviglia. Dire di sì a voler diven-tare “un ingranaggio vivente” nella perfezione del progetto di Dio per questa bimba di quindici anni è sta-to determinante per tutti noi !no ad oggi! Aver detto di sì a qualcosa di superiore a se stessa, alla forza del respiro di Dio che si fa vento quan-do manifesta la Sua richiesta, è me-raviglia! Non era semplice dire di “Sì” al vento impetuoso che le scuote il ventre, ma una donna sa dire di “Sì”. Purtroppo il male del nostro tem-po, il Dio che abbiamo scartato nella nostra società per dare spa-zio al nostro io, ha inibito parte dei valori sia delle donne che de-gli uomini, capovolgendo spesso anche le loro peculiarità e i rispet-tivi ruoli. Il valore della donna è di una grandezza in"nita: rappresenta la bellezza, la sensibilità, la dol-cezza, la forza, la sopportazione per un "ne d’amore.. Molti giustamente a$ermano: «La bellezza salverà il mondo!». Io pre-sento la bellezza di Dio con gli spet-tacoli, con la luce degli occhi dei gio-vani che camminano con me, con la cura con cui ho costruito il villaggio del Lago di Monte Colombo, ma Dio, sulla bellezza delle donne, si è veramente “incapricciato”. In questo momento storico, ci dovrebbe es-sere in loro tanta docilità per dare spazio alla verità, a Dio, alla saggez-za, cui solo loro sanno approdare in modo così determinante. Su di loro poggiano tante cose, così come si sono appoggiate sulla ragazzina di Nazareth, dalla quale s’innesta un meccanismo di perfezione assoluto. Lei, dicendo di sì, si immette in un movimento di perfezione. Diventa un ingranaggio vivente! Pensate!

Un ingranaggio vivente nella perfe-zione di Dio! Dove noi scorriamo raggiungendo punti, posti, persone. Dovremmo volerci abbandonare alla Sua bel-lezza, alla Sua grandezza, alla Sua forza, alla Sua potenza. Pensate che cosa ha scaturito il “Sì” di questa ra-gazza di nome Maria! Come poteva sospettare che dire di “Sì” avrebbe signi!cato tutto quello che ne è conseguito nei duemila anni suc-cessivi? Solo noi, oggi, possiamo vederlo!

Francesco M. - In un convegno dal titolo “Scelti da Dio per una scelta di Dio”, alla domanda: «come si fa a trovare la bellezza nei giovani?» trovai la risposta quando vidi Carlo insieme ad un gruppo di giovani ve-stiti di bianco che cantavano canzo-ni del musical “Chiara di Dio”. Pensai: «ma quanta luce c’è in quest’uomo che parla e in questi giovani che sono attorno a lui?! Perché non pro-vare a fare la stessa cosa? Perché non aiutarlo, diventargli amico nel riuscire a parlare di Gesù attraverso la musica, la danza, il canto?» Que-sto pensiero balenò nella mia testa ma passarono degli anni a#nché tutto questo potesse scaturire. Poi accadde qualcosa che ha a che fare solo con Gesù. E’ Gesù che mi uni-sce anche oggi alla realtà di Carlo. È Gesù che mi vuole insieme a lui e me lo fa sentire chiaramente. Quando Gesù ti fa sentire una cosa scatta subito il desiderio di realiz-zarla, non aspetti.. vai.. c’è una mol-la nell’anima che ti spinge verso quella cosa. E così è accaduto. Da allora !no ad oggi è stato un per-corso che ho fatto insieme ad un gruppo di ragazzi in cui ogni giorno abbiamo cercato di sperimentare lo stare insieme, attraverso il fare le cose, fare il teatro, costruire sceno-gra!e, imparare dei passi di danza. Tutto questo ci ha a$ratellati e ci ha fatto sperimentare fortemente quant’è grande l’amore di Dio. È questo quello che vivo. È questo quello che ho vissuto e che vi voglio raccontare. Penso che riuscire ad amarci come Gesù ci ha amati non sia un ideale e neanche un sogno, ma che sia qualcosa che noi siamo

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chiamati a realizzare, e che si può fare e dobbiamo essere tutti quan-ti felici di farlo perché è qualcosa di grande. È questa fraternità grande che tutti insieme possiamo toccare con mano. C’è una domanda anche oggi. Si sperimenta la fraternità, se ne assapora la bellezza ma poi a un certo punto di deve ricominciare... io sto vivendo questo, perché?

BISOGNA SEMPRE RICOMINCIARECarlo T. - Sempre bisogna ricomin-ciare! Se tu non guardi ogni gior-no un tuo fratello come se fosse la prima volta che lo incontri non riuscirai mai a guardare la sua parte alta, continuerai a guarda-re la sua parte bassa inducendo-lo a guardare la tua parte bassa e dunque poi ti scontreresti con lui. Non ci si comprenderebbe più per-ché in questa “parte bassa” Dio non può esprimersi. Quando tu fai un giudizio Dio non può essere den-tro di te, ti deve lasciare.. perché Lui non è in questa colpa. Gesù ti la-scia la mano quando tu vuoi giudi-care un tuo fratello, ma non perché ti voglia abbandonare; infatti poi ti insegue, ti aiuta, ti sospinge verso il buon comportamento, te lo sussur-ra.. ma non può più essere dentro di te una sua, benché piccola, cellula di sostanza se tu ti rivolgi al male, per-ché Lui e il male sono incompatibili; dunque Lui deve ri!utare totalmen-te il male di cui tu ti sporchi. Non è tuo complice Gesù, ecco perché se lasci Gesù non potrai mai più com-prendere un tuo fratello. Se lo giudi-chi ti metti in un baratro dove preci-piterai con tuo fratello !no in fondo: terribile! Il primo giorno che vi in-contrate è naturale vedere le cose belle di quel fratello, quando lui te le esprime o tu gliele sai cogliere ed è come diceva Gesù <dove due o più sono nel mio nome io sarò in mezzo a loro>. Con la presenza di Gesù è facile guardare con i Suoi occhi, ma è di#cile mantenerlo nel tempo. Guarda sempre la “parte alta” e ricordandotene quando un fratello si esprimerà nella parte sua “più bassa”, tu lo saprai compren-

dere in virtù di ciò che già conosci, che già hai visto e che lo aiuterai ad esprimere ed a tirare fuori nei suoi valori a#nché, messi nelle mani di Dio, diventino un ingranaggio vi-vente.

I NOSTRI PRINCÌPI Tutto questo è un’arte e la bellezza è unita strettamente all’arte. L’arte è bellezza. La bellezza è arte. C’è una canzone che si intitola “Arti-sta io” e che nello spettacolo “Chiara di Dio” è cantata da colui che inter-preta S.Francesco. È stato perfetto metterla sulla bocca di Francesco perché veramente è stato un giovane che, dando tutto di sé a Gesù, diventa un “altro Gesù”, addirittura nelle stigmate, nelle sof-ferenze anche !siche, cancellando da se stesso tutto il proprio io. Fran-cesco, addirittura, contestualizzato nella sua epoca, nella mentalità di quel momento storico, morti!ca se stesso, il suo corpo pur di non sci-volare nell’errore, nella tentazione, pur di non allontanare Gesù dal suo interno, dalla sua anima! Tanto ci si era immedesimato da far scaturi-re un processo reale per diventare un altro Gesù e anche Gesù si era immerso in Francesco da assumer-ne la personalità: Francesco quella di Gesù, Gesù quella di Francesco. Aveva dovuto, dicevo, morti!care anche il proprio io ed annullarlo. Se non morti"chiamo il nostro io, quello dei nostri princìpi senza apertura, non riusciremo mai a fare spazio a Dio e, nel realizzare nella sostanza la vera natura del-la nostra anima, non riusciremo mai ad essere “personalità”. Francesco, un ragazzo giovane, pie-no di forze, di fascino, cantava il Van-gelo per le strade.. lo cantava con la sua voce, con la sua intonazione, attirando persone a sé, esprimendo tutto con il proprio corpo, tutti i va-lori trovati in sé, che lui conosceva bene perché identi!cabili con Gesù. Fare questo procedimento non signi"ca essere in contrasto con il proprio io ed annullarsi, ma re-alizzarsi in Gesù, che potenzia ed

esalta i nostri componenti! L’altra invece, quella del proprio io, è una realizzazione di se stessi nel male il quanto il proprio io è quello dei condizionamenti, delle reazioni pur legittime al male, all’ego. I geni-tori, per quanto ci vogliano bene, ci potrebbero condizionare, la società ci condiziona, la televisione ci con-diziona, tutto ci condiziona se non siamo accorti nel riconoscere bene e male. Noi, condizionati dalle im-magini, dalle notizie, da tutto ciò che per noi diventa verità, senza senso critico, subiamo una reazione ai bombardamenti di notizie indi-scriminata. Una reazione che forma il nostro carattere. Scambiamo il no-stro carattere per personalità. Esso è costituito dalle reazioni istintive, dalla la parte bassa del nostro essere che ha reagito. Se c’è il sole la pian-tina cresce, se c’è la pioggia si nutre di quell’acqua, se c’è il gelo secca. Sono reazioni naturali, “primitive”, in quanto prime reazioni, ancora oggi identiche nel divenire del tempo. Il nostro carattere, il nostro io non sono altro che le reazioni primiti-ve, umane, terrene, istintive. La nostra personalità vera, al con-trario, è da “costruire”, esprimen-do i veri valori, tirandoli fuori, realizzandoli.. Ritornare all’origine, ritornare all’anima pura, senza con-dizionamenti e reazioni per come l’ha so#ata Dio nel nostro corpo. Purtroppo la nostra anima deve at-traversare il banco di prova in quan-to, solo così, cercando nel buio del male la luce di Dio, so$oca il male e realizza il bene. Un angelo dello spettacolo sulla vita di padre Pio dice: «Voi siete più fortunati di noi angeli. Noi angeli non abbiamo la misura di quanto lo amiamo perché non dobbiamo su-perare nulla per amarlo, invece voi si! Voi avete la misura di quanto lo amate, voi potete dire Vedi quanto ti amo, Padre mio! Per te ho superato anche questo!». È meraviglioso! Fare tutto ciò è un arte, l’arte del realizzarsi in Dio at-traverso Gesù.

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Giacomo - Ci sembrava la cosa più bella dare le nostre testimonianze concrete di vita e di fede vissute in quest’ultimo anno dalla diocesi di Caltanissetta con S.E. Mons. Mario Russotto. Abbiamo incontrato, in preparazione della Santa Pasqua, settemila giovani delle scuole supe-riori di Caltanissetta, dunque, chi di voi, vuole iniziare portando la pro-pria testimonianza sul proprio per-corso di vita? Credo che sia la cosa più bella.

Stefano - Mi permetto di dire una cosa a padre Mario che così ama essere chiamato in famiglia: sono stato a Caltanissetta, nella meravi-gliosa cattedrale, ed ho assistito alla S. Messa della domenica di Pasqua e ne riporto la sostanza di ciò che mi ha fortemente trasmesso. Quando, di fronte alla tua gente, al tuo greg-ge, alle persone che ami ogni gior-no, quindi a tutte le persone presen-ti, hai chiesto perdono. Ho sentito l’abbraccio di Dio. Gesù che, quasi, voleva distruggere le nostre abitu-dini, quelle comuni. Quelle che met-tono distanza, una stupida distanza tra il nostro cuore e Lui, quelle mille scuse che troviamo ogni giorno per giusti!care il nostro, il mio “non dare totale”, il mio “non o$rire tutto me stesso”.Quelle parole che tu hai detto ad ognuno di noi, alla tua gente, ed io in quel momento ero con la tua gente, è come se fosse stata la confessione, come se ognu-na di quelle per-sone fosse stata di fronte a Lui, come quando ci si confessa. Noi siamo stati perdonati quel giorno attraver-so questo tuo gesto, attraver-so il tuo amore sincero.Dio immette,

nella sua smisurata grandezza, in un meccanismo che è di#cile spiega-re ma che, per il cuore, in quel mo-mento era naturale: un balsamo, un abbraccio per ognuno di noi. Mi ha fatto sentire solo tra le Sue braccia, mi ha cancellato tutte le cose del mondo. Marco (un seminarista) – Io vi rin-grazio perché ci state accogliendo, state facendo molto per dimostrar-ci quello che vivete, quello che fate con quest’arte di cantare, danzare, recitare. Io conosco Giacomo, Mi-chela, Leri, Francesco perché fra quei settemila giovani della mis-sione nelle scuole c’ero anch’io che, con loro, parlavo ai giovani presen-tando la mia vita. È stata una bella esperienza, è sta-ta un’esperienza forte, d’impatto, perché sei davanti a dei giovani che hanno bisogno di incontrare Dio, cercano qualcosa, cercano rispo-ste, come tutti i giovani credo, e sei lì pronto a dare qualcosa, pronto a dare una risposta. E la risposta è sta-ta semplicemente la nostra vita, loro come artisti, come ballerini, come cantanti e io come seminarista. È stata una bella Quaresima quella che abbiamo attraversato lo scorso marzo-aprile perché i frutti sono stati molti: settemila giovani, molti dei quali attenti alla Parola, attenti alle nostre parole, hanno fatto teso-ro di quello che abbiamo detto a tal punto da seguirvi e far parte della

vostra scuola. Stasera vi dico grazie per questa esperienza che ho fatto con voi, grazie anche al vescovo che ci ha portati qui. Per quanto riguarda la vocazione che fa parte della mia vita è una cosa stupenda, è una cosa bellissi-ma, indescrivibile. Io sono diacono da qualche settimana e ciò che sen-ti non lo puoi esprimere facilmente perché è qualcosa che riguarda te e Dio, però vi dico che nel momento prima di entrare in chiesa per l’Or-dinazione avevo tantissima paura. È stata un po’ la sintesi delle paure di tutta la mia vita perché le tappe si superando piano piano con il tem-po, la scuola, lo studio, l’adolescen-za, l’ingresso in seminario, i vari anni di seminario e si arriva in un mo-mento in cui devi decidere, sei in un momento in cui sei solo tu e Dio e non è facile. Non è facile perché sei tu solo responsabile di quello che stai facendo senza che nessuno ti dica sì è giusto, no è sbagliato, torna indietro. È un po’ l’esperienza di Gesù nell’or-to che riconosce le proprie azioni come frutto della propria responsa-bilità. Anche i più vicini, i più pros-simi a Lui si addormentano e Lui da solo nel buio della notte dice “Sì”. Questa è l’esperienza che ho vis-suto, dire “Sì”, andando incontro a qualcosa che non sai, un salto an-che nel vuoto. Ricordo anche che dal momento dell’Ordinazione la

cosa che pro-vo è quest’es-sere al posto mio, questo aver trovato la mia collo-cazione, cioè quello che Dio voleva per me si è concretiz-zato lì, in quel giorno. Dio per me ha voluto che diventassi diacono oggi, sacerdote do-mani. Ho pro-

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vato l’essere sereno, sicuro, cosa che prima non c’era. Al contrario c’era questa paura che negli anni della mia vita è sempre stata presente e che forse non mi abbandonerà mai perché comunque l’esperienza che noi facciamo di Dio ha i suoi alti e i suoi bassi, ha i suoi momenti di stop, i suoi momenti di crisi, di pau-ra, ma anche i suoi momenti di gio-ia, di forte presenza. Incontrare Dio nella propria vita, dire “Sì” a Dio in questo caso con l’Ordi-ne, nel caso di tanti altri col matri-monio, è qualcosa di bello, qualcosa di bello perché è semplicemente la nostra vita. La nostra vita ha senso anche con il canto, con la danza, con la recitazione, ha senso se diciamo “Sì” a Dio altrimenti non saremo mai soddisfatti e andremo sempre alla ricerca di dottrine varie e peregrine per dirla alla maniera di S. Paolo.

Giacomo - Per me queste giornate del 7 ottobre veramente signi!ca-no dire “Sì” a Dio, “Sì” a Gesù, che ci ha inondato di tutto il suo amore. Vivo fortemente la gratitudine, so-prattutto oggi, di poter vivere nella piccolezza, nei limiti, nell’inadegua-tezza, la fede che ci potrà salvare ve-ramente. Marco prima parlava della paura.. Abbiamo svolto la missione biblica insieme, e quando tu hai parlato ai giovani, questa paura non si è vista perché hai avuto il coraggio, alme-no io parlo da testimone, di dire loro che hai avuto la vocazione, che Dio ti ha parlato, che hai scelto Lui e Lo hai scelto totalmente nella tua vita. Quindi mi sono ritrovato nella mia piccolezza ed insieme, abbiamo po-tuto scon!ggere quella paura. Anch’io ho provato tante volte pau-ra, nella perdita dei miei genitori, nelle di#coltà e mi sono tante vol-te allontanato dall’amore di Dio, ma mi è sempre stato insegnato che la paura è solo un’idea, una sagoma ideata, e questa cosa mi ha dato la salvezza nei momenti più brutti per-ché sono stato compreso, sono sta-to aiutato; e anche tu hai una gui-da p.Mario che ti comprende e che

ti segue. Io ho la gioia di sentirmi piccolo e di sentirmi forte e grande perché Lui ci sta accanto nella no-stra vita.

Anna - Sono una signora adulta, bisnonna. Ho trascorso la mia vita e ho avuto problemi come tutti, problemi che si incontrano nel per-corso terreno. A volte mi trovo di fronte a un dispiacere enorme e la mia reazione è quella di ringraziare Gesù, di superare un dispiacere di-cendo grazie mio Dio di questa croce, grazie che posso so$rire per poterlo dedicare a Te. Non so se è fede, se è fede completa, ma sono grata a Dio di saper superare un dispiace-re ringraziandolo di avere una Cro-ce. Anche voi seminaristi avrete la vostra motivazione per avere dei problemi o momenti di indecisio-ne, ma sappiate che è importante che un sacerdote abbia una fede grande per trasmetterla alla gente che so$re. Avete un compito tanto grande quanto è grande il percorso di una mamma che ha dovuto cre-scere i !gli. Il mondo ha bisogno, ha bisogno di Dio, ha bisogno di Gesù, ha bisogno di avere un sacer-dote con cui con!darsi, confessarsi, dove avere il ristoro. Per voi è molto grande quello che dovrete fare, ma anche un percorso terreno non è meno del vostro. Se una persona ha fede ringrazia Gesù anche quando sta nella so$e-renza. Mi sono trovata sempre bene così, non mi sono mai ribellata al dolore. Non è bravura, è un dovere, il dove-re di una persona religiosa che ha scelto Dio.Francesco - Quello che ieri ha detto Carlo mi ha scombussolato dentro, tanto. So che solo con Gesù posso veramente esprimere me stesso. Ogni volta che lei, Mons. Russotto, parla, ogni volta che lei fa qualcosa lo fa veramente col cuore e ho avu-to anche modo di sperimentarlo io, come con gli esercizi spirituali a Ni-cosia. A me è servito tanto, so che ogni giorno devo lottare contro me stesso per fare in modo da non di-

stoglermi da quella via che mi porta da Gesù. È vero che molte volte invece ho ceduto.. ma ho ringraziato Gesù che lei c’è e che veramente parla col cuore. Io oggi sono rimasto in silenzio perché vivevo un emozio-ne fortissima e ringrazio il cielo. In questo momento mia moglie ed io siamo a S. Caterina, custodi della Casa del Ponte e collaboriamo con la parrocchia. Ultimamente abbiamo rappresentato in piazza uno spet-tacolo di Carlo Tedeschi, Dedicato a te, Signore, davanti a giovani che, magari, bevevano al pub. Abbiamo voluto farlo proprio per i giovani ed è servito perché qualcosa è arrivato ed è stato anche un bel risultato per i ragazzi di S. Caterina che vi hanno partecipato. Ho visto questo: che quando delle persone si mettono col cuore sereno, col cuore verso Dio, accade sempre qualcosa che porta a Dio.

Daniela (allieva dell’Accademia Arte e Luci Caltanissetta a Casa Be-tania) - La partenza è stata molto veloce. Una settimana fa abbiamo avuto lezione con Giacomo e di-cevamo con le altre ragazze: «Ma noi vogliamo vedere Patto di luce, vogliamo vedere Monte Colombo, questa realtà» E Giacomo dice: «Io la prossima settimana parto, salite con me?» E noi: «Ma come? Con la scuo-la?» Frequentiamo infatti il quinto anno, quindi ci sono gli esami, geni-tori, ecc., ma comunque dopo tanti ostacoli siamo riusciti a salire. Siamo rimaste sbalordite dalla tran-quillità, dall’oasi di pace che c’è in questo posto, è così bello perché ci sono tante persone umili, si accosta-no a te, si prodigano per il prossimo e non c’è quella concorrenza che c’è da noi. È bello perché appena ti giri un gruppo canta una canzone, un gruppo ne canta un’altra, quindi è come fossero delle lodi a Lui. Sono stati due giorni bellissimi. Noi, ap-pena tornati, daremo sicuramente testimonianza e comunque, siamo contenti. Parlo a nome di tutti, sia-mo fortunati ecco! Siamo proprio

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presi dal Signore che ci ha portato qui. Grazie che ci ha dato la possibi-lità di conoscere voi e di fare questa esperienza.

Graziella - Volevo dire a Francesco che non deve essere lui a ringrazia-re noi ma siamo noi a ringraziare lui, Leri, Giacomo, Michela perché sono venuti a S. Caterina, a Caltanissetta. Sono arrivati in Sicilia, hanno lancia-to una ventata d’aria, d’allegria, di gioia e serenità e questo ci serviva. A primo impatto, quando sono arri-vata, sono stata contenta di vedere tutti questi giovani che con allegria, con gioia e con impegno e dedica-no molto tempo a questo. Dall’al-tra parte, forse non dovrei dirlo, ma sono anche un po’ gelosa perché purtroppo questo in Sicilia !n’ora non c’è stato. Ora con loro da noi spero nasca qualcosa di bello anche lì. Un po’ di gelosia anche per quan-ta fede c’è in voi perché anche io prego, vado in chiesa ma non vuol dire, non è questa la fede, secondo me è una cosa che deve nascere dentro. Le parole di Carlo sono forti e ci colpiscono tanto, si sente che ha incontrato davvero la fede, l’amore di Dio e spero che anche io un gior-no riuscirò ad aprirmi anch’io così…

Giacomo - Mi ha colpito tanto, pri-ma di venire, un episodio. Pratica-mente avevamo il pullman pieno e in questi casi come fai a sapere chi il Signore vorrebbe portare in un luogo? È di#cile, non puoi pensa-re con la tua testa. Si è liberato un posto e nel frattempo ha telefonato Daniela, che è di Caltanissetta, cin-que minuti prima che si liberasse chiedendo: «Io vorrei tanto portare mia sorella». Morena è una ragazza che abbiamo conosciuto al GREST cittadino. Quando ci siamo visti, pur non conoscendo nulla, ho percepito che stavi vivendo qualcosa, qualco-sa per Dio, un tuo momento parti-colare della tua vita, un momento di sconforto perché anche nella mia vita, avendo passato dei momenti di#cili soprattutto quando ho per-so mamma e papà, è come se avessi

sentito che era un dolore simile, un qualcosa di simile. Scusami se par-lo di questo però mi sto a#dando a Lui, a Gesù perché questo momen-to di incontro possa lasciarti il suo amore. Lei ha perso una persona cara, molto cara e io quello che vo-levo condividere con te era che Dio esiste, Gesù c’è e a me personalmen-te la sua vicinanza mi ha salvato la vita quando io mi ero ribellato a Lui nell’a$rontare quel dolore e quin-di sono felice che sei venuta, sono certo che è stato Gesù che ti ha por-tato qui, sono certo che anche que-sti due giorni ti potranno lasciare qualcosa nel cuore. Mia mamma io non ce l’ho più, l’ho perduta per una malattia e all’inizio è stato terribile, sono impazzito, mi sono allontana-to dalla fede, non ho tirato fuori il dolore, non l’ho espresso.

Aleandro - A quanto pare c’è qual-cosa che accomuna un po’ tutti: la so$erenza. Anche io da un momen-to brutto che ho attraversato, (non ho vergogna di dirlo: mio fratello fa-ceva uso di stupefacenti), avevo tre-dici, quattordici anni, posso dire che mi sono avvicinato a Dio, alla Chie-sa. Andavo a pregare per mio fratel-lo. Pur essendo piccolo sentivo di fare questo, l’unica cosa che potevo fare per lui.. Questo mi ha portato piano piano ad incontrare Dio nella mia vita. Però, nello stesso tempo, questo fatto, questa so$erenza, mi portava a ribellarmi interiormente. Andavo a pregare però, nello stesso tempo, il mondo con le sue insidie mi tentavano. Un giorno, mentre ero in chiesa e pregavo, ho avvertito veramente l’amore di Dio nella mia vita e allo-ra automaticamente ho scelto Dio perché quell’amore, quello che spe-rimentavo dentro il mio cuore, era più forte di tutte le altre cose che mi venivano presentate dal mondo. Da lì ho iniziato anche un percorso di fede che certamente era fatto anche di sensazioni, di sensazionalismo in un certo senso, però, piano piano, invece è arrivata anche la certezza, la consapevolezza. Non è stato un

colpo di fulmine, ma un cammino fatto in parrocchia con gli altri, fatto di confronto, di preghiera e di tante cose. Arrivato a diciotto anni sentivo che questa chiamata da parte di Dio diventava sempre più forte e allora ho fatto un’esperienza a Collevalen-za, nel santuario dell’amore miseri-cordioso dove sono stato un anno. Sono tornato a casa perché non me la sentivo di stare lontano. Vivevo sempre quella so$erenza, ero sem-pre insoddisfatto, lavoravo ma non ero contento. Dentro di me c’era qualcosa che mancava e una fra-se che mi accompagnava sempre, anche in discoteca, : «E ora, povero uomo?».Un giorno ho incontrato il vescovo e il mio parroco: «Eccellenza, le pre-sento Aleandro, il ragazzo ha fatto l’esperienza a Collev alenza, all’amo-re misericordioso». Il Vescovo disse queste parole: «Più amore miseri-cordioso del nostro seminario? Vie-ni, vieni a parlare. Vienimi a parlare». Avevo paura di entrare in seminario e non ci andavo mai. U giorno però il vescovo è tornato in parrocchia, dopo un anno, e mi ha detto: «Lu-nedì a mezzogiorno ti aspetto in seminario, ti voglio parlare» . Così ho fatto. Sono uscito dall’incontro sapendo la data del mio ingresso in seminario. Tutto quello che ho passato è servi-to. Dio si è servito di quella so$eren-za, di quel momento brutto che ho attraversato per portarmi a Lui. E poi il passaggio, ci tengo a sottolinearlo, dal sentimento a una consapevolez-za è stata la cosa più giusta. Oggi i problemi ci sono, non sono di quel tipo, però ci sono, ma c’è la consa-pevolezza di essere amato da Lui e anche quando mi sento così così, c’è sempre l’azione di Dio nei miei confronti. È sempre Lui che prende l’iniziativa e mi viene incontro. Nel momento in cui Dio prende l’i-niziativa noi ci dobbiamo arrendere e permettere a Dio di operare nella nostra vita.

Maurizio - Spesso mi dicono: «Ma che cos’è la vocazione? Ma come

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l’hai avuta? Che cosa hai sentito?». Nelle prime pagine della Lettera pastorale del nostro vescovo c’è un’espressione di Arturo Paolo: Camminando s’apre il cammino». In un certo senso ho detto: «Que-sta è la vocazione. Camminando!» La nostra vita appunto, la nostra storia è un cammino, un cammino nel momento in cui Dio ci chiama alla vita e così, in un certo senso, l’ho vissuta. La mia famiglia mi ha cresciuto sempre nell’educazione cristiana però, via via nel tempo, è diventato routine. Non mi bastava. Allora esco, vado via dalla parroc-chia e mi rifugio all’università, nei miei studi. Trovo il lavoro anche al comune del mio paese. Nel 2000 c’è stata la mia ragazza che mi ha voluto portare al Giubileo. «Ci dob-biamo andare, è bello! Là si sta tutti insieme! Tantissimi ragazzi, tantis-simi giovani!»«Ma che ci andiamo a fare in mez-zo a tutta quella confusione!»Andiamo. Notte di Tor Vergata, (cerco di sintetizzare). Giovanni Paolo II cita l’espressione di Matteo capitolo 16, versetto 15. Non so chi di voi è !danzato, ma ricordate il momento in cui avete detto al !-danzato o alla !danzata Io ti amo, la prima volta? « Io ti amo con tutto il cuore?» Lì, l’espressione di Mat-teo capitolo 16, versetto 15, che vi invito anche a leggere più tardi se ne avete la possibilità è quella in cui Gesù non dà risposte, ma fa una domanda: «E voi chi dite che io sia?». È una domanda che tante volte avrò ascoltato nella liturgia o an-che magari nella mia lettura per-sonale, ma quella sera è successo un piccolo grande terremoto. Ecco, (Carlo parlava ieri sera del “ricono-scere”) in quel momento non tanto io ho riconosciuto quella parola, quanto Gesù Cristo è venuto pre-potentemente attraverso la tene-rezza, la discrezione e, in un certo qual senso, ha aperto le porte del mio cuore. È stato Cristo Gesù che

ha aperto uno spiraglio. È un po’ come la fessura quando si sta per aprire una porta, c’è un po’ di ti-more perché non si sa quello che si può trovare. Si dice: «C’è buio, non so dove mettere i piedi!», Ma lì c’era un piccolo lembo di luce. Un lembo, ne basta uno piccolo, una piccola traccia, che si apre il cammino. Il Vangelo di Matteo, in quella domanda, mi ha aperto un nuovo cammino, non perché quel-lo che avevo fatto prima l’avessi fatto con inganno; ma l’avevo fatto sicuramente con super!cialità e al-lora ho dovuto rimettere un po’ di ordine nella mia vita, per sincerità di cuore, dopo sette anni. E mi è costato tanto, ho lasciato Simona e da lì ho camminato insieme ad un sacerdote, padre Damiani, un gesuita che stava vicino alla mia facoltà di Giurisprudenza. Ho cam-minato insieme sulle orme di Gesù. Ho aperto il Vangelo anche grazie a padre Damiani che mi ha spinto e da lì ho iniziato a camminare. Nel 2004 ho vissuto un’esperienza forte in Africa. Dopo quell’incon-tro, nel 2000, con Giovanni Paolo II egli mi stava a cuore perché anche lui è entrato nella mia storia, nella mia vita, come dire, nella mia sto-ria vocazionale. Allora, quando lui muore nell’aprile 2005, vado da mia madre e dico: «Ci sono i fune-rali del Santo Padre, voglio andare»«Ma con chi vai? Vai da solo?»«No, c’è tantissima gente!» Parto alle sei del mattino, un mio amico mi accompagna. Roma, Vati-cano, faccio la !la, una !la lunghis-sima, nove ore, dieci di !la! Grazie a Dio riesco in quattro ore ad entra-re in Vaticano dopodiché esco, mi arriva una chiamata -era don Ber-nardo Briganti, un sacerdote del-la diocesi di Caltanissetta- e dice: «Noi siamo col gruppo di semina-risti, col nostro vescovo Mons. Rus-sotto, stiamo andando in Basilica, aspettaci». Rientro di nuovo e vado nuovamente a fare la visita. Dopo-diché Piazza Navona: il nostro pa-

dre vescovo (io ancora lo ricordo benissimo), ci o$re un gelato e lui, parlando con me, conoscendomi, dice: «Ma perché non vieni a Calta-nissetta?» Gesù Cristo parla anche così. Parla anche attraverso le sto-rie delle persone che si incontrano e quelle storie si intrecciano in un tutt’uno e diventano anche la “tua storia”. Io avevo l’aereo il pomeriggio, do-vevo partire; i ragazzi invece dove-vano partecipare alla messa, allora dico: «Bernardo, devo andare per-ché ho l’aereo» e saluto i ragazzi.«Aspetta, aspetta perché il nostro padre vescovo deve dare i pass per partecipare alla messa. Loro era-no otto, dovevano essere in nove perché il pulmino è di nove ma un ragazzo si era ritirato all’ultimo mi-nuto, quindi erano rimasti in otto. Io ero il nono.. Bernardo mi dice: «Guarda, c’è un biglietto in più!»«Si, vabbè, c’è un biglietto in più! Bernardo, ma che dici?»«No, sono nove i pass, non sono otto»«Vero! Sono nove, non sono otto! Fammeli vedere!»Prendo sto’ biglietto in mano e ri-mango di stucco, ingessato.. una felicità immensa.. ma non tanto nell’emotività, quanto nella consa-pevolezza che Cristo si rende pre-sente realmente, e grazie anche alla presenza dei sacerdoti e del vescovo, perché dove c’è il vescovo c’è la Chiesa e dove c’è la chiesa c’è lo Spirito Santo che ci fa conosce-re Gesù Cristo: ce lo rende vicino. Allora ho chiamato mia madre, il biglietto dell’aereo è andato a farsi benedire ed io ho partecipato alle esequie di Giovanni Paolo II; dopo-diché sono entrato in seminario. Guardate, quello che vi voglio dire è di seguire i passi di Gesù Cristo. Ricercate la parola del vostro bat-tesimo, lì Gesù per la prima volta vi ha parlato e mi ha parlato. Gesù sta alla porta e bussa, non siamo noi a cercare Gesù, è Gesù che cerca noi.

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1. Un gioco d’amore

Carlo ha insistito tanto sul fatto che noi dobbiamo essere come Gesù. Questa è la nostra vocazione e la nostra missione, perché Dio Padre ci ha creato a immagine e somiglianza del Figlio suo. Nella Trinità, infatti, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo dall’eternità hanno intessuto uno straordinario gioco d’amore che con-siste nell’amare di più, cioè nell’ama-re da Dio mettendo sempre l’altro prima di sé. Perciò il Padre Creato-re ci crea a immagine del Figlio e il Figlio ci porta non a se stesso ma al Padre; ci vuole perfetti e pieni di tenerezza d’amore come il Padre. A sua volta, lo Spirito Santo – che è la stessa “amabilità” di Dio, Colui che rende amorevole Dio – scompare perché l’Amore non si vede; si vedo-no gli amanti, quelli che si amano, non l’Amore. In questo divino gioco d’amore lo Spirito Santo in un certo senso “scompare” per renderci come il Figlio, per condurci al Figlio !no a quando il Padre non sarà “tutto in tutti”. Lo Spirito Santo, cioè l’Amore che è Dio, verrà glori!cato solo alla !ne quando noi saremo tutti in Dio, ma sarà visibile nel volto tras!gura-to di tutti noi resi santi e immacolati nell’Amore.

2. Uomo come noi

Riguardo a questo gioco a perdere mettendo l’altro in evidenza, San Paolo ha scritto nella Lettera ai Fi-lippesi quello che abbiamo cantato nel terzo Salmo, cioè il cantico. Que-sto è stato il progetto del Padre: sal-vare l’uomo dal di dentro, dalla !ni-tudine, dalla debolezza, dall’abisso della fragilità umana per sperimen-tare quello che Lui poteva solo intu-ire ma di cui non aveva esperienza, per cui non ci poteva capire !no in fondo.

E allora beati noi che, grazie all’In-carnazione del Figlio Cristo Gesù, siamo davvero capiti da Dio. In quanto Dio, Lui non poteva speri-mentare il male, il dolore, la morte; non sapeva cosa signi!casse so$rire !no a quando non ha so$erto per-sonalmente; non sapeva bene cosa signi!casse morire !no a quando non è morto; non sapeva cosa fos-sero davvero il male e il tradimento. Adesso lo sa e il Padre lo ha appre-so dall’esperienza del Figlio. Adesso Dio sa cosa signi!ca amare da uomo, sentire il batticuore, sperimentare palpiti di “cordiale” amicizia.

Ed ecco il gioco d’amore: Gesù, sen-za rinunciare alla sua divinità, si spo-glia di tutti i privilegi dell’essere Dio in!nito onnipotente immutabile. E si “svuota” al di là di ogni frontiera pensabile facendosi !nitudine, de-bolezza… uomo.

3. Fino alla morte

Ma questo a Dio non basta. Sicco-me amare davvero signi!ca perdere !no in fondo, Cristo Gesù assume la condizione non di servo (in greco diàkonos) ma di “schiavo” (in greco doùlos). Nell’ultima cena, infatti, si toglie la sopravveste distintiva delle persone e dei ceti sociali e resta solo con la tunica dello schiavo per lava-re i piedi ai suoi discepoli. Per farsi schiavo, Lui deve umiliare se stesso. E voglio sottolineare che solo Dio può essere umile: Lui non può in-nalzarsi al di sopra di se stesso, a Lui resta solo una strada: abbas-sarsi! Per questo solo Dio può esse-re umile realmente. Noi non possia-mo essere umili, perché lo siamo già di fatto: noi siamo fango, siamo uno sputo di terra; non possiamo essere più umili di così. Possiamo e dobbia-mo soltanto prenderne coscienza e

seguire la strada di Gesù.

Gesù non ci dice di essere umili, ma di lasciarci umiliare! Essere esposti all’umiliazione, essere calpestati, ri-gettati, traditi, non compresi, feriti, ripudiati da quelli che amiamo… questo ci costa davvero! Gesù ha umiliato se stesso. Anche Maria si è lasciata umiliare da Dio, come can-ta nel Magni!cat. Maria, infatti, non dice: “Ha guardato l’umiltà della sua serva”, ma: “Ha guardato l’umiliazio-ne della sua schiava”. E questo per-ché il suo Sì a Dio l’ha esposta alla umiliazione del rimanere incinta senza essere ancora sposata; e dun-que esposta ad una probabile lapi-dazione secondo la legge. E come Maria, anche Gesù si umilia: si fa obbediente, sta sotto il potere del-la Parola del Padre !no alla morte e alla morte di croce.

4. La croce che salva il mondo

Il gioco d’amore di Gesù è un cam-mino discendente dall’alto verso il basso, mentre il Padre gli fa percor-rere il cammino opposto: dal basso verso l’alto. Dio Padre, infatti, pro-prio perché Gesù si è abbassato e umiliato !no alla morte di croce, lo esalta ponendolo al di sopra di Sé. E gli dà un “nome che è al di sopra di ogni altro nome”. Il Nome per ec-cellenza è quello di Dio (YHWH), che nessuno poteva mai pronunciare se non il sommo sacerdote una volta l’anno nello yom kippur, il giorno della grande puri!cazione. Dio Padre, accettando questo gioco a perdere fondato sull’Amore, pone il Figlio al di sopra di Sé e dà al Figlio un Nome più importante del suo. Adesso non è più nel Nome del Pa-dre, ma nel Nome di Gesù che “ogni ginocchio si piega nei cieli, in terra e sottoterra”. La dimensione vertica-

Amare da DioVespri presieduti da S.E. Mons. Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta

Lago di Montecolombo, Cappella del Cristo Risorto, 6 ottobre 2012

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le cielo-terra, Padre-Figlio si allarga ad una dimensione orizzontale co-smica. Si disegna così una croce: il Figlio si umilia e si abbassa; il Padre lo esal-ta innalzandolo al di sopra di Sé e allargando la potenza salvi!ca del-le braccia del Figlio !no a formare

la croce che salva il mondo. Il “più grande” nell’ottica di Dio è chi ama di più sapendo perdere di più. Se noi imparassimo davvero questo gioco d’amore saremmo dentro il mistero della Trinità. Saremmo, come ha detto Carlo con insistenza, altri Gesù perché il mondo ha biso-gno solo di Gesù, non di noi vescovi

né dei preti né di Carlo né di tutti voi. Il mondo ha bisogno di Gesù! Bene, dunque ha detto Carlo: solo nella misura in cui ciascuno di noi è Gesù, sua immagine e somiglian-za in questo gioco d’amore !no all’umiliazione, il mondo sarà salvo perché sarà inondato dalla bellezza accecante dell’Amore.

Un aiuto simileOmelia di S.E. Mons. Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta,

nella celebrazione della S. Messa Lago di Montecolombo, Giardino della preghiera, 7 ottobre 2012

1. Introduzione alla celebrazione

Questa celebrazione eucaristica, cuore del nostro raduno e della no-stra festa nel giorno del complean-no di Leo Amici, si svolge nel giorno in cui ricordiamo la nostra Mam-ma Celeste Madre di Cristo e della Chiesa, Maria Santissima, e in un giorno a me particolarmente caro perché oggi si ricorda anche la ca-nonizzazione di S. Brigida di Svezia, che è una delle tre donne compa-trone d’Europa insieme a S. Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein) e a S. Caterina da Siena. In compa-gnia di queste donne, ci poniamo in ascolto aprendo il cuore a quello che il Signore vorrà dire a ciascu-no di noi e, presenti al Signore che è qui in mezzo a noi non solo nel-la natura, non solo in questo luogo sacro di Vangelo ma anche in quel-li che sono riuniti nel suo nome, ci o$riamo a Lui così come siamo ac-cogliendo il dono del suo perdono.

2. Il dono più grande

Tutta la storia della salvezza è rac-chiusa fra due grandi poemi dedi-cati alla donna: il testo del capitolo 2 di Genesi, che abbiamo ascolta-to, e il testo dell’Apocalisse. La sto-ria della salvezza ruota attorno alle

due !gure di donna: Eva e Maria. Nel libro di Genesi è come se Dio godesse nel giocare con l’uomo !no a fargli il dono più grande: la donna. Genesi 2, infatti, presenta tre livelli di relazione dell’uomo e solo al terzo livello l’uomo ritrova pienamente sé stesso ed è felice.

Nel primo livello abbiamo nel giar-dino dell’Eden Dio e l’uomo; non c’è nessun altro, non c’è nient’altro. In questo primo livello la relazione è dal basso verso l’alto, dall’uomo ver-so Dio, ma Dio solo in sé non basta all’uomo per essere felice perché si tratta di una relazione impari, an-che se Dio raggiunge l’uomo, anzi passeggia con lui nel giardino.

Nel secondo livello di relazione Dio crea gli animali e dà all’uomo la scienza, il potere di conoscere gli animali e anche il dominio su di essi, tanto è vero che l’uomo impo-ne il nome agli animali. E imporre il nome signi!ca conoscere l’intima natura dell’altro ed esserne il padro-ne. Ma anche questo secondo livello di relazione è impari, stavolta è un rapporto dall’alto in basso ed anche in questo caso - dice la Bibbia - «l’uo-mo non trovò un aiuto che gli fosse simile». In ebraico l’espressione è

molto bella, sono solo due parole: ‘ezer kenegdo, letteralmente: «un bastone di fronte alla sua faccia».

Questo signi!ca che l’uomo, così come è uscito dalle mani di Dio, è un essere bello e buono, è “un in-granaggio vivente” per usare le pa-role dette da Carlo ieri pomeriggio, ma è “zoppicante”. Se ha solo Dio è zoppo; se possiede solo la scienza, l’intelligenza, il potere, il succes-so, il dominio sul creato è zoppo, non è capace di camminare spe-dito nei vicoli dell’esistenza, ha bi-sogno di un «bastone di fronte alla sua faccia», cioè dell’aiuto simile. Ed ecco il terzo livello: Dio crea la donna con una parte dell’uomo. Quindi la possibilità di generare l’al-tra da sé, cioè “l’aiuto simile” era già dentro l’uomo e Dio tira fuori dall’uo-mo questa possibilità: gliela presen-ta e gliela restituisce come un dono. Carlo ieri sera diceva che bisogna ti-rar fuori i nostri valori e i nostri talen-ti e riconoscerli per essere davvero un “ingranaggio vivente” nella storia della felicità del mondo. Dio tira fuo-ri dall’uomo il valore più bello e più grande: un’altra rispetto a lui, poi le dà la sua impronta e gliela presen-ta e così l’uomo trova l’aiuto simile. Adesso la relazione è equilibra-

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ta: è una relazione paritaria, non è più un rapporto dal basso in alto come nel primo livello; non è più un rapporto dall’alto in basso come nel secondo livello; è un rappor-to paritario, faccia a faccia. L’uomo ora può camminare spedito per-ché torna a camminare “a quattro zampe”: l’essere completo torna a camminare su quattro piedi, quel-li dell’uomo e quelli della donna.

3. Un comandamento nuovo

Questo è il dono straordinario, il di-segno che Dio contempla in tutta la sua bellezza, per cui nessuno di noi può essere felice da solo e per questo Gesù consegna come co-mandamento nuovo, come “suo” comandamento, l’amore reciproco così come ama Dio: «Amatevi gli uni gli altri come Io ho amato voi». Solo in questa reciprocità d’amore l’esse-re umano, che è maschio e femmi-na, cammina veloce, spedito, com-pleto, felice nelle vie dell’esistenza. Il termine ‘ezer, “aiuto, bastone”, tor-na nel libro di Genesi quando Dio combatte con Giacobbe al guado di Iabbok e Giacobbe resta zoppi-cante, perché Dio lo aveva colpi-to al nervo sciatico. Lì il testo dice che, ritrovatosi zoppicante, Gia-cobbe aveva bisogno di un ‘ezer kenegdo, di un “bastone di fronte alla sua faccia”, aveva bisogno di appoggiarsi per poter camminare.

Ma c’è di più: Dio scopre pian pia-no che per farsi comprendere, per farsi conoscere, per farsi ricono-scere dall’uomo deve essere come la donna da lui sognata e creata. Pensiamo, per esempio, al Salmo 120: «Alzo gli occhi verso i monti, da dove mi verrà l’aiuto? Il mio aiuto – ‘ezer – viene dal Signore». Quando l’uomo è smarrito, disorientato, la-cerato, senza una bussola, per cer-care l’orientamento guarda verso i monti, quindi guarda di fronte alla sua faccia e questo aiuto - que-

sto “bastone” che lo ri-orienta nel cammino - gli viene dal Signore, da quel Signore che si è reso pre-sente all’uomo attraverso la donna.

4. La prima culla

Anche il Nuovo Testamento, la sto-ria di Gesù - che è la nostra storia perché noi viviamo ancora dentro il Nuovo Testamento, noi stiamo scrivendo oggi tutte quelle pagine di Vangelo che non ci sono state consegnate; noi siamo questa sto-ria di Vangelo che continua - questa storia di Gesù e del Vangelo inizia all’insegna di una donna: Maria San-tissima. E in questo inizio Dio si pre-senta “zoppicante” a mendicare il sì di Maria, ad elemosinare quel sì d’a-more bussando alla porta del suo cuore per poter essere ospitato nel suo grembo, che diventa la prima culla di Dio nella storia dell’uomo.

Maria adesso è il bastone dinan-zi alla faccia, è l’aiuto simile a Dio che rende poi simile a noi in Cristo Gesù. Maria è il canto più bello di Dio nella storia e se lì, nella casa di Nazareth, Ella si presenta in tutta la sua povertà, la sua purezza e la sua semplicità, con i suoi turbamenti, le sue inquietudini e le sue interro-gazioni !no a dichiararsi nell’amore “schiava” del suo Signore, nel libro dell’Apocalisse è la Donna rivestita del vestito di Dio, così come noi la vedremo, così come noi siamo chia-mati a diventare. Nei Salmi il vestito di Dio è il sole, è la luna, cioè la luce.

Maria si presenta nell’Apocalisse ri-vestita di sole, rivestita di luce e por-ta una corona che è la Chiesa stessa, siamo noi; noi così come siamo, ca-rissimi fratelli e sorelle, con i nostri smarrimenti, i nostri disorientamen-ti, i nostri peccati. Noi siamo que-sta corona di stelle posta in capo a Maria, che è il bastone di Dio nella storia. Noi la contempliamo così e in lei leggiamo la nostra storia, i nostri turbamenti e le nostre domande;

in lei riceviamo la visita di Dio che si presenta a noi nel segno della gioia. Egli, infatti, quando fa irru-zione nel cuore di Maria si presenta con l’imperativo: Kaire, “rallegrati!”.

5. Aprire la porta del cuore

Se la Chiesa oggi vive a volte nella tristezza, se i volti dei cristiani sono un po’ spenti è perché noi ancora non abbiamo aperto la porta del nostro cuore alla visita di Dio. Se Lui entra cambia tutto, ci sconvolge, irradia di luce la nostra anima e il nostro volto e siamo certi di essere nella felicità anche se siamo turba-ti dalle sue pretese, perché ci vuole portare in alto, e anche se il sì che pronunciamo ci conduce all’umilia-zione. Maria, dicendo sì, sa di espor-si alla lapidazione in quanto già pro-messa sposa e incinta non del suo !danzato. Eppure accetta, dice sì, rischia l’umiliazione e la lapidazione perché si !da di Dio e si abbandona nelle sue mani. Questa è la Chiesa, noi siamo chiamati ad essere Maria!Tutta la storia di Dio con noi si svol-ge nell’intimo del nostro cuore, non cercate mai Dio fuori di voi, Egli abita in voi come un mendicante d’amore che chiede l’elemosina del vostro sì. Luca dice che «l’angelo entrò in lei», dunque questo Vangelo si fa lieta novella dentro Maria e quando Ma-ria dice il sì «l’angelo uscì fuori da lei».Noi possiamo vivere l’esodo da noi stessi, l’apertura a ventaglio della nostra vita e irradiare l’amore di Dio solo se sappiamo vivere l’avvento dell’accoglienza, del raccoglimento dentro di noi. Perché è nel nostro cuore che si svolge l’incontro, l’ab-braccio, il dialogo, il combattimento a volte con Dio. Ma non siamo soli! Anche se ci ritroviamo zoppicanti, la donna, Maria, sarà per noi ’ezer kenegdo: il bastone, il sostegno po-sto dinanzi alla nostra faccia, perché lei è lo specchio di quello che noi siamo chiamati ad essere e a diven-tare ogni giorno di più. E così sia!

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Premio Leo Amici 2012a Mons. Mario Russotto

Carlo Tedeschi - Nel vostro cuore forse ci sarà stato un desiderio: quello di un mio scritto, una mia parola; come ho fatto ogni anno il 7 di ottobre o il 16 di aprile, come ha fatto Maria prima di me e come ha fatto Leo Amici ancor prima di Maria.Quest’anno c’è uno scritto che vorrei leggervi: è una pre-ghiera. Molti di voi sono stati giovani insieme a me. Sono cambiate tante cose nel nostro cuore, nella nostra fede, nella nostra esperienza umana e in questo banco di pro-va che abbiamo dovuto superare e che non ci ha rispar-miato nulla. Siamo partiti col privilegio di conoscere un maestro, con quello della gioventù, dell’abbraccio di Dio che oggi tutti sentono in questo luogo ma che noi per primi abbiamo sentito.Questa preghiera credo che serva ai giovani, ai nostri !-gli, a quelli in contatto con noi, alla gioventù di questo tempo che ha bisogno di sacerdoti, di apostoli, che ha bisogno di noi, degli adulti che seriamente a$rontino il male di oggi.

Non sempre siamo stati giusti di fronte a Dio e nel per-corso che è la nostra vita: avremmo dovuto incontrare Gesù per sempre e de!nitivamente alla !ne, non solo della vita ma, di un “percorso di fede”; avremmo dovuto abbracciarlo oggi più di quanto stiamo facendo, mentre forse, dicevo, non siamo stati neanche così utili ai nostri !gli, così guida...Tuttavia, come mi ha spiegato Mons. Russotto, questa è una preghiera vicaria a nome dei giovaniAllora è questo che dico agli adulti quest’anno: rinnova-te il vostro cuore, fatelo ritornare giovane come quando palpitava per quell’uomo che ci ha portato a Di; quando palpitava d’amore per Maria; quando ha palpitato anche per me, nella fratellanza; quando ha palpitato della spe-ranza del futuro. Fatelo ritornare giovane! Anche se voi siete quei padri e quelle madri. Fatelo ritornare giovane! Gesù sana tutto. Gesù, dentro di voi, può curare tutto. Il cielo è pronto, il cielo attende e vi attende ancora.

Motivazione Premio Leo Amici 2012

A te, caro padre Mario,

dopo Susanna Tamaro, il premio Leo Amici dell'anno 2012.Tu hai avuto un padre che solo nel momento della morte ti ha riconosciuto accogliendo Gesù, riconsiderando il tutto. Lo ha fatto grazie a te, al tuo es-sere, alle tue preghiere, suppliche. Lo ha fatto grazie al tuo amore, alla tua umanità che, attraverso tuo padre, si è sublimata in Dio Padre.Solo tu ci sai capire, solo tu sai accettare senza ombre la nostra appartenen-za a Leo Amici. Solo tu hai assaggiato i frutti delle nostre radici, gradendoli. Solo tu in questa misura, in questa sostanza perché lo hai fatto con la logica di Dio. Vero o falso, per come gli altri lo giudichino, un tratto del pensiero di Leo Amici, solo il Signore ha potuto accettare di far nascere, da quelle radici, un frutto così dolce, un raccolto così cospicuo. Noi siamo nulla, inadegua-ti e piccoli per un'opera così grande per come il Signore l'ha modellata e

sostenuta, ma tu ci hai incontrato e ne hai visto e assaporato il Suo tocco. I fatti parlano chiaro e tolgono ogni dubbio perché in chi alberga la logica di Dio tutto è comprensibile, tutto si può accogliere, tutto si può vagliare nella Sua in"ni-ta misericordia, nel Suo in"nito sguardo, nel Suo in"nito discernimento, nella Sua in"nita carità che, anche dai nostri interni, in virtù di una sana benchè discussa radice, fa germogliare frutti, profumi e sapori d'eternità.A te, padre Mario, con in"niti ringraziamenti del Suo e nostro cuore.

Fondazione Leo Amici e Associazione Dare

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Carlo nella preghiera ha ripetuto più volte «il mio cuore è giovane, Signo-re». Il mio, però, è messo a dura pro-va da queste sorprese. Questo vostro riconoscimento mi coglie, infatti, to-talmente impreparato ed è per me un dono graditissimo che mi onora, ma del tutto inatteso, anche perché è qualcosa che si dà alle persone im-portanti e io non lo sono, non mi sono mai considerato tale e penso che non lo diventerò mai perché sono me stes-so. Mi sento onorato per questo pre-mio e soprattutto per le motivazio-ni che ha letto Carlo, che ho sentito proprio dentro di me, ma penso che quello che ho fatto come Vescovo non è nulla di più di quello che è il mio do-vere, quello che ogni Vescovo dovreb-be fare. La mia vocazione nasce, si sviluppa, cresce in una famiglia non credente. I miei mi hanno sempre contrastato nella scelta del Seminario e del Sa-cerdozio, però mi hanno insegnato i valori più alti, quelli che porteremo davanti a Dio: i valori della giustizia, dell’onestà, dell’attenzione ai poveri, soprattutto ai poveri, per poter cam-minare con dignità e a testa alta nella vita come uomo. Questo me l’hanno dato i miei genitori, non me l’hanno insegnato in Seminario e io devo a loro tutto questo.

Mio papà è morto nel 1995, quando io stavo già a Roma dove mi occupa-vo degli studenti universitari. È mor-to a causa di un tumore e gli ultimi giorni della sua vita, quando l’hanno dimesso de"nitivamente dall’ospeda-le ed è stato a casa, io da Roma sono andato giù e l’ho vegliato per quindi-ci giorni, notte e giorno. Riposavo su una poltrona accanto a lui e i nostri dialoghi notturni, quando lui si sve-gliava, erano straordinari. Una not-te papà si svegliò alle due e mi disse: «Sai, mi piace come celebri la Messa e anche come fai la predica». Io, sor-

preso, chiesi come facesse a dirlo, vi-sto che non aveva mai partecipato a una Messa celebrata da me e papà mi spiegò che quando tornavo da Roma e celebravo la domenica in parroc-chia, lui veniva, si metteva in fondo alla chiesa e ascoltava, poi usciva subito per non farsi vedere; inoltre sentiva la gente che, quando lo in-contrava, gli parlava bene di me e lui era molto orgoglioso. Poi ha espresso il desiderio di confessarsi e mi chiese di aiutarlo perché non sapeva come fare e così l’abbiamo fatto insieme e alla "ne mi ha detto: «Ma tu pensi che il Signore mi farà entrare ades-so?». Io ho risposto: «Certo che entri, ti sei confessato e poi la malattia ti ha anche tanto puri"cato!». E lui: «Senti, tanto noi siamo siciliani, se non mi fa entrare per i meriti miei, io gli dico che sono il papà di padre Mario e mi farà entrare di certo!».

Ecco, ho volu-to raccontarvi questo a pro-posito di Leo Amici, che ha vissuto in pie-nezza la sua umanità. Io credo che alla "ne il Signore non ci chiede-rà se abbia-mo creduto o meno, se ab-biamo fatto le adorazioni, se abbiamo fatto le processioni, se abbiamo consumato in-censo, candele o altro. Tutto l’esame verterà sulla dimen-sione umana – «avevo fame… avevo sete…

ero malato… – su questo tipo di soli-darietà, che noi o$riamo nel nome del Signore, sulla fraternità, sul riconosci-mento del dono che è l’altro per noi e questo penso sia lo spirito di tutta l’opera di Leo Amici. Chiunque voglia muoversi al di fuori da questa logica di umanità, che è l’umanità che ha assunto Gesù e che Egli ha rappresen-tato e continua a rappresentare per noi, va fuori dalla logica di Dio, non ha capito Dio, né il cuore di Dio.

Per me avere accanto anche questo busto in bronzo di Leo Amici nella mia camera signi"cherà ricordarmi di quello che mi ha insegnato mio padre e ricordarmi di quello che è il cuore del Vangelo, cioè riconoscere l’altro come una parte della mia umanità, per cui senza la felicità dell’altro neanche io posso essere felice. E dunque grazie a Carlo, grazie a tutti voi!

Mons. M. Russotto..

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Semper IncipeVespri presieduti da S.E. Mons. Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta

Lago di Montecolombo, Cappella dell’Abbraccio di Dio, 7 ottobre 2012

1. Il timore del Signore

Nel Salmo 110 abbiamo cantato «principio della saggezza è il timo-re del Signore». Ecco, il timore del Signore spesso si confonde con la paura, ma se Dio è ricco di grazia e di misericordia non può incutere paura, per cui il timore del Signore non può essere paura. Qual è la di$erenza fra la paura e il timore del Signore? Per spiegarmi meglio ricorro ad un esempio: un bambino rompe un vaso prezio-so a cui il papà è particolarmente legato. Se vive la paura del padre, dinanzi a quel vaso infranto si la-scia prendere dall’angoscia perché pensa che adesso sarà punito. L’an-goscia nasce dal senso di colpa per aver fatto qualcosa che non dove-va fare e la conseguenza è il castigo da parte del padre, che si arrabbia perché si è rotto un vaso a cui lui era legato e perché è stato disob-bedito. Il bambino che rompe un vaso assai caro al padre può essere al contrario invaso dal timore del padre, che consiste nel dispiacer-si per aver recato dispiacere a suo padre che lo ama. Il padre non lo punirà, però si dispiacerà e al bam-bino dispiacerà di aver provocato dispiacere. Quindi non viene assa-lito dal senso di colpa e dall’ango-scia, non ha paura, ha solo la preoc-cupazione di non aver ricambiato l’amore del padre con altrettanto amore. Ecco il timore del Signore!

2. Nell’abbraccio di Dio

Quando nei confronti di Dio abbia-mo paura, noi stiamo giudicando Dio, anzi, lo abbiamo già tradito

nel nostro cuore, perché pensiamo che Egli sia un giudice vendicativo; la paura ci fa rinnegare l’identità di Dio, che è Amore.

Dio è Amore e se io lo vedo come un giudice rinnego la sua identità. Se, invece, anche dinanzi al mio pec-cato più grave, io mi sento amato dal Padre nella consapevolezza che Lui è Amore, allora sono preso dal timore del Signore, cioè dal dispia-cere di aver recato col mio peccato dispiacere a Lui che comunque mi ama lo stesso. Se tengo presente questo principio, davvero la mia vita non avrà inceppamenti perché, anche se cado e sbaglio, mi rialzo subito, non sono assalito dal senso di colpa, non sto lì a pensare se Dio mi perdonerà o no, per-ché più tempo im-piego nel formulare questi pensieri, più mi vado allontanan-do da Dio, gli sfuggo dalle mani e reco an-cora più dispiacere a Colui che non vede l’ora di tenermi nel suo abbraccio.

Il timore del Signore si fonda, allora, sulla consapevolezza che Lui è sempre e co-munque Amore. E l’a-more è come l’acqua: non può non bagna-re; l’amore è come il fuoco: non può non bruciare. Allo stesso modo Dio non può non abbracciare an-

che colui che sempre cade, perché Lui è l’Amore. Dispiacermi di avergli recato di-spiacere e ricominciare subito, perché Lui non continui ad essere da me allontanato: questo è il ti-more del Signore. Per questo mo-tivo quel bellissimo libretto che ha formato tanti santi nella storia della Chiesa, l’Imitazione di Cristo, ad ogni capitolo comincia sempre con due parole: Semper incipe, “ ricomincia sempre”!

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Un’avventura fuori dal mondo

Conoscevamo l’associazione DARE da tanto, anche se non abbiamo mai potuto partecipare attivamente alle attività per motivi di lavoro.Questa estate ci è stata fatta la proposta di partire per 3 giorni (5,6,7 ottobre), una splendida occasione per vedere il paese fuori dal mondo e rivedere le splendide persone persone che vengono da lì (extraterrestri fatti d’amore, sorrisi e poesia) che ogni volta ci toccano il cuore.All’inizio Damiano mi ha detto “tu vai, ci tieni troppo, se le "nanze ce lo permetteranno partiremo tutti”. Il Signore ci ha fatto questo regalo, e Damiano ha pure reagito all’ansia che precede ogni viaggio, per abbandonarsi con fede a quest’avven-tura. Ci siamo preparati ad ogni eventualità (se mancasse una culla per il piccolo? Se mancasse un fornello per preparare la pappa?...). Cerchiamo di non disturbare, dovranno ospitare tanta gente e noi con due bambini siamo così complicati.Poi siamo arrivati: un’ACCOGLIENZA commovente, un posto fantastico, più di quanto avremmo osato desiderare. “Preparatevi noi pranziamo con Carlo!” Mamma mia che vergogna, io devo dare la pappa a Lorenzo che ne com-binerà di tutti i colori, Michele non sta fermo e zitto un attimo, a tavola faremo sicuramente una pessima "gura.Invece Carlo non ha detto nulla e mentre imboccavo Lorenzo alla "ne del pranzo, quando la vivacità dei bambini non ha più freni, ha detto “bambini vi piacerebbe vedere l’asilo? Çì si può giocare con gli altri”, in poche parole un posto dove i bambini sono considerati CREATURE da accudire, guidare, capire, accompagnare a%nchè crescano nell’amore.Poi mi sono commossa quando ho sentito la storia di Patrick, un bimbo iperattivo, incompreso dal mondo, che accol-to e capito ha trasformato la fonte di un disagio in un talento: la danza.Quando si vive in Dio, Dio si manifesta in TUTTO, dal sorriso di chi ti accoglie all’amore di chi perdona, dal-lo splendore dell’arte all’emozione di vedere passare uno scoiattolo vicino alla cappella dell’abbraccio di Dio.Vi terremo tutti nel cuore.

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Non credevo che questi tre giorni potevano segnare profondamente il mio cuore. Ho conosciuto tante persone e ognuna di queste mi ha insegnato qualcosa e spero che anch'io come tutti questi ragazzi posso portare Dio nel cuore di qualcuno. Spero di poter seguire l'esempio di Gesù per tutta la vita, di poter guardare la persona che ho davanti come se fosse la prima volta e di vedere in quel volto gli occhi di Dio. Spero anche di poter frequentare di più questo posto e fare un cammino spirituale intenso per tutta la mia vita. Pensavo che il dono della fede, arrivato due anni fa, oggi si fosse un po' a%evolito ma questo posto pieno di Spirito Santo mi ha fatto riaccendere il fuoco di Dio nel cuore e ho spalancato le porte del mio cuore al mondo.

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Ancora una volta cadere e poi rialzarsi, per quante volte, "no a quando Gesù ogni giorno depositerà nel mio cuore la scintilla del suo Amore. Ogni giorno ricominciare e rinnovarsi per non lasciare spazio a quel male che ogni giorno ti tormenta per assopirti, lasciandoti addormentare in un torbido sogno per ostacolare i disegni di Cristo. E poi avviene che in questa lotta ci si incontra qui tutti insieme al lago per poter respirare un attimo di tregua e curare le ferite che questa lotta ci procura, e si riparte tutti insieme in un lungo abbraccio consapevoli che l'Amore di Gesù distruggerà ogni goccia di male che vuole intromettersi tra noi e la sua in"nita misericordia.

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Come sempre il sette ottobre è apparso Carlo al teatro, con tutti i ragazzi, in quell’attimo, in pochi secondi ho ricevuto una lieta quiete di tranquillità, serenità, tenerezza. Tutto indicava la condizione totale dell’amore di Dio. Grazie!Le tue iniziative Carlo sono sempre corrette, quando parli, quando cammini, quando leggi, è una comunicazione umana a 360 gradi d’amore. Alla fine dell’incontro, sono uscito dal teatro vittorioso, come se si fosse vinta una Battaglia. Grazie a tutti voi ragazzi. 9VJJV

Elkalà – Algeria

.. alcuni commenti che ci sono pervenuti nei giorni successivi ..

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PAROLA E SILENZIO

1. GRAMMATICA E SINTASSIIn occasione della 46ª Giornata Mondiale delle Comu-nicazioni Sociali, Papa Benedetto XVI ci ha fatto dono di uno splendido Messaggio dal titolo Silenzio e Parola: cammino di evangelizzazione, a$ermando che silenzio e parola sono «due momenti della comunicazione che de-vono equilibrarsi, succedersi e integrarsi».

A mio parere il silenzio è la grammatica della parola e l’ascolto è la sintassi della relazione! Benedetto XVI, in-fatti, nel suo Messaggio a$erma che il silenzio “dice” che è la capacità dell’uomo di parlare e non il suo op-posto. L’esaltazione del silenzio in sé e per sé, al di fuori di un tessuto comunicativo, rischia di essere un elogio del mutismo, dell’isolamento, dell’autosu#cienza. «Il silenzio è parte integrante della comunicazione» perché «senza di esso non esistono parole dense di contenuto», ha scritto il Papa. E Giuseppe Ungaretti nella poesia Commiato così si esprime: Quando trovo in questo mio silenziouna parola scavata è nella mia vita come un abisso.

La parola che comunica è quella scavata nel silenzio! Il Sommo Ponte!ce ci ricorda che oggi si fa troppa atten-zione a chi parla e si dimentica che la comunicazione vera è fatta di ascolto e dialogo, è ritmata da parola e silenzio: «Nel silenzio, ad esempio, si colgono i momen-ti più autentici della comunicazione tra coloro che si amano: il gesto, l’espressione del volto, il corpo come segni che manifestano la persona. Nel silenzio parlano la gioia, le preoccupazioni, la so$erenza, che proprio in esso trovano una forma di espressione particolar-mente intensa… Nel silenzio ascoltiamo e conosciamo meglio noi stessi, nasce e si approfondisce il pensiero, comprendiamo con maggiore chiarezza ciò che deside-riamo dire o ciò che ci attendiamo dall’altro, scegliamo come esprimerci». Senza il silenzio la nostra espressività rischia di essere super!ciale, inintelligibile, confusa, impropria.

2. NEL SILENZIO LA VITANel mondo d’oggi, purtroppo, il silenzio è bandito. Im-paludati nel corso continuo del rumore, gli uomini han-no smarrito la via stretta e discreta che porta alle pro-fondità dell’esistenza e alle altezze dello spirito. Ma l’habitat naturale e originario dell’uomo è il silenzio. Nel grembo materno, infatti, la piccola creatura lievita e vive nel silenzio e infante è il suo primo nome, cioè sen-za parola. Eppure vive... Così il chicco di grano: al grem-bo della terra viene a#dato e nel silenzio del solco va

spegnendo ogni gemito vitale perché silenziosamente altro possa divenire. Non c’è rumore nel fecondo silen-zio del seme, che muore per dare la vita. Non c’è rumore nel suo germogliare e neppure nel suo o$rirsi alla tor-tura della pietra che lo trasforma in farina...

Chi ha paura di se stesso cerca la compagnia del rumo-re: esso infonde un senso di sicurezza, protegge da pe-nose ri%essioni, distrugge sogni inquietanti. Il rumore è !glio dell’ansia e del timore di sè. Ma prefe-riamo restare schiavi della verbosità, dei rumori, delle suggestioni, dei !lmati interiori a cui assistiamo come inerti spettatori, dei grovigli delle inquietudini, delle angosce, dei desideri mai risolti... Piuttosto che creare in noi spazi di ri%essione, veri!ca, confronto, progetta-zione. Senza “spazio interiore” visitato dal silenzio non c’è libertà interiore. Per questo occorre alzare grate di silenzio dentro di noi, se vogliamo sentir cantare il no-stro cuore e udire il battito d’ali del pensiero, che si in-nalza verso il cielo di autentica parola. Il silenzio è l’omaggio che la parola rende allo spirito; mentre lo spazio dello spirito, là dove esso può aprire le sue ali, è il silenzio. Parola e silenzio: due opposti di un unico intreccio en-tro cui si snoda l’esistenza, meravigliosa trama che rac-conta la vita.

3. BIOGRAFIA DI PAROLA E SILENZIOLa Bibbia prima di essere “parola”, anzi proprio perché è “parola”, è silenzio! La prima pagina della Bibbia, infatti, presenta il verbo “dire” (‘amar) solo in Gen 1,3; mentre i primi due versetti descrivono già l’opera creatrice di Dio che, con la sua ruah (respiro o spirito, in ebraico è femminile) “cova” le acque del caos. Il “non detto” della prima pagina della Bibbia è rappresentato dalla lettera dell’alfabeto ebraico alef, l’unica che non ha suono e rappresenta il silenzio del Dio parlante avvolto nel suo mistero. La prima parola della Bibbia (“in principio”) in ebraico comincia con la lettera bet (bereshit), che signi-!ca “casa”: quando Dio spezza il velo del suo silenzio, ecco che la sua parola crea “casa” con l’uomo e per l’uo-mo. Andrè Neher nel suo volume L’esilio della parola, dà due appellativi a Dio, proprio in rapporto alla relazione dia-logico silenzio-parola: Il Dio dei ponti sospesi e il Dio del-le arcate spezzate.

Per la Bibbia il parlare rappresenta l’attività dell’uomo in quanto essere intelligente, sensato, capace di verità: è nella parola che l’uomo si rivela per quello che è. Par-lando, l’uomo si espone come soggetto e, contempo-raneamente, pone il “tu” a cui parla come soggetto. La parola è la rivelazione di una relazione tra due soggetti,

PAROLA E SILENZIOdi Mons. Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta.

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PAROLA E SILENZIO

perché consente la distinzione nell’unità della relazio-ne. E l’uomo è tale nella misura in cui entra in comuni-cazione con l’altro. La vita dell’uomo, dunque, è fonda-mentalmente una biogra"a della parola.

La parola è il ponte che consente la reciprocità relazio-nale e fa dell’uomo un essere “personale”. Mediante la parola l’uomo penetra il senso delle cose e le umanizza. Nella biogra!a della comunicazione-relazione entrano parola e silenzio, perché la parola invoca l’ascolto. Chi nel silenzio sa custodire parole autentiche diventa di-mora, anzi icona per le cose, gli eventi, le persone che lo visitano, rendendosi così capace di ospitare la Parola per eccellenza: «Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcu-no ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me» (Ap 3,20).

Custodia e memoria del Verbo abbreviato, la Bibbia sollecita la capacità interpretante del lettore credente soprattutto attraverso l’esercizio sapienziale e attento del quotidiano ascolto: «Ascolta, Israele... Tu amerai...» (Dt 6,4-5). Questa dichiarazione è la sintesi di tutta la religione biblica, che si caratterizza come “religione dell’ascolto”. Per la Bibbia, la fede nasce dall’ascolto. Ascoltare è l’atteggiamento attivo della persona e del popolo dinanzi a Dio che parla e, nella Parola, si rivela e si comunica. Ascoltare è aprire il cuore e la mente per accogliere il dono e il mistero dell’Altro.

L’ascolto esige una apertura totale dell’uomo a Dio e una profonda disposizione di amore. Non esiste ascolto senza amore! Amare Dio e ascoltare la sua voce sono due aspetti di un’unica realtà, due diverse formulazioni dello stesso comandamento fondamentale: «Ascolta... Amerai...».

E l’atto fondativo dell’ascolto è il silenzio. «Abbiamo bisogno di saper ascoltare. E ascoltare vuol dire innan-zitutto tacere. Abbiamo tutti bisogno di silenzio. Di si-lenzio interiore. Questo primo sforzo di riservare den-tro di noi una cella di silenzio, di ascoltazione ri%essiva, restituisce al nostro pensiero la libertà di giudicare, di parlare dentro noi stessi con la nostra coscienza, di av-vertire un vuoto interiore che il frastuono esteriore non riempie e non sazia. Per essere quello che dobbiamo es-sere, persone vere. É la preghiera allora che quasi da sé si riaccende nell’intimità di questo monologo del cuore sincero: il bisogno di Dio si pronuncia, umile e forte. E non resta senza immeritata e insperata risposta. Dio parla nel silenzio interiore» (Paolo VI).

Solo nel silenzio può nascere l’ascolto! L’ascolto senza silenzio è semplice “audizione” di parole e suoni. Ma il silenzio senza ascolto può essere mutismo e solitudine. «Il silenzio è l’eccesso, l’ebbrezza, il sacri!cio della paro-la. E il mutismo è insano, come se si mutilasse qualcosa

senza sacri!carlo... Zaccaria era muto, anziché silenzio-so. Se avesse accettato la rivelazione, forse all’uscita dal tempio non sarebbe stato muto, ma silenzioso» (E. Hel-lo).

Condizione indispensabile per conoscere l’altro e sta-bilire una comunicazione feconda è l’amore fondato sull’ascolto, che nasce dal silenzio. Israele, liberato dall’Egitto, visse 40 anni nel deserto: era necessario uno spazio e un tempo di silenzio per impa-rare ad ascoltare, conoscere e amare Dio. É nel silenzio del deserto che il Signore, come uno Sposo, parla “sul” cuore della sposa-Israele: «Ecco, la attirerò a me, la con-durrò nel deserto e parlerò sul suo cuore» (Os 2,16). Per questo la rottura dell’Alleanza, il vero dramma di Israe-le, è il non-ascolto della Parola: «Ecco, verranno giorni - dice il Signore - in cui manderò la fame nel paese, non fame di pane, né sete di acqua, ma d’ascoltare la parola del Signore» (Am 8,11).

E tuttavia, nelle comunità cristiane il silenzio è forestie-ro. Nel cuore dell’uomo il silenzio è temuto. Ed ecco: parole che non parlano, liturgie che non santi!cano, preghiere che non comunicano. Il leggero sussurrare della Parola non zittisce le nostre chiacchiere. E non per sua impotenza ma per nostra ostinazione, per il dissol-versi della nostra rispettosa educazione e ascoltazione ri%essiva dinanzi a Colui che sta alla porta, divino men-dicante di silenzioso ascolto. «Chi non sa tacere fa della sua vita ciò che farebbe chi volesse solo espirare e non inspirare. Solo a pensarci ci viene l’angoscia. L’umanità di chi non tace mai si dissolve» (R. Guardini).

Il silenzio è la qualità della parola. La parola, prima che formulazione sonora, è pensiero: deve essere sospesa nel silenzio, deve nascere dal cuore del silenzio. «Parla-re signi!cativamente può soltanto colui che sa anche tacere, altrimenti sono chiacchiere; tacere signi!cativa-mente può soltanto colui che può anche parlare, altri-menti è un muto» (R. Guardini). Ma pensare è fatica. E tacere per pensare, o per pregare, è impresa ardua, è come scalare una montagna in cui non ci sono sentieri già tracciati o scorciatoie riposanti. «A fare un solo mi-nuto di silenzio si rischiano le vertigini, e di franare in un abisso di paura. Paura soprattutto di scoprire il vuoto interiore. Perciò si grida e si urla sempre di più» (D.M. Turoldo).

Il giovane !glio della parabola di Luca (15,11-32) trova il coraggio di a$rontare la fatica della strada che lo ripor-ta a suo padre solo dopo aver a$rontato se stesso in un silenzio chiari!catore e puri!catore, che gli riconsegna la dignità di !glio e gli rivela l’amore misericordioso e gratuito del Padre: «Allora rientrò in se stesso e disse: “...Mi alzerò e andrò da mio padre...” Partì e si incamminò verso suo padre» (Lc 15,18-20). Abbiamo tutti bisogno di convertirci al silenzio. Interiore innanzitutto.

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PAROLA E SILENZIO

4. NEL SILENZIO IL RESPIROSilenzio è far ritorno a casa dalla terra dell’incontro con gli altri; è ri-conquistarsi, ri-appropriarsi della propria interiorità per essere padroni di se stessi; è il fondo ori-ginario e aurorale da cui la parola viene e a cui deve ritornare per portare frutto. Infatti, «attraverso un co-stante parlare, strepitare, rumoreggiare, l’uomo viene spinto fuori di sé. Il suo centro interiore si dissolve. E perde anche la parola, perchè il tacere appartiene al parlare come l’inspirare all’espirare. Solo silenzio e pa-rola insieme sono il tutto, la forma della realizzazione della verità» (R. Guardini).

Silenzio signi!ca capacità di tornare al porto del proprio centro interiore, dopo aver navigato nel mare dell’este-riorità. Silenzio signi!ca saper tacere quando la parola è inopportuna o importuna, priva di signi!cativo con-tributo, dettata dall’impulso più che dalla ri%essione, dall’imporsi più che dal proporsi, dal tentativo di annul-lare l’altro più che di comprendere, accogliere, amare; quando la parola è !glia dell’istinto e non del pensiero; quando accresce il rumore e non la comunione; quan-do si è spinti dal bisogno di parlare e non dal dono della parola.

Il silenzio è potente catalizzatore dei sentimenti e dei moti dell’animo, a volte rivela più della parola ed espri-me il non-detto. Il silenzio impone sempre rispetto e mette in marcia tutte le energie vitali perchè lo si possa ascoltare, interiorizzare, comprendere. Il silenzio è virtù quando apre allo stupore e sprigiona meraviglia, dive-nendo «condizione di un ascolto che scava, nell’assen-za, la possibilità di una pienezza» (B. Papasogli); quando possiede le stesse nostre facoltà interiori conducendo-le alle tranquille acque di una calma straripante; quan-do placa il brusio dei pensieri e permette all’uomo di cogliersi e riconoscersi.

Il silenzio, come oceano su cui riposa l’iceberg della pa-rola, acquista senso quando l’uomo diventa familiare col proprio intimo e sa intessere un interiore dialogo pensante con il suo vissuto; quando si ra-ccoglie per tessere i frammenti del suo quotidiano in una trama di senso; quando coglie la sua stessa presenza e si apre alla Presenza del Divino mendicante di silenzioso ascol-to... e scopre il volto di Colui che più dell’aria nei polmo-ni, più del sangue nelle vene, discretamente lo inabita da sempre.

5. LA VOCE DI SOTTILE SILENZIOVorrei approfondire il nostro tema ricorrendo alla breve straordinaria poesia che Giacomo Leopardi scrisse nel 1819 all’età di 21 anni: L’in"nito.

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,e questa siepe, che da tanta parte

dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.Ma sedendo e mirando, interminatispazi di là da quella, e sovrumanisilenzi, e profondissima quiete…E come il ventoodo stormir tra queste piante, io quelloin"nito silenzio a questa vocevo comparando: e mi sovvien l’eterno…

Notiamo che la parola silenzio compare due volte (so-vrumani silenzi… in"nito silenzio); in"nito ricorre con sfumature diverse per ben tre volte: l’in!nito in senso spaziale (interminati spazi), l’in!nito in senso tempora-le (e mi sovvien l’eterno) e l’in!nito in senso mistico-tra-scendente (in"nito silenzio… immensità). D’altra parte la parola-chiave della mistica ebraica per designare il divino è en soph (‘non c’è !ne’ o ‘in-!nito’).

5.1. LA SIEPE DEL “TRA”Dall’ermo colle Leopardi vede questa siepe che esclude il suo sguardo dall’ultimo orizzonte. Se facciamo attenzio-ne, notiamo che non è la lontananza o l’irraggiungibilità dell’orizzonte a suggerire l’idea dell’in!nito, ma proprio la sua esclusione. Se vedessimo l’orizzonte, avremmo una immagine rappresentativa ma distorta dell’in!nito, troveremmo solo un surrogato. Invece la siepe, come li-mite vicino, preserva al nostro sguardo ravvicinato (ma sedendo e mirando) l’in!nità dell’in!nito. Ecco, l’in!nito – per dirla con la tradizione ebraica – è il mizdò (il lato di Dio a noi nascosto e inaccessibile), la siepe è il mi-zidenu, il nostro lato, l’al di qua di Dio a noi accessibile; è il silenzio di Dio che ci svela per ciò stesso il suo parlare.

Anche negli scritti rabbinici c’è una siepe e quando i Rabbini dicono di «porre una siepe (sejag) intorno alla Torah», intendono preservare l’in!nito signi!cato della Torah, che è la Parola stessa di Dio, proprio grazie ad un sejag, una siepe-limite che la custodisca e la separi da tutto ciò che è semplicemente parola dell’uomo.

Siepe e In"nito, silenzio e parola costituiscono un os-simoro, un contrappasso, una specie di occlusione e apertura, che ricorrono spesso insieme anche nella Bib-bia: il vero veggente è un cieco; il profeta è un muto (Ezechiele) o un uomo che non ha facilità di parola (Ge-remia, lo stesso Mosè); la madre feconda - che addirit-tura genera un popolo - è una sterile (Sara, moglie di Abramo; Rachele, moglie di Giacobbe) o una vergine (Maria).

5.2. LA “VOCE” DEL SILENZIOSpazi di là da quella, e sovrumani silenzi… io quelloin"nito silenzio a questa vocevo comparando…

Non il silenzio delle piante, ma proprio la loro “voce” ri-

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PAROLA E SILENZIO

chiama il silenzio. Come non è la lontananza dell’o-rizzonte, ma la chiusura della siepe a richiamare l’in-!nito. É proprio quando tace che Dio parla. La fede biblica ci insegna che la risposta di Dio al nostro grido orante è «Ascolta, Israele!». Ecco, dunque, che il “no-stro lato” (quello a noi noto) e il “lato di Dio” (quello a noi sconosciuto e invisibile) si a$acciano l’uno verso l’altro e si richiamano; non per somiglianza ma per alterità reciproca. Per questo il profeta Elia percepisce la presenza di Dio non nel terremoto, non nel ven-to impetuoso ma nella qol demamah daqqah: «nella voce di sottile silenzio» (1Re 19,12ss.).

Tutto l’In"nito di Leopardi è intrecciato con queste opposizioni e questi ossimori: nello stormire delle piante si ode la voce di in!nito silenzio e, alla !ne, anche il naufragare è un’esperienza dolce. L’ossimoro designa una “zona di con!ne”, una “terra di nessuno” (né di Dio, né dell’uomo), un “tra” che S. Giovanni del-la Croce chiama «felice solitudine notturna». Il cre-dente, uomo e donna di fede, in questa “terra di nes-suno” sente crede sperimenta una divina Presenza. Il non credente, invece, vi coglie solo l’inesplicabile, l’in-!nito o il nulla.

6. UN DIO MUTO?Nella Bibbia la parola silenzio è assai frequente, più di quanto si possa immaginare. Ed esistono mol-teplici forme di silenzio: c’è il silenzio che esprime pace (2Sam 13,20; Pr 26,20; Ne 8,11), come intima coscienza della propria identità (Pr 14,10), e manife-sta un bisogno di sicurezza (Sal 131,2); c’è il silenzio del complice e del bugiardo (Lv 5,1; Pr 29,24), del giudice corrotto (Sal 58,2), del profeta irresponsabile (Ez 3,18.20; 33,6.8) e delle guide politiche inette (Is 56,10); c’è il silenzio di chi riconosce le proprie colpe (Ne 5,8; Gb 40,4-5); c’è il silenzio contemplativo del-la preghiera (1Sam 1,12-13) e quello dell’infedele e dell’idolatra, segno di dimenticanza e di disinteresse verso Dio (Is 30,2; 43,22; 66,4; Ger 10,5; Sal 115,5-7); c’è il silenzio vuoto dell’idolo (1Re 18,26-29; Ger 10,5; Sal 135,16) e quello esterrefatto di fronte alle meravi-glie di YHWH (Es 15,16; Mi 7,15-16; Is 52,15)...

Tuttavia moltissime pagine della Bibbia sono intrise dell’inquietante inchiostro del silenzio di Dio, bagna-te dalle lacrime di credenti e di un intero popolo che, dinanzi al dramma dell’umano dolore, si chiede: «Ma Dio dov’è?».

Il Dio-Parola, origine e causa di ogni umano parlare, viene de!nito da Isaia: «Dio nascosto e misterioso» (Is 45,15): nascosto alla vista come all’udito. É il silenzio dell’inaudito! Il Dio silenzioso, che l’uomo per pen-sarlo spesso ha solo la bestemmia, è anche il Deus absconditus! Il Dio che sempre si sottrae alla vista e,

spesso e soprattutto nel dramma dell’umano dolore, anche all’udito.

7. IL SILENZIO DELLA PAROLA

7.1. IL SILENZIO DI GESÙ «Mentre un profondo silenzio avvolgeva tutte le cose, e la notte era a metà del suo corso, la tua paro-la... scese» (Sap 18,14). «Quando l’Agnello aprì il setti-mo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz’ora» (Ap 8,1). Il Dio del silenzio pronuncia la sua Parola nel silenzio, con il silenzio. E solo nella nudità del silenzio orante può essere udito e accolto: «Il Padre pronun-ciò una parola, che fu suo Figlio, e sempre la ripete in un eterno silenzio, perciò in silenzio essa deve essere ascoltata dall’anima» (S. Giovanni della Croce).

Il Figlio, Parola eterna del Padre, carnale Tenda del Dio-con-noi, «è cresciuto come un virgulto davanti a lui e come una radice in terra arida... Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben co-nosce il patire... Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al ma-cello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non aprì la sua bocca» (Is 53,2-3.7). La Parola, vivente nel silenzioso grembo della Trinità, squarcia il velo dell’Inaccessibile per farsi carne e accompagnarsi agli uomini. Dopo trent’anni di silenzio, apre il segmento delle parole per poi ritornare al silenzio dell’amore, l’amore più grande: dare la vita... «e non aprì la sua bocca». Soltanto nascondendosi, Dio si manifesta. Soltanto tacendo, Dio parla al cuore dell’uomo.

Nel silenzio della Passione, Gesù consuma il dono di sé !no alla !ne e rivela il suo essere de!nitivamen-te Dio-con-noi, Dio-per-noi. «Allora i soldati lo con-dussero dentro il cortile… E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui. Dopo averlo scherni-to, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per croci!ggerlo» (Mc 15,16-20). Non una parola, non un gemito. Solo un silenzio o$erente. É il compimento di quel tacere di Dio, per il quale non ha più senso parlare se non at-traverso l’amare. Il silenzio è espressione d’amore che genera la vita.

7.2. NEL SILENZIO DELLA CROCEL’unica parola, secondo il Vangelo di Marco, che Gesù pronuncia dalla %agellazione alla morte è «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?». Anzi, Marco ci dice che si tratta di un urlo (15,34) che squarcia il silente so$rire del Cristo, di un alto inarticolato grido cui segue il gelido mutismo del cadavere. Cristo è il silenzio di Dio (S. Weil) ma lì, inchiodato alla croce del

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PAROLA E SILENZIO

non-senso, sospeso fra cielo e terra, quasi ripudiato dal Padre e dagli uomini, Gesù grida forte il suo tra-gico «perché». É la kenosi della Parola. É il silenzio di Dio. La più crudele delle so$erenze di Cristo, ma solo così Egli si è fatto pienamente nostro fratello. Dio muore per amore dell’uomo che lo respinge.

Dinanzi ai poveri impiccati nel luogo dell’Olocausto, l’Auschwitz di ogni miseria umana, mentre il condan-nato più giovane si dibatte lottando con la morte, la voce di un prigioniero domanda: «Dov’è dunque Dio?». E il grido di un altro racchiude tutte le possi-bili risposte: «Eccolo: è appeso lì, a quella forca» (E. Wiesel). A questa dura parola dona nuovo signi!cato il Vangelo cristiano: «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito» (Gv 3,16). Egli non lo ha «risparmiato, ma lo ha consegnato per tutti noi» (Rm 8,32). «Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno» (Gal 3,13).

Accanto all’innocente che muore, solidale con lui ed in lui c’è il Dio della Croce: non un giudice lontano, impassibile spettatore della so$erenza umana, ma il Dio vicino, il Dio «compassionato», il Dio che ha fat-to suo il dolore del mondo per dare ad esso senso e conforto. Questo Dio vicino chiama tutti, per vie mi-steriose note solo al cuore dell’Eterno, a trasformare il dolore in amore, la bestemmia in invocazione, la storia della so$erenza in storia dell’amore del mon-do, ad aiutare gli altri a portare la Croce e a combat-tere le cause inique del so$rire umano, dovunque e comunque esse si presentino. Veramente «se voglia-mo sapere chi è Dio, dobbiamo inginocchiarci ai pie-di della Croce!» (J. Moltmann).

Nella Verbum Domini Benedetto XVI ha scritto: «Qui siamo posti di fronte alla “Parola della croce” (1Cor 1,18). Il Verbo ammutolisce, diviene silenzio mortale, poiché si è “detto” !no a tacere, non trattenendo nul-la di ciò che ci doveva comunicare». Davanti a questo silenzio della croce, san Massimo il Confessore mette sulle labbra della Madre di Dio la seguente espres-sione: «È senza parola la Parola del Padre, che ha fat-to ogni creatura che parla; senza vita sono gli occhi spenti di Colui alla cui parola e al cui cenno si muove tutto ciò che ha vita».

Perciò nel silenzio di ogni parola umana, possiamo udire nel fondo di noi stessi la Parola vivente che dà l’essere a tutto ciò che è. E così - come recita Clemen-te Rebora, un prete e poeta milanese - «quando la tua Parola venne, zittì chiacchiere mie».

8. NEL SILENZIO DEL LOGOSMa noi sappiamo che il Dio misterioso e silenzio-so non delude le nostre vigilanti attese. Egli viene. «Mara’natha’-vieni, Signore» (Ap 22,20): è l’ultimo grido della Bibbia. L’attesa non è vuoto segmento da riempire di sterile chiacchierio, è tempo di grazia, tempo di silenzio adorante. Ogni venuta-visita di Dio nel singolo e nella storia, come ogni sua rivelazione, è preceduta da un tempo di silenzio (cfr. Sap 18,14; Ap 8,1).

Per questo la liturgia cristiana dell’Eucaristia è un’u-nica duplice mensa di Parola e Silenzio. Un unico pane che si fa «lampada ai passi» (Sal 119) e sazia la nostra fame di Dio e del suo Amore. Abbiamo così il dirsi di Dio nella Parola, che la sua tenda ha posto fra noi (cfr. Gv 1,14), e il darsi di Dio nell’Eucaristia, che nel silenzio del suo consegnarsi d’Amore ci ospita in Sé, lasciandosi ospitare in noi per tras!gurarci in Co-lui che mangiamo.

«Riscoprire la centralità della Parola di Dio nella vita della Chiesa – scrive Benedetto XVI nella Verbum Do-mini – vuol dire anche riscoprire il senso del raccogli-mento e della quiete interiore. La grande tradizione patristica ci insegna che i misteri di Cristo sono legati al silenzio e solo in esso la Parola può trovare dimora in noi, come è accaduto in Maria, inseparabilmente donna della Parola e del silenzio».

Silenzio e Parola sono due movimenti della stessa partitura, due voci di uno stesso coro, due strumen-ti che fanno parte di un unico complesso sonoro. E come in una danza si a#ancano, si accarezzano, si studiano, si ritraggono, si avvicinano. Solo nella me-lodia che si crea tra parola e silenzio si può sviluppa-re la relazione. Mentre per troppa fretta si rischia di far mancare respiro ai moti dell’anima, che necessi-tano di distendersi nella grammatica della relazione intessuta di ascolto e amore. Così ha scritto Elie Wie-sel nella sua poesia Al sorgere delle stelle:

Il silenzio, più della parola, rimane la sostanza e il segno di ciò che fu il loro universo e, come la parola,il silenzio s’impone e chiede di essere trasmesso.

E concludo consegnando a me e a voi questo pen-siero di Hans Urs von Balthasar: «La Parola non è più Parola. Nella notte non chiede più di Dio, la notte che la copre non è una notte di stelle, non è silenzio di mille silenzi di amore, ma silenzio di attesa e di ab-bandono. Al centro della nostra fede c’è la Parola ab-bandonata, il Logos croci!sso».

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MALATTIA E FEDE

MALATTIA E FEDEdi Mons. Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta

So$erenza e dolore evocano domande ultime su chi noi siamo e sul perché del nostro esistere, e ci portano ai con!ni di ciò che ancora ci appare come segreto da scoprire o addirittura insondabile miste-ro. Segreto e mistero indicano due dimensioni della re-altà molto diverse tra loro. Non sono sinonimi come in apparenza potrebbe sembrare.

Il segreto richiama ambiti che per ora non conoscia-mo, ma in un futuro più o meno lontano riusciremo a conoscere, una volta trovata la chiave di accesso. Il mistero invece è percepito là dove si avverte di essere di fronte a qualcosa che ci trascende, ci su-pera: non si riuscirà a comprenderlo pienamente né oggi né mai perché si riferisce a realtà che in as-soluto vanno oltre i nostri limiti, e quindi non sono riducibili alle sole nostre vie di accesso o ai nostri apparati di lettura.

Esperienze quali il dolore, la so$erenza, la malattia, la nascita e la morte bussano alla porta dell’oltre da noi, alla sfera appunto del mistero. Possiamo ragio-nevolmente supporre che in essi vi sia sempre qual-che aspetto che ci mette di fronte all’al di là della nostra esperienza, di fronte alla causa frontale e !-nale della vita in quanto tale.

So$rire è una esperienza molto diversa dalle no-stre presunzioni, dalle nostre parole, dalla nostra attività consolatoria. Perché «il dolore è enigma, è ripugnanza. È la più vera assoluta povertà di tutto. Povertà di distacco, povertà di dipendenza, povertà di fede. È mistero, inconcepibilità del mistero. La ra-gione è “capace” di Dio, ma non è capace di ammet-tere il dolore» (N. Barraco).

Sant’Agostino suggerisce una eloquente immagine per esprimere l’atteggiamento di rispetto reveren-ziale da assumere verso una simile soglia del nostro esistere: «Nulla così poco ci appartiene quanto la nostra vita». Con tale espressione egli a$erma che la dimensione più profonda della vita non è descri-vibile in termini di possesso, non è un segreto aper-to a possibili scoperte future. La vita è un dato che ci precede nella sua prima origine, come del resto lo è in de!nitiva tutto quanto esiste; un dato che analogamente sfugge al nostro possesso nel suo esito !nale.

Il termine forse più adatto al rapporto con la vita

è quello della responsabilità nei confronti del suo orientamento, ma non la padronanza assoluta sulla sua origine e sulla sua !ne. Oppure silenzio e rispet-to, accompagnamento, misericordia, pietà.

So$erenza, malattia e dolore ci fanno toccare sulla nostra pelle la non onnipotenza dell’uomo, anzi il suo limite. E dentro tali esperienze possiamo matu-rare un livello più profondo di percezione del nostro essere. Quando la nostra corporeità versa in condi-zioni precarie, la coscienza sembra più facilmente portata a superare ogni delirio di onnipotenza.

Nell’ottica della fede questa debolezza e precarietà della vita non è senza interlocutore che ci trascen-de, perché l’uomo non porta in solidarietà il suo so$rire e il suo morire. Egli, proprio nell’esperienza del limite e della !nitudine, causata dalla malattia, è posto di fronte al Creatore, Interlocutore ultimo quando sono in gioco le domande ultime dell’esi-stenza, poiché la fede crede e professa fermamente Dio come primo prossimo dell’uomo.

La fede cristiana crede che la so$erenza e la malat-tia non sono l’ultima frontiera posta dinanzi ad un Dio impassibile e indi$erente, bensì l’occasione che consente di attraversarle come via di salvezza. Ma nello stesso tempo, la fede non sottrae il tutto al mi-stero e non dice che tutto ci sia chiaro qui e ora, né che tutto sia riconducibile a colpa o punizione o a progetti pienamente decifrabili.

Il dolore non esclude Dio, ma neppure lo include in una lettura chiara e distinta. Togliendoci i calzari come Mosè di fronte al roveto ardente, anche noi di fronte al dolore e alla malattia non possiamo usare parole onnipotenti né tantomeno consolatorie. Il Salmo 36 ci propone, al riguardo, una parola signi-!cativa: «Fai silenzio davanti a Dio e spera in Lui!».

Di fronte al dolore e alla so$erenza, la fede ci invita ad una accettazione consapevole del nostro limite, senza che ci venga tolta la prossimità di Dio, che questo limite ha creato, volendoci diversi da sé, anzi richiamandosi tanto più vicino a noi quanto più ri-vela in Cristo Gesù l’onnipotenza che condivide il so$rire. Come ha scritto David Maria Turoldo nella sua poesia Primogenito dei perduti: «Tu ora non sei che nostro fratello, hai so$erto ogni nostro dolore.

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MALATTIA E FEDE

Noi ti sentiamo nel tuo pianto sulla fossa di Lazzaro. La nostra carne non ti abbandona: sei un Dio che si consuma in noi, un Dio che muore».

Più che parlare di malattia occorrerebbe osservare e ascoltare il malato, colui che nelle sua situazione di so$erenza è il vero maestro, colui che può rivela-re noi a noi stessi, colui che rappresenta l’occasione per metterci allo stretto circa la serietà della vita.

Ricordava Platone: «Non conduce vita umana chi non si interroga su se stesso» e la domanda e la ri-%essione sulla malattia, e più in generale sulla sof-ferenza, è inerente a questo compito di diventare uomo. Dunque, «tra l’impotenza del mutismo e la presunzione arrogante delle parole certe e de!niti-ve ci è chiesto di osare una parola, una parola molto umile, che sorgendo dal silenzio riviva in se stessa il dinamismo pasquale della morte e resurrezione. Nella realtà più che la so$erenza astratta e singo-lare noi incontriamo uomini e donne so$erenti. La stessa malattia noi la vediamo nel volto e nel corpo delle persone malate» (E. Bianchi).

Se la malattia rischia di spersonalizzare il malato è anche vero che il malato personalizza la malattia, il che signi!ca che ciascuno nella sua malattia ,a mi-sura di ciò che gli è possibile e grazie all’aiuto di chi eventualmente lo assiste e lo accompagna, è chia-mato alla responsabilità di dotar di senso la propria so$erenza.

Anche un cristiano non conosce alcuna strada che aggiri il dolore. Non ha corsie preferenziali il cristia-no nella malattia, ma piuttosto una strada che attra-versa il dolore. Questa strada può essere una strada con Dio, ma non è garantita né certa né assicurata. Le tenebre sono sempre possibili e possono essere vissute come nascondimento di Dio.

La vera s!da che è chiesta al cristiano nella malat-tia è come continuare ad amare e continuare ad ac-cettare di essere amato. Questa è l’unica cosa che il Vangelo chiede al cristiano. La vera s!da per cia-scuno di noi nella malattia è continuare ad amare perché il dolore abbruttisce, il dolore ci fa diventare egoisti, il dolore ci provoca e fa pensare soltanto a noi stessi. Il vero compito all’interno della malattia è questa fatica del continuare a credere all’Amore, all’amore verso gli altri e all’amore degli altri verso di noi.

Nella malattia è importante che noi continuiamo a confrontarci con Dio anche a costo di contestare Dio, come hanno fatto Giobbe o Geremia, esprimendo il proprio dolore !no a dire: «Maledetto il giorno in cui sono nato». Non ci è chiesto di rassegnarci, ma ci è chiesto di continuare in quello scontro con Dio !no a trovare un senso al non senso del dolore.

Quando si dà un senso alla propria malattia, e nella malattia si continua ad amare e ad accettare di esse-re amati, si vive la stessa esperienza d’amore di Gesù sulla croce. Quella croce che non ha dato nessuna gloria a Gesù, ma è Lui che ha reso gloriosa la croce perché vi è salito sopra continuando ad amare !no a farsi perdono per chi lo umiliava e lo condannava.

San Gregorio Nazianzieno ha scritto: «Signore, fa’ che io ti sappia amare con tutto il cuore, con tutta la mente quando la mente della vecchiaia vacillerà e con quelle poche forze che mi resteranno quando sarò malato. Ma fa’ che continui ad amare Te e gli al-tri come te stesso». Ecco, solo così il cammino della fede diviene cammino di speranza, cioè cammino di senso nel non senso della malattia.

E concludo a#dandovi questa preghiera che ho scritto proprio per chi vive nella fede il dramma del-la malattia: Eccomi davanti a Te, Signore, nella malattia e nelle ferite del cuore. A Te tendo tremante la mano per toccare la tra"ttura del costato e attingere acqua per la mia sete e balsamo per le mie piaghe. Dammi la forza, Croci"sso Signore, di essere amore pur nel dolore. Accarezza Tu l’anima mia perché consolazione per me sia. Abbraccia il mio spirito e il corpo malato e fa’ che da Te sia risanato. Visita con Maria, la Vergine Madre, questa casa perché vi sia pace. Rallegra di gioia e tenerezza ogni solitudine e tristezza. Accendi nel mio cuore la speranza e aiutami a credere con costanza per essere con Te, mio Signore, un altare di grazia e di amore. Amen.

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OTTOBRE 2012

700 GIOVANI AL SANTUARIO DI SAN GABRIELE

ISOLA DEL GRAN SASSO - Al santuario di San Gabriele, il 28 ottobre, si è esibita

ancora una volta la corale formata dagli artisti della Compagnia Teatrale di Carlo Tedeschi alla presenza di S.E. Mons. Miche-le Seccia – Vescovo di Teramo – e di S.E. Michele Castoro, Ar-civescovo dell’arcidiocesi di Manfredonia-Vieste-S.Giovanni Rotondo, che vi ha condotto 700 gio-vani in pellegrinaggio. Presente anche l’opera-tore pastorale Giovanni Giannone che vi ha ac-compagnato i giovani del-la Casa di Mattinata, punto di incontro e riferimento dei ragazzi del posto su conces-sione di mons. Michele Castoro.

L’avvenimento, diretto per la prima volta in pubblico dall’insegnante Giovanna Schillaci, ha avuto origine da una richiesta di don Salvatore Miscio, rettore del seminario diocesano di Manfredonia e responsabile

della pastorale giovanile. I brani sono stati tratti dal musical incentrato sulla figura di S. Ga-

briele Un silenzioso sospiro d’amore e sono stati intervallati dalla lettura

di episodi tratti dalle biografie del santo patrono dei giovani, sollecitando spunti di riflessio-ne personale ai presenti.Al termine l’assemblea si è al-zata in piedi ed ha applaudito e circondato sia il regista che gli artisti, grati non solo per gli autografi ricevuti, ma anche per aver vissuto un incontro

sentito di amicizia.

Francesco T.

Altra esibizione della corale dell’Accademia d’arte e formazione professionale.

PELLEGRINAGGIO GIOVANI ARCIDIOCESI DI MANFREDONIA - VIESTE - S.G. ROTONDO

Il 13 Ottobre 2012, presso il Santuario di San Gabriele, Isola del Gran Sasso, si è svol-

ta la Concelebrazione del Presbiterio diocesano presieduta da S. Em. Card. Francesco Monterisi (Ar-ciprete della Basilica di S.Paolo fuori le Mura) in oc-casione della Solenne apertura dell’Anno della Fede.Nella stessa giornata è stata celebrata la ri-correnza del XV di Episcopato di S.E. mons. Michele Seccia (Vescovo di Teramo – Atri) il quale, dopo aver tenuto nel pomeriggio un in-contro con tutti i Catechisti, ha consegnato loro, al termine della giornata, il Mandato Catechistico.Tra i Catechisti presenti, Ra$aele e Maya del-la Casa della Montagna di Colledoro di Ca-stelli che, dopo il loro trasferimento in Abruz-zo, operano presso Il centro di aggregazione giovanile Il Giardino di Maria gestendo l’Accademia di Danza e collaborando nella parrocchia di Castelli.

Celebrazione dell’Anno della Fede alSANTUARIO DI SAN GABRIELE

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NOVEMBRE 2012

Cresce il seme di... BAGHERIA

Bagheria, Compagnia Teatrale Carlo Tedeschi: al via i corsi dell’Accademia del Musical

Sono ancora aperte le iscrizioni ai corsi dell’Acca-demia del Musical, promossa dalla Fondazione Leo Amici in collaborazione con l’Associazione Umanitaria Dare (con sede al Lago di Monte Co-lombo, RN) e patrocinata dalla Parrocchia San Pietro Apostolo, in via Bernardo Mattarella,7, presso il cui auditorium si svolgono le lezioni.I corsi sono tenuti da professionisti delle arti te-atrali, diplomati alla Royal Academy di Londra: Giacomo Zatti, responsabile del corpo docenti e protagonista di diversi musical; Luigi Arnone e Licia Umberti per la danza classica e moder-na; Leri Benedetti, per la recitazione; Michela Sclano, ballerina professionista a supporto de-gli insegnanti di danza e di recitazione; tutti fa-centi parte della compagnia teatrale di Carlo Tedeschi, in pianta stabile presso il Teatro Me-tastasio di Assisi con il musical “Chiara di Dio” e presente in Toscana, Puglia, Calabria e Sicilia.

La prima lezione si è svolta martedì 2 ottobre e sono già quasi una cinquantina i ragazzi e le ra-gazze di varie fasce d’età che sono iscritti. I cor-si hanno una doppia !nalità: creare un luogo di aggregazione per attività pastorali rivolte soprat-tutto ai giovani e al tempo stesso formarli pro-fessionalmente nelle varie discipline, conferendo loro dei diplomi riconosciuti a livello internazio-nale, per quanto riguarda la danza, e degli atte-stati di partecipazione per il canto e la recitazione.La collaborazione tra la Compagnia di Carlo Te-deschi e Padre Luciano Catalano, della Parrocchia San Pietro Apostolo di Bagheria, nasce dall’espe-rienza maturata lo scorso anno durante la set-timana di Esercizi Spirituali in preparazione alla Pasqua, culminati nella rappresentazione teatra-le della Via Crucis. Un cammino di fede e artisti-co nel segno di Tedeschi e di Padre Luciano, che continua quest’anno con i corsi dell’Accademia.

di Matilde Geraci

pubblicato su Bagheriaweb.it il 09 - 11 - 2012

I ragazzi della parrocchia San Pietro Apostolo di Bagheria (PA) alla Casa del Ponte

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Per l’anno 2012-2013, nel quale il tema centrale dell’Anno Liturgico indetto da Papa Benedetto XVI è quello della Fede, che si ripresenterà in maniera straordinaria nella prossima GMG 2013 a Rio de Janeiro, il nuovo U#cio Diocesano di Pastorale Giovanile di Caltanissetta, nominato da Sua Eccellenza Rev.ma Mons. Mario

Russotto lo scorso luglio per il prossimo triennio 2012-2015, ha iniziato ad elaborare in maniera capillare e fantasiosa le nuove iniziative per coinvolgere tutti i giovani di Caltanissetta e provincia ponendo le loro esigenze e il loro bisogno di comunicare al centro delle varie progettazioni.È stato così naturale per l’equipe diocesana creare momenti di incontro con i ragazzi, sia in forma ristretta nei vari ambiti parrocchiali, oratoriali, nelle aggregazioni e movimenti, sia in forma più estesa in ambito scolastico (a seguito della scorsa Missione Biblica voluta dal nostro straordinario Vescovo), così da toccare ogni giovane, ogni esigenza, ogni aspirazione, in quanto Gesù stesso ci ha sempre insegnato quanto ogni cristiano sia “unico” ed irripetibile di fronte al Padre che Lo ha creato a Sua immagine e somiglianza.Da questi incontri sono emersi elementi straordinari di ricchezza interiore, di ri%essioni adulte e consapevoli, titubanze, critiche, da parte di ragazzi che la società purtroppo non ascolta e sostiene come necessiterebbero nel loro orientamento di vita futura..Cosa o$riamo loro perché possano ricevere ciò che noi abbiamo ricevuto da un contesto storico e familiare più sobrio e semplice?Come possiamo far parlare i loro cuori, far emergere le loro fragilità, i loro dubbi, senza che si sentano giudicati o ancor peggio scartati e messi in un angolo?Mi dico che devo credere in Gesù vivo e presente nella mia vita, esserne certo attraverso una continua ricerca come mi ha sempre indicato Carlo, mio educatore giovanile e guida, per far sì che una morale sana e costruttiva si trasformi in scelta costante, in uscita da se stessi. A#nché i doni dello Spirito possano manifestarsi in noi completamente per amore del prossimo così da essere tutti CHIESA, cosicché i giovani possano sentirsi attirati sia spiritualmente che concettualmente dentro la CHIESA la quale siamo tutti noi battezzati!!!Questo vogliamo perseguire in Diocesi e nella nostra vita a#nché la “chiamata” del Signore verso ognuno di noi non sia stata vana.Grazie Signore per il tuo amore misericordioso che non ci abbandona mai.

Responsabile Ufficio Diocesano di PG - Caltanissetta Giacomo Zatti

Inizia il Cammino del Nuovo U%cio Diocesano di Pastorale Giovanile di Caltanissetta

Mons. M. Russotto, Valentina La Verde e Giacomo Zatti Reliquia di Giovanni Paolo II - Diocesi di Caltanissetta

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A seguito della nomina di responsabile diocesano dell’u#cio di Pastorale Giovanile di Caltanissetta, Giacomo Zatti, incaricato da S.E. Mons. Russotto, apre a Casa Betania l’Accademia Teatrale Arte e Luci.

Di seguito alcune testimonianze a riguardo:

Cresce il seme di... Casa Betania a Caltanissetta

Ho appena "nito di vedere per la prima volta Chiara di Dio...e credo che Carlo Tedeschi sia stato veramente illu-minato dallo Spirito Santo. Diversamente non credo che potesse nascere un'opera così profonda e vera di vita vis-suta da una coppia di amici e fratelli uniti da Dio.Mi ha commosso tanto sia emotivamente ma soprattutto nell'anima.Ho visto con chiarezza ( io non conoscevo la vita di Chia-ra, se non quel poco di cui si sente) il rapporto che c'è tra Dio e chi Egli sceglie....ed è un rapporto che sto cercando di creare anche io con Lui: un rapporto diretto, intimo e vivo e soprattutto l'allenamento costante nel vederlo e ricono-scerlo in chiunque io incontri ogni giorno....faticosissimo allenamento!Lui mi sta conducendo e quello che mi chiedo e Gli chiedo è: «Dove mi stai portando?»..glielo chiedo con curiosità, a volte timore, ma poi mi "do...come ci si può "dare di una persona che si ama, con la di$erenza che lui non tradisce; e tutto questo lo sto vivendo sulla mia pelle!Anche questa collaborazione con voi, mi sta facendo pen-

sare molto e continuo a chiederGli: «Dove mi vuoi? Mi vuoi qui, perché?»...sto cominciando a darmi delle probabili ri-sposte, ma quello che sento fortemente è che se sono su quel palco immersa in un'opera così, poco ma sicuro che voglia che anche io testimoni la sua presenza e che quindi mi faccia strumento davanti a tutti, a chi non conosco e a chi conosco...non so come spiegarlo, forse è una prova di fede trovarmi con voi a rappresentare queste vite meravi-gliose di Santi, San Francesco, Sant'Agostino tanto vicini alla mia vita passata.Mi sto "dando e mi sto facendo portare per mano...mi sembra che mi stia regalando davvero tanto. Io volevo giusto condividere con voi questo mio sentimento.Grazie mille per tutto, per il modo in cui insegnate l'Arte, per l'Amore che mettete e la sensazione di sentire Gesù in mezzo a noi quando si lavora in aula o durante le prove... siete una gran bella famiglia!Un abbraccio forte,THU\LSH

La mia esperienza con l’Accademia Arti e Luci è iniziata lo scorso maggio 2012 quando,a termine della visita pastorale del Vescovo, Sua Eccellenza Mons. Mario Russotto, Carlo Tedeschi con tutta la sua compagnia teatrale venne per incontrare e dare testimonianza di questa nuova realtà alle scuole di tutta la diocesi, quel giorno qualcosa in me si riaccese dopo molto tempo, qualcosa mi spinse ad oltrepassare i limiti della mia solita riser-vatezza e a chiedere, in fondo cosa mi costava?Sentendo quelle canzoni e vedendo quelle coreo-gra"e piene di passione ed entusiasmo mi sentii scossa, sentii che in fondo dentro di me potevo ri-scoprire e mettere in gioco ciò che avevo da dare, la mia voce. Contattai quasi subito Michela e Gia-como dopo quell’incontro, non so neanche io con che forza, dato che fondamentalmente si trattava di persone estranee, ma lo feci. Dopo pochi giorni

quindi andai a Casa Betania per prendere altre in-formazioni e capire ancora meglio di cosa si trat-tasse. Nel momento stesso in cui entrai sentii che da quel punto in poi il mondo che "no a pochi secondi prima mi aveva circondato con le sue convinzioni, modelli e stereotipi si era interrotto e lasciava il posto ad un ambiente familiare piacevole… in po-che parole era come se stessi entrando a casa mia! Quel giorno incontrai faccia a faccia i miei maestri Giacomo e Michela, in quel momento capii che forse la forza che mi spinse "n lì mi era venuta dal ricordo, il ricordo di quando avevo 10 anni e canta-vo le melodie del musical di Carlo Tedeschi “Chiara di Dio”, il ricordo di quando per la prima volta lo andai a vedere al teatro e conobbi un nuovo modo di interpretare le "gure di S.Francesco e S.Chiara, il ricordo della libertà e della spensieratezza che per tutta la fanciullezza mi aveva accompagnata,

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l’avevo ritrovato! Avevo ritrovato il mio entusiasmo che ultimamente era andato un po’ sbiadendosi.Mi ricordo ancora che quando li rividi in uno de-gli incontri nelle scuole dopo 7 anni dallo spetta-colo fatto qui a Caltanissetta esclamai: “Ma quelli sono Francesco e Chiara!” la libertà con cui mi ero espressa in quel momento mi riportò indietro nel tempo… Qualcosa mi diceva che in quel momento non mi trovavo all’Accademia e di fronte a Michela e Giacomo per caso.Così mi iscrissi, ma il bello di quel pomeriggio fu la disponibilità con cui fui ascoltata, in pochi hanno la capacità di saper veramente ascoltare le perso-ne. Da quel giorno in poi fu un continuo riscoprire me stessa, lezione dopo lezione, capii che le persone che avevo davanti non erano solo dei giovani e quali"cati insegnanti che mi aiutavano giorno per giorno a sviluppare la mia voce e le mie interpre-tazioni ma erano molto di più. Sono persone come me in crescita e che come tutti noi ragazzi hanno passato i loro momenti di%cili, ma è stata ed “è” la loro semplicità nel proporre i propri “talenti” che mi continua ad aiutare nella crescita e che mi fa capi-re che al mondo non bisogna per forza “costruire un personaggio” per distinguersi dal “mucchio” ed essere notati ma basta saper essere felici e convin-ti delle proprie scelte e del modo in cui le si porta avanti per comunicare e farsi “ascoltare” dagli altri.

L’importante è essere soddisfatti delle proprie scelte e di ciò che si è, in quel momento piacerai agli altri. Con il canto riesco ad esprimermi in pieno e mi ac-corgo, man mano che il tempo passa, che non solo la mia voce “cresce” ma anche la mia persona, la mia anima “cresce” grazie ai piccoli consigli che durante la lezione e i momenti di condivisione con l’Accademia mi vengono dati.L’Accademia Arte Luci punta alla crescita dell’at-tore, del cantante e del ballerino in modo che esso possa perfezionare il proprio talento attraverso una formazione tecnica ma anche morale per es-sere veramente considerato un “artista” sotto tutti i punti di vista.Capisco sempre più, pian piano, che attraverso l’e-spressione libera di se stessi nei vari ambiti della vita di tutti i giorni si possono far “tremare” dall’emozio-ne le persone; questo lo comprendo ogni volta che sento cantare con forza e passione Giacomo, che vedo danzare con grazia, equilibrio e forza Miche-la, quando assisto ai loro spettacoli e tutto il pub-blico al termine applaude commosso dopo essersi sentito per un’ora o due veramente accompagna-to e compreso in una “Forza” molto più grande di esso, arrivata lì, sul palcoscenico solo grazie alla di-sponibilità di semplici esseri umani che però hanno messo a disposizione del vero “Artista” i loro talenti.���������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������������

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Anno della Fede: Parola ai Giovani Studenti

Caltanissetta

Progetto per gli istituti superiori di Caltanissetta

Dopo l’edi"cante esperienza in Cristo vissuta nella Missione Biblica Diocesana insieme al nostro Vescovo S. E. Mons. Mario Russotto, ai Dirigenti scolastici degli Istituti Superiori presenti nella Diocesi di Caltanissetta, agli insegnanti, ai sacerdoti, ai seminaristi e soprattutto agli studenti, ci è sembrato doveroso, entusiasmante e stravolgente programmare con il neo direttore don Rino, la co-responsabile Valentina e la nuova equipe dell’U%cio Diocesano di Pastorale Giovanile in collaborazione con gli altri due U%ci Diocesani Catechistico e Vocazionale, un ritorno. Un ritorno laddove tante testimonianze semplici, vere e sincere del mondo giovanile hanno alimentato speranze nuove, emozioni forti, nuove prese di coscienza sul tema che più di ogni altro arricchisce e ribalta il nostro quotidiano vivere: la Fede.Proprio il chiedersi come il giovane di oggi viva tale argomento rapportato al proprio quotidiano, ha innescato in noi l’esigenza di dare una continuità alla Missione attraverso nuovi momenti di incontro, non prettamente catechetici ovviamente, ma intesi come dialogo aperto (ovviamente strutturato)all’ascolto dei tanti interrogativi che i ragazzi si pongono ed ai quali trovare risposte nella società attuale è pressoché utopia.Porgere loro un messaggio vero che per noi è certezza: «..Ognuno è amato in maniera personale da Gesù» ( Lettera Pastorale 2012-2013).Egli mi cerca soprattutto nel caos, nelle mie inquietudini, nel mio non conoscere il futuro, per condividere, per amarmi intensamente e farmi diventare persona matura e consapevole.Come detto ho potuto condividere l’esperienza missionaria nelle scuole ed ancora oggi per strada molti sono i ragazzi ed anche i docenti che incontrandomi mi chiedono di tornare per un altro confronto!Come possiamo non accogliere questa chiamata? Non spingerci all’uscita da sé? Come possiamo non essere stupiti dall’a&uenza giovanile presso l’Accademia Arte e Luci ( formazione artistica e pastorale) di Caltanissetta voluta ed inaugurata dopo la Missione Biblica dal Vescovo, capace in poco tempo di essere riferimento giovanile per una trentina di ragazzi?Partiremo con gli incontri dal 19 Febbraio 2013 nei vari istituti e licei.Comunicheremo attraverso l’esperienza di vita vissuta, giovane, semplice, fatta di quei passaggi che ogni ragazzo vive seppure in modalità e momenti di$erenti.Supporteremo la testimonianza con l’arte scenica, coreogra"ca e teatrale, coinvolgendo i giovani allievi dell’Accademia Arte e Luci di Casa Betania.Saranno presenti anche i responsabili degli U%ci Diocesani coinvolti, i seminaristi, i sacerdoti responsabili dell’Istituto, i docenti di religione, in un coordinamento e%cace e guidato a%nché il tutto sia utile ai giovani.Hanno bisogno secondo noi di essere ascoltati e di comunicare, di sentirsi utili, per vivere ogni giorno la scoperta continua del SENSO DI SÈ in Cristo.

Ufficio Diocesano di Pastorale GiovanileReferente scuole Giacomo Zatti

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LA NATIVITÀ SI FA MUSICALAssisi - Teatro Metastasio

Anche quest’anno, al Teatro Metastasio di Assisi, è tornato in scena il musical Notte di Natale 1223, quando Francesco ideò il primo presepe, che ha concluso il convegno dell’Unione Apostolica del Clero.

Ad inaugurare la prima del 17 novembre è stato l’autore e regista teatrale Carlo Tedeschi:

«Lo spettacolo resterà per tutto il periodo di Natale e questa è un’anteprima speciale; ecco il perchè della mia presenza. Questa Compagnia per tutto l’anno porterà in scena il musical Chiara di Dio ed è composta dai più giovani che frequentano l’accademia da poco tempo, ma che io ho voluto ugualmente mettere in scena. Coloro che rappresentavano questo spet-tacolo prima di loro hanno aperto altri luoghi simili a questo di Assisi, ed essendo diventati professionisti e insegnanti, mettono a disposizione la loro professionalità, ma soprattutto il loro cuore, ad altri giovani.Quelli che vedrete questa sera sono emozionatissimi perché è la prima volta che interpretano questo spettacolo. I loro insegnanti non sono qui questa sera, fuorchè Gianluca Raponi, l’autore delle coreogra!e, e Annamaria Bianchini, che mi hanno aiutato ad allestire questo spettacolo. Dunque questo per loro è come un primo debutto, un primo passo senza i più grandi che li hanno sostenuti !no ad oggi. Io li ho voluti sostenere e vorrei che anche voi lo faceste.Mons. Vittorio Peri, che fa parte di questa diocesi e che ha seguito questi ragazzi an-che a livello spirituale, è testimone della vita di questi ragazzi, una vita veramente speciale. Sono sì dei grandi artisti, però sono anche ragazzi di grande fede; ragazzi che stanno ricercando; ragazzi che tra loro vivono la fratellanza e la vivono come ricerca spirituale, come possibilità di cammino verso qualcosa di più grande e verso una vita futura che li vedrà sicuramente professionisti, ma anche uomini e donne di fede, dunque per un mondo migliore!»

Mons. Vittorio Peri (vicario episcopale per la cultura di Assisi):«Sì, sono molto giovani, ma oggi ho avuto la possibilità di assistere ad una parte, e vi posso assicurare che non lasciano nulla da invidiare a quelli che sono più grandi, sono bravissimi ugualmente! Naturalmente quello che conta è il cuore!Carlo ha detto che sono ragazzi come tutti noi alla ricerca di Dio.. siamo tutti cercatori di Dio. Nessuno l’ha tro-vato pienamente, però Sant’Agostino ha usato una frase straordinaria: “Ti stavo cercando Signore”. Agostino era giovane, un po’ fuori strada, ma Dio risponde: “Tu non mi avresti cercato se non mi avessi già trovato”. Cercare vuol dire aver già trovato colui che si cerca. L’augurio che io faccio a voi è di cercare il Signore, ma voi l’avete già nel cuore e questo spettacolo certamente è una spinta in questo cammino di fede. I ragazzi lo vivono di certo come un’esperienza di fede. Abbiamo pregato qualche momento fa dietro le quinte e abbiamo messo lo spettacolo sotto la protezione di Maria con la preghiera di Dante dell’ultimo canto della Divina Commedia, che sanno a memoria. È sotto la sua protezione, per cui voi, uscendo, riceverete un messaggio di luce, di pace, di speranza e soprattutto di fede.Gli Atti degli apostoli, il diario di bordo della prima comunità cristiana, descrive come vivevano i primi cristiani, cioè mettendo quello che avevano, in comunione: quello che uno aveva lo metteva a servizio degli altri, niente era cosa propria, ma tutto in comunione. Questi ragazzi in qualche modo rivivono l’esperienza dei primi cristia-ni, perché mettono tutto in comunione, quello che raccolgono dallo spettacolo è il sostentamento per le loro vite, nessuno è stipendiato, nemmeno Carlo. Questo, in un mondo così chiuso e così egoista in cui noi viviamo, è davvero un segno che il Signore continua a camminare nella sua Chiesa e che questi giovani danno la speran-za. Non è vero che tutti i giovani sono sbandati, sono fuori, molte volte siamo noi adulti fuori di testa. I giovani quando trovano una strada, quando trovano un clima di amore, di solidarietà, di fede, fanno quello che vedrete.Io credo molto in questi ragazzi, li ammiro molto. Qui ci sono anche i ragazzi venuti dal Lago di Montecolombo, dove vivono e fanno un altro spettacolo straordinario, Patto di luce, anch’essi molto giovani e che sono venuti per incoraggiare, per dare la loro solidarietà a questi loro fratelli e sorelle, perché è questo che sono.Tra l’ altro ogni sabato e domenica di !ne mese facciamo un incontro di spiritualità con loro ed altre persone al teatro del Lago di Montecolombo. Lì c’è una piccola località “fuori dal mondo”, ma davvero fuori dal mondo, nel senso non tanto geogra!co, quanto di clima. Non perdete questa occasione, è un’esperienza! Lo dico perchè è qualcosa di davvero straordinario che io sperimento ogni mese».

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Una speranza per la demenza e l’alzheimer

CESENA - POLIAMBULATORIO GIANOConferenza del Dott. Samorindo Peci

medico ricercatore e direttore scienti!co CERIFOS (Centro Ricerca e Formazione Scienti!ca)

Lunedi 19 novembre, il Dott. Samorindo Peci, direttore del Centro di Ricerca e Formazione Scienti!ca (CE.RI.FO.S.), ha tenuto una conferenza presso la sala

convegni, poliambulatorio Giano di Cesena, sulle tematiche della demenza pre-coce e del Morbo di Alzheimer, malattie sempre più di$use nella nostra civiltà.Hanno partecipato alla conferenza alcuni operatori del Poliambulatorio del Piccolo paese del Lago di Monte Colombo.

Il cervello ha bisogno di zucchero...e il cuore pure, ma quale?...Questo vecchio slogan pubblicitario ricon-duce ad una parziale verità scienti-!ca, oggi più che attuale.

È risaputo che parlare di zucchero è riduttivo in quanto di zuccheri ce ne sono parecchi e ognuno ha la sua particolarità. I più famosi sono il glucosio, il fruttosio e il galattosio, lo zucchero contenuto nel latte mater-no, umano ed animale.Inoltre per dare la giusta importan-za a ciò che sto per dire, bisogna ri-cordare che il DNA è composto da molecole di zucchero.Fatta questa premessa oggi prende-remo in esame il galattosio, un tipo di zucchero che si è rivelato in gra-do di ottimizzare, fra le altre, la cura della demenza precoce e del Morbo di Alzheimer, malattie sempre più di$use nella nostra civiltà che pun-tano direttamente il dito contro il prolungamento a tutti i costi della vita umana. Infatti la maggior parte dei pazienti ha più di 70 anni ed è di preferenza di sesso femminile. Il morbo di Alzheimer non è però una novità, essendo stato descritto per la prima volta agli inizi del Nove-cento; oggi però sotto questo nome convergono varie forme di demen-za, con sintomatologie anche di$e-renti.Nell'epoca dell'e#cienza non si ac-cetta più che l'anziano perda un po' la memoria, sia a volte disorientato o stenti a prendere una decisione.

La famiglia cerca subito di etichetta-re il malato, perché, se c'è la diagno-si, allora ci deve essere la cura. Non sempre è così. Ma a volte un risvolto positivo è più vicino di quanto si im-magini.Strutturalmente non molto diverso dal glucosio, il galattosio è presen-te nel lattosio, lo zucchero del latte, composto in parti uguali da gluco-sio e galattosio, il quale produce un enzima digestivo, la lattasi, che pre-siede alla costruzione della cellula e degli organi, dato che tutte le cel-lule sono contornate da una mem-brana protettiva, il cui componente principale è proprio il galattosio. Se pensiamo che il galattosio è lo zuc-chero del latte materno, strettamen-te legato alla crescita e alla struttu-razione cellulare, mai come in quel momento della vita necessario e indispensabile, intuiamo facilmente a quale elemento primordiale ed es-senziale ci stiamo avvicinando.Parliamo però prima brevemente del glucosio che è il substrato nu-tritivo del sistema nervoso centrale e quindi in particolare del cervello, che per il funzionamento necessita 100-150 g. di glucosio al giorno. Il sangue in toto però ne può imma-gazzinare soltanto 5 g. e quindi il cervello ha bisogno di un approvvi-gionamento continuo.Se non ne introduciamo a su#cien-za con l'alimentazione è il fegato a fornire il necessario attraverso il ca-tabolismo delle proteine; la sua ca-renza e la mancanza di uniformità di

assimilazione porta oggi a di$usissi-me malattie steatosiche del fegato, sempre collegabili a disturbi degli zuccheri.Dobbiamo ora comprendere come fa il glucosio a raggiungere le cellu-le nervose.Se pensiamo al glucosio, ci viene subito in mente l'ormone insulina, ma come fa l'insulina, che nuota nel sangue intorno alla cellula, a pene-trare dentro alle cellule al bisogno speci!co? Come fa ad aprirsi un var-co nella membrana cellulare nell'e-satto momento in cui necessita?La Natura ha dotato la cellula di una specie di sensore, di un'antenna, in grado di riconoscere l'insulina. Questo recettore è altamente spe-cializzato e, quando riconosce la presenza d'insulina, manda un se-gnale all'interno della cellula. Esso colpisce delle specie di bollicine che hanno sulla super!cie partico-lari proteine recettoriali, in grado di trasformare il glucosio (GLUT 4). Attraverso l'insulina esse vengo-no trasportare verso la membrana cellulare,!no a fondersi con essa. Da questa posizione esse possono fa-vorire il passaggio del glucosio ex-tracellulare all'interno della cellula. Qui il glucosio servirà alla produzio-ne di energia biologica (ATP) e alla costruzione delle cellule stesse.Mentre altre cellule sono in grado di usare per i processi energetici e me-tabolici anche aminoacidi e gli acidi grassi, le cellule del sistema nervoso centrale e i globuli rossi hanno pro-

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prio bisogno del glucosio.Come dicevamo, il ruolo centrale in questo processo viene ricoperto dal recettore dell'insulina. È ormai risaputo che nei malati di Alzheimer esso risulta danneggiato, impeden-do così all'insulina di svolgere la sua opera di regolazione del trasporto di glucosio. Questo de!cit diminui-sce pesantemente l'apporto di glu-cosio al cervello, il quale comincia ad avere fame di zucchero. A questo punto si rendono visibili i primi se-gni di demenza !no a raggiungere la de!nizione di Morbo di Alzhei-mer.Appaiono le temutissime placche amiloidi che, pur esterne alla cel-lula, la costringono, cosicché all'in-terno della cellula si formano degli

ammassi di neuro!brille o tangles che impediscono le funzioni intra-cellulari. Con la formazione delle placche e degli ammassi i neuroni sani iniziano a perdere e#cienza, in seguito cominciano a non funziona-re più, a non comunicare più tra di loro e alla !ne muoiono.Questo processo di degrado, che si pensa inizi molti anni prima della comparsa dei sintomi, si di$onde !no a raggiungere l'ippocampo, che è la struttura deputata al processo di memorizzazione. Più i neuroni muo-iono, più le zone del cervello colpite iniziano a rimpicciolirsi.Con lo stadio !nale del morbo di Alzheimer il danno è di$uso ovun-que e il tessuto celebrale si è ridotto in maniera signi!cativa. Arrestare la

fame di zucchero del cervello è ora più facile, da quando si è capito che è il galattosio lo zucchero che può invertire la tendenza epidemiologi-ca del Morbo di Alzheimer. Non pos-siamo fare a#damento sul glucosio, in quanto esso, per essere assorbito, ha bisogno di insulina e abbiamo vi-sto che nei malati di Alzheimer il re-cettore insulinico è danneggiato. Il galattosio invece per essere assorbi-to dalle cellule non richiede né l'in-sulina né il suo recettore, in quanto per arrivare all'interno della cellula usa un canale preferenziale detto GLUT 3. Il propellente del galattosio non è quindi l'insulina GLUT 4, bensì un gradiente di concentrazione.

Col riconoscimento dell'importanza del metabolismo degli zuccheri sta di$ondendosi l'identi!cazione del Morbo di Alzheimer quale diabete mellito di tipo III. Ri-tengo che sia importante cambiare prospettiva e consi-derare l'Alzheimer all'interno di un metabolismo, a$ron-tando un quadro eziologico alternativo che può portare a risultati insperati.Diabete e Morbo di Alzheimer condividono infatti un difetto del ricettore insulinico. Nell'Alzheimer il difetto riguarda il ricettore insulinico del sistema nervoso cen-trale, nel diabete quello delle cellule ß del pancreas.È d'altronde risaputo che il diabetico so$re molto più frequentemente di Morbo di Alzheimer di chi non ne è a$etto, facendo intuire che il danneggiamento del re-cettore possa essere genetico ed andarsi ad esprimere in questo o quel distretto funzionale, in base ad espe-rienze fenotipiche, cioè abitudinarie, legate all'alimenta-zione individuale.Non possiamo però non accennare che nella clinica ab-

biamo osservato miglioramento dei valori glicemici in pazienti di Alzheimer con diabete di tipo II.Altri studi in corso in Cerifos riguardano l'uso del galattosio per la mineralizzazione di ossa e cartilagini, ma l'aspet-to che può interessare di più il lettore di questa rivista è l'in%usso del galattosio sul muscolo cardiaco.Da quanto detto sopra non risulterà di#cile comprendere che, per quanto la necessità di galattosio quale zuc-chero per creare energia al muscolo cardiaco non sia così selettiva come per le cellule nervose, si è di fronte ad uno zucchero con un meccanismo di assorbimento cellulare talmente semplice e primordiale, da farlo preferire al glucosio che deve invece essere metabolizzato attraverso l’insulina o prodotto dal fegato.

In uno dei miei studi più recenti a pazienti con MCI (Mild Cognitive Impairtment) è stato somministrato quotidia-namente galattosio per sei mesi. Inizialmente, a metà e al termine della fase di intervento è stata veri!cata la pre-stazione cognitiva con diversi tipi di test. Nel corso di questi test sono stati riscontrati miglioramenti signi!cativi in settori speci!ci delle funzioni cerebrali. I risultati di questo studio pilota fanno sperare che la somministrazione di galattosio migliori l’apporto di energia alle cellule cerebrali tanto da impedirne il decadimento pur con l’avanzare dell’età.Un altro studio proiettato verso malati di diabete II con somministrazione bisettimanale di galattosio 10% in for-ma endovenosa e con assunzione orale di 10 g. giornalieri, ha evidenziato un notevole miglioramento dei valori della glicemia, riportandoli alla soglia entro 3 mesi.

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Natale in Musica.. nel Piccolo Paese Fuori dal Mondo

DICEMBRE 2012

Il Lago di Monte Colombo ha proposto, in occasione del Natale, numerosi eventi per grandi e piccoli, all’insegna della tradizione e dell’originalità. Presepi, rappresentazioni teatrali, concerti, piccolo mercatino

natalizio, eventi a ingresso gratuito dedicati alle famiglie, gastronomia, per un Natale di grande fascino.

Giochi di luce e proiezioni per il Presepe artistico napoletano di Fontanini, allestito all’interno dell’area verde del Lago di Montecolombo. Colori e suoni si fondono creando una suggestiva atmosfera natalizia. Allesti-

mento scenogra!co all’interno del Giardino della Preghiera che rievocava il tempo del piccolo Gesù.Sul lungolago illuminato a festa, per una romantica passeggiata, bancarelle con dolci e prodotti tipici del territorio.Nel teatro L. Amici, a ciclo continuo, la proiezione del musical di 30 minuti Notte di Natale 1223, con una sugge-stiva ambientazione scenica. I canti di Natale: esibizione dal vivo nei giorni festivi con la Corale degli allievi dell’Accademia di formazione teatrale del Lago, diretta dal M° Sabina Braschi. La corale interamente formata da giovani nasce con l’intento di fornire ai ragazzi un’occasione per condividere la passione per la musica e il canto e per vivere al contempo un momento di crescita spirituale.

Francesco T.

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La sua obbedienza lo ha reso gestore indiscusso di ogni coscienza umana.

La sua devozione al Padre, il suo inchinarsi ed accostarsi a Lui, la sua preghiera continua e costante, la sua fusione in Lui (contenitore perfetto di divinità), la sua bontà conseguente all’ac-coglienza dell’amore di Dio, la rivoluzione del proprio amore per i "gli del Padre Suo (per i quali ha donato anima e corpo), lo hanno reso Signore di ogni moto o sguardo verso il cielo.

La Sua gloria della "ne dei tempi è la gloria dell’umanità alla quale Egli porgerà il proprio essere glorioso a%nché attorno al suo Padreogni "glio possa fondersi in Lui.

Tu, Cristo, porta per la casa del Padre, Tu, passaggio e soccorso, Tu, so%o e respiro che alita la Sua vita, Tu, umile e semplice ti presenti inerme

come agnello, come neonato, come vittima immolata, come silenzioso custode, persino nel nostro peccato, d’ogni pur piccolo sguardo verso il bene di chi guarda, pur nell’attimo, verso il Padre Tuo.Tu, unico e modello gradito a Lui e da Lui indicato e segnalato, Tu, mite e docile ancora guidi, nel silenzio, i Tuoi passi nel mondo.Noi proclameremo il Tuo nome a%nché si spalanchino gli ingressi del grande regno dell’Eternità e trovino in noi,anche qui, case e dimore del nostro Dio.

L’EmanuelePreghiera di Carlo Tedeschi esposta nel presepe statico..

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Natale in musica... per un “PROGETTO D’AMORE”

FERRARA. Cinema San Bene-detto – L’associazione di pro-mozione sociale senza fini

di lucro Progetto d’amore - Acca-demia d’arte come scuola di vita ha organizzato, in data 22 dicembre, in collaborazione con le parrocchie del vicariato Santa Caterina De Vigris e la parrocchia San Benedetto, un concerto di Natale con la corale degli allievi dell’Accademia d’arte e formazione professionale costituita da Car-lo Tedeschi al Lago di Monte Colombo. L’evento è stato caldeggiato dall’av-vocato Mario Goldoni (presidente dell’associa-zione) che, legato da una forte amicizia con Carlo Tedeschi, ha intrapreso una collaborazione con l’Associazione Dare.Nell’ambito delle inizia-tive del Progetto d’amore sono attivi, infatti, corsi teatrali (danza classica e moderna, canto e recita-zione) tenuti dagli inse-gnanti dell’Accademia di Montecolombo.Affinché i giovani, quali capolavori da rispetta-

re ed amare, possa-

no addivenire alla scoperta ed alla scelta della vera bellezza, la bellez-za che viene da Dio. Questo è lo slo-gan scelto per l’avvenimento, obiet-

tivo sempre più attuale nella società moderna e finalità dell’Associazione

ferrarese che, attraverso i corsi profes-sionali, il centro di aggregazione giovanile

e la messa in scena di musicals ed eventuali minimusicals a conclusione dell’anno accademico, mira alla sensibilizzazione del mondo giovanile. Al termine della performance, nella dolce atmosfera

natalizia rievocata dalla corale diretta da Giovanna Schillaci, Carlo Tedeschi ha incontrato i giovani e condotto un dibat-tito sul tema “La fede canta giovane”. Infine si è colta l’oc-casione per presentare l’Asso-ciazione Progetto d’Amore nei suoi propositi e scopi, a cui ha fatto seguito la commovente testimonianza del presiden-te Mario Goldoni, dal primo incontro con Carlo Tedeschi alla loro consolidata amicizia, sfociata nella realizzazione di questa manifestazione canora dedicata alla Natività.

DICEMBRE 2012

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“NOTTE DI NATALE, 1223”in scena al Teatro Lyrick

AVVLVL�� Il 28 dicembre 2012, la Compagnia Teatrale di

“Chiara di Dio”,�KD�DSHUWR� LO�FRQVXHWR�DSSXQWDPHQWR�´,O� 3LDWWR� GL� 6DQW·$QWRQLRµ�� LQL]LDWLYD� GL� EHQHÀFHQ]D� D� FXL�KD�SDUWHFLSDWR�FRQ�O·$VVRFLD]LRQH�'DUH�DWWUDYHUVR�OD�UDSSUH�VHQWD]LRQH�GHOOR�VSHWWDFROR��$G�DSULUH�OD�VHUDWD�LO�SULRUH�VHU�YHQWH�$OHVVDQGUR�%DFFKL�� GHOO·$VVRFLD]LRQH� GHL� 3ULRUL�� FKH�KD�HVSUHVVR�OD�SURSULD�JUDWLWXGLQH�H�OD�SURSULD�VWLPD�QHL�FRQ�IURQWL� GHO� UHJLVWD�� GHOOD� VXD�&RPSDJQLD� H� GHL�PXVLFDOV� FKH�DOOHVWLVFH��,O� ULFDYDWR�GHOOD�VHUDWD�q�VWDWR�GHYROXWR�DOO·,VWLWXWR�6HUDÀFR�GL�$VVLVL�

DICEMBRE 2012

Natale in... Piazza San PietroAnche quest’anno è stato inaugurato il 24 dicembre, in Piazza San Pietro a Roma, il tradizionale prese-

pe di Natale donato dalla regione Basilicata e ambientato nel paesaggio lucano tra i sassi di Matera. L’evento ha attirato una folla di turisti e visitatori, tra cui musulmani, che si sono accalca-

ti lungo le transenne. La diretta è stata trasmessa in mondovisione su Telepace e su tv satellitare. Durante la cerimonia si è rinnovata la celebre accensione del “Lume della Pace” da parte di Papa Bene-detto XVI. E per l’occasione e com’è ormai di consuetudine, negli ultimi anni, gli artisti di Carlo Tede-schi hanno o!erto una performance interpretando i brani tratti dai suoi spettacoli sulla natività, ac-compagnando la magia dell’evento e inneggiando all’amore e alla pace in onore del Suo avvento.

Francesco Troilo

Cruz Brancacci, Artalica Martinez con Franco Brunozzi, consigliere

comunale di Assisi.Piatto di Sant’Antonio

IL MUSICAL

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DICEMBRE 2012

Oltre 3.000 visitatori per il presepe vivente nella casa della diocesi di Manfredonia (FG), che ospita l’associazione Dare. Il presepe, che attorniava la struttura di gruppi statici di persone occupate

nelle piccole mansioni quotidiane, fatte di lavori e gesti, riportava il visi-tatore direttamente nell’atmosfera del tempo. Ad allestirlo Giovanni Giannone, responsabile del complesso nonchè della pastorale giovanile della diocesi, che ha coinvolto i giovani che ne frequentano il posto e seguono i corsi teatrali. Insomma, davvero un gran successo! Così, passo dopo passo, prende vita la casa di Mattinata!

PRESEPE VIVENTEA MATTINATA

La rappresentazione plastica del presepio con immagini viventi e d’ambiente, stimolano ancor più i sentimenti e la partecipazione.Invitano a rivivere e a ri#ettere sul mistero di Dio Emanuele che assume la fragile condizione umana. Ria$ermano pur nella semplicità ma con e%cacia la Sua collocazione storica e il “posto” nella vita di ogni uomo che si interroga sul senso della vita. Sono lieto per l’iniziativa ben riuscita e altamente educativa. Auguro ogni bene, invocando ogni benedizione del Signore.

Don Francesco

Complimenti!!! Domenico

Bellissimo Angela Q.

Stupendo Marianna C.

Belle Giovanni C.

Stupendo Suggestivo Thea

Complimenti per l’iniziativa!

Complimenti meraviglioso!!!!

Complimenti un’idea bellissima!!Fa ricordare i vecchi tempi, la nostra infanzia, i sapori e gli odori dal fuoco a tutto ciò non abbiamo più. Angela V.

Bellissimo Matteo Pio A.

È stupendo complimenti a tutto lo sta$ Maddalena T.

Complimenti! Daniela V.

È stato molto molto emozionante complimenti! Michela C.

È stato molto emozionante poter vedere un presepe dal vivo!!

Bravissimi!! Mariasole C.

È stato molto realistico e

sopratutto emozionante! Marta A.

Stupendo Lina S.

Grazie per la dolce atmosfera natalizia che avete creato Rosa C.

È a dir poco fantastico, atmosfera magica Mariella A.

Continuate così Dio è con voi Giuseppina E.

Complimenti è stupendo

Nella luce di Dio questa è stata un’esperienza bellissima

Favoloso come tutto quello che fate!

Bravissimi sembrate veri. Non so come fa la ragazza che lava i panni a stare con le mani nell’acqua per così tanto tempo. Bravissima. Kiss.

Non c’è che dire: Complimenti avete rinnovato un momento sublime!! Spero Gesù nasce con la sua luce in tutti i cuori. Grazie!!

gg mmmmm

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Rassegna stampa

Notte di Natale, 1223Quando Francesco ideò il primo presepe

Venerdì, 27 Dicembre 2012

Venerdì, 21 Dicembre 2012

Anche quest'anno al Metastasio di Assisi l'anno si è concluso a teatro. Il numeroso pubblico accorso (250 persone) ha avuto modo di assistere al musical di Carlo Tedeschi Notte di Natale 1223, per poi salutare l'anno

appena trascorso e dare il benvenuto a quello entrante, nello spirito francescano.I festeggiamenti sono stati animati dalla Compagnia Teatrale che ha o$erto canti per inaugurare il nuovo anno.

Nicole Bellafiore

Capodanno a TeatroASSISI - TEATRO METASTASIO

Un capodanno diverso da tutti gli altri, ricco di emozioni, sorrisi, sorprese. Il divertimento non è mancato! È stata una gioia preparare tutto insieme ai ragazzi, vedere le persone contente e soddisfatte di aver trascorso l'ultimo dell'anno in questo magni"co teatro.

Carletto

Che bello "nire l’anno con ciò che mi piace fare: ballare e cantare nei musicals di Carlo Tedeschi! Un capodanno ricco di nuove emozioni passate insieme ai miei compagni con cui vivo tutto il giorno ed agli spettatori che, come me, hanno ricevuto il messaggio dello spettacolo, che è a dir poco sconvolgente!

Lorenzo

Quest'anno ho passato un capodanno fantastico che por-terò sempre nel cuore. È stata un’esperienza bellissima rappresentare lo spettacolo. È stato altrettanto bello acco-gliere gli spettatori venuti appositamente per festeggiare con noi il capodanno e vedere nei loro occhi la conten-tezza. Ringrazio Dio di aver trascorso un capodanno così speciale, pieno di emozioni, che ha riempito il mio cuore di gioia e per averlo passato insieme, come in famiglia.

Matteo

E' stata un’esperienza bellissima ed emozionante sia per la novità del capodanno a teatro che per la felicità di vedere tante persone che hanno scelto di farne parte. Non lo di-menticherò mai perché negli occhi delle persone ho visto che è arrivato Dio e il Suo amore interminabile.

Samuele

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DICEMBRE 2012

Testimonianza a conclusione dell’anno 2012Cappella del Cristo Risorto - Lago di Monte Colombo

Lodi del 31dicembre presiedute da mons. Vittorio PeriTratto dalla sua omelia

L’o$erta più gradita a Dio è la nostra pace e la fraterna concordia, è il popolo radunato della unità del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo

San Cipriano

Possiamo accrescere la gioia nel cuore di Dio in tre maniere: con la no-stra pace, e qui in cappella, oggi, ho sentito la pace, la fede; con la

nostra fraterna concordia, che signi!ca avere i pensieri che vanno nella stessa direzione, i cuori che si sostengono; sentirci popolo, radunato dal-la e come la comunione trinitaria.

E questa è una vostra peculiarità, un atteggiamento esemplare per tutti coloro che vi conoscono ed io voglio rendervi testimonianza in quest’ulti-mo giorno dell’anno: siete un esempio per chi vi guarda... il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo gioiscono guardando voi. Questo è un anticipo della vita futura.Vi ricordo l’endecasillabo di Dante, posto ad Assisi sulla lampada che arde davanti alla tomba di San Francesco: Altro non è che di Sua luce un raggio.

Lampada votiva di S.Francesco

GENNAIO 2013

Lunedì 21 gennaio ha avuto luogo, presso il Teatro Metastasio di Assisi, la rilettura del documento Unitatis Redintegratio, decreto approvato dal Concilio Vaticano II nel 1964, che dichiara uno dei principali compiti del Concilio: «promuovere il ristabilimento dell'unità tra tutti i cristiani».

A cinquant'anni dalla sua scrittura, personaggi della Chiesa Cattolica e non solo, hanno scelto di riunirsi per discuterne i punti salienti e quelli più vicini alla situazione ecclesiale del momento.I protagonisti e relatori sono stati S.E. Mons. Domenico Sorrentino, Arcivescovo di Assisi; S.Em. Cardinale Seve-rino Poletto, arcivescovo emerito di Torino; Padre Dan Hoarste, sacerdote ortodosso romeno; Padre Bruce Rud-dock, rappresentante della Chiesa Anglicana. In questa occasione la Compagnia di “Chiara di Dio” su invito del parroco della Cattedrale di San Ru!no, Don Cesare, ha animato la serata con due brani tratti dai musicals sacri di Carlo Tedeschi. Numerose le parole di apprezzamento da parte degli illustri relatori e dei rappresentanti degli ordini religiosi della città sera!ca nei confronti della performance che ha contribuito a questo momento intenso di ri%essione per l'unità dei cristiani.

Nicole Bellafiore

50 ANNI DAL CONCILIO VATICANO IIAssisi - Teatro Metastasio

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GENNAIO 2013

un Omaggioper Don Ivo Meini

Volterra – Riportiamo l’articolo apparso su La Nazione sabato, 5 gennaio, che vede protagonista Monsi-gnor Ivo Meini. L’Associazione Dare, insieme alla persona di Carlo Tedeschi, ha avuto il privilegio di cono-scerlo e stringere in amicizia, condividendo le scelte di istituire una sede distaccata della Fondazione Leo Amici a Ulignano di Volterra, il Borgo della Speranza.

Sono sue le note dell’inno u#ciale che accompagnerà i fedeli durante il 2013, Anno della Fede, scelto dal Ponti!-cio Consiglio tra sei proposte di musicisti italiani, dal titolo “Credo, Domine”.

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GENNAIO 2013

Riportiamo di seguito l’articolo scritto da Don Meini, pubblicato su l’Araldo nel 2010 in occasione dell’inaugurazione della Chiesa del 1100 del Borgo della Speranza, restaurata dalla Fondazione Leo Amici,che segna l’inizio di un rapporto di stima e a$etto reciproco nel segno dell’amore.

Una domenica di circa quattro anni

fa, mentre mi accingevo a celebrare

la Messa nella Chiesa di San

Quirico, notai la presenza di un

gruppo di uomini che non avevo mai

visto; parteciparono devotamente

alla celebrazione e si accostarono

tutti alla Santa

Comunione. Ripetendosi

la cosa nelle domeniche

successive mi incuriosii

e cercai di sapere chi

erano. Venivano da

Rimini e lavoravano ad

Ulignano sui ruderi della

Chiesa con l’intento

di ricostruirla. Seppi

che appartenevano

all’Associazione «Dare»,

una nuova istituzione

ODLFDOH�FRQ�ÀQDOLWj�strettamente religiose,

fondata da un certo

Leo Amici, un uomo, mi

fu detto, con un cuore

grande, mai stanco di fare

il bene, ed oggi diretta da

un suo discepolo l’artista

Carlo Tedeschi, pittore,

scrittore, regista, ma

soprattutto uomo di fede,

amico di Massimo Cristaldi, attuale

proprietario della villa di Ulignano

e del territorio che la circonda.

Mi ricordai che in occasione del

matrimonio di Massimo da me

celebrato nella Cappella della Villa

(22 maggio 1999) quel signore mi

era stato presentato, anche perché

era l’autore di un quadro nuovo che

era stato collocato per l’occasione

sull’Altare: un volto di Cristo

mollo bello, dai tratti sfumati quasi

YROHVVH�WUDVÀJXUDUVL��PD�GRWDWR�GL�uno sguardo di una straordinaria

LQWHQVLWj��/·DPLFL]LD�FKH�KR�stretto con questi «volontari»

riminesi e i nuovi contatti

con Carlo mi hanno dato la

SRVVLELOLWj�GL���FRQRVFHUH�SL��D�fondo questa loro Associazione,

di apprezzarne lo spirito e

le iniziative e di favorirne la

presenza nella nostra zona.

Ho avuto la gioia di vedere la

chiesa di Ulignano ricostruita

e adornata di splendore e di

poter celebrare in essa la Messa

per la sua inaugurazione il 16

Aprile 2007 (vedi foto a lato)

durante la quale ho dato il

Battesimo a cinque bambini.

Il mio incontro con Ulignano,

iniziato con «presagi di morte»

oggi continua con «segni» di

vita. Veramente Dio è fedele e

non abbandona mai nessuno!

Monsignor lvo Meini

...È nato il Borgo della Speranza

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GENNAIO 2013

I mille sì di MariaTornano in scena i mini-musicals di Carlo Tedeschi

Tornano in scena i mini musical di Carlo Tedeschi con I mille sì di Maria.La rappresentazione è interamente dedicata alla "gura e alla storia della Beata Vergine Maria,

ne sottolinea le scelte e la vita trascorsa al "anco di Gesù mettendone in rilievo le ri#essioni e le emozioni "no a condurre gli spettatori a conoscere i pensieri più profondi che nascono dal cuore di Maria.

31 GENNAIO - PIANELLO (PG) - CHIESA DI S.BIAGIO

Ad aprire la serata Mons. Vittorio Peri, vicario episcopale per la cultura di Assisi, che ha presentato i giovani della Compagnia teatrale :

Sono ragazzi e ragazze che, da circa cinque anni, alternandosi anche con altri, fanno parte di un Compagnia teatrale formata da circa ottanta giovani artisti. Questi ragazzi hanno una particolarità: hanno l’intenzione di esprimere la loro fede cristiana, professata pienamente in modo pubblico ed esemplare attraverso l’arte, l’arte scenica, il teatro, in particolare il musical. Rappresentano sempre lo spettacolo Chiara di Dio al Teatro Metasta-sio, dove sono passati oltre centomila persone e tutti uscendo hanno sentito un messaggio di speranza, pace, amore, un messagio di spiritualità.Voi questa sera quando uscirete dalla chiesa sono certo che avrete il cuore gon"o di gioia, gli occhi pieni di me-raviglia, il cuore riscaldato da questa testimonianza di fede.Non è vero che i giovani sono tutti sbandati, tutti fuori fase. Molte volte sono gli adulti ad essere fuori fase e noi che non siamo capaci di educare, di testimoniare la nostra fede.. seminiamo vento e raccogliamo tempesta. Questi ragazzi ci fanno vedere come è possibile, anche in questo mondo, in questa società contemporanea, vivere in maniera serena.Vivono nella grande casa di una confraternita di Capodacqua di Assisi, che è stata messa a loro disposizione dal Vescovo perché la loro presenza ad Assisi è una presenza autenticamente cristiana. Nessuno di loro è pagato: vivono di quello che raccolgono anche da queste manifestazioni e dal teatro, lo mettono tutto insieme, vivono del loro lavoro. Direi che, soprattutto in inverno, quando ci sono pochi spettatori, vivono davvero in modo fran-cescano, nel senso più vero del termine.Prima di ogni rappresentazione sono sempre abituati a fare una preghiera e tutte le mattine pregano con le lodi mattutine. Questo è anche un insegnamento!Voi guardateli bene in volto: sono bei ragazzi. I giovani sono sempre belli, ma questi hanno una luce in più perché hanno il cuore che è bello, pieno di fede, di amore, di speranza e quindi trasmettono un messaggio di gioia. (...)

A !ne spettacolo riprende la parola, estremamente commosso: Per quanto li abbia visti e sentiti già questi canti, stasera anch’io mi sento commosso, perché veramente è una esperienza di fede, un’esperienza di spiritualità molto intensa.Questi ragazzi, come avete visto, non recitano, ma vivono; non sono solo attori o solo dei personaggi, ma sen-tono quello che voi avete provato e ogni volta rinnovano la magia di trasformare una serata così bella in un momento di incanto, di arte, di fede, di gioia, di spiritualità.Una sera un cardinale che era stato al teatro Metastasio, dopo lo spettacolo, mi ha detto: «Don Vittorio, credo che questo spettacolo valga almeno per dieci prediche, dieci mie prediche», e dentro di me ho detto: «È così».Eccoli, questi ragazzi: uno più bello dell’altro.

Le persone presenti hanno espresso tanta gratitudine per le emozioni vissute; tra di loro un signore in particolare ha parlato, commos-so, ai giovani artisti, trasmettendo loro tutta la gioia, la grazia e la bellezza vissute per mez-zo di questo spettacolo.

Nicole Bellafiore

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FEBBRAIO 2013

2 FEBBRAIO - BASTIA UMBRA (PG) - PADIGLIONE FIERISTICO

La seconda rappresentazione è avvenuta sabato 2 febbraio 2013 presso il Centro Umbria Fiere di Bastia Umbra per il VII Convegno nazionale degli Apostoli della Divina Misericordia con Maria Regina della Pace. Si tratta di un appuntamento annuale a cui la Compagnia partecipa da tre edizioni. Il tema dell’incontro è stato incentrato

sulla !gura di “Maria di Nazaret, maestra nella fede in Gesù Cristo Divina Misericordia”. Ospite una delle sei veggenti di Medjiugorie, Marija Pavlovic Lunetti.Grandi acclamazioni ed entusiasmo da parte del pubblico presente.Circa seimila persone trascinate dalla poesia e dall’intensità del musical, protese all’ascolto delle parole trasmesse.Al termine dello spettacolo standing ovation del pubblico per dimostrare la gratitudine e l’apprezzamento delle emozioni ricevute.

Al termine della rappresentazione ha preso parola Carlo Tedeschi:

Come voi ho partecipato a questo spettacolo, a questa piccola espressione d’a-more, e non è stato come nelle prove o come altre volte. Non so se ho ascoltato nel mio cuore la vostra commozione, ma più di una volta mi sono commosso nel vedere questi giovani cantare e danzare per Gesù, interpretando questa "gura meravigliosa che è Maria.Ogni volta che interpretano una preghiera, come lo è questo spettacolo, credo che siano in qualche modo obbligati ad aprire il cuore, come anche noi in un ra-duno grandioso come questo: ci spingiamo l’uno con l’altro a pregare, ad aprire il cuore ed in questa apertura del cuore entra Gesù.Credo, allora, che mi sono commosso come voi perché ho visto gran parte del cuore di Gesù dentro questi giovani. Ecco il perché di questa commozione, della

Sua presenza, del Suo amore ed è questo voglio testimoniare. Gesù è sempre con noi e dobbiamo crederci "no all’ultimo nostro respiro. Lui è accanto a noi e se noi apriamo il nostro cuore ecco che Lui può entrare e tutto di noi cambia, come sono cambiati per voi i volti di questi ragazzi, che io conosco da quando sono piccoli, ma che vedo luminosi e aprirsi alla grazia di Dio quando salgono sul palco e pregano, oggi insieme a voi.

A conclusione del suo intervento invita sul palco Marija Pavlovic, che ringrazia Carlo e il suo operato:

Qualche anno fa ho incontrato Carlo attraverso un carissimo amico e ho visto il suo musical Chiara di Dio. Io non mi emoziono facilmente, ma quella volta ho pianto tutta la sera guardando questo bellissimo spettacolo su Santa Chiara che Carlo Tedeschi, con i suoi giovani, ha realizzato.Già dal primo momento ho visto il grande amore di Carlo verso la Madonna ed ho cercato di “inculcare” sempre di più questo amore attraverso le mie visite alla loro casa, attraverso il momento dell’apparizione, che abbiamo vissuto insieme.Oggi il mondo moderno ci propone tante cose, come la sessualità sbagliata, perché oggi tanti giovani non hanno quel-la purezza nel cuore. Oggi abbiamo visto che anche in questo bellissimo spettacolo si vedono bene le forme, ma non c’è nudità. Si vede una bellezza che Carlo ha saputo ben fasciare dentro quelle sto$e. Ero accanto a lui durante lo spettacolo e commentava ogni cosa con sua moglie Daniela, perché ha sempre il desiderio di migliorare, quello che noi cristiani dobbiamo fare sempre di più!Guai a noi se ci accontentiamo della vita che stiamo facendo, perchè dobbiamo migliorare ogni giorno!Per questo dico a Carlo che dobbiamo fare in modo, insieme, che questa società, questa gente, questo mondo cambi vita anche attraverso il nostro piccolo, insigni"cante, ma grande impegno di dire “noi vogliamo Dio, vogliamo Dio nelle nostre vite, nelle nostre famiglie nelle nostra società”! È quello che da tanti anni Carlo sta facendo, quello che io faccio, quello che noi facciamo.

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FEBBRAIO 2013

Carlo Tedeschi - È un argomento che mi tocca profondamente da vi-cino. Gesù ci dice «Dovete essere buoni come buono è il Padre mio che è nei Cieli». Ma come si può? Siamo piccoli, fragili, deboli. Invece è possibile: come questi giovani hanno allargato il cuore e si sono riempiti della Sua grazia, della Sua luce, così possiamo fare noi nella nostra vita, dal momen-to in cui ci alziamo al mattino a quando andiamo a riposarci la sera. Non perché siamo grandi, ma perché allargare il cuore, esprimere l’amore dal profondo dentro di noi, signi"ca attirare la Sua grandezza, attirare la Sua bontà che entra in noi. Egli non vede l’ora di entrare dentro di noi e di abitare dentro di noi, come ci ha dimostrato nascendo bambino in mezzo a noi.

Marija Pavlovic - Carlo ora ci racconti di quando tanti anni fa hai in-contrato un uomo, che è stato importante nella tua vita e che ti ha dato la spinta per fare quello che fai.

Carlo Tedeschi - Tanti anni fa, era il 21 maggio, un mercoledì del 1978.Ero un giovane famoso, conosciuto, guadagnavo tanti soldi. Quel giorno mi svegliai, andai dal parrucchiere a tagliarmi i capelli, poi tagliai la barba, mi profumai, poi comprai dei vestiti nuovi e non andai neanche al lavoro. Durante tutto il giorno continuavo a pensare “perché faccio tutto questo? Cosa sta succedendo?” Non capivo, era come se mi stessi preparando ad un incontro con la "danzata, con una donna bellissima. Alla sera fui invitato a cena a casa di un’amica che da poco avevo cono-sciuto e insieme a lei c’erano altri giovani che parlavano della bellezza della natura e di Dio. Io li ascoltavo e pensavo “però, che belle parole, che bei discorsi che stanno facendo!”. Poi mi dissero che quella sera sarebbero andati ad incontrare un loro amico: si chiamava Leo, Leo Amici, ma il nome non mi diceva nulla e aspettai dopo cena. Ad un certo punto sentii che quei capelli fatti, quella doccia, quel profumo, quei vestiti nuovi avevano un senso. Sentivo una forza sovrau-mana che mi spingeva ad andare da quest’uomo, senza sapere nulla. Ero timido, ero balbuziente, ma a quel punto battei il pugno sul tavolo e dissi a quei giova-ni “portatemi da quell’uomo, portatemi da lui!” Sono andato da quest’uomo e lui mi ha semplicemente abbracciato. In quell’abbraccio io ho sentito la presenza di Dio, il calore dell’amore di Dio.Da quel momento la mia vita è cambiata, si è trasformata totalmente, perché quando ci si sente amati si ricambia con l’amore. Quello è stato il primo momento in cui ho capito che Dio c’era. Quando si tocca l’amore si ha la certezza che qualcosa di più grande di noi ci so-vrasti e naturalmente il suo nome non può che essere Dio. Lì tutta la mia vita è cambiata, è bastato un attimo d’amore, un abbraccio d’amore.Allora, per continuare il messaggio che ci ha dato Marjia, abbracciamoci, abbracciamo i nostri "gli, abbracciamo i nostri cari, ma anche i nostri vicini di casa, il negoziante dove an-diamo a comprare. Se non possiamo abbracciarlo parliamo a lui con gentilezza, con amo-re, con il sorriso. Solo l’amore attira altro amore, è questo quello che dobbiamo fare. Io devo tutto al primo abbraccio di quest’uomo e tutti gli abbracci che ho visto dati da lui li ricambio nel mondo.

RASSEGNA STAMPA

Chiara di Dio

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RASSEGNA STAMPA

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RASSEGNA STAMPA

Domenica 10 Febbraio, protagonisti dell'8^ puntata di Slow tour - Italiani non per caso,

programma di intrattenimento televisivo di Rete4, gli artisti della Compagnia di Chiara di Dio. I conduttori televisivi Syusy Blady e Patrizio Ro-versi, per la puntata "Le acque dell'Umbria", fanno tappa al Teatro Metastasio di Assisi e intervistano la protagonista del musical Annamaria Bianchini. «È un'esperienza straordinaria perché dà anche speranza. Oggi noi diciamo che i giovani sono tutti sbalestrati, tutti fuori di testa.. In realtà sia-mo noi anziani molte volte fuori di testa» a$erma con ironia Mons. Vittorio Peri, anch’egli intervi-stato. Il riferimento è per la giovane Compagnia che interpreta lo spettacolo da quattro anni, con-tando oltre 700 repliche. La sua presenza in terri-torio assisano diventa, così, una tappa ben cono-sciuta degli itinerari turistici e spirituali italiani.

Troilo Francesco

Chiara di Dio in.. Slow tour!

FEBBRAIO 2013

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STORIE VERE CHE FANNO BENERassegna a Ragusa:

partecipano due musicals sacri di Carlo TedeschiPresso il Cine Teatro Don Bosco si è svolta la prima rassegna di musicals della diocesi di Ragusa dal titolo: Storie vere che fanno bene. I tre musicals partecipanti sono stati selezionati dai salesiani, ideatori e organizzatori del-l’ evento guardando al panorama nazionale. Obiettivo primario è comunicare anche a coloro che vagano lon-tani dalla verità e arrivare al loro cuore. Due dei musicals in tabellone sono stati proprio dell’autore e regista Carlo Tedeschi: ha aperto la manifestazione Notte di Natale 1223, per poi proseguire con il musical di fama nazionale Chiara di Dio, in scena rispettivamente l’1 e il 2 marzo. Hanno aderito all’iniziativa anche le scuole. Ulteriore !nalità, infatti, è stata comunicare ai giovani valori altamente educativi attraverso l’armonia e la fusione dei vari linguaggi dell’ arte, così come avviene nel musical. Promotore il responsabile della Compagnia siciliana di C. Tedeschi, Francesco Malpasso. In scena i pro-tagonisti Giacomo Zatti, nel ruolo di S.Francesco, e Michela Sclano, nella giovane S. Chiara.

Francesco T.

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GIORNATA DIOCESANA DELLA GIOVENTÙPozzuoli

Domenica 10 marzo, il palasport Alfonso Trincone di Monteruscello (Pozzuoli), ospita la manifestazione della Giornata Diocesana della

Gioventù, dal tema “Adesso credo - Cresimandi e giovani insieme”. L’incontro, presieduto da S.E. Mons. Gennaro Pascarella, ha visto come ospite Carlo Tedeschi con alcuni giovani delle sue Compagnie teatrali.L’incontro di testimonianza è stato intervallato dai brani di alcuni suoi musicals di successo. Tale presenza è stata incentivata dal giovane Pa-squale Io$redo che, conoscendo da anni Carlo T. e le !nalità della sua opera, svolta a bene!cio soprattutto dei giovani, condividendone le !na-lità, ha caldeggiato la sua partecipazione ad un evento così importante per la diocesi.Il palazzetto ha ospitato 5.000 giovani.

Francesco T.

TEATRO L.AMICI - LAGO DI MONTE COLOMBO

Diritti umani... lezione a teatro!Riprendono anche quest’anno i matinè dello spettacolo Patto di luce per le scolaresche: un progetto in cui la te-matica dei diritti umani va dai banchi di scuola al palcoscenico! Martedì 12 marzo è la volta di una scuola elementare di Corpolò (RN): bambini dalla I alla V classe che hanno saputo ben assaporare un grande impatto scenico ricco di ritmo, colore, magia e puro divertimento, proposti la rappresentazione, ma soprattutto hanno ben colto il senso che la trama sottolinea: la di$erenza tra bene e male, la perfezione della natura, l’amore, la voce della coscienza, quella voce che è dentro ciascuno di noi e che qualche bimbo, con animo puro ed innocente, ha ben de!nito: «Dio!».A !ne spettacolo, infatti, durante l’incontro-dibattito con la compagnia, i bimbi si sono dilettati in un turbi-ne di domande che, pur essendo semplici, hanno con-dotto il dibattito a toccare punti salienti del musical e dunque dei diritti umani.Così Patto di luce continua nell’impresa di proporre la completezza dell’arte teatrale, spunti di ri%essione, in-terrogativi e momenti di spiritualità anche nel cuore dei più giovani.

Francesco T.

Via CrucisInterpretazione del pensiero di Giovanni,

il discepolo che Egli amavaI giovani delle Compagnie teatrali di Patto di Luce e Chiara di Dio hanno senti-to l’esigenza di prepararsi alla Pasqua oltre che con la partecipazione agli in-contri quaresimali tenuti dai sacerdoti, anche attraverso l’espressione artistica chiedendo di rappresentare la Via Crucis. Creata e diretta da Carlo Tedeschi, già rappresentata in altre chiese, aveva debuttato lo scorso anno a Bagheria (PA). Quest’anno è stata presentata nella provincia di Rimini, nelle chiese di S. Andrea in Besanigo e di S. Giovanni Battista a Croce di M. Colombo e ad Assisi, presenziata dal Vescovo.

Francesco T.

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Papa Francesco! Un nome molto signi!cativo ed importante. Mi auguro con tutto il cuore che sia umile e innamo-rato di Dio proprio con il Santo da cui ha preso il nome.

Lorenzo

Mi ha trasmesso speranza sul futuro della Chiesa e mi ha colpito il nome: Papa Francesco.Samuele 16 anni

Mi hanno colpito la Sua semplicità, la Sua umiltà e i Suoi occhi profondi.Matteo 16 anni

Mi è sembrata una persona semplice, umile, di grande fede e amorevole.Riccardo

Spero che Papa Francesco con il grande sì a Dio, un sì di responsabilità d’amore possa, con la sua semplicità d’a-nimo, farsi strumento seguendo i passi di Gesù nei fatti concreti, rivoluzionando con amore collegandosi sempre a Lui che è Verità!

Giada

L’entusiasmo, la semplicità e la gioia che ho visto negli occhi, nelle espressioni e nei gesti di Papa Francesco mi hanno toccato profondamente. Ho sentito prima la sua vicinanza come uomo, come padre, e poi la responsabi-lità e l’importanza del ruolo che andava a ricoprire. In me è nato il desiderio di sentirlo parlare ancora, di cono-scerlo di più, di vedere di nuovo quella semplicità e gioia che era nei suoi occhi il primo giorno, l’emozione di un uomo che si mette al servizio di Dio per essere al servizio di tutti.

Carmine

Prego perché abbia la forza di sostenere un incarico così importante: la guida della Chiesa. Perché si lasci guidare dall’amore nel farlo e possa far vivere in ogni decisione la verità. Perché possa mantenere la semplicità e l’umiltà con cui si è posto il primo giorno portando la Chiesa a vivere la povertà del grande Gesù.

Nicole

Ti ringrazio Signore per quest’uomo, servo di Dio, e Ti prego a#nché Papa Francesco insieme alle preghiere e al sostegno del mondo possa cambia-re questa umanità così corrotta, che trama tranel-li e insidie agli uomini e ai giovani, per far sì che diventino servitori del male. Spero possa contare anche sulle persone che, con la loro fede, a picco-li passi, pur ostacolati, cercano disperatamente e con tutto se stessi di lasciare una traccia di bene.

Mirko

Prego a#nché Papa Francesco porti avanti sempre l’amore, l’umiltà e la semplicità che ha dimostrato dando un nuovo sì a Dio. Che l’amore di Dio lo ac-compagni sempre con gioia in questa missione.

Artalica

Un nuovo Papa, il primo Francesco. Come il Santo possa lasciare il segno nel cuore del mondo a#n-ché nella di#coltà troviamo unità. Tutto nell’amo-re di Gesù. Il coraggio non manca. Auguri.

Fran

Sentimenti che alcuni dei giovani delle Compagnie teatrali hanno spontaneamente espresso circa la proclamazione di Papa Francesco

BENVENUTO PAPA FRANCESCO

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Mi ha colpito il nome che ha scelto: Francesco. Il mio pensiero è andato subito a San Francesco di Assisi, una !gura a me vicina, che ha segnato tanti momenti della mia vita e che ancora oggi mi è esempio d’amore verso Dio. Pre-go Dio che Papa Francesco si lasci ispirare dalla vita e dall’amore del Santo di Assisi e possa essere così una guida vera, forte d’amore per tutta la Chiesa, ma soprattutto per i giovani, che vivono intimoriti e frenati dalla falsità del mondo di oggi.

Desola

Un grande augurio a te, Papa Francesco, a#nché tu possa aiutare il Signore in questo momento di grande di#-coltà con l’esempio e l’umiltà di San Francesco. È tanto importante avere un pastore che possa guidare la Chiesa e che possa parlare ai cuori dei giovani alla ricerca della verità. Buon lavoro, Santo Padre, ti sono vicino e prego per te.

Cruz

Un uomo tra gli uomini: ecco ciò che traspare dal nuovo Papa Francesco.Sembra guardare dal profondo della sua umiltà, !glio di Dio come tutti noi. Sembra volersi unire in un abbraccio al popolo cristiano, di cui ora ne è rappresentante.Un uomo, che sembra dar vittoria alla sua fedeltà a Dio, che gli ha a#dato un arduo compito, al di sopra delle forme e delle apparenze, per trasmettere la sostanza dell’Amore.Un uomo, che già dai primi gesti, ha mostrato il suo inchinarsi a Dio Padre, alla Sua volontà e benevolenza, inchi-nandosi ad una moltitudine di anime riunite per lui.Spero e prego, a#nché resti saldo questo suo principio d’Amore, modello per tutti, che ha toccato tanto il mio cuore e che dunque potrà toccare quello di tanti altri giovani come me: potremo così unirci a lui, in un unico !ne rivolto a Dio.

Francesco

L’uomo con la veste candida si presenta alla folla mostrando tutta l’umiltà del Cristo che rappresenta. Papa Francesco, umile tra gli umili, povero tra i poveri, umano tra gli umani, cammina tra i suoi fedeli e si pone servo di Dio e del Suo popolo scartando qualsiasi ambizione terrena ma anelando soltanto ad una elevazione spirituale. La sua anima, messa a nudo senza timore, lascia trasparire l’innocenza di un fanciullo che, però, insegue la bellezza, cerca la verità, che non si lascia toccare da nessuna vicissitudine che gli pone la società ma che, fermo nei suoi principi, guarda davanti a sé, desideroso di guidare la Chiesa verso Dio. Che questo gli sia sempre presente e distingua il suo Ponti!cato che già profuma di santità. Tommaso

Papa Francesco, di nome e di fatto. Già dai suoi primi momenti si è messo alla pari del popolo, facendosi piccolo di fronte al nostro Grande Signore. La mia speranza e la mia preghiera è che rimanga sempre così, semplice ed umile, a#nché porti un’ondata di bene in questa società.

Iacopo 17 anni

La mia prima sensazione, vedendo Papa Francesco, è quella di un amore veritiero e semplice. La povertà che lui vuole è l’espressione di un amore dolce e intenso, lo stesso che provo io ballando per il musical “Patto di luce”: essere trasportati nella Sua inebriante via.

Matteo 16 anni

Il Papa nuovo mi ha colpito molto per la sua semplicità. Lo vedo come un grande esempio da seguire, soprattutto per me che sono giovane. Ringrazio Dio per il nuovo Papa.

Jano 17 anni

Il Papa dei poveri: così vorrei de!nirlo a pochi giorni dal suo ponti!cato; tanto umile e semplice da inchinarsi da-vanti al popolo di Dio. Semplicità: è di questo che la Chiesa e noi giovani abbiamo bisogno. Papa Francesco, come il poverello di Assisi, che ha lasciato tutto per ricevere tutto da Dio.

Fabio

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Questo nuovo Papa, guardandolo, mi esprime tanta felicità. Mi viene una de!nizione: “Il Papa del popolo”, perché mi pare gli piaccia stare in mezzo alla gente, simbolo di un uomo che, come Gesù, vuole amare ogni !glio di Dio, senza distinzione.

Albatea

Mi ha colpito per la sua semplicità e perché esprime bontà dal viso. La scelta di chiamarsi Francesco mi fa gioire perché, se corrisponde anche alla sua scelta di vita, per la Chiesa ci saranno tanti cambiamenti. Speriamo sia un “altro” Gesù, come san Francesco.

Giulia

Ho visto un Papa umile, semplice, con tanta voglia di fare e spero porti tante novità nella Chiesa. È vigoroso e giovanile, è vivo!

Vassiliy

Da quello che ho sentito e visto in televisione penso che sia un Papa che farà grandi cose!Maria Mercedes 12 anni

Stupiscono i gesti innovativi e fuori dagli schemi di questo nuovo Papa. La gente ha bisogno.. è straziata dagli eventi drammatici di questo tempo ed è dunque bisognosa di speranza... una speranza viva, concreta, manifesta-ta attraverso fatti d’amore... semplici, perché l’amore è semplice. Gesù è stato il primo ad andare tra la gente, tra i malati, i peccatori, traducendo in fatti la misericordia di Dio: amandoci, convertendoci, perdonandoci, coinvol-gendo l’animo umano !no a farlo decidere di cambiare vita...Sia, il nuovo Papa, una guida che, per primo, mostri come agire attraverso la Chiesa che incarna il Cristo..

Eleonora

Mi commuove la sua umiltà che trape-la dai suoi gesti, dalle sue parole sem-plici, con quel tono di voce così pacato e dolce. Io prego per lui e per tutti noi, perché con Gesù c’è la salvezza.

Massimo

Un’a$acciata di umiltà, di mitezza..un volto buono che crede nell’amoree chiede !ducia e fratellanzagli uni verso gli altri.Una !gura sconvolgentepiena di volontàe forza,di una sentita fedeche porta tanto bene nel cuoree tanta speranza.Prego a#nché possa anche io,nei fatti di ogni giorno, essere parte vivain questo cammino verso Dio.

Laura

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HANNO DETTO...

Hanno detto......del musical “Chiara di Dio” e dei giovani interpreti

.. Per i ragazzi che, insieme a Carlo, hanno costruito que-sto spettacolo, che nasce anche dall’esperienza spirituale dell’autore e regista, è stata una vera esperienza d’incon-tro con Francesco e Chiara. Io sono testimone di diverse prove al teatro del Lago di Monte Colombo, dove avvertii la presenza di Francesco e Chiara vivi.Ad ogni spettacolo nasce una preghiera. Il Ministro Ge-nerale Carballo, infatti, si è appena recato dietro le quin-te per pregare insieme ai ragazzi, che tra poco ci raccon-teranno di Chiara. Vi racconto questo per spiegarvi lo spirito che anima questa Compagnia teatrale, che ha il desiderio di far conoscere l’esperienza di vita di Chiara e Francesco, di cui il mondo ha bisogno ..

Padre Vittorio Viola

…Guardate i loro volti, hanno una luce particolare, han-no un supplemento di valori di grazia: sono belli fuori perché sono belli dentro e danno molta speranza, molta "ducia. Non sono di Assisi, vengono da ogni parte d’Ita-lia ma anche del mondo. Pregano la mattina e la sera, tutti insieme, cantando. È un’esperienza molto interes-sante, meriterebbe di essere conosciuta e promossa, così come dissero due anni fa i Vescovi ed i Cardinali italiani che videro Chiara di Dio. …Questi ragazzi sono degli artisti professionisti che vo-gliono esprimere la loro fede cristiana attraverso l’arte.

…questo teatro è un luogo di esperienza estetica ed estatica… nel senso di estasi, ovvero si vede per sentire ciò che non si vede, cioè per percepire attraverso la dan-za, la recitazione, il canto, la presenza di Dio che, attra-verso l’arte scenica, entra nel cuore e nella mente delle persone.. ...La Diocesi, considerando la qualità di questi spettacoli, ha messo a disposizione di questa Compagnia una gran-de casa che era di una confraternita. Circa trenta giovani che vivono insieme, con tre coppie che fungono da "gure genitoriali e vivono mettendo insieme quello che hanno. Negli Atti degli Apostoli i primi cristiani vivevano insieme e mettevano in comune tutto quello che avevano: questi ragazzi mettono tutto insieme. Nessuno è stipendiato e quello che possono raccogliere da questi spettacoli è il loro sostentamento. Vivono del loro lavoro e questo già signi"ca rivivere davvero lo spirito delle prime comunità cristiane. La Compagnia è molto grande, quella assisana ne è solo una parte.

Mons. Vittorio Peri

…Siete “veri catechisti”, perché attraverso l’arte testimo-niate ed esprimete la bellezza ..

Don Mario

Uno spettacolo fantastico, un messaggio esaltante, una serata indimenticabile, una esperienza indimenticabile, tutto con un amore che tocca il cuore e lascia pace. Grazie!Mons. Giovanni D’Ercole-Vescovo ausiliare di L’Aquila

…Finire questa giornata del nostro incontro in questo modo, ci fa dire grazie a Colui dal quale tutto il bene e tutta la bellezza provengono. A nome personale, a nome del De"nitore Generale, che ha voluto questo incontro fraterno, ma anche a nome di tutti i miei confratelli Car-dinali, Arcivescovi e Vescovi dell’Ordine dei Frati Minori, vi voglio dire un grande grazie per quello che ci avete fat-to gustare questa sera ma, soprattutto, perché ci avete aiutato a sentire Chiara viva e vicina a noi.E’ la quarta volta che vedo questo spettacolo. Grazie a Carlo Tedeschi, ricordo ancora con grande piacere la mia visita al Lago di Monte Colombo insieme a p. Viola.Il mio augurio, il mio desiderio e la mia preghiera sono stati e saranno: che possiate continuare ad evangelizza-re col teatro, col canto, con la musica, con la danza.Evangelizzare tutti noi, anche noi francescani. Aiutateci a conoscere meglio Chiara perché così conosceremo me-glio il nostro carisma. Aiutateci ad amarlo, perché così ameremo Francesco e la forma di vita che noi abbiamo abbracciato. Evangelizzate soprattutto i giovani, fate capire che Chiara non è una donna di otto secoli fa, ma lei e Francesco sono nostri contemporanei. Io dico sem-pre: “Sono medievali, però profondamente attuali”. Con-tinuate a far sentire ai giovani che Chiara e Francesco sono vivi perché viva continua ad essere la persona che loro hanno amato e che loro hanno seguito: Gesù Cristo.

Fr. José R. Carballo-Ministro Generale OFM

…Questi ragazzi vivono davvero della scommessa del “Quando sono debole è allora che sono forte”. Vivono una grande disciplina di vita. Prima abbiamo pregato in-sieme ed è per me un dovere grande ringraziarvi, perché questa serata è nata per festeggiare il mio venticinquesi-mo, che signi"ca santi"care e rendere forte il segno della croce che ci avete fatto così bene gustare questa sera.

Don Gigi

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HANNO DETTO...

…Francesco dice: voglio vedere con i miei occhi, fai il segno, il presepe vivente, celebra la Messa e il signore di Greccio dice che, quando le persone facevano la Comu-nione, lui vedeva che Gesù nei loro cuori si risvegliava, era contento, si sentivano salvati, erano contenti e da-vano testimonianza. Questo è quello che succederà con questo spettacolo. San Francesco oggi nel XXI secolo non cercherà il signore di Greccio, ha bisogno del maestro della bellezza, che ha contemplato con i suoi occhi la bellezza di Dio, e ha detto a Carlo: “Aiutami, voglio vedere con i miei occhi”. Carlo, vogliamo vedere con i nostri occhi, permettici di riveder-lo. Carlo può dare la spiegazione di quello che ha sentito però io vedo che questo è successo. San Francesco ha cer-cato la sua collaborazione, perché ci faccia vedere, con i nostri occhi, il segno. Carlo ha messo in movimento i suoi angeli, gli attori, la Compagnia. Tutti coloro che vedran-no lo spettacolo, se sono come i pastori, gente di buona volontà, gente semplice, potranno vedere con i loro oc-chi, sentirsi salvati e uscire dicendo «Io l’ho visto, è nato il "glio di Dio, il Salvatore, il Signore». Io mi auguro che così sia, perché è quello che succederà, grazie a Carlo, Danie-la, Stefano e dovremmo nominare tutti a uno ad uno. Mi sento molto contenta, come se fossi a casa, perché sento che qui si lavora con un cuore puro ed i puri di cuore ven-gono aiutati, perché sperano in Dio. Loro vedono Dio. C’è bisogno di maestri di verità, maestri dell’amore e maestri della bellezza. Qui in questo cuore, in questo piccolo pa-ese, ci sono maestri delle tre scienze, si vede chiaramente come c’è questo accrescimento nella autenticità, nella bellezza, e nel voler fare del servizio nella carità ..

Suor Maria Vittoria

...II Signore vuole entrare nella casa di ognuno di noi, nel-le nostre famiglie e vuole soprattutto entrare nei vostri cuori per un’esplosione d’amore. Quest’anno sono venu-ti con me dei giovani che vengono da Rimini. Sono dei giovani che si sforzano di vivere il Vangelo e, attraverso l’arte nelle sue varie forme (la danza, il canto..), vogliono raccontare Dio e sono qui nella nostra diocesi perché ieri sera e domani sera hanno fatto e faranno il musical Chia-ra di Dio su Santa Chiara d’Assisi ..

.. È un momento alto di annuncio del Vangelo attraver-so quello che voi siete, che voi fate, che voi dite, in modo profondo.Il Signore è in mezzo a voi! Allora che sia Lui a parlare at-traverso voi, che sia Lui a cantare attraverso le vostre voci e a muoversi attraverso i vostri passi, attraverso il vostro cammino. Non è un caso, perché il Signore ha i suoi di-segni: a giugno ci siamo incontrati, ad agosto ci siamo rincontrati ed oggi noi ci incontriamo nuovamente, no-nostante tanti, tanti problemi .

Mons. Russotto-Vescovo di Caltanissetta

Il musical di Carlo Tedeschi “Madre Florenzia tra i carismi nel mondo” mi ha molto impressionato per più motivi: … i testi esaltano i molteplici carismi della vita consacrata,

maschile e femminile, che il Santo Spirito ha suscitato e suscita nella Chiesa, … incoraggiano i giovani che sono in ricerca di una scelta di vita a dire il loro sì al Signore che chiama…La parola dominante del musical è “amo-re” che fa rima con Signore, perché il sì al Signore è una risposta d’amore. …ragazzi e ragazze che riuscivano ad esprimere e trasmettere la gioia di essere cristiani nella donazione totale a Dio. …Questo musical contiene e co-munica un forte messaggio vocazionale di grande utilità per la pastorale delle nostre comunità. E’ uno strumento moderno d’evangelizzazione in un mondo che ha biso-gno di Dio.

Mons. Giovanni Marra

...Benvenuti qui a San Giovanni Rotondo, con Carlo Tede-schi e la Compagnia, che hanno portato qui, nella realtà di San Pio da Pietrelcina, il musical Chiara di Dio. Ieri sera abbiamo vissuto questo momento di grande spiritualità, di evangelizzazione che si sintonizza con quanto già Giovanni Paolo II aveva scritto nella Lettera agli artisti. Attraverso l’arte, attraverso la poesia, attra-verso la musica si può, anzi, si deve evangelizzare e noi, io, abbiamo vissuto questo momento di lode al Signore. Ringrazio i giovani che questa mattina hanno animato questa Eucarestia col canto, con la proclamazione della Parola e questo ha arricchito questa Santa assemblea in questa solennità della Santissima Trinità ..

.. L’evangelizzazione passa anche attraverso quelle pro-poste pazze che coinvolgono, e ci coinvolgono, e lo dicia-mo qui in questa Cappella. Tu, Carlo, sei un uomo dello Spirito, illuminato dallo Spirito e ti dico questo interpre-tando qualche cosa che da tempo sento, mettiti a lavo-rare per preparare qualche cosa che riguardi Padre Pio. Te lo dico all’interno di questa Cappella, noi pregheremo per questo grande sogno. Dopo Chiara e Francesco, pen-so che anche Padre Pio meriti un qualche cosa di molto serio, anche perché lui è molto vicino ai giovani, perché lui ha amato la croce. Auguri ..

Padre Nazario

...Voglio svelarvi un segreto che forse il regista per pudo-re non vi dirà. Normalmente l’arte già porta di per sé a Dio, la bellezza e Dio fanno veramente rima ma quando poi la preghiera dentro l’arte ci si insinua in profondi-tà allora l’arte rifulge. Voi vi trovate qui davanti a dei ragazzi i quali prima di venire in scena pregano e chie-dono la benedizione al Signore. Io spero che quanto ci diranno attraverso la loro musica, danza e le loro luci ci entri veramente dentro il cuore e ci faccia fare esperien-za di Santo Spirito di Dio.

Mons. Sorrentino-Vescovo di Assisi

...La vita di Santa Chiara: è questo che vedremo questa sera presentato in musical. A proporcelo sono degli ar-tisti giovani, alcuni di loro sono in formazione, studiano all’Accademia di danza e di teatro, altri sono professio-nisti e sono tutti legati all’Associazione Dare che si trova

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a Rimini e, attraverso questi spettacoli, attraverso il loro lavoro, promuove iniziative di solidarietà e di evangeliz-zazione. Il ricavato di questa serata verrà utilizzato per "nanziare la costruzione di un monastero di Clarisse in Rwanda ..

Don Alessandro

...Vorrei dire a tutti i componenti, a tutto il grande grup-po del Lago di Monte Colombo: siete una testimonian-za viva dell’amore di Dio nel mondo. Voi, cari "glioli, custodite questo grande dono della vostra fede. Che il Signore vi accompagni. Avete vissuto, nei mesi scorsi, delle esperienze penso indimenticabili accanto a Chiara e Francesco. Siano essi i vostri modelli per potere arrivare a rispondere pienamente ai richiami che Cristo Signore ha per ciascuno di voi, per ciascuno di noi. Con Lui, ac-compagnati e protetti da Chiara e Francesco, penso che possiamo serenamente e tranquillamente a$rontare qualsiasi di%coltà. Se loro sono al nostro "anco, certa-mente la volontà di Dio riusciremo a realizzarla. È questa la speranza che dobbiamo coltivare nel nostro cuore, è questo l’augurio che rivolgo a ciascuno di voi: siamo fe-lici, ma della gioia vera dell’amore di Dio, che dà senso e signi"cato al nostro cammino umano.

Don Ottavio Corbellotti-parroco di Carpegna

...Questa compagnia fa un percorso di bellezza, educan-dosi ogni giorno a stare insieme fraternamente, come Gesù ci ha insegnato ..

Padre Luciano

...di Maria Di Gregorio

…Ricordo ancora la commozione per Maria quando la premiarono a Pesaro: parlava con tanta saggezza sul palco, tanto che mi commossi e mi allontanai. Lei era sempre così. Era discreta, come la voce di Dio, che non la senti in mezzo al fruscìo del vento, ma nel silenzio.Io penso, leggendo i pensieri di Maria, che una vita come quella è valsa la pena che sia stata vissuta e certamente non ha sciupato nessun passo del suo percorso terreno perché tutto, illuminato dalla fede, illuminato dall’amo-re di Dio, tutto in lei era diventato condivisione, era di-ventato solidarietà, era diventato carico per potere alle-viare le so$erenze degli altri.

Don Ottavio Corbellotti-parroco di Carpegna

...del Borgo della Speranza di Ulignano di Volterra ...Più di 40 anni fa, quando fui ordinato sacerdote, ebbi dal Vescovo l’incarico di venire in queste zone, ero pretino novello. Venivo anche qui a Ulignano, ma la chiesa era inusabile, era franato il tetto, era un ammasso di rovine. …Così ho svolto i primi anni del mio ministero facendo il missionario per queste zone di cappella in cappella ed

oggi mi trovo a rivedere questa chiesa, quasi direi per la prima volta, per la prima volta intera, piena, brillante, ancora ricca, non solo di pietre nuove, di vernici nuove, ma di una fede che si è impressa in queste pietre da chi ha creduto nella sua riedi"cazione e da chi ha creduto nel suo messaggio profetico che ancora questa Chiesa è destinata a lanciare in queste zone. Questo è per me motivo di immensa gioia e ringrazio chi ha avuto questa iniziativa. Ringrazio soprattutto questi operai che sono venuti qua a lavorare, a nutrire queste pietre, a lucidarle con il loro sudore, non preoccupati soltanto di costruire una chiesa di pietra, bensì di dare un contributo alla rico-struzione della Chiesa in pietre vive.

E ogni domenica alle 11.00 li ho visti partecipi alla Mes-sa, pronti a partecipare ai Sacramenti, a fare la loro Co-munione, a dare esempio, a suscitare curiosità di questi parrocchiani che a volte sono un pochettino abituati alle distanze e quindi si sentono dispensati dalla preghiera, ma che quando vengono nella nostra chiesina di San Quirico, vengono a domandarmi: «Ma quelli chi sono? Ma perché sono qua?» Ed io rispondo «È gente che crede, che ama». Non c’è altro da dire.Noi inauguriamo questa Chiesa con questi battesimi ed è una circostanza stupenda perché il battesimo è l’inizio della nuova vita, della vera vita. La nostra vita "sica è certamente un dono immenso di Dio, ma la vita spiritua-le, quella vita che ci viene infusa con il battesimo e che non ci fa essere soltanto immagine di Dio creatore ma partecipi, in qualche modo, della Sua realtà in"nita, divi-na: questa è veramente la vita nella sua pienezza.Siete venuti in questa terra, sotto certi aspetti arida, e questa terra, anche attraverso la vostra presenza, ri"ori-rà, tornate! Tornate a Volterra! Tornate a Ulignano. Fatelo questo pellegrinaggio, dalle vostre case a questa terra. Questa terra ha bisogno di voi, della vostra testi-monianza, della vostra presenza che sta trasformando questo nostro colle antico in un centro di spiritualità, in cui si ritrova la genuinità della nostra fede e la gioia di guardare al cielo e benedire il Signore. Ed io, a nome di questa terra, vi ringrazio per quello che avete dato a me, per quello che darete ancora, per quello che darete agli abitanti di queste colline, agli abitanti di questa terra che Dio continua a guardare con immenso, con in"nito amore ..

Don Ivo

Questo posto è come un tabernacolo. Don Sebastien

Con tanta gioia son tornato in questa oasi in cui si vede come il Regno di Dio cresce, si espande e feconda il mon-do; il granello di senape diventa piano realtà, che include tutti e non esclude nessuno. Venga il Tuo Regno Signore.

Don Vincenzo

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HANNO DETTO...

...del Giardino di Maria a Colledoro

...Grazie perché ci sentiamo qui, in questo tendone, in questa casa, veramente a casa. Grazie a chi ci ospita per-ché nello stesso tempo ci fa sentire il calore di essere Chie-sa e non ci sono barriere, frazioni ma c’è semplicemente un unico linguaggio dell’amore, e grazie a tutti perché veramente abbiamo iniziato nel nome del Signore que-sto momento di grazia e d’amore ..

S.E. Mons. Michele Seccia-Vescovo di Teramo

...dei giovani del Lago di Monte Colombo

Mosso dalla divina volontà, che ha agito tramite France-sco e Chiara, mi sono ritrovato al Lago di Monte Colom-bo. Ho incontrato giovani capaci nonostante la loro gio-vane età, della condivisione, di parlare apertamente con il cuore in mano dei loro sentimenti, della loro vita, della loro genuina e spontanea fede e desiderosi di migliorarsi. Ragazzi che nel loro piccolo già sono impegnati, come giovani cristiani, nel di%cile compito dell’evangelizzazio-ne attraverso lo strumento del teatro… Insieme a que-sti giovani, però, ho trovato anche qualcun altro: Gesù. La Sua presenza è reale in questo luogo grazie a quegli ambienti che avete creato a%nché lo si possa celebrare, adorare, pregare. …è con gioia che devo ammettere che non si tratta solo di strutture ornamentali, di sepolcri ipo-critamente imbiancati, di templi alzati a chissà quale dio ignoto ma di vere e proprie icone della Chiesa. In questo luogo, lo dico con enfasi e mosso da felice meraviglia, è possibile sentirsi non soltanto "gli di Dio ma anche "gli della Chiesa. A nome di questa nostra Chiesa caro Carlo ti ringrazio perché tra i tuoi ragazzi e nelle tue opere si respira aria ecclesiale. I criteri di ecclesialità che dovreb-bero accompagnare tutti i movimenti sono ben presenti e questa è una prova evidente dell’autenticità di questo “copione” "rmato da Dio, ma messo in scena da ognu-no di noi. E allora come potrei non notare la comunione con la Chiesa universale che esprimete tramite la Liturgia delle ore. È raro trovare ragazzi educati alla celebrazione quotidiana e comunitaria delle lodi e dei vespri. …Carlo è evidente come la vostra attività sia conforme alle "na-lità della Chiesa, prima fra tutte l’evangelizazione. ..tutto chiaramente "nalizzato a presentare una persona e la sua relativa proposta, cioè Gesù e il Vangelo. ..L’amore del Signore sia sempre la vostra forza.

don Alessandro

… le vostre testimonianze danno vita. In voi c’è questo entusiasmo, questo essere se stessi dal palco alla scuola, al lavoro, ed è ciò che cerchiamo di capire insieme ai no-stri ragazzi e cioè che Dio è con noi quando mangiamo, quando dormiamo, quando camminiamo o studiamo. Ci avete dato tanto!

Don Felice

.. È una gioia celebrare la S. Messa per la prima volta con voi, l’ho sempre sognato .. In questi giorni abbiamo visto che sono attivi i ragazzi di questo luogo, abbiamo sentito le loro testimonianze e se questi ragazzi sono stati capaci di fare tutto quello che fanno, anche noi siamo capaci ..

Padre Ethel

.. Questo luogo è molto bello, non solo per le infrastrut-ture che ci sono ma per le persone che ci sono. Dio ci ha permesso di stare qui, nella Sua sapienza. Noi siamo ve-nuti qui perché eravamo nella Sua sapienza, Dio aveva previsto questo. Ringraziare il Signore è giusto perché è sempre Lui che provvede a tutto, ma ringraziare voi è umano e doveroso: Dio ci ha creati liberi, la disponibilità la diamo noi. Dio ci lascia vivere come vogliamo, ci lascia dare la disponibili-tà o meno e voi ci avete dato la vostra disponibilità. Avete condiviso con noi, con questi ragazzi, il perché viviamo, le inquietudini e il senso della vita: questo è fratellanza, pace, è l’amore che viene da Dio. Piano piano, con la vita e la testimonianza vostra, i gio-vani possono rendersi conto che la vita vale la pena di essere vissuta sotto l’ombrello di Gesù. Che la vita è gioia, che la vita è pace quando uno sta con Dio. Questa è la nostra gratitudine: il Signore vi ha dato un dono e voi piano piano questo dono lo state dando a noi. Questo per noi è un segno che Dio ci ha chiamati qui, che Dio ha quindi un progetto su di noi, che Dio ha anche un progetto su questi ragazzi ..

don Marco

…Volevo ringraziarvi per questo dono inaspettato. Attra-verso il canto ci avete fatto gustare la preghiera e la lode a Maria. Con queste note splendide abbiamo assapora-to l’amore di Dio che continua a camminare nel mondo. … Questa sera questi giovani hanno testimoniato con la loro forza ed il loro entusiasmo lo Spirito di Dio che aleggiava dentro questa Chiesa. Mi auguro che il Signore moltiplichi questo vostro entusiasmo per testimoniare al mondo e ai giovani. La vita è bella, è sacra, vale la pena di spenderla per queste cose e non stando sui marciapiedi e aspettando segni dall’alto. Siamo noi gli arte"ci della santità. Maria ce lo ha fatto vedere, ha detto di sì e questo ha trasformato il mondo, l’umanità.

Padre Giovanni

...Sono venuto qui con un piccolo gruppo della mia co-munità e abbiamo sentito grandi parole, abbiamo sen-tito parlare di Gesù. Nei vostri spettacoli parlate di Gesù attraverso una musica, un canto. Quanti modi di parlare ha Dio! Quanti modi impensabili Lui usa per parlare al cuore di ogni uomo! E noi dobbiamo farci veicolo... È bel-lo vedere tanti giovani questa sera a pregare la Liturgia delle ore..

Don Loris

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HANNO DETTO...

…Oggi ci avete raggiunto e noi raggiungeremo voi nei vostri luoghi e nella vostra realtà. Oggi, attraverso le vo-stre canzoni e le testimonianze, Gesù ci ha raggiunto.

Padre Francesco

…Qui mi sento tutto a tutti. In questo “piccolo mondo”, che è davvero un piccolo paradiso, il Signore ci possa dare quell’input per andare sempre avanti. ...Vorrei ringraziare, innanzitutto, la comunità di fraterni-tà che abita, che rimane (nel senso giovanneo della pa-rola) in Cristo in questi luoghi, ma è presente attraverso tantissimi di noi qui presenti in Sicilia, in tanti altri posti, per annunziare ed evangelizzare con gioia il Cristo Gesù attraverso i musical, il teatro. Ringrazio in modo particolare dal profondo del mio cuo-re sacerdotale, per il dono che Cristo ha dato al nostro Carlo, la signora, il suo "gliolo e a tutti i suoi collabora-tori. Ringrazio il coro perché ha animato la Liturgia con il canto e dice il “mio” sant’Agostino di Ippona, Vescovo e Dottore della Chiesa: «Chi ben canta, prega.. un milione di volte». Cantate sempre e ringraziate il Signore con il dono e il carisma della vostra voce: è la voce di Dio che scende su questo altare e che scende nei nostri cuori .. Io battezzato con voi, sacerdote per voi. Apparteniamo a diocesi diverse, ma la Chiesa è una, è cattolica e spar-sa nel mondo intero. Mi sento vostro sacerdote, perché il sacerdote di Cristo è universale. Il sacri"cio di Cristo è universale ..

Padre Enzo

...Sento che nel mio cuore c’è un profondo sentimento di ringraziamento che desidero o$rire al Signore, per l’op-portunità che ci ha dato di incontrare questi amici e pare proprio che sia il nome più adatto, più bello per rivolgersi a loro.Grazie per la testimonianza che ci hanno dato e si coglie che c’è uno spirito che ha in mente un progetto e allora oggi la nostra preghiera è rivolta a%nché si realizzi que-sto progetto, di generazione in generazione, questa l’in-tenzione con cui desidero celebrare questa Santa Messa nel giorno del Signore.... a%diamo al Signore gli amici che abbiamo conosciu-to, a%diamo al Signore il loro cammino, la loro missione, il carisma che ha dato loro.

Don Antonio

… Voglio ringraziarvi, uno per uno, perché il Signore si è servito di tutti voi per parlare al mio cuore. Magari voi avete parlato con me, ma il Signore ha parlato a me tra-mite la vostra preghiera, il vostro modo di pregare, il vo-stro cuore e, quindi, voglio ringraziarvi per questo. Siate certi della mia preghiera per ciascuno di voi, per tutte le vostre situazioni, per le vostre esigenze materiali e spiri-tuali, vi raccomanderò al Signore…

...È davvero la festa della bellezza ed è una grazia per me essere qui, in questi giorni, un vero bagno di grazia, una

grazia di Dio del tutto particolare, del tutto speciale che coincide con la festa dell’Ascensione. Io mi sento ancora più bello dentro perché il Signore si è manifestato attra-verso la vostra bellezza, i vostri sguardi, i vostri cuori, i vostri atteggiamenti, attraverso ogni vostro piccolo at-teggiamento: dalle parole alle note musicali ieri sera nel musical, dai piccoli sguardi alle parole di persone incon-trate in questi giorni per caso, sulla strada, nei sentieri di questo posto…. Tutto questo mi fa sentire interiormente più bello, perché in ciascuno di voi il Signore ha mani-festato la Sua presenza a me. La festa dell’Ascensione è proprio la festa del Signore che raggiunge il Padre «Fu as-sunto alla destra di Dio» ma ci lascia in consegna la Sua bellezza, ci dice, quasi ci comanda, di rimanere belli e di comunicare questa Sua bellezza a tutti! Siamo dunque custodi e depositari della Sua bellezza!

Don Giuseppe

…sono felice perché questi ragazzi hanno il coraggio di proporci immagini della santità, della vittoria dell’amore divino, immagini del Vangelo puro e questo per noi è un dono meraviglioso…

Padre Marie-Olivier

...di Leo Amici

…La prima volta che ho incontrato Leo Amici ha tirato dritto, pur sorridendomi: aveva da fare. La seconda volta mi ha salutato, da lontano, ma signi"cativamente genti-le. Ancora oggi, ogni tanto, ricordo il movimento di quel-la mano. Leo Amici era forte, così mi dava impressione, trasmetteva all’esterno ciò che lui era. Lo chiamavano “santone”, ma io intendevo nel vero senso della parola: un santo forte, possente. Anche dal suo "sico ti arrivava la sua forza. Anche il mio Vescovo mi diceva di non venire qui al Lago ma io sono sempre venuto perché gli dicevo che un gruppo bisogna frequentarlo, entrarci dentro per conoscerlo, così ho fatto.

.. Mi sento veramente onorato di poter venire qui per ri-cordare alcune di quelle persone che hanno segnato il cammino di questa vostra associazione, di questo vostro ritrovarvi in questo stupendo posto del Lago di Monte Colombo. Di questo dobbiamo essere grati a Dio e gra-ti a coloro che hanno saputo rispondere con prontezza, alle volte con sacri"cio, a questa prospettiva che Dio aveva loro o$erto. Perché ricordiamolo, cari amici, nella nostra vita Dio ci o$re sempre, ci o$re tanto, ma non im-pone niente. Vi è un’espressione biblica che dice: «Io sto alla porta e busso». E se noi sapremo aprirgli un piccolo varco, allora sapremo leggere la nostra storia e la storia dell’umanità in modo totalmente diverso. Penso che Ma-ria e Leo l’abbiano letta nel modo giusto la storia, per-ché hanno aperto questo varco, anche se nella loro vita hanno dovuto lottare, subire umiliazioni, ma non si sono arresi, si sono "dati di Colui che era entrato nella loro vita e che sapevano che era lì, come atto di amore, per dare

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senso e signi"cato a tutto quello che essi avrebbero poi fatto e realizzato.E voi siete la testimonianza di questa presenza di Dio nel-la vita di Maria e di Leo. Ricordiamole queste persone e cerchiamo soprattutto di imitarle, questo è l’importante, ed è possible! Io vorrei che ricordando Maria e ricordan-do Leo, richiamassimo a noi stessi la necessità che abbia-mo di fare questo piccolo varco, questa piccola apertura a quel Dio che bussa alla nostra porta: non fa chiasso, la Sua voce è una voce molto leggera. Così ha fatto Leo, così ha fatto Maria: sono gli esempi che dobbiamo sempre tenere presente. Io penso che fra di voi ci siano delle persone che abbia-no saputo leggere appieno e nel vero senso della parola, nell’autenticità dei loro sentimenti, ciò che volevano Ma-ria e Leo. Per questo ancora questa struttura va avanti, va avanti di corsa, con molta gagliardia e molta vivacità. Vi è il loro spirito, ma vi è anche chi ha saputo accogliere in sé, raccogliere questa grande carica di umanità, di amo-re, di dedizione agli altri che hanno lasciato Leo e Maria. Cerchiamo di essere, a queste persone particolarmente impegnate, di aiuto anche noi. Condividiamo la nostra vita con loro, saremo felici, perché si può essere felici in questo mondo, si può essere felici, trovandosi in una car-rozzella, vivendo in una corsia di ospedale, se noi sappia-mo dare il senso giusto a tutto ciò che ci capita.

Don Ottavio Corbellotti-parroco di Carpegna

…Fratelli è per questo che siamo qui, per ricordarci in questa ora di due grandi anime: l’anima di Leo e l’anima di Maria ..

Don Vinante-parroco di Elini

.. Solo due volte sono stato innamorato nella mia vita: la prima volta, a 23 anni quando sono stato ordinato prete; la seconda volta, quando sono stato invitato a visitare questo paese fuori dal mondo, un paese perfettamen-te cristiano, che anzi risale alle origini del cristianesimo, questo bel paese fuori dal mondo, come l’ha de"nito il primo promotore Leo Amici: un credente in profondità, credeva in Dio a tal punto che ha smosso le montagne. C’è scritto nel Vangelo: se avete un granellino di fede po-tete smuovere le montagne. Leo Amici ha smosso di più, Leo Amici ha smosso gli animi, le indi$erenze, l’egoismo, la caparbietà e tutti i difetti del genere umano, perché questo bel paese possa veramente diventare la cittadella dell’anima, del cuore, della solidarietà, della fratellanza e, se mi posso permettere, una porzione dell’eterno che si inserisce nel tempo "nalmente ..

Mons. Santino Spartà

.. Celebriamo in questo luogo in cui la natura, il creato sembra si sia fermato. L’ho ammirato. Ho passeggiato con i miei giovani e mi son convinto che Dio ha creato tutte le cose e tutte le cose sono buone e la natura non fa altro che ringraziare attraverso di noi il Creatore, oggi nella Pasqua settimanale. Non dimentichiamolo mai .. Oggi, discretamente, sommessamente, vorrei pregare

con voi, per voi e in voi in questo sacri"cio Eucaristico perché due nostri fratelli, una sorella e un fratello, già go-dono della risurrezione di Cristo Gesù, Leo Amici e Maria Di Gregorio. Preghiamo per loro perché tutto parla di loro, perché siamo qui in forza della loro fede, della loro speranza, della loro carità. Abbiamoli presente nella nostra vita come piccoli modelli, il cui grande modello li ha model-lati con le Sue mani come vasi di creta, li ha fatti perfetti nella carità, perfetti nella speranza, perfetti nell’amore. Si sono incontrati: Dio ha voluto così. Come oggi noi incon-triamo lo stesso Dio.

Padre Enzo

…Beati noi, ritrovati in questo luogo intriso della presen-za di Dio, intriso di carità .. .. Sono convinto che il Signore ci ha parlato in questo tempo, in questi giorni, attraverso questo posto dove Dio si è reso visibile attraverso persone che si sono dovute "-dare di Dio e della Sua Provvidenza; attraverso persone che hanno dovuto ascoltare la Parola di Dio... Hanno do-vuto "darsi. Signore, quanto sei grande! La liturgia della Parola appena ascoltata in questo contesto di ricerca di Dio ci dice quello che Dio ha detto ai profeti, che ha detto a uomini e donne nella storia della Chiesa, penso ai santi, a Padre Pio, a Madre Teresa ma penso a quest’uomo (cre-do incamminato verso la santità): Amici. Chissà quante volte si è dovuto "dare di Dio e chiedere l’intervento di Dio... Alla "ne il Signore ci chiede un atto di fede ed è bello poter contare su qualcuno e dire: «Io mi "do di te! Aiuta-mi!»

Don Alessandro

...“Roccia del mio cuore e mia eredità è Dio”, questa è la mia interpretazione della vita e penso che anche Carlo e Leo Amici abbiano nel cuore questa forza. Quello che ho trovato in quest’uomo, infatti, è una forza magnetica che non può essere sua ma che proviene da qualcun altro: la stella del mattino, la lampada nella notte che ha illumi-nato le mie ore più buie.

Don Gigi

...Vedo che è un luogo che parla di Vangelo, pure le mura parlano di Vangelo, si respira aria di Vangelo. Un Piccolo paese fuori dal mondo, diceva Leo Amici, perché qui c’è il Vangelo e lui non ha fatto altro che metterlo in pratica. Chiara di Dio, Un fremito d’ali.. questi spettacoli che noi abbiamo visto, vedremo, non parlano altro che di per-sone che hanno vissuto il Vangelo. Maria Di Gregorio ha vissuto il Vangelo! Allora questo è un Piccolo paese fuori dal mondo però, venendo fuori dal mondo, ci dobbiamo ricordare una cosa: che dobbiamo tornare nel mondo. Gesù lo disse ai suoi discepoli «Voi non siete del mondo ma voi state nel mondo». Allora dobbiamo tornare nel mondo, dopo esserci nutriti di Vangelo ed è lì nel mondo che dobbiamo portare il Vangelo. Tutti quanti voi! Pro-prio perché siamo battezzati! Non dobbiamo fare grandi cose.

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Io sto conoscendo la vita di Leo Amici, la sua persona: mi sembra una persona semplicissima. Non aveva fatto grandi studi teologici, non aveva fatto grandi scuole però lo ha semplicemente vissuto il Vangelo! Allora anche noi, con la nostra semplicità, così dobbiamo annunciare il Vangelo. San Pietro nella lettera che abbiamo ascoltato ha detto «Rivestitevi di sentimenti di umiltà, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili»: ecco il modo con cui portare il Vangelo nei luoghi dove il Signore ci chiama, con umiltà e semplicità.

Don Marco

.. C’è un’obbedienza da dare a Lui che viene prima di qual-siasi altro segno, che è consegna di noi a Lui, consegna totale, piena. C’è una parola che ci è stata data che è l’a-more: «Amatevi come io vi ho amati». Si ama dando la vita. Poi noi abbiamo qui la fortuna, la grazia, di vederlo questo: Leo, Maria hanno amato dando la vita. Si ama dando la vita, non semplicemente facendo qualcosa per gli altri o preoccupandoti per gli altri ogni tanto! ..

Padre Vittorio

...del Lago di Monte Colombo e dei volontari dell’associazione Dare

.. È una gioia per me poter celebrare questa Eucarestia per voi ed insieme a voi e a don Vittorio Peri, in questa bella “città fuori dal mondo”, ma che può essere veramente cul-la del mondo. Questa capanna, come quella di Betlemme, oggi è una Cattedrale che ha per volta il cielo e per colon-ne questi alberi, questo verde della natura che ci richiama la speranza. La speranza che non muore, la speranza di un sogno possibile. Un sogno reso possibile più che dai nostri sforzi, dalla misericordia di Dio. Ed è dinanzi a Lui che noi inchiniamo la nostra anima chiedendogli perdo-no .... In questo posto così bello, dove si respira il silenzio, dove l’armonia non è altro che la composizione dell’amore nel-la diversità di uomini e donne, nella diversità di età, di cul-ture, di carismi, tutto viene composto in un’armonia che celebra questa quiete, questo dispiegamento del rotolo dell’anima dinanzi a Dio. E in questo dispiegarsi l’anima si lascia incidere, lascia scolpire le parole che rimangono, perché si lascia abitare dal cuore stesso di Dio. E allora cosa dire a conclusione di questa inarticolata ri#essione, che è più una ri#essione del cuore che una predica, se non le tre parole di Gesù: «Coraggio Io sono”. Non abbiate pau-ra di questo silenzio che vi raggiunge. Non abbiate paura di quest’appello che Dio fa nascere dal profondo del vo-stro cuore .. Prima di darvi la benedizione, ecco, volevo sa-lutare e ringraziare tutti voi, porgere il mio saluto a Carlo e dare la benedizione alle vostre famiglie, ai vostri sogni, ai vostri progetti, perché se è vero che questo sogno di Leo è diventato realtà, è anche possibile che i vostri o i nostri sogni diventino realtà, «pietra su pietra, alto diventerai».

...Sono padre Mario Russotto, Vescovo di Caltanissetta, la cui diocesi ospita anche una porzione del Lago. …La Pa-rola di Dio non è come il sole a mezzogiorno, non illumina mai tutto il cammino, è come una piccola lanterna, illu-mina appena il primo passo che devi compiere. Il Signore conosce tutto il tuo cammino ma tu, con questa lanterna, puoi conoscere dove mettere il primo passo. Così anche nella storia di questo Piccolo paese, nella storia di Leo Amici, nella storia di Carlo Tedeschi, non c’è mai tutta la strada, tutto il progetto, c’è sempre e solo il primo passo: bisogna avere il coraggio di vivere nella logica del primo passo, perché dopo il primo, l’altro è ancora il primo. Dice un detto cinese: camminando a piccoli passi, se guar-di alla mèta ti sembra lontanissima ma se ti volti indietro vedi che di strada ne hai fatta proprio tanta ..

Mons. Mario Russotto

.. È la prima volta che io partecipo alle Lodi con voi e vorrei dire lo stupore e la gratitudine di trovare una comunità che ogni mattina canta le lodi del Signore e ascolta la Sua parola..

Don Maurizio

.. La benedizione "nale che riceviamo sia anche il nostro grazie per le persone che hanno dedicato il loro tempo, a questa comunità che ci ha accolto e anche per chi in que-sti giorni ci ha accompagnato in questo lavoro, in questa preparazione, perché tutto il bene che si fa, ritorni poi a noi come benedizione, come sguardo buono di Dio sulla nostra vita e come incoraggiamento nel continuare a fare il bene, perché a volte non è sempre facile fare il bene ..

Don Francesco

.. È una bellissima e provvidenziale coincidenza, carissimi, l’ascolto di questa Parola in una giornata così signi"ca-tiva per tutti voi che vivete in questo luogo e per tutti voi amici, sostenitori, benefattori di quest’opera fondata da Leo Amici e soprattutto sviluppatasi nel corso di questi decenni, dopo la consegna ideale di Fondazione data da quest’uomo semplice che cercava, secondo la sua sensibi-lità, di trasmettere i valori fondamentali della pace, della solidarietà, della unione e comunione tra gli uomini .

Don Ivo, Don Tonino, padre Francesco, padre Mario, padre Piergiorgio

...Anche oggi dobbiamo rendere grazie al Signore per questa bella Chiesa che ci ha ospitato oggi ed in cui ab-biamo celebrato questa Eucarestia e che da ora in poi sarà un luogo di contemplazione, di preghiera, di ascolto della Parola e anche della presenza del Signore nell’Euca-restia. Per tutto questo rendiamo grazie a Dio ..

Mons. G. Mauri

.. Paolo dice “Io lodo il Signore, Lo ringrazio per le noti-zie ricevute”. Egli ha sentito dire che questa comunità è una comunità cristiana viva, "orente, rigogliosa come un giardino dopo l’acqua a primavera, e qui ci sono tre motivi di questa "oritura: “le notizie circa la vostra fede

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in Cristo Gesù; la carità verso tutti; la speranza che vi at-tende nel cielo”. Guardate, c’è tutto! Dunque voi siete un giardino "orente e io rendo grazie per voi. Anch’io penso di poter dire la stessa cosa per questa co-munità che ci ospita, per la fede in Gesù Cristo, per la cari-tà verso tutti e per la speranza nel mondo che verrà. La vita cristiana, fratelli e sorelle, è tutta qua e noi viviamo in questa fede, in questo amore, in questa speranza, solo attraverso le tre virtù teologali che sono i cardini della vita Cristiana...

Mons. Vittorio Peri

…Io credo che la vicenda di Barnaba e della prima comu-nità di Antiochia - quella comunità in cui per la prima vol-ta i Giudei furono chiamati cristiani - ci riguarda molto da vicino. In generale riguarda le nostre comunità e credo in particolare la realtà del Lago: io sono certo che in questa comunità la grazia del Signore è all’opera ..

Don Alessio

...E vivremo dell’amore di Dio, pienamente. E questo ci è come anticipato, per la misericordia Sua, anticipato ades-so, lo puoi vivere! E qui al Lago lo sappiamo che si può vivere. E ovviamente non solo qui! Perché se sei del Lago, sei del Lago ovunque, cerchi le cose piccole - perché que-sto piccolo paese è grande-, cerchi il Vangelo! Prima di qualsiasi altra cosa, prima degli scritti di Chiara, di Fran-cesco, di Leo, di Carlo, il Vangelo! Di cui questi scritti sono pieni! Che questi scritti contengono! Ma il Vangelo, prima di tutto Lui, la Sua Parola! Se sei del Lago hai imparato da Chiara la preghiera che, come ci è stato detto ieri, «è un’arma potentissima data ai deboli»: più sei debole, più l’arma della preghiera è potente! Se sei del Lago, non hai paura, perché conosci l’amore di Dio! E questo ovunque. È così che il Regno si di$onde su questa terra ..…Noi vogliamo benedire Dio per gli in"niti doni della Sua misericordia, vogliamo benedirLo per queste giornate, vogliamo benedirLo per i doni di cui ha riempito questo luogo, per Leo, per Maria ..

Padre Vittorio Viola

.. Vi manifesto la mia gioia di essere qui: il Signore ha sem-pre le Sue strade e per questo ho accolto l’invito da parte di Carlo di essere qui, con tutti voi. Desideravo venire, desi-deravo conoscere la vostra realtà. E sono contento di tro-vare questa bella comunità di credenti con cui, in comu-nione con la Chiesa locale ed universale, e in particolare con la famiglia francescana, abbiamo celebrato il centro della nostra fede che è Cristo risorto. Sono contento di ve-dere la Chiesa nella sua completezza: bambini, giovani, adulti, anziani… ecco la Chiesa come famiglia o la fami-glia come Chiesa, potete leggerla come volete.Vorrei anche appro"ttare dell’occasione per ringraziare Carlo e tutti quelli che rendono possibile il musical Chiara di Dio, perché attraverso questo musical avete reso possi-bile che Chiara arrivi alle persone, che in principio sareb-be stato di%cile raggiungere. Personalmente ho sempre detto che mi ha fatto veramente bene vedere lo spettacolo:

conosco un po’ Chiara ma il musical Chiara di Dio mi ha aiutato a capire anche certi aspetti che, magari attra-verso la lettura dei suoi scritti, non ero riuscito a vedere o trovare. Grazie allora a nome della famiglia francesca-na, soprattutto delle clarisse e di noi frati minori, perché il Signore si serve di voi per fare arrivare Chiara al cuore di tanti giovani, di tante persone di buona volontà che sono in questa ricerca di Dio, attraverso anche delle mediazioni come può essere Chiara, come può essere Francesco. Gra-zie anche della vostra vicinanza all’Ordine: anche l’Ordine vi vede amici. Voglio dirlo pubblicamente: anche l’Ordine è vicino a voi. Soltanto vi chiedo di continuare ad essere profondamente appassionati di Dio ed essendo appas-sionati di Dio, sarete appassionati anche dell’uomo.

Fr.José R. Carballo-Ministro generale OFM

...Io vengo sempre con molto piacere qui, al Lago di Monte Colombo, perché ho trovato delle persone che veramente vivono in pienezza e si impegnano per fare questo: ciò che la Parola di Dio, il Vangelo, ci dice e dice a ciascuno di noi. Ringrazio la Provvidenza che mi ha portato qui, come rin-grazio di avervi incontrato. Questa nostra celebrazione possa rinsaldare la nostra amicizia, possa renderci fermi nella nostra solidarietà: siamo incamminati sulla stessa strada. Che Dio continui ad incamminarci su questa stra-da, anche se ci sono problemi, di%coltà, non molliamo, siamo certi di essere sulla giusta strada perché quando ri-usciamo a condividere, quando riusciamo a solidarizzare allora certamente con noi e accanto a noi vi è l’amore di Dio. Io vorrei che in questa Liturgia ricordassimo - penso che sia un dovere da parte nostra - due nostri carissimi amici che hanno terminato il loro cammino terreno: Maria Di Gregorio e Carmelo Anastasi. Preghiamo per loro perché il Dio della bontà e della misericordia voglia averli accolti nel Suo Regno e voglia dare loro la ricompensa del lavoro che durante la loro vita terrena hanno saputo concretiz-zare, guidati sempre da questa luce che è l’amore di Dio.

...Vi trovate qui per un motivo di solidarietà …Siamo sul-la stessa strada. Voi fate parte, ma anch’io mi sento di far parte dell’Associazione Dare con tutto il cuore, perché vi è una collaborazione fra noi grandissima. Anche se, prati-camente, abbiamo impegni in paesi diversi, la carità non ha con"ni, non ha barriere, non può suscitare gelosia. Soltanto se la carità viene fatta così, come testimonianza dell’amore di Dio, il nostro tempo sarà ben speso, la no-stra vita non sarà stata inutile. .. E allora cerchiamo di creare questa catena di solidarie-tà, perché coi nostri poveri mezzi possiamo risolvere alcu-ni di questi problemi, possiamo ridare speranza, "ducia, possiamo vedere spuntare un sorriso di gioia su un bimbo che magari nella sua vita non ha mai ha potuto sorridere, perché ha vissuto sempre una vita, "n da quando è nato, tormentato dalla fame. L’associazione Dare ha questo scopo, il nostro gruppo ha lo stesso scopo, continuate ad essere solidali, continuate, non stancatevi: è Dio che vi ha messo su questa strada e allora cerchiamo di percorrerla

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"no in fondo e certamente Dio è con noi perché chi si met-te sulla Sua strada, certamente Lo incontrerà sempre e lo avrà sempre di "anco ..

...Potremo far poco, ma il nostro poco non facciamolo mancare. E veramente la vigna del Signore darà il suo frutto, e noi saremo quel frutto che il Dio dell’amore por-terà e raccoglierà nelle Sue mani. E un giorno potremo allora serenamente guardare al nostro futuro e aver la certezza che saremo stati testimoni dell’amore di Dio in questo mondo, allora il regno dei cieli, il regno della pace di Dio, il regno dell’amore sarà anche il nostro regno ..

.. Che il Signore ci aiuti tutti assieme a camminare su que-sta strada ed è anche per la mediazione e l’intercessione di Maria e di Carmelo che noi possiamo continuare a te-nere vivo ciò che già è costruito, a cercare di sviluppare quel germe che sta germogliando in tante parti di questa nostra Italia, in modo che tutti uniti possiamo dare un volto diverso a questo nostro mondo. Non demandiamo tutto agli altri, facciamo noi la nostra parte e forse qual-che cosa cambierà. È questo l’augurio che faccio a voi, che faccio a me, che faccio a questa struttura del Lago di Monte Colombo, e in modo particolare all’Associazione Dare. Hanno una canzone loro in cui con insistenza si ri-pete “Dio c’è, Dio c’è!”. Sì, Dio c’è, è accanto a ciascuno di noi, purché noi lo vogliamo fare entrare come parte del-la nostra vita. Stiamo pur certi Lui allora entrerà in noi e con Lui, assieme a noi, niente ci sarà impossibile. Siamo piccole cose, ma diventeremo delle cose grandissime se ci mettiamo nelle mani di Dio.

...Vi supplico nel nome di Dio: continuate su questa stra-da, state vicino alla vostra associazione, nel limite in cui potete aiutatela, e cercate di propagandarla perché la vostra associazione sta lottando per potere alleviare le so$erenze soprattutto dei bambini ed è una grande mis-sione. Dio dal cielo senz’altro vi benedice. La Sua benedi-zione abbondantemente scenderà su di voi. E io di tutto cuore come prete la invoco sopra di voi, perché guidati dalla speranza cristiana, illuminata dalla luce di Dio, voi possiate continuare sempre su questa strada. Che Dio vi benedica sempre per quello che avete fatto, per quello che fate, per quello che continuerete a fare ..

Don Ottavio Corbellotti

...Cari fratelli e amici, sono felicissimo di essere qui in mezzo a voi e che sia stato proprio Alberto Marvelli che mi ha portato qui, non dico per conoscervi, perché già ci conosciamo per l’unica fede che condividiamo. è come se ci conoscessimo da sempre, perché abbiamo l’unico Si-gnore. Anche se non ci siamo mai incontrati, siamo legati da un’amicizia profonda perché il Signore è con noi, è Lui che ci lega. Quindi non ci sentiamo, l’uno all’altro, degli estranei, ma degli amici e dei fratelli.Sono rimasto ammirato da questa struttura meraviglio-sa, a servizio dell’uomo, della crescita umana e spiritua-le dell’uomo, con tutte le sue attività, che ho conosciuto

solo in parte. Mi complimento con voi per tutto quello che fate: il Signore benedice certamente la vostra opera! .... In questo periodo in cui ci prepariamo [ndr.: alla bea-ti!cazione avvenuta nel settembre 2004], vogliamo chiedere ad Alberto che ci aiuti, che aiuti voi in partico-lare nella vostra opera bellissima che state facendo fra i giovani, un’opera meravigliosa che, se Alberto fosse vivo, certamente ammirerebbe. Voi siete molti e lavorate insie-me con fraternità ..

Mons. Fausto Lanfranchi

Questo Natale è stato caratterizzato nella nostra zona e un po’ in tante parti del mondo dal musical che voi, come Associazione Dare e Fondazione Leo Amici, avete o$erto: Un vagito nella notte, in chiave francescana. E anche que-sta sera siamo all’interno di un’atmosfera e di una sceno-gra"a tipicamente francescana: è un po’ come se fossimo a Greccio, perché a Greccio è stato celebrato il Natale del Signore, rappresentato appunto da Francesco..

...Francesco, verso la "ne della sua lettera, si rivolge a quei laici che quindici giorni fa hanno fatto qui il loro conve-gno regionale annuale (laici francescani del Terz’Ordine). Sono rimasti estremamente edi"cati dalla vostra presen-za, per tutti un’esperienza di alto pro"lo che hanno con-servato nel cuore..

Sono tanto contento di condividere questa mattinata con voi e ringrazio il Signore per la gioia che mi ha dato nel vedere come l’azione dello Spirito trova spazio in voi, nei vostri cuori e in questa vostra realtà di una fraternità in cammino verso di Lui. Vogliamo celebrare l’Eucarestia come momento culminante e, insieme, come sorgente, della nostra forza di testimoni del Vangelo...

Padre Prospero Rivi

.. Vi ringrazio per l’amicizia, per la fratellanza con cui ave-te accolto Maria e me, per aver scoperto, guardandovi, che l’opera è grande, che la messe è tanta e che il lavoro che noi faremo comincia oggi e con l’Eucarestia si ravviva perché noi possiamo fare luce in mezzo a tanta oscurità, noi abbiamo la stessa luce in qualunque posto siamo ..

Padre Oscar

.. La vostra è una straordinaria realtà e i valori a cui fate riferimento e che cercate di trasmettere in famiglia, nelle parrocchie, nei centri culturali e nel lavoro, sono i valori del Vangelo, pertanto sono valori eterni di cui il mondo ha tanto bisogno. Il Signore vi benedica e possiate vera-mente sempre ben operare a%nché la pace, l’amore e la fratellanza, trasmessi da Leo Amici e letti attraverso Cri-sto e la Chiesa, siano accolti da tanti fratelli specialmente giovani.

Padre Piergiorgio

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In questa rubrica sono racchiusi pensieri e lettere per lo più scritti da giovani... preghiere personali, ri"essioni sulla vita, su se stessi, sui perché,

giunti in redazione.

Alcuni di essi provengono da coloro che frequentano l’oratorio e l’Accademia d’arte del Lago. Ragazzi seguiti e guidati nel loro percorso di fede e di formazione professionale da !gure genitoriali, insegnanti,

catechisti, sacerdoti e da Carlo Tedeschi, nell’ambito delle iniziative della Fondazione Leo Amici e dell’Associazione Dare. Giungono inoltre molte testimonianze su Leo Amici ed in questo numero ne pubblichiamo alcune.

Lettere e testimonianze

TESTIMONIANZE DI GIOVANI DA MATTINATA DOPO L’INCONTRO AL PICCOLO PAESE E LA VISIONE DEL MUSICAL “PATTO DI LUCE”

Lo spettacolo è "nito … e siamo tutti sul pullman per tornare a casa …. purtroppo! In realtà da una parte sono entusia-sta di abbracciare calorosamente i miei genitori, dall'altra … Non so perché piango … sono triste? Sono felice? Quante

domande! Con voi mi sento a casa. L'a$etto e l'amore che mi date è qualcosa di splendido!! Confesso che sto passando un periodo di grande insicurezza.Mi sono smarrita. Ho così tanti problemi nella mente. Io … ho sempre immaginato di essere importante, voglio fare tante cose. Vorrei aiutare i bambini che non hanno avuto un punto di riferimento, vorrei donare il mio amore agli altri, anche con un semplice sorriso. VOGLIO ESSERE COME VOI!!! Io sono una ragazza buona, "n troppo. Non so se è un pregio o un difetto. Ma so solo che la mia bontà mi crea numerosi problemi. Mi preoccupo per gli altri e in tutti i modi li rispetto e li aiuto. Ho imparato tante cose da voi e vi ringrazio di cuore!!

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Tanti sono i pensieri che vengono nella mente, ma nessuno di questi riesco a prendere.Esattamente non riesco a trovare le parole giuste per descrivere il mio stato d'animo. Diciamo che da una parte sono con-

tenta, contenta per tante cose, cose che pensavo non arrivassero mai. Ho aspettato tanto tempo e aspettando non sono mai arrivate. Ecco che un meteorite gigante cadde sotto i miei piedi. Rimasi sbalordita della luce candida, immensa ed eterna che illuminava e illumina i miei occhi. Stare con voi il mio animo il mio cuore si apre e si commuove ad ogni incontro. Oggi vi ho rivisti ed ammirandovi sentii una voce interiore che mi diceva: seguila, seguila! Mentre sentivo quelle parole iniziai a sorridere sperando che un giorno avrei intrapreso il vostro cammino. Tutto iniziò da un saluto e tutto "nì con un arrivederci, non avrei mai voluto salutarvi e vedervi andare via dai miei occhi.Grazie a tutti di cuore mi avete fatto capire che la vita è importante.

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Non riesco a non pensarci, perché solo pensandoci sto bene davvero.. queste emozioni mi hanno travolta e hanno stra-volto la mia vita.. al solo pensiero ho i brividi. Il piccolo paese fuori dal mondo mi fa sentir viva.. serena.. mi fa sentire a

casa.. ma non come si dice di solito, perché io con la mia famiglia si, ci sto bene, ma loro non mi conoscono.. non sanno cosa provo.. si preoccupano del mio futuro e mi rinfacciano gli errori del passato, ma è del mio presente che voglio parlare! Potrò sbagliare, ma "n quando non sbatto da sola la testa al muro non capisco.. Al piccolo paese mi sono sentita invadere da 1000 emozioni "n'ora solo sognate ed immaginate.. Non credevo potessi provarle davvero e scoprire che avessero una bellezza così immensa. Mi sono sentita compresa per la prima volta, da persone “estranee” alla mia persona, ma come già conosciute da un'eternità dal mio cuore.. Un solo sguardo il sol chiudere gli occhi mi ha fatta vivere.. e poi.. io voglio sempre dare tutto alla gente, voglio farla stare bene e con gli scout vi riesco, ma pienamente ci riesco con la danza.. quando danzo sono dove voglio essere e come voglio essere: me stessa. Con la danza ho imparato a voler e a volermi bene.. E l'emozione che ho provato allo spettacolo “Patto di Luce” al Lago che aspettavo di vedere da giorni, quelle emozioni provate da spettatrice, io voglio trasmet-terle dall'altra parte sul palco. Dopotutto è così che ho iniziato a ballare.. da una poltrona di spettatrice e sono arrivata nelle palestre.. ma voglio andare avanti, emozionare la gente con le mie emozioni, farla sorridere, piangere o gridare, l'importante è renderla viva come non mai. Ho tanto amore da dare.. ma non trovo l'occasione per farlo.. Il mio spirito e la mia grinta mi aiuteranno a trovarla. Ora non mi vergogno più di piangere, perché il pianto è il bacio dell'anima … e io non l'ho calcolata per troppo tempo. Solo dando si riceve e ciò che voglio ricevere io non sono gli applausi o il successo o le persone in piedi a gridare “brava”, ma voglio emozionare per emozionarmi sempre di più … .

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LETTERE e TESTIMONIANZE

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LETTERE e TESTIMONIANZE

Carissimi, il Signore vi dia Pace!

Dopo l’esperienza dello scorso anno non dubitavamo a$atto che anche questa volta ci saremmo trovati bene in vostra com-pagnia, ma le nostre aspettative si sono rivelate un’inezia al confronto di quanto abbiamo vissuto e provato nei 12 giorni che abbiamo vissuto al “Piccolo paese fuori dal mondo” attorniati da amore vero, a$etto profondo, sorrisi sinceri, disponibi-lità piena da parte di tutti coloro che abbiamo avuto la gioia di incontrare e con i quali abbiamo respirato il “respiro di Dio”.Quel respiro che questa estate abbiamo avuto la grazia di respirare anche a Colledoro, che abbiamo avuto la gioia di visita-re e che ha continuato ad arricchirci con i doni stupendi che il Signore ha voluto donarci attraverso le persone che vivono e operano nel suo Nome.

Proprio oggi San Paolo ci ha ricordato quanto sia importante “non conformarsi alla mentalità di questo mondo, ma lasciar-si invece trasformare rinnovando il nostro modo di pensare , per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a Lui gradito e perfetto”.Ecco ciò che voi fate, continuando a testimoniarLo andando controcorrente in questa società che ci o$re solo occasioni di male e che tenta in tutti i modi di allontanarci da Lui.

È questo ciò che si respira su al lago, luogo “baciato” dalla Grazia di Dio, una Grazia che Lui ha sì e$uso con abbondanza, ma che voi tutti contribuite a rendere viva e ad alimentare con il vostro operato, con la vostra presenza, con il vostro amore. La presenza di Gesù è forte, viva, palpabile, reale, al punto che gli occhi “specchio dell’anima” non possono fare a meno di essere sempre umidi, anche per le cose più semplici, apparentemente banali, ma che riempiono il cuore di gioia e fan versare lacrime amare per il prezioso tempo perso per correre dietro falsi idoli o dietro una religiosità solo esteriore che manca del suo cardine principale: Cristo Gesù, l’Amore Vero!

È proprio vero che “non avremo dato nulla "nchè non avremo dato tutto”.Noi invece ancora troppo spesso ci illudiamo di poter “seguire il Signore da lontano” e che è possibile “fare a metà con Dio”: queste parole, insieme con quanto Carlo ci ha donato nei momenti vissuti con lui e insieme a tutto ciò che abbiamo ricevuto dalle testimonianze di ognuno di voi (nessuno escluso) sono state e sono tuttora motivo di profonda ri#essione da parte no-stra, che ci aprono il cuore ad una prospettiva e ad una gioia più grande che ancora oggi non sappiamo dove potrà portarci, ma che sappiamo di voler vivere a tutti i costi, per Lui, per il Suo grande Amore, che non possiamo ricambiare se non con il dono totale di noi stessi.

Grazie per quanto, anche quest’anno, ci avete donato e che ci aiuta ad alimentare la "amma del nostro cammino incontro al Signore, un cammino che, siamo certi, non potrà non incrociarsi con il vostro; nulla a questo mondo accade per caso, ma tutto rientra nel grande progetto d’amore che il Signore ha per ogni Sua creatura e per noi il Suo progetto ha contemplato anche questo splendido incontro con voi, che non può rimanere sterile, ma deve produrre frutti abbondanti per portare i quali chiediamo le vostre preghiere. Il Signore benedica tutti voi e continui a riversare su questo luogo santo le Sue innumerevoli Grazie!Un abbraccio forte in Cristo!

P.S. per tutti i giovani che hanno abbracciato il progetto di Leo Amici, Maria Di Gregorio e Carlo Tedeschi

Carissimi ragazziIncontrarvi è stata una benedizione di Dio.Se il “Piccolo Paese fuori dal mondo” è luogo di in"nite Grazie donate dal Signore, ciò è anche attraverso la vostra presenza e il vostro amore, con quel qualcosa di soprannaturale che vi ha invaso l’anima e che si rende visibile attraverso il sorriso dei vostri occhi, la gioia del vostro operare, la letizia del vostro “fare comunità” e ciò vi rende chiari, trasparenti, veri, vi rende cristiani autentici e testimoni credibili.Vi ringraziamo e vi preghiamo caldamente: nel celebrare le Lodi e i Vespri non dimenticate mai di volgere al Padre celeste una preghiera per i vostri coetanei, per quei tanti giovani che non conoscono il Bene, che non hanno avuto la fortuna di trovare sul loro cammino delle vere guide che potessero portarli a Gesù e che si sono “persi” nel loro io e nei falsi idoli che questa società ha loro presentato. Pregate perché anche il Signore vi benedica tutti, sempre, perché sotto la guida di Carlo, i suoi insegnamenti, il suo “vivere Cristo” possiate fare della vostra vita un capolavoro di santità.Con il cuore ricolmo di gratitudine e di gioia,Vi abbracciamo tutti in Cristo Signore.

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LETTERE e TESTIMONIANZE

DAI GIOVANI DELLE COMPAGNIE TEATRALI..

È la prima volta che scrivo una lettera e non so nemmeno come si inizia. Ma quello che sto

vivendo in questi giorni ad Assisi voglio che tu Carlo lo sappia. È partito tutto da un mio semplice desiderio di fare questa esperienza insieme a questi ragazzi e come sempre tu non dici mai di noi, sto ricevendo tanto amore da questa famiglia ma soprattutto tanto amore da Dio, e mi accorgo che se conosci Dio man mano conosci anche te stesso perché basta veramente aprire il cuore un po’ a Dio e lui ti ricambia con il suo amore ed è proprio questo che ti fa cambiare nel modo di parlare, nel fare, e vedi le persone in modo diverso. Ogni giorno penso a quello che mi hai detto di guardare la parte alta delle persone ed è bellissimo perché analizzo le cose belle di loro che posso fare mie. Ogni volta che mi alzo la mattina sento la gioia di far parte di quest’opera e di servire Dio nel mio piccolo. �� � � � � ������*HYSL[[V

Ti scrivo per dirti che qui va tutto bene, circa due settimane fa siamo andati in un oratorio qui

vicino, a testimoniare per dei giovani, posso dirti che testimoniare mi è diventato più semplice e naturale, ho notato che influisce tanto il proprio stato d’animo.Ora vado a prepararmi per fare il tuo spettacolo, spero di essere stato chiaro. Non vedo l’ora che Assisi si riempia di giovani, ma soprattutto non vedo l’ora di vedere te e gli altri miei fratelli.

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Nella compagnia, nella famiglia di Lentini alcuni accusano stanchezza e mi chiedono: ma sono sempre sacrifici? Ma ci sarà un futuro, anche di natura economica che ci permetterà di vivere se si fa questa scelta? Alcuni dei miei

fratelli non vogliono lottare con famiglie o fidanzati che li vogliono tenere lontano da ciò che vivono, e mi chiedono sempre compromessi e io sto lì ad ascoltare, attendere, spesso non so cosa rispondere. In certi momenti mi sembra che ogni giorno bisogna ricominciare tutto da capo, senza dare per scontato ciò che la sera prima era assodato. Questo mi toglie le forze per continuare, forze che poi, non so come, ritrovo sempre.Ogni giorno vorrei fare tante cose, poi alla fine della giornata quando mi incontro con la coscienza, avverto di aver fatto poco; in questo momento sento che molti fratelli vorrebbero essere seguiti più da vicino, mi manca la costanza coraggiosa e la verità nei loro confronti. Vorrei arrivare ad avere la pace dentro, a prescindere dalla lotta giornaliera, e invece la pace non la trovo se non alla fine, dopo aver raggiunto un risultato. È come se la mia fede si realizzi solo se riesco a fare qualcosa, solo se questa storia continua col mio impegno responsabile, ho il timore che se qui tutto dovesse finire la mia fede crollerebbe; e quando vedo un fratello che si allontana o si perde, io piango. Ma è questa la fede? Sono convinto che si debba amare sempre di più per tenere in vita le cose, e che a volte non riesco ad amare come desidero, per paura del giudizio, per forma, per comodo. Come si fa ad amare sempre più? Come si fa a far crescere l’amore dentro una comunità? Questi pensieri, danzano nella mia testa.

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IL FORNO

Ho sentito "no ad ora molti pensieri avente come "ne quello di trovare analogie tra l’Amore di Dio e ogni qual

cosa possiamo toccare con mano in questo mondo.Ieri sera guardavo attentamente il forno della pizzeria. Si accende tramite una piccola "ammella che man mano di-venta un fuoco grande e caldissimo.Questo fuoco, oltre ad avere il compito di fare cucinare le cose contenute dentro il forno, ha principalmente il compito di pulire questo.Se si guarda nel forno con una piccola "amma, è nero al suo interno, il fumo che si forma nella combustione si attacca alle pareti.Più il fuoco diventa vivo più aumenta il suo calore e più schiarisce le pareti del forno facendole diventare bianche.Ecco qual’è l’analogia: il forno è la nostra ANIMA e il fuoco è l’AMORE DI DIO. La combustione genera il fuoco che è l’A-MORE, ma genera anche il fumo che è il MALE. Sta a noi, con la nostra VOLONTÀ, riuscire a mantenere sempre caldo il forno in modo tale che le nostre opere (inte-se come prodotti del forno) siano BUONE (con tanto fuoco e forno pulito) o CATTIVE ( con poco fuoco “AMORE DI DIO” e forno sporco “ANIMA”).Metaforicamente è come se ognuno di noi fosse un PIZZA-IOLO.Ecco qual’è il mio augurio per quest’anno (ma anche per i prossimi) che ognuno riesca ad essere un bravissimo Pizza-iolo di Dio così da poter portare alla sua mensa, le bellezze dell’anima.

Cristian

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LETTERE e TESTIMONIANZE

Non credevo che questi tre giorni potessero segnare profondamente il mio cuore.Ho conosciuto tante persone , ognuna di queste mi ha insegnato qualcosa e spero che anch’io come tutti questi

ragazzi posso portare Dio nel cuore di qualcuno.Spero di poter seguire l’esempio di Gesù per tutta la vita, di poter guardare la persona che ho davanti come se fosse la prima volta e di vedere in quel volto gli occhi di Dio.Spero anche di poter frequentare di più questo posto e fare un cammino spirituale intenso per tutta la mia vita. Pensavo che il dono della fede, arrivato due anni fa, oggi si fosse un po’ a%evolito ma questo posto pieno di Spirito Santo, mi ha fatto riaccendere il fuoco di Dio nel cuore e ho spalancato le porte del mio cuore al mondo.

4HY[PUHLentini, 7.10.12

Cari organizzatori, sono un bambino che ha assistito al musical. Mi chiamo

Gianmarco, abito a Potenza. Ho molto gradito il musical, è stata una cosastrabiliante che ha coinvolto molte persone.Complimenti a Santa Chiara e mi èpiaciuta la parte dei saraceniSono felice per voi.      Saluti

Ho appena vissuto la meravigliosa esperienza all’EFAB di Potenza. Siete stati

fantastici, oltre che bravissimi. Ho avuto la reale sensazione di essere immersa nella storia di Chiara e Francesco, mi sentivo coinvolta! E’ stato un fantastico momento di preghiera, e ve ne sono grata per avermelo regalato. Vi auguro con il cuore che la luce del Signore, attraverso le "gure di Chiara e Francesco, vi accompagni in ogni spettacolo, e che tutte le emozioni che ho vissuto io stasera le possiate donare anche agli altri. Continuate così!!!

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Sono nato nel 1983 nel sud della Germania. Sono stato battezzato secondo la religione evangelica alcuni mesi dopo la mia nascita, "no a poco tempo fa non credevo in Dio. Pensavo: “Se Dio esiste, forse è un'energia della natura”.

Avevo il necessario per vivere, ma la mia vita era senza una direzione.Ad un certo punto nel 2006, durante lo studio infermieristico a Stoccarda, feci un sogno: “Vedo un piccolo teatro. Sul palcoscenico un uomo con un cappello nero, una camicia rossa, un gilè nero ed i pantaloni neri. Al suo "anco due ragazze vestite di bianco, una alla sua destra e l'altra alla sua sinistra. Davanti al palco tante persone applaudono ed alcune di loro scattano delle foto. L'uomo sul palco sorride di gioia”.Al risveglio mi ricordaivoogni dettaglio, fu un sogno molto chiaro e anche adesso dopo cinque anni è ancora vivo nella mia mente. Dopo questo sogno mi chiesi chi fosse quest'uomo, in quanto non l'avevo mai visto prima.Circa due mesi dopo mi trovai per la prima volta a casa di una mia collega italiana e la sua famiglia che mi invitarono a fermarmi a pranzo. Ad un tratto una foto attirò la mia attenzione e riconobbi che ra%gurava lo stesso uomo del mio sogno e le due ragazze vestite di bianco. Sconvolto da tale fatto raccontai il sogno a questa famiglia, e feci loro delle domande come:”Chi è quest'uomo? È un regista? È un santo?”.Sorpresi mi dissero che si chiamava Leo Amici e che in Italia aveva fondato un piccolo paese di nome “Lago di Monte Colombo” che loro conoscevano già da anni. Alcuni mesi dopo spinto da tante domande mi recai al “Lago di Monte Colombo” e conobbi Carlo Tedeschi, a$ascinato dal suo essere e dalle attività che si svolgevano in quel bellissimo posto, nacque subito in me il desiderio di vivere in Italia vicino a questo piccolo paese.Nel 2009 terminato lo studio infermieristico mi trasferii. Cominciai a trovare la fede in Dio, a frequentare la Chiesa Cattolica ed a sostenere le iniziative umanitarie ideate da Leo Amici. 4PJOHLS

Dicembre 2011

Solo un pensiero in questo santo giorno in cui ricordiamo la nascita al cielo del maestro Leo Amici.Non ci sarà possibile essere presenti "sicamente lì al “piccolo paese fuori del mondo”, ma avvertiamo forte dentro di

noi quella comunione spirituale che ci rende partecipi con voi in questa solenne giornata. Sì, perché oggi, pur tra le mille incombenze e attività alle quali siamo chiamati nel nostro quotidiano, Vi assicuriamo la nostra “presenza” con il cuore, la mente e la preghiera, che rivolgiamo a Gesù Risorto per il dono di persone come Leo Amici, che ha continuato nella sua vita l’opera del Cristo e che con il suo esempio e la sua testimonianza concreta ha fatto sì che molti cuori si volgessero al Creatore e seguissero la Sua Strada. Siete sempre nei nostri pensieri perché ciò che abbiamo sperimentato con voi e attraverso di voi ci ha aiutato a crescere e a dare anche una svolta concreta alla nostra vita, che comincia a farsi portatrice di quei gesti tangibili attraverso i quali le nostre parole assumono un signi"cato vero e concreto.

 (U[VUPV��KPHJVUV��L�4HYPH16 aprile 2012

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LETTERE e TESTIMONIANZE

Il bimbo Leo Maria nasce il 19 giugno 2012 da Davide e Lisetta Spinelli, sim-patizzanti della Dare. Nel periodo del terribile terremoto che ha colpito la

provincia di Ferrara, Lisetta, mamma di 4 !gli, era in dolce attesa del quinto. Pur avendo subito danni, la loro abitazione rimane agibile, ma Lisetta non riesce a vivere tranquilla in quella casa. Chiedono dunque aiuto all’associazione Dare, che presta loro un camper, in attesa di porre rimedio alla situazione. L’intera famiglia, così, viene a ritirare il mezzo al Lago di Monte Colombo. Il bimbo sarebbe nato da lì a poco, ma il nome non era stato ancora scelto. Nel viaggio di ritorno i loro !gli decidono, per ringraziare di ciò che avevano rice-vuto, in quel momento di di#coltà, di voler chiamare il proprio fratellino “Leo”, in onore a Leo Amici. La notte del travaglio prima del parto non fu semplice per la mamma Lisetta che, nel tragitto da casa all’ospedale, si imbatte in un incidente frontale che le comporta una frattura al braccio. Il parto però, nonostante le condizioni sfavo-revoli, va a buon !ne. Lisetta, in tutte queste di#coltà si è sempre sentita vicina e protetta dalla Vergine e deciderà di chiamare in nuovo nato Leo Maria, anche in onore a Maria Di Gregorio.

Lo scorso weekend sono stata ad Assisi e per la quinta volta ho rivisto il musical Chiara di Dio.Devo dire che è sempre una grandissima emozione e nonostante lo conosca a memoria sono stata pervasa dalla luce di

Chiara e dalla bellezza spirituale di Francesco, tanto da avere le lacrime agli occhi, come la prima volta. Ho sentito i brividi percorrermi il corpo, come dice una delle canzoni dello spettacolo: “E porti dentro al cuore e senti dentro al cuore... brividi!”. Credo sia la Grazia di nostro Signore a guidare i vostri passi, a regolare i volumi delle vostre meravigliose voci e a permettere di rivivere in coloro che vengono a vedervi la storia di Francesco e Chiara. Ma soprattutto la loro spiritualità, la fede che li ha spinti a vivere come Gesù. Questo musical è un inno all’amore, una preghiera, un ponte fra la terra e il cielo, un invito a percorrere la via che porta alla santità, cioè a fare di noi stessi le pianticelle di Dio, nonostante le di%coltà che noi tutti incontriamo sul cammino.Porterò sempre nel cuore questo spettacolo, la giornata che ho vissuto alcuni anni fa a lago di Montecolombo quando sono venuta per rivedere “Chiara di Dio” con i miei amici e ho incontrato persone splendide, ragazzi dal cuore grande che sanno accogliere gli altri come fratelli. *H[LYPUH

“Una questione di stile”

Affidare i propri figli per qualche ora al mattino e al pomeriggio, nel periodo estivo, mi crea sempre

qualche perplessità. Vero è che noi nel frattempo siamo impegnati in riunioni, ragionamenti, dibattiti che riguardano “tutti gli altri figli”, che abbiamo lasciato laddove ci siamo recati per adottare, però trovare le persone “giuste”, non è semplice. Col termine “giuste” intendo persone educate, che si rispettano a vicenda e che rispettano i nostri figli, attente ai bisogni di tutti i nostri bambini, nessuno escluso, dal più bisognoso al più indipendente, che organizzano giochi semplici ma divertenti ed intelligenti.Qualcuno direbbe “è una questione di stile”. Certamente, lo stile di Dio!Un grazie sincero dunque alle animatrici di questo piccolo villaggio, che hanno contribuito a rendere ancora più prezioso questo nostro soggiorno.

:PS]PH(mamma adottiva di Ai.bi)

Ti osservo muoverti nello spazio, pulito senza un ombra.La lotta, lunga e continua più che "accarti

ti fa mare, onde di luce emana la tua anima.Sono pennellate di colorele tue parole che dipingonola festa del suo apostolo Leo.Con semplicità e forzaci fai presente le grandezze di Dioogni suono che si propaga nell’ariaè musica che tocca i cuorie li tramuta.Gioisco con te per tutta questa meraviglia di fatti che lo SpiritoSanto mette davanti ai miei occhi.Gioisco con te nel segno e nel solco dell’impronta d’amore che il tuo maestro ha lasciato su di te e di cui tu ti sei lasciato segnare, tutta questa assenza di responsabilità mi tocca e mi fa sentire ancora oggi vicino alla tua missione che ha il profumo di Gesù. -YHUJLZJV 7 ottobre 2012

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LETTERE e TESTIMONIANZE

Carissimo Carlo, chi ti scrive è Diego, il "danzato, di Irene. Nello scrivere questa mail, il cuore sussulta di gioia anche se sento molta nostalgia, in quanto non faccio altro che

pensare a quella giornata al Lago con te e tutti i ragazzi, i quali anche non conoscendomi aprirono il loro cuore all’unisono col mio. Vi sogno sempre da quando son tornato a casa.Non faccio altro che pensare ai ragazzi di Assisi con i quali ho trascorso 3 giorni intrisi d’amore e fratellanza, in parole povere non faccio altro che pensare a voi e al fatto che attraverso ciascuna persona ho incontrato il Signore.Da quando sono tornato a Napoli, vedo la mia vita andare avanti senza un senso vero, mi sento triste ed il mio stato d’animo attuale mi fa essere ciò che io non sono. Mi avete cambiato la vita … mi avete aperto gli occhi e l’anima.In questi giorni tante volte ho pensato di prepararmi la valigia e trasferirmi nel posto dove sento di essere davvero felice e pieno, ma nelle condizioni in cui verso non posso permettermelo.Il desiderio che ho nel cuore è quello di trasferirmi ad Assisi o al Lago ma sembra irrealizzabile, in quanto non possiedono un’alternativa di lavoro dalle vostre parti, a quello che ho qui a Napoli.Il mio posto è lì con Irene con la quale voglio condividere tutta la mia vita, abbiamo intenzione di sposarci … il mio posto è con te ed i ragazzi … IL MIO POSTO è CON DIO.Ti chiedo aiuto per la ricerca di un lavoro umile, che possa concretizzare il sogno ed il desiderio che abbiamo io e la mia dolce metà, ossia quello di crearci una famiglia e di poter donarci all’opera d’amore che Leo Amici prima e tu dopo, donate al mondo; vogliamo crescere i nostri "gli nell’amore del Signore, vogliamo camminare assieme a te mano nella mano in Dio.Ti scrivo con la speranza nel cuore, sento di a%dare a te queste mie parole ed ecco la spiegazione per la quale ti sto dando del tu: come gli Apostoli davano del tu al Maestro, io faccio lo stesso con te … perché tu sei maestro di vita, e uomo di Fede ed in quest’ultima io voglio vivere ...

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Non "nirò mai di ringraziarTi mio Dio e mio Gesù per avermi fatto incontrare il mio maestro Leo Amici. In lui ho sentito il tuo abbraccio, un uomo semplice e umile, non chiedeva nulla, era sempre un dare, in me c’è stata una svolta, l’inizio

di un cammino di fede che mi ha aiutata ad a$rontare le mille di%coltà della vita. Insieme a lui c’era Maria, costante e premurosa, che tengo viva nel mio cuore. Oggi continua questa grande Opera, grazie a Carlo Tedeschi, maestro, regista e movente della vita dei giovani e dell’umanità, portandoli a ricercare Dio. Oggi vivo per Te mio Dio e di questo ti ringrazio. Custodisci e moltiplica questi tuoi strumenti di pace che guidano il tuo popolo e la tua Chiesa per un mondo fraterno, per la gloria di Gesù nostro Signore, Amen.

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Dopo il nostro soggiorno fra voi tutti siamo ripartiti dal Lago domenica 14 agosto, abbiamo fatto una pausa da mio "glio a Marsillia e siamo ripartite per Lyon il mercoledì 17 agosto, dove mio fratello di cui avevo raccontato la sua

malattia del polmone “cancro” stava male ed era entrato in ospedale il sabato mattina.Quando ho parlato con Carlo di mio fratello che non voleva accettare il nostro amore, che lui era chiuso all’amore che volevamo dargli, ma che ci amava senza saperlo dire ri"utando il nostro aiuto per andare verso LUI pian piano con amore e sostegno. Tu mi hai detto di non fermarmi ma di essere sempre la stessa, di dare, dare e dare amore anche se lui non accettava e poi hai scritto qualche riga per lui che tu conosci e che Leo Amici conosceva "n dal 1981.Tu Carlo mi hai detto che quando mio fratello avrebbe letto la tua lettera e avrebbe visto il musical di “Chiara di Dio” qualche cosa sarebbe accaduto. Non potevo immaginare quello che è successo dopo la lettura della letterina che gli ho portato. Appena arrivata a Lyon, sono andata subito nel pomeriggio all’ospedale per vederlo e leggere la tua lettera. Lui ha pianto (non l'ho mai visto piangere). Il suo viso s'illuminò e un sorriso si è disegnato sulle sue labbra. Non ha voluto che la moglie portasse via il tuo regalo (CD+DVD musical) ha detto: “Lascialo qui da me perché ho bisogno di rileggere quella letterina di Carlo. Ho sentito che si è aperto all'amore che hai portato in quel momento. Ci ha parlato di te, (ricordandosi) che quando parlavi tu, lui ti avrebbe ascoltato tante e tante ore senza mai dimenticare l'amore e il calore che tu dai a noi tutti. Si è avvicinato a Dio, ha chiesto due dei miei fratelli, quelli con cui non parlava più da dieci anni, ha detto i loro nomi Giacomo e Emanuele, sono i fratelli che voleva vedere in quel momento di agonia e so$erenza di%cilmente sopportabile.Quella richiesta è la cosa che doveva accadere, l'amore, e il perdono che uscivano oramai da lui. È incredibile quello che è successo, con il perdono ci siamo risentire tutti noi una famiglia.Grazie per quelle parole d'amore e questo calore vero che hai trasmesso a nostro fratello che se n'è andato il venerdì 26 agosto 2011.Abbiamo fatto una messa bellissima e abbiamo messo la musica “Vento di Pace” per accompagnarlo nella sua ultima casa, la casa di Gesù che spero l'ha accolto con le braccia aperta e o$rendogli la Sua luce.Voleva vivere ancora un po', perché fra due mesi sarebbe diventato nonno per la prima volta.Pace e bene a voi tutti che amiamo qui in Francia

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LETTERE e TESTIMONIANZE

Sabato, 4 Febbraio 2012.

Da qualche settimana ormai mi sono calato a pieno nella nuova, fantastica realtà che la vicinanza a tutti voi, ed alla nostra fantastica famiglia piena di fratellanza, mi permette di vivere. Il teatro, la recitazione, il canto, il ballo, ma le arti in generale, hanno sempre attirato la mia attenzione da quando più o meno sono venuto al mondo. Trovo che esprimere quello che si è, che si percepisce al proprio interno come facente parte della propria anima, debba essere espresso al di là di qualunque siano gli ostacoli che puntualmente ci vengono posti dinnanzi; dai più banali a quelli più complicati da accettare e superare, se si vuole, se si tiene veramente a quello che è conservato nel nostro cuore, non c’è montagna irta, vento impetuoso, onda travolgente, parola tagliente o sentiero impervio che non si debba essere disposti a percorrere, perché i sogni sono una cosa davvero grande, un ideale per cui si deve lottare, un pensiero, un gesto, di cui non bisogna vergognarsi. Il teatro, il mettere in scena storie e testimonianze attraverso l’attore che si veste di tanti visi e di tanti spiriti diversi, è oggi visto come qualcosa fuori dall’ordinario, fuori da “L’ imperativo essere” qualcosa che la società è abituata a vedere. Si dice sempre: «Mio "glio farà l’avvocato», «Mio "glio sarà dottore» e cose del genere, come se si possa essere orgogliosi solo di un impiego che è riconosciuto tale perché comune. L’attore, il ballerino, il cantante, chi valorizza questi mestieri, questi operatori dell’arte che si prestano a donare corpo e anima per raccontare, non solo con le parole, ma con i movimenti, le melodie e le armonie del corpo. Non che io disprezzi il compito importantissimo di un medico piuttosto che quello di un avvocato, ma mi piacerebbe, e spero tanto che sia così, che sempre più persone, giovani e meno giovani, riescano a scoprire quale sia il vero signi"cato, la vera soddisfazione, che il teatro e l’arte possono donare.Spesso quello che si cerca, magari credendo che il luogo in cui vivi non possa essere in grado di o$rirti un’opportunità che reputi a te adeguata, si spera di trovarlo fuori, lontano, quasi fuggendo da ciò che ti fa prigioniero; e invece poi scopri che, tutto quello di cui avevi bisogno per sentirti realizzato, è lì, vicino a te, a qualche via di distanza da casa tua, senza che tu te ne sia mai reso conto, forse troppo cieco, forse troppo poco attento, o titubante.Sono giorni che mi ripeto questo pensiero in testa, sempre col sorriso sul volto, ed ogni volta ringrazio prima di tutto il Divino, poi la parlantina di mia madre ed il bene immenso che mi vuole, penso a Giovanni e Chiara, che se non fossero mai rimasti a discutere con la mia “mamma-manager” adesso non sarei qui a scrivere queste stupende parole che nascono dal profondo. Grazie a questa serie di fortunatissimi eventi, sono riuscito a trovare un luogo che riuscisse a colmare ogni mia esigenza, ogni mio vuoto creativo, quegli oblii che ormai avevo nella mente, che non mi permettevano di essere me stesso. Ma più che il luogo, siete stati voi, è vostro il merito della mia allegria e della mia spensieratezza, coi vostri visi luminosi, le vostre risate divertite, i vostri abbracci calorosi e il tempo che riusciamo a passare insieme fra un impegno e l’altro, durante le prove, i balletti, le riunioni e qualunque prezioso secondo che, l’uno con l’altro, in maniera del tutto spontanea, riusciamo a donarci con AMORE. È con i nostri momenti “si” e quelli meno felici, ma anche dopo qualche piccolo screzio il Sole torna sempre ad illuminare i nostri sorrisi.Mi sento davvero di donarvi un « G R A Z I E ». Grande quanto un palazzo, per tutto il vostro tempo e la vostra pazienza che mi donate, per tutte le risate e le ore che condividiamo, per il fuoco acceso di quel camino che ci preoccupiamo di tenere sempre acceso nel momento più freddo, nel momento più giusto. Adesso solo una cosa mi balena in mente, un augurio che spero tutti noi condivideremo per i giorni a venire. “Cha possiamo essere, ora ed in futuro, come il fuoco della nostra casa. Caldo, ardente, accogliente e consolante nel momento più adatto, nel tempo più rigido. Ma anche quando il fuoco sarà spento, facciamo in modo che, sotto la cenere chiara ed il carbone scuro, rimanga sempre qualche scintilla, pronta in ogni momento, a riaccendere le "amme dei nostri cuori che ci tengono saldi, l’uno con l’altro”.

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7 ottobre 2012Gesù, alla "ne di questi tre giorni pieni di te, della tua bellezza, delle tue parole sento troppi sentimenti contrastanti.Sono felice per tutto quello che mi dai, perché so che hai parlato al cuore di mia madre, felice per i ragazzi che stanno andando a Mattinata, perché so che è importante per le loro vite, per i ragazzi che hanno conosciuto e per quelli che conosceranno; si, sono felice per loro anche se mi mancheranno. Gesù, cosa mi stai chiedendo? Perché queste lacrime non smettono di scendere? Come devo fare a seguirti nella quotidianità della scuola, della danza e degli amici? Cosa stai chiedendo alla mia famiglia siciliana? Cosa dobbiamo fare per portarti ai giovani? Ho queste domande a cui non so dare risposta, mi frullano in testa e mi stravolgono il cuore non facendomi concentrare su tutta la bellezza che mi hai dato. Voglio fare di tutto per far continuare questa missione. Non mi arrendo. Farò tutto quello che mi chiederai per dare agli altri ciò che mi trasmetti. Aiutami tu Gesù, perché questa vita da sola non riesco a superarla.

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Alex, un dolcissimo ragazzo che frequenta l’Accademia del Teatro Metastasio di Assisi, disegna immagini tratte dal musical Chiara di Dio.La redazione lo vuole omaggiare pubblicando qualcuno dei suoi tocchi artistici, che rivelano la bellezza di un giovane animo!

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LETTERE e TESTIMONIANZE

Per Gianni da Carlo 26.04.012

Con la dignità che ti contraddistingueva sapevi, accettandola, la realtà del morire. Hai pensato al coro dei giovani e l’hai desiderato. Non per diritto ma

tenero il pensiero ti sorrideva al cuore..Hai innalzato la croce anche nella foto di quel lontano 7 ottobre dove desideravi che nessuno potesse dubitare di quel personaggio che a te Dio aveva portato.. L’hai difeso, nell’età adulta, nella dignità della tua divisa da maresciallo ed ora, in pensione, riconoscendone il prosecutore, superando negli anni, ormai lontani, tentazioni di giudizi che t’avevano allontanato: solo col cuore..Le tue sculture parlano.. hanno inciso nel legno solchi profondi come nella tua anima il personaggio.Sono i solchi dei valori, della fede, dei principi e diritti umani che ti hanno fatto scegliere e vivere la tua bella dignità.

In ricordo di Gianni Sarnicola (3 gennaio 1931 - 25 aprile 2012)

La mia missione terrena è terminata. Me ne torno a casa. Magnificate Dio.È il mio epitaffio caro Carlo, l’ho voluto incidere sulla pietra.

È uno spaccato della mia vita. Qualcuno leggendolo potrà dire “era tutto matto poverino, perché credeva in qual cosa al di là delle Stelle”. .PHUUP

Qualche tempo fa, diagnosticarono a mio marito

una malattia incurabile. La notizia fu tremenda e capovolse le nostre vite nelle abitudini e nei pensieri. Egli è sempre stato un uomo forte, ed io, da moglie, avevo l’occasione per dimostrare la mia forza. La prima persona con cui si confidò, fu Carlo, per lui molto più di un amico, come si era già dimostrato nel tempo, e questo dialogo lo tranquillizzò molto.Fu una presa di coscienza della realtà, ma osservata attraverso l’ottica della fede, quel verso cui Carlo ci aveva sempre indirizzato. Dopo qualche giorno da questo incontro, Carlo gli fece recapitare una lettera, in cui oltre a rinnovare la sua vicinanza, gli mandò dei soldi, pregandolo di accettarli, per farlo sentire libero, nello scegliere, il tipo di cura che avrebbe deciso di intraprendere. Sinceramente non eravamo messi così male a livello economico, ma quel gesto in mio marito, che viveva la responsabilità della famiglia, fu la prima terapia benefica. Passò del tempo, nel quale, lui ed io dedicammo molto al nostro rapporto, lasciandoci amare l’uno dall’altro e da Dio, che sempre sentimmo accanto a noi, soprattutto ogni qualvolta c’era incertezza su una decisione da prendere. A volte era quasi impercettibile la Sua presenza, ma sempre puntuale ad ogni richiamo. Altre volte eclatante, da stupirci, da non crederci. Se non sembrasse assurdo, direi che vivemmo tutto questo tempo, nella continua scoperta delle meraviglie che Dio ci proponeva.Con Carlo e sua moglie Daniela, era bello incontrarsi quando avveniva. Si parlava di ciò che si voleva, ma sempre di esperienze e riflessioni di fede, che ci rincuoravano e

lenivano le preoccupazioni.Ormai con Dio giocavamo a carte scoperte, in noi c’era la certezza assoluta della Sua presenza e della Sua amicizia......Fu in questi frangenti che osservando mio marito, vidi nel suo sguardo un velo trasparente; non seppi spiegarmi cos’era, o forse sì, ma qualcosa in lui stava cambiando. I sintomi cominciarono ad evidenziarsi ed egli fu ricoverato in ospedale. Il tutto si manifestò in modo estremamente rapido durando circa dieci giorni. Sempre cosciente e lucido, sapeva bene a cosa andava incontro, ma

sempre fedele a se stesso, non dimostrò mai paura, anzi, faceva ridere chi gli stava vicino. Era l’anima pulsante della camerata, esperienza che lui aveva vissuto molti anni prima al Piccolo Paese del Lago. In ospedale ora lo conoscevano tutti per nome e gli volevano bene; incoraggiava gli altri veri malati, perché lui non si considerava tale, ed esortava le figlie a non mollare, ad avere coraggio, osare, e vivere la vita assecondando il battito del cuore. Fu bellissimo stargli vicino, e vedere con quanta grazia e umiltà accettava ogni cosa, anche se io intuivo che c’era molto di più di quel che mostrava.Uno degli ultimi pensieri fu per Carlo: mi pregò di dirgli che Gesù gli aveva fatto il dono di fargli provare un pizzico del Suo dolore. Il suo sguardo era ormai lontano ma l’accettazione, la sottomissione e l’amore per Dio, gli illuminarono di nuovo il volto, e bellissimo se ne andò, come era suo desiderio. Due sole tracce rimasero sulle sue mani, forse, il segno di quel pizzico di dolore condiviso con Gesù.

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Grande Signore, che il tuo occhio scruta nel mio cuore

ed il tuo passo il mio precede,quando ti volterai, se io non ci sarò,

non potrò negare che tuavevi tracciato già il mio sentiero.

Allora ti raggiungeròe con i fratelli che al momento

ti saranno accanto,ti chiederemo di poter far entrare in noi

la tua sostanzaper poterci così

guardare con i tuoi occhi,parlare con le tue parole

e dare testimonianza di te,al mondo.