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1 Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia Sezione di Ematologia DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE EMATOLOGICHE XXVI CICLO Coordinatore Prof. Robin Foà TESI DI DOTTORATO La Malattia Minima Residua nelle Sindromi Linfoproliferative Acute e Croniche. Relatore Dottoranda Prof.ssa Anna Guarini Dott.ssa Irene Della Starza Anno Accademico 2012-2013

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Dipartimento di Biotecnologie Cellulari ed Ematologia

Sezione di Ematologia

DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE EMATOLOGICHE XXVI CICLO

Coordinatore Prof. Robin Foà

TESI DI DOTTORATO

La Malattia Minima Residua nelle Sindromi Linfoproliferative Acute e Croniche.

Relatore Dottoranda Prof.ssa Anna Guarini Dott.ssa Irene Della Starza

Anno Accademico 2012-2013

2

INDICE

Introduzione................................................................................................pag.5

I°Progetto: Whole-genome amplification (WGA) per la valutazione di target molecolari ed il monitoraggio della malattia minima residua nella leucemia acuta linfoide.

La Leucemia Acuta Linfoide....................................................................................pag.10

La ricombinazione genica.......................................................................................pag.20

I riarrangiamenti genici del B Cell Receptor............................................................pag.25

I riarrangiamenti genici del T Cell Receptor............................................................pag.31

Obiettivo dello studio............................................................................................pag.38

Materiali e Metodi..................................................................................................pag.39

Pazienti e campioni studiati.....................................................................................pag.39

Estrazione del DNA.................................................................................................pag.39

Whole Genome Amplification..................................................................................pag.39

Screening dei riarrangiamenti genici Ig/TCR..........................................................pag.40

Sequenziamento e analisi del gene........................................................................pag.42

Disegno dei primers ed analisi RQ-PCR.................................................................pag.42

Risultati..................................................................................................................pag.44

Riarrangiamenti genici Ig/TCR identificati al momento della diagnosi: DNA genomico

vs DNA amplificato..................................................................................................pag.44

Confronto della quantificazione della malattia e risultati di MMR tra DNA genomico

e amplificato............................................................................................................pag.46

Conclusioni...........................................................................................................pag.48

Bibliografia............................................................................................................pag.51

3

II°Progetto: Confronto di due strategie di RQ-PCR per la valutazione della malattia minima residua nelle malattie linfoproliferative: correlazione tra lo stato mutazionale dei geni delle immunoglobuline e performance di RQ-PCR.

La Leucemia Linfatica Cronica…............................................................................pag.63

Stato mutazionale dei geni delle catene pesanti delle immunoglobuline.............pag.71

Obiettivo dello studio ….......................................................................................pag.75 Materiali e Metodi..................................................................................................pag.76

Pazienti e campioni studiati....................................................................................pag.76

Estrazione del DNA e analisi IgH............................................................................pag.76

Sequenziamento e analisi del gene........................................................................pag.77

Disegno di primer e sonde per l'analisi RQ-PCR...................................................pag.78

Risultati..................................................................................................................pag.80

Riarrangiamenti del gene IGH e analisi di mutazione.............................................pag.80

Confronto tra diverse strategie di disegno di set di primers/probe per la valutazione

RQ-PCR..................................................................................................................pag.82

Correlazione tra il carico mutazionale IGH e le performance di RQ-PCR..............pag.84

Conclusioni…........................................................................................................pag.86 Bibliografia............................................................................................................pag.89

4

III°Progetto: La malattia minima residua condiziona la prognosi dei pazienti affetti da linfoma follicolare: risultati del trial FIL FOLL05.

Il Linfoma Follicolare.............................................................................................pag. 97

Il gene BCL-2 nel linfoma follicolare.....................................................................pag.104

Obiettivo dello studio.........................................................................................pag.108 Materiali e Metodi...............................................................................................pag.109

Pazienti e campioni studiati................................................................................. pag.109

Screening del riarrangiamento BCL2/IGH@........................................................pag.109

Sequenziamento e analisi del gene.....................................................................pag.110

Analisi RQ-PCR....................................................................................................pag.111

Risultati...............................................................................................................pag.112

Analisi qualitativa e burden tumorale dei pazienti all'arruolamento....................pag.112

Valutazione della MMR ai diversi time points.......................................................pag.115

Conclusioni….....................................................................................................pag.118 Bibliografia.........................................................................................................pag.121

Pubblicazioni......................................................................................................pag.131

Abstracts.............................................................................................................pag.133

5

Introduzione

La Malattia Minima Residua (MMR)

La genetica delle malattie neoplastiche rappresenta uno dei campi che ha visto il

maggiore sviluppo negli ultimi anni, offrendo grandi speranze sul fronte di una completa

comprensione della genesi di queste patologie ed aprendo nuove possibilità

diagnostiche e terapeutiche. Ogni neoplasia origina necessariamente da una o più

alterazioni del DNA e dalla trasformazione del corredo genetico della cellula colpita.

Comprendere la natura e le cause di queste trasformazioni permette di identificare il

tipo di patologia cui ci troviamo di fronte e di studiare la possibilità di intervenire

direttamente sull'origine della malattia, con trattamenti specifici.

Le maggiori conoscenze cliniche e biologiche in campo oncoematologico hanno

permesso lo sviluppo di nuovi farmaci e di strategie terapeutiche potenzialmente

sempre più efficaci, tuttavia ancora un significativo numero di pazienti ricade a causa

della persistenza di cellule neoplastiche residue, indicate con il termine di “malattia

minima residua” (MMR).

L' uso dello studio della malattia minima residua come marker di risposta molecolare al

trattamento, può migliorare la valutazione della risposta clinica, guidare la selezione

delle strategie terapeutiche e, possibilmente, indicare l'esito clinico a lungo termine

(Cazzaniga G et al, Haematologica 2005) in un certo numero di patologie ematologiche.

Lo studio della MMR viene oggi eseguito nell’ambito delle leucemie acute linfoblastiche

(LAL) e nelle malattie linfoproliferative croniche, sulla base di protocolli che ne regolano

il monitoraggio.

Nelle LAL la MMR è fondamentale per guidare e modificare la gestione terapeutica dei

pazienti (Bruggemann M et al, Blood 2006). La riduzione del carico tumorale durante e

dopo il trattamento di induzione fornisce informazioni cruciali sulla risposta alla terapia e

rischio di recidiva. La negatività della MMR ai diversi tempi del trattamento è risultata

significativamente associata ad una bassa incidenza di recidive (3-15% a tre anni), ed

al contrario un incremento di 5-10 volte degli eventi (39-86% a tre anni) si è osservato

nei casi di MMR positiva (Cazzaniga G et al, Clin. Exp. Heamatol. 2003). Questo

permette di identificare pazienti "a basso rischio" e "ad alto rischio", che possono trarre

profitto dalla riduzione o dalla intensificazione della terapia, rispettivamente (Vidriales

6

MB et al, Blood 2003; Flohor T et al, LeuKemia 2008; Bassan R et al, Blood 2009).

Il dato della MMR nella LAL del bambino e dell'adulto è risultato essere un fattore

prognostico indipendente da altri parametri clinici e biologici caratterizzanti la malattia

all’esordio. L’analisi della malattia minima a tempi più distanti dalla diagnosi è risultata

ancora più significativa nell’identificare i pazienti a rischio di recidiva, fornendo le basi

per un suo utilizzo nei protocolli clinici.

L'ampia introduzione di nuove strategie terapeutiche efficaci ha permesso che un

numero crescente di pazienti con neoplasie ematologiche potesse essere indagato per

la valutazione della MMR.

Nella leucemia linfatica cronica (LLC) diversi studi hanno dimostrato che i criteri di

risposta morfologici non sono sufficientemente sensibili per predire il risultato e che i

pazienti che abbiamo conseguito una eradicazione rilevabile della MMR, presentano

una sopravvivenza prolungata (Moreno C et al, Blood 2006; Böttcher S et al, J Clin

Oncol 2012).

Nonostante questo, il ruolo clinico della MMR nella LLC resta da chiarire.

Nel Linfoma follicolare (LF) il monitoraggio della MMR è risultato essere un fattore

predittivo ben consolidato dell'andamento clinico della malattia post-trapianto (Ladetto

M et al, Blood 2008), al contrario il suo ruolo dopo terapia convenzionale è ancora in

discussione, sebbene molti studi sono stati in grado di dimostrarne il valore prognostico

(Corradini P et al, J Clin Oncol 2004; Rown JR et al, Biol Blood Marrow Transplant

2007; Procházka V et al, J Clin Oncol, 2011; Ladetto M et al, Blood 2013).

La biologia variabile dei tumori maligni delle cellule B influenza non solo

l'interpretazione dei dati di MMR per le decisioni cliniche, ma ha anche implicazioni per

gli aspetti tecnici in campo diagnostico.

Solo l’impiego di tecniche dotate di adeguata sensibilità, specificità nel riconoscimento

delle cellule patologiche, di stabilità dei marcatori identificati e di riproducibilità, può

permettere di distinguere tra loro i pazienti in remissione sulla base dei diversi livelli di

MMR permettendo così, una più precisa definizione di “stato di remissione”.

Attualmente, la tipizzazione immunofenotipica tramite citofluorimetria insieme allo studio

molecolare effettuato utilizzando la Polymerase Chain Reaction (PCR) sono le due

tecniche che possiedono i requisiti necessari allo studio della MMR dimostrando una

sensibilità di almeno 10-4 (ovvero capacità di rilevare una cellula neoplastica ogni 104

cellule normali), alta specificità, riproducibilità, espressione quantitativa del risultato ed

applicabilità.

7

L’introduzione nella diagnostica molecolare della PCR quantitativa (RQ-PCR) ha

ampliato le conoscenze sul significato della MMR, grazie alla possibilità di individuare e

quantizzare sequenze specifiche di DNA e DNA complementare (cDNA), attraverso

l'utilizzo di sonde fluoromarcate, la cui frammentazione durante la fase di allungamento

della reazione di amplificazione, permette emissione di fluorescenza che viene captata

e quantizzata, portando ad un'elevata riproducibilità e specificità dei risultati.

Le cellule leucemiche possono essere distinte dalle normali cellule ematopoietiche sulla

base di specifici patterns di espressione antigenica evidenziabili tramite analisi

immunofenotipica, analizzando la presenza di aberrazioni cromosomiche che risultano

in trascritti di un gene di fusione o nell’espressione aberrante di trascritti, e ancora

valutando il riarrangiamento dei geni delle IGH e del TCR nelle regioni giunzionali

paziente-specifiche, considerate markers tumorali specifici, simili ad impronte digitali

che differiscono in lunghezza e composizione per clone linfocitario e conseguentemente

per ogni paziente affetto da neoplasia linfoide.

L'analisi molecolare quantitativa della MMR (RQ-PCR) attraverso l'utilizzo di sonde

allele-specifiche (ASO), è in grado di raggiungere limiti di sensibilità riproducibili di 1x10-

5, tuttavia l'applicabilità del metodo è limitata ai pazienti con riarrangiamenti genici

IG/TCR aventi regioni giunzionali adatte a raggiungere una sensibilità sufficiente.

Questo tipo di valutazione della MMR presenta però un certo numero di limitazioni, tra

cui il fallimento nell'identificare il marcatore molecolare nei casi somaticamente

ipermutati, dove il basso livello di infiltrazione tumorale non consente un approccio

quantitativo adeguato.

Inoltre, l'evoluzione di diversi subcloni leucemici durante il trattamento, nonché la

presenza di oligoclonalità alla diagnosi che non viene detectata molecolarmente dagli

ASO, può anche essere un motivo per potenziali risultati falsi negativi.

Pertanto, si è resa necessaria l'introduzione di tecniche molecolari alternative, che negli

ultimi tempi si stanno sempre più diffondendo in campo oncoematologico..

Il metodo di sequenziamento di seconda generazione, denominato “next-generation

sequencing (NGS)” permette l'identificazione delle cellule B o T clonogeniche con alta

sensibilità e specificità ed è risultato adatto per il rilevamento di MMR, come

recentemente dimostrato in pazienti con LLC (Logan AC et al, Leukemia 2013).

La valutazione della MMR mediante NGS può non solo superare alcuni svantaggi dei

metodi basati sulla PCR, come la necessità di primers specifici del paziente, ma esso

ha il potenziale per raggiungere un livello di sensibilità superiore (fino a 1x10-6) con un

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migliore range di quantificabilità della malattia.

Inoltre, l'approccio NGS permette di analizzare la diversità genetica e l'eterogeneità

clonogenica che possono contribuire alla nostra attuale comprensione della biologia

della malattia e della cinetica di ricaduta (Gawad C et al, Blood 2012).

Nonostante questi vantaggi, va osservato che entrambi i metodi (NGS e ASO-RQ-PCR)

richiedono un campione contenente un'infiltrazione tumorale significativa per

l'identificazione del clone alla diagnosi ed entrambi risentono dell'evoluzione clonale.

Pertanto è ragionevole ipotizzare che l'uso di un approccio NGS darà un valore

aggiunto alle attuali tecniche di valutazione della MMR consentendo l'identificazione di

un marcatore molecolare nella stragrande maggioranza delle neoplasie linfoidi.

In conclusione, grazie all'integrazione di tecniche multidisciplinari ci si sta sempre più

avvicinando ad un sistema in grado di tradurre rapidamente le informazioni necessarie

per una diagnosi efficace ed una più precisa valutazione della risposta al trattamento,

con il fine di elaborare terapie mirate adatte al singolo paziente e di predire la ricaduta

prima della manifestazione clinica.

9

I° Progetto: Whole-genome amplification (WGA) per la valutazione di target molecolari ed il monitoraggio della malattia minima residua nella leucemia acuta linfoide.

10

La Leucemia Acuta Linfoide La leucemia acuta linfoide rappresenta un gruppo clinicamente e biologicamente

eterogeneo di malattie che originano dai precursori linfoidi, caratterizzate da morfologia

indifferenziata. La trasformazione leucemica genera una progenie di blasti linfoidi

leucemici che hanno subito un blocco maturativo in una fase precoce del processo di

differenziazione. Le basi fisiopatologiche dei sintomi e segni delle LAL consistono in

una soppressione della normale emopoiesi, nell'infiltrazione e colonizzazione degli

organi linfoidi e non e nella liberazione di linfochine e mediatori dell'infiammazione sia

delle cellule leucemiche che delle cellule normali, con conseguente anemia

(emoglobina ridotta nel 75% dei casi), aumento del numero dei leucociti (da 10.000 ad

oltre 100.000/mm3 nel 66% dei casi), e piastrinopenia (numero delle piastrine ridotto

nell’ 80% dei casi).

La caratteristica principale delle LAL è la presenza in circolo di cellule blastiche

leucemiche (linfoblasti) in percentuale variabile da meno del 10% ad oltre il 90%.

L’accumulo extramidollare di linfoblasti può risultare in diversi siti e specialmente a

livello di linfonodi, fegato, sistema nervoso centrale, testicoli ed ossa (Hoelzer D et al,

Hematology 2002).

La LAL è la più frequente sindrome neoplastica nei bambini, con una prevalenza

nell’età di 3-4 anni, mentre rappresenta il 20% delle leucemie dell’adulto, con una

prognosi migliore nei bambini rispetto agli adulti.

L'eterogeneità delle LAL ha reso necessaria la messa a punto di criteri classificativi che

permettessero di identificare gruppi di pazienti con caratteristiche e prognosi differenti.

I marcatori clinici che definiscono la prognosi dei pazienti affetti da LAL sono

rappresentati dall'età, dal numero di globuli bianchi, dalla risposta al trattamento, dalla

presenza di marcatori citogenetici e molecolari, dalla farmaco resistenza e dalla

presenza di MMR dopo terapia.

La diagnosi e la conseguente classificazione della malattia è resa possibile mediante la

valutazione di una combinazione di fattori morfologici, citochimici, immunologici,

citogenetici e molecolari.

L’esame morfologico degli strisci di sangue venoso periferico e del midollo osseo, in

relazione a criteri definiti dal sistema di classificazione FAB (French-American-British)

consente di riconoscere 3 sottotipi distinti di LAL noti come L1, L2, L3. La forma

predominante è la L2 con un’incidenza pari al 65-70%, rispetto alle forme L1 e L3 la cui

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incidenza è rispettivamente del 25-30% e del 5-10%. La forma L1 è prevalente nei

bambini, mentre la forma L2 nell’adulto (Guglielmi C et al, Leukemia 1997).

La forma L3 interessa le cellule B mature ed è per questo che viene considerata non

una leucemia linfoblastica in senso stretto, ma la leucemizzazione di un particolare tipo

di linfoma non-Hodgkin detto linfoma di Burkitt.

Nell’ambito dell’analisi citochimica per la valutazione della LAL viene usato un pannello

costituito da diverse reazioni. Tutte le LAL sono negative alla mieloperossidasi (MPO),

tranne una piccola percentuale di casi (3-5%) che risultano essere MPO+ ed in cui è

stata riscontrata un’alta incidenza di ricadute. Il 95% di LAL L1 e L2 sono positive alla

“deossinucleotidil transferasi terminale” (TdT) e la sua presenza è utile nella diagnosi

differenziale con i casi di linfocitosi reattiva. Più dell’80% di blasti in casi di LAL T

mostrano una forte positività alla fosfatasi acida e all’α-naftil-acetato esterasi (ANAE).

L’analisi immunofenotipica permette non solo di confermare la diagnosi di LAL, ma

anche di classificarne le diverse forme e di monitorarne la malattia minima residua

durante e dopo la terapia (Campana D et al, Blood 1995).

I blasti cellulari dei pazienti affetti da LAL sono caratterizzati dall’espressione di antigeni

di superficie ed intrascitoplasmatici che corrispondono a marcatori di maturazione

fisiologica dei progenitori cellulari linfoidi, per cui le LAL vengono distinte

fenotipicamente in B o T, in base all’appartenenza alla linea cellulare ed al loro stadio di

maturazione.

Le LAL B rappresentano circa l’80-85% dei casi di LAL e possono essere classificate in

base all’espressione di antigeni caratteristici della linea B (CD79a intracitoplasmatico e

CD19 di superficie) del CD10 e delle immunoglobuline citoplasmatiche (cyIg) e di

membrana (sIg) in 4 sottogruppi, LAL pro-B, LAL B common, LAL pre-B e LAL B mature

(tabella 1).

La LAL B common è il più frequente sottotipo di LAL B dell’adulto (60%), la

sopravvivenza è del 30-35% e può essere paragonata alla LAL pre-B, poiché non

esistono differenze rilevanti. Rispetto ai bambini, gli adulti mostrano una più bassa

incidenza di fattori prognostici favorevoli (iperdiploidia, presenza del trascritto TEL/AML-

1) ed una predominanza di fattori sfavorevoli (BCR-ABL+). Probabilmente negli adulti vi

è una più alta resistenza alla terapia ed una sfavorevole farmacocinetica dei

chemioterapici.

La LAL pro-B, nota come LAL CALLA negativa o LAL pre pre B (CD10-, CD19+, cyIgM-

, sIgM-, CD24+/-) è riscontrata nell’11% degli adulti e nel 25% dei bambini, ed è

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associata ad una cattiva prognosi sia nei bambini, particolarmente in quelli con età

inferiore ad 1 anno, che negli adulti. In questa tipologia di LAL si trova quasi

esclusivamente la traslocazione t(4;11) ed un’alta incidenza di coespressione degli

antigeni mieloidi CD15, CDw65.

La LAL B matura è caratterizzata da un’alta frequenza di coinvolgimento d’organo e del

SNC e da alti livelli di LDH. Le cellule blastiche mostrano una morfologia di tipo L3, per

questo è oggi considerata la variante leucemica del linfoma di Burkitt.

Le LAL T costituiscono invece il 15-25% dei casi di LAL e sono classificati in 4

sottogruppi principalmente in relazione all’espressione di antigeni (CD7 ed altri T

associati) corrispondenti a stadi di maturazione differenti delle cellule T all’interno del

Timo; LAL T precoci, le LAL T corticali e le LAL T mature (tabella 2).

Le LAL T sono caratterizzate da una predominanza del sesso maschile, dall’insorgenza

in soggetti di giovane età, dall’elevato numero di globuli bianchi alla diagnosi, dalla

presenza di masse mediastiniche e dal coinvolgimento del sistema nervoso centrale

(SNC) con un alto grado di recidive cerebrali. I pazienti affetti da LAL T hanno spesso

una grande massa tumorale e mostrano una rapida progressione della malattia sia alla

diagnosi che alla recidiva, i cui fattori di rischio includono: un numero di globuli bianchi

superiore a 100.000/µl, il raggiungimento tardivo della remissione completa dopo

trattamento terapeutico (RC) ed il sottotipo immunologico.

A prescindere dai fenotipi linea-specifici, le leucemie acute linfoblastiche possono

variamente esprimere antigeni legati a stadi “alti” di immaturità, come il CD34

caratteristico del 70% dei casi di LAL, con un’incidenza dell’80% nelle LAL-B e del 20-

30% nelle LAL-T; la sua espressione è stata anche riscontrata in un’alta proporzione di

LAL Ph+.

I vari sottotipi di LAL si differenziano per distinte caratteristiche chimiche e biologiche,

con gradi di sopravvivenza che vanno dal 10% al 50% (Foà R et al, Hematology 2005).

Tabella 1: Immunofenotipo caratteristico delle LAL B

marker LAL pro-B LAL common-B LAL pre-B LAL B-mature

CD19/22/79a + + + +

CD10 - + + +/-

cyIg - - + -

sIg - - - +

TdT + + + -

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A partire dagli anni '80 la citogenetica e la biologia molecolare hanno contribuito ad

identificare nelle leucemie un ulteriore livello di eterogeneità attraverso l'identificazione

di riarrangiamenti cromosomici, alcuni dei quali non solo si associavano a particolari

fenotipi, ma anche ad un decorso clinico più o meno aggressivo della malattia.

Attualmente, tali riarrangiamenti si possono documentare in circa il 50-60% delle LAL e

numerosi studi clinici dimostrano come essi costituiscano i più importanti markers

prognostici utilizzabili per la valutazione dell'andamento clinico dei pazienti.

I più comuni difetti cromosomici osservati nei blasti leucemici sono guadagni (gains)

numerici o perdite (losses) di interi cromosomi e traslocazioni. L’iperdiploidia è

segnalata in quasi un terzo dei casi pediatrici e l’iperdiploidia con 51-65 cromosomi è

associata ad un buona prognosi.

La prognosi favorevole nella iperdiploidia sembra esser maggiormente correlata con i

gains dei cromosomi 4, 10 e 17 (Tripla Trisomia) o dei cromosomi 4 e 10 (Doppia

Trisomia). Di contro, l’ipodiploidia con meno di 44 cromosomi nei blasti leucemici è

legata ad una cattiva prognosi (Harrison C.J., Br J Haematol 2009).

Tabella 2: Immunofenotipo caratteristico delle LAL T.

Marker LAL pro-T LAL pre-T LAL T

sCD3- LAL T sCD3+

LAL T mature

TdT ++ ++ ++ ++ ++

CD1a - - ++ ++ -

CD2 + ++ ++ ++ ++

cyCD3 ++ ++ ++ ++ ++

CD3 - - - ++ ++

CD4-/CD8- ++ + - - -

CD4+/CD8- - +/- +/- +/- +

CD4-/CD8+ - +/- +/- +/- +/-

CD4+/CD8+ - - + + +/-

CD5 - ++ ++ ++ ++

CD7 ++ ++ ++ ++ ++

TCRαβ - - - 80% 80%

TCRγδ - - - 20% 20%

Tra i difetti cromosomici le alterazioni strutturali sono le più frequenti e sono

rappresentate da eventi di traslocazione. La traslocazione cromosomica determina

l'attivazione di un protoncogene e lo studio a livello dei punti di rottura sul cromosoma

ha permesso di identificare due meccanismi patogenetici:

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1. in seguito alla traslocazione il protoncogene è sottoposto al controllo di nuovi

enhancer che aumentano la velocità di trascrizione dei geni da esso regolati;

2. la traslocazione cromosomica può determinare la formazione di un mRNA di fusione

che porta alla sintesi di una proteina chimerica dotata di nuove proprietà.

La maggior parte di tali alterazioni ha un profondo effetto sui meccanismi di controllo dei

processi di proliferazione, differenziamento, maturazione e sopravvivenza dei

progenitori emopoietici midollari. Circa il 90% delle LAL in età pediatrica rivela anomalie

cromosomiche clonali, il 50% di queste sono rappresentate da traslocazioni (Harrison

CJ et al, Rev Clin Exp Hematol 2002).

Le principali anomalie cromosomiche delle LAL sono: BCR/ABL t(9;22)(q34;q11),

ALL1/AF4 t(4;11)(q21;q23), E2A/PBX1 t(1;19)(q23;p13), TEL/AML1 t(12;21)(p13;q22),

c-MYC/IgH t(8;14)(q24;q32), SIL/TAL1 t(1;14)(p32;q11) (tabella 3).

Tutte le leucemie con anomalie del cariotipo hanno una prognosi peggiore, in

particolare quelle con la t(4;11) e con la t(9;22).

L’incidenza delle traslocazioni è diversa tra adulti e bambini. La t(9;22)(q34;q11) è la

traslocazione più comune nelle LAL B common e nelle LAL pre-B, con un’incidenza del

25-30% nelle leucemie acute linfoidi dell’adulto e del 3-5% in quelle pediatriche. La

conseguenza molecolare di questa traslocazione è la formazione di un gene ibrido

BCR/ABL codificante per una proteina oncogenica di fusione con attività tirosin-chinasica

costitutiva, in grado di attivare molteplici vie di trasduzione del segnale che influenzano

la crescita, la sopravvivenza e le proprietà adesive dei progenitori linfoidi. Il gene c-abl,

presente sul cromosoma 9, contiene 11 esoni e codifica per una proteina di 145 Kd

(p145) appartenente alla famiglia delle tirosin-chinasi, enzimi in grado di catalizzare il

trasferimento di un gruppo fosfato dall’adenosin trifosfato (ATP) al residuo di serina o

tirosina di proteine substrato. Il gene BCR, presente sul cromosoma 22, codifica per una

proteina di 160 Kd (p160) associata ad attività serin-treonin-chinasica. L’acquisizione

della capacità trasformante da parte di c-abl può dipendere dal fatto che la sequenza del

I° esone BCR aumenta l’attivazione della tirosin-chinasi quando viene fusa al II° esone di

ABL (Cimino G et al, Haematologica 2006).

Il punto di rottura sul cromosoma 22 avviene all’interno di un’area detta zona bcr

(breakpoint cluster region) comprendente 4 esoni chiamati b1, b2, b3 e b4, mentre il

punto di rottura sul cromosoma 9 avviene in un’area molto vasta che si trova al 5’ del II°

esone di ABL. La maggior parte dei punti di rottura del bcr cadono in una zona detta

“major breakpoint cluster region” (M-bcr) ed interessa gli esoni b2 e b3 con produzione

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di una proteina di 210 Kd (p210), presente nel 50% dei casi di LAL Ph+. Nella restante

metà dei casi, la rottura sul cromosoma 22 non cade all’interno della M-bcr, ma cade

più vicino al 5’ del gene BCR, in una regione localizzata nel I° introne e definita “minor

breakpoint cluster region” (m-bcr). Questo porta alla formazione di un gene ibrido più

corto che codifica per una proteina di 190 Kd (p190). Entrambe le proteine (p210 e

p190) sono dotate di attività autocatalitica, poiché si autofosforilano in tirosina, questo è

l’evento critico per il controllo della proliferazione, della progressione attraverso il ciclo

cellulare e dei processi di differenziazione cellulare. Alcuni studi attribuiscono alla p190

una maggiore attività trasformante dovuta ad una diversa configurazione spaziale tra le

regioni biochimicamente rilevanti di BCR e ABL.

Negli ultimi anni inoltre è stato individuato un nuovo punto di rottura che coinvolge gli

esoni 19 e 20 (originariamente denominati c3 e c4) del gene BCR. Tale punto è

localizzato distalmente al M-bcr ed è denominato µ-BCR. Il gene chimerico c3a2

derivante dalla giustapposizione dei geni e19 a2 BCRJABL, codifica per un proteina di

230 Kd (p230) che è stata riscontrata in alcuni pazienti affetti da Leucemia Mieloide

Cronica Neutrofila, una rara malattia mieloproliferativa caratterizzata dalla presenza di

un elevato numero di granulociti maturi.

Il trascritto TEL/AML1 t(12;21)(p13;q22), è presente in meno dell’1% dei pazienti adulti

e nel 20-30% dei casi pediatrici. La traslocazione determina la formazione di un

prodotto chimerico che coinvolge il gene AML1, codificante per una proteina che si lega

a specifiche sequenze del DNA regolando l’espressione di altri geni quali il gene della

mieloperossidasi, il gene del GM-CSF ed i geni della linea T, ed il gene TEL che

codifica per un fattore di trascrizione (Hübuer J et al, Leukemia 2004).

Il trascritto ALL1/AF4 t(4;11)(q21;q21;q23), è presente nel 5-7% sia degli adulti che dei

pediatrici, esclusi i bambini con età inferiore ad 1 anno, dove è riscontrato nel 60% dei

casi.

Il gene ALL1, localizzato nella regione 11q23 del cromosoma 11, è costituito da 36

esoni distribuiti su un segmento di 100 kb e codifica per una proteina con una massa

molecolare di 431 KDa. E’ un gene promiscuo che può fondersi con più di 30 partners

differenti e le sue mutazioni non sono associate con una linea leucemica definita. Nelle

traslocazioni dell’ 11q23 i punti di rottura sono localizzati in una regione di 8.5 Kb detta

“breakpoint cluster region (bcr)”, compresa tra gli esoni 5 ed 11 (Cimino G et al, Blood

2000). Tali traslocazioni portano alla formazione di prodotti costituiti dalla porzione N-

terminale di ALL1 e da sequenze codificanti poste sui rispettivi geni “partners”. Nelle

16

t(4;11) e t(11;19) il gene ALL1 si riarrangia con il gene AF4 ed il gene ENL, posti

rispettivamente sui cromosomi 4 e 19 e si ipotizza che il prodotto chimerico abbia la

funzione di fattore di trascrizione. Altri geni sono coinvolti in traslocazioni con ALL1:

AF1, AF6, AF10, AF9, AF17, AFX ELL.

La traslocazione t(1;19)(q23;p13), genera un fattore di trascrizione derivato dalla

fusione del gene E2A, localizzato nel punto di rottura sul cromosoma 19, codificante

fattori che favoriscono il legame delle Ig, e PBX1, un gene homeobox posto sul braccio

lungo del cromosoma 1 (Foà R et al, Br J Haematol 2003). Tale traslocazione si associa

spesso ad età pediatrica, è presente nel 25% delle LAL pre-B e nel 1% delle LAL early

pre-B; le forme associate con mutazioni di N-Ras ed inattivazione del gene TP53

presentano una prognosi più sfavorevole rispetto ai casi in cui non si osservano queste

alterazioni.

Una osservazione chiave è che più dei due terzi di casi pediatrici con LAL B presentano

alterazioni genetiche che modificano il normale processo di maturazione linfoide

(Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol 2011).

Tabella 3: Principali traslocazioni presenti nelle LAL.

Traslocazione Gene coinvolto Patologia

t(9;22)(q34;q11) BCR/ABL LAL common-B e pre-B

t(4;11)(q21;q23) ALL1/AF4 LAL pre-B

t(8;14)(q24;q32) MYC/IgH LAL B

t(12;21)(p13;q22) TEL/AML1 LAL B

t(1;19)(q23;p13) E2A/PBX1 LAL pre-B

t(10;14)(q24;q11) HOX11/TRD LAL T

t(1;14)(p32;q11) SIL/TAL1 LAL T

Lo sviluppo dei linfociti B dai precursori staminali midollari è regolato da numerosi fattori

di trascrizione che inducono il commitment del lineage linfocitario, la repressione dei

lineage alternativi, la maturazione linfocitaria. I geni targets sono PAX5 (paired box 5),

IKZF1 (gene codificante per il fattore di trascrizione linfoide IKAROS), EBF1 (early-B

factor 1) e LEF1 (lymphoid enhancer factor 1). Queste alterazioni genetiche si

presentano generalmente in eterozigosi ed includono delezioni focali o ampie,

mutazioni e traslocazioni. Quella più comune colpisce il gene PAX5 (circa il 30% dei

casi) anche sottoforma di traslocazioni con altri geni come TEL, senza però incidere

sulla prognosi. Le alterazioni di IKZF1 sono meno comuni, si presentano più

17

frequentemente come delezioni che mutazioni e sono associate a sottogruppi di

bambini con LAL ad alto rischio di ricaduta (Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol

2011). Queste alterazioni possono direttamente influenzare il trascrittoma della cellula

leucemica oppure possono essere associate ad alterazioni genetiche aggiuntive che

inducono l’attivazione di chinasi.

Nel 50% dei casi pediatrici, sono stati riscontrati dei riarrangiamenti che alterano

l’espressione del gene CRLF2 (cytokine receptor like factor 2), il quale è localizzato

nella regione pseudoautosomica 1 (PAR1) di Xp/Yp. Le alterazioni genetiche di questa

banda includono l’inserimento (juxtaposition) nel locus IgH (14q32), generando il

trascritto IgH@-CRLF2 o la delezione focale di PAR1 che sovrappone gli elementi

regolatori del gene del recettore purinergico P2RY8 a CRLF2, generando il trascritto

chimerico P2RY8-CRLF2. I mediatori a valle (downstream) del segnale di CRLF2 non

sono ancora ben caratterizzati ma probabilmente coinvolgono i geni della famiglia delle

Janus Kinase; infatti recentemente, numerosi studi, hanno dimostrato come fino al 50%

dei casi con CRLF2 riarrangiato presentano concomitanti mutazioni attivanti i geni JAK1

o JAK2 (Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol, 2011; Hertzberg L et al, Blood

2010) Queste forme sono potenzialmente sensibili ai farmaci inibitori di JAK,

attualmente in studi preclinici.

Nei pazienti affetti da LAL-T, le traslocazioni più ricorrenti interessano prevalentemente

le regioni regolatorie dei geni codificanti per il T Cell Receptor, che mappano sul

cromosoma 14 ed in un 30% di casi sono riscontrate alterazioni del gene TAL-1. In un

numero ristretto di casi il locus tal-1, posto sul braccio corto del cromosoma 1, (1p32) è

coinvolto in una traslocazione definita tal-t, con un locus TCR [t(1;14) o t(1;7)], mentre

nella maggior parte dei casi è presente una delezione (tal-d) che determina la rottura

della zona 5’ di tal-1 e giustappone quest’ultimo ad un altro gene, chiamato SIL,

localizzato sempre sul cromosoma 1p, ma in posizione più centromerica rispetto a tal-1

(Nirmala K et al, Leukemia Res 2002). In entrambi i casi tal-1 è sottoposto al controllo di

un nuovo promotore rappresentato da TCR o SIL. I pazienti che presentano tal-d o tal-t

non differiscono significativamente dagli altri casi di LAL T in cui non sono evidenti

alterazioni citogenetiche a livello del cromosoma 1p32.

Soltanto poche aberrazioni cromosomiche e molecolari mostrano una chiara

correlazione con la prognosi di LAL negli adulti. Queste includono la traslocazione

t(4;11) e la traslocazione t(9;22). Un’altra aberrazione con impatto prognostico

18

sfavorevole sembra essere l’ipoploidia, mentre la traslocazione t(10;14), il 12p ed

un’alta iperploidia sembrano rappresentare fattori prognostici favorevoli.

Le cellule leucemiche possono essere distinte dalla controparte normale inoltre,

attraverso l'analisi del riarrangiamento dei geni che codificano per le immunoglobuline o

il T Cell Receptor (Ig/TCR) (Vitale A et al, Cur Opinion in Oncol 2006).

Durante l’ontogenesi dei B e dei T linfociti, i geni Ig e TCR vengono assemblati

mediante un processo di riarrangiamento somatico. I segmenti genici separati

codificanti le regioni V, D, J vengono riuniti per formare un unico esone codificante la

regione variabile. Lo studio di questi riarrangiamenti è divenuto il metodo più sensibile

per valutare la clonalità di un’espansione linfoide. Il riarrangiamento dei geni che

codificano per la catena pesante delle Ig è stato riscontrato nel 90-95% di LAL B,

mentre il riarrangiamento dei geni che codificano per il TCR è stato riscontrato nel 95%

di LAL T e nel 50-70% di LAL B (Foroni L et al, Best Pract Res Clin Haematol 2002).

Poiché tali ricombinazioni sono di origine clonale, l’analisi della configurazione genica

delle Ig e del TCR può essere usata per valutare la persistenza di cloni maligni i cui

riarrangiamenti sono stati determinati al momento della diagnosi.

La resistenza farmacologica può essere un importante fattore nel fallimento della

terapia in caso di LAL. Nelle LAL del bambino è stata riscontrata una maggiore

resistenza in soggetti iperdiploidi con età superiore ai 10 anni, rispetto a pazienti più

giovani, mentre nelle LAL dell’adulto, soprattutto nei casi BCR/ABL+, è stata riscontrata

una resistenza ai farmaci cortisonici (prednisone) associata con un basso grado di

remissione completa (66%vs 84%)(Foà R et al, Rew Cli Exp Hemat 2002).

La presenza della MMR dopo terapia è un importante fattore prognostico che permette

di stimare il rischio di recidiva nei singoli pazienti. Nonostante i significativi progressi

ottenuti nella terapia delle LAL, soprattutto pediatriche, il 30% dei bambini e più della

metà degli adulti presenta recidiva della malattia. Nella maggior parte dei casi alla

diagnosi viene riscontrata la presenza di cloni multipli aventi alterazioni genetiche

distinte, le quali possono influenzare in maniera decisiva la risposta al trattamento e

quindi il rischio di recidiva. E' dimostrato che le due fasi della malattia (diagnosi e

recidiva) condividono origini comuni clonali ancestrali, ma mostrano differenze nella

natura delle alterazioni genetiche. In meno del 10% dei casi pediatrici alla recidiva viene

identificato un clone completamente differente da ciò che è stato visto alla diagnosi

(Mullighan C. Best Pract Res Clin Haematol 2011).

La recidiva è quindi espressione della persistenza di un clone leucemico “resistente”

19

alla terapia convenzionale e di conseguenza il monitoraggio della MMR può contribuire

alla comprensione della storia biologica della malattia stessa (Cazzaniga G et al, Rew

Clin Exp Hemat 2003). Non è ancora noto per quanto tempo le cellule leucemiche

persistano durante la fase di remissione della malattia. I criteri convenzionali per

stabilire la remissione in pazienti affetti da LAL sono basati sull’esame morfologico di

campioni di sangue midollare ed i pazienti vengono considerati in completa remissione

quando gli aspirati midollari contengono meno del 5% di blasti. I pazienti adulti con LAL

che non vanno in remissione entro 4-5 settimane dall’inizio della terapia hanno una

cattiva prognosi. Dato che la scomparsa dei blasti è un importante fattore predittivo di

sopravvivenza, la risposta alla terapia è oggi valutata precocemente, entro 2 settimane

per gli adulti ed entro 7 giorni per i bambini (Foà R et al, Rew Cli Exp Hemat 2002).

L’approccio molecolare allo studio della MMR in pazienti affetti da LAL ha assunto

un’importanza rilevante, data anche la crescente rapidità ed il continuo affinamento

delle tecniche di analisi. Tale strategia consente di dimostrare una remissione

molecolare precoce in risposta alla terapia, fondamentale per valutare la prognosi e la

sopravvivenza dei pazienti, potendoli stratificare in funzione del rischio relativo di

ricaduta.

20

La ricombinazione genica

I geni delle immunoglobuline sono presenti in configurazione germinale in tutte le cellule

di un organismo, ma solo i linfociti B esprimono questi geni in forma funzionalmente

riarrangiata capace, durante lo sviluppo, di dare origine a proteine funzionali. In un

linfocita B in via di maturazione, la prima ricombinazione si verifica nel locus della

catena pesante (heavy chain, H) μ e porta al congiungimento di uno dei segmenti D con

uno dei segmenti JH, accompagnato dall’eliminazione del tratto di DNA interposto.

Successivamente alla ricombinazione DJH, uno dei segmenti VH in posizione 5’ rispetto

al complesso DJH, riarrangia dando origine ad un’unità codificante VHDJH. In questa

fase, tutti i segmenti in posizione 5’ rispetto al segmento D riarrangiato vengono

eliminati, come tutti i segmenti VH a valle (Jung D et al, Annu Rev Immunol 2006).

I geni della regione C (regione costante) rimangono separati dal complesso VH DJH da

un introne: in questo modo il gene riarrangiato a partire dall‘estremità 5’ sarà costituito

da un esone leader, una sequenza promotrice, un introne, un segmento VH DJH, un

altro introne e diversi segmenti C. Terminato il riarrangiamento l’RNA polimerasi si lega

al promotore e inizia a trascrivere il gene: il trascritto di RNA primario viene sottoposto

ad un processo di poliadenilazione differenziale, splicing delle sequenze introniche e la

formazione di RNA messaggero, il quale esce dal nucleo, si lega ai ribosomi e viene

tradotto in proteina. Nella catena pesante inizialmente vengono trascritti sia il segmento

genico Cμ che il segmento Cδ, la processazione seguente porta la formazione di un

messaggero contenente il trascritto Cμ o Cδ. La proteina prodotta dal gene riarrangiato

su uno dei due cromosomi inibisce irreversibilmente il riarrangiamento nell’altro

cromosoma, secondo il meccanismo dell’esclusione allelica (Daly J et al, EMBOJ 2007).

Questo meccanismo assicura che i linfociti B funzionali non contengano mai più di

un’unità VH-D-JH e una unità VL-JL. I prodotti proteici di un riarrangiamento funzionale

danno un segnale di feedback negativo che previene il riarrangiamento sul secondo

allele. L’espressione della forma transmembrana, ma non della forma secreta della

catena µ porta al silenziamento dell’altro allele della catena pesante ed innesca il

riarrangiamento dei geni della catena leggera k. La ricombinazione VH DJH, nel locus

della catena pesante delle immunoglobuline si verifica solo nei precursori B linfocitari e

rappresenta una tappa critica nell’espressione delle Ig, poiché solo il gene V

riarrangiato verrà successivamente trascritto. Quando la cellula ha completato il

riarrangiamento della catena pesante è classificata come cellula pre-B. La maturazione

21

da cellula pre-B a linfocita maturo richiede il riarrangiamento produttivo della catena

leggera k o λ, con meccanismi sostanzialmente analoghi a quelli della catena pesante.

L’espressione della catena k sul BCR dà un segnale di silenziamento ed esclusione

allelica del secondo allele della catena leggera (Langerak AW. Crit Rev Immunol 2006).

Se il riarrangiamento k non è produttivo su entrambi gli alleli inizia il riarrangiamento dei

geni della catena λ. Se anche questo non è produttivo, il linfocita B interrompe la

maturazione e muore per apoptosi.

Dato che dal riarrangiamento dei geni della regione variabile vengono prodotti due

diversi RNA messaggero per le catene pesanti, l’ulteriore maturazione del linfocita B

porta alla coespressione in membrana di IgD e IgM dotate della stessa specificità

antigenica, che caratterizza i linfociti B maturi. Gli stadi successivi della maturazione del

linfocita B sono sotto il controllo dell’antigene e nel corso di tale processo maturativo

una cellula B può iniziare ad esprimere sulla membrana e secernere IgG, IgA, IgE al

posto delle IgM e IgD (figura 1).

Figura 1: Eventi di ricombinazione e trascrizionali per la produzione di una catena pesante completa IgH. Fonte: Jayanta Chaudhuri & Frederick W. Alt. Class-switch recombination: interplay of transcription, DNA deamination and DNA repair. Nature Reviews Immunology July 2004;4, 541-552.

Per ogni singola cellula B ognuna di queste classi di immunoglobuline ha una diversa

regione costante nelle catene pesanti, ma presenta le stesse regioni variabili, quelle

22

cioè formate nella cellula precursore e che hanno costituito il sito combinatorio

dell’antigene. Poiché ogni catena pesante conferisce ad un anticorpo una differente

funzione effettrice, la stessa regione variabile può essere coinvolta in differenti tipi di

reazioni immunitarie, ma sempre specifiche per quel determinato antigene. Questo

fenomeno, detto cambio di classe (switch isotipico), dipende dal coinvolgimento di brevi

sequenze di DNA, regioni di switch, localizzate in posizione 5’ rispetto ad ogni

segmento CH, per cui il DNA viene riarrangiato avvicinando il gene codificante una

determinata regione costante al segmento riarrangiato VHDJH.

Il clivaggio della ricombinazione V(D)J viene iniziato da due ricombinasi denominate

rispettivamente RAG1 e RAG2, enzimi in grado di riconoscere sequenze segnale di

ricombinazione specifiche (RSS), localizzate a valle dei segmenti V, ad entrambi i lati

dei segmenti D ed a monte dei segmenti J (figura 2) (Sen R et al, Curr Opin Immunol

2006).

Figura 2: Schema rappresentativo delle ricombinasi RAG1 e RAG2. Fonte: David G. Schatz & Yanhong Ji. Recombination centres and the orchestration of V(D)J recombination. Nature Reviews Immunology April 2011;11, 251-263.

Ogni RSS contiene un eptamero palindromico conservato e un nonamero conservato

ricco in A-T, separati da una sequenza spaziatrice di 12 o 23 paia di basi che

corrispondono rispettivamente ad uno o a due giri dell’elica del DNA, per questa ragione

vengono chiamate sequenze segnale di ricombinazione a un giro oppure sequenze

segnale a due giri. Le sequenze segnale con spaziatori a un giro possono unirsi

solamente con sequenze segnale con spaziatori a due giri. Nel DNA della catena

23

pesante le sequenze segnale dei segmenti VH e JH possiedono spaziatori a due giri,

mentre le RSS fiancheggianti i segmenti DH hanno spaziatori a un giro; nel DNA della

catena leggera k la sequenza segnale dei segmenti V ha uno spaziatore a un giro,

mentre quella dei segmenti J è a due giri, nel DNA della catena λ invece accade il

contrario, le RSS di V hanno uno spaziatore a due giri, mentre quelle di J sono a un

giro. Questa regola assicura il riarrangiamento VDJ o VJ nell’ordine corretto, evitando la

giunzione tra segmenti dello stesso tipo.

Successivamente al riconoscimento si ha l’avvicinamento delle sequenze RSS con le

sequenze codificanti e la formazione di un’ansa di DNA intercalato che viene tagliata a

livello giunzionale da RAG1 e RAG2, con la formazione di sequenze nucleotidiche

palindromiche (nucleotidi P) (Jackson KJ et al, BMC Immunol 2004). La giunzione tra

le sequenze codificanti è spesso imprecisa, nonostante l’esatto riconoscimento delle

sequenze segnale, questa flessibilità porta alla formazione di numerosi riarrangiamenti

non produttivi, ma anche di numerose combinazioni produttive che codificano per

diversi amminoacidi a livello di ciascuna giunzione, contribuendo alla diversità

anticorpale.

Può inoltre avvenire l’aggiunta di nucleotidi, detti nucleotidi N, alle estremità libere

delle sequenze codificanti VDJ da parte dell’enzima desossiribonucleotidiltransferasi

(TdT).

L’unione delle sequenze codificanti e delle RSS viene catalizzata da enzimi del normale

processo di riparazione del DNA. Dopo una ricombinazione delle catene leggere e

successiva espressione insieme con le catene pesanti in superficie per formare il BCR, i

geni RAG-1 e RAG-2 sono nuovamente down-modulati. Possono comunque essere

riattivati quando il recettore è autoreattivo in risposta ad autoantigeni. Questo porta ad

una nuova espressione delle proteine RAG e ad una ricombinazione sulla catena

leggera k per eliminare la self-reattività (recupero del recettore). In questo modo le

cellule esprimeranno una IgM di membrana modificata con una catena leggera diversa

e non avranno autoreattività.

I meccanismi con cui il DNA in configurazione germinale del TCR nei linfociti T viene

riarrangiato per formare geni funzionali sono simili a quelli coinvolti nel riarrangiamento

dei geni delle Ig: sono state identificate le sequenze segnale di riconoscimento,

separate da sequenze spaziatrici che fiancheggiano ciascun segmento V, D e J simili a

quelle dei linfociti B.

Tutti i riarrangiamenti dei geni del TCR seguono la regola di giunzione osservata per i

24

geni delle immunoglobuline: le cellule pre-T esprimono i geni attivanti la ricombinazione

(RAG-1/2) che riconoscono le sequenze segnale eptameriche e nonameriche

catalizzando le giunzioni V-D-J con gli stessi meccanismi osservati nei geni delle

immunoglobuline.

Sebbene i linfociti B e T utilizzino meccanismi simili per i riarrangiamenti genici delle

regioni variabili, i geni delle Ig non vengono normalmente riarrangiati nei linfociti T e i

geni del TCR non vengono riarrangiati nei linfociti B. Probabilmente il sistema delle

ricombinasi è regolato in modo che, in ogni tipo cellulare, si verifichi solo il

riarrangiamento del DNA che codifica il recettore corretto.

Il riarrangiamneto VDJ avviene nel caso della catena pesante delle immunoglobuline

(IgH), del TCR β e del TCR δ, il riarrangiamento diretto dei segmenti V-J avviene per la

catena leggera delle immunoglobuline (IgK e IgL), per il TCR α e per il TCR γ. Le

diverse combinazioni VDJ rappresentano il repertorio genico di ricombinazione che è

stimato essere 2x106 molecole per le immunoglobuline, 3x106 molecole per il TCRαβ e

5x103 per il TCRγδ. La grande diversità anticorpale è data dalla giunzione combinatoria

VDJ, dalla flessibilità giunzionale, dall’inserzione random di nucleotidi P ed N dando

origine a regioni altamente diversificate che contribuiscono ad un repertorio totale delle

molecole delle Ig e del TCR superiore a 1012 (Van Dongen JJM et al, Leukemia 2003).

I linfociti B inoltre estendono il loro repertorio immunoglobulinico sul riconoscimento

dell’antigene nei centri germinativi attraverso l’ipermutazione somatica, un processo che

porta alla maturazione dell’affinità degli anticorpi prodotti in risposta ad un antigene

proteico (Inlay MA et al, J Immunol 2006). Questo processo avviene nei centri

germinativi dei follicoli linfoidi ed è il risultato dell’ipermutazione somatica dei geni delle

Ig nelle cellule B in divisione, seguita dalla selezione dei linfociti B ad alta affinità da

parte dell’antigene presentato dalle cellule dendritiche follicolari. Anche se il processo di

ipermutazione produce mutazioni nell’intera regione variabile, la maggior parte delle

mutazioni cade nei CDR e questo riflette il ruolo dell’antigene nella selezione dei linfociti

B con recettori ad affinità più elevata nel corso della maturazione.

25

I riarrangiamenti del B Cell Receptor

La catena pesante H

Il locus della catena pesante delle immunoglobuline (IgH) è localizzato sul cromosoma

14q32.3, in un’area ricoprente approssimativamente 1250 kb.

Sono stati identificati complessivamente 46-52 segmenti VH che possono essere

raggruppati secondo la loro omologia in 6-7 sottogruppi VH. In aggiunta, sono stati

descritti 30 segmenti genici VH non funzionali, ai quali vanno inseriti 27 DH funzionali e

6 JH (figura 3).

I segmenti genici VH più frequentemente utilizzati dalle cellule B normali e patologiche

appartengono alla famiglia VH3 (30-50%), VH4 (20-30%) e VH1 (10-20%), ricoprendo

così il 75-95% di tutto il repertorio VH usato (Camacho FI et al, Blood 2003).

Nelle LAL pre-B sono usati in maniera relativamente frequente anche i segmenti del

VH6.

I segmenti genici VH sono composti da 3 regioni cerniera (Framework region, FR) e 2

regioni determinanti la complementarietà (Complementary determin region, CDRs).

Gli FRs sono caratterizzati dalla loro similarità tra le varie famiglie VH, mentre i CDRs

sono molto diversi all’interno della stessa famiglia VH; i CDRs rappresentano le

sequenze target preferite per le ipermutazioni somatiche nel corso della reazione del

centro germinale, processo che ne aumenta la variabilità.

Gli FRs sono meno toccati da tali mutazioni, possono essere ritrovate sostituzioni

nucleotidiche, specialmente nei linfociti B, solo sotto un forte evento mutazionale.

Basandosi sull’omologia di sequenza i 27 segmenti DH possono essere raggruppati in 7

famiglie, tutte le famiglie comprendono almeno 4 membri, tranne la VII che consiste di

un solo segmento posto a monte della regione JH (DH7-27).

La ricombinazione tra i segmenti DH e JH risulterà nella formazione di giunzioni

incomplete DH-JH, che possono essere facilmente messe in evidenza in cellule pre-B

CD10+/CD19+ derivate dal midollo e quindi in un subset (20-25%) di LAL pre-B che

mostrano un genotipo immaturo (Van Dongen JJM et al, Leukemia 2003).

E’ stata messa in evidenza una maggior frequenza di espressione dei segmenti DH2,

DH3, DH7-27 comprendendo rispettivamente il 36%, il 33% ed il 19% di tutti i segmenti

identificati.

Tuttavia possono essere riscontrati riarrangiamenti incompleti DH-JH anche nelle

26

patologie a cellule B mature (Ghia P et al, J Exp Med 1996).

I riarrangiamenti incompleti DH-JH sono anche presenti in altri tipi di leucemie e linfomi

a cellule B, inoltre sono stati identificati riarrangiamenti cross-lineage in patologie a

cellule T immature (LAL T immature TCRαβ-) e coinvolgono i segmenti DH6-19 e DH7-

27 più a valle.

Figura 3: Diagramma schematico del complesso genico IgH. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317.

L’ultimo segmento (DH7-27) è usato frequentemente nelle cellule B fetali, ma raramente

nelle B adulte.

Le cellule B mature e i precursori usano preferibilmente i segmenti DH2 e DH3.

I riarrangiamenti DH-JH possono rappresentare un importante target per l’analisi di

clonalità basata sulla PCR (Polymerase Chain Reaction), poichè i riarrangiamenti

incompleti nel locus IgH non contengono ipermutazioni somatiche, dato che la

trascrizione che ha inizio dai promotori nei segmenti V non può avvenire: questo è il

requisito essenziale affinché le ipermutazioni somatiche avvengano.

27

La catena leggera K

Il locus della catena leggera Igk posizionato sul cromosoma 2p11.2, contiene molti

segmenti genici distinti Vk, raggruppati in 7 famiglie Vk, oltre a 5 segmenti genici Jk a

monte della regione Ck.

Le Vk1, Vk2 e Vk3 sono famiglie multi membri includenti sia i segmenti genici funzionali

che gli pseudogeni, mentre la altre famiglie (Vk4, Vk5, Vk7) contengono un singolo

segmento o pochi segmenti (Vk6). Tutti i segmenti genici Vk sono suddivisi in due

grandi cluster, uno posto immediatamente a monte e nello stesso verso dei segmenti

Jk, l’altro posto in maniera più distanziata ed in senso inverso, rispettivamente definiti

prossimale e distale.

L’ultimo cluster costituisce i riarrangiamenti così detti invertiti, che sono richiesti per

formare le giunzioni Vk-Jk coinvolgenti i geni Vk del cluster distale.

In aggiunta ai segmenti Vk e Jk, ci sono altri elementi nel Igk locus che possono essere

coinvolti nella ricombinazione.

Il Kde, approssimativamente 24 Kb a valle della regione Jk-Ck, può riarrangiare ai

segmenti Vk (Vk-Kde), ma anche ad un introne nella regione Jk-Ck (IRSS-Kde)(figura

4).

Entrambi i tipi di riarrangiamento portano all’inattivazione dell’allele Igk, attraverso la

delezione dell’esone Ck (IRSS-Kde) oppure dell’intera area Jk-Ck (Vk-Kde)(Beishuizen

A et al, Leukemia 1994).

Dato che la ricombinazione Igk inizia nelle cellule pre B del midollo osseo, i

riarrangiamenti Igk possono anche essere evidenziati nelle LAL pre-B (40-60% dei casi)

e coinvolgono il Kde per il 35-50%.

Nelle LAL pre-B dei bambini, la ricombinazione Vk-Kde predomina sull’IRSS-Kde,

mentre nelle LAL degli adulti le delezioni riguardano esclusivamente Vk-Kde (Van der

Velden VHJ et al, Leukemia 2002).

Nelle leucemie croniche a cellule B, i riarrangiamenti Igk sono più frequenti, essendo

evidenziabili in tutti i casi Igk+ e λ+.

Per definizione i riarrangiamenti funzionali Vk-Jk sono riscontrati su almeno un allele

nelle leucemie B-cell k+, il secondo allele non codificante è in configurazione germinale

(circa 50% dei casi), contiene un riarrangiamento Vk-Jk fuori marker di lettura (20%)

oppure è inattivato dal riarrangiamento del Kde (circa 30% dei casi).

I riarrangiamenti Kde (virtualmente) si trovano in tutte le leucemie B-cell λ+ (85% degli

alleli), con una predominanza di ricombinazione dell’IRSS-Kde su Vk-Kde.

28

Questo implica che tutte le leucemie λ+ contengono un riarrangiamento Kde, mentre

riarrangiamenti Vk-Jk potenzialmente funzionali, sono rari.

Diversi studi hanno mostrato che l’uso del segmento genico Vk è identico tra diverse

popolazioni di cellule B normali e patologiche e questo ampiamente riflette il numero di

segmenti genici disponibili in ogni famiglia.

In entrambi i riarrangiamenti Vk-Jk o Vk-Kde, i segmenti genici delle prime quattro

famiglie predominano.

Figura 4: Diagramma schematico del complesso genico IgK. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317.

L’uso del gene Vk2 sembra essere più elevato nelle LAL pre B rispetto alle

linfoproliferazioni B più mature o anche alle cellule B normali.

Il cluster distale ed invertito Vk è raramente usato nei riarrangiamenti Vk-Jk, mentre i

segmenti pseudogenici Vk non sono mai coinvolti, anche nei casi λ+.

Poco si sa sull’uso del segmento genico Jk, è stato messo in evidenza che i segmenti

Jk più usati sono Jk1, Jk2 e Jk4 (van der Burg M et al, Blood 2001).

I riarrangiamenti Vk-Jk possono essere importanti target di PCR per quei tipi di

proliferazioni B in cui le ipermutazioni somatiche possono ostacolare l’amplificazione del

29

target VH-JH.

Le ricombinazioni coinvolgenti il Kde sono però probabilmente più rilevanti, dato che la

delezione delle sequenze coinvolte nell’introne risulta nella rimozione dell’attivatore

delle Igk, che è ritenuto essere essenziale affinché il processo di ipermutazione

somatica avvenga.

La catena leggera λ

I riarrangiamenti genici IGλ sono presenti nel 5-10% dei tumori a cellule B IgK+ ed in

tutte le malignità Igλ+. Il locus IGλ è posizionato sul cromosoma 22q11.2, contiene 73-

74 geni Vλ, tra cui 30-33 sono funzionali (Figura 5). Sulla base dell' omologia di

sequenza, i geni Vλ possono essere raggruppati in 11 famiglie (10 contenenti segmenti

genici funzionali Vλ) e tre clan. I membri della stessa famiglia tendono ad essere

raggruppati sul cromosoma.

I geni Jλ e Cλ sono organizzati in tandem con un segmento Jλ che precede un gene Cλ.

Ci sono sette segmenti genici J-Cλ, di cui J-Cλ1, J-Cλ2, J-Cλ3, e J-Cλ7 sono funzionali

e codificano i quattro isotipi IGλ. Esiste tuttavia un variazione polimorfica del numero di

segmenti genici J-Cλ, poiché alcuni individui possono trasportare fino a 11 di loro su un

allele, a causa di un'amplificazione della regione Cλ2-Cλ3 (van der Burg M et al, J

Immunol 2002).

Figura 5: Diagramma schematico del complesso genico Igλ. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317.

30

Diversi studi hanno dimostrato che il repertorio genico IGλ di cellule B normali e maligne

è condizionato (Tu m̈kaya T et al. Leukemia 2001).

Oltre il 90 % dei geni Vλ utilizzati dalle cellule B normali appartengono alle famiglie Vλ1,

Vλ2 e Vλ3, comprendenti il 60% dei geni funzionali. Inoltre, tre geni (2-14, 1-40 e 2-8)

rappresentano circa la metà del repertorio espresso. Mentre le cellule B normali usano i

segmenti genici J-Cλ1, J-Cλ2, e J-Cλ3 in proporzioni più o meno equivalenti, le cellule B

neoplastiche tendono ad utilizzare prevalentemente i segmenti genici J-Cλ2 e J–Cλ3.

Sia nelle cellule B normali che maligne, il segmento J-Cλ7 è usato molto raramente

(1%).

Contrariamente a quanto avviene nel topo, nei riarrangiamenti IGλ umani vi è una certa

diversità giunzionale a causa dell' attività esonucleasica e dell'aggiunta di nucleotidi N

nei riarrangiamenti.(Farner NL et al, J Immunol 1999; Ignatovich O et al, J Mol Biol

1999).

Questa diversità giunzionale è tuttavia molto meno estesa di quella del locus IGH, ed un

numero di riarrangiamenti derivano direttamente dall'accoppiamento dei segmenti

genici Vλ e Jλ della linea germinale.

Il locus IGλ potrebbe rappresentare una complementare alternativa al locus IGH per gli

studi di clonalità sulle cellule B.

31

I riarrangiamenti genici del T Cell Receptor (TCR)

La catena γ

I riarrangiamenti del TCRγ sono stati usati a lungo per la valutazione molecolare della

clonalità linfoide e rappresentano il prototipo di un repertorio ristretto di target

molecolare.

Il TCRγ è un target preferenziale per l’analisi di clonalità, poiché è riarrangiato ad uno

stadio precoce dello sviluppo linfoide T, probabilmente appena dopo il TCRδ, in

entrambi i precursori TCRαβ e TCRγδ. La catena gamma è riarrangiata in più del 90%

delle LAL T, nelle leucemie LGL (Large Granular Lymphocyte) e nelle T-PLL (Leucemie

Prolinfocitiche a cellule T), nel 50-75% di T-NHL (Linfomi non Hodking a cellule T)

periferici e nelle micosi fungoide, ma non nelle proliferazioni NK, è anche riarrangiata

nella maggior parte di LAL-B, ma molto meno nei B-NHL (Linfomi non Hodking a cellule

B)(Szczepanski T et al, Leukemia 1998; Szczepanski T et al, Leukemia 1999).

Il TCRγ contiene un limitato numero di segmenti Vγ e Jγ.

Il locus umano del TCRγ è situato sul cromosoma 7p14 e contiene 14 segmenti Vγ, per

10 di questi è stato dimostrato il riarrangiamento.

Il repertorio Vγ espresso include solo sei geni Vγ (Vγ2, Vγ3, Vγ4, Vγ5, Vγ8 e Vγ9), ma il

riarrangiamento avviene anche con i segmenti Vγ7, Vγ10 e Vγ11.

Il riarrangiamento di VγB (anche conosciuto come Vγ12) è così eccezionale che

raramente è usato nella diagnostica molecolare.

I segmenti Vγ riarrangianti possono essere suddivisi in quelli appartenenti alla famiglia

VγI (Vγ2, Vγ3, Vγ4, Vγ5, Vγ7 e Vγ8, con un omologia >90% ed ancora più elevata tra

Vγ2 e Vγ4 e tra Vγ3 e Vγ5) e nei singoli membri Vγ9, Vγ10 e Vγ111.

Il locus del TCRγ contiene 5 segmenti Jγ: Jγ1.1 (JP1), Jγ1.2 (JP), Jγ1.3 (Jγ1), Jγ2.1

(JP2) e Jγ2.3 (Jγ2) di cui Jγ1.3 e Jγ2.3 sono altamente omologhi, come Jγ1.1 e Jγ2.1

(figura 6).

Il locus TCRγ non contiene segmenti D e dimostra addizioni di nucleotidi relativamente

1 -Il segmento Vγ4 è circa 40bp più lungo degli altri membri della VγI ed i riarrangiamenti Vγ4 sono

relativamente comuni in entrambe le cellule linfoidi fisiologiche e patologiche.

-E’ stata descritta una delezione interstiziale di circa 170 bp all’estremità 3’ del segmento Vγ2 in diversi casi

di LAL T e questa rappresenta approssimativamente il 5% dei riarrangiamenti.

32

limitate (Griesinger F et al, J Clin Imvest 1989).

La lunghezza giunzionale V-J del TCRγ varia da 20-30 bp, paragonata

approssimativamente a 60 bp per le IgH e il TCRδ completo.

La capacità di distinguere i riarrangiamenti clonali da quelli policlonali dipende dalla

complessità del repertorio policlonale.

Mentre lo stretto repertorio in configurazione germinale del TCRγ facilita l’amplificazione

molecolare, la limitata diversità giunzionale dei riarrangiamenti complica la distinzione

tra i prodotti di PCR clonali e policlonali (Kode J et al, Leuk Lymphoma 2004).

In generale, le popolazioni clonali minori che usano i riarrangiamenti più frequenti come

VγI-Jγ1.3/2.3 sono a rischio di essere persi tra il repertorio policlonale, mentre le

combinazioni rare possono essere messe in evidenza con una sensibilità maggiore.

Tuttavia è possibile che linfociti T policlonali occasionali dimostranti rari riarrangiamenti

Vγ-Jγ possono essere scambiati per un riarrangiamento clonale, a causa dell’assenza

di un background policlonale per quel tipo di riarrangiamento.

Un‘ulteriore possibile sorgente di popolazioni clonali minori risultano dalla presenza di

linfociti T esprimenti TCRγδ+ che dimostrano riarrangiamenti canonici TCRγ, ma non

dimostrano l’addizione di nucleotidi N.

Figura 6: Diagramma schematico del complesso genico TCRγ sulla banda cromosomica 7p14. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et all. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003 17, 2257-2317.

Il riarrangiamento TCRγ canonico umano più comunemente riconosciuto coinvolge i

segmenti Vγ9-Jγ1.2 ed avviene nell’1% di linfociti T del sangue.

33

Risulta quindi estremamente importante analizzare i prodotti molecolari del TCRγ

usando tecniche elettroforetiche ad alta risoluzione o usando criteri di separazione degli

stessi prodotti che vanno al di là del peso molecolare, per ridurre il rischio di risultati

falsi positivi.

E’ anche importante conoscere il profilo dei riarrangiamenti canonici e le situazioni in cui

loro più comunemente avvengono; i Vγ9-Jγ1.2 si trovano principalmente nel sangue

periferico ed aumentano la frequenza con l’età, poiché vi è l’accumulo di linfociti T TCR

γδ+.

Diversamente dal TCRδ il gamma non è deleto nelle cellule αβ+, dal momento che

questo tipo di riarrangiamento avviene in entrambi i precursori αβ e γδ, la sua

identificazione non può essere usata per la determinazione del tipo di linea cellulare.

La catena α/δ

I geni della catena α/δ del TCR si trovano in un unico complesso locus genico

localizzato sul cromosoma 14. I geni della catena δ sono assemblati nei timociti

CD4CD8 doppi negativi, mentre quelli della catena α nei timociti CD4CD8 doppi positivi,

questo probabilmente dovuto in parte all'attività specifica dei rispettivi enhancer (Eδ e

Eα) durante le fasi di maturazione della cellula T (Krangel M. S.et al, Immunol Rev

1998).

Il repertorio genico della catena α contiene 80 segmenti genici V, 61 segmenti genici J

ed 1 segmento genico C, mentre i segmenti genici D sono assenti. Tra i segmenti genici

V e J della catena α è localizzato il locus della catena δ, più precisamente sulla banda

14q11.2, costituito da un numero limitato di segmenti; 8 elementi V, 4 elementi J, 3

elementi D. Almeno 5 degli 8 segmenti genici V possono riarrangiare con I segmenti Jα

ed alcuni segmenti Vα possono in rari casi riarrangiare con la catena δ. II

riarrangiamento di Vα con i segmenti genici di Jα causa la delezione dell’intero locus

intermedio del TCRδ (figura 7).

Il TCRδ V101S1 (Vδ1), il TCRδ V102S1 (Vδ2) ed il TCRAD V17S1 (Vδ3) sono usati

esclusivamente nei riarrangiamenti del TCRδ, mentre il TCRαδ V6S1 (Vδ4), il TCRαδ

V21S1 (Vδ5) ed il TCRαδ V17S1 (Vδ6) possono essere usati sia nella catena delta che

nella catena alpha del TCR

Il TCRαδ V28S1 (Vδ7) ed il TCRαδ V14S1 (Vδ8) sono usati raramente nei

riarrangiamenti del δ (Verschuren MC et al, Immunology 1998).

34

Il repertorio in configurazione germinale delle cellule T γδ+ è piccolo paragonato a

quello di cellule T αβ+ e l’intero repertorio di ricombinazione è più limitato dato il

riarrangiamento preferenziale nel sangue periferico e nel timocita di cellule Tγδ+.

Alla nascita il repertorio di cellule T γδ+ presenti nel sangue di cordone ombelicale è

ampio, con nessuna restrizione apparente o preferenziale di particolari combinazioni

Vγ/Vδ.

Durante l’infanzia tale repertorio nel sangue periferico è formato così che negli adulti

predominano cellule portanti il riarrangiamento Vγ9/Vδ2.

I repertori Vδ1 e Vδ2 diventano ristretti con l’età portando all’insorgenza di cellule Vδ1+

e Vδ2+ oligoclonali nell’intestino.

Le cellule T γδ+ sono distribuite attraverso i tessuti linfoidi umani, con una maggiore

espressione di particolari segmenti Vδ in alcune localizzazioni anatomiche umane.

Molte cellule T γδ+ intraepiteliali presenti nell’intestino tenue e nel colon esprimono

Vδ1. Similarmente Vδ1 è espresso anche da cellule spleniche normali, mentre cellule T

γδ+ della pelle esprimono Vδ2.

Tuttavia il piccolo numero di segmenti genici VDJ adatti per la ricombinazione limita la

potenziale diversità di ricombinazione, il CDR3 o la diversità giunzionale è estesa data

l’aggiunta di regioni N, regioni P e delezioni casuali mediate dalle ricombinasi.

Il locus del TCRδ è il primo di tutti i loci del TCR a riarrangiare durante l’ontogenesi

della cellula T.

Il primo evento è un riarrangiamento Dδ2-Dδ3, seguito da un Vδ2-(Dδ1-Dδ2)-Dδ3 per

ottenere alla fine un riarrangiamento Vδ-Dδ-Jδ.

Riarrangiamenti immaturi (Vδ2-Dδ3 o Dδ2-Dδ3) si trovano nel 70% di LAL pre B,

mentre c’è una predominanza di riarrangiamenti maturi comprendenti sia la forma

incompleta Dδ2-Jδ1 che completa Vδ1, Vδ2, Vδ3-Jδ1 riscontrati nelle LAL T(Schneider

M et al, Br J Haematol 1997).

Le LAL T γδ+ formano un gruppo di LAL relativamente piccolo (10-15% di LAL T) e

costituiscono un 2% di tutte le LAL.

I riarrangiamenti Vδ1-Jδ1 predominano nelle LAL T γδ+; il Vδ1 non è mai stato trovato

riarrangiare con un altro segmento Jδ che non sia Jδ1.

Le catene Vδ1-Jδ1-Cδ1 sono quasi sempre legate alle famiglie VγI e VγII ricombinate a

Jγ2.3-Cγ2. L’uso di questo gene correla con l’origine timica immatura di queste cellule

leucemiche.

Molti linfomi a cellule T esprimono TCRαβ, mentre una minoranza esprime TCRγδ e

35

comprende diverse entità distinte.

I linfomi periferici che esprimono TCRγδ comprendono l’8-13% di tutti i linfomi T

periferici e sono stati documentati riarrangianti Vδ1-Jδ oltre ad altri riarrangiamenti di Vδ

a Jδ1.

Figura 7: Diagramma schematico del complesso genico del TCRα/δ. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317.

Il linfoma epatoslpenico a cellule T γδ+ è derivato da cellule T TCRγδ+ spleniche che

normalmente esprimono Vδ1.

Si tratta di un’entità non comune che esibisce caratteristiche clinico-patologiche distinte.

Il linfoma cutaneo a cellule T TCRγδ+ esprime Vδ2 e sembra perciò rappresentare

un’espansione clonale di cellule T γδ+ che normalmente risiedono nella pelle.

Altre proliferazioni clonali γδ includono proliferazioni LGL γδ+ CD3+ che comprendono

circa il 5% di tutte le LGL CD3+ e spesso mostrano riarrangiamenti Vδ1-Jδ1.

La catena β

I riarrangiamenti genici del TCRβ si verificano non solo in quasi tutti i tumori maligni

delle cellule T mature, ma anche in circa l'80% delle LAL T CD3- ed il 95 % delle LAL T

CD3+(Langerak AW et al, Leukemia 1999).

I riarrangiamenti del TCRβ non sono ristretti alle malignità di linea T, poichè circa un

terzo delle LAL pre-B portano riarrangiamenti del TCRβ (Szczepanski T et al, Leukemia

1999).

La loro frequenza è molto più bassa nelle proliferazioni a cellule B mature (0-7%) (van

Dongen JJM et al, Clin Chim Acta 1991).

36

Il locus umano del TCRβ è localizzato sul braccio lungo del cromosoma 7, a banda

7q34 e si estende su una regione di 685 kb. In contrasto con i loci del TCRγ e del

TCRδ, il cluster genico della regione V è molto più complesso (Figura 8). Contiene circa

65 elementi genici Vβ suddivisi in 30 sottogruppi. Le più grandi famiglie, Vβ5, Vβ6, Vβ8,

e Vβ13 raggiungono una dimensione di sette, nove, cinque e otto membri,

rispettivamente. 12 famiglie Vβ contengono solo un singolo membro (Arden B et al,

Immunogenetics 1995).

Di tutti gli elementi genici Vβ, 39-47 sono qualificati come funzionali ed appartengono a

23 famiglie. 10-16 elementi genici sono classificati come pseudogeni. Inoltre, un gruppo

di sei geni orfani Vβ non funzionali sono stati riportati localizzati sul braccio corto del

cromosoma 9 (9p21)(Charmley P et al, Immunogenetics 1993).

Essi non vengono rilevati in trascritti. Tutti i geni Vβ, tranne uno, si trovano a monte di

due cluster Dβ-Jβ-Cβ. La Figura 8 mostra come entrambi i segmenti genici Cβ (Cβ1 e

Cβ2) sono preceduti da un gene Dβ (Dβ1 e Dβ2) ed un cluster Jβ, che comprende sei

(Jβ1.1-Jβ1.6) e sette (Jβ2.1-Jβ2.7) segmenti Jβ funzionali. I loci della regione Jβ sono

classificati in due famiglie secondo la loro localizzazione genomica, e non vi è omologia

di sequenza (Wei S et al, Immunogenetics 1994).

A causa del grande repertorio codificato dalla linea germinale, la diversità combinatoria

dei riarrangiamenti genici del TCRβ è ampia rispetto ai riarrangiamenti del TCRγ e del

TCRδ. Il repertorio principale delle molecole TCRβ è ulteriormente prorogato dall'

aggiunta di una media di 3,6 e 4,6 nucleotidi alle giunzioni Vβ-Dβ e Dβ-Jβ

rispettivamente e dalla delezione di una media di 3.6 (Vβ), 3.8 (5'Dβ), 3.7 (3'Dβ), e 4.1

(Jβ) nucleotidi (Rowen L et al, Science 1996).

Durante la maturazione delle cellule T, il riarrangiamento del TCRβ avviene in due fasi

consecutive: Dβ-Jβ e Vβ-Dβ-Jβ, con un intervallo di 1-2 giorni tra questi due processi.

Il segmento genico Dβ1 può aderire sia a Jβ1 che ai segmenti genici Jβ2, mentre il

segmento genico Dβ2 unisce generalmente solo segmenti genici Jβ2 per la sua

posizione nel locus genico (Langerak AW et al, Leukemia 1999).

Tuttavia, a causa della presenza di due cluster consecutivi Dβ-Jβ, è anche possibile

che due riarrangiamenti siano rilevabili su un unico allele: un riarrangiamento

incompleto Dβ2- Jβ2 ed un riarrangiamento completo o incompleto nella regione Dβ1–

Jβ1.

Nei riarrangiamenti del TCRβ è riscontrato l'uso di una distribuzione non casuale dei

segmenti genici. Negli individui sani, alcune famiglie Vβ predominano nel repertorio

37

delle cellule T periferiche (ad esempio Vβ1-Vβ5), mentre altri sono solo raramente

utilizzati (ad esempio Vβ11, Vβ16, Vβ18 e Vβ23).

Figura 8: Diagramma schematico del complesso genico TCRβ. Fonte: JJM van Dongen, AW Langerak, M Bruggemann et al. Design and standardization of PCR primers and protocols for detection of clonal immunoglobulin and T-cell receptor gene recombinations in supect lymphoproliferations: Report of the BIOMED-2 Concerted Action BMH4-CT98-3936. Leukemia 2003; 17: 2257-2317.

I valori medi del repertorio Vβ sembrano essere stabili durante l'invecchiamento, anche

se vi è l'aumento della deviazione standard nei soggetti anziani (Van den Beemd MWM

et al, Cytometry 2000).

La rappresentazione dei segmenti Jβ è tutt'altro che uniforme. La famiglia Jβ2 è usata

più frequentemente rispetto alla famiglia Jβ1 (72 vs 28%). In particolare, la percentuale

di Jβ2.1 è superiore alle altre (24 %), seguita da Jβ2.2 (11%) e Jβ2.3 e Jβ2.5 (10%

ciascuno) (Jores R et al, J Immunol 1993).

I riarrangiamenti del TCRβ differiscono tra le categorie di tumori maligni delle cellule T.

Riarrangiamenti completi Vβ-Jβ1 e incompleti Dβ-Jβ2 sono stati riscontrati più

frequentemente in casi di LAL T TCRαβ+, rispetto ai casi di LAL T CD3- e LAL T

TCRγδ+. Più in generale, nelle LAL T, la regione del TCRβ Dβ-Jβ1 è relativamente

frequentemente coinvolta nei riarrangiamenti, in contrasto con i riarrangiamenti nelle

LAL pre B che coinvolgono esclusivamente la regione Dβ-Jβ2 del TCRβ (Szczepanski T

et al, Leukemia 1999).

38

Obiettivo dello studio

L'analisi dell'intero genoma ha recentemente ampliato la possibilità di una precisa

caratterizzazione genomica delle malattie. Un pre-requisito per un tale approccio è la

disponibilità di una quantità sufficiente di DNA germinale e di DNA delle cellule tumorali

e la loro buona qualità, poiché la mancanza di quantità e qualità appropriate di DNA

porta ad una restrizione del tipo e del numero di saggi genetici che possono essere

eseguiti. Un approccio affidabile per aumentare la quantità di DNA è la sua

amplificazione utilizzando un metodo di amplificazione dell'intero genoma (WGA).

Il risultato di questa procedura è l’ottenimento di grandi quantità di DNA di partenza di

alta qualità, utile in tutti quei casi in cui è richiesta la disponibilità indefinita di materiale

per una qualsiasi analisi molecolare (es. genotipizzazione, Real time PCR, sequencing

ecc).

L' uso della malattia minima residua come marker di risposta molecolare al trattamento,

può migliorare la valutazione della risposta clinica, guidare la selezione delle strategie

terapeutiche e, possibilmente, indicare l'esito clinico a lungo termine (Cazzaniga G et al,

Haematologica 2005) in un certo numero di malattie ematologiche.

Nel presente studio, è stato applicato l'utilizzo del metodo WGA, con lo scopo di

confrontare i risultati ottenuti con il DNA genomico ed il DNA amplificato al momento

della diagnosi e durante il follow-up clinico dei pazienti, e valutare sia l'applicabilità che

l'affidabilità del DNA amplificato in questo tipo di analisi.

A questo scopo, sono stati studiati 20 casi di LAL dell'adulto sia mediante PCR che RQ

-PCR su DNA genomico e DNA amplificato utilizzando i riarrangiamenti genici Ig/TCR

come marcatori di MMR.

39

Materiali e Metodi

Pazienti e campioni studiati

Venti pazienti adulti affetti da LAL, di età compresa tra 18-34, pervenuti presso il nostro

centro, sono stati inseriti nello studio. Sono stati analizzati i relativi campioni di sangue

midollare sia alla diagnosi che durante il follow-up. Tutti i pazienti sono stati arruolati

nel protocollo GIMEMA 1308 ed hanno dato il loro consenso informato secondo le

linee guida istituzionali. La diagnosi è stata stabilita attraverso criteri morfologici,

citochimici e immunologici, secondo le classificazioni “French-American-British” (FAB)

e “World Health Organization”” (WHO). Aspirati di midollo osseo alla diagnosi e durante

il follow-up sono stati raccolti in provette contenenti citrato di sodio e mantenuti a

temperatura ambiente fino al successivo processamento.

I campioni di follow-up sono stati correlati alla fase IA dell'induzione (giorno +33),

secondo il protocollo AIEOP pediatrico LAL 2000.

Estrazione del DNA

Per l'analisi molecolare, le cellule del midollo osseo sono state separate mediante Ficoll

su gradiente di densità ed il DNA è stato isolato usando il kit di purificazione del DNA

Wizard Genomic DNA Purification Kit (Promega Corp., Madison, Wisconsis, USA). La

determinazione della purezza e della concentrazione del DNA estratto è stata valutata

mediante lo spettrofotometro Epperndorf BIOPhotometer (Eppendorf AG, Hamburg,

Germany), ed i campioni che presentavano un rapporto di A260/A280 compreso tra 1.8

e 1.9, sono stati diluiti con acqua deionizzata al fine di ottenere una concentrazione

standard di DNA di 100µg/mL. La qualità del DNA è stata valutata a seguito di una corsa

elettroforetica su gel d’agarosio dove un DNA genomico di buona qualità presentava un

sola banda ad alto peso molecolare.

Whole Genome Amplification (WGA)

L'amplificazione dell'intero genoma (WGA) è stata effettuata utilizzando il Qiagen

REPLI-g Mini Kit (QIAGEN GmbH, Hilden, Germania), secondo il protocollo del

produttore. Il modello consisteva di 40 ng di DNA genomico umano estratto da un pellet

di cellule mononucleate. La miscela di reazione è stata preparata utilizzando due

40

differenti tamponi ed una master mix contenente, rispettivamente, i random esameri e la

Phi29 DNA polimerasi, per ottenere un volume finale di 30 microlitri. I campioni sono

stati quindi incubati a 30°C per 16 h, dopo inattivazione termica a 65°C per 10 minuti.

Questo metodo si basa su un sistema di amplificazione multiplo di spostamento, in cui

vi è l'associazione di esameri casuali per la singola molecola del filamento bersaglio.

Esso consiste in una amplificazione isotermica, poiché la reazione avviene ad una

temperatura di 30°C con una DNA polimerasi (Phi29) ad alta processività. Nel momento

in cui la Phi 29 comincia l'elongazione, i filamenti di DNA a monte vengono spostati e

possono quindi servire da stampo per nuovi eventi di annealing dei primers. Questo

darà origine ad un network di DNA a struttura ramificata, generando un'abbondanza di

copie della molecola di DNA originale.

Screening dei riarrangiamenti genici Ig/TCR

Il DNA genomico ed il DNA amplificato ottenuto dai campioni della diagnosi sono stati

amplificati mediante reazione di amplificazione Polymerase Chain Reaction (PCR)

utilizzando il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster

City, CA, USA). La PCR è stata eseguita utilizzando il set di primers del BIOMED-1 per

Ig kappa/Kde, (Vk-Kde, introne-Kde), per i riarrangiamenti completi ed incompleti della

catena delta del TCR (TCRD; Vd-(Dd)-Jd1, DD2-Jd1, Vd2-DD3, DD2-DD3) e della

catena gamma (TCRG; Vg-Jg1.3/2.3, Vg-Jg1.1/2.1)(Van Dongen JJM et al, Leukemia

1999).

I riarrangiamenti completi ed incompleti della catena pesante delle immunoglobuline

(VH- (DH)-JH, DH-JH) sono stati identificati utilizzando cinque primers per le famiglie

VH e sette primers per le famiglie DH in combinazione con un JH consensus (Van

Dongen JJM et al, Leukemia 2003). Per I riarrangiamenti completi ed incompleti della

catena beta del TCR (TCRB; Dβ-Jβ e Vβ-Dβ-Jβ), sono stati utilizzati i rispettivi set di

primer per la multiplex-PCR del BIOMED-2 (Van Dongen JJM et al, Leukemia 2003).

Le condizioni di amplificazione di ciascun riarrangiamento sono riportate nelle tabelle 4

e 5.

I prodotti di amplificazione ottenuti sono stati ulteriormente esaminati mediante analisi

degli omo/eterodimeri al fine di discriminare le amplificazioni derivate da popolazioni di

cellule linfoidi monoclonali o policlonali (Langerak AW et al, Leukemia 1997; Borowitz

MJ et al, Blood 2008). I prodotti di PCR biclonali o biallelici sono stati separati mediante

41

escissione degli ampliconi dal gel di poliacrilammide o per clonazione del DNA

attraverso il pMOS Blunt end Cloning KIT (Amersham Biosciences Europe GMBH. MI,

Italy).

Tabella 4: Schema di amplificazione dei riarrangiamenti IgH (A) e IgK (B).

Tabella 5: Schema di amplificazione dei riarrangiamenti del TCRγ/δ (C), del TCRα (D) e del TCRβ (E).

(A) Denaturazione

Annealing Estensione N° Cicli

2’ 94°C

30’’ 94°C 45’’ 60°C 1’ 72°C 35

7’ 72°C

(B) Denaturazione Annealing Estensione N° Cicli

3’ 92°C

45’’ 92°C 1', 30’’ 60°C 2’ 72°C 40

10’ 72°C

(C) Denaturazione Annealing Estensione N° Cicli

1',30” 94°C 1' 60°C 1',30” 72°C 1

30’’ 94°C 30’’ 60°C 1',30” 72°C 35

6’ 72°C

(D) Denaturazione Annealing Estensione N° Cicli

7’ 95°C

45’’ 95°C 45’’ 60°C 1',30” 72°C 35

10’ 72°C

(E) Denaturazione Annealing Estensione N° Cicli

7’ 95°C

30’’ 94°C 45’’ 60°C 1',30” 72°C 35

10’ 72°C

42

Sequenziamento e analisi del gene

I prodotti di PCR sono stati sequenziati direttamente secondo metodo Sanger con

marcatura fluorescente utilizzando il kit di reazione BigDye Terminator v3.1 Cycle

Sequencing Kit (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA) e il termociclatore

GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). Durante la

sintesi del filamento di DNA i didesossinucleotidiltrifosfati (ddNTP) marcati con quattro

differenti fluorocromi vengono, mediante l’enzima DNA polimerasi, inseriti al filamento

stampo impedendo l’aggiunta di ulteriori nucleotidi. Al termine della reazione di

sequenza la miscela di singoli frammenti di DNA ottenuta è stata purificata utilizzando il

kit DyeEx 2.0 Spin Kit (QIAGEN, Valencia, CA, USA) che permette di eliminare i ddNTP

fluorescenti in eccesso non incorporati attraverso il principio cromatografico della gel-

filtrazione su colonnine contenenti resina. I frammenti di DNA purificati sono stati

sottoposti ad elettroforesi capillare mediante il sequenziatore ABI PRISM® 3100-Avant

Genetic Analyzer (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’acquisizione dei dati

relativi ai campioni è stata eseguita utilizzando il software 3100-Avant Data Collection

Software e le sequenze sono state analizzate mediante il programma ABI PRISM® DNA

Sequencing Analysis Software (Versione 3.7), e visualizzate come elettroferogrammi.

L'interpretazione dei risultati è stata eseguita allineando le sequenze nucleotidiche

ottenute alla directory IMGT(international ImMunoGeneTics information system) per

l'identificazione di riarrangiamenti IGHV, IGKV, TCRA, TCRB, TCRD, TCRG.

Disegno dei primers e analisi RQ-PCR

Le regioni giunzionali paziente-specifiche dei prodotti di PCR risultati clonali sono stati

identificati come potenziali target per la valutazione della MMR quantitativa (Langerak

AW et al, Leukemia 1997). Gli Oligonucleotidi relativi a tali regioni (ASO primer) sono

stati disegnati utilizzando il programma Primer Express ABI PRISM Primer Design

Software(Applied Biosystems, Foster City, CA).

Gli ASO primers sono stati testati per specificità e sensibilità con l'obiettivo di

selezionare per ogni paziente uno o due oligonucleotidi con una sensibilità di almeno

10-4 e un range quantitativo di 10-4 per il primo primer e di 5x10-4 per l'eventuale

secondo primer identificato (Van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007).

Le curve standard per le valutazioni preliminari degli oligo costruiti e le successive

analisi quantitative, sono state preparate a partire da diluizioni seriali del campione della

43

diagnosi, nel DNA estratto da un pellet di cellule mononucleate proveniente da un pool

di sangue venoso periferico (PBL) di 5 donatori sani e portato alla concentrazione di

100 μg/ml.

I saggi sono stati allestiti per raggiungere una gamma di sensibilità e quantificabilità

≥10-4, con uno slope della curva compreso tra 3.1 e 3.9 ed un coefficiente di

correlazione ≥0,98, secondo le linee guida della ESG-MRD–ALL (Van der Velden VHJ

et al, Leukemia 2007).

Le reazioni sono state preparate utilizzando i reagenti del kit TaqMan PCR Core

Reagent (PE Applied Biosystems, Foster City CA, USA) e processate nell' ABIPrism

7300-7500 alle seguenti condizioni: un'incubazione iniziale di 2 minuti a 50°C e 10

minuti di denaturazione a 95°C, seguite da 50 cicli di denaturazione a 95°C per 15

secondi ed annealing a 58-63°C per 1 minuto. Sono state rispettate le linee guida per

l'analisi di RQ-PCR della MMR per tutti i riarrangiamenti ed i pazienti studiati, ESG-

MRD-ALL (European Study Group on MRD Detection for ALL)(Van der Velden VHJ et

al, Leukemia 2007).

44

Risultati Riarrangiamenti genici Ig/TCR identificati al momento della diagnosi: DNA genomico vs

DNA amplificato

Dei 20 casi di LAL esaminati, 16 hanno mostrato un fenotipo a cellule B e 4 un fenotipo

a cellule T. Tutti i campioni sono stati valutati per i ririarrangiamenti genici Ig/TCR.

Lo screening è stato eseguito a cieco sia su DNA genomico che su DNA amplificato e

successivamente sono stati confrontati i risultati. Su DNA genomico in 18/20 (90%)

pazienti è stato identificato almeno un riarrangiamento clonale, mentre in 2/20 (10%)

casi non è stato identificato alcun marcatore. In 10/18 (55,5%) pazienti è stato rilevato

un doppio marker, che ha permesso di caratterizzare e seguire con maggiore precisione

la malattia. Sono stati trovati e sequenziati 87 riarrangiamenti, con un valore medio di

4.8 riarrangiamenti/caso ed un massimo di 8 riarrangiamenti genici in un caso. Sono

state utilizzate solo 28/87(32,2%) ricombinazioni, quelle che nelle prove preliminari per

la valutazione della sonda allele-specifica hanno dato la più alta sensibilità e specificità.

Riarrangiamenti IGH (IGHVDJ e IGHDJ) sono stati rilevati in 16/87 casi (18,4%) e 9/16

(56,2%) sono stati utilizzati per l'analisi RQ-PCR. IGK-KDE è stato il secondo

riarrangiamento più comune identificatio, 21/87 (24,1%), e 2/21 riarrangiamenti (9,5%)

sono stati utilizzati per l'analisi RQ-PCR. I riarrangiamenti del TCRγ/δ sono stati

identificati in 42/87 casi (48,3%) e 12/42 (28,6%) sono risultati un utile marker per

l'analisi RQ-PCR. Infine, 8/87 (9,2%) riarrangiamenti del TCRα/β sono stati identificati e

5/8 (62,5%) sono stati utilizzati per la valutazione della MMR. Lo screening effettuato

sui prodotti WGA non ha dato differenze sia nel tipo di marker identificato che nelle

caratteristiche del riarrangiamento; le ricombinazioni identificate avevano le stesse

delezioni, inserzioni e regioni N del corrispondente DNA genomico (Tabella 6).

Il numero di nucleotidi N incorporati è un fattore importante per ottenere una sensibile

analisi di RQ-PCR; per i riarrangiamenti IGH, IGK-KDE, TCRγ/δ e TCRα/β, il numero

medio di nucleotidi N è stato 19, 5, 12 e 14 rispettivamente, identico nei target

individuati sia su DNA genomico che amplificato.

Nei test preliminari, sensibilità e specificità di 10-4/10-5 per l'analisi quantitativa con

almeno un marcatore, sono state ottenute nel 96,4% (27/28) degli oligonucleotidi

specifici disegnati. In un solo caso (3,6%), il primer identificato aveva una bassa

sensibilità (5x10-4).

45

Tabella 6: Caratteristiche molecolari dei target di MMR valutati alla diagnosi. In grassetto sono evidenziati i nucleotidi della N-region.

Paziente

Riarrangiamento genico Ig/TcR

N-region ASO-P

LAL-B 1 VH3-53*01 JH4*02 DH4-23*01 TTTCT/T/CTACGGTGG/CCTCCGAG/GACTA 5’GGCCGTGTATTTCTTCTACGGT3’

LAL-B 2 DD2*01 DD3*01 TCCTAC/ATCC/CAGTGC 5’CATTGTGCCTTCCTACATCCCA3’

VD2*01 JA29*01 DD3*01 TGCCT/TGGGCCC/ACTGG 5’TCCCCCAGTGGGCCC3’

LAL-B 3 VH4-4*34 JH5*02 DH2-2*02 GCAAG/G/GGATATTGTAGTAGTACCAGCTGCTATA/

TCGAACCG/CAACTGGT 5’AGCTGCTATATCGAACCGCAA3’

VG5*01 JG1.3*01 ACAGG/TTTTGGGCCCGGGACACGCTTACCTCTAA

AGAGTCCGGGCCCGGGGGTGTAG/CAGTGG 5’GCCCGGGGGTGTAGCAGT3’

LAL-B 4 VK1-8*01 KDE CCCAA/GGAGTCGGGG/GCCCT 5’TTGCAACTTATTACTCCCAAGGAGT3’

VD2*03 DD3*01 TGTGA/TCCC/ACTGG 5’GCGTATCCCCCAGTGGGA3’

LAL-T 5 VB6-2*01 JB2.3*01 GTGCCAG/AGTCCTCGTAGTATTTTTATTC/CACAG

ATAC 5’AGAGTCCTCGTAGTATTTTTATTCCA

CA 3’

VD1*01 DD2*01 DD3*01 JD1*01 GGGGA/TCG/CCTTCC/CACAACACCCGAGT/ACTG

GGGGATA/GTG/ACCGATA 5’ CTTCCCACAACACCCGAGTAC3’

LAL-B 6 VD2*01 DD3*01JA48*01 TGTG/CGGT/ACTGGGGG/CCCTAC/GAGAA 5’CCCAAAGGTTAATTTCTCGTAGGG3'

VH1-18*01 DH6-6*01 JH4*02 GAGAG/TG/GTATAGCAGCTCGTCC/GAGAGTTGA/

ACTACT 5’CAGCTCGTCCGAGAGTTGAA3’

LAL-B 7 VH3-74*01 JH6*03DH2-15*01 AAGA/CT/AGGATATTGTAGTGGTGGTAGCTG/ACC

CAACC TCTCCTAC/TACTA 5’ TGGTGGTAGCTGACCCAACC3’

VD2*01 DD3*01 TGACACC/GAGAGGGGCCCA/ACTGG 5’GTTGGGCCCCTCTCGG3’

LAL-T 8 VB19*01 JB2.1*01 GTAGT/CTGTAGCCCGTAGTCTGTAGCACGGTGA

GTAACCCCAC/CTCCT 5’CTGTAGCCCGTAGTCTGTAGCAC3’

LAL-B 9 VD2*01 DD3*01 ACACC/GGTACGACAAAGGGAAA/GCTAC 5’CGGTACGACAAAGGGAAAGCT3’

LAL-B 10 VK1-33*01 KDE TATGATAATCTCCC/GGAGCCCTAGTGGCA 5’GTCAACAGTATGATAATCTCCCGGA3’

LAL-B 11 VH4-30-4*01 JH3*02 DH2-2*03 GCCAG/TAA/TGGATATTGTAGTAGTACCAGCTGTA

T/CCG/GATGCT 5’GGCCGTGTATTACTGTGCCAGTA3’

LAL-T 12 VD1*01 DD3*01 JD1*01 GTGCTCT/CTA/ACTGGG/CCCCCGT/ACACCG 5’CTCTAACTGGGCCCCCGTA3’

LAL-B 13 VG3*01 JG1.3*02 TGTGCC/CCCTGGGACAGGCCTC/GAAACTCTT 5’GGGACAGGCCTCGAAACTCTT3’

LAL-B 14 VH2-70*01 DH1-7*01 JH5*02 GATAC/CTTC/AACTGGAACTAC/GATCGGCCTTAA/

GTTCG 5’TGGAACTACGATCGGCCTTAAGT3’

DH4*23 JH6*01 GGGGT/CCCTCGGGCCAATAAAT/CTACT 5’ACTACGGGGTCCCTCGG3’

LAL-T 15 VD1*01 DD2*01 DD3*01 JD1*01 A GGGGAA/TTTACCGG/CCTTCCT/TTCGATCCTG/CT

GGGGGATACG/CGTAGATTAAGT/ACACCGA 5’ GCCTTCCTTTCGATCCTGCT3’

VD1*01 DD2*01 DD3*01 JD1*01 B ATAG/CTAATGGAGTTTTCGGACACAATTAAAA/TT

CC/GT/ACACCG 5’GGAGTTTTCGGACACAATT3’

LAL-B 16 DD2*01 JD1*01 CTTCC/CAT/ACACC 5’GTTTCATTGTGCCTTCCCATACA3’

LAL-B 17 DD2*01 DD3*01 CTTCC/CTCCTTTA/GGGGA 5’CATTGTGCCTTCCCTCCTTTA3’

VH1-3*01 DH6-19*01 JH6*02 CGAGA/CTAGTGTCTC/GTATAGCAGTGGCTCGTA/

GGAG/CTACT 5’TCGTATAGCAGTGGCTCGTAGGA3’

LAL-B 18 VH3-11*01 DH2-8*02 JH5*02 CTGGT/AACGACTGC/ATTGTTCTTGAGG/CTGGTT

CGCAC/CCCTG 5’GTGTATGCTGGTAACGACTGCATT3’

VD2*01 JA29*01 ACACC/TACTGGGGGGGGA/GAAAC 5’TGTTTCTCCCCCCCCAGT3’

LAL-B 19 NO TARGET

LAL-B 20 NO TARGET

46

Confronto della quantificazione della malattia alla diagnosi e risultati di MMR tra DNA

genomico e amplificato.

Per valutare la specificità, la sensibilità e la precisione quantitativa, sono stati valutati i

livelli di malattia sia al momento della diagnosi che durante il follow-up in tutti i campioni

sia su DNA genomico che amplificato. Sono stati definiti i range quantitativi e di

sensibilità secondo le linee guida (Van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007) per

entrambe le tipologie di campioni, ottenendo lo stesso livello di sensibilità. Al momento

della diagnosi, tutti i campioni di DNA genomico avevano un livello di malattia tra 1x10-1

e 4x100; gli stessi livelli di malattia sono stati trovati sui campioni di DNA amplificato, ma

in 6/18 (33,3%) è stata osservata una quantificazione diversa della malattia, risultando

questi dati tuttavia accettabili, poichè il grado di comparabilità ed i livelli di confidenza

agli stessi punti temporali, ricadeva entro 1 logaritmo di differenza (Tabella 7).

Tabella 7: Confronto della quantificazione di malattia al momento della diagnosi tra DNA genomico ed amplificato(WGA).

Paziente MMR RQ-PCR DNA (DX) MMR RQ-PCR WGA (DX)

LAL-B 1 1,20E+00 1,41E-01

LAL-B 2 8,00E-01 3,50E+00

LAL-B 3 1,00E+00 3,00E-01

LAL-B 4 1,00E+00 1,50E-01

LAL-T 5 4,50E+00 4,20E+00

LAL-B 6 9,70E-01 2,30E-01

LAL-B 7 6,10E-01 3,70E-01

LAL-T 8 1,00E+00 2,00E-01

LAL-B 9 1,00E+00 1,00E-01

LAL-B 10 4,60E+00 4,50E-01

LAL-B 11 9,30E-01 2,00E+00

LAL-T 12 2,00E+00 7,00E-01

LAL-B 13 2,00E+00 9,00E-01

LAL-B 14 8,00E-01 1,40E-01

LAL-T 15 4,00E-01 9,70E-01

LAL-B 16 5,00E-01 1,00E-01

LAL-B 17 3,00E+00 1,30E+00

LAL-B 18 9,30E-01 2,00E+00

Quindici dei 18 (83,3%) campioni di follow-up di DNA genomico sono risultati positivi:

13/15 (86.7%) erano all'interno del range quantitativo e con livelli di MMR tra 5x10-5 e

47

1x 10-2, e 2/15 (13,3%) erano positivi ma fuori range quantitativo. I restanti 3/18 (16,7%)

sono risultati negativi. Dieci su 18 (55,5%) campioni di follow-up sono stati valutati con

un doppio target e non sono stati trovati risultati discordanti.

Tredici dei 18 (72,2%) campioni di follow- up di DNA amplificato sono risultati positivi

con lo stesso livello MMR dei campioni di DNA genomico (5x10-5 -1x10-2). I restanti 5/18

(27,8%) sono risultati negativi. Dieci su 18(55,5%) campioni di DNA amplificato sono

stati valutati con doppio marcatore e sono stati trovati risultati discordanti in 1 caso, in

cui 1 target era positivo e l'altro era negativo, in questo caso, il livello di MMR era molto

basso come la sensibilità del secondo target.

Considerando tutti i campioni di follow-up valutati mediante analisi RQ-PCR su DNA

genomico e amplificato, 16 su 18 campioni (88,9%) hanno mostrato risultati concordanti

di MMR, mentre 2/18 (11,1%) campioni sono risultati positivi fuori range quantitativo su

DNA genomico e negativi su DNA amplificato (Figura 9). In questi 2 casi, il livello di

MMR su DNA genomico era inferiore 5x10-5.

Figura 9: Confronto dei livelli di MMR tra il DNA genomico e amplificato durante il follow-up clinico dei 18 pazienti studiati.

48

Conclusioni Lo studio della MMR è oggi eseguito nel contesto di diversi tumori come la LAL e le

malattie linfoproliferative, per la cui gestione i protocolli clinici sono basati sul

monitoraggio biologico della malattia.

Nelle LAL la MMR è fondamentale per guidare e modificare la gestione terapeutica dei

pazienti (Bruggemann M et al, Blood 2006). La riduzione del carico tumorale durante e

dopo il trattamento di induzione fornisce informazioni cruciali sulla risposta alla terapia e

rischio di recidiva. Questo permette di identificare pazienti "a basso rischio" e "ad alto

rischio", che possono trarre profitto dalla riduzione o dalla intensificazione della terapia,

rispettivamente (Vidriales MB et al, Blood 2003; Flohor T et al, Leukemia 2008; Bassan

R et al, Blood 2009).

L’approccio molecolare allo studio della MMR in pazienti affetti da LAL ha assunto

un’importanza rilevante, data anche la crescente rapidità ed il continuo affinamento

delle tecniche di analisi. Tale strategia consente di dimostrare una remissione

molecolare precoce in risposta alla terapia. Tuttavia un pre-requisito fondamentale è la

disponibilità di una quantità sufficiente di DNA germinale e di DNA delle cellule tumorali.

La mancanza di quantità e qualità appropriate di DNA porta ad una restrizione del tipo e

del numero di saggi genetici che possono essere eseguiti. L' amplificazione dell'intero

genoma (WGA) può rappresentare un metodo affidabile per superare questo problema.

Diversi lavori hanno riportato l'uso del WGA per l'analisi di mutazione dei tumori umani

(Hughes S et al, Cyt Gen Res 2004; Hughes S et al, Pro Biop Mol Biol 2005). Inoltre, il

WGA può essere utilizzato in altri campi, come la diagnosi genetica preimpianto (Jiao Z

et al, Pren Diagn 2003; Ao A et al, J Ass Rep Gen 1998; Kristjansson K et al, Nature

Gen 1994; Handyside AH et al, Mol Hum Rep 2004) e la diagnosi prenatale (Martel-

Petit V et al, Pren Diagn 2001; Sekizawa A et al, Obst Gynecol 1996; Lovisa L et al,

Rev Art Hum Mut 2006; Niap HT et al, J Obstet Gynaecol Res 2010; Nathan RT et al,

Mol Hum Rep 2011).

La valutazione dell'applicabilità della tecnologia WGA nel contesto dell'analisi della

MMR ha un importante valore clinico, pertanto in questo studio ne è stato applicato

l'uso all'analisi molecolare quantitativa in campioni di sangue midollare provenienti da

pazienti adulti affetti da LAL, valutati al momento della diagnosi e durante il follow-up

clinico, con lo scopo di confrontare i risultati ottenuti con quelli derivati da DNA

genomico originale, e stimarne applicabilità ed affidabilità in questo tipo di analisi. Lo

49

screening molecolare alla diagnosi non ha dato differenze nel tipo di target evidenziato;

i riarrangiamenti derivati da DNA genomico ed amplificato avevano le stesse delezioni,

inserzioni e regioni N. E' stata osservata una piccola discrepanza nella quantificazione

della malattia in 6 casi, ma il livello di differenza tra DNA genomico ed amplificato era

entro 1 logaritmo e quindi non significativo. Questi risultati concordanti hanno

dimostrato la robustezza del WGA, in questo punto di valutazione, poichè ha permesso

l'amplificazione e l'analisi di tutti i campioni diagnostici, riproducendo una copia fedele ai

campioni di DNA genomico, senza l'aggiunta di ulteriori mutazioni che avrebbero reso

l'analisi inaccettabile. Risultati simili sono stati ottenuti recentemente in una piccola

coorte di 10 pazienti affetti da leucemia mielomonocitica cronica in cui questa tecnica di

amplificazione ha permesso la genotipizzazione di 25 geni associati alla leucemia

nonostante le basse quantità di DNA disponibile (Rinke J et al,Clin Chem 2013).

Nella valutazione della MMR al follow up, 2 casi positivi analizzati da DNA genomico

sono risultati negativi con il WGA. In questi due casi, i livelli di MMR sul DNA genomico

erano al di sotto 5x10-5, va sottolineato che tale valutazione di MMR, diversa tra DNA

genomico e WGA, non si traduce in una diversa classificazione nel gruppo di rischio per

il paziente.

Se il livello di MMR è molto basso, l'amplificazione del DNA di una quota minima di

malattia non avviene con il metodo WGA. Anche se è stato dimostrato che

l'amplificazione con il WGA produce quantità accettabili di substrato amplificato

indipendentemente dalle quote di DNA genomico di partenza (Dean FB et al, Pro Nat

Aca Scien USA 2002), alcuni studi hanno riportato una correlazione positiva tra quantità

crescenti di DNA genomico e rendimenti più elevati di DNA amplificato ottenuti dopo

WGA. Inoltre, tracce di contaminanti o enzimi nei campioni di DNA genomico possono

competere all'interno della reazione di amplificazione del WGA e creare delle

interferenze, in particolare quando le concentrazioni di DNA stampo sono basse

(Bergen AW et al, BMC Biotech 2005).

Studi preliminari hanno anche dimostrato che i rendimenti del WGA dipendono dalla

qualità del DNA stampo usato nella reazione e che uno stampo di DNA povero può

diminuire la precisione dell'analisi molecolare [Bergen AW et al, BMC Biotech 2005;

Sun G et al, Legal Medicine (Tokyo)2005].

Il WGA rappresenta l'unico modo per aumentare significativamente la quantità di DNA

che può essere derivato da campioni clinici poveri (Hughes S et al, Pro Biop Mol Biol

2005). Inoltre, la possibilità di amplificare i campioni anche quando il livello di MMR è

50

molto basso potrebbe essere utile per l'identificazione dei cloni resistenti e per l'analisi

di mutazioni genetiche che inducono farmaco-resistenza.

In un recente studio (Rosenquinst R et al, Leukemia 2013) è stato riportato che il WGA

come fonte per l'analisi mutazionale sottostima la frequenza di alcune mutazioni (FLT3

e NPM1) in un'ampia coorte di pazienti con leucemia mieloide acuta in età pediatrica,

suggerendo una certa prudenza nell'utilizzare il WGA, in particolare per l'analisi di

determinate mutazioni. E' evidente che questo metodo deve essere considerato uno

strumento per amplificare il materiale senza sostituire il DNA genomico.

Per concludere, il WGA fornisce una fonte di DNA che permette:1) l'identificazione di

target fedeli per la valutazione della MMR in tutti i pazienti; 2) una quantificazione della

malattia sensibile e precisa al momento della diagnosi; 3) una quantificazione della

MMR paragonabile al DNA genomico per valori compresi tra 4x100 e 5x10-5.

Il metodo WGA apre la strada per ampliare notevolmente le possibilità di analisi in tutti

quei casi in cui la quantità di DNA è un fattore limitante.

51

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II° Progetto: Confronto di due strategie di RQ-PCR per la valutazione della malattia minima residua nelle malattie linfoproliferative: correlazione tra lo stato mutazionale dei geni delle immunoglobuline e performance di RQ-PCR.

63

La Leucemia Linfatica Cronica La Leucemia Linfatica cronica (LLC) è una neoplasia ematologica caratterizzata da

un’espansione clonale di una popolazione linfocitaria CD19+/CD5+ (figura 1)(Chiorazzi

N. et al, Hematology 2006).

Negli ultimi anni, grazie alla identificazione delle diverse caratteristiche biologiche

ascrivibili alla cellula leucemica della LLC, è notevolmente cambiata la concezione di

tale patologia. Per lungo tempo si pensava infatti che le cellule di LLC derivassero da

linfociti B immaturi, immunologicamente incompetenti e con un basso potenziale

proliferativo.

Oggi è stato invece ampiamente dimostrato in diversi studi, che le cellule di LLC non

sono in uno stato di quiescenza (Messmer B.T. et al, J Clin Invest 2005) bensì

presentano un determinato turn-over ed una anormalità dei geni che soprassiedono alla

funzione della apoptosi. La nuova concezione della LLC pertanto, vede tale patologia

come una malattia da accumulo non più statica ma dinamica (Chiorazzi N. et al, Annu

Rev Immunol 2003), caratterizzata dalla presenza di cellule mature, antigenicamente

esperte e immunologicamente competenti.

Il 95% dei pazienti presenta una proliferazione clonale che coinvolge i linfociti di tipo B

(LLC-B), mentre solo una piccola percentuale di pazienti ha una proliferazione clonale

di linfociti di tipo T (LLC-T). Anche dopo il riconoscimento dei numerosi disordini

linfoproliferativi cronici che coinvolgono i linfociti B maturi, la LLC rimane di gran lunga

la patologia più diffusa.

E’ ,infatti, la forma di leucemia più comune nella popolazione adulta dei paesi

occidentali, dove rappresenta circa il 25-30% di tutte le leucemie. La LLC è più

frequente negli uomini rispetto alle donne con un rapporto di circa 2:1 e il tasso di

incidenza annua è di circa 2-6 nuovi casi per 100,000 abitanti ogni anno ed aumenta

con l’età (Rozman C. et al, N Engl J Med 1995).

Pur essendo l’età media alla diagnosi di 65 anni, recentemente è stato riportato un

aumento nell’incidenza tra i giovani in quanto un terzo di nuovi casi sono diagnosticati

nella popolazione al di sotto dei 55 anni di età (De Lima M. et al, Semin Oncol 1998).

I decessi non correlati alla LLC e lo sviluppo di seconde neoplasie sono predominanti

nei pazienti anziani mentre gli effetti diretti della leucemia prevalgono nei pazienti

giovani.

64

Pazienti giovani e anziani tuttavia mostrano alla diagnosi una simile distribuzione delle

caratteristiche cliniche, l’unica differenza riscontrata nei due gruppi è un significativo

rapporto maschi/femmine nei pazienti giovani che può far presupporre ad un ipotetico

effetto endocrino protettivo nelle pazienti femmine giovani (Mauro F. et al, Blood 1999).

La LLC è una malattia caratterizzata dall’accumulo di linfociti B maturi CD5+ (antigene

costitutivo della linea linfoide T) nel sangue venoso periferico, midollo osseo e organi

linfoidi secondari (linfonodi e milza) e presenta un peculiare aumento della conta dei

linfociti nel sangue venoso periferico ≥5x 109 linfociti B/L (5000/μL)(Chiorazzi N. et al, Curr

Top Microbiol Immunol 2005).

Figura 1: Espressione immunofenotipica degli antigeni caratterizzanti la diagnosi di LLC.

La LLC, a differenza delle altre forme di leucemia, non é associata con l’esposizione a

sostanze chimiche, né a radiazioni ionizzanti ma diversi studi hanno dimostrato come

fattori genetici o familiari possono predisporre l’individuo ad un più elevato rischio di

sviluppare tale patologia (Rawstron A.C. et al, Blood 2002).

Negli ultimi anni sono state descritte più di 50 famiglie con più di due componenti affetti

da LLC o da altre malattie linfoproliferative. In molte di queste famiglie era evidente una

trasmissione verticale che rende possibile l’ipotesi della presenza di un carattere

autosomico ad espressione variabile. Questa predisposizione familiare è accompagnata

dal cosiddetto “fenomeno di anticipazione”, per il quale, di generazione in generazione,

l’età d’esordio è sempre più precoce ed il quadro clinico più severo (Horwitz M. et al,

Virology 2001).

CD23+

CD22±

CD79β-

CDIgS±

CD19+

CD5+

65

Il rischio globale di sviluppare questa malattia è 7-9 volte maggiore tra familiari di primo

grado di pazienti affetti da LLC, rispetto al resto della popolazione.

Dal punto di vista clinico e biologico la LLC con predisposizione familiare è molto simile

ai casi sporadici, anche se è stata riscontrata un’alta proporzione di femmine rispetto ai

pazienti maschi con storia familiare di LLC. Dal momento che la LLC è più

frequentemente diagnosticata nei maschi è possibile presupporre che le femmine

possano avere un numero maggiore di geni o geni più penetranti che predispongono di

più all’insorgenza della LLC (Mauro F.R. et al, Haematologica 2006).

La LLC è spesso asintomatica, nel 25-30% dei casi non sono riscontrabili né sintomi

clinici né segni obiettivi di malattia; in tali casi la diagnosi di LLC avviene in seguito ad

accertamenti casuali di laboratorio.

Le più comuni caratteristiche cliniche includono linfoadenopatia (87%), splenomegalia

(54%), ed epatomegalia (14%). Circa il 10% dei pazienti presentano un' anemia

emolitica autoimmune con test di Coombs positivo. Il 10% dei pazienti possono avere

ipogammaglobulinemia, ed un altro 15% può avere ipergammaglobulinemia o

gammopatia monoclonale. Molti pazienti asintomatici sono identificati sulla base della

sola linfocitosi rilevata con l’emocromo completo.

Con il progredire della malattia possono comparire altri sintomi, che non sono

caratteristici della leucemia linfatica cronica ma sono comuni ad altre patologie

linfoproliferative, e sono conseguenti all’invasione del midollo osseo da parte di linfociti

neoplastici: la stanchezza, associata a pallore cutaneo e palpitazioni sono una

conseguenza dell’anemia, mentre le manifestazioni emorragiche sono secondarie alla

riduzione delle piastrine (Catovsky D. et al, Ann Hematol 1991).

Inoltre l’accumulo dei linfociti patologici ostacola la normale produzione da parte del

midollo osseo di linfociti e granulociti neutrofili, in questo modo si crea uno stato di

immunodeficienza che predispone l’individuo malato all’insorgenza di infezioni.

Infine in un 5% di pazienti la malattia si può manifestare associata a fenomeni

autoimmuni, cioè produzione di anticorpi contro antigeni propri, in particolare antigeni di

globuli rossi e piastrine, dando origine a patologie concomitanti quali l’anemia emolitica

autoimmune, la piastrinopenia autoimmune o più raramente l’associazione di entrambi

(sindrome di Fisher-Evans).

L’infiltrazione del midollo osseo può avvenire secondo quattro configurazioni: nodulare,

diffuso, interstiziale e misto. Il pattern nodulare suggerisce uno stadio precoce della

66

malattia, mentre quello diffuso ed interstiziale sono tipici degli stadi più avanzati. Inoltre,

solo dimostrando l’assenza di cellule leucemiche dal midollo è possibile definire uno

stato di remissione completa.

Pertanto, nonostante questa forma di leucemia presenti un profilo diagnostico ben

definito, l’ampia variabilità del decorso clinico rende necessaria la ricerca, alla diagnosi,

di parametri biologici e clinici di significato prognostico per adeguare il trattamento alla

severità della malattia. Negli ultimi anni numerosi studi hanno identificato molteplici

caratteristiche biologiche e genetiche che hanno consentito di evidenziare dal punto di

vista clinico e della sopravvivenza l’estrema eterogeneità della LLC.

La mediana di sopravvivenza dei pazienti affetti da LLC è di circa 10 anni. La prognosi

individuale è comunque estremamente variabile. Mentre in alcuni pazienti la malattia ha

un decorso clinico indolente e l’aspettativa di vita non è breve, in altri la malattia

progredisce rapidamente, ha un andamento aggressivo, e la sopravvivenza dopo la

diagnosi è di 2-3 anni (Montserrat E, Hematology 2006). Studi recenti hanno dimostrato

che questa variabilità clinica dipende da differenze biologiche della malattia, pertanto la

definizione alla diagnosi delle caratteristiche biologiche della malattia è oggi una

necessità ai fini dell’atteggiamento terapeutico da intraprendere (figura 2).

Figura 2: Curve di sopravvivenza di pazienti affetti da LLC divisi in cinque categorie citogenetiche

(Döhner H. et al, 2000).

67

Lo stato non mutato della regione variabile della catena pesante delle immunoglobuline

(IgHV), la positività della cellula leucemica per l’antigene di attivazione CD38 e per la

molecola di trasduzione del segnale ZAP-70, le alterazioni citogenetiche quali la

delezione dei cromosomi 17p e 11q, la trisomia del cromosoma 12 e le mutazioni a

carico del gene TP53 e del gene ATM, identificano una malattia clinicamente più

aggressiva che richiede specifici trattamenti terapeutici. L’individuazione di tale

distintivo profilo biologico pertanto permette di identificare precocemente alla diagnosi

due gruppi di pazienti con prognosi differente, uno a prognosi sfavorevole per i quali

devono essere indicati trattamenti più aggressivi, e pazienti a prognosi favorevole o con

malattia stabile che possono avere un decorso clinico benigno senza necessitare di

alcun trattamento terapeutico. Parametri quali profilo morfologico e immunofenotipico di

LLC tipica, assenza dell’espressione dell’antigene CD38, IgHV mutate, assenza di

mutazioni del gene TP53, assenza di delezione del 17p e del11q e la presenza della

delezione del 13q sono stati associati a stabilità della malattia (Guarini A. et al, Blood

2003).

Un profilo biologico ben definito è stato anche identificato in un sottogruppo di pazienti

affetti da LLC in fase di regressione spontanea della malattia (Del Giudice I. et al, Blood

2009).

I numerosi sforzi volti a cercare dei criteri per definire la prognosi della malattia si

incrociano con la ricerca dei meccanismi patogenetici che ne stanno alla base.

La disregolazione del processo di morte cellulare programmata (apoptosi) è ormai

largamente riconosciuto come uno dei meccanismi principali nella patogenesi di

numerosi tumori; nella LLC essa assume un ruolo particolarmente importante. Le cellule

di LLC, infatti, non possiedono un’elevata capacità replicativa e sono per lo più bloccate

nelle fasi G0/G1 del ciclo cellulare ed il loro accumulo pertanto è legato alla perdita della

capacità di andare incontro ad apoptosi. E’ importante quindi capire se la resistenza

all’apoptosi sia legata a fattori intrinseci alla cellula o dipenda da messaggi esterni che

giungono dal microambiente in cui vive (Ghia P. et al., Adv. Cancer Res 2000; Collins

R.J. et al., Br. J. Haematol 1989). Per quanto riguarda i fattori intrinseci, molto

importante è l’equilibrio tra fattori pro- e anti-apoptotici. Tra questi, i principali regolatori

dell’apoptosi sono delle proteine appartenenti alla famiglia Bcl-2 (B-cell lymphoma-2)

che giocano un ruolo cruciale in questo meccanismo inibendo (Bcl-2, Bcl-xL, Bcl-w, Bfl-

1 e Mcl-1) o promuovendo (Bax, Bak, Bcl-xS, Bid, Bik e Hrk) l’apoptosi.

L’eterodimerizzazione tra membri pro- e anti-apoptotici di questa famiglia ed i livelli

68

relativi di entrambi i tipi di proteine, può determinare la predisposizione a rispondere ad

un determinato stimolo apoptotico (Packham G. et al, Immunology 2005).

Altri fattori intrinseci critici per il controllo dell’apoptosi sono rappresentati dalle proteine

p53 e ATM, la cui mancata o carente espressione dovuta sia alla presenza di delezione

delle regioni cromosomiche in cui mappano i geni che le codificano, sia a mutazioni

presenti nella regione genica, può alterare il fisiologico processo apoptotico.

La sopravvivenza dei linfociti B leucemici non è dovuta solo alla loro capacità di

resistere all’apoptosi, mediante i meccanismi precedentemente discussi, ma risulta

influenzata anche dall’ambiente circostante e dalle cellule che lo compongono (cellule

stromali e cellule “nurse-like”) (Caligaris-Cappio F. et al, Br. J. Haematol 2003). È stato

infatti dimostrato che le cellule B neoplastiche non sopravvivono in coltura e vanno

rapidamente incontro a morte. Linfociti T e diversi tipi di cellule aderenti chiamate

“cellule stromali” sono i principali elementi del microambiente che conferiscono

condizioni favorevoli per la crescita e la sopravvivenza delle cellule B leucemiche. Studi

in vivo indicano che alcune citochine prodotte dai linfociti T (IL4, INFα, INFγ) inibiscono

la risposta apoptotica delle cellule B neoplastiche, mediante up-regolazione di Bcl-2. Le

chemochine (CXCL e CCL) inoltre, presenti nel microambiente, e i loro recettori (CXCR

e CCR) rappresentano un gruppo di molecole che giocano un ruolo essenziale nella

circolazione dei linfociti e nell’attrazione degli stessi verso il sito di infiammazione.

L’infiltrazione dei linfociti B leucemici nel midollo osseo e negli organi linfatici è regolata

dalle interazioni delle chemochine con i loro recettori espressi dalle cellule B di LLC.

Dati recenti indicano che le cellule B neoplastiche esprimono specifici recettori per

chemochine e rispondono in maniera selettiva ad alcune di esse raggiungendo, così,

sedi precise (Trentin L. et al, Blood 1993; Trentin L. et al, Blood 2004)

Nonostante sia stata effettuata un’estesa caratterizzazione molecolare delle cellule di

LLC, si continuano a studiare altri meccanismi che possano svolgere un ruolo in tale

patologia. A tale scopo molti lavori hanno focalizzato la loro attenzione sui micro-RNA

(mirRNA), molecole che costituiscono l' 1-3% del genoma dei vertebrati e regolano

centinaia di geni differenti. I mirRNA sono una classe di piccoli RNA non codificanti che

modulano l’espressione genica a livello post-trascrizionale di diversi geni coinvolti nella

proliferazione cellulare, nel differenziamento, nell’apoptosi e svolgono funzioni

regolatorie nell'organogenesi. Alcuni di questi miR sono presenti in regioni genomiche

coinvolte in traslocazioni e delezioni presenti in leucemie e linfomi e questo dato ha

suggerito un possibile ruolo dei miR nella linfomagenesi. In particolare è stato riportato

69

un possibile coinvolgimento nell’oncogenesi della LLC del miR-15a e miR-16-1 (Fulci V.

et al, Blood 2007) presenti fisiologicamente sulla regione cromosomica 13q14 che

invece risulta deleta nella maggior parte dei casi di LLC. L'assenza o la down

regolazione dei miR-15 e miR-16 provoca la sovraespressione della oncoproteina Bcl2

e la conseguente deregolazione del processo apoptotico delle cellule leucemiche.

Per molti anni il trattamento iniziale della LLC è stata la somministrazione, in modo

continuo o ciclico, di agenti chemioterapici. Ma negli ultimi due decenni il trattamento

terapeutico dei pazienti con LLC è radicalmente cambiato. L’introduzione degli analoghi

delle purine come la Fludarabina (Keating MJ. et al, Hematology 1991), e degli anticorpi

monoclonali come le molecole chimeriche Campath-1H (anti-CD52) e Rituximab (anti-

CD20) (Lundin J. et al, Blood 2002; Pedersen I.M. et al, Blood 2002) nel trattamento di

questa forma di leucemia hanno mostrato un importante aumento sia della percentuale

di risposte complete, inclusa quella molecolare, sia di sopravvivenza libera da

progressione. Recentemente alcuni studi hanno anche mostrato come la

chemioimmunoterapia oggi può essere considerata il miglior trattamento per molti

pazienti con LLC (Abrisqueta P. et al, Blood 2009). Ma nonostante ciò molti pazienti

comunque progrediscono o mostrano complicazioni dovuti al trattamento terapeutico o

resistenza alla terapia iniziale, mostrando così una prognosi infausta. Pertanto la

sperimentazione clinica oggi ha come obiettivo l’utilizzo di nuovi agenti terapeutici utili in

questa fascia di pazienti con LLC. Gli anticorpi monoclonali come Ofatumumab

(Humax-CD20) e GA-101 (anti-CD20, RO 5072759) hanno permesso di ottenere un

miglioramento della risposta al trattamento (Montserrat E. et al, Hematology Ed 2010), e

l’uso di agenti immunomodulatori come la Lenalidomide, che agiscono sul

microambiente essenziale per preservare le cellule B neoplastiche dalla apoptosi,

hanno già mostrato avere una attività terapeutica nei pazienti con LLC. A questi

trattamenti terapeutici si sono aggiunti nuovi farmaci ad attività anti-tirosinchinasica

(ibrutinib, etc) capaci di inibire il pathway del BCR che svolge un ruolo molto importante

nella progressione della malattia e che dai primi dati sembrano produrre risultati molto

significativi nel controllo della malattia.(Byrd JC, N Engl J Med. 2013)

Diversi studi attualmente sono in fase di sperimentazione al fine di determinare il ruolo

di questi nuovi agenti terapeutici nella LLC non solo come terapia di prima linea ma

anche come terapia di mantenimento.

L’importanza di un corretto inquadramento nosologico riveste rilevanti implicazioni

clinico-prognostiche dal momento che ad ogni disordine linfoproliferativo si può

70

associare un andamento clinico diverso, un approccio terapeutico differenziato e una

prognosi differente.

Attraverso l’organizzazione di Consensus Conference, principalmente dall’“International

Working Group on CLL”, sono emerse indicazioni per la standardizzazione della

diagnosi, della stadiazione e dei criteri di valutazione della risposta al trattamento che

sono adottati a livello internazionale dai principali Istituti di Ematologia e Oncologia (Br J

Haematol, 2004).

71

Stato mutazionale dei geni delle catene pesanti

delle immunoglobuline

Come linfociti B maturi, le cellule di LLC esprimono il recettore delle cellule B (BCR)

sulla loro superficie, costituito da immunoglobuline (IgM e IgD) in associazione a

molecole non polimorfe Igα ed Igβ che mediante le sequenze ITAM (immunoreceptor

tyrosine-based activation motif) presenti nella loro coda citoplasmatica sono in grado di

mediare la funzione di trasduzione del segnale.

Durante la maturazione, i linfociti B proliferanti all’interno del centro germinativo

linfonodale, vanno incontro al processo dell’ipermutazione somatica a carico dei geni

riarrangiati delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline (Ig). Tali mutazioni si

concentrano nelle regioni variabili (V), principalmente in corrispondenza delle regioni

che determinano la complementarietà (CDR), e la presenza di mutazioni correla con un

aumento della affinità degli anticorpi rivolti verso l’antigene che ha dato origine alla

risposta.

Un importante progresso nella caratterizzazione della LLC, non solo a livello biologico

ma anche prognostico, è l’analisi molecolare delle sequenze nucleotidiche dei geni che

codificano per la regione variabile delle catene pesanti delle Ig. Circa il 50% di pazienti

affetti da LLC presentano mutazioni somatiche nella regione variabile delle catene

pesanti delle Ig riarrangiate.

Nel 1999, due studi pubblicati simultaneamente da Damle R.N. et al. e da Hamblin T.J.

et al. definirono l’importanza prognostica dello stato mutazionale dei geni IgVH nella

LLC.

In seguito la rilevanza prognostica dello stato mutazionale IgVH è stata confermata da

numerose pubblicazioni e, ad oggi, è considerato il miglior marcatore capace di predire

la progressione della malattia nei pazienti affetti da LLC.

Più in particolare sono stati identificati due gruppi di pazienti caratterizzati da una

configurazione mutata e non mutata dei geni IgHV. E’ stato ampiamente dimostrato che

questi due gruppi di pazienti hanno un andamento clinico significativamente diverso.

Mentre il gruppo con IgHV non mutate dimostra una più rapida progressione di malattia

e una prognosi sfavorevole (Keating M.J. et al, Hematology 2003), i pazienti con

ipermutazioni delle IgHV hanno un andamento clinico più indolente ed una prognosi

significativamente migliore, suggerendo che il differente stadio di maturazione delle

72

cellule, valutato secondo lo stato mutazionale dei geni IgHV può definire distinti

meccanismi patogenetici della LLC.

La mediana di sopravvivenza dei pazienti appartenenti al gruppo dei non mutati è di

circa 9-10 anni, mentre la sopravvivenza mediana del gruppo dei mutati è di circa 24

anni (Damle R.N. et al, Blood 1999; Hamblin. TJ et al, Blood 1999). Pazienti con IgVH

non mutate presentano caratteristiche sfavorevoli: morfologia atipica delle cellule del

sangue venoso periferico, caratteristiche citogenetiche quali trisomia del 12 e delezione

dell’11q e del 17p, evoluzione clonale, progressione della malattia e infine resistenza

alla terapia rispetto ai casi con geni IgVH mutati (Ghia P. et al, Crit Rev Oncol Hematol

2007).

La definizione di stato mutazionale mutato o non mutato è basato su un cut-off

arbitrariamente definito: le sequenze sono considerate non mutate se differiscono dalla

sequenza del gene in configurazione germinale in percentuale <2%.

Lo studio dello stato mutazionale è effettuato analizzando le sequenze IgVH ottenute dal

sequenziamento diretto di frammenti amplificati utilizzando 6/7 primers disegnati per

riconoscere i geni membri delle famiglie VH.

Il sequenziamento automatico delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline

oltre ad essere un importante strumento a livello prognostico, permette l’identificazione

dei diversi geni V(D)J riarrangiati utilizzati dalle cellule di LLC. Così i progressi

nell’identificazione dei geni Ig, il loro riarrangiamento, e le loro modificazioni a seguito

dell’attivazione e differenziazione delle cellule B ha fornito uno strumento utile per

studiare il grado di competenza, l’esperienza antigenica e lo stadio di maturazione delle

cellule B.

I recettori delle cellule B di LLC di vari pazienti sono spesso strutturalmente omologhi,

suggerendo che gli antigeni legati al recettore sono simili e rilevanti nella patogenesi

della LLC.

Le cellule di LLC che presentano uno stato non mutato dei geni che codificano per le

catene pesanti delle immunoglobuline utilizzano principalmente i geni appartenenti alla

famiglia VH1 all’interno della quale quello più frequentemente utilizzato è il gene VH1-69.

Le cellule di LLC che presentano invece uno stato mutato dei geni che codificano per le

catene pesanti delle immunoglobuline utilizzano principalmente i geni appartenenti alle

famiglie VH3 e VH4. All’interno di queste famiglie i geni più frequentemente utilizzati

sono i geni VH4-34, VH3-07 e VH3-23 la cui frequenza relativa può cambiare a seconda

delle caratteristiche cliniche delle varie coorti di pazienti studiate e diversa

73

localizzazione geografica. Anche l’utilizzo delle specifiche famiglie geniche VL e dei geni

appartenenti alle diverse famiglie appare non casuale come per il repertorio VH. Queste

caratteristiche possono indicare che i precursori delle cellule B ricevono diversi stimoli

da distinti tipi di antigeni prima della trasformazione leucemica e/o che i precursori sono

trasformati in cellule leucemiche in diversi stadi di maturazione (Chiorazzi N. et al, Annu

Rev Immunol 2003). La natura di questi antigeni è per ora sconosciuta, sebbene siano

possibili alcune speculazioni: è possibile che virus latenti o batteri commensali attivino

particolari cloni delle cellule B attraverso il BCR. La LLC potrebbe risultare, direttamente

o indirettamente, da specifiche infezioni ripetute. In alternativa è possibile che siano

antigeni o autoantigeni a provocare l’espansione clonale. Le cellule di LLC presentano

frequentemente recettori polireattivi, che legano antigeni multipli inclusi gli autoantigeni.

Questo meccanismo è possibile nei casi non mutati e in alcuni casi di LLC mutati con

geni IgVH codificanti per recettori polireattivi. Inoltre l’associazione di simili segmenti

V(D)J, con un unico residuo giunzionale, specialmente nella giunzione VL-JL, è stata

vista in anticorpi diretti contro polisaccaridi (Casadevall A. et al, J Exp Med 1991) o

contro determinati apteni chimici (Milner E.C. et al, J Immunol 1982; Wysocki L.J.et al, J

Exp Med 1987) così come la presenza di un’arginina nella giunzione VL-JL è

caratteristica dell’anticorpo umano diretto contro l’antigene capsulare polisaccaridico

dell’Haemophilus Influenzae di tipo B (Insel R.A. et al, Int Rev Immunol 1992).

Il sequenziamento automatico delle immunoglobuline permette, inoltre, di studiare la

composizione, la lunghezza e le implicazioni del CDR3 tra i diversi cloni delle cellule B.

La lunghezza del CDR3, infatti, varia a seconda della famiglia VH utilizzata nel

riarrangiamento del clone di LLC: (VH4>VH1>VH3) e del gene appartenete a tale

famiglia. La lunghezza media del CDR3 dei casi che esprimono il gene VH3-07 è molto

corta, mentre la lunghezza media dei casi che esprimono il gene VH1-69 è molto più

lunga (Chiorazzi N. et al, Curr Top Microbiol Immunol.2005).

Un'altra rilevante caratteristica riscontrata sulle cellule di LLC è la presenza di particolari

combinazioni dei geni VH/VL: il gene VH1-69 si associa più frequentemente con la

catena leggera codificata dal gene Vκ3-20, i geni VH4-34 e VH4-39, si trovano in

associazione con le catene leggere codificate dai geni Vκ2-30 e Vκ1-39 rispettivamente

(Stamatopoulos K. et al, Blood 2005) e il gene VH3-21 si ritrova invece in associazione

con le catene leggere codificate dal gene Vλ3-21 o Vλ2-14 (Tobin G. et al, Blood 2003).

Tutte queste particolarità riscontrate nella struttura dei diversi BCR sono il possibile

risultato di una selezione da parte di diversi epitopi antigenici.

74

Nonostante non sia ancora chiaro, molti studi supportano l’idea che la stimolazione

antigenica sia un prerequisito essenziale per l’evoluzione delle cellule di LLC anche nei

casi che non esibiscono mutazioni sui geni IgVH. Inoltre recenti studi sui segnali di

competenza hanno rilevato che i casi non mutati di LLC tendono ad esprimere una

maggiore quantità di BCR e rispondono meglio alla stimolazione se comparati ai casi

mutati di LLC. Questi risultati portano all’idea che i casi non mutati mantengano la loro

abilità di rispondere alla stimolazione del BCR, mentre i mutati divengono simili a cellule

anergiche. Sono stati proposti numerosi modelli per spiegare la derivazione delle cellule

mutate e non mutate. In particolare un importante studio di Chiorazzi N. e Ferrarini M.

ha proposto due modelli. Il primo ipotizza che le cellule mutate possano derivare da

cellule B stimolate da antigeni T-dipendenti che dirigono le cellule attraverso la classica

reazione che avviene nel centro germinativo, mentre le cellule non mutate potrebbero

derivare da cellule B presenti nella zona marginale e che siano guidate da un processo

T-indipendente che non richiede la presenza delle cellule T o di mutazioni somatiche. Il

secondo modello suggerisce la derivazione di entrambe i casi mutati e non mutati da

cellule B della zona marginale che rispondono ad una stimolazione T indipendente che

possono o meno sviluppare mutazioni somatiche. Oppure che le cellule possano

derivare da entrambe i modelli (Chiorazzi N. et al, Annu Rev Immunol 2003). Infine, è

possibile che la stimolazione antigenica possa promuovere un'evoluzione intraclonale

che porta ad un accumulo di mutazioni deleterie al DNA e quindi ad un più aggressivo

decorso clinico.

In conclusione gli studi sullo stato mutazionale delle catene pesanti delle Ig, sui

riarrangiamenti VHDJH, sulle combinazioni VH/VL e sulle caratteristiche funzionali del

BCR hanno fornito considerevoli informazioni riguardo le caratteristiche delle cellule B

leucemiche e sulla possibile patogenesi di questa patologia, ma ulteriori studi sono

necessari per confermare le varie ipotesi sui meccanismi di trasformazione leucemica.

75

Obiettivo dello Studio

Nell’ambito della LLC è stato messo in evidenza come pazienti aventi una MMR

negativa abbiano una sopravvivenza libera da progressione più lunga ed una migliore

sopravvivenza globale. Pertanto la MMR viene identifica come un marcatore

prognostico in diversi protocolli terapeutici.

La valutazione molecolare di RQ-PCR della MMR richiede l'identificazione al momento

della diagnosi di bersagli molecolari specifici del paziente, come i riarrangiamenti genici

della catena pesante delle immunoglobuline (IGH), sui quali sono costruiti primer e

sonde, utilizzati per il monitoraggio della malattia durante il follow- up. La presenza di

mutazioni somatiche nella regione IGH durante la maturazione delle cellule B nel centro

germinativo, presenti in circa la metà dei pazienti con LLC e nel 20% dei pazienti con

linfoma mantellare (LCM), potrebbe influenzare l'analisi di MMR. Pertanto, diverse

strategie per la progettazione di primer e sonde sono state sviluppate per ottimizzare

l'analisi molecolare, in base alle caratteristiche del gene IGH.

L'obiettivo di questo studio è stato quello di confrontare due strategie di costruzione

primers/sonda su una serie di LLC e LCM con un alto carico mutazionale IGH per

identificare la tecnica di elezione nel monitoraggio della MMR in queste neoplasie.

76

Materiali e Metodi Pazienti e campioni studiati

Questo studio è stato eseguito su due serie di campioni. La prima serie è stata fornita

dalla Divisione di Ematologia dell'Università di Torino e consisteva di 14 campioni di

pazienti affetti da leucemia linfatica cronica (n=7) e linfoma mantellare (n=7), senza

criteri di selezione a parte la disponibilità di materiale. La seconda serie è stata fornita

dalla Divisione di Ematologia dell'Università' “Sapienza” di Roma e consisteva di 11

campioni di pazienti affetti da leucemia linfatica cronica, selezionati sulla base di una

percentuale elevata di mutazioni (>5%) della regione variabile della catena pesante

delle immunoglobuline (IGHV).

La diagnosi di LLC è stata effettuata sulla base della presenza di più di 5.000 linfociti/μL

patologici presenti nel sangue periferico e di criteri morfologici e immunofenotipici

(CD5+/CD20+, CD23+, bassa intensità di espressione delle sIg e CD22, CD10-).

La diagnosi di linfoma mantellare, così come quella di tutti i linfomi, è istologica ed è

stata effettuata sull’esame morfologico ed immunoistochimico del tessuto linfonodale

patologico.

I linfociti neoplastici del linfoma mantellare esprimono la positività ai marcatori di linea

B (CD19, CD20, CD79a) e per il CD5, antigene normalmente espresso sulla

popolazione linfocitaria T e presente anche sulle cellule di LLC. La diagnosi

differenziale con tale patologia è possibile grazie all’uso del CD23 e del CD20

(positivi nella LLC e negativi nel linfoma mantellare).

Estrazione del DNA e analisi IGH

L’analisi eseguita è stata effettuata sulle cellule mononucleate del sangue periferico

(PBMC: periferal blood mononucleated cell) dei pazienti affetti da LLC/LCM isolate

mediante la separazione su gradiente di densità Ficoll. A partire da un pellet di cellule

contenenti circa 5-10 x106 PBMC è stato estratto il DNA genomico mediante Wizard

Genomic DNA Purification Kit (Promega Corp., Madison, Wisconsis, USA).

La determinazione della purezza e della concentrazione del DNA estratto è stata

valutata mediante lo spettrofotometro Epperndorf BIOPhotometer (Eppendorf AG,

Hamburg, Germany), ed i campioni che presentavano un rapporto di A260/A280

compreso tra 1.8 e 1.9, sono stati diluiti con acqua deionizzata al fine di ottenere una

77

concentrazione standard di DNA di 100µg/mL. La qualità del DNA è stata valutata a

seguito di una corsa elettroforetica su gel d’agarosio dove un DNA genomico di buona

qualità presentava una sola banda ad alto peso molecolare.

Un totale di 300 ng di DNA genomico sono stati amplificati mediante reazione di

amplificazione Polymerase Chain Reaction (PCR) utilizzando il termociclatore

GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA).

L’amplificazione è stata ottenuta mediante un’unica PCR utilizzando i primers di senso

relativi alla regione Leader e FR1 della regione variabile ed un primer antisenso

consensus relativo alla regione FR4 della regione di giunzione delle immunoglobuline

(Ghia P et al, Leukemia 2007).

Le condizioni di PCR per l’amplificazione del DNA genomico sono state le seguenti:

viene eseguita una denaturazione iniziale a 95°C per 5’, successivamente si effettuano

denaturazione, annealing ed estensione per 35 cicli rispettivamente a 95°C per 30’’,

60°C per 30’’ e 72°C per 30”. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per 10’.

La separazione e l’identificazione degli amplificati di PCR è stata eseguita mediante

corsa elettroforetica su gel di agarosio al 2% in TBE 1X, contenente 5 µl/100ml di

bromuro d’etidio (SIGMA-ALDRICH, St. Louis; MO, USA) come agente intercalante del

DNA.

Sequenziamento e analisi del gene

I prodotti di PCR sono stati sequenziati direttamente secondo metodo Sanger con

marcatura fluorescente utilizzando il kit di reazione BigDye Terminator v3.1 Cycle

Sequencing Kit (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA) e il termociclatore

GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). Durante la

sintesi del filamento di DNA i didesossinucleotiditrifosfati (ddNTP) marcati con quattro

differenti fluorocromi vengono, mediante l’enzima DNA polimerasi, inseriti al filamento

stampo impedendo l’aggiunta di ulteriori nucleotidi. Al termine della reazione di

sequenza la miscela di singoli frammenti di DNA ottenuta è stata purificata utilizzando il

kit DyeEx 2.0 Spin Kit (QIAGEN, Valencia, CA, USA) che permette di eliminare i ddNTP

fluorescenti in eccesso non incorporati attraverso il principio cromatografico della gel-

filtrazione su colonnine contenenti resina. I frammenti di DNA purificati sono stati

sottoposti ad elettroforesi capillare mediante il sequenziatore ABI PRISM® 3100-Avant

Genetic Analyzer (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’acquisizione dei dati

78

relativi ai campioni è stata eseguita utilizzando il software 3100-Avant Data Collection

Software e le sequenze sono state analizzate mediante il programma ABI PRISM® DNA

Sequencing Analysis Software (Versione 3.7), e visualizzate come elettroferogrammi.

L'interpretazione dei risultati è stata eseguita allineando le sequenze nucleotidiche

ottenute alla directory IMGT (international ImMunoGeneTics information system) per

l'identificazione di riarrangiamenti IGH ed il calcolo del carico mutazionale.

Disegno di primer e sonde per l'analisi RQ -PCR

I Primer e le sonde sono state progettate per tutti i campioni secondo due diverse

strategie, e precisamente il metodo A ed il metodo B, adottati dai due diversi centri

ematologici di provenienza, Torino e Roma.

La differenza principale tra i due metodi è rappresentata dal posizionamento dei primers

e delle sonde sulle regioni VDJ. In particolare, nel metodo A i primers di senso e

antisenso sono progettati sulla specifica sequenza del paziente, mentre nel metodo B

solo l'oligonucleotide di senso è sequenza-specifico, essendo la sonda ed il primer

antisenso in configurazione germinale.

Per il metodo A (figura 3), il primer di senso è stato costruito sulla seconda regione

determinante la complementarietà (CDR2) o FR3, mentre il primer antisenso è sempre

costruito sulla regione altamente ipervariabile CDR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow

Transplant 2000).Le sonde di senso per l' analisi di RQ- PCR sono state costruite sulla

regione FR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow Transplant 2000).

Per il metodo B (figura 4), l'analisi della RQ-PCR è stata effettuata con solo un primer

paziente-specifico, in combinazione con la sonda fluorescente ed il primer reverse,

disegnati sulla regione germinale di ogni riarrangiamento (Cazzaniga G et al,

Haematologica; 2005; Donovan JW et al, Blood 2000). L' innesco di senso è

posizionato sulla regione CDR3 ed il primer antisenso insieme con la sonda sulla

regione FR4, dove è inclusa la porzione del JH. Le curve standard per le valutazioni

preliminari degli oligo costruiti sono state preparate a partire da diluizioni seriali del

campione della diagnosi, nel DNA estratto da un pellet di cellule mononucleate

proveniente da un pool di sangue venoso periferico (PBL) di 5 donatori sani e portato

alla concentrazione di 100 μg/ml.

I saggi sono stati allestiti per raggiungere una gamma di sensibilità e quantificabilità

≥10-4, con uno slope della curva compreso tra 3.1 e 3.9 ed un coefficiente di

79

correlazione ≥0,98, secondo le linee guida della ESG-MRD–ALL (van der Velden VHJ

et al, Leukemia 2007).

Le reazioni sono state preparate utilizzando i reagenti del kit TaqMan PCR Core

Reagent (PE Applied Biosystems, Foster City CA, USA) e processate nell' ABIPrism

7900 (metodo A) e nell' ABIPrism 7300-7500 (metodo B) alle seguenti condizioni:

un'incubazione iniziale di 2 minuti a 50°C e 10 minuti di denaturazione a 95°C, seguite

da 42 cicli (metodo A) e 50 cicli (metodo B) di denaturazione a 95°C per 15 secondi ed

annealing a 60-62°C per 1 minuto e a 58-63°C, rispettivamente, per il metodo A e B.

Per entrambi i metodi sono state rispettate le linee guida per l'analisi di RQ-PCR per i

riarrangiamenti IGH, ESG-MRD-ALL (European Study Group on MRD Detection for

ALL) al fine di stabilire i range quantitativi e di sensibilità per tutti i pazienti (van der

Velden VHJ et al, Leukemia 2007).

Figura 3: metodo A; il primer di senso è stato costruito sulla seconda regione determinante la complementarietà (CDR2), mentre il primer antisenso è sempre costruito sulla regione altamente ipervariabile CDR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow Transplant 2000).Le sonde di senso per l' analisi di RQ- PCR sono state costruite sulla regione FR3 (Ladetto M et al, Biol Blood Marrow Transplant 2000).

Figura 4: metodo B; l' innesco di senso paziente-specifico è posizionato sulla regione CDR3 ed il primer antisenso insieme con la sonda, in configurazione germinale, sulla regione FR4, dove è inclusa la porzione del JH (Cazzaniga G et al, Haematologica; 2005; Donovan JW et al, Blood 2000).

L FR1 FR2 FR4 FR3 CDR1 CDR2 CDR3

primer 5’ patient specific

primer 3’ patient specific

Consensus/ specific probe derived from FR3

Q R R Q

FR1 FR2 FR4 FR3 CDR1 CDR2 CDR3 L

primer 5’ patient

specific

primer 3’

consensu

Consensus

probe

Q R R Q

JH

80

Risultati Riarrangiamenti del gene IGH e analisi di mutazione

Su 25 campioni di pazienti affetti da LLC (18) e LCM (7) analizzati al momento della

diagnosi, sono state trovate venticinque ricombinazioni: 12 appartenenti alla famiglia

genica IGHV3, 6 a IGHV4, 5 a IGHV1, 1 a IGHV2 e 1 a IGHV6.

I geni più frequentemente osservati sono stati: IGHV3-30 (3/12), IGHV3-7 (3/12), IGHV4

-34 (3/6), IGHV1-46 (2/5) e IGHV1-8 (2/5).

Tra i riarrangiamenti genici IGHD, le famiglie più comuni identificate sono state: IGHD3

(11/25), seguita da IGHD2 (4/25) e IGHD6 (4/25). Il segmento IGHD2-15 era il gene più

frequentemente utilizzato nella famiglia IGHD2 (75%).

Per i riarrangiamenti genici IGHJ, è stato riscontrato un utilizzo frequente del IGHJ4

(14/25) e IGHJ6 (5/25) (Tabella 1 e Tabella 1 supplementare).

In base all' analisi dello stato mutazionale, 22/25 (88%) campioni (17 LLC, 5 LCM)

avevano mutazioni >2% e di conseguenza sono stati classificati come mutati, mentre i

restanti 3 (12%, 1 LLC, 2 LCM) hanno mostrato mutazioni <2% e sono stati classificati

come non mutati. Venti dei 25 (80%) campioni (15 LLC e 5 LCM) hanno mostrato un

carico mutazionale >5%.

I geni della regione del IGHJ hanno mostrato una percentuale di mutazioni da 0 a

29,4%, con un valore mediano del 10,42%. 23/25 (92%) campioni presentavano

mutazioni >2% (16 LLC e 7 LCM) e 18/25 (72%) hanno mostrato una carico mutazionale

>5% (13 LLC e 5 LCM)(Tabella 2).

Tabella 1: Frequenza in % delle famiglie IGH osservata nei 25 campioni studiati.

Famiglia IGH

IGHV1 IGHV2 IGHV3 IGHV4 IGHV6 IGHD1 IGHD2 IGHD3 IGHD4 IGHD6 IGHJ3 IGHJ4 IGHJ5 IGHJ6

% 20 (5/25)

4 (1/25)

48 (12/25)

24 (6/25)

4 (1/25)

12 (3/25)

16 (4/25)

44 (11/25)

12 (3/25)

16 (4/25)

8 (2/25)

56 (14/25)

12 (3/25)

20 (5/25)

Tabella 2: % di mutazione sulle regioni V e J della catena pesante delle Ig nei 25 campioni studiati.

Patologia Campioni % Mut. IGHV>2%

% Mut. IGHV<2%

% Mut. IGHV>5%

% Mut. IGHJ>2%

% Mut. IGHJ<2%

% Mut. IGHJ>5%

LLC LCM Toale

18 7 25

94 (17/18) 71 (5/7)

88 (22/25)

5 (1/18) 27 (2/7)

12 (3/25)

83 (15/18) 71 (5/7)

80 (20/25)

89 (16/18) 100 (7/7) 92 (23/25)

11 (2/18) 0 (0/18) 8 (2/25)

72 (13/18) 71 (5/7)

72 (18/25)

81

Tabella 1 supplementare: Riarrangiamenti genici IGHV, IGHD e IGHJ e % di mutazione IGHV e IGHJ nei 25 campioni studiati.

Patologia

% Mut. IGHV

IGHV IGHD IGHJ % Mut. IGHJ

LCM 1 12,7 4-4 6-13 JH6 13,13

LCM 2 9,96 1-8 6-19 JH5 2

LCM 3 10,2 3-74 3-10 JH4 10,42

LCM 4 7,8 3-15 6-6 JH3 18

LCM 5 6,35 4-34 3-22 JH4 29,41

LCM 6 0 2-5 3-9 JH6 3,23

LCM 7 0,9 4-59 3-3 JH4 6,25

LLC 1 5,6 3-9 3-3 JH4 12,5

LLC 2 9,5 3-66 3-10 JH4 10,4

LLC 3 14,5 3-30 2-15 JH5 5,88

LLC 4 12,08 3-30 1-26 JH4 10,64

LLC 5 15 3-23 4-17 JH4 8,33

LLC 6 4,19 3-21 4-23 JH6 13,46

LLC 7 0 1-69 2-15 JH6 1,8

LLC 8 6,4 3-30 3-9 JH4 4

LLC 9 10,2 4-34 3-9 JH4 4,2

LLC 10 11,5 1-46 3-22 JH1 20,8

LLC 11 7,8 3-07 1-27 JH4 13,64

LLC 12 7,9 1-46 2-21 JH4 0

LLC 13 5,8 6-01 3-16 JH4 12,5

LLC 14 8,7 4-34 3-22 JH3 2

LLC 15 9,5 3-07 4-23 JH4 14,6

LLC 16 5,5 4-59 2-15 JH5 5,9

LLC 17 7,4 3-07 6-13 JH4 16,7

LLC 18 2,4 1-08 1-26 JH6 25,8

82

Confronto tra diverse strategie di disegno di set di primers/probe per la valutazione RQ -

PCR

24/25 (96%) campioni sono risultati valutabili in RQ-PCR con almeno un metodo e 5/25

(20 %) campioni con entrambi i metodi.

Ventitre dei 25 (92 %) campioni (17 LLC e 6 LCM) sono risultati valutabili utilizzando il

metodo A, mentre 6/25 (24 %)(1 LLC e 5 LCM) sono risultati valutabili con il metodo B

(Tabella 3).

In particolare, 1 (4 %) campione (caso LLC9) non è stato valutabile per entrambi i

metodi ed un altro caso (caso LCM1) non è stato valutabile con il metodo A, ma è

risultato valutabile con il metodo B. Al contrario, il metodo A è risultato “vincente” in 18

dei 19 casi che non sono stati valutati con il metodo B.

Un confronto della fattibilità dei due approcci è mostrato nelle tabelle supplementari 2 e

3.

Tabella 3: Grado di successo della RQ-PCR secondo il metodo A ed il metodo B.

Patologia Pazienti Pz valutati con il

metodo B

Pz valutati con il

metodo A

Pz valutati con

entrambi i metodi

Pz valutati con almeno 1 metodo

Pz non valutabili

LLC LCM

Totale

18 7 25

1 5 6

17 6 23

1 4 5

17 7 24

1 0 1

83

Tabella 2 supplementare: Determinazione della curva standard. Valutazione della sensibilità e del range

quantitativo secondo il metodo A.

Patologia sensibilità Range Quantitativo

Slope Coefficiente Correlazione

LCM 1 NV NV

LCM 2 10-4 10-4 3,2 0,99

LCM 3 10-5 10-4 3,8 1

LCM 4 10-5 10-4 3,6 1

LCM 5 10-5 10-4 3,7 1

LCM 6 10-5 10-5 3,2 1

LCM 7 10-4 10-4 3,5 1

LLC 1 10-5 10-4 3,6 1

LLC 2 10-4 10-4 3,4 1

LLC 3 10-4 10-4 3,9 1

LLC 4 10-5 10-4 3,3 1

LLC 5 10-4 10-4 3,7 0,99

LLC 6 10-4 10-4 3,6 1

LLC 7 10-5 5x10-5 3,3 1

LLC 8 10-5 10-5 3,5 0,99

LLC 9 NV NV

LLC 10 10-4 10-4 3,6 0,99

LLC 11 10-4 10-4 3,1 1

LLC 12 10-5 5x10-5 3,4 0,99

LLC 13 10-4 10-4 3,2 0,99

LLC 14 10-5 10-4 3,5 1

LLC 15 10-5 10-4 3,5 1

LLC 16 10-5 10-4 3,8 1

LLC 17 10-4 10-4 3,5 0,99

LLC 18 10-4 10-4 3,4 1

84

Tabella 3 supplementare: Determinazione della curva standard. Valutazione della sensibilità e del range

quantitativo secondo il metodo B.

Patologia sensibilità Range Quantitativo

Slope Coefficiente Correlazione

LCM 1 10-4 10-4 3,5 0,99

LCM 2 10-5 10-4 3,1 1

LCM 3 NV NV NV NV

LCM 4 10-5 10-4 3,4 0,99

LCM 5 NV NV NV NV

LCM 6 10-4 10-4 3,6 1

LCM 7 10-4 10-4 3,4 0,99

LLC 1 NV NV NV NV

LLC 2 NV NV NV NV

LLC 3 NV NV NV NV

LLC 4 NV NV NV NV

LLC 5 NV NV NV NV

LLC 6 10-5 10-5 3,5 1

LLC 7 NV NV NV NV

LLC 8 NV NV NV NV

LLC 9 NV NV NV NV

LLC 10 NV NV NV NV

LLC 11 NV NV NV NV

LLC 12 NV NV NV NV

LLC 13 NV NV NV NV

LLC 14 NV NV NV NV

LLC 15 NV NV NV NV

LLC 16 NV NV NV NV

LLC 17 NV NV NV NV

LLC 18 NV NV NV NV

85

Correlazione tra il carico mutazionale IGH e le performance di RQ-PCR

Per spiegare il diverso andamento dei due metodi, sono stati correlati i risultati di RQ-

PCR con lo stato ed il carico mutazionale delle regioni VH e JH.

Il metodo A è stato eseguibile indipendentemente dal carico mutazionale di VH e JH.

Infatti, solo 2/22 (9%) casi mutati IGHV e 2/21 (9,5 %) casi mutati IGJH sono risultati

non valutabili.

Al contrario, lo scarso rendimento del metodo B è risultato evidente per la presenza di

casi mutati IGHV/J: 18/22 (81,8 %), casi IGHV mutati e 17/21 (80,9 %) casi IGJH mutati

non erano valutabili. Vale la pena notare che in una serie di CLL con IGHV/J in

configurazione germinale, il metodo B ha avuto successo in 21/23 casi (91 %).

Tuttavia, non è stata trovata una correlazione specifica tra il carico di mutazioni nella

regione VH e JH e le prestazioni del metodo B. Infatti, i 6 casi valutabili con il metodo B

mostravano una configurazione IGHV germinale in 1 caso ed una vasta gamma di

mutazioni IGHV (0,9-12,7 %) negli altri 5 casi. Allo stesso modo, il carico mutazionale

del JH è stato del 2%, 3,23%, 6,25 %, 13.46 %, 16.13 % e 18 %, rispettivamente.

86

Conclusioni Nelle malattie linfoproliferative croniche, l'uso della MMR è stato finora un comune end

point nella valutazione della risposta in molti studi clinici, permettendo lo studio della

cinetica di deplezione delle cellule tumorali e la previsione di recidiva, con la possibilità

di rappresentare ben presto uno strumento di guida terapeutica (Rawstron AC et al,

Leukemia 2013).

Solo l’impiego di tecniche dotate di adeguata sensibilità, specificità nel riconoscimento

delle cellule patologiche, di stabilità dei marcatori utilizzati e di riproducibilità, può

permettere di distinguere tra loro i pazienti in remissione sulla base dei diversi livelli di

MMR permettendo così, una più precisa definizione di “stato di remissione”.

Nell’ambito della LLC è stato messo in evidenza come pazienti aventi una MMR

negativa abbiano una sopravvivenza libera da progressione più lunga e una migliore

sopravvivenza globale. Pertanto la MMR viene identificata come un marcatore

prognostico in una malattia considerata non ancora eradicabile, in diversi protocolli

terapeutici.

La valutazione molecolare di RQ-PCR della MMR richiede l'identificazione al momento

della diagnosi di bersagli molecolari specifici del paziente, come i riarrangiamenti genici

della catena pesante delle immunoglobuline (IGH), sui quali sono costruiti primers e

sonde, utilizzati per il monitoraggio della malattia durante il follow- up. La presenza di

mutazioni somatiche nella regione IGH durante la maturazione delle cellule B nel centro

germinativo, presenti in circa la metà dei pazienti con LLC e nel 20% dei pazienti con

linfoma mantellare (MCL), potrebbe influenzare l'analisi di MMR. Pertanto, diverse

strategie per la progettazione di primers e sonde sono state sviluppate per ottimizzare

l'analisi molecolare, in base alle caratteristiche del gene IGH.

Lo scopo di questo studio è stato quello di confrontare due diversi approcci nella

progettazione di primers/sonda specifici per eseguire le analisi quantitative e valutarne

l'applicabilità, specificità e sensibilità nel contesto delle malattie linfoproliferative a

cellule B caratterizzate da un carico mutazionale variabile delle regioni IGHV e IGHJ

della catena pesante delle immunoglobuline.

La differenza principale tra il metodo A ed il metodo B risiedeva sia nel diverso

posizionamento dei primers e delle sonde su sequenze IGH sia nella specificità del

sistema.

Nel metodo A, entrambi i primers senso e antisenso erano specifici per la sequenza

87

(come potrebbe essere anche la sonda in casi difficili). Nel metodo B, solo

l'oligonucleotide senso era paziente-specifico, mentre le sonde ed il primer antisenso

erano in configurazione germinale. Per quanto riguarda il posizionamento del set

primers/sonda sulla sequenza, nel metodo A i primers senso e antisenso erano

posizionati sulla regione del CDR2 e CDR3 rispettivamente, mentre la sonda era posta

sulla regione FR3; nel metodo B il primer senso era posizionato sulla regione CDR3 ed

il primer antisenso insieme con la sonda sulla regione FR4, dove è inclusa la porzione

del JH. Pertanto, i due metodi avevano una singola regione in comune, la CDR3, dove il

metodo A pone l'oligonucleotide antisenso ed il metodo B quello di senso. Il metodo B

deriva dalle linee guida del Gruppo europeo di studio sulla valutazione della MMR per le

LAL, una neoplasia che non è influenzata da mutazioni di sequenza, e permette

valutabilità di analisi in >90% dei casi.

Il confronto tra le due strategie di progettazione ha mostrato che il 92% dei campioni

sono stati valutati utilizzando il metodo A, mentre solo il 24% sono stati esaminati con

metodo B, dimostrando che il metodo A rappresenta una strategia più potente per

l'analisi RQ-PCR per le malattie linfoproliferative a cellule B, quali LLC o LCM, dove le

mutazioni a carico delle regioni IGHV e IGHJ si verificano in un notevole numero di casi.

Le mutazioni sono più frequenti nelle regioni CDR1 e CDR2, che nel FR3 e meno

frequenti nelle regioni FR1 e FR2. Su queste basi, il metodo A è risultato efficace

indipendentemente dallo stato mutazionale IGHV/J, grazie alla capacità di eludere le

zone colpite dalle mutazioni ed evitando un annealing abortivo o improprio del primer

sul CDR. Al contrario, la prestazione del metodo B è stata influenzata dallo stato

mutazionale IGHV/J, poiché l'annealing del primer antisenso e della sonda è

certamente condizionato dal loro posizionamento sulla regione JH.

Inoltre, la lunghezza del CDR3 varia a seconda dell'età, della fase di maturazione delle

cellule B e lo stato ipermutato del gene VH. Infatti, la lunghezza della regione CDR3

aumenta durante la vita fetale fino alla nascita e non continua nella vita adulta nei topi e

nell'uomo (Xue W et al, Human Immunology 1997). Questo è dovuto alla riduzione della

lunghezza delle catene pesanti come cellula B matura (Rosner K et al, Immunology

2001). Inoltre, anticorpi mutati hanno regioni CDR3 brevi rispetto anticorpi non mutati.

Queste caratteristiche sono riflesse dalle differenze nel profilo VDJ tra LLC (Duke VM et

al, Haematologica 2003), in quanto la LLC mutata ha un CDR3 più breve della LLC non

mutata.

Per il metodo A, un breve CDR3, purché riconosciuto all'interno di un riarrangiamento

88

VDJ, è sufficiente per un corretto annealing del primer antisenso. Al contrario, per il

metodo B, un breve CDR3 influenza la funzionalità d'innesco del primer di senso e

quindi il successo delle analisi RQ-PCR.

Per concludere possiamo dire che: i) la presenza di mutazioni somatiche in malattie

linfoproliferative a cellule B è un marcatore fenotipico che influenza la sua analisi; ii) le

diverse strategie di posizionamento del primer/sonda influenzano fortemente il

successo o il fallimento di RQ-PCR; iii) nessun carico mutazionale specifico è stato

identificato come responsabile del successo o del fallimento delle performance.

E' quindi necessario riformulare le strategie molecolari per valutare la MMR secondo la

biologia e le caratteristiche del recettore delle cellule B della malattia in esame, in un

momento in cui il monitoraggio MMR sta diventando sempre più frequentemente

utilizzato per la gestione dei pazienti con malattie linfoproliferative a cellule B.

89

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III° Progetto: La malattia minima residua condiziona la prognosi dei pazienti affetti da linfoma follicolare: risultati del trial FIL FOLL05.

97

Il Linfoma Follicolare

Il linfoma follicolare (LF) è un linfoma a basso grado che origina dalle cellule B

centrofollicolari dei centri germinativi dei linfonodi, rappresenta il 20-25% di tutti i linfomi

non Hodgkin ed è il più frequente linfoma a cellule B dei paesi occidentali mentre è raro

nei paesi asiatici.

La neoplasia colpisce in egual modo entrambi i sessi ed insorge mediamente intorno ai

50/60 anni. Meno del 10% dei pazienti ha età inferiore ai 30 anni.

La sopravvivenza dei pazienti è molto variabile, con una media di 8-10 anni e tende ad

aumentare, grazie all'introduzione dell'immunoterapia.

La diagnosi di malattia si basa sull'esame istologico di biopsie escissionali di linfonodi o

di altro campione chirurgico.

La diagnosi istologica si rifà ai criteri classificativi stabiliti dalla “World Health

Organization” (WHO) (Jaffe ES, Hematology 2009). I LF sono caratterizzati da un

pattern di crescita follicolare oppure follicolare e diffuso.

Sulla base del numero medio di centroblasti presenti nella lesione neoplastica, si

distinguono secondo la classificazione WHO i LF di grado 1, con una predominanza di

piccole cellule (0-5 centroblasti per campo); quelli di grado 2, di tipo “misto” (6-15) e

quelli di grado 3, LF “a grandi cellule” (più di 15).

I LF di grado 3 si suddividono in 3a e 3b. I 3a esprimono ancora una componente

centrocitaria, i 3b mostrano invece un “tappeto di centroblasti” e sono maggiormente

assimilabili al linfoma non Hodgkin diffuso a grandi cellule.

Il grado istologico del tumore, è un utile indicatore del decorso clinico della malattia.

In questo senso, l'ultima versione della classificazione WHO, approvata nel 2008, ha

raggruppato insieme i LF di grado 1, 2 e 3a essendo simili dal punto di vista

prognostico; diversificandoli nettamente dai LF di grado 3b che mostrano una prognosi

decisamente peggiore a causa della loro aggressività. In particolare tali neoplasie

mostrano spesso cariotipi complessi e mutazioni di geni come TP53.

Da un punto di vista immunofenotipico, le cellule tumorali dei LF esprimono

immunoglobuline di superficie (soprattutto IgM e IgD), le catene leggere delle Ig kappa

o lambda ed antigeni pan B quali CD19, CD20, CD22, CD79a e b. Inoltre risultano

negative per CD5 e CD43 ed in circa il 60% dei casi positive per il CD10. La positività

per il CD10 si è dimostrata utile per distinguere il LF dai linfomi della zona marginale; la

negatività per CD5 e CD43 per distinguerlo dalla leucemia linfatica cronica.

98

Il marcatore distintivo del LF è la traslocazione dei cromosomi 14 e 18

[t(14;18)(q32;q21)]. Questa alterazione genetica è presente nel 70-95% dei casi di

malattia (Yunis JJ et al, N Engl J Med 1987; Cleary ML et al, Cell 1986) e causa la

giustapposizione del gene anti-apoptotico BCL-2 (18q21) alla regione JH del gene della

catena pesante delle immunoglobuline (Ig) (14q32). Questo si traduce nell'aumentata

espressione del gene e nell'accumulo della proteina bcl-2 nelle cellule tumorali. Si

produce infatti una proteina di fusione bcl-2/IGH funzionale.

L'alterazione citogenetica nasce negli stadi iniziali di sviluppo della cellule B, durante il

meccanismo di riarrangiamento delle Ig (Kuppers R et al, N Engl J Med 1999) ed è

generalmente presente già al momento dell'esordio.

Altre traslocazioni possono presentarsi nei casi di LF e queste sono le t(2;18)(p11;q21)

e la t(18;22)(q21;q11), che vedono rispettivamente la traslocazione di BCL-2 accanto ai

geni delle catene leggere kappa e lambda delle Ig (IGΚ) e (IGL).

Nell'ultimo decennio la tecnica del “gene expression profiling” ha permesso

l'identificazione di set di geni con un valore prognostico indipendente dai convenzionali

parametri clinici e patologici (Dave SS et al, N Engl J Med 2004; Glas AM et al, J Clin

Oncol 2007).

In particolare sono stati definiti due profili di espressione genica distinti, chiamati

“immune-response 1” e “immune-response 2” associati rispettivamente ad una

prolungata e ad una ridotta sopravvivenza.

I geni associati a buona prognosi sono espressi da cellule T, quelli associati a cattiva

prognosi sono espressi preferenzialmente da macrofagi e cellule dendritiche.

Da qui la recente ipotesi per cui i LF si svilupperebbero grazie alle alterazioni genetiche

presenti nelle cellule tumorali e alle modificazioni di quella rete di interazioni

immunologiche che connette le cellule maligne alle altre cellule del microambiente

tumorale (de Jong D, J Clin Oncol 2005)(figura 1).

In particolare, la presenza nella massa tumorale di cellule T regolatorie (Treg) è

associata ad una sopravvivenza prolungata (Carreras J et al, Blood 2006).

Le cellule T helper follicolari (TFH) sono altrettanto importanti nel LF (King C et al, Annu

Rev Immunol 2008) in quanto associate ad una maggiore sopravvivenza dei pazienti.

Al contrario i macrofagi promuoverebbero la crescita tumorale e questo probabilmente

grazie alla produzione di citochine e chemochine.

Le cellule dendritiche follicolari, infine, favorirebbero la neoplasia prevenendo l'apoptosi.

La risposta immunitaria, comunque, differisce da individuo ad individuo e non solo per

99

la differente esposizione ai vari antigeni, ma anche a causa di varianti genetiche

ereditarie come nel caso dei polimorfismi di singoli nucleotidi.

Figura 1. Un modello di doppio pathway per il linfoma follicolare. Come primo evento, l'apoptosi-resistenza in assenza di una stimolazione antigenica viene data dalla traslocazione t(14;18) o da eventi biologici genomici equivalenti. Successivamente, alterazioni precoci secondarie producono una intrinseca dicotomia prognostica. Nel pathway a cattiva prognosi, le alterazioni genomiche guidano il processo verso uno stato immunologico attivato ed un instabile corredo genetico. Le cellule follicolari dendritiche attivate (FDC) e le cellule T attivate giocano un ruolo dominante. In alternativa, nel pathway a buona prognosi le alterazioni genomiche provocano un'ulteriore stabilizzazione delle cellule tumorali in un contesto immunologico inattivo delle FDCs e dei linfociti T. Le alterazioni genomiche si accumulano ad un ritmo lento con relativa resistenza alla trasformazione e buona prognosi.

Fonte: de Jong D: “Molecular pathogenesis of follicular lymphoma: a cross talk of genetic and immunologic factors”. The Journal of Clinical Oncology 2005, 23:6358–6363.

La stadiazione viene definita applicando il sistema di Ann Arbor, basato sulla

valutazione del numero dei siti coinvolti e sulla presenza di malattia al disopra ed al di

sotto del diaframma. Il sistema definisce quattro stadi:

•Stadio I: coinvolgimento di una sola stazione linfonodale (chiamato stadio IE se c'è

un'unica localizzazione extranodale);

•Stadio II: coinvolgimento di due o più stazioni linfonodali dallo stesso lato del

diaframma (stadio IIE se c’è una limitata localizzazione extranodale per contiguità);

•Stadio III: coinvolgimento di linfonodi da ambedue i lati del diaframma;

•Stadio IV: localizzazione extranodale estesa (midollo osseo, fegato, polmone).

Ogni stadio viene definito A oppure B in base all’assenza o presenza di sintomi

sistemici.

100

Nell'80% dei casi i pazienti si collocano, al momento della diagnosi, negli stadi III e IV,

ma ciò non è necessariamente associato ad una prognosi severa. Solo un 15-20% dei

pazienti si trova agli stadi iniziali di malattia (I e II).

Una volta diagnosticata la malattia i pazienti vengono inclusi in una delle tre categorie di

rischio definite dal “Follicular Lymphoma International Prognostic Index” (FLIPI) o dal

“Follicular Lymphoma International Prognostic Index-2” (FLIPI-2), che sono associate

ad una diversa attesa di vita (Solal-Céligny P et al, Blood 2004).

Nel FLIPI i cinque fattori clinici che determinano la stratificazione dei pazienti nelle varie

categorie di rischio sono: l'età (superiore ai 60 anni), i livelli di emoglobina (inferiori a

120g/l) il numero delle aree linfonodali interessate (superiori a 4), lo stadio di Ann Arbor

(avanzato) ed i livelli di LDH (superiori alla norma).

Nel FLIPI-2 sono: l'età, i livelli di emoglobina (inferiori a 120g/l), la grandezza delle aree

linfonodali interessate, il coinvolgimento del midollo osseo, ed i livelli di β2-

microglobulina.

In base al punteggio, che va da 0 a 5, i pazienti vengono definiti a basso (0-1),

moderato (2) o alto (3-5) rischio. Diversi studi hanno confermato la validità della

valutazione prognostica FLIPI nel predire correttamente la sopravvivenza globale e la

sopravvivenza in assenza di progressione di malattia (Tan D et al, Hematol Oncol Clin,

2008).

Da un punto di vista clinico a volte le condizioni dei pazienti affetti da LF sono buone: si

osservano linfoadenopatie generalizzate asintomatiche con interessamento nodale e

splenico. Nel 50% dei casi di LF di grado 1 si osserva anche un coinvolgimento

midollare, coinvolgimento che è presente anche nel 30% dei casi di grado 2 e 3

(Armitage JO et al., J Clin Oncol 1998).

I sintomi sistemici sono rari e solamente in un 10% dei casi si osserva leucemizzazione.

Solitamente il decorso clinico è indolente per alcuni anni ma poi, frequentemente, si

osserva la trasformazione della malattia in una forma istologica più aggressiva,

caratterizzata da una crescita più rapida ed una minore risposta ai chemioterapici

(Gallagher CJ et al., J Clin Oncol 1986). La trasformazione verso un tipo istologico più

aggressivo è un evento terminale comune (Bastion Y et al., J Clin Oncol 1997) che si

verifica nel 20-60% dei pazienti (Yuen AR et al., J Clin Oncol 1995; Montoto S et al., J

Clin Oncol 2007). Questa percentuale raggiunge il 70% nei casi esaminati all'autopsia

(Garvin D et al, Cancer 1983).

In particolare linfomi diffusi a grandi cellule (DLCL) oppure linfomi di Burkitt che

101

originano da LF di grado 1 o 2, così come DLCL che nascono da LF di grado 3 sono

considerati linfomi trasformati; al contrario la progressione di un LF di grado 1/2 in un LF

di grado 3 non è sempre considerata come una trasformazione (Bernstein SH et al,

Hematology 2009).

La patogenesi di questo processo rimane ampiamente sconosciuta. Le attuali

conoscenze della biologia della trasformazione suggeriscono il coinvolgimento di fattori

genetici, epigenetici e del microambiente, in particolare le mutazioni di TP53 (Sander

CA et al., Blood 1993), l'inattivazione genetica e/o epigenetica del gene CDKN2A/p16

(Pinyol M et al., Blood 1998), le traslocazioni coinvolgeneti il protoncogene BCL6

(Akasaka T et al., Blood 2003), le alterazioni che coinvolgono il cromosoma 1p36

(Martinez-Climent JA et al., Blood 2003), e cambiamenti nell'espressione di MYC

(Lossos IS et al., Proc. Natl. Acad. Sci. 2002). Sono stati evidenziati cambiamenti

acquisiti nel numero di copie di cromosomi (Fitzgibbon J et al., Leukemia 2007). Inoltre,

è stata riscontrata un'associazione tra progressione a DLCL ed un'aberrante

ipermutazione somatica (Rossi D et al, Haematologica 2006), un meccanismo di

instabilità genetica derivante dal funzionamento anomalo dell' ipermutazione somatica

fisiologica (Pasqualucci L et al., Nature 2001).

Il profilo genomico del LF trasformato mostra in parte delle similitudini con quello del

DLCL de novo ed in parte presenta combinazioni uniche di geni alterati con implicazioni

diagnostiche e terapeutiche (Pasqualucci L et al, Cell Rep 2014).

La strategia terapeutica per la cura del LF dipende da numerosi fattori, primo tra tutti lo

stadio di malattia.

Una minoranza dei pazienti è affetta da LF localizzato, cioè in stadio I e II. Per questi la

terapia standard è la radioterapia con irradiazione dei campi coinvolti (IFRT)

(Guadagnolo BA et al, InterJ Rad Oncol 2006; Peterson PM et al, J Clin Oncol 2004).

Il possibile beneficio derivante dall’aggiunta di anticorpi monoclonali anti-CD20 alla

radioterapia in questi pazienti è in corso di valutazione.

Circa l’80% dei pazienti è affetto da una malattia in stadio III e IV e la maggior parte di

questi è clinicamente asintomatico (Tan D et al, Hematol/Oncol Clin North America

2008).

Per questi pazienti si attua la strategia del “watching and waiting”: non si interviene con

un trattamento finché non insorgono i primi sintomi sistemici. Alcuni dati indicano tale

approccio come il migliore in termini di sopravvivenza generale e tasso di

trasformazione istologica. Questa strategia è supportata anche dall'evidenza clinica di

102

casi che mostrano regressione spontanea di malattia (Friedberg JW et al., J Clin Oncol

2008).

Al contrario, quando il paziente deve essere trattato, si procede solitamente con un

approccio immuno-chemioterapico.

Un esempio di strategia immuno-chemioterapica è il trattamento standard di prima linea

R-CHOP che combina la polichemioterapia CHOP [Cyclophosphamide,

Hydroxydaunorubicin (doxorubicin), Oncovin (vincristine),Prednisone], all'utilizzo

dell'anticorpo monoclonale anti-CD20 denominato Rituximab. Questa terapia si è

dimostrata superiore alla sola chemioterapia, sia come percentuali di risposta sia come

tassi di sopravvivenza libera da malattia (Hiddemann W et al, Blood 2005; Vitolo U et al,

Critical Rev Oncol/Hematol 2008)

Il Rituximab si è rivelato molto efficace anche in monoterapia e nella terapia di

mantenimento portata avanti dopo il trattamento immuno-chemioterapico.

Lo Zevalin, invece, è un farmaco radio immunoconiugato costituito da un anticorpo

monoclonale anti-CD20 coniugato con l'isotopo radioattivo β emittente Ittrio 90. La

sensibilità dei linfomi all'irradiazione e la specificità degli anticorpi anti-CD20 spiegano il

razionale dell'impiego nonché il successo di questi farmaci, la cui collocazione nella

strategia terapeutica del LF è in corso di definizione.

La chemioterapia ablativa e la radioterapia seguite da un autotrapianto di cellule

staminali si sono dimostrate efficaci in pazienti con malattia recidivata e/o in fase

avanzata.

Il trapianto di midollo allogenico è una strategia destinata a pazienti giovani che

risultano essere refrattari a molteplici linee terapeutiche, ma comporta rischi maggiori

rispetto al trapianto autologo di cellule staminali a causa della maggiore tossicità.

Nuovi approcci terapeutici sono oggi in fase avanzata di studio. Tra questi vi è la

realizzazione di vaccini paziente specifici, disegnati per provocare risposte umorali o

cellulari contro le immunoglobuline clonali di superficie, ed i nuovi inibitori orali della

fosfatidil-inositolo chinasi delta (PI3Kδ) o Idelalisib, della Bruton tirosin chinasi (BTK) o

Ibrutinib.

Il monitoraggio molecolare della malattia minima residua (MMR) è uno strumento

altrettanto fondamentale per valutare l'efficacia della strategia terapeutica nei pazienti

con LF.

A volte pazienti in apparente regressione clinica di malattia nascondono una certa

quantità di cellule malate identificabili grazie alla ricerca di alterazioni cellulari tipiche

103

della malattia.

Nel LF l'analisi della MMR viene eseguita attraverso la valutazione della

presenza/assenza del trascritto ibrido BCL-2/IGH e della determinazione della sua

quantità nelle cellule del sangue periferico e del sangue midollare.

104

Il gene BCL-2 nel linfoma follicolare

I membri della famiglia BCL-2 (B cell CLL/Lymphoma-2) regolano il pathway

mitocondriale della morte cellulare programmata (apoptosi) grazie ad una serie di

complesse interazioni che influenzano l'integrità della membrana mitocondriale esterna

(Green DR et al, Cancer Cell 2002).

La famiglia BCL-2 è composta da proteine antiapoptotiche e proapoptotiche che hanno

in comune quattro domini di omologia chiamati BH1, BH2, BH3 e BH4 (Kvansakul M et

al, Cell Death Differ 2008).

Le proteine anti-apoptotiche sono proteine integrali di membrana presenti sulla

membrana mitocondriale esterna, ma possono essere presenti anche nel citoplasma o

nella membrana del reticolo endoplasmatico. Fanno parte di questo gruppo le proteine

a1, bcl-2, bcl-XL, bcl-w e mcl-1; le molecole pro-apoptotiche sono bax e bak(figura 2).

Figura 2: La grande famiglia della proteina bcl-2. Questa famiglia comprende proteine pro-sopravvivenza (evidenziate nelle caselle verdi) e proteine pro-apoptotiche (evidenziate in rosso). Oltre a questa suddivisione funzionale della famiglia vi è una suddivisione strutturale che divide le proteine in proteine multidominio e proteine BH3-only. In a) sono evidenziati i membri della famiglia che condividono quattro domini BCL-2 di omologia, denominati BH (proteine multidominio). Le proteine bcl-2-antagonist/killer (bak) e bcl-2-associati proteina X (bax) sono essenziali per l'apoptosi attivata attraverso il pathway mitocondriale. In b) sono evidenziati i membri che mostrano solo il dominio BH3, le proteine BH3-only. Fonte: Lessene G, Czabotar PE, Colman PM. “BCL-2 family antagonists for cancer therapy” Nat Rev Drug Discov, 2008 Dec;7(12):989-1000.

Altre proteine che svolgono un ruolo altrettanto importante nella regolazione

105

dell’apoptosi sono le proteine “BH3 only”, chiamate così perché mancano dei domini

BH1, BH2 e BH4.

Nei mammiferi sono note 8 proteine di questo tipo, le più importanti sono bad, bix e bim.

L’interazione tra proteine pro-apoptotiche e anti-apoptotiche determina il destino della

cellula. L’induzione dell’apoptosi è un processo complesso che nei diversi tessuti viene

controllato da differenti membri della famiglia BCL-2 e generato in risposta a diversi

stimoli.

La proteina bcl-2, ad esempio, serve per la sopravvivenza di linfociti B e T maturi (Veis

DJ et al, Cell 1993).

La conformazione germinale del gene BCL-2 è composta da tre esoni con un grande

introne di 225Kb presente tra l'esone 2 e l'esone 3.

La proteina bcl-2 wild tipe ha un peso molecolare di 26kDa e svolge una funzione anti-

apoptotica. Tale proteina tende ad eterodimerizzare con bax a formare un complesso

ad alto peso molecolare bcl-2/bax.

Se nelle cellule bax è presente in eccesso allora si formano degli omodimeri di bax che

accelerano il processo di morte cellulare; al contrario, se è bcl-2 ad essere presente in

eccesso, gli eterodimeri bcl-2/bax sono la specie prevalente e la morte cellulare viene

bloccata.

Le traslocazioni che coinvolgono il gene BCL-2 sono comuni nelle neoplasie linfoidi

umane.

Questi riarrangiamenti avvengono sempre nei primi stadi dell'ontogenesi della cellula B

e permettono alla cellula di maturare sino allo stadio di cellula IgM+ e IgD+.

La traslocazione più comune è la t(14;18)(q32;q21) che causa la giustapposizione della

regione 18q21 all'IGH(figura 3).

Occasionalmente la regione 18q21 è traslocata sull'IGΚ [t(2;18) (p11;q21)] o sull'IGL

[t(18;22)(q21;q11)].

Le rotture sul 18q21 sono presenti in quasi tutti i casi di linfoma follicolare e nel 30% dei

DLCL.

In generale ogni traslocazione porta ad una deregolazione dell'espressione del gene

BCL-2 e conseguentemente alla presenza costitutiva di alti livelli della proteina.

Il riarrangiamento t(14;18)(q32;q21) permette l'unione del gene BCL-2 alla regione 3'

non trascritta del segmento J dell'IGH. Tale traslocazione non altera la sequenza

codificante di BCL-2 che rimane intatta. Il cDNA (DNA complementare) risultante è

pertanto rappresentato dalla fusione dei tre esoni di BCL-2 (al lato 3' del trascritto) con

106

gli esoni JH e Cμ derivanti dall'IGH (al lato 5' del trascritto). In questo modo viene

prodotta una proteina di fusione in cui la parte codificata dal BCL-2 è di tipo wild tipe e

perfettamente funzionante.

I cluster di rottura principalmente riscontrati nei pazienti affetti da LF con t

(14;18)(q32;21) sono essenzialmente due. Circa il 60-70% dei punti di rottura sul

cromosoma 18 avvengono nella regione “major” di rottura (MBR), localizzata nella

porzione 3’ non codificante del terzo esone di BCL-2; un 5-25% dei casi cade nella

regione “minor” di rottura (mcr), localizzata 20Kb a valle del gene (Tsujimoto Y et al,

Science 1985; Ngan BY et al, Blood 1989).

Rari punti di rottura sono stati trovati nella regione 5’ del gene e si associano a

traslocazioni con la regione variabile delle catene leggere delle immunoglobuline (Hillion

J et al, Oncogene 1991).

Infine esistono altri due cluster di rottura, localizzati tra MBR e mcr, che sono stati

chiamati 3’MBR e 5’mcr (Buchonnet G et al., Leukemia 2000) oggi divenuti target

aggiuntivi per la valutazione della MMR nel LF (Pott C et al, Methods Mol Biol 2013).

Figura 3: Diagrammi del gene IgH, del gene BCL2 e del gene di fusione IgH/BCL2 (esoni indicati dai riquadri colorati). A) Struttura del gene IgH, la freccia verticale evidenzia i punti di rottura sul JH ed in verde è riportata la probe utilizzata per l'analisi citogenetica in FISH. B) Struttura dei geni BCL2, le frecce verticali marcano i punti di i rottura sul BCL2 ed in arancione è riportata la probe utilizzata per l'analisi citogenetica in FISH. C) Struttura del gene di fusione BCL2/IgH utilizzando i punti di rottura MBR/JH. Fonte: Gu K, Chan WC, Hawley RC.Practical detection of t(14;18)(IgH/BCL2)in follicular lymphoma. Arch Pathol Lab Med. 2008 Aug;132(8):1355-61.

107

Numerosi studi hanno messo in evidenza che, qualunque sia il cluster di rottura, JH6 è

il segmento “joining” più frequentemente coinvolto nelle traslocazioni (Jager U et al.,

Blood 2000).

Esistono opinioni discordanti riguardo una eventuale correlazione tra la localizzazione

del punto di rottura sul cromosoma 18 e le caratteristiche della malattia o la

sopravvivenza dei pazienti (Lopez-Guillermo A et al, Blood, 1999; Buchonnet G et al.,

Leukemia, 2002).

Una serie di esperimenti ha inoltre dimostrato che la proteina bcl-2 coopera con c-Myc

nella trasformazione di precursori di cellule B (Vaux et al, Nature 1998) ma, in assenza

di un oncogene addizionale, BCL-2 non promuove la proliferazione cellulare.

Quindi la t(14;18) non è sufficiente per lo sviluppo del LF (Bende RJ et al., Leukemia

2007); per poter crescere in vitro, le cellule LF hanno bisogno di segnali stimolatori che

vengono forniti da cellule immunoregolatorie quali i linfociti T e le cellule dendritiche

follicolari.

Su queste osservazioni si basa l'ipotesi che vede il LF come una malattia progressiva

che parte con l'acquisizione della traslocazione durante le prime fasi di sviluppo delle

cellule B nel midollo osseo (Martinez A et al, Cur Ematol Malign Rep 2008).

Il vantaggio di sopravvivenza, che hanno le cellule BCL-2 positive nei CG, faciliterebbe

l'insorgenza di eventi genetici addizionali, che a loro volta contribuirebbero alla

modulazione del microambiente CG. Per un certo periodo di tempo le cellule

neoplastiche riceverebbero i segnali di crescita e di sopravvivenza dalle cellule

circostanti, e così si svilupperebbe una malattia incurabile ma indolente.

Successivamente, particolari alterazioni geniche secondarie permetterebbero alle

cellule di sopravvivere al di fuori dei CG, definendo una malattia molto aggressiva.

La traslocazione t(14;18)(q32;q21), però, è stata ritrovata anche in individui sani

indipendentemente dal sesso, razza ed età, con punti di rottura simili a quelli dei

pazienti con LF e, ad oggi, il significato biologico di questo evento non è noto (Biagi JJ

et al., Blood 2002; Schmitt C et al, Leukemia Res 2006).

In particolare questa evidenza solleva interrogativi riguardo l’autentico significato di una

positività riscontrata in un’analisi molecolare, poichè ad oggi non esiste nessun

collegamento tra la positività, negli individui sani, per la presenza di questa

traslocazione, ed il successivo sviluppo di LF.

108

Obiettivo dello studio

Il marcatore molecolare distintivo del LF è la traslocazione dei cromosomi 14 e 18

[t(14;18)(q32;q21)], con conseguente giustapposizione del gene anti-apoptotico BCL-2

(18q21) alla regione JH del gene della catena pesante delle Ig (14q32).

La MMR viene solitamente valutata con tecniche di biologia molecolare, che vanno ad

analizzare la presenza, l'assenza e la quantità del trascritto ibrido BCL-2/IGH@

rilevabile in cellule del sangue periferico e del sangue midollare.

Nel LF il monitoraggio della MMR è risultato essere un fattore predittivo ben consolidato

dell'andamento clinico della malattia post-trapianto (Ladetto M et al,Blood 2008).

Studi che dimostrano il valore prognostico della analisi di MMR qualitativa dopo terapia

convenzionale sono sempre più numerosi (Corradini P et al, J Clin Oncol 2004;Rown

JR et al, Biol Blood Marrow Transplant 2007; Procházka V et al, J Clin Oncol, 2011;

Ladetto M et al, Blood 2013).

Al contrario, pochi lavori affrontano l'analisi quantitativa della MMR nel LF (Rambaldi A

et al, Blood 2005; Goff L et al, J Clin Oncol 2009).

Lo scopo di questo studio è stato quello di valutare il valore prognostico della MMR

quantitativa nell'ambito del protocollo FOLL05 (NCT00774826), i cui risultati terapeutici

sono stati recentemente pubblicati (Federico M. et al, J Clin Oncol. 2013).

109

Materiali e Metodi

Pazienti e campioni studiati

Lo studio prospettico, randomizzato, multicentrico di fase III FOLL05 (NCT00774826) è

stato condotto su un totale di 504 pazienti, di età compresa tra 18 e 75 anni, con una

diagnosi istologica di LF di grado I, II e IIIa secondo la classificazione WHO e di stadio

II- IV secondo il sistema Ann Arbor.

Il protocollo terapeutico comprendeva tre bracci di trattamento: 8 dosi di rituximab (R)

per 8 cicli, in combinazione con 8 cicli di CVP(Cyclophosphamide, Vincristine,

Prednisone)(braccio di controllo), o con 6 cicli di CHOP(Cyclophosphamide, Vincristine,

Doxorubicin, Prednisone) o FM (Fludarabine, Mitoxantrone).

L’analisi molecolare per la ricerca del riarrangiamento del BCL2/IGH@ è stata eseguita

per tutti i punti previsti dal protocollo, su DNA estratto da un pellet di cellule

mononucleate di sangue midollare mediante Wizard Genomic DNA Purification Kit

(Promega Corp, Madison, Wisconsis, USA).

Screening del riarrangiamento BCL-2/IGH@

L'analisi qualitativa del riarrangiamento del BCL2/IGH@ è stata eseguita

prospetticamente al momento della diagnosi, a sei settimane dopo la fine del

trattamento, e ogni sei mesi durante il secondo e terzo anno di follow-up. Tutte le analisi

qualitative sono state centralizzate ed eseguite presso il laboratorio di Ematologia di

Pisa.

I 4 laboratori (Roma, Torino, Bologna, Pisa) della FIL-MRD-NETWORK (rete della

Fondazione Italiana Linfomi, fondata nel 2009), dopo standardizzazione inter-

laboratori delle metodiche, hanno eseguito retrospettivamente l’analisi molecolare

quantitativa per il riarrangiamento BCL2/IGH@ sui campioni centralizzati dal

laboratorio di Pisa alla diagnosi ed al momento della risposta (sei settimane dalla fine

del trattamento), allo scopo di valutare se la determinazione della quantità della

malattia in questi due time-points aggiunga informazioni rispetto la MMR valutata

qualitativamente (presenza/assenza del trascritto).

In primo luogo, i campioni sono stati riamplificati e sequenziati per confermare il dato

di partenza.

110

Il DNA è stato amplificato mediante reazione di amplificazione Polymerase Chain

Reaction (PCR) utilizzando il termociclatore GeneAmp® PCR System 9700 (Applied

Biosystems, Foster City, CA, USA).

L’amplificazione è stata ottenuta mediante nested PCR utilizzando il set di primers

relativo alla regione di MBR, di mcr ed alla regione di giunzione delle immunoglobuline

(Gribben JG et al. Blood 1991).

Le condizioni di PCR per l’amplificazione della regione di MBR sono state le seguenti:

-I round: denaturazione, annealing ed estensione per 27 cicli rispettivamente a 94°C per

1’, 55°C per 1’ e 72°C per 1. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per 10’.

-II round: denaturazione, annealing ed estensione per 30 cicli rispettivamente a 94°C

per 1’, 58°C per 1’ e 72°C per 1. Alla fine dei cicli si esegue un’estensione a 72°C per

10’.

Le condizioni di PCR per l’amplificazione della regione di mcr sono state le seguenti:

-I round: 1 ciclo con denaturazione a 94°C per 3', annealing a 58°C per 1', estensione a

72°C per 1', seguito da denaturazione, annealing ed estensione per 30 cicli

rispettivamente a 94°C per 1’, 58°C per 1’ e 72°C per 1'. Alla fine dei cicli si esegue

un’estensione a 72°C per 10’.

-II round: 1 ciclo con denaturazione a 94°C per 3', annealing a 60°C per 1', estensione a

72°C per 1', seguito da denaturazione, annealing ed estensione per 30 cicli

rispettivamente a 94°C per 45”, 60°C per 30” e 72°C per 30”. Alla fine dei cicli si esegue

un’estensione a 72°C per 10’.

La separazione e l’identificazione degli amplificati di PCR è stata eseguita mediante

corsa elettroforetica su gel di agarosio al 2% in TBE 1X, contenente 5 µl/100ml di

bromuro d’etidio (SIGMA-ALDRICH, St. Louis; MO, USA) come agente intercalante del

DNA.

Sequenziamento e analisi del gene

I prodotti di PCR sono stati sequenziati direttamente secondo metodo Sanger con

marcatura fluorescente utilizzando il kit di reazione BigDye Terminator v3.1 Cycle

Sequencing Kit (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA) e il termociclatore

GeneAmp® PCR System 9700 (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). Durante la

sintesi del filamento di DNA i didesossinucleotiditrifosfati (ddNTP) marcati con quattro

differenti fluorocromi vengono, mediante l’enzima DNA polimerasi, inseriti nel filamento

111

stampo impedendo l’aggiunta di ulteriori nucleotidi. Al termine della reazione di

sequenza la miscela di singoli frammenti di DNA ottenuta è stata purificata utilizzando il

kit DyeEx 2.0 Spin Kit (QIAGEN, Valencia, CA, USA) che permette di eliminare i ddNTP

fluorescenti in eccesso non incorporati attraverso il principio cromatografico della gel-

filtrazione su colonnine contenenti resina. I frammenti di DNA purificati sono stati

sottoposti ad elettroforesi capillare mediante il sequenziatore ABI PRISM® 3100-Avant

Genetic Analyzer (Applied Biosystems, Foster City, CA, USA). L’acquisizione dei dati

relativi ai campioni è stata eseguita utilizzando il software 3100-Avant Data Collection

Software e le sequenze sono state analizzate mediante il programma ABI PRISM® DNA

Sequencing Analysis Software (Versione 3.7), e visualizzate come elettroferogrammi.

L'interpretazione dei risultati è stata eseguita allineando le sequenze nucleotidiche

ottenute alla directory IMGT (international ImMunoGeneTics information system) per

l'identificazione del riarrangiamento genico BCL2/IGH@.

Analisi RQ-PCR

L'analisi è stata eseguita utilizzando i rispettivi primers e la probe per la RQ-PCR

(Ladetto M et al, Exp Hematol. 2001).

Le curve standard per l'analisi quantitativa, sono state preparate a partire da diluizioni

seriali della linea cellulare DOHH-2, nel DNA estratto da un pellet di cellule

mononucleate proveniente da un pool di sangue venoso periferico (PBL) di donatori

sani e portato alla concentrazione di 100 μg/ml. I saggi sono stati allestiti per

raggiungere una gamma di sensibilità e quantificabilità ≥10-4, con uno slope della curva

compreso tra 3.1 e 3.9 ed un coefficiente di correlazione ≥0,98, secondo le linee guida

della ESG-MRD–ALL (van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007).

Le reazioni sono state preparate utilizzando i reagenti del kit TaqMan PCR Core

Reagent (PE Applied Biosystems, Foster City CA, USA) e processate nell' ABIPrism

7300-7500 alle seguenti condizioni: un'incubazione iniziale di 2 minuti a 50°C e 10

minuti di denaturazione a 95°C, seguite da 42 cicli di denaturazione a 95°C per 15

secondi ed annealing a 60°C per 1 minuto. Sono state rispettate le linee guida per

l'analisi di RQ-PCR della MMR per tutti i campioni studiati, ESG-MRD-ALL (European

Study Group on MRD Detection for ALL)(van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007).

112

Risultati

I risultati dell'analisi di MMR qualitativa e quantitativa di questo studio sono stati

recentemente sottomessi per pubblicazione in un lavoro dal titolo “Minimal residual

disease after conventional treatment significantly impacts on progression-free survival

of patients with follicular lymphoma: the FIL FOLL05 trial”.

(Galimberti S et al, Clinical Cancer Research).

Analisi qualitativa e burden tumorale molecolare dei pazienti all'arruolamento

Alla diagnosi, 415/504 pazienti eleggibili per il trattamento sono stati valutati per

BCL2/IGH@ mediante PCR qualitativa, 220 dei quali (53%) sono risultati positivi per il

marcatore molecolare.

Lo stato molecolare alla diagnosi non correlava significativamente con il coinvolgimento

istologico midollare: 43% dei casi senza coinvolgimento midollare all'analisi

microscopica, mostrava un marcatore molecolare, mentre il 50% dei casi con

infiltrazione midollare è risultato BCL2/IGH@ negativo.

Il rilevamento del gene di fusione BCL2/IGH@ prima della terapia ha condizionato in

modo significativo la qualità della risposta: il tasso di remissione completa (CR-

complete remission) era 77,9% per i casi PCR-negativi contro il 68,2% per i casi PCR-

positivi (p= 0,027).

Tuttavia, la presenza del marcatore molecolare prima del trattamento non ha avuto un

impatto significativo sulla sopravvivenza libera da progressione (PFS: progression free

survival) a 3-anni: 69% per i casi MMR-positivi contro il 61% per i casi MMR-negativi;

p=0,085).

Il burden tumorale è stato valutato mediante PCR quantitativa in 105 casi BCL2/IGH@

positivi, il valore mediano è stato di 3 x 10-3 copie (range:0,000018-6). Il numero di

copie BCL2/IGH@ non correlava con lo stadio, la performance, l'età >65 anni o il sesso,

ma era significativamente più alto nei pazienti con alto score prognostico FLIPI e

punteggio FLIPI2.

Tra i pazienti con elevato burden tumorale, il livello di risposta complessivo (OR-overall

survival) era significativamente inferiore nei casi con bassa massa tumorale (38,9% vs

76,6%, p=0.006). Quando è stata eseguita un'analisi statistica (curva ROC) al fine di

113

trovare il valore di BCL2/IGH@ che meglio prediva la ricaduta, 1 x 10-4 copie è risultato

essere il valore più predittivo. Infatti, il 22% dei casi aventi un numero di copie <1 x 10-4

è recidivato contro il 78% dei pazienti con un valore di copie >1 x 10-4 (p=0.033).

Questo risultato ha mostrato un chiaro vantaggio anche in termini di PFS a 3 anni (80%

contro il 59% per i casi con elevato carico tumorale; p=0,015)(figura 4).

Quando questo valore, al di sopra del quale si parla di elevato burden tumorale

molecolare all’arruolamento, è stato incluso nell'analisi multivariata insieme con le

variabili prognosticamente rilevanti già identificate nello studio clinico pubblicato (qualità

della risposta, tipo di trattamento e il punteggio FLIPI) (Federico M. et al, J Clin Oncol.

2013), il tumor burden molecolare elevato ha mostrato un impatto prognostico

indipendente e negativo sulla sopravvivenza libera da progressione (HR = 1.38, 95%

CI:1.1-14.2, p = 0,03) (tabella 1).

Figura 4: la PFS è significativamente più lunga nei pazienti con livelli di BCL2/IGH@<1x10-4, prima del

trattamento (linea tratteggiata).p=0.015

114

Tabella 1: Ruolo del burden tumorale alla diagnosi.

Fattore di rischio

HR

95%CI

p

FLIPI (0-2 vs 3-5) 0,39 0,66-3,61 0,34

Risposta (CR vs altro)

1,03 1,41-5,57 0,03

BOM (negativo vs positivo)

0,62 0,18-1,61 0,26

Stadiazione Ann Arbor (I-III vs IV)

0,35 0,47-4,31 0,53

Braccio di terapia 0,06 0,99-1,26 0,07

Burden tumorale (10-4 vs >10-4)

1,38 1,1-14,2 0,03

115

Valutazione della MMR ai diversi time points

Al primo punto temporale di osservazione molecolare (6 settimane dopo la fine della

terapia) 3 pazienti sono usciti dal protocollo e 63 campioni non sono stati inviati al

laboratorio molecolare referente, così 154 dei 220 casi precedentemente PCR-positivi

sono stati rivalutati mediante PCR qualitativa: 109 (70.8%) hanno raggiunto la negatività

della PCR.

A + 6 settimane, la conversione alla negatività della MMR, non è risultata correlabile

significativamente con le caratteristiche cliniche dei pazienti, la qualità della risposta

clinica o il braccio di terapia.

La negatività della MMR al termine del trattamento è stata correlata con una minore

probabilità di recidiva, ma senza significatività statistica (33% contro 41%, p=0,363).

Analogamente, la PFS a 3 anni è stata più lunga per i pazienti che hanno raggiunto una

negatività molecolare rispetto a chi ha mantenuto il marcatore molecolare (68,4% contro

54,4%), ma questa differenza non ha raggiunto la significatività statistica (p=0,143).

La valutazione molecolare a 12 mesi ha evidenziato 63 pazienti MMR-negativi e 24

MMR- positivi; dopo 24 mesi, 46 casi sono stati MMR negativi e 19 MMR-positivi.

La PFS è risultata significativamente condizionata dallo stato molecolare a 12 e 24

mesi, con un valore del 66% a 3 anni per i casi PCR negativi contro un 41% per i casi

PCR positivi a 12 mesi (p=0.015)(figura 5) ed un valore dell'84% contro 50% per i casi

PCR negativi e positivi, rispettivamente, a 24 mesi (p=0.014).

La negatività della MMR a 12 e 24 mesi dalla fine del trattamento ha comportato una

migliore PFS sia nei pazienti in CR che in quelli in remissione parziale (PR-partial

remission)(3 anni PSF=72% per i casi CR/PCR- vs 32% per i casi CR/PCR+, ed il 62%

per i casi PR/PCR- vs 25% per i casi PR/ PCR+; p=0.001)(figura 6).

Quando la negatività molecolare a 12 mesi nei pazienti con o senza remissione

completa è stata inserita in un'analisi multivariata, la negatività della MMR ha

mantenuto il suo impatto favorevole sulla sopravvivenza libera da progressione (HR=

1.5, 95% CI:1.1-14.2-0,19, p=0.03), indipendentemente dalla risposta clinica (Tabella

2).

116

Figura 5: la PFS è significativamente più lunga nei pazienti senza BCL2/IGH@ rilevabile al dodicesimo

mese di follow-up (linea tratteggiata). p=0.015.

Figura 6: la PFS dalla randomizzazione è significativamente più lunga nei pazienti senza BCL2/IGH@

rilevabile durante il follow-up, indipendentemente dalla qualità della risposta. p=0.001

117

Tabella 2: Ruolo della negatività della MMR durante il follow up.

Fattore di rischio

HR

95%CI

p

FLIPI (0-2 vs 3-5) 0,53 0,59-4,8 0,32

Risposta (CR vs altro)

0,75 0,73-6,1 0,17

BOM (negativo vs positivo)

2,50 0,50-3,12 0,12

Stadiazione Ann Arbor (I-III vs IV)

-1,30 0,02-3,10 0,3

Braccio di terapia 0,55 0,92-1,13 0,66

MMR dopo 12 mesi 1,5 1,5-12,5 0,05

118

Conclusioni

La traslocazione t(14;18) (q32;q21) è la caratteristica genetica del LF.

Il rilevamento di tale traslocazione può facilitare la diagnosi di linfoma follicolare e può

essere utilizzata per monitorare la risposta alla terapia ed il livello di malattia residua.

Sono passati più di 20 anni da quando sono state fatte le prime osservazioni sul valore

della negatività molecolare nell'outcome dei pazienti con LF (Gribben JG et al, N Engl J

Med. 1991). Da allora una serie di studi ha confermato il valore critico del

raggiungimento della remissione molecolare in contesti disparati; in trial singoli e

multicentrici, con trattamenti convenzionali ed intensificati, trattamenti privi di Rituximab

e con Rituximab. Inoltre, la remissione molecolare ha confermato un elevato valore

prognostico anche in studi con un prolungato follow-up (Corradini P et al, J Clin Oncol

2004; Rown JR et al, Biol Blood Marrow Transplant 2007). Questo suggerisce che in

pazienti con persistente negatività molecolare, le cellule tumorali (se presenti) sono

chiaramente sotto controllo stabile e possibilmente permanente (Ladetto M et al, Blood

2008; Procházka V et al, J Clin Oncol, 2011; Ladetto M et al, Blood 2013).

Il ruolo della MMR dopo terapia convenzionale nel LF è comunque ancora non

codificato nella pratica clinica, e rimane ancora oggetto di studio nell’ambito di trial

clinici sperimentali.

Negli ultimi anni sono stati sviluppati diversi metodi di analisi quantitativa (Dolken L et

al, Biotechniques 1998; Sanchez-Vega B et al, Mod Pathol 2002).

Questi metodi si sono rivelati un valido strumento per una valutazione accurata delle

cellule BCL2/IgH@ positive nel sangue midollare o nel sangue periferico e per un

migliore monitoraggio molecolare della MMR in diversi protocolli terapeutici (Summers

KE et al, Br J Haematol. 2002).

Una quantificazione precisa delle cellule BCL2/IgH@ positive alla diagnosi, può aiutare

a definire la probabilità di risposta alla chemioterapia convenzionale con o senza

l'aggiunta di Rituximab, inoltre, il monitoraggio molecolare della MMR permette

l'identificazione precoce dei pazienti con un rischio notevolmente più elevato di recidiva

della malattia (Rambaldi A et a, Blood 2005; Goff L et al, J Clin Oncol 2009).

L’obiettivo di questo progetto è di definire il valore della MMR quantitativa nell’ambito

del trattamento immunochemioterapico di prima linea del LF, il protocollo FOLL05, che

prevedeva come end-point secondario la valutazione della MMR qualitativa prima del

119

trattamento, post-terapia, e durante il follow-up.

Le analisi qualitative e quantitative sono state condotte secondo le linee guida europee

per il rilevamento della MMR nel linfoma (van der Velden VHJ et al, Leukemia 2007).

La sensibilità raggiunta dalle nostre valutazioni è stata di 1x10-5, paragonabile a quanto

riportato da altri autori (van Oers MH et al, J Clin Oncol. 2010; Rambaldi A et al, Blood.

2005).

Sono stati considerati solo campioni di sangue midollare provenienti da pazienti

BCL2/IGH@ positivi al momento dell'arruolamento.

Questo potrebbe essere rilevante, perché sono state riportate, differenze superiori a 1

logaritmo in favore di campioni di sangue midollare rispetto a campioni di sangue

periferico, (Leonard BM et al, Blood 1998), inoltre i valori di MMR da sangue periferico

sono risultati meno predittivi (Gribben JG et al, Blood 1994).

Il riarrangiamento BCL2/IGH@ è stato rilevato nel 53 % dei pazienti e la sua specificità

è stata confermata nei casi persistentemente PCR-positivi dopo terapia, mediante

sequenziamento alla diagnosi e dopo trattamento, in modo da rendere improbabile la

presenza di un falso target molecolare durante il follow-up.

Nel dibattito ancora aperto sul ruolo prognostico della MMR quantitativa nel LF, i nostri

risultati mostrano come la massa tumorale alla diagnosi significativamente condizioni la

qualità della risposta e della PFS, in accordo ed a supporto di quanto osservato

precedentemente (Rambaldi A et a, Blood 2005; Goff L et al, J Clin Oncol 2009).

La scomparsa del marcatore molecolare dopo terapia positivamente condiziona la

risposta dei pazienti con LF, con una significatività statistica del follow-up a lungo

termine.

Infatti, la PFS a 3 anni è stata più lunga per i pazienti che hanno raggiunto negatività

molecolare solo dopo 2 mesi dalla fine della terapia (68,4 % contro 54,4 %), e la

significatività statistica è aumentata quando tale negatività viene mantenuta dopo

ulteriori 6 o 12 mesi. Il minor impatto della negatività molecolare alla fine del trattamento

potrebbe essere giustificato da una troppo breve intervallo di tempo trascorso tra

l'ultimo ciclo di Rituximab e la determinazione della MMR.

Questo dato potrebbe essere probabilmente spiegato con la farmacocinetica del

Rituximab, dato che tracce di anticorpi circolanti potrebbero essere trovate fino a 6 mesi

dopo l'ultima somministrazione (Berinstein Nl et al, Ann Oncol 1998). Ciò è

ulteriormente confermato dall'osservazione che un miglior valore predittivo si osserva

se la valutazione della MMR post-terapia viene eseguita dopo 60-90 giorni (Ladetto M

120

et al, Blood 2012).

Infine, i nostri dati sostengono il ruolo della negatività della MMR non solo nei pazienti

che raggiungono una remissione completa (CR), ma anche in quelli con remissione

parziale (PR): la PFS a 3 anni è stata del 62 % per i casi in PR PCR-negativi contro il

32 % per i pazienti in CR ma ancora PCR-positivi dopo 12 mesi di follow-up.

Questi dati sono in linea con quelli già riportati nel linfoma mantellare, dove il valore

della MMR è risultato altamente predittivo per la durata della risposta,

indipendentemente dalla risposta clinica (risposta a 2 anni: 94% per i pazienti in

CR/PCR- ed il 100% per i pazienti in PR/PCR-, rispetto al 71% per i pazienti in

CR/PCR+ ed il 51% per i pazienti in PR/PCR +)(Pott C et al, Blood 2010).

Due principali risultati sono quindi emersi: 1) il burden tumorale al momento della

diagnosi condiziona in modo significativo la qualità della risposta e la PFS, e 2)

l'ottenimento della negatività molecolare qualitativa a 12 mesi dalla fine del trattamento

correla con un risultato migliore (3 anni PFS 66% vs 41, p = 0.015).

In conclusione, i risultati di questo ampio studio supportano il valore dell'analisi

qualitativa e quantitativa della MMR sia alla diagnosi (burden tumorale molecolare), che

al momento della valutazione della risposta clinica (ridefinizione della risposta clinica

completa e parziale), che nel follow-up nei pazienti con LF trattati con i tradizionali

schemi chemio-immunoterapici.

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70. Veis DJ, Sorenson CM, Shutter JR, Korsmeyer SJ: “Bcl-2-deficient mice

demonstrate fulminant lymphoid apoptosis, polycystic kidneys, and

hypopigmented hair”. Cell 1993; 75: 229–240.

71. Vitolo U, Ferreri AJ, Montoto S: “Follicular lymphomas”. Critical Reviews in

Oncology/Hematology 2008; 66: 248–261.

72. Yuen AR, Kamel OW, Halpern J, Horning SJ: “Long-term survival after histologic

transformation of low-grade follicular lymphoma”. The Journal of Clinical

Oncology 1995; 13:1726–1733.

73. Yunis JJ, Frizzera G, Oken MM, McKenna J, Theologides A, Arnesen M:

“Multiple recurrent genomic defects in follicular lymphoma. A possible model for

cancer”. The New England Journal of Medicine 1987; 316: 79–84.

131

Pubblicazioni 1.Immunocompetent cell functions in Ph+ acute lymphoblastic leukemia patients

on prolonged Imatinib maintenance treatment.

Roberta Maggio, Nadia Peragine , Maria Stefania De Propris, Antonella Vitale Loredana

Elia, Elisabetta Calabrese , Irene Della Starza , Stefania Intoppa, Maria Laura Milani ,

Anna Guarini , Robin Foa.` Cancer Immunol Immunother, 2011; 60:599-607.

2.Comparison of two RQ-PCR strategies for minimal residual disease evaluation

in lymphoproliferative disorders: Correlation between immunoglobulin gene

mutation load and RQ-PCR performance.

Irene Della Starza, Marzia Cavalli, Ilaria Del Giudice, Daniela Barbero, Barbara

Mantoan , Elisa Genuardi , Claudia Mannu, Anna Gazzola, Elena Ciabatti , Anna

Guarini, Robin Foà , Sara Galimberti , Pierpaolo Piccaluga , Gianluca Gaidano, Marco

Ladetto, Luigia Monitillo on behalf of the FIL-MRD network. Hematol Oncol. 2013 Nov

19. [Epub ahead of print]

3.Whole-genome amplification for the detection of molecular targets and minimal

residual disease monitoring in acute lymphoid leukemia.

Irene Della Starza, Lucia Anna De Novi, Vittorio Nunes, Ilaria Del Giudice, Caterina

Ilari, Marilisa Marinelli, Alina Delia Negulici, Antonella Vitale,Sabina Chiaretti, Robin

Foà, Anna Guarini. Br J Haematol. 2014 Jan 22. [Epub ahead of print]

4.Minimal residual disease monitoring in chronic lymphocytic leukemia patients:

a comparative analysis of flow cytometry and ASO IgH RQ-PCR approaches

Raponi S, Della Starza I, De Propris MS, Del Giudice I, Mauro FR, Marinelli M, Di Maio

V, Foà R, Guarini A. Br J Hematol (in press).

5.Chlorambucil plus Rituximab with or without Maintenance Rituximab as First-

Line Treatment for Elderly Chronic Lymphocytic Leukemia Patients.

Robin Foà, Ilaria Del Giudice, Antonio Cuneo, Giovanni Del Poeta, Stefania Ciolli,

Francesco Di Raimondo, Francesco Lauria, Emanuele Cencini, Gian Matteo Rigolin,

Agostino Cortelezzi, Francesco Nobile, Vincenzo Callea, Maura Brugiatelli, Massimo

132

Massaia, Stefano Molica, Livio Trentin, Rita Rizzi, Giorgina Specchia, Francesca Di

Serio, Lorella Orsucci, Achille Ambrosetti, Marco Montillo, Pier Luigi Zinzani, Felicetto

Ferrara, Fortunato Morabito, Maria Angela Mura, Silvia Soriani, Nadia Peragine,

Simona Tavolaro, Silvia Bonina, Marilisa Marinelli, Maria Stefania De Propris, Irene

Della Starza, Alfonso Piciocchi, Alessandra Alietti, Eva J. Runggaldier, Enrica Gamba,

Francesca Romana Mauro, Sabina Chiaretti, and Anna Guarini. Am J Hematol. 2014

Jan 11. [Epub ahead of print]

6."Fludarabine plus alemtuzumab (FluCam) front-line treatment in young patients

with chronic lymphocytic leukemia (CLL) and an adverse biologic profile.".Mauro

FR, Molica S, Laurenti L, Cortelezzi A, Carella AM, Zaja F, Chiarenza A, Angrilli F,

Nobile F, Marasca R, Musolino C, Brugiatelli M, Piciocchi A, Vignetti M, Fazi P, Gentile

G, De Propris MS, Starza ID, Marinelli M, Chiaretti S, Del Giudice I, Nanni M, Albano F,

Cuneo A, Guarini A, Foà R; GIMEMA (Gruppo Italiano Malattie EMatologiche

dell’Adulto) Working Party for chronic lymphoproliferative disorders.

Leuk Res. 2014 Feb;38(2):198-203. Epub 2013 Nov 19.

7.Minimal Residual Disease conditions the outcome of Patients Affected by

Follicular Lymphoma: results from the FIL FOLL05 trial.

Sara Galimberti, Stefano Luminari, Elena Ciabatti, Francesca Guerrini, Alessandra

Dondi, Luigi Marcheselli, Marco Ladetto, Pier Paolo Piccaluga, Anna Gazzola, Claudia

Mannu, Luigia Montillo, Barbara Mantoan, Ilaria Del Giudice, Irene Della Starza,

Marzia Cavalli, Susanna Grassi, Luca Arcaini, Alessandra Tucci, Giuseppe Alberto

Palumbo, Luigi Rigacci, Alessandro Pulsoni, Umberto Vitolo, Daniele Vallisa, Giovanni

Bertoldero, Gianluca Gaidano, Mario Petrini, Massimo Federico. Submitted Clin

Cancer Res.

8.DNA extraction methods significantly influence the amount and purity of

lymphoma genomic material. Advices from the Fondazione Italiana Linfomi-MRD

Network.

Mannu Claudia, Gazzola Anna, Ciabatti Elena, Cavalli Marzia, Della Starza Irene,

Genuardi Elisa, Mantoan Barbara, Monitillo Luigia, del Giudice Ilaria, Ladetto Marco,

Gaidano Gianluca, Galimberti Sara, Piccaluga PierPaolo. Submitted Leuk Lymphoma.

133

Abstracts

1.HHV8-Related and HHV8-Unrelated primary effusions lymphomas: similarities

and differences.

V.Ascoli, G.Marangi, I.Cozzi, V.Giannelli, M.Merli, F.Petrachi, C.Lorusso, G Della

Grotta, C. Danese, I. Della Starza, R.Guarini. (Poster I Congresso SIAPEC Società di

Anatomia Patologica) 2012.

2.Comparison of two RQ-PCR strategies for minimal residual disease evaluation

in lymphoproliferative disorders: Correlation between immunoglobulin gene

mutation load and RQ-PCR performance.

Irene Della Starza, Marzia Cavalli, Ilaria Del Giudice, Daniela Barbero, Barbara

Mantoan, Elisa Genuardi, Claudia Mannu, Anna Gazzola, Elena Ciabatti, Anna Guarini,

Robin Foà , Sara Galimberti, Pierpaolo Piccaluga, Gianluca Gaidano, Marco Ladetto,

Luigia Monitillo on behalf of the FIL-MRD network (EHA European Hematology

Association) 2013.

3.Immunoglobulin gene rearrangments in Asian patients with Chronic

Lymphocytic Leukemia.

Marilisa Marinelli, Ilaria Del Giudice, Caterina Ilari, Irene Della Starza, Silvia Bonina,

Yok-Lam Kwong, Thomas Chan, Kit-Fai Wong, Anna Guarini, Eric Tse, Robin Foà (EHA

European Hematology Association) 2013.

4.Prognostic role of BCL-2 molecular monitoring in patients with

early stage follicular lymphoma.

Alessandro Pulsoni, Irene Della Starza, Giorgia Annechini, Federico De Angelis,

Gianna Maria D’Elia, Pasqualina D’Urso, Sara Panfilio, Marzia Cavalli, Lavinia Grapulin

and Robin Foà. Poster 12th International Conference On Malignant Lymphoma (ICML

2013).

134