capitolo iv 4.apparecchiature utilizzate e...

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse 4-1 CAPITOLO IV 4.APPARECCHIATURE UTILIZZATE E PROCEDURE SPERIMENTALI CONNESSE 4.1 INTRODUZIONE Questa sezione della tesi si svolge in stretta prosecuzione del capitolo precedente in cui sono state illustrate le tecniche di preparazione del materiale. Saranno presentate, in questa sede, le apparecchiature di laboratorio utilizzate, le relative procedure sperimentali ed i criteri di interpretazione dei risultati. Il filo conduttore dei due capitoli è in sostanza quello di seguire le diverse fasi che sono necessarie per l’esecuzione di una prova di laboratorio avente la finalità di analizzare le caratteristiche tensiodeformative di un terreno. Particolare enfasi sarà data all’illustrazione di alcune modifiche alle attrezzature, introdotte contestualmente all’esecuzione del lavoro sperimentale descritto in questa tesi. Saranno trattati invece, in maniera più sintetica, quegli aspetti che, per quanto non facciano direttamente parte delle tecniche di laboratorio convenzionali, già hanno trovato spazio in diversi lavori di letteratura. Occorre ribadire infatti che, per lo studio del comportamento tensiodeformativo del materiale nel campo delle piccole e medie deformazioni, non è possibile adoperare tecniche di tipo ordinario, quali ad esempio le tradizionali prove di compressione triassiale. Nel capitolo allora, saranno presentati i sistemi di misura “non convenzionali” presenti presso l’Istituto di Tecnica delle Fondazioni dell’Università di Napoli. In tale ambito, sarà fatto riferimento alle celle triassiali a stress-path controllato, in cui sono stati introdotti alcuni sistemi di misura locale delle deformazioni assiali ed un sistema di misura della rigidezza a bassi livelli di deformazione (Bender Elements). Sarà descritta inoltre la cella RCTS utilizzata e presentati i relativi metodi di analisi dei risultati. In questa sede saranno riportate inoltre, alcune caratteristiche dell’apparecchiatura triassiale utilizzata presso l’Institute of Industrial Science dell’Università di Tokyo. Tali indicazioni sono utili sia per puntualizzarne alcuni aspetti del funzionamento non reperibili in letteratura, in quanto modificati da chi scrive sia, e soprattutto, per poter effettuare di volta in volta un confronto critico con le attrezzature triassiali utilizzate a Napoli.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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CAPITOLO IV

4.APPARECCHIATURE UTILIZZATE E PROCEDURE SPERIMENTALI CONNESSE

4.1 INTRODUZIONE Questa sezione della tesi si svolge in stretta prosecuzione del capitolo precedente in cui sono state illustrate le tecniche di preparazione del materiale. Saranno presentate, in questa sede, le apparecchiature di laboratorio utilizzate, le relative procedure sperimentali ed i criteri di interpretazione dei risultati. Il filo conduttore dei due capitoli è in sostanza quello di seguire le diverse fasi che sono necessarie per l’esecuzione di una prova di laboratorio avente la finalità di analizzare le caratteristiche tensiodeformative di un terreno. Particolare enfasi sarà data all’illustrazione di alcune modifiche alle attrezzature, introdotte contestualmente all’esecuzione del lavoro sperimentale descritto in questa tesi. Saranno trattati invece, in maniera più sintetica, quegli aspetti che, per quanto non facciano direttamente parte delle tecniche di laboratorio convenzionali, già hanno trovato spazio in diversi lavori di letteratura. Occorre ribadire infatti che, per lo studio del comportamento tensiodeformativo del materiale nel campo delle piccole e medie deformazioni, non è possibile adoperare tecniche di tipo ordinario, quali ad esempio le tradizionali prove di compressione triassiale. Nel capitolo allora, saranno presentati i sistemi di misura “non convenzionali” presenti presso l’Istituto di Tecnica delle Fondazioni dell’Università di Napoli. In tale ambito, sarà fatto riferimento alle celle triassiali a stress-path controllato, in cui sono stati introdotti alcuni sistemi di misura locale delle deformazioni assiali ed un sistema di misura della rigidezza a bassi livelli di deformazione (Bender Elements). Sarà descritta inoltre la cella RCTS utilizzata e presentati i relativi metodi di analisi dei risultati. In questa sede saranno riportate inoltre, alcune caratteristiche dell’apparecchiatura triassiale utilizzata presso l’Institute of Industrial Science dell’Università di Tokyo. Tali indicazioni sono utili sia per puntualizzarne alcuni aspetti del funzionamento non reperibili in letteratura, in quanto modificati da chi scrive sia, e soprattutto, per poter effettuare di volta in volta un confronto critico con le attrezzature triassiali utilizzate a Napoli.

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4.2 DEFINIZIONE DEI PARAMETRI DI RIGIDEZZA E DI SMORZAMENTO

Prima di affrontare la descrizione delle procedure sperimentali e delle apparecchiature utilizzate, è opportuno richiamare alcune definizioni che saranno utilizzate nel corso della tesi. In Fig. 4-1 sono riportate alcune possibili definizioni del modulo di Young, ricavato da una prova di compressione triassiale monotona, in cui è stato effettuato un piccolo ciclo di scarico e ricarico. Nell’ambito di questo lavoro, per le prove monotone si è fatto riferimento solo al modulo di Young secante, definito come:

Eq

sec =ε 1

.................................................. (4.1)

Per le prove di compressione la deformazione principale massima ε1 coincide con la deformazione assiale ed, il suo valore, viene calcolato con riferimento alla lunghezza del provino a termine della consolidazione. Il modulo di Young iniziale Emax ≡E0 è definito come la pendenza del tratto iniziale della curva tensione-deformazione. La definizione di modulo di Young equivalente deriva direttamente dalle definizioni proprie delle sollecitazioni di tipo ciclico. Esso è determinato dal rapporto tra deviatore e deformazione tra i punti di inversione:

Eq q

eqS A

S A

S A

S A

= =22 1ε ε ,

......................................... (4.2)

e va associato alla semiampiezza ε1,SA. In stretta analogia con la (4.2), facendo riferimento ad una sollecitazione di taglio semplice, in un ciclo τ−γ (v. Fig. 4-2) è possibile definire un modulo di taglio equivalente dalla relazione:

G GeqPP

PP

= =τγ

............................................. (4.3)

ed associarlo all’ampiezza di deformazione γ γγ

S App= =2

.

Per una sollecitazione di tipo triassiale o per una sollecitazione di taglio semplice, il fattore di smorzamento è definito da:

DW

WD

s

=4π

................................................ (4.4)

ovvero dal rapporto tra l’area del ciclo e un’area di riferimento che rappresenta l'energia di deformazione impressa al terreno nella fase di primo carico (v. Fig. 4.2).

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Le definizioni (4.3) e (4.4) sono valide a rigore quando il comportamento del terreno è di tipo “stabile”, ovvero quando, esso percorre sempre la stessa curva tensione-deformazione se sottoposto ad una sollecitazione di tipo ciclico. Si noti che, in tal caso, il modulo equivalente coincide con il modulo secante della curva di primo carico (backbone curve), qualora i cicli di isteresi siano simmetrici rispetto la linea che congiunge i due punti di inversione. In tale ipotesi il modulo secante (da prove monotone) e quello equivalente (da prove cicliche) risultano pienamente confrontabili se riferiti a pari deformazioni di singola ampiezza.

4.3 CELLE TRIASSIALI A STRESS PATH CONTROLLATO Una parte consistente dell’attività sperimentale eseguita in questa tesi è stata effettuata per mezzo di celle triassiali a stress path controllato. In questo paragrafo sarà presentata una descrizione delle apparecchiature, mentre in seguito saranno messe in evidenza le procedure sperimentali seguite per effettuare le prove ed i relativi criteri di interpretazione. Sono stati utilizzati due diversi tipi di celle triassiali. Un primo modello è quello sviluppato originariamente presso l’Imperial College di Londra (Bishop e Wesley, 1975) ed il cui sistema di controllo è stato messo a punto presso la City University sempre di Londra (Atkinson et al., 1985). Esso sarà descritto in sintesi, in quanto già ampiamente illustrato in altri lavori (v. es. Santucci de Magistris, 1992). Una maggiore attenzione sarà dedicata invece alle recenti modifiche apportate a tale sistema presso l’Università di Napoli (Aversa e Vinale, 1995).

4.3.1 CELLA TRIASSIALE A STRESS-PATH CONTROLLATO ORIGINALE In Fig. 4-3 è riportato uno schema generale di una cella triassiale a stress path controllato. Essa è composta da tre parti fondamentali: una cella triassiale di tipo idraulico (1); un sistema per la regolazione delle pressioni (2) e un personal computer (3) per l’acquisizione ed il controllo delle prove. La cella triassiale utilizzata opera su provini di diametro pari a 38 mm e di altezza generalmente pari a 76 mm. Il carico assiale è applicato mediante un pistone posto nella parte inferiore dell'apparecchiatura, mentre il provino fa contrasto superiormente con una cella di carico fissa (Bishop e Wesley, 1975). Il pistone è messo in movimento grazie alla pressione esistente in una camera posta al di sotto di esso. Il sistema per la regolazione delle pressioni (v. Fig. 4-4) è caratterizzato da tre regolatori di pressione elettromeccanici (tipo Watson-Smith Ltd modello 101X) ed interfacce aria-

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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acqua create attraverso membrane tipo "Bellofram" inserite in due cilindri di perspex (pressione assiale e pressione radiale) e in un volume gauge (back-pressure). Il circuito della pressione assiale è configurato in modo che il sistema possa operare a tensione controllata o a deformazione controllata. In questo secondo caso, la sollecitazione assiale è applicata dal pistone, spinto dal fluido presente nella camera inferiore spostato con portata costante, da un pistone a vite, azionato da un motorino elettrico passo passo (Atkinson, 1984). Nella configurazione standard, il sistema triassiale è dotato di diversi trasduttori per rilevare lo stato corrente del provino. La cella di carico è posizionata all’interno della cella triassiale, come consigliato in diversi lavori di letteratura (v. es. Tatsuoka, 1988) al fine di non risentire degli attriti. Quella utilizzata è della Wykeham Farrance modello 4958 con una capacità di carico di 3 kN, corrispondente ad una σa,max ≅ 3 MPa. Nelle condizioni di massimo carico ha una deflessione di 0.05 mm con un output di 12 mV. Tale segnale viene amplificato tramite un amplificatore della RDP Electronics modello S7DC. Per la misura della pressione neutra e della pressione di cella vengono utilizzati dei trasduttori a membrana prodotti dalla Druck e commercializzati della Wykeham Farrance del tipo 17060 con un fondo scala massimo di 1000 kPa. In alcune prove è stato utilizzato un trasduttore locale a pietra porosa (probe) per la misura delle pressioni neutre (Hight, 1982) della Druck modello PDCR 81. Esso consente di monitorare il regime di pressioni neutre all’interno del provino allo scopo, tra l'altro, di determinare un’adeguata velocità di prova nel caso di prove drenate. Le deformazioni assiali vengono rilevate esternamente al provino tramite un LVDT. Il trasduttore utilizzato è della RDP Electronics tipo LDC500A che prevede un'escursione massima dell'astina di 25 mm. Le deformazioni volumetriche del provino vengono rilevate misurando la quantità d'acqua entrante o uscente dal provino stesso tramite un volume gauge disegnato presso l’Imperial College di Londra. Esso ha un volume di misura massimo di 50 cm3 ed utilizza un LVDT analogo a quello impiegato per la misura delle deformazioni. Per leggere i segnali provenienti dai trasduttori e per comandare i regolatori di pressione, si è adottata una scheda A/D-D/A della CIL Group del tipo Alpha Super Card, alloggiata in un personal computer del tipo IBM compatibile. Essa ed è dotata tra l’altro di 8 linee di input a 16 bit e 4 linee di output a 16 bit. Sulla scheda è installato un microprocessore tipo Z80 con una propria memoria RAM in modo da effettuare alcune operazioni in maniera autonoma dal PC preposto al controllo ed all’acquisizione, come ad esempio il filtraggio digitale dei segnali. Per la gestione della apparecchiatura è stato scritto un software appropriato in un linguaggio ad alto livello (QuickBasic). Esso opera seguendo le seguenti specifiche:

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1. trasformare in unità fisiche i dati provenienti dai trasduttori, 2. immettere le modalità di variazione delle pressioni agenti sul provino nel corso della prova, 3. azzerare i trasduttori ed inserire le costanti di taratura, 4. controllare le prove mediante feed-back e quindi inviare i parametri ai convertitori di pressione, 5. inviare i parametri di controllo al relay del motorino passo passo, 6. mostrare lo stato del provino sul video, in forma grafica o digitale, e registrarlo ad intervalli prefissati su file e su stampante.

Il ciclo principale può essere schematizzato in un diagramma a blocchi riportato in Fig. 4-5 e nella configurazione attuale viene eseguito in 3÷4 sec. Tramite il controllo via software è possibile inoltre creare delle “condizioni di sicurezza” sia verso il provino di terreno che verso i trasduttori, quando si effettuano fasi di prove a carico controllato. Inoltre è possibile eseguire automaticamente una prove che comprenda più fasi, fornendo all’inizio tutti i parametri di controllo necessari.

4.3.2 MODIFICHE APPORTATE PRESSO L’UNIVERSITÀ DI NAPOLI Le modifiche al sistema sviluppate presso l’Università di Napoli (Aversa e Vinale, 1995), hanno lo scopo di porre rimedio ad alcune limitazioni presenti nell’apparecchiatura originaria. Esse hanno portato alla realizzazione di una nuova cella triassiale di tipo idraulico (schematizzata in Fig. 4-6) e ad alcune modifiche alla parte elettronica del sistema. Innanzitutto, in una cella triassiale idraulica, la tensione deviatorica q, è collegata alla pressione pa della camera alla base del pistone e alla pressione di cella pr, tramite l’equazione di equilibrio alla traslazione verticale del pistone (Bishop e Wesley, 1975):

( )qA

p A p A Ws

a l r u= − −1

.......................................(4.5)

dove W è il peso del pistone, As è l’area trasversale del provino, Al ed Au sono rispettivamente l’area della guarnizione di tipo Bellofram inferiore e superiore. Nella cella originale, risulta Al=As. Dalla (4.5) è evidente che la tensione deviatorica massima qmax, che può essere applicata ad un provino in una prova a tensione controllata, è funzione sia della pressione di cella che della pressione massima che può essere fornita alla camera sottostante al pistone σr,max. Limitando le pressioni con cui vengono usate le apparecchiature a 1000 kPa, la relazione che nella apparecchiatura originaria lega la tensione deviatorica massima alla pressione di cella è rappresentata dalla linea tratteggiata in Fig. 4-7. Nella stessa figura, l’area puntinata al di sotto di tale linea rappresenta gli stati di tensione totale raggiungibili in una cella Bishop e Wesley, nelle prove a carico

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controllato. Ne deriva che, alle massime pressioni di cella raggiungibili, non è possibile applicare tensioni deviatoriche significative se non operando direttamente a deformazione imposta. Al fine di superare questa limitazione, l’area del Bellofram inferiore è stata incrementata di circa il 20 %. Di conseguenza, il campo di funzionamento raggiungibile in condizioni di carico controllato viene ad incrementarsi dell’area ombreggiata riportata sempre in Fig. 4-7. Nel collaudo di queste modifiche è stato verificato che, con l’incremento della sezione trasversale della camera inferiore, non si è evidenziata una maggiore instabilità del controllo dei carichi sul provino che, rappresenta tra l’altro, il principale vincolo alle dimensioni della camera stessa. Un altro punto che è stato modificato nella nuova apparecchiatura è relativo alla deformabilità complessiva del sistema. Come sarà sottolineato nel successivo § 4.4, un inconveniente che limita le misure di rigidezza dei terreni nelle convenzionali prove triassiali, è dato dalla deformabilità della cella. In Fig. 4-8 sono riportate alcune cosiddette prove di compliance sulla cella originale (B&W) e sulla cella modificata (A&V), eseguite utilizzando un provino di alluminio di deformabilità nota. Osservando i risultati ottenuti sul sistema originale, è possibile rilevare che la rigidezza aumenta con la pressione di cella e con il carico deviatorico. Poiché le curve non appaiono ripetibili, diventa molto difficile depurare dalla deformabilità del sistema le misure di deformazione assiale esterna. La principale causa di deformabilità del sistema di carico è stata attribuita al vitone che collega la cella di carico al piatto superiore della cella. Sostituendola infatti con un collegamento rigido, nella nuova versione dell’apparecchiatura, si è osservata (cfr. la Fig. 4-8) una deformabilità complessiva del sistema notevolmente più bassa. Per quanto riguarda la parte elettronica, pur utilizzando gli stessi trasduttori della cella originale, sono stati ridisegnati alcuni amplificatori di modo che il loro output potesse coprire l’intero campo di segnali acquisibili dalla scheda A/D utilizzata, incrementando la risoluzione stessa dei trasduttori. L’amplificatore della cella di carico è stato inoltre posizionato nei pressi della cella stessa, per aumentare il rapporto segnale/rumore.

4.4 SULLA NECESSITÀ DELLA MISURA LOCALE DELLE DEFORMAZIONI ASSIALI La necessità di ricorrere a trasduttori locali per la misura del comportamento tensiodeformativo del terreno in prove di compressione triassiale, sembra ormai largamente riconosciuta nell’ambito dell’Ingegneria Geotecnica.

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Da oltre un decennio viene infatti dimostrato che le convenzionali misure esterne degli spostamenti sono affette da una serie di errori che possono essere così elevati, da pregiudicare l’uso delle misure di deformabilità in laboratorio per analizzare il comportamento di un terreno sotto le ordinarie condizioni di esercizio (Jardine et al., 1984). Ciò è stato osservato sia dal confronto tra misure di rigidezza ottenute da prove di laboratorio e da prove in sito, sia dalla back-analysis di casi reali (Burland, 1989). E’ stato riconosciuto altresì che i semplici miglioramenti proposti per utilizzare misure esterne (Atkinson e Evans, 1985), tra l’altro adottati nell’apparecchiatura triassiale in funzione presso l’Università di Napoli, non sono da soli sufficienti a risolvere tutti i problemi connessi con la misura della rigidezza a piccole e medie deformazioni1. Nella ormai classica Fig. 4-9, sono schematizzate le principali fonti di errore che affliggono le misure delle deformazioni assiali. Esse fanno sì che lo spostamento che si misura con le tecniche convenzionali, all’esterno della cella, sia superiore rispetto a quello che effettivamente interessa il provino. Una prima causa di errore, di cui si è discusso nel precedente paragrafo § 4.3.2, deriva dalla deformabilità complessiva del sistema, e quindi dalla deformazione della struttura esterna della cella, dalla deformazione della cella di carico in sé stessa e dei suoi sistemi di connessione. La causa principale di errore è però il cosiddetto bedding error, ovvero quella serie di errori indotti dall’assestamento iniziale, che si osservano a causa della non perfetta perpendicolarità tra basi ed asse del provino, e per le inevitabili irregolarità locali delle basi stesse. Altri errori derivano dai vari assestamenti e fenomeni deformativi che interessano la base superiore di perspex (top cap), le pietre porose e la carta da filtro. La soluzione che può essere adottata per superare questa serie di problemi, deriva dalla misura locale delle deformazioni assiali, ovvero nel valutare tale deformazione attraverso la misura degli spostamenti relativi che intercorrono tra due punti situati sulla superficie laterale del provino. Generalmente le misure vengono effettuate lungo due direttrici verticali diametralmente opposte, e la deformazione assiale è fornita dalla media dei due valori, in modo da ridurre anche l'errore da deflessione del provino. Adottando questa tecnica di misura, in numerose ricerche viene sottolineato che la rigidezza così ottenuta, risulta sensibilmente più elevata di quella che emerge dalla misura esterne e, in buon accordo con le misure di sito, una volta che si sia effettuato il paragone agli opportuni livelli di deformazione e, si siano utilizzati campioni di elevata qualità (v. es. Tatsuoka e Shibuya, 1992; Tatsuoka e Kohata, 1995).

1 La determinazione della rigidezza di un materiale è funzione di entrambe le misure sia di tensione che di deformazione. Che gli sforzi nella ricerca si siano indirizzati verso il miglioramento delle misure di deformazione deriva dal fatto che la rigidezza iniziale dei terreni è relativamente elevata di modo che ad una piccola variazione della deformazione, corrisponde una non altrettanto piccola variazione di carico.

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4.4.1 SISTEMI PER LA MISURA LOCALE DELLE DEFORMAZIONI ASSIALI PROPOSTI IN LETTERATURA In letteratura sono stati proposti diversi sistemi per la misura locale delle deformazioni assiali, che verranno qui brevemente illustrati. Due di questi sistemi sono stati adottati presso l’Istituto di Tecnica delle Fondazioni dell’Università di Napoli, e saranno descritti in seguito in maggior dettaglio. Ad una prima categoria appartengono gli apparecchi di misura di tipo ottico (v. es. Arthur e Phillips, 1975). Tali sistemi non sono caratterizzati da una adeguata accuratezza e sembrano ormai abbandonati nelle applicazioni di routine. Sistemi basati sull’uso di LVDT come trasduttori locali sono stati proposti a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 (Brown e Snaith, 1974; Boyce e Brown, 1976; Chamberlain et al., 1979; Brown et al., 1981; Costa Filho, 1985). Essi vengono utilizzati seguendo due schemi: in un primo caso vengono adoperati due collari collegati con il provino, uno per sostenere il corpo del trasduttore, l’altro per mantenerne il nucleo. Un secondo schema prevede l’utilizzo di un’intelaiatura per sostenere il corpo dei trasduttori, facendo gravare sul terreno il solo peso del nucleo collegato ad un punto fisso del provino (target). Nel primo caso, un solo trasduttore è sufficiente per misurare gli spostamenti relativi lungo una direttrice della superficie laterale del provino (v. Fig. 4-10 (a)). Nel secondo caso, ogni trasduttore legge solamente gli spostamenti del target rispetto ad un punto fisso. Di conseguenza, la deformazione assiale sarà fornita dalla differenza tra i valori degli spostamenti misurati in due punti, da due trasduttori diversi. In alcuni casi i punti sono allineati lungo una direttrice verticale (v. Fig. 4-10 (b)), in altri casi non lo sono (v. Fig. 4-10 (c)). Un altro sistema proposto, si basa sull’uso delle livelle elettrolitiche (Burland e Symes, 1982; Jardine et al., 1984). In tale sistema, lo spostamento relativo tra due punti della superficie esterna del provino è riprodotto da un arco a tre cerniere che induce la rotazione di un cilindro all’interno del quale si trova un liquido elettrolita (v. Fig. 4-11). Per quanto tali trasduttori possano essere utilizzati in un campo di deformazioni molto esteso, essi non sembrano possedere la stessa accuratezza di misura rispetto agli altri sistemi proposti. Ciò si verifica anche per i trasduttori ad effetto Hall. Questi (Clayton e Khatrush, 1986; Clayton et al., 1989) si basano sul principio secondo il quale la quantità di corrente che

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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passa attraverso una piastra di materiale semiconduttore, varia a seconda della quantità di linee di flusso magnetiche che attraversano tale piastra. Il trasduttore è quindi composto da due parti (v. Fig. 4-12): quella superiore è costituita da un pendolo con una molla di richiamo che sostiene due barrette magnetiche; la parte inferiore è costituita dal semiconduttore incapsulato in un contenitore di ottone. La misura della deformazione assiale locale deriva direttamente dalle variazioni del campo magnetico, indotte dal movimento relativo che si verifica tra le due parti del trasduttore. Presso la City University di Londra, una coppia di trasduttori ad effetto Hall è stata utilizzata da che scrive per eseguire una prova di compressione triassiale a pressione totale media costante (prova MT05tx) su uno dei materiali oggetto di studio. In Fig. 4-13 sono riportate, in diverse scale, le curve tensione-deformazione ottenute tramite le misure di deformazione esterne e tramite le misure di deformazione locali. Dalla Fig. 4-13 (a) si può notare che la rigidezza misurata con i trasduttori locali è visibilmente maggiore di quella che deriva dalla misura con l’LVDT esterno. Si nota inoltre che il campo di funzionamento dei trasduttori ad effetto Hall è molto esteso, raggiungendo, nel caso specifico, una deformazione assiale di circa εa ≈ 3%. Di contro, l’accuratezza delle misure non è particolarmente elevata e, come si può notare dalla Fig. 4-13 (b), sebbene essi abbiano una risoluzione decisamente superiore rispetto all’LVDT, permettono di cogliere il comportamento del terreno a bassi livelli di deformazione, solo in maniera approssimativa. Dalla stessa Fig. 4-13 (b) parrebbe addirittura che la rigidezza misurata con un trasduttore esterno sia maggiore di quella ricavata da trasduttori locali, ma ciò è dovuto esclusivamente alla non affidabilità in tale scala delle misure esterne. Un sistema che sembra riportare crescenti consensi nella comunità scientifica è centrato sull’uso di trasduttori di non contatto o proximitors. Questi trasduttori, basati sulla misura delle correnti parassite (o di Foucault), presentano il vantaggio di non porre alcun vincolo al moto del punto cui è collegato il target (Hird e Young, 1990). Per l’uso di tali trasduttori come sistema di misura locale, generalmente si ricorre ad una intelaiatura che fissa la posizione del corpo del trasduttore rispetto al riferimento esterno (v. Fig. 4-14), anche se in alcuni lavori esso è collegato direttamente al provino (v. es. Kim, 1991). Quanto al campo di funzionamento, esso è direttamente legato al modello utilizzato: di norma, quanto più grande è il fondo scala del trasduttore, tanto minore sarà la sua risoluzione. Un ultima sistema presentato in letteratura, sviluppato presso l’Institute of Industrial Science dell’Università di Tokyo, è costituito dagli LDT acronimo di Local Displacement Transducers (Tatsuoka et al., 1990; Goto et al., 1991). Questi trasduttori (v. Fig. 4-15) sono realizzati tramite una sottile lamina di bronzo fosforoso, sui due lati della quale sono incollate due coppie di strain gauges. Queste sono collegate in modo

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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da formare un ponte di Wheatstone, per minimizzare i disturbi indotti da variazioni termiche. La lamina è inserita all’interno di due “pseudo-cerniere” incollate sulla superficie laterale del provino, e si mantiene in sede grazie alla forza di reazione elastica dovuta alla sua inflessione. Lo spostamento relativo tra le due cerniere produce un’ulteriore deflessione della lamina che, viene rilevata dagli strain gauges. Il principio di funzionamento dei trasduttori è tale che essi abbiano un comportamento non lineare. In particolare, la relazione teorica che lega lo spostamento tra le due cerniere e l’output elettrico dello strumento è di tipo parabolico.

4.4.2 ERRORI NELLA MISURA LOCALE DELLE DEFORMAZIONI ASSIALI Le misure locali di deformazione assiale, ancorché in maniera più limitata e di natura diversa rispetto alle deformazioni esterne, sono soggette ad alcuni errori e restrizioni che giocano un ruolo diverso a seconda del sistema adottato. Occorre innanzitutto tenere presente che, quando si fa riferimento al campo delle piccole deformazioni, sono coinvolti movimenti relativi estremamente limitati. Ad esempio, rispetto ad una base di misura di 50 mm, una deformazione assiale pari a εa=0.001% comporta spostamenti tra i due punti di misura dell’ordine di 5µm. Ciò implica che le misure a piccole deformazioni, sono tanto più difficili e soggette all’inaccuratezza dei trasduttori, quanto più si usano provini di dimensioni ridotte. Si consideri poi che un punto sulla superficie laterale di un provino, in generale si muoverà in più di una direzione, mentre il sistema di misura riesce a cogliere solo una componente di tale spostamento. Il sistema di misura locale deve allora essere strutturato in modo da accomodare tutti i movimenti del punto collegato al target, che deve interferire nella maniera più limitata possibile con il terreno. Per misurare le deformazioni assiali, deve essere inoltre assicurata la massima coassialità tra provino e trasduttori. Occorre tenere presente inoltre che, le misure locali sono influenzate dall’effetto del barrelling del provino, che induce un errore nella valutazione delle deformazioni più o meno marcato a seconda del sistema adottato. Nella pratica, tali effetti sono trascurabili nel campo delle piccole e medie deformazioni (Pallara, 1995). Un'ulteriore domanda che occorre porsi è, in che termini, gli spostamenti di uno o due target incollati sulla superficie esterna della membrana che circonda il provino, siano rappresentativi degli effettivi spostamenti che si verificano all’interno del terreno. Tale domanda ha trovato riposta in diverse ricerche secondo le quali, spostamenti relativi tra terreno e membrana sussistono solo a grandi deformazioni (v. es. Burland e Symes, 1982).

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Un'ultima fonte di errore deriva dalla misura della distanza tra i target, necessaria per determinare la base sulla quale calcolare le deformazioni. Come sarà illustrato in seguito, tale misura è necessaria esclusivamente per i sistemi in cui i trasduttori locali sono vincolati ad un sostegno esterno. Infine va tenuto presente che gli errori di misura della deformazione assiale, indotti dalla mancanza di accuratezza dei trasduttori in sé stessi, sono più gravosi per i sistemi che prevedono l’uso di due trasduttori indipendenti per asse, rispetto ai sistemi che ne prevedono uno solo2. Dette infatti δx e δy le incertezze che competono ai due trasduttori ed L la lunghezza della base di misura, l’errore complessivo sulla misura della deformazione assiale, δεa è fornito da (Hird e Young, 1989):

δεδ δ

ax y

L=

+2 2

..........................................(4.6)

Tale valore è maggiore di δz/L, errore che si compie utilizzando un unico trasduttore, caratterizzato dall’inaccuratezza δz, se questa è di entità analoga all’inaccuratezza dei due trasduttori precedenti.

4.5 TRASDUTTORI LOCALI ADOPERATI PRESSO L’UNIVERSITÀ DI NAPOLI Presso l’Istituto di Tecnica delle Fondazioni dell’Università di Napoli, sono stati messi a punto due sistemi di misura locale delle deformazioni assiali. Entrambi i sistemi soffrono della limitazione di dover operare rispetto ad una base di misura ridotta, a causa delle piccole dimensioni dei provini utilizzati nella sperimentazione.

Il primo sistema è basato su trasduttori del tipo LDT. Le barrette utilizzate hanno dimensioni pari a 65 mm di lunghezza, 4 mm di larghezza e 0.5 mm di spessore. Per realizzare gli strumenti sono stati utilizzati strain gauges della Kyowa corp. incollati nella parte centrale delle barrette. Nella configurazione attuale è previsto l’uso di due trasduttori sistemati lungo la superficie laterale del provino, l’uno in posizione diametralmente opposta rispetto all’altro. I trasduttori devono essere rimossi durante l’esecuzione delle prove, prima che il materiale raggiunga le condizioni di rottura. A tal fine, alla base superiore della cella è stato applicato un tubo di polietilene che forma da guida ad un filo di nylon, collegato al trasduttore stesso e con l’esterno della cella (v. Fig. 4-16).

2 a parità di caratteristiche dei trasduttori

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4-12

I trasduttori sono alimentati da un unico alimentatore a corrente continua a 1.25 V, mentre il segnale di uscita dagli strain gauges è amplificato tramite due amplificatori (uno per ogni trasduttore) di 1000 volte, prima di essere inviato alla scheda A/D utilizzata per gestire l’intera cella. Il segnale viene filtrato in maniera digitale dalla scheda, che media 1000 letture prima di restituire un valore dell’output del trasduttore. L’utilizzo di un tale sistema di misura ha richiesto la realizzazione di un appropriato sistema di taratura. Questo è costituito da un carrello che scorre su una guida lineare di precisione, che sostiene delle staffe che portano gli LDT. Il movimento del carrello è regolato da una vite micrometrica con passo di 1/100 di mm ed eventualmente, può essere letto da un comparatore millesimale. Il sistema di taratura tra l’altro, è strutturato in modo da poter essere utilizzato anche per altri trasduttori di spostamento in uso presso l’Istituto di Tecnica delle Fondazioni (LVDT di diverse dimensioni e trasduttori di prossimità). Il secondo sistema adoperato, si basa su trasduttori LVDT miniaturizzati. Sono stati adottati quattro trasduttori della RDP modello D5/40W di tipo immergibile. I corpi dei trasduttori sono sostenuti da staffe, che possono essere movimentate tramite un rimando meccanico dall'esterno della cella triassiale, secondo quanto schematizzato in Fig. 4-17. Ogni target, incollato sulla superficie esterna del provino, è munito di un’asola, entro la quale è sospeso il nucleo degli LVDT. Esso si mantiene a contatto con il target per peso proprio. Gli LVDT sono rivolti verso l’alto, di modo che la compressione del provino tende a far fuoriuscire i nuclei dal corpo dei trasduttori. Per come è disegnato il sistema, una rottura improvvisa e non controllata del provino non danneggia gli strumenti di misura: la deformazione a barilotto, che si osserva a grandi deformazioni, produce infatti una rotazione dei target e tale rotazione non induce alcuna forza sui nuclei in quanto essi sono liberi di muoversi all’interno dell’asola. Le interferenze complessive tra trasduttori e provino sono alquanto limitate, anche perché il sistema target+nucleo ha un peso complessivo non superiore ai sette grammi. Il sistema è realizzato da quattro trasduttori, in modo che la deformazione locale assiale derivi dalla media delle determinazioni effettuate lungo due lati del provino. Va segnalato che, a causa delle dimensioni ridotte del provino e degli ingombri degli LVDT, non è stato possibile posizionare i due trasduttori allineati lungo un asse, ma essi sono sfalsati tra loro di circa 15°. Ogni coppia di LVDT è collegata ad una apposita centralina di alimentazione e lettura della RDP, modello E525. I trasduttori sono alimentati a corrente alternata ad 1 V. Il segnale di uscita è amplificato di 330 volte ed è filtrato in maniera digitale dalla centralina, che è stata programmata in modo da mediare 16 letture prima di restituire un valore dell’output del trasduttore.

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4-13

La centralina stessa provvede alla conversione A/D del segnale dei trasduttori ed alla restituzione delle letture in unità fisiche. I trasduttori infatti, sono stati tarati direttamente dalla casa produttrice e le costanti di taratura, ottenute interpolando i dati di calibrazione tramite una polinomiale di quinto grado, sono implementate all’interno della centralina stessa. Il dialogo tra centralina e calcolatore è stato realizzato utilizzando la porta seriale RS232 e per mezzo di istruzioni in linguaggio QuickBasic. Leggere dei trasduttori senza utilizzare la scheda di acquisizione, da una parte rallenta l’esecuzione dell’intero loop di controllo (che passa dai circa 3÷4 sec a circa 5 sec), ma consente al sistema di avere disponibili due canali ausiliari e di ottenere misure più precise.

4.5.1 CONFRONTO TRA I SISTEMI ADOTTATI Il confronto tra i due sistemi di misura, adottati presso l’Università di Napoli, è sintetizzato nella Tab. 4-I. Nell’illustrare quanto riportato in tale tabella, occorre puntualizzare in primo luogo alcune definizioni relative al comportamento dei sistemi di misura che non sempre vengono intese in maniera univoca nella comunità scientifica. Per risoluzione di un trasduttore si intende la più piccola variazione della grandezza fisica rilevabile. La sua sensibilità è invece la grandezza del segnale di output in corrispondenza della misura di una grandezza fisica di valore noto. Il significato di precisione ed accuratezza è chiaramente spiegato in Fig. 4-18 (adottata da Dunnicliff, 1988). In particolare, la precisione esprime quanto ogni lettura del trasduttore è prossima alla media delle letture stesse e, in sostanza, è un indice della ripetitività delle misure. L’accuratezza invece rappresenta quanto ciò che misura il trasduttore è prossimo al valore reale ed in sostanza è un indice del grado di correttezza della misura. Nel caso degli LVDT, la risoluzione dipende direttamente dall’ultima cifra che può essere apprezzata nel display digitale della centralina. Nel caso degli LDT, essa è una funzione sia della sensibilità del trasduttore, che della scheda A/D a cui il trasduttore è collegato, ovvero dal suo numero di bit. Il sistema in questione adopera una scheda a 16 bit che lavora in un campo di tensioni di ± 10 V in corrente continua. Il principio di funzionamento degli LDT è tale che essi forniscano un output non lineare quando sono inflessi. La sensibilità del trasduttore varia allora a seconda della curvatura della lamina. In tabella sono riportati i valori medi della sensibilità, per

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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diversi campi di corrente in uscita, così come la risoluzione, è riferita ad una zona particolare di funzionamento del trasduttore. La precisione dei trasduttori è stata determinata monitorandone la risposta per un breve periodo di tempo. Essa dipende dal rapporto S/N del trasduttore e, dal filtraggio digitale dei segnali. L’accuratezza è stata ottenuta invece, diagrammando la distanza tra le misure rilevate e la funzione di interpolazione dei dati di calibrazione. Quest’ultima, in generale, viene scelta in modo che abbia una forma matematica che derivi dai principi di funzionamento meccanici ed elettronici dei trasduttori. Un esempio di curva di taratura, ottenuta tramite una fase di carico e di scarico, per i trasduttori LDT è rappresentata in Fig. 4-19 (a). Per ogni valore dello spostamento imposto, sono state acquisite dieci letture dell’output, al fine di minimizzare gli errori sulla curva di taratura indotti dalla non precisione. Nella Fig. 4-19 (b), sono riportati invece gli scarti esistenti tra i dati e la curva di taratura adottata per il particolare LDT. Per confronto sono riportati gli stessi scarti rilevati in fase di taratura per gli LVDT dalla casa costruttrice, oltre che quelli misurati con due trasduttori di prossimità utilizzati nella RCTS. E’ probabile che la non elevata accuratezza degli LDT derivi, oltre che dalle caratteristiche del trasduttore, anche da qualche malfunzionamento del dispositivo adottato per la taratura, cosa che potrebbe dedursi dalla

CARATTERISTICHE LVDT RDP D5/40W + E525

LDT (KYOWA ELECTRONICS)

risoluzione 0.1 µm (per ogni trasduttore)

1 bit = 0.305 mV (±10V, scheda 16 bit)

0.25 µm ⇔ 0-1 V

precisione ± 0.2 µm ± 0.4 µm

accuratezza ± 0.4 µm ± 5 µm

linearità si no

calibrazione polinomiale 5° parabola 2°

sensibilità (media) 1337.58 µm/V 0-1 V 74.13 µm/V 1-2 V 256.24 µm/V 2-3 V 438.35 µm/V

range 2 mm 3 mm (5%)

alimentazione 1 V - 5 kHz 1.25 V dc

guadagno 330 1000

filtraggio digitale 16 letture 500 letture

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4-15

conversione A/D E525 CIL

tipo di terreno soffice → consistente consistente

effetto del barrelling trascurabile molto limitato

verticalità punti di misura no si

montaggio difficoltoso difficoltoso

costo ≈£ 6.000.000 ≈ £ 1.000.000

Tab. 4-I Confronto tra due sistemi di misura della deformazione assiale locale

periodicità dell’andamento degli scarti misurati. Inoltre, a causa dei “disturbi ambientali” presenti durante la taratura (prevalentemente legati alle fluttuazioni della temperatura), la precisione rilevata in fase di calibrazione, dovrebbe essere peggiore che effettivamente compete al trasduttore durante lo svolgimento delle prove. Nella tabella è riportato anche il campo di funzionamento dei trasduttori. Il campo di deformazioni che è possibile leggere tramite gli LDT è limitato principalmente dal rischio di plasticizzazione delle lamine (Hoque et al., 1996), oltre che dalla resistenza del collegamento tra lamine e strain gauges e tra cerniere e membrana. All’interno di questo campo di funzionamento, essi hanno una zona di prestazione ottimale, che corrisponde al trasduttore quanto più possibile disteso. Il sistema di movimentazione meccanica degli LVDT consente invece di posizionare i trasduttori all’interno del loro campo di funzionamento, subito prima di iniziare la fase di taglio. La fase di compressione preliminare, specie se effettuata in condizioni anisotrope, può indurre infatti un livello di deformazioni sul terreno tale da far uscire i trasduttori fuori dalla loro zona di misura. Da qui deriva la limitazione dell’uso degli LDT ai soli terreni consistenti. Va segnalato comunque che le misure di rigidezza tramite trasduttori locali, sono per così dire obbligatorie, per terreni che subiscono una deformazione nella fase “pre-taglio” inferiore all’1%, mentre misure interne o al limite esterne potrebbero essere sufficientemente affidabili negli atri casi (Mukabi, 1995). In tali circostanze gli effetti del bedding error dovrebbero essere scontati, in larga parte, nella fase di compressione, una volta che si è provveduto ad assicurare il contatto tra testa di carico e base del provino fin dai primi momenti di esecuzione della prova. Per ottenere una stima della minima deformazione assiale rilevabile tramite i due sistemi, ovvero del livello di affidabilità degli stessi, occorre tenere conto oltre che del rumore e di un’aliquota di non affidabilità dovuta a isteresi, shift di zero e non linearità (Stallebrass, 1990). Le prove effettuate forniscono un esempio di confronto in tal senso, secondo quanto ad esempio è indicato in Fig. 4-20 (a) e (b) in cui sono riportate due

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prove di compressione triassiale non drenata a p’0=200 kPa su uno dei materiali oggetto del presente studio. In un caso le deformazioni assiali sono state misurate attraverso gli LVDT immergibili (prova MT253), in un altro esse derivano dagli LDT (prova MT255). Innanzitutto si può osservare la sostanziale similitudine tra i risultati ottenuti. Dalla Fig. 4-20 (a), in cui le misure interne sono paragonate oltre che tra loro anche con quelle effettuate dall’esterno della cella, si può constatare nuovamente come la rigidezza del materiale misurata nel primo caso sia superiore rispetto a quella che emerge dalle misure convenzionali. Dalla Fig. 4-20 (b) si può osservare inoltre come tramite entrambi i sistemi possa essere colto il comportamento del materiale a livelli di deformazioni relativamente bassi anche se, l’approssimazione connessa con le misure, non è tale da far individuare chiaramente il passaggio dal comportamento lineare al comportamento non lineare. Dai risultati sperimentali si può stabilire che un valore indicativo del livello di deformazione, a partire dal quale le misure di rigidezza appaiono affidabili, può essere stimato intorno ad εa ≈ 0.004%, per entrambi i sistemi. Tale valore è condizionato non solo dalle prestazioni dei sistemi di misura delle deformazioni assiali, ma anche dall’affidabilità della cella di carico e dalla stabilità del sistema di applicazione dei carichi. Una considerazione finale riguarda la posizione dei trasduttori locali rispetto al provino di terreno. Va segnalato infatti che, mentre i trasduttori LVDT sono posizionati in modo da leggere la deformazione nel cosiddetto “terzo centrale” del provino, i trasduttori LDT rilevano le deformazioni tra due punti posti in prossimità delle basi. Non è da escludersi che, in tale caso, le misure siano condizionate da qualche errore indotto dagli effetti di bordo. Alcune analisi numeriche hanno dimostrato infatti che, per provini con H/D=2, lo stato di deformazione è relativamente uniforme nella parte centrale del provino, mentre la rigidezza media del materiale tende ad aumentare se valutata su una base di misura più ampia, fin da quando si comincia a risentire dell'effetto di contenimento esercitato dalle basi scabre. (Esposito e Gaeta, 1995).

4.6 TRASDUTTORI DEL TIPO BENDER ELEMENTS Nel corso dello svolgimento della presente ricerca, due celle triassiali a stress-path controllato sono state munite di trasduttori piezoceramici a flessione (i cosiddetti "bender elements") per la generazione e la misura della velocità di onde di taglio all’interno dei provini, e quindi per la determinazione del modulo G0 dei terreni per via dinamica. La tecnica di misura si è sviluppata negli anni ‘70 presso l’Università del Texas ad Austin, anche se più recentemente è stata meglio codificata ed efficacemente introdotta

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-17

in celle triassiali ed altre apparecchiature geotecniche. (Shultheiss, 1981; Dyvik e Madshus, 1985; Brignoli e Gotti, 1992; Viggiani, 1992; Jamiolkowski et al., 1994). I trasduttori utilizzano il principio della piezoelettricità, ovvero di quella proprietà che esibiscono alcuni cristalli, di polarizzarsi elettricamente quando si deformano (effetto piezoelettrico diretto), ovvero di deformarsi quando soggetti ad un campo elettrico (effetto piezoelettrico inverso). Il “principio diretto” viene adottato per costruire dei sensori che rivelano le onde meccaniche che si propagano nel terreno, generate da trasmettitori costruiti sfruttando il “principio inverso”. Le proprietà piezoelettriche si verificano naturalmente in alcuni materiali, mentre possono essere indotte in alcune ceramiche policristalline, per effetto dell’applicazione di un campo elettrico intenso. Questo induce una distorsione dei dipoli delle ceramiche, che si allineano parallelamente alla direzione delle linee di flusso del campo elettrico. La polarizzazione è di tipo permanente. Essa viene cancellata quando il materiale è sottoposto ad una temperatura superiore alla cosiddetta temperatura di Curie (in genere superiore ai 100°C), quando è sottoposto ad un campo elettrico eccessivo e, quando le sollecitazioni meccaniche, impresse sul materiale, superano determinati limiti. Le piezoceramiche utilizzate sono una lega di titanato di piombo (PbTiO3) e di zirconato di piombo (PbZrO3 ) modello PTZ 5A prodotte dalla Morgan Matroc Ltd. Esse sono tagliate in piccoli elementi di dimensioni pari a 13 mm di altezza, 10 mm di larghezza e 0.8 mm di spessore ad di sopra dei quali sono posizionati degli elettrodi di nichel. Ogni elemento è a sua volta composto da due sottili piastrine unite tra loro, ed è polarizzato in modo tale che, se soggetto ad un campo elettrico, si inflette lungo il lato corto (v. Fig. 4-21). Nella stessa figura sono riportati gli schemi del collegamento elettrico tra le piastrine che può avvenite in parallelo o in serie. Il primo schema è preferibile per i trasmettitori poiché, applicando la stessa tensione di alimentazione ad entrambe lamine, esse si deformano in maniera doppia rispetto al collegamento in serie. Quest’ultimo è utilizzato invece per gli elementi ricevitori che, a parità di deformazione, generano un voltaggio maggiore. Ogni elemento è isolato elettricamente grazie ad un rivestimento di resina epossidica piuttosto flessibile. La miscela utilizzata è della Ciba Geigy (80% araldite D e 20% indurente HY 951). Essa viene versata in una apposita controforma apribile, di perspex, insieme alla piezoceramica, in modo che il pezzo finale risulti della forma schematizzata in Fig. 4-21. Per utilizzare i trasduttori è stato necessario predisporre degli appositi alloggiamenti nelle basi e nella testa di perspex delle celle triassiali.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-18

Lo spazio esistente tra bender element e base o testa che sia, è riempito da gomma siliconica. In Fig. 4-22 è riportato uno schema delle apparecchiature elettroniche utilizzate. All’elemento trasmettitore è inviato un segnale elettrico sinusoidale tramite un generatore di funzioni analogico del tipo Wavetek mod. 182A. Lo stesso segnale è inviato contemporaneamente ad un canale di un analizzatore di funzioni digitale. Il segnale in uscita dal ricevitore è amplificato fino a 20 volte ed inviato ad un altro canale dell’analizzatore di funzioni. Quello utilizzato è della Scientific-Atlanta mod. SD80. Esso è in grado di operare sia nel dominio del tempo che in quello delle frequenze e di eseguire una serie di elaborazioni che permettono di realizzare, in tempo reale, una prima analisi delle misure. Esso consente inoltre di mediare più tracce, di memorizzare i segnali registrati su floppy disk e di essere interfacciato a personal computer via porta parallela HP-IB. Alternativamente i segnali di input e di output possono essere mandati ad un oscilloscopio digitale, della Tektronix mod. 2230, con il quale, al momento, è però possibile effettuare solo un’analisi visuale delle onde.

4.7 PROCEDURE DI ESECUZIONE DELLE PROVE TRIASSIALI Le procedure di esecuzione delle prove triassiali in celle a stress-path controllato, adottate presso l’Università di Napoli, sono ampiamente descritte in altri lavori (Santucci de Magistris, 1992). In questa sede essa viene sintetizzata per mettere in evidenza alcuni punti che sono stati sviluppati più recentemente, in relazione all’uso delle misure locali. La prima fase di esecuzione delle prove consiste nella preparazione preliminare dell’attrezzatura. Essa viene realizzata attraverso:

1. la verifica del grado di riempimento dei circuiti idraulici; 2. la saturazione dei circuiti di drenaggio e dell’eventuale trasduttore di pressione neutra locale; 3. l’azzeramento dei trasduttori di pressione neutra, pressione di cella e cella di carico.

La seconda fase è relativa al montaggio dei provini. I provini di materiale sedimentato sono scarsamente consistenti e, non essendo facilmente maneggiabili, vengono estratti dalla fustella direttamente al di sopra del piedistallo della cella.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-19

I provini di materiale costipato invece, di consistenza decisamente più elevata, sono sfustellati dal saturatore a volume costante tramite un torchio e vengono posizionati sulla base della cella in un secondo momento, per essere poi rivestiti con la carta da filtro satura (Head, 1992) ed una membrana di lattice. E’ consigliabile effettuare tali operazioni in tempi brevi, per evitare che il materiale perda la sua saturazione. Utilizzando le basi e la testa di perspex predisposte con i bender elements, è necessario effettuare un piccolo taglio con un coltello sulle due basi del provino, per permettere ai trasduttori di penetrare nel terreno. Occorre poi montare gli eventuali trasduttori locali, cosa che presenta alcune difficoltà operative. Per utilizzare i trasduttori di pressione neutra locali, la procedura utilizzata segue quella messa a punto all’Imperial College di Londra (Hight, 1982). Occorre quindi preventivamente aver bucato la membrana ed aver inserito nel foro un apposito cappuccio di gomma che sostiene il trasduttore. Il trasduttore viene inserito nel cappuccio, posto a contatto con il terreno e sigillato con degli O-ring. Per adoperare i trasduttori locali LVDT, basta incollare i quattro target lungo il bordo del provino e misurarne accuratamente la distanza, in modo da conoscere la base iniziale per calcolare le deformazioni. Occorre prestare particolare attenzione a che i target siano posizionati in modo da garantire l’allineamento tra nucleo e corpo dei trasduttori, per evitare che il primo non scorra agevolmente nel secondo nel corso della prova. Sulla base delle indicazioni di letteratura (v. § 4.4.2), non si è ritenuto necessario fissare i target con degli aghi che, bucando la membrana, penetrassero all’interno del terreno. Per i trasduttori LDT è stato realizzato un apposito dispositivo a slitta, analogo a quello presentato in Goto et al., (1991), per posizionare le pseudo-cerniere sul bordo del provino lungo una direzione verticale e quindi incollarle. Si ricorda come gli LDT debbano essere montati quanto più distesi è possibile, compatibilmente con la loro stabilità all’interno delle cerniere. L’ultima fase è quella di esecuzione vera e propria delle prove. Essa comprende diverse parti che, in via del tutto generale, possono essere distinte in:

1. fase di eventuale completamento della saturazione; 2. fase di consolidazione e/o di compressione; 3. fase di taglio.

Per quanto riguarda l’eventuale prima fase, essa in genere avviene applicando uno stato tensionale effettivo ridotto con una back-pressure elevata che, per le prove sul materiale sedimentato, è stata fissata a 200 kPa e per le prove sul materiale costipato a 400 kPa. Tale valore è stato scelto in virtù del comportamento fortemente dilatante che esibisce

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-20

tale materiale nelle prove non drenate che, come verrà meglio puntualizzato nel capitolo 5, poterebbe altrimenti indurre delle sovrappressioni neutre negative Per quanto riguarda le fasi di compressione e di taglio, è importante scegliere correttamente la velocità di prova. A tale proposito, è possibile seguire diversi criteri. Innanzitutto un valore indicativo della durata delle prove di compressione triassiale a deformazione controllata è riportato in letteratura (Bishop e Henkel, 1962; AGI, 1994). Esso tiene conto del coefficiente di consolidazione, delle condizioni di drenaggio oltre che, delle dimensioni del provino. Un’altra indicazione deriva dalla soluzione dell’equazione differenziale della consolidazione:

c uut tv ∇ = −2 ∂

∂∂σ∂

........................................... (4.7)

riferite all’asse al provino e, nel caso di consolidazione radiale con carico assiale linearmente crescente nel tempo con velocità costante. In tal caso (Viggiani, 1967), scegliendo una sovrappressione neutra ammissibile in condizioni drenate u∞, è possibile ricavare la velocità di applicazione del carico assiale va dalla relazione:

uv R

ca

v∞ =

2

4............................................... (4.8)

dove R è il raggio del provino. Tale relazione è cautelativa, poiché non tiene conto del drenaggio alle basi. Alternativamente, accoppiando la teoria della consolidazione a quella di Skempton, è possibile legare la sovrappressione neutra ammissibile u* alla velocità di carico, espressa dalle variazioni nel tempo di p e q, attraverso la relazione (Cherill, 1990):

u t p a q*. .

[ ]= +µ 100 .......................................... (4.9)

in cui µ=0.79 nel caso di drenaggio da tutte le superfici del provino, a è il coefficiente di Skempton e t100 è il tempo necessario a ché si completi la consolidazione primaria. Il sistema comunque più efficace per valutare se una prova drenata lo sia effettivamente, è quello di misurare la pressione neutra nel provino in un punto lontano dalla superficie di drenaggio. In pratica si sceglie una velocità di primo tentativo, ricavata seguendo le indicazioni prima riportate, e si misura la pressione neutra locale tramite il probe. Affinché la prova sia drenata, la misura locale deve avere uno scarto contenuto rispetto al valore della back-pressure, applicata al contorno del provino. Un esempio in tal senso è riportato con riferimento al materiale costipato a wopt in Fig. 4-23 (a) nella fase di compressione e in Fig. 4-23 (b) per la fase di taglio. In entrambi i casi, in ragione delle velocità di applicazione dei carichi prescelte, le pressioni neutre misurate con il trasduttore locale non superano mai l'1% della back-pressure adottata.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-21

La cella a stress path controllato consente di effettuare la fase di compressione lungo un qualunque percorso inclinato di un valore di η=q/p’ prefissato e, nella sperimentazione portata avanti nella tesi, si è fatto quasi sempre riferimento al caso di prove isotrope. Ciò non di meno, controllando la pressione di cella in modo che le deformazioni radiali siano nulle, è possibile effettuare anche compressioni di tipo K0. Sempre sul materiale costipato a wopt, un esempio di tali prove è riportato in Fig. 4-24 (a) in termini di stress path effettivo e Fig. 4-24 (b) in termini di curve deformazioni-pressioni effettive medie. Dalla stessa figura si può notare come le deformazioni radiali si mantengano praticamente nulle nel corso della prova. Nelle prove eseguite con i trasduttori locali di deformazione, la fase di taglio è stata fatta precedere da una fase di durata non inferiore ai dieci minuti in cui, azzerati i trasduttori di deformazione, eventualmente riposizionati gli LVDT interni, ed eventualmente chiuso il drenaggio, vengono acquisite le grandezze dei trasduttori, con lo stesso intervallo di campionamento previsto nella successiva fase di taglio e, mantenendo il provino nelle condizioni tensionali di fine consolidazione (v. ad esempio la Fig. 4-25). Per determinare il modulo di rigidezza secante è necessario stabilire infatti un valore preciso dello zero di riferimento per le deformazioni e, come già specificato in precedenza, i sistemi disponibili non sono in grado di determinare al meglio il tratto a comportamento lineare dei terreni. Di conseguenza, tale valore può essere determinato a partire dai diagrammi in cui vengono riportate le serie temporali dei trasduttori, a cavallo della fase di partenza del taglio. La fase di taglio vera e propria viene effettuata inizialmente a carico controllato, per poi passare a deformazione imposta nel corso della prova. Alcuni vantaggi sono connessi con tale procedura. In primo luogo si evita che, adoperando terreni consistenti, essi siano sottoposti ad una elevata velocità di applicazione di carico nella fase iniziale della prova (Atkinson e Sallfors, 1991). Inoltre, nei casi applicativi reali, il terreno è, il più delle volte, sottoposto ad incrementi di carico, piuttosto che ad incrementi di deformazioni. D’altra parte, i risultati sono più agevolmente paragonabili alle prove RCTS che si svolgono a carico imposto. Di contro, le prove risultano meno confrontabili con quelle ottenute in altri laboratori. Inoltre, in letteratura alcune proprietà dei terreni vengono spesso messe in relazione alla velocità di deformazione piuttosto che a quella di carico3. D’altra parte, grazie anche all’uso dei trasduttori locali, in questo lavoro si è potuto osservare che, per le celle triassiali disponibili, la qualità delle prove eseguite a tensione controllata con feedback sulla cella di carico, è migliore sia rispetto alle prove a tensione imposta che a quelle a deformazione imposta. Il carico assiale in queste 3 Si ricorda che in una fase a carico controllato, la velocità di deformazione aumenta nel corso della prova, in ragione della diminuzione della rigidezza del terreno

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ultime, pur non risentendo delle oscillazioni del segnale della cella di carico, è condizionato dagli inevitabili attriti che si manifestano sull’asse del pistone di carico. Nel valutare l’evoluzione della rigidezza iniziale nel corso delle diverse fasi della prova tramite i bender element, tra le diverse forme di segnali di eccitazione, quella scelta è generalmente un singolo impulso sinusoidale di ampiezza, al generatore di funzioni, pari a ±10 V. I motivi di tale scelta saranno chiariti in seguito a proposito dei criteri di interpretazione. La frequenza di tale segnale è regolata da due criteri: il primo è quello di minimizzare gli effetti near field, come verrà ancora una volta puntualizzato nel successivo § 4.13, il secondo è quello di ottenere la massima ampiezza del segnale al ricevitore. Questa è funzione delle caratteristiche del tipo di trasduttore e delle proprietà di rigidezza e di smorzamento del terreno. In generale, le prove sono condotte ad una frequenza compresa tra 1 e 10 kHz. Per ogni misura della rigidezza, vengono acquisiti e memorizzati dall’analizzatore di funzioni i segnali sia nel dominio del tempo che nel dominio delle frequenze4. Inoltre, per ridurre gli effetti del rumore sui segnali, la singola misura è costituita dalla media di trenta rilevazioni consecutive. La media di trenta segnali viene realizzata anche quando, utilizzando l’oscilloscopio al posto dell’analizzatore di funzioni, viene effettuata esclusivamente un’analisi visuale per determinare il tempo di arrivo.

4.8 CARATTERISTICHE DELLA APPARECCHIATURA TRIASSIALE UTILIZZATA PRESSO L’UNIVERSITA’ DI TOKYO L’apparecchiatura utilizzata presso l’Institute of Industrial Science dell’Università di Tokyo, è costituita da una cella triassiale connessa attraverso opportuni trasduttori e schede D/A e A/D ad un computer, che provvede alla registrazione ed al controllo delle prove. Nella cella vengono utilizzati provini di diametro pari a 50 mm ed altezza variabile da 100 a 125 mm. Uno schema generale dell’apparecchiatura è riportato in Fig. 4-26 in cui sono indicati i trasduttori utilizzati, con eccezione degli LDT. La tensione deviatorica è misurata attraverso una cella di carico posta all’interno della camera di confinamento, dalla capacità di 5 kN la cui struttura ed il principio di funzionamento è documentato in letteratura (Tatsuoka, 1988).

4 Si ricorda che, la rappresentazione consueta delle onde sismiche prevede di descrivere il moto di una particella mediante ciò che accade col trascorrere del tempo (dominio del tempo). Una rappresentazione alternativa consiste nella possibilità di scomporre un segnale nella somma di più armoniche caratterizzate da opportuna ampiezza, fase e frequenza (spettro di Fourier, definito nel dominio delle frequenze).

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La pressione di cella è letta oltre che da un trasduttore di pressione anche in parallelo, da un manometro di precisione, mentre la pressione effettiva radiale è misurata attraverso un trasduttore di pressione differenziale di alta capacità (HCDPT). Le variazioni di volume sono misurate per mezzo di un sistema a doppia buretta e per mezzo di trasduttore di pressione differenziale di bassa capacità (LCDPT) (Tatsuoka, 1981). La cella è strumentata in modo che possano essere eseguite misure di deformazione assiale tramite un trasduttore esterno, tramite due trasduttori interni e per mezzo di una coppia di LDT sulla superficie laterale del provino. Nel primo caso si utilizza un LVDT che segue gli spostamenti del pistone di carico ed ha un fondo scala di 20 mm. Le misure interne vengo eseguite leggendo gli spostamenti della testa superiore con due trasduttori di prossimità, uno con fondo scala di 1.5 mm e l’altro con fondo scala di 8 mm. Entrambi i proximitors sono montati su una staffa, realizzata in modo che la sua posizione possa essere regolata dall’esterno della cella triassiale. Alcune annotazioni vanno riportate a proposito dei trasduttori LDT. Essi sono alimentati a 2 V in corrente alternata e, il segnale di output, convertito in corrente continua, è amplificato di modo che copra tutto l’intervallo di segnali acquisibili dalla scheda A/D utilizzata, fissato un opportuno campo di funzionamento del trasduttore5. I trasduttori sono ulteriormente amplificati fino a 10 volte, qualora si vogliano determinare le caratteristiche del terreno a piccoli livelli di deformazione. Tale accorgimento viene preso anche per la cella di carico ed il trasduttore di prossimità a fondo scala ridotto. Il segnale dei trasduttori viene filtrato con un filtro passa basso a 10 Hz direttamente dall’amplificatore in AC, ed ulteriormente a 33 Hz, a valle dell’amplificatore DC. Il sistema di acquisizione dei diversi trasduttori è centrato su una scheda A/D a 12 bit che lavora in un campo di tensioni di ± 5 V in corrente continua.

4.8.1 SISTEMA DI APPLICAZIONE DEI CARICHI Uno dei punti di forza dell’apparecchiatura è il suo sistema di applicazione del carico assiale. Tale sistema (Tatsuoka et al., 1994) è basato su un motore analogico a corrente alternata, connesso con una serie di scatole di riduzione (v. Fig. 4-27). La rotazione impressa dal motore è trasmessa attraverso la ruota dentata G1 alle due ruote dentate

5 Per aumentare la risoluzione degli strumenti, in fase di taratura è possibile scegliere un campo di utilizzazione del trasduttore più piccolo del campo del suo effettivo funzionamento (superato il quale l’LDT può danneggiarsi).

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GA e GB1 che girano sempre nella stessa direzione. L’inversione nella direzione dello spostamento del pistone di carico è assicurata dalle frizioni elettromagnetiche EMC che connettono alternativamente le ruote dentate GA o G2 all’albero S a seconda della direzione voluta. Un simile sistema, relativamente semplice ed economico possiede le seguenti caratteristiche:

1. possibilità di mantenere una velocità di deformazione sostanzialmente costante. 2. possibilità di eseguire piccoli cicli di scarico e ricarico di ampiezza anche dell’ordine dello 0.001%, con un ridotto time-lag all’inversione della direzione del carico 3. possibilità di variare la velocità di deformazione di circa quattro ordini di grandezza.

Relativamente a quest’ultimo punto, è importante sottolineare come, al variare della tensione di alimentazione del motore, è possibile modificare solo di un ordine di grandezza la velocità del pistone. Nella configurazione dell’apparecchiatura, la tensione di alimentazione del motore è regolata per mezzo di un potenziometro e non è controllabile via personal computer. Per ampliare il campo di variazione dello strain rate bisogna rimuovere od aggiungere delle scatole di riduzione e tale operazione non è del tutto agevole, quando deve essere effettuata nel corso delle prove. Un’ulteriore limitazione, relativa al sistema di applicazione del carico assiale, riguarda la possibilità controllare lo stato tensionale agente sul provino. Il sistema, concettualmente classificabile come a deformazione imposta, è stato disegnato in modo che, per mezzo del personal computer e della scheda D/A, sia possibile controllare solamente l’accensione e lo spegnimento del motore e fissare la direzione del movimento del pistone di carico. Alcuni risultati sperimentali dimostrano che, per mezzo di un semplice loop di controllo è possibile imporre un prefissato valore alla tensione deviatorica agente sul provino, anche in una fase tipicamente transitoria come una fase di consolidazione. Il sistema riesce infatti a controllare la tensione una volta che il valore della velocità di spostamento del pistone risulti maggiore della velocità con la quale il provino tenderebbe a deformarsi, sotto il fissato stato tensionale. In Fig. 4-28 sono riportate, in funzione del tempo, deformazioni e tensioni deviatoriche agenti su un provino di materiale costipato a wopt, in una fase di consolidazione isotropa. Il loop di controllo adottato consente alla tensione deviatorica una variazione nominale di ± 0.7 kPa rispetto al valore richiesto. Un valore così contenuto dell’intervallo di controllo, permette di ottenere una corretta curva tensione-deformazione minimizzando le fasi di compressione o di estensione non desiderate prima dell’esecuzione del taglio. La buona risposta del sistema di controllo è dovuta sia alla elevata accuratezza della cella di carico, che ai ridotti giochi meccanici nel sistema di carico assiale.

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E’ interessante notare come, la pratica di applicare degli opportuni pesi sul pistone, per mantenere il carico assiale costante, può risultare non così efficace come il sistema proposto. A causa dei processi di consolidazione o di creep, il provino tenderà a deformarsi. In tal caso, nasce dell’attrito tra pistone e cuscinetti a sfera che riduce o incrementa in parte il carico assiale sul provino, a seconda della direzione del suo movimento. E’ evidente in ogni caso che con un sistema a stress path controllato, si riescono ad effettuare in maniera più semplice le fasi di compressione e non si ha alcuna limitazione nel seguire la tendenza dei provini a deformarsi in fase di consolidazione.

4.9 PROCEDURE SPERIMENTALI ADOTTATE PRESSO L’UNIVERSITA’ DI TOKYO Le procedure sperimentali adottate presso l’Institute of Industrial Science dell’Università di Tokyo, differiscono in diversi aspetti con a quelle in uso presso l’Università di Napoli. Tali differenze sono legate fondamentalmente alle diverse attrezzature disponibili, ed in parte, alle diverse “tradizioni locali”. Un aspetto peculiare è quello di adoperare il cosiddetto dry setting method (Ampadu e Tatsuoka, 1993) per il montaggio dei provini e per la successiva saturazione. In generale, la procedura che più comunemente viene usata per saturare provini di sabbia, prevede l’uso di una elevata back-pressure, per mandare in soluzione l’aria intrappolata tra le particelle di terreno. Volendo adottare una contropressione più bassa ed accelerare i tempi di saturazione, è possibile far circolare nel provino del biossido di carbonio che sostituisce l’aria presente nei pori. La solubilità del biossido di carbonio in acqua, è infatti più elevata rispetto a quella dell’aria. E’ possibile però che delle reazioni chimiche indesiderate, si sviluppino tra CO2 ed alcune componenti del terreno. La soluzione adottata presso l’IIS, prevede invece di applicare un valore elevato di vuoto come pressione di fluido interstiziale e, contemporaneamente, di far circolare dell’acqua all’interno del materiale. In seguito, il vuoto è gradualmente ridotto e, per completare la saturazione, viene adottata la tecnica di applicazione della contropressione convenzionale. L’efficacia di tale sistema può essere dimostrata combinando le equazioni di stato dei gas, della solubilità dei gas nei fluidi e della tensione superficiale intorno le bolle di gas: la contropressione richiesta per saturare il provino decresce infatti al diminuire della pressione assoluta all’interno del terreno (Rad e Clough, 1984). In pratica, per montare il provino, si adoperano pietre porose asciutte, carta da filtro asciutta e circuiti di drenaggio asciutti. Per ridurre il rigonfiamento che il materiale

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subisce quando entra in contatto con l’acqua libera, quest’ultima viene fatta giungere alla superficie del provino sotto un regime di tensioni totali controllato. Tutto ciò premesso, le procedure sperimentali adottate sono descritte nei punti che seguono. 1) Come specificato in precedenza, l’allestimento del provino viene effettuato adoperando tutti elementi asciutti. La forma della carta da filtro è scelta in modo da minimizzarne l’influenza sui risultati delle prove. Presso l’IIS è pratica corrente utilizzare una gabbia di carta da filtro con strisce inclinate di 1:1,3 sull’orizzontale (Mitachi et al., 1988). L’uso della carta da filtro asciutta consente di incollarne tra loro gli estremi in modo che quest’ultima rimanga nella corretta posizione una volta sistemata la membrana, con ovvi vantaggi nell’esecuzione della prova. 2) Il rivestimento del provino con la carta da filtro e la membrana viene eseguita all’esterno della apparecchiatura triassiale. Questo tipo di procedura è obbligatoria quando vanno ad utilizzarsi delle celle dotate di barre di sostegno interne. A fronte di una leggera complicazione di montaggio dei provini (che è più sentita nel caso di terreni scarsamente consistenti), tale schema di apparecchiatura consente tuttavia, di avvicinare agevolmente a cella aperta la base superiore al provino il quale, è sottoposto costantemente a condizioni di carico isotropo, il peso del pistone superiore essendo bilanciato da un contrappeso. 3) Montato il provino nella cella, e sistemati i gap sensors, viene applicato al provino un vuoto di -20 kPa. Tale fase ha una duplice funzione: la prima è quella di fare assestare il provino alle basi (la primissima deformazione misurata attraverso i trasduttori di prossimità viene trascurata nelle elaborazioni), la seconda è di controllare la tenuta del sistema di sigillatura alle basi. Una tale operazione sarebbe particolarmente utile nei protocolli sperimentali che prevedono di bucare la membrana di lattice (es. applicazione di trasduttori locali di pressione neutra o di trasduttori locali di spostamento tramite aghi) e sigillarla successivamente. 4) Vengono sistemati gli LDT sulla superficie laterale del provino, avendo cura di posizionare le cerniere in zone in cui non vi è al di sotto la carta da filtro. L’operazione è piuttosto laboriosa, in quanto è necessario scegliere opportunamente la deflessione iniziale delle lamine. Come specificato in precedenza, per ottenere una maggiore sensibilità dei trasduttori ed allargarne il campo di funzionamento, è opportuno che questi partano da una condizione di minima inflessione, compatibilmente con la loro stabilità all’interno delle cerniere. Non va dimenticato tuttavia che, una leggera estensione, si può verificare in fase di saturazione del materiale. L’operazione di posizionamento degli LDT è facilitata sfruttando l’adesione che si viene a creare tra membrana e provino, grazie al vuoto precedentemente applicato. 5) La cella viene chiusa e riempita di acqua deareata. Contemporaneamente, il vuoto al provino viene incrementato fino a -70 kPa. Tale valore di depressione limita il

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rigonfiamento del provino quando questi viene a contatto con l’acqua dei circuiti di drenaggio. Successivamente, la depressione viene portata a -90 kPa e, per mantenere la pressione effettiva media costante sul provino, la pressione in cella viene portata a -20 kPa. 6) Il provino viene attraversato da un flusso di acqua dal basso verso l’alto, utilizzando una prevalenza di circa 1 m. Tale flusso, ancorché limitato, oltre a saturare in parte il provino, satura le pietre porose, la carta da filtro e le linee di drenaggio. Il provino viene lasciato in questa condizione per almeno 12 ore. 7) Al termine di questa fase, si procede all’annullamento del vuoto, al collegamento dei trasduttori e all’incremento contemporaneo della back-pressure e della pressione di cella, mantenendo sempre p’=70kPa. 8) Ferma restando la differenza tra pressione di cella e back-pressure, quest’ultima viene incrementata fino a 400 kPa. Ad una back-pressure di 0, 100, 200, 300 e 400 kPa viene fatto il controllo del valore di B di Skempton, al fine di valutare le condizioni di saturazione nella fase d back-pressurizzazione. 9) Il provino viene lasciato con una contropressione di 400 kPa e ad una pressione effettiva isotropa di 70 kPa per circa 24 ore, durante le quali il valore del coefficiente B di Skempton dovrebbe superare il 95%. In Fig. 4-29 è riportato un tipico esempio di registrazione nel tempo delle variabili di tipo deformativo, durante una fase di set-up e di saturazione per una prova sulla sabbia limosa ed argillosa del Metramo. Dall’andamento delle deformazioni assiali, è possibile osservare come il provino subisca una prima fase di compressione indotta dall’applicazione iniziale del vuoto, cui fa seguito una fase di rigonfiamento, causata dal contatto con l’acqua. E’ possibile monitorare i volumi di acqua entranti o uscenti dal provino a partire da valori positivi della contropressione; si nota come gran parte della saturazione avviene all’applicazione della back-pressure positiva a cui fa seguito una fase di assestamento, con lo svilupparsi della consolidazione a 70 kPa. L’andamento del carico deviatorico sul provino riflette l’andamento delle deformazioni di quest’ultimo, a causa dei leggeri attriti sul pistone, fino a quando il controllo del deviatore non viene effettuato automaticamente inserendo la cella triassiale sotto il telaio di carico. Nel caso specifico, ciò si verifica a partire da un tempo pari a circa 600 minuti. Nel diagramma è riportato anche l’andamento del valore del coefficiente B di Skempton, in funzione della back-pressure e del tempo di applicazione di quest’ultima. Valori di B prossimi al 95% si ottengono al termine della fase di back-pressurizzazione, mentre valori prossimi all’unità si ottengono mantenendo la contropressione a 400 kPa, per un periodo di tempo variabile dalle 12 alle 24 ore.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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Terminata la fase iniziale, le prove eseguite presso l’Università di Tokyo, si sono svolte generalmente consolidando il provino a diverse pressioni in condizioni isotrope. Ogni fase di taglio monotona non drenata, svolta a deformazione imposta, è stata fatta precedere da una fase in cui, si è studiato l’effetto della velocità di deformazione sulla rigidezza e sullo smorzamento a piccole deformazioni. Tale fase è stata eseguita sottoponendo il provino di terreno a diversi cicli di piccola ampiezza, intorno alla condizione di carico deviatorico nullo. I cicli sono stati effettuati imponendo una deformazione variabile nel tempo con legge a dente di sega, e cambiandone successivamente la frequenza. Come si è già osservato nel § 1.4, alcune fasi di taglio hanno raggiunto valori ridotti della deformazione massima, altre fasi sono state portate fino a rottura. In entrambi i casi si è analizzata l’evoluzione della rigidezza iniziale durante il taglio, con cicli di scarico e ricarico di piccola ampiezza. In questa circostanza, effettuare le prove a deformazione imposta piuttosto che a carico controllato risulta decisamente preferibile. Nel primo caso, è infatti possibile controllare agevolmente che l’ampiezza dei cicli sia compresa nel campo in cui i terreni esibiscono un comportamento pseudo-lineare. Le sequenze di prova sono state impostate automaticamente, fornendo un input al calcolatore di controllo dell’apparecchiatura, tramite un file.

4.10 LA CELLA DI COLONNA RISONANTE E TAGLIO TORSIONALE Una considerevole parte del lavoro sperimentale sulla sabbia limosa ed argillosa del Metramo è stata eseguita per mezzo di un’attrezzatura per prove di tipo colonna risonante e taglio torsionale, in uso da diversi anni presso l’Istituto di Tecnica delle Fondazioni dell’Università di Napoli. L’apparecchiatura, che deriva da quella sviluppata presso l’Università del Texas ad Austin (Isenowher, 1979; Ni, 1987), è ampiamente documentata in altri lavori (Silvestri, 1991,a), cui si rimanda per informazioni più dettagliate, mentre in questa sede ne verranno sintetizzate alcune delle caratteristiche principali. Una rappresentazione complessiva del sistema, in cui si riconosce la cella torsionale, l’insieme dei trasduttori e gli strumenti per l’acquisizione ed il controllo è riportato in Fig. 4-30. Lo schema dell’apparecchiatura è del tipo fixed-free. Vengono utilizzati provini cilindrici di diametro pari a 35.5 mm e altezza 72 mm. La configurazione attuale consente di eseguire prove RC e TS a partire da uno stato di confinamento isotropo. Tale stato di confinamento è realizzato attraverso aria in

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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pressione. Per limitarne la migrazione all’interno del provino, questo è circondato da un bagno fluido. La contropressione viene realizzata attraverso un pozzetto a mercurio. Il sistema di applicazione dei carichi torsionali è costituito da un motore elettromagnetico, realizzato con una parte mobile (drive plate), sulla quale sono sistemati i magneti permanenti ed una parte fissa costituita da un telaio sul quale sono posizionate quattro bobine. Il motore genera una coppia massima pari a 0.84 Nm, quando alimentato dalla tensione di 40 V picco-picco. Al drive plate sono collegati la testa superiore del provino ed i dispositivi per la lettura degli spostamenti. In particolare questi sono costituiti da un LVDT (Schaevitz mod. 500HR) per la misura degli spostamenti verticali, una coppia di trasduttori di prossimità (della Bently-Nevada mod. 20929-20931) per la misura delle rotazioni e un accelerometro (della Columbia Research Laboratory mod. 3030) per la misura delle accelerazioni che, opportunamente integrate, forniscono ancora una misura delle rotazioni. L’LVDT, che opera su un campo di 50 mm, è disegnato in modo che il nucleo sia collegato al drive plate mentre il corpo è sostenuto dal telaio esterno. Analogamente i trasduttori di prossimità (dal fondo scala 2 mm) hanno il target, costituito da una piastra metallica ad U, solidale con il drive plate e le sonde sostenute dal telaio esterno. Completano il quadro dei trasduttori un volume gauge, analogo a quello utilizzato nelle apparecchiatura triassiali ed inserito in serie sul circuito della back-pressure, un trasduttore per la misura della pressione di cella (Druck mod. PDCR 810) ed un sistema per la misura delle pressioni neutre. Quest’ultimo è realizzato mediante un trasduttore Druck mod. PDCR 200, inserito in un blocchetto di perspex connesso, tramite un tubo di rame, alla base inferiore della cella. Una serie dispositivi di controllo e di acquisizione permettono l’esecuzione semiautomatica delle prove. Il sistema è quasi totalmente governato da un personal computer e da un appropriato software, con cui gli strumenti interagiscono attraverso una interfaccia parallela HP-IB. In particolare, l’alimentazione delle bobine elettromagnetiche è fornita da un generatore digitale di funzioni della Helwett-Packard mod. 3314A, il cui segnale viene amplificato e stabilizzato da un amplificatore di potenza della Helwett-Packard mod. 6824A. I segnali dei trasduttori sono registrati da opportuni strumenti di acquisizione che hanno anche la funzione di convertitori analogico-digitali. Nel caso specifico, è utilizzato un oscilloscopio Tektronix mod. 2230 a due canali, con un opportuno buffer di memoria, nel quale vengono memorizzate le tracce di rotazioni e momenti torcenti delle prove TS, prima di essere scaricate sul PC. Per le prove di colonna risonante invece, viene utilizzato un voltmetro digitale Helwett-Packard mod. 3456A. In entrambe le prove, rispettivamente il numero di cicli

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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o la frequenza della sollecitazione al drive plate viene registrata tramite un contatore digitale Helwett-Packard mod. 5334A. La configurazione strumentale attuale, consente l’acquisizione contemporanea di non più di due segnali provenienti dai trasduttori. La connessione tra computer e strumenti di acquisizione e controllo avviene di conseguenza attraverso un’unità di controllo e commutazione digitale, della Helwett-Packard mod. 3488A. Tale strumento ha consentito tra l’altro, con opportune modifiche software, la connessione alla stessa catena di apparecchiature di controllo ed acquisizione di una nuova cella torsionale dalle caratteristiche più avanzate.

4.11 PROCEDURE SPERIMENTALI CONNESSE ALLE PROVE RCTS La procedura di esecuzione delle prove RC e TS seguita in questo lavoro, rispecchia sostanzialmente quella comunemente adottata presso l’Università di Napoli (Silvestri, 1991,a) anche se, alcuni punti sono stati adattati alle esigenze connesse con il tipo di prove da svolgere e con il tipo di materiale oggetto di studio. Per il montaggio dei provini si utilizza l’allestimento per via umida e quindi una procedura sostanzialmente analoga a quella utilizzata nelle prove triassiali. In particolare, la carta da filtro viene posizionata intorno la superficie laterale nel provino; la base superiore è a diretto contatto con la testa connessa al drive plate mentre il provino poggia su una pietra porosa avvitata al piedistallo della cella. Il provino viene generalmente rivestito di una membrana di lattice e sigillato con opportuni O-ring. In alcuni casi, le prove eseguite hanno avuto una durata relativamente elevata, dell’ordine di diversi giorni. In questa circostanza, ed in particolar modo con riferimento alle pressioni di confinamento più alte, si è potuto osservare un fenomeno di migrazione di aria dalla cella all’interno del terreno. Tale fenomeno, già segnalato in letteratura (Isenhower, 1979) viene solo parzialmente attenuato circondando il provino con un bagno fluido di olio al silicone, invece che di acqua6. Mentre da alcune indicazioni bibliografiche emerge che l’ingresso di aria nel provino altera solo in piccola parte il valore della rigidezza del terreno, da un punto di vista operativo esso pone diverse difficoltà. Innanzitutto non è possibile valutare con esattezza le deformazioni volumetriche per mezzo del volume gauge, ma occorre calcolarle dalla deformazione assiale, ipotizzando un comportamento del mezzo di tipo isotropo. Di conseguenza, da una parte non è possibile stabilire attraverso il

6 Va sottolineato che in diversi laboratori, anche nel caso delle prove triassiali, è pratica corrente riempire le celle di acqua fino a coprire il provino, lasciando aria in pressione nella parte superiore. Non è da escludersi, anche in tal caso, l’ingresso di aria nel provino.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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monitoraggio nel tempo delle variazioni volumetriche l’andamento dei processi di consolidazione, dall’altra, occorre rielaborare a valle della prova le misure di rigidezza e di smorzamento. Il software di controllo fornisce infatti, in “tempo reale”, un valore dei parametri equivalenti che tengono in conto delle dimensioni correnti del provino ed eventualmente della massa, a partire delle deformazioni assiali e volumetriche valutate rispettivamente con LVDT e volume gauge. Inoltre, durante le prove di taglio non drenate, l’ingresso di aria può alterare gravemente la misura delle sovrappressioni neutre. Per ovviare a tali inconvenienti, la procedura di montaggio, ha previsto di rivestire i provini con una doppia membrana, all’interno delle quali, è stato posizionato un sottile foglio di alluminio del tipo usato per alimenti. Tra membrane e foglio di alluminio, è stato interposto uno strato di grasso al silicone. Opportune prove di taratura hanno dimostrato che, tale sistema di rivestimento, non produce un’apprezzabile alterazione nella misura della rigidezza, rispetto all’uso di una sola membrana. Quanto alle sequenze sperimentali vere e proprie, esse si sono evolute ed in un certo senso complicate, nel corso della sperimentazione. Esse hanno seguito l’evoluzione del software di gestione dell’apparecchiatura e si sono adattate alle diverse esigenze del programma sperimentale. In questa sede viene quindi presentata una tipica sequenza relativa alle ultime prove realizzate in ordine di tempo, che comprende anche le sequenze più semplici, utilizzate in precedenza. Le prove eseguite sono del tipo “multi-stage” ovvero, sono prove che vengono condotte consolidando il materiale a diverse pressioni isotrope, in fase di carico ed eventualmente in fase di scarico. Ciò consente di ottenere da uno stesso provino, informazioni sul variare della rigidezza e dello smorzamento con la storia tensionale. Uno schema di una prova multi-stage è riportato in fig. Fig. 4-31. Durante ogni fase (stage) di consolidazione, vengono monitorare le variazioni nel tempo di altezza e di dimensioni del provino. Ad intervalli prefissati, vengono eseguite, in automatico, prove di colonna risonante a piccole deformazioni, per valutare l’evoluzione nel tempo del modulo di taglio e del fattore di smorzamento iniziali. Al termine della fase di consolidazione, viene effettuata una sequenza “multi-step” di prove di colonna risonante e di taglio torsionale. Essa viene spinta fino al raggiungimento della soglia di linearità (ovvero fino al decadimento del modulo di taglio del 95% rispetto al suo valore iniziale), per le fasi di consolidazione intermedie e, fino alla coppia massima applicabile, nell’ultima fase di consolidazione. Una prova “multi-step” è schematizzata in Fig. 4-32. Essa consiste in una serie di step non drenati, a livelli di deformazione crescenti, ognuno dei quali è costituito da una prova di colonna risonante e, da almeno una prova di taglio torsionale. Si ricorda come la RCTS sia un’apparecchiatura che funziona a carico imposto. Di conseguenza, per ogni step, è stata eseguita innanzitutto una prova di taglio torsionale ad una fissata tensione di eccitazione. Essa consiste in 18 cicli di carico di forma sinusoidale ad una frequenza di 0.6 Hz. Successivamente, è stata eseguita una prova di

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-32

colonna risonante. Essa viene effettuata tramite uno “sweep” di frequenze, di durata pari a 100 sec, su un campo di frequenze variabile di circa 12 Hz, intorno alla frequenza di risonanza e, ad un ampiezza tale da raggiungere un livello di deformazione, prossimo a quello della prova TS precedentemente eseguita. In genere, a seguito dei fenomeni di amplificazione dinamica, l’ampiezza dell’eccitazione adottata è circa 0.2 volte l’ampiezza utilizzata nella prova TS. La frequenza con cui sono state eseguite le prove di taglio torsionale (di 0.6 Hz), è stata scelta in quanto relativa al terremoto di progetto per la diga di Castagnara (Baldovin et al., 1991), il cui nucleo è stato realizzato con il materiale oggetto di studio. Diverse prove di taglio torsionale, allo stesso livello di carico ma a frequenza diversa, sono state effettuate quando si è voluto indagare l’effetto della velocità di deformazione sui parametri equivalenti. In tal caso, si è analizzato un campo di frequenze variabile tra 0.02 Hz ed 1 Hz. Il primo valore è legato alla capacità di acquisizione delle tracce temporali nel buffer dell’oscilloscopio (al diminuire della frequenza si è ridotto anche il numero di cicli per ogni prova); il secondo è legato al non far insorgere significative forze d’inerzia, che non sono previste nel modello di interpretazione delle prove adottato. Alcune prove di taglio torsionale infine, sono state effettuate sempre con la tecnica “multi-step”, ma variando la frequenza, in modo tale mantenere costante la velocità di deformazione.

4.12 INTERPRETAZIONE DELLE PROVE TRIASSIALI Tra le prove di laboratorio eseguite nel corso della presente tesi, le prove triassiali sono quelle che presentano le minori difficoltà nell’interpretazione. Ciò non di meno, è opportuno puntualizzare alcuni aspetti utili per comprendere i risultati sperimentali che saranno presentati nei prossimi capitoli. 1) Nel corso delle prove a stress path controllato, sono aggiornate continuamente le dimensioni del provino di modo che sia possibile conoscere, in tempo reale, il valore degli invarianti di tensione e deformazione. In particolare, la tensione deviatorica è calcolata tenendo in conto della area trasversale corrente Ac del provino. Il valor medio di quest’ultima viene valutato assumendo una deformazione di tipo cilindrico e quindi utilizzando la relazione:

A Acv

a

=−−0

11

εε

............................................. (4.10)

dove A0 rappresenta l’area iniziale del provino. 2) Per la determinazione del volume specifico corrente, si è partiti dalla misura dell’indice dei pori fatta a fine prova, ipotizzando il materiale saturo e, portando in conto “a ritroso”, le successive variazioni di volume che hanno interessato il materiale.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-33

3) Nell’elaborazione dei risultati, non si sono effettuate le correzioni proposte dalla letteratura per tenere conto della presenza della membrana (v. es. Head, 1992). Ciò è stato fatto in ragione dell’entità non ridotta delle pressioni effettive utilizzate e della granulometria del materiale. Alcune considerazioni possono essere fatte relativamente alla determinazione della deformazione assiale per mezzo dei trasduttori locali. Nel caso degli LVDT, essa risulta estremamente agevole poiché, indicato con ∆lvdt1 lo spostamento del trasduttore posto nei pressi della base inferiore rispetto al suo valore iniziale, con ∆lvdt2 quello del trasduttore posto presso la base superiore fissa e con L0 la distanza tra i target, sarà:

ε alvd t lvd t

L= −∆ ∆1 2

0

.......................................(4.11)

Nel caso degli LDT, per ricavare la deformazione non è necessario misurare la distanza iniziale tra le cerniere. Infatti, fissati i valori dell’offset e dello span sul sistema di acquisizione dei segnali quando il trasduttore è perfettamente disteso, risultano determinate univocamente le tre costanti che definiscono la curva di taratura dell’LDT. La base di misura iniziale, rispetto alla quale calcolare le deformazioni in fase di taglio, potrà allora essere valutata sottraendo alla lunghezza propria del trasduttore (80 mm nel caso dell’Università di Tokyo, 60 mm nel caso di Napoli), il valore della sua deflessione. Questa è calcolata sulla curva di taratura, in corrispondenza dell’output del trasduttore letto subito prima dell’esecuzione della fase di taglio. Per quanto riguarda la restituzione dei risultati ottenuti tramite i trasduttori locali, come specificato in precedenza, le misure ottenute in particolar modo presso l’Università di Napoli, risultano affette da incertezze indotte dalla piccolezza del rapporto S/N, dagli attriti del pistone e da imperfezioni nel sistema di applicazioni dei carichi. Nell’elaborazione dei risultati sperimentali si sono seguite allora due strade. In primo luogo, l’insieme delle misure è stato interpretato con un modello del tipo quasi lineare e, tra i diversi modelli disponibili (Pallara, 1995) si è scelto quello di Ramberg-Osgood, illustrato nel successivo § 4.14, in accordo con quanto utilizzato nell’interpretazione delle prove RC e TS. Per leggere direttamente i risultati ottenuti, si sono adottati invece, diversi criteri di smoothing dei dati. Un esempio in tal senso è riportato in Fig. 4-33 (a) e (b) con riferimento ad una prova non drenata a p’0=200kPa, sul materiale costipato a wopt ed addizionato con BF=2.5%. In Fig. 4-33 (a) sono riportati i dati utilizzati per effettuare lo smoothing, in termini di curva tensione-deformazione; nella Fig. 4-33 (b), i dati originali e quelli elaborati, sono stati posti in diagramma in termini di curve di decadimento del modulo di rigidezza, al fine di valutare l’efficacia del criterio di riduzione adottato.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-34

Innanzitutto i risultati della prova sono stati analizzati attraverso la cosiddetta media mobile, su gruppi di cinque dati consecutivi. Dai diagrammi in figura, si può osservare visivamente come tale tecnica non sia adeguata a ridurre gli errori esistenti sui dati sperimentali ed in particolare, per ottenere la curva di decadimento del modulo di rigidezza. Un’altra tecnica utilizzata è quella di interpolare i dati con una curva di regressione. In figura è riportata una regressione di tipo polinomiale (come suggerito ad esempio in Viggiani, 1992) del sesto ordine che, calibrata su un numero opportuno di punti, sembra cogliere in maniera sufficientemente verosimile gli andamenti osservati. Va sottolineato che, nell’utilizzare una qualunque funzione interpolante i dati di tensione e deformazione, occorre prestare attenzione a che essa colga comunque il significato fisico delle prove che va ad interpretare, ovvero che ad esempio, la curva di decadimento del modulo, ricavata dalla funzione interpolante, segua quello che è l’andamento atteso. Per ovviare a tale limitazione, una tecnica di riduzione e di sintesi efficace sembra essere quella dell’interpolazione lineare di piccoli tratti della curva tensione-deformazione (v. es. Fioravante e Jamiolkowski, 1992). Nel caso specifico, è stata scritta un’apposita routine che, una volta scelto l’intervallo di deformazione dei dati da analizzare, consente di vincolare ogni tratto di retta di interpolazione all’ultimo punto del segmento interpolante che lo precede. Tale criterio è utile anche per ricavare il modulo tangente, considerando la pendenza dei singoli tratti delle regressioni. Per quanto riguarda le prove triassiali eseguite presso l’Università di Tokyo, alcune considerazioni devono essere svolte in merito all’elaborazione sia della fase iniziale di tipo ciclico, sia dei cicli di scarico e ricarico eseguiti durante il taglio. A tale proposito, sono stati scritti due programmi di elaborazione che, saranno brevemente illustrati. Il primo programma ha innanzitutto una parte iniziale nella quale vengono individuati i singoli cicli, a partire da un file in formato ASCII in cui l’insieme dei risultati della prova, è espresso in termini di unità fisiche. Nell’ambito di ogni ciclo, il programma individua la velocità di deformazione e i parametri equivalenti, con riferimento alle deformazioni assiali locali (ottenute tramite gli LDTs) o alle deformazioni interne (ottenute tramite il gap sensor). Sia lo strain rate che il modulo di Young equivalente sono calcolati dalla pendenza della regressione lineare delle coppie tempo-deformazione assiale e deformazione assiale-tensione deviatorica, utilizzando tutti i punti appartenenti al singolo ciclo7. Per quanto riguarda il fattore di smorzamento, occorre in primo luogo calcolare l’area racchiusa da ogni ciclo tensione-deformazione. A tal fine, i dati vengono sostituiti con una serie di tratti lineari di interpolazione, con segmenti di passo pari a δεs=0.00015%, utilizzando la routine descritta in precedenza. 7 Tale criterio è stato preferito alla determinazione del modulo equivalente attraverso l’individuazione degli estremi del loop tensione-deformazione (v. la definizione nel § 4.2).

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-35

Un esempio in tal senso sulla sabbia limosa ed argillosa del Metramo è riportato in Fig. 4-34. L’area di riferimento è invece costituita da un triangolo, di base pari alla metà della deformazione picco-picco e di altezza pari a tale valore moltiplicato per il modulo di Young precedentemente calcolato. I valori del damping così ottenuti, sono depurati infine del damping apparente, proprio dell’apparecchiatura utilizzata. Quest’ultimo è causato dal fenomeno del ritardo (time-lag) esistente tra misure di carichi e di spostamenti ed induce una sovrastima del fattore di smorzamento. Tale ritardo è indotto principalmente dal processo di conversione analogico/digitale dei segnali e dalla presenza degli amplificatori (Toki et al., 1994) e dei filtri. Il damping apparente è stato valutato per mezzo di prove cicliche su una molla che abbia un’isteresi trascurabile ed è fornito dalla seguente espressione (d’Onofrio, 1995):

Dapp

= • •0 00261100

..

εε

.........................................(4.12)

dove Da è il damping apparente in percento, ε.

rappresenta la velocità di deformazione in %/min ed εpp rappresenta l’ampiezza della deformazione picco-picco del ciclo espressa in percento. Per la valutazione del modulo equivalente nei cicli di carico e scarico in fase di taglio, ancora una volta viene considerata la pendenza della regressione lineare sui punti tensione-deformazione appartenenti al ciclo. In maniera analoga, il relativo livello di deformazione, la pressione effettiva media e la tensione deviatorica sono calcolati considerandone un valore medio su tutti i punti del ciclo. Delle difficoltà operative maggiori sono sorte per l’individuazione automatica dell’insieme di dati su cui andare ad operare le regressioni e le medie. Ad ogni livello di deformazione sono stati eseguiti più cicli di scarico e ricarico e, come sarà mostrato nel capitolo 7, al crescere della deformazione media, tali cicli tendono a non richiudersi più su se stessi, a seguito di fenomeni di creep e rilassamento. Sono stati individuati allora, in via approssimativa, i singoli cicli attraverso la determinazione dei massimi relativi delle deformazioni. Nel programma di elaborazione, è stata incorporata poi una routine per il plottaggio dei singoli cicli così individuati, presa a prestito dal programma di gestione delle celle triassiali, in modo che l’operatore possa scegliere agevolmente la serie di dati da elaborare, escludendo i punti situati al di fuori dei loop di scarico e ricarico.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-36

4.13 INTERPRETAZIONE DELLE PROVE CON I BENDER ELEMENTS Le prove di tipo bender element, appartengono alla categoria delle prove di tipo dinamico. I principi che sono alla base di tali prove, derivano allora direttamente dalla scrittura dalle equazioni di equilibrio dinamico di un materiale che, per semplicità, viene schematizzato come elastico ed isotropo. In tal caso, la soluzione delle equazioni indefinite dell'equilibrio, accoppiata alle relazioni elastiche fornisce (Timoshenko e Goodier, 1951):

ρ∂ ε∂

λ ε2

222v

vt

G= + ∇( ) ∇ = + +�

��

��

∂∂

∂∂

∂∂x y z

.....................(4.13)

ρ∂ γ∂

γ2

22ij

ijtG= ∇ ( )ij xy yz zx= , , ...............................(4.14)

con ρ densità del materiale e λ costante di Lamè pari a:

λ νν ν

=E

(1+ )(1 - 2 )............................................(4.15)

Per un continuo indefinito, l’equazione (4.12) corrisponde alla propagazione di un'onda di compressione (onda P), la cui velocità è data da:

PV =+ 2λ

ρG

............................................. (4.16)

L’equazione (4.13) corrisponde invece alla propagazione di un'onda distorsionale (onda S), la cui velocità è data da:

SV =Gρ

.................................................. (4.17)

Per estendere la teoria del continuo al terreno, occorre tenere presente la sua natura bifase. Considerando che il fluido interstiziale non ha resistenza a taglio, l’accoppiamento tra scheletro solido e parte fluida è esclusivamente di tipo inerziale e non di tipo strutturale. In particolare, risulta: G = vsat s

2ρ ...................................................(4.18)

con satsat=g

ργ

massa per unità di volume del terreno saturo, essendo g l’accelerazione

di gravità e γsat il peso per unità di volume del terreno saturo.

Ciò premesso, l’interpretazione delle prove con i bender element è relativamente semplice se paragonata all’interpretazione di altre prove dinamiche. Ciò non di meno, è necessario sottolineare alcuni aspetti che solo recentemente hanno trovato spazio in letteratura.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-37

Da un punto di vista operativo, le operazioni da compiere per interpretare una prova con i bender elements sono le seguenti:

0. determinare la polarità del trasmettitore e del ricevitore; 1. determinare la distanza trasmettitore/ricevitore; 2a. determinare il tempo di percorrenza delle onde dal trasmettitore al ricevitore; 2b. determinare la velocità di fase delle onde di taglio.

La prima operazione, da compiersi prima del montaggio dei provini, consiste nel determinare il segno dell’impulso elettrico che viene emesso dal bender, quando sollecitato in una delle due possibili direzioni. E’ preferibile, come verrà chiarito di qui in avanti, che trasmettitore e ricevitore abbiano la stessa polarità, a meno di non portare in conto l’eventuale discordanza, nella fase di elaborazione dei segnali. Per calcolare la lunghezza del percorso lungo il quale si propaga l’onda meccanica, all’altezza corrente del provino, deve essere sottratto il tratto occupato dal trasmettitore e dal ricevitore all’interno del terreno, come se il segnale si propagasse tra gli estremi dei due bender. Ciò e stato dimostrato paragonando misure ottenute su materiali analoghi facendo variare le lunghezza dei bender (Brignoli e Gotti, 1992), ovvero, più semplicemente, l’altezza dei provini (Viggiani, 1992). Per la determinazione della velocità delle onde, è pratica corrente attingere al bagaglio di conoscenze che l’ingegneria geotecnica ha sviluppato nel campo delle misure in sito delle proprietà dei terreni con i metodi sismici (Viggiani, 1992). A tale proposito, in questa sede, saranno sintetizzati alcuni aspetti che trovano ampio rilievo in lavori specificamente dedicati a tali misure (v. es. Mancuso, 1992). Per la determinazione del tempo di percorrenza dell’onda tra trasmettitore e ricevitore, possono adoperarsi due tecniche: la prima è la cosiddetta analisi visuale dei segnali, la seconda è la cross-correlazione. Per quanto riguarda l’analisi visuale, essa si basa sull’interpretazione visiva delle registrazioni temporali e conduce alla determinazione dei tempi di viaggio delle onde, sulla base del riconoscimento di punti caratteristici del segnale. In generale, il primo arrivo dell'onda di taglio, non è identificabile con il primo punto di deflessione del segnale al ricevitore in quanto, in funzione della distanza relativa alla lunghezza d'onda tra ricevitore e sorgente, la prima deflessione è indotta dalle componenti "near field" (Sanchez-Salinero et al., 1986) Un onda di taglio è infatti sempre accompagnata da un altro segnale di opposta polarità , che viaggia con la velocità delle onde di compressione, la cui ampiezza si riduce rapidamente con il numero di lunghezze d'onda dalla sorgente. Per una distanza sorgente-ricevitore da 1/4 a 2 volte la lunghezza d'onda, le componenti near field hanno un’energia tale da mascherare l'arrivo dell'onda di taglio (Mancuso e Vinale, 1988). Ciò è stato dimostrato sperimentalmente, ad esempio, su un limo con

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-38

argilla sabbioso compattato (Brignoli e Gotti, 1992), confrontando le registrazioni dei segnali al ricevitore prodotti da onde S a varie frequenze e la registrazione di un onda P (v. Fig. 4-35). La cross-correlazione si basa sulla determinazione convenzionale del ritardo temporale della intera forma d'onda, tra il trasmettitore e il ricevitore. In sostanza, si misura del grado di correlazione tra le due tracce X(t), dell’onda al trasmettitore ed Y(t) dell’onda al ricevitore, imponendo a quest’ultima uno sfasamento temporale. Il tempo di propagazione, corrisponde allo sfasamento in cui si verifica la massima correlazione tra le tracce8 ovvero, la massima sovrapposizione tra le parti dei segnali fisicamente simili. A fronte della necessità di adoperare delle tecniche numeriche, si ottiene una valutazione automatica ed oggettiva del tempo di percorrenza delle onde. Essendo disponibili a chi scrive gli algoritmi utilizzati per l’analisi delle misure delle onde sismiche in sito (Mancuso, 1992), tale criterio è stato sistematicamente utilizzato per interpretare i risultati delle prove effettuate con i bender element. In termini analitici la funzione di cross-correlazione è espressa da:

xyCC ( ) = X(t)Y (t - )d tτ τ∞� ....................................(4.19)

In tal senso, un esempio di applicazione della tecnica della cross-correlazione, è rappresentato in Fig. 4-36, relativamente alla sabbia limosa ed argillosa del Metramo costipata a wopt ed addizionata con BF=5%. Nella figura sono rappresentate le tracce temporali dell’onda di input (deamplificata di 1000 volte) e dell’onda al ricevitore. Nella stessa figura, è riportata la funzione di cross-correlazione normalizzata rispetto al suo valore massimo. Con un cerchietto è indicato il tempo relativo al valore unitario della funzione normalizzata, cui corrisponde il tempo di cross-correlazione tra i due segnali. Per quanto riguarda la misura della velocità di fase, occorre far riferimento all’interpretazione dei segnali sismici nel dominio delle frequenze. Occorre a tale proposito richiamare alcune definizioni. Innanzitutto lo spettro lineare Lx(f) di un segnale X(t) è funzione della frequenza in ragione della seguente equazione:

xL (f) = FFT [X(t)] ............................................(4.20)

Per ogni frequenza, lo spettro lineare è un vettore nel campo complesso, la cui ampiezza e fase sono rispettivamente l'ampiezza e la differenza di fase di ogni armonica componente X(t). Il Cross Power Spectrum Gxy(f) di due segnali, è il prodotto dello spettro lineare del primo segnale per il complesso coniugato dello spettro lineare del secondo segnale:

xy x y*G (f) = L (f) L (f) ...........................................(4.21)

8 Nel caso in cui trasmettitore e ricevitore non abbiano la stessa polarità, il tempo di percorrenza si ottiene in corrispondenza del minimo della cross-correlazione tra le tracce.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-39

Dall'ampiezza o magnitudo del vettore complesso del CPS, si determina il campo di frequenze comuni ai due segnali. La fase del CPS è proprio lo sfasamento angolare di ogni singola armonica di frequenza f, tra il primo ed il secondo segnale. Di conseguenza, se L è la distanza tra trasmettitore e ricevitore, il numero di cicli (o di lunghezze d’onda) Nc, percorsi lungo L, è pari a Φ(f)/2π e pertanto, l’armonica di frequenza f avrà una lunghezza d’onda λ data da :

λφ π

πφ

( )( ) / ( )

fL

NL

fLfc

= = =2

2..................................(4.22)

Si può definire allora una velocità di fase v(f), per ogni frequenza componente il segnale, del tipo:

v f fL ff

( )( )

= =λ πφ2

...........................................(4.23)

Per un assegnato campo di frequenze, la pendenza α della retta di regressione del diagramma di fase (cumulata) Φ(f) del CPS, definisce la velocità di gruppo vg per mezzo della relazione:

vL

g = 2παtan

...................................................(4.24)

Tale velocità rappresenta una media statistica delle velocità di fase del campo di frequenze considerato. Per quantificare il livello di disturbo, associato ad ogni componente armonica di un onda sismica, è possibile ricorrere alla funzione di coerenza:

CO fCPS f CPS f

APS f APS fxyyx yx

yy xx( )

( ) ( )

( ) ( )

*

=⋅⋅

..............................(4.25)

dove l’Auto Power Spectrum APS, misura la potenza media associata al segnale. Un esempio dell’andamento della coerenza, della fase relativa e della velocità di fase in funzione della frequenza è riportato in Fig. 4-37, con riferimento alle stesse condizioni sperimentali della figura precedente. La velocità delle onde di taglio, ricavata con la cross-correlazione, non differisce da quella ottenuta dall’analisi dei segnali nel dominio delle frequenze, e ciò si è verificato sistematicamente con le prove a disposizione. Va segnalato comunque che, la risoluzione temporale dell’analizzatore di funzioni, è limitata a 10 µs. Al crescere della velocità di propagazione delle onde, tale limitazione risulta alquanto gravosa. Su un provino con modulo di taglio pari a 70 MPa, la risoluzione in termini di rigidezza è infatti pari a ∆G≈3.5 MPa mentre, per una rigidezza iniziale di 500 MPa, la risoluzione è pari a circa ∆G≈50 MPa. Ciò si osserva ad esempio dalla Fig. 4-38, in cui è riportata la storia temporale delle misure su un provino di materiale sedimentato ed addizionato con BF=5%, in termini di

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-40

variazioni di deformazioni volumetriche, deformazioni assiali locali ed esterne e di pressioni neutre oltre che di modulo di taglio iniziale. Nella prova si riconoscono sia fasi di compressione isotropa, che di consolidazione isotropa, in carico e scarico. La velocità di deformazione è stata fissata con riferimento alle misure locali di pressione neutra. Il livello di affidabilità delle misure di rigidezza ricavate tramite i bender, è tanto più elevato, quanto più il materiale è deformabile e quindi, ai valori più bassi della pressione effettiva media. Nella fase di consolidazione a 600 kPa ad esempio, le limitazioni nella risoluzione temporale dell’analizzatore di funzioni, non fanno cogliere l’esatta evoluzione della rigidezza nel tempo.

4.14 INTERPRETAZIONE DELLE PROVE RCTS L’interpretazione delle prove di colonna risonante e di taglio torsionale si è svolta, ancora una volta, seguendo procedure che, pur non essendo del tutto tradizionali, sono diffusamente riportate in letteratura e che ormai fanno parte del “patrimonio culturale” dell’Istituto di Tecnica delle Fondazioni dell’Università di Napoli. In questa sede, i metodi di interpretazione sono richiamati in sintesi, rimandando ad altri lavori per una trattazione più estesa (v. es. Silvestri, 1991). Si è già accennato nel capitolo 1 come, per analizzare il comportamento tensiodeformativo di un terreno sottoposto a carichi ciclici, si possa ricorrere al modello lineare equivalente e quindi, all’andamento delle funzioni G(γ) e D(γ). Per la restituzione dei risultati delle prove in termini sintetici, si è ricorso al modello di Ramberg-Osgood, caratterizzato da due parametri C ed R, che identificano la geometria della curva di attenuazione del modulo di taglio. In particolare, tale modello è rappresentato, secondo la cosiddetta formulazione inversa, dalla relazione:

γ τ τ= +�

��

��

GC

G

R

0 0.......................................... (4.26)

Sempre nel capitolo 1, si è sottolineato che, per deformazioni che superano la soglia plastica, deve essere portato in conto anche l’effetto del numero di cicli N, e quindi della degradazione ciclica. Tale effetto può essere analizzato nell’ambito delle prove TS. Per mezzo di indici di degradazione, che rappresentano il valore assunto dalla variabile di interesse in corrispondenza dell’ennesimo ciclo, rapportato a quello iniziale, è possibile ancora fare riferimento all’analisi lineare equivalente.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-41

In particolare è possibile definire un indice di degradazione del modulo di taglio δG

come:

δ GG NG

= ( )( )1

................................................(4.27)

e, in maniera analoga, un indice di degradazione del fattore di smorzamento. Nella tesi, per la degradazione del modulo di taglio, si utilizzerà un indice di degradazione ∆G, non direttamente influenzato dal numero di cicli. In particolare ∆G, rappresenta il decremento dell’indice di degradazione per campo logaritmico di N, in quanto si è osservato che, la relazione tra δG e N può essere espressa dalla relazione: δ G G N= −1 ∆ log( ) .........................................(4.28)

4.14.1 INTERPRETAZIONE DELLE PROVE DI COLONNA RISONANTE Le prove di colonna risonante si basano sulla schematizzazione del comportamento del terreno come un mezzo viscoelastico continuo, omogeneo ed isotropo. In esso, le cause di dissipazione sono attribuite a fenomeni di viscosità lineare per cui, tale mezzo, può essere caratterizzato da un modulo di elasticità tangenziale G, un coefficiente di viscosità µ e una densità ρ. In condizioni di taglio semplice piano e nel caso assialsimmetrico, la vibrazione torsionale di un solido cilindrico, omogeneo ed indefinito, è rappresentata dall’equazione:

Gz t z t

∂ θ∂

µ ∂ θ∂ ∂

ρ ∂ θ∂

2

2

3

2

2

2+ = ....................................(4.29)

conθ = θ (z,t) rotazione di una generica sezione alla quota z. Tale equazione differenziale, viene risolta con la tecnica della separazione delle variabili. In particolare, ad uno schema di prova di colonna risonante del tipo fixed-free, corrispondono determinate condizioni al contorno all’equazione (4.29). In particolare, tali condizioni sono espresse alla base inferiore, attraverso la: θ ( , )0 0t = ....................................................(4.30) e, alla base superiore da:

It

GJz

Jt z

M ttz l z l z l

∂ θ∂

∂θ∂

µ ∂ θ∂ ∂

2

2

2

0�

� + �

� +

� =

= = =

( ) .................(4.31)

Quest’ultima è ottenuta dall’eguaglianza tra momento torcente alla testa del provino e la coppia risultante dall’equilibrio dinamico della massa rigida (drive plate) di inerzia It . Nella (4.31), J è il momento d’inerzia polare della sezione retta del provino di altezza pari a l, mentre M0(t) è la legge di variazione nel tempo della coppia torcente esterna.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-42

In condizioni di oscillazioni libere, le soluzioni della (4.29) sono ottenute dalla cosiddetta equazione di frequenza, espressa da:

p

t

n

S

n

Sn n

II

= l

V

l

V = F F

ω ωtan tan

��

�� ..............................(4.32)

in cui Ip=ρJl è il momento d’inerzia polare del provino cilindrico, ωn è la pulsazione naturale del sistema non smorzato,v Gs = / ρ è la velocità di propagazione delle

onde di taglio in un mezzo elastico mentre Fl

vf l

vnn

s

n

s= =

ω π2, è chiamato fattore di

frequenza essendo fn una delle frequenze naturali del sistema. Nota una frequenza di oscillazione naturale del sistema (nel caso specifico la prima frequenza di risonanza), ed i parametri geometrici del provino e del sistema di carico, è possibile ricavare per tentativi dalla (4.32), la velocità di propagazione delle onde di taglio e quindi, il modulo di taglio del terreno. In condizioni di oscillazioni forzate, il moto dell’estremità superiore del sistema dinamico, è descrivibile da una funzione armonica, avente la stessa frequenza dell’eccitazione ma sfasata di φ rispetto ad essa, del tipo: θ θ ω φ(l,t) = A ( t + )f s sin ......................................(4.33)

Nella (4.33) θs è la rotazione statica che la sezione terminale del provino subirebbe per effetto della coppia torcente M0, mentre Af, è detto fattore di amplificazione dinamica del sistema. Al variare della frequenza di eccitazione, il moto della testa superiore descrive una curva di risposta θ(f). La massima amplificazione dinamica si raggiunge quando eccitazione e risposta sono perfettamente in fase, definendo la condizione di risonanza del sistema drive plate + provino. Nota la rotazione della base superiore del provino, è possibile ricavare la deformazione tangenziale dalla relazione:

γ θ( ) ( )t trl

= .................................................(4.34)

in cui r è un raggio medio di riferimento pari a 0.80 R, essendo R il raggio corrente del provino. Il fattore di smorzamento D, viene invece calcolato attraverso l'espressione approssimata del metodo della semibanda di potenza (half-power bandwidth method):

hp2 1

rD

f - f2 f

≈ ...............................................(4.35)

dove f1 ed f2 sono le frequenze di taglio, ovvero i valori della frequenza per cui la rotazione θ è pari a 2 2/ volte la rotazione massima θmax ed fr è la frequenza di risonanza. Al crescere della sollecitazione, con il superamento del campo lineare, si manifesta, una modifica radicale dell'aspetto delle curve di amplificazione. In particolare, tali curve

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-43

risultano marcatamente asimmetriche e, non univocamente definite cambiando il modo di variare della frequenza durante uno sweep. In tal caso, per valutare lo smorzamento, si è ricorso al metodo basato sull'espressione analitica del fattore di risonanza (resonance factor method), definito dal rapporto tra valore di picco γmax, della curva di risposta γ(f) e, la rotazione statica corrispondente ad una coppia di eguale ampiezza M. Risulta:

rf0D = M r

2GJ maxγ..............................................(4.36)

In sintesi, a piccole deformazioni, la valutazione del fattore di smorzamento è stata effettuata utilizzando entrambe le espressioni, mentre, a deformazioni più elevate, si è utilizzata esclusivamente la (4.36).

4.14.2 INTERPRETAZIONE DELLE PROVE DI TAGLIO TORSIONALE Le prove di taglio torsionale sono di più semplice e diretta interpretazione. A causa della ridotta velocità di deformazione, in tali prove si trascurano i termini inerziali e, la rigidezza ed il fattore di smorzamento, si ricavano direttamente dalle curve tensione-deformazione tangenziale. La soluzione dell'equazione del modello di riferimento viscoelastico, non considerando le forze di inerzia, è del tipo:

γ γ π φ(t) = (2 ft - )sin .........................................(4.37)

dove γ è l'ampiezza della deformazione tangenziale media e φ rappresenta il ritardo tra eccitazione e risposta del terreno. Nell’interpretazione convenzionale, ci si affida ad una tecnica basata su algoritmi di calcolo che, isolati i singoli cicli, individuano in primo luogo i valori di picco dei segnali acquisiti di tensione e deformazione, di modo da ottiene la rigidezza da:

G pp

pp( )γ

τγ

= .................................................(4.38)

e successivamente, determinano l’area del ciclo d’isteresi τ−γ, per il calcolo del fattore di smorzamento. A livelli deformativi ridotti, per attenuare almeno in parte gli inconvenienti dovuti alla piccolezza dei rapporti S/N dei trasduttori, i parametri equivalenti sono stati ricavati interpolando le tracce temporali, relative a ciascun ciclo τ−γ, con una coppia di sinusoidi (fitting sinusoidale), aventi frequenza f pari a quella impostata al generatore di segnale (Papa et al., 1988,b).

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4.15 CRITERI DI CONFRONTO TRA PROVE TRIASSIALI E PROVE TORSIONALI Una volta che sono stati descritti i metodi di interpretazione dei diversi tipi di prove, si vuole stabilire, in conclusione al capitolo, in che termini può essere effettuato un paragone tra prove triassiali e prove torsionali. Nella successiva presentazione dei risultati sperimentali, proprio a tale argomento, sarà dedicato uno spazio rilevante ed allora in questo paragrafo si vuole allora stabilire, quali sono i criteri che a parità di pressione effettiva media e di livello di deformazione, permettono di confrontare tra loro il modulo di taglio e il modulo di Young. Tali criteri saranno rivisti successivamente alla luce dei risultati ottenuti sulla sabbia limosa ed argillosa del Metramo. Prima di analizzare questo argomento, occorre però richiamare alcune caratteristiche proprie delle singole prove che le differenziano tra loro (Silvestri, 1991,b). Innanzitutto, sulle prove triassiali e sulle prove torsionali, possono avere un ruolo diverso, le differenti condizioni di vincolo alle basi. Queste inducono uno stato tensiodeformativo non uniforme all’interno del provino, più accentuato nelle prove torsionali rispetto alle prove triassiali e con una influenza tanto maggiore quanto più grande è livello di deformazione raggiunto. Ciò non di meno, su una sabbia asciutta, alcuni autori confrontando prove triassiali cicliche e prove di taglio semplice, osservano una scarsa influenza delle condizioni ai limiti sui risultati sperimentali (Park e Silver, 1975). Altre differenze possono derivare da un diverso percorso di carico. Nel caso di prove RC e TS, lo stress path totale è di tipo verticale mentre, nelle prove triassiali convenzionali è inclinato di 1:3 sull’orizzontale. In questo lavoro, il confronto è stato effettuato esclusivamente in prove di tipo non drenato per cui, l’inclinazione del percorso di carico non dovrebbe avere alcun effetto sullo stato tensionale effettivo. Un ruolo non trascurabile è rappresentato invece dai fenomeni di inversione e ripetizione dei carichi, come si osserverà nel successivo § 7.4. Un’ulteriore aspetto è dato dalla diversa velocità di applicazione dei carichi ma, di questo sarà dato conto ancora nel seguito della tesi. Quanto ai criteri veri e propri di riduzione dei dati, in letteratura sono stati individuati due approcci: uno è quello delle deformazioni principali massime, un altro è quello dei piani ottaedrali. In entrambi i casi si ipotizza un comportamento del terreno di tipo elastico, lineare ed isotropo per cui il legame tra i moduli di rigidezza è espresso da:

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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GE=+2 1( )ν

...............................................(4.39)

che, in condizioni non drenate, consente di ricavare il modulo di taglio da una prova di tipo triassiale attraverso la:

GE=3

....................................................(4.40)

Confrontando prove cicliche e prove monotone, tali relazioni possono essere utilizzate facendo riferimento ai moduli equivalenti nel primo caso ed ai moduli secanti nel secondo. Per quanto riguarda il confronto tra i livelli di deformazione, il criterio che si adotta nella quasi totalità dei lavori di ricerca, è quello del paragone tra le deformazioni principali massime. Esso prevede di eguagliare le caratteristiche di deformazione e, conseguenzialmente di tensione, in corrispondenza dei piani su cui agiscono le deformazioni principali massime e le tensioni principali massime. Risulta quindi: γ ε ε= −1 3 ...................................................(4.41)

e

τσ σ

=−( )1 3

2................................................(4.42)

da cui si ha: q = 2τ ......................................................(4.43) e

ε γs = 23

.....................................................(4.44)

Il secondo approccio si basa su un criterio di equivalenza tra le deformazioni relative ad una prova torsionale e ad una prova triassiale lungo i piani ottaedrali (Rampello e Pane, 1988). In particolare, assumendo che in una prova RC o TS, la deformazione tangenziale γ sia l'unica componente di deformazione, si ha direttamente dalle definizioni:

γ γoct = 23

............................................. (4.45)

mentre, in una prova triassiale non drenata risulta:

γ εoct s= 2 ................................................(4.46)

Eguagliando la (4.45) con la (4.46) si ha:

ε γs =

3...................................................(4.47)

da cui deriva anche che:

q = 3τ ...................................................(4.48) Questo secondo criterio, è stato adottato per confrontare i risultati sperimentali nell’ambito della tesi.

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Una applicazione in tal senso, in cui vengono paragonati risultati di una prova triassiale e di una prova RC e TS, è riportato in Fig. 4-39. Entrambe le prove sono state effettuate a partire da una pressione di consolidazione pari a p’0=200 kPa. I dati, opportunamente elaborati come riportato nel § 4.12, si riferiscono alla sabbia limosa ed argillosa del Metramo costipata a wopt ed addizionata con BF=2.5%. Essi sono stati ricondotti ad una curva tensione deviatorica-deformazione distorsionale in Fig. 4-39 (a) e, ad una curva di decadimento del modulo di taglio in funzione della deformazione distorsionale in Fig. 4-39 (b), seguendo entrambi gli approcci presentati. E’ possibile osservare che, mentre sussistono notevoli differenze tra i risultati ottenuti con i diversi tipi di prove, le differenze rilevate tra i criteri di interpretazione sono alquanto limitate. In particolare, un fissato valore del modulo di taglio si ottiene ad un livello di deformazione maggiore nell’approccio alle deformazioni principali massime, rispetto a quello dei piani ottaedrali.

4.16 DISCUSSIONE E SOMMARIO Questo capitolo è dedicato alla descrizione delle apparecchiature, delle procedure sperimentali e dei criteri di interpretazione, adottati nella tesi. Le attrezzature utilizzate sono indirizzate verso lo studio del comportamento dei terreni a piccole e medie deformazioni, sebbene alcune di esse, forniscono anche informazioni sulla resistenza a rottura dei materiali. Nel capitolo si è fatto riferimento innanzitutto alle celle triassiali a stress path controllato, in uso presso l’Istituto di Tecnica delle Fondazioni dell’Università di Napoli. In tale ambito, si sono descritti i recenti miglioramenti apportati a tali apparecchiature, sia nella struttura della cella, che nei trasduttori utilizzati (LVDT immergibili, LDT, Bender Element). Inoltre, è stata presentata la cella triassiale adoperata presso l’Università di Tokyo, dove è stata condotta una parte della sperimentazione relativa a questa ricerca. L’aver adoperato due apparecchiature diverse, ha portato naturalmente, a formulare alcune considerazioni relative ai pregi ed ai difetti dei sistemi. L’affidabilità della relazione tensione-deformazione che emerge da una prova triassiale è funzione di entrambe le misure sia di tensione che di deformazione. L’affidabilità di una misura è data dalla combinazione dell’accuratezza e dalla precisione dei trasduttori adottati, per cui tiene conto principalmente della qualità, risoluzione e stabilità (minimo rumore e minima deriva) di questi ultimi. Per ottenere una prova triassiale affidabile, oltre ad un’elevata qualità degli strumenti di misura, è però necessario:

1. controllare adeguatamente lo stato del terreno durante la fase di consolidazione, isotropa o anisotropo che sia, e durante la fase di taglio stessa;

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2. adottare una cella di carico interna; 3. adottare dei dispositivi per la misura locale delle deformazioni.

Entrambe le celle rispondono ai requisiti sopra indicati. In particolare però, la struttura della cella dell’Università di Tokyo è a montanti esterni. Ciò comporta alcune difficoltà nel montaggio dei provini, ampiamente compensate da un più agevole collegamento con la testa di carico che avviene senza disturbare il materiale. D’altra parte nelle apparecchiature triassiali utilizzate a Napoli, il carico sul provino è fornito da un pistone posto in basso alla cella, mentre l’opposto si ha nell’attrezzatura di Tokyo, il cui pistone di carico deve essere opportunamente contrappesato quando non è connesso al motore. Il sistema di set-up con il dry setting method presenta qualche vantaggio rispetto al metodo di allestimento ad umido, a fronte però di notevoli complicazioni nelle procedure. Il controllo dello stato tensionale nelle fasi compressione è più semplice ed efficiente nel caso del sistema a stress path controllato; il sistema adoperato presso l’Università di Tokyo, consente però di eseguire in maniera più precisa ed agevole dei piccoli cicli di scarico e ricarico in fase di taglio. Inoltre, sia per le dimensioni maggiori del provino, sia per il sistema più sofisticato di amplificazione e filtraggio dei segnali, tramite la cella giapponese è possibile ricavare la risposta tensiodeformativa del terreno a partire da livelli di deformazione più alquanto più bassi rispetto ai due sistemi in uso presso l’Università di Napoli. La realizzazione del sistema bender element ha aperto nuove potenzialità allo studio del comportamento meccanico dei terreni, potenzialità non del tutto utilizzate in questo lavoro di ricerca. Per adoperare al meglio il sistema, è indispensabile in primo luogo risolvere il problema della scarsa risoluzione dell’analizzatore di funzione, utilizzando eventualmente l’oscilloscopio della catena strumentale delle RCTS e scrivendo delle apposite routine per le registrazione delle tracce ricavate. D’altra parte, un ulteriore miglioramento al sistema, deriverebbe dall’utilizzazione di un amplificatore sul segnale al trasmettitore, le piezoceramiche adottate, avendo una tensione di depolarizzazione pari a 200 V, che è di un ordine di grandezza superiore rispetto a quella riportata per analoghi trasduttori impiegati in letteratura. Ulteriori miglioramenti nell’interpretazione dei risultati, deriverebbero dall’utilizzazione di un qualche dispositivo per valutare il livello di deformazione connesso con la propagazione delle onde ed eventualmente un doppio ricevitore per valutare il fattore di smorzamento. Questi ultimi due aspetti pongono problemi tecnici non ancora risolti. Nel capitolo è presentato inoltre, il sistema di colonna risonante e taglio torsionale adottato per eseguire una parte della sperimentazione sul materiale.

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Sono stati descritti inoltre i sistemi di interpretazione delle diverse prove eseguite nel corso della tesi. Un sistema RCTS presenta al solito, certi vantaggi ed alcuni svantaggi rispetto ad un sistema triassiale. In particolare, la prerogativa principale di un’apparecchiatura di colonna risonante e taglio torsionale, è quella di riuscire a determinare la relazione tensione-deformazione di un materiale, a partire da livelli di deformazione tangenziale estremamente ridotti. Inoltre, le misure non soffrono di problemi di bedding, per la risoluzione dei quali è necessario l’uso di trasduttori di deformazione locali. Tramite le prove di colonna risonante è possibile inoltre analizzare il comportamento dei terreni a velocità di almeno un ordine di grandezza maggiore rispetto al caso delle prove triassiali. Di contro però, il campo di deformazioni che è possibile analizzare è notevolmente più ridotto, sia per limiti nella rotazione massima che è possibile raggiungere, sia perché, nel caso delle prove RC, i criteri di interpretazione non sono a rigore validi a livelli deformativi medio-alti. Gli stessi criteri di interpretazione sono d’altra parte, meno diretti ed immediati rispetto a quelli adottati nelle prove triassiali e, devono necessariamente essere basati sull’uso di un modello di comportamento del terreno. Il sistema di applicazione dei carichi delle celle RCTS è basato generalmente su motori di tipo elettromagnetico. Pertanto lo stato di confinamento è fornito da aria in pressione che tende a migrare all’interno del provino. Nel corso della presente ricerca tramite la cella RCTS, sono state eseguite esclusivamente prove di tipo ciclico a partire da uno stato di confinamento isotropo. L’apparecchiatura consente peraltro, con alcuni accorgimenti, di effettuare prove a partire da uno stato di confinamento anisotropo (Ni, 1987) ed adottando una legge di variazione del carico di tipo monotona. Le celle triassiali a stress path controllato sono state impiegate invece per eseguire esclusivamente prove di tipo monotono, ma potrebbero essere utilizzate per effettuare anche prove di tipo ciclico, fino ad una frequenza massima di 0.1 Hz, con piccole modifiche al software di controllo.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-49

INDICE DELLE FIGURE

Fig. 4-1 Alcune possibili definizioni del modulo di Young (da Tatsuoka e Shibuya, 1992).

Fig. 4-2 Definizione dei parametri equivalenti nel caso di una sollecitazione ciclica

Fig. 4-3 Apparecchiatura triassiale a stress path controllato: (1) cella Bishop (2) generazione delle pressioni (3) acquisizione e controllo

Fig. 4-4 Sistema per la generazione delle pressioni in un sistema a stress path controllato

Fig. 4-5 Ciclo principale del programma per la gestione della cella a stress path controllato.

Fig. 4-6 Rappresentazione schematica della cella triassiale modificata presso l’Università di Napoli.

Fig. 4-7 Paragone tra i campi tensionali raggiungibili in prove a carico controllato nelle celle di tipo idraulico (da Aversa e Vinale, 1995).

Fig. 4-8 Prove di deformabilità su entrambi i sistemi adoperati.

Fig. 4-9 Principali fonti di errori nelle misure assiali esterne (da Jardine et al., 1984).

Fig. 4-10 Diversi allestimenti di trasduttori tipo LVDT: (a) da Brown e Snaith, 1974; (b) da Chamberlain et al., 1979; (c) da Costa Filho, 1985

Fig. 4-11 Rappresentazione schematica e principio di funzionamento delle livelle elettrolitiche(da Jardine et al., 1984).

Fig. 4-12 Rappresentazione schematica di un trasduttore ad effetto Hall (da Clayton et al., 1989).

Fig. 4-13 (a) e (b) Confronto tra misure esterne e misure locali con trasduttori ad effetto Hall sul limo sabbioso ed argilloso del Metramo costipato a wopt .

Fig. 4-14 Rappresentazione schematica di un sistema di misura locale basato su trasduttori di prossimità (da Hird e Young, 1989).

Fig. 4-15 Sistema di misura locale basato su LDT (da Tatsuoka et al., 1990).

Fig. 4-16 Trasduttore LDT in una cella triassiale Bishop e Wesley.

Fig. 4-17 Trasduttore LVDT in una cella triassiale Bishop e Wesley modificata.

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

4-50

Fig. 4-18 Significato di precisione ed accuratezza (da Dunnicliff, 198?).

Fig. 4-19 Curva di taratura di un trasduttore LDT (a) e confronto tra l’accuratezza di vari trasduttori (b)

Fig. 4-20 (a) e (b) Prove di compressione triassiale non drenate a p’0=200 kPa sul materiale costipato ed addizionato con BF=2.5%.

Fig. 4-21 Trasduttori bender element: (a) ricevitore, (b) trasmettitore (c) elemento rivestito con araldite.

Fig. 4-22 Rappresentazione schematica della catena strumentale per i bender element

Fig. 4-23 Misura delle pressioni neutre alla base e a metà altezza sul materiale costipato a wopt in (a) compressione isotropa (b) taglio a p’ costante.

Fig. 4-24 Prova K0 sul materiale costipato a wopt in termini di (a) stress path e (b) relazione deformazione- pressione effettiva media.

Fig. 4-25 Fase iniziale di una prova non drenata sul materiale costipato a wopt con BF=2.5%.

Fig. 4-26 Schema dell’apparecchiatura triassiale utilizzata all’Università di Tokyo (da Ampadu, 1988).

Fig. 4-27 Dispositivo per lo spostamento del pistone delle celle triassiali presso l’Università di Tokyo(da Tatsuoka et al., 1994).

Fig. 4-28 Esempio di controllo del carico deviatorico in una fase di consolidazione sul limo sabbioso ed argilloso del Metramo.

Fig. 4-29 Tipica fase di set-up sul materiale costipato a wopt, eseguita presso l’IIS dell’Università di Tokyo.

Fig. 4-30 Schema dell’apparecchiatura RCTS.

Fig. 4-31 Rappresentazione schematica di una prova multi-stage.

Fig. 4-32 Rappresentazione schematica di una prova multi-step.

Fig. 4-33 (a) e (b) Criteri di rappresentazione dei dati di una prova triassiale non drenata sul materiale costipato ed addizionato con BF=2.5%.

Fig. 4-34 Interpretazione di un ciclo di carico e scarico con tratti di retta.

Fig. 4-35 Confronto tra propagazione di onde S e di onde P su un limo con argilla sabbioso compattato (da Brignoli e Gotti, 1992).

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Cap. 4 Apparecchiature utilizzate e procedure sperimentali connesse

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Fig. 4-36 Interpretazione di una prova bender element con la cross-correlazione.

Fig. 4-37 Interpretazione di una prova bender element nel dominio delle frequenze.

Fig. 4-38 Fasi di compressione e consolidazione in una prova triassiale sul materiale sedimentato ed addizionato con BF=5%

Fig. 4-39 Confronto tra una prova di compressione triassiale non drenata ed una prova RCTS sul materiale costipato a wopt ed addizionato con BF=2.5%.