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PIANO DI ZONA 2012 - 2014 dei Comuni coincidenti con il Distretto Sociale 6 ASL Milano 2 Ente Capofila Comune di Pieve Emanuele, Binasco, Casarile, Lacchiarella, Noviglio, Vernate, Zibido San Giacomo COMUNE DI PIEVE EMANUELE --- UFFICIO DI PIANO DISTRETTO SOCIALE 6 Binasco Casarile Lacchiarella Noviglio Pieve Emanuele Vernate Zibido San Giacomo

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PIANO DI ZONA 2012 - 2014

dei Comuni coincidenti con il Distretto Sociale 6 ASL Milano 2 Ente Capofila Comune di Pieve Emanuele,

Binasco, Casarile, Lacchiarella, Noviglio, Vernate, Zibido San Giacomo

COMUNE DI PIEVE EMANUELE ---

UUFFFFIICCIIOO DDII PPIIAANNOO DDIISSTTRREETTTTOO SSOOCCIIAALLEE 66 Binasco

Casarile Lacchiarella Noviglio Pieve Emanuele Vernate Zibido San Giacomo

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PIANO DI ZONA 2012/2014

INDICE PREMESSA : Patto locale di sviluppo del territorio “Lavorare insieme per un sistema di Welfare condiviso” Idee, spunti ed azioni per la programmazione sociale 2012/2014 ………………………………………………………………………………….. Pag. 3

1. LA PROGRAMMAZIONE SUSSIDIARIA – Indicazioni di Metodo ……………..…Pag. 5

2. LA VALUTAZIONE DEGLI INTERVENTI del Piano di Zona 2009-2011 ……….. Pag. 10

3. ANALISI DEL CONTESTO TERRITORIALE – DIAGNOSI SOCIALE ………….Pag. 26

3.1 La Situazione Italiana ………………………………………………………..Pag. 26

3.2 Il Distretto Sociale 6 …………………………………………………………Pag. 27

3.3 Area Famiglia e Minori – Giovani – Scuola …..……………………………. Pag. 33

3.4 Area Adulti …………………………………………………………………..Pag. 46

3.5 Area Stranieri ………………………………………………………………...Pag. 50

3.6 Area Non Autosufficienze – Disabili – Anziani – Salute Mentale …..………Pag. 56

3.7 Temi Trasversali della Diagnosi Sociale – Prevenzione e Lavoro di Rete …...Pag.69

4. IL QUADRO NORMATIVO………………………………………….………………Pag. 72

4.1 Il Contesto normativo e le indicazioni regionali ……………………………..Pag. 72

4.2 Le Linee di Indirizzo per la definizione del Piano di Zona 2012/2014 del Distretto Sociale 6 ASL Milano 2 ……………………………………………………..Pag. 74

5. LA PROGRAMMAZIONE DEL PIANO DI ZONA 2012/2014 – “Patto Locale di Sviluppo

del Territorio” ………………………………………………………………………..Pag. 78

5.1 L’Esito del Lavoro di Programmazione con la rete territoriale ……………..Pag. 80

5.2 Il Terzo Settore e il Piano di Zona …………………………………………...Pag. 92

5.3 L’Integrazione Socio-Sanitaria ………………………………………………Pag. 93

5.4 I Progetti Sperimentali Sovra Distrettuali ASL Milano 2 …………..………Pag. 102

5.4.1 Lo Strumento dell’Accreditamento tra condivisione di responsabilità pubblica, processo di qualificazione di interventi e servizi, regolazione della rete delle unità di offerta sociali …………………………….Pag. 103

5.4.2 La Compartecipazione al costo delle prestazioni………………….Pag. 107

5.4.3 La Conciliazione Famiglia/Lavoro nella Programmazione Sociale.Pag. 108

5.4.4 Ripensare il Ruolo dei servizi di tutela dei Minori, sperimentare modelli centrati sul coinvolgimento della famiglie, delle reti e della comunità: un Progetto Interdistrettuale nell’ASL Milano 2……………………...Pag. 112

5.5 Monitoraggio e Valutazione ………………………………………………...Pag. 136

5.6 Budget Unico e Risorse Economiche ……………………………….………Pag. 138

CONCLUSIONI ………………………………………………………………………....…..Pag. 139

3

PREMESSA

Patto locale di sviluppo del territorio

“Lavorare insieme per un sistema di Welfare condiviso” Idee, spunti ed azioni per la programmazione sociale 2012 – 2014

La programmazione territoriale che negli ultimi anni, con i Piani di Zona, si è consolidata su tutto il territorio lombardo, è messa a dura prova in questo particolare momento storico, stretta com’è tra le continue contrazioni della spesa pubblica per il sistema di welfare da un lato, e la crescente complessità delle problematiche da affrontare dall’altro. Il profilo economico-finanziario, d’altra parte, deve essere necessariamente coniugato con un altro aspetto non meno importante, quello istituzionale e strutturale, data l’eterogenea articolazione e, spesso, la frantumazione degli interventi, incongruamente dispersi in capo a diversi soggetti, organizzazioni, enti e comunità locali. Di fronte all’incertezza delle prospettive, ci siamo trovati molto spesso a dover decidere se rilanciare, pur nel mutato contesto, processi di programmazione orientati alla razionalizzazione delle risorse e allo sviluppo del sistema, oppure rinunciarvi, di fronte al rischio che le ridotte risorse non avrebbero poi consentito effettivi risultati e che, di conseguenza, il programmare sarebbe diventato un’azione frustrante e poco produttiva. E’ dunque comprensibile che l’interrogativo sotteso all’intera fase preliminare alla costruzione del Piano di Zona si sia incentrato - da parte dell’Assemblea dei Sindaci, del Tavolo Tecnico, dell’Ufficio di Piano e di tutti gli altri soggetti che compongono la rete locale - sul significato e sul senso da dare al nuovo Piano. Ci siamo quindi confrontati sul contenuto della nuova programmazione e, all’interno di questa, sugli investimenti che oggi, tenuto conto dei diversi vincoli, il Distretto ritenga possibili e sia disposto a mettere in campo. E’ emerso con chiarezza che la strada del rilancio della programmazione zonale, seppur con i vincoli oggi presenti, è in questo momento la più opportuna. Crediamo, infatti, che proprio perché il sistema è soggetto a tagli di risorse che ne minacciano la sopravvivenza non si possa abdicare alla programmazione territoriale. Abbiamo investito pensieri e risorse affinchè il Piano di Zona 2012/2014 possa diventare uno strumento atto a contrastare la riduzione delle risorse, ad esempio:

- rilanciando la gestione associata di servizi e interventi ancora spesso gestiti in modo parcellizzato e frammentato da singoli comuni,

- promuovendo una effettiva integrazione socio-sanitaria, di tipo gestionale e operativo, che persegua reciprocità di intenti ed economie di scala nella collaborazione fra comparto sociale e sanitario;

- assumendo una concezione ampia di politica sociale che permetta di connettere politiche socio-assistenziali tradizionali con forme di contrasto alle nuove povertà, attraverso interventi di sostegno trasversali ai bisogni della famiglia (conciliazione, politiche attive del lavoro, della casa, ecc.).

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Il Piano di Zona può e deve diventare una fonte di programmazione che permetta di attrezzarsi per affrontare i bisogni emergenti nei territori, integrando le risorse esistenti e valorizzando le comunità locali affinchè queste partecipino alla governance del sistema. Tale aspetto risulta rilevante, in questa fase storica, anche perchè favorisce lo sviluppo della

società civile. La programmazione zonale dovrà, in questa particolare fase, orientare sistemi attenti all’equità delle risposte, alla esigibilità dei diritti, a favorire forme di cittadinanza attiva; ma allo stesso tempo dovrà proporre modelli di intervento più flessibili, aperti ad apporti esterni, attenti ad attrarre risorse da soggetti diversi dal pubblico (famiglie, finanza etica, fondazioni, mondo delle imprese, ecc.). Sarà inoltre necessario prevedere criteri di miglior selettività nell’accesso a servizi e prestazioni (selettività intesa come via per una sostanziale applicazione del principio di equità sociale) e sarà importante prestare maggiore attenzione all’efficacia degli interventi per poter massimizzare i benefici forniti con le risorse disponibili. La programmazione territoriale, a nostro avviso, può divenire risorsa cruciale ed essenziale per fronteggiare in modo competente e consapevole le difficili sfide di questo faticoso momento storico. Raccogliere tali sfide significa però anche fondare specifiche strategie di programmazione sulla capacità di prefigurare alcuni scenari di cambiamento. Riteniamo che ragionare in termini di “scenari futuri” sia importante per diverse ragioni: per favorire l’avvio di processi di cambiamento, per reggere il confronto sulla direzione da percorrere, per orientare di conseguenza l’azione collocandola in una prospettiva temporale e infine per coordinare azioni e risorse attorno ad essa. Questa metodologia impone pertanto di riportare al centro dell’attenzione la “fissazione di obiettivi di policy”, promuovendo insieme una “visione di sistema”, troppo spesso trascurata nelle politiche locali, strette tra la necessità di fronteggiare le emergenze e la scarsità di risorse disponibili.

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- 1 -

LA PROGRAMMAZIONE SUSSIDIARIA – indicazioni di metodo

Il lavoro di programmazione del nuovo Piano di Zona ha visto un grosso investimento dell’Ufficio di Piano nel lavoro con la rete del territorio. E’ stata dedicata grande cura nella metodologia da utilizzare per raccogliere e condividere le proposte di tutti gli attori che hanno partecipato alla fase di programmazione. Abbiamo cercato di realizzare una programmazione sussidiaria basata sul modello partecipativo - decisionale1 in cui il soggetto pubblico favorisce non soltanto la discussione pluralista, ma produce modalità di coinvolgimento dei soggetti privati al policy making, rendendo tutti co-responsabili della programmazione in tutte le sue fasi. Quello che di seguito verrà rappresentato è il risultato di un complesso lavoro di ricomposizione di più sguardi, di differenti approcci, di diverse competenze e ruoli. E’ l’ipotesi di condivisione di un percorso che durerà tre anni e che abbiamo definito “Patto locale di sviluppo del territorio”, a cui ha partecipato, partecipa e parteciperà la più ampia e plurale rappresentanza della società civile (ovvero soggetti pubblici, organizzazioni sindacali, terzo e quarto settore). Il lungo lavoro di programmazione ha avuto inizio dal mese di marzo del 2011 e si è concluso un anno dopo con la scrittura del presente documento. Esso ha rappresentato un processo di maturazione della Rete territoriale, testimoniato da una graduale metamorfosi della governance e dalla ridefinizione dei luoghi di partecipazione, di dialogo e di rappresentanza della società civile. Il processo programmatorio (rappresentato dallo schema riportato alla tabella A) si è articolato in due fasi, durante le quali sono stati coinvolti soggetti diversi e con differenti modalità di lavoro, secondo un programma flessibile che si è definito “in progress”. Sono stati garantiti momenti costanti di restituzione e confronto con il Tavolo di Rete distrettuale e tutti i documenti prodotti nei tavoli di programmazione, elaborati dall’Ufficio di Piano, sono stati integrati e modificati dai soggetti che avevano partecipato al lavoro, al fine di rendere gli stessi il punto di incontro di tutte le parti in gioco. FASE 1 –

I lavori di questa fase sono durati circa 9 mesi, durante i quali sono state esplorate le risorse del territorio, valutati gli interventi del precedente Piano di Zona e ridefiniti nonché, aggiornati i bisogni dei cittadini. Le azioni svolte sono state: - mappatura delle risorse del territorio - esplorazione dei bisogni dei cittadini del nostro territorio e costruzione della Diagnosi

Sociale - valutazione degli interventi del Piano di Zona 2009/2011

FASE 2 –

I lavori di questa fase sono durati circa 3 mesi, durante i quali è stato definito il sistema di interventi e azioni, utili a dare risposta a quanto emerso nel lavoro della fase precedente ed elaborato il documento di programmazione triennale, nel rispetto delle Linee di Indirizzo sia regionali che distrettuali. Le azioni svolte sono state: - programmazione degli interventi da realizzare nel triennio 2012/2014 - stesura del Piano di Zona 2012/2014

1 Carini, Cortese e Mariano – 2008 p. 63

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FASI PROGRAMMAZIONE PIANO DI ZONA 2012/2014 FASI PROGRAMMAZIONE PIANO DI ZONA 2012/2014 FASI PROGRAMMAZIONE PIANO DI ZONA 2012/2014 FASI PROGRAMMAZIONE PIANO DI ZONA 2012/2014 ---- DISTRETTO SOCIALE 6 DISTRETTO SOCIALE 6 DISTRETTO SOCIALE 6 DISTRETTO SOCIALE 6

TAVOLO DI RETE TAVOLO DI RETE TAVOLO DI RETE TAVOLO DI RETE

(28 Marzo)

TAVOLI ATTORI SOCIALI TAVOLI ATTORI SOCIALI TAVOLI ATTORI SOCIALI TAVOLI ATTORI SOCIALI

- Caritas, parrocchie e gruppi religiosi

- Scuole

- Volontariato, Croci, Prot. Civile

- Cooperative di tipo B

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TAVOLOTAVOLOTAVOLOTAVOLO DI RETE DI RETE DI RETE DI RETE

(19 Maggio)

TAVOLO TECNICO + TAVOLO TECNICO + TAVOLO TECNICO + TAVOLO TECNICO +

ASSEMBLEA DEI SINDACI ASSEMBLEA DEI SINDACI ASSEMBLEA DEI SINDACI ASSEMBLEA DEI SINDACI

(4 e 12 Aprile)

TAVOLI D'AREA/TEMATICI TAVOLI D'AREA/TEMATICI TAVOLI D'AREA/TEMATICI TAVOLI D'AREA/TEMATICI

- Minori e famiglie - Grave Emarginazione

- Disabili - Anziani

- Stranieri - adolescenti/giovani adulti settem

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INCONTRI UDP CON COMUNI INCONTRI UDP CON COMUNI INCONTRI UDP CON COMUNI INCONTRI UDP CON COMUNI

(4 Maggio/17 Maggio)

TAVTAVTAVTAVOLO DI RETE OLO DI RETE OLO DI RETE OLO DI RETE

Condivisione Diagnosi Sociale dic

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TAVOLO TECNICO + ASSEMBLEA DEI SINDACI TAVOLO TECNICO + ASSEMBLEA DEI SINDACI TAVOLO TECNICO + ASSEMBLEA DEI SINDACI TAVOLO TECNICO + ASSEMBLEA DEI SINDACI

CONDIVISIONE ESITO FASE 1 - STESURA LINEE DI INDIRIZZO DISTRETTUALI

TAVOLI DI PROGRAMMAZIONE DTAVOLI DI PROGRAMMAZIONE DTAVOLI DI PROGRAMMAZIONE DTAVOLI DI PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI EGLI INTERVENTI EGLI INTERVENTI EGLI INTERVENTI

Tavolo Integrazione socioTavolo Integrazione socioTavolo Integrazione socioTavolo Integrazione socio----sanitaria: sanitaria: sanitaria: sanitaria: Comuni, Consultori

Familiari, UONPIA, CPS, NOA ( 16 febbraio)

TEMATICI: TEMATICI: TEMATICI: TEMATICI: Famiglie, Giovani, Scuola, Carico di cura, Processi di

Rete e Prevenzione (18 e 19 gennaio)

ASSEMBLEA DEI SINDACIASSEMBLEA DEI SINDACIASSEMBLEA DEI SINDACIASSEMBLEA DEI SINDACI

STESURA PIANO DI ZONA STESURA PIANO DI ZONA STESURA PIANO DI ZONA STESURA PIANO DI ZONA ---- (da febbraio a marzo)

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ASSEMBLEA DEI SINDACI allargato al TAVOLO DI RETE ASSEMBLEA DEI SINDACI allargato al TAVOLO DI RETE ASSEMBLEA DEI SINDACI allargato al TAVOLO DI RETE ASSEMBLEA DEI SINDACI allargato al TAVOLO DI RETE

Condivisione e approvazione Piano di Zona 2012/2014Condivisione e approvazione Piano di Zona 2012/2014Condivisione e approvazione Piano di Zona 2012/2014Condivisione e approvazione Piano di Zona 2012/2014

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LA DIAGNOSI SOCIALE Nell’organizzare il lavoro di analisi dei bisogni e di rilevazione delle risorse esistenti abbiamo ritenuto utile e opportuno:

1. incontrare e intervistare singolarmente le amministrazioni comunali. Durante questi incontri l’Ufficio di Piano ha potuto raccogliere elementi di valutazione sugli interventi e i servizi del Piano di Zona 2009/2011, rilevare con maggiore dettaglio le esigenze del singolo Comune sia in merito alla gestione associata sia in merito alla rappresentazione dei bisogni di quella specifica comunità, raccogliere esperienze e risorse esistenti nei singoli Comuni, comprendere l’orientamento rispetto all’investimento sul futuro Piano di Zona.

2. incontrare gli attori del territorio aggregandoli per aree di appartenenza. Durante questi incontri è stato possibile far emergere le risorse e le potenzialità esistenti nel territorio, rendere partecipi tutti gli attori coinvolti e condividere con loro il lavoro di programmazione del futuro Piano di Zona, trasmettere alle singole organizzazioni il significato del ruolo di regia dell’Ufficio di Piano al servizio della rete, conoscere il loro punto di vista sui bisogni del territorio; comprendere meglio il funzionamento delle singole realtà. consulenza

3. riunire la rete del territorio convocando i Tavoli di Area. Durante questi Tavoli è stato utile rilevare che i bisogni del territorio si sono modificati e che si sono riproposte aree di bisogno che erano sparite nei precedenti trienni. E’ stato possibile aggiornare e ridefinire le priorità per ogni area di intervento; valutare le difficoltà e le criticità degli interventi realizzati nel precedente Piano di Zona; scoprire le risorse che ogni organizzazione poteva mettere in campo; ricompattare la rete territoriale alla luce di bisogni condivisi. E’ stata l’occasione per ridisegnare il metodo di lavoro con il quale intendevamo procedere nelle successive fasi di programmazione.

Particolare cura è stata dedicata all’esplorazione dei bisogni cercando di intercettare le vere

domande della società civile ed evitando il rischio di un sistema di programmazione

autoreferenziale e servizio-centrico. Abbiamo spostato l’osservazione, storicamente centrata

sui bisogni del servizio, dando centralità ai bisogni del cittadino. Questo spostamento ci ha

consentito di liberare la programmazione del futuro Piano di Zona dai vecchi meccanismi e

sollecitare l’apertura al cambiamento. Questo processo ha rappresentato un’occasione preziosa per scoprire il valore della sussidiarietà e rafforzare il senso di appartenenza alla Rete. LE LINEE DI INDIRIZZO DISTRETTUALI Nel momento in cui si stava concludendo la prima fase della programmazione e si stava delineando la Diagnosi Sociale del nostro territorio, la Regione Lombardia ha emanato le “Linee di indirizzo per la programmazione sociale a livello locale 2012/2014 – Un welfare della sostenibilità e della conoscenza”2. Questo ci ha consentito, con una coincidenza temporale, di avere una chiara indicazione su come orientare il lavoro della seconda fase della programmazione e, inaspettatamente, abbiamo avuto conferma rispetto ad alcuni temi che ci avevano ispirato nel lavoro fino a quel momento svolto. In particolare:

- ripensare l’intervento pubblico e la funzione della programmazione - recuperare la centralità del bisogno e della persona, per superare la frammentazione dei

servizi e per sviluppare in modo proattivo le reti territoriali

2 DGR 16 novembre 2011 – n° IX/2505

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- modificare lo stile di governance, prefigurando un sistema decisionale più complesso e con modalità aperte di coordinamento in cui soggetti pubblici e privati co-partecipano alla produzione del bene comune

- declinare il compito degli enti locali, e dell’Ufficio di Piano in primis, come imprenditori di rete cioè capaci di connettere le reti (esistenti e potenziali)

Sulla base di quanto indicato dalla Regione Lombardia, i Comuni del Distretto Sociale 6, hanno elaborato le Linee di indirizzo distrettuali3, in cui sono delineate le priorità e le coordinate entro cui sviluppare il sistema degli interventi del prossimo triennio. Un elemento in particolare merita di essere sottolineato rispetto alle indicazioni fornite dalle Linee di indirizzo distrettuali: il “fare rete”, ovvero, la necessità di lavorare prioritariamente sui processi di integrazione e di dialogo con tutti gli attori che compongono il territorio, riconoscendo il patrimonio di risorse rappresentate nella rete territoriale e la necessità di promuovere un modello di empowerment sociale. LA PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI DEL TRIENNIO 2012/2014 Se nella fase di elaborazione della Diagnosi Sociale l’obiettivo dei Tavoli è stato “far emergere i bisogni del territorio” in un’ottica cittadino-centrica, nella fase di programmazione degli interventi del futuro Piano di Zona, l’obiettivo è stato “far emergere le proposte per dare risposta ai bisogni del territorio” e definire gli obiettivi strategici e le strategie programmatorie per raggiungerli. Ci è sembrato determinante e strategico rappresentare l’approccio sussidiario, dedicando molta attenzione alla definizione del luogo della programmazione, un’arena capace di comporre la pluralità dei punti di vista, riconoscendone le specificità simboliche e culturali dei diversi soggetti, al fine di integrarli in ottica promozionale e nel rispetto delle autonomie sociali. Insieme alla rete territoriale abbiamo deciso di organizzare i Tavoli di programmazione per Tematiche di bisogno prevalenti e di convocarli raggruppandoli in due giornate full time al fine di facilitare la partecipazione di tutti gli attori della rete e di garantire continuità di pensiero alle riflessioni e alle proposte,. I Tavoli Tematici sono stati non solo molto partecipati ma soprattutto “attivamente” partecipati. I ruoli di conduzione dei lavori sono stati in parte ripartiti tra i partecipanti e sono stati previsti momenti conviviali che hanno favorito la costruzione di un clima di piacevole scambio. Secondo il parere dell’Ufficio di Piano si è generato un forte riconoscimento reciproco e la condivisione di una programmazione, per altro decisamente sfidante, da realizzare in comune. Tuttavia va detto che questo approccio di lavoro ha richiesto un cambiamento ed un ripensamento della funzione del Terzo settore nelle attività di programmazione. Inizialmente, per tutti, è stato necessario del tempo per comprendere il riposizionamento dei ruoli e delle funzioni di ciascuno all’interno dei Tavoli. Abbiamo, poi, assistito ad una naturale selezione della rete a vantaggio di una rete moderna, attenta al cambiamento e all’evoluzione del contesto sociale. La richiesta rivolta ai soggetti partecipanti ai tavoli è stata quella di non confondere il livello programmatorio con quello gestionale (portare il proprio know-how con la possibilità di ottenere commesse) al fine di non inquinare le proposte e le competenze di lettura dei bisogni, con le, sia pure comprensibili, aspettative di ogni organizzazione (con le comprensibili aspettative di ogni organizzazione).

3 Riportate integralmente al capitolo 4

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Tutto questo processo ha rappresentato un’occasione preziosa per convincersi sempre di più del valore della sussidiarietà e cominciare a delineare una visione di sistema comunitaria indispensabile per la co-progettazione.

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- 2 -

LA VALUTAZIONE DEGLI INTERVENTI

del Piano di Zona 2009-2011

Costruire un Piano di Zona iniziando dalla valutazione della precedente triennalità garantisce una circolarità tra il passato, il presente e il futuro. La valutazione rappresenta un elemento chiave (imprescindibile) che fornisce, a chi deve decidere, gli strumenti adeguati per fare scelte coerenti, che siano state validate dall’esperienza e non dal giudizio di qualche operatore. Il valore della valutazione sta, infatti, nel valore dell’esperienza che essa rappresenta verso l’azione di programmazione.

L’esperienza fin qui condotta ci porta, tuttavia, ad esprimere il disagio di vivere in una forte contraddizione: da un lato la convinzione che una buona valutazione è indispensabile per una programmazione efficace, dall’altro la constatazione che è difficile prevedere processi di valutazione completi e condivisi. Spesso le pratiche di valutazione mantengono una caratteristica di parzialità e residualità negli obiettivi della stessa, negli strumenti e nei modi con cui vengono sviluppate. Abbiamo rilevato che, anche nel nostro Distretto, il compito della valutazione, che richiede un lavoro complesso e continuo, ha rischiato di essere sottovalutato e, talvolta, rimosso. Pertanto, la prima valutazione che facciamo, sul triennio appena trascorso, è che occorre

migliorare gli strumenti e i modi con cui compiere la valutazione degli interventi e questo può, e deve, rappresentare una delle priorità del nuovo triennio. Appare ormai strategico dedicare, nel nuovo Piano di Zona, più spazio alla definizione di sistemi e modelli per il monitoraggio e la valutazione degli interventi programmati. Sarà opportuno coinvolgere sin da subito l’intera rete territoriale per un approfondimento su questo tema, per avviare un processo di valutazione inteso come un’occasione di scambio e riflessione per migliorare gli effetti del sistema degli interventi. A questo scopo, nel capitolo inerente la “Programmazione degli interventi del triennio 2012/14”, sarà dedicato un intero paragrafo al monitoraggio e alla valutazione. Quella che di seguito verrà raffigurata è un’analisi complessiva, svolta prevalentemente dall’Ufficio di Piano e successivamente condivisa con il territorio, sul lavoro svolto e sui risultati ottenuti dai singoli interventi che caratterizzavano la programmazione zonale 2009/2011. Il triennio appena trascorso ha rappresentato per il Distretto un periodo durante il quale, non solo è stato possibile portare a consolidamento processi e servizi territoriali, ma è stato anche possibile intraprendere percorsi di cambiamento sul piano organizzativo e della governance. Sono state migliorate le modalità di gestione dei servizi distrettuali, come nel caso del Servizio Educativo Minori e del Servizio di Inserimento Lavorativo (Csiol), e sono stati esplorate modalità più flessibili di risposta ai bisogni del cittadino e delle organizzazioni, come nel caso dell’Accreditamento e del CeAD4. A conferma del fatto che il Piano di Zona rappresenta un documento flessibile, che può essere modificato in corso d’opera in seguito a mutamenti intervenuti nel contesto, la programmazione 4 Centro di riferimento per l’Assistenza Domiciliare ASL

11

prevista per il triennio 2009/2011 ha dovuto necessariamente essere rivista soprattutto per quelle azioni che rappresentavano elemento di novità e che per ragioni di contrazione della spesa non è stato possibile attivare. In estrema sintesi si elencano gli ambiti di lavoro sui quali si è indirizzata prevalentemente l’azione distrettuale nel triennio appena concluso: Accreditamento per l’erogazione dei Titoli Sociali: ampliamento delle prestazioni accreditabili al fine di dare risposte diversificate alle domanda d’aiuto CSIOL – inserimento e orientamento al lavoro: avvio di una sperimentazione e successiva definizione di una convenzione distrettuale per la gestione di un servizio specialistico nell’area lavoro SEM – interventi educativi per minori: consolidamento e potenziamento del servizio distrettuale Ricerca fondi: sviluppo della progettazione al fine di reperire fonti di finanziamento alternativi a quelli ordinari Azioni sperimentali: avvio di azioni distrettuali in via sperimentale al fine di dare risposta a nuovi bisogni espressi nel territorio (es. mediazione linguistica – culturale, psicologa transculturale,…) Porta unitaria di accesso: costituzione del Tavolo distrettuale delle Assistenti Sociali al fine di avviare processi di confronto tra operatori e condividere metodologie e strumenti di lavoro. Avvio di un processo di analisi sulle modalità di accesso ai servizi nei sette Comuni del Distretto. Processo di integrazione socio sanitaria: realizzazione del CeAD, delle “Linee di indirizzo sul Segretariato Sociale Integrato” e delle “Linee guida per l’Accreditamento delle Unità d’offerta dei servizi per la prima infanzia”. Avvio di un processo di condivisione, tra ASL e Distretti sociali, per la definizione del PUA e PAI5 (formazione condivisa). Fondo di Solidarietà: mantenimento dell’investimento economico del Fondo a beneficio dei piccoli comuni a sostegno delle spese sostenute per la tutela dei minori. Governo della rete: riconfigurazione dello stile di governo della rete, maggiormente teso a promuovere collaborazioni e sinergie tra i soggetti del territorio su proposte indirizzate a rispondere a bisogni territoriali condivisi e riconosciuti, contrastando la frammentazione degli interventi Ufficio di Piano: potenziamento del modello organizzativo e gestionale. E’ stata garantita continuità e solidità alle funzioni attribuite all’Ufficio di Piano operando, tuttavia, una riduzione della spesa storicamente assegnata. Al fine di operare un’osservazione e un’analisi su ogni azione prevista dalla precedente programmazione zonale sono state elaborate delle schede in cui sono stati riportati fedelmente gli interventi e i relativi obiettivi previsti, lo stato di avanzamento e l’esito prodotto sul territorio nell’arco dei tre anni 2009/2011.

5 PUA - Punto Unico d’Accesso, PAI - Piano Assistenziale Integrato

12

SCHEDE DI VALUTAZIONE

delle azioni previste nel Piano di Zona 2009-2011

Area Minori

AZIONE OBIETTIVI DURATA

STATO

AVANZAMENTO ESITO

Azione 1: SEM – Servizio Educativo Minori

- Costruzione di un modello omogeneo in materia di esercizio della tutela e della protezione sociale a favore dei minori, in particolare sugli interventi educativi rivolti alle famiglie;

- Prevenire o individuare situazioni di disagio nelle relazioni familiari a danno dei minori.

- Sostenere le famiglie in crisi e rafforzarne le potenziali capacità residue;

- Mantenere stretto il legame con il territorio e le relazioni sociali naturali anche in presenza di interventi di protezione e tutela

- Garantire continuità e sviluppo del coordinamento dei Servizi Educativi rivolti ai Minori (SEM), comprendente le azioni progettuali avviate nel territorio durante il triennio precedente: educativa di strada, Assistenza Domiciliare Minori, Spazio Neutro…

- Favorire percorsi di formazione comune e di coordinamento progettuale del SEM nel territorio

- 3 anni

Consolidato il numero di interventi di ADM Implementato il numero di interventi di Spazio Neutro Nell’anno 2010 si è dovuto tagliare gli interventi di educativa di Strada Per realizzare una maggiore omogeneizzazione dei servizi educativi abbiamo previsto un maggior coordinamento dell’Ufficio di Piano sul servizio Abbiamo richiesto alle coop che gestiscono il servizio un maggior lavoro con la rete del territorio

Non sono stati realizzati specifici interventi di prevenzione (es. Sviluppo di comunità…) tuttavia si è avviato un processo di gestione degli interventi educativi (ADM e tutoring) orientati a privilegiare l’aspetto preventivo degli stessi

13

Azione 2: FONDO DI SOLIDARIETA’

- Sostenere i comuni di minori dimensioni (Noviglio, Casarile e Vernate), per gli oneri relativi agli interventi sociali obbligatori nei confronti dei minori

- 3 anni

E’ stato garantito il contributo ai piccoli comuni per le spese relative ai minori in comunità ed in affido familiare

Azione 3: SERVIZI INTEGRATIVI PER LA PRIMA INFANZIA

- Promuovere interventi integrativi rivolti ai minori 0/3 anni e alle loro famiglie:

o spazi gioco o tempi per la famiglia

- Migliorare la qualità dei servizi esistenti per la prima infanzia - Promuovere interventi integrativi rivolti ai minori 0-3 anni e alle loro

famiglie, (spazi gioco, tempi per la famiglia, percorsi formativi per baby-sitter e di sostegno alla genitorialità), coinvolgendo a pieno titolo il Terzo Settore interessato.

- Promuovere nuove forme di intervento socio-educativo e formativo per sostenere le funzioni genitoriali.

- Favorire la nascita di Associazioni di genitori. - Favorire la nascita di percorsi formativi comuni nel territorio

- 2 anni

Realizzazione del Piano Nidi distrettuale che ha consentito di ampliare l’offerta di servizi per la prima infanzia nei comuni che hanno aderito (Zibido, Pieve, Noviglio) Appoggio al progetto sulla maternità “Mamme coi fiocchi” finanziato dalla Legge 23 Bando del 2011 Nei comuni di Lacchiarella e Zibido è nata l’Associazione di solidarietà familiare “Il Girotondo”

Azione 4: CAAT

- Promuovere la gestione associata del servizio Affidi e Adozioni; - Definire la gestione associata di un C.A.T. a valenza pluri-distrettuale

a seguito delle indicazioni regionali. - Promuovere la cultura dell’affido etero familiare al fine di ridurre, nel

limite del possibile, il collocamento di minori presso comunità, creando maggiori sinergie tra i Servizi Sociali del territorio e il Servizio Affidi Sovra distrettuale

- 3 anni

E’ stata garantita la continuità al servizio Adozioni distrettuale A partire dal 2010 è stato necessario rinunciare al servizio Affidi distrettuale

Azione 5: PROMOZIONE BENESSERE E DISAGIO GIOVANILE

- Coordinamento tra le realtà di promozione giovanile comunali; - Messa in rete delle attività proposte sul territorio; - Garantire la mobilità tra i centri di aggregazione giovanile; - Sostenere la realizzazione di eventi/progetti promossi dai giovani del

territorio. - Favorire la partecipazione ai tavoli di programmazione dei referenti

disagio/salute della scuola primaria e secondaria

- 2 anni

Raccordo con l’Unità Mobile riduzione del danno- dipendenze Appoggio progetto “Acqua” – “Officina dell’io” sul penale minori Appoggio progetto “Bulli, pupe

A settembre 2011 è stato chiuso il CAG di Lacchiarella ma nello stesso periodo è stato aperto un nuovo CAG a Zibido S.G.

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- Predisporre, relativamente alla fascia pre-adolescenziale e giovanile, interventi di prevenzione specifica avendo quali focus d’attenzione: la riduzione degli incidenti stradali del sabato sera, il governo dei fenomeni di “bullismo” e l’informazione/riduzione del danno da cocaina e nuove droghe.

- Promuovere azioni di formazione comune di insegnanti e genitori in funzione preventiva del disagio

- Organizzare eventi formativi rivolti a famiglie, insegnanti e personale educativo e sportivo

- Favorire la nascita di Associazioni genitori - Collaborare con le Parrocchie e individuare momenti comuni di

confronto con gli educatori cristiani. - Promuovere in collaborazione con ASL interventi di formazione nella

scuola secondaria per la prevenzione della dipendenza da sostanze

e marinai” Attivazione autobus, in accordo con progetto Nuovo Cerp, per accompagnamento giovani CAG a Milano Presentazione progetto a finanziamento Bando UNRRA purtroppo non ammesso a finanziamento Avvio di collaborazioni con le scuole, le Parrocchie e le Caritas in occasione della definizione del nuovo Piano di Zona

Azione 6: INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA

- Promuovere integrazione tra servizi sociali e servizi sanitari in materia di tutela dei Minori e valorizzare l’approccio multidimensionale/ multidisciplinare degli interventi a partire da quelli riconosciuti con carattere di priorità, quali la collocazione dei minori in ambiente extrafamiliare e la risposta ai bambini e agli adolescenti che hanno subito grave maltrattamento e/o abuso

- 3 anni

Non sono stati avviati tavoli per la definizione di Protocolli operativi Coordinamento agenda dello Sportello minori presso UONPIA di Binasco Raccordo con progetto “Esordi psichiatrici” del CPS di Rozzano

Azione 7: INTEGRAZIONE MINORI STRANIERI

- Promuovere l’integrazione delle famiglie straniere, promuovendo iniziative di aggregazione delle famiglie e creando sinergie tra le attività dello sportello stranieri con le attività territoriali a sostegno dell’integrazione degli stranieri. La facilitazione linguistico-culturale va trasformata in un servizio più articolato di mediazione culturale scolastica.

- Perseguire l’integrazione degli alunni stranieri, prevedendo azioni di facilitazione linguistico culturali già presenti in alcuni comuni del distretto secondo una programmazione distrettuale. Vanno anche esplorate nuove modalità di integrazione per meglio rispondere ai bisogni di una popolazione scolastica straniera in aumento

- 2 anni

Presentazione progetto “Fili e legami” finanziato dalla legge 40 che ha avviato interventi di psicologa trans culturale e interventi di mediazione linguistico-culturale Appoggio progetto “Insieme per accogliere” sui minori stranieri

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Area Disabili

AZIONE OBIETTIVI DURATA

STATO

AVANZAMENTO ESITO

Azione 1: Titoli Sociali – Buono sociale distrettuale e Voucher Sociale

- Erogazione buono sociale distrettuale a favore delle famiglie con minori disabili 0-14 anni

- Mantenere graduatoria distrettuale, l’accesso tramite ISEE e livello di invalidità e/o disabilità riconosciuti omogenei nell’ambito;

- Conclusione sperimentazione criteri di erogazione buono sociale distrettuale

- Consolidare l’erogazione del buono sociale distrettuale, messo a regime nella scorsa triennalità, quale fondamentale strumento a sostegno della “famiglia che cura”

- Ampliare l’erogazione del voucher sociale distrettuale quale risposta cardine ai bisogni della cittadinanza non autosufficiente

- 3 anni

E’ stato realizzato un bando nel 2009 per l’erogazione di buoni sociali mensili e un bando nel 2010 per l’erogazione di buoni sociali bimestrali con un investimento pari ad € 175.000,00 per il 2009 ed € 46.650,00 per il 2010. Nell’anno 2011 a fronte della necessità di riduzione della spesa è stata fatta la scelta di sospendere l’erogazione dei buoni sociali. E’ stato mantenuto costante nei tre anni l’investimento per l’erogazione dei voucher sociali per un importo annuo pari ad € 160.000,00. Sono state ampliate le tipologie di prestazioni erogabili con i voucher sociali (creando ad es. la sperimentazione di ADM e ADH di gruppo). E’ stato rivisto il valore delle singole prestazioni allineandole ai prezzi di mercato.

Pur essendo un intervento consolidato nei recedenti PDZ, i Comuni del Distretto hanno concordato sin dall’approvazione del Piano di Zona vigente di privilegiare l’erogazione dei voucher sociali rispetto ai buoni. Negli anni è stato aumentato l’investimento per i voucher e diminuito quello per i buoni. Tuttavia, nel 2011 la decisione di sospendere l’erogazione dei buoni è stata presa a fronte della necessità di diminuire la spesa. Si è valutato, infatti, che erogare buoni bimestrali non producesse un reale sostegno alla “famiglia che cura”. I comuni del Distretto hanno deciso di non diminuire l’investimento sull’erogazione dei voucher sociali anche di fronte alla necessità di riduzione della spesa distrettuale.

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Azione 2: Sostegno all’integrazione scolastica

- Favorire la stipula di un protocollo d’intesa tra le istituzioni (Comune, Provincia, ASL, AO, CSA) per l’integrazione degli alunni disabili nella scuola dell’obbligo. L’impegno sarà ampliato in favore delle situazioni di disagio oltre che alle situazioni di disabilità conclamata e certificata

- Favorire l’incontro con la scuola polo del MIUR di Rozzano per promuovere interventi di formazione concordata rivolta ad insegnanti di sostegno e assistenti e per accedere a finanziamenti

- 3 anni

Il lavoro distrettuale iniziato con il PDZ del precedente triennio (al fine di definire un protocollo di intesa per l’integrazione degli alunni disabili) si è interrotto in quanto si è avviato un Tavolo di coordinamento provinciale per costruire un documento condiviso sovra distrettuale.

Si rileva complessivamente strategico e indispensabile lavorare congiuntamente con le scuole del territorio ma occorre individuare una modalità e un metodo di lavoro che consenta di superare le difficoltà che spesso si trovano per far coincidere le diverse esigenze della scuola e degli altri soggetti coinvolti.

Azione 3: Progetti di sostegno alla domiciliarietà

- Garantire interventi di sostegno ai disabili e alle loro famiglie attraverso interventi diretti alla persona (ADH) e di aiuto psicologico ai caregivers familiari

- Individuare le modalità che consentono alla persona disabile soluzioni di maggiore autonomia

- Promuovere una rete di intervento territoriale integrata alle risorse istituzionali

- Sostegno alla domiciliarietà attraverso il mantenimento dell’attuale livello qualitativo e quantitativo degli interventi e dei servizi erogati a favore di soggetti disabili a livello distrettuale. Con particolare potenziamento dell’A.D.H. e dei voucher sociali.

- Valorizzazione dei caregivers familiari attraverso servizi ed opportunità a sostegno dei compiti di cura

- 3 anni

E’ stata garantita continuità agli interventi distrettuali di ADH avviati negli anni precedenti, sostenuti in parte con fondi della Legge 23 e in parte con cofinanziamenti del Distretto. Il numero dei soggetti beneficiari è notevolmente aumentato nel corso di questo triennio e a partire dagli ultimi mesi del 2011 si è deciso di sostenere tali interventi attraverso la voucherizzazione.

Azione 4: Interventi di promozione del benessere

- Fornire una corretta ed esaustiva informazione sulla rete dei servizi e delle opportunità rivolti ai disabili e ai loro congiunti

- Individuare le modalità che consentono alla persona disabile soluzioni di maggiore autonomia

- Promozione progetti per il tempo libero (laboratori ludico-ricreativi, vacanze)

- Favorire la partecipazione dei referenti disabilità delle scuole presso il tavolo minori e disabili

- Predisposizione di un’apposita guida di orientamento per le famiglie con minori disabili o in condizione di disagio sociale

- Favorire la nascita di un Centro Risorse per la disabilità presso la biblioteca del Comune capofila a disposizione di famiglie e insegnanti

- 3 anni

Non è stato possibile attivare interventi sull’area della promozione del benessere in quanto tutti gli interventi possibili avrebbero previsto una spesa che non è stato possibile stanziare.

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Azione 5: Accompagnamento alla residenzialità in strutture protette

- Costituire una rete e un collegamento funzionale fra differenti unità di offerta, per le situazioni di pronto intervento e di sollievo

- Accompagnamento alla residenzialità in strutture protette per quei soggetti per i quali non è possibile rimanere nel proprio domicilio

- Promuovere la collaborazione con la Ledha e Oltre noi la vita per favorire progetti sulla residenzialità

- 2 anni

Si è deciso di rinviare questa azione al prossimo triennio di gestione del PDZ.

Si è rilevata la necessità di lavorare congiuntamente a livello sovra distrettuale alla definizione di convenzioni quadro con le strutture residenziali e semiresidenziali con l’obiettivo di uniformare le spese d’accesso e contratti di gestione omogenei

Azione 6: Servizio di inserimento lavorativo delle fasce deboli

- Addivenire ad una convenzione distrettuale per l’inserimento lavorativo dei soggetti diversamente abili

- Favorire il percorso di transizione scuola-lavoro, attraverso azioni di orientamento professionale, di addestramento e di formazione sul lavoro

- Perseguire la realizzazione di un unico servizio per le attività di inserimento lavorativo dei cittadini diversamente abili e dei cittadini in situazione di grave povertà e marginalità sociale

- 2 anni

E’ stato avviato a partire dal 2° semestre 2009 un Servizio distrettuale per l’orientamento e l’inserimento lavorativo dei soggetti diversamente abili. Dall’avvio del Servizio sono state definite e concordate, con gli operatori dei comuni, procedure operative al fine di migliorare l’efficacia degli interventi.

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Area Grave Emarginazione

AZIONE OBIETTIVI DURATA

STATO

AVANZAMENTO ESITO

Azione 1: Sportello Informativo a favore della popolazione straniera

- Orientamento e consulenza dedicata ai cittadini residenti stranieri; - Consulenza su tematiche di interesse per gli operatori del territorio; - Integrazione nel tessuto sociale dei cittadini stranieri; - Raccordo con la Questura e i Sindacati per problematiche relative alle

pratiche di lavoro/soggiorno/ricongiungimenti familiari; - Consolidare le attività di sportello anche attraverso la promozione di

momenti di incontro e confronto su tematiche legate all’immigrazione e agli interventi di Mediazione Linguistica Culturale

- 3 anni

Sono state consolidate le attività dello Sportello Stranieri e, a partire dal 2010, è stata sperimentata l’attivazione di interventi di Mediazione Linguistica Culturale attraverso un progetto biennale finanziato dalla Legge 23.

Si è riscontrato un forte bisogno di interventi di Mediazione Linguistica Culturale da parte degli operatori territoriali.

Azione 2: Interventi a favore delle donne vittime di violenza

- Consolidare le attività dello sportello di ascolto in favore delle donne vittime di violenza;

- Offrire un respiro distrettuale alle progettualità presenti nei comuni; - Informare e orientare rispetto ai programmi di integrazione sociale; - Supportare i servizi comunali nella presa in carico delle donne vittime

di violenza; - Offrire accoglienza di pronto intervento alle donne, alle minori e alle

gestanti che sfuggono al circuito della tratta; - Consolidare le attività di strada al fine di contattare, informare e

prendere in carico le donne vittime della tratta

- 3 anni

Sono state consolidate le attività di sportello di ascolto in favore delle donne vittime di violenza e sono state incrementate le occasioni di sensibilizzazione al cittadino di tutti i comuni del Distretto verso questa tematica. Si è dovuto sospendere la Convenzione distrettuale per le attività di contrasto alle donne vittime della tratta ma è stato comunque garantito un cofinanziamento al progetto in parte con fondi dei singoli comuni in parte con fondi distrettuali.

A partire dal 2012 aprirà uno sportello donne anche nel Comune di Noviglio portando a gemmazione l’esperienza di Pieve Emanuele. Nel 2011 è già stata realizzata la formazione per la preparazione dei volontari che collaboreranno allo sportello donne di Noviglio

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Azione 3: Azioni di inserimento lavorativo in favore di soggetti svantaggiati

- Sostenere il servizio sociale professionale nella presa in carico di cittadini in situazione di grave povertà e marginalità sociale;

- Rafforzare le abilità sociali e relazionali della persona indispensabili per l’avviamento al lavoro;

- Offrire un servizio di orientamento e accompagnamento al lavoro dei cittadini appartenenti alle nuove povertà;

- Rimotivare al lavoro e facilitare tale prospettiva; - Prevenire le condizioni di disagio conclamato e promuovere l’

inclusione sociale; - Promuovere la costituzione di una “cooperativa sociale distrettuale” a

partecipazione pubblica che possa offrire possibilità occupazionali a soggetti con fragilità sociale (soggetti espulsi dal mercato del lavoro, badanti straniere, cittadini con basso livello di scolarità...);

- Perseguire la realizzazione di un unico servizio per le attività di inserimento lavorativo dei cittadini diversamente abili e dei cittadini in situazione di grave povertà e marginalità sociale

- 3 anni

E’ stato consolidato il Servizio di orientamento e inserimento Lavorativo a favore di soggetti svantaggiati, sono state definite nuove procedure operative di gestione al fine di migliorare l’efficacia degli interventi.

A causa del momento di difficoltà economica del Paese sono aumentati i casi di perdita del lavoro anche per soggetti non appartenenti alle fasce deboli

Azione 4: Sviluppo della rete di servizi residenziali di pronto intervento sociale

- Mappatura territoriale, quale conoscenza delle realtà del servizio pubblico, del privato sociale e del volontariato che vengono in contatto con situazioni di Grave Emarginazione

- Raccolta dati dei servizi esistenti ; - Consolidamento di una rete tra associazioni del privato sociale ed

istituzioni pubbliche; - Sostenere lo sviluppo di progettualità a favore di soggetti in stato di

grave emarginazione sociale e di senza fissa dimora, sostenendo la creazione di una rete di “possibilità” di primo e secondo livello in collaborazione con l’associazione “Cena dell’amicizia” di Milano (consulenza d’orientamento, pronto intervento sociale e residenzialità)

- 2 anni

Si è deciso di rinviare questa azione al prossimo triennio di gestione del PDZ.

Si è rilevata la necessità di lavorare congiuntamente a livello sovra distrettuale alla definizione di convenzioni quadro con le strutture residenziali e semiresidenziali con l’obiettivo di uniformare le spese d’accesso e contratti di gestione omogenei

Azione 5: Sviluppo della rete dei servizi di protezione giuridica

- Costruire con la ASL Milano 2 attività di informazioni sui temi dell’inabilitazione, dell’interdizione e dell’amministrazione di sostegno;

- Integrazione con il servizio Tutele della ASL Milano 2

- 3 anni

Si è creato un coordinamento provinciale delle organizzazioni del terzo e quarto settore che si occupano di tutela giuridica e al quale partecipano referenti della nostra rete distrettuale. Il Distretto ha partecipato alle attività di coordinamento promosse dalla Asl Milano 2 in tema di protezione giuridica.

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Azione 6: Interventi formativi finalizzati all’inserimento lavorativo

- Attivare percorsi di orientamento e formazione per la costituzione dell’Elenco delle badanti

- 2 anni

Non è stato avviato alcun progetto finalizzato alla costituzione dell’Elenco delle Badanti ma nel corso del triennio sono state sostenute, con un contributo una tantum, le famiglie che hanno regolarizzato le Assistenti Familiari

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Area Anziani

AZIONE OBIETTIVI DURATA

STATO

AVANZAMENTO ESITO

Azione 1: Titoli Sociali – Buono Sociale Distrettuale

- Mantenere graduatoria distrettuale, l’accesso tramite ISEE e livello di invalidità e/o disabilità riconosciuti omogenei nell’ambito

- Consolidare l’erogazione del buono sociale distrettuale, messo a regime nella scorsa triennalità, quale fondamentale strumento a sostegno della “famiglia che cura”

- 3 anni

E’ stato realizzato un bando nel 2009 per l’erogazione di buoni sociali mensili e un bando nel 2010 per l’erogazione di buoni sociali bimestrali con un investimento pari ad € 175.000,00 per il 2009 ed € 46.650,00 per il 2010. Nell’anno 2011 a fronte della necessità di riduzione della spesa è stata fatta la scelta di sospendere l’erogazione dei buoni sociali.

Pur essendo un intervento consolidato nei recedenti PDZ, i Comuni del Distretto hanno concordato sin dall’approvazione del Piano di Zona vigente di privilegiare l’erogazione dei voucher sociali rispetto ai buoni. Negli anni è stato aumentato l’investimento per i voucher e diminuito quello per i buoni. Tuttavia, nel 2011 la decisione di sospendere l’erogazione dei buoni è stata presa a fronte della necessità di diminuire la spesa. Si è valutato, infatti, che erogare buoni bimestrali non producesse un reale sostegno alla “famiglia che cura” .

Azione 2: Titoli Sociali – Voucher Sociale Distrettuale

- Sviluppo di una sempre maggiore professionalità/qualità delle attività di “care” pubblico e privato sociale

- Ampliamento accreditamento e potenziamento prestazioni erogabili con il voucher sociale

- Tariffazione omogenea per Ambito - Ampliare l’erogazione del voucher sociale distrettuale quale risposta

cardine ai bisogni della cittadinanza non autosufficiente;

- 3 anni

E’ stato mantenuto costante nei tre anni l’investimento per l’erogazione dei voucher sociali per un importo annuo pari ad € 160.000,00. Sono state ampliate le tipologie di prestazioni erogabili con i voucher sociali (creando ad es. la sperimentazione di ADM e ADH di gruppo). E’ stato rivisto il valore delle singole prestazioni allineandole ai prezzi di mercato.

I comuni del Distretto hanno deciso di non diminuire l’investimento sull’erogazione dei voucher sociali anche di fronte alla necessità di riduzione della spesa distrettuale.

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Azione 3: Servizio di Pronto Intervento Sociale e Porta Unica di accesso

- Costituire una rete e un collegamento funzionale fra differenti unità di offerta, per le situazioni di pronto intervento sociale;

- Accompagnamento alla residenzialità in strutture protette per quei soggetti per i quali non è possibile rimanere al proprio domicilio

- Costituzione Albo/elenco delle Badanti - Corso di Formazione per le Badanti - Armonizzare e uniformare le procedure d’accesso ai servizi dei singoli

Comuni - “Messa in rete” delle risorse note/sperimentate tra i tecnici dei singoli

Servizi (RSA, lungo degenze riabilitative, progettazioni specifiche,…), attraverso la promozione di momenti di confronto tra il tavolo Tecnico e la Consulta distrettuale del Terzo Settore

- Promuovere, coinvolgendo a pieno titolo l’ASL MI2 e il Terzo Settore interessato, una progettualità unica che favorisca interventi di sostegno, attraverso una porta unica d’accesso distrettuale ed eventuali ricoveri di sollievo in situazioni di pronto intervento sociale

- Favorire l’integrazione tra le prestazioni sociali e sanitarie, quindi il seguito domiciliare degli anziani in modo integrato tra tutti gli operatori coinvolti

- 2 anni

L’Ufficio di Piano ha partecipato al Tavolo di lavoro in ASL per la definizione del CeAD, PUA e PAI. Il Distretto ha firmato un protocollo per l’apertura del CeAD sul nostro territorio ed ha fatto parte della sperimentazione del PUA. Nel 2011 tutti i comuni hanno partecipato alla formazione condotta da ASL, sulle prese in carico integrate SSP-Punto ADI. Non è stato possibile avviare interventi per la formazione dell’Albo delle badanti, prevista a partire dal 2010, a causa della mancanza di risorse da destinare.

Azione 4: Interventi di tutela per la 3^ età

- Promuovere l’ istituzione del “Fondo distrettuale per la non autosufficienza”

- Verificare il “buon andamento” del protocollo siglato con la ASL MI2 relativamente alle “dimissioni protette degli anziani dalle strutture sanitarie”

- Fornire alle “famiglie che curano” servizi ed opportunità a sostegno dei compiti di cura

- Promuovere percorsi di formazione sui temi della cura domiciliare rivolti in primis alle badanti, individuate quali importanti risorse del sistema e dei servizi sociali da sostenere e qualificare attraverso il coinvolgimento del Terzo Settore.

- Costituzione Elenco delle Badanti - Corso di Formazione per le Badanti - Tutelare i grandi anziani attraverso la stipula di una polizza

assicurativa distrettuale in grado di coprire i danni conseguenti a furto, scippo, rapina e truffa.

- 2 anni

E’ stato istituito il “fondo distrettuale per le non autosufficienze” con il quale sono state erogate prestazioni attraverso i voucher sociali. Non è stato possibile attivare percorsi di formazione rivolti alle badanti per le stesse motivazioni riportate per l’azione 3. L’ipotesi di stipulare una polizza assicurativa a partire dal 2010 non è stata avviata in quanto ritenuta poco congruente rispetto ai casi seguiti dai Servizi Sociali.

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Azioni di Sistema

AZIONE OBIETTIVI DURATA STATO

AVANZAMENTO ESITO

Azione 1: Ufficio di Piano

- consolidare e stabilizzare lo staff dell’Ufficio di Piano, evitando il turn over

- sviluppare i processi partecipativi tra le agenzie territoriali

- 3 anni

E’ stata costituita un equipe UDP composta da: una figura di coordinamento a tempo pieno, una figura amministrativa aggiuntiva a tempo parziale e una Assistente Sociale a tempo pieno. Successivamente, tuttavia, è stato necessario rinunciare alla figura amministrativa per la necessità di ridurre la spesa complessiva. Grande investimento da parte dell’Ufficio di Piano è stato dedicato all’aggiornamento della diagnosi sociale e alla fase di programmazione del nuovo piano di Zona cercando la maggiore partecipazione possibile delle agenzie territoriali

Si è stabilizzato uno staff con almeno 2 figure a tempo pieno e si è ridotta la spesa rispetto agli anni precedenti

Azione 2: Carta dei Servizi Sociali del territorio

- ristampare la Carta D’Ambito elaborata nel precedente triennio - promuoverne la diffusione/distribuzione anche attraverso il sito

- 2 anni

Non è stato possibile procedere alla ristampa della Carta D’Ambito, per le già menzionate difficoltà economiche. E’ stato mantenuto il sito distrettuale ma non è stato possibile garantire il suo aggiornamento costante.

Il Distretto ritiene fondamentale procedere alla valorizzazione del sito distrettuale per il prossimo triennio.

Azione 3: Tavolo locale del terzo settore

- definire il Regolamento per le attività del Tavolo locale del terzo settore

- trasferire l’esperienza della Consulta del terzo Settore dei precedenti trienni nel tavolo locale del terzo settore di recente istituzione

- promuovere il consolidamento delle attività di partecipazione da parte del Tavolo locale del terzo settore

- 3 anni

E’stato approvato il Regolamento del Tavolo locale del terzo settore e le modalità di partecipazione allo stesso. E’ stato costituito un nuovo tavolo di confronto sulla rete territoriale, denominato Tavolo di Rete e di Progettazione Permanente

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Azione 4: Regolamentazione utilizzo “Fondo Sociale Regionale” (ex circ. 4)

- definire criteri di utilizzo delle risorse economiche del “Fondo

Sociale Regionale” - dare priorità di destinazione delle risorse a tutti gli

interventi/servizi/funzioni di mantenimento

- 3 anni

Annualmente si è proceduto alla definizione dei criteri di utilizzo delle risorse economiche del “Fondo Sociale Regionale”, cercando di garantire risorse ai servizi di mantenimento.

Azione 5: Autorizzazione al funzionamento e accreditamento

- individuare a livello distrettuale o sovradistrettuale la forma

più idonea di gestione della materia, coinvolgendo anche l’ASL

- definire le procedure per la gestione di tali funzioni

- 3 anni

L’Ufficio di Piano ha partecipato al Tavolo di lavoro in ASL per la definizione delle Linee Guida per l’Accreditamento delle Unità di Offerta per la prima infanzia nei Distretti della ASL Milano 2. Sono state definite le procedure di accreditamento che saranno avviate a livello distrettuale.

Azione 6: Attività di supervisione distrettuale per i servizi di Tutela Minori

- sostenere i servizi di tutela minori comunali; - garantire una formazione omogenea distrettuale per gli

operatori dei servizi di tutela minori comunali; - migliorare la qualità dei servizi attraverso attività di

supervisione tecnico-psicologica

- 2 anni

Non è stato possibile attivare la formazione e la supervisione a causa della mancanza di copertura economica.

Azione 7: Porta unitaria di accesso ai servizi sociali distrettuali

- favorire il potenziamento ed il collegamento tra i Servizi di

Segretariato Sociale attraverso attività di formazione condivisa tra tutti i Comuni del Distretto;

- assicurare regole uniformi da parte dei Comuni dell’Ambito distrettuale rispetto ai criteri di accesso, alle modalità di fruizione e alla partecipazione alla spesa da parte dei cittadini, per uniformare la risposta al cittadino e definire omogenei standard qualitativi;

- omogeneizzare l’accesso ai servizi e agli interventi distrettuali attraverso la definizione di regolamenti condivisi (Regolamento ISEE, Regolamento contributi..) al fine di rendere omogeneo l’accesso ai servizi da parte del cittadino;

- studio di fattibilità per la definizione di uno sportello unico integrato in grado di ascoltare e fornire risposte integrate anche con la ASL di riferimento;

- costituzione di un sistema informativo distrettuale quale

- 3 anni

E’ stato costituito il Tavolo delle Assistenti Sociali al fine di avviare processi di confronto tra operatori e condividere metodologie e strumenti di lavoro. E’ stata realizzata una prima ricognizione sulle differenti modalità di accesso ai servizi nei 7 Comuni del Distretto e l’Assemblea dei Sindaci ha definito che, a partire dal prossimo triennio, si procederà alla definizione di modalità di accesso comuni. L’Ufficio di Piano ha partecipato al Tavolo di lavoro in ASL per la definizione del CeAD, PUA e PAI. Il Distretto ha firmato un protocollo per l’apertura del CeAD sul nostro territorio ed ha fatto parte della sperimentazione

I processi avviati nell’arco del triennio, sia a livello politico che tecnico, hanno mostrato la fattibilità di procedere con la realizzazione di una Porta unitaria di accesso ai servizi sociali distrettuali.

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strumento omogeneo per la gestione della presa in carico (programma informatico per la gestione della cartella di segretariato sociale, sito distrettuale);

- usufruire delle potenzialità offerte dalla Carta dei Servizi Sociali d’ambito in rete, comprensiva dei servizi istituzionali e della rete di offerta del Terzo Settore, quale fondamentale strumento d’informazione e tutela della cittadinanza;

- promuovere e sostenere tra i Comuni del distretto azioni condivise di formazione e di aggiornamento degli operatori dei servizi.

del PUA. Nel 2011 tutti i comuni hanno partecipato alla formazione condotta da ASL, sulle prese in carico integrate SSP-Punto ADI. Non è stato possibile acquistare un programma informatico quale strumento omogeneo per la gestione della presa in carico per mancanza di copertura economica.

Azione 8: Sostegno alla ricerca di fonti di finanziamento alternative

- promuovere la ricerca di fonti di finanziamento a sostegno delle progettazioni territoriali

- incrementare il budget unico - individuare nuovi possibili partner economico-finanziari

- 3 anni

L’Ufficio di Piano ha avviato al suo interno un intensa attività di progettazione per il reperimento di finanziamenti alternativi: 1. Bando UNRRA ammesso ma non

finanziato 2. Bando L. 40 del 2010 ammesso e

finanziato 3. Bando FEI 2011 ammesso ma non

finanziato 4. Bando L. 40 del 2011 ammesso e

finanziato 5. Bando Cariplo 2011 non finanziato 6. Bando FEI 2012 in attesa di esito 7. Bando L. 40 del 2012 in attesa di

esito E’ in programma la presentazione di un progetto a valere del Bando Cariplo extrabando e a valere del Bando Ministeriale per le Pari Opportunità.

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- 3 -

ANALISI DEL CONTESTO TERRITORIALE

DIAGNOSI SOCIALE

3.1 La situazione Italiana

Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la peggiore performance produttiva tra tutti i paesi dell’Unione Europea. L’episodio recessivo conclusosi nell’aprile del 2009 è il più grave dal secondo dopoguerra. L’incremento della disoccupazione ha riguardato tutte le classi di età e le aree territoriali. La disoccupazione di breve durata caratteristica del biennio 2008-2009, si è trasformata nel 2010 in disoccupazione di lunga durata. Gli esiti della dinamica stagnante della produttività, oltre a contrarre il potere d’acquisto e i consumi delle famiglie, hanno comportato un aumento del costo del lavoro, un arresto dell’evoluzione delle retribuzioni, l’aumento delle forme di lavoro atipico e l’innalzamento del tasso di disoccupazione, soprattutto fra i giovani. Nel 2010 si è registrata una leggera ripresa del reddito disponibile delle famiglie, che non ha però compensato nè la riduzione dell’anno precedente (-3,1 %) nè la contemporanea variazione dei prezzi, determinando una contrazione del potere d’acquisto delle famiglie. Per sostenere le spese, le famiglie, secondo il rapporto annuale, hanno dato luogo ad una progressiva erosione del tasso di risparmio, sceso al livello più basso tra tutte le altre grandi economie dell’area dell’euro. Questo significa, innanzitutto, che i redditi familiari sono stati utilizzati interamente per far fronte alle spese fisse, compromettendo l’accumulo di risparmi per le spese straordinarie. Ciò che emerge non è un impoverimento improvviso e drammatico delle famiglie italiane, ma una lenta diminuzione delle risorse di cui esse dispongono. A titolo esemplificativo, rispetto alla complessità e dinamicità della condizione socio-economica del paese, le categorie che sembrano retrocedere nel livello di vita e che pagano maggiormente lo scotto della crisi sono:

� anziani e pensionati soli; � lavoratori dipendenti e giovani 20-35enni, con contratto atipico; � laureati e libere professioni con un solo stipendio per nucleo; � donne sole con figli a carico; � ultracinquantenni con bassi livelli di istruzione che, avendo perso il lavoro, riescono a

ricollocarsi solo dequalificando il loro profilo professionale. Secondo il Rapporto Annuale dell’ISTAT6 sulla situazione del Paese, nell’ultimo biennio due ammortizzatori sociali sono stati in grado di contenere, in parte, la deprivazione delle famiglie:

- la cassa integrazione che ha protetto gli adulti capifamiglia dalla perdita totale del reddito; - la famiglia stessa, quella di origine, che invece ha protetto i figli che hanno perso il lavoro,

erogando aiuti economici e/o riaccogliendoli in casa insieme ai nipoti e i coniugi.

6 Rapporto annuale sulla situazione del paese nel 2010, dell’Istituto Nazionale di Statistica Italiano

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In questo contesto, le donne continuano ad essere un pilastro fondamentale del sistema italiano di welfare, che, anche se risulta in lenta evoluzione nell’ultimo decennio, rimane ancora profondamente legato ad una concezione familistica e quindi anche ad un modello tradizionale dei ruoli legati all’identità di genere. Le madri, le mogli, le nonne e le figlie continuano a farsi carico in Italia di compiti altrove svolti dalle strutture pubbliche, con effetti non trascurabili sull’ammontare di lavoro che grava su di esse. Anche le politiche sociali, di assistenza e previdenza, definiscono diversamente la collocazione sociale di donne ed uomini e contribuiscono a strutturare i loro rapporti sociali. L’impatto della crisi economica si inserisce in un processo di cambiamento della società già avviato, che sta investendo tutte le sfere del tessuto sociale (il lavoro, la politica, la famiglia e le istituzioni) creando un meccanismo di effetti interdipendenti fra loro, che sarà possibile analizzare solo a posteriori. Per ora possiamo solo rilevare alcune tendenze che si stanno manifestando a seguito della crisi e che suggeriscono un ipotetico scenario futuro con il quale le Politiche Sociali dovranno confrontarsi. Numerose ricerche internazionali hanno evidenziato, in vari contesti culturali gli effetti negativi esercitati dai momenti di crisi economica sulle relazioni familiari, sia tra i coniugi sia tra genitori e figli. Altre ricerche invece hanno dimostrato che l’incertezza sul lavoro e la precarietà economica aumentano il disagio personale e sociale portando con sé effetti, sia sull’equilibrio psichico, che sui comportamenti a rischio. Secondo uno studio presentato al XLV Congresso Nazionale della Società Italiana di Psichiatria nel 2009, alla percezione del disagio economico viene associata una crescita del 30% dell’incidenza di ansia e del 15% del numero dei pazienti depressi. Inoltre, secondo i risultati di una ricerca sul rapporto tra crisi economica e disagio psichico, in Europa, per ogni incremento del 3% della disoccupazione, crescono del 30% le morti dovute ad eccesso di alcool e aumenta di quasi il 5% il tasso dei suicidi. In Europa, a seguito della crisi, si stimano oltre 3500 morti per abuso di alcool e circa 1700 suicidi in più. Le conseguenze della recessione, dunque, potrebbero essere più vaste e complesse di quanto possa manifestarsi a livello del solo sistema economico. Riguardo alle ripercussioni possibili sull’utenza dei Servizi Sociali e Sanitari, si può ipotizzare un graduale aumento delle problematicità normalmente limitate all’area specifica della grave emarginazione, che andrebbero, invece, a sommarsi alle altre aree di fragilità.

3.2 Il Distretto Sociale 6

Il Distretto Sociale 6 comprende sette comuni7 della zona sud della Provincia di Milano ed appartiene al territorio di competenza della ASL Milano 28. Se si osserva il trend di crescita della popolazione totale del Distretto negli ultimi trent’anni, emerge un significativo incremento di oltre il 70%, concentrato nel decennio dall’1981 al 1991, e successivamente una crescita costante media più contenuta, del 12-13% ogni dieci anni.

7 Pieve Emanuele, Lacchiarella, Binasco, Zibido San Giacomo, Noviglio, Casarile e Vernate 8 Azienda Sanitaria Locale Provincia di Milano 2

28

AUMENTO POPOLAZIONE DISTRETTO 6 DAL 1981

1991 2001 2011

23.214

39.658

44.502

50.456

1981

13,30%12,21%70,84%

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

Anni

Mig

liaia

di A

bit

an

ti

Anno

Popolazione

Incremento %

Incremento Popolazione 1981-2011 1981 1991 2001 2011

Popolazione 23.214 39.658 44.502 50.456 Incremento % 70,84% 12,21% 13,38%

Negli anni ‘70 sul territorio di Pieve Emanuele si è conclusa l’edificazione del quartiere INCIS9, destinato ad ospitare le famiglie degli impiegati statali come i militari civili e i dipendenti delle poste. Queste famiglie venivano da tutta Italia e non erano inizialmente gruppi stanziali. Quando le seconde generazioni hanno iniziato a rimanere sul territorio, si è sviluppata anche l’area industrializzata e si è assistito ad un veloce popolamento della zona. Oggi l’INCIS, è stato frammentato in più istituti fra cui Aler10, pertanto Pieve richiama cittadini più degli altri comuni anche per la presenza di numerosi alloggi popolari. Negli ultimi trent’anni il fenomeno di migrazione delle famiglie, dalla metropoli di Milano alle periferie, ha coinvolto comunque tutto il nostro territorio, modificando in parte il tessuto socio-economico. Anche gli altri comuni del Distretto hanno visto un consistente incremento della popolazione, anche se in tempi diversi, come si vede dalla tabella seguente:

INCREMENTO POPOLAZIONE PER COMUNE DAL 1981 AL 2011 DISTRETTO 6

31/12/1981 31/12/1991 31/12/2001 31/12/2011

1 Pieve Emanuele 4.130 15.634 15.759 16.124

2 Lacchiarella 6.018 6.877 7.293 8.575

3 Binasco 5.711 6.329 6.945 7.334

4 Zibido San Giacomo 2.360 4.002 5.467 6.759

5 Noviglio 1.262 2.072 3.099 4.478

6 Casarile 1.754 2.545 3.594 3.960

7 Vernate 1.979 2.199 2.345 3.226 23.214 39.658 44.502 50.456

9 Istituto Nazionale Case Impiegati dello Stato 10 Azienda Lombarda Edilizia Residenziale

29

Negli ultimi cinque anni la crescita della popolazione distrettuale sembra essersi quasi arrestata:

Incremento Popolazione 2007-2011 2007 2008 2009 2010 2011

Popolazione 48.935 49.537 50.057 50.090 50.456 Incremento % 1,23% 1,05% 0,07% 0,73%

AUMENTO POPOLAZIONE DISTRETTO 6 - 2007/2010

2008 2009 2010 2011

48.935 49.537 50.057 50.090 50.456

2007

1,23% 1,05% 0,07% 0,66%

0

10000

20000

30000

40000

50000

60000

Anni

Mig

liaia

di A

bitanti

Anno

Popolazione

Incremento %

Se si osserva la crescita dal 2007 al 2011 di ogni singolo Comune però, si evidenzia che, mentre Pieve Emanuele ha registrato un calo della popolazione, altri Comuni, come Noviglio e Lacchiarella, hanno visto un aumento rispettivamente dell’11,1% e del 6,36%, andando a modificare, anche se non in maniera ancora consistente, la percentuale di incidenza dei singoli comuni sul totale della popolazione residente nel Distretto.

INCREMENTO POPOLAZIONE PER COMUNE 2007-2011

Pieve

Lacchiarella

Binasco

Vernate

Pieve

Lacchiarella

BinascoZibido SG

Zibido SG

NoviglioNoviglioCasarileCasarile

Vernate

0

2000

4000

6000

8000

10000

12000

14000

16000

18000

2007 2008 2009 2010 2011

Pieve Lacchiarella Binasco Zibido SG Noviglio Casarile Vernate

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2007-2011 COMUNI - POPOLAZIONE

Pieve Lacchiarella Binasco

Zibido

SG Noviglio Casarile Vernate Totali annui

2007 16.369 8.062 7.265 6.420 4.034 3.775 3.010 48.935 2008 16.321 8.145 7.281 6.590 4.328 3.752 3.120 49.537 2009 16.327 8.343 7.275 6.663 4.438 3.844 3.167 50.057

2010 16.000 8.480 7.268 6.730 4.508 3.915 3.189 50.090

2011 16.124 8.575 7.334 6.759 4.478 3.960 3.226 50.456 La differente tendenza alla crescita dei sette comuni nell’ultimo quinquennio, ha prodotto, come evidenzia la tabella che segue, una variazione delle incidenze percentuali.

2007-2011 COMUNI - COMPOSIZIONE PERCENTUALE

Pieve Lacchiarella Binasco

Zibido

SG Noviglio Casarile Vernate Totali annui

2007 33,5% 16,5% 14,8% 13,1% 8,2% 7,7% 6,2% 100,0% 2008 32,9% 16,4% 14,7% 13,3% 8,7% 7,6% 6,3% 100,0% 2009 32,6% 16,7% 14,5% 13,3% 8,9% 7,7% 6,3% 100,0% 2010 31,9% 16,9% 14,5% 13,4% 9,0% 7,8% 6,4% 100,0%

2011 32,0% 17,0% 14,5% 13,4% 8,9% 7,8% 6,4% 100,0% Il Comune di Pieve Emanuele, con una oscillazione più incisiva nel 2010, è passato dal costituire il 33,5% della popolazione totale, a perdere 1,5 punti percentuali, mentre Lacchiarella con una crescita costante, ha guadagnato 0,5 punti dal 2007. Binasco, invece, che ha registrato un aumento contenuto della popolazione, perde progressivamente 0,3 punti percentuali sul totale del Distretto. Come si vedrà più avanti però l’impatto delle casistiche, la domanda dei cittadini e la spesa sostenuta dai Comuni nei Servizi Sociali non è sempre corrispondente alle differenze demografiche. Il dato più recente sulla popolazione residente, al momento della scrittura del Piano, è quello che risale al 31 dicembre 2011:

Popolazione residente - Comuni del Distretto 6 al 31/12/2011

Comune Abitanti

1 Pieve Emanuele 16.124

2 Lacchiarella 8.575

3 Binasco 7.334

4 Zibido San Giacomo 6.759

5 Noviglio 4.478

6 Casarile 3.960

7 Vernate 3.226

50.456

31

POPOLAZIONE RESIDENTE DISTRETTO 6 AL 31/12/2011

Lacchiarella

17,00%Binasco

14,54%

Zibido San

Giacomo

13,40%

Noviglio

8,88%

Casarile

7,85%

Vernate

6,39%

Pieve Emanuele

31,96%Pieve Emanuele

Lacchiarella

Binasco

Zibido San Giacomo

Noviglio

Casarile

Vernate

I sette Comuni che compongono il Distretto 6 sono molto eterogenei fra loro, non solo per quanto concerne le dimensioni, ma anche per quanto riguarda le caratteristiche connesse alla loro ubicazione e alle loro differenti storie e culture locali. Il Comune di Pieve Emanuele, oltre ad essere quello più popolato, è anche quello più vicino alla cintura metropolitana Milanese, dalla quale subisce le influenze e ne sfrutta le opportunità. Gli altri Comuni si trovano più vicini alla provincia pavese e mantengono ancora, in modo più rilevante, un legame con la cultura rurale del territorio. I Comuni più distanti dalla città soffrono maggiormente della inadeguatezza dei collegamenti e dei trasporti verso i luoghi di cura e di lavoro, e quelli dalle dimensioni più contenute rispondono ancora individualmente ai bisogni espressi dal cittadino. La minore disponibilità di risorse economiche delle piccole amministrazioni comporta un contenimento degli investimenti sia nel personale che nei servizi. Per questo motivo la partecipazione ai Piani di Zona e l’accesso alle risorse distrettuali diventa, per le piccole realtà, una necessità imprescindibile per garantire alcuni interventi sociali alla propria cittadinanza. Prima di addentrarsi nell’analisi dei bisogni per area, e successivamente nella descrizione della programmazione per il prossimo triennio, è necessario presentare il quadro delle risorse economiche distrettuali e la loro graduale contrazione negli ultimi anni. Come si legge nella tabella che segue, dal 2008 le risorse economiche distrettuali hanno subito una drastica riduzione:

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SCHEDA RISORSE ECONOMICHE fondi trasferiti per la gestione dei Piani di Zona - Distretto Sociale 6 ASL MI 2

Tipologia trasferimento ANNO 2008

ANNO 2009

ANNO 2010

ANNO 2011

ANNO 2012

FNPS € 425.234,0 € 380.392,0 € 175.445,0 € 198.942,0 € 98.380,0

Fondo riequilibrio FNPS € 22.619,0 € 20.282,0 € 30.193,0 € 10.819,0 0,0

Fondo Non Autosufficienze € 108.276,0 € 82.630,0 € 161.638,0 € 178.445,0 € 0,0

Contributo Provinciale € 200.000,0 € 50.000,0 € 50.000,0 € 35.000,0 € 0,0

Trasferimenti dai Comuni € 54.000,0 € 54.000,0 € 54.000,0 € 54.000,0 € 92.308,0

TOTALE RISORSE € 810.129,0 € 587.304,0 € 471.276,0 € 477.206,0 € 190.688,0

Differenza rispetto al 2008 € 222.825,0 € 338.853,0 € 332.923,0 € 619.441,0

% DI TAGLIO SUL 2008 27,50% 41,83% 41,10% 76,46% In cinque anni le risorse disponibili per la gestione associata dei Servizi si sono ridotte di oltre il 76%. Pare evidente che la naturale conseguenza di tale ridimensionamento delle entrate sia la contrazione della spesa distrettuale. Una riduzione così drastica compromette la capacità di dare continuità a servizi esistenti e restringe il campo d’azione nella nuova programmazione.

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3.3 AREA MINORI E FAMIGLIA – GIOVANI - SCUOLA

L’impatto sociale della crisi economica sulle famiglie in Lombardia

La crisi internazionale, che sta fortemente colpendo tutta la nazione, non ha certo risparmiato la nostra regione. Anche se, secondo le previsioni, la Lombardia farà meglio di altre regioni, recuperando posizioni sulla base del valore del suo indice di crescita, vi è il rischio che con il passare del tempo una quantità sempre maggiore di famiglie lombarde venga destabilizzata dagli effetti prodotti dalla crisi sulla società, già soggetta da alcuni anni ad intense trasformazioni che hanno portato la definizione di nuove tipologie di famiglia e la costruzione di nuove reti sociali. La crisi si abbatte sulle famiglie con intensità differenti, ma indistintamente e a macchia di leopardo, aumentando il grado di precarietà di quelle fasce sociali già considerate deboli, e procurando crescenti difficoltà a molti altri strati sociali. Ci si deve quindi misurare con profili di vulnerabilità prima d’ora inediti, ovvero, con nuclei familiari che, pur non avendo problemi di povertà immediata e conclamata, faticano nel preservare quegli ambiti di vita - la famiglia, la casa e il lavoro- ritenuti, fino a poco tempo fa, luoghi sicuri e stabili. Questa diffusa condizione di fragilità, associata al venir meno, in molte aree, dei tradizionali vincoli familiari e delle reti di protezione “naturale”, se non adeguatamente affrontata e contenuta, potrà mettere a rischio un consistente quantitativo di famiglie “medie” e decretare il loro ingresso nell’area della povertà. In questo momento la dinamica dell’occupazione è normalmente in ritardo rispetto all’evoluzione congiunturale dell’economia: negli anni scorsi, anche in presenza di un rallentamento avevamo assistito a una crescita dell’occupazione. La crisi drastica e improvvisa rischia, quindi, di “rigettare” dal mercato del lavoro un’ampia fascia di lavoratori, soprattutto i giovani, che vi erano appena entrati. L’esposizione al rischio di esclusione permanente dal lavoro interessa, oggi, anche categorie di lavoratori in precedenza fortemente tutelati e con una preparazione scolastica medio-alta, come gli impiegati generici e i piccoli imprenditori, la cui qualità di vita è sempre stata considerata buona. Un aspetto particolare riguarda poi la condizione dei lavoratori stranieri: anch’essi, da poco inseriti nel mercato del lavoro in profili professionali bassi, rischiano ora di esserne immediatamente esclusi. La crisi potrebbe quindi creare concorrenza e conflittualità sociale tra i lavoratori stranieri e quelli italiani. La disoccupazione e la precarietà lavorativa, unitamente al rincaro dei canoni di locazione e delle rate dei mutui nonchè all’aumento del costo della vita, amplificano il rischio di morosità. L’emergenza abitativa si inserisce nella cornice socio-economica del paese come uno degli effetti collaterali prodotti dalla crisi economica. Un indicatore molto evidente delle accresciute difficoltà economiche della famiglia, in questo momento particolarmente delicato, è costituito dall’aumento del costo della vita, le cui voci principali di riferimento sono proprio il livello delle retribuzioni e il costo/accesso all’abitazione. Si assiste ad una progressiva riduzione del reddito reale e al parallelo appesantimento dei prezzi. Ciò costringe molte famiglie all’indebitamento e al peggioramento della qualità della vita. In merito ai criteri che regolano l’accesso all’abitazione si osserva, da un lato, l’ampliamento del mercato della proprietà, che però sta diventando sempre più inaccessibile ai redditi bassi e medio bassi, e dall’altro, un mercato dell’affitto ridotto ai minimi termini, in particolare per ciò che concerne l’offerta abitativa rivolta alle fasce sociali più deboli, scarsamente sostenuta da politiche pubbliche. I canoni di locazione, a fronte di una crescente domanda di alloggi e un ristagno complessivo dell’offerta, hanno raggiunto (in particolare nei comuni medio-grandi) importi molto elevati.

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Nel “Settimo rapporto sulla povertà”11 della Caritas Ambrosiana è possibile trovare un riscontro in tal senso, poiché si evidenzia, come numericamente significativo, il dato dei cittadini che si rivolgono ai centri di ascolto presentando problemi connessi all’abitazione. La lettura di tale documento permette di rilevare come, alle classiche situazioni emergenziali (sovraffollamento o marginalità degli stranieri), si siano aggiunte nuove problematiche che coinvolgono fette di popolazione sempre più consistenti, quali:

� uomini separati in difficoltà nel reperire un nuovo alloggio a prezzi abbordabili; � giovani coppie che non trovano alloggi a prezzi accessibili e che si scontrano con la carenza

di case in locazione; � famiglie che faticano a sostenere l’aumento del mutuo o degli affitti; � famiglie monoreddito dalle cui occupazioni instabili derivano stipendi inadeguati.

Non è stato possibile accedere a dati statistici specifici per il territorio del Distretto Sociale 6, ma i dati relativi agli sfratti esecutivi, in Regione Lombardia, presentano un quadro generale in costante peggioramento. Nel 2010 sono state presentate in questura 21.315 nuove richieste di esecuzione, di cui 13.856 sono state convalidate, con un incremento del 48% rispetto al 2009. Se si sommano le nuove richieste a quelle già in corso dagli anni precedenti, il totale delle procedure di esecuzione aperte arriva a 34.932 secondo i dati regionali diffusi dal Ministero degli Interni. La maggioranza delle convalide di sfratto della regione si concentrano a Milano e provincia dove le nuove domande di esecuzione nel 2010 sono state 6.466, registrando quindi un incremento del 151% dal 2009. Stando a dati più recenti, a fine settembre 2011, in città si contavano già 11.167 sfratti in corso di esecuzione, di cui 7.175 per morosità, in Provincia quelli per morosità sono 3.002 su 5.234. Complessivamente le domande di alloggio popolare su Milano e provincia, alla fine del 2010, sono state 32.906. Tra le 20.120 domande ritenute idonee, oltre il 14% sono state presentate da un genitore singolo con minore a carico. Circa la metà sono state presentate da famiglie straniere. L’aumento del numero dei nuclei oggettivamente poveri va di pari passo con quello delle famiglie collocabili in una fascia di “transizione”, ovvero non così povere da non poter accedere ai servizi pubblici, ma sempre più vulnerabili e sole poiché indebolite dalla crisi. I bisogni di questa nuova fascia sociale sono forse meno “visibili” ed immediati rispetto a quelli propri delle compagini sociali oggettivamente al di sotto della soglia della povertà e richiedono la ricerca di interventi mirati. L’approccio alle problematiche specifiche di tale area deve privilegiare la predisposizione di un percorso di accompagnamento e coinvolgimento attivo delle persone, che permetta una risposta il più possibile efficace e duratura e che contribuisca a ri-orientare le famiglie in questo momento di grave smarrimento. Il concetto di “famiglia” e i bisogni emergenti nel Distretto

Nella società moderna il concetto di “famiglia” sta lentamente cambiando: ci si sta sempre più allontanando dall’idea della famiglia tradizionale e si stanno affermando modelli di famiglie nuovi ed atipici. Secondo recenti ricerche statistiche, condotte in ambito europeo, i genitori single rappresentano una buona percentuale nel quadro delle nuove tipologie di famiglie. Nel nostro Distretto, durante la fase di consultazione degli attori del territorio relativa ai bisogni emergenti, si è evidenziata una preoccupazione in merito all’aumento dei nuclei monoparentali frequentemente costituiti da madri sole, ma di recente anche da padri soli. La presenza di questi

11 2008

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nuclei può dipendere dalle differenti propensioni nelle condotte familiari: alcuni individui non scelgono di costituire una famiglia tradizionale che passi attraverso il matrimonio, ma intraprendono un progetto di vita fondato sulla sola identificazione nel ruolo genitoriale e non in quello di partner nella coppia. Generalmente, però, i nuclei composti da un unico genitore sono l’esito di una interruzione della relazione di coppia fondata sulla convivenza o sul matrimonio. Le fragilità tipiche di questi nuclei coincidono sia con le difficoltà a sostenere con un solo reddito il costo della vita e dei figli, sia con la fatica nel conciliare i tempi di vita e di lavoro. Infatti i genitori diventati single che, dopo una separazione, si rivolgono ai Servizi formali ed informali portano in prima istanza una richiesta di supporto economico per poi esprimere, però, agli operatori, il disagio connesso al senso di fallimento del proprio progetto di vita, alla compromissione della dinamica duale della funzione genitoriale e alla difficoltà di ricollocarsi all’interno del contesto socio-culturale con un nuovo status. Quando la rottura dei legami familiari passa attraverso una separazione conflittuale, si attivano poi dinamiche disfunzionali che ingaggiano non solo i genitori, ma anche i figli. I bambini rimangono invischiati all’interno di relazioni interne al nucleo familiare, da cui arrivano richieste continue di alleanza dalle due parti in conflitto, che risultano, però, inconciliabili con il naturale legame affettivo del bambino verso entrambi i genitori e con il permanere del suo attaccamento all’ideale di famiglia unita. La presa in carico di questi nuclei quindi diventa sempre più complessa, per la presenza di molteplici bisogni e la necessità di coinvolgere più figure professionali e diversi servizi. I dati sulle prese in carico registrate dal Servizio Distrettuale per l’Assistenza Domiciliare Minori

e lo Spazio Neutro (SEM) confermano una significativa incidenza dei casi di separazione conflittuale nel nostro territorio. In particolare negli ultimi due anni, secondo i dati raccolti dal Servizio, il 21,6 % delle situazioni per le quali è stata attivata l’ADM e il 41,7 % dei nuclei seguiti con lo Spazio Neutro, presentavano la separazione conflittuale come problematica prevalente per cui si è resa necessaria la realizzazione degli interventi. Il 48,6 % dei nuclei seguiti in assistenza domiciliare, peraltro, erano nuclei monogenitoriali. Nonostante l’investimento del Distretto sul SEM sia stato fino al 2011 quello più alto fra tutti i servizi della gestione associata, durante la fase di diagnosi, è stata ravvisata la necessità di aumentare le ore disponibili sul distretto sia per l’ADM sia per lo Spazio Neutro. Alcuni Comuni del Distretto (Lacchiarella, Binasco, Noviglio), negli ultimi due anni, hanno dovuto integrare con risorse proprie le ore di ADM, per rispondere adeguatamente al bisogno. Analogamente, il Comune di Pieve Emanuele, per far fronte al bisogno di interventi educativi, a partire dal 2011, ha dovuto ricorrere alla voucherizzazione di prestazioni di ADM, ridimensionando la quota di voucher destinati ad altre aree di intervento. Tutti i Comuni investono specifiche risorse per la gestione dei Servizi di Tutela Minori, anche se con modalità differenti. In particolare, le figure professionali necessarie alle prese in carico, come Psicologi, Educatori e Assistenti Sociali, sono assunti con modalità di incarico diverse: in alcuni casi tramite appalto a cooperative ed in altri con incarico diretto. Solo due Comuni, Lacchiarella e Noviglio, sono in convenzione per la gestione associata del Servizio Tutela Minori. Per quanto riguarda la spesa per la gestione dei Servizi Tutela Minori, il Comune di Pieve Emanuele, nel 2010 ha investito risorse per il 55% sul totale di tutti i Comuni.

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SPESA COMUNI - SERVIZI TUTELA MINORI - 2010

€ 152.852,00

€ 18.168,00€ 13.092,00€ 10.000,00

€ 28.746,00€ 23.400,00

€ 30.548,00

€ 0,00

€ 20.000,00

€ 40.000,00

€ 60.000,00

€ 80.000,00

€ 100.000,00

€ 120.000,00

€ 140.000,00

€ 160.000,00

€ 180.000,00

Pieve

Eman

uele

Lacc

hiarella

Binas

co

Zibido

S.G

.

Noviglio

Cas

arile

Vernate

Pieve Emanuele

Lacchiarella

Binasco

Zibido S.G.

Noviglio

Casarile

Vernate

Lo scarto tra un comune e l’altro si ridimensiona in parte, se si considera la spesa totale sull’Area Minori e Famiglia che ricomprende anche le seguenti voci: i contributi economici alle famiglie, la spesa per gestione o convenzione con Asili Nido, gestione dei Centri Estivi, spesa per Affido Familiare, gestione servizi Tutela Minori, Centri Aggregazione Giovanile, Pronto Intervento e Comunità di accoglienza per minori.

SPESA COMUNI - AREA FAMIGLIA E MINORI - 2010

€ 606.398,00

€ 233.158,00

€ 507.904,00

€ 72.268,00

€ 137.448,00

€ 52.109,00

€ 66.618,00

€ 0,00

€ 100.000,00

€ 200.000,00

€ 300.000,00

€ 400.000,00

€ 500.000,00

€ 600.000,00

€ 700.000,00

Pieve

Eman

uele

Lacc

hiarella

Binas

co

Zibido

S.G

.

Noviglio

Cas

arile

Vernate

Pieve Emanuele

Lacchiarella

Binasco

Zibido S.G.

Noviglio

Casarile

Vernate

Nonostante sia il Comune meno popolato, Vernate risulta essere nel 2010 al terzo posto nella spesa totale per l’Area Minori e Famiglia. Dal dettaglio della suddivisione della spesa emerge, infatti, che ogni territorio investe le risorse in modo diverso, in parte a causa di differenti bisogni espressi dai propri cittadini, in parte

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probabilmente in ragione delle diverse Politiche territoriali compiute dalle Amministrazioni Comunali. La spesa per le Comunità Minori, quando imposta da un Decreto dell’Autorità Giudiziaria, è una variabile poco prevedibile e indipendente dalle proporzioni demografiche dei territori e dalle scelte delle amministrazioni. La spesa per i collocamenti dei minori è infatti disomogenea. Il comune di Vernate ha sostenuto una spesa per le comunità equivalente al 18% sul totale 2010 ed è riuscito a sostenere l’onere economico grazie all’erogazione del Fondo di Solidarietà. Purtroppo tale fondo, date le prospettive di forte riduzione del Fondo Nazionale Politiche Sociali, difficilmente potrà essere garantito anche negli anni futuri. Per quanto riguarda invece l’erogazione di contributi economici alle famiglie, emerge dalla rendicontazione della Spesa Sociale del 2010 che il Comune di Zibido San Giacomo investe una quota minima delle risorse nel sostenere direttamente le spese delle famiglie in difficoltà, privilegiando altre tipologie di interventi, come ad esempio gli Affidi. Dopo Pieve Emanuele, Zibido è il Comune che ha investito maggiori risorse economiche nei progetti di Affido familiare. Osservando i dati relativi alla Spesa Sociale dell’anno 2010, si rileva che i contributi economici per l’Area Famiglia e Minori sono più alti rispetto e quelli erogati per le altre Aree di bisogno. La spesa complessiva del Distretto per i contributi economici generici e quelli a sostegno degli interventi sull’emergenza abitativa e delle utenze domestiche, è stata pari a € 115.471,00, contro un totale di € 44.121.00 per l’area anziani e di € 41.804,00 per l’area disabili. I dati in nostro possesso in merito all’erogazione di contributi non sono, tuttavia, esaustivi in merito al bisogno economico delle famiglie del territorio, in quanto ci sono altri soggetti erogatori di aiuti economici dai quali non è possibile raccogliere dati specifici. Molte famiglie in difficoltà, infatti, si rivolgono ad associazioni, parrocchie e Caritas che rispondono alle richieste di assistenza, elargendo anche aiuti economici e talvolta avviando veri e propri progetti di intervento che prevedono il reinserimento lavorativo e il reperimento di una soluzione abitativa idonea. Fino al 2009 era attiva una convenzione sovra distrettuale con il Distretto 7 per la gestione del Servizio Affidi, successivamente, entrambi i Distretti non hanno più potuto mantenere attivo il servizio, prioritariamente a causa della contrazione delle risorse economiche. In occasione della scrittura del presente Piano, invece, l’esigenza di prevedere nella programmazione un attenzione particolare al tema dell’Affido, è emersa tra le priorità evidenziate dai Comuni e dagli operatori dei Servizi che lavorano con la Famiglia. Al di là dell’ipotesi di realizzare interventi specifici distrettuali, si è condivisa prioritariamente la necessità di promuovere la cultura dell’affido sul territorio, partendo dalla rete informale e dall’associazionismo. In questi anni, data la mancanza di un servizio distrettuale, ogni Comune si è rivolto singolarmente alle agenzie specializzate affrontando la spesa delle singole attivazioni di progetti. La rilevanza dell’Affido, quale strumento di intervento nelle situazioni di grave disagio, è dimostrata dalla spesa sostenuta dai Comuni che, nel 2010, è stata di € 108.167,00 sul tutto il Distretto. Anche la Regione Lombardia ha inserito l’Affido tra le priorità di riforma, emanando le “Linee Guida per l’Affido Familiare”12 che principalmente tendono al superamento della frammentarietà degli interventi e chiedono agli enti locali di assicurare la coerenza fra la programmazione locale e quella regionale. L’investimento di risorse nell’Area Minori e Famiglia resta, in sintesi, quello più alto, sia tra le voci dei singoli bilanci comunali sia tra quelle degli interventi distrettuali.

12 DGR 24 maggio 2011 – n° IX/1772

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È doveroso affrontare anche il tema della Conciliazione dei Tempi di Vita e Lavoro, che in questi anni sta assumendo un’importanza sempre più rilevante. In risposta ai principi di garanzia della parità fra i generi e in considerazione della strutturazione dei tempi di lavoro che oggi coinvolgono donne e uomini in modo ormai quasi analogo, si è avviato un percorso a partire dalle Direttive Europee, di costruzione di Politiche atte a sostenere la libera partecipazione al mercato del lavoro di donne e uomini, garantendo contemporaneamente lo svolgimento dei compiti di cura genitoriale e familiare. E’stato siglato quindi, un Accordo di Collaborazione Territoriale che ha coinvolto le tre ASL di Milano, i Distretti Sociali, la Camera di Commercio, la Regione Lombardia e la Provincia di Milano, in cui sono stati condivisi gli obiettivi e la Mission della programmazione futura sul tema della Conciliazione. Nel recepire tali indirizzi, il Distretto Socio Sanitario ASL MI 2 insieme agli Ambiti Territoriali, sta provvedendo a delineare una sperimentazione su tutto il territorio, con l’obiettivo di sostenere la costruzione e lo sviluppo di un coerente sistema di politiche e di azioni volte alla conciliazione, con particolare riferimento alle esigenze espresse dal territorio e alle risorse presenti. Si tratta di un percorso ancora agli esordi che coinvolge politiche e risorse diversificate, attualmente non in connessione fra loro. Attualmente è in corso una rilevazione sui servizi/interventi del territorio che interessano le politiche della Conciliazione Tempi di Vita e Lavoro.

AREA SCUOLA La percezione degli operatori che a diverso titolo lavorano a contatto con i giovani e la scuola è quella di un aumento dei casi di dispersione scolastica. La rete avverte il bisogno di strutturare ed implementare il sistema di orientamento scolastico a supporto delle famiglie e dei giovani già a partire dalle scuole medie. Il rischio di abbandono del percorso scolastico, infatti, è avvertito sin dalle scuole secondarie di primo grado. I dati nazionali sulla dispersione scolastica confermano questa tendenza anche a livello regionale. La Lombardia, nell’anno scolastico 2008/2009, era al 3° posto dopo Sicilia e Campania, per gli studenti delle scuole Secondarie di Primo grado, mentre era al 4° posto per le Secondarie di Secondo Grado.

DISPERSIONE SCOLASTICA - A.S. 2008/2009

SCUOLE SECONDARIE DI 1°GRADO SCUOLE SECONDARIE DI 2° GRADO

Regione N°Interruzioni % sul totale nazionale

Regione N°Interruzioni % sul totale nazionale

Sicilia 7.428 23,81% Campania 19.336 15,06% Campania 5.292 16,96% Sicilia 18.660 14,53%

Lombardia 3.141 10,07% Lazio 14.182 11,04% Lazio 2.615 8,38% Lombardia 12.874 10,02%

Puglia 2.434 7,80% Puglia 11.206 8,73% Secondo i dati nazionali, nell’anno scolastico 2009/2010, ha conseguito il diploma il 70% di coloro che, cinque anni, prima erano iscritti al primo anno della scuola secondaria di II grado. Tale percentuale si è mantenuta costante rispetto all’anno precedente, ma risulta in aumento rispetto all’anno scolastico 2007/2008, quando a diplomarsi era il 67,3%. Osservando i dati distinti per genere, si nota come siano le ragazze a conseguire risultati migliori, con una probabilità di diploma pari al 75,4% rispetto al 65,1 % dei colleghi maschi.

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I dati dell’anno scolastico 2009/2010 registrano, per la Lombardia, una probabilità di diplomarsi alla secondaria di II grado, pari al 66.5%; ciò colloca la nostra Regione al sedicesimo posto in Italia e comunque sotto la media nazionale che è pari al 70%. L’importanza di questi dati è supportata soprattutto dal fatto che i giovani lombardi in età scolare costituiscono il 15,43% sul totale nazionale. La necessità di intervenire con politiche di prevenzione sulla dispersione, finalizzate a contenere gli insuccessi scolastici, diviene una priorità per il nostro territorio. A livello distrettuale è assente un sistema strutturato di servizi per l’orientamento scolastico post scuola media in grado di raggiungere adeguatamente tutte le famiglie in modo omogeneo e che potrebbe contribuire a contenere il rischio di scelte fallimentari dei percorsi scolastici. Tra le aree di criticità è stato segnalato un aumento delle richieste di sostegno scolastico che in parte oggi, rimangono inevase. Le ore di sostegno statale si sono considerevolmente ridotte a seguito dei tagli all’istruzione realizzati dai governi nell’ultimo decennio. Il percorso legislativo di contenimento della spesa sulla scuola ha toccato tutti gli ambiti possibili di applicazione. A titolo esemplificativo dal 2001 al 2009, a fronte di un aumento totale di 197.970 alunni (+2,6%) sul territorio nazionale, c’è stata una riduzione di 4.339 classi (-1,16%) e 63.349 cattedre (-8,97%). Merita attenzione il confronto dei dati 2009/10 con quelli dell’anno scolastico precedente: di fronte ad un aumento di 37.876 alunni, le istituzioni scolastiche hanno dovuto affrontare un taglio di 4.945 classi e di 36.218 docenti. Nello specifico, il sostegno scolastico garantito agli alunni con disabilità ha subito anch’esso un consistente ridimensionamento tra il 2001 e il 2009, come evidenziato nella seguente tabella:

SCUOLA DELL’INFANZIA 2001/ 2009 SCUOLA SECONDARIA 1° GRADO

2001/2009

2001 2009 %

incremento 2001 2009

% incremento

Alunni disabili

10.507 12.882 22.6% Alunni disabili

45.551 64.269 41,1%

Ins.di sostegno

7.072 7.488 5.9% Ins.di

sostegno 22.813 26.141 14,6%

SCUOLA PRIMARIA 2001/ 2009 SCUOLA SECONDARIA 2° GRADO

2001/2009

2001 2009 %

incremento 2001 2009

% incremento

Alunni disabili

55.471 64.576 16,4% Alunni disabili

20.873 44.051 111%

Ins.di sostegno

29.087 32.745 12,6% Ins.di

sostegno 12.222 20.816 70,3%

Come si evince dai dati riportati, gli incrementi dei posti per insegnanti di sostegno non sono proporzionati all’aumento degli alunni disabili che necessitano di affiancamento. Il principale effetto, che si può facilmente dedurre da questi tagli, si riversa sulle richieste di ore di Assistenza all’Handicap di competenza dei Comuni, che, parallelamente, hanno sempre meno risorse economiche per far fronte al bisogno. Alla luce di queste modifiche dell’assetto scolastico, si delinea un quadro caratterizzato da classi più affollate con sempre meno compresenze dei docenti ed una concentrazione di alunni con problematiche di apprendimento e disabilità, che non possono essere seguiti adeguatamente nel

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rapporto individualizzato per insufficienza di personale. Aumentando il rapporto alunni/insegnanti, si riduce l’attenzione che i docenti possono prestare ad attività di potenziamento e/o di recupero sui singoli alunni o sui piccoli gruppi. Considerando anche la forte contrazione del tempo che le famiglie possono dedicare ai propri figli nei compiti a casa, il risultato è un aumento della

domanda di servizi per il dopo scuola che supportino i bambini anche nella didattica. Sul nostro territorio, da alcuni anni, sono attive alcune progettualità che garantiscono servizi di spazi compiti e dopo scuola, sempre molto frequentati, per i quali spesso si creano liste d’attesa per esaurimento dei posti disponibili. Nel 2011 in particolare si è rilevata l’esigenza di sostenere e potenziare sul territorio questo tipo di servizi, pertanto, tramite un finanziamento della legge 2313, l’Ufficio di Piano sarà partner nel 2012 di un progetto presentato dal Terzo Settore, “Radici ed Ali”, che gestirà un servizio di sostegno extrascolastico e di supporto psico-pedagogico alle famiglie, con aperture garantite su quattro Comuni del Distretto. La contemporaneità della pubblicazione del bando con il percorso di ricognizione sui bisogni, ha permesso all’Ufficio di Piano di concertare con i soggetti del territorio, obiettivi prioritari che fossero realmente aderenti alla domanda. Il target individuato per questo progetto prevede anche un focus privilegiato su tre ambiti: quello dei minori stranieri, quello dei bambini con disturbi dell’apprendimento e quello dei minori con disabilità certificata. Il tema dei Disturbi Specifici dell’Apprendimento (DSA) in questi ultimi anni ha assunto una particolare rilevanza. La percezione generale è quella di un aumento effettivo delle diagnosi da parte dei servizi di Neuropsichiatria Infantile. Non siamo in grado di riportare dati certi a tal proposito, ma, ipoteticamente, il fenomeno può essere in parte dovuto alla maggiore circolazione delle informazioni in merito ai segnali per il riconoscimento precoce di questi disturbi. Sul nostro territorio ci sono alcune associazioni genitori che collaborano attivamente con le scuole. Una di queste è operante nel Comune di Pieve Emanuele, e si occupa proprio di sostenere ed accompagnare le famiglie interessate da queste problematiche. La fotografia del territorio al momento della scrittura del Piano, dunque, presenta un quadro disomogeneo caratterizzato da:

- compresenza di progettualità parallele in parte storiche ed in parte nuove, che, a diverso titolo, si intersecano con le attività scolastiche;

- nascita di nuove associazioni e/o sviluppo di realtà già esistenti, su impulso di insegnanti o genitori, che intendono prestare la propria opera sia all’interno della scuola che in ambito extrascolastico.

In entrambi i casi le collaborazioni con le scuole si realizzano in modo distinto e non integrato. Questa breve e parziale descrizione della realtà del nostro territorio rispecchia e conferma la situazione generale descritta nelle Linee di Indirizzo delle Regione Lombardia per la stesura dei nuovi Piani di Zona. Il mandato che la regione assegna agli Ambiti Distrettuali è quello di agire una governance in grado di eliminare la frammentarietà e di recepire armonicamente gli indirizzi dei diversi livelli di governo e programmazione. Questo orientamento ha trovato riscontro anche nelle sollecitazioni emerse dai Tavoli per la Diagnosi Sociale, anticipando i presupposti della fase programmatoria del Nuovo Piano:

- lavorare in sinergia con le Istituzioni Scolastiche; - attivare modelli di collaborazione Scuola-Servizi Sociali; - definire obiettivi e strategie comuni; - mettere in rete le diverse progettualità.

13 Legge Regionale 23/99 “Politiche regionali per la famiglia”

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Si rileva quindi che sul nostro territorio esistono alcuni nodi critici nella collaborazione fra istituzioni educative e Servizi del Territorio. In alcuni comuni in particolare il confronto e la partecipazione delle scuole nell’ambito dell’attuazione dei Servizi e della programmazione è un processo di rete che va ancora costruito e promosso in modo graduale.

AREA GIOVANI

Le “Linee di Indirizzo per una Governance delle Politiche Giovanili in Lombardia 2012 - 201514”, emanate dalla Regione Lombardia, definiscono come fascia d’età di riferimento per le politiche giovanili quella compresa tra i 14 e i 34 anni. Si tratta di un arco temporale molto ampio che ricomprende diverse fasi della vita. Dai 14 ai 18 anni, infatti, i giovani sono ancora dipendenti dalla famiglia di origine e ancora destinatari delle azioni di cura genitoriali, mentre dai 19 ai 34 anni, si attivano le dinamiche connesse all’autonomia con l’entrata nel mondo del lavoro, la creazione di una nuova famiglia e la genitorialità. L’ambito di pertinenza delle Politiche giovanili e la conseguente rilevazione dei bisogni presenta, dunque, implicazioni trasversali ma anche interdipendenti con le altre aree di bisogno e con gli interventi nell’area della prevenzione primaria. Nella prima fascia dai 14 ai 18 anni si collocano ambiti di intervento ancora legati all’area minori e l’area scuola:

- istruzione e formazione - prevenzione del disagio - prevenzione dipendenze - penale minorile - aggregazione - sport e cultura

Nella seconda fascia, invece, dai 18 ai 34 anni, si inseriscono politiche connesse agli interventi sull’area adulti e della famiglia.

- politiche attive del lavoro - politiche per la casa - genitorialità - sostegno economico

Descrivere lo scenario della situazione dei giovani nell’ambito di una Diagnosi Sociale diventa un esercizio complesso e il rischio è quello di ripetersi rispetto ad analisi e rilevazioni già presenti nella descrizione delle altre aree. Prendendo spunto dallo scenario descritto nelle Linee di Indirizzo della Regione, riportiamo alcuni dati aggiornati al 2010:

a) La popolazione giovanile (14-34) in Lombardia è in costante diminuzione. I giovani lombardi erano 2.750.000 nel 1991 e 2.209.529 a fine 2010: si registra quindi una decremento del 20% circa. Occorre considerare però che il calo è stato contenuto grazie alla popolazione straniera: dal 2001 al 2010, infatti, i giovani stranieri residenti in regione sono più che raddoppiati andando a costituire il 13,7% sul totale dei giovani lombardi, una percentuale superiore di quasi cinque punti rispetto alla media nazionale.

14 DGR 16 novembre 2011 – IX/2508

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b) La distribuzione per classi d’età dei giovani lombardi, è così suddivisa:

���� 19% tra i 14 e i 18 anni ���� 24% tra i 19 e i 24 anni ���� 30% tra i 25 e i 30 anni ���� 26% tra i 31 e i 34 anni

c) Rispetto al livello di dipendenza dalla famiglia di origine, dall’indagine CATI15 condotta da Eupolis Lombardia sui cittadini lombardi, nel periodo aprile – maggio 2011, emerge che il 40% dei giovani che lavora é economicamente autonomo dalla famiglia di origine, il 40 % è abbastanza autonomo e il restante 20% poco o nulla. Analogamente nel 2009, viveva ancora in famiglia il 90% dei giovani fra i 18 e i 24 anni e il 37% della fascia dai 25 e i 34. d) Fra il 2002 e il 2008 l’età media al matrimonio delle donne è 30 anni, ancora più netto l’aumento tra gli uomini, che si sposano a 33 anni compiuti.

e) Il tasso di fecondità negli ultimi 20 anni è cresciuto: l’incremento si deve principalmente al contributo delle donne immigrate: fanno figli prima (28 anni contro 32) e ne fanno di più delle donne italiane (2,62 contro 1,32 per la Lombardia).

f) I dati sulla dispersione scolastica e sulla probabilità di diplomarsi per i giovani, collocano la nostra regione fra i primi posti in Italia. L’alto tasso di dispersione scolastica riguarda sia le scuole medie che le superiori. Anche la probabilità di diplomarsi registra un indice sotto la media nazionale per gli studenti iscritti alle secondarie di II grado. Il tasso di passaggio all’università (immatricolati per 100 maturi dell’anno scolastico precedente) invece è in aumento; nell’a.s. 2008/2009 l’Italia registra un incremento di un punto percentuale, mentre la Lombardia registra un aumento di 5 punti rispetto agli anni precedenti, superando il dato medio nazionale.

g) Fenomeno NEET16: le statistiche ufficiali rilevano che, in Lombardia, i giovani tra i 15 e i 29 anni, che non studiano, non lavorano, né stanno cercando un occupazione, nel 2009, erano il 15% della popolazione giovanile, in Italia il 21,2%, contro una media del 12,2% dei paesi UE aderenti all’OCSE17 (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico)

Il tema del lavoro giovanile merita invece un maggiore approfondimento. La difficoltà di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro è un problema comune a molti paesi, ma in Italia è più acuto che altrove. Nel nostro paese, nella fascia d'età fra i 16 e i 24 anni, solo un ragazzo su quattro lavora; in Germania, negli Stati Uniti e nella media dei Paesi europei, lavora un giovane su due. Bisogna considerare inoltre, che le istituzioni di protezione dell’occupazione in Italia sembrano rivolte a favore dei lavoratori anziani e non dei giovani. Tale dato non sembra avere eguali tra i maggiori paesi OCSE. La tabella che segue riporta dati al 2010, sull’occupazione giovanile e non giovanile di 10 paesi, in cui emerge la peculiarità italiana:

15 Computer Assisted Telephone Interviewing 16 Not in Education, Employment or Training 17 Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Europeo. L’OCSE conta 34 paesi membri e svolge il ruolo di assemblea consultiva per il confronto delle esperienze politiche, per la risoluzione dei problemi comuni, l’identificazione di pratiche commerciali ed il coordinamento delle politiche locali ed internazionali dei paesi membri.

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OCCUPAZIONE GIOVANILE E NON GIOVANILE - PAESI OCSE, 2010

PAESI OCSE Tasso

disoccupati totale (15-74)

Tasso

disoccupazione Giovanile (15-24)

Tasso

disoccupazione Non giovanile (25-74)

Rapporto disoccupazione Giovanile e non giovanile

Spagna 20.3 42.8 18.2 2.35 Grecia 14.2 36.9 12.6 2.93 Italia 8.7 29.8 7.1 4.20 Irlanda 14.1 28.8 12.4 2.32 Francia 9.9 23.5 8.3 2.83 UK 7.7 19.9 5.5 3.62 USA 9.2 17.4 7.9 2.20 Danimarca 7.3 13.3 6.2 2.15 Germania 6.5 8.4 6.3 1.33 Giappone 4.8 8.3 4.5 1.84 Data base Eurostat sul mercato del lavoro L’ordine dei paesi è decrescente secondo i dati della seconda colonna, che riporta i tassi della disoccupazione giovanile. La suddivisione delle fasce d’età non è equivalente a quella che abbiamo fin’ora osservato. In questa tabella infatti i disoccupati giovani sono identificati nella fascia che va dai 15 ai 24, mentre fino ad ora abbiamo considerato la popolazione dai 14 ai 34, ma da questi dati si possono comunque trarre delle considerazioni utili alla nostra analisi. Innanzitutto è necessario specificare che nella seconda colonna non sono ricompresi gli inoccupati NEET, di cui prima si è fatto riferimento, né coloro che studiano e non cercano un impiego. Ciò significa che i tassi riportati in tabella si riferiscono a coloro che effettivamente cercano lavoro e non lo trovano. È evidente che, in tutti i paesi nell’elenco, la disoccupazione giovanile è sistematicamente più elevata di quella del resto della popolazione attiva. L’Italia è comunque al terzo posto tra gli Stati con il maggior numero di disoccupati giovani insieme ai due Paesi, tra quelli considerati, più colpiti dalla crisi (Grecia e Spagna). Il nostro Paese è, però, al primo posto se si considera il rapporto tra disoccupazione giovanile e non giovanile (per ogni disoccupato adulto ci sono 4 disoccupati giovani), che rappresenta quasi il doppio della media degli altri paesi. Questo divario impressionante non dipende dal fatto che i giovani italiani studiano di più, e non lavorano per investire nel loro futuro. Infatti, nella fascia d'età 25-34 anni, gli italiani che hanno una laurea sono 18 su cento, meno della metà che in Francia, Svezia e Stati Uniti, e comunque nel nostro paese, per i laureati, almeno prima del 2010, era più difficile trovare un lavoro rispetto ai diplomati. Analizzando i dati della Lombardia, per la fascia compresa tra i 15 e i 24 anni, si passa da un tasso di occupazione del 37,5% nel 2004 a poco meno del 29% nel 2009. La crisi ha sicuramente contribuito ma il calo è stato costante negli ultimi 5 anni. Tale dato sta ad indicare un fenomeno connesso a trasformazioni già in atto da prima della recessione. Non è possibile, in questa sede, proporre un analisi approfondita dei cambiamenti che la nostra società ha attraversato negli ultimi quarant’anni, ma è proprio dentro a questo processo di mutamento, che si possono meglio contestualizzare le dinamiche dell’occupazione giovanile appena descritte. E’ sufficiente pensare alla famiglia che, prima della legge sul divorzio del 1970, era un istituzione solidissima: il posto di lavoro e il matrimonio segnavano l’emancipazione e l’entrata nell’età adulta. L’idea stessa di stato nazionale richiamava quella di famiglia sotto l’aspetto della solidità e del senso di appartenenza. Le frontiere nazionali rappresentavano i confini esclusivi e duraturi entro i quali si realizzava la vita associata ed erano pertanto il luogo privilegiato ove costruire il proprio progetto di vita.

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Oggi le frontiere locali sono continuamente attraversate dall’informazione globale; la cultura di un paese è costantemente soggetta alle influenze esterne; ci si sposta da uno stato all’altro con molta facilità e in poche ore si può raggiungere un altro continente. Il senso di appartenenza allo stato nazionale e la certezza delle frontiere locali sono venute meno. La politica non è più in grado di dare risposte adeguate ai problemi della sopravvivenza quotidiana, ma soprattutto non è più portatrice di valori saldi, al contrario dei grandi movimenti del passato. Anche gli investimenti nel matrimonio e nel lavoro non prefigurano più la garanzia di esiti certi e duraturi. Il processo di individualizzazione che ne consegue, se, da un lato, comporta maggiore libertà di espressione e identificazione, dall’altro, produce solitudine e insicurezza. L’incertezza e la precarietà, dunque, segnano il presente e il futuro dei giovani, che, nel tentativo di dare un senso alla propria esistenza, rischiano di perdersi. Gli adulti di riferimento inoltre sono disorientati quanto i propri figli, così i giovani sono privati anche del sapere dell’esperienza. Gli effetti di questo disorientamento sono tangibili; i giovani non investono sul proprio futuro perché troppo nebuloso, lasciano la scuola, vivono con i genitori più a lungo, passano periodi di totale inattività, si sposano più tardi, fanno meno figli, si separano facilmente… Alla luce di questo quadro interpretativo del mondo giovanile, le politiche rivolte ai giovani dovrebbero partire da una visione globale di rinnovamento. Il Distretto Sociale 6

Sul nostro territorio i giovani dai 15 ai 34 anni nel 2011 costituivano quasi il 24% della popolazione, come evidenziato in tabella:

15,35%

23,69%

46,58%

13,17%

1,22%

0

5.000

10.000

15.000

20.000

25.000

DISTRIBUZIONE PER FASCE D'ETA DELLA

POPOLAZIONE AL 30/06/2011

Popolazione 7.722 11.920 23.440 6.628 612

0-14 15-35 36-65 66-85 over 86

Rispetto alla distribuzione sui diversi Comuni, si rilevano alcune peculiarità. Osservando l’incidenza della fascia 15-35 sul totale dei residenti per ogni Comune, Pieve Emanuele e Vernate

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sono al primo e al secondo posto, rispettivamente con il 26,78% e il 24,53% di incidenza, superando la media distrettuale che è pari al 23,69%.

POPOLAZIONE GIOVANILE 2011 per COMUNE Distretto 6

Giovani 15-35 % sul totale popolazione

Pieve Emanuele 4.303 26,78%

Lacchiarella 1.846 21,66%

Binasco 1.493 20,41%

Zibido San Giacomo 1.531 22,70%

Noviglio 1.042 23,01%

Casarile 920 23,33%

Vernate 785 24,53%

11.920

L’unico Servizio per i giovani che il Distretto Sociale 6 ha gestito nella triennalità del pdz 2009-2011, è l’”Educativa di Strada”, che si è consolidato nel territorio a partire dal 2005. Tuttavia dal 2009 si è reso necessario, per motivi di budget, interrompere la prosecuzione del servizio a livello distrettuale, con l’obiettivo di rivalutare e riprogrammare l’impiego di risorse sulle politiche giovanili nel suo complesso. Due Comuni del Distretto, Zibido San Giacomo e Noviglio, hanno però scelto di proseguire autonomamente con l’intervento nei propri territori. Dai tavoli è emerso che sul territorio mancano luoghi ed occasioni di socializzazione e di aggregazione per i giovani, che, (secondo ciò che riportano i soggetti del territorio), spesso si ritrovano agli angoli delle strade o nei parchetti. Negli ultimi due anni solo tre Comuni sono riusciti a garantire il funzionamento di Centri di Aggregazione Giovanile: Zibido SG, Lacchiarella e Noviglio. Nel 2011 però Lacchiarella ha dovuto chiudere il servizio per mancanza di risorse economiche. Per quanto riguarda la gestione e presa in carico dei casi di Penale Minorile, è il Comune di Pieve Emanuele a registrare la maggiore concentrazione di segnalazioni. Sul totale distrettuale, il 47,6% nel 2010 e il 100% nel 2011 dei minori segnalati, sono residenti a Pieve Emanuele. Quanto detto sul tema della genitorialità è stato in parte confermato durante la Diagnosi, anche in merito al disagio giovanile. La difficoltà delle famiglie nel comprendere i comportamenti dei giovani e di conseguenza nell’accoglierne le principali istanze, è un ambito entro il quale intervenire attraverso un supporto diretto alla genitorialità finalizzato ad affrontare i temi del disagio giovanile. Informando e stimolando i genitori a conoscere ed interpretare gli ambiti in cui si sviluppa la personalità dei propri figli adolescenti, come la scuola, i luoghi ricreativi, internet e la televisione, si agevola l’acquisizione delle competenze relazionali e di comunicazione all’interno della famiglia. Durante gli incontri di confronto con la rete del territorio per la rilevazione dei bisogni prevalenti dei giovani, si è resa evidente la necessità, soprattutto per quest’area di intervento, di coinvolgere direttamente i principali portatori di interesse, per la definizione di politiche più centrate e realmente rispondenti alla realtà del nostro territorio. Rileviamo infatti che anche Le linee di Indirizzo della Regione, nella parte in cui descrivono lo scenario della popolazione giovanile,

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riportano l’esito di una ricerca che ha raccolto direttamente le domande dei giovani alle istituzioni18. Ciò che risulta evidente, è che nel Distretto Sociale 6, con il Piano di Zona 2006-2008 si era dato avvio ad una progettazione sovra comunale che mirava all’attivazione di politiche giovanili integrate, ma nell’ultimo triennio si è dovuto interrompere questo processo per mancanza di risorse economiche. Il risultato è che oggi gli interventi sul nostro territorio risultano frammentati e spesso dipendono dai flussi di finanziamento settoriali che non sono in grado di garantire la continuità e l’unitarietà degli interventi.

3.4 AREA ADULTI

Quanto fin’ora descritto in merito alla crisi del mercato del lavoro ed alle conseguenti ripercussioni sulle famiglie, trova riscontro anche nella situazione del nostro territorio. Dal 2009 è attivo un Servizio di Inserimento Lavorativo distrettuale, gestito in convenzione con AFOL (Agenzia Formazione, Orientamento, Lavoro – Sud Milano) a favore di soggetti appartenenti all’Area dello Svantaggio19 che affronteremo in questo paragrafo e la Disabilità20di cui si discuterà nel capitolo sulle Non Autosufficienze. L’obiettivo del Servizio è quello di favorire l’integrazione sociale e l’inserimento nel mondo del lavoro dei soggetti fragili, attraverso azioni di formazione, orientamento ed accompagnamento finalizzate all’occupazione. Facendo diretto riferimento al report descrittivo, elaborato da AFOL sull’attività svolta nel 2011, riportiamo alcuni dati utili a delineare i punti deboli e le emergenze del mercato del lavoro sul nostro territorio. La tabella che segue indica la suddivisione per fasce d’età dell’utenza che è stata segnalata dai Servizi Comunali, al Servizio CSIOL Area Svantaggio nel corso del 2011:

18 Paragrafo 4.2 “Le domande dei giovani alle istituzioni” 19 Giovani maggiori di 16 anni, adulti svantaggiati dell’area dipendenze, carcere, nuove povertà, immigrazione 20 Invalidi civili e invalidi secondo la legge 104/92

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Sembra che le fasce più in difficoltà per l’occupazione, siano i giovanissimi under 25 che, come confermato dai dati esposti nel paragrafo precedente, fanno fatica ad entrare nel mercato del lavoro, e gli over 40 e 50 che sono difficilmente ricollocabili. Per questi ultimi si verificano periodi di lunga disoccupazione, magari inizialmente sostenuti dagli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione e la mobilità, ma che costringono comunque persone adulte all’inattività. Il senso di impotenza e di inutilità, l’angoscia di accumulare debiti e di non riuscire più a rientrare nel mercato del lavoro e il pensiero di perdere anni di contribuzione che dovrebbero assicurare la pensione, producono effetti devastanti sull’autostima e sull’equilibrio psichico. Il senso di precarietà e l’incertezza del futuro diventano in queste situazioni, paragonabile a quello descritto per i giovani in precedenza. Gli effetti soggettivi però possono essere ancora più devastanti quando la risposta a queste preoccupazioni sfocia nell’abuso di alcool, nella dipendenza dal gioco o anche nell’illegalità. Per questi motivi il fattore tempo, per la ricollocazione degli over 40/50, diventa elemento fondamentale. Se si analizza il grafico sulla suddivisione per titolo di studio dell’utenza in carico al servizio, si rileva inoltre, un tasso di scolarizzazione molto basso.

Il 77% delle prese in carico si riferisce a persone con un titolo di studio pari o inferiore al livello minimo previsto per l’obbligo scolastico nel nostro paese. Il 68% dei disoccupati segnalati al Servizio possiede solo la licenza media, mentre il 7% le scuole elementari e il 2% non ha conseguito nessun titolo di studio. Non bisogna dimenticare che i dati raccolti dal Servizio sono inerenti solo alle segnalazioni pervenute dai Servizi Sociali dei Comuni. Ciò significa che questi dati non sono rappresentativi di tutta la popolazione disoccupata sul nostro territorio, ma solo di quella che rientra nell’area dello svantaggio e che in quanto tale, necessita di un percorso integrativo rispetto a quello previsto dai normali canali di collocamento previsti dalla legge per la generalità dei cittadini. È interessante però notare che la “tipologia dello svantaggio” o comunque la problematica prevalente dei soggetti seguiti dallo CSIOL nel corso del 2011, è stata per il 60% la nuova povertà e l’indigenza.

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Le aree tipiche dello Svantaggio come le dipendenze, l’area carcere e gli psichiatrici senza certificazione di invalidità, risultano marginali a confronto con l’incidenza della fascia della nuova povertà. Secondo il report CSIOL l’utenza che accede al servizio per incapacità reddituale è andata aumentando in modo graduale nel corso dell’ultimo decennio. Spesso proprio durante la presa in carico sono emerse altre criticità connesse alla condizione di povertà e disoccupazione, come l’uso di alcool o di sostanze stupefacenti e il disagio emotivo e psicologico derivante dalla propria situazione. Queste manifestazioni di disagio però, se non affrontate, interferiscono negativamente con la capacità di proporsi sul mercato del lavoro. In termini di genere invece, il campione presenta una prevalenza di uomini nella misura del 60%. È possibile ipotizzare che le donne in caso di necessità, trovino più facilmente e in modo autonomo, occupazioni informali e temporanee presso famiglie come colf, baby sitter o badanti. Ciò che bisogna considerare inoltre, e che vale per tutte le categorie di disoccupati, è che le poche possibilità di inserimento lavorativo esistenti, nella maggioranza dei casi offrono contratti temporanei e precari che producono un sistema di ricerca continua. Chi ha un contratto a termine non può abbassare la tensione della ricerca, in quanto presto si troverà di nuovo disoccupato. Questo meccanismo di instabilità e incertezza, porta spesso a scoraggiamento e depressione, che se non affrontati e sostenuti adeguatamente, possono sfociare in vere e proprie patologie, tanto da richiedere la presa in carico da parte dei servizi specialistici. Non è stato possibile raccogliere dati sull’accesso ai servizi Sanitari quali CPS e SERT in tempi utili da poter condurre una analisi incrociata di questo fenomeno, ma sicuramente si rende necessario in futuro mettere in rete i dati per un monitoraggio preventivo di questi fenomeni. Nel 2010 e 2011 l’investimento distrettuale sul Servizio CSIOL Disabili e Svantaggio è stato in media di € 80.000 l’anno. Dal 2012 a fronte della drastica diminuzione delle risorse economiche, si è reso necessario ridurre considerevolmente l’investimento e non si è in grado attualmente di prevedere se negli anni successivi sarà possibile garantire la continuità al servizio. Per avere un quadro completo delle risorse messe in campo nell’area lavoro, bisogna aggiungere che nel 2010 tre

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Comuni del Distretto hanno investito risorse proprie per gli inserimenti lavorativi per un totale di € 10.175. Le preoccupazioni portate dai soggetti del territorio durante la fase di Diagnosi per l’area Adulti, hanno riguardato prevalentemente gli effetti della crisi economica di cui abbiamo ampiamente parlato in queste pagine. Lavoro, emergenza abitativa e prevenzione delle situazioni di multi problematicità, sono stati i principali temi affrontati. Riguardo al tema dell’occupazione, si conferma l’aumento degli adulti over 50 che, sempre più numerosi, giungono ai servizi formali e informali dopo la perdita del lavoro. Per tale motivo, i Comuni del Distretto hanno condiviso la necessità di aumentare le Borse Lavoro e i Tirocini, che, oltre a concorrere alla formazione e all’inserimento lavorativo, contrastano la condizione di lunga inattività. Sul nostro territorio mancano anche progetti di Housing Sociale per l’accoglienza temporanea o per l’avvio di percorsi di autonomia semi protetti, rivolti alle categorie fragili (disabili, psichiatrici, ex detenuti, anziani autosufficienti…). In merito alle soluzioni abitative è stato evidenziato inoltre, che non esistono Servizi o strutture di prima accoglienza per i senza fissa dimora, ne tanto meno sistemi di pronto intervento. Gli individui singoli non inseriti in un nucleo familiare potrebbero essere i primi a rischio di entrare a far parte della categoria. Infatti, se nel caso di sfratti esecutivi di nuclei familiari, le amministrazioni comunali sono obbligate ad intervenire per la tutela dei minori, nel caso degli adulti, le alternative in caso di perdita dell’abitazione, si riducono ai dormitori pubblici di Milano o all’accoglienza temporanea da parte di amici o parenti. Gli alloggi popolari presenti sul territorio non sono sufficienti ad accogliere il numero reale delle famiglie che attualmente non sono in grado di sostenere le spese medie del mercato privato dell’abitazione. Aler inoltre sta provvedendo alla vendita di diversi appartamenti che, invece di essere assegnati alle Amministrazioni per rispondere alle graduatorie, entreranno a far parte del mercato privato. La spesa dei Comuni relativa ai contributi economici generici per l’area Grave Emarginazione, secondo la rendicontazione del 2010, è stata pari a € 39.669, mentre il sostegno alle spese per i canoni e le utenze domestiche ha raggiunto complessivamente i € 43.106. Il totale dei contributi quindi è pari a € 82.775, di cui hanno beneficiato 189 utenti. Se si considera la spesa totale del Distretto su tutte le aree, l’importo è pari a € 287.171, per 390 utenti. Una spesa consistente se si considera che si tratta di erogazioni dirette. Per completare il quadro degli investimenti distrettuali, sull’area Adulti, ricordiamo la convenzione con l’Associazione “Donne insieme contro la violenza”21 per la gestione dello Sportello di Ascolto. L’associazione offre ascolto, solidarietà, consulenza legale e psicologica e collabora con i Servizi e le altre associazioni del territorio per garantire percorsi di uscita dalla condizione di assoggettamento. L’accesso allo Sportello di Ascolto non è riservato solo alle donne residenti in Pieve Emanuele ma è aperto a tutta la cittadinanza del Distretto. L’attività di sensibilizzazione, verso il tema della violenza alle donne, svolta dall’Associazione in questi anni, ha generato la gemmazione di un altro Sportello nel distretto. Dal 2012 infatti, nel Comune di Noviglio è stato aperto un altro sportello di ascolto in sinergia con l’Associazione di Pieve e con il sostegno del Credito Cooperativo Cassa Rurale ed Artigiana di Binasco. Si può considerare questa esperienza come un esempio concreto di Welfare locale sussidiario che ha visto la collaborazione e co-progettazione di soggetti della rete appartenenti a settori diversi: il privato sociale, il Volontariato e il pubblico.

21 Nel 1998 ha avviato una attività rivolta al sostegno delle donne vittime di maltrattamenti e/o abusi sessuali in famiglia o nei luoghi di lavoro.

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3.5 AREA STRANIERI Le migrazioni nel mondo A livello mondiale, negli ultimi dieci anni i migranti sono aumentati di 64 milioni di unità e secondo l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni sono attualmente 214 milioni (4,2 milioni dei quali sono italiani). I flussi di migranti hanno sfiorato i 6 milioni di unità l’anno e, seppure rallentati nell’attuale fase di recessione, secondo le previsioni dell’Ocse acquisteranno nuovo dinamismo con la ripresa economica. L’UNHCR22 attesta che nel 2010 sono state 43,7 milioni le persone in fuga; 15,4 milioni sono stati i rifugiati (4 su 10 nei Paesi in via di sviluppo) e 850mila i richiedenti asilo, con gli Stati Uniti (55.530 domande), la Francia (47.800) e la Germania (41.330) come primi paesi di accoglienza. In Italia le 10mila domande d’asilo del 2010 risultano dimezzate rispetto all’anno precedente a seguito dei respingimenti in mare previsti dall’accordo italo-libico del 2009. Tuttavia nel 2011, con la ripresa degli sbarchi (oltre 60mila fino al mese di settembre), si è riproposta la necessità di pervenire a un sistema in grado di accogliere i richiedenti asilo anche in caso di eventi straordinari. Le migrazioni in Europa L’Unione Europea, il cui tasso di fecondità è pressoché dimezzato rispetto al 1952 (quando era di 2,6 figli per donna), si conferma come una forte area di immigrazione, con il coinvolgimento anche dei nuovi paesi: ad esempio in Polonia, nel 2011, è stata decisa la regolarizzazione di circa 300mila non comunitari. Nell’UE a 27, a fine 2009, erano 32,5 milioni i residenti con cittadinanza straniera (incidenza del 6,5% sulla popolazione) e 14,8 milioni quelli nati all’estero ma diventati cittadini del Paese in cui vivono, per cui quasi un decimo della popolazione non ha un’origine autoctona. I casi di acquisizione di cittadinanza nella UE sono stati 776mila nel 2009, più di 2mila al giorno. La situazione italiana In Italia nel 1861, anno dell’Unità, su 22.182.000 residenti gli stranieri erano 89mila, appena uno ogni 250 (incidenza dello 0,4%) e rivestivano posizioni socio-occupazionali ragguardevoli. A differenza della Francia, interessata a contrastare il calo demografico con una decisa politica di insediamento e di naturalizzazione, e della Germania, bisognosa di sostenere il suo sviluppo con l’arrivo di polacchi e di italiani, per l’Italia iniziava il periodo della grande emigrazione, durata più di un secolo con ben 30 milioni di espatri. Nel 1951, anno del primo censimento del dopoguerra, gli stranieri erano 130mila su 47.516.000 residenti, e superarono l’incidenza dell’1% solo nel 1991 (625mila su 56.778.000 residenti). Da allora, in Italia è iniziata la fase della grande immigrazione, che ha superato 1 milione di unità solo nel 2001 (1.334.889). Al 31 dicembre 2010, su 60.626.442 residenti nel Paese, i 4.570.317 stranieri (per il 51,8% donne) incidono sulla popolazione per il 7,5% (52 volte di più rispetto al 1861) ed esercitano un ruolo rilevante nel supplire alle carenze strutturali a livello demografico e occupazionale. Ai residenti, secondo la stima del Dossier statistico immigrazione 2011 a cura di Caritas italiana e Fondazione Migrantes, bisogna aggiungere oltre 400mila persone regolarmente presenti ma non ancora registrate in anagrafe, per una stima totale di 4.968.000 persone. La ripartizione territoriale degli immigrati in Italia è la seguente: Nord Ovest 35,0%; Nord Est 26,3%; Centro 25,2%; Sud e Isole 13,5%. Analizzando le zone di provenienza, si nota come negli ultimi anni ci sia stato un deciso incremento dei flussi provenienti dall'Europa orientale, che hanno superato quelli relativi ai Paesi del Nordafrica, molto forti fino agli anni novanta. Ciò è dovuto in particolare al rapido incremento della comunità rumena che, in particolare nel 2007, è all'incirca

22 Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (United Nations High Commissioner for Refugees – Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati).

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raddoppiata, passando da 342.000 a 625.000 persone, rappresentando quindi la principale comunità straniera in Italia. Ciò è dipeso dall'ingresso della Romania nell'Unione Europea che ha facilitato i flussi e dall'affinità linguistica. Al 1° gennaio 2011 i romeni, con quasi un milione di residenti, rappresentano la prima comunità straniera (oltre un quinto degli stranieri presenti in Italia). A seguire la comunità albanese, marocchina, cinese ed ucraina.

Scenario demografico in mutamento L’immigrazione costituisce un rimedio, seppure parziale, al continuo processo di invecchiamento demografico e al basso tasso di fecondità (1,29 per le donne italiane rispetto a 2,13 per quelle straniere). La diminuzione dei nuovi nati in Italia è infatti in parte compensata dall’incidenza crescente dei figli degli immigrati (13,9% nel 2010, quota che sale al 18,4% considerando i nati da madre straniera e padre italiano). Gli stranieri, la cui età media è di 32 anni (contro 44 degli italiani) si caratterizzano per la forte incidenza dei minori (21,7%) e delle persone in età lavorativa (78,8%), mentre gli ultra65enni superano di poco il 2% (sono invece un quinto tra la popolazione italiana). In altri termini, gli stranieri sono appena 1 ogni 100 tra gli anziani, ma oltre un decimo dei minori e dei giovani adulti (18-39 anni). Il volto dell’Italia del prossimo futuro è già visibile nelle regioni dove l’incidenza degli immigrati ha raggiunto il 10% (come la Lombardia). A metà secolo, secondo l’Istat, gli stranieri potranno essere 12,4 milioni, con una incidenza del 18% sui residenti. Per le famiglie italiane, dove le donne lavorano, e per i numerosi residenti in condizioni di non autosufficienza (un sesto delle persone tra i 70 e i 74 anni e quasi la metà degli ultra80enni), è molto utile l’apporto delle badanti e delle collaboratrici familiari (secondo stime sarebbero circa 1,5 milioni) le quali, però, risultano coperte dalla contribuzione previdenziale in meno della metà dei casi. L’inserimento sociale in Italia Da una parte, sono numerosi gli indicatori di un positivo inserimento. Tra il 1996 e il 2009 sono stati 257.762 i matrimoni misti (21.357 nell’ultimo anno, 1 ogni 10 celebrati). Nel 2010 i casi di cittadinanza sono stati 66mila. I minori figli di immigrati sono quasi 1 milione, ai quali si aggiungono si aggiungono 5.806 minori non accompagnati (senza contare i comunitari). Le persone di seconda generazione sono quasi 650mila, nate sul posto ma senza cittadinanza. Gli iscritti a scuola nell’anno scolastico 2010-2011 sono 709.826 (incidenza del 7,9% sulla popolazione studentesca, e ancora più alta nelle materne e nelle elementari). Gli universitari stranieri ammontano a 61.777 (3,6% del totale). I lavoratori immigrati (2.089.000 secondo l’Istat e circa 200mila in più includendo i non residenti) costituiscono un decimo della forza lavoro, sono determinanti in diversi comparti produttivi e rinforzano il mercato occupazionale per via di un tasso di attività più elevato, della disponibilità a ricoprire anche mansioni meno qualificate e della bassa competizione (almeno sul piano generale) con gli italiani, se non nel sommerso. D’altra parte, non mancano gli indicatori di disagio, ad esempio a livello abitativo (è coinvolto il 34% degli immigrati rispetto al 14% degli italiani) e sono numerosi i casi di discriminazione segnalati all’UNAR23 (540 casi pertinenti in diversi ambito della vita sociale, dagli uffici pubblici ai media). Il saldo, però, tra i versamenti degli immigrati all’erario e le spese pubbliche sostenute a loro favore è ampiamente positivo (1,5 miliardi di euro secondo una stima del Dossier Caritas 2011).

23 Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali

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Dal globale al locale Per quanto riguarda la distribuzione sul territorio nazionale, la Lombardia è la Regione con la maggiore concentrazione di popolazione straniera. Al primo gennaio 2011 la popolazione straniera in Lombardia, ammontava a 1.064.447, registrando quindi un incremento di oltre il 10% dall’anno precedente, quasi un quarto degli immigrati sul territorio italiano. L’incidenza della popolazione straniera sul totale è decisamente più elevata nella zona sud-orientale della regione in prossimità di alcuni centri urbani fra cui Milano, Bergamo e Brescia, che offrono anche maggiori possibilità di lavoro per la concentrazione delle attività commerciali e delle aziende. Assai meno rilevante, invece, la presenza di immigrati, sull’arco alpino. Oltre il 35% della popolazione straniera risiede comunque a Milano e Provincia.

Il Distretto Sociale 6 L’incidenza della popolazione straniera sul nostro territorio rispecchia quella nazionale, la quale si aggira intorno al 7%. Tuttavia l’Osservatorio della Provincia di Milano nel XII Rapporto sull’immigrazione straniera24 rileva che nei comuni del Distretto il tasso di irregolarità dei cittadini stranieri è pari al 12,7% della popolazione straniera presente. Nel triennio dal 2008 al 2010 si è registrato un lento incremento come evidenziato in tabella.

Incremento popolazione straniera Distretto

Anno Tot pop. straniera

Tot pop. Distretto %

2008 3.199 49.537 6,5% 2009 3.476 50.057 6,9% 2010 3.576 50.090 7,1%

La distribuzione fra i sette Comuni, nel 2010, pone Pieve Emanuele al primo posto con 1.581 stranieri (il 9,9% della popolazione totale del Comune e il 44,2% sul totale degli stranieri nel distretto). Da rilevare che l’incidenza della popolazione immigrata rispetto alla popolazione residente del singolo Comune, colloca Casarile al secondo posto dopo Pieve Emanuele, con l’8,1% di residenti stranieri, nonostante sia fra i comuni più piccoli.

Distribuzione Popolazione Straniera nel Distretto 6 - 2010

Pop. 2010 di cui Stranieri % su pop. comune % su tot stranieri

Pieve Emanuele 16.000 1.581 9,9% 44,2% Lacchiarella 8.480 608 7,2% 17,0%

Binasco 7.268 436 6,0% 12,2%

Zibido San Giacomo 6.730 292 4,3% 8,2%

Noviglio 4.508 178 3,9% 5,0% Casarile 3.915 317 8,1% 8,9%

Vernate 3.189 164 5,1% 4,6%

50.090 3576

24 Anni 2008/2009

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Dalla rilevazione anagrafica effettuata per il 2010, la composizione della popolazione straniera per nazionalità, sul nostro territorio rispecchia in parte i dati regionali che mettono al primo posto albanesi, rumeni, egiziani e marocchini. La Romania e l’Albania insieme al Marocco, sono sicuramente le provenienze prevalenti anche nel nostro territorio, ma è da rilevare anche la presenza di sud americani. Questo dato è dovuto alla concentrazione di peruviani ed ecuadoregni sul territorio di Pieve Emanuele che incide sul totale distrettuale. Da rilevare anche la presenza significativa di cittadini asiatici, in particolare cinesi e filippini che nell’ultimo triennio è in aumento (nel 2008 gli asiatici erano il 12,69% sul totale degli stranieri, contro il 14,99% nel 2010). Di seguito proponiamo un grafico con la suddivisione per provenienza degli stranieri su tutto il Distretto secondo i dati sulla popolazione regolare al 31/12/2010. Non è stato possibile aggregare i dati per stato di provenienza pertanto è stata fatta un’analisi per continente, che restituisce comunque una fotografia della popolazione straniera sul nostro territorio.

POPOLAZIONE STRANIERA PER PROVENIENZA - ANNO

2010 - DISTRETTO 6

Unione Europea

23,91%

Altri Paesi

Europei

22,15%

Africa

17,98%

America

20,75%

Asia

14,99%

Apolidi

0,17%

Oceania

0,06%

Unione Europea Altri Paesi Europei Africa America Asia Oceania Apolidi

Caratteristiche locali del fenomeno Sul territorio si registrano alcuni fenomeni specifici che caratterizzano il Distretto sotto il profilo dell’immigrazione rispetto al resto della provincia di Milano. Il primo, di carattere socio-economico, fa riferimento al recente insediamento (dal 2009) di un numero consistente di attività commerciali gestite da imprenditori cinesi (in parte provenienti da via P. Sarpi - MI) presso il Centro Commerciale Il Girasole di Lacchiarella. Il secondo, invece, riguarda l’elevata presenza di vittime della tratta e dello sfruttamento delle donne (per la metà provenienti dalla Nigeria) ai fini della prostituzione di strada, lungo la provinciale n. 40 Binasco – Melegnano, teatro di frequenti episodi di conflitto e intolleranza.

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Dal maggio 2011, invece, il Distretto è stato profondamente segnato dall’arrivo a Pieve Emanuele, di 420 uomini25 provenienti dai Centri di Accoglienza di Lampedusa. Con un’età approssimativa tra i 18 e i 45 anni, sono lavoratori fuggiti (o imbarcati a forza) a causa del conflitto allora in corso. In un contesto sociale molto fragile come quello del sud milanese, pertanto, si sono sommate nuove criticità a quelle preesistenti. Si è dovuta affrontare una complessa convivenza per l’alto numero dei cittadini ospiti, per le diverse nazionalità, lingue, appartenenze religiose, livelli sociali e d’istruzione, e per l’incertezza relativa al loro soggiorno in Italia. Tale situazione ha provocato un’alta reattività nella popolazione locale, per l'alta concentrazione di richiedenti asilo, nonché per la crisi economica che aveva colto già il territorio. Le conseguenze della crisi economica L’attuale momento di difficoltà economica del Paese mette a rischio un gran numero di lavoratori stranieri, più vulnerabili e fragili all’interno del mercato del lavoro La perdita del lavoro può condurre alla clandestinità, poiché senza un contratto lavorativo, non è possibile rinnovare il permesso di soggiorno. Ciò significa che molte famiglie immigrate che avevano già avviato dei percorsi di stabilità nel nostro Paese, dovranno affrontare il fallimento del progetto migratorio o modificarlo in modo significativo. Basti pensare al fatto che ciò possa comportare il procrastinarsi del proposito di avviare le pratiche per il ricongiungimento con i familiari rimasti nel paese d’origine. Ciò conduce al prolungamento dei tempi di separazione con implicazioni sui legami affettivi e sulle dinamiche relazionali tra i membri di uno stesso nucleo familiare. I bisogni emergenti Innanzitutto, l’accesso alla rete dei servizi, anche sotto l’aspetto meramente informativo, risulta essere ancora un punto debole della rete dei Servizi. Spesso il problema della lingua impedisce una comprensione adeguata delle indicazioni che gli stranieri ricevono dagli operatori. Districarsi nelle pratiche burocratiche e comprendere il sistema dei servizi italiani per l’accesso alle prestazioni diventa molto complesso per cittadini stranieri che provengono spesso da Paesi in cui non sono garantiti i diritti civili. In molti casi il supporto di connazionali presenti sul territorio da più tempo diventa fondamentale per la comprensione delle informazioni e per l’accompagnamento presso i vari uffici. In altri casi senza l’aiuto di un valido traduttore diventa impossibile comunicare. A tal proposito, sul Distretto è attivo in gestione associata, da alcuni anni lo Sportello Stranieri. Si tratta di un servizio oramai storico sul nostro territorio che viene utilizzato prevalentemente per la consulenza sulle pratiche legate alla regolarizzazione dei documenti ma anche come punto informativo sulle varie opportunità offerte dal territorio e dai Servizi Sociali e Sanitari. Dal 2010 però, si è dovuto procedere ad una riduzione graduale dell’investimento, passando da 16 a 7 aperture mensili nel 2011. Per il 2012 è stato finanziato con la Legge 40/98 un progetto che l’Ufficio di Piano ha presentato come ente proponente, insieme a tre cooperative specialiste sull’area stranieri, e che coinvolgerà i Distretti 6 e 7. Nel progetto è stata prevista l’attività dello Sportello Stranieri e un servizio di mediazione linguistico-culturale, di supporto sia alle scuole del territorio, sia ai Servizi Sociali dei diversi Comuni per le prese in carico delle famiglie straniere. Prevedere questi interventi nel progetto L.40, è stato un primo tentativo di rispondere alle esigenze portate dai soggetti del territorio durante la Diagnosi Sociale, in particolare riguardo alla presenza massiccia di minori stranieri che frequentano le nostre scuole. Garantire un buon inserimento ai minori nelle scuole, significa garantire la loro integrazione nel contesto sociale in cui si troveranno a costruire il proprio futuro lavorativo e familiare. La possibilità di intervenire a loro supporto durante la crescita e la formazione è ciò che rende l’intervento sul minore straniero più incisivo

25 Originari dei seguenti paesi: Africa occidentale, Sub Continente Indiano, Corno d’Africa, Libia.

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rispetto a quello sull’adulto che arriva già con un suo bagaglio di esperienze formative e lavorative spesso molto dissimili da quelle che troverà nel nostro paese. Sostenere, quindi, l’inserimento, l’integrazione e il successo scolastico dei minori stranieri, garantisce loro un ventaglio di opportunità per il futuro molto più ampio di quello che a cui hanno avuto accesso i genitori. Le ore di mediazione linguistico-culturale previste nel progetto ad uso, invece, degli Assistenti Sociali dei Comuni sono state previste per rispondere ad un’altra richiesta pervenuta direttamente dagli stessi operatori durante la Diagnosi Sociale. La presa in carico dei nuclei stranieri è talvolta più complessa perché insieme a normali problematiche che interessano anche le famiglie italiane, come il lavoro, la casa o la genitorialità, si innestano criticità relative alle differenze culturali e alle difficoltà linguistiche. Ciò detto, considerato l’elevato numero di richieste d’aiuto e la loro complessità in termini culturali, si registra un aumento del divario tra le conoscenze degli operatori e i bisogni degli stranieri. Da qui, la necessità di avviare una efficace formazione rivolta agli operatori, per offrire risposte adeguate a bisogni e universi di senso eterogenei, rafforzando parallelamente le competenze in ordine agli aspetti legislativi. È importante per gli operatori conoscere le diverse sfaccettature delle culture di appartenenza, i risvolti psicologici ed emotivi legati alla lontananza dal paese di origine ed evitare le stigmatizzazioni. Il continuo confronto tra due diverse concezioni del mondo a cui è sottoposta la famiglia straniera, è il punto di partenza da cui poi dipende il processo di inserimento nel tessuto sociale italiano. Altro aspetto sul quale durante la ricognizione sui bisogni, sono emerse diverse sollecitazioni riguarda i processi di integrazione. La comunità ospitante svolge un ruolo determinante in questo percorso. Ed è proprio dalla sensibilizzazione della cittadinanza che ci è stato suggerito di partire. È importante predisporre il terreno al dialogo e all’accoglienza stimolando la partecipazione attiva della cittadinanza alla vita di comunità, attraverso il coinvolgimento e l’interazione di italiani e stranieri, perché possano avviarsi processi di scambio e di riconoscimento reciproco. Un contributo importante, inoltre, può essere fornito dalle stesse comunità di immigrati che risiedono sul territorio da più tempo e che possono evidenziare le criticità e fare da ponte tra diverse culture. A tal proposito, si è costituita nel 2011 la Consulta dei cittadini stranieri ed apolidi del Comune di Pieve Emanuele, quale organo di rappresentanza della comunità straniera del territorio. Le Consulte rappresentano l’unico strumento cui le amministrazioni locali possono legittimamente ricorrere se vogliono coinvolgere attivamente e all’interno di una cornice istituzionale i cittadini immigrati residenti nella definizione ed attuazione delle politiche per l’integrazione. Soprattutto nelle comunità locali di piccole dimensioni, possono quindi costituire un’opportunità concreta di espressione diretta dei bisogni dei cittadini stranieri, oltre che un contesto in cui sperimentarsi attivamente come portatori di risorse e competenze preziose per orientare efficacemente le politiche per l’integrazione e favorire lo sviluppo di un punto di vista interculturale nelle politiche di governo locale. Estendere l’esperienza associativa pievese a tutto il Distretto potrebbe essere un punto di partenza per l’avvio di politiche sull’immigrazioni che tendano al raggiungimento degli obiettivi sopra esposti.

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3.6 AREA NON AUTOSUFFICIENZE Disabili, Anziani, Salute Mentale

La scelta di rappresentare i bisogni del territorio degli anziani, dei disabili e dei soggetti con disagio psichico, entro un contenitore più ampio come quello delle Non Autosufficienze, da un lato è stata dettata dall’esigenza di guardare in modo trasversale alle priorità e alle problematiche portate dai soggetti fragili destinatari del lavoro di cura, dall’altro ci è sembrata l’interpretazione più coerente del processo di integrazione socio sanitaria in atto in questi anni. Trovare però, una definizione atta ad indicare la fascia di popolazione di riferimento che non si limiti ad elencare semplicemente delle categorie che vi rientrino, non è semplice. Negli ultimi anni sono state elaborate diverse definizioni da diversi enti o istituzioni di settore sia nazionali che internazionali. Alcune limitano la non autosufficienza alla condizione di anziano, altre indicano come elemento caratteristico il bisogno di assistenza permanente e continuativo. La chiave di lettura che ci sembra possa descrivere meglio lo scenario che vogliamo rappresentare in questo capitolo, è partire dalla definizione di Autosufficienza. Quella che proponiamo è stata elaborata dall’Istituto Regionale di Ricerca della Lombardia (IRER):

L’Autosufficienza è

“…uno stato di equilibrio in cui l'individuo si trova rispetto alle proprie risorse personali e

ambientali, variabile in funzione della definizione storica e sociale sia delle capacità funzionali

che danno all'individuo la possibilità di esercitare le sue attività nell'ambito della società in cui

vive, sia delle risposte e supplenze che la società offre ed è disposta ad offrire."

Quando questo stato di equilibrio viene a mancare, si ha una compromissione dei livelli di autosufficienza. I fattori che incidono sullo stato di equilibrio possono riguardare molteplici aspetti della vita della persona: la salute fisica, la salute mentale e l’età. La riduzione dell’autonomia personale implica una modificazione nell’organizzazione della vita ed il sopraggiungere di nuove necessità, sia per chi sta male che per chi si prende cura di lui. Le condizioni di Anziano e di Disabilità sono sicuramente quelle in cui maggiormente si riscontrano problemi di autonomia e bisogno di cura. Secondo le stime dell’OMS26 nel 2050, gli over 60 passeranno da 650 milioni a 2 miliardi. Sappiamo inoltre che nel mondo oggi, ci sono oltre un miliardo di persone con Disabilità. Non sappiamo quante di esse siano anche anziane, ma sicuramente le proiezioni sull’incremento della popolazione over 60, ci preannunciano di conseguenza una diffusione sempre maggiore delle non autonomie legate a disabilità e malattia. Gli anziani

Recentemente è stata presentata al Parlamento Europeo la “Road Map for European Ageing Research”27 che identifica tra le priorità per il futuro della terza età:

26 Organizzazione Mondiale della Sanità. 27 Si tratta di linee guida della ricerca dedicata alla terza età in Europa, alla cui stesura hanno contribuito centinaia di esperti, tra i quali i ricercatori dell’Istituto Superiore della Sanità.

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� Vivere più anni, ma in salute; � Mantenere e rafforzare le capacità mentali; � Garantire la qualità e sostenibilità dei sistemi di protezione sociale; � Favorire il benessere della terza età a casa e negli ambienti comunitari; � Sconfiggere le ineguaglianze nell’invecchiamento.

Entro questa rosa di priorità si riversano i temi fondamentali affrontati anche dal Secondo Rapporto sulla Non autosufficienza in Italia. Assistenza Territoriale e Cure domiciliari pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a novembre 2011. Il documento analizza i temi dell’assistenza territoriale socio sanitaria, delle cure domiciliari e della sostenibilità dei modelli di welfare, partendo da una analisi di previsione demografica alla quale facciamo riferimento per presentare il quadro della situazione italiana presente e futura. Il Rapporto illustra i risultati di una previsione demografica elaborata dall’ISTAT, in cui si ipotizza il trend di crescita della popolazione anziana tra il 2007 e il 2051. Due sono gli aspetti rilevanti che emergono dai dati ISTAT:

- Aumento dell’indice di vecchiaia: dal 144,8% nel 2010 al 253,6% nel 2050 - Aumento del peso della popolazione di 80 anni e più, sulla popolazione complessiva:

nel 2010 gli anziani over 80 erano il 5,8% della popolazione, nel 2020 costituiranno il 7,4% e nel 2050 raggiungeranno un incidenza del 13,5%

Tra i fattori che favoriscono il progressivo invecchiamento della popolazione menzioniamo la diminuzione dei tassi di natalità e fecondità, e la riduzione della mortalità in età avanzata. La profonda trasformazione è sintetizzata dalla durata media della vita. La speranza di vita alla nascita di un neonato in Italia è passata dai 41 anni, all’inizio del secolo scorso, ai 78,7 anni nel 2007 (84 anni per una neonata). Le Nazioni Unite ipotizzano per gli anni 2045-2050 una vita media nei paesi economicamente evoluti, di 79,9 anni per gli uomini (Italia 82,5) e per le donne di 85,6 (Italia 88,4) È evidente che l’Italia è uno dei Paesi europei con il maggior indice di invecchiamento, che significa crescita esponenziale delle spese, sia per sostenere la domiciliarità, sia per il finanziamento delle strutture sanitarie ospedaliere e territoriali. Nel Rapporto sulla Non Autosufficienza, viene messo in evidenza un incremento importante delle malattie croniche soprattutto nelle persone anziane (diabete, ipertensione, cardiopatie, cancro…) che, nonostante restino ancora fra le principali cause di morte in tutto il mondo, registrano negli ultimi anni una diminuzione dei tassi di mortalità, dovuta ai progressi nella medicina ed al miglioramento degli stili di vita. Un altro elemento di complessità evidenziato nel rapporto è la multi morbosità, facilmente riscontrabile dopo i 75 anni, ovvero la presenza di più patologie nello stesso individuo. Ciò comporta un maggiore investimento da parte del Sistema Sanitario nelle fasi di cura, lungodegenza, riabilitazione e assistenza domiciliare. Lo scenario italiano in cui si muove il SSN necessita di un organizzazione distrettuale dell’Assistenza Primaria all’altezza della sfida della complessità che invecchiamento della popolazione, patologie croniche, non autosufficienza e povertà emergenti pongono. Ai fini della sostenibilità del welfare in questo contesto, il Rapporto sulla Non Autosufficienza definisce alcune indicazioni di priorità:

a) Riconfigurazione dei LEA (Livelli Essenziali di Assistenza)28, dedicando maggiore spazio alla dimensione territoriale, in particolare alle cure domiciliari ed alla figura del caregiver

28 I LEA sono le prestazioni e i servizi che il SSN è tenuto a garantire a tutti i cittadini, gratuitamente o tramite ticket

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b) Efficienza, Efficacia e appropriatezza dei servizi pubblici e privati di assistenza, Equità nella ripartizione delle risorse tra ospedale e territorio c) Introduzione di forme di compartecipazione alla spesa in particolare nei servizi per la domiciliarità, ovviamente entro i principi di equità e in base alle capacità reddituali d) Centralità del ruolo di governance in capo al Distretto Socio Sanitario (ASL), per il coordinamento delle reti che operano sul territorio (ASL, Comuni, Terzo e Quarto settore…) e delle risorse che provengono da diverse fonti (Stato, INPS, Regioni, ASL, Comuni…) e) Promozione di formule di vita sana e di invecchiamento attivo

L’invecchiamento attivo è definito dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come “ il processo di ottimizzazione di opportunità per il benessere, per la partecipazione e per la sicurezza delle persone che invecchiano al fine di migliorarne la qualità della vita”. In contrapposizione all’immagine negativa dell’invecchiamento, quindi, è necessario promuovere il coinvolgimento degli anziani in percorsi di realizzazione personale e solidarietà sociale una volta fuori dal mercato del lavoro. In sintesi Invecchiamento attivo significa consentire alle persone anziane di:

1. Partecipare pienamente alla vita della società. 2. Accedere a nuove forme di partecipazione al mondo del lavoro 3. Partecipare ad esperienze di volontariato 4. Vivere in modo autonomo grazie a strutture che tengano conto delle loro esigenze

Il 2012 sarà L’Anno europeo dell’invecchiamento attivo e della solidarietà fra le generazioni. La finalità di tale iniziativa è quella di promuovere una cultura dell’invecchiamento attivo basata su una società per tutte le età, e parallelamente di scardinare l’idea discriminatoria, che vede l’età anziana più come una minaccia che come una risorsa. Nel prossimo futuro saranno promosse politiche e sostenuti progetti che rispondano a queste esigenze.

“Sarebbe inutile l'obiettivo della scienza di aggiungere anni alla vita,

se non fosse possibile aggiungere qualità di vita agli anni”

(Rita Levi Montalcini)

Il Distretto Sociale 6 Negli ultimi 4 anni l’incidenza della popolazione femminile, nel nostro Distretto, è tendenzialmente superiore a quella maschile con una percentuale di scarto leggermente sotto la media nazionale. L’eccedenza media delle donne sugli uomini, dal 2008 al 2010, è pari a +0,69%. Ma se si osservano i dati annuali degli ultimi anni è evidente un incremento di questa differenza: si è passati da 0,77% nel 2008 a 1,49% nel 2010. Le fasce d’età in cui si rileva questo scarto, però, sono quelle riferibili all’età anziana.

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PIRAMIDE DELLE ETA' - DISTRETTO 6 - AL 30/06/2011

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0-14

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36-65

66-85

over 86

Fasce d

i età

Numero abitanti

MASCHI FEMMINE

Ad un primo sguardo le proporzioni fra la presenza femminile e quella maschile, sembrano equidistanti. Se si osserva però nel dettaglio la composizione per fasce d’età, in valori percentuali, risulta evidente che fino all’età pensionabile, sul nostro territorio, si ha una prevalenza del sesso maschile, mentre a partire dai 66 anni di vita sono più numerose le donne.

Composizione Popolazione per Fasce d'età e Genere al 30/06/2011 -

Distretto 6

Fasce d'età N°Maschi % maschi N° Femmine % femmine

0-14 3872 15,54% 3850 15,15% 15-35 6093 24,46% 5827 22,93% 36-65 11726 47,07% 11714 46,10%

66-85 3060 12,28% 3568 14,04%

over 86 161 0,65% 451 1,77%

24912 100,00% 25410 99,99%

Soprattutto nella fascia dei Grandi Anziani over 86, la predominanza del sesso femminile è più evidente. Questo dato conferma ciò che è già stato discusso in merito alla maggiore speranza di vita femminile in Europa e nel mondo. Il nostro territorio è comunque caratterizzato dalla forte presenza di anziani, soprattutto in alcuni Comuni. A livello distrettuale gli anziani over 66 costituiscono quasi il 15% della popolazione:

60

15,35%

23,69%

46,58%

13,17%

1,22%

0

5.000

10.000

15.000

20.000

25.000

DISTRIBUZIONE PER FASCE D'ETA DELLA

POPOLAZIONE AL 30/06/2011

Popolazione 7.722 11.920 23.440 6.628 612

0-14 15-35 36-65 66-85 over 86

Rispetto al numero degli abitanti del Distretto, i Comuni più anziani sono Lacchiarella e Binasco, rispettivamente con il 21,81 % e il 21,10 % della popolazione anziana.

Popolazione anziana Over 66 30/10/2011

n° Anziani %

Pieve Emanuele 1868 25,80% Lacchiarella 1579 21,81% Binasco 1528 21,10% Zibido S.G. 870 12,02%

Noviglio 443 6,12% Casarile 515 7,11%

Vernate 437 6,04% 7240 100,00%

Nell’ambito della spesa dei Comuni per l’Area Anziani, Lacchiarella e Binasco sono quelli che investono maggiori risorse nella gestione del Servizio SAD29 Comunale, insieme a Vernate, per un importo annuo complessivo, nel 2010, di € 367.916,00, cioè il 55,42% della spesa totale dei Comuni nell’Area Anziani per il 2010. Tutti i Comuni hanno un servizio SAD, ma solo Lacchiarella, Binasco e Zibido utilizzano personale dipendente, mentre gli altri Comuni gestiscono il servizio tramite affidamento a Cooperative che forniscono il personale ASA e OSS.

29 Servizio Assistenza Domiciliare

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Per evidenziare l’elevato bisogno di Assistenza Domiciliare nel nostro territorio, va ricordato che i Comuni usufruiscono anche del Voucher Distrettuale. Dal 2005 fra i Servizi distrettuali, è stata avviata la voucherizzazione per i Servizi SAD, SADH, ADM, ADH30. Nel 2010 l’investimento economico relativo ai Voucher Sociali è stato di € 160.000 e complessivamente tra la quota dei servizi Domiciliari comunali e quelli distrettuali, la spesa è stata pari a € 627.384. Per sostenere parte dell’investimento, il Distretto ha utilizzato il Fondo Nazionale per le Non Autosufficienze31. Dal 2012 tuttavia tale Fondo è stato azzerato dalle recenti manovre finanziarie, costringendo i Comuni ad aumentare il proprio cofinanziamento al Budget Unico. Manca nel Distretto un Albo Assistenti Familiari o un Servizio di qualificazione del Badantato. Alla luce delle previsioni in merito alle future disponibilità economiche dei Distretti e dei singoli Comuni, la spesa per l’Assistenza Domiciliare dovrà necessariamente contrarsi. Per questo motivo la mancanza di servizi ed interventi a sostegno del sistema di Badantato potrebbe nel futuro costituire un canale obbligato in cui investire risorse per rispondere al bisogno/domanda di Assistenza Domiciliare. La spesa che i Comuni hanno sostenuto per l’erogazione di contributi economici ai fini a sostegno delle spese domestiche, e abitative, nell’Area Anziani, è stata pari a € 44.121,00. Un importo considerevole che indica la presenza di numerosi anziani poveri o a rischio di povertà, sul territorio. L’aumento del costo della vita degli ultimi anni, non è sostenibile per gli anziani che vivono con le pensioni minime e spesso nemmeno l’integrazione con le provvidenze previste per le invalidità, è sufficiente a sostenere tutti i costi della domiciliarità (farmaci, cure, trasporti, badanti…) Anche il Rapporto per la Non Autosufficienza, richiama la povertà tra i rischi connessi all’invecchiamento; se si considerano anche le situazioni in cui, genitori anziani si trovano a sostenere economicamente i figli adulti con le proprie famiglie o addirittura a riaccogliere figli e nipoti dopo una separazione, il quadro risulta ancora più complesso. Anche il rischio di povertà per gli anziani, dunque, rientra a pieno titolo negli ambiti di intervento preventivo indicati dall’OMS, che abbiamo citato parlando di invecchiamento attivo, opportunità di benessere e qualità della vita. La spesa sostenuta dai Comuni per l’Area Anziani32, nel 2010 è stata complessivamente pari a € 663.893 a cui andrebbero sommati gli investimenti distrettuali. Di seguito in tabella si riporta il dettaglio della spesa divisa per Comune, comprensiva di tutti gli interventi che hanno comportato un investimento economico nell’Area Anziani (Contributi economici, Trasporto Sociale, Integrazione Rette, Servizi per la domiciliarità, Servizi Pasti, SAD, Centri Anziani, Housing o progetti di residenzialità leggera)

30 Servizio Assistenza Domiciliare (SAD), Servizio Assistenza Domiciliare Disabili (SADH), Assistenza Domiciliare Minori (ADM), Assistenza domiciliare Disabili (ADH) 31 Fondo istituito dalla legge 296/2006, recante “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato” (Legge Finanziaria 2007) con la finalità di garantire i livelli essenziali delle prestazioni assistenziali in favore delle persone non autosufficienti. 32 Vi sono ricompresi: contributi economici, SAD Comunali, Servizi Trasporti Sociali, Pasti a Domicilio, Centri Anziani, Integrazione Rette di ricovero e spese interventi di Housing.

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Spesa Area Anziani - Distretto 6 - Anno 2010

Pieve Emanuele € 86.359,00 13,01%

Lacchiarella € 187.420,00 28,23%

Binasco € 161.164,00 24,28%

Zibido San Giacomo € 70.943,00 10,69%

Noviglio € 27.616,00 4,16%

Casarile € 28.091,00 4,23%

Vernate € 102.300,00 15,41%

Totale Spesa Distretto Area Anziani € 663.893,00 100,00%

Risulta evidente che i Comuni che hanno un tasso di popolazione anziana più elevato sono anche quelli che sostengono l’investimento maggiore. La somma della spesa di Lacchiarella e Binasco supera il 50% del totale. La distribuzione della spesa però, non è direttamente proporzionale alla popolazione residente. Il comune di Pieve Emanuele ad esempio, ha speso nel 2010 meno del Comune di Vernate, nonostante il primo sia il più popolato e il secondo sia quello più piccolo del Distretto. Per quanto riguarda il Trasporto Sociale, tutti i Comuni organizzano attraverso convenzioni con associazioni, un servizio per il raggiungimento dei luoghi di cura. Il territorio del Distretto 6 è molto vasto e la distribuzione dei Servizi Sanitari come gli ambulatori, i presidi ASL e gli ospedali non è agevole. L’organizzazione e la comunicazione fra la molteplicità dei servizi e degli sportelli sociali e sanitari assume un importanza fondamentale per garantire l’accesso alle prestazioni e l’esercizio dei diritti alla cittadinanza. A tal proposito, la programmazione ASL ha previsto l’istituzione di un portale informatico online di informazione ed orientamento ai servizi che sia in grado di sostenere sia gli operatori che i cittadini, nella ricerca delle risposte più idonee ai bisogni nel proprio territorio. Parallelamente è stato dato avvio agli sportelli CeAD33 per la presa in carico delle non-autosufficienze in collaborazione con i Servizi Sociali dei Comuni. Nel 2011 i CeAD si sono trasformati in Punti ADI (Assistenza Domiciliare Integrata), presidiati da infermieri che sul territorio si occupano di costituire un equipe integrata insieme agli Assistenti Sociali dei Comuni, per la presa in carico delle situazioni di fragilità. La figura sanitaria del Punto ADI dovrebbe garantire ed agevolare la comunicazione e collaborazione tra le figure sociali e quelle sanitarie. Dalla fase di Diagnosi Sociale è emerso quasi all’unanimità da parte degli Attori Sociali che entrano in contatto con la popolazione anziana la Solitudine delle Famiglie, nell’affrontare il carico di cura. Oggi questo è un ulteriore elemento di affaticamento e deterioramento per i Care Giver familiari. Il lavoro di cura, oltre a “cronicizzare” l’impegno quotidiano e a togliere spazio al tempo libero del familiare, comporta un affaticamento emotivo continuo, accompagnato dall’ansia e la preoccupazione per la salute e il benessere del proprio caro. Le situazioni in cui invece, manca una rete familiare sono di difficile monitoraggio da parte degli operatori, ed anche quelle maggiormente a rischio di emarginazione. La promozione di una comunità in grado di sostenere la domiciliarità e di garantire l’inclusione e la solidarietà sociale, diventa soprattutto in questi casi, una risposta efficace, capace di fortificare una rete di protezione condivisa ed efficiente.

33 Centro di Assistenza Domiciliare

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Gli stessi anziani esclusi ormai dal mondo del lavoro e tagliati fuori dalla vita sociale, difficilmente trovano occasioni di socialità o di reinvestimento delle proprie competenze e capacità nel nostro territorio se si escludono poche realtà associative. Si rileva inoltre, che le situazioni in cui si manifesta un deterioramento delle capacità intellettive34 sono quelle di maggiore criticità, anche laddove è presente una rete familiare. Si rende necessaria in questi casi, una presa in carico complessa del nucleo da parte dei Servizi. Il sistema di protezione deve essere ancora più capillare, ma sul nostro territorio mancano sufficienti risorse informali per il supporto alle famiglie che presentano questo grado di fragilità. Le prese in carico da parte dei Servizi Sociali sono spesso particolarmente complesse proprio per la concentrazione nello stesso nucleo familiare di diverse problematiche (es. problema economico, problema abitativo, patologia invalidante, disturbi psichiatrici o senili, solitudine, non autosufficienza, mancanza di rete familiare, a volte tutela giuridica…) Durante i Tavoli della Diagnosi, gli operatori sociali hanno spesso sottolineato tra le criticità, la collaborazione con i Servizi Sanitari, in particolare con i Medici di Base che sono “partner” determinanti nell’avviare una presa in carico o nell’attivazione di risorse per l’intervento sull’anziano. Di recente si è concluso un percorso formativo35 condiviso e rivolto alle diverse professionalità sociali e sanitarie sulla persa in carico delle non autosufficienze, con particolare riferimento ai casi complessi per i quali si è giunti insieme ad una definizione: “Una situazione che presenta pluripatologia o pluriproblematicità, a volte non riconosciuta dalla

persona o dalla famiglia, che afferisce a più contesti professionali che hanno difficoltà di condividere un progetto comune o che hanno risorse limitate”

Dal lavoro condiviso durante il percorso formativo, gli operatori hanno potuto sperimentare la collaborazione e la conoscenza reciproca, rafforzando quindi le potenzialità della rete per le prese in carico e per l’attivazione dei Piani Assistenziali Integrati (PAI). A tal proposito è in corso la predisposizione di strumenti ad hoc, come la cartella informatica condivisa a cui accederanno operatori sociali e sanitari, per agevolare la circolazione delle informazioni e degli aggiornamenti sulle prestazioni e gli interventi attivati su ogni singolo paziente/utente. La risposta ad alcune sollecitazioni della rete in merito alle difficoltà di collaborazione fra operatori sanitari e sociali, è già in parte contenuta in questa programmazione che si inserisce a pieno titolo nel percorso di integrazione socio – sanitaria.

34 Patologia psichiatrica dell’anziano, demenza senile, Alzheimer 35 Corso IRS:“La presa in carico della persona non autosufficiente attraverso il PAI integrato (Aanitario e Sociale)”- finanziato dalla ASL a cui hanno partecipato: l’Ufficio di Piano, gli assistenti sociali e i responsabili d’area dei sette Comuni, le infermiere del nuovo Punto ADI

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AREA DISABILI

Circa l'80% delle persone con disabilità nel mondo vive una condizione di svantaggio sociale ed economico e spesso non ha la garanzia dei propri diritti. Tra i principali ostacoli rilevati dalle ricerche internazionali36, vi sono lo stigma, la discriminazione, la mancanza di una adeguata assistenza sanitaria e riabilitativa, le barriere architettoniche, l’inaccessibilità ai trasporti, all’informazione e alla comunicazione. Ovviamente si tratta di evidenze globali, rilevate in paesi con livelli di cultura ed avanguardia differenti, pertanto il grado di deprivazione e inaccessibilità ai Servizi è dissimile da stato a stato. Il Rapporto Mondiale sulla Disabilità individua le principali necessità delle persone con Disabilità e analizza ciò che potrebbe essere utile a migliorare la loro vita, in particolare per ciò che riguarda salute, riabilitazione, servizi di supporto, informazione, infrastrutture, trasporti, istruzione e occupazione. Nel documento, pertanto, si esortano i governi a "intensificare gli sforzi per consentire l'accesso ai servizi delle persone con disabilità e ad investire in programmi specializzati per sbloccare il vasto potenziale che queste possiedono", senza dimenticare di incrementare la consapevolezza dell'opinione pubblica, includendo, in questi sforzi, le stesse persone con disabilità quali principali portatori di interesse e conoscenza in detta materia. A tal proposito, il Direttore Generale dell' OMS Margaret Chan ha dichiarato:

"La disabilità è parte della condizione umana. Ognuno di noi, ad una certo punto della vita, sarà temporaneamente o permanentemente una persona con disabilità. Dobbiamo fare di più per rompere le barriere che stanno segregando le persone con disabilità, in alcuni casi costringendole ai margini della

società" In Italia, dei quasi 7 milioni di cittadini con almeno sei anni di età, che risultano affetti da una qualche disabilità permanente, circa 3 milioni dichiarano una disabilità grave37; non sempre però questi ultimi possono essere tutti considerati come "non autosufficienti". La disabilità, infatti, assume forme diverse a seconda del tipo di attività compromessa e di gravità, questo implicherebbe la necessità di valutare il bisogno caso per caso. Secondo una stima del CENSIS38 per gli anni 2010-2020-2040 è possibile ipotizzare l’andamento della progressione della disabilità come riportato nel grafico seguente:

36 Rapporto Mondiale sulla Disabilità – OMS – 2011 37 ISTAT 2001 38 Censis - Centro Studi Investimenti Sociali, Istituto di ricerca socio-economica italiano

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La previsione vede la disabilità, per effetto dell’invecchiamento e delle patologie cronico degenerative, in significativo e preoccupante aumento; dal 7,9% nel 2020 al 10,7% nel 2040. Un incremento destinato a creare una fortissima pressione sul versante della domanda di servizi. Molte delle criticità riscontrate per l’Area Anziani sono assimilabili a quelle emerse sui Disabili, durante la Diagnosi Sociale. Il problema del Trasporto Sociale e della Solitudine delle famiglie nel lavoro di cura, ad esempio, riguardano indistintamente entrambe le aree. Nel caso dei nuclei con un componente Disabile spesso si aggiunge anche la difficoltà della famiglia nell’accettazione e riconoscimento della condizione di disabilità. L’integrazione socio sanitaria anche in questo ambito di intervento, diventa una priorità ormai inderogabile per la gestione dei casi che prevedono sia aspetti sanitari che sociali di intervento. Il percorso di integrazione avviato da ASL non produce ancora effetti sufficienti ad agevolare le collaborazioni nelle prese in carico tra operatori, ne a migliorare l’accesso ai servizi da parte del cittadino. Al momento attuale possiamo considerare avviato un percorso che porterà nel lungo termine, ad una strutturazione del lavoro integrato più fluida e funzionale. Per quanto riguarda l’offerta dei Servizi sul territorio, si evidenzia una carenza di Centri Diurni e Servizi di Residenzialità leggera per i disabili adulti. Per l’Area Disabili, il supporto educativo all’interno delle scuole, rappresenta la voce di spesa più significativa per i Comuni, infatti supera largamente quella relativa agli altri interventi domiciliari per la disabilità39. Nel paragrafo sulla scuola abbiamo già esposto i dati sulla situazione del paese, dai quali emerge un significativo scarto tra la domanda di sostegno scolastico e la reale offerta ministeriale. I comuni sopperiscono ormai in modo consistente alla richiesta di sostegno da parte della scuola, andando ad integrare le risorse messe a disposizione dall’ex Provveditorato agli Studi. Resta inteso che sono comunque numerose le richieste di supporto scolastico che rimangono disattese a causa di mancanza di risorse economiche sufficienti. Di seguito riportiamo un prospetto della spesa sull’Area Disabili, facendo riferimento alla rendicontazione del 2010:

Area Disabili - Distretto 6 - Anno 2010

Pieve Emanuele € 523.946,00 52,10%

Lacchiarella € 229.982,00 22,87%

Binasco € 107.818,00 10,72%

Zibido San Giacomo € 86.943,00 8,65%

Noviglio € 24.897,00 2,48%

Casarile € 29.698,00 2,95%

Vernate € 2.300,00 0,23%

Totale Spesa Distretto Area Disabili € 1.005.584,00 100,00%

Risulta evidente che il costo per gli interventi nell’Area Disabili è più consistente rispetto a quello previsto per l’Area Anziani. I Servizi che incidono maggiormente sulla spesa sono: il supporto educativo e l’integrazione rette per i Centri Diurni. Pieve Emanuele e Lacchiarella, comunque sono i comuni che sostengono la spesa più alta.

39 Nel 2010, la spesa complessiva per il Supporto all’Handicap è stata € 358.000 contro € 58.403,00 per SADH E ADH

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Oltre alle necessità di assistenza e cura, esistono altre aree di intervento fortemente legate agli obiettivi dell’inclusione e della garanzia per le pari opportunità. La formazione, l'inserimento nel mondo del lavoro e l'autonomia economica sono fattori estremamente importanti per l'integrazione sociale delle persone con disabilità. La legislazione italiana sul tema, ha avuto un’evoluzione significativa con la legge 68/99 "Norme per il diritto al lavoro dei disabili". I processi di integrazione scolastica delle persone con disabilità e la crescente e variegata offerta formativa, determinano di conseguenza, una crescita significativa della domanda di inserimento lavorativo. Tale domanda è alimentata da un flusso annuale di persone con disabilità, che escono dal circuito scolastico-formativo, stimato di almeno 10 mila unità. Uno scenario che ha assunto come punto focale la trasformazione del Collocamento Lavorativo, da attività burocratica, incentrata essenzialmente sulla gestione amministrativa delle graduatorie degli iscritti, a servizio che deve informare, orientare, promuovere e supportare l'inserimento al lavoro delle persone. La convenzione con AFOL per il Servizio di Inserimento Lavorativo, di cui abbiamo già accennato nel paragrafo sull’Area Adulti, prevede due tipologie di prese in carico, una per l’Area Svantaggio e una per l’Area Disabili. I soggetti destinatari di questo servizio sono le persone con invalidità definita dalle Commissioni di cui all’art. 4 Legge 104/9240 con percentuale certificata superiore al 45% e prognosi di collocabilità, e invalidi del lavoro con capacità lavorativa superiore al 33%. Sono ricomprese le invalidità per disagio psichico. Dal Report elaborato sulle attività svolte nel 2011, emerge che il 45% delle prese in carico riguardano persone al di sotto dei 35 anni di età. L’utenza giovane è più facile da inserire in una realtà lavorativa, rispetto agli over 40 che costituiscono quasi il 35% degli utenti segnalati al servizio. SUDDIVISIONE DELL’UTENZA PER FASCE D’ETA’ - 2011

Dall’esperienza maturata dagli operatori del servizio, emergono alcune considerazioni che in parte confermano il bisogno di diffondere e promuovere la cultura dell’inclusione delle persone disabili. Gli operatori segnalano infatti, che le aziende non sono competenti e non hanno gli strumenti per l’affiancamento e il sostegno dell’utenza protetta. Ciò comporta un lavoro di sostegno e monitoraggio che include anche l’azienda e i suoi collaboratori. Per l’avviamento al lavoro il Servizio utilizza anche lo strumento della Dote Emergo. Il Piano Emergo è stato progettato, promosso e realizzato dall’Assessorato al Lavoro ed alla Formazione

40 Persone in età lavorativa con minorazioni fisiche, sensoriali e con handicap intellettivo o minorazione psichica

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Professionale della Provincia di Milano. Si tratta di un Programma di Intervento per favorire l’inserimento al lavoro delle persone con disabilità, attraverso la concessione di incentivi alle aziende che intendono aderire41. Le Doti Emergo in questo senso rappresentano un ottimo strumento per la presa in carico dell’utenza giovane. Riguardo ai titoli di studio delle persone che accedono al servizio, si nota anche per l’Area Disabili un livello di scolarità molto basso. L’80% dei disabili in carico non possiede un diploma superiore e il 10% non possiede alcun titolo o solo il titolo elementare. Rispetto al tipo di invalidità, si riscontra una prevalenza di disabilità fisiche che riservano un panorama di opportunità lavorative più ampio rispetto alle disabilità intellettive o psichiche. Tuttavia, è importante sottolineare che le difficoltà di inserimento o le criticità nell’accompagnamento e monitoraggio sono proporzionali anche al diverso grado di compromissione delle abilità. SUDDIVISIONE DELL’UTENZA PER TIPOLOGIA DI DISABILITA’ - 2011

Dalle conclusioni del Report sull’attività del Servizio CSIOL del 2011, emerge che il ruolo delle Cooperative Sociali nell’inserimento lavorativo delle fasce protette, è da considerarsi prezioso. In quanto tali, le coop Sociali nascono con una “mission” generalmente aderente ai principi di inclusione e solidarietà sociale, per cui nel percorso di affiancamento di una persona fragile nel proprio organico, mostrano di avere maggiori competenze ed attenzioni rispetto alle altri soggetti del privato.

41 Gli incentivi consistono in contributi alle aziende nel caso di: assunzioni, abbattimento barriere architettoniche, introduzione di nuove tecnologie ad hoc…

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AREA SALUTE MENTALE Operare nell’ambito della salute mentale significa sviluppare sinergie tra i vari attori che a diverso titolo si occupano della persona con disagio psichico in modo da creare opportunità per migliorarne la qualità della vita e favorirne l’inclusione sociale. L’assistenza alle persone con disagio psichico pone problemi che vanno al di là delle cure sanitarie; occorre che queste si integrino, per la loro efficacia, con un progetto individuale per il singolo cittadino che tenga conto delle sue caratteristiche non solo cliniche, ma anche personali e relazionali. Ma partiamo dai dati, utili come sempre ad inquadrare oggettivamente criticità e punti di forza. L’OMS ha evidenziato che ben 5 patologie psichiatriche si collocano tra le prime 30 cause di mortalità prematura e di disabilità nel mondo, rendendo complessivamente conto di un carico di sofferenza e disabilità inferiore soltanto a quello delle malattie infettive, paragonabile a quello delle malattie respiratorie e cardiovascolari, e superiore a quello prodotto dall’infezione da HIV e dalle patologie tumorali. Ad accrescere le preoccupazioni degli esperti inoltre, vi è un incremento della mortalità per suicidio negli ultimi anni, una mortalità maggiore di quella degli incidenti stradali, in incremento e prima causa di morte negli adolescenti. Anche la crisi economica si riflette sulla salute mentale della popolazione. La perdita del lavoro e le difficoltà di reinserimento occupazionale, generano sempre più disagio mentale. Accanto alle psicosi, aumentano gli stati di depressione, che si riflettono sulla salute generale delle persone. A fronte di tale preoccupante situazione, i Servizi per la Salute Mentale, vivono una situazione di progressivo impoverimento di risorse, come emerge dai seguenti dati42: � il budget per l’assistenza psichiatrica è del 5% in Italia contro una media europea del 7,25%. � il numero di posti letto negli ospedali in Italia è di 0,92 ogni 10.000 abitanti contro una media

europea di 2,6. � il numero di psicologi in Italia è di 3 ogni 100.000 abitanti contro una media europea di 23. � il n° di assistenti sociali in Italia è di 6 ogni 100.000 abitanti contro una media europea di 75. � il numero di psichiatri in Italia è uguale a 9,8 ogni 100.000 ab. contro una media europea di 12. � l’assistenza psichiatrica non è garantita a ben il 90% delle persone affette da disturbi

psichiatrici. � scarsa attenzione ai bambini con disagio e ai figli dei pazienti anche per prevenire i disturbi del

futuro. Per questo, risulta oggi necessario rileggere il Piano d’Azione sulla Salute Mentale, adottato nell’ambito della Dichiarazione di Helsinki del 2005 sulla Salute Mentale per l’Europa, dai Ministri della Sanità degli Stati membri Europei. In quel documento infatti risultava fondamentale promuovere e sostenere la famiglia, come luogo privilegiato di produzione di beni relazionali, di cura, di educazione e di sicurezza, riconoscendo l’esperienza e le competenze dei pazienti e dei familiari (“carers”) come base essenziale per la pianificazione e lo sviluppo dei servizi per la salute mentale. Centrale risulta essere, inoltre, anche in questo caso, il rafforzamento dell’integrazione socio sanitaria per l’acquisizione di un più alto grado di efficacia degli interventi e di risposta ai bisogni complessi che emergono nell’ambito della salute mentale. Tali interventi favoriscono il processo di superamento della logica della frammentazione, per giungere ad una ricomposizione delle risorse che permetta di attivare soluzioni sempre più efficaci e rispondenti ai bisogni rilevati.

42 Dal Secondo Rapporto sulla Non autosufficienza in Italia. Assistenza Territoriale e Cure domiciliari pubblicato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali a novembre 2011

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Non è stato possibile raccogliere in tempi utili, i dati sulla casistica in carico ai servizi sanitari per la Salute Mentale. Non siamo in grado quindi, di delineare un quadro di specificità per il nostro Distretto. Ciò che ci è stato portato dai soggetti del territorio in merito ai bisogni dell’area del Disagio Pasichico, rispecchia in parte temi già affrontati per la disabilità e l’area anziani. A quanto già detto si aggiunge però il tema della formazione degli operatori. In particolare gli Assistenti Sociali hanno ravvisato la necessità di accedere a percorsi formativi in grado di ampliare le competenze professionali per la gestione della relazione di aiuto. Spesso anche il personale che si occupa dell’assistenza domiciliare in questi casi si trova in difficoltà per una inadeguata preparazione e conoscenza della malattia mentale. La rete ha pertanto esplicitamente chiesto di prevedere per il prossimo triennio occasioni formative condivise su questo tema.

TEMI TRASVERSALI della DIAGNOSI SOCIALE Dopo il percorso di consultazione della rete sui bisogni del territorio, nel tentativo di sintetizzare i contenuti emersi, abbiamo riscontrato che alcuni temi ricorrenti potevano considerarsi trasversali a tutte le aree di bisogno. In particolare la Prevenzione e il Lavoro di Rete hanno accompagnato tutte le riflessioni raccolte. Da qui la scelta di dedicare due paragrafi separati dal resto per la trattazione di questi argomenti.

Prevenzione

Nella Premessa alla Diagnosi Sociale si è cercato di offrire un quadro sugli effetti negativi prodotti dalla crisi economica sul contesto sociale e sul preoccupante stato di precarietà verso il quale un numero sempre più significativo di nuclei familiari è destinato ad approdare. Tale processo di impoverimento e deprivazione, e il vissuto di instabilità ad esso collegato, incidono fortemente sul clima delle relazioni umane producendo in particolare effetti negativi sulla stabilità dei rapporti familiari43. Il bisogno di ridimensionare e controllare la tensione connessa alla precarietà sociale, che raggiunge anche il sistema famiglia, minacciando il suo equilibrio, potrebbe trovare un’adeguata risposta nella realizzazione di interventi di promozione del benessere e di prevenzione del disagio. Durante la ricognizione dei bisogni emergenti svolta con i soggetti del territorio si è rilevata una carenza in tal senso dovuta spesso anche alla mancanza di risorse economiche. La necessità di intervenire nelle situazioni di grave pregiudizio ed emergenziali implica infatti frequentemente che l’utilizzo delle risorse disponibili venga convogliato in modo massiccio nella realizzazione di interventi sulle situazioni sottoposte a decreto dell’Autorità Giudiziaria, a discapito dell’investimento in attività territoriali di prevenzione del disagio e di promozione di politiche per le famiglie. Un altro aspetto evidenziato, sia dagli operatori dei Servizi Sociali e sia da quelli dei Servizi informali, come ad esempio le Caritas, riguarda la necessità di supportare le famiglie nel ruolo genitoriale. I genitori cominciano a rivolgersi ai Servizi o agli sportelli di ascolto chiedendo esplicitamente consulenze su come affrontare la conflittualità con i propri figli, su come interpretare i loro comportamenti o ancora, su come affrontare con loro il trauma di una separazione. La moderna evoluzione della società e della scala dei valori influenza anche il sistema familiare. Oggi i padri e le madri si confrontano con una situazione in cui il profilo dell’identità genitoriale risulta meno definito rispetto al passato e dove è più problematico individuare dei modelli culturali di riferimento sui quali costruire il proprio ruolo nei confronti dei figli.

43 Ricerca sulla Famiglia condotta da una equipe dell’Università di Padova nel 2010

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Dal confronto con gli operatori si è giunti all’ipotesi di avviare percorsi di supporto alla genitorialità rivolti ai cittadini, che prevedano la realizzazione di incontri nei quali sia possibile affrontare, grazie alla consulenza di professionisti, i temi che maggiormente mettono in crisi i ruoli genitoriali. Gli attori della rete hanno evidenziato in modo preminente la mancanza nel nostro territorio di una cultura specifica e di politiche rivolte alla cittadinanza che mirino ad attivare la solidarietà sociale e a promuovere l’attivazione di reti informali. A tal proposito, approfittando dell’occasione offerta dal bando Legge 23, si è promossa la presentazione di due progetti a valenza distrettuale che svilupperanno azioni di prevenzione su due fronti. Il primo progetto “6 in Rete” ha come obiettivo quello di sviluppare le competenze della rete per l’avvio di gruppi di auto-mutuo-aiuto, ipotizzando tre target di fragilità sui quali è possibile lavorare in prevenzione: madri sole, genitori separati, familiari di minori disabili. L’altro progetto “Sos Mamme”, invece prevede interventi integrativi delle attività consultoriali attraverso la realizzazione di piani di intervento personalizzati rivolti alle donne in difficoltà economica o sociale, dalla gravidanza fino al compimento del primo anno di età. La sollecitazione più significativa raccolta nella fase della Diagnosi, dunque, è quella di avviare una programmazione che non sia destinata esclusivamente ai soggetti che già presentano delle difficoltà, ma che persegua la finalità di prevenire le situazioni di fragilità potenziando le competenze delle famiglie e rivolgendosi alla totalità dei cittadini. Il Lavoro di Rete

Fra tutte le indicazioni ricevute nella ricognizione dei bisogni, abbiamo raccolto l’invito a dare risalto nella programmazione del prossimo triennio, alle azioni finalizzate ad implementare i processi di rete formali e informali e lo sviluppo di comunità. Ciò ci fa pensare che di fronte alle nuove criticità e complessità del lavoro sociale e considerata la progressiva erosione delle risorse economiche disponibili per gli interventi e prestazioni sociali, gli operatori abbiano reagito con riflessività. Nel dettaglio alcune criticità sono state citate indistintamente ad ogni incontro, nonostante la presenza di attori diversi e la diversa area di bisogno che si stava indagando. Di seguito sinteticamente, riportiamo le istanze di priorità che sono state raccolte:

� Mancano occasioni di formazione ed aggiornamento condivisi tra operatori di diversa professionalità. I diversi linguaggi e le diverse competenze spesso compromettono la possibilità di collaborare.

� La collaborazione fra Servizi diversi e con la rete informale è un nodo critico da sciogliere non solo per agevolare e consentire il lavoro dei singoli operatori ma anche per garantire al cittadino una presa in carico globale che affronti in modo armonico tutti gli aspetti della fragilità e del bisogno.

� L’Integrazione Socio-Sanitaria è un traguardo ormai avvertito dagli stessi operatori come una esigenza imprescindibile per poter attivare progetti di intervento adeguati.

� Mettere in connessione i soggetti del Terzo Settore che invece attualmente costituiscono un insieme di risorse frammentate ed autonome.

� La promozione della Solidarietà Sociale è stato un suggerimento quasi unanime da parte della rete. Soprattutto gli operatori dei servizi formali hanno sottolineato la necessità di coinvolgere la società civile, in quanto soggetto attivo della rete di protezione sociale, che in primis è in grado di leggere il proprio bisogno. La cittadinanza attiva è vista anche come primo strumento di prevenzione del disagio.

� Favorire la socialità della popolazione del territorio attraverso luoghi ed occasioni ricreative e di incontro, stimola e rafforza i legami e la rete di protezione sociale e risponde in parte al problema della solitudine delle famiglie.

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La peculiarità di questi temi è che non trattano una richiesta di attivazione di servizi o prestazioni, ma piuttosto, sollecitano l’adesione comune ad una strategia condivisa di intervento trasversale mirato al benessere generale della comunità. Dall’essere percepite come criticità, dunque, queste istanze, sono diventate fondamentalmente delle indicazioni di metodo dalle quali trarre principale ispirazione per la preparazione della fase successiva del lavoro: i Tavoli di Programmazione che presenteremo più avanti.

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- 4 - IL QUADRO NORMATIVO

4.1 IL CONTESTO NORMATIVO E LE INDICAZIONI REGIONALI

Con la deliberazione n. IX/2505 del 16 novembre 2011 “Approvazione documento “Un welfare della sostenibilità e della conoscenza – Linee di indirizzo per la programmazione sociale a livello locale 2012 – 2012”, la Regione Lombardia evidenzia come: “il sistema di welfare è attraversato da cambiamenti che impongono un ripensamento dell’intervento pubblico, del ruolo degli Enti Locali e delle Aziende Sanitarie Locali, della funzione della programmazione locale. I dati relativi all’evoluzione delle esigenze delle famiglie e della società, così come i dati finanziari, evidenziano un ampliamento della forbice tra le esigenze e le possibilità di intervento. Tale divaricazione è amplificata dalla frammentazione degli interventi e delle risorse tra i diversi attori che intervengono nel sistema”. Gli indirizzi che la Regione Lombardia ha dato alla nuova programmazione sono inquadrati in questo nuovo scenario di riferimento:

- considerare il nuovo Piano di Zona all’interno di un contesto più ampio: i Piani di Zona diventano attori centrali, hanno il compito di attivare reti (e trovare risorse aggiuntive) con le altre istituzioni, con il terzo e quarto settore, con i privati cittadini e il mondo delle imprese.

- individuare nella sovra distrettualità un nuovo orizzonte di riferimento. Si invita ad un

“ampliamento dei confini di riferimento” definendo che i confini delle programmazioni territoriali vadano oltre la singola area distrettuale. Tali indicazioni hanno la finalità di promuovere la costruzione di una conoscenza più approfondita e adeguata dei fenomeni sociali che interessano le comunità locali e di attivare confronti e trasmettere buone pratiche.

- proporre un cambiamento culturale sostanziale che parte dalla contrazione complessiva

delle risorse pubbliche ma che ha come obiettivo una riforma del sistema di welfare: tutti, non solo le istituzioni pubbliche, sono responsabili del benessere delle comunità locali.

Nel contempo, la Regione Lombardia indica anche alcune direttrici strategiche:

� coordinare ed integrare le politiche pubbliche. In questo quadro – oltre alla necessaria integrazione sociosanitaria – emerge l’urgenza di agire affinché i diversi strumenti di programmazione si parlino ed interagiscano a livello territoriale e che il Piano di Zona si coordini con gli altri strumenti di programmazione quali le Linee regionali di indirizzo per le politiche giovanili, il documento di programmazione e coordinamento dei servizi sanitari e sociosanitari della ASL, i Patti territoriali per l’occupazione, ecc.

� la necessità di aprire una fase esplorativa, che generi nuove conoscenze e capacità

decisionali per gli attori locali, e apra verso un welfare che si allea, che connette le risorse, che si colloca dentro la società e si orienta a scelte sostenibili.

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La dimensione della conoscenza riguarda il consolidamento e lo sviluppo di competenze per la comprensione dello scenario, per lo sviluppo del capitale sociale del territorio, per l’integrazione delle reti locali, e riguarda anche la definizione di strumenti di supporto informativo per la programmazione e la ricomposizione delle risorse e degli interventi. La dimensione della sostenibilità del welfare riguarda le condizioni che rendono possibile il suo permanere nel tempo, quindi il permanere nel tempo di quelle azioni e di quelle relazioni che promuovono il benessere della società e al tempo stesso offrono sostegno e tutela alle situazioni di fragilità, garantendo livelli di appropriatezza degli interventi. Si tratta di una dimensione complessa, che ha a che fare con almeno tre questioni: la questione delle risorse (il capitale umano, il capitale sociale e quello finanziario, non soltanto di natura pubblica); la questione degli interessi dei diversi attori in gioco; la questione delle responsabilità che, a diverso titolo, ciascuno di quegli stessi attori in parte condivide.

� operare in modo integrato e condiviso per non disperdere le risorse in interventi

frammentati e per presidiare tutte le possibilità di generare risorse nelle reti, sia tra attori pubblici, sia con tutti gli altri attori del territorio. La tensione sempre più forte sulle risorse e la pressione decisionale sui Comuni impone agli Enti Locali una strategia di alleanza: di fronte alla fase che si è aperta, l’isolamento delle comunità locali e l’intervento solitario si traducono in una strategia perdente. Gli Uffici di Piano possono essere uno strumento

privilegiato per sostenere gli Enti Locali, evitandone l’isolamento e amplificando la portata degli interventi, dal livello di singolo Ente al livello di Ambito.

� premiare sperimentazioni territoriale al fine di sviluppare conoscenze e nuove forme di

intervento, con l’obiettivo di integrare risorse pubbliche e private e di attrarre altre risorse del territorio. Il partenariato dovrà caratterizzarsi per ampiezza e qualificazione (numerosità, tipologia e rappresentatività dei soggetti coinvolti), corresponsabilità degli attori rispetto alle azioni condivise nel progetto, natura del partenariato (occasionale o già sperimentata sul territorio), capacità di mettersi in relazione con altri soggetti o altre reti.

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4.2 LE LINEE DI INDIRIZZO PER LA DEFINIZIONE DEL PIANO DI ZONA 2012/2014

del DISTRETTO SOCIALE 6 ASL Milano 2

ANALISI DEL CONTESTO

Il contesto di riferimento nel quale siamo chiamati a programmare il nuovo Piano di Zona risente di un periodo socio-economico difficilissimo legato alla crisi economica del Paese e al conseguente impoverimento delle famiglie (aumento delle famiglie deprivate: 15,7% della popolazione; aumento della disoccupazione: più 8,1% del 2009; drastica riduzione del FNPS44: € 745 milioni del 2007 contro i 175 milioni del 2011) e richiede, pertanto, una fase di forte cambiamento e trasformazione del sistema di welfare.

Gli elementi caratterizzanti del contesto in cui siamo chiamati a programmare sono:

• Complessità (bisogni più complessi: disagio abitativo + disagio economico + …)

• Dinamismo (cambiamenti veloci e repentini)

• Incertezza (cambiamenti meno prevedibili e incertezza sul futuro)

• Conflittualità (maggiore competizione per le risorse e deterioramento della condizione

di alleanza ed integrazione tra le risorse del territorio)

PARADIGMI DEL NUOVO WELFARE La programmazione del sistema degli interventi per il triennio 2012-2014 dovrà essere costruita seguendo quattro paradigmi: a) Attivare modelli sperimentali e innovativi di welfare. Politiche della conciliazione. Sostenere lo sviluppo dell’Impresa sociale…etcetera Promuovere un welfare promozionale e ricompositivo, ribaltando la logica per la quale le risorse siano solo necessariamente nel sistema di welfare pubblico e i bisogni siano nella società. b) Contrastare la frammentarietà degli interventi e delle risorse. La divaricazione tra le esigenze delle famiglie e le possibilità di intervento viene amplificata dalla frammentarietà degli interventi e delle risorse tra i diversi attori che intervengono nel sistema. Mettere in relazione gli attori e le risorse. Favorire azioni integrate a livello locale e promuovere sinergie e razionalizzazione. c) Promuovere alleanze territoriali e abbassare la competizione: Saper dialogare e interloquire con tutti gli attori del territorio (anche quelli a cui non siamo abituati: aziende, fondazioni, istituti bancari…) e promuovere alleanze tra attori diversi; connettere le conoscenze e le competenze; attivare processi di negoziazione. Definire su quali aree stare “insieme” (e integrarsi) e come integrarsi. d) Lavorare sui processi e non sull’erogazione dei servizi Configurare il prossimo Piano di Zona come arco di tempo in cui prevedere processi integrati per riconfigurare il sistema dell’offerta sociale e le politiche di welfare (es.: studio di fattibilità per uniformare le politiche di compartecipazione della spesa ai servizi…; potenziare interventi per lo sviluppo della comunità e promuovere responsabilità diffusa…; sperimentare nuovi modelli di gestione associata…).

44 Fondo Nazionale Politiche Sociali

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In sintesi, viene chiesto ai Piani di Zona di pianificare nei prossimi tre anni una transizione verso

un nuovo sistema di welfare, in cui gli enti locali assumono una funzione di “imprenditori” di rete. LE PREVALENTI AREE DI BISOGNO I comuni coincidenti con il Distretto Sociale 6 ASL Milano 2, alla luce delle analisi e delle indicazioni emerse dalla “Valutazione della programmazione e della progettazione del Piano di Zona 2009-2011”, nonché dall’aggiornamento della Diagnosi Sociale elaborata con la rete degli attori territoriali durante l’ultimo semestre 2011, rilevano che le aree di bisogno, evidenziate dalla maggior parte dei soggetti che compongono la rete territoriale, sono le seguenti:

1. Area non autosufficienze: - Supporto alle famiglie con carico di cura: necessità di sostenere la solitudine dei

familiari di disabili e anziani nella gestione del carico di cura. Bisogno di accompagnarli nel riconoscimento delle difficoltà/condizioni di non autosufficienza del proprio familiare

2. Area stranieri: - Problema linguistico: forte bisogno di formazione linguistica per gli stranieri

residenti in aumento; - Minori stranieri - focus sulle difficoltà scolastiche: maggiori difficoltà di successo

scolastico per gli stranieri (all'uscita dal circuito scolastico non possono rinnovare il permesso di soggiorno senza contratto di lavoro) e maggiori difficoltà nell’intervenire sui disturbi specifici dell’apprendimento;

3. Area giovani: - Prevenzione penale e dipendenze: mancanza di luoghi di incontro e socializzazione

per i giovani e interventi di promozione del benessere (rischio penale e di dipendenze);

4. Area minori e famiglie: - Famiglie monoparentali - rischio di povertà: aumento delle famiglie monoparentali.

Gravi problemi economici che intensificano le altre sfere di fragilità. Mancanza di contrasto alla solitudine dei padri separati;

- Separazioni conflittuali: aumento delle separazioni conflittuali e conseguente aumento di interventi di sostegno rivolto ai minori e ai genitori;

5. Area scuola: - Dispersione scolastica - Orientamento scolastico: significativo aumento del

fenomeno della dispersione scolastica. Mancanza di interventi di sostegno alle famiglie;

- Spazio compiti – dopo scuola: la richiesta di interventi di dopo scuola/spazio compiti è più alta dell’offerta;

6. Area adulti: - Inserimenti lavorativi: individuare interventi a sostegno dell’inserimento lavorativo

di cittadini maggiormente a rischio: adulti over 50 prossimi alla pensione, ex carcerati, pazienti psichiatrici, ex tossicodipendenti…

7. Area azioni di sistema:

- Promuovere la solidarietà sociale: necessità di attivare la rete informale in azioni e occasioni di solidarietà e partecipazione attiva;

- Occasioni di socialità/ricreative: contrastare la solitudine dei cittadini in stato di bisogno promuovendo occasioni di aggregazione e mutuo aiuto;

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- Attivare collaborazioni della Rete: evitare la frammentarietà degli interventi esistenti e migliorare la messa in rete delle risorse (creare strumenti di connessione);

- Integrazione socio-sanitaria: necessità di integrare le competenze della rete dei servizi e rendere più efficace il lavoro di presa in carico.

PRIORITA’ DI INTERVENTO

Tra le aree di intervento alcune hanno carattere di priorità in quanto si ritiene che siano strategiche per migliorare la risposta ai bisogni rilevati nel nostro territorio e sono:

� Politiche dell’abitare (intraprendere precorsi innovativi sul tema dell’abitare promuovendo per esempio esperienze di housing sociale. Lavorare in maniera sinergica nella rilevazione del bisogno abitativo e proporre contrattazioni territoriali per la calmierazione degli affitti)

� Politiche giovanili (implementare interventi di promozione del benessere giovanile in forte ottica preventiva)

� Politiche del lavoro (diversificare gli interventi sulle politiche per il lavoro rispetto a quanto si è realizzato nei precedenti Piani di Zona. Valorizzare e sviluppare l’imprenditorie giovanile e le politiche di conciliazione)

Si valuta, inoltre, necessario definire aree di co-progettazione a livello sovra distrettuale (con gli otto Ambiti distrettuali della ASL Milano 2) per introdurre interventi innovativi e sperimentali su alcuni temi a carattere trasversale per i quali si individua indispensabile lavorare congiuntamente. Le ipotesi di co-progettazione a livello sovra distrettuale potrebbero riguardare le seguenti aree e tematiche:

a) Area famiglia: • Promozione dell’Affido • Sperimentare azioni nell’area famiglia e minori: Family group conference, advocacy

e reti di auto mutuo aiuto • Sperimentare interventi per le politiche di conciliazione di vita e lavoro

b) Area rete dei servizi • Sperimentare uniformi criteri di compartecipazione alla spesa dell’utente • Sperimentare l’Accreditamento delle Unità d’offerta

LA RETE: UNA POSSIBILE STRATEGIA DI INTERVENTO SOCIALE

La programmazione sociale territoriale 2012-2014 dovrà prioritariamente avere l’obiettivo di attivare processi di integrazione e dialogo, su tutte le aree di intervento, con tutti gli attori che compongono il territorio (attori pubblici e attori della società, cittadini, organizzazioni private profit e no profit, le parti sociali e le aggregazioni spontanee) al fine di ricomporre le risorse e le energie per far fronte efficacemente all’evoluzione dei bisogni. Occorre “fare rete” intorno ai bisogni della gente e del territorio, riconoscendo il valore del sistema d’aiuto formali e informali disponibili. Priorità assoluta dovrà, pertanto, essere posta in tutte le azioni di sostegno alla RETE TERRITORIALE che dovrà essere costruita, sostenuta e curata in tutti i suoi aspetti e livelli:

� La rete dei servizi. Privilegiare interventi di maggiore dialogo tra la scuola, l’Ente locale, i servizi specialistici di primo e secondo livello a carattere socio-sanitario al fine di migliorare

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il lavoro di presa in carico dei cittadini in stato di bisogno. Favorire lo scambio e il coordinamento di servizi/operatori omogenei (Tavolo Assistenti Sociali; Coordinamento Scuole…)

� La rete del Terzo settore. Promuovere e sostenere la connessione sinergica tra le organizzazioni di promozione sociale al fine di evitare la disgregazione dell’offerta e ricompattare le risorse.

� La rete del volontariato. Valorizzare e promuovere le esperienze di volontariato esistenti nel territorio e favorire la loro integrazione nel sistema dell’offerta sociale.

� La rete informale. Attivare processi di partecipazione e di protagonismo della comunità al fine di creare esperienze di self help e di favorire la diffusione della “responsabilità sociale” e delle relazioni d’aiuto solidaristiche.

� La rete inesplorata. Attivare processi di dialogo e collaborazione con attori del territorio mai coinvolti nel lavoro di rete sociale (uffici tecnici e commercio dei comuni, mondo del profit, Istituti bancari, Fondazioni bancarie…) e valorizzare le aree di comune interesse.

RAPPRESENTANZA E GOVERNANCE Alla luce di quanto emerso in ordine all’imprescindibile necessità di integrare le politiche pubbliche e di orientare il lavoro del prossimo triennio di gestione del Piano di Zona verso un processo di cambiamento culturale del sistema di welfare (che preveda il “recupero” e l’integrazione di tutte le risorse disponibili in un territorio) si rende necessario rivalutare anche la partecipazione e la rappresentanza dei soggetti nei luoghi della governance. Il Distretto si pone, pertanto, l’obiettivo di valutare eventuali cambiamenti riguardo la composizione degli organi rappresentativi del Piano di Zona, in particolare del Tavolo Tecnico e dell’Assemblea dei Sindaci. Saranno valutate ipotesi di ampliamento della rappresentanza allargandola anche ai soggetti appartenenti alla rete (es: Terzo settore, portatori di interesse,…) che possano fornire un contributo nelle fasi decisionali.

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- 5 - LA PROGRAMMAZIONE DEL PIANO DI ZONA 2012/2014

“IL PATTO LOCALE DI SVILUPPO DEL TERRITORIO”

La rappresentazione del lavoro di programmazione degli interventi del nuovo Piano di Zona avrà come sfondo quanto descritto in merito alla Programmazione sussidiaria45 . Il coinvolgimento sussidiario della rete allargata del territorio, sin dalla fase di programmazione degli interventi, ha richiesto necessariamente un cambiamento della mentalità e della modalità di lavoro non solo della pubblica amministrazione ma anche di tutte le realtà locali. Il nuovo paradigma culturale ha, infatti, modificato in modo sensibile la cultura fondata su una centralità dell’ente pubblico, a cui era demandato il compito di scelta dell’erogatore a cui affidare il servizio. Nella prospettiva della sussidiarietà, al contrario, l’attore pubblico interviene nella gestione dei servizi assicurando il ruolo di regolatore complessivo della rete. Si assiste alla trasformazione del ruolo dell’ente pubblico, chiamato a trasformarsi da provider di servizi (erogatore di servizi) a regolatore promozionale, ovvero a ente che governa il sistema di rete nella direzione di ampliamento delle autonomie sociali coinvolte. Il Piano di Zona è da intendersi come un processo circolare dentro il quale, a partire da una serie di punti di vista, agisce una pluralità di attori che ha il compito di rendere migliore la qualità della vita della comunità. Il processo finora si è sviluppato attraverso la progettazione di una serie di interventi e di servizi capaci di intercettare i bisogni delle persone e delle famiglie. In questa fase di passaggio, tra il vecchio e il nuovo, la programmazione zonale si mostra, prima di tutto, nella prospettiva della gestione di un cambiamento. Sono due le novità che emergono in modo evidente:

1. il metodo organizzativo: il passaggio da un’organizzazione di interventi molto dettagliati sulle strutture erogatrici, ad un’organizzazione unitaria di una rete di soggetti che nell’insieme rappresentano le unità d’offerta del sistema.

2. superamento della dicotomia pubblico/privato: attivare una rete di soggetti maggiormente aperta alla sperimentazione e alla programmazione in sede locale.

Partendo dall’analisi di questa fase di cambiamento il Distretto, anche ispirato da quanto indicato nelle Linee di indirizzo regionali, si è interrogato principalmente su tre aspetti, che hanno poi orientato il lavoro di programmazione:

- la necessità dare centralità ai bisogni - la necessità di ripensare l’offerta - la necessità di generare responsabilità diffusa

DARE CENTRALITÀ AI BISOGNI L’idea che il baricentro del welfare non può essere rappresentato dall’offerta ma dalla domanda, ovvero dai bisogni che provengono dalla famiglia, ci ha spinti a ripensare la modalità di analisi

dei bisogni. Come già descritto nel precedente capitolo sulla Programmazione sussidiaria, abbiamo messo al centro i problemi dei cittadini, abbiamo ascoltato tutti gli attori sociali (non solo il terzo settore) e raccolto i diversi punti di vista, le diverse opinioni sulle problematiche del nostro territorio.

45 Capitolo 1 del presente documento “LA PROGRAMMAZIONE SUSSIDIARIA – Indicazioni di Metodo”

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Abbiamo ritenuto superata la logica di mettere al centro i servizi e analizzare i bisogni del territorio dal loro punto di vista, riconoscendo che questo approccio ha prodotto negli anni la frammentazione dell’offerta sui territori. Si è cercato, pertanto, di spostare l’asse da un sistema servizio-centrico ad un sistema cittadino-

centrico, fiduciosi che questo movimento possa sviluppare in modo proattivo le reti territoriali e riorganizzare il sistema dell’offerta. RIPENSARE L’OFFERTA Sul versante dell’offerta si assiste da un lato alla crescita del Terzo settore, come soggetto di imprenditoria sociale, dall’altro al necessario ripensamento dell’intervento pubblico, che richiede agli enti locali di assumere la funzione di “imprenditori” di rete. La già sottolineata divaricazione tra la crescita della domanda (bisogni delle famiglie) e la ridotta possibilità di risposta (anche a fronte di una consistente contrazione delle risorse economiche) rende necessaria un’operazione di ricomposizione dell’offerta. Diventa estremamente strategico integrare le diverse politiche che hanno al centro i bisogni della famiglia: le politiche di conciliazione tempi di vita e lavoro, di integrazione socio-sanitaria, i temi trasversali dell’affido, della disabilità, della promozione delle politiche giovanili. A questo scopo, l’Ufficio di Piano ha cercato di favorire la più ampia partecipazione, degli attori del territorio, alla programmazione zonale e si è posto l’obiettivo di lavorare, nel prossimo triennio, per facilitare e sostenere la connessione delle reti territoriali (esistenti e attivabili). Quello che si vorrebbe promuovere, pertanto, è un profondo ripensamento del sistema di welfare e del modello di governance, in cui prevedere una modalità decisionale aperta in cui soggetti del pubblico e del privato co-partecipano alla produzione del bene comune. GENERARE RESPONSABILITÀ DIFFUSA Da queste premesse ne consegue che non è più possibile pensare che le risorse siano solo nel welfare pubblico, mentre i bisogni siano nella società. Le risorse della società civile, infatti, sono spesso non riconosciute e non valorizzate. In questa fase storica risulta strategico promuovere inedite modalità di empowerment sociale, valorizzando e sostenendo le reti di solidarietà primaria (associazioni, vicinato, mutuo aiuto,...) e sperimentando modalità diverse di risposta ai bisogni del cittadino. La riflessione, durante i tavoli di programmazione, si è orientata a riconoscere e prevedere, per alcune categorie di bisogno (non riferibili a situazioni di disagio cronico per il quale è necessaria una risposta di tipo specialista) e in particolare su alcuni ambiti di prevenzione, possibili risposte da individuare nella società civile. Secondo il modello di welfare societario il benessere di una comunità non può essere prodotto dentro le istituzioni pubbliche, esso emerge dalle relazioni sociali. E’ necessario, pertanto, generare un senso di responsabilità diffusa, promuovere esperienze di solidarietà sociale in grado di produrre benessere sociale diffuso sia attraverso azioni di prevenzione, o di informazione, che possono generare stili di vita più corretti, sia attraverso la creazione di capitale sociale generalizzato.

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5.1 ESITO DEL LAVORO DI PROGRAMMAZIONE CON LA RETE TERRITORIALE Insieme ai rappresentanti della rete territoriale si è pensato di affrontare il lavoro di programmazione del nuovo Piano di Zona attraverso Tavoli tematici, abbandonando la logica delle aree di intervento e sviluppando il processo programmatorio sulle aree di bisogno territoriali maggiormente condivise e su quelle che hanno un carattere prioritario. Quando parliamo della rete territoriale facciamo riferimento ad un coordinamento di attori diversi (politici, imprenditivi, sociali, culturali, specialistici) con mandati e funzioni diversificati ma tutti orientati ad offrire il proprio contributo per dare risposte al bisogno sociale del territorio. Secondo questo logica l’Ufficio di Piano, pur non sottraendosi al ruolo di mobilitazione (di reti e di cittadinanza attiva), di regia, di sostegno e di accompagnamento che gli spetta da mandato, non si colloca fuori dalla rete territoriale ma ne fa parte. Le tematiche che la rete ha deciso di esplorare, finalizzate al lavoro di programmazione del nuovo Piano di Zona, rappresentano argomenti chiave che rispondono strategicamente alle aree di bisogno prevalenti rilevate nella diagnosi sociale. La fase di programmazione è stata articolata nei seguenti Tavoli tematici:

� FAMIGLIA (famiglia e minori, lavoro, stranieri)

� CARICO DI CURA DELLE FAMIGLIE (anziani, disabili, non autosufficienze)

� SCUOLA (intercultura, DSA, orientamento)

� GIOVANI (dipendenze, promozione del benessere, penale)

� PROCESSI DI RETE E PREVENZIONE (rete dei servizi, rete delle reti, reti di solidarietà sociale)

Di seguito riportiamo le schede di sintesi del lavoro dei Tavoli che, a nostro parere, ha rappresentato la prima dimostrazione di una, già avviata, fase di cambiamento che ci fa ben sperare sul possibile esito del lavoro territoriale. Oggi crediamo di non essere soli a dover ridisegnare l’intervento sociale in questo Distretto e questo ci dimostra che la Rete riduce il senso di

impotenza. L’evoluzione delle modalità di lavoro che la rete territoriale si è data, in questo anno di lavoro insieme, ci ha dimostrato nei fatti (nel qui ed ora) che il cambiamento è già in atto. Per descrivere l’esito del lavoro di programmazione sono state realizzate delle schede/verbale per ogni Tavolo, in cui sono riportati sinteticamente:

� i temi emersi, � la sintesi delle riflessioni e dei contributi dei partecipanti � le proposte operative che nell’arco del prossimo triennio si prevede di realizzare

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TAVOLO FAMIGLIA E MINORI

TEMI EMERSI RIFLESSIONI E CONTRIBUTI PROPOSTE OPERATIVE

Gestione Associata Servizi Minori e Famiglie

Proposta del tavolo è quella di valutare la gestione associata dei Servizi Minori e Famiglia, auspicata in particolare da alcuni comuni. Tuttavia si

sono rilevate le difficoltà che implicherebbe la gestione unitaria di un servizio così complesso. Tale complessità si confronta con le differenze

esistenti tra i sette comuni e la mancanza di uno studio di fattibilità, non ci consente di prevedere se i tempi sono compatibili con gli obiettivi del

prossimo triennio. E' apparso utile, invece, avviare un lavoro che permetta un confronto sugli aspetti metodologici dei servizi per poter valutare su quali aspetti è possibile prevedere azioni coordinate e integrate d'ambito

Ottimizzare gli interventi educativi

In che modo è possibile ottimizzare gli interventi educativi, evitando di ricorrere ad essi quando non è strettamente necessario (es.

accompagnamento alle terapie di un minore seguito dal SMF)? Per quali aree di intervento si può ipotizzare il ricorso al volontariato a supporto

delle attività dei Servizi di Tutela Minori? Data la complessità della tematica e considerata la reale necessità di ottimizzare gli interventi

educativi si ritiene utile prevedere un lavoro specifico di approfondimento

costituzione di un GRUPPO DI LAVORO Tutela Minori: che si occupi

di riflettere sulle modalità di messa in rete dei Servizi Minori e Famiglie del

territorio. Individuare buone prassi sull'utilizzo di strumenti e risorse

alternative a sostegno degli interventi in ambito di Tutela Minori (Associazioni,

volontariato, famiglie di appoggio, affido) e avviare esperienze

sperimentali. Valutare di inserire i SMF nelle ipotesi

di studio di fattibilità per la gestione

associata dei servizi distrettuali.

Affido: Famiglie di Appoggio, promozione

dell'Affido

Bisogna ri-avviare un lavoro di promozione della cultura dell'affido e valutare la sperimentazione di forme differenti di affido (famiglie

d'appoggio,...)

Prevenzione delle situazioni di disagio

E' necessario e urgente investire sulla prevenzione nonostante le scarse risorse economiche

Neogenitorialità Importante lavorare in ottica preventiva sulla neogenitorialità.

Trasversalità con stranieri e disabilità. Utilizzare anche le risorse informali integrandole con i progetti esistenti sul territorio

costituzione di un GRUPPO DI LAVORO sulla Genitorialità: che si

occupi di elaborare ed attivare strategie di intervento preventivi, partendo dalla neogenitorialità e integrando il proprio

lavoro con le risorse progettuali e i Servizi Socio-Sanitari del territorio

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TAVOLO STRANIERI

TEMI EMERSI RIFLESSIONI E CONTRIBUTI PROPOSTE OPERATIVE

Mediazione linguistico -culturale

E' necessario investire sulla mediazione linguistica soprattutto nelle scuole. La sperimentazione di interventi di mediazione linguistico - culturale del progetto Fili e Legami

è stata utilizzata solo dai Servizi Sociali dei Comuni. Il bisogno espresso dalla scuola è superiore alle risorse

esistenti. Bisogna trovare le risorse per garantire e strutturare un servizio stabile e che operi a vantaggio di tutti i servizi

territoriali.

Sensibilizzare la cittadinanza all'Intercultura

Formazione e Aggiornamento degli operatori della rete

(anche sui mutamenti legislativi e sull'utilizzo delle

risorse)

Promuovere cicli informativi su tematiche condivise sia da genitori stranieri che italiani (disturbi dell'apprendimento, adolescenza,..). Promuovere una cultura dell'integrazione attraverso un approccio trasversale a tutte le altre aree di

intervento partendo dall'attivazione di una rete specializzata e costantemente informata/aggiornata. Anche in questo caso il coinvolgimento della rete informale del territorio è ritenuto

prezioso dal Tavolo.

Esperienze di partecipazione attiva degli stranieri

Esportare l'esperienza della Consulta di Pieve Em. sul territorio distrettuale. Dall'esperienza delle agenzie

specializzate si evidenzia una maggiore disponibilità e propositività dei cittadini stranieri nelle attività di

volontariato.

1. Considerato il principio dell'integrazione socio-culturale e partendo dal presupposto che

tutte le aree interessano anche la popolazione straniera, si è

pensato utile individuare, per ogni gruppo di lavoro che si costituirà nel territorio, un

componente con competenze sull'area stranieri per garantire

l'attenzione all'intercultura. Costituzione di un TAVOLO

STRANIERI distrettuale

permanente.

2. Promozione di cicli

informativi per genitori degli alunni delle scuole e formazione e aggiornamento per operatori

dei servizi della rete

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TAVOLO LAVORO

TEMI EMERSI RIFLESSIONI E CONTRIBUTI PROPOSTE OPERATIVE

Coinvolgimento del profit

E' necessario cambiare prospettiva rispetto al problema lavoro che oggi interessa non solo le fasce deboli di popolazione. Lavorare maggiormente sulle Politiche

attive del Lavoro nel territorio, attraverso il coinvolgimento delle aziende e delle realtà produttive esistenti, cercando di cambiare l'ottica di intervento. Dialogare maggiormente con il mercato del lavoro.

Promozione Coop di Tipo B e l'imprenditoria giovanile

Diffusione utilizzo Voucher Lavoro come valida alternativa

all'erogazione dei contributi economici

Promuovere nei comuni e nelle aziende l'utilizzo dello strumento "Voucher Lavoro" ( per le amministrazioni

può essere un valido sostituto al contributo economico). Sostenere la formazione di Cooperative di tipo B e le

iniziative di imprenditoria giovanile, promuovendone il loro utilizzo da parte dei Comuni.

Politiche di conciliazione Tempi di Vita e Lavoro

Gli indirizzi della Regione sul tema delle politiche di Conciliazione ci offrono l'occasione di sensibilizzare il

territorio ed eventualmente avviare delle azoni sperimentali. I Distretti della ASL Milano 2, anche

grazie a un fondo regionale specificamente assegnato, stanno lavorando congiuntamente per avviare una

progettazione sovra distrettuale.

Coinvolgere i disoccupati nelle iniziative di Volontariato

Ipotizzare il coinvolgimento delle persone in attesa di essere reinserite nel mondo del lavoro, in iniziative di

Volontariato per mantenerle attive.

1. Costituzione di un TAVOLO SUL LAVORO distrettuale

permanente per definire strategie comuni, e nuove modalità di dialogo con il mercato del

lavoro, per sostenere i soggetti in difficoltà occupazionale e promuovere in particolare l'imprenditoria giovanile.

2. Avviare azioni sperimentali, a livello sovra distrettuale, in tema di conciliazione Tempi di Vita e

Lavoro

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TAVOLO CARICO DI CURA

TEMI EMERSI RIFLESSIONI E CONTRIBUTI PROPOSTE OPERATIVE

Integrare gli interventi specialistici gestiti dalle Cooperative con le

attività gestite dall'Associazionismo locale

Promuovere la Socialità e occasioni di incontro per contrastare la

solitudine delle famiglie con carico di cura

Coinvolgimento delle Associazioni Sportive

Il Tavolo ritiene che questa sia forse l'area in cui sia maggiormente possibile coinvolgere e attivare le reti informali e di volontariato per garantire supporto ai

servizi e alle famiglie con carico di cura. Le associazioni sportive sarebbero una buona risorsa per predisporre momenti di socialità agli anziani, disabili adulti e/o soggetti con disagio psichico.

Attivare progetti di residenzialità leggera

Sul nostro territorio si stanno avviando progetti di residenzialità leggera per soggetti con disagio

psichico (promosso dal CPS) mentre il Comune di Lacchiarella sta avviando un progetto di Housing

Sociale.

Strutturare sistema di gestione delle Amministrazioni di Sostegno attraverso reti di volontariato

Necessità di confrontarsi con esperienze di volontariato di altri territori sul tema di Protezione

Giuridica.

1. Contrasto alla Solitudine delle famiglie attraverso la Promozione

dell'Associazionismo e del Volontariato. Creare sinergie tra

interventi di differente natura a favore dei soggetti con carico di cura e delle

loro famiglie.

2. Ricercare fonti di finanziamento per progetti di Housing Sociale.

3. Analizzare il bisogno del Distretto sul tema della Protezione Giuridica.

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TAVOLO GIOVANI

TEMI EMERSI RIFLESSIONI E CONTRIBUTI PROPOSTE OPERATIVE

Promuovere progetti di sviluppo di Comunità

Promuovere luoghi di aggregazione alternativi ai CAG (meno onerosi e

meno strutturati)

Sostenere le Politiche Giovanili, rinunciare alla logica di non potersene

occupare per mancanza di risorse economiche

Utilizzare nuove forme di comunicazione (Social Network,

internet, blog…)

Promuovere strumenti di consultazione dei Giovani (bisogni, proposte …)

E' possibile lavorare con le reti informali per l'organizzazione di spazi/occasioni di

aggregazione e socialità poco strutturati. Lavorare in sinergia coinvolgendo Associazioni

sportive, Associazioni di genitori, Scuole, Oratori, Biblioteche…Si ipotizza di promuovere

interventi gestiti da animatori sociali e non necessariamente da educatori professionali (es.

per lo sviluppo di comunità). Utilizzare forme di comunicazione che rispondano maggiormente alla cultura dei giovani. Aprire lo spazio alla consultazione diretta dei giovani, anche per

aggiornare la diagnosi sociale è importante avere la loro rappresentazione dei bisogni.

Costituzione di un GRUPPO DI LAVORO Politiche Giovanili: che si

occupi di sviluppare una programmazione in linea con le Linee di

Indirizzo Regionali e con i bisogni specifici dei giovani del nostro territorio.

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TAVOLO SCUOLA

TEMI EMERSI RIFLESSIONI E CONTRIBUTI PROPOSTE OPERATIVE

Informazione e Orientamento per i genitori di bambini con DSA

Intervenire a supporto della scuola nella gestione dei casi di Disturbi Specifici dell'Apprendimento,

supportando anche le famiglie.

Aumentare la co-progettazione con le Scuole

Strutturare le collaborazioni con la UONPIA

Problema delle figure obiettivo nelle scuole (trovare nuove forme di

dialogo considerando la sostenibilità dell'impegno dei diversi attori nella

programmazione)

Creare strumenti condivisi di lavoro/Protocolli di accoglienza per

minori stranieri

SCUOLA - FAMIGLIA - SERVIZI - dare dignità a tutti i punti di vista. "Se vogliamo mettere al

centro la famiglia bisogna per forza lavorare con e nelle scuole". Creare una rete di collaborazione

e integrazione con la scuola, sostenendo e implementando la co-progettazione. Unificare gli strumenti di lavoro e le procedure all'interno delle scuole (e delle progettazioni che gravitano nella stessa) con particolare riferimento agli strumenti

didattici semplificati per gli alunni stranieri. Bisogno di strutturare meglio il rapporto tra la

scuola e i servizi specialistici (UONPIA).

Bisogno di interventi extra scolastici

E' opportuno differenziare i servizi di "dopo scuola" con i servizi di "spazi compiti",

riconsocendone le differenti finalità. E' necessario considerare la famiglia come parte integrante

della programmazione di tali attività.

1. Avvio processo di attivazione di buone prassi per la collaborazione e integrazione

dei servizi con le scuole (incontri periodici, tavoli, protocolli di collaborazione,

connessioni tra progettualità e servizi…). Aumentare le possibilità di co-progettazione.

2. Promozione di attività/interventi che

mirino a garantire il "successo scolastico" (spazi compiti, supporti alla didattica nelle

scuole, orientamento scolastico, formazione ...) e la conciliazione Tempi di Vita e Lavoro

(dopo scuola, spazi ricreativi, spazio compiti...).

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TAVOLO PROCESSI DI RETE

TEMI EMERSI RIFLESSIONI E CONTRIBUTI PROPOSTE OPERATIVE

Migliorare la manutenzione Sito Distrettuale come prima fonte per la circolazione e lo scambio di informazioni della rete.

Sviluppare e implementare il sito

distrettuale

Necessità di tenere costantemente aggiornata la Mappatura della rete e la Diagnosi Sociale.

Aggiornamento periodico della Diagnosi Sociale. Incaricare l'UDP

nella cura e aggiornamento della mappatura della Rete territoriale

Lavorare sull'individuazione di modalità unitarie di accesso alla rete dei servizi (analisi e comparazione delle modalità di accesso ai

servizi nei singoli comuni: procedure, tariffe...)

Approfondire la riflessione sulle possibili gestioni associata dei

servizi

Implementare gli strumenti di integrazione

della Rete territoriale

Favorire momenti di aggiornamento/formazione condivisa per gli operatori della rete territoriale anche utilizzando le competenza

specialistiche esistenti nella Rete.

Organizzare, anche con la collaborazione ed il supporto della

ASL, occasioni di formazione/aggiornamento

distrettuali

Sviluppare e sostenere i processi di rete già

avviati

Allargare la partecipazione al Tavolo di coordinamento distrettuale delle Assistenti Sociali anche alle Ass. Sociali dei servizi

specialistici (UONPIA, Consultori familiari, CPS,…). Sostenere il neo costituito Tavolo di Rete e progettazione permanente del

Distretto valorizzandone le potenzialità.

Proseguire e sviluppare il Tavolo

di coordinamento distrettuale

delle Assistenti Sociali

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Promuovere Protocolli condivisi di Collaborazione tra servizi (s. sociali, sanitari e scuola) per migliorare le modalità di invio e di

presa in carico integrata dei cittadini. Migliorare l'integrazione della rete dei servizi

Costruire e utilizzare strumenti condivisi per operatori e servizi.

Promuovere la definizione di procedure e strumenti condivisi per migliorare il lavoro della rete

dei servizi

Lavorare costantemente sul reperimento di risorse alternative: promuovere sperimentazioni di marketing sociale; ridefinire i criteri di compartecipazione alla spesa dei cittadini; sviluppare l'area della

progettazione finanziata

E' indispensabile integrare e connettere le risorse esistenti (progetti, fondi, risorse asl, risorse comunali, risorse del privato…).

costituzione di un GRUPPO DI

LAVORO per il Reperimento di risorse: con l'obiettivo di lavorare sul sistema di interventi strategici da attivare per integrare le risorse

economiche

Integrazione delle risorse del territorio

Migliorare la comunicazione al cittadino per attivare risorse sociali informali, donazioni di scopo, volontariato…

Promuovere la nascita di occasioni aggregative e di socialità sul territorio, connettendo le esperienze esistenti e avviando azioni

sperimentali.

Promuovere una cultura della Solidarietà Sociale.

E' necessario prevedere un lavoro di rete nell'ottica dello sviluppo di Comunità (attivare le risorse esistenti della società civile, anche del

privato).

Attivare reti informali

Attivare, facilitare e sostenere la nascita di gruppi informali, dal mutuo aiuto all'associazionismo.

costituzione di un GRUPPO DI LAVORO sul Volontariato: che

si occupi pensare a come promuovere e coltivare la cultura

del volontariato sul territorio; come attivare gruppi informali...

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Ciò che emerge dal lavoro di programmazione è un Piano di interventi molto diverso da quelli elaborati nelle precedenti triennalità in cui si prevedevano azioni, budget e tempi di realizzazione per ogni area di intervento. La crisi socio-economica, da un lato, che ha generato una diffusa e profonda sofferenza sociale (senso di solitudine e sovraccarico dei compiti familiari, incertezza economico-finanziaria, sfiducia verso ogni forma di politica e istituzioni) e la crisi del sistema di welfare, dall’altro, che ha reso inefficiente la modalità di intervento dei servizi, ci hanno posto di fronte alla necessità di dover riconfigurare le politiche di welfare. Tale riflessione richiede un tempo di maturazione medio/lungo dettato, soprattutto, dal forte cambiamento che esso implica. Ci siamo da subito resi conto che era necessario darsi del tempo per fermarsi a pensare e per riposizionarsi davanti alla complessità della situazione. La programmazione zonale che è emersa, da questo intenso scambio, ha una struttura aperta e leggera in cui si dà spazio, prevalentemente, alla costituzione di luoghi di riflessione partecipata (i Gruppi di lavoro) per la definizione di nuove strategie di intervento. Citando Franco Floris46 la vulnerabilità sociale corrode orizzonti come la democrazia, la mutualità, la legalità, la partecipazione alla costruzione di beni comuni. Essa, pertanto, va contrastata in una logica di sviluppo sociale e comunitario, dove per comunità si intende la protezione reciproca fra cittadini entro cui vengono a intrecciarsi la funzione pubblica delle istituzioni civiche, le risorse del mercato e del mondo del lavoro, quelle associative e quelle personali. Il futuro dei territori si costruisce “facendo comunità”, creando momenti di socialità, trovando un orizzonte di rinnovamento basato sulla quotidianità. Di fronte a tale scenario ci è apparso chiaro che le azioni del prossimo triennio dovranno essere orientate a promuovere una cultura del cambiamento:

� Ripensare il ruolo delle istituzioni pubbliche � Promuovere azioni di cittadinanza attiva � Sperimentare nuove forme di governo del territorio � Riconfigurare il ruolo degli operatori � Ridisegnare il sistema degli interventi

E’ nato un Piano di Zona che accetta e assume la responsabilità di confrontarsi sul

cambiamento, consapevole dell’impossibilità di dare soluzioni, si propone il compito di diventare uno strumento di comprensione delle trasformazioni sociali e un Laboratorio di “innovazione

sociale” capace di generare nuove strategie, nuove forme organizzative capaci di incontrare i bisogni emergenti, capace di rafforzare e ri-attivare la società civile. L’innovazione, che anche la Regione Lombardia chiede ai territori, sta nel riformulare la capacità di risposta alle esigenze sociali e più precisamente:

1. nella capacità di soddisfare nuovi bisogni 2. nella capacità di modificare le relazioni esistenti tra i soggetti coinvolti in un territorio 3. nella capacità di produrre percorsi di inclusione sociale, stimolando la partecipazione

sociale Il prossimo Piano di Zona non va, pertanto, nella direzione di continuità di quelli precedenti, non contiene più azioni da gestire con un budget assegnato ma è diventato un contenitore sufficientemente ampio in cui, in questa fase, sono state definite le priorità su cui lavorare, in cui comprendere le nuove politiche di sviluppo sociale da sperimentare del nostro territorio.

46 Fonte: Animazione Sociale Supplementi - “Le ricadute sociali ed educative della vulnerabilità”

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Un Piano di Zona che riconosce la centralità del lavoro incisivo nella rete e con le reti del territorio, alle quali si richiede di generare risorse attraverso un percorso di riscoperta e riattivazione del

territorio: risorse umane e economiche; risorse esistenti e potenziali; risorse personali e collettive; risorse di self-help e di solidarietà; risorse specialistiche e non; risorse formali e informali; risorse interessate e disinteressate; risorse vecchie e nuove. Il grosso lavoro che implicitamente si sviluppa in questo complesso processo di riconfigurazione delle politiche di welfare è contenuto in quello che idealmente abbiamo chiamato “Patto locale di

sviluppo del territorio”, i cui contenuti sono rappresentati da poche ma chiare intenzioni riportate nella seguente tabella/mappa:

OBIETTIVI E PRIORITA’ IPOTESI DI LAVORO Promuovere processi di partecipazione attiva, per rianimare il territorio

- Coinvolgere nuovi attori della rete (mondo del profit, fondazioni,…)

- Promuovere la partecipazione attiva dei giovani per l’esplorazione dei loro bisogni

- Allestire spazi comuni di libero accesso: luoghi di scambio e confronto su temi di interesse comune (educazione dei figli, separazione coniugale, ripensamento degli stili di vita…)

Strutturare luoghi di riflessione

plurale sulle tematiche di maggiore priorità e ritenute strategiche

- Gruppo di Lavoro sulla tutela minori - Gruppo di Lavoro sulla genitorialità - Gruppo di Lavoro sui giovani - Gruppo di Lavoro sul volontariato - Gruppo di Lavoro sul reperimento risorse

Rafforzare la Rete territoriale individuando strumenti di integrazione

- Implementare il sito distrettuale, creando spazi dedicati alle realtà del territorio

- Promuovere l’aggiornamento condiviso degli operatori - Monitorare la Diagnosi Sociale del territorio - Estendere la partecipazione al Tavolo delle Assistenti

Sociali ai Servizi Socio - Sanitari (CPS, SERT…) Sviluppare le azioni di Prevenzione, riconosciuta come area strategica di intervento

- Lavorare sulle politiche di conciliazione - Promuovere interventi per contrastare la solitudine dei

soggetti fragili - Promuovere politiche giovanili - Promuovere esperienze di socializzazione e di

mutualità - Sperimentare interventi di prevenzione trasversali alle

aree di bisogno. Riconoscere la trasversalità di alcune aree di bisogno

- Coinvolgere nei gruppi di lavoro tematici anche i soggetti che lavorano nell’Area Stranieri

Implementare azioni per il reperimento delle risorse

economiche

Gruppo di lavoro che approfondisca il sistema delle risorse alternative: - progettazione finanziata - marketing sociale - compartecipazione alla spesa dei cittadini - donazioni di scopo

Promuovere la cultura della solidarietà sociale

- Promuovere esperienze di mutuo aiuto - Sensibilizzare il territorio al volontariato - Sostenere e valorizzare le realtà di volontariato e le

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esperienze di mutualità esistenti - Far nascere occasioni di socialità - Promuovere nuove forme di mutualità (es: Banca del

tempo,…) Potenziare il dialogo e la collaborazione con la scuola

- Sviluppare la co-progettazione - Promuovere incontri informativi per genitori e

insegnanti Attivare progetti sperimentali su dimensione sovra distrettuale

- Sperimentare l’accreditamento di strutture di accoglienza per minori

- Sperimentare azioni nell’area famiglia e minori: Family group conference, advocacy e reti di auto mutuo aiuto

- Sperimentare interventi di conciliazione tempi di vita e lavoro

- Sperimentare criteri uniformi di compartecipazione alla spesa dell’utente

Approfondire strategie di gestione

associata dei servizi - Studio di fattibilità sulla Gestione Associata di alcuni Servizi:

- il Servizio minori e famiglia - il Trasporto disabili e anziani - …

Una programmazione che si svilupperà e troverà una maggiore articolazione nell’arco dei prossimi tre anni e che, per l’anno 2012, si propone di dare continuità agli interventi in essere, per i quali saranno approfondite specifiche analisi per la loro sostenibilità ed la loro eventuale nuova ridefinizione:

� Servizio Educativo Minori � Servizio Adozioni � Titoli sociali � Sportello stranieri � Sportello ascolto per le donne vittime di violenza � Servizio inserimento e orientamento al lavoro

PIANO DI ZONA MULTIDIREZIONALE Volendo trovare una necessaria sintesi della direzione da perseguire, in una fase di passaggio che rischia di produrre disorientamento, possiamo definire il nuovo Piano di Zona Multidirezionale. Si delinea, infatti, un lungo e complesso processo di cambiamento culturale e di riconfigurazione del lavoro sociale e delle politiche sociali orientate su più livelli, in più direzioni e in più tempi.

su più livelli: 1. il livello della politica 2. il livello del sistema dei servizi 3. il livello del territorio 4. il livello del cittadino

in più direzioni: 1. riorganizzare il sistema dei servizi

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2. governare i cambiamenti del sistema sociale 3. sperimentare nuove forme di cittadinanza e di coesione sociale

in più tempi: 1. il tempo delle azioni indifferibili (di contenimento dei bisogni) 2. il tempo della riflessione per il cambiamento 3. il tempo delle azioni sperimentali

Per concludere vogliamo sinteticamente riportare una riflessione che, a nostro parere, anche se non sufficientemente argomentata, è emersa in tutti i momenti collettivi della programmazione:

1. la necessità e il desiderio di lavorare di più sulla promozione del benessere dei cittadini,

rafforzando le azioni di prevenzione precedentemente abbandonate 2. riconoscere che è possibile produrre beni comuni attivando le risorse e le potenzialità

della società civile 3. l’importanza di riconsegnare fiducia nell’intervento del servizio pubblico

5.2 IL TERZO SETTORE E IL PIANO DI ZONA

La legge 328 esprime la necessità di favorire e coinvolgere, in tutte le fasi della pianificazione sociale, i soggetti non istituzionali attivi sul territorio, quelli cioè appartenenti al cosiddetto “Terzo settore”. Anche la Regione Lombardia, nella Legge Regionale n. 3 del 2008 e nelle Linee di indirizzo per la programmazione dei Piani di Zona (terzo e quarto triennio) ha ribadito che il Terzo settore è un soggetto attivo nella programmazione, progettazione e realizzazione della rete delle unità d’offerta sociali. La partecipazione del Terzo settore, nello spirito della Legge 328, supera la tradizionale forma dell’affidamento o convenzionamento per la gestione dei servizi e assume un vero e proprio significato di partnership con l’Ente pubblico per la definizione del disegno complessivo del sistema di welfare locale e per la corresponsabilità della sua realizzazione. In questa ottica l’Ambito distrettuale di Pieve Emanuele ha inteso sviluppare all’interno della programmazione del nuovo Piano di Zona 2012/2014 una pianificazione che assicuri la più ampia partecipazione delle organizzazioni del Terzo settore del territorio. Il Terzo settore nelle sue dimensioni di associazionismo di promozione sociale, di associazioni di volontariato, di cooperative e imprese sociali, è una delle più chiare espressioni dell’auto organizzazione della società civile. Il Terzo settore, proprio nelle politiche di welfare, ha svolto e continua a svolgere un ruolo cruciale non solo nella gestione dei servizi ma quale soggetto che, in una visione sussidiaria agita, ha contribuito e contribuisce alla progettazione delle politiche sociali sui territori. Il concetto di “estensione della funzione pubblica” a tutti quei soggetti che, indipendentemente dalla propria natura giuridica, sono capaci di realizzare “azioni di pubblico interesse”, sta caratterizzando l’attuale quadro di riferimento culturale e normativo, in cui occorre ideare e realizzare i sistemi di welfare locali. A tutti i soggetti pubblici e del privato sociale, chiamati in causa dalla legge 328/2000 e dalla legge regionale 3/2008, si pone la sfida di individuare e gestire un sistema di relazioni fra i diversi attori, chiamati a svolgere funzioni complementari, nelle diverse fasi del ciclo di vita del Piano di Zona. Il Distretto Sociale 6 ha intrapreso già da un anno un lavoro di condivisione e rilevazione dei bisogni del territorio in stretta collaborazione con tutti gli attori sociali. Si è avviato un processo che ha portato alla definizione delle finalità e degli obiettivi per la programmazione del prossimo triennio.

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Possiamo così riassumere le riflessioni emerse da questo proficuo e interessante confronto sul tema della governance:

• Ridefinire il ruolo che le organizzazioni del Terzo settore possono svolgere nell’individuazione del cambiamento di scenari, bisogni e approcci per lo sviluppo e il consolidamento di un sistema di welfare locale di qualità (capace di rispondere a criteri di giustizia e di equità nell’accesso);

• Riflettere sulle condizioni, sulle modalità, sugli strumenti per realizzare un sistema di welfare partecipato;

• Individuare corrette modalità di relazione tra le diverse tipologie di soggetti, nel rispetto delle specificità, dei mandati e dei ruoli di ognuno;

• Individuare i criteri con i quali monitorare il processo della governance, anche attraverso la verifica del “bene relazionale” prodotto (difficile da misurare perché fatto di fiducia, cultura e reputazione);

• Condividere le scelte di un sistema di accreditamento di qualità, quale processo di valutazione per il miglioramento della qualità dell’assistenza erogata dalla rete dei servizi;

5.3 L’INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA.

PROGRAMMAZIONE DEI PIANI DI ZONA 2012/2014 L’ASL Milano 2, al fine di rendere operativo un modello della rete dei servizi integrati, ha individuato e propone, così come avvenuto nella precedente triennalità, alcune priorità/obiettivi per la programmazione dei Piani di Zona della triennalità 2012/2014 in tema d’integrazione socio sanitaria. Questi obiettivi, coerenti con le Linee Guida Regionali, sono descritti nel presente documento tecnico, partecipato e condiviso, con gli Uffici di Piano e il Terzo Settore. Il loro raggiungimento potrà avvenire solo all’interno di una nuova cornice organizzativa capace di assorbire, elaborare e risolvere le criticità emerse nel passato e quelle che potranno emergere. Intenzione dell’ASL Milano 2 e degli Uffici di Piano è pertanto quella di condividere la creazione di un modello organizzativo che potrà declinarsi con le seguenti modalità. Il Tavolo Tecnico di Coordinamento Interistituzionale, nell’analisi dei temi relativi all’integrazione socio sanitaria, si articolerà in due tavoli distinti a valenza sovra distrettuale: uno per i territori dei distretti n.1, n.2, n.6, n.7 e uno per i distretti n.3, n.4, n.5, n.8. I soggetti partecipanti e attuatori dell’integrazione saranno l’ASL, con le sue articolazioni organizzative competenti, gli Uffici di Piano, l’Azienda Ospedaliera, il Terzo Settore. I due tavoli territoriali dovranno avere la caratteristica della continuità e permanenza nella triennalità per permettere il costante monitoraggio e adeguamento degli obiettivi prefissati. Viene prevista la possibilità di costituire in maniera autonoma specifici gruppi di lavoro sulle progettualità oppure gruppi specifici con la partecipazione degli operatori dei vari servizi in funzione di bisogni emergenti e di opportunità e necessità operative. Le principali azioni/obiettivi dei due tavoli territoriali dovranno quindi essere finalizzate alla condivisione dei seguenti aspetti:

• l’aggiornamento del sistema informativo • il monitoraggio della qualità dell’offerta • la costruzione di un osservatorio permanente sul welfare locale • il monitoraggio della domanda soddisfatta attraverso il funzionamento di équipe integrate

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• l’organizzazione di momenti formativi comuni • il monitoraggio costante dei protocolli sottoscritti dai diversi attori

Tali elementi trovano una loro precisa puntualizzazione nella tabella riguardante la triennalità 2012/2014 di seguito riportata. La tabella presenta nella prima colonna gli obiettivi, nella seconda alcune azioni possibili e nell’ultima gli indicatori, intesi come fatti, osservazioni o misurazioni raccolte durante un’attività di valutazione, che avranno cadenza, di norma, annuale al fine di meglio monitorare la situazione. Tuttavia, la programmazione della nuova triennalità dei Piani di Zona, all’interno della cornice organizzativa sopra rappresentata, non potrebbe definirsi tale senza una valutazione/monitoraggio di quanto avvenuto nella precedente triennalità. Ecco perché è stata approntata una tabella di sintesi degli obiettivi sull’integrazione socio sanitaria - oggetto del precedente Accordo di programma - sullo stato dell’arte e sui possibili ambiti d’implementazione, alcuni dei quali ripresi negli obiettivi della prossima triennalità.

INTEGRAZIONE SOCIO SANITARIA ANNI 2009/2011

OBIETTIVO STATO DELL’ARTE POSSIBILI AMBITI DI

IMPLEMENTAZIONE

Miglioramento della qualità dell’accesso alle unità di offerta della rete

Continuazione dell’orientamento qualificato Realizzazione e pubblicazione del portale “PUA web”

Implementazione del PUA web attualmente centrato sulla non autosufficienza a domicilio, ampliandolo oltre il domicilio

Funzioni relative al segretariato sociale ed alla facilitazione ed orientamento dell’accesso alla rete delle unità di offerta sociali e sociosanitarie da parte dell’utente

Servizio CIRP in funzione Progetto “Tutti per uno uno per tutti” Gruppo Segretariato sociale condotto e concluso con stesura di linee guida

Servizio CIRP in mantenimento

Implementazione del PUA web

Applicazione linee guida

Costituzione condivisa di un sistema informativo

Momentanea sospensione del gruppo “sistema informativo” a causa di problemi organizzativi Organizzato corso “La gestione dei dati e delle informazioni per l’integrazione sociosanitaria” Realizzazione progetto “ Banca SASSi”: gestione dei dati e delle informazioni per l’integrazione socio sanitaria attraverso la progettazione e lo sviluppo di una banca dati assistiti di area socio assistenziale e socio sanitaria integrate

Ripresa dei lavori del gruppo

Continuazione progetto “ Banca SASSi : gestione dei dati e delle informazioni per l’integrazione socio sanitaria attraverso la progettazione e lo sviluppo di una banca dati assistiti di area socio assistenziale e socio sanitaria integrate

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Sostegno alla genitorialità Protocollo “Genitorialità e Minori” tra Dipartimento Dipendenze, ASSEMI, UO NPI, Dipartimento Salute Mentale. Realizzazione dei CAT Applicazione del protocollo definito dal gruppo di lavoro congiunto ASL e UdP Realizzazione d’interventi di formazione per coppie aspiranti all'adozione e di sostegno pre e post adozione Formazione operatori dei CAT anche a livello nazionale

Prevenzione, tutela di minori con una presa in carico integrata precoce.

Da definire nuovo protocollo operativo (triennio 2012-2014) in considerazione delle risorse a disposizione e delle direttive regionali.

Consolidamento e attenzione a forme d’integrazione tra titoli sociali e prestazioni sociosanitarie

Protocollo operativo per la continuità e l’integrazione tra le prestazioni erogate con il voucher socio sanitario e i servizi forniti con il voucher sociale e il SAD comunale Attivazione dei CeAD e sottoscrizione, con alcuni ambiti, dei relativi protocolli d’intesa Avvio dell’attività dei Punti ADI Realizzazione del primo percorso di formazione “Pai integrato” tra casemanager sociali (Comuni) e casemanager sanitari (Punti ADI) Realizzazione del progetto

“PAI ON LINE

Elaborazione e condivisione di procedure operative tra ASL e Ambiti per l’integrazione delle prestazioni domiciliari socio- sanitarie e socio-assistenziali

Prosecuzione del percorso d’integrazione sulla domiciliarità, potenziando le funzioni e gli strumenti organizzativi (CeAD, Punti ADI) ed operativi, integrati e condivisi

Proseguimento del percorso di formazione “Pai integrato”

Miglioramento dell’uso del programma PAI on line

Protocollo ”dimissioni protette”

Revisione attuale Protocollo al fine di facilitare l’attivazione delle “dimissioni concordate” (identificazione punto unico per l’accoglimento richieste)

Definizione in accordo con le AO di “strumenti” per identificare precocemente le persone a rischio e necessitanti di dimissioni concordate

Costituzione gruppo di lavoro relativo alle procedure di accreditamento delle unità d’offerta sociale

Conclusione del percorso con la stesura di un documento condiviso dagli UdP

Mantenimento collaborazione su altre procedure in tema di accreditamento

Realizzazione d’interventi di prevenzione e di contrasto dei fattori di rischio, nella direzione indicata dalla l.r. 3/2008, art. 18 comma 3).

Stesura del Protocollo “Spazio Rete Giovani Martesana”, tra Dipartimento Dipendenze e UdP

Analisi comportamenti giovanili, supporto forme aggregative giovanili Attività di riduzione dei rischi tramite l’unità mobile giovani

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Prevenzione delle dipendenze patologiche e dei comportamenti additivi.

Attuato il Piano biennale prevenzione dipendenze definito dal comitato rete prevenzione con UdP

Attuazione dei Programmi di life skills e centri di ascolto e consulenza nelle scuole, del centro di ascolto per educatori, operatori dei comuni, docenti e genitori, dell’osservatorio territoriale dipendenze.

Tutela della Salute Mentale Partecipazione ai lavori dell’organismo di coordinamento Salute Mentale Partecipazione ai lavori dell’organismo di coordinamento della Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza

Continuazione dei lavori all’interno dell’organismo di coordinamento Salute Mentale Continuazione dei lavori all’interno dell’organismo di coordinamento della Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza

Interventi nell’area disabilità e sostegno alle famiglie

Gestione del Centro Diurno per Disabili di San Donato Milanese Convenzione per il passaggio di gestione del CDD di San Donato Milanese Gestione dei Collegi di Accertamento Alunno Disabile Gestione bandi ex L.R. n. 23/99 Strumenti Tecnologicamente Avanzati. Gestione contributi ex L. 104/92 art. 27 Modifica Strumenti di Guida

Collaborazione con ASSEMI per il passaggio di gestione del CDD come da Convenzione sottoscritta Prosecuzione attività istituzionale

Realizzazione del Piano Integrato Locale degli interventi di promozione della salute

Previsione della presenza dei rappresentanti degli UdP negli organismi di consultazione della ASL per le attività di promozione della salute Realizzazione delle attività previste nel piano

Realizzazione del nuovo piano

Costituzione della struttura per la protezione giuridica.

Costituito e attivato l’Ufficio per la protezione giuridica

Prosecuzione dei lavori dell’Ufficio per la protezione giuridica

Attivazione dell’ASL per garantire il rispetto di quanto p re v i s to ne i DPCM 14 Febbraio 2001 e 29 Novembre 2001.

Garantito quanto previsto dalle normative

Mantenimento di quanto previsto

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INTEGRAZIONE SOCIO SANITARIA ANNI 2012/2014

OBIETTIVO AZIONI INDICATORI

Implementare la conciliazione Evidenza Documentale famiglia lavoro Verbali tavoli

Attuazione Accordo Territoriale Costituzione Tavolo Politico e Tavolo Tecnico

Stesura “Piano di lavoro territoriale...” Prosecuzione dei lavori del tavolo regionale Costituzione del Tavolo locale sulla conciliazione famiglia- lavoro Attuazione d’iniziative di formazione agli ambiti e ASL Definizione della programmazione locale Attuazione degli interventi

Realizzare il Piano d’Azione Regionale per le persone con disabilità

Attuazione delle azioni previste dal Piano Aggiornamento del Piano d’intervento locale Prosecuzione della realizzazione dell’intesa con Comune di Cernusco sul Naviglio per Punto Unico d’Accesso Disabili (PUAD) Prosecuzione della realizzazione dell’Accordo quadro per la stipula di contratti relativi a Servizi a favore di cittadini disabili promosso dall’Ufficio di Piano del Distretto 5 Prosecuzione della partecipazione al Tavolo Autismo promosso dal Distretto Sociale Sud Est Milano per la realizzazione ed il monitoraggio delle azioni del Progetto Autismo. Collaborazione con la Cooperativa Punto d’Incontro per l’attivazione del percorso di formazione-ricerca “Il progetto di vita nella disabilità”

Report attività

Verbali tavoli

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Consolidare il modello organizzativo dell’ADI, ad implementazione dei CeAD ed in integrazione con i servizi d o mi c i l i a r i g e s t i t i d a i comuni/Uffici di Piano

Costituzione e attivazione dei punti ADI in tutti i distretti

Elaborazione di strumenti e procedure per l’integrazione sulla domiciliarità

Report attività Delibera attuativa

Assicurare continuità ospedale - territorio Definizione, in accordo con le

AO, di “strumenti” per identificare precocemente le persone a rischio e necessitanti di dimissioni concordate Definizione di un percorso condiviso con gli Uffici di Piano

Protocollo Report di monitoraggio

Realizzazione del progetto NASKO a sostegno delle madri in difficoltà.

Prosecuzione attività di erogazione fondi alle madri che rinunciano all’IVG e versano in precarie condizioni economiche Definizione dei protocolli operativi con interlocutori territoriali (CAV, Comuni, Associazioni ecc)

Report attività Protocolli

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Semplificare i percorsi di accesso alla rete dei servizi da parte delle persone, della famiglia e della comunità

Revisione del modello organizzativo dei consultori: estensione della nuova funzione di ascolto, orientamento e supporto psicopedagogico rivolto alla famigl ia, per l’accesso integrato alla rete integrata dei servizi per la famiglia a tutti i consultori dell’ASL Attuazione del Progetto "Parliamo con te ... e con la tua famiglia” Formazione del personale di tutti i consultori nell’ottica dello sviluppo di nuove c o m p e t e n z e , a n c h e relativamente alla conoscenza dei Piani di Zona e degli Uffici di Piano, e funzioni volte ad una risposta integrata alle problematiche della famiglia Mappatura e Banca Dati dei servizi e delle azioni (sociali e sociosanitarie) rivolte alla famiglia, nelle due Aree di sperimentazione

del progetto “Parliamo con te ... e con la tua famiglia” Definizione di procedure/protocolli operativi di collaborazione e di attivazione con i nodi della rete

Documento Report attività progettuali Documenti formazione Protocolli

Integrare gli interventi socio sanitari nell’area famiglia e minori: assicurare sostegno alla genitorialità

Attuazione Protocollo “Genitorialità e Minori” tra Dipartimento Dipendenze, ASSEMI, UO NPI, Dipartimento Salute Mentale: formazione del gruppo integrato valutazione (GIV) , acquisizione di strumenti condivisi, schede esiti e follow up Stesura di un nuovo protocollo operativo per l’attività dei CAT, in considerazione delle risorse a disposizione e delle indicazioni regionali Attuazione di eventuali linee guida sui minori Rinforzare l’organizzazione

Documento che individui i requisiti minimi dei servizi territoriali per la famiglia e i minori

Protocolli

Report con evidenza di collaborazioni

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della rete dei servizi per la Famiglia e i Minori,superando la frammentarietà delle prestazioni verso la continuità e la qualità delle risposte attraverso la ricognizione delle risorse, sia economiche che tecniche e la definizione di protocolli di integrazione e procedure operative di connessione che rendano funzionale il sistema dei servizi

Prevenire le dipendenze patologiche e i comportamenti additivi e contrastare i fattori di rischio

Applicazione piano biennale prevenzione dipendenze definito dal comitato rete prevenzione con UdP Applicazione del protocollo “Spazio Rete Giovani Martesana”con UdP. Sviluppo dei programmi di life skills e dei centri di ascolto e consulenza nelle scuole, del centro di ascolto per educatori, operatori dei comuni, docenti e genitori, delle attività dell’osservatorio territoriale Attività consulenziale nei CAG ed educativa di strada Attività di riduzione dei rischi tramite l’unità mobile giovani

Protocolli

Report con evidenza di collaborazioni

Report Osservatorio Dipendenze

Promuovere la salute e sani stili di vita

Partecipazione agli organismi consultivi per le attività di promozione della salute Realizzazione, per le parti di reciproca competenza, delle attività previste nel Piano Integrato Locale

Documento del piano Report attività

Collaborare alla tutela della Salute Mentale

Partecipazione ai lavori dell’organismo di coordinamento Salute Mentale Partecipazione ai lavori dell’organismo di coordinamento della Neuropsichiatria Infantile e dell’Adolescenza

Verbali dei lavori

Collaborare alla protezione giuridica delle persone fragili

Analisi,valutazione e avvio di possibili collaborazioni con altri enti e nuove azioni

Protocolli Report con evidenza di collaborazioni

Costruire sistemi informativi integrati per il monitoraggio della domanda e la

Mappatura delle informazioni da raccogliere Progettazione e sviluppo di una

Report iniziativa formativa Materiale realizzato Evidenza documentale

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programmazione della risposta banca dati assistiti di area socio assistenziale e socio sanitaria integrate Formazione degli operatori coinvolti Programmazione integrata degli interventi

Implementare la collaborazione col Terzo Settore

Analisi dell’attività svolta Individuazione di nuovi ambiti di collaborazione Stesura di un nuovo regolamento Tavolo Locale di Consultazione dei Soggetti del Terzo Settore (TTS)

Evidenza Documentale

Sviluppare forme di comunicazione efficace ed efficiente

Realizzazione di una analisi di fattibilità di una newsletter (o altro strumento informativo) rivolto agli UdP, Terzo Settore, operatori della Direzione Sociale Eventuale attuazione dell’iniziativa Collaborazione all’attuazione delle azioni previste dal Piano di comunicazione della ASL, con particolare riguardo alla diffusione di informazioni relative a: • realtà innovative

cliniche e riabilitative del pubblico e del privato accreditato nell’ambito delle dipendenze

• promozione della salute nelle scuole

• funzioni di ascolto orientamento e supporto psicopedagogico nei consultori

• attuazione del nuovo modello regionale per l’ADI

Evidenza documentale

Stesura del nuovo regolamento del tavolo di coordinamento interistituzionale

Stesura del nuovo regolamento del tavolo di coordinamento interistituzionale

Evidenza documentale

Collaborare, nell’ambito dei Piani di Zona, alle attività di promozione delle iniziative

Partecipazione alle attività Evidenza documentale Verbali incontri

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sperimentali nell’area socio- sanitaria e sociale a carattere innovativo

Migliorare la funzionalità Analisi dell’attuale Documento di analisi dell’Ufficio di supporto organizzazione all’attività del Consiglio di e della funzione Documento di monitoraggio

Rappresentanza dei Sindaci e delle Assemblee Distrettuali Monitoraggio dell’attuazione

del regolamento vigente

Realizzazione di una analisi di fattibilità per la creazione di una sezione del sito web della

ASL dedicato all’attività degli organismi di rappresentanza dei sindaci (comunicazioni, organismi, normative, documenti ecc.)

Il presente documento, condiviso con tutti i soggetti partecipanti all’attuazione dei Piani di Zona, sarà inserito negli Accordi di Programma dei Piani di Zona 2012/2014. 5.4 I PROGETTI SPERIMENTALI SOVRA DISTRETTUALI ASL MILANO 2

Come previsto dalle Linee di Indirizzo per la Programmazione Sociale, della Regione Lombardia47, gli ambiti distrettuali della ASL Milano 2, hanno dato avvito ad un lavoro di programmazione innovativa ed integrata, che ha portato alla stesura di quattro Progetti Sperimentali Sovra-Distrettuali, sui seguenti temi:

- Accreditamento e rete delle Unità d’Offerta Sociali

- Compartecipazione al costo delle prestazioni

- Conciliazione Famiglia/Lavoro

- Sperimentazioni nell’Area Famiglia e Minori

L’intento è quello di adottare la Strategia di Alleanze suggerita dalla Regione, attraverso l’integrazione delle risorse e della Policy. L’esperienza di Co-progettazione con gli altri Ambiti Distrettuali, ha consolidato le collaborazioni tra Uffici di Piano e avviato un processo di contaminazione delle esperienze, che riteniamo possa avere pieno sviluppo nel prossimo triennio.

47 Paragrafo 2.2.4 “Il triennio 2012-2014: Sperimentazioni di un Nuovo Welfare”

103

5.4.1 - LO STRUMENTO DELL’ACCREDITAMENTO TRA CONDIVISIONE DI

RESPONSABILITA’ PUBBLICA, PROCESSO DI QUALIFICAZIONE DI INTERVENTI E

SERVIZI, REGOLAZIONE DELLA RETE DELLE UNITA’ D’OFFERTA SOCIALI.

Il quadro normativo

Due tra gli elementi innovativi introdotti dalla l.328/2000, e integralmente recepiti dalla l.r. 3/2008, cardini del sistema integrato postulato dalle medesime norme, sono quelli della SUSSIDIARIETÀ ORIZZONTALE e dell’ACCREDITAMENTO delle unità di offerta e dei servizi. I due principi presentano una forte correlazione di sistema. Gli interventi e servizi che costituiscono la rete territoriale, ovvero la mappa dell’offerta disponibile per i fruitori, vanno progettati, programmati, erogati e verificati di concerto con le formazioni sociali48. La cooperazione sociale, l’associazionismo, le formazioni sociali in genere, abbandonano il ruolo di soggetti residuali semplici fornitori di manodopera, per diventare parte attiva, protagonisti in pari dignità delle politiche sociali, sia sul fronte della programmazione che della realizzazione dei servizi, pur in una cornice di senso, normativa e quali/quantitativa assicurata dall’indirizzo pubblico.

Un sistema che sia realmente integrato e che valorizzi e promuova tutte le risorse di un territorio, è un sistema che si basa sulla sussidiarietà e la condivisione di responsabilità con tutti gli attori delle politiche sociali locali, indicati quali responsabili della programmazione e della costruzione del sistema stesso. In questa ottica l’ACCREDITAMENTO può essere individuato quale modalità di qualificazione e di individuazione di erogatori di servizi ed interventi, che maggiormente risponde all’obiettivo di incremento dei livelli di qualità, condivisione di responsabilità pubblica e di sussidiarietà orizzontale, oltre a permettere concretamente la libertà di scelta in un sistema che garantisca e risponda di qualità verificata.

La L.328, all’art. 6 lettera c) ed all’art. 11, attribuisce ai Comuni la potestà di accreditare le

unità d’offerta sociali; conseguentemente anche Regione Lombardia, art. 13comma 1 lettera d) l.r. 3/2008, ribadisce tale attribuzione ai Comuni chiamati ad individuare ulteriori requisiti di qualità espressione, del livello territoriale, partendo dalle indicazioni normative regionali in merito ai criteri generali per accedere all’accreditamento. Successivamente la Regione Lombardia con decreto n° 1254 del 15/02/2010 “Prime indicazioni in ordine a Esercizio e accreditamento delle unità d’offerta sociali” ha emanato, in applicazione dell’art. 11 della l.r. 3/2008, indicazioni operative al fine di disciplinare in modo omogeneo sul territorio le procedure relative a Comunicazione Preventiva per l’Esercizio (CPE) e Accreditamento delle unità d’offerta sociali. Il decreto regionale ribadisce il concetto di rete sociale quale sistema integrato, dinamico, aperto alle sperimentazioni e alla collaborazione tra pubblico e privato, ma sempre governato dagli enti locali attraverso lo strumento dei Piani di Zona. Relativamente all’ACCREDITAMENTO la Regione sancisce in modo chiaro che tale istituto rappresenta la modalità con cui un soggetto può erogare servizi e prestazioni per conto dell’ente pubblico conferendogli di fatto la natura di provvedimento di natura concessoria. Viene ribadito quanto già sancito dalla L.r. 3/2008 all’art. 16 comma 1 ovvero che l’accreditamento è presupposto necessario affinché l’ente locale stipuli contratti o convezioni per l’acquisizione di prestazioni, interventi e servizi erogate dal privato49. 48 Art. 1 c.4 della l.328/2000 49 Art. 16 l.r. 3/2008 “L’accreditamento delle unità d’offerta sociali è condizione per sottoscrivere i conseguenti contratti con i comuni, nel rispetto della programmazione locale e con riguardo ai criteri di sostenibilità finanziaria definiti nel piano di zona.”

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Il decreto regionale disponeva che i Comuni definissero i requisiti di accreditamento delle unità d’offerta sociali entro 1 anno dalla pubblicazione del decreto e che la Regione definisse invece con la medesima tempistica i requisiti di accreditamento delle unità d’offerta sociali residenziali per minori e disabili. Infine la Regione Lombardia con Decreto 6317 del 11.07.2011 ha individuato i requisiti sperimentali di accreditamento per le unità d’offerta residenziali di accoglienza per minori, demandando agli ambiti il compito di accreditare le strutture insistenti su ogni territorio.

Lo strumento ACCREDITAMENTO L’accreditamento è una procedura che da titolo ad un servizio, già funzionante e quindi autorizzato, ad erogare interventi e prestazioni secondo determinati livelli di qualità stabiliti dall’ente che accredita. Accreditare, dare credito, vuol dire letteralmente “dare fiducia”: si tratta dunque di procedure che qualificano il soggetto gestore o l’erogatore di interventi e prestazioni, secondo standard “superiori”, stabiliti dalla funzione pubblica, rispetto a quelli previsti per il funzionamento da norme regionali, o vincolanti per l’inserimento nella rete di unità di offerta programmata dalla pubblica amministrazione, nell’ambito di una relazione aperta e collaborativa. Accreditare significa anche garantire ai cittadini fruitori, nell’ambito di un mercato sociale regolato, possibilità di scegliere fra offerte garantite dalla funzione pubblica: garanzie che significano fiducia, competenza, disponibilità, ascolto e professionalità. Accreditare infine per monitorare la rete delle unità d’offerta sociali, in un’ottica di uniformità territoriale che garantisca il cittadino nell’accesso a interventi e prestazioni, ma anche che consenta alle pubbliche amministrazioni di contrarre con i gestori avendo previamente stabilito tariffe certe e congrue con i livelli di qualità. Accreditamento come implementazione della qualità

L’accreditamento è uno strumento finalizzato a verificare livelli di qualità e di appropriatezza del sistema di offerta, rendere più incisiva la capacità di tutela del benessere delle persone e assicurare politiche sociali universalistiche ed efficaci. Si tratta di un processo di implementazione della qualità di un servizio finalizzato a:

⇒ qualificare, valutare e valorizzare i criteri quanti/qualitativi attesi;

⇒ rendere espliciti e verificabili i livelli di qualità ritenuti essenziali per il tipo di servizio che si accredita;

⇒ garantire ai cittadini fruitori che il livello di qualità essenziale sia presente in modo omogeneo per tutti i soggetti accreditati;

⇒ favorire le nuove progettualità, anche attraverso la proposta di offerte aggiuntive.

L’implementazione della qualità non riguarda solo i contenuti dei servizi ma anche la responsabilizzazione degli erogatori nel condividere la funzione pubblica nell’erogazione di quel servizio. Con questo percorso i Comuni associati , individuati come gli enti più vicini alla cittadinanza, escono dall’ottica di meri sovvenzionatori di una prestazione che sono obbligati a garantire per norma, per assumere il ruolo di promotori di una cultura di qualità. Una qualità che garantisce alla cittadinanza la concreta possibilità di scegliere tra più erogatori qualificati, una qualità espressa attraverso la regia pubblica, una qualità rafforzata dalla condivisione della responsabilità pubblica dell’erogazione del servizio.

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La qualità di un servizio passa anche dalla qualità dei processi che lo caratterizzano, dalle relazioni tra i soggetti deputati alla sua concreta attuazione, dall’appartenenza e maggiormente dalla condivisione di senso del servizio stesso. La qualità passa attraverso la partecipazione, la costruzione e la tenuta della rete degli attori coinvolti. Rappresentano obiettivi specifici dell’accreditamento:

⇒ La regolazione dell’ingresso nel mercato dei servizi sociali dei soggetti che intendono erogare prestazioni “per “ e “con “ l’ente pubblico nell’ottica della sussidiarietà

auspicata dalla legge 328;

⇒ La garanzia della libertà di scelta da parte del fruitore mantenendo la regia degli interventi in capo al pubblico e affidando la responsabilità dell’attuazione degli stessi

all’erogatore accreditato;

⇒ L’attivazione di un processo di promozione della qualità dei servizi alle persone verso

l’innovazione e il miglioramento continuo della qualità di erogazione;

⇒ La garanzia dell’uniformità e dell’omogeneità rispetto alla qualità dei servizi offerti nella realtà locale nell’ottica dell’uguaglianza pur nel rispetto delle specificità

territoriali.

L’Accreditamento è quindi strumento di promozione della sussidiarietà e della responsabilità, con obiettivi di

- valore

- efficacia

- efficienza

- responsabilità

- professionalità

Accreditamento come concessione multipla di funzioni sociali

Come detto in precedenza l’accreditamento è per natura giuridica un PROVVEDIMENTO CONCESSORIO: attribuisce ai servizi accreditati la natura di servizi pubblici sociali e al soggetto accreditato quello di Concessionario della Pubblica Amministrazione. È un percorso che consente di coniugare l’estensione di funzioni sociali pubbliche, la maggior responsabilizzazione degli enti gestori, con criteri di efficienza, economicità, sostenibilità della spesa. Nel caso specifico trattasi di concessione multipla: l’obiettivo finale è infatti la composizione di un Albo di soggetti accreditati in cui trasparenza e libera concorrenza si coniughino con la creazione di un mercato regolato dalla Pubblica Amministrazione, nel rispetto della scelta del cittadino/fruitore. Il tutto con l’accompagnamento e il sostegno garantito dai Servizi sociali professionali competenti per territorio che svolgono funzioni di case management. L’accreditamento si configura secondo due modelli:

- un modello di ACCREDITAMENTO PURO, all’interno del quale l’utente sceglie “liberamente”;

- un modello di ACCREDITAMENTO MISTO, dove il servizio pubblico mantiene la competenza di diagnosi e lettura dei bisogni ed accompagna la scelta dell’utente.

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Si ritiene essenziale mantenere una forte presenza del pubblico in funzione di rilevazione del

bisogno, progetto assistenziale e supporto alla scelta del cittadino/fruitore individuando il modello dell’accreditamento “misto” quale migliore espressione della garanzia di tutela dei fruitori fragili e di regolazione dei costi economici del sistema. Non sono infatti delegabili e restano quindi di competenza del pubblico: - ACCOMPAGNAMENTO SOSTEGNO

- CONTROLLO

- VALUTAZIONE

Questo a garanzia dei principi di EGUAGLIANZA e UNIVERSALISMO SELETTIVO.

Inoltre poiché l’accreditamento introduce logiche semi - concorrenziali di cosiddetto “quasi mercato”, il modello misto garantisce una sostenibilità maggiore , tra qualità ed economicità.

Pertanto l’obiettivo principale è comunque quello di fornire uno strumento essenziale di

garanzia e tutela dei cittadini.

La scelta effettuata è quella di un percorso basato sulla verifica di requisiti oggettivi e soggettivi di qualità e non sono sulla verifica formale di idoneità all’erogazione di quel determinato servizio (autorizzazione al funzionamento ora comunicazione preventiva).

Le caratteristiche di questo modello sono • rendere vincolanti, espliciti e verificabili i livelli di qualità ritenuti essenziali per il tipo di

servizio che si accredita • garantire il diritto alla scelta su multiple offerte la cui qualità è stata verificata attraverso una

procedura ad evidenza pubblica con l’individuazione di standard di qualità monitorati dal pubblico.

• garantire ai cittadini fruitori che il livello di qualità essenziale sia presente in modo omogeneo per tutti i soggetti accreditati, fra cui può quindi scegliere sulla base di opportunità o offerte aggiuntive proposte.

• il sistema di individuazione del bisogno e di accompagnamento alla scelta dell’erogatore • il sistema di vigilanza e monitoraggio della qualità esercitato attraverso l’unità operativa

comunicazioni preventive e accreditamento, istituita all’interno dell’Ufficio di Piano

SVILUPPI DEL TRIENNIO 2012-2014 Gli otto ambiti dell’ASL MI 2 hanno avviato nel 2010, a seguito dell’emanazione del decreto regionale 1254/2010, un processo di omogeneizzazione territoriale dei requisiti delle procedure di accreditamento delle relative unità d’offerta partendo dall’ area prima infanzia. Il lavoro, supportato dal Dipartimento ASSI di ASL MI 2, attraverso il servizio Vigilanza e Accreditamento, si è concluso con la stesura ed approvazione del documento “LINEE GUIDA PER L’ACCREDITAMENTO DELLE UNITA’ DI OFFERTA SOCIALE NEI DISTRETTI DELLA ASL MILANO 2”. In continuità con questo percorso si intende sviluppare un processo sovra distrettuale trasversale di omogeneizzazione dell’accreditamento di interventi e servizi sociali partendo da una sperimentazione di accreditamento delle strutture di accoglienza per minori in ottemperanza a quanto previsto dal citato decreto 6317/2011. I Distretti di questa ASL condividono le finalità dello strumento dell’accreditamento relativamente alla garanzia del diritto dei cittadini degli otto territori afferenti all’ASL MI 2, di esigere la stessa qualità di interventi e servizi.

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Inoltre ci si pone l’obiettivo di andare a lavorare anche sul costo dei servizi in ordine ai livelli di qualità richiesti nell’ambito dell’accreditamento e di arrivare ad una contrattazione omogenea con gli enti gestori. 5.4.2 - LA COMPARTECIPAZIONE AL COSTO DELLE PRESTAZIONI La tematica della compartecipazione degli utenti e famigliari al costo delle prestazioni sociali e delle quote a valenza sociale delle prestazioni socio-sanitarie, è diventata sempre più di preminente interesse nel rapporto tra comuni e cittadini. Negli ultimi anni infatti, si è assistito ad un elevato contenzioso tra i comuni, gli utenti, le associazioni di categoria, ed il terreno di scontro non è stato solo quello della compartecipazione alle rette di ricovero in strutture residenziali, ma si è allargato al complesso delle prestazioni sociali erogate dagli enti. I tribunali amministrativi regionali ed il Consiglio di Stato hanno spesso accolto le ragioni dei cittadini, censurando i criteri e le modalità di compartecipazione definiti dalle Amministrazioni Comunali, ma non sono mancate pronunce di segno diametralmente opposto, anche di recente adozione. Quadro normativo di riferimento Analizzando il quadro normativo il D.Lgs. 109/98 (disciplina dell’ISEE) contiene, all’art. 3 – comma 2 ter - importanti disposizioni relativamente a questo argomento. Tale norma prevede per “le prestazioni sociali agevolate erogate nell’ambito di percorsi assistenziali integrati di natura socio sanitaria, erogate a domicilio o in ambiente residenziale a ciclo diurno o continuativo, rivolte a persone con handicap permanente grave … nonché a soggetti ultra 65enni la cui non autosufficienza fisica o psichica sia stata accertata dalle asl … le disposizioni del presente decreto si applicano nei limiti stabiliti con DPCM adottato … al fine di favorire la permanenza dell’assistito presso il nucleo familiare di appartenenza e di evidenziare la situazione economica del solo assistito anche in relazione alle modalità di contribuzione al costo della prestazione”. La disposizione citata è decisamente chiara, ma va segnalato che non è mai stato adottato il DPCM che definisca le particolari modalità applicative del D.Lgs. 109/98 ai disabili gravi e anziani non autosufficienti. Il Governo Monti, con il decreto “Salva Italia”50, all’art. 5 ha disciplinato la revisione delle modalità di determinazione dell’ISEE entro il 31 maggio 2012, al fine di rafforzare la rilevanza della ricchezza patrimoniale della famiglia, nonché della percezione di somme, anche se esenti dall’imposizione fiscale. La Regione Lombardia, con legge regionale 24 febbraio 2012 n. 2, ha introdotto modifiche alla L.R. 3/2008, disciplinando le agevolazioni per l’accesso alle prestazioni sociali e sociosanitarie (c.d. legge sul Fattore Famiglia). Con tale legge, a seguito di integrale sostituzione dell’art. 8 della L.R. 3/2008, vengono disciplinati i criteri di compartecipazione alle prestazioni sociosanitarie (mediante il pagamento di rette alla copertura del costo delle prestazioni inerenti a livelli essenziali di assistenza), alle prestazioni sociali e alla quota a valenza sociale delle prestazioni socio sanitarie. In tale legge vengono introdotti criteri differenziati di compartecipazione tra anziani e disabili.

50 D.L. 201/2011 convertito con modificazioni nella legge 214/2011

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Le problematiche aperte L’intervento del legislatore lombardo si inserisce in un processo, già aperto e già indicato in precedenza, di revisione dell’ISEE a livello nazionale. La legge regionale, inoltre, si inserisce in un quadro costituzionale, noto e più volte sottolineato e commentato nella ricca dottrina e giurisprudenza relativa al contenzioso sulla compartecipazione ai costi delle prestazioni sociali e socio sanitarie, in cui tale materia è sicuramente annoverabile nell’ambito della definizione dei “livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali” che come tale - ai sensi dell’art. 117, comma 2, lett. m) della Costituzione – rientra nella potestà legislativa esclusiva dello Stato. La legge lombarda sul “Fattore Famiglia” prevede un periodo transitorio annuale in cui verranno individuati i criteri di compartecipazione, con una graduale individuazione delle unità d’offerta interessate, ed il coinvolgimento di alcune amministrazioni comunali per l’applicazione in via sperimentale di tali nuovi criteri. L’obiettivo della programmazione L’obiettivo della programmazione interdistrettuale degli 8 ambiti è l’analisi dello sviluppo della sperimentazione regionale del “fattore famiglia”, nonché la diretta applicazione del nuovo ISEE nazionale, al fine di verificare effetti e compatibilità tra le due nuove norme. Il percorso di analisi si dovrà accompagnare, parallelamente, allo studio di uniformi criteri di compartecipazione dell’utenza a livello di territorio ASL, anche quale stimolo e ausilio alla programmazione e alla normazione regionale, nella definizione dei nuovi criteri che i comuni dovranno applicare, una volta conclusa la fase di sperimentazione. 5.4.3 – LA CONCILIAZIONE FAMIGLIA/LAVORO NELLA PROGRAMMAZIONE

SOCIALE

Tra le materie che gli ambiti distrettuali dell’Asl Milano Due hanno valutato opportuno affrontare trasversalmente vi è quella della tematica definita “conciliazione famiglia/lavoro”, una tematica non nuova per una gran parte degli Enti locali ma affrontata in questi anni probabilmente con un approccio settoriale e parcellizzato, in gran parte limitato agli interventi sugli orari dei servizi e raramente all’interno di più complessive politiche dei tempi e degli orari, sicuramente non inserito di diritto all’interno delle politiche sociali e ancor più raramente affrontato nella dimensione sovracomunale.

Nella più recente triennalità dei Piani di Zona e con l’acquisizione di una prassi consolidata rispetto all’integrazione di più politiche convergenti verso il benessere sociale e la qualità della vita, qualche documento di programmazione conteneva elementi innovativi e progetti trasversali che tenevano insieme la qualità dei servizi con la loro accessibilità oraria e flessibilità in relazione alle attività di cura assolte dalle famiglie, e in particolar modo dalle donne.

Oggi, oltre al contesto particolarissimo in cui le politiche sociali promosse dai comuni si trovano ad agire (poche risorse, bisogni in aumento, problemi occupazionali, rischio di povertà per nuove categorie di cittadini che perdono il lavoro o lo mantengono in condizioni precarie e/o intermittenti) si evidenzia una attenzione spiccata per la tematica della conciliazione da parte della Regione Lombardia che dopo una serie di sperimentazioni nate dal Piano di azioni integrate di promozione e tutela della famiglia e da un rinnovato quadro normativo, concretizza nella DGR 381/2010 la valorizzazione del tema promuovendo la stipula di PIANI TERRITORIALI PER LA

CONCILIAZIONE e mettendo così a sistema l’incrocio tra le azioni di conciliazione e la

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pianificazione locale.

Immediato il legame tra questa modalità d’intervento e altre prassi di pianificazione integrata, il richiamo alla pianificazione sociale di zona viene comunque sollecitato dalla stessa Regione Lombardia che, nell’elaborazione delle “Linee d’indirizzo per la pianificazione zonale 2012 – 2014”, raccomanda:

“Le azioni contenute nel Piano di Zona dovranno, pertanto, essere ricondotte alle priorità regionali e alle linee di riforma sotto richiamate, assicurando la coerenza tra la programmazione locale e quella regionale.

Regione Lombardia, in questo primo anno di legislatura, ha avviato processi di cambiamento su molti fronti. In particolare si richiamano i temi che già presentano un forte impatto sulla definizione o implementazione delle politiche locali: “- e mette al primo posto: “ - Percorsi di conciliazione tra tempi di vita e di lavoro; E ancora: “(…) Coordinare ed integrare le politiche pubbliche è diventato un imperativo (…) In questo quadro … emerge l’urgenza di agire affinché i diversi strumenti di programmazione si parlino ed interagiscano a livello territoriale e che il Piano di Zona si coordini con gli altri strumenti di programmazione quali il Piano di Governo del Territorio, il Piano territoriale degli orari dei servizi, … i Patti territoriali per l’occupazione.”

E’ molto importante che le azioni propedeutiche a favorire la conciliazione tra famiglia e lavoro siano messe in relazione ad un più ampio spettro di strategie integrate, “conciliare” vuole infatti dire tenere insieme e in medesimo conto esigenze e ruoli diversi che a loro volta fanno riferimento a sistemi diversi; sistemi che devono trovare punti di contatto, di ascolto, di ricerca delle reciproche convenienze per trovare soluzioni condivise. Questi contenuti e anche le modalità per raggiungere gli obiettivi ad essi collegati sono propri delle politiche di pianificazione così come si sono configurate anche attraverso alcune importanti leggi di riforma, leggi che ancora orientano gli indirizzi locali – anche se sempre meno li finanziano – pensiamo a leggi come la L.285/97 (in particolare sui diritti dell’infanzia che ha consentito molte sperimentazioni partecipate sui azioni e servizi per bambini e famiglie), alla L. 53 dell’8.3.2000 "Disposizioni per il sostegno della maternità e della paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi delle città", pensiamo alle declinazioni regionali come la LR 28 del 2004 "Politiche regionali per il coordinamento e l'amministrazione dei tempi delle città", la legge regionale in ambito urbanistico che indica i processi per l’elaborazione ed approvazione dei Piani di Governo del Territorio e pensiamo, in ultima analisi alla L 328/2000 “Sistema integrato dei servizi ed interventi sociali” e alla sua derivata LR 3/2008 “Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario”… Tutte queste norme prevedono un ruolo centrale dell’Ente locale – in particolare il comune –

con funzioni di governo di reti e processi attraverso i quali più soggetti portatori di interessi –

va da sé, non sempre convergenti – devono essere messi nelle condizioni di dialogare, trovare

punti di mediazione e sintesi per produrre risultati finalizzati al bene comune. Un bene

comune che non è astrazione bensì la somma e l’armoniosa convergenza degli interessi di

tutti.

La modalità per individuare i bisogni e trovare le soluzioni – non in un assetto di autoreferenzialità dove l’Ente pubblico, nel chiuso delle sue stanze e attraverso i suoi incartamenti legge dei dati (solo quelli già in suo possesso) ed elabora interventi – è nei casi delle normative citate la partecipazione del territorio, un processo codificato dove chi partecipa alla progettazione comune è chiamato dall’Ente locale, accompagnato e facilitato e deve trovare accoglimento o in caso contrario reso partecipe delle motivazioni del non accoglimento dei propri punti di vista/suggerimenti.

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Così un Piano territoriale dei tempi e degli Orari di una città deve cercare di armonizzare tra loro le esigenze di chi abita, studia, lavora in modo continuativo o temporaneo in un medesimo territorio con chi eroga servizi, con i datori di lavoro, con l’obiettivo di non congestionare il traffico (contrastando quindi l’inquinamento), rispettare i tempi di vita delle persone nelle diverse età, rispondere a più esigenze di efficienza ed economicità … E non soltanto attraverso una competenza specifica (dove costruire case, servizi, allocare funzioni di pubblico interesse) ma ‘entrando in casa d’altri’ e alle altrui competenze Come, se intorno ai famosi tavoli di co progettazione non siedono i rappresentanti delle categorie di fruitori ed erogatori dei servizi?

La conciliazione famiglia/lavoro riguarda infatti donne e uomini all’interno della famiglia, che sono genitori e lavoratori, oppure sono figli di genitori anziani e lavoratori. La conciliazione riguarda le famiglie ma anche i datori di lavoro, quindi le imprese. I lavoratori sono fruitori di servizi, a volte insieme erogatori di servizi e fruitori di altri servizi. I servizi possono essere privati e pubblici e se sono pubblici sono per lo più erogati dagli Enti Locali. Gli Enti Locali entrano in relazione con le imprese? Spesso apparentemente per temi importanti ma che esauriscono brevemente le reciproche relazioni (rilasciano permessi, effettuano controlli), in alcuni casi (crisi aziendali) le relazioni si strutturano maggiormente. Ma gli Enti Locali e le imprese hanno mai trovato reali ambiti di incontro e co progettazione sulle tematiche sociali, eccetto che per temi emergenziali e di grave rischio?

Eppure appare evidente come il tema della conciliazione tra il lavoro e la cura sia un tema di grande rilevanza in termini sociali e di sviluppo locale: in attesa che la cultura, favorita anche dalle leggi sui congedi parentali per i padri, segni strutturalmente l’organizzazione familiare, se le donne non conciliano i loro tempi devono scegliere tra essere madri o lavoratrici e pare evidente da tutte le ricerche sul campo che una scelta univoca – soprattutto se in qualche modo obbligata – produce effetti negativi sulle persone e anche sulle economie. Più lavoro, più risorse economiche spendibili e mantenimento di consumi – anche senza esagerare – ma sufficienti ad adeguate economie locali; più lavoro sincronizzato con le proprie esigenze di vita (cura dei figli o degli anziani ma anche cura per sé) meno stress, meno patologie (che creano spesa sociale), relazioni più ricche e significative con i figli (che manifestano meno difficoltà di crescita e sviluppo più sereno), mantenimento in ambito familiare degli anziani – in collaborazione con care giver professionali.

La scommessa è pensare che le misure di conciliazione non siano perseguite solo e sempre dai soggetti pubblici (comuni, province o regioni) ma anche dai datori di lavoro, sia introducendo misure di welfare aziendale e benefit innovativi quanto ripensando anche strutturalmente alle rispettive organizzazioni.

Concordare linee complementari e sinergiche in tema di servizi e orari per facilitare la piena e buona occupazione potrebbe essere un terreno sperimentale per la costruzione di un reale welfare integrato? Inserire il tema della conciliazione famiglia/lavoro nella pianificazione sociale di zona potrebbe rappresentare un elemento di collaborazione e progettazione partecipata con le aziende locali, utile anche a sviluppare altri temi convergenti?

Nell’individuare le strategie per la conciliazione famiglia/lavoro tra le possibili sperimentazioni trasversali a tutto il territorio dell’ASL Milano Due, gli otto ambiti provano a costruire una risposta affermativa a questa domanda, supportati nell’impresa da un altro strumento regionale, la DGR

381/2010. Determinazione in ordine al recepimento e all’attuazione dell’intesa sottoscritta il 29 aprile 2010 tra Governo, Regioni, Province autonome di Trento e Bolzano, ANCI, UPI e UNCEM per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro.

Attraverso questo strumento, infatti, sono già stati attuati alcuni passaggi tra la Regione e la dimensione metropolitana per la realizzazione di Piani Territoriali per la Conciliazione, nei quali le

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ASL – proprio perché partner dei comuni nella programmazione sociale di zona – sono state individuate come referenti per facilitare a livello locale l’avvio dei necessari processi di collaborazione tra tutti i soggetti interessati, attraverso la costruzione di reti.

(D.g.r. 381/10)

La rete conciliazione: “E’ un insieme di organizzazioni pubbliche e private [...] rappresentative del sistema

della conciliazione famiglia ‐ lavoro dal punto di vista sia della mappatura dei bisogni, che dell’individuazione delle soluzioni”. “La rete funziona attraverso la stesura di un protocollo organizzativo [...]”. “azioni locali: si propone la sperimentazione di un portale della conciliazione [...]. Contestualmente si intende rivedere i servizi e le prestazioni erogate a livello locale per valorizzare massimamente un modo di essere familiare: aumentando la quantità, la qualità e la partecipazione dei genitori a servizi per la prima infanzia, ridisegnando gli orari e le attività, aumentando i servizi per i bambini che vanno già a scuola, inserendo negli indicatori di prestazione dei servizi diversamente accreditati le misure per la conciliazione” A conferma di quanto prima esposto rispetto alla promozione di percorsi locali partecipativi, la DGR 381/2010 indica modalità e possibili contenuti specifici sul tema della conciliazione.

In collaborazione con i referenti ASL, individuati dalla Direzione Sociale dell’ASL Milano

Due, i Responsabili degli Uffici di Piano hanno costituito un gruppo di lavoro per la

Conciliazione che intende:

- favorire la formazione sui temi della conciliazione famiglia/lavoro e più in generale sulle politiche dei tempi per i responsabili della programmazione sociale (Responsabili degli Uffici di Piano, ma anche referenti dei Tavoli d’Area, rappresentanti del Terzo Settore e del Volontariato, Amministratori locali);

- promuovere la costituzione di un Tavolo locale permanente per la Conciliazione, formato da Referenti ASL Milano Due, Responsabili degli Uffici di Piano, Rappresentanti locali di categoria delle imprese (Assolombarda, PMI, CNA, Camera di Commercio, etc.) Rappresentanti delle O.O.S.S., AFOL (Agenzia provinciale per la Formazione l’Orientamento e il Lavoro), Rappresentanti del Volontariato (Ciessevi) e del Terzo Settore.

- a seguito del percorso formativo e in base alle priorità individuate dal Tavolo locale per la Conciliazione proporre modalità di erogazione delle risorse assegnate alla ASL Milano Due ai fini di progettazioni innovative in tema di conciliazione;

- promuovere la sottoscrizione di accordi locali specifici in tema di conciliazione, che possano includere le imprese;

- attuare il monitoraggio e la verifica sui risultati dei progetti finanziati;

- introdurre, nell’aggiornamento dei Piani sociali di Zona 2012/2014, il tema della conciliazione come elemento strutturale delle politiche di welfare integrato.

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5.4.4 - RIPENSARE IL RUOLO DEI SERVIZI DI TUTELA DEI MINORI,

SPERIMENTARE MODELLI CENTRATI SUL COINVOLGIMENTO DELLA

FAMIGLIA, DELLE FAMIGLIE, DELLE RETI E DELLA COMUNITA’:

UN PROGETTO INTERDISTRETTUALE NELL’ASL MILANO DUE Il Comune è il “naturale” punto di riferimento istituzionale per le famiglie che vivono in un determinato territorio e ancora una volta, anche in un momento storico e in un contesto geopolitico di grande difficoltà, l’Istituzione più vicina ai cittadini accetta la sfida di ripensare e rilanciare proprio le politiche e gli interventi che hanno al centro la famiglia, in particolare quella in difficoltà e ancor più in particolare quella i cui soggetti più fragili – i bambini - ‘stanno male’, faticano a crescere, stentano a costruire un rapporto sereno e costruttivo con la propria realtà e gli adulti di riferimento. Sotto un profilo sociale e politico, le istituzioni, e dunque “in primis” il comune, hanno sempre fatto leva sulla vocazione originaria della famiglia a prendersi carico delle proprie componenti più deboli. E’ pertanto utile partire dal fatto che il primo terreno d’incontro tra amministrazione locale e famiglia è proprio quello della cura, dove la famiglia svolge un ruolo sociale insostituibile. Nei comuni dove opera una buona rete di servizi socio-assistenziali, le responsabilità di cura delle famiglie sono istituzionalmente sostenute e accompagnate. Si è ormai affermato - nella pratica sociale prima ancora che nella teoria - il principio per cui il sostegno ha come proprio orizzonte di riferimento non tanto il singolo destinatario dell’intervento, ma piuttosto la famiglia come microcosmo sociale, attore fondamentale del welfare comunitario e partner articolato e diffuso in una complessa “alleanza di cura”. Negli anni più recenti, si è affermata una precisa consapevolezza circa la necessità di promuovere politiche familiari secondo un quadro più ampio e diversificato rispetto a quello meramente socio-assistenziale. Le politiche familiari, in quest’ottica, non devono riguardare strettamente l’ambito dei servizi alla persona, ma operare e incidere sulla vita della comunità locale nel suo complesso; le logiche d’intervento non devono limitarsi alle famiglie cosiddette “in difficoltà”, ma devono ampliare il proprio raggio di riferimento fino a coinvolgere le famiglie in generale, viste non – riduttivamente – come episodiche destinatarie di interventi amministrativi, ma come soggetti virtualmente protagonisti, partners oggettivi nella definizione di linee d’azione destinate comunque a produrre significativi cambiamenti nella morfologia sociale presente. In questo quadro, dopo una lunga stagione di riforme normative ed esperienze sul campo – integrate tra Enti Locali singoli ed associati, Autorità Giudiziaria, Istituzioni sanitarie e organizzazioni che fanno riferimento alla società civile - è maturato il tempo perché anche nell’ambito della tutela dei minori l’approccio tenga conto di questi presupposti, sposti il suo baricentro, includendo i legami che il minore porta con sé e ipotizzi linee di intervento integrate che considerino la famiglia il principale soggetto sociale su cui investire in termini di valorizzazione delle sue funzioni di coesione sociale. La famiglia ha, infatti, il diritto e la responsabilità di rispondere ai bisogni dei propri componenti minorenni. In questa logica la famiglia porta con sé il problema ma anche il sapere e le relazioni necessarie per individuare la possibile soluzione per farvi fronte. E’ questa la stagione dove mettere a frutto e ricollocare strutturalmente le tante esperienze e riflessioni scaturite dai servizi e dalle relazioni con i territori in quest’area d’intervento, valorizzare la dimensione di “progettazione permanente” nata proprio dalla stagione delle riforme in campo sociale, dove acquistano senso compiuto strumenti quali i piani di zona, e comunque politiche capaci di coinvolgere – in processi di progettazione partecipata come quelli favoriti da leggi come la 285 del ’98, la 328 del 2000 ma anche la 53 del 2000 - gli attori sociali del territorio attraverso la

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creazione di reti o strutture anche innovative. Qui possono giocare un ruolo attivo fondamentale proprio le famiglie, singole, associate in piccoli gruppi o organizzate mediante la costruzione di adeguate figure di rappresentanza. In senso più lato e strategico si richiamano i principi per cui le politiche familiari devono poter essere politiche “strutturali”, non più di emergenza o meramente assistenziali ma complementari alle politiche sociali e precederle. Politiche attive e creative, che mentre cercano di promuovere l’agio e il benessere di fatto prevengono il disagio e il malessere delle persone e delle famiglie stesse. E in questo si richiamano i principi che permeano la riflessione più strategica attuale sul welfare integrato, che deve tenere insieme politiche educative con la conciliazione dei tempi di cura e lavoro, politiche abitative con quelle attive del lavoro, promozione della cultura e del tempo libero insieme a quella degli stili di vita sani … Tutto questo ci introduce al tema più proprio della nostra proposta di sperimentazione sovra distrettuale nell’ambito della tutela del disagio minorile intesa insieme come prevenzione, cura e riabilitazione imperniata sulla centralità del minore colto nella relazione con la sua famiglia, egli e la sua famiglia coprotagonisti insieme ai servizi nel percorso di aiuto che parte dalla diagnosi, per dipanarsi attraverso la strutturazione di un progetto di presa in carico sino alla realizzazione dell’autonomia o della ricostruzione dei legami spezzati tra le figure familiari. Tenendo insieme la complessità e l’unitarietà degli interventi sociali che possono – devono – occuparsi del malessere o della difficoltà del minore anche attraverso le strategie d’aiuto proprie per gli adulti. Di questo intendiamo occuparci nel proporre la contestualizzazione di modelli sperimentali d’intervento attualmente praticati in altri paesi – tutti caratterizzati da un forte modello di welfare – dove stanno emergendo prassi innovative nell’intervento sul disagio dei minori e delle crisi familiari quali le Family Group Conference e l’introduzione di figure di Advocacy, messe a sistema accanto alla promozione di nuove reti, dal mutuo aiuto ai gruppi di parola per genitori e bambini, alla promozione e sostegno di gruppi o reti di famiglie affidatarie, e di quant’altro valorizzi il coinvolgimento della collettività nell’ottica di superare il dualismo: la cura è un fatto privato, la protezione è un fatto pubblico, Una sfida che si può affrontare solo in presenza di una regia forte dell’istituzione Ente Locale, di una rete di servizi ben strutturati che voglia comunque rimettersi in gioco anche con nuovi percorsi formativi: cambiare, diventa oggi l’orizzonte operativo da realizzare. E’ un traguardo – a nostro avviso affascinante anche da un punto di vista umano oltre che professionale – che speriamo riesca a coinvolgere chi si cimenterà, ciascuno a suo titolo, con questo progetto. IL LAVORO SOCIALE, RELAZIONALE, CLINICO CON I MINORENNI E CON LE FAMIGLIE E’ indubbio che, dalla L.184/1983 in poi, molta strada è stata fatta nel cammino del riconoscimento dei diritti dei minorenni e nella difesa dell’integrità fisica, psicologica, emotiva e relazionale/affettiva; molto in anni più recenti si è compreso rispetto alle competenze genitoriali, alle modalità di supporto alle genitorialità, oltre la sanzione. Le modifiche legislative e i profondi mutamenti sociali hanno prodotto una progressiva modificazione anche delle “rappresentazioni culturali” sul tema della tutela dei minori e sul

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maltrattamento dei bambini, sull’ origine del problema, sul ruolo e la responsabilità delle famiglie e della società, sul ruolo dei servizi e sui possibili sistemi di intervento. Vi è stato, un progressivo incremento della capacità di riconoscimento dei bisogni dei bambini e un incremento della capacità di proteggerli dalle violenze e le trascuratezze gravi (l’incremento delle segnalazioni al Tribunale per i minorenni, nel decennio precedentemente trascorso, ne è una testimonianza) e va inoltre ricordato come si sia consolidata la convinzione che il maltrattamento dei bambini deve essere trattato considerandone la dimensione familiare. Crescere nella comprensione e nella competenza è sicuramente uno dei valori aggiunti del sistema dei servizi: tale crescita di competenza può però, contemporaneamente, aver contribuito a far decrescere o “disabilitare” le famiglie ed i minorenni che i servizi incontrano, in una dinamica nota fra “specialismi” e risorse della famiglia. Pure, tale disabilitazione delle famiglie e dei minorenni provocata dalle competenze professionali può creare circoli viziosi ove per sorreggere e sostenere si depotenziano le risorse residue e le competenze attivabili. Proprio in un momento dove il protagonismo dei minorenni va salvaguardato nella linea continua dell’informazione, dell’ascolto, del portare la voce, del far partecipare, e dove alla potestà parentale si sostituisce il concetto frendly della responsabilità e della capacità genitoriale, anche a livello normativo europeo ed italiano, occorre interrogarsi con rigore su quali azioni programmare e mettere in atto per evitare il depotenziamento delle risorse e delle competenze ancora attivabili. Già in alcuni dei contesti territoriali considerati si è diffusa la consapevolezza che la domanda di aiuto non presuppone una delega totale e assoluta all'operatore, e che quindi, nella relazione con gli utenti, i servizi debbano ripensarsi in una logica maggiormente partecipativa e paritaria; è già oggetto di riflessione in che misura la filosofia della ‘partnership’ sia adottabile anche nell’ambito della tutela dei minori, con genitori la cui ‘potestà e responsabilità” sono (temporaneamente) limitate dall’intervento del Tribunale per i minori. Guardiamo con interesse alle esperienze – essenzialmente anglosassoni e neozelandese – che affiancano le competenze dei minorenni e ne promuovono e concretizzano l’advocacy, ed all’esperienza delle family group conference, volta a concretizzare e rendere attiva e ascoltata la competenza familiare di decision making e di risoluzione dei problemi: riteniamo che poter sperimentare dispositivi su cui esiste letteratura ed esperienza concreta, da affiancare all’attività dei nostri servizi, possa contribuire a rendere le nostre pratiche e il nostro riflettere su di esse più maturo e più attento all’empowerment dei nostri utenti. Entrambe le esperienze che riteniamo sperimentalmente declinare sui nostri quattro territori distrettuali necessiteranno altresì di una declinazione prima che operativa, di tipo culturale: è notorio che l’immagine di famiglia, e lo spazio dato allo Stato ed ai servizi in relazione ad essa, cambia fra differenti culture e nazionalità; su questo ci candidiamo anche a tentare una successiva disseminazione delle risultanze della nostra attività sperimentale che possa essere utilizzata da altri servizi e territori. Riteniamo che possa completare significativamente il quadro della nostra progettualità che vuol essere ‘di sistema’ l’esigenza di rendere più diffuse e maggiormente sperimentate tecniche e metodi gruppali, dal gruppo di parola a quello di auto mutuo aiuto, anch’essi fondamentali per sostenere empowerment e per promuovere maggior protagonismo: riteniamo che in questo sia intercettabile e coinvolgibile il bagaglio d’esperienza e le competenze del sistema dei Consultori familiari e qualche esperienza già da tempo introdotta nei servizi territoriali ( gruppo genitori affidatari con parallelo gruppo di parola per bambini e ragazzi in affido – gruppi genitori adottivi).

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LIVELLI E PIANI DI SPERIMENTAZIONE INTERDISTRETTUALE Per delineare la cornice all’interno della quale collocare l’ipotesi di sperimentazione, oggetto della nostra proposta, è stata tracciata una mappa dell’offerta pubblica nell’area minori degli ambiti di Paullo, San Donato, Pieve Emanuele e Rozzano – distretti contigui territorialmente, rappresentativi di una gamma differenziata di dimensioni territoriali e demografiche, vocazioni socio economiche, strumenti di governance e modelli gestionali, caratterizzati da una storia di forte presenza di servizi e sperimentazioni nell’ambito delle politiche sociali.

MAPPATURA SERVIZI AREA MINORI E FAMIGLIA

DISTRETTI 1, 2, 6, 7, ASL MILANO DUE

DISTRETTO DISTRETTO SOCIALE PAULLESE DISTRETTO SOCIALE SUD EST MILANO

Comuni Capofila: Peschiera B. Comuni: Mediglia,

Paullo, Pantigliate, Tribiano

Capofila: A.S.S.E.MI (Azienda Speciale Consortile) Comuni: Carpiano, Cerro al Lambro, Colturano,

Dresano, Melegnano, San Donato M.se, San Giuliano M.se, San Zenone al Lambro, Vizzolo Predabissi

Abitanti (*) *ISTAT 01/01/2011

55.406 108.813

Di cui Minorenni 10.809 20.198

Educativa

SFM Distrettuale programmazione e gestione (sino a

giugno 2012)

Programmazione distrettuale Gestione: tre équipes territoriali ( II polo SDM,I polo SGM, III polo restanti

Comuni gestita da A.S.S.E.MI.)

Professionalità AA.SS., Psicologi, Pedagogista AA.SS., Psicologi, Pedagogista

Gestione mista SMF Appalto distrettuale Appalto comunale per I e II polo, Appalto A.S.S.E.MI.

III polo

Integrazione con S.S.P. No I e II polo

Supervisione comune No Sì

Formazione No Sì

Equipe congiunte No Sì

UNITARI SERVIZI INTERDISTRETTUALI: CENTRO ADOZIONE ED AFFIDO FAMILIARE TERRITORIALE SERVIZIO DI SPAZIO NEUTRO “INCONTRIAMOCI QUI”

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DISTRETTO DISTRETTO SOCIALE 6 DISTRETTO SOCIALE 7

Comuni Capofila: Pieve Emanuele Comuni: Binasco, Casarile, Lacchiarella, Noviglio,

Vernate, Zibido San Giacomo

Capofila: Rozzano Comuni: Basiglio, Locate Triulzi, Opera

Abitanti (*) *ISTAT 01/01/2011

48.932 72.913

Di cui Minorenni 9.523 13.824

S.M.F.

Programmazione Distrettuale Gestione: a. Equipe di Pieve E. (Appalto) b. Equipe Zibido S.G. (Appalto) c. Equipe Noviglio e Lacchiarella (gest.associata) d. Equipe Binasco (contr. Servizi) e. Equipe di Casarile f. Equipe di Vernate

Programmazione Distrettuale Gestione Associata Rozzano, Basiglio e Locate T.

Equipe comunale di Opera

Educativa Appalto distrettuale Appalto distrettuale

Spazio Neutro Appalto distrettuale Appalto distrettuale

Affido Fam. no Appalto distrettuale

Professionalità SMF

a-AA.SS., Psicologi, Educatrice b-A.S., Psicologo, Coordinamento

c-AA.SS.dip. Comunale T.P. , Psicologo d-A.S., Psicologo, Educatore e-A.S., Psicologo al bisogno f-A.S., Psicologo, educatore

AA.SS. , Psicologi ( Rozzano no dal 1/4/2012)

Integrazione con S.S.P.

Pieve Emanuele Gestione totalmente appaltata: Binasco e Zibido S.G. – altri: incarichi prof.li con supporto SSP

comunale

Tutti Comuni

Supervisione comune Pieve Emanuele Tutti Comuni

Formazione No No

Equipe congiunte No No

Servizio Centro Adozioni Territoriale Unitario

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DISTRETTO DISTRETTO SOCIALE PAULLESE –

Capofila Peschiera Borromeo

DISTRETTO SOCIALE SUD EST MILANO –

capofila A.S.S.E.MI. (Azienda Speciale

Consortile )

VOLUMI DELLE PRESTAZIONI

Coordinatore Psicologo – 22 ore settimanali Servizio Sociale 90 ore settimanali – 3 incarichi Psicologia 1 dipendente comunale Pedagogista 45 ore settimanali - incarichi Educativa 10 ore settimanali – incarichi

I polo: Coord. A.S. appalto: 30 A.A.S.S. dipendenti E.L. 1 TP E 1 P.T. 25 – appalto 30 + 36 Psicologo: appalto: 68 Pedagogista: appalto: 20 Coordinatore : 25 Educativa 160 ore sett. Appalto II polo: Coord. A.S. dipendente E.L. – 36 ore sett.li AA.SS. 2 dipendenti E.L. – T.P. + 18 appalto Psicologo: 45 appalto Pedagogista: 25 Educativa 80 ore sett. Appalto III polo: Coord. Pedagogista dipendente ASSEMI – 36 ore sett. AA.SS. 3 dipendenti ASSEMI 2 T.P. / 1 P.T. 18 ore sett.

Psicologo: 2 Dipendenti ASSEMI P.T. 42 ore sett.li Educativa: 70 ore sett.li Appalto

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DISTRETTO DISTRETTO SOCIALE PAULLESE DISTRETTO SOCIALE SUD EST MILANO

VOLUMI DELLE PRESE IN CARICO

N° famiglie 171 comunali e 155 smf I polo:

N° minorenni 300 comunali e 205 smf N° famiglie 214 (di cui 56 chiusure)

N° AUT. GIUD. 176 N° minorenni 285 (di cui 72 casi chiusi)

N° spontanei 29 N° AUT. GIUD. 136 (+ 32 casi chiusi)

N° affidi fam. 17 N° spontanei 57 (+ 27 casi chiusi )

N° comunità 14 N° affidi fam. 19 (di cui 8 con contributo)

N° md/b.o 4 N° comunità 27

N° penali minorenni 10 N° md/b.o 3

N° penali minorenni 21 (+ 12 casi chiusi)

II polo:

N. famiglie: 86

N. minorenni: 111

N. AUT.GIU. 80

N. spontanei: 18

N. affidi fam: 8

N. comunità: 22

N. CT MD/Bno: 4

N. penali minorili: 13

III polo:

N° famiglie 129

N° minorenni 186

N° AUT. GIUD. 130

N° spontanei 42 anche inteso inviati da altri

servizi senza AG

N° affidi fam. 6

N°Comunità 12 minori in comunità e 7 minori in casa famiglia

N° md/b.o 8

UNITARI SERVIZI INTERDISTRETTUALI: CENTRO ADOZIONE ED AFFIDO FAMILIARE TERRITORIALE

2 AA.SS. A.S.S.E.MI. T.P. – 1 PSICOLOGA P.T. 24 ORE SETT. A.S.S.E.MI. 1

PSICOLOGO P.T. 24 ORE ASL MI 2 SERVIZIO DI SPAZIO NEUTRO “INCONTRIAMOCI QUI” : RESP.

PEDAGOGISTA III POLO (dip. A.S.S.E.MI.) – COOR. E EDUCATORI APPALTO – 2 SEDI SERVIZIO – 3 GG. APERTURA POMERIDIANA

N° penali minorenni 14

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DISTRETTO DISTRETTO SOCIALE 6 DISTRETTO SOCIALE 7

VOLUMI DELLE PRESTAZIONI

Coordinatore

Servizio Sociale

Psicologia

Pedagogista

Educativa

a-AA.SS. 36 ore settimanali x 2 dip. comunali,

Psicologi: 60 ore settimanali, coordinamento 23 ore sett.li

b-A.S. 450 ore annue –Psicologo 350 ore

annua Coordinamento 125 ore annue c-AA.SS.dip. Comunele T.P. , Psicologo 676

ore annue d-A.S. 520 ore annue , Psicologo 520 ore

annue, educatore 200 ore annue e-A.S. 208 ore annue ( più reperibilità),

Psicologo a bisogno

f-A.S. 312 ore annue, tutte le aree, 70% Minori, psicologo 207 ore annue

Coordinatore: Coord. CBM 25 ore su Basiglio, Locate e Rozzano

Rozzano: A.S. 36 ore dip. Com Servizio Sociale: Rozzano: 36 ore dip. Com. + ore

appalto 141 Servizio Sociale Opera: 36 h dip. Com. +25 h appalto

Basiglio: 18 h A.S. – 12 h. Psicologo Locate: 25 h A.S. – 15 ore psicologo

Non c’è figura pedagogica

VOLUMI DELLE PRESE IN CARICO *

Totali sul Distretto

N° famiglie 177

N° minorenni 138

Rozzano: 402 minori, 175 A.G., 227 spontanei, 25 affidi, 30 comunità, 3 madre/bambino,33 penale

minorile

N° AUT. GIUD. 39

N° spontanei

Locate T.: 30 famiglie, 51 minori, 41 A.G., 10 spontanei, 8 affidi, 7 comunità, 4 penale minorile

N° affidi fam.

N° comunità

N° md/b.o 18

Opera: 62 famiglie, 88 minori, 62 A.G., 74 spontanei,

13 affidi, 2 comunità, 2 penale minorile

N° penali minorenni

*BINASCO: 12 minori, 11 AA.GG., 1 spontaneo CASARILE: 9 minori, 5 AA.GG., 4 spontaneo LACCHIARELLA/NOVIGLIO: 29 minori, 21 AA.GG., 8 spontanei

PIEVE E.: 78 minori, 66 AA.GG., 12 spontanei VERNATE: 4 minori, 4 AA.GG. ZIBIDO S.G.: 45 minori, 31 AA.GG., 14 spontanei

Servizio Centro Adozioni Territoriale Unitario - 1 A.S. appalto 21 ore settimanali, 1 Psicologa ASL MI2

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DISTRETTO DISTRETTO SOCIALE PAULLESE – DISTRETTO SOCIALE SUD EST MILANO –

Comuni Peschiera Borromeo, Mediglia, Paullo, Pantigliate, Tribiano

Carpiano, Cerro al Lambro, Colturano, Dresano, Melegnano, San Donato M.se, San Giuliano M.se, San Zenone al Lambro, Vizzolo Predabissi

Relazione con rete dei servizi

I e II polo

Integrazione con SSP Condotta unitariamente a livello distrettuale verso DSM ( protocollo d’intesa) e ASL MI 2 ( protocolli e pratiche intese)

Sperimentazioni in atto Stabile e consolidata: supervisione unitaria distrettuale e tavolo permanente case management ( da 2012 con colleghe ASL e AO Melegnano)

Protocollo d’intesa per sperimentazione nell’area del rischio e del pregiudizio – Gruppo Integrato Valutazione casistica con ASL: Dip. Dipendenze / DSM ( CPS e UONPIA)

SDM II polo: sperimentazione su Family Group Conference

Sperimentazioni verso sistema di accountability:

- ricerca audit distrettuale strumenti misurazione

performance

- ricerca audit esterno ( Provincia MI) strumenti misurazione e valutazione

- ricerca su unità d’offerta collocamenti etero familiari

- studio regolamento dedicato a promozione diritti e protezione minorenni

UNITARI SERVIZI INTERDISTRETTUALI: CENTRO ADOZIONE ED AFFIDO FAMILIARE TERRITORIALE SERVIZIO DI SPAZIO NEUTRO “INCONTRIAMOCI QUI”

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DISTRETTO DISTRETTO SOCIALE 6 DISTRETTO SOCIALE 7

Comuni Pieve Emanuele, Binasco, Casarile, Lacchiarella, Noviglio, Vernate, Zibido San Giacomo

Rozzano, Basiglio, Locate Triulzi, Opera

Relazione con rete dei

servizi

Si con tutti i Comuni

Integrazione con SSP Tavolo Assistenti Sociali Distrettuale, Intese di collaborazione con ASL MI2 per Punto ADI,

Sperimentazioni in atto Tavolo di Rete e Progettazione Permanente,

- l’La descrizione a scheda delle attività rivolte alla promozione dei diritti dei minorenni ed al supporto alle responsabilità genitoriali, nonché di protezione dei minorenni stessi in caso di rischio o di esposizione a violenza e vessazione, sinteticamente espressa dai 4 Distretti coinvolti nell’area ASL Milano Due, rivela quanto è già ben conosciuto nell’ambito della programmazione in area minori e famiglia: con l’evoluzione dal 2003 a oggi del sistema, da delega di funzioni all’ASL verso la riappropriazione di compiti e funzioni da parte dei Comuni singoli o Associati, si assiste ad una frammentazione dei modelli di questi servizi, dovuta alle dimensioni territoriali oltre alle altre variabili sopra riportate. Molti elementi hanno prodotto l’attuale assetto dei servizi dedicati alla cosiddetta “tutela dei minori”, in particolare il superamento delle ‘deleghe’ attraverso cui i servizi impegnati nella protezione e nella cura erano affidati alle ASL - i NOM o gli UTM - competenti ad intervenire nella materia giudiziaria, mentre i Comuni restavano titolari di molte altre competenze sociali.

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Questo modello fu superato all’indomani della stagione riformista che nel Pese portò all’emanazione di leggi quali la legge 285/98 - prima legge nella storia nazionale espressamente dedicata all’infanzia, che ha avuto il pregio di permettere di sperimentare nuovi modelli e nuove formule metodologiche oltre che innovative unità d’offerta - la legge 328/2000 che ha dato un ruolo centrale ai Comuni ed alla loro spinta programmatoria e, in ambito regionale e sanitario, le modifiche negli assetti delle ASL, verso un compiuto sistema di Programmazione Acquisto e Controllo, oltre alla LR 3/2008 che definisce in un provvedimento quadro competenze e ruoli della programmazione sociale e dell’integrazione socio sanitaria. Come la mappa delle nostre attuali realtà dimostra efficacemente, tali modificazioni, coniugate con l’avvento delle identità distrettuali e della pianificazione sociale triennale, hanno provocato un frastagliarsi e differenziarsi dell’offerta a base non solo distrettuale, ma anche per singolo Comune; tale situazione ha allontanato dagli obiettivi una cornice di omogeneità, a favore di un impulso di nuova direzione e protagonismo delle realtà territoriali. Tenendo sempre presenti nella nostra ricognizione gli sviluppi dei ruoli e delle mission dei comuni e del sistema sanitario pubblico, osserviamo come la connotazione di ‘specializzazione’ e sanitarizzazione dei servizi tutela dell’ASL, sperimentata sino al 2003, da un lato rispondeva all’esigenza di interventi puntuali e competenti, dall’altra non sempre si conciliava con una prospettiva che vede gli interventi di tutela collocarsi in un continuum di cui l’intervento del Tribunale è una tappa e che prevede anche ‘un prima’ e ‘un dopo”, durante i quali è cruciale l’intreccio e l’interazione tra interventi sociali, educativi e psicologici, psichiatrici o sanitari. Ancor meno andava a conciliare quegli elementi teorici ed etici del lavoro sociale che promuovono il protagonismo delle famiglie e la partecipazione competente ed informata dei minorenni. Controllo delle proprie competenze, controllo più marcato della spesa, evoluzione preventiva e promozionale dei servizi sono le esigenze che hanno guidato i Comuni singoli o associati nel ridefinire il proprio sistema di offerta in un campo complesso, emotivamente, giuridicamente e collettivamente esposto, attraversato inoltre, negli ultimi dieci anni, da importanti e cogenti modificazioni. Elencandone solo i più significativi: il supremo interesse del minorenne, il diritto alla famiglia, all’ascolto, alla partecipazione; il procedimento informato; il concetto di responsabilità genitoriale; il giusto processo; il giudice terzo fra le parti; la ragionevole durata; l’avvocato del minore … In questo panorama ogni distretto, ogni territorio o la singola Amministrazione, ha costruito un proprio sistema di ascolti e risposte, concentrato al funzionamento ed al controllo “interno”, posizionato ad individuare i propri livelli di servizio, attività e prestazione, senza che vi sia stato - a quasi dieci anni dall’avvio del processo - un ambito di confronto e di valutazione comparativa su tali differenziazioni. La possibilità di classificare e dotare di indicatori intelleggibili i diversi modelli di servizi, il loro funzionamento e la loro eventuale efficacia diventa un prerequisito per delimitare il campo della sperimentazione: provare a identificare e promuovere nuove tipologie di intervento nel campo della prevenzione e cura del disagio del minore e della sua famiglia che alla prova del confronto con i modelli attuali evidenzi la sua maggior probabilità di successo, in un quadro di reale sostenibilità economica. E’ ben comprensibile che la vera sfida a livello territoriale è nella complessità e nella capacità di tenere insieme gli interventi dedicati alla promozione dei diritti dell’infanzia, al miglioramento della qualità della vita delle famiglie e delle loro potenzialità di decision making, con la necessità di

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garantire risorse agli interventi di rilevazione, segnalazione, valutazione e trattamento del rischio, del mal – essere, del mal-trattare. Declinare queste multiformi attenzioni nella programmazione locale e nell’operatività messa a disposizione dei cittadini ha assorbito prioritariamente l’attenzione dei sistemi distrettuali e comunali: così come il costante posizionamento rispetto all’integrazione con le prestazioni sanitarie e socio-sanitarie. Questo a scapito non solo di un’omogeneità dei sistemi di risposta, ma anche della confrontabilità e misurabilità dei modelli, della validazione scientifica di metodiche e prassi, costruendo sistemi esposti potenzialmente a autoreferenzialità e incapacità di accountability. Anche di fronte a sfide che meritano un approccio condiviso, analizzato, confrontato. Rilevata l’esigenza di ricontestualizzare contenuti e modelli dei servizi pubblici rivolti al benessere dei minori, è opportuno chiedersi come sia posizionata la famiglia all’interno del nuovo welfare, quale ruolo possa avere come risorsa, e di quali interventi debba essere destinataria quando è in condizione di fragilità o addirittura di rischio. Interrogativi cui si può provare a rispondere, perché è fattibile, con l’analisi delle modalità di funzionamento dei nostri servizi e delle relazioni di questi con i territori ed i mondi vitali. Attività che dovrebbe poter evidenziare anche modelli e storie di famiglie intercettate e ‘scannerizzate’ dai servizi stessi, al punto da diventare paradigmatiche. Attività che potrà assumere valore di conoscenza, in primis, se giocata fra esperienze, e non all’interno della propria. Il primo livello di sperimentazione/ricerca dovrebbe quindi consentire ai 4 ambiti, ed alle ben 12 unità semplici di servizio (le équipes, con i loro omogenei correlati servizi educativi) di dotarsi di misure e valutazioni confrontabili, che possano informare un ragionamento programmatorio ed amministrativo – oltre che gestionale – volto all’efficacia ed alla qualità rilevata, attesa, auspicata. LA DECLINAZIONE OPERATIVA DEI MODELLI SPERIMENTALI D’INTERVENTO PROPOSTI Prima di tradurre gli intenti sin qui dichiarati in una tabella riassuntiva dove indicare obiettivi, indicatori, risultati attesi, e previsione delle risorse necessarie per le sperimentazioni che intendiamo proporre, proviamo a tratteggiare – anche operativamente – alcune ipotesi di attività da condividere a livello interdistrettuale, relative alla praticabilità di esperienze di Family Group Conference, Advocacy, reti di Auto Mutuo Aiuto.

a) FAMILY GROUP CONFERENCE L’ipotesi di avviare una sperimentazione su un modello di lavoro, come quello delle Family group conference, nasce dall’esigenza di “recuperare, nei sistemi di welfare, delle autonomie di processo che portino la società ad elaborare soluzioni per fronteggiare i loro problemi al di là dei sistemi stessi che comunque sono successivi al lavoro sociale naturale. L’idea che gli operatori dei servizi debbano essere in grado di dare sempre una risposta si fonda su un presupposto di tipo welfaristico che vede la società come il luogo in cui nascono le domande e la frangia degli operatori come quella deputata a dare delle risposte. In questa visione la produzione delle risposte è dentro il sistema organizzato di welfare e la produzione del disagio e’ fuori”51. Ci sembra necessario tentare di eludere tale logica entro la quale qualsiasi tipo di slancio creativo soffoca sotto il peso della rigidità dei ruoli, che spesso spinge operatori ed utenti ad arroccarsi su posizioni distanti e inconciliabili e a rendere arida, improduttiva e sgradevole l’esperienza del loro incontro. Crediamo che i singoli

51 Folgheraither

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individui e i loro sistemi relazionali vadano considerati come un ingranaggio fondamentale ed imprescindibile nell’articolato meccanismo del processo di aiuto e che, in forza di ciò, si renda indispensabile la pratica di un empowerment improntato alla garanzia e alla valorizzazione dello sviluppo e dell’espressione delle potenzialità delle persone. Siamo dell’idea che dedicarsi alla costruzione di setting in cui le famiglie possano attivarsi nel ricercare strategie e soluzioni utili a migliorare la condizione di difficoltà in cui versano, possa aumentare la possibilità di favorire prese in carico in cui i progetti e gli interventi elaborati ricadano positivamente nel processo volto al superamento delle situazioni di disagio e di crisi. Le Family Group conference sono definibili come un processo di decision making orientato a valorizzare la capacità della famiglia di affrontare i problemi che incontra nel corso della propria vita, in particolare nella cura e nell’accudimento dei propri membri più piccoli, attraverso l’autonoma presa di decisioni circa le possibili soluzioni da intraprendere per far fronte a situazioni di difficoltà e crisi. La famiglia viene chiamata a definire un piano in risposta a una serie di questioni rilevanti, evidenziate dai servizi sociali in merito alla situazione di rischio del minore, formulate sotto forma di domande. Il Piano per la protezione del minore viene elaborato congiuntamente dai familiari presenti all’incontro e condiviso successivamente con gli operatori dei servizi sociali, referenti della situazione, che dovranno approvarlo52. Di seguito i principi guida e le prassi operative alla base di questo modello53 la cui declinazione discende dall’assunto che alla famiglia spetti un ruolo centrale nello svolgimento del percorso:

• Le famiglie hanno il diritto ad avere informazioni chiare e appropriate sul processo della Family group conference;

• Le famiglie hanno il diritto di essere coinvolte nella programmazione e organizzazione della Family group conference

• Ogni membro della famiglia presente alla Riunione ha il diritto di essere riconosciuto come un decisore, all’interno del processo della Family group conference;

• L’incontro deve avvenire in un ambiente supportivo e sicuro e garantire un tempo riservato alla famiglia per elaborare un Progetto di tutela;

• Le famiglie hanno il diritto all’approvazione del loro progetto di tutela e all’accesso alle risorse necessarie per realizzarlo;

• Le famiglie hanno il diritto di essere coinvolte nello sviluppo del servizio di Family group conference

Sembra opportuno precisare che nel processo decisionale è prevista la presenza della figura del facilitatore che svolge un’attività orientata a favorire il corso dell’azione intrapresa dalle persone presenti alla riunione sostenendo una presa di decisione che sia la più libera possibile. Un altro soggetto importante nel contesto delle Family group conference è rappresentato dall’advocacy, ovvero colui che prepara e supporta adeguatamente i minori nello svolgimento del percorso. Il processo delle Family group conference è costituito da quattro fasi collegate fra loro, ovvero:

• Attivazione della Riunione di famiglia; • Preparazione; • Incontro vero e proprio; • Monitoraggio del progetto di tutela.

Gli operatori del servizio tutela che intendono attivare una Family group conference devono redigere una relazione contenente la sintesi della storia familiare e alcune domande riguardanti le modalità attraverso le quali la famiglia pensa di tutelare e prendersi cura del minore. Nella fase di 52 Maci, 2011 53 Principles and practice guidance - Bernardo’s et al., 2002

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preparazione il facilitatore assieme alla famiglia e al minore individua quali persone della rete familiare invitare alla Riunione e le incontra al fine di informarle sul processo al quale prenderanno parte. Nella fase iniziale della Riunione gli operatori esplicitano gli elementi di rischio e pregiudizio che vedono nella situazione di vita del minore e dei genitori, le informazioni in loro possesso sulla famiglia, i loro compiti istituzionali e le risorse a disposizione. Successivamente la famiglia viene lasciata affinché possa definire in autonomia un Progetto di tutela che in seguito, con l’aiuto del facilitatore, esporrà ai professionisti. Questi dovranno discuterlo e approvarlo e potranno rifiutarlo se non ritenuto sufficientemente protettivo per il minore. Una volta avvallato il Progetto dovrà prender vita e sarà sottoposto ad un costante lavoro di monitoraggio ottenuto dalla collaborazione fra famiglia e servizio. In un arco di tempo individuato dalla famiglia una Riunione di verifica del Progetto. Come si può dedurre dalla lettura di quanto sopra esposto, lo strumento delle Family group conference va tarato su famiglie che versano in condizioni di difficoltà ritenute in grado di mobilitarsi nel reperimento di risorse interne e/o esterne al nucleo, utili a formulare e declinare progettualità funzionali a contenere ed interrompere il disagio. Riteniamo fondamentale, laddove possibile, investire sulla partecipazione attiva della famiglia e della sua rete relazionale nella pianificazione dei percorsi di sostegno. Il valore di tale impostazione risiede nella possibilità di ridurre gli effetti negativi prodotti sulle prese in carico dal senso di estraneità che frequentemente le persone vivono allorché viene richiesto loro di aderire passivamente alla realizzazione di progetti pensati per loro da altri. Tale vissuto, amplificato dalla cornice prescrittiva in cui tali progetti si inseriscono, spinge spesso le persone ad aderire meccanicamente a quanto “proposto” e, purtroppo, l’assenza di un reale coinvolgimento porta frequentemente ad insuccessi e fallimenti che peggiorano ulteriormente situazioni talvolta già significativamente compromesse. Le Riunioni di famiglia possono essere utilizzate con estrema creatività, adattando il modello a diversi contesti e situazioni (il loro impiego non si limita all’ambito della tutela minorile). Ci sembra che questa metodologia di lavoro possa trovare ampio respiro nel trattamento della casistica che normalmente accede ai nostri servizi. Se usata correttamente e tempestivamente può da un lato favorire la prevenzione del disagio nelle situazioni in cui le difficoltà e il malessere riportato dalle famiglie risultano contenuti, dall’altro concorrere in modo nuovo e creativo alla gestione dei casi connotati da un maggior livello di compromissione o divenuti cronici.

b) L’ADVOCACY

La finalità dell'advocacy è quella di accompagnare il minore a chiarire il proprio punto di vista e poi ad esprimerlo: la traduzione in italiano del ruolo svolto da questa figura è “portavoce”.

Da numerose ricerche effettuate nel Regno Unito (dove la funzione di advocacy ha cominciato ad essere presente nei servizi a partire dal 1989) emerge che i sentimenti che prova un minore quando viene a mancare l'ascolto in merito ad una decisione importante che lo riguarda, come può essere la decisione in merito al più opportuno intervento di protezione, sono molto forti.

All'interno della Family Group Conference ad esempio è importante che arrivi la voce del minore e spesso questi, che potrebbe avere difficoltà a farsi ascoltare anche dai propri familiari, ancora maggiore difficoltà può trovare in un momento così formale dove si incontrano i diversi operatori che seguono il caso e i diversi nodi della rete del minore allo scopo di definire il progetto di tutela.

Dagli studi in materia emerge in particolare come:

• centrarsi sulla partnership con i genitori rischia di portare ad escludere, o a dare per scontata, la prospettiva del minore

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• il dato di fatto, rispetto ai diversi servizi campione dello studio effettuato nel Regno Unito, è che nessuno ascolti veramente i ragazzi: spesso gli operatori ritengono di non poter chiedere al ragazzo di dire cosa ritiene sia meglio per sé, in quanto spetterebbe all'adulto individuare la migliore soluzione possibile. Tuttavia spesso la voce del ragazzo porta a prendere in considerazione prospettive progettuali che non sarebbero venute in mente, neppure ascoltando i genitori.

• l minore che non viene ascoltato spesso ha un vissuto di esclusione, come se gli fosse rimandato “siamo noi gli esperti, siamo noi a decidere”

Anche dal punto di vista normativo vi sono delle direttive che rimandano all'importanza dell'ascolto del parere di bambini e ragazzi (si veda in particolare l'ART. 12 della Convenzione sui Diritti dell'Infanzia).

Caratteristiche dell’advocated

La caratteristica principale dell'advocated è quella di essere una figura autonoma e indipendente: infatti tale operatore non va a sovrapporsi ai compiti istituzionali di assistenti sociali e psicologi, al contrario offre al minore la possibilità di essere ascoltato e poi sostenuto nell'espressione del suo punto di vista proprio in virtù della differente posizione, della differente prospettiva attraverso la quale si pone accanto al minore.

L'advocated non necessariamente deve possedere una formazione di tipo sociale, anche se deve avere buone capacità di ascolto empatico e un'adeguata formazione. E' importante inoltre che possieda una buona conoscenza dei servizi presenti a livello territoriale e sovraterritoriale, per dare il proprio contributo nella definizione del piano di protezione del minore.

Durata e tipologia dell’intervento di advocacy

Si possono distinguere diverse tipologie di interventi di advocacy:

ADVOCACY DI CASO

- di breve durata, con obiettivi specifici

- possibili anche interventi di advocacy di gruppo

- di lunga durata, anche per tutta la vita del minore (ad es. per minori portatori di una disabilità mentale)

ADVOCACY DI SISTEMA

- può coinvolgere tutto il sistema dei servizi, rispetto ai suoi diversi livelli, tecnico, politico ecc..

Principi dell’advocacy

-Empowerment

Sostiene i minori nell'obiettivo di avere maggiore controllo rispetto alle decisioni che li riguardano. Ciò spesso va nella direzione di aumentare l'autostima e la fiducia in se stessi

-Approccio centrato sul minore

L'advocacy tiene al centro il punto di vista e i desideri dei bambini e dei ragazzi, ascoltando le loro indicazioni senza “filtrarle” attraverso lo sguardo adulto

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-Indipendenza

Indipendenza dal committente al fine di garantire ai minori un ascolto e un supporto senza preconcetti; ciò partendo dall'idea che gli operatori hanno il loro punto di vista, che è diverso da quello del minore

-Riservatezza

I servizi di advocacy operano ad alti livelli di riservatezza e si assicurano che gli altri operatori conoscano l'importanza per l'advocated di rispettare questo principio. E' importante essere chiari fin dall'inizio del rapporto sul livello di riservatezza che si utilizzerà.

Ambiti di applicazione del supporto offerto da un operatore di advocacy

• Interventi di sostegno e controllo a tutela del minore previsti dal Tribunale per i Minorenni

- Definizione del progetto da proporre alla Procura o al Tribunale per i Minorenni - Preparazione e sostegno al minore per eventuali audizioni c/o il Tribunale - Definizione delle modalità di visita con il/i genitore/i - Incontri di verifica del progetto

• progetti di assistenza educativa a domicilio

- Definizione del progetto sia in relazione all'organizzazione logistica che ai contenuti - Incontri di verifica del progetto

• Accoglienza in centri diurni

• Progetti di affido familiare

- Definizione del progetto di affido(ad es. cosa aiuterebbe il minore a stare meglio presso la famiglia affidataria)

- Incontri di monitoraggio del progetto di affido - Definizione della chiusura del progetto di affido e successivo collocamento o rientro del

minore c/o la famiglia d'origine

• Separazione dei genitori

- Preparazione e sostegno al minore, ad esempio rispetto ad evenuaòi audizioni in T.O. - Definizione del progetto di di affidamento da proporre al T.O. - Definizione delle modalità di visita con il genitore non convivente • Collocamento in comunità

- Definizione del progetto di inserimento in Comunità - Incontri di monitoraggio dell'inserimento - Definizione delle modalità di incontro con i familiari - Dimissioni del minore e costruzione del progetto di rientro o di autonomia - Eventuale cambio di comunità

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• Progetto di messa alla prova-penale minorile

- Preparazione e/o sostegno del minore per audizioni in Tribunale - Definizione e monitoraggio del progetto di messa alla prova - Supporto rispetto all'eventuale ingresso in carcere • Progetti in ambito sanitario sia per minori che per adulti disabili

• Difficoltà in ambito scolastico

- Minori a rischio di espulsione o di inadeguatezza in ambito scolastico - Episodi di bullismo e comportamenti aggressivi - Difficoltà di relazione con i compagni e gli insegnanti

Come avviare sperimentazioni di advocacy

1. Al fine di garantire l'indipendenza dell'operatore di advocacy è possibile organizzare uno scambio reciproco dell'intervento fra operatori di diversi servizi, ad esempio all'interno dell'ambito distrettuale

2. All'interno dello stesso servizio è possibile chiedere di svolgere il ruolo di advocacy ad un operatore che non è implicato sul caso; è possibile ad esempio coinvolgere educatori dell'assistenza domiciliare, oppure operatori formati facenti parte del terzo settore.

3. Ancora si può pensare all'organizzazione di un servizio dedicato che si attiva su richiesta di altri Enti e/o Servizi

c) NUOVE RETI DI AUTO MUTUO AIUTO

Il mutuo aiuto non è un concetto nuovo. Prima di approdare nel campo del lavoro sociale, il concetto di aiuto reciproco fra più soggetti è stato utilizzato in biologia, zoologia e sociologia. Un esempio classico di mutuo aiuto è la capacità delle formiche di costruire delle meravigliose strutture sociali e architettoniche, strutture che una formica, da sola non potrebbe mai realizzare. Un altro esempio può essere il raduno di molte balene affamate che, con le loro code, riescono a produrre delle onde particolari, in modo da riunire una gran quantità di pesce con cui nutrirsi. In realtà questi piccoli esempi sono molto significativi perché dimostrano che il gruppo è indispensabile per conseguire dei migliori risultati. Nel campo del lavoro sociale, le dinamiche del mutuo aiuto sono sempre state identificate come elementi base del lavoro con i gruppi. Il riconoscimento del valore della mutualità è tipico delle professioni sociali di aiuto, e non di altri ambiti professionali. Il lavoro sociale, inoltre, si sta orientando verso nuovi percorsi. Se ne ravvisa già più di un segnale quando si osserva l’evoluzione delle pratiche concrete utilizzate dagli operatori, per rispondere ai bisogni emergenti in questa difficile fase storica. In generale, si può dire che questi nuovi orientamenti implicano, da una parte un cambiamento delle attitudini e delle competenze attese o richieste agli operatori, dall’altra, un rinnovamento delle forme stesse dell’intervento. Proponiamo di seguito delle riflessioni sui motivi per cui riteniamo il mutuo aiuto uno dei modi per svolgere al meglio il lavoro sociale:

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□ Il mutuo aiuto,che fa riferimento a varie forme d’aiuto che le persone possono offrirsi l’un l’altra o sperimentare insieme, è una buona prassi perché si basa intrinsecamente sui punti di forza degli individui. Affinché le persone possano aiutare loro stesse e gli altri, devono cercare e riconoscere le loro qualità, in breve, ricorrere alle proprie risorse. Quindi la pratica del mutuo aiuto è un metodo di lavoro per sua natura basato sui punti di forza. Un gruppo “senza risorse”, che ad esempio si concentra sui “deficit”, non può catalizzare processi di mutuo aiuto. Nel lavoro sociale si considera risorsa tutto ciò che fa progredire le persone, ad esempio la capacità di sopravvivere in situazioni familiari caotiche, le abilità sociali o l’attitudine a riflettere profondamente sulle proprie esperienze, la capacità di stare bene con se stessi o di creare solide relazioni. Il compito del lavoro sociale è quello di aiutare le persone a individuare e utilizzare tutto ciò in modo proficuo per loro stesse e, nel caso del lavoro di gruppo, anche a beneficio degli altri, sia su piccola scala(come scambio tra individui) sia su larga scala(in direzione di cambiamenti sociali più ampi).

□ Il mutuo aiuto comporta un approccio all’aiuto che considera la totalità della persona. L’idea che le persone siano sempre qualcosa di più della somma dei loro bisogni, o dei loro problemi, o delle caratteristiche che presenta la loro situazione, è tipica del lavoro sociale. L’unica prospettiva possibile è quella di tenere presente non solo i bisogni della persona o i suoi lati problematici ma i suoi aspetti “sani” ed è proprio in questi aspetti che risiedono gli ingredienti per il mutuo aiuto: le abilità e i talenti, le conoscenze, le intuizioni, la saggezza derivante dalle esperienze di vita e altre capacità. Questi elementi formano il bagaglio delle risorse umane indispensabili affinché il lavoro sociale funzioni, indipendentemente dal compito immediato a cui far fronte o dal fatto che ci si attivi a livello individuale o di gruppo.

□ Il mutuo aiuto è intrinsecamente psicosociale: infatti sollecita le persone a riflettere su di sé, mentre la riflessione si sviluppa contemporaneamente a livello interpersonale. Ovviamente questo richiede che gli operatori imparino come focalizzare la dimensione individuale e quella interpersonale dell’aiuto, tenendole presenti entrambe contemporaneamente. La dualità dello sguardo risulta però abbastanza naturale per gli operatori che lavorano con i gruppi, poiché quello gruppale è un contesto in cui bisogna tenere presenti anche molte altre dualità: il gruppo nell’insieme e l’individuo; la finalità complessiva del gruppo e gli obiettivi delle singole persone; il sistema in cui si colloca;la facilitazione dell’auto aiuto e la capacità di catalizzare la mutualità, (cioè lo scambio di risorse).

□ Nell’ambito del lavoro con i gruppi, l’operatore sociale spesso può ritenere che certe categorie di utenza siano troppo “fragili” o “limitate” per coinvolgerle in un processo che, come il mutuo aiuto, si basa sulle risorse delle persone. L’intento di catalizzare processi di auto mutuo aiuto rende gli operatori promotori di empowerment.

Empowerment vuol dire essere in grado, come operatori, di gestire i saperi specialistici in modo che questi non smorzino o uccidano quelli degli altri. Vuol dire quindi mantenersi in stretta relazione con le persone che vivono i problemi e “rispettare il loro potere di parola e azione”54. Alla base vi deve essere una realistica percezione delle potenzialità che l’altro ha di costruire relazioni sociali, e la convinzione che l’esercizio di quel potere produrrà nelle persone un rinnovato senso di fiducia in loro stessi e negli altri.

54 Folgheraither

130

I gruppi AMA infine, per poter funzionare, presuppongono la partecipazione attiva di tutte le persone coinvolte: quando questo accade i gruppi producono voglia di partecipare, voglia di esserci nella costruzione del benessere comune cui ciascuno diventa più sensibile. I gruppi AMA divengono formidabili contesti di apprendimento all’impegni civico, a prendere parte attiva e fiduciosa alla società. Da queste considerazioni, e dai presupposti generali sui quali si basa la nostra programmazione di ambito, diventa essenziale individuare percorsi sperimentali e innovativi di costituzione di gruppi AMA (Auto Mutuo Aiuto). TIMING E COSTI DELLA SPERIMENTAZIONE

Si prevede che la sperimentazione abbia uno sviluppo triennale, allineandosi alla scadenza del Piano di Zona 2012/2014. Nel secondo semestre 2012 saranno condivisi i criteri di individuazione degli indicatori di efficienza ed efficacia dei servizi in essere, per procedere sia all’analisi quali/quantitativa dei costi e dei risultati dei modelli attuali che alla futura comparazione con le ipotesi di modelli frutto della sperimentazione. Parimenti si procederà ad un più approfondito studio di fattibilità economica delle sperimentazioni, fin qui descritte nei contenuti e negli obbiettivi. Saranno comunque attivate – entro l’inizio del 2013 – tutte le fasi della sperimentazione sostenibili con le risorse umane ed economiche già presenti nei rispettivi servizi e/o reti territoriali. La sperimentazione in oggetto si candida ad intercettare, in corso d’opera, fonti di finanziamento e collaborazioni sia nei confronti delle Istituzioni superiori (Provincia di Milano, in particolare per le attività di formazione, Regione Lombardia, cofinanziamento di progetti innovativi e sovradistrettuali) che con soggetti pubblici e privati (Azienda Sanitaria Locale, Università, Istituti di Ricerca, Fondazioni).

TABELLA RIASSUNTIVA

RICERCA/CONFRONTO SU MODELLI DI SERVIZIO E METODOLOGIE DI

RELAZIONE ISTITUZIONALE E TERRITORIALE

STRATEGIE OBIETTIVI INDICATORI RISULTATI

PROSPETTIVA

FINANZIARIA

Confrontare i modelli di servizio e delle reti di servizio fra Distretti Sociali differenti:

� modelli di servizio

� costi indotti dalla loro azione

Consapevolezza in ordine alla congruità della spesa, sia in ordine ai modelli di servizio, che rispetto ai costi indotti ( progetti, inserimenti in affido e comunità, tempi di realizzazione dei percorsi di supporto….)

Analisi degli stati di fatto con audit esterno Confronto fra elementi comuni e costruzione di strumenti condivisi Sperimentazione

Co-costruzione di un modello di controllo di gestione e di monitoraggio delle attività e delle spese condiviso su di un territorio più vasto

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PROSPETTIVA

UTENTE

Modelli di customer adeguati Interlocuzione con l’utenza e con la cittadinanza ( focus group) Proceduralizzazione dei tempi di risposta in relazione al ciclo di vita familiare Analisi delle reti territoriali

Individuare elementi qualitativi e buone prassi che possano essere condivise su un territorio omogeneo ma più vasto del singolo ambito

Codificazione modelli di accesso Codificazione modelli di diagnostica Codificazione dei processi di protezione e di supporto alle genitorialità Codificazione della chiusura degli interventi Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore

Omogeneizzazione qualitativa delle risposte Analisi condivisa della relazione servizi/comunità

PROCESSI

INTERNI

Lavoro di gruppo fra équipes differenti Formazione comune Impianto di analisi condiviso

Rafforzare il sistema dei servizi nella consapevolezza degli operatori Adesione a processi di accountability

Costruzione di un sistema comune di monitoraggio e di accountability, anche a favore dei sistemi singoli di controllo di gestione

Omogeneizzazione quanti/qualitativa delle risposte condivisa con la gerarchia delle responsabilità

APPRENDI

MENTO E

CRESCITA

Formazione condivisa fra differenti contesti operativi, gestionali, dirigenziali e amministrativi Analisi delle sperimentazioni locali e buone prassi a favore dell’intera compagine di progetto

Sostegno del percorso Manutenzione del processo

Partecipazione Livelli di condivisione Verifica apprendimenti Verifica gradimento Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore

Base omogenea di competenze/conoscenze fra i Distretti coinvolti Disseminazione risultati

SPERIMENTAZIONE DI UN SERVIZIO “PORTAVOCE” PER I MINORENNI

STRATEGIE OBIETTIVI INDICATORI RISULTATI

PROSPETTIVA

FINANZIARIA

Introduzione di una leva professionale a fianco dei minorenni che possa migliorare il complessivo decision making sul caso introducendo ascolto e riducendo

Sperimentare un nuovo livello di servizio investendo sul miglioramento delle procedure ed un suo concorso nel

Confronto costi/risultati fra situazioni trattate con metodologie di advocacy e situazioni trattate secondo

Valutazione della sostenibilità dell’introduzione di un nuovo servizio rivolto ai minorenni, nella dinamica investimenti/risultati

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incomprensioni e tempi di lavoro

rendere più condivise e agevoli le prassi, che potrebbe determinare un differente investimento economico

le usuali procedure di servizio Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore

PROSPETTIVA

UTENTE

Informazione dell’esistenza della risorsa Sperimentazione su situazioni di incrementale complessità Valutazione con soggetto scientifico esterno dei processi, dei metodi e degli esiti

Garantire ai minori coinvolti in percorsi di supporto o di contrasto al pregiudizio di poter fruire di un portavoce autonomo e non legato al servizio “curante”

N° di interventi di advocacy effettuati Analisi di processo, metodologica e di esito

Portare la voce del minorenne in ogni contesto che debba prendere decisioni per la sua vita

PROCESSI

INTERNI

Guida metodologica autorevole ed esperta Costruire un piccolo nucleo di servizio composto da operatori che si candidino esclusivamente all’advocacy dei minori in carico ai servizi considerati Sostituire parzialmente gli operatori impegnati al fine di non determinare carenze sui livelli di erogazione

Sperimentare fra distretti una nuova risorsa di servizio che porti la voce dei minorenni ed affianchi le attività di segnalazione, valutazione, trattamento, dimissione

Adesioni al percorso da parte di operatori già inseriti nel sistema dei servizi in atto Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore, anche nella formazione del gruppo di portavoce

Valutazione di sostenibilità da sperimentazione a stabilizzazione dei percorsi di advocacy

APPRENDI-

MENTO E

CRESCITA

Forte investimento formativo iniziale, dedicato a tutti i SMF dei distretti considerati Formazione rivolta ai portavoce individuati Lavoro di gruppo Supervisione esterna dei portavoce

Costruire una professionalità differente, al servizio delle esigenze e delle aspettative dei minorenni

Partecipazione Livelli di condivisione Verifica apprendimenti Verifica gradimento Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore

Costruire il servizio sperimentale con solide basi teoriche e teorico-pratiche Assicurare alla sperimentazione l’adeguato supporto al ruolo Disseminazione risultati

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SPERIMENTAZIONE DI UN SERVIZIO DEDICATO ALLE RIUNIONI DI FAMIGLIA

PER LA CONDIVISIONE DI DECISIONI STRATEGIE OBIETTIVI INDICATORI RISULTATI

PROSPETTIVA

FINANZIARIA

Introduzione di una leva professionale a fianco dei minorenni e delle loro famiglie che possa migliorare il complessivo decision making sul caso, riducendo incomprensioni e tempi di lavoro

Sperimentare un nuovo livello di servizio investendo sul miglioramento delle procedure e sul coinvolgimento delle famiglie, che potrebbe determinare un differente investimento economico

Confronto costi/risultati fra situazioni trattate con riunioni di famiglia e situazioni trattate secondo le usuali procedure di servizio Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore

Valutazione della sostenibilità dell’introduzione di un nuovo servizio rivolto all’organizzazione di riunioni di famiglia, nella dinamica investimenti/risultati

PROSPETTIVA

UTENTE

Informazione dell’esistenza della risorsa Sperimentazione su situazioni di incrementale complessità Valutazione con soggetto scientifico esterno dei processi, dei metodi e degli esiti

Garantire alle famiglie coinvolte in percorsi di supporto o di limitazione della responsabilità genitoriale di poter fruire di un contesto autonomo da servizio “curante” dedicato alla loro partecipazione alla presa di decisioni

N° di riunioni di famiglia richieste dai SMF N° di riunioni di famiglia effettuate Analisi di processo, metodologica e di esito

Portare la voce del minorenne in ogni contesto che debba prendere decisioni per la sua vita

PROCESSI

INTERNI

Consapevolezza della sperimentazione da parte di tutti i SMF dei distretti coinvolti Individuazione criteri per costruzione di 2 gruppi di famiglie: 1 con FGC e 1 senza la fruizione, al fine di un confronto di

Sperimentare la differenziazione fra le funzioni della rete dei servizi Sperimentare il ricorso alle Riunioni di famiglia

Partecipazione Livelli di condivisione Verifica apprendimenti Verifica gradimento Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore

Valutazione di sostenibilità da sperimentazione a stabilizzazione del ricorso sovra distrettuale alle riunioni di famiglia, con periodica riunione del gruppo riunioni di famiglia

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processo ed esito Individuazione di operatori già in servizio per distacco su riunioni di famiglia da effettuarsi in “scambio” fra le équipes Sostituire parzialmente gli operatori impegnati al fine di non determinare carenze sui livelli di erogazione

APPRENDI-

MENTO E

CRESCITA

Forte investimento formativo iniziale, dedicato a tutti i SMF dei distretti considerati Formazione rivolta ai facilitatori di riunione di famiglia individuati Lavoro di gruppo Supervisione esterna dei facilitatori

Costruire le professionalità dei portavoce, al servizio delle esigenze e delle aspettative dei minorenni e delle loro famiglie, facilitanti anche la presa di decisioni dei SMF

Partecipazione Livelli di condivisione Verifica apprendimenti Verifica gradimento Coinvolgimento degli attuali partner di terzo settore

Costruire il servizio sperimentale con solide basi teoriche e teorico-pratiche Assicurare alla sperimentazione l’adeguato supporto al ruolo Disseminazione risultati

SPERIMENTAZIONE DI GRUPPI DI PAROLA PER GENITORI CON COMPETENZE IN

DIFFICOLTA’, BAMBINI IN AFFIDO O IN COMUNITA’ – GRUPPI PARALLELI PER

BAMBINI E RAGAZZI STRATEGIE OBIETTIVI INDICATORI RISULTATI

PROSPETTIVA

FINANZIARIA

Incontrare in modo appropriato le competenze sociosanitarie dei Consultori Familiari, ottimizzando i possibili processi di integrazione fra funzioni

Sperimentare prassi gruppali di sostegno e trattamento ad affiancare le competenze in campo dei SMF, al fine di snellire i percorsi di sostegno e trattamento

Confronto costi/risultati fra situazioni trattate con riunioni di famiglia e situazioni trattate secondo le usuali procedure di servizio Coinvolgimento dell’ASL e dei consultori accreditati

Differenziare i trattamenti possibili per le famiglie in carico ai SMF, riducendo gli oneri economici dedicati al trattamento

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PROSPETTIVA

UTENTE

Gruppi per Genitori carenziati Genitori con figli allontanati Gruppi “ famiglie d’origine” Gruppi di parola dedicati ai figli coinvolti

Fornire risorse di sostegno e trattamento, ma anche di empowerment, alle famiglie in carico ai SMF

N° gruppi attivati N° adesioni alle proposte gruppali Customer satisfaction partecipanti

Sperimentare la differenziazione delle risposte Incrementare in modo appropriato l’integrazione socio-sanitaria

PROCESSI

INTERNI

Bilancio competenze territoriali condotto in integrazione fra ASL e gruppo di progetto

Realizzare attività gruppali con l’adesione delle migliori professionalità in campo sul territorio

N° operatori coinvolti Rassegna delle tecniche e dei processi Monitoraggio e verifica attività realizzate

Valutazione di sostenibilità da sperimentazione a stabilizzazione del ricorso a sostegno e trattamento gruppale, condivisa fra ASL e gruppo di progetto

APPRENDI-

MENTO E

CRESCITA

Lavoro di analisi e conoscenza buone prassi di altri territori condotto in integrazione fra ASL e gruppo di progetto Bilancio competenze territoriali Eventuali leve formative ad hoc

Consolidare le competenze di sostegno e trattamento gruppale

Partecipazione Livelli di condivisione Verifica apprendimenti Verifica gradimento

Consolidare competenze di lavoro con gruppi In ambito sociosanitario e del sistema sociale dei servizi a favore dei cittadini dei 4 distretti considerati

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5.5 MONITORAGGIO E VALUTAZIONE

La valutazione delle politiche sociali è un’operazione complessa che deve essere progettata parallelamente allo sviluppo delle politiche stesse: dall’ideazione all’implementazione. Ci sembra superfluo approfondire le ragioni e l’utilità di tale operazione, in parte già note e in parte già descritte nel precedente paragrafo 2. E’ opportuno, tuttavia, precisare che poiché il Piano di Zona rappresenta uno strumento processuale, in un’ottica di miglioramento continuo, diventa cruciale assumere un’ottica valutativa flessibile e dinamica, sia per considerare la sua capacità di cambiamento della programmazione, sia per la sua capacità di orientare i policy maker, nelle scelte programmatorie successive. Valutare (vàlere: “dare valore”) richiede la capacità di assumersi la responsabilità del giudizio, di essere attori autorevoli del processo decisionale, di coinvolgere gli attori in un processo di apprendimento e di crescita. In questo senso è una costruzione di significato che consente ai diversi soggetti interessati di essere maggiormente consapevoli, inoltre, preserva dai vissuti di impotenza e di onnipotenza. Monitorare (monere: “informare”) richiede la capacità di dotarsi di sistemi di raccolta strutturata di informazioni di flusso. E’ importante riconoscere le potenzialità di una buona raccolta informativa, saper individuare i dati da raccogliere e investire in una loro elaborazione sistematica. In questa fase di cambiamento il monitoraggio e la valutazione diventano azioni indispensabili e

fortemente strategiche. Ci guideranno nel processo di comprensione del cambiamento e ci aiuteranno a legittimare i processi di innovazione che saranno attivati. Tuttavia il ricorso al sistema di rete, così come si sta prefigurando nel nostro territorio, richiederà un cambiamento profondo nel sistema di monitoraggio e valutazione. La valutazione non si potrà più limitare alle sole attività svolte dall’amministrazione ma si dovrà introdurre una verifica sulla presenza delle condizioni di funzionamento delle reti, così come si dovrà mettere in atto un sistema di accreditamento di qualità (che valuti l’affidabilità di una struttura, la qualità della prestazione erogata e la capacità di soluzione di un problema). La valutazione di un sistema sussidiario di welfare deve prevedere un approccio ampio e multi direzionale che sia in grado di misurare non solo:

� l’efficacia e l’efficienza delle politiche (in termini di allocazione delle risorse e di differenziale tra domanda e offerta di servizi);

� la soddisfazione del beneficiario e/o della sua famiglia (in termini di capacità di risposta al bisogno individuale espresso).

Questo processo, infatti, dovrebbe riuscire a valutare anche due nuove dimensioni: � capacità di generare capitale sociale nel territorio (gli effetti dell’aumento di autonomia

riconosciuta al Terzo settore: aumento quantitativo dell’offerta privata e privato-sociale; crescita organizzativa e gestionale del privato sociale, etc…)

� capacità di generare capitale sociale nel singolo individuo (la capacità delle famiglie di rispondere autonomamente, in forma singola o associata, ai bisogni: effettiva capacità di empowerment familiare)

137

IPOTESI METODOLOGICHE Con queste premesse, intendiamo concepire la programmazione sociale del prossimo triennio accompagnata da una costante e flessibile pratica valutativa. Considerati sufficientemente chiari i motivi sul perché è importante attivare un processo di valutazione, occorrerà definire chi sarà coinvolto in questa pratica, con quali criteri e su quali oggetti. A tale scopo proponiamo delle ipotesi metodologiche che saranno condivise, confrontate e adottate dalla rete territoriale. Chi Pensiamo ad una valutazione che nasca sul territorio e che, pertanto, sia costruita in modo negoziato con tutti i soggetti coinvolti nella programmazione: l’Ufficio di Piano, l’Assemblea dei Sindaci ed, necessariamente, tutti i soggetti che hanno partecipato alla governance del Piano, i quali hanno il diritto ed il dovere di esercitare il processo valutativo55. Con quali criteri Considerato che la pratica valutativa non si presenta mai, dal punto di vista metodologico, come una pratica neutra ma si adatta sul modello di politiche sociali e di programmazione adottato. Pensiamo che il nostro Piano di Zona, centrato su una programmazione sussidiaria, abbia bisogno di un sistema di valutazione che abbia l’obiettivo di monitorare il processo di governance e di sussidiarietà. Un sistema di valutazione che misuri non solo la performance: aspetti di efficienza e di efficacia (ottimizzazione delle risorse e raggiungimento degli obiettivi concreti); ma capace di misurare anche la dimensione più relazionale: aspetti valoriali e normativi (misurazione del sistema delle regole adottato e del modello dei valori a cui ci si è riferiti). Un’analisi valutativa che tenga conto, quindi, di quattro dimensioni da osservare correlate tra loro:

1. dimensione economica (piano finanziario e risorse del territorio) 2. dimensione politico (priorità e obiettivi per la qualità della vita) 3. dimensione normativa (la governance) 4. dimensione culturale (valori e modelli: la sussidiarietà)

La valutazione di queste due ultime dimensioni è decisamente sfidante in quanto, non solo inedita e quindi poco nota ma, soprattutto, perché non di facile misurazione. Si tratta, infatti, di verificare quanto “bene relazionale” si è riusciti a produrre: quanta fiducia, cultura e reputazione tra i vari soggetti si è generata nel lavoro comune56. Su quali oggetti Pensiamo che la valutazione di una programmazione sociale (il Piano di Zona) debba prevedere diversi oggetti da osservare nel suo processo di analisi:

- da un lato i risultati sia in termini di servizi erogati sia in termini di ricaduta sulla qualità della vita della comunità;

- dall’altro i processi che sono stati attivati per favorire la partecipazione e l’integrazione. Per tutte le ragioni esposte, la valutazione di questo triennio si propone a livello locale, anche, come uno strumento a supporto dell’integrazione delle reti di welfare.

55 Flavio Merlo, 2011 56 Colozzi, 2011

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5.6 BUDGET UNICO E RISORSE ECONOMICHE

Nelle precedenti programmazioni sociali il tema delle risorse economiche, per il nostro Distretto, rivestiva carattere di centralità in ragione del fatto che il Budget Unico era costituito prevalentemente dalle risorse assegnate da parte della Regione Lombardia e della Provincia di Milano. I precedenti Piani di Zona riportavano una tabella di previsione sulle risorse economiche che, per ogni anno del triennio, avrebbero costituito il Budget Unico, inoltre, per ogni intervento programmato era previsto uno specifico stanziamento. Molte sono state le esperienze e i servizi che è stato possibile sperimentare e consolidare, nei comuni del nostro territorio, che ora rappresentano interventi che caratterizzano l’offerta sociale consolidata del nostro Distretto. E’ accaduto che, con la costante e drastica diminuzione delle risorse economiche trasferite, il nostro Distretto sembrava avesse perso l’elemento di centralità, quasi non fosse più possibile definire una programmazione sociale a livello distrettuale. C’è stato un momento di disorientamento dove è stato necessario rimettere a fuoco, rileggere l’esperienza dei tre Piani di Zona nel nostro territorio, dieci anni di politiche sociali, e rendersi conto di ciò è stato generato. Il Distretto ha dovuto ripensare a quale fosse il presupposto per stare insieme, ha dovuto ritrovare l’elemento di centralità. Questa ricerca, in realtà, ha richiesto poco tempo: è bastato solo “interrogarsi” per capire che il patrimonio generato in questi anni non doveva andare disperso e che, anzi, stare insieme è l’unica possibilità per affrontare questa fase storica di cambiamento. Nella prossima programmazione zonale, paradossalmente, i Comuni hanno deciso di investire maggiormente nelle politiche distrettuali e valorizzare l’intesa raggiunta in questi anni anche dal punto di vista della visione politica. La diminuzione delle risorse economiche su cui contare per far fronte alla gestione degli interventi, resta in ogni caso una questione nodale. Abbiamo assistito, infatti, ad un progressivo taglio di risorse (complessivamente del 76,46 % dal 2008 al 2012) che ci impongono di ricercare altre forme di sostegno economico. Saranno sviluppate e sostenute, infatti, tutte le azioni e le iniziative territoriali che potranno garantire un incremento delle risorse economiche:

- Migliorare l’utilizzo delle risorse esistenti (comunali e distrettuali) - Progettazione finanziata - Marketing sociale - Ipotesi di compartecipazione alla spesa dei servizi - Donazioni di scopo - Progettazioni a carattere innovativo a respiro sovra distrettuale

Concludendo, contrariamente ai precedenti Piani di Zona, questa programmazione zonale si chiuderà senza riportare la tabella della previsione triennale del Budget Unico distrettuale. Tuttavia, dal nostro punto di vista, un Piano di Zona senza le ipotesi di budget anche se, rappresenta una scelta obbligata (a causa dell’incertezza delle risorse), costituisce una preziosa occasione per promuovere una programmazione sociale centrata su un “Patto di intenzioni” e non su una

distribuzione di risorse economiche.

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CONCLUSIONI L’introduzione dei Piani di Zona costituisce uno dei risultati più rilevanti della legge 328/2000 sul sistema integrato di interventi e servizi sociali. La legge configura,positivamente, la programmazione locale come un sistema di governo (di una comunità, delle risorse e delle problematiche che emergono nel suo ambito), volto a favorire la formazione di sistemi locali d’intervento fondati su servizi e prestazioni complementari e flessibili, a responsabilizzare i cittadini, a garantire loro opportunità di crescita. Ne consegue che, stando allo spirito e alla lettera della legge, il Piano di Zona non è un mero processo attuativo di disposizioni regionali e neanche una procedura amministrativa per accedere ad ulteriori fondi. Sfortunatamente, in molte regioni la programmazione locale si è configurata invece come un documento settoriale di spesa delle risorse del fondo nazionale per le politiche sociali o delle risorse regionali assegnate ai comuni associati, con un progressivo indebolimento di un impegno programmatorio nei confronti di scelte di carattere generale. Ne risultava pertanto depotenziata anche la capacità d’ intervento sulla comunità nel suo complesso, per individuarne criticità e opportunità, per valorizzarne le risorse di cura presenti nel suo ambito, per mobilitare le persone al perseguimento di obiettivi condivisi. Secondo l’ottica riduttiva e fuorviante qui ricordata il piano di zona frequentemente si configura come un documento di settore (il piano locale dei servizi sociali), un ambito settoriale volto esclusivamente all’organizzazione dei servizi in un determinato territorio e non uno strumento di integrazione sociale della comunità e di promozione di politiche di coesione sociale. Si pone, insomma, come insieme di azioni rivolte a specifici gruppi di popolazione in condizioni di agio o disagio. In tutti questi casi, l’equilibrio interno al piano di zona tra azione puntuale e scelte generali si risolve a favore delle prime: ciò che conta, ciò che è in discussione è la ripartizione delle risorse disponibili, la scelta dei servizi e la loro localizzazione. Le politiche, il quadro d’insieme, le linee di sviluppo organicamente definite diventano secondarie e la sommatoria di azioni non rappresenta e non esplicita una organica e intrinsecamente coerente politica sociale. Un piano di zona così configurato rappresenta una forte limitazione per due motivi:

• E’ cambiato profondamente il ruolo delle politiche sociali: queste tendono a configurarsi non come politiche settoriali rivolte a specifici gruppi di persone, ma come politiche di carattere più generale volte a promuovere una maggiore coesione sociale. Ciò significa che esse sono valorizzate per il ruolo che assumono nel sostenere uno sviluppo economico, creando ambienti sociali favorevoli, stimoli e risorse per migliorare le competenze e le motivazioni delle persone, opportunità di crescita, comunità più attive.

• E’ necessario ricordare che il piano di zona rappresenta uno dei molteplici processi di

programmazione che si sviluppano a livello locale, processi che possono attribuire di volta in volta maggiore rilevanza a dimensioni urbanistiche oppure di sviluppo economico e sociale, contribuendo a mutare le condizioni di un’area territoriale.

La programmazione, così come l’abbiamo intesa nel presente documento, deve porsi la finalità di costruire un sistema di obiettivi comuni, e di governare attraverso una regia forte e condivisa una pluralità di risorse e di azioni; essa deve assumere il coordinamento di molte decisioni e comporre in un disegno coerente molteplici livelli operativi. In molte situazioni, le politiche sociali non sono sufficienti per contrastare realmente condizioni diffuse di povertà, di deprivazione sociale, rischiano di avere un ruolo unicamente “risarcitorio”, assistenzialistico, di semplice “riduzione del danno”, affrontano una dimensione di un problema che

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normalmente, invece, è multidimensionale, e spesso non affrontano le dinamiche che continuamente lo riproducono. Consapevoli di questo dato, ci siamo posti il problema di come rafforzare l’efficacia delle politiche sociali, attraverso programmi che creino maggiori sinergie, tessuti di relazione che favoriscano l’integrazione con programmi promossi in altri ambiti ( di sviluppo dell’occupazione , di contrasto del degrado urbanistico, di potenziamento di servizi sanitari). Insomma, in quale modo diventare sempre più capaci di mettere insieme, in modo efficace e organico, risorse di diversa natura. Il Piano di Zona come lavoro sociale di comunità

In questo documento abbiamo configurato il Piano di Zona come un “lavoro sociale di comunità”,

che non limita il suo intervento al rapporto diretto con la persona, all’aiuto e supporto al singolo in difficoltà e alla sua famiglia, ma individua la dimensione sociale dei problemi del singolo, la necessità di produrre cambiamento non solo nella persona ma anche nel suo contesto, di sostenere azioni di riforma nell’organizzazione dei servizi sociali e della vita collettiva. Ci siamo proposti di far confluire queste esigenze in strategie di cambiamento che intervengano sulle condizioni più generali di vita della persona, sulla sua comunità di appartenenza, per modificarne gli equilibri e le dinamiche. Un Piano di Zona che si proponga tali risultati, può trovare un ulteriore sviluppo, come detto in precedenza, quando riesce a raccordarsi ai programmi esistenti volti a rigenerare anche socialmente un quartiere, quando individua criticità e proposte di superamento delle condizioni di degrado dei quartieri di edilizia residenziale pubblica, quando promuove strumenti di sviluppo e coesione sociale sulle quali far convergere risorse provenienti da altri ambiti, quando costruisce programmi comuni e progetti di finanziamento condivisi. In conclusione è opportuno ribadire che il Piano di Zona non è un documento settoriale di spesa delle risorse assegnate ai comuni associati. Esso coinvolge i cittadini, la loro volontà collaborativa e si costruisce in modo compiuto attraverso la stretta integrazione tra istituzioni e servizi rinnovando il modo di operare insieme alle persone,alle famiglie,e alle comunità. Abbiamo inteso il Piano di Zona come strumento per migliorare il benessere e la qualità della vita delle nostre comunità valorizzandone la partecipazione attiva alle decisioni; uno strumento capace di promuovere e coordinare le azioni che hanno un impatto sul benessere delle persone e favoriscono i legami fra loro. A costo di ripetere un concetto già più volte illustrato riteniamo giusto ribadire che ciò che caratterizza il Piano di Zona è il richiamo vitale alla comunità e alle risorse presenti nel suo ambito. Il significato e l’efficacia del piano stanno tutte nella sua capacità di promuovere condizioni più favorevoli allo sviluppo economico e sociale, di creare rapporti di maggiore collaborazione e fiducia fra le persone, un ambito di vita e una socialità che facilitino l’attività delle istituzioni. La programmazione locale, così come da noi intesa nel presente documento, è principalmente un processo che, attraverso il coinvolgimento delle persone, promuove un’organizzazione dei servizi più equa, aiuta le comunità territoriali ad identificare le loro criticità e potenzialità e a definire programmi volti al miglioramento della loro qualità di vita. Il piano di zona si configura dunque, nella sua più intima essenza, come uno strumento di partecipazione e integrazione sociale della comunità.