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1 CHE COS’E’ LA MAFIA? Di Martina Sirianni 3B Definire qualcosa è il primo passo per conoscere un problema e risolverlo. Definire qualcosa non è facile, perché bisogna saper cogliere il tratto distintivo dell’oggetto e non quello di contorno. Definire la mafia è essenziale in Italia come ormai, purtroppo, in tutto il mondo oggi globalizzato. La mafia fa affari, ma non è una congrega di affaristi. La mafia traffica, ma non è una banda di trafficanti. La mafia tratta con i politici, ma non è un partito politico. La mafia è un’organizzazione criminale, ma non è solo “criminalità organizzata”. Cos'è quindi la mafia? Nonostante le luci del palcoscenico siano costantemente puntate sulla mafia, il fenomeno continua a rimanere avvolto in un alone d'ambiguità, una nebbia che lo rende inafferrabile e misterioso.

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Page 1: CHE COS’E’ LA MAFIA? Di Martina Sirianni 3B · 2017-07-04 · 1 CHE COS’E’ LA MAFIA? Di Martina Sirianni 3B Definire qualcosa è il primo passo per conoscere un problema e

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CHE COS’E’ LA MAFIA?

Di Martina Sirianni 3B

Definire qualcosa è il primo passo per conoscere un problema e risolverlo. Definire qualcosa non è facile, perché

bisogna saper cogliere il tratto distintivo dell’oggetto e non quello di contorno.

Definire la mafia è essenziale in Italia come ormai, purtroppo, in tutto il mondo oggi globalizzato.

La mafia fa affari, ma non è una congrega di affaristi. La mafia traffica, ma non è una banda di trafficanti. La

mafia tratta con i politici, ma non è un partito politico. La mafia è un’organizzazione criminale, ma non è solo

“criminalità organizzata”.

Cos'è quindi la mafia?

Nonostante le luci del palcoscenico siano costantemente puntate sulla mafia, il fenomeno continua a rimanere

avvolto in un alone d'ambiguità, una nebbia che lo rende inafferrabile e misterioso.

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Con il termine “mafia” si indica un’organizzazione malavitosa che si configura come un sovrastato, cioè una

sorta di stato indipendente all’interno dello stato nazionale.

La Mafia non si chiamava Mafia in Sicilia, ma aveva un nome preciso che la identificava come una formazione

sociale completa: “La Cosa Nostra”.

La Mafia è considerata dai suoi membri una entità di governo politico della società, uno Stato; per di più uno

Stato avente lo scopo di garantire la sicurezza e la prosperità dei soli associati e in maniera occulta, da cui

l’aggettivo “nostra”.

LA STORIA DELLA MAFIA

La mafia si è sviluppata in Sicilia dopo l'abolizione del sistema feudale nel 1812. Il trasferimento di gran parte

della proprietà terriera alla borghesia ha infatti indotto i nuovi proprietari ad organizzare bande o squadre per

il controllo territoriale. Le bande fungevano da mediatori tra ladri e derubati, tra contadini e nuovi proprietari

e davano protezione agli affiliati. Dopo l'Unità d'Italia ci sono stati i primi esperimenti di coordinamento fra

cosche. La sottovalutazione del fenomeno mafioso da parte del governo centrale ha permesso la penetrazione

della mafia nelle istituzioni legali, legittimando ulteriormente il potere mafioso agli occhi dei siciliani.

La campagna repressiva contro la mafia, voluta

da Mussolini dopo un viaggio in Sicilia nel

maggio del 1925 e affidata al prefetto Cesare

Mori, si è articolata su un piano sia repressivo

che sociale: da un lato si faceva ricorso a

misure di polizia per sradicare i mafiosi dai

territori controllati e attaccarne il prestigio

presso le comunità; dall'altro l'azione era

rivolta a neutralizzare il peso del ceto

intermedio, abolendo le elezioni politiche e

amministrative e riservando allo Stato le

funzioni di protezione e di regolamentazione

economica.

Con la caduta di Mussolini la mafia è riapparsa.

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Gli uomini d'onore, antifascisti convinti, sono

passati dal carcere alle cariche pubbliche. In realtà,

gran parte dei mafiosi era sfuggita alla repressione

fascista rifugiandosi negli Stati Uniti d'America,

dove hanno dato vita all'Unione siciliana, chiamata

più tardi Cosa nostra. La mafia da rurale è diventata

urbana, attirata da nuove fonti di profitto: edilizia,

mercati generali e appalti.

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EROI DELLA LEGALITA’ … MARTIRI DELLA GIUSTIZIA

La mafia ha colpito importanti personalità che hanno dedicato la propria vita alla lotta contro questa organizzazione. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, definiti “martiri della giustizia” da Giovanni Paolo II, sono stati uccisi nel 1992. Due grandi uomini impegnati nella lotta contro la mafia, uccisi a distanza di due mesi uno dall’altro. Erano due persone “scomode” i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, che a 25 anni dalla morte, il loro sacrificio si fa sentire ancora più imponente nella lotta contro tutte le mafie.

La strage di Capaci

Giovanni Falcone è stato ucciso a Capaci il 23 maggio 1992, mentre rientrava da Roma. Atterrato all'aeroporto di Palermo, il giudice e la moglie Francesca Morvillo sono partiti con la scorta per rientrare a casa. Alle 17:58 una carica di cinque quintali di tritolo nei pressi dello svincolo di Capaci-Isola delle Femmine è stata azionata da Giovanni Brusca, sicario incaricato da Totò Riina di uccidere il giudice. L'esplosione ha travolto la prima auto della scorta, sulla quale viaggiavano i 3 agenti della scorta Vito Schifani, Antonio Montinaro e Rocco Dicillo, tutti morti sul colpo. L'auto del giudice si è schiantata contro un muro di cemento. Il giudice è morto durante il trasporto in ospedale per una serie di emorragie interne, mentre la moglie è morta durante la serata per complicazioni. Gli agenti della scorta che viaggiavano sulla terza auto (Paolo Capuzzo, Gaspare Cervello e Angelo Corbo) sono rimasti feriti, ma si sono salvati.

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L'Italia apprende la notizia al telegiornale della sera incredula: quasi abituata alla conta dei morti ammazzati dalla mafia, non riesce però ad accettare l'idea di un attacco così eclatante, una vera e propria azione di guerra. E capisce che il nemico non era solo quel giudice, il nemico eravamo tutti noi, cittadini di uno Stato chiaramente impotente. La notizia della morte del giudice Giovanni Falcone si diffonde rapidamente ed iniziano a circolare volantini con una citazione del giudice:

"Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini".

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STRAGE DI CAPACI, I FUNERALI - Il 25 maggio 1992 si svolgono a Palermo i funerali delle vittime. Le parole pronunciate dalla moglie dell'agente Schifani sono rimaste nella storia: "Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato..., chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare... Ma loro non cambiano... loro non vogliono cambiare... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore..."

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A un mese dall'attentato, in occasione di una commemorazione, Paolo Borsellino dichiara: «La sua vita è stata un atto d'amore verso questa città, verso questa terra che lo ha generato. Perché se l'amore è soprattutto ed essenzialmente dare, per lui amare Palermo e la sua gente ha avuto e ha il significato di dare a questa terra tutto ciò che era possibile dare delle nostre forze morali, intellettuali e professionali per rendere migliore questa città e la patria a cui essa appartiene... Sono morti tutti per noi, per gli ingiusti, abbiamo un grande debito verso di loro e dobbiamo pagarlo, continuando la loro opera... dimostrando a noi stessi e al mondo che Falcone è vivo.»

È quello che lui fa intensificando le indagini, ascoltando i pentiti, cercando di fare in fretta, consapevole di essere il prossimo bersaglio.

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La strage di via D'Amelio

Sono passati 57 giorni dalla morte di Falcone. Il 19 luglio 1992, dopo aver mangiato a Villagrazia con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia, Paolo Borsellino, insieme alla scorta, è andato in via D'Amelio a trovare la madre. Al suo passaggio sotto la casa della madre è esplosa una Fiat 126 con circa 100 kg di tritolo a bordo. Nell'esplosione, oltre al giudice, sono morti i cinque agenti della scorta: Emanuela Loi, la prima donna della Polizia di Stato caduta in servizio, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. Unico sopravvissuto è stato Antonino Vullo, rimasto ferito mentre stava parcheggiando una delle auto della scorta. Pochi giorni prima di essere ucciso, Borsellino aveva dichiarato di essere un “condannato a morte”. Sapeva infatti di essere nel mirino di “Cosa Nostra” ed era consapevole che prima o poi l'organizzazione sarebbe arrivata a colpirlo.

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In via d'Amelio e in via Notarbartolo davanti a quella che fu la casa di Falcone, ci sono due alberi: hanno il tronco coperto di foglietti, disegni, pensieri, poesie, fotografie di chiunque voglia lasciare una testimonianza, per ricordare ogni giorno che la morte dei due giudici non è avvenuta invano.

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La mafia non è affatto invincibile. La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine. Piuttosto bisogna rendersi conto che è un fenomeno terribilmente serio e molto grave e che si può vincere non pretendendo eroismo da inermi cittadini, ma impegnando in questa battaglia tutte le forze migliori delle istituzioni.

“Giovanni Falcone”

Martina Sirianni

Classe 3^B

S. S. ”De Coubertin” – I.C. Rende Commenda

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“Per non dimenticare…”

Di Francesco Scofano 3^B

Strage di Capaci, 23 Maggio 1992

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Strage di Via d’Amelio, 19 Luglio 1992

Ogni 23 MAGGIO si commemora a Palermo e in tutte le città italiane l’anniversario della STRAGE DI CAPACI E VIA D’AMELIO, due eventi tragici che hanno segnato la

recente storia della Repubblica Italiana: una giornata di impegno corale e condiviso per

ricordare i due attentati compiuti dalla mafia nel 1992 e che hanno segnato la morte di due

noti magistrati e delle loro scorte.

Migliaia di studenti ogni anno in questo giorno manifestano contro la mafia

organizzando cortei e cerimonie.

Nella STRAGE DI CAPACI, avvenuta il 23 Maggio 1992, morirono il giudice

Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani,

Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.

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La morte del giudice Falcone, di

sua moglie e della sua scorta avvenne per

opera di una bomba collocata in autostrada

e azionata a distanza, mentre Falcone

stava transitando con l’automobile blindata per far ritorno a casa da Roma.

Il 25 maggio 1992 si svolsero a Palermo i funerali delle vittime. Le parole

pronunciate dalla moglie dell'agente Schifani sono rimaste nella storia: "Io, Rosaria Costa,

vedova dell'agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo

Stato, lo Stato..., chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli

uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani,

sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere

in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare... Ma loro non cambiano... loro non vogliono

cambiare... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue,

troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore...".

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A distanza di 25 anni dalla strage di

Capaci, Rosaria Costa nel giorno della

commemorazione pronuncia queste

parole:

« Oggi, che arrivano i resti contorti delle

auto di Capaci, sono qui con mio figlio

che è nella Finanza. I nostri figli sono

uomini dello Stato che marciano a testa

alta. Invece i figli degli assassini volano

basso…L’odio non ci fermerà. Ripartiamo dall’amore».

Nella STRAGE DI VIA D’AMELIO, avvenuta il 19 Luglio 1992, persero la vita il

magistrato Paolo Borsellino, amico di Falcone e attivista anch’egli nella lotta contro la

mafia, e la sua scorta.

Alle ore 16.58, una Fiat 126 rubata contenente circa 90 chilogrammi di esplosivo

telecomandati a distanza, esplose in via Mariano D'Amelio 21, sotto il palazzo dove viveva

la madre di Borsellino, presso la quale il giudice quella domenica si era recato in visita.

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L’Italia, ancora sgomenta e ammutolita davanti alle immagini dell’autostrada che si squarcia e inghiotte Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta, resta poi

annichilita davanti alle edizioni straordinarie dei Tg che documentano, nemmeno due mesi

dopo, l’ultimo atto di una vendetta violenta operata da Cosa Nostra ai danni dello Stato.

Fumo, lamiere contorte, quel che resta di corpi dilaniati, gente, attonita, che si aggira nel

quartiere. Sguardi allucinati di chi ha capito di avere perduto anche l’ultimo baluardo della lotta alla mafia, ma non vuole crederci.

Nei giorni che seguirono la morte di Falcone, Paolo Borsellino aveva saputo che a

Palermo era arrivato il tritolo che lo avrebbe annientato. “Ora tocca a me” diceva. E aveva iniziato una corsa contro il tempo per scoprire chi aveva ucciso Giovanni. Voleva arrivare a

qualche risultato prima che gli assassini arrivassero a lui. Lavorava senza sosta, scriveva

ossessivamente su un’agenda rossa, dalla quale non si separava mai. Annotava minuziosamente, non sorrideva più, il volto di pietra. Quell’agenda, scomparsa dalla sua 24 ore pochi minuti dopo la strage, è il mistero attorno al quale ruota, assai probabilmente, la

natura stessa dell’attentato. Dietro la sua morte e quello che s’è mosso intorno a lui prima e

dopo la bomba di venticinque anni fa, non ci furono solo i padrini e i loro gregari..

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«Mi uccideranno, ma non sarà una vendetta della mafia, la mafia non si vendica. Forse

saranno mafiosi quelli che materialmente mi uccideranno, ma quelli che avranno voluto

la mia morte saranno altri».

Queste le ultime parole di Borsellino che fanno riflettere su una storia di Mafia ancora da

scrivere…

Francesco Scofano

III B

Scuola Secondaria di I grado “P. De Coubertin”- Rende (CS)

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Più forti della mafia, più amici della legalità

Di Chiara Altavilla 3^B

Il o do uel disast o he vedete, o ta to pe i guai o i ati dai deli ue ti, a pe l’i e zia dei giusti he se e a o go o e sta o lì a gua da e , di eva Al e t Ei stei . Pe h fo se vero,

peggio del o ispetto delle egole ’ l’i diffe e za, uell’i diffe e za he a ulia, pa assitis o, viglia he ia, o vita. L’i diffe e za il peso o to della sto ia. Pe h se fossi o stati tutti

i diffe e ti a uest’o a viv e o a o a allo stato primitivo e non si saprebbe che ciò che veicola

la società è la legalità. Con legalità si intende tutto quel complesso di diritti e doveri di ogni cittadino

che permetta una vita serena al singolo individuo all'interno di una società. Ma ormai, principi quali

il rispetto e la moralità sono andati persi o mutati. Sempre più gli interessi individuali superano i

bisogni collettivi e denaro e potere si accentrano sempre maggiormente nelle mani dei soliti pochi.

Il principio della legalità, valore universalmente condiviso, è spesso oggetto di violazioni che

generano disagio sociale e inquietudine soprattutto nei giovani. Là legalità, come moltissimi valori

fondamentali, è diventata oggi quasi un oggetto di derisione. Seguire le regole e agire nel giusto

rende una persona sciocca agli occhi degli altri. Infatti, molto spesso, la strada giusta è la più difficile

da percorrere e la maggioranza delle persone preferisce seguire mediante scorciatoie e inganni. Ciò

che forse prima era considerato sbagliato oggi è diventato quasi comune e la legalità è quasi del

tutto scomparsa, dovunque noi proviamo a cercarla. Stragi inaccettabili sono state commesse in

passato e dovremo far il possibile affinché non riaccadano più crimini cosi onerosi. Ormai

l'inconsapevolezza di ciò che è accaduto fino a ieri dilaga tra la gente ignorando cosi i possibili

pericoli e conseguenze che possono scaturire nel perseguitare comportamenti errati o affidarsi alla

comodità sbagliata piuttosto che alla giustizia. Ma è proprio dai reati minori, non troppo perseguiti

legalmente, che si innesca un processo di malavita che impregna ogni cosa del quotidiano. Forse

tutto quello che non è legalità è nelle mani della mafia, la mafia che è come si fosse il marionettista

e noi le marionette, che abbiamo perso ogni forma di coraggio e di dignità, davanti a questa fatidica

afia he dive tata uasi l’I o i a ile delle saghe di fa tas ie za. E' diffi ile, oggi, di e osa sia realmente la mafia più di quanto non lo fosse in passato, quando ne sapevano così poco che per

definirla era forse sufficiente dire che era un'organizzazione criminale siciliana il cui scopo fosse

quello di far quattrini attraverso il racket dalle estorsioni, lo spaccio di droga, la prostituzione, gli

appalti truccati e altre vicende del genere. Oggi ne sappiamo molto di più ma ci rendiamo conto che

è eccessivo per continuare a definirla in maniera così riduttiva e ancora troppo poco per poterla

definire in maniera assoluta o almeno con sufficiente attendibilità. Quale definizione possiamo

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oggettivamente dare alla mafia, se non che la medesima coincida sostanzialmente con la stessa

società nazionale che paradossalmente la combatte? Qualcuno fece un'affermazione riguardo alla

mafia che in un primo momento poteva apparire semplicistica e beffarda, ma che probabilmente

conteneva un fondamento inquietante di verità: la mafia non esiste. Pertanto, se un uomo come

Andreotti, che per anni è stato Primo Ministro e che rappresentava il simbolo dello Stato italiano,

viene accusato di essere referente politico di Cosa Nostra, anche se in seguito è stato assolto,

cos'altro possono pensare i comuni cittadini se non che effettivamente la mafia non esista, o che

quantomeno ne facciano lo stesso parte integrante, in qualità di elettori ottusi, di ministri,

o o evoli e seg eta i di pa titi he i tas a o ta ge ti, tutti o sapevoli o i o sapevoli o u sistema sociale basato sulle raccomandazioni, sull'omertà e sulle evasioni e il conto fiscale? La verità

e che la storia della mafia italiana non è altro che la storia della nostra stessa società , edificata sulla

prevaricazione e lo sfruttamento dei potenti nei confronti dei deboli, sul principio della

stratificazione e lo sfruttamento dei potenti in gruppi omogenei e ben differenziati tra loro, sulla

ripartizione in clan di appartenenza di ogni tipo, dalla politica (i partiti) alla massoneria, dalle cosche

criminali ai club sportivi... Ma chi dobbiamo ringraziare se oggi abbiamo tutte queste notizie su

questo fenomeno? Tra i molti, Falcone e Borsellino sono stati quelli che hanno spronato questa

piovra grazie alla loro abilità, sempre costanti e imperturbabili, con la quale riuscivano sempre ad

averne qualcosa e mattone dopo mattone hanno costituito un vero e proprio muro per annientare,

anche se in parte, questa cosca. Anche perché questi due "martiri della giustizia" (come li ha definiti

Giovanni Paolo II), conoscevano perfettamente il meccanismo della mafia e a questo proposito

costituivano un grande ostacolo e anche grazie alla loro incorruttibilità, la quale e rimasta stabile

fini alla fine dei loro giorni, morti entrambi in due attentati: la strage di Capaci, per quanto riguarda

Falcone e la strage di via Amelia, per quanto riguarda Borsellino. Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

furono due giudici siciliani che dedicarono la loro vita alla lotta contro la mafia. Il primo nacque a

Palermo nel 1939, il secondo nel 1940. Nessuno potrà mai scordarli; qualunque viaggiatore che si

avvicini alla Sicilia sentirà i loro nomi prima ancora di mettere piede ell’Isola. Al o e to dell’atte aggio sa à p op io il o a da te ad i fo a li he t a po hi i uti atte e e o all’ae opo to Fal o e – Bo selli o . I sie e uesti 2 giudi i ea o o il pool a ti afia, he g azie alle ualità dei 2 si ivelò u ’a a icidiale che portò al famoso maxi-processo, un processo che

vide sul banco degli imputati ben 475 mafiosi, che nel 1987 furono condannati. La riuscita di questo

processo servì anche a spronare i giudici e portò soddisfazione a tutti gli italiani, perché ci furono

moltissimi problemi per portarlo a termine, ci vollero circa 2 anni, ma nonostante questo ci si riuscì.

Loro hanno fatto il loro compito, hanno perso la vita stessa per un obiettivo, per un sogno non solo

lo o a di tutta l’Italia, di tutta uella ge te he pe sa he la afia o i vi i ile. L’u i a e i a della mafia è la cultura, perché chi è ignorante è più catturabile mentre chi sa non h paura perché il

sapere è già di per se una forma di coraggio, perché significa sfidare il passato per un presente

ancora tutto da costruire.

Chiara Altavilla

Classe 3^ D - “. “. De Cou e ti - I.C Rende Commenda - CS