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Bollettino Diocesano Ufficiale per gli Atti del Vescovo e della Curia di Reggio Emilia - Guastalla DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE CURIA VESCOVILE Reggio Emilia

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Bollettino DiocesanoUfficiale per gli Atti del Vescovo

e della Curia di Reggio Emilia - Guastalla

DIREZIONE E AMMINISTRAZIONE CURIA VESCOVILEReggio Emilia

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SOMMARIO

Il nuovo VescovoBolla di nomina del Papa Benedetto XVI.................................................... pag. 6Cronaca di un annuncio atteso (da “La Libertà”) ........................................ “ 9 Annuncio alla Diocesi del nuovo Vescovo(Cattedrale di Reggio Emilia - 29 settembre 2012) .................................... “ 11Breve profilo di Mons. Massimo Camisasca............................................... “ 14Lettera alla Diocesi del Vescovo eletto di Reggio Emilia-Guastalla ................. “ 16Lettera che mons. Camisasca ha inviato ai membri della Fraternità San Paolo .......................................................................... “ 19Intervista a mons. Camisasca per il settimanale Diocesano “La Libertà” ................................................................................................. “ 21La pace frutto della giustizia (Lo stemma del nuovo Vescovo) .................. “ 30Omelia del Cardinale Carlo Caffarra per l’Ordinazione Episcopale di Mons. Massimo Camisasca Vescovo eletto di Reggio Emilia-Guastalla(Roma, Basilica di San Giovanni in Laterano - 7 dicembre 2012) ............... “ 31Ringraziamento al termine della Consacrazione Episcopale ......................... “ 34(Roma, Basilica di San Giovanni in Laterano - 7 dicembre 2012)Cronaca di una giornata memorabile (da “La Libertà”)............................... “ 37Discorsi nel solenne ingresso in Diocesi (16 Dicembre 2012) ................... “ 46 All’Ospedale psichiatrico giudiziario ........................................................ “ 46 Al complesso dei poliambulatori e Mensa Caritas ................................... “ 47 Alla Casa del Clero inabile e infermo presso la Casa S. Giuseppe di Montecchio “ 48 Incontro con i giovani nel Santuario della Madonna della Ghiara ........... “ 49 Risposta ai saluti del Sindaco e della Presidente della Provincia sul sagrato del Duomo .................................................................................. “ 53Omelia “Ingresso” in DiocesiCattedrale di Reggio Emilia - 16 dicembre 2012 ........................................ “ 55Auguri natalizi rivolti alla CuriaAula magna del Museo diocesano di Reggio Emilia, 21 Dicembre 2012 ... “ 57 L’augurio del Vescovo per il suo primo Natale in terra Reggiana(Editoriale de “La Libertà N. 45 del 22 dicembre 2012) .............................. “ 61Omelia per la solenne Veglia di NataleCattedrale di Reggio Emilia - 24 dicembre 2012 ........................................ “ 63

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Omelia per la solennità del Santo Natale(Tensostruttura di Guastalla - 25 dicembre 21012) .................................... “ 65Omelia per la Festa della Sacra Famiglia(Reggio Emilia, Basilica di San Prospero - 26 dicembre 21012) ................ “ 67Omelia della S. Messa nei Primi Vespri della Solennità di MariaMadre di Dio (Reggio Emilia, Santuario della Madonna della Ghiara - 31 dicembre 2012) ............................................................... “ 69

Atti dell’Amministratore ApostolicoBolla di nomina del Papa Benedetto XVI.................................................... pag. 72Aprite le porte a Cristo - Omelia per l’apertura dell’Anno della FedeCattedrale di Reggio Emilia - 13 ottobre 2012............................................ “ 73Cammino di amicizia con Dio - Omelia nella Festa delle Case della CaritàReggio Emilia, Palazzetto dello sport 15 ottobre 2012 .............................. “ 78Fede, Chiesa e Famiglia - Discorso alla città nella festa di S. ProsperoReggio Emilia, Basilica di San Prospero 24 novembre 2012 .................... “ 81Resta con noi Signore - Omelia di ringraziamentoCattedrale di Reggio Emilia, 25 novembre 2012 ...................................... “ 85Messaggi di salutoVescovo Eletto Massimo Camisasca.......................................................... “ 90Card. Camillo Ruini..................................................................................... “ 90

Elezione di Mons. Lorenzo Ghizzoni ad Arcivescovo di Ravenna - CerviaComunicato del Vescovo(Cattedrale di Reggio Emilia - 29 settembre 2012) .................................... “ 93Parole di Mons. Ghizzoni al momento dell’annuncio, in Cattedrale ........... “ 95Lettera di Mons. Camisasca ....................................................................... “ 97

Atti della CuriaNomine dell’Amministratore Apostolico ...................................................... “ 100Conferma degli Incarichi Diocesani da parte del nuovo Vescovo .............. “ 101Diario del Vescovo ...................................................................................... “ 102Necrologio .................................................................................................. “ 103

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IL NUOVO VESCOVO

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BENEDETTO VESCOVO Servo dei Servi di Dio,

al diletto figlio MASSIMO CAMISASCA, eletto Vescovo della diocesi di Reggio Emilia-Guastalla,

finora Superiore Generale della Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, salute e Benedizione Apostolica.

Noi riteniamo di grande importanza provvedere i Vescovi per il governo delle Chiese particolari. Dal momento che la Sede episcopale di Reggio Emilia-Guastalla è priva del suo pasto-re, per la rinuncia dell’ultimo suo Vescovo, il Venerabile fratello Adriano Caprioli, senza alcun indugio ci affrettiamo a mettere a capo di questa Chiesa un nuovo Presule.Per questo, diletto figlio, abbiamo posato gli occhi su di te, che lavori incessantemente per la Chiesa, stimandoti idoneo a svolgere la missione di Vescovo.Di conseguenza, accolto il parere favorevole della Congregazione per i Vescovi, fa-cendo uso della nostra apostolica potestà, ti nominiamo, proclamiamo e costituia-mo Vescovo di REGGIO EMILIA-GUASTALLA e, nello stesso tempo, ti attribuiamo tutti i diritti e ti imponiamo gli oneri annessi a questo compito pastorale.

Ti concediamo poi di ricevere la Sacra Ordinazione (episcopale) da qualsivoglia Ve-scovo cattolico, fuori della città di Roma, come prescrivono le leggi liturgiche. Come da consuetudine, presterai il giuramento di fedeltà verso di Noi e i nostri Suc-cessori ed emetterai la professione di fede cattolica. Per tutto il resto andranno osservate le norme canoniche.Sarà anche tuo compito curare che questa Nostra Lettera (di nomina) sia proclamata alla presenza del clero e dei fedeli nella chiesa cattedrale della tua diocesi, per far conoscere a tutti questa Nostra decisione.

Infine, diletto figlio, medita assiduamente quelle parole di San Paolo riguardanti il Cristo: “Ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei” (Ef. 5,25), affinché, seguen-do l’esempio di Gesù e sostenuto dalla Beata Vergine Maria, tu possa annunziare, al gregge del Signore a te affidato, e a quanti più possibile, la bellezza del Vangelo e la misericordia di Dio.

Dato in Roma presso S. Pietro, il giorno 29, del mese di settembre dell’anno del Signo-re 2012, anno ottavo del nostro Pontificato.

Benedetto, pp XVI

Franciscus Bruno, Prot. Ap.

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Mons. Massimo CamisascaVescovo eletto di Reggio Emilia - Guastalla

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IL NUOVO VESCOVO MONS. MASSIMO CAMISASCA

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CRONACA DI UN ANNUNCIO ATTESO

E così la prima data della Convocazione diocesana, a sorpresa ma non troppo, ha finito per essere quella di sabato 29 settembre.L’invito è stato diramato dal Vescovado la sera prima. Appuntamento in Cattedrale per le 11.30, in attesa della lettura ufficiale della scelta che Benedetto XVI ha fatto per la guida pastorale della Chiesa che è in Reggio Emilia-Guastalla.La giornata è uggiosa. Nonostante la brevità del preavviso, le sedie della Cattedrale si riempiono: sacerdoti e diaconi, religiosi e suore, fedeli e curiosi, autorità e rappresen-tanti delle aggregazioni laicali.Alle 11.45 inizia una liturgia della Parola: l’invocazione cantata allo Spirito Santo, un’o-razione guidata dal Vescovo Adriano, una Lettura apostolica (dalla lettera di san Paolo ai Romani, 1,1-12) ed una patristica (dalla lettera di sant’Ignazio di Antiochia, vescovo, agli Efesini, 2-5), il salmo 22.Solo a quel punto, quando da pochi minuti è passato mezzogiorno, monsignor Caprioli comunica il nome del suo successore, in contemporanea con la Sala Stampa vaticana e con la Diocesi di Porto-Santa Rufina, suburbicaria di Roma, nel cui territorio ha sede la Fraternità sacerdotale di San Carlo Borromeo.L’introduzione nella preghiera non è fatta per aumentare la suspense, quanto piuttosto per connotare il tipo di notizia: non un annuncio mondano, ma un fatto che investe la successione degli apostoli. Poi è vero, il nome che risuona, quello di monsignor Massimo Camisasca, non giunge nuovo alle orecchie di moltissimi dei presenti. Era circolato fin dalla primavera scorsa su diversi organi di informazione, e ribadito da un tam tam su internet ancora il giorno precedente. Ma l’ufficialità è un’altra cosa: un mo-mento di Chiesa, non da bar; qualcosa di solenne e, checché se ne dica, trascendente calcoli od orizzonti puramente umani. Dunque il vescovo eletto per Reggio Emilia-Guastalla è il fondatore e superiore gene-rale (sino a oggi) della Fraternità sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo. Il curriculum di Mons. Camisasca è letto dall’Ausiliare Ghizzoni.Annunciando l’accoglimento della propria rinuncia al mandato episcopale per raggiunti limiti di età, monsignor Caprioli esprime anzitutto gratitudine al Papa “che mi ha per-messo di portare a compimento in questi ultimi tornanti del mio episcopato – tra l’altro – le visite al Vicariato della città, gli Orientamenti pastorali per i progetti di Iniziazione cristiana, il restauro della Cattedrale e il mandato a due sacerdoti del nostro presbiterio come missionari fidedonum in Albania e in Madagascar”.Nonostante il supplemento di preoccupazione e sofferenza cagionatogli dal recente terremoto in Emilia, Caprioli indirizza al successore un incoraggiante benvenuto: “Ora con serenità di cuore e con spirito di fede – dice - sono lieto di trasmettere il testimone della guida pastorale di questa bella Chiesa al carissimo confratello monsignor Mas-simo Camisasca. La Chiesa reggiano-guastallese, che si prepara nella preghiera ad accogliere il nuovo Pastore, per grazia di Dio e grazie ai suoi Vescovi ha combattuto

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le sue buone battaglie, ha conservato la fede (cfr. 2 Timoteo 4,7), impegnandosi in scelte storiche: la familiarità con la Parola di Dio; la cura della vita liturgica e spirituale inseparabile dalla Caritas; l’avvio del diaconato permanente; la fioritura delle Case della Carità e delle nostre numerose missioni nel mondo; l’evangelizzazione in queste nostre terre; la formazione del laicato e la promozione della cultura”. Poi, salutato da un lungo applauso, il Vescovo Adriano condivide con la comunità rac-colta in Cattedrale il suo desiderio di “potere continuare a servire la Diocesi, a cui mi vincola questo anello consegnatomi all’ordinazione episcopale, e che tuttora mi lega a questa Chiesa”. E conclude così: “Assicuro che non verranno meno il mio affetto, il costante pensiero, la mia fedele preghiera per tutti, a partire dal nuovo Vescovo”. Ora forse qualcuno si sbizzarrirà nel gioco delle differenze tra i due pastori. Tuttavia, a pensarci attentamente, non sono pochi gli elementi in comune: due preti di origine milanese - non è un caso che per l’ordinazione episcopale monsignor Camisasca abbia scelto il 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio (alle 15.30, nella Basilica di San Giovanni in Laterano, a Roma) -, due scrittori, due “missionari”. Caprioli ha acquisito questa “missionarietà” più sul campo, ereditando dal vescovo Baroni una Chiesa in stato di missione tra Madagascar, India, Brasile, fino al Rwanda, all’Albania ed al Ko-sovo. Tutte Chiese che il Vescovo Adriano ci ha abituato a considerare sorelle, visitandole più volte nei suoi 14 anni di episcopato. Camisasca si annuncia con credenziali già missionarie: la sua Fraternità, presente con più di venti case in 15 Paesi del mondo, con 110 preti e 40 seminaristi, ha come fine l’evangelizzazione e l’educazione della fede attraverso l’esercizio del ministero sacerdotale, specie in quegli ambienti e in quelle terre in cui si manifesta di più la scristianizzazione della società.Più che moltiplicare i commenti, è importante in questi mesi concentrarsi su una pre-ghiera filiale e amorevole: anzitutto per il Vescovo Adriano, che ci introduce nell’Anno della Fede, e per colui che il Papa ha voluto inviarci, affinché questo tempo sia vissuto nella gioia e in modo spiritualmente proficuo per entrambi. E per tutti noi.

Edoardo Tincani

da “La Libertà” N. 34 del 6 ottobre 2012

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IL NUOVO VESCOVO MONS. MASSIMO CAMISASCA

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Annuncio alla Diocesi del Nuovo VescovoAlla Chiesa di Dio che è in Reggio Emilia-Guastalla,

a tutti quelli che in ogni luogo, qui e in missione, sono uniti a noi

e a quanti abitano e servono nelle istituzioni la Città e il territorio

Questa Cattedrale, che ci vede qui convocati, nella sua lunga storia ha visto la successione di diversi vescovi, da S. Prospero ai vescovi che mi hanno preceduto, al vescovo Paolo Gibertini — a noi spiritualmente vicino in questo momento —, e a me, mandato qui tra voi come pastore il 20 settembre 1998. Era giusto che questa Catte-drale, chiesa madre di tutte le chiese della Diocesi e simbolo della città, fosse il luogo più opportuno per annunciare l’evento atteso del nuovo Vescovo.

Il Santo Padre Benedetto XVI, dopo aver accettato la mia rinuncia al mandato di Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, presentata al compiersi del 75.simo anno di età, ha nominato nuovo vescovo MONS. MASSIMO CAMISASCA, finora Superiore Generale della Fraternità sacerdotale dei Missionari di S. Carlo Borromeo.

Vogliamo già sin d’ora salutarlo e disporci ad accoglierlo come “servo di Cristo, apostolo per chiamata, scelto per annunciare il Vangelo di Dio” (Romani 1,1), e ringra-ziare il Santo Padre che lo ha mandato per confermare la fede dei fratelli e rendere testimonianza del Vangelo a tutti. Prima che il seguire un’idea, un progetto, il passag-gio da un vescovo a un altro è da leggere come un avvenimento di fede, di cui rendere grazie al Signore e, al tempo stesso, come una chiamata fatta all’intera Chiesa per una risposta coerente e generosa al Vangelo.

Desidero inoltre esprimere il mio filiale ringraziamento al Santo Padre che mi ha permesso di portare a compimento in questi ultimi tornanti del mio episcopato: le visite pastorali al Vicariato della Città nelle sue zone e parrocchie; gli Orientamenti pastorali per i Progetti di Iniziazione cristiana nei pellegrinaggi alla Cattedrale dai vicariati; il restauro di questa Cattedrale, accompagnandone il suo ritorno alla vita piena come simbolo della Chiesa locale e della città, e infine con il mandato a due sacerdoti del nostro presbiterio come missionari “Fidei donum” in Albania e in Madagascar.

Confesso che per me questo prolungamento nel ministero episcopale non è stato facile e motivo anche di qualche preoccupazione e sofferenza di fronte al moltiplicarsi di impegni, da ultimo la vicenda del terremoto, che continua a mettere alla prova fami-glie fuori casa, imprese già in difficoltà per la crisi finanziaria e perdita di posti di lavoro, diverse comunità parrocchiali che vedono compromesse chiese, oratori, canoniche per un tempo che sarà né breve né facile, e chiedono di non essere lasciati soli, una volta spenti i riflettori.

Ora con serenità di cuore e con spirito di fede, che so condivisi dall’intera comu-

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nità diocesana, sono lieto di trasmettere il testimone della guida pastorale di questa bella Chiesa al carissimo confratello Mons. Massimo Camisasca. La Chiesa reggiano-guastallese, che si prepara nella preghiera ad accogliere il nuovo Pastore, per grazia di Dio e grazie ai suoi Vescovi ha combattuto le sue buone battaglie, ha conservato la fede (cfr. 2 Timoteo 4,7), impegnandosi in scelte storiche: la familiarità con la Parola di Dio; la cura della vita liturgica e spirituale inseparabile dalla Caritas; l’avvio del diaco-nato permanente; la fioritura delle Case della Carità e delle nostre numerose missioni nel mondo; l’evangelizzazione in queste nostre terre; la formazione del laicato e la promozione della cultura.

Non possiamo nasconderci che per essere fedeli a queste scelte storiche – le scelte del Concilio Vaticano II – la nostra Chiesa è, come altre, messa alla prova: dalla diminuzione e invecchiamento del clero, solo in parte integrati dalla tenuta dei semi-naristi e dalla crescita dei diaconi permanenti; dalla riorganizzazione territoriale delle parrocchie in comunità unite pastoralmente; dalla sfida educativa per la trasmissione della fede alle nuove generazioni; dalla accoglienza e integrazione dei nuovi arrivati da Paesi e culture diverse e, più radicalmente, dalla distanza culturale tra la visione cri-stiana e la mentalità contemporanea in tanti ambiti di vita delle persone e della società.

Senza essere “presenzialista”, al Vescovo oggi è chiesta una presenza capillare. Sì, perché la presenza del Vescovo è sempre gradita, sia dai sacerdoti sia dai laici, dalle religiose e consacrate, dalle varie comunità, a partire dalle parrocchie nelle visite pastorali. Tale presenza è un grande corroborante del legame che deve esserci tra Ve-scovo, clero e diocesi, non solo nei momenti ufficiali, ma anche personali. Al Vescovo, qui a Reggio, si chiede sempre il massimo.

Pure le diverse realtà della laica Reggio Emilia vedono volentieri il Vescovo in mezzo a loro. Non mancano al Vescovo momenti ufficiali in cui intervenire, come l’o-melia del 24 novembre in occasione della festa del Patrono San Prospero, convegni sul “Bene comune” promossi sul territorio dalla Commissione diocesana per l’impegno sociale e politico, o dalle varie associazioni, ma anche incontri con le amministrazioni comunali. Questo è richiesto dalla missione stessa della Chiesa di rendere testimo-nianza del Vangelo a ogni coscienza, perché anche su questo fronte è configurabile un servizio mediato della Chiesa al Bene comune.

L’invito è ad accogliere ora il nuovo Vescovo, certo anche perché nuovo e come tale portatore di doni che il Signore custodisce nei suoi benevoli disegni (cfr. Filippesi 2,12-13), accogliendolo come guida, promotore e custode della comunione di tutti in questa nostra Chiesa: Chiesa che il Vescovo nuovo già ama e dovrà imparare a cono-scere, perché amare una Chiesa è già principio di conoscenza (S. Gregorio Magno). “Vescovo” si è da subito, “padre” si diventa nel tempo (S. Agostino).

Sì è incominciato l’autunno, tempo di semina. C’è chi semina e c’è chi irriga, ma solo Dio fa crescere (cfr. 1 Corinzi 3,7).

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IL NUOVO VESCOVO MONS. MASSIMO CAMISASCA

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I tempi di cambiamento chiedono a tutti una forte docilità: un più cordiale affi-damento all’imprevedibile forza rinnovatrice dello Spirito; un più forte amore per la Chiesa, il Papa e il Vescovo, senza divisioni. Per un mondo che cambia velocemente, l’opera dell’evangelizzazione chiede tempi che non corrispondono ai pochi decenni di ministero pastorale. Solo l’ingenuità può farci pensare diversamente: illuderci di suc-cedere a noi stessi. L’immagine è quella paolina di coloro che corrono nello stadio (cfr. 1 Corinzi 9,24), per una frazione di percorso, poi consegnano il testimone nelle mani di chi viene dopo.

Per quanto mi riguarda, per la prima volta nella mia vita mi tocca scegliere dove andare, verso quale destinazione partire. Ogni altra partenza della mia vita sacerdota-le — dagli studi a Roma all’insegnamento di liturgia, di teologia e spiritualità al Semi-nario di Venegono, alla direzione del Centro studi di Gazzada, sede della Fondazione Ambrosiana Paolo VI, alla destinazione a parroco a Legnano, non ultima alla stessa elezione a vescovo — erano altrettante chiamate impensate, a cui dare la mia risposta libera.

Ma ora, a che cosa mi chiama il Signore? E a quali segni rispondere, perché an-che questa tappa della mia esistenza sacerdotale piaccia al Signore? Il mio desiderio è di potere continuare a servire la Diocesi, a cui mi vincola questo anello consegnatomi all’ordinazione episcopale, e che tuttora mi lega a questa Chiesa. Assicuro che non verranno meno il mio affetto, il costante pensiero, la mia fedele preghiera per tutti, a partire dal nuovo Vescovo.

Affidiamo ora nella preghiera questa nostra amata Chiesa e il cammino che l’at-tende al Signore, per l’intercessione dei Patroni S. Prospero e S. Francesco, dei santi giovani martiri Crisanto e Daria qui custoditi in cripta, della Beata Giovanna Scopelli, prima carmelitana in questa città, del Beato Artemide Zatti originario di Boretto, coope-ratore salesiano missionario in Argentina, del Beato Card. Andrea Carlo Ferrari, dono che accomuna la nostra Chiesa con la Chiesa di Milano.

Invochiamo infine l’intercessione della Beata Vergine Maria venerata come Ma-donna della Ghiara e a Guastalla come Madonna della Porta, e qui in Cattedrale come Vergine Assunta, che dall’alto della torre campanaria del Duomo tutti protegge, bene-dice, guida come Madre di Dio, al quale ci rivolgiamo nella preghiera del Padre nostro.

(Seguono il canto del Padre nostro con la preghiera per il Vescovo eletto, la Be-nedizione, accompagnata all’uscita dal suono festoso delle campane)

+ Adriano Caprioli

Reggio Emilia, 29 settembre 2012

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Breve profilo di Mons. Massimo Camisasca

Massimo Camisasca è nato il 3 novembre 1946 a Milano. Dai suoi genitori Mariangela Tufigno, insegnante alle scuole elementari, ed Ennio, impiegato comunale, riceve fin da piccolo un’educazione alla fede cattolica profonda e ricca di amore alla Chiesa. Ha un fratello gemello di nome Franco.All’età di quattordici anni incontra al liceo Berchet di Milano don Luigi Giussani, che sarà il fondatore di Comunione e Liberazione, movimento nel quale, negli anni suc-cessivi, ricoprirà importanti cariche di responsabilità. Nel 1965 diventa uno dei respon-sabili della Gioventù Studentesca milanese e due anni più tardi entra a far parte della presidenza diocesana dell’Azione Cattolica giovanile, di cui sarà presidente diocesano dal 1970 al 1972. Laureatosi in Filosofia all’Università Cattolica di Milano con una tesi in Storia della Teologia su Y. Congar, inizia il suo insegnamento di storia, filosofia e religione prima nei licei milanesi, poi all’Università Cattolica di Milano, dove sarà assi-stente alla cattedra di Filosofia della religione.Nei primi anni Settanta entra nel seminario della Comunità Missionaria “Paradiso” a Bergamo e nel 1975 viene ordinato sacerdote.Durante gli anni successivi diventa responsabile della Pastorale Scolastica della Dio-cesi di Bergamo e dal 1978 è trasferito a Roma per curare le relazioni tra Comunione eLiberazione e la Santa Sede, lavoro che lo terrà impegnato per quindici anni.Nel 1987 ottiene la Licenza in Teologia presso la Pontificia Università Lateranense conuna tesi su sant’Agostino. Dal 1989 al 1996 ricopre la cattedra di gnoseologia e meta-fisica presso l’Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia, a Roma, del quale è vice-preside dal 1993 al 1996.Nel 1990 viene nominato Cappellano di Sua Santità.Nei primi anni Novanta partecipa come perito all’VIII e come uditore alla IX Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi e nel 1996 viene nominato Prelato onorario di Sua Santità.Ha pubblicato numerosi articoli di pastorale, filosofia e teologia sui più importanti quo-tidiani italiani. È stato redattore della rivista internazionale di teologia Communio.Ha collaborato a diverse trasmissioni RAI, sia come redattore che come commentatoretelevisivo. È autore di oltre cinquanta libri, tradotti in inglese, spagnolo, tedesco, fran-cese, portoghese e russo.Nel 1985 fonda la Fraternità Sacerdotale dei Missionari di San Carlo Borromeo, Socie-tà di Vita Apostolica di diritto pontificio. Tale comunità, formata da 110 sacerdoti e 40seminaristi, è presente in diciassette paesi di quattro continenti. Di essa è stato Supe-riore Generale fin dalla fondazione.Eletto Vescovo di Reggio Emilia-Guastalla il 29 settembre 2012, viene ordinato Vesco-vo il 7 dicembre 2012 in San Giovanni in Laterano - Roma - dal card. Carlo Caffarra ed entra solennemente in Diocesi il 16 dicembre 2012.

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Tra le pubblicazioni, ricordiamo:

- Verso la vera felicità. “Auctoritas” e “ratio” nel “De vera religione” di S. Agostino, Piemme, 1988;

-Iltempochenonmuore.Unariflessionesullefesteliturgicheelestagionidell’e-sistenza, San Paolo Edizioni, 2001;

- La trilogia sulla storia di CL: Comunione e Liberazione. Le origini (2001), La ripresa (2003), Il riconoscimento (2006), Edizioni San Paolo;

- Una voce nella mia vita. L’uomo chiamato da Dio, Piemme 2008;

- Padre. Ci saranno ancora sacerdoti nel futuro della Chiesa?, Edizioni San Pao-lo, 2010;

- La terra, la casa, gli amici. La Chiesa nel terzo millennio, Edizioni San Paolo, 2011;

-Amareancora.Genitoriefiglinelmondodioggiedidomani,Edizioni Messag-gero Padova 2011;

- Dentro le cose, verso il Mistero. La mia vita come un albero, Rizzoli, 2012

- Scuola di preghiera, Edizioni San Paolo 2012

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Lettera alla Diocesi del Vescovo eletto di Reggio Emilia - Guastalla

A S. E. mons. Adriano Caprioli, al vescovo ausiliare S. E. mons. Lorenzo GhizzoniAi fedeli, ai religiosi e al clero della Chiesa di Reggio Emilia-GuastallaA tutti coloro che vivono nel territorio della Diocesi.

Cari fratelli e cari amici,

in queste due parole, fraternità e amicizia, sta racchiuso il senso profondo del mio venire tra voi come vescovo della Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla, mandato dal Santo Padre Benedetto XVI.

Innanzitutto mi ha mandato ai fratelli, cioè ai battezzati, per servire la loro fede.Questa è la ragione fondamentale del mio episcopato: annunciare che Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, che ha subìto per amore nostro la Passione e la Croce, è risorto e perciò è vivo, e agisce nella storia degli uomini con la forza attrattiva della sua divina umanità attraverso il suo Corpo nella storia, che è il popolo cristiano, la sua Chiesa.

Vengo innanzitutto per confermare la fede dei miei fratelli: attraverso la predica-zione, la celebrazione dei sacramenti, la vita della carità.

Saluto perciò con grande affetto e stima ogni fedele che vive nella nostra diocesi. Spero di incontrare presto molti di voi. Attraverso la vostra vita e le vostre professioni siete i testimoni di Cristo nel mondo.

Parte privilegiata di questo popolo sono i sacerdoti, i primi collaboratori del mini-stero del vescovo. A loro voglio dedicare le mie attenzioni e le mie cure più profonde. Li saluto a uno a uno, in modo particolare il vescovo ausiliare, il Capitolo della cattedrale, il Collegio dei consultori, i membri della Curia diocesana, i parroci, i sacerdoti missio-nari e tutti coloro che spero di conoscere presto uno per uno. In particolare prego già fin d’ora per i sacerdoti anziani, per quelli malati, per coloro che si sentono particolar-mente soli. Saluto i diaconi permanenti, i seminaristi e tutti i collaboratori dei sacerdoti nelle parrocchie e nelle varie comunità della diocesi.

Una stima profonda mi lega a tutte le forme associative nella Chiesa. Il mio pen-siero va alle Confraternite, all’Azione Cattolica, ai movimenti, alle nuove comunità e a tutte le realtà che rendono visibile la comunione nelle diverse località e situazioni di vita della nostra Chiesa.

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So che nella nostra diocesi vivono per grazia di Dio molte comunità religiose. La vita religiosa è un segno privilegiato dell’umanità rinnovata. Mi affido fin d’ora alla loro preghiera ed esprimo la mia vicinanza a tutti coloro che nella dedizione a Dio attraver-so i consigli evangelici sono luce per i nostri tempi.

Saluto inoltre tutte le autorità civili, politiche e militari alle quali, fin d’ora, esprimo la mia disponibilità ad una collaborazione proficua per la costruzione di una società più giusta e buona.

Vengo come amico. Vengo per ogni uomo e per ogni donna. Nel più assoluto ri-spetto della libertà di coscienza di ciascuno, umilmente e fermamente desidero essere il tramite dell’annuncio e della proposta di Gesù: Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,6), chi mi segue avrà il centuplo quaggiù e la vita eterna (cfr. Mt 19,29). Penso ai giovani in cerca di un senso definitivo e forte per la loro esistenza. Alle famiglie. Ma anche a coloro che per le più svariate ragioni vivono soli. Penso agli anziani. A coloro che esprimono nel lavoro la loro passione e la loro arte. A coloro che cercano il lavoro o l’hanno perduto. Penso ai malati, ai poveri, ai carcerati. Vorrei che a tutti arrivasse ilmio incoraggiamento e la benedizione di Dio. Soprattutto a coloro che sono provati a causa del recente terremoto, ai quali voglio essere vicino con particolare affetto.

Saluto con rispetto e affetto i fratelli nella fede cristiana che non appartengono alla Chiesa Cattolica, tutti i credenti nell’unico Dio e anche coloro che non professano nessuna fede e non si riconoscono in nessuna religione. Di tutti mi sento compagno diviaggio e a tutti vorrei poter offrire ciò che mi è stato donato e ricevere a mia volta i loro doni spirituali.

La mia celebrazione eucaristica e la preghiera di ogni giorno portano già in sé questi volti non ancora conosciuti e queste speranze per la vita che ci attende.

Il mio ministero si inserisce in una lunga tradizione, ricca di storia, di frutti di fede, carità, civiltà, arte. Da san Prospero al mio predecessore, il vescovo monsignor Adriano Caprioli, che qui voglio salutare con particolare deferenza assieme al vescovo emerito monsignor Giovanni Paolo Gibertini, la Chiesa ha sempre rappresentato nella terra emiliana che ora è anche la mia terra, un punto di riferimento e di luce per tante persone. Anche attraverso il sacrificio di alcuni suoi figli. Penso ai santi e ai martiri, che con la loro vita e il loro sangue hanno reso feconda e luminosa testimonianza a Cristo, luce del mondo. In particolare il mio pensiero va a coloro di cui si sta celebrando il processo di beatificazione, i servi di Dio don Giuseppe Dino Torreggiani e don Alfonso Ugolini, e non ultimo, a Rolando Rivi, che tutti presto auspichiamo di poter venerare sugli altari.

Al Beato cardinal Ferrari, che ha unito nella sua vita la mia terra milanese alla nostra, nei mesi trascorsi come vescovo di Guastalla, affido fin d’ora le primizie del

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mio ministero episcopale.

I nostri patroni, san Prospero, san Francesco d’Assisi, i santi martiri Crisanto e Daria e la Madre di Dio, a cui è intitolato il nostro Duomo, ottengano a me e a tutti noi ogni grazia desiderata dal Cielo.

Tutti benedico nel Signore Gesù.

+ Massimo Camisasca

Vescovo eletto di Reggio Emilia – Guastalla

Roma, 29 settembre 2012Festa dei SS. Michele, Gabriele e Raffaele, Arcangeli

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La lettera che mons. Camisasca ha inviato ai membri della Fraternità san Carlo

A tutti i membri della Fraternità san Carlo

Carissimi fratelli, questa mattina è stata pubblicata dalla Santa Sede la notizia che il Santo Padre

Benedetto XVI ha voluto nominarmi vescovo di Reggio Emilia – Guastalla, aggregan-domi così al Collegio dei successori degli Apostoli.

È una decisione che mi onora e soprattutto onora la nostra Fraternità. Gli stretti legami affettivi e vocazionali che intercorrono tra me e voi mi obbligano

però a dirvi anche altre parole. Avrei desiderato poter restare sempre con voi e occu-parmi interamente e solo di voi. Non solo nulla ho fatto per avere altri incarichi, ma tutto ho tentato per non averli. Fino ad esprimere ai più alti miei Superiori la volontà di con-tinuare a servire la Chiesa servendo le vostre vite. Infine mi sono rimesso obbediente alla volontà del Santo Padre.

Certamente mutano ora le forme concrete del nostro rapporto, ma non può venir meno la mia paternità nei vostri confronti. Senza nulla togliere al nuovo popolo che ora mi è affidato. Sappiamo, infatti, per esperienza, che l’amore può, per dono dello Spirito, distribuirsi senza diminuire.

Con la confidenza che posso permettermi con voi, non vi nascondo che, nell’ap-prossimarsi di questa giornata, ho vissuto momenti di sgomento. Lasciare le persone che con me vivono da molti anni in un legame intensissimo di corresponsabilità, lascia-re ciascuno di voi, lasciare il quotidiano rapporto con i seminaristi, vivere in una nuova città, affrontare nuove responsabilità… tutto questo per me è stato fonte di grande pena. Mi sono abbandonato infine alla volontà di Dio e ho ritrovato la pace collocando-mi nelle braccia della madre di Dio, Maria santissima.

Ringrazio ciascuno di voi per la testimonianza di ubbidienza che mi avete dato in questi ventisette anni. Soprattutto per la comunione intensissima che abbiamo vissuto sia nelle molte ore felici sia nei momenti di prova. Vorrei ricordare tanti nomi, anzi i nomi di tutti.

Permettetemi soltanto di richiamare qui le persone di Gianluca Attanasio e Paolo Sottopietra, che sono stati i miei due più cari amici e preziosi collaboratori di questi ulti-mi vent’anni. Assieme a loro ricordo monsignor Paolo Pezzi, ora arcivescovo di Mosca, primo vescovo dalle file della nostra Fraternità.

Sono certo che non mancherà la vostra preghiera per me né l’aiuto dal cielo dei nostri santi patroni e di don Giussani. Ne avrò molto bisogno.

Conto di vedervi presto, sia per la mia consacrazione episcopale sia per il mio ingresso nella Diocesi, e di ricevervi poi personalmente quando verrete a visitarmi in uno dei vostri passaggi da quella che sarà ormai la mia nuova città. So che già da ora

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ho la vostra promessa, anzi il vostro desiderio, di amare e obbedire al mio successore e ai suoi collaboratori, come avete fatto con me.

Dio mi è testimone del vivo desiderio che nutro per tutti voi nell’amore di Cristo Gesù (Fil 1,8).

Uno ad uno vi abbraccio nel Signore che è la nostra pace.

don Massimo Camisasca

Roma, 29 settembre 2012 Festa dei SS. Michele, Gabriele e Raffaele, Arcangeli

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INTERVISTA A MONS. CAMISASCA PER IL SETTIMANALE DIOCESANO LA LIBERTA’

1) Monsignor Camisasca, ci sono dei ricordi o delle persone che la legano alla terra emiliana? Con quali sentimenti si prepara ad entrare nella città che ha dato i natali al primo Tricolore e che ha vissuto, nel secondo dopoguerra, sanguigne contrapposizioni ideologiche?

Conosco poco finora, sia la realtà della città e della provincia di Reggio Emilia, sia la realtà della diocesi. Per uno strano disegno di Dio ho girato tutta l’Italia e ho conosciuto moltissime città. A Reggio sono solo passato. È grande perciò la mia attesa e anche la mia curiosità.

Lei ha citato due momenti importanti della storia di Reggio. Penso saranno oggetto di riflessione da parte mia.

Per quanto riguarda le persone originarie di Reggio voglio ricordare innanzitutto Giovanni Riva, scomparso di recente. Non l’ho più visto per tanti e tanti anni. Abbiamo vissuto assieme momenti significativi all’inizio degli anni Settanta nella comune appartenenza al movimento nato da don Giussani. Lo ricordo come una persona timida e perciò creativa, molto originale nella sua appartenenza cristiana e allo stesso tempo assolutamente fedele. Penso che Città armoniosa, casa editrice che nacque da lui in quegli anni sia stata una delle iniziative più coraggiose del mondo cattolico in quel tempo difficile, segnato dalla contestazione e dalla crisi. Ricordo poi Enzo Piccinini. La sua vita matura si svolse altrove, a Modena e a Bologna soprattutto. Ma le sue radici sono a Reggio. È stato un grande medico, un grande apostolo, un grande testimone. Ha segnato la vita di generazioni intere di universitari. Il fiume da lui nato all’interno del grande mare del movimento di CL è tuttora molto vivo e fecondo nel passaggio delle generazioni.

Voglio accennare ora a due cardinali nativi della terra reggiana. Con il primo ho avuto un fuggevole, ma significativo incontro. Si tratta di Sergio Pignedoli. Quando egli fu

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ausiliare di Montini a Milano conobbe don Giussani in occasione della missione cittadina. I due rimasero legati. Don Giussani lo invitò a un corso di esercizi a Collevalenza. Fu là che lo conobbi. Era poi molto amico della famiglia di mia cognata. Quando mio fratello si sposò con Cristina, venni a Roma apposta per portargli la partecipazione di nozze. Mi ricevette nel suo studio, pieno di indirizzari con i nomi di migliaia di persone con cui era in corrispondenza. Era questo il segno del suo animo aperto, sorridente, capace di incontro e di fascino.

Lunghissima invece è stata la frequentazione con il cardinale Camillo Ruini, che ho conosciuto come vescovo ausiliare di Reggio Emilia, quando era vicepresidente del comitato organizzatore del Convegno di Loreto. Lo frequentai poi negli anni della sua segreteria della Cei e soprattutto nel suo lungo e importante tempo passato come Vicario del Papa per la diocesi di Roma e come Presidente della Cei. Penso che la Chiesa italiana gli debba molto.

Ho avuto anche un fugace incontro con don Dossetti. Nel 1968 ero a Bologna nel convento di san Domenico per un periodo di riflessione sulla mia vocazione. Vidi arrivare don Dossetti: fu un incontro durato pochi secondi. Ovviamente non ebbi neppure il coraggio di parlargli. Ma averlo visto rese in un certo senso ancor più interessanti le mie letture su di lui.

2) Arriverà in un a diocesi vasta, che va dal Po al Cerreto e dall’Enza al Secchia, colpita dal terremoto del maggio scorso in diverse comunità della bassa; una terra di gente solidale, schietta, molto laboriosa e un po’ litigiosa… che, come ha detto monsignor Caprioli annunciandola come suo successore, al Vescovo chiede sempre il “massimo” (ogni riferimento al suo nome di battesimo è da ritenersi casuale…). Come si prepara a questo abbraccio “esigente”?

Se la preparazione volesse dire essere all’altezza delle attese, provocherebbe in me soltanto sgomento e certezza di non farcela. La mia preparazione è invece tutta e soltanto nella preghiera e nella confidenza in Dio. So che troverò molte opere, me ne sono reso conto guardando l’annuario della diocesi; so che troverò una Chiesa con una storia molto lunga e molto ricca; so che incontrerò tante persone con una fede viva. Troverò anche fedi abitudinarie, troverò anche incredulità. Sono mandato a tutti. Come ho scritto nella mia prima lettera alla diocesi, il mio unico compito è

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servire la fede. Aiutare a riscoprirla coloro che già sono credenti, perché la fede se non è riscoperta ogni istante muore; aiutare ad incontrarla coloro che non credono. Ma proprio queste osservazioni mi permettono di dire la cosa più importante: colui che agisce è Dio, noi siamo soltanto i suoi servitori. Dio agisce nei cuori degli uomini e nella storia. Dobbiamo metterci in ascolto di Lui, entrare nella Sua opera, convertirci a Lui, lasciarci riempire dalla Sua luce e dalla Sua gioia per poter essere testimoni affascinanti e credibili. Per questo vorrei poter dedicare la maggior parte del mio tempo all’incontro con le persone e solo ciò che resterà all’amministrazione. Dio mi aiuti ad obbedire a questo desiderio che Lui stesso mette nel mio cuore.

3) Ha già scelto lo stemma e il motto episcopale?

Sì. Lo stemma riprende quello della Fraternità san Carlo. Al centro sta un albero. Una quercia. Di essa parlano il salmo primo e il profeta Geremia: benedetto l’uomo che confida nel Signore. Egli è come un albero piantatolungo l’acqua, verso la corrente stende le radici. La stella indica Cristo, luce dei popoli. Così come lo ha chiamato il Concilio Vaticano II, riprendendo Isaia. La stella è anche Maria, che noi preghiamo spesso con l’Ave maris stella.Il motto è un’espressione del profeta Isaia – opus iustitiae pax, frutto della giustizia sarà la pace (Is 32,17) – che ho scelto per molte ragioni. La prima, perché mi sembra riassuntiva di tutto quanto l’Antico e il Nuovo Testamento. La storia di Israele è una ricerca della giustizia, una sete di essa. Sete di quella giustizia che nasce dal rapporto vero con Dio, per l’uomo e per il mondo. Tale giustizia, da cui nasce la pace – cioè la comunione – è solo opera di Dio. A lui dobbiamo chiederla, da lui implorarla.Giustizia e pace sono anche e soprattutto due espressioni con cui il Nuovo Testamento, in particolare san Paolo, chiamano Cristo: Cristo, nostra giustizia (cfr. 1Cor 1,30; Fil 1,11; cfr. Rm 3, 21-26), Cristo, nostra pace (cfr. Ef 2,14).Giustizia e pace sono anche le attese più profonde del nostro tempo, le esperienze attraverso cui il mondo interpella Dio e Dio risponde agli uomini.

4) Nella terra che ha indirizzato il 29 settembre ai sacerdoti e ai seminaristi della Fraternità San Carlo (pubblicata su La Libertà del 6 ottobre, a pagina 3) si capisce come lei non solo non abbia “cercato” la promozione a vescovo, ma poi – accettata la volontà del Santo Padre – abbia attraversato anche momenti di sgomento. Nondimeno, le era mai capitato, in tempi

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non sospetti, di dire o pensare tra sé: “Se fossi vescovo farei…”? Ora che s’incammina verso l’ordinazione episcopale, quali proponimenti o progetti va maturando nel suo cuore?

Ho pensato altre volte che sarei potuto diventar vescovo, per delle ragioni molto concrete. Questa volta ho accettato in obbedienza, come ho scritto ampiamente nella lettera alla Fraternità San Carlo. Per quanto riguarda i proponimenti e i progetti ho già in parte anticipato i miei pensieri nella risposta alla seconda domanda. Voglio essere un pastore e non un amministratore. Mi propongo di essere fedele alla preghiera del Breviario e della santa Messa, di vivere con sobrietà, essenzialità e grande dignità la liturgia, aiutando i miei preti a fare lo stesso. Mi propongo di vivere senza sfarzo, con dignità. Mi propongo di ascoltare e poi decidere. So che non accontenterò mai tutti, ma vorrei il più possibile che tutti sapessero di essere stati tenuti presenti. Mi propongo di valorizzare le presenze che la fede ha suscitato nella Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla. Chiedo a Dio la grazia necessaria per essere sempre coraggioso e libero nell’affermare la verità, umile nel vivere la carità, luminoso nell’esprimere la speranza perché Dio non abbandona mai i suoi che gli sono cari. Il vescovo molto probabilmente non può fare ciò che tanti si aspettano da lui. Non può trovare posti di lavoro per chi non li ha. Non può sanare tutte le ferite, non può riavvicinare tutti coloro che si sono divisi. Può però fare molto: aiutare le persone a vivere la propria vita nella luce di Cristo, aiutare la carità dei credenti a porsi al servizio dei fratelli, aiutare a uno spirito di vera comunione e di sollecitudine reciproca.

5) Sfogliando i primi numeri del settimanale La Libertà, quali sono le sue prime impressioni sulla Chiesa reggiano-guastallese?

Ho avuto l’impressione di un Chiesa ricca di iniziative, di opere. Certo: dietro e dentro ogni iniziativa e ogni opera occorrono gli uomini che la sostengano e la ricreino continuamente. Per questo penso che una delle necessità più gravi della diocesi siano le vocazioni sacerdotali. So che si prega per questo. Dobbiamo aiutarci e aiutare i giovani a riscoprire la loro vita come vocazione. All’interno di questa scoperta alcuni potranno aprirsi con generosità alla vocazione sacerdotale così come a tante altre vocazioni altrettanto necessarie al popolo di Dio. Da queste mie parole si capisce che le mie attenzioni si rivolgeranno, come ho detto, alla liturgia, ai sacerdoti a ai giovani.

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6) Oggi la società soffre la mancanza di maestri. Lei, adolescente, ne ha trovato uno formidabile in don Luigi Giussani. Quali ricordi personali ne conserva?

È difficile, anzi impossibile concentrare in una breve risposta ciò che mi si chiede. Ho cercato di scrivere i miei ricordi nei tre volumi che ho dedicato ai primi trent’anni della Storia di CL (1954-1984) e nel libro Don Giussani: la sua esperienza dell’uomo e di Dio. La difficoltà sta anche nel fatto che la personalità di don Giussani era così ricca, così poliedrica, così umana da essere impossibile riassumerla o raccontarla. Era un uomo innamorato di Cristo e della vita, avvertiti come un unico evento. In Cristo ha visto il dispiegarsi di tutte le risposte che rendono bella, grande e affascinante la vita degli uomini. In Lui ha visto il senso della storia universale, dell’infinito numero di storie personali che incontrava e che, nella misura del loro aprirsi, aiutava a crescere. Oltre che un grande conoscitore della storia e della letteratura, dell’arte e della musica, è stato un grande conoscitore del cuore dell’uomo, un grande maestro per molti, un amico per tanti. Mi scopro a parlare di lui con i verbi al passato. Ma sono veramente convinto che egli è presente, come tutti quelli che partecipano della vita di Gesù risorto e che così sono contemporanei in modi diversi all’attimo che l’uomo sta vivendo. In particolare, don Giussani è presente attraverso il movimento che da lui è nato, attraverso i suoi scritti e attraverso alcune strade percorrendo le quali egli raggiunge ancor oggi i cuori di molti uomini e donne.

7) Se dovesse distillare in poche righe, per chi non l’ha conosciuto, il carisma del fondatore di Comunione e Liberazione, come lo descriverebbe?

Cristo è un avvenimento di vita, cioè: una persona che si rende presente alla vita di noi uomini attraverso l’incontro con altre persone toccate da lui. In questo incontro genera continuamente la comunione cristiana, dà vivacità e forza al popolo di Dio perché sia luce per gli uomini di tutta la terra.

8) Nei primi anni Settanta lei entrava nel seminario della Comunità missionaria “Paradiso” a Bergamo e lì è stato ordinato sacerdote nel

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1975. Dieci anni dopo ha fondato una Fraternità sacerdotale, missionaria anch’essa. Cosa l’ha spinta ad innovare, pur restando nel solco “ad gentes”?

Dio pone dentro di noi dei semi. Nessuno può immaginare quale maturazione avranno. Gli anni che ho passato a Bergamo nella comunità missionaria “Paradiso” hanno certamente rafforzato dentro di me l’esigenza della missione che, d’altra parte, l’incontro con don Giussani aveva suscitato indelebilmente. Quando nel 1985 è nata la Fraternità San Carlo io e gli altri cinque fondatori abbiamo stabilito che i giovani di CL che avessero voluto venire con noi dovevano essere persone disposte ad andare in missione dovunque nel mondo, dovevano sentire dentro di sé quest’urgenza, questo fascino. Così è nata e si è sviluppata la Fraternità che ho visto crescere intorno a me attraverso i doni di tante persone. Io sono stato semplicemente spettatore dell’opera che faceva lo Spirito. Caso mai, se un’opera positiva ho fatta, è stata di non opporre mai resistenza all’opera che lo Spirito stava compiendo. Certamente posso ricordare notti insonni, decisioni, un lavoro educativo incessante verso centinaia di giovani. Ma tutto questo è stato molto “naturale” o molto soprannaturale, quasi ovvio. Ero come portato da un Altro. Un pensiero che mi ha accompagnato molto in questi anni è un versetto del Libro dei Proverbi: «Il cuore del re è un canale d’acqua in mano al Signore: lo dirige dovunque egli vuole » (Pr 21,1).

9) Il suo curriculum la rende un testimone particolarmente significativo sui temi educativi, a cui la Cei ha dedicato gli Orientamenti del decennio. Senza chiederle di anticipare le linee del suo programma pastorale, quali sfide o priorità ritiene che debbano essere messe oggi al centro della vita della scuola e delle famiglie?

Aiutare i giovani a scoprire la positività dell’esistenza che hanno ricevuto, aiutarli nel dialogo reale con i loro compagni: dialogo reale e non solo virtuale, attraverso le tecnologie. Aiutarli a scoprire la realtà, le cose, aiutarli a parlare con coloro che vengono prima di loro, aiutare una comunicazione fra le generazioni. Aiutarli a scoprire quanto sia importante per la loro vita la vita di Cristo, quanto la fede non sia un evento che riguarda solo taluni, magari malati di spiritualità, ma riguarda tutti gli uomini fragili e peccatori. I ragazzi che scoprono questo diventano essi stessi testimoni e apostoli

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nei luoghi della loro vita, nelle scuole, negli ambienti di lavoro.

10) È stato per ben 27 anni superiore generale di una Fraternità sacerdotale. Tra pochi mesi “lascerà” i 120 preti della San Carlo per incontrare i 259 della nostra diocesi, dei quali un’ottantina sono ultrasettantacinquenni. Di quale tipo di paternità necessita il clero in questo periodo storico di vorticosi cambiamenti? Quali parole d’incoraggiamento si sente già di indirizzare ai nostri preti, giovani e anziani?

Gli anziani vorrei sentissero la gratitudine della Chiesa e di Cristo per la loro vita, per la loro donazione. Quando si è vecchi e si è soli può nascere dentro di noi la tentazione delle ombre, dell’inutilità, dei bilanci. Vorrei che tutti sapessero che niente delle loro parole, dei loro sforzi e dei loro sacrifici è andato perduto. Che i loro errori sono perdonati, che possono fare ancora molto con la loro preghiera e con l’offerta della loro vita per la realtà della Chiesa di Reggio Emilia – Guastalla.

Ai preti giovani voglio dire che la vocazione e la vita sacerdotale, almeno per quanto io ho vissuto, sono la cosa più grande e più bella che possa accadere ad un uomo.

Non pretendo che tutti mi siano amici, anche se l’amicizia è per me un bene profondamente desiderato. Desidero che tutti sappiano di essere miei collaboratori e che, nei limiti del possibile, si possa non solo vivere la comunione che già oggettivamente ci è data attraverso il dono del sacerdozio, ma anche esprimerla, in un ascolto, in una corresponsabilità, in una coralità che spero possa crescere fra i sacerdoti attorno al loro vescovo.

Per quanto riguarda i “vorticosi cambiamenti”: essi sono sotto gli occhi di tutti. D’altra parte ogni epoca della storia è epoca di cambiamenti. Se noi interroghiamo i documenti storici avvertiamo che questa è la sensazione prevalente nei racconti degli uomini. Si ha sempre l’impressione che ciò che abbiamo incontrato nelle prime età della vita pian piano sfugga e sia contraddetto dall’evolversi della storia. Certamente oggi, quest’impressione non solo è giustificata, ma ha una sua intensità impensabile in altri momenti. Ma noi possiamo ancorarci su ciò che non passa per poter essere significativi davanti a ciò che passa. « Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi, e in eterno», dice la Lettera agli Ebrei (Eb 13,8). Questa non è affatto l’esaltazione della fissità, ma è la scoperta che se ci radichiamo profondamente nella comunione con Cristo

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lo Spirito stesso ci rende capaci di essere interlocutori interessanti per ogni epoca. Non abbiamo le risposte a tutto. Abbiamo però la possibilità di portare qualcosa, anzi: qualcuno che tutti attendono senza saperlo.

11) Il suo profilo bibliografico è ricco di informazioni e di pubblicazioni. Può condividerci anche un autoritratto della sua personalità, quali sono i suoi interesse extra-ecclesiali, le sue predisposizioni o gli hobby che l’appassionano di più?

Non sento in me una divisione tra interessi ecclesiali ed extra-ecclesiali. Tutto mi conduce a Cristo e Cristo mi conduce a tutto. Amo molto leggere. Nel mio libro Dentro le cose, verso il mistero, che recentemente questo settimanale ha recensito, si possono trovare i miei autori preferiti. Amo molto scrivere. Nella scrittura trovo la rivelazione di me stesso. Amo ascoltare la musica, anche se non sono specialista in questo campo. Amo la natura, quindi amo camminare in mezzo ai boschi, in riva al mare, sulle rive dei laghi. Amo l’arte. Soprattutto l’arte che mi parla dell’uomo e del mistero di Dio. Amo le persone. Mi piace starle ad ascoltare e conoscerle: in ogni persona c’è un infinito. Capisco oggi che tanti sono i miei desideri e devo dare perciò ordine alla mia giornata, devo vivere molti sacrifici… Ma sono sicuro che questi saranno ampiamente ripagati dalle gioie che mi verranno dal mio ministero. Sono un uomo che non ama la voce alta, non ama le discussioni. Preferirebbe essere lontano dalle tensioni, ma è nello stesso tempo consapevole che talvolta queste sono inevitabili e possono portare a una più grande verità

12) Pensa che l’esperienza missionaria della San Carlo possa in futuro “contaminare” positivamente la diocesi missionaria di Reggio Emilia-Guastalla, e viceversa?

Non ho nessuna idea a questo riguardo. Sono rimasto positivamente sorpreso dell’estensione dell’attività missionaria della diocesi che mi è stata affidata. Non so quando potrò visitare queste missioni. Certo porto con me un grande desiderio di conoscere persone e opere di evangelizzazione. Se ci saranno poi incontri o

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“contaminazioni” tra la diocesi e la Fraternità, lascio tutto questo a Dio.

13) «L’uomo per essere felice cerca da sempre legami stabili, desidera che ciò che ama possa durare per sempre… Le difficoltà non sono i segni inevitabili di un fallimento ma la possibilità di un cambiamento». Sono parole tratte da uno dei suoi ultimi libri, Amare Ancora, dedicato alla famiglia. Sembrano un atto di fiducia nella “tenuta” dell’istituto matrimoniale, e al tempo stesso, una mano tesa verso le coppie, anche cristiane, che vanno in crisi ormai a tutte le età. Da quale punto di vista ci invita ad affrontare la complessità dei problemi, non ultimo il senso di precarietà dovuto alla crisi economica e all’insignificanza “politica” della famiglia?

Ho dedicato un libro intero a questo temi. Lei lo ha citato. Chi vuole può trovare lì il mio pensiero e le mie risposte. Non voglio essere ingenuamente ottimista, il cristiano non deve essere un idealista. Il cristiano deve essere un realista pieno di speranza. La fedeltà coniugale è un bene fondamentale per la vita degli uomini. Consapevoli del fatto che questo è un bene difficile, che ha bisogno di Dio e della presenza di amici per essere sostenuto, non possiamo smettere di desiderarlo e di lavorare per questo. L’aiuto alla famiglia, così dimenticata dalla classe politica in generale, è una frontiera decisiva per la vita della Chiesa. Essa infatti ha un unico scopo: di aiutare l’uomo, seguendo Cristo, a trovare le strade per la pienezza della sua umanità. Certamente la vita della famiglia, pur con tutte le sue debolezze e contraddizioni, e nella precarietà di ogni opera umana, proprio perché segno della fedeltà di Dio, è una strada fondamentale per la vita buona degli uomini, oserei dire per la loro felicità. Quando penso alla vita di mio padre e mia madre, alla loro pacata e serena felicità, non attribuisco nessun significato romantico o idealistico ai miei pensieri. Immagino qualcosa che è alla portata di tutti, anche se oggi è reso più difficile indubbiamente, come lei ha ricordato. Dobbiamo lavorare non perché rinasca un sogno del passato, ma perché si aprano le strade del futuro

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LA PACE FRUTTO DELLA GIUSTIZIA

“Lo stemma riprende quello della Fraternità san Carlo. Al centro sta un albero. Una quercia. Di essa parlano il salmo primo e il profeta Geremia: benedetto l’uomo che con-fida nel Signore. Egli è come un albero piantato lungo l’acqua, verso la corrente stende le radici. La stella indica Cristo, luce dei popoli. Così come lo ha chiamato il Concilio Vaticano II, riprendendo Isaia. La stella è anche Maria, che noi preghiamo spesso con l’Ave maris stella. Il motto è un’espressione del profeta Isaia – Opus iustitiae pax, frutto della giustizia sarà la pace (Is 32,17) – che ho scelto per molte ragioni. La prima, perché mi sembra riassuntiva di tutto quanto l’Antico e il Nuovo Testamento. La storia di Israele è una ricerca della giustizia, una sete di essa. Sete di quella giustizia che nasce dal rapporto vero con Dio, per l’uomo e per il mondo. Tale giustizia, da cui nasce la pace – cioè la comunione – è solo opera di Dio. A lui dobbiamo chiederla, da lui implorarla. Giustizia e pace sono anche e soprattutto due espressioni con cui il Nuovo Testamento, in particolare san Paolo, chiamano Cristo: Cristo, nostra giustizia (cfr. 1Cor 1,30; Fil 1,11; cfr. Rm 3, 21-26), Cristo, nostra pace (cfr. Ef 2,14). Giustizia e pace sono anche le attese più profonde del nostro tempo, le esperienze attraverso cui il mondo interpella Dio e Dio risponde agli uomini.

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Omelia del Cardinale Carlo Caffarraper l’Ordinazione Episcopale di Mons. Massimo Camisasca

Vescovo eletto di Reggio Emilia – GuastallaRoma, Basilica di San Giovanni in Laterano 7 dicembre 2012

«Cantate al Signore un inno nuovo, perché Egli ha fatto meraviglie», abbiamo cantato nel Salmo. La meraviglia fatta dal Signore, è la sua decisione di porre “un tesoro in vasi di creta”: il tesoro della successione apostolica dentro alla creta di uomini che condividono in tutto la condizione dei loro fratelli. E’ Cristo infatti che nel ministero del Vescovo continua a predicare il Vangelo del Regno, a santificare i credenti mediante i sacramenti della fede, a guidare il suo gregge ai pascoli della vita. Mediante l’imposi-zione delle mani fra poco il tesoro della successione apostolica sarà collocato nel vaso di creta che è don Massimo.

Il significato profondo e la portata storica di questa collocazione ci sono svelati dalla parola di Dio che abbiamo appena ascoltato.

1. La nostra celebrazione ha la sua sorgente e radice in un atto di contemplazione del mistero di Dio, «Padre del Signore Nostro Gesù Cristo». In questo mistero è rac-chiuso un disegno di amore paterno che trascende ogni pensiero e desiderio umano: introdurre la persona umana nella stessa vita divina, «predestinandoci a essere suoi figli adottivi».

Questo sguardo contemplativo diventa anche capace di una lettura ed interpre-tazione della storia, secondo le quali nella confusa e non raramente brutta vicenda umana il Padre, fonte di ogni iniziativa, agisce liberamente sia per attuare il suo pro-getto, sia per farlo conoscere attraverso i suoi profeti. E tutto questo «secondo il piano di Colui che tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà».

La nostra celebrazione dunque si pone dentro allo spazio disegnato dalla parola di Dio, e che ha come due fuochi: Dio si rivela come Padre; la storia umana è la rea-lizzazione del progetto di Dio.

Avendoci il Padre già benedetti «con ogni benedizione spirituale nei cieli in Cri-sto», attua il suo progetto di salvezza «per opera di Gesù Cristo». L’introduzione della nostra umanità nell’intimità del Mistero ha inizio nell’Incarnazione, e trova il suo compi-mento nella glorificazione della carne crocifissa del Verbo incarnato. Dio «per opera di Gesù Cristo» ci ha attirato in se stesso, così che non siamo più fuori di Dio, ma dimo-riamo nella sua stessa intimità: in Cristo, con Cristo, e per mezzo di Cristo.

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2. Dentro a questa “ opera di Gesù Cristo” come si pone la persona umana? Non può non porsi che liberamente. Ma la libertà dell’uomo è il rischio di Dio. La prima let-tura e la pagina evangelica ci svelano le due possibilità inscritte nella scelta umana: la disobbedienza dell’incredulità o l’obbedienza della fede; la disobbedienza di Eva o l’obbedienza di Maria.

«Mi ha dato dell’albero e ne ho mangiato», dice Adamo al Signore. La libertà dell’uomo, come allucinata dal suo splendore e provando come una sorta di vertigine di fronte all’abisso della sua possibilità, decide di porsi come suprema istanza circa la verità e il bene. L’uomo si erge ad arbitro inappellabile circa ciò che è il bene/il male della sua persona.

Esce dal progetto di Dio, il Dio che lo benedice «con ogni sorta di benedizione nei cieli, in Cristo». Il Mistero spaventa; diventa qualcosa da cui ci si nasconde: «ho avuto paura…e mi sono nascosto».

«Ecco l’ancella del Signore, si faccia in me secondo la tua parola» dice Maria all’angelo. E’ la libertà che consente al progetto di Dio in Cristo; anzi, è un consenso che lo rende possibile. Dio, il Padre, non è invidioso. Egli non costruisce l’edificio della sua gloria sulle ceneri dell’uomo e della sua libertà. L’obbedienza della fede è una vera e propria cooperazione all’attuazione del progetto di Dio.

Abbiamo così infine la possibilità di decifrare l’enigma della storia. Due forze si incrociano, si contrastano e si avversano: la forza insita nella disobbedienza dell’in-credulità e la forza insita nell’obbedienza della fede di Maria e di ogni discepolo del Signore .

3. Venerato fratello e caro don Massimo: questo è il contesto in cui da questo mo-mento sei collocato, per sempre. Sei posto dentro al contrasto fra l’incredulità e la fede. E’ da una parte un’incredulità che sta pervadendo ogni vissuto umano, e che vuole distruggere anche la fede della Chiesa, alla cui presenza dentro la vicenda uma-na viene gradualmente negata ogni legittimazione. E’ dall’altra parte la fede dei martiri, la fede dei semplici, la fede «che sconfigge il mondo».

Sei posto dentro a questo “scontro” come testimone del progetto del Padre; come testimone di Cristo che lo attua; come testimone della verità circa l’uomo.

La tua predicazione è una vera e propria profezia, senza la quale la vita delle persone finirebbe, prima o poi, col ridursi ad un vagabondaggio privo di meta. E’ per questo che, come scrive S. Tommaso, «la profezia è necessaria al governo del popo-lo» [2,2,q.172,a.1, ad 4um; cfr. anche De Veritate q.12,a.3, ad 11um]. Ed il Concilio Vaticano II raccomanda ai Vescovi che «propongano il mistero di Cristo nella sua in-tegrità, ossia quelle verità che non si possono ignorare senza ignorare Cristo stesso» [Decr. Christus Dominus 12,1; EV 1, 596].

Radicato e fondato nella fede di Maria -la Chiesa-, non temere niente e nessuno: gli idoli delle genti sono nulla al confronto della testimonianza profetica dell’apostolo.

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La parola di Dio che annuncerai li farà cadere, dentro e fuori la Chiesa.Mi piace, venerato fratello e caro amico, concludere colle parole di Gregorio il

Teologo.«Ma ora…prendi con noi ed anzi, davanti a noi, il tuo popolo: lo Spirito Santo te lo ha affidato, gli angeli te lo conducono, il tuo stile di vita ti ha reso degno di riceverlo…Insegna ad adorare Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo, in tre Persone, in un’unica gloria e in un unico splendore. Cerca ciò che è perduto, rendi forte ciò che è debole, proteggi ciò che è forte». Possa tu «presentare al Signore un popolo scelto, gente santa, sacerdozio regale, in Cristo Gesù Signore nostro. A Lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.» [Disc.13,3; Tutte le orazioni, Bompiani, Milano 2000, 331].

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Ringraziamento al termine della Consacrazione EpiscopaleRoma, Basilica di San Giovanni in Laterano 7 dicembre 2012

Carissimo arcivescovo di Bologna,signori cardinali,cari fratelli nell’episcopato e nel sacerdozio,autorità tutte,cari amici,innanzitutto una parola: grazie di essere qui, per partecipare a questa festa. Festa

di Maria Immacolata, festa del Signore che chiama un uomo a partecipare al collegio episcopale e a condividere in modo particolare la sua vita, perché raggiunga a suo nome gli uomini per dire loro: «Io ti assolvo», «Questo è il mio corpo», «Vai, nessuno ti condanna ma non peccare più». Per dire loro: «Gesù è la via, la verità, la vita». Perciò, proprio per questa fede, voglio dire: Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo.

In queste semplici ma profondissime parole, che aprono a una realtà inesauribile, si racchiude il senso di questo gesto che assieme abbiamo vissuto, il senso della mia consacrazione episcopale. Ho un unico desiderio: entrare nella volontà di Dio, nella sua azione di Padre creatore e salvatore. Un’unica attesa: conoscere e far conoscere il Figlio. Un’unica sete: godere della gioia dello Spirito. Aiutatemi a vivere per questo e solo per questo.

Permettetemi ora di ringraziare, con essenzialità assoluta, come si addice a que-sto momento, le persone a cui devo i beni più grandi della mia vita.

Grazie al Santo Padre Benedetto XVI, che mi ha voluto aggregare al Collegio dei successori degli Apostoli e mi ha dato tanti segni della sua predilezione. Il suo magi-stero è luce per me. Esso si staglia nella Chiesa per chiarezza, profondità e semplicità.

Invoco dal cielo la protezione e la guida del beato Giovanni Paolo II, che tanto mi ha voluto bene.

Grazie al carissimo cardinale Carlo Caffarra che, presiedendo questo rito, mi ha ordinato vescovo con l’imposizione delle sue mani. A lui mi legano tanti anni di cono-scenza reciproca e di filiale affetto.

Grazie ai vescovi conconsacranti, il Nunzio in Italia, Adriano Bernardini, e il mio venerato predecessore, il vescovo emerito Adriano Caprioli.

Ringrazio i signori Cardinali presenti, in particolare il cardinale vicario, Agostino Vallini, che ha concesso questa Cattedrale, la Cattedrale del Papa, per la mia consa-crazione, le loro eminenze Julián Herranz, Camillo Ruini, Mauro Piacenza.

Ringrazio il mio metropolita mons. Antonio Lanfranchi e tutti i vescovi presenti o che si sono uniti a noi nella preghiera.

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Ringrazio l’Abate Generale dell’Ordine cistercense, padre Mauro Giuseppe Le-pori, il Supremo Cavaliere dei Cavalieri di Colombo, il Signor Carl Albert Anderson e signora e il dottor Guzman Carriquiry, vice presidente della Pontificia Commissione per l’America Latina e signora.

Ripercorrendo ora cronologicamente la mia esistenza, voglio ricordare le persone di mio padre e mia madre, a cui devo la vita, la trasmissione della fede e la gioia di vi-vere. A loro il mio grazie affettuoso e filiale. Assieme a loro rivolgo, in questo momento, la mia gratitudine a mio fratello e ai suoi familiari.

Saluto gli amici e i parenti di Leggiuno, in provincia di Varese, dove ho trascorso i primi bellissimi anni della mia vita. Sono qui convenuti con il parroco. Grazie di essere qui.

Saluto gli amici degli anni di Gioventù Studentesca e di Comunione e Liberazio-ne. Con questi due nomi, si apre il capitolo intenso, profondo e mai concluso del mio incontro con don Giussani e della mia figliolanza da lui. Egli è stato un gigante della fede e un profondo conoscitore dell’uomo e dell’avvenimento cristiano. Ha aperto la mia persona agli orizzonti sconfinati del mondo e della Chiesa.

Saluto gli amici di Bergamo, dove sono diventato prete, ordinato dal vescovo Clemente Gaddi. Saluto poi gli amici di Roma, dove vivo da 34 anni. Qui è nata la Fraternità san Carlo, l’opera a cui ho dedicato tante energie e che mi ha ripagato con consolazioni immense. Ricordo uno per uno i miei fratelli, preti e seminaristi. Dico loro: “Neppure una briciola di ciò che ho vissuto con voi andrà perduta. Vi porto nel mio cuore per l’eternità”.

Saluto infine e ringrazio tutti voi, miei amici che avete voluto essere presenti o unirvi a me in questo momento. Vorrei dire tanti nomi, ma non posso.

Saluto ora i miei nuovi fratelli di Reggio Emilia – Guastalla, a partire dal Vescovo ausiliare, ora arcivescovo eletto di Ravenna. I sacerdoti qui presenti o uniti a noi in pre-ghiera, i missionari, i seminaristi, le comunità religiose maschili e femminili, i diaconi, i laici, in particolare le famiglie. Per tutti già prego e tutti spero di conoscere presto, pur nei limiti imposti dalle imminenti responsabilità.

Il mio grazie, in particolare, all’Azione Cattolica diocesana che ha organizzato il viaggio dei reggiani per questa santa Messa.

Ringrazio monsignor Boiardi, don Invernizzi e don Mongiello - della Fraternità san Carlo - per l’aiuto che mi hanno dato in questa occasione.

Saluto ora le autorità qui presenti, il presidente Rocco Buttiglione e tutte le nume-rose altre autorità.

Con immenso affetto, rivolgo il mio saluto ai sindaci giunti dalla provincia di Reg-gio e Modena, in particolare il dott. Graziano Delrio, sindaco di Reggio Emilia e il dott. Giorgio Benaglia, primo cittadino di Guastalla. Saluto la presidente della Provincia, Signora Sonia Masini, il presidente della Camera di Commercio di Reggio Emilia, dott. Enrico Bini e i rettori delle università presenti, in particolare il prorettore dell’università

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degli studi di Modena e Reggio Emilia, prof. Luigi Grasselli. Con tutti voglio collabora-re, nel rispetto delle competenze di ciascuno, per il bene del nostro popolo.

Si conclude così una bella giornata, che apre una nuova fase della mia vita. Nien-te è cancellato, tutto è custodito per l’eterno. Ciascuno sappia di essere ospite gradito al mio ingresso in Diocesi che avverrà domenica 16 dicembre, con inizio alle 15.30 nel Santuario della Madonna della Ghiara. Alle 16.30 celebrerò la santa Messa nella nostra Cattedrale prendendo possesso della Diocesi.

Vi aspetto, alla fine della S. Messa, per salutarvi personalmente, presso il chiostro del seminario Maggiore posto accanto alla Basilica.

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Cronaca di una giornata memorabile

Il cammino reggiano-guastallese del vescovo Massimo Camisasca comincia dome-nica 16 dicembre, III d’Avvento, la domenica “gaudete” della liturgia, prosecuzione di sedici secoli di storia diocesana. È una giornata soleggiata al mattino, poi più nebbio-sa, decisamente rigida. Il nuovo pastore assaggia così, insieme, l’umidità dell’inverno reggiano e il calore un po’ invadente ma genuino della nostra gente. Chiunque abbia seguito le sue prime mosse, ben coglie che è un vescovo venuto, anzi mandato, a Reggio Emilia per farsi amare e perché il popolo di Dio possa continuare a fare esperienza della presenza di Gesù: “solo per questo”, come dirà in uno dei passaggi della sua prima omelia. Occhi grandi, espressivi, appare un uomo che ama il contatto diretto con le persone, che vuole ascoltarle e sa leggerne il cuore; un prete con una decisa caratura culturale ma anche una profonda spiritualità, che spera, come confida fin da subito, di avere un carico amministrativo leggero per potersi dedicare il più possibile all’incontro con i giovani, i preti, le famiglie, i bisognosi.

Complice l’assenza di precipitazioni atmosferiche, la giornata scorre al meglio, l’ospi-talità diocesana funziona: i volontari del gruppo di servizio - composto da giovani di Azione Cattolica e di Comunione e Liberazione, più gli scout e i “Samuel” - fanno la loro parte.Per il momento culminante d’inizio dell’episcopato, la concelebrazione delle 16.30, si raccolgono in Duomo almeno duemila persone; per l’occasione la navata centrale si presenta priva della cattedra episcopale, dal cui spostamento è stato ricavato lo spazio per altri 25 posti a sedere. La liturgia si svolge quasi per intero sul presbiterio, dove per il Vescovo è stato preparato un faldistorio (lo scranno episcopale sostitutivo della cattedra).

Fra i ricoverati dell’Opg: «Sono mandato per i perduti»

Ripercorriamo l’intensa giornata del 16 dicembre, seguendo passo per passo gli spo-stamenti e i discorsi di del nostro nuovo Vescovo: crediamo sia il modo migliore per conoscerlo da vicino e così accoglierlo con gioia in mezzo a noi.Inizia la sua prima giornata reggiana curvandosi sugli ultimi, monsignor Massimo Ca-misasca. I primi incontri, in luoghi-segno della carità cristiana, dicono molto della Chie-sa dei poveri prediletta dal Vaticano II e “riscoperta” in questo Anno della fede. I ricove-rati dell’Opg, i commensali della Caritas e i preti inabili e infermi. Con una sosta tra le monache di clausura. Per benedire, rendere grazie e portare una parola di speranza.Prima tappa all’Opg (l’Ospedale Psichiatrico Giudiziario), in via Settembrini, ore 9.30. Il Vescovo arriva in auto accompagnato da monsignor Ghizzoni e dai suoi collaboratori: don Daniele Scorrano, segretario particolare, Davide Matteini e don Simone Gulmini. Una task force dei media diocesani lo scorta da questo momento fino all’ora di pranzo,

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viaggiando al seguito insieme a quattro volontari del gruppo di servizio.Si entra nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario e non è facile mantenere il sorriso, man mano che si varcano porte di ferro e metal detector o si vedono sbarre su sbarre. Il Vescovo è accolto dal direttore degli Istituti penitenziari, Paolo Madonna, e dalla vice-comandante Mariarosa Iannaccone. Si scende in una comunità cristiana blindata, col suo parroco don Daniele Simonazzi e i suoi parrocchiani ricoverati. Prima di entra-re nella cappella dedicata al Beato Giovanni XXIII, dov’è in corso la Messa, i visitatori s’intrattengono nei corridoi della struttura, davanti ai cartelloni con le foto delle ore di svago. Monsignor Camisasca non perde un istante: dialoga con l’assistente capo To-nino Di Vito, chiede informazioni sui “ristretti”.Quando si entra in chiesa, fa bene al cuore mischiarsi alla comunità festiva. Un tavolo per altare, il cero pasquale, il grande presepe. Nel suo intervento il direttore ricorda che gli Opg stanno per esser chiusi, auspicando che le strutture che dovranno so-stituirli siano operative almeno per il 2014. Poi fa un riferimento alla “professionalità impregnata di umanità” di chi vi lavora. Luca e Andrea, due ricoverati, hanno preparato delle lettere toccanti. Luca: “Ho la fede, che nessuno mi può togliere, però rimane il problema della salute…”. Andrea: “Lei ci porta un segno di pace nella prova”. Il Vescovo li abbraccia a lungo, tenendo il loro capo sul suo petto.E questa è la sua risposta: “Chi è il vescovo, vicario di Cristo, se non colui che cerca l’uomo? La malattia mentale e la privazione della libertà sono strade di abissale oscu-rità, di perdutezza dell’io, che mi invitano a prendere coscienza del fatto che sono stato mandato in questa terra per cercare coloro che si sono perduti. L’uomo dolente, l’uomo solo, l’uomo malato, l’uomo disperato”. Poi si rivolge agli operatori con un incoraggiamento: “Ringrazio il cappellano, i medici, gli infermieri, il personale direttivo, la polizia carceraria, i volontari. A loro dico: sappiate che vi è chiesto un lavoro duro, forse ignoto e invisibile ai più, ma un lavoro grande, degno dell’uomo. All’uomo non è concesso che raramente di operare guarigioni, ma è concesso sempre di prendersi cura. In questo prendersi cura dell’altro sta la più gran-de manifestazione dell’umano”.

Nei luoghi-segno della Caritas: «I poveri sono Cristo»

Quando mancano dieci minuti alle undici la piccola carovana ha già svoltato in via dell’Aeronautica, quartier generale della Caritas diocesana, dove il Vescovo è accolto dal direttore Gianmarco Marzocchini e dalla responsabile del Centro di Ascolto Teresa Manelli. Dipendenti e collaboratori sono tutti schierati negli uffici. Dopo un primo scam-bio di battute, al piano superiore avviene l’incontro vero e proprio.Parla Marzocchini: “La sua visita ci incoraggia nel servizio alla carità”, esordisce, prima di passare in rassegna i servizi offerti ai poveri “mettendo al centro non l’assistenzia-lismo, ma la ricerca della promozione umana”. Ecco perché “solo l’umiltà e la picco-lezza” possono permettere di accostare degnamente i tanti bisognosi che s’incontrano

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settimanalmente.Monsignor Camisasca si è già sintonizzato con le parole ascoltate: “Vogliamo soccor-rere i poveri non tanto perché in essi vediamo Cristo, ma perché essi sono Cristo”. Definisce la carità “l’università del cristianesimo”. Poi aggiunge: “Dobbiamo tornare sempre ad alcuni grandi santi della Chiesa per capire cosa sia la carità: san Fran-cesco, san Vincenzo de’ Paoli, madre Teresa di Calcutta. Vengono alla mente le sue risposte alle domande di un giornalista: «Perché lo fate?». «Lo facciamo per Gesù». Qui, dunque, troviamo il dinamismo profondo della vita umana che è donare. Doniamo un po’ del nostro tempo a queste persone, condividiamo la loro vita e le loro necessità come Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, ha condiviso la nostra esistenza umana”.A piedi ci si sposta quindi alle vicine “Querce di Mamre”, su via Adua. Nei locali del Centro d’Ascolto monsignor Camisasca s’intrattiene anche con i custodi, Jo e Nana, prendendo per mano Manuel, uno dei loro figlioletti. Negli attigui poliambulatori per gli immigrati conversa con il direttore sanitario Italo Portioli. L’altra tappa è la Mensa festi-va, che nel 2013 compirà vent’anni. Gli avventori sono già a tavola, per questo il nuovo Vescovo si limita ad un breve messaggio per il Natale alle porte, in cui le parole “casa”, “amici” e “lavoro” formano l’ossatura del suo augurio. Fuori dalla mensa, in compenso, eccolo fermarsi a chiacchierare con Mustafà, marocchino, che – pasto del giorno an-cora nel vassoio - non si è ancora deciso a fare la tessera per i servizi Caritas.

Fra le monache di clausura: «Pregate per questo vescovo»

Attraversando sole e nebbia, il viaggio continua verso Montecchio, con la guida del parroco don Corrado Botti. A mezzogiorno lo troviamo sulla porta del Santuario della B.V. dell’Olmo. È la tappa più “privata” - le Serve di Maria sono monache di clausura – ma dischiude un vero tesoro di spiritualità. Madre Rachele, nella cappella del con-vento, saluta il Vescovo a nome delle altre dodici consorelle, due delle quali reggiane, un’altra ormai centenaria. “La accogliamo nel luogo dal quale sette volte al giorno sale la nostra preghiera”, dice con voce sottile la superiora. Vivere in comunità, spiega, fa sentire i propri limiti, “ma più grande del nostro cuore, forza nella nostra debolezza, è la fedeltà di Dio”.“La vita monastica è l’essenza della vita cristiana”, le risponde il Vescovo, che senza alcun testo scritto sottolinea l’iniziativa di Dio a partire dal mistero dell’Incarnazione, soffermandosi sul valore della vocazione, della comunione e dell’itinerario di conver-sione dell’uomo che si apre al Divino. “Non ritenetevi una parte marginale o seconda-ria nella vita della Chiesa”, dice. Poi aggiunge una preghiera sorprendente, che è un po’ un identikit del suo ideale di pastore: “Chiedete a Dio che io sia un vescovo lieto, accogliente, intelligente, che sa pregare, che sa individuare ciò che è essenziale, che cammina verso Dio e porta con sé il popolo in unità, con tutte le diversità che nell’unità sono ricchezza, e con tutte le domande degli uomini che attendono risposta”.Il canto dell’Angelus completa l’incontro, poi torna a regnare il silenzio, il bene così importante per la vita di fede, “l’aria respirabile di tutti i giorni”.

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Fra i preti anziani e malati: «Ringrazio tutti i sacerdoti»

Con qualche minuto di ritardo sul ruolino di marcia approdiamo infine alla Casa San Giuseppe di Montecchio. Prima d’incontrare i preti infermi, a dire il vero, Mons. Cami-sasca visita la casa protetta, ricordando i sette anni in cui la madre fu ricoverata in una struttura simile, a Milano, quando lui abitava già a Roma. Anche qui, c’è un gesto di af-fetto per ognuna delle ospiti. La più ciarliera è Maria Beggi (“Lavoravo nel commercio, sa…”, si giustifica), con cui gli argomenti spaziano dalla dieta ai canti un po’ stonati. Arrivati alla cappella di preghiera, il Vescovo sosta qualche istante davanti al Santis-simo, poi saluta l’ottantanovenne monsignor Fabiano Tortella, il vescovo emerito Gio-vanni Paolo Gibertini, 90 anni, e il delegato per il clero anziano e ammalato don Walter Rinaldi, dal quale riceve il saluto.“Il mio episcopato – dice monsignor Massimo davanti ai preti commensali, tra cui mon-signor Claudio Iori - si inserisce in una lunga, gloriosa storia di centinaia di anni. Di questa storia – fatta di vescovi, di migliaia di preti e religiosi, ma soprattutto segnata dalla continua presenza, su questa terra, del popolo cristiano – voglio farmi discepolo. Per essere maestro devo essere discepolo. So di essere l’ultima onda di un grande fiume che mi precede. Nello stesso tempo so che questa storia non devo ripeterla, ma riviverla con voi in modo nuovo, così che parli ancora al nostro cuore e al cuore e alla mente degli uomini”.C’è poi un messaggio più generale sul servizio del prete: “Attraverso questi sacerdoti anziani e malati desidero ringraziare tutti i sacerdoti della nostra Chiesa per la loro fede, la loro carità, la loro operosità. Immagino attraverso quali sacrifici possa spesso passare la loro vita! A voi che vivete in questa casa e a tutti i sacerdoti malati e infer-mi voglio dire: il sacerdozio non è solo predicazione, celebrazioni liturgiche, rapporti educativi. Esso è soprattutto offerta di sé, intercessione, ponte tra la terra e il cielo. Accettando questo tempo di ritiro forzato dalla vita pastorale, voi non smettete di es-sere sacerdoti. Lo siete in modo eminente. Nell’identificazione alla passione di Gesù, partecipate efficacemente alla missione del vescovo e del popolo cristiano”. Il pranzo chiude il primo tempo della giornata, ma ben presto è ora di riprendere il cammino.

L’omaggio e l’affidamento a Maria: «Reggio, non dimenticare la tua Madre!»

“Reggio, non dimenticare la tua Madre!”. Risuona potente l’esortazione del Vescovo, quando alle 15.30 arriva in una Basilica della Ghiara già gremita di fedeli e, in parti-colare, di gruppi giovanili con i loro educatori. Soprattutto, è un invito accompagnato dall’esempio. Già al mattino il pastore ha pregato l’Angelus con le Serve di Maria, e ora – appena messo piede nel Santuario custodito dai padri serviti – s’inginocchia davanti a Colei che adora il Figlio divino che ha generato e le porge tre omaggi per affidare alla Ma-donna se stesso e il suo servizio episcopale in terra reggiano-guastallese. Il più vistoso è un vaso di 66 rose, tante quante gli anni compiuti da questo sacerdote. Poi ci sono

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la corona del Rosario che fu regalata a sua madre da Giovanni Paolo II e un anello di fidanzamento, che monsignor Camisasca aveva già ricevuto in dono da una coppia di sposi suoi amici: un segno per invocare la benedizione della Madre celeste su tutte le famiglie della diocesi, spiega.Il Vescovo recita anche una preghiera alla Madonna della Ghiara, “regina di Reggio Emilia”, da lui scritta per quest’occasione (riportata più avanti).

L’incontro con i giovani in Ghiara: «Gesù è vivo! Io lo sperimento vivo!»

È quindi la volta dell’atteso incontro coi giovani, che hanno generosamente risposto alla convocazione in Ghiara. A nome di tutti parla Irene: “Siamo onorati di darti questo benvenuto. Ti accolgono insieme a noi anche i giovani che qui non sono presenti: quel-li malati, portatori di disabilità fisiche e mentali, quelli che la sofferenza ha allontanato dalla Chiesa e dal Vangelo”, compresi coloro che non sono interessati all’arrivo di un vescovo o che vivono senza alcun progetto, prosegue Irene, per aggiungere, ecume-nica: “Di tutti i giovani reggiani, anche dei nuovi cittadini venuti da altre parti del mondo e che professano altre religioni, oggi diventi a tutti gli effetti padre e pastore”.Seguono le intercessioni che si confanno al dialogo con un vescovo: “Aiutaci a com-prendere la Parola di Dio, guidaci nel vivere come fratelli, nella carità gli uni per gli altri. Rinnova in noi l’energia e il vigore per essere missionari presso i nostri amici e fino agli estremi confini della terra”. E il Vescovo prende subito in parola la ricerca di senso e di autenticità espressa dalla ragazza. La risposta è Gesù Cristo: “Io lo credo vivo perché lo sperimento vivo”, ripete. Presenta se stesso come un uomo, un cristiano che vuole scoprire il significato della sua vita e aiutare loro, i giovani, a trovarlo dove essi vivono: a scuola, all’università, nel lavoro, a casa, con i coetanei. Il Signore non appartiene al passato, ma ha qualcosa da dire anche oggi, a ciascuno. Pronta anche una proposta concreta di monsignor Massimo per riscoprire “Gesù di Nazaret, il Figlio di Dio”: nei mesi di febbraio e marzo, guiderà delle catechesi quaresimali rivolte ai giovani, in Cattedrale.“Chiediamo alla Madonna la grazia di poter compiere questo itinerario insieme”, con-clude Camisasca, non prima di aver ringraziato per la calorosa accoglienza, fra gli applausi.Mancano pochi minuti alle quattro del pomeriggio; mentre la Ghiara si svuota, s’ingros-sa la via Emilia. La falcata di Camisasca, sempre seguìto da monsignor Ghizzoni, pro-cede spedita tra le vetrine natalizie. Dietro di lui i giovani lo accompagnano a un passo più rilassato: nel freddo umido che li avvolge, fa sensazione un manipolo di scout del servizio d’ordine, in pantaloncini corti.

Il saluto alle autorità: «La Chiesa è per la rigenerazione della persona»

Sulla piazza del Duomo circa mille persone stringono il nuovo vescovo in un primo bagno di folla sul sagrato. Bisogna considerare che da un’ora e più i posti a sedere in

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Cattedrale, un altro migliaio, sono tutti occupati per la solenne concelebrazione d’inizio episcopato. E aggiungere circa 700 fedeli che seguiranno la Messa dalla Basilica di San Prospero, attrezzata con maxischermo per la diretta radiotelevisiva, garantita da-gli operatori dei media diocesani, senza contare telespettatori e ascoltatori sintonizzati da casa con la chiesa madre di Reggio.Ore 16.15, si avvicina l’insediamento ufficiale. Come da programma, le autorità danno il loro benvenuto – non meno caloroso di quello dei giovani - al nuovo cittadino Cami-sasca.Inizia il sindaco Graziano Delrio, ripercorrendo le tappe salienti di un’insigne storia cittadina, dalla Sala del Tricolore all’impronta cooperativa dell’economia locale: “Sia-mo impegnati - è la sintesi - perché Reggio Emilia possa essere una città che crede nell’intelligenza e nella compassione per risolvere i problemi della comunità”. Benché questi ultimi si facciano sentire, a cominciare dal problema del lavoro che anche in casa nostra sta diventando enorme, con più di 28mila disoccupati.“Credo che lei - afferma ancora il primo cittadino - abbia individuato già bene ciò di cui abbiamo bisogno: educazione, cultura e convivenza” e ciò richiede di fare un lavoro di rete, con la tenacia tipica reggiana, tra le istituzioni pubbliche e una “Chiesa reggiana vivissima”, con le scuole Fism, la Caritas, le mense per i poveri, le Case della Carità e l’impegno dei Servi della Chiesa.L’ultima pennellata di Delrio è sul “dialogo tra le differenze”, assumendo a paradigma un commovente incontro fra don Luigi Giussani e don Giuseppe Dossetti senior, svol-tosi nel 1987 a margine del Congresso Eucaristico di Bologna.Rassicurante pure il saluto della presidente della Provincia di Reggio Emilia, Sonia Masini: “Lei troverà nei reggiani - credenti e non credenti - menti aperte e cuori pronti ad ascoltare il suo messaggio. Troverà donne, uomini e tanti giovani pronti ad impe-gnarsi per gli altri, per il bene della collettività. È, questa, da generazioni, la forza della nostra terra, è questo lo spirito che la anima: mettere le scelte comuni davanti a quelle individuali”.Se si vuole, è più che altro un elogio del popolo reggiano, “pragmatico e concreto” e insieme “generoso e solidale”. Ma è da queste basi che si è sviluppato un “meraviglio-so sistema di associazionismo e di volontariato in grado di aiutare chi ha bisogno e di fronteggiare al meglio le emergenze”, come quella del sisma 2012.Certo, la crisi non favorisce i rapporti umani; perciò la collaborazione della Chiesa rimane fondamentale per evitare un pericoloso isolamento. Anche la Provincia tende una mano: “L’aiuto che, a nome dei reggiani, mi sento di chiederle, è dunque quello di sostenere la nostra comunità a continuare ad aprirsi, tenendo ben salde le regole del vivere civile apprese dalla Costituzione dell’Europa democratica”, dichiara ancora Sonia Masini.La risposta di monsignor Camisasca al benvenuto delle autorità coglie due aspetti: il primo è la profferta della più completa “collaborazione alle istituzioni civili, politiche e amministrative della nostra città e della nostra regione”, condensato nell’immagine del camminare insieme che conclude l’intervento. Prima, però, il Vescovo ripercorre la

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distinzione tra l’ambito religioso e quello civile, propria del principio di laicità. Lo fa ci-tando non solo la famosa frase di Gesù “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” (Mc 12,17; Lc 20,25), ma anche il modello di Matilde di Canossa, icona della libertà della Chiesa dal potere imperiale, e soprattutto riconoscendo lo specifico della comunità cristiana: “La Chiesa – questo il cardine del pensiero del Vescovo - non ha responsabilità di governo nella società civile, ma collabora efficacemente alla sua vita attraverso la rigenerazione della persona umana nella fede, nella speranza, nella carità. Il cristiano rimane un peccatore, ma porta dentro di sé la tensione al cambia-mento del proprio cuore e perciò dei rapporti con i propri fratelli, uomini e donne. È questo il contributo più importante che può dare la Chiesa allo Stato”.

L’ingresso e i saluti in Cattedrale: «Questa Chiesa è ora nelle tue mani»

Alle 16.33 si spalanca la porta della Cattedrale. Mentre un fiume di persone cerca di sistemarsi nelle navate e cappelle laterali o nella cripta sotterranea, in pochi istanti si compiono i riti di accoglienza: monsignor Antonio Lanfranchi, arcivescovo-abate di Mo-dena-Nonantola e metropolita della Provincia ecclesiastica dell’Emilia, presenta Cami-sasca al Priore del Capitolo della Cattedrale reggiana, monsignor Francesco Marmi-roli. Dopo il bacio del Crocifisso, il Vescovo passa per la navata centrale aspergendo i presenti con l’acqua benedetta. Durante il canto delle Litanie dei Santi reggiani, il presule è condotto alla cappella del Santissimo Sacramento per un breve momento di adorazione. La processione iniziale si muove dalla sagrestia. Per accompagnarla il Coro dioce-sano, che anima la concelebrazione con un repertorio rinnovato per la circostanza, propone il brano “Sapienza dell’Altissimo”, mentre come apertura l’assemblea canta “Gerusalemme”. Numerosi i sacerdoti concelebranti, fra i quali anche il responsabile della Fraternità di Comunione e Liberazione, don Julián Carrón. La liturgia si svolge per buona parte sul presbiterio, dov’è stato preparato un faldistorio per il nuovo ve-scovo di Reggio Emilia-Guastalla. Alla sua destra prendono posto il cardinale Camillo Ruini, il vescovo di Parma Enrico Solmi e quello di Sapa (Albania) Lucjan Avgustini; opposti siedono l’arcivescovo Lanfranchi, il vescovo emerito di Ferrara-Comacchio Paolo Rabitti e monsignor Lorenzo Ghizzoni, insieme al parroco della Concattedrale guastallese don Alberto Nicelli.Il cerimoniale odierno ha le sue peculiarità: così, solo dopo che monsignor Marmiroli ha letto la traduzione in italiano della Lettera Apostolica di nomina e di insediamento del vescovo Camisasca, questi è invitato da Lanfranchi a prendere il posto della pre-sidenza, dove indossa la mitra e riceve il pastorale. L’acclamazione “Jubilate Deo” è condita da un battimano spontaneo.Ma le introduzioni non sono finite. Monsignor Lorenzo Ghizzoni, già Ausiliare del ve-scovo Caprioli, consegna al nuovo pastore un ritratto approfondito e lusinghiero della Diocesi. Quattro, sostanzialmente, i punti essenziali: la sua “immersione nella Parola di Dio”, cioè il taglio tipicamente biblico della spiritualità locale, anche nella formazione

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dei laici; l’apertura al mondo delle missioni, con i preti fidei donum, le Case della Cari-tà, i Servi della Chiesa e Reggio Terzo Mondo; la valorizzazione della liturgia, cui l’Isti-tuto diocesano intitolato a don Luigi Guglielmi ha dato notevole impulso; ultima ma non ultima, la dimensione caritativa, che nel sentire ecclesiale viene associata alle altre tre. L’arcivescovo eletto di Ravenna-Cervia riserva una menzione speciale ai diaconi permanenti - numericamente ormai quasi pari ai parroci, dunque sempre più strategici per il servizio pastorale - e all’impegno dei cattolici in campo sociale. “Questo deposito è ora nelle sue mani e nelle nostre mani: lo Spirito di Dio ci aiuti a custodirlo con una sana fedeltà creativa”, è l’auspicio finale di monsignor Ghizzoni.Il microfono passa a Virginia Scardova, segretaria dell’ultimo “tratto” del Consiglio pa-storale diocesano. Il suo è un atto di fiducia filiale nel vescovo, come colui che insegna a “innestare la vita personale e pubblica sul fondamento di Cristo” e a custodire il bene della comunione. “Anche noi sentiamo nel cuore il desiderio di giustizia che possa condurci alla pace, il desiderio di una logica nuova frutto dell’amore”.Durante il salmo 23 salutano poi il Vescovo alcuni rappresentanti del clero, dei religiosi e della vita consacrata, dei laici.

La Celebrazione eucaristica: «Non lasciatevi cadere le braccia!»

Da questo momento in avanti, la liturgia scorre su binari più consueti. Le letture e il salmo sono letti dal presbiterio, mentre il vangelo viene proclamato dal pulpito.La prima omelia di monsignor Camisasca (a pagina 9 il testo integrale) colpisce per essenzialità e finezza sapienziale: “Per scoprire le tracce di Dio presente e mostrarle agli uomini” - ecco la sua ricetta, particolarmente adatta nel tempo che prepara il Nata-le – “occorre silenzio, occorre preghiera, occorrono compagni di viaggio”. Fino all’esor-tazione biblica: “Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla, non lasciarti cadere le braccia!”. E ancora: “Diciamo assieme: mia forza e mio canto è il Signore!”. Il segreto della letizia, dunque, sta nei prodigi del nostro Salvatore.Multietnica e “pluri-vocazionale” la processione dei doni, allietata da un canto della comunità ghanese. Eloquente, nella sua semplicità, la preghiera eucaristica. Il finale è ancora mariano, con il Magnificat dopo la comunione e la Salve Regina, tutti rivolti verso l’abside della Cattedrale, dov’è incastonata la preziosa pala della patrona Santa Maria Assunta.Al termine, il cancelliere della Curia monsignor Carlo Pasotti appone il sigillo al regi-stro d’ingresso, firmato all’altare dal Vescovo, dai membri del Collegio dei Consultori, dall’Arciprete del Duomo e dal Priore del Capitolo.

La festa finale: il Vescovo ha già conquistato tanti reggianiSono le 18.45. La lunga giornata di monsignor Camisasca, però, continua senza ri-sparmio d’incontri: prima i fedeli radunati in San Prospero, poi il ricevimento nel Se-minario diocesano, a protrarre la festa fino all’ora di cena. Il buffet apparecchiato tra

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l’atrio e i due corridoi all’ingresso contribuisce a scaldare il gelo che, col buio, ha inghiottito Reggio.Qualche prete della Fraternità di San Carlo confronta il clima laziale col nostro. Si sa, non c’è paragone. Come accoglienza, invece, la “partita” finisce in parità tra i due Seminari. Quando arriva il Vescovo, a Roma come a Reggio, la gente accorre per sa-lutarlo. L’impressione è che abbia già fatto breccia in tanti reggiani, col suo fare attento e alla mano nello stesso tempo.Dulcis rigorosamente in fundo, con il taglio della torta episcopale. In questo movimen-tato Avvento 2012, la “domenica della letizia” scelta dal Vescovo è davvero riuscita bene.

Edoardo Tincani

da “La Libertà” N. 45 del 22 dicembre 2012

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Discorsi nel solenne ingresso in Diocesi16 Dicembre 2012

ALL’OSPEDALE PSICHIATRICO GIUDIZIARIO

Cari fratelli,ho desiderato iniziare da qui il mio ministero di vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, dal luogo dove più profonda è la prova.

Chi è il vescovo, vicario di Cristo, se non colui che cerca l’uomo? La malattia mentale e la privazione della libertà [anche se provocata dalla giusta preoccupazione dello Stato di punire colui che ha sbagliato, per indurlo a cambiare] sono strade di abissale oscurità, di perdutezza dell’io, che mi invitano a prendere coscienza del fatto che sono stato mandato in questa terra per cercare coloro che si sono perduti. L’uomo dolente, l’uomo solo, l’uomo malato, l’uomo disperato. Cerco gli uomini per dire loro: A voi, gli «sconosciuti del dolore» (Paolo VI, Messaggio ai poveri, ai malati e a tutti coloro che soffrono a chiusura del Concilio Vaticano II, 8 dicembre 1965), voglio portare il perdo-no e l’eucarestia di Gesù, voglio dire: non disperate, perché Dio si è fatto uomo per esservi vicino”.

Ringrazio perciò il direttore di questo ospedale psichiatrico, per le parole che mi ha rivolto e per il suo lavoro quotidiano. Ringrazio il cappellano, i medici, gli infermieri, il personale direttivo, la polizia carceraria, i volontari. A loro dico: sappiate che vi è chiesto un lavoro duro, forse ignoto e invisibile ai più, ma un lavoro grande, degno dell’uomo. All’uomo non è concesso che raramente di operare guarigioni, ma è con-cesso sempre di prendersi cura. In questo prendersi cura dell’altro sta la più grande manifestazione dell’umano.

Io pregherò ogni giorno per voi, persone qui recluse e persone che qui lavorate. Sap-piate che nessun sacrificio o dolore è perduto, nessuno è senza peso e senza valore.

Con la mia benedizione.

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AL COMPLESSO DEI POLIAMBULATORI E MENSA CARITAS

Desidero iniziare il mio servizio alla Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla incontrandomi con i poveri, con i bisognosi e con coloro che si prendono cura delle loro persone.Il mio saluto e il mio grazie al direttore della Caritas diocesana, Gianmarco Marzocchi-ni, e agli operatori che prestano il loro servizio qui e nel centro di ascolto diocesano.

Più che interessati alla povertà, vogliamo curvarci sui poveri. E vogliamo soccorrere i poveri non tanto perché in essi vediamo Cristo, ma perché essi sono Cristo. L’avete fatto a me (Mt 25,40): “ogni volta che avete dato da bere, da mangiare, che avete dato un letto, una buona parola, un conforto… a uno di loro, l’avete fatto a me”. Come rac-conta la Tradizione, San Lorenzo, diacono a Roma, ai magistrati che gli intimavano di consegnare i beni ecclesiastici per aver salva la vita, additò i poveri della città come il vero tesoro della Chiesa: Ecco questi sono i nostri tesori: sono tesori eterni, non ven-gono mai meno, anzi crescono (cfr. Jacopo da Varazze, Legenda aurea CXVII).

Dobbiamo tornare sempre ad alcuni grandi santi della Chiesa per capire cosa sia la carità: san Francesco, san Vincenzo de’ Paoli, madre Teresa di Calcutta. Vengono alla mente le sue risposte alle domande di un giornalista: «perché lo fate?». «Lo facciamo per Gesù» (cfr. Edward Le Joly, Lo facciamo per Gesù. Madre Teresa e le Missionarie della carità, San Paolo, 2003).Qui, dunque, troviamo il dinamismo profondo della vita umana che è donare. Doniamo un po’ del nostro tempo a queste persone, condividiamo la loro vita e le loro necessità come Gesù, il Figlio di Dio fatto uomo, ha condiviso la nostra esistenza umana. Qui, nella carità, c’è la scuola dell’esistenza cristiana.

Con la mia benedizione.

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ALLA CASA DEL CLERO INABILE E INFERMO PRESSO LA CASA S. GIUSEPPE DI MONTECCHIO

Cari fratelli, ho voluto iniziare anche da qui il mio cammino verso la Cattedrale, verso la Diocesi, verso questa mia nuova responsabilità. Saluto i responsabili di questa casa e tutti coloro che la abitano. Ringrazio don Walter Rinaldi, delegato vescovile per i sa-cerdoti anziani e malati, per le parole di benvenuto che mi ha rivolto.

Il mio episcopato si inserisce in una lunga, gloriosa storia di centinaia di anni. Di que-sta storia – fatta di vescovi, di migliaia di preti e religiosi, ma soprattutto segnata dalla continua presenza, su questa terra, del popolo cristiano – voglio farmi discepolo. Per essere maestro devo essere discepolo. So di essere l’ultima onda di un grande fiume che mi precede. Nello stesso tempo so che questa storia non devo ripeterla, ma riviver-la con voi in modo nuovo, così che parli ancora al nostro cuore e al cuore e alla mente degli uomini.

Sono qui, poi, per ringraziare. Innanzitutto il vescovo emerito, monsignor Paolo Giber-tini, che simbolicamente mi introduce nella storia e nella vita della Chiesa reggiana-guastallese. Attraverso questi sacerdoti anziani e malati desidero ringraziare tutti i sa-cerdoti della nostra Chiesa per la loro fede, la loro carità, la loro operosità. Immagino attraverso quali sacrifici possa spesso passare la loro vita! A voi che vivete in questa casa e a tutti i sacerdoti malati e infermi voglio dire: il sacerdozio non è solo predica-zione, celebrazioni liturgiche, rapporti educativi. Esso è soprattutto offerta di sé, inter-cessione, ponte tra la terra e il cielo. Accettando questo tempo di ritiro forzato dalla vita pastorale, voi non smettete di essere sacerdoti. Lo siete in modo eminente. Nell’iden-tificazione alla passione di Gesù, partecipate efficacemente alla missione del vescovo e del popolo cristiano. Di questo vi sono immensamente grato.

Cari fratelli, tutto sarebbe veramente troppo gravoso se non ci fosse dato di godere del dono della comunione, dell’amicizia, del sostegno vicendevole. A tutto ciò vorrò dedi-care il tempo più importante delle mie giornate.

Tutti benedico di cuore.

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INCONTRO NEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLA GHIARA

Cari fratelli e sorelle voglio cominciare il mio ingresso nella città da questa Chiesa che è la Cappella Sistina di Reggio, la chiesa più bella della nostra città, bella soprattutto perché è dedicata a Maria. Lei è la porta della città e allora da qui ho voluto entrare. Maria è la porta che non si chiude mai, colei che sempre soccorre. È colei che possia-mo chiamare sempre “Madre”, cui sempre possiamo chiedere le grazie di cui abbiamo bisogno. Ho voluto, innanzitutto, portarle dei fiori: sessantasei rose, gli anni della mia vita, la mia vita stessa; Le ho portato poi un anello, l’anello di fidanzamento che una coppia di sposi mi ha regalato. È l’anello del loro fidanzamento: ho voluto dire a Maria: proteggi e aiuta le famiglie di Reggio e di tutta la Diocesi. Ho poi portato a Maria in regalo la corona del rosario che Giovanni Paolo II regalò tanti anni fa a mia madre per chiederle di insegnarci, attraverso il Rosario, la strada verso suo Figlio. Verrò in questa chiesa il 31 di dicembre per parlarvi del Rosario.

Questa sera voglio dire: Reggio, non dimenticare tua madre! Lei ti condurrà ai beni di cui hai bisogno, ai beni che non passano, ai beni che consolano e che arricchiscono, alle verità che non sono cancellate dal tempo. Ora preghiamo assieme Maria, perché ci conduca a conoscere Suo Figlio. Qui, alla Ghiara, la vediamo mentre adora Colui che ha generato adoravit quem genuit. Lo riconosce come Dio e presenta se stessa alla nostra venerazione come Madre di Dio. Preghiamo assieme…

Ave Maria…

Preghiera scritta dal vescovo per questa occasione

Madonna della Ghiara, regina di Reggio Emilia, Madre del nostro popolo e della nostra terra, che hai confortato la fede degli umili con i miracoliche la tua preghiera ha ottenuto da Dio,vieni anche oggi in nostro soccorso.Mostra la tua maternità, dona il tuo aiuto a tutti coloro che ti invocano,confidando soltanto nel tuo sguardo misericordioso.Soccorri i poveri, i malati, coloro che sono soli, disperati.Fatti conoscere da quelli che non ti conoscono. Vieni incontro a chiunque ti invoca stretto dalla necessità.

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Mostra a noi tuo Figlio. Durante questo anno della Fede rinnova la fede del tuo popolo reggiano-guastallese, dona a tutti una fede viva, forte, consapevole, che apra la nostra vita alla speranza e alla carità.Prenditi cura dei sacerdoti, dei seminaristi,dei giovani, dei bambini, delle famiglie.Guarda al nuovo vescovo che confida nel tuo aiuto di Madre.Guidaci tutti verso tuo Figlio. Siamo tutti tuoi figli, il tuo popolo santo, benché fatto di peccatori, su questa terra emiliana.Liberaci dal male, dal peccato, dalle calamità, in particolare dai terremoti.Di te si è detto: “adoravit quem genuit”, ha adorato colui che ha generato. Rendici uomini e donne che riconoscono in Dio il Creatore e il Salvatore fatto uomo.Egli risplende nell’umiltà del presepe,nell’umiliazione della croce, nella luce gioiosa della resurrezione.Amen.

Intervento di una ragazza a nome di tutti i giovani

Carissimo Vescovo MassimoIgiovanireggianitidannoilbenvenutonellalorocittàeinquestamagnificabasilicadedicata allav vergine della Ghiara, tanto cara ai nostri concittadini. Qui davanti alla madre che si meraviglia e adora il mistero che ha generato noi ti accogliamo come pastore e Vescovo della nostra chiesa.Siamo onorati ad essere proprio noi giovani a darti questo primo benvenuto,ti accol-gono insieme a noi anche i giovani che qui non sono presenti; quelli malati, portatori didisabilitàfisicheementali,quellichelasofferenzahaallontanatodallachiesaedalVangelo, quelli che stanno svolgendo un servizio missionario in tante parti del mondo e sono con noi nello spirito. Ti accolgono forse anche a loro insaputa quelli che non sono qui perché non non credo a nulla, quelli che hanno scelto altri progetti di vita o quelli che vivono senza alcun progetto. Di tutti i giovani reggiani anche dei nuovi cittadini venuti da altre parti del mondo e che professano altre religioni, oggi diventi, a tutti gli effetti, padre e pastore. In questo tempo in cui il futuro ci appare pieno di incertezze e minacce, ti chiediamo di accom-pagnarci e guidarci come un padre autentico e fedele. Aiutaci a comprendere la Parola di Dio, guidaci nel vivere come fratelli nell’amore e

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nella carità gli uni per gli altri. Rinnova in noi l’energia e il vigore per essere missionari pressoinostriamiciefinoagli’estremiconfinidellaterra’.Ciaffidiamoatepersce-gliere con saggezza la via che porta al Cristo e per non allontanarci dal Suo disegno. Facci sentire la passione e la gioia di rispondere con generosità alla chiamata di Gesù a essere suoi discepoli. Speriamo di unirci nella Celebrazione eucaristica, stupendo mistero che tu ci sveli e di raccoglierci intorno alla mensa come un’unica Comunità. Ti accompagniamo con gioia alla chiesa Cattedrale, per ritrovarci un solo corpo attorno alla mensa del Pane spezzato per noi. Grazie. Benvenuto in mezzo a noi. Ti stringiamo in un grande abbraccio.

Il Vescovo

Naturalmente il più felice sono io: felice di cominciare qui, con Maria e con i giovani, con voi. Mi sono fatto tante domande. Una ve la voglio dire: che cosa c’entra quest’uo-mo vestito di rosso, con questi giovani? C’entra: perché sono stato mandato, non sono venuto di mia iniziativa. E allora quello che c’entra, tra me e voi, è Colui che mi ha mandato per voi, per i vostri amici, per i vostri compagni, per i vostri genitori. Mi ha mandato perché quell’uomo che è vissuto duemila anni fa, noi lo crediamo ancora vivo; lo credo vivo perché lo sperimento in me, vivo ancora oggi. Le sue parole hanno la forza di riempire la mia vita, ancora oggi le sue azioni sono come un’onda che arriva fino a me e trasforma le mie giornate. Quest’uomo, Gesù di Nazareth, che ha detto di essere Figlio di Dio, e che ha mostra-to con la sua sapienza e con le sue azioni, soprattutto con la sua Passione e Resurre-zione, di esserlo veramente, interpella anche noi oggi e dice: ‘Anch’io voglio parlare a te e voglio farlo anche attraverso quest’uomo che ti ho mandato da Roma, attraverso questo nuovo Vescovo così come hanno fatto i suoi predecessori da 1600 anni’. Non stiamo parlando di una cosa di ieri, ma di oggi, così attuale che anch’io devo risco-prirla: non mi basta aver creduto, non mi basta aver detto sì ieri, l’altro ieri, anni fa. Lo voglio ridire oggi e lo voglio ridire con voi, e voglio riscoprire con voi questo uomo-Dio, Gesù di Nazareth. È per questo che vi invito agli incontri che terrò in Cattedrale tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo, quattro venerdì di Quaresima in cui assieme scopri-remo e riscopriremo Gesù di Nazareth, il Figlio di Dio fatto uomo. Che cosa ha da dire alla nostra vita, alla mia, alla tua? Qual è il fascino che sta dietro alle sue parole, al suo sguardo, alle sue azioni, per cui milioni di uomini lo hanno seguito come un fiume che è arrivato fino a noi? Possiamo permetterci di lasciarlo nel passato, di considerarlo semplicemente un grande maestro di sapienza, un profeta di morale o è qualcuno che ha qualcosa di più da dirci e da donarci, qualcuno che ha la pretesa di essere essenziale alla nostra vita, che ha detto Io sono la via, la verità e la vita? Sono solo accenni a questo itinerario che voglio percorrere con voi. Vorrei che que-sto invito attraverso di voi arrivasse anche ai vostri compagni di classe, agli amici di

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gioco, a coloro che vi sono più vicini, credano o non credano. La sfida che sta davanti a noi è uguale per noi e per loro. Se Gesù è ancora vivo ha qualcosa da dire oggi. Non basta aver creduto, non basta aver creduto! Siamo tutti davanti a lui pieni di interro-gativi o non abbiamo più domande? Nella vita, forse ci siamo già acquietati, forse ci sembra che tutto sia risolto… Anche per noi che pensiamo di aver risolto tutto, Gesù ha qualcosa da dire. Anche per noi che siamo invece disperati, affamati, assetati, che abbiamo desiderio di scopri-re qualcosa che spieghi, giustifichi questo nostro essere qui, insieme agli altri egli ha qualcosa da dire. Per tutti ha una parola. Egli si è donato a noi. Vorrei riscoprire con voi la persona di Gesù e aiutarvi a incontrarlo là dove siete: nelle vostre parrocchie, nelle vostre scuole, dove lavorate, là con le persone che amate, là dove è più urgente e stringente la vostra attesa e il vostro desiderio, la vostra speranza, la vostra sete di vita. Con voi, sono sicuro, tornerò giovane: assieme potremo tornare giovani se ci con-fronteremo, ascolteremo e seguiremo colui che è l’unico eternamente giovane e vivo. Chiediamo alla Madonna la grazia di potere, per noi e per i nostri amici, compiere questo itinerario. Vi ringrazio infinitamente di questa accoglienza così calorosa. D’altra parte me l’aspettavo conoscendo l’accoglienza tipica di questa terra, che già ho visto in tante lettere, in tanti volti e che qui sperimento. Un’accoglienza che penso accom-pagnerà felicemente i miei giorni di Vescovo in mezzo a voi. Sono adesso in mezzo a voi, nella vostra città, e spero di potervi conoscere diretta-mente, spero di poter camminare con voi felicemente. Tanti auguri a tutti anche per il prossimo Natale.

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RISPOSTA AI SALUTI DEL SINDACO E DELLA PRESIDENTE DELLA PROVINCIA

SUL SAGRATO DEL DUOMO

Carissimo signor Sindaco,Carissima Signora, Presidente della Provincia,

vi ringrazio di cuore per le parole di augurio che così gentilmente avete voluto rivolger-mi nel momento in cui entro nella nostra Diocesi e prendo canonicamente possesso di questa Chiesa. Divento così parte di questo popolo e, in certo senso, nuovo cittadino di questa città, la città del tricolore.

La Cattedrale e il Palazzo del Comune aprono le loro facciate su un’unica piazza. È la traduzione urbanistica, tipica delle nostre terre e in generale di tante parti d’Italia, di un principio di distinzione e collaborazione che è una delle conquiste che l’Italia medie-vale e comunale ha regalato al mondo. Un’espressione visiva del principio che Gesù ha portato nella civiltà: Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio (Mc 12,17; Lc 20,25). Un principio che i popoli oppressi dagli Imperi andavano cercando. In quelle parole c’è la negazione della teocrazia, che pretende di anticipare a que-sto tempo la definitiva manifestazione del Regno di Dio e impone le forme del culto, identificando comunità civile e religiosa. Ma anche la condanna di una fede ridotta a credenza privata, interiore, nascosta, senza la tensione ad esprimersi in ogni campo dell’umano.Date a Dio ciò che è di Dio: se Dio è cancellato dalla vita dell’uomo e della società, siamo tutti perduti.

La storia, nel tempo, si è incaricata di far emergere l’Illuminismo racchiuso in quell’e-spressione di Gesù. Sì alla laicità dello Stato, che difende il diritto di ogni coscienza, no all’indifferenza delle leggi di fronte ai beni sacri della vita umana.La nostra è stata la terra in cui una donna, all’inizio del secondo millennio cristiano, ha lottato per la libertà della Chiesa dal potere imperiale. Matilde di Canossa è rimasta nei secoli il simbolo di questo desiderio di libertà della comunità cristiana.La libertà permette e favorisce il dialogo fra gli uomini. Nella nostra regione si sono aperte strade di collaborazione tra Chiesa e Istituzioni civili. Espressione di ciò sono le tante strutture educative e caritative messe a disposizione dei cittadini. Il desiderio di contribuire al bene della società civile sì è reso visibile anche a livello culturale, nella riflessione promossa dalla nostra Chiesa sul bene comune che è stato al centro di importanti convegni.

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La Chiesa non ha responsabilità di governo nella società civile, ma collabora efficace-mente alla sua vita attraverso la rigenerazione della persona umana nella fede, nella speranza, nella carità. Il cristiano rimane un peccatore, ma porta dentro di sé la tensio-ne al cambiamento del proprio cuore e perciò dei rapporti con i propri fratelli, uomini e donne. È questo il contributo più importante che può dare la Chiesa allo Stato. La continua generazione di un’umanità nuova costituisce, infatti, una linfa vitale che va ad irrorare i tessuti più nascosti della società civile.

Egregio Signor Sindaco e cara Presidente della Provincia, offro tutta la mia collabora-zione alle Istituzioni civili, politiche e amministrative della nostra città e della nostra re-gione. Camminiamo assieme. A nome della Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla, vi dico: nella fedeltà al Signore, nell’amore senza compromessi alla verità, vogliamo essere i collaboratori della vostra gioia (2Cor 1,24).

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OMELIA INGRESSO IN DIOCESI Cattedrale di Reggio Emilia, 16 dicembre 2012

Cari fratelli e sorelle,il Signore mi dona la grazia di fare l’ingresso nella Diocesi che Gesù mi ha affi-

dato, attraverso il mandato del Papa, nella domenica gaudete, nella domenica della letizia, della gioia.

Proprio la gioia è la nota principale delle letture che abbiamo ascoltato, anche del Vangelo, che esplicitamente non parla di essa, ma pur sempre di evangelizzazione, di una notizia che è fonte di esultanza.

Gesù sta per arrivare, dice il Battista (cfr. Lc 3,16). Gesù è arrivato, è qui, è vicino, sta per venire ancora. Dice Paolo ai Filippesi: Ve lo ripeto, state lieti, il Signore è vicino (cfr. Fil 4,4-5). Ci troviamo, così, nel cuore dell’Avvento, che è attesa e preparazione e infine scoperta di Gesù presente. Ma ci troviamo anche nel cuore del ministero del vescovo. È lo stesso ministero di ogni sacerdote, di ogni cristiano, della Chiesa intera: fare esperienza della presenza di Gesù e rivelarla al mondo. Sono venuto per questo e, oserei dire, solo per questo. Per questo e per tutto ciò che può aiutare questa rive-lazione.

Cosa occorre al vescovo, cosa occorre a voi, a voi preti e diaconi, a voi religiosi e laici per vivere questa bellissima esperienza, per scoprire le tracce di Dio presente e mostrarle agli uomini? Permettetemi di dirlo, almeno brevemente, sperando di avere presto l’occasione di tornare sopra questi accenni: occorre silenzio, occorre preghiera, occorrono compagni di viaggio.

Silenzio, perché la moltitudine di parole e di immagini non cancelli in noi la pos-sibilità di vedere e di udire. Solo un’educazione dello sguardo e del cuore può ridarci la capacità di innamorarci ancora della verità, della bellezza, della giustizia, del bene, che sono tutti nomi di Dio. Silenzio per ascoltare la voce di Dio che parla in molti modi, attraverso suo Figlio e lo Spirito. Parla attraverso la Chiesa nella Sacra Scrittura, nei sacramenti, nel magistero, nella vita dei santi sulla terra e in cielo.

Occorre, poi, la preghiera, il riconoscimento del nostro essere creature bisogno-se di Dio, che ci ha creati perché ci ama e ci ha salvati gratuitamente, senza nessun nostro merito, perché il suo amore non è fermato dal male. Senza Dio, si spegne la luce nella vita dell’uomo. Senza Dio la vita dell’uomo diventa incomprensibile e perfino, talvolta, insopportabile, con tutto il carico di ingiustizie che essa comporta.

Siamo nell’anno della Fede: vorrei aiutarvi a scoprire Dio, vorrei scoprirlo io con voi, vorrei farlo scoprire a chi non lo conosce. Vorrei aiutarvi a scoprire in lui il Padre, colui da cui veniamo, a cui andiamo, colui che guida la nostra vita senza sostituirsi alla nostra libertà, ma che è provvidente e misericordioso. Dio Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo.

Dal silenzio e dalla preghiera scaturirà, poi, il desiderio di conoscere.

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Vorrei riprendere in mano con voi il Catechismo della Chiesa Cattolica e i docu-menti più importanti del Concilio Vaticano II. Certamente in molte parrocchie e comuni-tà già lo si sta facendo. Durante l’anno liturgico commenterò i misteri della vita di Gesù con questi testi nelle mani.

La preghiera e il silenzio trovano nella celebrazione della Messa la loro massima espressione settimanale. Desidero vivere con voi la liturgia, avendo come stella polare l’insegnamento del nostro Papa Benedetto XVI. Celebrare con sobrietà, dignità, senza protagonismo, lasciando a Gesù e alla sua opera il centro della scena.

Se voglio pregare, studiare, predicare, celebrare l’eucarestia, se voglio privilegia-re i rapporti diretti e personali, se voglio incontrare la gente, dovrò rinunciare ad altro. Chiedo a Dio la grazia di un carico amministrativo leggero, di ridurre all’essenziale le riunioni, gli incontri di rappresentanza, i convegni. Dio mi aiuterà. Senza dimenticare nessuno, vorrei dedicare tempo ed energie ai preti, ai giovani, alle famiglie.

Conto di incontrare i primi, riuniti per zone, entro giugno, i giovani durante la Qua-resima, le famiglie nelle mie visite alle parrocchie, ma già domenica 30 dicembre qui in Cattedrale nei Vespri della Sacra famiglia.

Ho detto, infine, che occorrono i compagni di viaggio. Dio ci chiama personal-mente, ma non ci lascia individui isolati, chiusi in un dialogo intimistico con lui. Dio ci chiama per far parte del suo popolo. E il suo è un popolo eucaristico, formato da tante comunità

radunate attorno al vescovo, nell’obbedienza al suo ministero e in comunione col vescovo di Roma.

Compagni di viaggio sono tante persone a cui la nostra vita è legata e come consegnata nella comunione cristiana. Famiglie, parrocchie, comunità religiose, sa-cerdotali, Istituti religiosi, compagnie vocazionali, amicizie cristiane, associazioni, mo-vimenti, comunità laicali,… tante diverse forme canoniche ed esistenziali, espressione di un unico principio: a Dio si va come membra del suo popolo, pellegrino nel tempo verso l’eterno.

Dobbiamo riscoprire assieme la bellezza e la fecondità della nostra appartenenza ecclesiale.

È tempo ora di proseguire la nostra liturgia. Vorrei ritornare alla parola dell’inizio: la Chiesa ci invita alla letizia. Ma è possibile l’esperienza della letizia nel nostro tempo, nelle nostre condizioni di vita? Sì, se riconosciamo la realtà annunciata dai profeti e dall’apostolo: Dio è presente, è uno di noi, si è fatto uomo per essere vicino, incontra-bile, familiare. Non angustiatevi, allora, ma fate presenti a Dio le vostre necessità (cfr. Fil 4,6). Il Signore ha revocato la nostra condanna. Non temeremo più alcuna sventura (cfr. Sof 3,15).

Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente. Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore (Sof 3,16-17). Diciamo assieme: mia forza e mio canto è il Signore (Es 15,2; Ps 117,14; Is 12,2)! Amen.

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Auguri natalizi rivolti alla CuriaAula magna del Museo diocesano di Reggio Emilia, 21 Dicembre 2012

Ho preparato stamattina delle parole, ma non sapevo esattamente a chi avrei dovuto parlare e quindi debbo ora riflettere tra le parole che ho preparato e i vostri volti.

Vi ringrazio per questo appuntamento, che mi permette di vedervi, di conoscervi per-sonalmente. Come ho già accennato in altre occasioni, credo molto al rapporto perso-nale. Desidero ringraziarvi anche perché penso che la prima virtù, non solo di un Ve-scovo, ma di ogni cristiano, sia quella di riconoscere la gratuità delle persone. E quindi il primo mio desiderio è quello di riconoscere la vostra gratuità; gratuità di coloro che lavorano senza alcuna retribuzione, ma anche di coloro che sono retribuiti. ‘Gratuità’ spero che sia la caratteristica fondamentale del vostro lavoro: così si risponde a Dio, che gratuitamente ha dato la vita, gratuitamente ha dato la fede, gratuitamente ci ha fatto incontrare la possibilità di vivere la fede. Perciò rispondiamo a Lui con il tempo e le energie che doniamo. Penso che questa coscienza sia fondamentale: sapere che, attraverso questo lavoro, si serve Dio, si serve il Regno di Dio nel mondo e, perciò, questo lavoro è custodito per l’eternità. Altrimenti, scoraggiamenti, fatiche, delusioni potrebbero prendere il sopravvento nella nostra vita. Soltanto se entriamo in questa vera dimensione della gratuità –gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date, ci ri-corda il Vangelo (Mt 10,8) – comprendiamo il senso profondo del nostro lavoro. Questa è la prima cosa che volevo oggi realizzare: dirvi grazie.

Vivo il mio noviziato. Sono i primi tempi. È vero che per tanti anni, ventisette anni, sono stato Superiore di un Istituto che ho fondato, ma la curia che avevo allora era molto piccola ed era stata “creata” da me. Qui trovo una curia già fatta; anzi, ringrazio di aver accettato quello che poi ho stabilito per decreto, cioè la vostra conferma fino all’8 di settembre, la conferma del nostro Vicario generale fino al 15 di gennaio. Dopo nomi-nerò un Provicario generale fino all’8 settembre. Vi ringrazio di aver accettato questo: ciò mi permetterà di conoscervi, e quindi di scegliere l’équipe con cui lavorerò. Questo incontro avviene nell’imminenza del Natale, quindi ha, come ho detto, uno scopo au-gurale: esprimere la mia gratitudine, la mia preghiera per voi. Avviene in questo mio noviziato, in cui, a pochi giorni dall’inizio del mio ministero in questa Chiesa, cerco soprattutto di conoscere e di incontrare. Vi assicuro che dentro di me c’è il desiderio di conoscere e anche, forse, una certa ansia di conoscere, che cerco di tacitare. Vorrei essere in tutte le parrocchie, vorrei incontrarle presto, come vorrei presto rispondere alle lettere che mi arrivano, ma non mi è possibile; anch’io sono, come tutti, nello spa-zio e nel tempo, e l’obbedienza a Dio è anche quella di obbedire alle proprie condizioni materiali di vita. Perciò oggi sono presente nelle parrocchie e nelle comunità sparse per la diocesi soprattutto con la preghiera.

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In questo momento posso innanzitutto pregare. Pregare per i parroci, per i loro colla-boratori, per il popolo loro affidato; pregare per i nostri missionari; pregare per la vita della diocesi. Poco a poco li incontrerò, cercherò di maturare in me dei giudizi, delle riflessioni, ma adesso devo accontentarmi della necessaria lentezza di questa cono-scenza, non posso passare sopra il tempo e lo spazio.

Queste ragioni (gratitudine, conoscenza, inizio del mio ministero) sono fra loro colle-gate, collegate proprio dalla realtà del Natale, che ci immerge in una considerazione sorprendente: Dio si incarna dopo una lunga preparazione, da cui non possiamo mai prescindere. La storia di Israele ci costituisce nel profondo e, anzi, possiamo dire che per ciascuno di noi la vicenda di Israele rivive nel cammino che Dio compie per ren-dersi da noi incontrabile. È una storia che si ripete e nella quale Dio si fa uomo, viene ad abitare in mezzo a noi.Gesù Cristo, dopo averci insegnato la strada a Dio, dopo avere rinnovato l’alleanza con Dio sulla croce in modo definitivo, ha rigenerato il popolo antico nel nuovo, che è il Suo Corpo. Il Vescovo è qui per questo, per aiutare a vivere questo, non ha altri scopi se non quello di testimoniare che Dio si è fatto uomo, che Dio è presente e vicino. Ha lo scopo di aiutare a percorrere questa strada che da Cristo va agli uomini e dagli uomini va a Cristo, come diceva Giovanni Paolo II all’inizio del suo Pontificato, nella Redemptor hominis.

E anche la Curia, in ogni suo ordine e grado, è per questo, cioè per aiutare il Vescovo ad essere testimone di questo evento.Nel Canone 469 del Codice di Diritto canonico mi sono soffermato su questa espres-sione: praestant operam episcopo in regimine totius dioecesis… «Danno il loro contri-buto al Vescovo, danno il loro lavoro, il loro consiglio, nel governo di tutta la diocesi», ‘in regimine’. Rector. San Gregorio Magno ci insegnerebbe chi è il ‘rector’, il Pasto-re. Ho letto molto San Gregorio Magno, nell’avvicinarmi a questa consacrazione e a questo ingresso. Sulle sue omelie, in particolare l’undicesima a Ezechiele, ho fatto gli Esercizi prima della consacrazione. San Gregorio ci insegna chi è il ‘rector’, di quali virtù debba godere colui che governa nella Chiesa. Non posso adesso esporle, ma riassumendo direi così: il Vescovo deve godere di equilibrio, dev’essere uomo che sa incontrare e sa valorizzare, che sa guidare con forza, pacatezza e dolcezza. Aiutare ad essere ‘rector’ vuol dire aiutare ad essere Pastore; questo mi aspetto dalla mia Curia: che mi aiutiate ad essere un Pastore, nel primato della salus animarum, della salvezza degli uomini e della vita delle persone.

Tutto ciò non significa assolutamente secondarietà né tanto meno sottovalutazione della responsabilità amministrativa: lo stesso Canone 469, che ho citato, conclude ag-giungendo: praestant operam in regimine totius dioecesis in administratione curanda et in potestate iudiciali exercenda.Dunque, lasciando adesso un momento la potestas iudicialis, che speriamo ridotta

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all’essenziale, concentriamoci su in admistratione curanda. Ho una grande attenzione per gli aspetti amministrativi del mio governo, che sono strettamente congiunti con quelli pastorali, proprio perché l’uomo vive nello spazio e nel tempo, l’uomo ha bi-sogno dell’amministrazione; quindi, che gli atti amministrativi siano tempestivi, siano curati, che il Vescovo sia aiutato in questo, è per me di fondamentale importanza. So che tante vostre energie sono dedicate a questo e vi ringrazio. Spero che anche nelle parrocchie sia così.Dopo pochi giorni non posso dire di conoscere neppure superficialmente questa Chie-sa. Posso dire di intuire molte cose, ma non di conoscere. Non posso perciò, neppure a grandi linee, stabilire delle priorità di governo e di indirizzo pastorale, oltre quelle che ho accennato nell’omelia della Messa d’ingresso e anche negli altri discorsi di quella giornata, che vanno letti assieme: ciò che ho detto nei luoghi che ho visitato prima di venire qui, ciò che ho detto qui, sono parole che vanno lette assieme, costituiscono un unico discorso.

Allora, dicevo, e oggi ripeto quelle che mi sembrano le priorità: i giovani, che sono i poveri del nostro tempo, perché spesso non hanno chi li guida, chi li aiuta, chi indica loro le strade per vivere, per sperare, per costruire; i preti e i seminaristi. Se dovessimo stare ai numeri, dovremmo tremare, ma non mi fermo ai numeri e non voglio tremare, voglio però dedicare loro del tempo, e quindi se qualche volta dirò dei ‘no’ sappiate che è perché possa dire dei ‘sì’. I ‘no’ che dirò sono per permettermi di dire ‘sì’; e le famiglie. A questo aggiungerei, per la particolarità della nostra Chiesa, della sua storia, così come almeno mi sembra di intuire: la carità del diaconato e la missionarietà ‘ad gentes’, che vedo così profondamente e riccamente sviluppate in questa Chiesa.Ce ne sarebbe dunque di che riempire la vita non solo di un vescovo, e tra l’altro non più giovanissimo, ma di dieci vescovi.

Come ho detto, ho rinnovato gli incarichi fino all’8 settembre, festa della Natività della Vergine Maria, e il 15 gennaio nominerò il Provicario. A voi dico soprattutto questo: aiutatemi a conoscervi e a conoscere la diocesi. Credo profondamente nella comunione e credo nella compenetrazione profonda tra comu-nione ed obbedienza, anzi credo che comunione ed obbedienza stiano assieme o muoiano assieme. Credo che sia possibile che una Curia non sia una corte, cioè che prevalga una seria e quotidiana scoperta del dono di Cristo, che fa di noi ‘una cosa sola’, come dice San Paolo agli Efesini (cfr. Ef 4,4-6): noi siamo una cosa sola, per il dono del battesimo, della Cresima, dell’Eucaristia, per molti di noi per il dono del sacer-dozio, perché chiamati a lavorare qui, attorno al Vescovo, ciascuno con i propri doni. Ma siamo una cosa sola. Scoprire questa unità che ci è data dal Sacramento e che ci è data dalla comune responsabilità penso che sia il primo compito: scoprire l’unità, vivere dell’unità.“…praestant opera Episcopo”. Non è l’esaltazione di un potere personale, che sareb-be l’opposto del Vangelo, ma è collaborazione sentita, disinteressata, come ho detto,

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gratuita, partecipe, del proprio dono. Tutti troviamo la nostra felicità e la nostra pace nell’obbedire a Dio, nell’entrare nella sua volontà; ecco perché comunione e obbedien-za sono in realtà una cosa sola; vivere la comunione, cioè convertirci all’unità, entrare nella volontà di Dio per la nostra vita, vuol dire proprio obbedire a Dio, aderire alla Sua persona.Per quell’obbedienza che ho vissuto al Papa, e ultimamente a Cristo, nel venire qui, chiedo umilmente la vostra obbedienza, vi chiedo di scoprire con me cosa vuol dire obbedire, obbedire assieme, obbedire a Dio, perché nessun uomo di per sé merita e può pretendere la nostra obbedienza: solo Dio può chiederlo. E Dio ci fa entrare in eventi che non sono irrazionali, ma possono superare la nostra immediata capacità di comprendere.Amo l’obbedienza libera, l’obbedienza gioiosa, quella consapevole, non amo “perinde ac cadaver”, è uno stile che non mi appartiene e che non ritengo faccia parte dell’u-mano, della vita cristiana; con questo ovviamente non voglio criticare Sant’Ignazio di Loyola, ma voglio criticare certe interpretazioni che di “perinde ac cadaver” si sono date. Amo l’obbedienza libera, di figli, l’obbedienza gioiosa, l’obbedienza consapevole. Solo Dio merita obbedienza, ma di fatto obbediamo a Dio obbedendo a degli uomini e a delle donne; chi vive in una famiglia sa benissimo cosa vuol dire questo.E devo anch’io obbedire a voi, alle vostre storie personali, alla storia di questa Chiesa, a quanto qui si vive e si è vissuto. Devo obbedire ai vostri temperamenti, al vostro ge-nius, come direbbero i latini.Ciò che è impossibile all’uomo è possibile a Dio, cioè la comunione, che si sia una cosa sola, con tante differenze, doni, specificità. Proprio la comunione è il dono specifi-co di Dio, perché Dio è Trinità: quando non esisteva nulla, esisteva già la Carità, e tutto ciò che Egli ha fatto porta il sigillo della Carità. E noi, che siamo per questa ragione stati chiamati da Lui, per essere testimoni della Carità in mezzo agli uomini, noi come Curia attorno al Vescovo, io come Vescovo assieme a voi, abbiamo questa dolce, me-ravigliosa responsabilità: di vivere la Carità. Vi ringrazio.

. . . . . . . . . . . . . . . . .

Prima di darvi la benedizione voglio ancora rinnovare gli auguri per voi, ai laici, ai preti, alle persone che vi sono care, alle persone a voi affidate.Voglio pregare in questo momento, in modo particolare, per monsignor Caprioli, anzi incarico don Casini di portare il nostro augurio a lui, l’augurio di tutta la Curia e di tutta la diocesi, il mio personale in modo particolare: la gratitudine per chi, per quattordici anni, ha portato il peso totius diei et aestus, di tutte le fatiche che gravano sulle spalle di un Vescovo. Penso che per sapere che cosa sono sia necessario essere vescovi.

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L’AUGURIO DEL VESCOVO PER IL SUO PRIMO NATALE IN TERRA REGGIANA

Cari amici,questo è il mio primo Natale a Reggio Emilia. Celebrerò la Messa della not-te nella nostra Cattedrale dell’Assunta e quella del mattino nella tensostrut-tura che sostituisce provvisoriamente la Concattedrale di Guastalla. Così, già da queste due celebrazioni sono portato a leggere in profondità la realtà del Natale.La Messa in Cattedrale, centro della nostra Chiesa diocesana, casa di Dio tra noi, mi ricorda che Cristo mi ha mandato tra voi per essere il segno della sua Incarnazione. Dio si è fatto carne, ha assunto il nostro corpo mortale, per donarci la sua immortalità. È venuto ad abitare tra noi ed abita tra noi ancora oggi ed abiterà tra noi fino alla fine del tempo.Non solo la Cattedrale, con le sue mura, la sua storia, il suo altare, le re-liquie dei martiri, … ripresenta tutto questo. L’Incarnazione vive attraverso ogni comunità eucaristica legata al vescovo, attraverso ogni battezzato, at-traverso la sua fede, la sua carità, la sua speranza. Celebrerò poi a Guastalla. Le ferite inferte dal terremoto alla chiesa di San Pietro Apostolo sono per me e per tutti noi il simbolo di tutte le chiese di-strutte o lesionate, di tutte le case che hanno avuto danni, di tutti i nostri fratelli e sorelle che hanno sofferto e soffrono a causa della terra che ha tremato ancora una volta nella nostra regione.Vi posso confidare che, dopo il sisma, vedendovi in televisione o leggendo di voi sui giornali, sono rimasto ammirato del vostro coraggio, intraprenden-za, spirito d’iniziativa.So quanto hanno fatto le istituzioni pubbliche, i privati, la Chiesa. So che i problemi non sono finiti e cheoccorre, da parte di tutti, un’iniziativa continua. Assieme a coloro che sono stati colpiti dal sisma penso a coloro che sono soli, a chi è colpito dalla perdita del lavoro, ai malati, a quanti sono segnati dalle sofferenze di ogni genere, ai poveri, a chi è colpito dalla crisi economica che tocca anche le nostre terre, dove sono pur presenti tante ricchezze economiche ed umane.La venuta di Cristo non è assolutamente senza efficacia nella nostra vicen-da terrena. Nello stesso tempo Egli non si sostituisce alla nostra libertà, non risolve i nostri problemi con ricette magiche. Il Signore Gesù porta a

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noi la fede, cioè un nuovo sguardo sulle cose del mondo, uno sguardo che sa vedere in profondità, che sa riconoscere la presenza di Dio provvidente, che sa affidarsi a Lui. Cristo porta la carità, il perdono dei peccati attraverso i sacramenti, porta la grazia che rinnova il cuore e ci rende capaci di amare. Porta la speranza, la forza ragionevole per continuare a vivere, a lavorare, a costruire.Il giorno del mio ingresso in diocesi ho donato alla Madonna della Ghiara un anello che mi aveva regalato una coppia di sposi, l’anello del loro fidanza-mento. Ho inteso in questo modo invocare la protezione di Maria su tutte le famiglie della nostra terra. La famiglia è un bene troppo grande, per l’uomo e per l’intera società, perché ci sia concesso semplicemente di assistere al suo declino. Ma è solo con l’aiuto di Dio che il nostro amore può trovare le strade della fedeltà, della donazione, del perdono.Desidererei entrare in tutte le vostre case per portare il mio augurio e la mia benedizione. Lo faccio attraverso il nostro settimanale.Benedico tutti voi, in particolare prego per i bambini, i malati, per coloro che si sentono soli, abbandonati. Dio viene per voi. Un caro ricordo dal vostro Vescovo,

+ Massimo Camisasca

Editoriale de “La Libertà” N. 45 del 22 dicembre 2012

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OMELIA PER LA SOLENNE VEGLIA DI NATALECattedrale di Reggio Emilia, 24 dicembre 2012

Carissimi fratelli e sorelle,

vi annuncio una grande gioia […]: oggi è nato per voi un Salvatore che è Cristo Signore! (Lc 2, 10-11). Queste parole, con le quali l’angelo rivela ai pastori la nascita di Gesù, sono rivolte questa sera a tutti noi. “Gioia”, assieme a “luce”, è la parola più ricorrente in questa liturgia. E abbiamo veramente ragione di rallegrarci assieme e di gioire per il grande dono che ci viene fatto: «Non c’è spazio per la tristezza nel giorno in cui nasce la vita, una vita che distrugge la paura della morte e ci dona la gioia delle promesse eterne» (san Leone Magno, Disc. 1 per il Natale, 1).

Sono molto contento di essere il messaggero di questo annuncio proprio all’inizio del mio ministero come vescovo in mezzo a voi. Esso risuona in modo particolare du-rante questo anno della fede e mi spinge a iniziare questa notte, assieme a voi, una catechesi sui misteri fondamentali del cristianesimo. Ripercorriamo i momenti principa-li della vita di Gesù. Li rivivremo assieme per scoprire ciò che essi sono per noi.

Mistero, nel linguaggio cristiano, non vuol dire: cosa nascosta, “misteriosa”, lon-tana, inconoscibile. Il Mistero è l’azione di Dio che si rivela, si fa conoscere, pur ri-manendo inesauribile per i nostri poveri concetti e la nostra esperienza. Dio non è inconoscibile. All’opposto, nel Figlio egli è infinitamente conoscibile. Così quest’anno cercheremo di conoscerlo assieme, come fosse la prima volta.

L’evento che questa santa notte celebriamo, la nascita di Gesù, è strutturalmente collegato a quello che ne costituisce l’origine, l’annuncio a Maria e l’Incarnazione del Verbo nel suo seno. L’Incarnazione è il cuore stesso del Credo: et incarnatus est de Spiritu Sancto ex Maria Virgine, si è incarnato nel seno della Vergine Maria e si è fatto uomo.

Perché Dio si incarna? Vorrei iniziare a rispondere assieme a voi a questa do-manda. Il Vangelo appena proclamato ci indica la direzione nella quale cercare. I pa-stori sono raggiunti da qualcuno che reca loro una notizia sommamente interessante per la loro vita, un fatto che ha la pretesa di rispondere all’attesa più profonda del loro cuore. Sentono dire dall’angelo: È nato il salvatore (cfr. Lc 2,11). Questa parola risuo-na profondamente dentro di loro. Essi attendevano, avevano una domanda dentro di sé che nasceva dalla loro umanità e dall’ascolto della Scrittura. Si imbattono in un avvenimento assolutamente desiderato, eppure non creato da loro. La risposta alla loro attesa è stata portata dall’angelo con quell’annuncio. L’hanno accolta con stupore, come un dono gratuito.

La storia dell’umanità, fin dai suoi albori, è attraversata dall’anelito dell’uomo all’infinito, alla giustizia, alla bellezza, alla conoscenza di sé e di Dio. Alla salvezza. Ma le risposte che l’uomo trovava da sé non bastavano mai. È dovuto intervenire Dio. Scri-

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ve significativamente Giacomo Leopardi: «Il non potere essere soddisfatto da alcuna cosa terrena, né, per dir così, dalla terra intera; considerare l’ampiezza inestimabile dello spazio, il numero e la mole meravigliosa dei mondi e trovare che tutto è poco e piccino alla capacità dell’animo proprio» (G. Leopardi, Zibaldone LXVIII).

Ciò che ogni uomo ha sempre cercato viene comunicato a dei poveri pastori: oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore (Lc 2,11).

Il bambino che oggi contempliamo, durante la sua vita ci rivelerà il Padre. Quando inizierà a percorrere le strade di questa nostra terra dirà quest’unica parola: «Dio è Pa-dre, Padre mio e Padre vostro. Non siete soli, la vostra vita non è frutto del caso. C’è qualcuno che vi ha voluti e che vi ama. Qualcuno che guida le vostre vite, nonostante tutte le apparenze contrarie. Io sono venuto per questo, perché chi vede me, possa vedere Lui» (cfr. 3 Gv 14,9). Il Catechismo afferma: «Il Verbo si è fatto carne perché noi, così, conoscessimo l’amore di Dio» (CCC 458).

Ma a cosa servirebbe all’uomo conoscere l’esistenza di Dio, sapere che è voluto e amato da lui, se non avesse anche una strada per raggiungerlo? «C’è solo una via – afferma sant’Agostino – che pone al sicuro da ogni errore: che la stessa persona possa essere insieme Dio e uomo: Dio, quale meta verso cui stiamo andando; uomo, come via per la quale andiamo» (De civ. Dei 11, 2). Gesù non solo ci mostra il Padre, ma ci indica anche la via per andare a lui, e questa via è lui stesso, la sua umanità divina.

Come ai pastori, Dio si comunica a noi nella vita ordinaria, ci raggiunge là dove siamo. L’unica virtù che ci è chiesta è la semplicità. Accogliere Dio nella forma che lui sceglie per rivelarsi. I pastori non avevano nulla da difendere, non avevano idee pre-costituite. Per questo non si scandalizzano del segno che viene loro dato: un bambino, avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia (Lc 2,12).

Dopo l’annuncio occorre andare a vedere (cfr. Lc 2,15). Nell’itinerario di fede che stiamo seguendo, al principio vi è l’iniziativa gratuita di Dio, subito dopo incontriamo la libertà dell’uomo che si muove.

Anche noi siamo chiamati a compiere lo stesso itinerario dei pastori. Anche noi, come loro, siamo stati raggiunti dall’avvenimento di Cristo presente nella nostra vita. Muoviamoci, dunque. Andiamo incontro a Dio che si fa a noi vicino nella Chiesa, nelle diverse comunità che la compongono. Andiamo da lui per adorarlo e, come i pastori, andiamo poi incontro ai nostri fratelli uomini per comunicare loro la gioia che ha riem-pito il nostro cuore.

Chiediamo al divino Bambino la semplicità dei pastori per poter riconoscere e adorare la sua presenza nell’Eucarestia che tra poco celebreremo così come nei fra-telli che egli ci mette accanto.

Amen.

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OMELIA PER LA SOLENNITÀ DEL SANTO NATALETensostruttura di Guastalla, 25 dicembre 2012

Carissimi fratelli e sorelle,voglio esprimere innanzitutto la gioia di essere qui con voi per il mio primo incon-

tro con la comunità di Guastalla proprio nel giorno del santo Natale.La Chiesa oggi ci fa celebrare tre sante Messe: nella notte, all’aurora e nel giorno.

Queste tre liturgie possono essere paragonate al dischiudersi di una vita nuova, che nasce nel silenzio e nel nascondimento. A una luce quasi impercettibile nella notte, poi aurorale e, infine, manifesta. A una gioia che all’inizio sembra ancora sepolta dalle preoccupazioni, ma poi diventa sempre più grande, fino a manifestarsi a tutto il mondo. Così accade sempre per le opere di Dio. Dio è nato al mondo dentro la vita ordinaria di un piccolo paese, tra l’indifferenza dei più. Dio è venuto tra noi mentre ciascuno continuava la sua vita quotidiana, le sue abitudini di lavoro tra le occupazioni e le pre-occupazioni di sempre.

Così nasce Dio: non in modo violento, imponendosi con la forza o la maestosità delle forme, ma a poco a poco, come un fiore nuovo che spunta dalla terra. Sembra uno dei tanti, uno dei tanti bambini. Ben presto scopriremo che egli, pur rimanendo uno tra milioni di uomini, è nello stesso tempo portatore di una vita originale e nuova. Affascinati dalla sua parola, dal suo sguardo e dalle sue azioni, a Lui guarderanno i popoli, colpiti dalla promessa contenuta nelle sue parole e nella sua bellezza.

Quel fiore, quella radice di Iesse (Is 11,1.10), diventerà un albero sui cui rami si poseranno gli uccelli del cielo (cfr. Mt 13,32), cioè generazioni e generazioni di uomini e di donne.

Le due parole, le due esperienze che maggiormente ritroviamo nella liturgia delle tre Messe di Natale, sono la luce e la gioia. Il popolo che camminava nelle tenebre vide una grande luce… Hai moltiplicato la gioia, hai aumentato la letizia (Is 9,1-2). Se entriamo anche noi, condotti dalle letture e dalla Liturgia, in tali esperienze, compren-diamo il dono del Natale per la nostra esistenza.

La luce. Quella di Natale, come abbiamo sentito dal profeta, è una luce nella not-te. Nel buio del mondo, nel buio della nostra esistenza, della nostra incredulità, delle nostre angosce, della nostra solitudine (penso in questo momento ai terremotati, di cui l’impossibilità a celebrare questa Messa in Cattedrale è come un segno), brilla la luce per iniziativa di Dio. Improvvisamente, come un suo dono di grazia, proprio quando la notte è maggiormente oscura si possono notare le stelle che brillano. La luce a Bet-lemme irrompe improvvisamente. Avvolge i pastori. È una luce che viene dall’alto, che porta la letizia, rivelando la straordinaria positività dell’annuncio. È un chiarore caldo che si pone nella notte fredda dell’inverno come una fonte di speranza. Dio è luce: è fonte di conoscenza e di giudizio. I medievali dicevano: fides, mundi lumen. La fede è una luce che illumina la vita. Quel bambino è una luce che illumina la vita.

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Egli, crescendo, risponderà alle grandi domande che segnano la vita di ogni uomo: da dove vengo? Dove vado? Cosa è bene e cosa è male? Come ottenere la vita che non passa? Le risposte le ha date con le sue parole, ma soprattutto con la sua esistenza. Se noi viviamo con Gesù, a poco a poco entra dentro di noi una capacità di orienta-mento e di giudizio anche nelle cose quotidiane. Essa non ci preserva certo dall’errore, ma non ci lascia mai soli e ci aiuta a cercare la correzione nella vita e nell’insegnamen-to dei fratelli di fede.

La gioia. Il Natale, come abbiamo sentito, è anche la festa della gioia. Una gioia pacata, quasi appena accennata, fatta di stupore e di silenzio. Proprio questa paca-tezza e questo silenzio ci fanno assaporare una gioia molto ben fondata, sicura, che viene da Dio. La gioia di Maria, che riempie il suo cuore di letizia confrontando quello che dicevano i pastori con quello che aveva letto nella Sacra Scrittura.

Alcuni Padri della Chiesa hanno visto nei legni della capanna i legni della croce. Noi domani celebreremo la festa di Santo Stefano, primo martire. La gioia di Betlemme è consapevole delle avversità, delle difficoltà. È una letizia capace di sostenere la vita anche nel dolore e nella fatica.

Auguro a tutti voi di vivere questi giorni di festa come occasione privilegiata per godere della luce e della gioia che vengono da Cristo, per lasciarvi riempire e insegna-re da esse, così che possano guidarvi e accompagnarvi per tutto l’anno che verrà.

Amen.

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OMELIA PER LA FESTA DELLA SACRA FAMIGLIA

Basilica di San Prospero, Reggio Emilia, 30 dicembre 2012

Cari fratelli e sorelle,la Chiesa ha voluto che questa prima domenica dopo il Natale ci immergesse

nella vita della sacra Famiglia a Nazareth. Non sappiamo quanti anni abbiano vissuto assieme Gesù e i suoi genitori. Non sappiamo infatti quando sia morto san Giuseppe. Sappiamo che Gesù ha lasciato la casa e la madre per la sua missione pubblica a trent’anni. Nazareth è stata dunque una casa importante per lui, il luogo ove ha posto le fondamenta dei tre anni di missione in Palestina.

Cosa ci insegna la sacra Famiglia?

1. Innanzitutto ci insegna l’importanza del padre e della madre per la crescita e l’educazione dei figli. Gesù, che pure aveva una coscienza viva di essere Figlio di Dio (cfr. Lc 2,49), è stato affidato dal Padre celeste a una famiglia terrena, la sua famiglia. Egli è infatti nato da una donna (Gal 4,4; Lc 2,16; Mt 1,16) resa madre per opera dello Spirito Santo, una donna che era sposa di Giuseppe, il quale ha accettato questo fi-glio (cfr. Mt 1,18-25) perché così gli ha chiesto Dio Padre. È diventato in questo modo padre putativo di Gesù, incaricato della sua nutrizione e della sua crescita, materiale e spirituale.

Anche il Figlio di Dio ha avuto bisogno, per crescere come uomo, di una famiglia,formata da un padre e una madre.

Questo è il piano naturale previsto dal creatore, rivelato a noi in tre espressioni dellibro della Genesi: Non è bene che l’uomo sia solo: gli voglio fare un aiuto che gli sia simile… (Gen 2,18); lasceranno l’uomo e la donna la loro casa, si uniranno e saranno una cosa sola… (cfr. Gen 2,24); siate fecondi e moltiplicatevi (Gen 1,28).

I figli hanno diritto, ordinariamente, di trovare un padre e una madre, a cui guar-dare, da cui imparare le prime parole e i primi passi della vita. Un uomo e una donna. Nessuna legge umana può cancellare questo dato della natura. Oggi, da parte di ta-luni, si vorrebbe procedere oltre e cancellare addirittura l’originaria distinzione tra ma-schi e femmine. «Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato … Se non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria» (Benedetto XVI, Discorso alla Curia Romana, 21 dicembre 2012).

2. Il padre e la madre non sono chiamati semplicemente a mettere al mondo dei figli.Sono chiamati ad educare, cioè a introdurre il figlio nella vita. È necessario pren-derlo per mano e condurlo a incontrare le cose e le persone. È questa, inizialmente, la

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bella esperienza della scoperta delle parole, poi della scoperta delle cose e degli altri. Essa avviene nei primi anni della vita, soprattutto attraverso l’esperienza del gioco.

Si trova così che la vita ha le sue leggi, i suoi obiettivi, le sue battaglie, sacrifici, gioie, vittorie e sconfitte. Nel rapporto con i genitori, non senza difficoltà e problemi, il

figlio impara l’amore e anche la necessità del distacco e, infine, dell’autonomia.

3. Ma cosa sta alla radice di tutto ciò? Cosa lo permette?Nella famiglia di Nazareth vediamo l’amore reciproco di Maria e Giuseppe. Amore nato nella tenera età della donna, messo alla prova da eventi a prima vista incomprensibili, come la divina maternità, infine sigillato proprio dalla segreta consapevolezza di custo-dire una vocazione bellissima.

L’amore di Giuseppe e Maria ha dovuto affrontare difficoltà gravi a Nazareth, a Betlemme, in Egitto… ma ha sempre vinto perché si affidava al Padre. Impariamo an-che noi che la fedeltà è possibile se, pregando, la domandiamo a Dio. L’amore nella prova si rinnova, si approfondisce e può vincere il tempo.

4. Nazareth, come ha detto stupendamente Paolo VI nel suo viaggio in Terra Santa, durante la seconda sessione del Concilio Vaticano II, ci insegna il silenzio e il lavoro: «La casa di Nazareth è la scuola dove si è iniziati a comprendere la vita di Gesù, cioè la scuola del Vangelo… In primo luogo essa ci insegna il silenzio. Oh! se rinascesse in noi la stima del silenzio, atmosfera ammirabile ed indispensabile dello spirito… Qui comprendiamo il modo di vivere in famiglia… Infine impariamo la lezio-ne del lavoro… la legge, severa certo ma redentrice della fatica umana» (Paolo VI, Discorso a Nazareth, 5 gennaio 1964). La casa di Nazareth, dunque, ci insegna a scoprire le cose essenziali che rendono bella e forte la vita: l’amore per i rapporti veri, per la semplicità, la sincerità, il sacrificio per coloro cui vogliamo bene, la laboriosità. Illuminate dalla certezza della Provvidenza, tali virtù diventano in noi, con l’aiuto di Dio, carità che sa accogliere e perdonare, speranza verso un futuro non tanto sognato, ma preparato, giorno dopo giorno, nel succedersi degli anni.

Cari amici, la famiglia di Nazareth non è la protagonista di un romanzo romantico.Sappiamo quanto Giuseppe (anch’egli trapassato da una spada nel ritrovamento di Gesù nel Tempio) abbia sofferto e quanto abbia sofferto Maria, soprattutto durante i giorni della Passione e della Croce. Nella casa di Nazareth sono state vissute tutte le esperienze della vita famigliare. Essa indica

la strada a noi che vogliamo imparare a vivere sulla terra nella continua ricerca dei beni che non passano.

Amen

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BOLLETTINO DIOCESANO

OMELIA DELLA S. MESSA NEI PRIMI VESPERI DELLA SOLENNITÀ DI MARIA, MADRE DI DIO

Reggio Emilia, Santuario della Madonna della Ghiara, 31 dicembre 2012

Cari fratelli e sorelle,ci troviamo stasera assieme, nella Chiesa che ci fa sperimentare proprio la ma-

terna protezione della Vergine. Siamo nei primi vespri della Solennità della Divina Maternità di Maria.La festa di oggi è festa mariana, ma soprattutto, all’inizio del nuovo anno civile, è la professione di fede nella divina umanità di Gesù. Maria è Madre di Gesù nella sua umanità, ma poiché a tale umanità si è unita la divinità del Figlio di Dio, la Madonna – come ha riconosciuto e proclamato nel 431 il Concilio di Efeso – è Madre di Dio, di quell’uomo che è Dio.All’inizio dell’anno brilla dunque la luce della persona di Gesù, vero Dio e vero uomo, che proprio così può salvarci, essendo partecipe della nostra umana fragilità e della grazia divina.

All’inizio del nuovo anno abbiamo bisogno di luce e di calore, e dove trovarli se non nella Madre?Da lei impariamo le verità essenziali per la nostra vita, le verità che ci permettono di non smarrirci nel labirinto dell’esistenza. Queste verità Maria le ha imparate guardan-do Suo Figlio, ascoltando le Sue parole, arricchendo e chiarificando il suo ascolto con l’assidua meditazione delle parole della Scrittura che per Maria, figlia di Sion, erano pane quotidiano e vivo. Da lei impariamo che «le parole di Gesù sono più grandi della nostra ragione. Sempre di nuovo superano la nostra intelligenza» (Benedetto XVI, L’infanzia di Gesù, Lev, Città del Vaticano 2012, 144). Abbiamo bisogno di meditarle continuamente per non ridurle alla nostra misura.

Quale meraviglia per Maria entrare nell’oceano sconfinato di quel Bambino, di quegli occhi, di quei capelli, dei suoi giochi, delle sue prime frasi! E quale stupore ve-derlo crescere e diventare sempre più grande «davanti a Dio e agli uomini» (Lc 2, 52)! Quale trepidazione vederlo lasciare la casa per la sua missione! Quale preoccupa-zione trattenuta e confidente udire gli echi dei suoi miracoli, dei suoi discorsi, dei suoi successi e, al contrario, le voci degli oppositori, le critiche, gli inviti alla moderazione, al nascondimento, alla conciliazione con i poteri!E quale dolore sconfinato seguire il Figlio braccato come un malfattore, deriso, ferito, caricato della croce! Quale gioia nella Resurrezione! Quale ferma determinazione nel suo restare con gli apostoli, lei, icona dell’uomo nuovo nato da Gesù!

Da Maria impariamo la fede. La impariamo ogni giorno, mettendoci in ascolto

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di suo Figlio che ci parla nella Chiesa, nel Papa, nei vescovi, negli amici delle nostre comunità, che ci parla nelle profondità del nostro cuore.Impariamo la fede attraverso la recita del Santo Rosario che è una grande contempla-zione dei misteri fondamentali della nostra fede cristiana, i misteri della vita di Gesù.

Da Maria riceviamo il calore per vivere. Lei ha amato. E ha amato in modo vero, retto, sacrificato e appassionato, ha amato suo Figlio Gesù, il suo sposo Giuseppe, gli apostoli, in particolare Giovanni a cui fu affidata dal Salvatore. In Gesù ha amato e ama ciascuno di noi. Ella ci insegna ad amare.

Ci insegna che in suo Figlio ogni amore è raccolto e salvato: solo lui merita la no-stra vita, lui che possiede la vita in pienezza e dona agli inermi la forza del martirio. An-che il 2012 è stato un anno segnato dalle persecuzioni contro i cristiani. L’Osservatorio della libertà religiosa in Italia nei giorni scorsi ha comunicato che circa 105mila cristiani sono stati uccisi in tutto il mondo per la loro fede: un martire ogni cinque minuti! La fede nel Figlio di Dio fatto uomo è ancora e sempre rimarrà una pietra di scandalo per il mondo. Ma è anche fonte di speranza e di forza. Mentre, infatti, tali notizie ci mettono in apprensione per tanti nostri fratelli e ci spingono ad alzare alta la voce perché ad ogni uomo sia assicurato il diritto fondamentale alla libertà religiosa, ci riempiono an-che di ammirazione per l’eroicità, spesso nascosta, della fede di tanti uomini e donne. Sanguis martyrum semen christianorum - il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani, affermava già Tertulliano (Apol., 50,13: CCL 1, 171). Il sangue dei martiri, aggiungiamo noi, è luce che illumina ciò che sommamente vale nella vita.

Al termine dell’anno non soffermiamoci tanto a fare bilanci, non cadiamo nel tra-nello della nostalgia o dei sensi di colpa, ma guardiamo a Colui che ci ha salvati, guar-diamo a colui che ci invita a trovare in Lui le forze e le strade per risorgere.L’anno che comincia ci trovi più disponibili ed attenti a seguire Lui, a imparare da Lui. In questo modo saremo più utili anche ai nostri fratelli, perché Cristo aprirà i nostri occhi e il nostro cuore alle necessità degli uomini.

All’inizio di questo nuovo anno affido a Maria le domande più profonde che porto nel cuore, chiedo a lei il dono della fede per il nostro popolo. Chiedo il dono della pace per chi è solo, per chi è malato, per chi è disperato. Chiedo il dono della guarigione per chi è segnato dal dolore nel corpo e nello spirito. Chiedo il lavoro per chi l’ha perduto o non l’ha ancora trovato. Chiedo l’attenzione delle autorità a tutte queste necessità. In particolare per coloro che sono stati colpiti dal terremoto. Chiedo la generosità di tutti verso chi è segnato dalla presente crisi economica. Tutti porto nel cuore e affido all’intercessione della Vergine della Ghiara.

Amen.

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ATTI DELL’AMMINISTRATORE APOSTOLICO

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REGIENSIS IN AEMILIA-GUASTALLENSIS

De Administratoris Apostolici nominatione

DECRETUM

Ad consulendum regimini Ecclesiae Regiensis in Aemilia-Guastallensis, vacantis per renuntiationem Exc.mi P.D. Hadriani CAPRIOLI, Summus Pontifex BENEDICTUS, Divina Provi-dentia PP. XVI, praesenti Congregationis pro Episcopis Decreto, nominat ac constituit Administratorem Apostolicum memoratae Ecclesiae, donec eius successor canonicam Ecclesiae possessio-nem capiat, eundem Exc.mum P. D. Hadrianum CAPRIOLI, eique iura, facultates et onere tribuit quae Episcopis dioecesanis, ad nor-mam Legis, competunt, attentis, tamen, quae in N° 244 Directorii de pastorali ministerio Episcoporum “Apostolorum Successores” continentur.

Contrariis quibusvis minime obstantibus.

Datum Romae, ex aedibus Congregationis pro Episcopis, die 29 mensis Septembris anno 2012.

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ATTI DELL’ AMMINISTRATORE APOSTOLICO

APRITE LE PORTE A CRISTO

Omelia per l’apertura dell’Anno della fede

Cattedrale di Reggio Emilia, 11 ottobre 2012

Il nostro sguardo è questa sera rivolto a Roma, dove 50 anni fa il beato Giovanni XXIII ha avviato la giornata di apertura del Concilio Vaticano II che ha segnato la vita della Chiesa nel nostro tempo. E a ispirare i primi passi, a segnare le tappe del cammino che ci attende è l’invito del Santo Padre Benedetto XVI a guardare alla Chiesa a partire dal suo centro di gravitazione: la fede in Gesù Cristo. Per questo il Papa ha indetto l’Anno della fede e il Sinodo dei Vescovi sulla nuova evangelizzazione.

Il sordomuto e il nuovo destinatario dell’evangelizzazione

“Fin dall’inizio del mio ministero — dice il Papa — come successore di Pietro ho ricordato l’esigenza di riscoprire il cammino della fede per mettere in luce con sempre maggiore evidenza la gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo” (Portafidei 2). Così definisce il Santo Padre l’Anno della fede: come un cammino alla riscoperta gioiosa del Signore Gesù. Riscoperta destinata a chi?

Chi è il nuovo destinatario dell’evangelizzazione? È il mondo occidentale secolarizzato e per certi versi post-cristiano. Questa specificazione che affiorava già nei documenti di Giovanni Paolo II, si rende esplicita nel magistero di Benedetto XVI: la crisi dei Paesi di antica tradizione cristiana, divenuti refrattari al messaggio evangelico, è una crisi di fede.

È interessante seguire il racconto di Marco nella pagina evangelica circa l’incontro di Gesù con il sordomuto (Mc 7,31-37). Non è un caso che questo incontro avvenga nel regione della Decapoli, un territorio che a quel tempo era abitato da popolazioni pagane. Il sordomuto rappresenta quindi un mondo che non ha orecchi per ascoltare la Parola di Dio e non ha bocca per celebrare la sua lode.

E, tuttavia, Gesù non si sottrae alla richiesta anche di quel territorio pagano: “Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla… Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: Effatà, cioè APRITI!”. “Effatà, cioè APRITI” è l’invito che ancora oggi nel Battesimo il catecumeno — bambino

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o adulto, giovane o meno giovane — ascolta, quando entra a far parte della comunità dei credenti.Chi sono i sordomuti nella fede, oggi? Quali territori sono come la Decapoli del tempo di Gesù, territori e ambiti del vissuto abitati da popolazioni pagane? Va detto subito che il mondo pagano non è storicizzabile, come se fosse possibile racchiuderlo dentro precise coordinate di tempo e di spazio. Il mondo pagano si dilata fino ai nostri giorni, dentro le nostre terre cristiane, dentro il nostro cuore di credenti.

C’è chi ha parlato di un “sordomutismo della fede” anche nei nostri giorni. I credenti sono imbarazzati a parlare di Dio ai non credenti. I genitori hanno paura a parlare di fede ai figli, temendo di essere giudicati dai figli gente di altro mondo. C’è un’evidente corrispondenza tra la crisi della fede e la crisi del matrimonio, ha detto il Papa domenica scorsa aprendo il Sinodo dei Vescovi. Ci vorrebbe un altro miracolo come quello del sordomuto del Vangelo. È necessario anche ai nostri giorni il “coraggio di credere”.

Il Cristo Risorto: il protagonista dell’evangelizzazione

È questo coraggio che ha spinto il Santo Padre a indire l’Anno della fede: “Capita ormai non di rado — dice il Papa — che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. Questo presupposto non solo non è più tale, maspessovieneperfinonegato” (Portafidei 2). C’è bisogno allora di ripartire da qui: dalla fede, dall’annuncio della fede. Come?

È interessante seguire qui il racconto degli Atti nella seconda lettura (At 14,20-28). Per Paolo e Barnaba, l’annuncio del Vangelo non è anzitutto opera loro. Certo mettersi in viaggio, passare da una città all’altra è compito loro. Alla fine, però, arrivati ad Antiochia, “riunirono la Chiesa e riferirono loro tutto quello che Dio aveva fatto per mezzo loro e come avesse aperto ai pagani la porta della fede” (At 14,28). Noi non possiamo fare la Chiesa; possiamo solo far conoscere quanto ha fatto Lui, il Signore. La Chiesa non comincia con il fare nostro, ma con il fare e il parlare di Dio.

Con noi opera Dio, il Signore della storia, lo Spirito del Cristo risorto. È vero, Gesù è anche oggi il nostro contemporaneo (S. Kierkegaard). Non, però, nel senso che siamo noi a farci suoi contemporanei: è Lui che si fa nostro contemporaneo, perché, essendo Risorto, vive nello Spirito e nella Chiesa. E questo nella Parola, nella liturgia e nella carità. È Cristo Risorto il protagonista della evangelizzazione. Lo stiamo dimenticando.

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Dopo la “caduta delle ideologie”, la Chiesa reggiano-guastallese ha conosciuto una nuova primavera che l’ha vista parte attiva della società, una stagione propiziata dall’evento proprio del Concilio Vaticano II. Ci riferiamo soprattutto alla promozione di una miriade di iniziative pastorali nate anche come storica alternativa alle ideologie (mensa del povero, asili o scuole dell’infanzia parrocchiali, associazionismo cattolico…).

Tanta pastorale delle comunità è nata come risposta alle emergenze della società. Questo procedere è certamente creativo e genera occasioni di prossimità all’uomo concreto, ma non è automaticamente “evangelizzante”. Anzi, si corre il rischio di vedere il messaggio evangelico ridotto a un’etica, a una filosofia di vita e a un’azione sociale all’interno di una visione intramondana.

Il fatto che la società in Occidente abbia bisogno dell’opera della Chiesa è certamente una grande occasione per l’evangelizzazione, ma occorre fare chiarezza sul procedere. C’è una condizione di base, che è ovvia, ma crediamo sia sempre saggio richiamare.

La necessità di un Anno della fede nasce proprio da qui: dal rischio della poca incisività dell’annuncio della Chiesa, dalla scarsa capacità di proporre il Vangelo e la vita cristiana in modo convincente e corretto. Non si può parlare di influsso del Cristianesimo sulla società, se il Cristianesimo non è autenticamente annunciato e vissuto.

La testimonianza dei credenti

Dice allora Il Papa: “Il rinnovamento della Chiesa passa anche attraverso la testimonianza offerta dalla vita dei credenti: con la loro stessa esistenza nel mondo i cristiani sono infatti chiamati a far risplendere la Parola di verità che il Signore ci ha lasciato” (Portafidei 6). Sì, la novità della fase odierna dell’evangelizzazione sono i cristiani laici. Hanno aperto la strada a questa novità la costituzione Lumen gentium e il decreto Apostolicam actuositatem del Concilio. L’ha promossa nell’Evangelii nuntiandi Paolo VI. Vi ha insistito Giovanni Paolo II nella Christifidelislaici.

Le premesse di questa universale chiamata alla missione si trovano già nella nell’Antico Testamento. È il rinnovamento che il profeta Gioele nella prima lettura (Gl 3,1-5) annuncia come il dono dello Spirito del Signore sopra ogni uomo, di ogni età e di ogni ceto sociale come lo sono ifiglielefiglie,glianzianieigiovani,iservieleserve: tutti ugualmente testimoni dei doni o carismi dello Spirito. È questa la comunità nuova sognata già da Mosè, promessa da Geremia e che si realizzerà nel giorno della Pentecoste con l’invio dello Spirito sui credenti come fuoco (cfr. At 2,1-21).

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È stato questo il sogno dell’anziano Papa Giovanni XXIII nell’indire il Concilio come la nuova Pentecoste della Chiesa del nostro tempo. Ed è ancora questo l’evento che Benedetto XVI mette al primo posto, quando dice: “questo è il modo dell’evangelizzazione: che la verità diventi in me carità e la carità accenda come fuoco anchel’altro.Soloinquestoaccendereanchel’altroattraversolafiammadellanostracarità, cresce realmente l’evangelizzazione” (Meditazione al primo giorno del Sinodo, 9-X-2012)

L’opera di evangelizzazione, anche nei nostri territori, non dovrebbe richiedere strutture particolari. Certo, strutture adeguate sono richieste per l’aggregazione dei fedeli, per la celebrazione eucaristica della comunità, per la caritas, la catechesi... Per l’evangelizzazione, però, fondamentale è la comunicazione della fede dal credente al non credente, da persona a persona. Certo, anche i cristiani laici hanno bisogno di avere alle spalle una comunità aperta alla missione e accogliente.

Dell’apostolato dei laici non si è incominciato a parlare solo al Concilio Vaticano II. Se ne parlava già prima. Quello però che il Concilio ha apportato di nuovo in questo campo riguarda il titolo con cui i laici concorrono all’apostolato della gerarchia. Essi non sono semplici collaboratori chiamati a dare il loro contributo, il loro tempo e le loro risorse. Sono invece portatori di carismi, con i quali sono resi adatti e pronti ad assumersi opereeduffici,utilialrinnovamentoeallamaggioreespansionedellaChiesa (Lumen Gentium 12).

A giugno, il Santo Padre Benedetto XVI, nell’incontro mondiale delle famiglie a Milano, e, come ricordavo, domenica nell’omelia, ha insistito sull’importanza della famiglia in vista della evangelizzazione, parlando di “protagonismo” delle famiglie cristiane in questo campo. La prima evangelizzazione comincia tra le mura di casa. A un giovane che, dopo essere stato liberato da Gesù, chiedeva di poterlo seguire, Gesù rispose: Va’ nella tua casa, dai tuoi e annuncia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha usato con te (Mc 5,19).

Con lo sguardo al futuro

Concludo. Siamo in Cattedrale, simbolo di vita della comunità ecclesiale e della città, dove 25 anni fa, il vescovo Gilberto Baroni ha consegnato nella Domenica delle Palme (il 12 aprile 1987), non a caso nell’incontro festoso di tutti i giovani, il documento al termine del lungo cammino del Sinodo L’annuncio del Vangelo, oggi, in terra reggiana

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e guastallese. Ci richiama una storia, scelte di familiarità con la Parola di Dio, la vita liturgica e il compito della missione e della testimonianza nel mondo.Ma badiamo ora a non lasciarci invadere dal passato, per quanto ricco e promettente. Il Signore Risorto, il nostro contemporaneo, ci attende nel presente e nel futuro per un cammino di nuova evangelizzazione che affidiamo all’intercessione di Maria, stella dell’evangelizzazione. Con Lei invochiamo una speciale effusione dello Spirito Santo anche per il nuovo Vescovo, perché illumini i suoi propositi e li renda fruttosi per il cammino della Chiesa reggiano-guastallese, nel nostro tempo.

+ Adriano Caprioli

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ANNO DELLA FEDECammino di amicizia con Dio

Omelia nella Festa delle Case della CaritàReggio Emilia, Palazzetto dello sport 15 ottobre 2012

Abbiamo da poco iniziato un nuovo anno pastorale. A ispirare i primi passi e a segnare le tappe del cammino è quest’anno l’invito del Santo Padre Benedetto XVI a guardare alla Chiesa a partire dal suo centro di gravitazione: la fede in Dio rivelato a noi in Gesù Cristo. Per questo il Papa ha indetto l’Anno della fede. “La Chiesa — scrive il Papa nella lettera di indizione — nel suo insieme, ed i Pastori in essa, come Cristo devono mettersi in cammino, per condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita, verso l’amicizia con il Figlio di Dio, verso Colui che ci dona la vita, la vita in pienezza” (Portafidei 2).

I santi amici di Dio

Non è un caso che quest’anno, per il cammino di fede nella nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla, abbiamo scelto quale figura di accompagnamento il nostro padre Abramo. “Per fede Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. Per fede soggiornò nella terra promessa come in una regione straniera, abitando sotto le tende, come anche Isacco e Giacobbe, coeredi della medesima promessa” (così Eb 11,8-10, nella seconda lettura scelta quest’anno).

La storia della vocazione di Abramo incomincia dalla Parola di Dio. Con la Parola, Dio ha creato il mondo; con la medesima Parola chiama Abramo. A questa Parola Abramo risponde lasciando la sua terra, la sua casa, per andare verso la terra promessa: promessa da Dio, ma ancora sconosciuta, imparando a soggiornarvi come in una regione straniera.

Perché Dio chiama Abramo piuttosto che il suo fratello Aran? Il racconto biblico in Genesi lascia intendere che la vocazione di Abramo manifesta l’assoluta libertà di Dio. Non Abramo ha cercato Dio, ma Dio ha cercato Abramo. Ed è questo protagonismo di Dio che chiama, prende iniziativa, a cui Abramo risponde con fede, la ragione stessa che qualifica Abramo e la sua obbedienza come “amicizia con Dio” (cf. Giuditta 8,26,nella lettura breve delle Lodi di oggi, lunedì IV settimana).

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Così qualificherà Gesù i suoi stessi discepoli: “Vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio, l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi” (Gv 15,15-16). E la stessa vocazione all’amicizia Gesù offre alla donna samaritana: “Se tu conoscessi il dono di Dio e colui che ti dice: Dammi da bere!, tu avresti chiesto a Lui ed egli ti avrebbe dato acqua viva” (Gv 4,10 nella lettura evangelica tradizionale di questa festa). Ciò che sempre colpisce in questo racconto è che Gesù stesso suscita e guida il cammino della donna, dall’inizio alla fine.

Anche Santa Teresa di Gesù, di cui celebriamo la festa, attribuisce la sua vocazione all’amicizia con il Signore, che scaturisce da un’intensa vita di preghiera. Questa consiste, con le parole stesse della Santa d’Avila, nel “parlare dell’amicizia, un trovarsi frequentemente da soli a soli con chi sappiamo che ci ama” (Libro della vita, 8,5). La riforma dell’ordine carmelitano, ma anche la riforma stessa della Chiesa, secondo questa Maestra dello spirito, nasce da qui: “Sono necessari forti amici di Dio, a sostegno dei deboli” (Libro della vita 33,5).

“Forti amici di Dio”

C’è bisogno, anche per la Chiesa del nostro tempo, di “forti amici di Dio” come Abramo, come Teresa d’Avila, chiamati a moltiplicare i talenti che il Signore ha voluto affidarci (cf. Mt 25,14-30) nel cammino per l’annuncio del Vangelo qui, nelle nostre Diocesi e nelle nostre terre di missione in questo Anno della fede.

1. Un grande amore per Gesù e la sua Parola: è l’invito di Benedetto XVI per l’Anno della fede da poco avviato: “dobbiamo ritrovare il gusto di nutrirci della Parola di Dio, trasmessa dalla Chiesa in modo fedele” (Portafidei 3). Vuol dire: Dio ha rotto il suo silenzio, Dio ha parlato, Dio c’è, ci conosce, ci ama, è entrato nella nostra storia personale e di Chiesa. La Chiesa non comincia con il fare nostro, ma con il fare e parlare di Dio. Gesù è la sua Parola. E ci chiama come ha chiamato Abramo; chiama chi, come Abramo, lasci la sua terra, la sua casa “per causa mia e del Vangelo” (Mc 10,29), dice il Signore, per andare verso la terra promessa che è lo stesso Cristo.

2. Un grande amore per la liturgia: “L’anno della fede sarà un’occasione propizia perintensificarelacelebrazionedellafedenellaliturgia,inparticolarenell’Eucaristia” (Portafidei 8). Sì, la liturgia è opera di Dio, offerta e partecipata all’intero popolo di Dio, non invenzione nostra, né solo opera di esperti o di addetti. Non è un caso che, lungo il giorno, l’Eucaristia si prolunghi (e anche venga preparata) nella liturgia delle Ore,

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la forma più alta di preghiera comunitaria, e si prolunghi nella adorazione eucaristica quotidiana, la prima forma di devozione, che è insieme parola e silenzio; sì anche silenzio, così raro persino nelle nostre case.

3. Una costante formazione alla carità: “L’anno della fede sarà anche un’occasione propizia per intensificare la testimonianza della carità…Grazie alla fede possiamoriconoscere in quanti chiedono il nostro amore il volto del Signore Risorto” (Porta fidei 14). “Noi — diceva don Mario — dobbiamo cercare Dio, non il povero. Abbiamo scoperto che prendendo delle ‘pillole’ di povero si arriva prima a Dio, ma il fine è Dio, non il povero!” Questa è la carità che nasce dall’Eucaristia; si fa virtù teologale che tocca tutti come gratuità, perdono, pazienza, non solo opera di assistenza delegata ad alcuni. Quello della carità nelle sue varie forme di servizio sarebbe un compito troppo grave se fatto carico a poche persone della parrocchia, accettabile con gioia, se condiviso da tutta la comunità eucaristica e formato nelle diverse età e condizioni di vita.

4. Una chiara pastorale vocazionale e una decisa scelta missionaria: “Per fede, nel corso dei secoli, uomini e donne di tutte le età hanno confessato la bellezza e la gioia di seguire il Signore Gesù là dove venivano chiamati a dare testimonianza del loro essere cristiani: nella famiglia, nella professione, nella vita pubblica, nell’esercizio dei carismi e ministeri ai quali sono stati chiamati” (Porta fidei 13). Sì, possiamo fare mille inchieste, cento convegni nazionali sulle vocazioni, ma se una comunità cristiana, una persona consacrata non ha la gioia, quelle iniziative non servono. È la gioia e testimonianza che invochiamo per le persone che oggi consegnano la loro vita al Signore, in particolare nella professione perpetua — Sr. Francesca Maria e Sr. Paola Lucia —, e Stefania nella vestizione; nel rinnovo dei voti delle sorelle e delle promesse delle famiglie, nella consacrazione nel mondo seguendo il carisma delle Case della Carità.

Ho ancora alcune cose da dirvi, ma vista la ricchezza della celebrazione temo che con i bambini qui presenti non possiate.... sopportarne il peso! Lo Spirito Santo che vi ha guidati fin qui e il nuovo Vescovo che verrà saranno le guide nel cammino che vi attende. Vi accompagno con l’affetto e la preghiera, invocando per voi, per le Case della Carità, i loro ospiti e ausiliari, le loro parrocchie, Diocesi e Vescovi, la amicizia dei santi, in particolare di S. Teresa, di cui oggi celebriamo la festa solenne.

+ Adriano VESCOVO

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FEDE, CHIESA E FAMIGLIA

Discorso alla città nella festa di S. Prospero, PatronoReggio Emilia, Basilica di San Prospero 24 novembre 2012

Nell’attesa del nuovo Vescovo mi corre l’obbligo anche quest’anno il compito di presiedere alla Messa di S. Prospero, Patrono della Diocesi e della città.Ogni anno — questa è per me la 15.esima volta — è andato crescendo il mio amore per questa festa, perché mi sollecita a riflettere con voi, con le autorità cittadine e con la intera comunità ecclesiale e civile, sulla nostra città, sulla sua anima più vera, sul suo destino.

Cristianesimo e destino dell’uomo

Mi ha colpito ascoltare nella lettura sulla vita di San Prospero, proclamata in apertura di assemblea, la parte finale che racconta di come sia nata questa basilica in onore del Santo. “Dopo la sua morte, il corpo di S. Prospero era stato deposto nella chiesetta di S. Apollinaredaluistessoedificatafuoridellemuradellacittà.Dopodiversetraslazioni,l’ultima fu effettuata il 24 novembre dell’anno 997 in questa basilica costruita dal vescovo Teuzone nel centro della città” (Vita di S. Prospero).

La tradizione vuole dunque che il Santo, prima sepolto in una chiesetta alla periferia, sia stato voluto al centro della città, nel cuore della sua vita.All’epoca del Vescovo Prospero (V sec.), la città era minacciata da pericoli esterni, da ricorrenti invasioni di barbari in cerca di palazzi da spogliare e di nemici da combattere. Erano tempi duri e non facili anche per la Chiesa, chiamata già allora a comunicare il Vangelo in un mondo che cambia.Ma, da che cosa oggi è minacciata la città? Che cosa sollecita oggi a mettere ancora una volta al centro della città la figura del Santo vescovo?

Nella sua storica visita al Parlamento italiano, recentemente ricordata dal Card. Bagnasco nel X anniversario, Giovanni Paolo II, oggi beato, ha incominciato così: “Tentando di gettare uno sguardo sintetico sulla storia dei secoli trascorsi, potremmo dire che l’identità sociale e culturale dell’Italia e la missione di civiltà che essa ha adempiuto eadempieinEuropaenelmondo,bendifficilmentesipotrebberocomprenderealdi

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fuori della linfa vitale che è costituita dal Cristianesimo”. Colpisce nelle parole del Papa, di un Papa che amava il nostro Paese come la sua seconda patria, la chiara convinzione dello stretto rapporto tra il messaggio cristiano e la storia e il destino del nostro Paese.

Già il filosofo ebreo Karl Löwith — come ci aveva ricordato il nostro Card. C. Ruini — riconosceva che si deve al Cristianesimo, in virtù dell’evento centrale e fondante dell’annuncio cristiano che è il farsi carne del Figlio di Dio, se l’uomo ha ritrovato la sua dignità e merita rispetto, anche quando appare debole, malato, sconfitto. “Soltantoconl’affievolirsidelCristianesimoèdivenutainveceproblematical’umanità” (cf. “Chiesa e cultura verso il 2000”, Ed. S. Lorenzo).Come a dire che, se si cancella il messaggio cristiano e i suoi segni, si finisce per cancellare gran parte del patrimonio di virtù e di valori trasmessi dalle generazioni che ci hanno preceduto. Sarebbe come tagliare le radici dell’albero su cui si è seduti.E, tuttavia, il Papa non faceva di questa eredità un motivo di orgoglio, né di propaganda di parte, tantomeno un’arma da brandire contro qualcuno, ma un invito a tutti a ritrovare una convinta e meditata fiducia nell’attualità del messaggio cristiano.“Èsullabasediunasimilefiducia— aggiungeva il Papa — che si possono affrontare conluciditàiproblemi,purcomplessiedifficili,delmomentopresente,espingereanziaudacemente lo sguardo verso il futuro”.

Chiesa e città delle persone

Sono passati 10 anni da quella storica visita e da quell’invito alla fiducia nell’attualità del messaggio cristiano come sguardo buono e promettente verso il destino dell’uomo. E sono passati 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II, l’evento che ha segnato la storia del nostro tempo e continua a illuminare i passi del nostro cammino di Chiesa di fronte alle sfide che ne mettono alla prova la sua presenza e azione.

Faccio mia la provocazione di Papa Benedetto XVI nell’indire questo Anno della fede (iniziato l’11 ottobre, si concluderà esattamente il prossimo 24 novembre): “Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le conseguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti, questo presupposto non solo non è più tale,maspessovieneperfinonegato…amotivodiunaprofondacrisidifedechehatoccato molte persone” (Portafidei n. 2).

Tra i vari problemi, a cui porre attenzione nella situazione attuale, come il lavoro, la

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sicurezza sociale, la giustizia, la convivenza tra le religioni, al termine del mio mandato, al primo posto non ho dubbi di mettere la famiglia e la formazione della persona.Sappiamo quanto sulla famiglia si addensino problemi e tensioni che ne mettono alla prova la sua stessa natura, il suo ruolo nella società e perfino la sua stessa esistenza. Sono tensioni che più volte abbiamo considerate in questi anni con il prolungarsi della attuale crisi mondiale: a ben guardare la crisi delle democrazie occidentali ha ragioni più culturali e politiche che economiche.

La caduta morale della gestione della cosa pubblica, la commistione tra agire pubblico e privato hanno non solo portato ad una crescente fragilità nel sistema economico, ma sta erodendo lo stesso tessuto sociale e civile del nostro paese.Il compito dei cattolici, arduo ma necessario, è operare per cambiare regole (nel governo dell’economia) e comportamenti (nei consumi e negli stili di vita) per porre al centro la dignità della persona e il ruolo della famiglia nelle politiche pubbliche e nell’agire sociale: quali ad es. l’iniziativa popolare volta a “liberare la domenica dal lavoro, a tutela della dignità delle persone — della donna soprattutto — e dei tempi della famiglia”. Questa sì sarebbe una bella carezza per la famiglia in tempi di sacrifici.

Faccio mie le riflessioni di chi sostiene che la crisi attuale rappresenti una possibilità di riscatto dell’umanità, un’occasione di cui approfittare, partendo dai fondamentali della società, come la famiglia. La chiave di tutto è entrare nel cuore delle persone. Riflettendo sulla vita cristiana mi sono sempre più convinto che la famiglia sia veramente il luogo dove l’uomo e la donna crescono come persone.Credo, che come osservava Benedetto XVI all’incontro mondiale delle famiglie del giugno scorso a Milano: “E’ in famiglia che si sperimenta per la prima volta che la persona umana non sia creata per vivere chiusa in se stessa, ma in relazione con gli altri. E’ in famiglia che si comprende come la realizzazione di sé non sta nel mettersi al centro, guidati dall’egoismo, ma nel donarsi” (al termine del Concerto al Teatro della Scala, 1° giugno 2012).

Prima che ad altri, come Chiesa dobbiamo però chiedere a noi stessi di fare di più per la famiglia. Ancora tante famiglie iniziano il loro cammino in qualcuna delle nostre tante chiese. Ma come Chiesa non possiamo fermarci a offrire, ad ogni famiglia che qui nasce, solo il volto di una Chiesa in festa. Qui, davanti all’altare del Signore, non solo ha inizio un patto di alleanza con il Signore, ma anche con la Chiesa, e non solo nei giorni di festa,

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ma pure nei giorni feriali.

Credo anch’io che se la Chiesa voglia parlare di santità e di come seguire Cristo, sia la famiglia il posto dove si impara. I Vescovi italiani, negli Orientamenti pastorali, arrivano a dire che, alla cura delle famiglie, va conferita una priorità pari a quella dedicata al settore ragazzi e giovani.Si tratta di un’affermazione coraggiosa che, forse, non trova preparate tutte le nostre parrocchie, più ricche di risorse e di iniziative per i ragazzi, più deboli invece per l’accompagnamento delle famiglie nel loro compito di educare alla fede i figli.

A questo scopo, una delle scelte da compiere è quella di riuscire a stabilire, da parte delle comunità cristiane, rapporti personali con ogni famiglia in un tessuto relazionale nuovo, veramente capillare: sia che frequenti la Chiesa sia che non la incontri mai o solo saltuariamente, sia quelle segnate da esperienze dolorose di fallimento e di separazione.Si tratta di un programma tanto ambizioso, quanto problematico, se affidato solo al parroco, al diacono o a qualche collaboratore laico. Le famiglie stesse, quelle vicine alla Chiesa, sono chiamate a diventare soggetto di queste nuove buone relazioni, oggi ancora più necessarie se pensiamo ai tanti anziani soli e infermi.

È questo anche il messaggio che il nuovo Vescovo Massimo Camisasca — il 92° successore di San Prospero — ha già testimoniato nella sua prima lettera alla città: “Vengo come amico. Vengo per ogni uomo e ogni donna. Nel più assoluto rispetto della libertà di coscienza di ciascuno, umilmente e fermamente desidero essere il tramite dell’annuncio e della proposta di Gesù”. Io sono la via, la verità e la vita (Gv 14,6), ha detto Gesù, chi mi segue avrà il centuplo quaggiù e la vita eterna (cf. Mt 19,29). “Penso aigiovani incercadisensodefinitivoeforteper la loroesistenza.Allefamiglie.Maanche a coloro che per le più svariate ragioni vivono soli”.

San Prospero assista le nostre famiglie. Accompagni le nostre comunità cristiane a diventare più “comunità tra le case”. Assicuri a questa nostra Città e al vasto territorio delle Province della nostra Diocesi il lavoro, la prosperità, la concordia, la capacità di sperare, perché Reggio diventi il luogo dove davvero si ami gioiosamente la vita, e i credenti testimonino con altrettanta gioia la fede.

+ Adriano Caprioli

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RESTA CON NOI SIGNOREOmelia di ringraziamento

Anch’io sono ormai giunto al Salmo “Settanta gli anni della vita, ottanta per i più robusti”... Ho letto in un libro del Card. C. M. Martini che da piccoli si nasce, da giovani si impara, da adulti si insegna, da vecchi si impara a mendicare e — aggiungo io — a ringraziare. Perché ringraziare? Come ringraziare? E chi ringraziare?

“Esci dalla tua terra”

Sono diverse le partenze che hanno segnato il cammino della mia vita: la partenza per il Seminario, ancora ragazzo, mosso dal desiderio di uscire di casa, di cambiare scuola, di volare alto, al punto da preoccupare una donna tutta concretezza come mia madre di quella partenza di sogno. Quando, però, il Signore chiama, passo dopo passo, gli studi letterari, filosofici, soprattutto teologici, mi hanno confermato nella scelta di diventare prete. È questo un primo motivo per ringraziare il Signore.

Da giovane, anche il prete vive di tante attese. Il bello della vita è ancora tutto da venire. Sognavo l’Oratorio, nel quale per così dire ero nato e cresciuto: mi vedevo giovane prete tra i ragazzi e i giovani di una grande parrocchia, come tanti miei compagni di Ordinazione. “Saper fiorire dove Dio ci pianta” (ci ripeteva il nostro Rettore) voleva invece dire per me: Roma per gli studi, Venegono per l’insegnamento, Gazzada per la direzione del Centro studi Paolo VI. Oggi, da vescovo, quelle partenze non per scelta mia, ma per mandato, sono quelle che più mi hanno aiutato. Ne ringrazio i miei Arcivescovi.

Sono arrivato così al giorno della impensata Ordinazione episcopale. Ricordo ancora i 33 pullman venuti da Reggio Emilia-Guastalla. Non avrei mai pensato a così tanta gente, come anche otto giorni dopo alla più ancor numerosa folla qui in piazza del Duomo. Passare dal Seminario, dagli studi e dall’insegnamento, dalla parrocchia pur grande di Legnano alla Cattedrale non era facile. “Tu non sai dove l’Eucaristia ti porta!”, mi ero detto al termine della Ordinazione episcopale in Duomo a Milano. Celebri la Prima Messa in un posto e poi non sai dove celebrerai 10 anni, 20 anni, 50 anni dopo!

Ora lo so. Ogni Vescovo che lascia la sua terra è un po’ come Abramo (cf. prima lettura, Genesi 12,1-4.7-9). Sa che cosa lascia: la casa di suo padre, gli affetti familiari,

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le parrocchie di origine e di ministero, tante figure di sacerdoti, di alunni e di colleghi di Seminario, di collaboratori laici a Gazzada, Legnano, di Arcivescovi come G. B. Montini, G. Colombo, C. M. Martini, che ha assecondato il mio desiderio di vita pastorale. Di tutti, conservo immutato affetto e grata memoria come della Chiesa — Ambrogio direbbe dei “padri” — che mi hanno accompagnato all’episcopato.

Ma, come Abramo parte per una terra sconosciuta, il Vescovo non sa niente della Diocesi a cui è mandato. Il mandato del Santo Padre, allora Giovanni Paolo II, per me era chiaro: “Vescovo”. E anche la destinazione: “Reggio Emilia-Guastalla”, ma non ancora sapevo della mia terra promessa. “La terra che Dio Le ha indicato, adesso, è qui. Non è un paese straniero come per Abramo… Sappia Eccellenza che qui è… a casa” , così mi incoraggiava Mons. F. Marmiroli, accogliendomi nella Messa d’ingresso (20 settembre 1998). Anche l’abbraccio, al termine della Messa, con il “Cocco” della Casa della Carità di Fosdondo, la consegna della Croce dissotterrata dopo 50 anni di regime dalla terra d’Albania per mano dei genitori di don Gigi Guglielmi, sotto lo sguardo di tutti, me lo hanno testimoniato.

Dopo 14 anni non mi sono dimenticato di quella partenza entusiasmante, subito venata dal confronto con la nuova realtà. Mi sono reso conto della forza unificante dell’Eucaristia con le visite pastorali, compiute a partire dai giorni feriali. Possono esserci diversità di carattere, di sensibilità, di scelte pratiche, ma mi si è rafforzata nel tempo la convinzione che è l’Eucaristia a generare la Chiesa e crea quella volontà di comunione attorno al Vescovo, senza la quale viene meno il senso della sua presenza.

Anche di fronte ad una “grana” — e ce ne sono inevitabilmente — se avessi brigato per diventare Vescovo la tentazione sarebbe stata di dire: “Te la sei voluta. Ben ti sta! Sei tu che hai voluto essere lì”. Credo invece che l’obbedienza sia liberante, perché ti permette di dire: “Signore, ti consegno la mia vita nella buona e cattiva sorte. Non riesco a mettere più fiducia in me stesso. Mi rimane invece più forte la fiducia in Te. Sostienimi!”.

“Pascete il gregge di Dio”

Così, al termine del mio mandato, mi sono chiesto: “E ora dove l’Eucaristia ti porta?”. Mi tocca ripartire a un’età nella quale diventa difficile iniziare una nuova vita, meglio una nuova partenza. Anche Abramo aveva 75 anni, quando partì da Carran. Dopo l’età adulta arriva quella dell’anzianità, quella del distacco. A dire il vero quello del distacco è una delle dimensioni fondamentali della vita, presente in tutto l’arco dell’esistenza.

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Ma non c’è dubbio che è questo il tempo in cui il distacco diventa esperienza più intensa, dolorosa, difficile, ma anche feconda.

Anche Pietro l’apostolo, la pietra su cui Cristo ha voluto fondare la sua Chiesa, non è stato risparmiato con il passare del tempo dalla legge del declino. Così si rivolge ai suoi presbiteri nel brano della seconda lettura: “Carissimi, esorto gli anziani che sono tra voi, quale anziano come loro, testimone delle sofferenze di Cristo e partecipe della gloriachedevemanifestarsi:pasceteilgreggediDiochevièstatoaffidato” (1Pietro 5,1).

Pascere il gregge di Dio non è essere il pastore. Pastore del gregge è Dio; “pastore e vescovo delle vostre anime” è Gesù (1Pietro 2,15). Pietro qui dichiara di non avere dimenticato la lezione di Gesù Risorto apparso sulle rive del lago di Tiberiade, quando, dopo aver mangiato — allusione all’Eucaristia? —, Gesù chiede a Pietro: “Mi ami tu più di costoro?. E Gesù: “Pasci le mie pecore” (Giovanni 21,15). Non gli dice: “Fai tu il pastore!”, ma “Pasci le mie pecore”. Le pecore sono del Buon Pastore, sono di Gesù, e Pietro partecipa di tale funzione, pascendole, ma esse restano di Gesù.

Questo brano del vangelo di Giovanni piaceva molto a Paolo VI, tanto che ne ha fatto il suo testamento al compiersi dei suoi 80 anni. Sofferente nel passo, lui che per primo ha rifiutato la sedia gestatoria, e più ancora consapevole con l’invecchiare che la Provvidenza ha tanti modi d’intervenire, Paolo VI deve avere meditato la lezione di Gesù a Pietro: “Quand’eri più giovane, ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi” (Giovanni 21,18).

La Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla sta ora vivendo il momento importante del passaggio da un Vescovo a un altro. Cambiano i Vescovi, ma rimane unico il Grande Pastore della Chiesa, Cristo Gesù, di cui i Vescovi sono solo un sacramento. Quello che io ho annunciato — la Parola di vita del Vangelo — verrà annunciato da un altro Vescovo, Massimo, al quale rinnovo il mio saluto, la mia preghiera, la mia gioia. Ma Cristo è lo stesso ieri, oggi, e sempre. Cambia il motto: Veritas et amor, quello del Vescovo emerito, Opus justitiae pax, quello del nuovo Vescovo. Diverse le vie, unica la meta: quella della Verità che si fa Amore, e quella della Giustizia che diventa Pace solo in Cristo.

Rinnovo il mio invito ad accogliere con gioia il nuovo Vescovo come dono del Signore, come apostolo del Vangelo perché mandato, e l’invito alla Chiesa a vivere questo passaggio come una chiamata del Signore ad una risposta generosa e coerente

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con il Vangelo, nella disponibilità al servizio e obbedienza alle indicazioni e scelte, collaborando con Lui con amore, fede e con gioia. Quanto a me, come ho già espresso, rinnovo la mia disponibilità a svolgere servizi richiesti per la Diocesi, a cui mi vincola questo anello consegnatomi all’Ordinazione episcopale e che tuttora mi lega come segno del mio primo ed unico amore.

“Resta con noi, Signore”

Da ultimo, non posso concludere questa Eucaristia di commiato senza salutare e ringraziare tutti voi, qui convenuti da ogni parte, per questa assemblea di comunione: preti, diaconi, religiose e religiosi, persone di vita consacrata e laici, in particolare quelli che hanno collaborato più da vicino in quanto Vicari episcopali, foranei, membri dei Consigli presbiterale e pastorale, della Curia e degli Uffici pastorali, uomini e donne, il Coro diocesano.

Saluto le Autorità, gli Amministratori, sia quelli che mi hanno salutato appena arrivato a Reggio sia quelli che mi hanno salutato ieri in S. Prospero; con loro saluto i cittadini laboriosi di questa terra generosa e stimati da chi cerca qui un riscatto di dignità per sé e la propria famiglia, cittadinanza nei diritti e doveri, in particolare i fratelli nella fede cristiana che, con le proprie comunità, e guide testimoniano l’inscindibile unità nella persona di lavoro, casa, fede o religione, cultura.

Saluto gli operatori della comunicazione sociale, come collega (iscritto all’albo dei giornalisti) nei rapporti a volte segnati dalla differenza di cultura tra informazione e formazione. E, tuttavia, non c’è motivo — come si esprimeva Giovanni Paolo II in dialogo con i giornalisti in viaggio verso Cuba — per cui le differenze di fatto su certi punti di contrasto debbano rendere impossibile l’amicizia e il dialogo: un invito a salutarvi come ‘compagni di viaggio’ e ‘amici’.

Ringrazio, da ultimo ma non perché ultimo, Mons. Lorenzo Ghizzoni. Non tocca a me dire che cosa lascio in eredità a questa nostra Chiesa, che io stesso ho ricevuto grazie ai Vescovi miei predecessori. Tocca a me ringraziare chi più da vicino ha condiviso con me, prima come docente, educatore e Rettore del Seminario, poi come nostro Ausiliare questi anni. Mi piace ringraziarlo prima come confratello nel ministero episcopale, perché più giovane. Si dice che i giovani siano degli eterni indecisi, come l’acqua che si scalda, ma non bolle mai.

Niente di questo. Come Ausiliare, Mons. Lorenzo, benché giovane, ha saputo

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contemperare maturità di analisi, andando subito al cuore delle questioni complesse, e concretezza negli obiettivi; competenza giuridica e vicinanza alle persone in difficoltà; inflessibilità di giudizio e capacità di sorridere di sé e delle opinioni altrui; pragmatico, razionale; non si scalda, ma sempre pronto a bollire nella decisione: l’uomo della decisione. Molto hai dato di tuo, qui tra noi, caro Mons. Lorenzo. Molto di reggiano darai come Arcivescovo Metropolita di Ravenna-Cervia, e molto di romagnolo saprai ricevere...

Non posso tacere il mio “grazie” a Don Daniele Casini, mio segretario, anzi di più: “segretario di Stato” per la sua dedizione a svolgere dal suo tavolo la montagna di pratiche provenienti da ogni parte. Si dice che l’ordine c’è quando ogni cosa ha un posto. Non so come facesse in giornate di sole 24 ore... “Tuo figlio diventerà Vescovo!” ho detto al tuo papà Pasquino, malato in ospedale, incoraggiandolo. Se il Signore vorrà, papà non ti vedrà Vescovo qui in terra, ma come per mio papà… pregando dal cielo, il punto di osservazione più alto anche per un Vescovo.

“Resta con noi, Signore, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”, chiedono i due discepoli di Emmaus al termine del loro viaggio con Gesù, come ci racconta la pagina di Vangelo (Luca 24,13-35). Ho visto un bel quadro al Congresso Eucaristico di Ancona (settembre 2011), che ritrae la pagina di Vangelo con i due discepoli sulla porta della locanda, i quali stringono le mani a Gesù per trattenerlo, più con lo sguardo che con le parole. È questo lo sguardo al Signore che vorrei fosse il mio, il vostro, lo sguardo di tutta una Chiesa.

+ Adriano Caprioli

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MESSAGGI DI SALUTO

Vescovo Eletto Massimo Camisasca

Partecipo alla preghiera e alla gratitudine di tutta la Diocesi per il vescovo Adria-no. egli ha servito per tanti anni la nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla con il Suo insegnamento, la Sua preghiera, la Sua cultura e la Sua stessa vita.Assieme a voi chiedo al Signore che Gli sia largo di consolazioni, di gioie e di salute per gli anni futuri.Auguro al Vescovo Adriano una lunga vita, circondato da coloro che gli voglio-no bene.

Roma, 25 XI 2012

+ Massimo Camisasca Vescovo eletto di Reggio Emilia-Guastalla

Card. Camillo Ruini

Eccellenza Carissima,desidero unirmi ai sacerdoti e ai fedeli della Diocesi nel ringraziamento che domenica prossima, 25 novembre, sarà rivolto a Lei ma anche al Signore per tutto il bene che ha operato negli anni del Suo episcopato reggiano.Le sono vicino con l’affetto e con la preghiera perché negli anni che La atten-dono non siano minori, anche se diverse, le gioie del Suo servizio a Dio e ai fratelli.Grazie ancora di tutto

Roma, 19 novembre 2012

Suo Camillo Card. Ruini

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ELEZIONE DI MONS. LORENZO GHIZZONI AD ARCIVESCOVO DI RAVENNA

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COMUNICATO DEL VESCOVO

Siamo in attesa dell’ordinazione episcopale del nuovo Vescovo Massimo Cami-sasca e all’inizio di una nuova stagione del ministero apostolico per la nostra Chiesa di Reggio Emilia-Guastalla. La nostra Chiesa, che ha appena avviato l’Anno della fede, mettendosi in cammino sui passi della figura di Abramo viene ancora una volta chia-mata a fare dono di un suo figlio ad un’altra Chiesa sorella.

Era il 17 febbraio 2006, quando ho annunciato l’elezione di Mons. Lorenzo Ghiz-zoni a nostro Vescovo Ausiliare, venendo così incontro alle crescenti esigenze che il ministero episcopale chiedeva per la crescita armonica del gregge a me affidato, in particolare coordinando le strutture e funzioni centrali diocesane, in concreto la Curia e gli Uffici pastorali, grazie alla sua esperienza formativa come docente, educatore e rettore del nostro Seminario diocesano, e competenza canonistica assai preziosa in tempi di cambiamenti di relazioni e strutture pastorali tuttora in corso. Come persona di casa, Mons. Lorenzo non ha bisogno di presentazione.

Ora però la sollecitudine e il compito di provvedere alle necessità di tutte le Chie-se ha mosso il Santo Padre Benedetto XVI, a seguito della rinuncia di Mons. Giuseppe Verucchi, a dare un nuovo Pastore, eleggendo Mons. Lorenzo Ghizzoni alla sede di Ravenna-Cervia come Arcivescovo Metropolita.

Questo annuncio per Mons. Ghizzoni e per noi avviene ad anno pastorale già avviato e nel bel mezzo dell’arrivo del nuovo Vescovo in Diocesi con il cammino di preparazione e di introduzione alla Diocesi del nuovo Vescovo che questo comporta. Non per questo ci è impedita già sin d’ora la gioia di questo evento che tocca la nostra Chiesa: gioia che si traduce subito nel ringraziamento al Santo Padre per avercelo prima dato come Vescovo ausiliare.

Questa nomina è per noi dunque motivo di gioia ma insieme sacrificio, per il dono che facciamo di un prete e di un Ausiliare che in tutti questi anni ha dato tanto alla Diocesi sia dal punto di vista pastorale come di quello spirituale. La nostra Diocesi, per popolazione chiede molto al Vescovo e la sua presenza su di un territorio vasto e di-versificato è un corroborante per promuovere l’unità tra il clero sia nelle visite pastorali alle parrocchie, sia nell’avvio delle zone e unità pastorali, sia nelle missioni in sei paesi a sostegno della vigorosa scelta missionaria. Sono queste alcune tappe del cammino che Mons. Lorenzo ha condiviso con me, e per cui ringraziarlo.

Un “grazie” tutto particolare va anzitutto ai genitori di Mons. Lorenzo, che gli han-no trasmesso la vita, hanno chiesto per lui il Battesimo, hanno assecondato la sua scelta vocazionale. Un grazie grande ai familiari e in particolare a mamma LUISA, che ancora una volta sono chiamati ad offrire Mons. Lorenzo al servizio di quella famiglia

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più grande che è la Chiesa. È questo un grazie, caro Mons. Lorenzo, che coinvolge le comunità di Cognento e Campagnola che ti hanno educato alla fede, e risuona anche in cielo, dove papà ROMEO vive nell’eternità di Dio ciò che ancora si svolge nel tempo.

Mons. Lorenzo, pur lasciando l’Emilia per la Romagna, continua a far parte della Conferenza dei Vescovi della Regione, e resta con noi il tempo necessario per accom-pagnare il nuovo Vescovo Mons. Massimo Camisasca, che ha voluto così rivolgersi al nuovo Arcivescovo:

(vedi lettera allegata a pagina 93)

L’invito ora è a pregare e invocare il dono dello Spirito a favore del suo nuovo mandato. Quando ad un Vescovo viene affidata una porzione di Chiesa da guidare, nel medesimo tempo è il Vescovo stesso che viene affidato alla comunità perché lo sostenga con la preghiera, la fiducia e la collaborazione.

Chiedo perciò alle comunità parrocchiali e realtà ecclesiali, ai monasteri e alle co-munità di vita consacrata, alle Case della carità e alla comunità del Seminario, speciali preghiere per Mons. Lorenzo, in comunione con la Chiesa di Ravenna Cervia, da oggi ancora più … sorella.

Proprio perché si tratta di una Chiesa che ti viene affidata dal Signore, caro Mons. Lorenzo, essa chiede di essere accolta: con il suo clero, le sue famiglie religiose, le sue attese e anche i suoi problemi, che alle volte mettono in croce, come insegna il tuo motto episcopale: “In sapientia crucis pax”.

Maria, Madre della Chiesa, venerata a Reggio come Madonna della Ghiara, nella cui festa Mons. Ghizzoni ha ricevuto l’Ordinazione episcopale, e a Ravenna come la Madonna Greca, che la tradizione considera come la più antica icona della Vergine madre proveniente dall’Oriente e approdata sulla costa adriatica, il Patrono di Raven-na Sant’Apollinare, primo evangelizzatore della nostra Regione, il Patrono di Cervia, San Paterniano, intercedano per l’Arcivescovo eletto e per noi presso Gesù Buon Pastore.

+ Adriano Caprioli Amministratore apostolico di Reggio Emilia-Guastalla

Reggio Emilia,17 novembre 2012, vigilia della dedicazione della Cattedrale

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PAROLE DI MONS. LORENZO GHIZZONI

al momento dell’annuncio, in Cattedrale

La chiamata a questo nuovo compito nella Chiesa di Dio che vive in Ravenna – Cer-via, all’inizio non mi ha spaventato come successe per la nomina a Vescovo ausiliare, perché in parte me lo aspettavo. Forse non così presto. Poi ripensandoci e valutando meglio le responsabilità che mi attendono, ho avuto un certo timore, anche se non co-nosco ancora la diocesi, il clero, i fedeli e tutto quello che caratterizza la vita pastorale.

So che è il Signore che custodisce la città, altrimenti noi lavoreremmo e veglieremmo invano, ma sappiamo anche che proprio di noi egli si serve per portare la Parola di vita a tutti, per far conoscere attraverso la nostra carità quello che vuole operare.

Faccio molto conto sullo Spirito di Dio, che è la vera forza della Chiesa, conto sui suoi doni alla Chiesa di Ravenna – Cervia, soprattutto sulle persone: sul suo presbiterio, sui diaconi, sugli altri ministeri, sui catechisti, gli educatori, i responsabili e gli animatori delle associazioni e dei movimenti ecclesiali, sulle coppie e le famiglie impegnate nei cammini ecclesiali con responsabilità.

So di inserirmi nella storia di una Chiesa locale che risale agli inizi del cristianesimo, con sant’Apollinare primo evangelizzatore e Vescovo di quelle terre. Vorrei ricevere e trasmettere, insieme alla mia nuova Chiesa, questo patrimonio di fede e di civiltà, ai ragazzi e ai giovani che si affacciano alla vita, a quelli che si sono sposati nel Signore o che vivono situazioni coniugali difficili, a quelli che si sentono a casa nelle nostre comunità o si sono allontanati dalla fede, ai nuovi arrivati nelle nostre terre e anche a chi ha scelto di vivere come se Dio non ci fosse. Tutti hanno diritto al Vangelo, tutti sono chiamati a sedere al banchetto del Regno, tutti possono ricevere il Dono di Dio che è il suo amore che salva. E questo dovrà essere anche il mio servizio episcopale.

Non avevo nessuna fretta di lasciare la mia terra, la mia Chiesa diocesana, con i suoi preti, i diaconi, i consacrati, con i carismi e le scelte pastorali che hanno fatto la sua storia e dato forma alla sua identità spirituale ed ecclesiale. Mi porterò dietro una reg-gianità che credo sia un talento, per molti versi, che ho intenzione di spendere a favore di una Chiesa romagnola non così diversa dalla nostra, pur con le sue particolarità, come è giusto che sia tra Chiese sorelle.

Spero e conto sulla preghiera di molti sia qui che là, perché il ministero affidatomi sia fruttuoso, costruisca unità, favorisca lo spirito missionario, diffonda il senso delle Chie-

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sa, pur con tutti i limiti che mi riconosco, fidandomi della logica del chicco di frumento che se muore porta frutto.

Invoco la protezione di Maria e quella dei patroni S. Apollinare, S. Paterniano, S. Pietro Crisologo e anche di S. Guido Maria Conforti, che hanno vissuto nella santità il loro servizio come Vescovi di questa Chiesa antica e sempre viva.

+ Lorenzo Ghizzoni

Reggio Emilia, 17 novembre 2012.

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IL VESCOVO ELETTO DI REGGIO EMILIA – GUASTALLA

Eccellenza Reverendissima,mi unisco alle Sue parole di augurio a Mons. Lorenzo

Ghizzoni. Esse nascono da una vicinanza e da una consuetudine di lavoro di molti anni. Le mie sono invece il frutto di una conoscenza ravvicinata, eppure già piena di speranza di averlo come aiuto nella mia introduzione alla Diocesi.

Nel breve periodo della nostra collaborazione, avvenuta da lontano, ho ammirato la benevolenza, la concretezza, la decisione e prudenza di mon-signor Ghizzoni.

Speravo di averlo più a lungo al mio fianco. Così non è stato. Obbedia-mo volentieri alla volontà di Dio che si esprime attraverso il Santo Padre.

Eccellenza, esprima perciò, a mio nome, al nuovo arcivescovo di Ra-venna – una sede gloriosa e ricca di storia e di arte – il mio augurio più vivo, la mia preghiera e la mia comunione sincera.Suo dev.mo,

+ Massimo Camisasca Vescovo eletto di Reggio Emilia – Guastalla

Roma, 17 novembre 2012

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NOMINE DELL’AMMINISTRATORE APOSTOLICO

In data 14 novembre 2012 Don Roberto Pinetti è stato nominato Collaboratore Pasto-rale per la parrocchia di Sesso in aiuto al parroco don Fortunato Monelli

In data 21 novembre 2012 Don Mario Pini è stato nominato Amministratore Parroc-chiale di Villarotta divenuta vacante.

In data 5 dicembre 2012 Don Alberto Nava è stato nominato Amministratore Parroc-chiale di Carniana divenuta vacante.

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CONFERMA DEGLI INCARICHI DIOCESANIDA PARTE DEN NUOVO VESCOVO

Con il presente atto confermo ad interim tutti e ciascuno i collaboratori del mio vene-rato predecessore, Mons. Adriano Caprioli, negli uffici, nei compiti e negli incarichi di ministero pastorale loro assegnato e con le facoltà esercitate fino ad ora.

In particolare confermo, fino al 15 gennaio 2013, S. E. Mons. Lorenzo Ghizzoni come Vicario Generale e, fino all’8 settembre 2013, i Vicari Episcopali per le loro rispettive competenze, i deputati ad amministrare il Sacramento della Confermazione e tutti gli incaricati degli Uffici di Curia e degli Uffici pastorali.

Rinnovo le facoltà abituali per amministrare il sacramento della Penitenza, e le facoltà in ordine alla assoluzione dalla censura di cui al can. 1398, negli Ospedali, nelle Case di Cura e nelle Chiese stabilite (*).

Li ringrazio fin d’ora della preziosa e fedele collaborazione che mi viene in tal modo assicurata per il bene della diocesi e dei fedeli.

Reggio Emilia, 17 dicembre 2012. Prot. N. 378 bis / 2012-N.

(*) Hanno la facoltà di assolvere dalla censura prevista per il peccato di aborto (can.1398):

- Il Vescovo, il Vicario Generale e il Penitenziere Vescovile;- Tutti i sacerdoti confessori, che celebrano il sacramento della Penitenza: - nella Cattedrale di Reggio Emilia e nella Concattedrale di Guastalla; - nelle Chiese e nei Santuari dove i fedeli accorrono solitamente per tale Sacra

mento: Basilica della Ghiara e Chiesa dei Cappuccini a Reggio Emilia; S. Quirino di Correggio; S. Giorgio di Sassuolo; Madonna della Porta di Guastalla; Madonna dell’Olmo di Montecchio; Madonna della Fossetta di Novellara; Madonna della Pietra di Bismantova a Castelnovo Monti; Madonna di Campiano a Castellarano; - negli Ospedali e Case di cura.

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Venerdì 21 dicembre

Alle 11.30, nella sala conferenze del Museo diocesano, nell’ambito del tra-dizionale incontro pre-natalizio della Curia e degli Uffici pastorali, il Vesco-vo rivolge il suo messaggio augurale a tutti i collaboratori.

Alle 18.30, nella cripta della Cattedra-le, Mons. Camisasca presiede la cele-brazione eucaristica in preparazione al Natale con gli aderenti all’UCID (Unio-ne Cristiana Imprenditori Dirigenti).

Domenica 23 dicembre

Alle 10, nella Casa circondariale, Mons. Camisasca compie la sua pri-ma visita ai carcerati e presiede la Messa alla vigilia ormai del Natale.

Lunedì 24 dicembre

Alle 24, in Cattedrale, il Vescovo pre-siede la Messa della Notte di Natale.

Martedì 25 dicembre

Alle 10.30, nella tensostruttura presso l’oratorio giovanile di Guastalla, Mons. Camisasca presiede la Messa del Giorno di Natale.

Venerdì 28 e sabato 29 dicembre

Alle 17, in Vescovado, il Vescovo in-contra in due gruppi i 14 candidati al diaconato permanente che verranno ordinati il prossimo 13 gennaio.

DIARIO DEL VESCOVO

Domenica 30 dicembre

Alle 11, nella Basilica di San Prospero, presiede la Messa della Domenica della Santa Famiglia con le parrocchie dell’U-nità pastorale Cattedrale - S. Prospero - S. Teresa.

Alle 17, in Cattedrale, presiede i Vespri della Domenica della Santa Famiglia nell’incontro diocesano delle famiglie, promosso dall’Ufficio di Pastorale Fami-liare.

Lunedì 31 dicembre

Alle 18.30, nella Basilica della Ghiara, per le parrocchie del Centro storico, Mons. Camisasca presiede la celebra-zione eucaristica della Solennità di Ma-ria Santissima Madre di Dio, con il canto del Te Deum di ringraziamento per l’an-no 2012.

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ATTI DELLA CURIA

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DON AVIO SPATTINI

Mercoledì sera 3 ottobre nella canonica di Rometta di Sassuolo alle 20.30 ha concluso improvvisamente il suo pellegrinaggio terreno Don Avio Spattini, all’età di 90 anni compiuti il 29 agosto scorso.Nato a Lesignana comune di Modena, primo di sei fratelli, dopo pochi anni i genitori, con-tadini, si trasferirono a Villa Bagno di Rubiera, dove il piccolo frequentò brillantemente le elementari in una classe di 54 alunni. Dopo i tre anni delle scuole medie ha fatto il ginnasio nel seminario di Marola e gli studi successivi nel seminario di Albinea.Ordinato sacerdote nel 1946, venne inviato come “curato” a Pieve Modolena, dove ha svol-to il suo servizio tra i giovani, anche condividendo con loro le partite di pallone e le pedalate in bicicletta. Dal 1952 al 1961 fu parroco a CARÙ di Villaminozzo. Vi arrivò sulla jeep di un paesano, lungo la mulattiera appena praticabile, unica via di comunicazione con il resto del mondo. Quelli del posto dicono che risollevò l’intero paese, sia materialmente che mo-ralmente. Faceva il fieno con loro, li aiutava nella costruzione delle case, provvedeva con le sue mani agli impianti elettrici. E costruì la nuova chiesa parrocchiale.Nel 1961 ecco la svolta. Nel suo diario si legge: “scendo a Sassuolo”. E vi scendeva per restare: aveva in tasca la lettera del Vescovo Socche che lo incaricava di dar vita ad una nuova parrocchia, nella zona sud/est di Sassuolo, dove si prevedeva un ampio sviluppo residenziale che, ben presto, avrebbe richiesto la presenza di una chiesa con annesse opere parrocchiali.Occorreva dunque fare la parrocchia di Rometta! Il primitivo nucleo della comunità iniziò a ritrovarsi in un garage, poi su un appezzamento di terreno donato alla parrocchia fu costru-ita una chiesetta per intervento del dottor Pietro Marazzi, inaugurata nel 1965. Tra il 1974 e il 1976 videro la luce le opere parrocchiali e la canonica. E ben presto Don Avio intuì che occorreva una chiesa più grande, adeguata alle necessità della parrocchia che cresceva. Nel 1995, si potè celebrare la Messa nella grande chiesa nuova la cui co-struzione era iniziata nel 1992.E dopo altri nove anni di lavoro, nel 2001 arrivò la svolta. Don Avio era parroco di San Pietro in Rometta da 40 anni. “Scriveva nel diario: “ Il Vescovo mi ha comunicato che il mio successore sarà Don Carlo Lamecchi. Fiat voluntas Dei. Ho 80 anni. Spero di poter dire di aver compiuto il mio dovere”.Diventato parroco emerito, il vigore fisico e la sua grande energia spirituale gli consentiro-no di svolgere un prezioso apostolato non solo nella parrocchia di Rometta, ma anche in altre parrocchie, in aiuto a confratelli per Messe e confessioni.Solo negli ultimi mesi, dovette arrendersi alla salute malferma che lo ha costretto a ridurre sempre più la sua attività in parrocchia, dove comunque è rimasto fino all’ultimo giorno di vita. Pochi giorni fa una caduta gli ha provocato la contusione a una spalla. E mercoledì sera 3 ottobre ha chiuso gli occhi su questo mondo.Il funerale è stato fissato per sabato 6 ottobre alle ore 10 a Sassuolo nella chiesa di Romet-ta, che egli stesso ha contribuito a costruire con le proprie mani.

NECROLOGIO

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