bollettino diocesano maggio-giugno 2014

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Atti ufficiali e attività pastorali dell'Arcidiocesi di Bari-Bitonto

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BOLLETTINO DIOCESANO

l´OdegitriaAtti ufficiali e attività pastoralidell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto

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BOLLETTINO DIOCESANO

l´OdegitriaAtti ufficiali e attività pastoralidell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto

Registrazione Tribunale di Bari n. 1272 del 26/03/1996

ANNO XC - N. 3 - Maggio - Giugno 2014

Redazione e amministrazione:Curia Arcivescovile Bari-BitontoP.zza Odegitria - 70122 Bari - Tel. 080/5288211 - Fax 080/5244450www.arcidiocesibaribitonto.it - e.mail: [email protected]

Direttore responsabile:Giuseppe Sferra

Direttore:Gabriella Roncali

Redazione:Beppe Di Cagno, Luigi Di Nardi, Angelo Latrofa, Paola Loria, Franco Mastrandrea,Bernardino Simone, Francesco Sportelli

Gestione editoriale e stampa:Ecumenica Editrice scrl - 70123 Bari - Tel. 080.5797843 - Fax 080.2170009

www.ecumenicaeditrice.it - [email protected]

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DOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

MAGISTERO PONTIFICIODiscorso al mondo della scuola italiana 263

Discorso alla LXVI Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana 267Pellegrinaggio in Terra Santa

(24-26 maggio 2014)Celebrazione ecumenica con Sua Santità il Patriarca Bartolomeo 277Meditazione nell’incontro con sacerdoti, religiosi e seminaristi 281

Invocazione per la pace in Terra Santa 285

DOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANACONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

LVI Assemblea generale (19-22 maggio 2014)Comunicato finale dei lavori 289

Lettera di S.E. Mons. Nunzio Galantino, segretario generale della CEIdopo l’incontro del mondo della scuola con papa Francesco

(10 maggio 2014) 299Nomina di don Alfonso Giorgio ad

Assistente nazionale del Movimento Apostolico Ciechi 301

ATTI DELL’ARCIVESCOVO DI TORINOEditto per la raccolta degli scritti del Servo di Dio

Anastasio del SS.mo Rosario Ballestrero 303

DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI BITONTO

IL DECENNALE DELLA MORTE DI MONS. MARIANO ANDREA MAGRASSI O.S.B.,ARCIVESCOVO DI BARI-BITONTO (2004-2014) 305

Mariano Andrea Magrassi Arcivescovo di Bari-Bitonto (1977-1999)monaco, maestro, pastore:

Prefazione di S.E. Mons. Francesco Cacucci 307Presentazione di Mons. Salvatore Palese 310

Mons. Mariano Magrassi (1930-2004).Una raccolta di studi a dieci anni dalla morte di don Giulio Meiattini, O.S.B. 314

SOMMARIO

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CURIA METROPOLITANA

CancelleriaSacre ordinazioni e decreti 323

Ufficio Scuola. Ufficio Famiglia. Ufficio per la Pastorale giovanilePapa Francesco ha incontrato la scuola che è in Italia.

La preparazione all’evento curata da tre Uffici della Curia 325

Settore Diaconato e ministeri istituitiRelazione sulle attività della Scuola per il diaconato permanente

e i ministeri istituiti per l’anno 2013-2014 331

Settore Laicato. Consulta per le Aggregazioni laicali.Assemblea del laicato (Bari, Casa del clero, 7 aprile 2014):

“La politica e la causa dell’uomo”:relazione del dr. Marco Fatuzzo, del Movimento dei Focolari 335Assemblea del laicato (Bari, Aula sinodale, 6 giugno 2014):

“I campi già biondeggiano per la mietitura (4, 35).Lo Spirito santo e la nuova evangelizzazione”:

relazione del prof. Luigi Alici, ordinario di Filosofia moralenella Università di Macerata, già presidente nazionale

dell’Azione Cattolica Italiana” 354

CONVEGNI

Settore Evangelizzazione. Ufficio CatechisticoIl Convegno nazionale dei direttori degli Uffici catechistici diocesani:

“Sono qui tutti i giovani?” (1Sam 16,11)Comunità cristiana e proposta di fede ai preadolescenti

(Bari, 23-26 giugno 2014) 369

Ufficio Promozione per il Sostegno economico della ChiesaConvegno nazionale degli incaricati diocesani per il “Sovvenire”: 373

PUBBLICAZIONI 377

DIARIO DELL’ARCIVESCOVO

Maggio 2014 391Giugno 2014 393

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Cari amici buonasera!Prima di tutto vi ringrazio, perché avete realizzato una cosa propriobella! Questo incontro è molto buono: un grande incontro dellascuola italiana, tutta la scuola: piccoli e grandi; insegnanti, perso-nale non docente, alunni e genitori; statale e non statale… Ringra-zio il cardinale Bagnasco, il ministro Giannini, e tutti quanti hannocollaborato; e queste testimonianze, veramente belle, importanti.Ho sentito tante cose belle, che mi hanno fatto bene. Si vede chequesta manifestazione non è “contro”, è “per”! Non è un lamento,è una festa. Una festa per la scuola. Sappiamo bene che ci sono pro-blemi e cose che non vanno, lo sappiamo. Ma voi siete qui, noisiamo qui perché amiamo la scuola. E dico “noi” perché io amo lascuola, l’ho amata da alunno, da studente e da insegnante. E poi daVescovo. Nella diocesi di Buenos Aires incontravo spesso il mondodella scuola, e oggi vi ringrazio per aver preparato questo incontro,che però non è di Roma ma di tutta l’Italia. Per questo vi ringraziotanto. Grazie!Perché amo la scuola? Proverò a dirvelo. Ho un’immagine. Ho sen-tito qui che non si cresce da soli e che è sempre uno sguardo che tiaiuta a crescere. E ho l’immagine del mio primo insegnante, quelladonna, quella maestra, che mi ha preso a sei anni, al primo livellodella scuola. Non l’ho mai dimenticata. Lei mi ha fatto amare la

Discorso al mondo della scuola italiana

MAGISTERO PONTIFICIODOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

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scuola. E poi sono andato a trovarla durante tutta la sua vita finoal momento in cui è mancata, a 98 anni. E quest’immagine mi fabene! Amo la scuola, perché quella donna mi ha insegnato ad amar-la. Questo è il primo motivo perché io amo la scuola.Amo la scuola perché è sinonimo di apertura alla realtà. Almenocosì dovrebbe essere! Ma non sempre riesce ad esserlo, e allora vuoldire che bisogna cambiare un po’ l’impostazione. Andare a scuolasignifica aprire la mente e il cuore alla realtà, nella ricchezza deisuoi aspetti, delle sue dimensioni. E noi non abbiamo diritto adaver paura della realtà! La scuola ci insegna a capire la realtà.Andare a scuola significa aprire la mente e il cuore alla realtà, nellaricchezza dei suoi aspetti, delle sue dimensioni. E questo è bellissi-mo! Nei primi anni si impara a 360 gradi, poi piano piano si appro-fondisce un indirizzo e infine ci si specializza. Ma se uno ha impa-rato a imparare, - è questo il segreto, imparare ad imparare! - que-sto gli rimane per sempre, rimane una persona aperta alla realtà!Questo lo insegnava anche un grande educatore italiano, che era unprete: don Lorenzo Milani. Gli insegnanti sono i primi che devono rimanere aperti alla realtà -ho sentito le testimonianze dei vostri insegnanti; mi ha fatto piace-re sentirli tanto aperti alla realtà - con la mente sempre aperta aimparare! Perché se un insegnante non è aperto a imparare, non èun buon insegnante, e non è nemmeno interessante; i ragazzi capi-scono, hanno “fiuto”, e sono attratti dai professori che hanno unpensiero aperto, “incompiuto”, che cercano un “di più”, e così con-tagiano questo atteggiamento agli studenti. Questo è uno dei moti-vi perché io amo la scuola. Un altro motivo è che la scuola è un luogo di incontro. Perché tuttinoi siamo in cammino, avviando un processo, avviando una strada.E ho sentito che la scuola – l’abbiamo sentito tutti oggi – non è unparcheggio. È un luogo di incontro nel cammino. Si incontrano icompagni; si incontrano gli insegnanti; si incontra il personale assi-stente. I genitori incontrano i professori; il preside incontra le fami-glie, eccetera. È un luogo di incontro. E noi oggi abbiamo bisognodi questa cultura dell’incontro per conoscerci, per amarci, per cam-minare insieme. E questo è fondamentale proprio nell’età della cre-scita, come un complemento alla famiglia. La famiglia è il primonucleo di relazioni: la relazione con il padre e la madre e i fratelli è

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MAGISTERO PONTIFICIO

la base, e ci accompagna sempre nella vita. Ma a scuola noi “socia-lizziamo”: incontriamo persone diverse da noi, diverse per età, percultura, per origine, per capacità. La scuola è la prima società cheintegra la famiglia. La famiglia e la scuola non vanno mai contrap-poste! Sono complementari, e dunque è importante che collabori-no, nel rispetto reciproco. E le famiglie dei ragazzi di una classe pos-sono fare tanto collaborando insieme tra di loro e con gli inse-gnanti. Questo fa pensare a un proverbio africano tanto bello: “Pereducare un figlio ci vuole un villaggio”. Per educare un ragazzo civuole tanta gente: famiglia, insegnanti, personale non docente, pro-fessori, tutti! Vi piace questo proverbio africano? Vi piace? Dicia-molo insieme: per educare un figlio ci vuole un villaggio! Insieme!Per educare un figlio ci vuole un villaggio! E poi amo la scuola perché ci educa al vero, al bene e al bello. Vannoinsieme tutti e tre. L’educazione non può essere neutra. O è positi-va o è negativa; o arricchisce o impoverisce; o fa crescere la personao la deprime, persino può corromperla. E nell’educazione è tantoimportante quello che abbiamo sentito anche oggi: è sempre piùbella una sconfitta pulita che una vittoria sporca! Ricordatevelo!Questo ci farà bene per la vita. Diciamolo insieme: è sempre piùbella una sconfitta pulita che una vittoria sporca. Tutti insieme! Èsempre più bella una sconfitta pulita che una vittoria sporca!La missione della scuola è di sviluppare il senso del vero, il senso delbene e il senso del bello. E questo avviene attraverso un camminoricco, fatto di tanti “ingredienti”. Ecco perché ci sono tante disci-pline! Perché lo sviluppo è frutto di diversi elementi che agisconoinsieme e stimolano l’intelligenza, la coscienza, l’affettività, ilcorpo, eccetera. Per esempio, se studio questa Piazza, Piazza SanPietro, apprendo cose di architettura, di storia, di religione, anchedi astronomia – l’obelisco richiama il sole, ma pochi sanno che que-sta piazza è anche una grande meridiana. In questo modo coltiviamo in noi il vero, il bene e il bello; e impa-riamo che queste tre dimensioni non sono mai separate, ma sempreintrecciate. Se una cosa è vera, è buona ed è bella; se è bella, è buonaed è vera; e se è buona, è vera ed è bella. E insieme questi elementi ci

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fanno crescere e ci aiutano ad amare la vita, anche quando stiamomale, anche in mezzo ai problemi. La vera educazione ci fa amare lavita, ci apre alla pienezza della vita! E finalmente vorrei dire che nella scuola non solo impariamo cono-scenze, contenuti, ma impariamo anche abitudini e valori. Si educaper conoscere tante cose, cioè tanti contenuti importanti, per averecerte abitudini e anche per assumere i valori. E questo è moltoimportante. Auguro a tutti voi, genitori, insegnanti, persone chelavorano nella scuola, studenti, una bella strada nella scuola, unastrada che faccia crescere le tre lingue, che una persona matura devesapere parlare: la lingua della mente, la lingua del cuore e la linguadelle mani. Ma, armoniosamente, cioè pensare quello che tu senti equello che tu fai; sentire bene quello che tu pensi e quello che tu fai;e fare bene quello che tu pensi e quello che tu senti. Le tre lingue,armoniose e insieme! Grazie ancora agli organizzatori di questagiornata e a tutti voi che siete venuti. E per favore... non lasciamocirubare l’amore per la scuola! Grazie!

Roma, Piazza San Pietro, sabato, 10 maggio 2014

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A me sempre ha colpito come finisce questo dialogo fra Gesù ePietro: “Seguimi!” (Gv 21,19). L’ultima parola. Pietro era passato pertanti stati d’animo, in quel momento: la vergogna, perché si ricorda-va delle tre volte che aveva rinnegato Gesù, e poi un po’ di imbarazzo,non sapeva come rispondere, e poi la pace, è stato tranquillo, conquel “Seguimi!”. Ma poi, è venuto il tentatore un’altra volta, la tenta-zione della curiosità: “Dimmi, Signore, e di questo [l’apostoloGiovanni] che puoi dirmi? Cosa succederà a questo?”. “A te nonimporta. Tu, seguimi”. Io vorrei andarmene con questo messaggio,soltanto… L’ho sentito mentre ascoltavo questo: “A te non importa.Tu, seguimi”. Quel seguire Gesù: questo è importante! È più impor-tante da parte nostra. A me sempre, sempre ha colpito questo…Vi ringrazio di questo invito, ringrazio il Presidente delle sue paro-le. Ringrazio i membri della Presidenza… Un giornale diceva, deimembri della Presidenza, che “questo è uomo del Papa, questo nonè uomo del Papa, questo è uomo del Papa…”. Ma la presidenza, dicinque-sei, sono tutti uomini del Papa!, per parlare con questo lin-guaggio “politico”… Ma noi dobbiamo usare il linguaggio dellacomunione. La stampa a volte inventa tante cose, no? Nel preparami a questo appuntamento di grazia, sono tornato piùvolte sulle parole dell’apostolo, che esprimono quanto ho – quantoabbiamo tutti – nel cuore: «Desidero ardentemente vedervi per comu-

Discorso alla LXVI Assemblea generaledella Conferenza Episcopale Italiana

MAGISTERO PONTIFICIODOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

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nicarvi qualche dono spirituale, perché ne siate fortificati, o meglio,per essere in mezzo a voi confortato mediante la fede che abbiamoin comune, voi ed io» (Rm 1, 11-12).Ho vissuto quest’anno cercando di pormi sul passo di ciascuno divoi: negli incontri personali, nelle udienze come nelle visite sul ter-ritorio, ho ascoltato e condiviso il racconto di speranze, stanchezzee preoccupazioni pastorali; partecipi della stessa mensa, ci siamorinfrancati ritrovando nel pane spezzato il profumo di un incontro,ragione ultima del nostro andare verso la città degli uomini, con ilvolto lieto e la disponibilità a essere presenza e vangelo di vita.In questo momento, unite alla riconoscenza per il vostro generososervizio, vorrei offrirvi alcune riflessioni con cui rivisitare il mini-stero, perché si conformi sempre più alla volontà di Colui che ci haposto alla guida della sua Chiesa.A noi guarda il popolo fedele. Il popolo ci guarda! Ricordo un film:“I bambini ci guardano”, era bello. Il popolo ci guarda. Ci guardaper essere aiutato a cogliere la singolarità del proprio quotidianonel contesto del disegno provvidenziale di Dio. È missione impe-gnativa la nostra: domanda di conoscere il Signore, fino a dimora-re in Lui; e, nel contempo, di prendere dimora nella vita delle nostreChiese particolari, fino a conoscerne i volti, i bisogni e le potenzia-lità. Se la sintesi di questa duplice esigenza è affidata alla responsa-bilità di ciascuno, alcuni tratti sono comunque comuni; e oggi vor-rei indicarne tre, che contribuiscono a delineare il nostro profilo diPastori di una Chiesa che è, innanzitutto, comunità del Risorto,quindi suo corpo e, infine, anticipo e promessa del Regno.In questo modo intendo anche venire incontro – almeno indiretta-mente – a quanti si domandano quali siano le attese del Vescovo diRoma sull’episcopato italiano.

1. Pastori di una Chiesa che è comunità del Risorto

Chiediamoci, dunque: chi è per me Gesù Cristo? come ha segnatola verità della mia storia? che dice di Lui la mia vita?La fede, fratelli, è memoria viva di un incontro, alimentato al fuocodella Parola che plasma il ministero e unge tutto il nostro popolo;la fede è sigillo posto sul cuore: senza questa custodia, senza la pre-

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ghiera assidua, il Pastore è esposto al pericolo di vergognarsi delVangelo, finendo per stemperare lo scandalo della croce nella sa-pienza mondana.Le tentazioni, che cercano di oscurare il primato di Dio e del suoCristo, sono “legione” nella vita del Pastore: vanno dalla tiepidezza,che scade nella mediocrità, alla ricerca di un quieto vivere, che schi-va rinunce e sacrificio. È tentazione la fretta pastorale, al pari dellasua sorellastra, quell’accidia che porta all’insofferenza, quasi tuttofosse soltanto un peso. Tentazione è la presunzione di chi si illude dipoter far conto solamente sulle proprie forze, sull’abbondanza dirisorse e di strutture, sulle strategie organizzative che sa mettere incampo. Tentazione è accomodarsi nella tristezza, che mentre spegneogni attesa e creatività, lascia insoddisfatti e quindi incapaci dientrare nel vissuto della nostra gente e di comprenderlo alla lucedel mattino di Pasqua.Fratelli, se ci allontaniamo da Gesù Cristo, se l’incontro con Luiperde la sua freschezza, finiamo per toccare con mano soltanto lasterilità delle nostre parole e delle nostre iniziative. Perché i pianipastorali servono, ma la nostra fiducia è riposta altrove: nelloSpirito del Signore, che – nella misura della nostra docilità – ci spa-lanca continuamente gli orizzonti della missione.Per evitare di arenarci sugli scogli, la nostra vita spirituale non puòridursi ad alcuni momenti religiosi. Nel succedersi dei giorni e dellestagioni, nell’avvicendarsi delle età e degli eventi, alleniamoci a con-siderare noi stessi guardando a Colui che non passa: spiritualità èritorno all’essenziale, a quel bene che nessuno può toglierci, la solacosa veramente necessaria. Anche nei momenti di aridità, quando lesituazioni pastorali si fanno difficili e si ha l’impressione di esserelasciati soli, essa è manto di consolazione più grande di ogni amarez-za; è metro di libertà dal giudizio del cosiddetto “senso comune”; èfonte di gioia, che ci fa accogliere tutto dalla mano di Dio, fino a con-templarne la presenza in tutto e in tutti.Non stanchiamoci, dunque, di cercare il Signore – di lasciarci cercareda Lui –, di curare nel silenzio e nell’ascolto orante la nostra rela-zione con Lui. Teniamo fisso lo sguardo su di Lui, centro del tempo

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e della storia; facciamo spazio alla sua presenza in noi: è Lui il prin-cipio e il fondamento che avvolge di misericordia le nostre debolez-ze e tutto trasfigura e rinnova; è Lui ciò che di più prezioso siamochiamati a offrire alla nostra gente, pena il lasciarla in balìa di unasocietà dell’indifferenza, se non della disperazione. Di Lui – anchese lo ignorasse – vive ogni uomo. In Lui, Uomo delle Beatitudini –pagina evangelica che torna quotidianamente nella mia meditazio-ne – passa la misura alta della santità: se intendiamo seguirlo, nonci è data altra strada. Percorrendola con Lui, ci scopriamo popolo,fino a riconoscere con stupore e gratitudine che tutto è grazia, per-fino le fatiche e le contraddizioni del vivere umano, se queste ven-gono vissute con cuore aperto al Signore, con la pazienza dell’arti-giano e con il cuore del peccatore pentito.La memoria della fede è così compagnia, appartenenza ecclesiale:ecco il secondo tratto del nostro profilo.

2. Pastori di una Chiesa che è corpo del Signore

Proviamo, ancora, a domandarci: che immagine ho della Chiesa,della mia comunità ecclesiale? me ne sento figlio, oltre che Pastore?so ringraziare Dio, o ne colgo soprattutto i ritardi, i difetti e le man-canze? quanto sono disposto a soffrire per essa? Fratelli, la Chiesa – nel tesoro della sua vivente Tradizione, che daultimo riluce nella testimonianza santa di Giovanni XXIII e diGiovanni Paolo II – è l’altra grazia di cui sentirci profondamentedebitori. Del resto, se siamo entrati nel Mistero del Crocifisso, seabbiamo incontrato il Risorto, è in virtù del suo corpo, che in quan-to tale non può che essere uno. È dono e responsabilità, l’unità: l’es-serne sacramento configura la nostra missione. Richiede un cuorespogliato di ogni interesse mondano, lontano dalla vanità e dalladiscordia; un cuore accogliente, capace di sentire con gli altri e anchedi considerarli più degni di se stessi. Così ci consiglia l’apostolo.In questa prospettiva suonano quanto mai attuali le parole con cui,esattamente cinquant’anni fa, il Venerabile Papa Paolo VI – cheavremo la gioia di proclamare beato il prossimo 19 ottobre, a con-clusione del Sinodo straordinario dei vescovi sulla famiglia – si rivol-geva proprio ai membri della Conferenza Episcopale Italiana e poneva

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MAGISTERO PONTIFICIO

come «questione vitale per la Chiesa» il servizio all’unità: «È venu-to il momento (e dovremmo noi dolerci di ciò?) di dare a noi stessie di imprimere alla vita ecclesiastica italiana un forte e rinnovatospirito di unità». Vi sarà dato oggi questo discorso. È un gioiello. Ècome se fosse stato pronunciato ieri, è così.Ne siamo convinti: la mancanza o comunque la povertà di comu-nione costituisce lo scandalo più grande, l’eresia che deturpa ilvolto del Signore e dilania la sua Chiesa. Nulla giustifica la divisio-ne: meglio cedere, meglio rinunciare – disposti a volte anche a por-tare su di sé la prova di un’ingiustizia – piuttosto che lacerare latunica e scandalizzare il popolo santo di Dio. Per questo, come Pastori, dobbiamo rifuggire da tentazioni chediversamente ci sfigurano: la gestione personalistica del tempo,quasi potesse esserci un benessere a prescindere da quello dellenostre comunità; le chiacchiere, le mezze verità che diventanobugie, la litania delle lamentele che tradisce intime delusioni; ladurezza di chi giudica senza coinvolgersi e il lassismo di quantiaccondiscendono senza farsi carico dell’altro. Ancora: il rodersidella gelosia, l’accecamento indotto dall’invidia, l’ambizione chegenera correnti, consorterie, settarismo: quant’è vuoto il cielo di chiè ossessionato da se stesso … E, poi, il ripiegamento che va a cerca-re nelle forme del passato le sicurezze perdute; e la pretesa di quan-ti vorrebbero difendere l’unità negando le diversità, umiliando cosìi doni con cui Dio continua a rendere giovane e bella la sua Chiesa…Rispetto a queste tentazioni, proprio l’esperienza ecclesiale costi-tuisce l’antidoto più efficace. Promana dall’unica Eucaristia, la cuiforza di coesione genera fraternità, possibilità di accogliersi, perdo-narsi e camminare insieme; Eucaristia, da cui nasce la capacità difar proprio un atteggiamento di sincera gratitudine e di conservarela pace anche nei momenti più difficili: quella pace che consente dinon lasciarsi sopraffare dai conflitti – che poi, a volte, si rivelanocrogiolo che purifica – come anche di non cullarsi nel sogno di rico-minciare sempre altrove.Una spiritualità eucaristica chiama a partecipazione e collegialità,per un discernimento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella

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ricerca e nella fatica del pensare insieme: non per nulla Paolo VI, neldiscorso citato – dopo aver definito il Concilio «una grazia»,«un’occasione unica e felice», «un incomparabile momento», «ver-tice di carità gerarchica e fraterna», «voce di spiritualità, di bontà edi pace al mondo intero» – ne addita, quale «nota dominante», la«libera e ampia possibilità d’indagine, di discussione e di espressio-ne». E questo è importante, in un’assemblea. Ognuno dice quelloche sente, in faccia, ai fratelli; e questo edifica la Chiesa, aiuta.Senza vergogna, dirlo, così… È questo il modo, per la Conferenza episcopale, di essere spazio vita-le di comunione a servizio dell’unità, nella valorizzazione delle dio-cesi, anche delle più piccole. A partire dalle Conferenze regionali,dunque, non stancatevi di intessere tra voi rapporti all’insegna del-l’apertura e della stima reciproca: la forza di una rete sta in relazio-ni di qualità, che abbattono le distanze a avvicinano i territori con ilconfronto, lo scambio di esperienze, la tensione alla collaborazione.I nostri sacerdoti, voi lo sapete bene, sono spesso provati dalle esi-genze del ministero e, a volte, anche scoraggiati dall’impressionedell’esiguità dei risultati: educhiamoli a non fermarsi a calcolareentrate e uscite, a verificare se quanto si crede di aver dato corri-sponde poi al raccolto: il nostro – più che di bilanci – è il tempo diquella pazienza che è il nome dell’amore maturo, la verità delnostro umile, gratuito e fiducioso donarsi alla Chiesa. Puntate adassicurare loro vicinanza e comprensione, fate che nel vostro cuorepossano sentirsi sempre a casa; curatene la formazione umana, cul-turale, affettiva e spirituale; l’Assemblea straordinaria del prossimonovembre, dedicata proprio alla vita dei presbiteri, costituisceun’opportunità da preparare con particolare attenzione.Promuovete la vita religiosa: ieri la sua identità era legata soprattut-to alle opere, oggi costituisce una preziosa riserva di futuro, a condi-zione che sappia porsi come segno visibile, sollecitazione per tutti avivere secondo il Vangelo. Chiedete ai consacrati, ai religiosi e alle reli-giose di essere testimoni gioiosi: non si può narrare Gesù in manieralagnosa; tanto più che, quando si perde l’allegria, si finisce per legge-re la realtà, la storia e la stessa propria vita sotto una luce distorta.Amate con generosa e totale dedizione le persone e le comunità:sono le vostre membra! Ascoltate il gregge. Affidatevi al suo sensodi fede e di Chiesa, che si manifesta anche in tante forme di pietà

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popolare. Abbiate fiducia che il popolo santo di Dio ha il polso perindividuare le strade giuste. Accompagnate con larghezza la cresci-ta di una corresponsabilità laicale; riconoscete spazi di pensiero, diprogettazione e di azione alle donne e ai giovani: con le loro intui-zioni e il loro aiuto riuscirete a non attardarvi ancora su una pasto-rale di conservazione – di fatto generica, dispersiva, frammentata epoco influente – per assumere, invece, una pastorale che facciaperno sull’essenziale. Come sintetizza, con la profondità dei sem-plici, santa Teresa di Gesù Bambino: «Amarlo e farlo amare». Sia ilnocciolo anche degli Orientamenti per l’annuncio e la catechesi cheaffronterete in queste giornate.Fratelli, nel nostro contesto spesso confuso e disgregato, la primamissione ecclesiale rimane quella di essere lievito di unità, che fer-menta nel farsi prossimo e nelle diverse forme di riconciliazione:solo insieme riusciremo – e questo è il tratto conclusivo del profilodel Pastore – a essere profezia del Regno.

3. Pastori di una Chiesa anticipo e promessa del Regno

A questo proposito, chiediamoci: ho lo sguardo di Dio sulle perso-ne e sugli eventi? “Ho avuto fame…, ho avuto sete…, ero straniero…,nudo…, malato…, ero in carcere” (Mt 25,31-46): temo il giudizio diDio? di conseguenza, mi spendo per spargere con ampiezza dicuore il seme del buon grano nel campo del mondo?Anche qui, si affacciano tentazioni che, assommate a quelle su cuigià ci siamo soffermati, ostacolano la crescita del Regno, il proget-to di Dio sulla famiglia umana. Si esprimono sulla distinzione chea volte accettiamo di fare tra “i nostri” e “gli altri”; nelle chiusure dichi è convinto di averne abbastanza dei propri problemi, senzadoversi curare pure dell’ingiustizia che è causa di quelli altrui; nel-l’attesa sterile di chi non esce dal proprio recinto e non attraversa lapiazza, ma rimane a sedere ai piedi del campanile, lasciando che ilmondo vada per la sua strada.Ben altro è il respiro che anima la Chiesa. Essa è continuamente con-

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vertita dal Regno che annuncia e di cui è anticipo e promessa: Regnoche è e che viene, senza che alcuno possa presumere di definirlo inmodo esauriente; Regno che rimane oltre, più grande dei nostri sche-mi e ragionamenti, o che – forse più semplicemente – è tanto picco-lo, umile e nascosto nella pasta dell’umanità, perché dispiega la suaforza secondo i criteri di Dio, rivelati nella croce del Figlio.Servire il Regno comporta di vivere decentrati rispetto a se stessi,protesi all’incontro che è poi la strada per ritrovare veramente ciòche siamo: annunciatori della verità di Cristo e della sua misericor-dia. Verità emisericordia: non disgiungiamole. Mai! «La carità nellaverità – ci ha ricordato Papa Benedetto XVI – è la principale forzapropulsiva per il vero sviluppo di ogni persona e dell’umanità inte-ra» (Enc. Caritas in veritate, 1). Senza la verità, l’amore si risolve inuna scatola vuota, che ciascuno riempie a propria discrezione: e «uncristianesimo di carità senza verità può venire facilmente scambia-to per una riserva di buoni sentimenti, utili per la convivenza socia-le, ma marginali», che in quanto tali non incidono sui progetti e suiprocessi di costruzione dello sviluppo umano (ivi, 4).Con questa chiarezza, fratelli, il vostro annuncio sia poi cadenzatosull’eloquenza dei gesti. Mi raccomando: l’eloquenza dei gesti.Come Pastori, siate semplici nello stile di vita, distaccati, poveri emisericordiosi, per camminare spediti e non frapporre nulla tra voie gli altri.Siate interiormente liberi, per poter essere vicini alla gente, attentia impararne la lingua, ad accostare ognuno con carità, affiancandole persone lungo le notti delle loro solitudini, delle loro inquietudi-ni e dei loro fallimenti: accompagnatele, fino a riscaldare loro ilcuore e provocarle così a intraprendere un cammino di senso cherestituisca dignità, speranza e fecondità alla vita.Tra i “luoghi” in cui la vostra presenza mi sembra maggiormentenecessaria e significativa – e rispetto ai quali un eccesso di pruden-za condannerebbe all’irrilevanza – c’è innanzitutto la famiglia. Oggila comunità domestica è fortemente penalizzata da una cultura cheprivilegia i diritti individuali e trasmette una logica del provvisorio.Fatevi voce convinta di quella che è la prima cellula di ogni società.Testimoniatene la centralità e la bellezza. Promuovete la vita delconcepito come quella dell’anziano. Sostenete i genitori nel diffici-le ed entusiasmante cammino educativo. E non trascurate di chi-

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narvi con la compassione del samaritano su chi è ferito negli affet-ti e vede compromesso il proprio progetto di vita.Un altro spazio che oggi non è dato di disertare è la sala d’attesaaffollata di disoccupati: disoccupati, cassintegrati, precari, dove il dram-ma di chi non sa come portare a casa il pane si incontra con quellodi chi non sa come mandare avanti l’azienda. È un’emergenza sto-rica, che interpella la responsabilità sociale di tutti: come Chiesa,aiutiamo a non cedere al catastrofismo e alla rassegnazione, soste-nendo con ogni forma di solidarietà creativa la fatica di quanti conil lavoro si sentono privati persino della dignità.Infine, la scialuppa che si deve calare è l’abbraccio accogliente aimigranti: fuggono dall’intolleranza, dalla persecuzione, dalla man-canza di futuro. Nessuno volga lo sguardo altrove. La carità, che ciè testimoniata dalla generosità di tanta gente, è il nostro modo vive-re e di interpretare la vita: in forza di questo dinamismo, il Vangelocontinuerà a diffondersi per attrazione.Più in generale, le difficili situazioni vissute da tanti nostri contem-poranei, vi trovino attenti e partecipi, pronto a ridiscutere un model-lo di sviluppo che sfrutta il creato, sacrifica le persone sull’altare delprofitto e crea nuove forma di emarginazione e di esclusione. Il biso-gno di un nuovo umanesimo è gridato da una società priva di spe-ranza, scossa in tante sue certezze fondamentali, impoverita da unacrisi che, più che economica, è culturale, morale e spirituale.Considerando questo scenario, il discernimento comunitario sial’anima del percorso di preparazione al Convegno ecclesiale nazio-nale di Firenze nel prossimo anno: aiuti, per favore, a non fermarsisul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchi occhiali capaci dicogliere e comprendere la realtà e, quindi, strade per governarla,mirando a rendere più giusta e fraterna la comunità degli uomini.Andate incontro a chiunque chieda ragione della speranza che è invoi: accoglietene la cultura, porgetegli con rispetto la memoria dellafede e la compagnia della Chiesa, quindi i segni della fraternità,della gratitudine e della solidarietà, che anticipano nei giorni del-l’uomo i riflessi della Domenica senza tramonto.Cari fratelli, è grazia il nostro convenire di questa sera e, più in

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generale, di questa vostra assemblea; è esperienza di condivisione edi sinodalità; è motivo di rinnovata fiducia nello Spirito Santo: anoi cogliere il soffio della sua voce per assecondarlo con l’offertadella nostra libertà.Vi accompagno con la mia preghiera e la mia vicinanza. E voi pre-gate per me, soprattutto alla vigilia di questo viaggio che mi vedepellegrino ad Amman, Betlemme e Gerusalemme a 50 anni dallostorico incontro tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora: portocon ma la vostra vicinanza partecipe e solidale alla Chiesa Madre ealle popolazioni che abitano la terra benedetta in cui NostroSignore è vissuto, morto e risorto. Grazie.

Roma, Aula del Sinodo, lunedì, 19 maggio 2014

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Santità, carissimi fratelli Vescovi, carissimi fratelli e sorelle,in questa Basilica, alla quale ogni cristiano guarda con profondavenerazione, raggiunge il suo culmine il pellegrinaggio che sto com-piendo insieme con il mio amato fratello in Cristo, Sua SantitàBartolomeo. Lo compiamo sulle orme dei nostri venerati predeces-sori, il Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora, i quali, con coraggioe docilità allo Spirito Santo, diedero luogo cinquant’anni fa, nellaCittà santa di Gerusalemme, allo storico incontro tra il Vescovo diRoma e il Patriarca di Costantinopoli. Saluto cordialmente tutti voipresenti. In particolare, ringrazio vivamente per avere reso possibi-le questo momento Sua Beatitudine Teofilo, che ha voluto rivol-gerci gentili parole di benvenuto, come pure Sua BeatitudineNourhan Manoogian e il Reverendo Padre Pierbattista Pizzaballa. È una grazia straordinaria essere qui riuniti in preghiera. La Tombavuota, quel sepolcro nuovo situato in un giardino, dove Giusepped’Arimatea aveva devotamente deposto il corpo di Gesù, è il luogoda cui parte l’annuncio della Risurrezione: «Voi non abbiate paura!So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, comeaveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto,andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti”» (Mt 28,5-7).Questo annuncio, confermato dalla testimonianza di coloro aiquali apparve il Signore Risorto, è il cuore del messaggio cristiano,

Pellegrinaggio in Terra Santa in occasionedel 50° anniversario dell’incontro a Gerusalemme

tra Papa Paolo VI e il Patriarca Atenagora(24-26 maggio 2014)

Celebrazione ecumenica conSua Santità il Patriarca Bartolomeo

MAGISTERO PONTIFICIODOCUMENTI DELLA CHIESA UNIVERSALE

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trasmesso fedelmente di generazione in generazione, come fin dalprincipio attesta l’apostolo Paolo: «A voi infatti ho trasmesso, anzi-tutto, quello che anch’io ho ricevuto, cioè che Cristo morì per inostri peccati secondo le Scritture e che fu sepolto e che è risorto ilterzo giorno secondo le Scritture» (1 Cor 15,3-4).È il fondamentodella fede che ci unisce, grazie alla quale insieme professiamo cheGesù Cristo, unigenito Figlio del Padre e nostro unico Signore,«patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto; disceseagli inferi; il terzo giorno risuscitò da morte» (Simbolo degli Apostoli).Ciascuno di noi, ogni battezzato in Cristo, è spiritualmente risortoda questo sepolcro, poiché tutti nel Battesimo siamo stati realmen-te incorporati al Primogenito di tutta la creazione, sepolti insiemecon Lui, per essere con Lui risuscitati e poter camminare in una vitanuova (cfr Rm 6,4).Accogliamo la grazia speciale di questo momento. Sostiamo in devo-to raccoglimento accanto al sepolcro vuoto, per riscoprire la gran-dezza della nostra vocazione cristiana: siamo uomini e donne dirisurrezione, non di morte. Apprendiamo, da questo luogo, a viverela nostra vita, i travagli delle nostre Chiese e del mondo intero nellaluce del mattino di Pasqua. Ogni ferita, ogni sofferenza, ogni dolore,sono stati caricati sulle proprie spalle dal Buon Pastore, che ha offer-to se stesso e con il suo sacrificio ci ha aperto il passaggio alla vitaeterna. Le sue piaghe aperte sono come il varco attraverso cui si river-sa sul mondo il torrente della sua misericordia. Non lasciamoci ruba-re il fondamento della nostra speranza, che è proprio questo: Christòsanèsti! Non priviamo il mondo del lieto annuncio della Risurrezione!E non siamo sordi al potente appello all’unità che risuona proprio daquesto luogo, nelle parole di Colui che, da Risorto, chiama tutti noi«i miei fratelli» (cfr Mt 28,10; Gv 20,17).Certo, non possiamo negare le divisioni che ancora esistono tra dinoi, discepoli di Gesù: questo sacro luogo ce ne fa avvertire con mag-giore sofferenza il dramma. Eppure, a cinquant’anni dall’abbracciodi quei due venerabili Padri, riconosciamo con gratitudine e rinnova-to stupore come sia stato possibile, per impulso dello Spirito Santo,compiere passi davvero importanti verso l’unità. Siamo consapevoliche resta da percorrere ancora altra strada per raggiungere quella pie-nezza di comunione che possa esprimersi anche nella condivisionedella stessa Mensa eucaristica, che ardentemente desideriamo; ma le

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divergenze non devono spaventarci e paralizzare il nostro cammino.Dobbiamo credere che, come è stata ribaltata la pietra del sepolcro,così potranno essere rimossi tutti gli ostacoli che ancora impedisco-no la piena comunione tra noi. Sarà una grazia di risurrezione, chepossiamo già oggi pregustare. Ogni volta che chiediamo perdono gliuni agli altri per i peccati commessi nei confronti di altri cristiani eogni volta che abbiamo il coraggio di concedere e di ricevere questoperdono, noi facciamo esperienza della risurrezione! Ogni volta che,superati antichi pregiudizi, abbiamo il coraggio di promuovere nuovirapporti fraterni, noi confessiamo che Cristo è davvero Risorto! Ognivolta che pensiamo il futuro della Chiesa a partire dalla sua vocazio-ne all’unità, brilla la luce del mattino di Pasqua! A tale riguardo, desi-dero rinnovare l’auspicio già espresso dai miei Predecessori, di man-tenere un dialogo con tutti i fratelli in Cristo per trovare una formadi esercizio del ministero proprio del Vescovo di Roma che, in con-formità con la sua missione, si apra ad una situazione nuova e possaessere, nel contesto attuale, un servizio di amore e di comunione rico-nosciuto da tutti (cfr Giovanni Paolo II, Enc.Ut unum sint, 95-96).Mentre sostiamo come pellegrini in questi santi luoghi, il nostroricordo orante va all’intera regione del Medio Oriente, purtroppocosì spesso segnata da violenze e conflitti. E non dimentichiamo,nella nostra preghiera, tanti altri uomini e donne che, in diverseparti del pianeta, soffrono a motivo della guerra, della povertà,della fame; così come i molti cristiani perseguitati per la loro fedenel Signore Risorto. Quando cristiani di diverse confessioni si tro-vano a soffrire insieme, gli uni accanto agli altri, e a prestarsi gli unigli altri aiuto con carità fraterna, si realizza un ecumenismo dellasofferenza, si realizza l’ecumenismo del sangue, che possiede unaparticolare efficacia non solo per i contesti in cui esso ha luogo, ma,in virtù della comunione dei santi, anche per tutta la Chiesa. Quelliche per odio alla fede uccidono, perseguitano i cristiani, nondomandano loro se sono ortodossi o se sono cattolici: sono cristia-ni. Il sangue cristiano è lo stesso.Santità, amato Fratello, carissimi fratelli tutti, mettiamo da parte leesitazioni che abbiamo ereditato dal passato e apriamo il nostro

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cuore all’azione dello Spirito Santo, lo Spirito dell’Amore (cfr Rm5,5) per camminare insieme spediti verso il giorno benedetto dellanostra ritrovata piena comunione. In questo cammino ci sentiamosostenuti dalla preghiera che Gesù stesso, in questa Città, alla vigi-lia della sua passione, morte e risurrezione, ha elevato al Padre peri suoi discepoli, e che non ci stanchiamo con umiltà di fare nostra:«Che siano una sola cosa … perché il mondo creda» (Gv 17,21). Equando la disunione ci fa pessimisti, poco coraggiosi, sfiduciati,andiamo tutti sotto il manto della Santa Madre di Dio. Quandonell’anima cristiana ci sono turbolenze spirituali, soltanto sotto ilmanto della Santa Madre di Dio troveremo pace. Che Lei ci aiuti inquesto cammino.

Gerusalemme, Basilica del Santo Sepolcro, domenica, 25 maggio 2014

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«Uscì e andò … al monte degli Ulivi; anche i discepoli lo seguirono»(Lc 22,39).Quando giunge l’ora segnata da Dio per salvare l’umanità dallaschiavitù del peccato, Gesù si ritira qui, nel Getsemani, ai piedi delmonte degli Ulivi. Ci ritroviamo in questo luogo santo, santificatodalla preghiera di Gesù, dalla sua angoscia, dal suo sudore di san-gue; santificato soprattutto dal suo “sì” alla volontà d’amore delPadre. Abbiamo quasi timore di accostarci ai sentimenti che Gesùha sperimentato in quell’ora; entriamo in punta di piedi in quellospazio interiore dove si è deciso il dramma del mondo.In quell’ora, Gesù ha sentito la necessità di pregare e di avere accantoa sé i suoi discepoli, i suoi amici, che lo avevano seguito e avevano con-diviso più da vicino la sua missione. Ma qui, al Getsemani, la sequelasi fa difficile e incerta; c’è il sopravvento del dubbio, della stanchezzae del terrore. Nel succedersi incalzante della passione di Gesù, i disce-poli assumeranno diversi atteggiamenti nei confronti del Maestro:atteggiamenti di vicinanza, di allontanamento, di incertezza.Farà bene a tutti noi, vescovi, sacerdoti, persone consacrate, semi-naristi, in questo luogo, domandarci: chi sono io davanti al mioSignore che soffre?Sono di quelli che, invitati da Gesù a vegliare con Lui, si addor-mentano, e invece di pregare cercano di evadere chiudendo gli occhidi fronte alla realtà?O mi riconosco in quelli che sono fuggiti per paura, abbandonan-do il Maestro nell’ora più tragica della sua vita terrena?

Meditazione nell’incontro consacerdoti, religiosi e seminaristi

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C’è forse in me la doppiezza, la falsità di colui che lo ha venduto pertrenta monete, che era stato chiamato amico, eppure ha tradito Gesù?Mi riconosco in quelli che sono stati deboli e lo hanno rinnegato,come Pietro? Egli poco prima aveva promesso a Gesù di seguirlofino alla morte (cfr Lc 22,33); poi, messo alle strette e assalito dallapaura, giura di non conoscerlo.Assomiglio a quelli che ormai organizzavano la loro vita senza diLui, come i due discepoli di Emmaus, stolti e lenti di cuore a crede-re nelle parole dei profeti (cfr Lc 24,25)?Oppure, grazie a Dio, mi ritrovo tra coloro che sono stati fedeli sinoalla fine, come la Vergine Maria e l’apostolo Giovanni? Quando sulGolgota tutto diventa buio e ogni speranza sembra finita, solo l’a-more è più forte della morte. L’amore della Madre e del discepoloprediletto li spinge a rimanere ai piedi della croce, per condividerefino in fondo il dolore di Gesù. Mi riconosco in quelli che hanno imitato il loro Maestro fino al marti-rio, testimoniando quanto Egli fosse tutto per loro, la forza incompa-rabile della loro missione e l’orizzonte ultimo della loro vita?L’amicizia di Gesù nei nostri confronti, la sua fedeltà e la sua mise-ricordia sono il dono inestimabile che ci incoraggia a proseguirecon fiducia la nostra sequela di Lui, nonostante le nostre cadute, inostri errori, anche i nostri tradimenti. Ma questa bontà del Signore non ci esime dalla vigilanza di fronteal tentatore, al peccato, al male e al tradimento che possono attra-versare anche la vita sacerdotale e religiosa. Tutti noi siamo espo-sti al peccato, al male, al tradimento. Avvertiamo la sproporzionetra la grandezza della chiamata di Gesù e la nostra piccolezza, trala sublimità della missione e la nostra fragilità umana. Ma ilSignore, nella sua grande bontà e nella sua infinita misericordia, ciprende sempre per mano, perché non affoghiamo nel mare dellosgomento. Egli è sempre al nostro fianco, non ci lascia mai soli.Dunque, non lasciamoci vincere dalla paura e dallo sconforto, macon coraggio e fiducia andiamo avanti nel nostro cammino e nellanostra missione.Voi, cari fratelli e sorelle, siete chiamati a seguire il Signore con gioiain questa Terra benedetta! È un dono e anche è una responsabilità. Lavostra presenza qui è molto importante; tutta la Chiesa vi è grata e visostiene con la preghiera. Da questo luogo santo, desidero inoltre

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rivolgere un affettuoso saluto a tutti i cristiani di Gerusalemme: vor-rei assicurare che li ricordo con affetto e che prego per loro, ben cono-scendo la difficoltà della loro vita nella città. Li esorto ad essere testi-moni coraggiosi della passione del Signore, ma anche della suaRisurrezione, con gioia e nella speranza.Imitiamo la Vergine Maria e san Giovanni, e stiamo accanto alle tantecroci dove Gesù è ancora crocifisso. Questa è la strada nella quale ilnostro Redentore ci chiama a seguirlo: non ce n’è un’altra, è questa!«Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche ilmio servitore» (Gv 12,26).

Gerusalemme, Chiesa del Getsemani accanto all’Orto degli UliviLunedì, 26 maggio 2014

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Signori Presidenti, Santità, fratelli e sorelle!

Con grande gioia vi saluto e desidero offrire a voi e alle distinte delega-zioni che vi accompagnano la stessa calorosa accoglienza che mi aveteriservato nel mio pellegrinaggio appena compiuto in Terra Santa.Vi ringrazio dal profondo del cuore per aver accettato il mio invitoa venire qui per invocare insieme da Dio il dono della pace. Speroche questo incontro sia un cammino alla ricerca di ciò che unisce,per superare ciò che divide.E ringrazio Vostra Santità, venerato Fratello Bartolomeo, per esserequi con me ad accogliere questi illustri ospiti. La Sua partecipazioneè un grande dono, un prezioso sostegno, e testimonianza del cammi-no che come cristiani stiamo compiendo verso la piena unità.La vostra presenza, Signori Presidenti, è un grande segno di frater-nità, che compite quali figli di Abramo, ed espressione concreta difiducia in Dio, Signore della storia, che oggi ci guarda come fratel-li l’uno dell’altro e desidera condurci sulle sue vie.Questo nostro incontro di invocazione della pace in Terra Santa, inMedio Oriente e in tutto il mondo è accompagnato dalla preghieradi tantissime persone, appartenenti a diverse culture, patrie, linguee religioni: persone che hanno pregato per questo incontro e cheora sono unite a noi nella stessa invocazione. È un incontro che

Invocazione per la pace in Terra Santacon S.S. il Patriarca Bartolomeo,

S.E. il Presidente dello Stato di Israele Shimon Peres eS.E. il Presidente dello Stato di Palestina Abu Mazen

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risponde all’ardente desiderio di quanti anelano alla pace e sogna-no un mondo dove gli uomini e le donne possano vivere da fratellie non da avversari o da nemici.Signori Presidenti, il mondo è un’eredità che abbiamo ricevuto dainostri antenati, ma è anche un prestito dei nostri figli: figli chesono stanchi e sfiniti dai conflitti e desiderosi di raggiungere l’albadella pace; figli che ci chiedono di abbattere i muri dell’inimicizia edi percorrere la strada del dialogo e della pace perché l’amore e l’a-micizia trionfino.Molti, troppi di questi figli sono caduti vittime innocenti dellaguerra e della violenza, piante strappate nel pieno rigoglio. È nostrodovere far sì che il loro sacrificio non sia vano. La loro memoriainfonda in noi il coraggio della pace, la forza di perseverare nel dia-logo ad ogni costo, la pazienza di tessere giorno per giorno la tramasempre più robusta di una convivenza rispettosa e pacifica, per lagloria di Dio e il bene di tutti.Per fare la pace ci vuole coraggio, molto di più che per fare la guerra.Ci vuole coraggio per dire sì all’incontro e no allo scontro; sì al dialo-go e no alla violenza; sì al negoziato e no alle ostilità; sì al rispetto deipatti e no alle provocazioni; sì alla sincerità e no alla doppiezza. Pertutto questo ci vuole coraggio, grande forza d’animo.La storia ci insegna che le nostre forze non bastano. Più di una voltasiamo stati vicini alla pace, ma il maligno, con diversi mezzi, è riu-scito a impedirla. Per questo siamo qui, perché sappiamo e credia-mo che abbiamo bisogno dell’aiuto di Dio. Non rinunciamo allenostre responsabilità, ma invochiamo Dio come atto di supremaresponsabilità, di fronte alle nostre coscienze e di fronte ai nostripopoli. Abbiamo sentito una chiamata, e dobbiamo rispondere: lachiamata a spezzare la spirale dell’odio e della violenza, a spezzarlacon una sola parola: “fratello”. Ma per dire questa parola dobbiamoalzare tutti lo sguardo al Cielo, e riconoscerci figli di un solo Padre.A Lui, nello Spirito di Gesù Cristo, io mi rivolgo, chiedendo l’inter-cessione della Vergine Maria, figlia della Terra Santa e Madrenostra.

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Signore Dio di pace, ascolta la nostra supplica!Abbiamo provato tante volte e per tanti anni a risolvere i nostri con-flitti con le nostre forze e anche con le nostre armi; tanti momentidi ostilità e di oscurità; tanto sangue versato; tante vite spezzate;tante speranze seppellite… Ma i nostri sforzi sono stati vani.Ora, Signore, aiutaci Tu! Donaci Tu la pace, insegnaci Tu la pace,guidaci Tu verso la pace. Apri i nostri occhi e i nostri cuori e dona-ci il coraggio di dire: “mai più la guerra!”; “con la guerra tutto èdistrutto!”. Infondi in noi il coraggio di compiere gesti concreti percostruire la pace.Signore, Dio di Abramo e dei Profeti, Dio Amore che ci hai creati eci chiami a vivere da fratelli, donaci la forza per essere ogni giornoartigiani della pace; donaci la capacità di guardare con benevolenzatutti i fratelli che incontriamo sul nostro cammino.Rendici disponibili ad ascoltare il grido dei nostri cittadini che cichiedono di trasformare le nostre armi in strumenti di pace, lenostre paure in fiducia e le nostre tensioni in perdono.Tieni accesa in noi la fiamma della speranza per compiere conpaziente perseveranza scelte di dialogo e di riconciliazione, perchévinca finalmente la pace. E che dal cuore di ogni uomo siano ban-dite queste parole: divisione, odio, guerra!Signore, disarma la lingua e le mani, rinnova i cuori e le menti, per-ché la parola che ci fa incontrare sia sempre “fratello”, e lo stile dellanostra vita diventi: shalom, pace, salam!Amen.

Giardini Vaticani, domenica, 8 giugno 2014 287

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Comunione e comunicazione della fede: il binomio sintetizza i lavoridella LXVI Assemblea generale della Conferenza Episcopale Italiana –riunita a Roma dal 19 al 22 maggio 2014 – ed esprime lo spirito ecclesia-le con cui sono stati affrontati rispettivamente gli emendamenti alloStatuto della CEI e l’approfondimento degli Orientamenti per l’annuncioe la catechesi in Italia.È lo spirito a cui, aprendo l’Assemblea, ha richiamato il Santo Padre,ricordando che essa vive di «partecipazione e collegialità, per un discerni-mento pastorale che si alimenta nel dialogo, nella ricerca e nella fatica delpensare insieme». È, ancora, lo spirito con il quale il card. Angelo Bagna-sco ha presieduto e condotto i lavori, sottolineando a più riprese che nellacomunità cristiana parole come confronto, partecipazione e sinodalitànon rimandano «a icone sociologiche o strategiche, bensì a realtà che sti-molano ad andare avanti con fiducia per rendere sempre più visibile ilmistero amato della Chiesa». È, infine, lo spirito con cui i Vescovi si sonosoffermati pensosi e solidali rispetto alle tante situazioni provate dallacrisi, dalla difficoltà di relazioni, dal carico di sfide umane, culturali,sociali e religiose che grava sul tempo presente; una vicinanza confluita altermine dell’Assemblea in un messaggio di attenzione, affetto e speranzaindirizzato al Paese. Con questo respiro i lavori sono proseguiti nel confronto sull’educazionecristiana – tema degli Orientamenti pastorali del decennio – accostata inchiave missionaria alla luce dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium.Distinte comunicazioni hanno illustrato la prossima Assemblea generale

LXVI Assemblea generale(Roma, 19-22 maggio 2014)

Comunicato finale dei lavori

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANADOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

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straordinaria, il quinto Convegno Ecclesiale Nazionale e l’ostensione dellaSindone in occasione del bicentenario della nascita di san Giovanni Bosco.L’Assemblea ha, quindi, dato spazio ad alcune determinazioni in materiagiuridico-amministrativa: la presentazione del bilancio consuntivodell’Istituto centrale per il sostentamento del clero per l’anno 2013; lapresentazione e l’approvazione del bilancio consuntivo della CEI per l’an-no 2013, nonché delle ripartizioni e assegnazioni delle somme derivantidall’otto per mille per l’anno 2014, con un ulteriore e rilevante incremen-to del fondo per la carità.Sono state condivise informazioni scritte circa le attività di CaritasItaliana, della Fondazione Migrantes e della Fondazione Missio nell’anno2013, la Giornata della carità del Papa e il Calendario delle attività dellaCEI per l’anno 2014-2015.Ai lavori assembleari hanno preso parte 234 membri, 27 Vescovi emeriti, 20delegati di Conferenze Episcopali Europee, 20 rappresentanti di presbiteri,religiosi, consacrati e della Consulta nazionale delle Aggregazioni laicali.Tra i momenti significativi vi è stata la concelebrazione eucaristica nellaBasilica di San Pietro, presieduta dal card. Marc Ouellet, Prefetto dellaCongregazione per i Vescovi. A margine dei lavori assembleari si è riunito ilConsiglio Permanente, che ha scelto il tema del prossimo CongressoEucaristico Nazionale e ha provveduto ad alcune nomine.

1. I Vescovi, voce della gente

Aprendo l’Assemblea, il Santo Padre – dopo aver messo in guardiadalle «tentazioni che cercano di oscurare il primato di Dio e del suoCristo», dalle «divisioni che dilaniano la Chiesa» e dalle miopie che«ostacolano il progetto di Dio sulla famiglia umana» – si è rivoltoai Vescovi indicando simbolicamente tre «luoghi», «in cui la vostrapresenza mi sembra maggiormente necessaria e significativa», pena«la condanna all’irrilevanza»: famiglia, lavoro e migranti. Sono ambiti prontamente approfonditi dal cardinale Presidente, chenon ha esitato a riconoscerli come spazi che la Chiesa intende abitare«con la forza discreta e coraggiosa della nostra identità missionaria,del nostro annuncio di fede e della nostra testimonianza di carità». E sebbene i lavori assembleari per molti aspetti siano stati dedicatia questioni di carattere giuridico e amministrativo, nei loro inter-venti i Vescovi si sono fatti voce di quanti oggi sono maggiormentein difficoltà. Tra questi, appunto, la famiglia, fortemente penaliz-

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zata da una cultura che privilegia i diritti individuali e trasmetteuna logica del provvisorio; i disoccupati, i precari e gli imprendito-ri che faticano a mandare avanti l’azienda; infine, quanti giungonoin Italia fuggendo dalla fame, dall’intolleranza e dalla guerra. L’appello affinché sia riconosciuto il ruolo pubblico della famigliae la sua rilevanza per il bene comune, come la disponibilità a cerca-re insieme nuove vie di sviluppo sociale e il richiamo alle Istituzionia farsi carico del dramma dei migranti, sono confluiti nel Messag-gio con cui l’Episcopato ha concluso l’Assemblea generale. In essoanche la sollecitazione per una partecipazione attiva e corresponsa-bile alle imminenti elezioni europee.

2. Lo Statuto, servizio alla comunione

Nell’introdurre i lavori assembleari, il card. Bagnasco ha valorizza-to «il duplice appello di Papa Montini, rilanciato da Papa Fran-cesco, all’unità ecclesiale e alla fedeltà al Concilio: non soltanto aisuoi contenuti, ma ad un’esperienza la cui “nota dominante” rima-ne la fraternità, vissuta nella libera e ampia possibilità di indagine,di discussione e di espressione». «Come Conferenza – ha aggiunto– vogliamo aiutarci ad essere sempre più “spazio vitale di comunio-ne” che si nutre di ascolto, di relazioni di prossimità e di condivi-sione all’interno e tra Conferenze Regionali». È finalizzato a tale comunione e a «un’azione più efficace e parteci-pata» – ha spiegato il Presidente – lo stesso «ordinamento giuridico»,di cui lo Statuto e, quindi, il Regolamento della Conferenza Episco-pale sono espressione. Al riguardo, ha ricordato che «l’invito delSanto Padre a confrontarci sulla loro revisione è stato accolto conprontezza, cordialità e impegno», di cui «sono segno i preziosi con-tributi pervenuti dalle Conferenze Episcopali Regionali e le stessevisite, condotte con generosa disponibilità, da S.E. mons. NunzioGalantino». L’ampio materiale, confluito nelle proposte di emenda-menti approvate dal Consiglio Permanente dello scorso marzo, èstato presentato all’Assemblea «per mettere in atto – sono ancora

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parole del cardinale – quel discernimento fraterno che ci porterà aindividuare i passi da fare: insieme, liberi e sereni perché consapevolidi essere uniti nell’ abbraccio dell’unico Signore e Maestro».In questa prospettiva, i Vescovi hanno discusso e deliberato l’ap-provazione della modifica – da sottoporre alla recognitio della SedeApostolica – dell’art. 26 dello Statuto della CEI, stabilendo che lanomina del Presidente della Conferenza sia riservata al SommoPontefice, che lo sceglie da una terna di Vescovi diocesani votati amaggioranza assoluta dall’Assemblea generale. Hanno, inoltre, approvato alcuni emendamenti al regolamento:a) una modifica concernente la composizione delle Commissioniepiscopali (art. 111), dove viene inserita la garanzia di «un’equa rap-presentanza delle tre aree del territorio nazionale» e si stabilisce che«ai sensi dell’art. 40 § 2 dello Statuto le Conferenze episcopali regio-nali indicano preferibilmente come candidati alle Commissioni epi-scopali i Vescovi delegati regionali per settori di attività pastorali»; b) un emendamento all’art. 116, riguardante il piano di lavoro delleCommissioni episcopali, per cui la nuova formulazione diventa:«Le Commissioni episcopali, tenendo conto delle indicazioni di cuiall’art. 39, § e dello Statuto, presentano alla Presidenza della Con-ferenza il piano di lavoro per il quinquennio. Esse assolvono un ser-vizio di informazione, richiamo, proposta su temi emergenti atte-nenti alle loro competenze a favore dei Vescovi sia personalmente,sia nelle Conferenze regionali. Svolgeranno questo servizio construmenti adeguati: schede, comunicazioni ed anche documentipiù ampi e organici quando l’opportunità lo suggerisca»; c) l’aggiunta, in chiusura dell’art. 124 – relativo all’attività delleConferenze episcopali regionali –, della seguente proposizione: «Èauspicabile che le riunioni regionali precedano le sessioni dell’As-semblea generale e del Consiglio Episcopale Permanente».

3. Gli Orientamenti, comunicazione della fede

Accanto alla comunione e al suo ordinamento giuridico, l’altradimensione su cui si è concentrata l’Assemblea generale è stata lacomunicazione della fede, con il confronto sugli Orientamenti perl’annuncio e la catechesi in Italia. Vi ha fatto riferimento lo stesso

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

Santo Padre nel suo discorso, esortando a «non attardarsi ancorasu una pastorale di conservazione – di fatto generica, dispersiva,frammentata e poco influente – per assumere, invece, una pastora-le che faccia perno sull’essenziale». E, citando santa Teresa di GesùBambino, ha aggiunto: «“Amarlo e farlo amare” sia il nocciolo an-che degli Orientamenti».Su questo sfondo, la presentazione del testo – dal titolo IncontriamoGesù – è stata accolta e apprezzata. Con la sua approvazione si è pre-miata anche l’ampia e qualificata consultazione che ne ha precedu-to la stesura: un lungo cammino, fatto di ascolto e di mediazione, aconclusione di un decennio di sperimentazioni catechistiche e nel-l’orizzonte dell’impegno educativo del decennio. Il dibattito ha una volta di più confermato l’interesse, la vitalità e l’at-tenzione nei confronti della catechesi e dell’evangelizzazione, anche neiloro rapporti con l’insieme delle azioni pastorali, a partire in primoluogo da quelle caritative. Tra le sottolineature maggiormente rimar-cate dai Vescovi, la figura e la formazione del catechista, il senso delmandato, il ruolo dei padrini, l’importanza dell’Ufficio Catechisticodiocesano e, non ultimo, la necessità di dotarsi di strumenti che veico-lino la ricchezza dei contenuti della fede. Sono tutti elementi cheappartengono a una comunità matura; sono il segno di una Chiesamissionaria che affianca la famiglia e dona all’uomo d’oggi quanto hadi più prezioso: non una ricetta o una formula, ma una Persona.

4. Con il linguaggio della carità

All’interno della riflessione programmatica che accompagna gliOrientamenti pastorali del decennio, il confronto assembleare haapprofondito il tema “Educazione cristiana e missionarietà allaluce dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium”. Nell’impegno a superare programmi e linguaggi prefissati, i Vescovihanno riconosciuto in una rinnovata passione missionaria la viaper giungere al cuore degli uomini di oggi. Di qui l’attenzione acomunicare la misericordia, quale dimensione centrale del kerygma

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e quindi dell’evangelizzazione, come ricordato dal Santo Padre:«Annunciatori della verità di Cristo e della sua misericordia. Veritàe misericordia: non disgiungiamole. Mai!». In questa luce – hannoevidenziato i Vescovi – educare significa accompagnare come padrie madri all’incontro con Gesù e alla gioia del Vangelo. Si tratta diun cammino dalla forte valenza sociale, che chiede con determina-zione di inserire la dimensione caritativa quale parte integrante delpercorso di iniziazione cristiana: dall’esperienza di incontro con chisoffre alla formazione di quella «carità mediata», che assicura con-tinuità e servizio intelligente alla società. In quest’ottica, da più interventi è emersa la necessità di una maggio-re valorizzazione della dottrina sociale della Chiesa, come anche dellariscoperta dell’essenziale rilevanza della pietà popolare e dei santuari,luoghi in cui la presenza di Dio diventa più facilmente percepibile.

5. Occhiali per comprendere, strade per governare

Il solco su cui collocare il percorso di preparazione al prossimoConvegno Ecclesiale Nazionale (“In Gesù Cristo il nuovo umanesi-mo”, Firenze 2015) l’ha tracciato il Santo Padre nel suo discorsoall’Assemblea. Dopo aver ricordato «le difficili situazioni vissuteda tanti nostri contemporanei» e la necessità di «ridiscutere unmodello di sviluppo che sfrutta il creato, sacrifica le persone sul-l’altare del profitto e crea nuove forma di emarginazione e di esclu-sione», Papa Francesco ha riconosciuto come «il bisogno di unnuovo umanesimo» sia «gridato da una società priva di speranza,scossa in tante sue certezze fondamentali, impoverita da una crisiche, più che economica, è culturale, morale e spirituale». Di qui ilsuo richiamo a un discernimento comunitario che permetta di«non fermarsi sul piano – pur nobile – delle idee, ma inforchiocchiali capaci di cogliere e comprendere la realtà e, quindi, stradeper governarla, mirando a rendere più giusta e fraterna la comuni-tà degli uomini». In questa prospettiva di concretezza, il cardinale Presidente haripreso anche le parole pronunciate dal Papa nel contesto dell’e-vento “La Chiesa per la scuola”– «L’educazione non può essere neu-tra: arricchisce la persona o la impoverisce, la fa crescere o la depri-

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

me, persino può corromperla» – affermando l’opportunità diapprofondirle nel cammino verso Firenze, per «mettere in circola-zione il più possibile confronti ed esperienze, speranze e progetti». Ai Vescovi è stato, quindi, offerto un aggiornamento sulla preparazio-ne al Convegno: la consultazione in atto, finalizzata a raccogliere espe-rienze significative – «buone pratiche» – costituirà la base per il docu-mento preparatorio, che sarà presentato al Consiglio Permanente delprossimo settembre; la designazione dei delegati è anch’essa previstafin dall’inizio del nuovo anno pastorale, per una loro migliore valo-rizzazione; la volontà di prestare attenzione ai “soggetti privilegiati”orienta specialmente ai giovani e ai poveri; uno stile di preghiera, fra-ternità e relazione intende caratterizzare l’appuntamento ecclesiale,che avrà il suo momento più atteso nell’incontro con Papa Francesco. Intanto, è stato comunicato, l’Arcidiocesi di Firenze sta predispo-nendo l’accoglienza, gli spazi dei lavori, la valorizzazione di unpatrimonio artistico, culturale e spirituale di eccelsa testimonianzadi vita cristiana.

6. Si riparte dalla riforma del clero

Dal 10 al 13 novembre prossimo si svolgerà ad Assisi un’Assembleagenerale straordinaria sul tema della formazione e della vita dei pre-sbiteri. Il Santo Padre, nel citato discorso, vi ha fatto esplicito rife-rimento, chiedendo che sia preparata «con particolare attenzione»;nel contempo, ha raccomandato ai Vescovi di assicurare vicinanza ecomprensione ai sacerdoti: «Fate che nel vostro cuore possano sen-tirsi sempre a casa; curatene la formazione umana, culturale, affet-tiva e spirituale». Nel corso dei lavori assembleari sono state esposte le ragioni chemotivano tale convocazione, a partire dalla volontà di aiutare ilsacerdote a una più evidente fedeltà alla missione affidata allaChiesa e a una più pertinente risposta alle provocazioni di questotempo. Il confronto tra i Vescovi ha orientato a concentrarsi soprat-tutto sulla formazione permanente, nell’orizzonte di una riforma

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del clero finalizzata a «far sì che il prete sia un credente e lo diventisempre più» (Giovanni Paolo II) e che richiede una forte tensionemissionaria per l’evangelizzazione. Tra i punti in rilievo, l’esercizio del ministero quale fattore decisivoper la formazione; la responsabilità del ministro nel rapporto conl’unico Pastore; il presbiterio diocesano come ambito proprio dellaformazione permanente. Il cammino di preparazione all’Assemblea – è stato sottolineato – puntaa sviluppare un’attenzione e una sensibilità attorno a queste tematiche.A tale scopo, la Commissione episcopale per il clero e la vita consacratafornirà a tutti i Vescovi entro il 10 giugno una traccia per l’ascolto deipresbiteri, mentre il Consiglio Permanente di settembre predisporràuno strumento di lavoro per lo svolgimento dell’Assemblea stessa.

7. Adempimenti in materia giuridico-amministrativa

Nel corso dei lavori è stato presentato e approvato il bilancio con-suntivo della CEI per l’anno 2013; sono stati definiti e approvati icriteri per la ripartizione delle somme derivanti dall’otto per milleper l’anno 2014 – dove, continuando la tendenza degli ultimi anni,è stato aumentato di 5 milioni di euro il fondo per la carità, mentre500 mila euro sono stati destinati all’emergenza in Bosnia-Erzegovina – ed è stato illustrato il bilancio consuntivo dell’Istitutocentrale per il sostentamento del clero per l’anno 2013.Infine, è stato presentato il Calendario delle attività della Conferenzaper l’anno pastorale 2014-2015: oltre all’Assemblea generale straor-dinaria ad Assisi (10-13 novembre 2014), fissa quella ordinaria delprossimo anno (18-21 maggio 2015), nonché le sessioni delConsiglio Episcopale Permanente (22-24 settembre 2014; 26-28 gen-naio, 23-25 marzo e 21-23 settembre 2015) e il quinto ConvegnoEcclesiale Nazionale (Firenze, 9-13 novembre 2015). La Giornata della carità del Papa sarà celebrata in tutte le diocesidomenica 29 giugno: i mezzi di comunicazione di ispirazione catto-lica – Avvenire, Tv2000, Rete InBlu, Agenzia Sir e settimanali dellaFISC – la sosterranno con particolare impegno; il quotidiano cattoli-co vi devolverà, inoltre, il ricavato delle vendite di quella domenica.

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CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANA

8. Provvedimenti e nomine

Il Consiglio Permanente, nella sessione del 21 maggio 2014, ha scel-to il tema del prossimo Congresso Eucaristico Nazionale, in pro-gramma a Genova nel 2016: “L’Eucaristia, sorgente della missione”. Ha, quindi, provveduto alle seguenti nomine: – Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana: prof. MatteoTRUFFELLI. – Segretario generale della Consulta Nazionale delle AggregazioniLaicali (CNAL): prof.ssa Paola DAL TOSO. – Presidente nazionale maschile della Federazione UniversitariaCattolica Italiana (FUCI): sig. Marco FORNASIERO. – Presidente nazionale del Movimento di Impegno Educativodell’Azione Cattolica (MIEAC): prof.ssa Elisabetta BRUGÈ. – Assistente ecclesiastico nazionale del Movimento ApostolicoCiechi (MAC): don Alfonso GIORGIO (Bari - Bitonto). – Assistente ecclesiastico nazionale della Federazione UniversitariaCattolica Italiana (FUCI): padre Michele PISCHEDDA (Congregazionedell’Oratorio di San Filippo Neri di Brescia).

Il Consiglio Episcopale Permanente ha provveduto altresì alla se-guente conferma: – Presbitero membro del “team pastore” nazionale dell’AssociazioneIncontro Matrimoniale: don Antonio DELMASTRO (Asti).

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Lettera di Mons. Nunzio Galantino,segretario generale CEI

dopo l’incontro del mondodella scuola con papa Francesco

(10 maggio 2014)

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANADOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

Carissimi amici,

vorrei che queste mie parole raggiungessero tutti, ma proprio tutti,coloro che hanno contribuito alla straordinaria riuscita della festadel 10 maggio scorso. Chi era presente in piazza San Pietro, acominciare dal sottoscritto, difficilmente dimenticherà quel cheabbiamo vissuto insieme a Papa Francesco, con una partecipazionedi popolo che ha superato ogni più rosea aspettativa.Una presenza calda e imponente, trasversale a qualsiasi tipo di ap-partenenza e a qualsiasi classificazione anagrafica. Studenti e geni-tori, insegnanti e personale non docente, laici e religiosi, tutti acco-munati (come Papa Francesco ha più volte ribadito) semplicemen-te dall’essere lì per la scuola e non contro qualcuno o per reclamarequalcosa. Questo messaggio, certamente, è stato colto, e le paroledel ministro Giannini ne hanno offerto probabilmente la confermapiù autorevole.La festa del 10 maggio è nata dall’aver condiviso un progetto, che poiè l’impegno quotidiano che anima il lavoro dei cristiani nelle scuoledi ogni ordine e grado, in ogni contrada della nostra Italia, negli isti-tuti statali come in quelli paritari. Quella festa è stata un’occasionestraordinaria per ritrovarci insieme nella gioia e nella consapevolez-za, chiamando i problemi per nome senza nasconderci, ma anche gri-

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dando forte all’intero Paese che chi è innamorato del Vangelo ha leidee, la voglia e la forza per contribuire a risolverli.L’evento del 10 maggio ha rinnovato (e so di parlare a nome del-l’intero episcopato italiano) la coscienza di quanto come Chiesaancora possiamo e dobbiamo fare per la scuola, bene pubblico ine-stimabile e nostra connaturale vocazione. State certi che quelmomento non rimarrà un masso erratico, ma sarà una tappa im-portante di un cammino che continua, proiettato verso il futuro.Permettetemi, in conclusione, un ringraziamento speciale. È rivoltoa quanti il 10 maggio si sono ritrovati a partecipare nelle posizionimeno comode, magari dopo aver affrontato un viaggio massacran-te o messi alla prova dal caldo sole primaverile. E con loro a chi si èspeso, “gratis et amore Dei”, perché tutto potesse andare nel miglio-re dei modi, per tutti.

Con riconoscenza e stima

+ Nunzio GalantinoSegretario generale

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Prot. n. 346/2014

Il Consiglio Episcopale Permanente

SU PROPOSTA della Presidenza del movimento Apostolico Ciechi(MAC) in data 2 maggio 2014;

VISTO il nulla osta di S. E. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovo diBari-Bitonto;

A NORMA dell’art. 16 dello statuto del Movimento Apostolico Ciechie dell’art. 23, lett. o) dello statuto della Conferenza EpiscopaleItaliana,

nella sessione del 21 maggio 2014 ha nominato il Reverendo

don Alfonso Giorgiodell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto

Assistente Ecclesiastico Nazionale del Movimento ApostolicoCiechi (MAC), per un quadriennio.

Roma, 23 maggio 2014

+ Angelo card. BagnascoPresidente

Nomina di don Alfonso Giorgio adAssistente Nazionale Movimento Apostolico Ciechi

CONFERENZA EPISCOPALE ITALIANADOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

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Taurinensis causa beatificationis et canonizationis servi DeiAnastasii a Santo Rosario Ballestrero

(in saeculo: Alberti)Ex ordine fratrum discalceatorum B.M.V. de monte carmelo

sanctae Romanae ecclesiae cardinalisarchiepiscopi metropolitae Taurinensis

(1913-1998)

EDITTO PER LA RACCOLTA DEGLI SCRITTIDEL SERVO DI DIO

ANASTASIO DEL SS.M ROSARIO BALLESTRERO(al secolo: Alberto)

Essendo stato formalmente richiesto dal rev.do Postulatore padreRomano Gambalunga O.C.D., l’inizio dell’inchiesta diocesana sullavita, le virtù e la fama di santità in specie ed i fatti straordinari ingenere riguardante il Servo di Dio Anastasio del SS.mo RosarioBallestrero (al secolo: Alberto), invito tutti i fedeli a comunicarmidirettamente o a far pervenire al Delegato Arcivescovile per le Causedei Santi, presso il Tribunale Ecclesiastico Diocesano e Metropo-litano di Torino, via dell’Arcivescovado n. 12, ulteriori notizie utilidalle quali sia evidenziata l’opportunità di svolgere l’Inchiesta in

Editto per la raccolta degli scritti del Servo di DioAnastasio del SS. mo Rosario Ballestrero, O.C.D.

ATTI DELL’ARCIVESCOVO DI TORINODOCUMENTI DELLA CHIESA ITALIANA

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oggetto o anche soltanto si possa arguire l’esistenza di qualche indi-zio che sia contrario alla fama di santità del predetto Servo di Dio.

Inoltre si rende necessario, nello svolgimento degli atti preliminariin vista dello svolgimento dell’Inchiesta diocesana, raccogliere tuttigli scritti editi e inediti del Servo di Dio e altri documenti che loriguardano. Pertanto con il presente

EDITTO

invito tutti coloro che sono in possesso di manoscritti o scritti (let-tere, articoli, diari, autobiografie, biografie, ecc.) del predetto Servodi Dio Anastasio del SS. mo Rosario Ballestrero (al secolo: Alberto)di presentarli al rev.do postulatore padre Romano Gambalunga,O.C.D., presso la sede della Provincia Ligure dell’Ordine dei Carme-litano Scalzi in Genova, piazza Sant’Anna n. 8, qualora non sianogià stati consegnati alla Postulazione.Chi conoscesse l’esistenza di scritti che riguardano il predetto Servodi Dio è pregato di informarne il rev.do Postulatore, precisando illuogo, le istituzioni o le persone presso cui sono custoditi, la loroentità e il loro valore storico.Coloro infine che, per qualsiasi valido motivo, desiderassero con-servare gli autografi, dopo presentazione degli originali, la loro ste-sura e fotocopiatura, e la loro autenticazione ad opera della Cancel-leria della Curia Metropolitana di Torino, possono riaverli e con-servarli.Dispongo inoltre che il presente Editto venga pubblicato sui setti-manali cattolici torinesi “Il nostro tempo” e “La Voce del Popolo” esui quotidiani “L’Osservatore Romano” e “Avvenire” perché ne siafavorita la conoscenza da parte delle persone interessate.

Dato in Torino, il giorno ventuno del mese di giugno dell’anno delSignore duemilaquattordici – XCI anniversario della primaComunione e XVI anniversario del pio transito del Servo di Dio.

+ Cesare NosigliaArcivescovo metropolita di Torino

Mons. Giacomo Maria MartinacciCancelliere

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Il decennale della morte diMons. Mariano Andrea Magrassi, O.S.B.

(2004-2014)

PER LA STORIA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

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Nel decimo anniversario della morte di padre Mariano Andrea Magrassi,O.S.B., già arcivescovo di Bari-Bitonto, l’Arcivescovo mons. FrancescoCacucci ha voluto espressamente vivere il ricordo con sentimenti di grati-tudine e di preghiera. Nella serata del 19 giugno 2014, in Cattedrale, hapresieduto l’Eucaristia con la partecipazione dei presbiteri, dei diaconi edel popolo. Nella mattinata del 20 giugno, giornata di santificazionesacerdotale, presso l’Oasi S. Maria di Cassano delle Murge, è stato pre-sentato il volume Mariano Andrea Magrassi Arcivescovo di Bari-Bitonto (1977-1999), monaco, maestro, pastore, curato dal Centro di studi storici dellaChiesa di Bari-Bitonto. Per l’occasione è stato invitato il prof. dom GiulioMeiattini, O.S.B., monaco dell’Abbazia Madonna della Scala di Noci. Qui di seguito pubblichiamo la prefazione al volume di S.E. mons.Francesco Cacucci, la presentazione del prof. mons. Salvatore Palese, diret-tore del Centro di studi storici, e la relazione di dom Giulio Meiattini.

IL DECENNALE DELLA MORTE DI MONS. MARIANO MAGRASSI

DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

Mons. Francesco Cacucci

Prefazione

Dalle sue mani ho accolto il pastorale, la sera dell’8 settembre 1999.Era il pastorale del Vescovo cui ero stato chiamato a succedere sullacattedra della Chiesa di Bari-Bitonto, ma per me era anche il testi-mone di colui che è stato per me padre, pastore, amico e fratello.Ho sempre saputo di essere stato avvolto dal suo particolare sguar-do di predilezione: lo avvertivo costantemente. E quello sguardo miha sempre accompagnato nel mio ministero sacerdotale prima edepiscopale poi. Gli assicurai, di fronte al Signore, durante la mia

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consacrazione episcopale, la volontà di essere per lui quello cheTimoteo fu per Paolo. Ho goduto delle sue frequenti confidenze,dei suoi consigli, ma soprattutto della familiarità di un confrontoche non ha mai creato soggezione, ma rinsaldava una sorta di fra-ternità tesa sempre al bene della comunità diocesana che, in ruolidiversi, abbiamo entrambi servito.E nell’intensità degli incontri, la figura del monaco, del maestro edel pastore affioravano costantemente e si amalgamavano in modomirabile. P. Mariano, infatti, è sempre stato profondamente mona-co, grazie alla lettura degli scritti dell’Abate Marmion, così come haspesso raccontato di sé, seppur attraverso un percorso articolato,passando attraverso il seminario vescovile, l’ordinazione presbitera-le, il viceparrocato in una parrocchia della diocesi di Tortona, perpoi approdare in modo provvidenziale nell’ambìto porto benedetti-no. Il suo Vescovo aveva quasi voluto “provare” la sua vocazione,non gli aveva impedito l’ingresso in monastero, ma gli aveva chie-sto solo qualche anno di impegno in diocesi e poi, se quella era lavolontà di Dio… Era la volontà di Dio! Quando raccontava il suoingresso in Monastero gli occhi di p. Mariano scintillavano di gioia,fresca come quella del primo momento. L’abito benedettino era lasua seconda pelle, lo aveva sempre saputo.E così ha vissuto l’esperienza monastica con una fecondità tale cheha segnato gli anni del suo ministero sacerdotale ed episcopale.Genova e poi Noci rappresentano il preludio di una presenza lumi-nosa che ha irradiato l’intera Chiesa italiana. La sua predicazione, isuoi corsi di esercizi spirituali, le sue lezioni magistrali erano unpunto di riferimento autorevole e ispirato. Ancor oggi, presentan-domi come suo successore, colgo che a lui si associa “Afferrati daCristo”, il corso di esercizi spirituali predicati in Vaticano alla pre-senza di Paolo VI, durante la Quaresima del 1977, poco prima dellasua nomina ad Arcivescovo di Bari.Era tangibile una vita spirituale profonda e un amore allo studioche lo ha accompagnato sempre e che lui sapeva tradurre in unadivulgazione fascinosa ed entusiasmante. Alla radice, poi, emergevauna curiosità quasi fanciullesca, una capacità di stupore, un desi-derio di scoprire e una innata disponibilità ad accogliere, fruttomaturo di una sensibilità spirituale davvero raffinata.Monaco e maestro, dunque, ma anche profondamente pastore.

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IL DECENNALE DELLA MORTE DI MONS. MARIANO ANDREA MAGRASSI

Verrebbe da pensare a san Gregorio Magno e alla sua regola pastora-le, di cui p. Mariano era profondamente innamorato! Del grandepapa benedettino gli donai l’Opera omnia, appena fui eletto suoVescovo ausiliare. I ventidue anni di episcopato sono stati una grazia per la diocesi diBari-Bitonto e per la Chiesa italiana. Il suo magistero pastorale, diampio respiro, ha attraversato tutte le corde della vita della comu-nità da quelle spirituali a quelle sociali, a quelle culturali: dallamirabile Lettera pastorale sul Battesimo (Diventa quello che sei)all’opzione per l’evangelizzazione degli adulti, per approdare, attra-verso i tre Convegni ecclesiali diocesani (su Evangelizzazione e pro-mozione umana, sulla Catechesi, sulla Liturgia) al Sinodo diocesano. Ilsuo magistero, di cui i volumi pubblicati sono solo un frammento,è la testimonianza autorevole della vita di un Pastore profonda-mente dedicata al gregge a lui affidato. Non si risparmiava in nes-suna circostanza e, talvolta, visibilmente provato, a chi gli doman-dava di come si sentisse, rispondeva: “stancamente bene”!Sapeva parlare al cuore di tutti, perché comunicava con il cuore econ una parresia che mi ha segnato indelebilmente.Ho accolto dalle sue mani il pastorale, quasi quindici anni fa, e locustodisco come prezioso viatico in un cammino da lui sapiente-mente tracciato e nel quale mi sono sforzato di inserirmi, sostenu-to del suo esempio e dalla sua preghiera. Sono particolarmentedebitore a lui della scelta mistagogica, che segna il cammino pasto-rale di oggi.A dieci anni dalla sua scomparsa, la Chiesa di Bari-Bitonto eleva alSignore un inno di gratitudine per aver accolto in lui un Vescovo“fratello, amico e padre”, come ebbe a dire lui stesso durante la cele-brazione della sua consacrazione episcopale il 17 dicembre 1977.Bari e il suo cuore restano una cosa sola.

+ Francesco CacucciArcivescovo di Bari-Bitonto

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mons. Salvatore Palese

Presentazione

Mons. Mariano Andrea Magrassi concluse il suo percorso terreno il15 aprile 2004, nell’abbazia “Santa Maria delle Scala” di Noci. Da quell’oasi di vita monastica egli era stato chiamato da Paolo VI, il27 novembre 1977, a dirigere la grande arcidiocesi di Bari. Qui, nel-l’antica cattedrale il 17 dicembre seguente, con la ordinazione episco-pale, iniziò il suo servizio alla più grande Chiesa particolare dellaregione pugliese. Esso si concluse il 3 luglio 1999 con le dimissioni ela nomina del successore mons. Francesco Cacucci. Mons. Magrassi loattese da amministratore apostolico fino all’8 settembre seguente.A dieci anni di distanza, la sua personalità si delinea in una manie-ra significativa nell’orizzonte storico della sua arcidiocesi e delmondo cattolico italiano, con il suo patrimonio culturale e con ilsuo incisivo impegno pastorale negli ultimi decenni del Novecento.Il suo episcopato si impone per la sua durata, come quello dell’ar-civescovo Giulio Vaccaro (1898-1924) che aprì la successione epi-scopale del secolo. Lunga durata caratterizzano altri episcopati delNovecento: quello di mons. Marcello Mimmi (1933-1952) e dimons. Enrico Nicodemo (1952-1973). Con tale stabilità dei variperiodi i processi avviati poterono svilupparsi.A mons. Magrassi inoltre toccò guidare la recezione del ConcilioVaticano II, nel solco efficacemente aperto da mons. Enrico Nico-demo e proseguito da mons. Anastasio Ballestrero, nella sua brevis-sima permanenza di appena 4 anni (1973-1977). Si può dire che lavicenda episcopale di mons. Magrassi fu segnata dall’improntamontiniana, nella sua precedente esperienza monastica, nella suaimmersione nella storia, tanto fu significativa la sua attenzione aglisviluppi accelerati che si verificarono dentro la Chiesa Cattolica edentro i rapporti delle chiese cristiane, dentro i contesti cittadinidella sua arcidiocesi e quelli più generali della società italiana.Ricorrendo il decennale della sua morte, l’arcidiocesi di Bari-Bitonto, di intesa con la Comunità monastica benedettina di SantaMaria della Scala di Noci, ha opportunamente provveduto ad avvia-re la ricostruzione storica della memoria di questo monaco chiama-

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IL DECENNALE DELLA MORTE DI MONS. MARIANO ANDREA MAGRASSI

to dalla Liguria a fare l’abate in Puglia, divenuto apprezzato maestrodi vita cristiana e infine arcivescovo del lungo post-Concilio.Le testimonianze sulla vicenda giovanile fanno luce sull’orientamen-to verso la regola di San Benedetto e sulla formazione della sua perso-nalità con quei tratti che perdurarono nella vicenda episcopale. E suquesta, i contributi raccolti nel volume avviano la lettura storica delventennio barese in base alle fonti edite, in attesa di poter disporredella copiosa documentazione conservata negli archivi più diversi(come l’Archivio storico diocesano di Tortona; l’Archivio dell’Abbaziadi Santa Maria della Castagna a Genova; l’Archivio dell’Abbazia di SanGirolamo a Roma; soprattutto l’Archivio dell’Abbazia della Madonnadella Scala di Noci e l’Archivio storico diocesano di Bari-Bitonto). Inquesta direzione si collocano la rassegna completa dei suoi scrittiediti, la cronologia generale e il diario pubblico.La rassegna completa dei suoi scritti offre le dimensioni del suolungo magistero e gli orizzonti verso i quali lo muovevano: la suasensibilità culturale e le responsabilità pastorali. La cronologiagenerale, pur attenta ai fatti istituzionali dell’arcidiocesi, facilita lavisione complessiva dei due decenni baresi. La pubblicazione deldiario pubblico consente di cogliere e fissare le coordinate cronolo-giche e geografiche dell’attività dell’arcivescovo dentro il territoriodiocesano e oltre in Puglia, in Italia e all’estero. Al tempo stesso leannotazioni si riferiscono a momenti significativi della vicendadella città e dei luoghi dell’arcidiocesi; in special modo di quelladelle comunità parrocchiali, delle case religiose e delle associazionilaicali, ed anche delle istituzioni di vario indirizzo e importanza edei rapporti con tante autorità, anche con quelli di altre chiese cri-stiane. Nell’agenda dell’arcivescovo c’è la storia del suo lavoro apo-stolico, ma pure quella religiosa e culturale della società. Pertanto lenotizie date da questo diario potranno diventare piste di ricerca invarie direzioni, per fissare punti di riferimento, utili alla ricostruzio-ne della memoria collettiva dei centri minori della provincia baresealla fine del Novecento. Non può sfuggire che con la pubblicazionedel diario riguardante l’episcopato di mons. Magrassi, in continuitàcon quelli dei suoi immediati predecessori, si viene a dare uno stru-

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mento utile alla conoscenza del secondo cinquantennio del secolo.Si è consapevoli che la poliedrica personalità di mons. Magrassi atten-de una storica ricostruzione. E altrettanto chiara è la convinzione chela storia dell’arcidiocesi di Bari-Bitonto nell’ultimo ventennio delNovecento - come quella dei periodi precedenti - non si esaurisce nellavicenda dei suoi pastori; è più vasta e più complessa.Mons. Magrassi è stato un vescovo del post-Concilio Vaticano II. Nellenote del diario, come nei contributi sul suo episcopato, si coglie il suostile pastorale: vale a dire, di educatore alla vita cristiana, capace dicomunicare nei luoghi più diversi, tenace nel dire le dimensioni litur-giche e catechistiche delle comunità cristiane, aperto agli orizzontiecumenici, efficace nel proporre, paziente e fiducioso nell’attesa dirisultati. Del resto, a scorrere questo diario, si intravede quanto egli èstato dentro le dinamiche complessive del mondo dei cattolici chia-mati ad “aggiornarsi” nei profondi cambiamenti di fine millennio.Il volume è arricchito di documentazione fotografica inedita e diun dvd prodotto dal Museo diocesano, con materiale visivo e sono-ro ritrovato negli archivi regionali e centrali della Rai, messo a di-sposizione dalle rispettive direzioni. Il materiale rende visibili alcu-ni momenti della vita di mons. Magrassi e ne fa ascoltare la voce.Sarà gradito a quanti lo conobbero.Frattanto è doveroso esprimere il vivo ringraziamento a don MicheleBellino, direttore del Museo diocesano e segretario del Centro di studistorici della Chiesa di Bari-Bitonto per l’intenso lavoro nella edizionedel volume, e ai suoi collaboratori per la realizzazione del suddetto dvd.Il Centro di studi storici, accogliendo il volume nella sua collana edito-riale, e il Museo diocesano, ravvivandone il ricordo, esprimono devotoomaggio e profonda gratitudine al loro fondatore. L’arcivescovoMagrassi, infatti, li volle entrambi con lungimirante determinazione,per favorire lo sviluppo della memoria storica della Chiesa di Bari, dive-nuta Bari-Bitonto. Mons. Magrassi ripeteva spesso un suo convinci-mento: non si sa dove andare, se non si conosce donde si viene.Come si vede questa iniziativa così complessa ed articolata risponde adesigenze storiografiche su un periodo a noi vicino, e intercetta attese dif-fuse di prolungare ricordi e di esprimere sinceri sentimenti di affetto.

Salvatore Palesedirettore Centro di studi storici della Chiesa di Bari-Bitonto

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IL DECENNALE DELLA MORTE DI MONS. MARIANO ANDREA MAGRASSI

d. Giulio Meiattini O.S.B.

Mons. Mariano Magrassi (1930-2004)Una raccolta di studi a dieci anni dalla morte1

Prima di presentare il libro pubblicato in memoria di p. MarianoMagrassi, a dieci anni dalla sua morte, vorrei iniziare con un ricor-do personale. Il 1° luglio del 1978 incontravo per la prima volta p.Mariano qui, all’Oasi di S. Maria di Cassano Murge, dove lui, vesco-vo da pochi mesi, stava predicando un ritiro per un gruppo di reli-giose. Lo incontravo per parlargli del mio iniziale orientamentoverso la vita monastica ed essere poi da lui presentato alla comuni-tà della Madonna della Scala di Noci per un primo approccio almondo benedettino. Mi ritrovo oggi, a trentasei anni di distanza,nel medesimo luogo per parlare di lui davanti al presbiterio delladiocesi che lui ha guidato per ventidue anni. Sono dunque soprat-tutto i sentimenti e gli affetti che in questo momento affiorano e sifanno sentire, più che le idee e le parole.

1. Ma veniamo subito a dire qualcosa di questa pubblicazione insuo onore. Il volume, dal titolo Mariano Andrea Magrassi. Arcivescovodi Bari-Bitonto (1977-1999), monaco, maestro, pastore, è un primo ten-tativo di presentare nel suo insieme, da diversi punti di vista, lafigura e l’operato del benedettino di origini piemontesi chiamatoad essere prima abate del monastero di Noci e poi vescovo della dio-cesi barese-bitontina. Si colloca nella già consistente serie della col-lana “Per la storia della Chiesa di Bari-Bitonto. Studi e materiali”, dicui costituisce il volume ventinovesimo. Possiamo dire che l’opera,

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1 Il testo riproduce l’intervento fatto dall’autore il 20 giugno 2014 presso l’Oasi S. Mariadi Cassano Murge, in occasione della presentazione del volume a cura di S. Palese e M.Bellino, Mariano Andrea Magrassi. Arcivescovo di Bari-Bitonto (1977-1999), monaco, maestro,pastore (=Per la Storia della Chiesa di Bari-Bitonto, 29), Edipuglia, Bari 2014.

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volonterosamente curata da don Salvatore Palese e don MicheleBellino, si presenta sotto due profili principali.In primo luogo contiene una parte documentaria molto ampia cheoffre dei nutriti repertori delle fonti primarie disponibili e reperibi-li per ogni tipo di possibile indagine storica, pastorale e teologicarelativa a mons. Magrassi. Si tratta sostanzialmente di quattrorepertori documentari. La bibliografia completa (qualche omissioneva inclusa in partenza in tentativi come questo) di tutto ciò che p.Mariano ha prodotto e pubblicato durante la sua vita. Si tratta dilibri, articoli, interviste, meditazioni, omelie, prefazioni e introdu-zioni ad altre opere, che costituiscono un’imponente lista di oltrecinquecento titoli, a cui vanno aggiunte alcune traduzioni di suoiscritti in lingua straniera e alcuni titoli di studi fino ad ora prodot-ti sulla sua opera. In secondo luogo, la diligenza di don MicheleBellino è riuscita a raccogliere un catalogo delle registrazioni televisivenelle quali p. Magrassi appare a diverso titolo (interviste, celebra-zioni liturgiche, rubriche religiose, ecc.). Potremmo definire questoaspetto la dimensione mediatica del magistero di Magrassi, per untotale di ben 204 filmati, alcuni dei quali mai trasmessi. A ciò siaggiungano la cronologia dell’episcopato, che presenta l’elenco deglieventi più rilevanti per la storia della diocesi nei ventidue anni diservizio episcopale di Magrassi, e l’agenda quotidiana degli impegnipubblici del vescovo, ambedue a cura dello stesso don Bellino.L’agenda è particolarmente impressionante: sono pochi i giorni neiquali il vescovo non ha uno o più impegni pubblici (visite alle par-rocchie, incontri, predicazioni, celebrazioni dei sacramenti, confe-renze, inaugurazioni, riunioni di vario genere, feste patronali e civi-li, viaggi, impegni fuori diocesi, a livello nazionale e anche interna-zionale). Un ritmo certamente stressante, che colpisce soprattuttochi ha conosciuto le non grandi energie fisiche di p. Mariano.Questa parte documentaria rappresenta probabilmente la parte piùduratura del volume: si tratta dei fatti e dei documenti. Se nepotranno aggiungere altri, tratti dai diversi archivi (dell’Abbazia diGenova dove ha iniziato il suo cammino monastico, della Madonnadella Scala dove è stato abate, della diocesi, della curia della Congre-gazione Sublacense e della sua Provincia italiana, ecc.), oltre adeventuali pubblicazioni postume. Esiste anche un diario spiritualepersonale di Magrassi, ancora non pubblicato, di cui nel volume

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che sto presentando si trovano qua e là alcune citazioni, e anche uncerto numero di registrazioni su nastro mai rese pubbliche. Tuttociò potrà in futuro andare ad arricchire e integrare i repertori cita-ti, non certo a smentirli.

2. Il secondo profilo di questo volume è forse più provvisorio e apriori più datato, ma non per questo meno interessante e utile. Sitratta della parte più propriamente “saggistica”, costituita da settecontributi di autori diversi che approfondiscono altrettanti aspettidel pensiero e dell’azione di Magrassi. È un primo tentativo diaddentrarsi nell’opera interpretativa, storica e teologica, di questoprotagonista del post-concilio italiano. I sette contributi sono statisapientemente raggruppati dai due curatori in tre sezioni, secondola tripartizione che dà il sottotitolo all’intera pubblicazione com-memorativa: il monaco, il maestro, il pastore. Li enumeriamo perordine: Mariano Magrassi monaco benedettino (Giacomo Baroffio),L’abbaziato nocese di p. Mariano Magrassi osb. Appunti per una rivisitazio-ne (p. Donato Ogliari osb), Il chiostro e la cattedrale. Lo stile teologico dip. Mariano Magrassi osb (d. Giulio Meiattini osb), Il magistero pastoraledi mons. Mariano Magrassi: dai convegni al sinodo diocesano (d. AntonioSerio), La pastorale liturgica di mons. Mariano Magrassi: dalla fede allacelebrazione e alla vita cristiana (d. Mario Castellano), L’opera ecumeni-ca di mons. Mariano Magrassi come dimensione di Chiesa (d. AngeloRomita), Un vescovo monaco parla alla città (mons. Vito Angiuli).Lo stile dei contributi è abbastanza variegato. Si va dal tono narrati-vo e dal taglio più biografico dei primi due, a quello più teorico delterzo sul pensiero di Magrassi, fino alle ricostruzioni di carattere piùstorico degli ultimi quattro riguardanti il magistero, la liturgia, l’e-cumenismo, la collocazione cittadina e sociale del suo episcopato.È una felice coincidenza che si tratti proprio di sette contributi, nume-ro eloquente per molti versi. Anche per un richiamo al settenariosacramentale, che sta al centro della vita liturgica della Chiesa, allaquale p. Mariano è stato sempre vitalmente attento e sensibile. Po-tremmo quasi dire, sfruttando questo parallelismo, che i primi trecontributi (il monaco, l’abate, il teologo) toccano gli aspetti della “ini-

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ziazione” del futuro vescovo, le coordinate che lo hanno permanente-mente strutturato e che poi si sono esplicate e prolungate in quanto èvenuto dopo nel servizio pastorale.Il settenario dice ancora di più. Mostra che mons. Magrassi è statouna personalità poliedrica, a più dimensioni, non certo riducibile aformule che, per quanto vere, risulterebbero riduttive se isolata-mente prese, come “monaco-vescovo” o “liturgista”. Il fatto che perrendere giustizia in modo non troppo inadeguato alla sua personaci sia stato bisogno di ricorrere a sette prospettive diverse, tutteimportanti e ben caratterizzate, in ciascuna delle quali quest’uomorisalta in modo originale, dice già che ci troviamo davanti ad unafigura composita. Si tratta anche di aspetti non sempre vicini fra diloro. Pensiamo al tema ecumenico, che giustamente qui ci vienepresentato non come aspetto settoriale della esperienza di Chiesapromossa da mons. Magrassi, ma come una dimensione trasversalee pervasiva di essa, e alla sua coesistenza con lo slancio della evan-gelizzazione, considerata dal vescovo come “l’urgenza dell’ora” ealla quale tanta energia ha dedicato. Non è scontato che un vesco-vo abbia una sensibilità altrettanto intensa per due prospettive delgenere, certo non estranee l’una all’altra, ma senz’altro diverse e cheesigono atteggiamenti e metodi assai differenti.Ma la tensione massima la si osserva forse fra il primo e l’ultimodegli aspetti approfonditi dal volume: il monaco, all’inizio, e ilmonaco-vescovo che parla alla città, alla fine; il giovane sacerdoteche si ritira in monastero per dedicarsi ad una vita di preghierariservandosi alla ricerca preferenziale di Dio solo e l’episcopus che sispinge verso le periferie, non dico della Chiesa, ma perfino delmondo degli uomini, dimostrando la vivacità della sua partecipa-zione alla vita della civitas, della polis. La distanza è notevole. Da unaparte l’uomo spirituale dedito all’opus Dei e dall’altra l’uomo diChiesa interessato all’opus hominis. Il magistero sociale di Magrassiha meritato, non a caso, una pubblicazione in volume a parte, emanifesta una costante e puntuale attenzione ai problemi umanidel capoluogo pugliese e della relativa diocesi (la questione sanita-ria, quella ecologica, la disoccupazione, l’usura, il degrado sociale,la scuola, solo per accennare ad alcuni dei temi da lui toccati).Se ci domandiamo cosa abbia potuto permettere a Magrassi di vive-re in modo armonico questi due estremi, all’interno dei quali sono

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contenute tutte le altre prospettive presentate dal libro (il maestro,il pastore, l’ecumenista, il padre di monaci, il teologo di classe),penso che non sbagliamo nel rispondere: la liturgia. La liturgia èinfatti il luogo per eccellenza della mediazione fra Dio e l’uomo.Come spesso ripete la Sacrosanctum Concilium, i fini della liturgiasono inseparabilmente due: il culto e la gloria di Dio, la salvezza ela santificazione degli uomini. La liturgia già contiene i due poli piùlontani e media la distanza più grande, quella fra la finitezzaumana e l’infinito di Dio. In essa si ritrova, nella centralità di GesùCristo e della Chiesa, l’inseparabile unità fra la storia umana e l’e-ternità divina. Il monaco che «nulla deve anteporre all’opus Dei»(Regula Benedicti 43,3), non ha trovato contraddittorio aprirsi, davescovo, ai bisogni più profondi della Chiesa e dell’umanità. Pas-sando dalla sua scelta monastica alla sua proiezione sociale, Ma-grassi in fondo non ha dovuto minimamente spostarsi dal predi-letto centro liturgico, che è l’arco più comprensivo pensabile: Dio euomo, culmen et fons. Della liturgia egli non ha fatto che esplicaretutti gli impliciti, nella parabola della sua vita.Tra il monaco orante e il vescovo di una chiesa locale che sta nellacittà degli uomini e va verso di essa, sta dunque la liturgia, centro eanima della fecondità della vita di p. Mariano. In fondo, la sua famo-sa e sempre attuale relazione dal titolo Liturgia, spiritualità e promozio-ne umana, che fu chiamato a tenere nel 1976 al primo convegno dellaChiesa italiana, segna, proprio a metà del suo cammino umano e bio-grafico, questo passaggio programmatico dall’uno all’altro aspetto,cioè dalla spiritualità all’umano per il tramite liturgico. Fu una rela-zione nella quale egli, senza saperlo, delineava già il suo futuro.

3. Dunque una figura poliedrica quella di p. Mariano, potremmoanche dire “complessa”. Non dobbiamo temere di usare questo agget-tivo, magari ricordando la semplicità estrema del suo animo e del suolinguaggio. Perché la complessità non significa complicatezza. Cosìcome semplicità non vuol dire semplicismo. La semplicità di Dio ècomplessa, non complicata; e la complessità del mistero di Dio è sem-plice, non semplicista. Lo stesso possiamo dire di p. Mariano. È un

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fatto che il volume che presentiamo ha avuto bisogno di vari nomi percircoscrivere la sua figura: monaco, abate, pastore, teologo, ecumeni-sta, maestro, liturgista... Magrassi ha saputo tenere insieme realtà easpetti diversi con un’armonia singolare e senza riduzionismi.Un suo articolo del 1974, apparso sul periodico “La Scala”, del mo-nastero di Noci, porta il titolo: Gli unilateralismi: un grave rischio per lacomunione ecclesiale. Rovesciato in senso affermativo potremmoesprimere il concetto in questo modo: “tenere insieme le differen-ze”. Un motto latino da lui talvolta usato era: diversa, sed non adver-sa. Per chi ha letto anche solo alcuni degli scritti di Magrassi, appa-re chiaro questo suo stile di pensiero, che ha a cuore la visione sin-fonica, d’insieme, del Mistero e delle sue sfaccettature. In fondo egliè un teologo “sistematico” o meglio, per dirla con B. Forte, “simbo-lico”, nel senso che mostra un tatto speciale per il nexus mysteriorum,per l’armonia delle verità di fede nella loro connessione, coesione ecompenetrazione reciproche. La sua tesi di dottorato su Ruperto diDeutz è emblematica della sua mens, portata alla visione integrale eorganica della fede e in generale della realtà, ma con quel ricorso allastoria che mantiene aperta la struttura, la totalità, al di più. Neltesto Per me vivere è Cristo, dedica un capitolo alla “teologia sinfoni-ca” di H. U. von Balthasar, e ne cita fra l’altro il libretto intitolatoproprio La verità è sinfonica. Egli si ritrova perfettamente, o può esse-re visto senza forzatura alcuna, in questa medesima prospettivadella sinfonicità, parola che tra l’altro evoca tutto il mondo dell’ec-clesiologia orientale, a cui egli fu connaturalmente vicino.Evitare gli unilateralismi vuol dire per il Nostro avere una visioneprospettica e composita delle cose, ma senza relativismi, fuggire inogni modo la mentalità riduzionista, che è una malattia endemicadella cultura occidentale contemporanea e di riflesso anche dellavita della Chiesa odierna. Per precisare meglio questa forma mentis,che coniuga semplicità e complessità, si potrebbe ricorrere ad unaltro famoso titolo di von Balthasar: Il tutto nel frammento. È un tito-lo di sapore eucaristico, se vogliamo anche trinitario, la cui cifraritroviamo, per esempio, nel modo con cui Magrassi legge il rap-porto fra le parti e il tutto del rito liturgico, cercando di coniugareil carattere composito di quest’ultimo (definito “una complessitàarticolata”) e la sua intrinseca unità. In uno dei suoi primissimiarticoli apparsi su «Rivista Liturgica» del 1962, egli si rifà ad un

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testo illuminante di Bossuet, come spunto per il superamento di unapproccio analitico e anatomico al rito stesso in vista della ricom-posizione della “unità vivente di ciascun rito”. Riportiamo la parteprincipale di questa citazione di Bossuet:

Dobbiamo tenere presente che le cose che si celebrano sonocosì grandi e hanno effetti così molteplici che la Chiesa, nonpotendo esprimere tutta l’estensione del mistero in un sololuogo, divide la sua operazione, che in se stessa è semplice,come in diverse parti, con parole convenienti per ciascuna, inmodo che l’azione e il linguaggio risultino nella loro organi-ca complessità e unità. E’ dunque per rendere la cosa più sensi-bile che la Chiesa parla nelle diverse parti come se stessefacendo quella cosa attualmente, senza troppo preoccuparsise questa cosa è già fatta o da ancora da fare, contenta che iltutto si trovi nell’azione totale, e che alla fine ci sia la spiegazio-ne più piena, più viva e più sensibile di tutto il mistero2.

Questo principio di totalità, che coniuga sia la semplicità sia lacomplessità, è un tentativo di superare l’approccio allora ancoraprevalente della forma-materia nella teologia sacramentaria a parti-re dalla logica rituale. Un’intuizione all’avanguardia! Ma questaintuizione («il tutto si compie nell’azione totale», l’ho sentito iostesso ripetuto in alcune occasioni da Magrassi) non vale solo per laliturgia, diventa piuttosto una specie di principio formale generaleche attraversa l’intero pensiero teologico di p. Mariano, per esem-pio la sua ecclesiologia dialogica e ministeriale, sinfonica appunto.Chi non ricorda la sua definizione del pastore e del vescovo comecolui che «ha il carisma della sintesi, non la sintesi dei carismi»?Magrassi possiede una forma di pensiero che distingue e unisce altempo stesso, dunque un pensiero semplice e complesso.Ma la cosa più importante, come si è detto, è che questo metodo ostile, chiamiamolo così, non è solo tipico del pensare di p. Mariano,

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2 Essenza e cerimoniale nei sacramenti. Valore del segno sacramentale, in «Rivista Liturgica» 49(1962), pp. 232-243 (cit. a p. 235). I corsivi sono miei.

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ma anche del suo vivere. Siamo partiti, infatti, proprio dalle diversedimensioni della sua personalità, che il volume appena pubblicatoevidenzia. Ci domandiamo: come si coniugano in lui il monaco, l’a-bate, il teologo, il maestro, il pastore, l’ecumenista, l’uomo sensibi-le all’uomo? Sicuramente è da escludere il metodo del semplice acco-stamento dei diversi aspetti, cioè l’estrinseca giustapposizione.Altrettanto inadatto sarebbe il modello dell’incastro, come le tesseredi un mosaico o di un puzzle. Neppure risponderebbe al vero laconfigurazione lineare di una consequenzialità logica, come in unalbero genealogico, nel quale da un aspetto derivano gli altri, secon-do un principio di subordinazione.Direi, invece, che i vari volti della sua personalità poliedrica sono l’unodentro all’altro, proprio come nel menzionato principio eucaristico del“tutto nel frammento”, dove vale anche il viceversa, che il frammen-to è implicato nel tutto. A ben vedere, infatti, nel monaco Magrassic’è già in nuce il maestro di sapienza evangelica, il liturgo, ilpadre/pastore, così come nel liturgista appassionato c’è il monacodedito alla lode di Dio e quel sentire cum Ecclesia che si esprimerà almassimo nel suo episcopato. Il Magrassi abate che volle sempre pro-muovere il dialogo nella sua comunità (“dialogo” è una delle parolechiave di Magrassi, che si pone sulla linea montiniana del-l’Ecclesiamsuam), mostra già la predisposizione ecumenica, e il cenobita sensibi-le alla koinonia e all’ospitalità contiene in germe un peculiare modo disentire e vivere la vita della Chiesa locale come comunità e famigliaallargata. Nel pastore che si occupa non solo delle pecore dentro l’o-vile, ma anche di quelle alias oves che vivono in altre comunità eccle-siali (ecumenismo) o al di fuori del recinto ecclesiale (i lontani, lacittà, la società, le periferie), continua a vivere la pastoralità che laRegola di S. Benedetto raccomanda all’abate (i capp. 2 e 64 dellaRegola benedettina, dedicati all’abate, sono delle pagine che sembre-rebbero scritte per un parroco o un vescovo). Nello stesso teologo cheda buon monaco mette al centro del suo studio la forma liturgica e lesue leggi, si ritrova il respiro ecclesiale in tutta la sua ampiezza: lavarietà dei ministeri, l’azione pastorale, lo slancio dell’evangelizzazio-ne, la premura della carità che la celebrazione contiene e a cui spinge.Per cui il pastore Magrassi ha continuato ad essere ancora monaco,teologo, liturgista, e il monaco, figura universale cara sia all’orienteortodosso che alle altre grandi religioni, si è riconosciuto senza diffi-

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coltà nell’impegno a favore della pace e dell’ecumenismo. E il giocodei rimandi potrebbe continuare.

4. Quel che preme sottolineare, avviandoci alla conclusione, è proprioquesta complessità dell’uomo semplice Magrassi, uomo di una cosa sola(monaco) eppure anche sensibile alle differenze, perché abituato a sen-tire la massima Differenza (quella di Dio) come fondamento della suaesistenza. E forse qui sta tutta l’attualità sia del suo pensiero sia dellasua vita sia della sua opera, unificati e attraversati da un medesimostile. E p. Mariano era un uomo “di stile”, dal modo di celebrare a quel-lo di incontrare gli altri. Ci troviamo infatti nella “società complessa”,fino ai limiti della disgregazione, e si cerca di proporre e delineare un“pensiero complesso”, ormai, all’interno di tutte le discipline, nel ten-tativo di accostarsi alla complessità della realtà con strumenti più raf-finati e più duttili possibile. Uno degli odierni maestri di questo pen-siero complesso, Edgar Morin, lo ha definito in vari modi. Tra gli altriattraverso la cifra dell’ologramma. Il principio ologrammatico

consiste nel dire, nel concepire, che non solo la parte sta in untutto, ma che il tutto è anch’esso all’interno della parte. È un’ideache può sembrare del tutto paradossale, ma che è incessantemen-te convalidata almeno biologicamente. In ogni cellula del mioorganismo, comprese le cellule della mia pelle, è inscritta la totali-tà del mio patrimonio genetico. Naturalmente vi si trova espressauna sola parte, quella che permette di formare la pelle. La totalità èpresente in ogni cellula di ogni organo specializzato. Noi, in quan-to individui, possiamo dire che il tutto della società è presente innoi attraverso il linguaggio, le culture, le idee. Allo stesso modo iltutto della specie in quanto organizzazione genetica e sistema diriproduzione, è presente in ciascuno di noi, il quale è nel tutto3.

Non è forse questo che siamo andati dicendo fino ad ora parlandodel Nostro? Non è, in fondo, un principio aderente alla liturgia,questo principio ologrammatico? Così come il principio ricorsivo, che

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3 E. MORIN, L’età planetaria e la crisi dell’intelligenza, in «Vita e Pensiero», 97 (2014), p. 27.

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il Morin cita come altra forma del pensiero complesso: in un siste-ma i prodotti e gli effetti sono ambedue necessari alla loro stessaproduzione, nel senso che gli individui sono sia il riflesso e il risul-tato del processo, sia ciò che lo consente e lo provoca. Pensiamo alculmen et fons: l’atto liturgico vissuto come inizio e fine, ciò che dàorigine e ciò che realizza il compimento, causa di un processo e suorisultato. Tra l’epistemologia complessa di E. Morin e la forma li-turgica da cui è plasmata la forma vivendi, cogitandi et docendi dimons. Magrassi, c’è una sorprendente affinità.Potremmo alla fine riassumere l’essenziale, dicendo che p. Mariano,rimanendo aderente alla liturgia ha potuto esprimere e vivere in se stes-so l’unità di semplice e di complesso, di articolazione dell’unico e di unitàdel molteplice. Da qui, lo ripeto, l’attualità della sua eredità. P. Marianonon è mai stato a rimorchio dei cambiamenti, ma un uomo all’altezzadei tempi, per certi versi in anticipo, come queste ultime osservazionisuggeriscono. E questo perché ha saputo innestarsi in modo fiducioso eintelligente in una corrente ecclesiale più grande e antica di lui.Il volume che viene ad arricchire la collana Per la storia della Chiesa diBari-Bitonto, lascia dunque intuire per la prima volta la ricchezza diun tipico testimone del periodo post-conciliare. Mons. Magrassi è infondo un uomo, un credente, un vescovo che le generazioni futurenon potranno che comprendere come un frutto del Vaticano II e unsuo grande attuatore, nella cornice del travagliato trapasso epocaledal modello ecclesiale post-tridentino a quello promosso dall’ulti-mo concilio. In un periodo in cui si tentano bilanci dell’eredità con-ciliare e si discute sulla sua recezione e interpretazione, la figura diquesto piemontese in terra pugliese appare di non trascurabileimportanza. Con un’espressione di p. Bartolomeo Sorge potremmoannoverare anche p. Mariano fra i “grandi traghettatori” dellaChiesa nella seconda metà del ‘9004. Se il volume su cui ci siamo sof-fermati, per lo stesso carattere della collana in cui è inserito, inqua-dra l’opera di Magrassi prevalentemente all’interno della storiaecclesiale pugliese, altre indagini potranno ampliare l’orizzonte,mettendo in rilievo il suo ruolo anche nell’intera Chiesa italiana5.

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4 Cfr B. SORGE, La traversata. La Chiesa dal Concilio Vaticano II ad oggi, Mondadori, Milano 2010.5 Un primo recente saggio in merito è quello di P. ZECCHINI, “Vivere la liturgia”. Il contributodi Mariano Magrassi al rinnovamento liturgico in Italia, Ed. Liturgiche, Roma 2014.

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

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Cancelleria

MAGISTERO PONTIFICIOCURIA METROPOLITANA

1. Sacre ordinazioni, ammissioni, ministeri istituiti

- La mattina di domenica 29 giugno 2014, Solennità dei SS. ApostoliPietro e Paolo, in Cattedrale, durante una concelebrazione eucari-stica da lui presieduta, S. Ecc. Mons. Francesco Cacucci, Arcivescovodi Bari-Bitonto, ha istituito lettori i seguenti candidati al diaconatopermanente: Alessandro Amato, Liberato De Caro, Giuseppe DeSerio, Luigi Fanelli e Pietro Martino Tenerelli; nonché i ministrilaici: Giuseppe Albanese, Salvatore Altamore, Damiano Caputo,Nicola Centofanti, Alessio Fraddosio, Giuseppe Gelsomini,Giuseppe Grande, Ugo Lo Bianco, Luigi Ottolino, Nicola Partipilo,Michele Prisciandaro, Giuseppe Rana, Pasquale Renna, RodolfoRomano, Vincenzo Scelsi e Onofrio Volpe.

2. Decreti generali

S. Ecc. l’Arcivescovo, con decreto arcivescovile del- 15 maggio 2014 (Prot. n. 22/14/D.A.G.), ha variato i confini delleparrocchie S. Nicola, Sacro Cuore, SS. Rosario e S. Maria di Loretodel Comune di Mola di Bari;- 15 maggio 2014 (Prot. n. 23/14/D.A.G.), ha concesso il riconosci-mento canonico e la personalità giuridica privata al ComitatoZonale A.N.S.P.I. di Bari;- 4 giugno 2014 (Prot. n. 28/14/D.A.G.), ha emanato una nuova nor-mativa per l’insegnamento della religione cattolica nell’Arcidiocesi.

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3. Nomine e decreti singolari

A) S. Ecc. l’Arcivescovo ha nominato, in data:- 1 maggio 2014 (Prot. n. 21/14/D.A.S.-N), don Carlo Cinquepalmi,confermandolo nell’incarico per altri cinque anni, all’ufficio didirettore dell’Ufficio diocesano Comunicazioni sociali;- 24 maggio 2014 (Prot. n. 24/14/D.A.S.-N), il signor MarcoServadio all’incarico di commissario e legale rappresentante dellaConfraternita S. Maria Goretti (ex S. Filomena) in Bari;- 29 maggio 2014 (Prot. n. 27/14/D.A.S.-N.), il diacono permanen-te Luigi Inversi all’ufficio di cancelliere–notaio del TribunaleEcclesiastico Diocesano, per cinque anni;- 4 giugno 2014 (Prot. n. 29/14/D.A.S.-N.), don Michele Chimienti,confermandolo per altri cinque anni, all’incarico di assistente spiri-tuale del Gruppo “Studio Biblico Shalom” di Bari;- 26 giugno 2014 (Prot. n. 31bis/14/D.A.S.-N.), don AlessandroTanzi all’ufficio di amministratore parrocchiale della parrocchiaGesù di Nazareth in Bari.

B) S. Ecc. l’Arcivescovo ha istituito, in data:- 28 maggio 2014 (Prot. n. 25/14/D.A.S.-I.), p. Giammaria Apol-lonio, O.F.M., all’ufficio di amministratore parrocchiale della par-rocchia S. Antonio in Bari;- 28 maggio 2014 (Prot. n. 26/14/D.A.S.-I.), p. Antonio Narici,O.F.M., all’ufficio di vicario parrocchiale della parrocchia S.Antonio in Bari.

4. Atti arcivescovili

S.Ecc. l’Arcivescovo, con decreto arcivescovile del- 7 giugno 2014 (Prot. n. 30/14/D.A.S.), ha riconosciuto il diritto diusufruire dei benefici previsti per la condizione di anzianità alsacerdote diocesano don Rocco Silvio Pignataro;- 7 giugno 2014 (Prot. n. 31/14/D.A.S.), ha riconosciuto il diritto diusufruire dei benefici previsti per la condizione di anzianità alsacerdote diocesano don Mario Sarno.

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

CURIA METROPOLITANA

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Ufficio Scuola. Ufficio Famiglia. Ufficio Pastorale giovanile

Papa Francesco ha incontratola scuola che è in Italia

La preparazione all’evento curato da tre Uffici della Curia

Il pomeriggio di sabato 10 maggio 2014 erano trecentomila ad a-scoltare papa Francesco. Erano giovani, docenti, dirigenti delle isti-tuzioni scolastiche – statali e paritarie -, provenienti da tutta Italiainvitati a incontrare papa Francesco dai vescovi italiani. Tantissimi,anche, i genitori di alunni presenti.Il luogo per l’incontro è stato, naturalmente, Piazza San Pietro. Marealmente la folla occupava Via della Conciliazione, fino a PonteVittorio. Il Papa, per salutarli tutti, come è sua consuetudine, haimpiegato circa un’ora.Perché quest’incontro della scuola italiana – statale e paritaria – conil papa?La Chiesa italiana sta vivendo il decennio 2010-2020 approfonden-do il tema dell’educazione, presentato dal documento Educare allavita buona del vangelo, offerto alla riflessione della Chiesa italiana dainostri vescovi. Tra i momenti di approfondimento, il ConsiglioPermanente della CEI, lo scorso anno, promosse un Laboratorionazionale (Roma 3-4 maggio 2013) sul tema La Chiesa per la scuola.È stato un tema a caso voluto dai nostri vescovi? Oppure hannovoluto ancora una volta ricordare gli obblighi pastorali, che lecomunità ecclesiali a tutti i livelli, hanno da programmare per lascuola? Una pastorale per la scuola è efficace se non è episodica macontinuativa, come è richiesto da numerosi documenti anche del

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Magistero, sia di singoli pontefici, sia collegiali, il più autorevole laGravissimum educationis del Concilio Vaticano II. La Dichiarazione conciliare al n. 7.a) così si esprime: «La Chiesainoltre, consapevole del dovere gravissimo di curare diligentementel’educazione morale e religiosa di tutti i suoi figli, deve rendersi pre-sente con un affetto speciale e con il suo aiuto ai moltissimi suoifigli, che vengono educati nelle scuole non cattoliche. Questo essafa sia attraverso la testimonianza di vita dei loro maestri e superio-ri, sia attraverso l’azione apostolica dei condiscepoli». S.E. mons. Gianni Ambrosio, presidente della Commissione episco-pale per l’educazione cattolica, la scuola e l’università, nel suo inter-vento a conclusione del Laboratorio del 2013, ha affermato: «LaChiesa è per la scuola, per tutta la scuola, perché la scuola fa parte –una parte decisamente essenziale – del bene comune […] La Chiesa èper una scuola che sia all’altezza dei tempi che viviamo, una scuolache abbia al suo centro l’educazione dei ragazzi e dei giovani e siacapace di offrire una formazione integrale e armonica».Il Laboratorio del 2013, durante lo svolgimento dei lavori, ha indi-viduato sette parole-chiave che indicano altrettanti temi, tra loroconnessi, offerti alla riflessione di quanti si occupano della pasto-rale per la scuola e non solo. Ecco le sette parole-chiave: Educazione,Insegnanti, Alleanza educativa, Generazioni e futuro, Autonomia e sussi-diarietà, Umanesimo, Comunità. A queste se ne aggiunge un’ottava –Europa – che ormai è da considerare sempre quando si discute diogni tema relativo alla polis, soprattutto alle grandi questioni poli-tiche, quale è l’educazione dei giovani.Il Consiglio Permanente della CEI, esaminati i risultati conseguitidal Laboratorio del 3-4 maggio 2013, fatta propria la volontà chetale lavoro «non rappresentasse un momento chiuso in sé ma piut-tosto l’inizio di un ampio percorso di sensibilizzazione e di mobili-tazione» (come ha sottolineato S.E. mons. Mariano Crociata, alloraSegretario generale della CEI) ha proposto a papa Francesco unincontro con il mondo della scuola presente in Italia.Il Servizio IRC, l’Ufficio per la Pastorale familiare, l’Ufficio per laPastorale giovanile della CEI hanno invitato i rispettivi Uffici dio-cesani a organizzare iniziative locali, suggerendo possibili itineraridi programmi in preparazione all’incontro col Papa.Elenco qui di seguito le iniziative prese dai tre Uffici della nostra diocesi.

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1 La relazione dell’Arcivescovo è stata pubblicata su questo Bollettino, n. 1 (gennaio-feb-braio) 2014, pp. 71-78.

a) 18 febbraio 2014. Il nostro Arcivescovo, mons. Francesco Cacucci,ha incontrato i dirigenti scolastici delle scuole statali e paritariepresenti nel territorio diocesano presso l’IPSIA “E. Majorana” diBari ed ha svolto il tema: Generare il futuro: l’impegno educativo1.È stata un’importante occasione per sensibilizzare i primi responsa-bili delle istituzioni scolastiche all’evento prossimo dell’incontro conil Papa. Durante la conferenza del nostro Arcivescovo con i dirigentiscolastici veniva, tra l’altro, distribuito l’opuscolo La Chiesa per la scuo-la che raccoglie i risultati dei lavori del Laboratorio del maggio 2013.È da sottolineare che questa iniziativa, richiesta da noi, è stata fattapropria dal Direttore generale dell’Ufficio scolastico regionale, dott.Franco Inglese, che l’ha proposta ai dirigenti scolastici come attivitàculturale convocando, perciò, una apposita conferenza di servizio.

b) Organizzazione di due convegni di approfondimento. I tre Ufficihanno affidato alle scuole presso le quali si sono svolti i convegni laloro organizzazione, limitandosi ad indicare la necessità di farvipartecipare docenti, alunni e genitori.Il primo convegno si è svolto la mattina del 15 marzo 2014 presso ilLiceo scientifico “G. Galilei” di Bitonto. Il dott. Giulio Carpi (presi-dente e fondatore di CREAtiv) ha svolto il tema: L’alleanza educativa,con un’ampia relazione che ha coinvolto i presenti, i quali, divisi ingruppi di lavoro, hanno risolto quesiti inerenti il tema trattato.Il secondo convegno si è svolto la mattina del 29 marzo 2014 pressoil Liceo scientifico “G. Salvemini” di Bari. Il prof. Giuseppe Sava-gnone (direttore dell’Ufficio della Pastorale della cultura della dio-cesi di Palermo) ha svolto il tema Umanesimi: per quale progetto diuomo. Il relatore ha posto la domanda fondamentale per chi vive avari livelli il mondo della scuola: perché si va a scuola? Ne ha datouna risposta ampia, articolata, appassionata, in cui si scopre che ascuola si va per nascere.

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Entrambi i convegni, grazie al livello dei relatori invitati dalla dio-cesi, hanno suscitato grande interesse soprattutto tra gli studentipartecipanti che, oltre ad aver proposto interessanti quesiti ai rela-tori, hanno avuto lunghi colloqui con gli stessi alla fine dei lavori.I due convegni sono stati trasmessi in streaming. È stato ricavatoun DVD sul quale sono stati registrati i due interventi. Chi volesseuna copia del DVD può richiederla.

c) Approfondimento a livello parrocchiale. Seguendo le indicazioni degliUffici CEI, la diocesi ha proposto alle parrocchie di dedicare dal 10al 15 marzo 2014 una settimana di riflessione al tema proposto - LaChiesa per la scuola – fornendo proposte di sussidi per gli educatori,i ragazzi, le famiglie.Agli educatori dei ragazzi - a cura dell’Ufficio Scuola – è stato pro-posto un sussidio per riflettere sul tema: La passione per la crescita deiragazzi. La scheda fornita alle parrocchie, partendo da un’ampiacitazione di Benedetto XVI sul significato di educare, forniva unoschema di approfondimento e confronto tra educatori, ragazzi egenitori per verificare come la parrocchia si pone nella responsabi-lità dell’educare i ragazzi all’impegno verso lo studio e la testimo-nianza da loro richiesta per la difesa dei valori di verità da viverenella scuola. Per i giovani presenti in parrocchia, a cura dell’Ufficio per la Pasto-rale govanile, è stato proposto un articolato sussidio di attività pra-tiche, per approfondire il tema: Diritto allo studio. L’ampio sussidio(19 pagine) forniva una serie di attività che, attraverso il gioco,offriva occasioni di approfondimento per vivere come diritto lo stu-dio, educando al suo culto.Per le famiglie, a cura dell’Ufficio Famiglia, è stato proposto un sus-sidio per riflettere sul tema: Il dialogo tra il mondo maschile e il femmi-nile e tra le generazioni. La scheda proposta suggeriva una riflessioneper i genitori presenti in parrocchia, sottolineando la ricerca di unostile di confronto e di reciproco rispetto tra le competenze delle dueistituzioni, scuola e famiglia, per la realizzazione di una proficuaalleanza educativa.Sarebbe interessante raccogliere le impressioni maturate nelle par-rocchie dagli approfondimenti proposti.

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Quanti si sono recati a Roma all’incontro col Papa sono tornatiprofondamente commossi dall’esperienza per la gioiosità della sug-gestiva programmazione dell’intero incontro, ricco di canti, danze,testimonianze di significative attività scolastiche, ricordi di maestridell’educazione tra cui don Lorenzo Milani, don Tonino Bello edon Primo Mazzolari.Papa Francesco, nell’applauditissimo intervento conclusivo dell’in-contro, ha donato, soprattutto, due riflessioni. La prima: la scuoladeve educare al vero, al bene, al bello. Tre dimensioni sempre intrec-ciate tra loro e mai separate. Questi tre elementi ci fanno crescere eci fanno amare la vita.La seconda riflessione è legata alle tre lingue che, secondo il Papa,una persona adulta deve saper parlare e che la scuola deve insegna-re ad apprendere: la lingua della mente, la lingua del cuore e la lin-gua delle mani. Praticare armoniosamente queste tre lingue, haaffermato il Papa: pensare quello che senti e quello che fai; sentire benequello che tu pensi e quello che tu fai, fare bene quello che tu pensi e quello chetu senti. Le tre lingue, armoniose e insieme.Ma tutto il discorso del Papa ha indicato l’assoluta necessità dispendersi per la scuola, a prescindere dall’impegno di servizio checiascuno di noi ha verso di essa2.La Chiesa italiana (attraverso le varie articolazioni che la compon-gono - parrocchie, associazioni, movimenti, istituti religiosi), haancora sei anni da sfruttare nella riflessione sul tema dell’educazio-ne, prima che si concluda il decennio (2020).Quanto è stata presente tale attenzione dall’inizio del decennionelle nostre comunità?Le esortazioni presenti nelle parole del Papa, durante l’incontro diRoma, consolidano e arricchiscono il nostro patrimonio culturalesulla funzione della scuola.

2 Vedi il discorso del Papa nella sez. “Documenti della Chiesa universale. MagisteroPontificio” di questo Bollettino pp. 263-266.

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A Papa Francesco la nostra gratitudine per la sua testimonianza diattenzione alla vita della scuola e per averci implorato di non lasciar-ci rubare l’amore per la scuola.

don Nicola Monterisiper l’Ufficio Scuola

l’Ufficio per la Pastorale giovanilel’Ufficio Famiglia

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Venerdì 13 giugno 2014, si è concluso l’anno di corso 2013/14 dipreparazione al diaconato permanente. Il corso è stato frequentatoda coloro che a suo tempo hanno chiesto di intraprendere il cam-mino per detto ministero, cui si sono aggiunti gli aspiranti al mini-stero istituito del lettorato. Quest’anno ha visto anche, cosa vera-mente apprezzabile, la presenza di cinque (5) uditori (tre uomini edue donne), che hanno frequentato le lezioni con assiduità, perse-veranza e impegno, tanto da consentire loro di ricevere un attesta-to di frequenza: una novità assoluta!I candidati frequentanti sono stati ventisei (26): dieci (10) candida-ti diaconi, compresi uno (1) extradiocesano, e sedici (16) candida-ti per il lettorato. Oltre al vicario episcopale per il Diaconato per-manente e i ministeri istituiti, mons. Vito Bitetto, che ha guidato ilcorso “Lettura e commento della Dei Verbum”, per complessive noveore di lezione, oltre esami finali, diversi sono stati i docenti che sisono avvicendati nell’insegnamento delle varie discipline e nellaformazione–preparazione dei candidati:– Don Ubaldo Aruanno ha guidato il corso “Missionarietà: contenuti,scopi e modi”, per complessive otto ore di lezione, con esame finale;– Don Giacomo Fazio ha guidato il corso “Tradizione e SacraScrittura nei Padri apostolici”, per complessive sette ore di lezione,con esame finale;

Settore Diaconato permanente e ministeri istituiti

Relazione sulle attività della Scuolaper il diaconato permanente e i ministeri istituiti

per l’anno 2013-2014

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DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

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– Prof. Giuseppe Micunco ha guidato un corso di otto ore, conesami finali su “Catechesi sulla Sacra Scrittura nella vita dellaChiesa” e il corso di otto ore “Introduzione generale alla SacraScrittura”, sempre con esami finali;– Don Mario Castellano ha guidato un corso di cinque ore su“Praenotanda – Introduzione ai lezionari liturgici”, con esami finali;– Don Antonio Parisi ha guidato il corso di cinque ore, con esamefinale, su “Lettura e canto della Parola di Dio”; – Don Oronzo Pascazio ha guidato un corso di quattro ore su “Nor-me rituali relative al lettorato- O.G.M.R.”, con esame finale;– Don Antonio Serio ha guidato il corso di otto ore, con esame fina-le, su “Il Rinnovamento della Catechesi”;– Diac. Bruno Ressa ha guidato un corso di cinque ore su “Ministeriaquaedam- Lettorato nella Chiesa” e di sei ore su “Anno e calendarioliturgico”, con esami finali;– Don Nicola Bonerba ha accompagnato per due ore i candidatitutti ad approfondire contenuti teologico-spirituali sul Rito di isti-tuzione dei lettori;– Diac. Bruno Ressa ha guidato il corso di “Esercitazioni pratiche”,per nove ore complessive.

Hanno completato l’iter formativo le seguenti altre attività:– un incontro di un pomeriggio con S.E. mons. Francesco Cacucci,Arcivescovo di Bari-Bitonto;– un incontro di un pomeriggio con i diaconi;– un incontro di un pomeriggio con le mogli dei candidati diaconi,congiuntamente ad alcune mogli di diaconi;– un incontro di un pomeriggio con mons. Angelo Latrofa, diretto-re dell’Ufficio Catechistico diocesano, settore Evangelizzazione;– un incontro serale con i seminaristi di teologia nel SeminarioRegionale di Molfetta;– la partecipazione alla liturgia eucaristica, presieduta da S.E.mons. Francesco Cacucci, durante la quale è stata conferita l’am-missione ai due nuovi candidati per il diaconato permanente:Antonio Memmi, della parrocchia S. Croce in Bari, e Pietro MartinoTenerelli, della parrocchia S. Nicola in Mola di Bari;– la partecipazione alla Messa crismale.Inoltre, durante i giorni di condivisione-studio, presso l’Oasi S.

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Maria in Cassano delle Murge, a novembre 2013 e a maggio 2014, siè avuto modo di riflettere, in un clima di fraternità e preghiera piùintensa, sulle “Pagine difficili della Bibbia”, con mons. Vito Bitetto, esu “La Centesimus annus”, con il diacono Bruno Ressa.Inoltre, due ritiri spirituali, su “Contemplare, vedere per testimonia-re”, nei giorni di condivisione-studio, solo per i candidati diaconi, eun altro in sede, per tutti, su “ Rito di istituzione dei lettori”, tenutida mons. Nicola Bonerba, hanno contribuito non poco alla possibi-lità di discernimento della propria vocazione e alla consapevolezzadella necessità-importanza della preghiera personale e comunitaria.Nell’ambito delle attività annuali, nel tempo di Avvento e di Qua-resima, a vantaggio dei ministri istituiti sono stati realizzati, com’èconsuetudine ormai, due incontri diocesani per i lettori e due per gliaccoliti. In questi incontri, dopo un momento di intensa preghieracomunitaria, e oltre a utili informazioni e conversazione fraterna perravvivare gli impegni assunti in ordine al ministero ricevuto, è stataapprofondita l’enciclica Lumen fidei, con il prof. G. Micunco.Infine, grazie a Dio, avendo terminato il piano di studio e il perio-do formativo, il 29 giugno 2014, sono stati istituiti lettori 21 corsi-sti (5 dei quali partecipanti al cammino diaconale), nella celebra-zione eucaristica, presieduta da S.E. mons. Francesco Cacucci, vis-suta nella Cattedrale, in Bari, e precisamente: Alessandro Amato,della parrocchia S. Cuore in Mola di Bari; Liberato De Caro, dellaparrocchia S. Pasquale in Bari; Giuseppe De Serio, della parrocchiaS. Cuore in Bari; Luigi Fanelli, della parrocchia del Salvatore inLoseto-Bari; Pietro Martino Tenerelli, della parrocchia S. Nicola inMola di Bari; tutti candidati al diaconato permanente. Sono statiistituiti lettori, inoltre: Giuseppe Albanese, della parrocchia S.Nicola in Torre a mare-Bari; Salvatore Altamore, della parrocchiaSacro Cuore in Mola di Bari; Damiano Caputo, della parrocchia delPreziosissimo Sangue in S. Rocco in Bari; Nicola Centofanti, dellaparrocchia S. Nicola in Torre a mare-Bari; Alessio Fraddosio, dellaparrocchia S. Croce in Bari; Giuseppe Gelsomini, della parrocchiaS. Cuore in Mola di Bari; Giuseppe Grande, della parrocchia S.Carlo Borromeo in Bari; Ugo Lo Bianco, della parrocchia S. Cuore

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in Mola di Bari; Luigi Ottolino, della parrocchia S. Francescod’Assisi in Triggiano; Nicola Partipilo, della parrocchia S. Antonioda Padova in Carbonara-Bari; Michele Prisciandaro, della parroc-chia Maria SS.ma Addolorata in Mariotto; Pinuccio Rana, della par-rocchia Madre della Divina Provvidenza in S. Paolo-Bari; PasqualeRenna, della parrocchia S. Croce in Bari; Rodolfo Romano, dellaparrocchia S. Cuore in Mola di Bari; Vincenzo Scelsi, della parroc-chia Maria SS.ma Annunziata in Modugno; Onofrio Volpe, dellaparrocchia S. Nicola in Torre a mare-Bari.Infine, grati a Dio, avendo terminato il piano di studio ormai quin-quennale e il periodo formativo, in dicembre 2014 saranno ordina-ti in Cattedrale, per imposizione delle mani di S.E. mons. FrancescoCacucci, due (2) diaconi permanenti: Carlo Benito Errico, della par-rocchia di S. Maria di Monteverde in Grumo Appula, e DonatoLippolis, della parrocchia S. Ciro in Bari.Con quest’ultima ordinazione, il numero complessivo dei diaconipermanenti nella nostra Arcidiocesi è di settantacinque (75), oltreOrlando Matani, Raffaele Chirico, Oronzo De Santis, Lucio Vitolli,Luigi Del Vecchio, Franco Camaggio, Guglielmo Marengo,Giuseppe Ciocia, Michele Mizzi e Matteo Dellerba, che il Signore hachiamato a sé perché vivano con Lui nella gioia eterna. Nel formulare a tutti gli auguri di buon ministero, accompagnatidalla grazia di Dio, chiediamo per tutti loro e per gli altri già ordi-nati la preghiera delle comunità in mezzo alle quali eserciteranno ogià esercitano il loro ministero, perché sia reso alla Chiesa un auten-tico servizio e al Signore un canto di lode e di ringraziamento.Tutto è, infatti, dono di Dio e, a lode Sua, sia l’esercizio del loro ser-vizio ai fratelli.Chi è chiamato, da parte sua, sappia che “servire Cristo vuol dire regnare”.

Mons. Vito BitettoVicario episcopale

Diac. Bruno RessaCollaboratore dell’Ufficio

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Premessa

Vorrei, in apertura, indirizzare un doveroso ringraziamento all’Ar-civescovo mons. Francesco Cacucci per avermi rivolto – per il tra-mite dell’Ufficio diocesano per il laicato – questo invito che mioffre la opportunità gioiosa di essere qui con voi stasera. Ma sento la necessità di ringraziare di vero cuore mons. Cacucci,complimentandomi con lui, anche per la sua splendida letterapastorale, che mi ha davvero edificato per la sua elevatezza e per lasua profondità, certo, ma soprattutto per le concrete indicazioni inessa contenute per andare oltre i meri aspetti liturgico-sacramenta-li, passando dai “principi” evangelici agli “imperativi” per dareattuazione all’amore per Dio e per il prossimo. Avrò modo di citarla in diversi passaggi della mia conversazione,avendo cercato di trarre da quella lettera i miei spunti di riflessione1.

Ufficio Laicato.Consulta diocesana per le Aggregazioni laicali

Marco FatuzzoLa politica e la causa dell’uomo*

*Assemblea delle aggregazioni laicali e dei laici delle comunità parrocchiali, tenutasi inBari presso la Casa del clero il 7 aprile 2014.1 Lo splendore della speranza. Verso le periferie della storia, proposta pastorale dell’Arcivescovomons. Francesco Cacucci per l’anno pastorale 2013-2014, EDB, Bologna 2013.

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1. L’umanità di Gesù

Cominciamo con una prima considerazione. Nel racconto evangelico del-l’incontro con la samaritana Gesù era affaticato per il viaggio e sedevapresso il pozzo di Giacobbe. Aveva sete (sicuramente anche fame per-ché i suoi discepoli erano andati in città a fare provvista di cibi). È uno degli episodi riportati dai Vangeli che manifestano la pienaumanità di Gesù. Prova stanchezza, fame, sete. In altre occasioni sappiamo che Gesù prova anche sonno (si addor-menta nella barca dopo aver invitato i discepoli a prendere il largoper passare all’altra riva del lago: «stava a poppa, sul cuscino e dor-miva»2). In altre circostanze, come a Betania, nella casa di Teofilo e diEucheria e dei loro tre figli Lazzaro, Marta e Maria, veniva spesso ariposarsi, nell’itinerario ideale che lo condurrà a Gerusalemme,rivelando anche di aver bisogno dell’affetto degli uomini e dellaloro amicizia. A Betania prova profonda commozione, turbamentoe scoppia in pianto per la morte dell’amico Lazzaro prima di ripor-tarlo in vita.Per trent’anni Gesù ha vissuto una vita pienamente umana ed eraconosciuto come il figlio del carpentiere, dando così valore e digni-tà al lavoro dell’uomo.Gesù è come noi; è uno di noi. Questo vuol dire che quanto lui viveed esprime (con la sua Parola e con la sua testimonianza) possiamoviverlo anche noi, è alla nostra portata. Non abbiamo alibi: nonazzardiamoci neppure a dire che è impossibile vivere la sua Parola.San Tommaso d’Aquino spiega la disperazione (la di-speranza)come il «ritenere impossibile ciò che si desidera ardentemente». E, dal canto suo, Massimo Cacciari si chiede, al contrario, come siapossibile «desiderare l’impossibile» ovvero come sia possibile «essereperfettamente disperati di ciò che pure si desidera ardentemente»… In termini di fede sappiamo che nulla è impossibile a Dio.

2Mc 4, 35.

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2. Il nemico

Una seconda considerazione. Fa rilevare mons. Cacucci come l’incon-tro presso il pozzo avvenga «in Samaria, una terra considerata datutti ostile, patria di infedeli, da disprezzare al pari dei pagani», lì«sospinto dal vento dello Spirito». «È lo stesso evangelista ad infor-mare che c’è ostilità tra Giudei e Samaritani (Gv 4,9); quindi il rag-giungere la Samaria indica chiaramente la volontà da parte di Gesùdi fare sosta in una terra nemica, nemica anche a partire dalla dif-ferenza di culto».In politica, l’avvento del binomio amore-odio è assai timido sul ver-sante dell’amore, e scatenato su quello dell’odio. L’amore si nomi-na con imbarazzo, per non far figura di femminucce, e per una sog-gezione verso qualcosa di cui si ha nostalgia ma senza sperarci.Non sfioro nemmeno il carico mitologico e psicologico che il bino-mio amore-odio trascina con sé. Metto anzi in dubbio il binomiostesso. Odi et amo: esageriamo, forse, nel farne una coppia di con-trari, perché i contrari si reggono a vicenda. Tuttavia a volte si ha la sensazione che non si possa amare davverosenza odiare davvero. Si fa la guerra, ed anche la politica, con lo stes-so addestramento all’odio. Addestramento, dico, perché l’odio non èabbastanza “naturale”, certamente non lo è più dell’amore. Non odiafacilmente, ad esempio, chi abbia avuto una buona infanzia. Esiste una scuola dell’odio. Nel romanzo di George Orwell 19843 cisono i due minuti quotidiani di odio: una pratica collettiva eserci-tata dal governo del Grande Fratello, attuata sui posti di lavoro,negli incontri di partito, ovunque sia possibile, davanti ad unoschermo che proietta immagini del nemico supremo della patria –Goldstein. Sono scene di guerra e sequenze studiate per coinvolge-re psicologicamente gli spettatori, accompagnate da suoni e rumo-

3 1984 (Nineteen Eighty-Four) è uno dei più celebri romanzi di George Orwell, pubblicato nel1949 ma iniziato a scrivere nel 1948 (anno da cui deriva il titolo, ottenuto dall’inversionedelle ultime due cifre).

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ri fastidiosi. Dopo pochi secondi il pubblico, colto da implacabilefurore, inizia a dare in escandescenze e ad inveire contro Goldstein,cominciando a lanciare oggetti contro lo schermo. Questo mecca-nismo rappresenta una valvola di sfogo dell’aggressività dei cittadi-ni ed un modo per demonizzazione un capro espiatorio su cui get-tare tutte le colpe delle difficoltà della loro vita quotidiana. I “dueminuti d’odio” quotidiani sono funzionali al mantenere un con-trollo ancora più stretto e serrato sul popolo: una sorta di aerobicadella società, dell’utopia diventata potere. Ai nostri giorni la scuola dell’odio quotidiana è rappresentata daitalk show televisivi (Porta a Porta, Ballarò, Servizio pubblico, ocomunque si chiamino), in cui i conduttori, eufemisticamente chia-mati “moderatori”, sono in realtà degli “aizzatori” che sembranogodere della violenza verbale con cui gli ospiti si aggrediscono reci-procamente, perché più scorre il sangue più sale l’audience, né piùné meno come accadeva all’epoca dell’impero romano nei combat-timenti fra gladiatori.L’odio è diventato un conto da pagare alla storia. Al tempo del con-flitto nei paesi slavi, le madri serbe, quando davano alla luce unfiglio maschio, gli rivolgevano una frase augurale: “Salve, vendica-tore di Kosovo!”. E le madri palestinesi accompagnavano con lapropria benedizione il figlio che andava a farsi esplodere a Tel Aviv,considerando quel gesto un atto di amore supremo per il suo popo-lo e per il suo Dio. A metà del secolo scorso, al tempo della fede rivoluzionaria, la stra-grande maggioranza dichiarava di non essere abbastanza sentita-mente capace di odio, ne diffidava come di una debolezza piccolo-borghese. C’era una frase di Che Guevara che andava forte: «bisogna indurir-si senza perdere la propria tenerezza». Sembrava rassicurare chi sivergognasse della tenerezza: anche se Che Guevara era sulla durez-za che batteva. Ma, qualcuno obietta, pretendere di estirpare l’odio dalla facciadella terra – e dal profondo dei cuori – è un’utopia vana. È già abba-stanza tenerla a bada, la propria dose giornaliera; non coltivarla insé e negli altri.Ora, il punto è che il nemico esiste, in carne e ossa; non è un fanta-sma che ci fabbrichiamo.

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Del resto, non è una capziosità osservare che il precetto di Gesù«amate i vostri nemici» li nomina appunto, i nemici. E non vuoldire banalmente «quelli che erroneamente avete finora chiamatovostri nemici». Vuol dire proprio i nemici.Ma l’esortazione di Gesù: «Se amate quelli che vi amano, che meri-to ne avete?… Amate invece i vostri nemici», invita non solo a nonreagire all’offesa, e perdonarla, ma addirittura ad amare il nemico. Questa frase di Gesù è inaudita, rivoluzionaria. In essa è contenutal’idea che amore e odio non siano reciprocamente necessari. Seposso amare i nemici, posso fare a meno dell’odio. In politica, questo vuol dire che per amare davvero i miei, quellidella mia parte politica, non ho bisogno di odiare con altrettantaforza quelli della parte avversa. Quando un dottore della legge rivolge capziosamente a Gesù ladomanda: «Chi è il mio prossimo?», Gesù risponde con una para-bola che ancora una volta (come nell’episodio della donna al pozzodi Giacobbe), sceglie ad esempio del prossimo un samaritano, cioèun forestiero, non solo, ma addirittura uno straniero avversato, unnemico etnico e religioso.E Gesù ci presenta quel samaritano come un nemico che si com-muove, che ha compassione di un aggredito che è solo “un uomo”,non un membro di questa o quella tribù, non un adepto di questao quella fede. La compassione nasce dalla comune radice umana, e include i nemici.È poi nel Discorso della Montagna, che Gesù spiega il paradossodell’amore per i nemici e i persecutori, con l’idea della comunediscendenza da un unico Padre, e della fraternità fra tutte le crea-ture: «Perché siate figli del vostro Padre celeste, che fa sorgere il suosole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti esopra gli ingiusti». Anche questo passo è straordinario, perché dichiara l’uguaglianzaassoluta e piena fra i viventi: lo stesso sole riscalda, la stessa pioggiabagna, la stessa terra ospita, non soltanto bianchi e neri, uomini edonne. L’uguaglianza – sotto lo stesso sole, la stessa pioggia – investebuoni e cattivi, giusti e ingiusti, politici di destra di centro e di sinistra.

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Persino Machiavelli del resto nominerà l’amore: si era chiesto se alprincipe convenisse di più essere amato o essere temuto (attenzione:non amato o odiato). Ho riletto quel capitolo del Il Principe, dove sichiede se sia meglio essere amato piuttosto che temuto. «Debbenondimanco el principe farsi temere in modo che, se non acquistalo amore, che fugga l’odio… Debbe solamente ingegnarsi di fuggirel’odio». Se non si possono ottenere entrambe le cose, allora perMachiavelli meglio farsi temere. Idea questa che riscatta Machia-velli dalla controversia sul binomio amore-odio, e suggerisce piut-tosto come il vero contrario dell’amore sia la paura, e reciproca-mente che il vero contrario della paura sia l’amore.Scrive mons. Cacucci nella sua lettera pastorale: «La dinamica vis-suta dalla Samaritana è la stessa vissuta dai discepoli nella Pente-coste, quando il vento dello Spirito apre le porte del Cenacolo, libe-ra gli apostoli dalla paura e li apre alla speranza».

3. L’incontro dell’uomo con l’altro uomo

Una terza considerazione. L’incontro di Gesù con la samaritana evocail valore di una esperienza universale e fondamentale del genereumano: l’incontro di un essere umano con un altro essere umano. Emmanuel Lévinas4 definisce l’incontro con l’altro come “un even-to”, anzi come “l’evento fondamentale”, quello più importante chepiù si addentra nell’orizzonte dell’esperienza umana. L’uomo, l’al-tro, per Lévinas è un soggetto con cui non devo solo pormi faccia afaccia e stabilire un rapporto, ma del quale devo anche “assumermila responsabilità”.Secondo gli archeologi, nella preistoria i primi raggruppamentiumani erano piccole famiglie-tribù composte al massimo da trenta-cinquanta elementi. Se la comunità fosse stata più numerosa, diffi-cilmente sarebbe riuscita a spostarsi con la velocità e l’agilità neces-

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4 EMMANUEL LÉVINAS (1905-1995), filosofo lituano naturalizzato francese, di origini ebrai-che. Lévinas appartiene al gruppo dei cosiddetti “filosofi del dialogo” quali Martin Buber,Ferdinand Ebner, Gabriel Marcel, Józef Tischner. Per quanto riguarda il rapporto nei con-fronti dell’altro, questi filosofi respingevano l’opzione della guerra in quanto causa didistruzione e criticavano anche la scelta dell’indifferenza e dell’isolamento, sostenendoinvece la necessità, anzi il dovere etico dell’apertura, dell’avvicinamento e della benevolenza.

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sarie. Se fosse stata più piccola, avrebbe trovato maggiori difficoltàa difendersi e lottare per la sopravvivenza. Un giorno, mentre la nostra piccola famiglia-tribù si sposta alla ricer-ca di cibo, improvvisamente si imbatte per la prima volta in un’altrafamiglia-tribù. È un momento importante per la storia dell’umanità,una clamorosa scoperta: nel mondo ci sono altri uomini! Fino a quel momento i membri di uno di quei primigeni gruppetti ditrenta o cinquanta confratelli potevano illudersi di conoscere tutti gliuomini del mondo. Ora non possono più farlo, ora questi uomini sannoche al mondo ci sono altre creature simili a loro: altri esseri umani. Ma come reagire a questa rivelazione? Che fare, che decisione prendere?La scelta davanti alla quale – diverse migliaia di anni fa – si è trova-to il gruppo dei nostri antenati si ripropone oggi a tutti noi, e conla stessa intensità: una scelta categorica e fondamentale. Come comportarsi con gli altri? Che atteggiamento avere nei loroconfronti?Il giornalista e scrittore polacco Ryszard Kapuscinski, scomparso nel20075, ci ha lasciato pagine illuminanti sulla questione dell’incontrocon l’altro. Scriveva: «Ogni volta che l’uomo si è incontrato con l’al-tro, ha sempre avuto davanti a sé tre possibilità di scelta: fargli guer-ra, isolarsi dietro a un muro o stabilire un dialogo. Nel corso della sto-ria vediamo l’uomo esitare in continuazione tra queste tre opzioni,scegliendo l’una o l’altra a seconda della situazione e della cultura». L’uomo, quindi, esita da sempre tra queste tre opzioni e – a secon-da della situazione e della cultura – sceglie l’una o l’altra. Le suescelte sono mutevoli: non sempre si sente sicuro della strada daintraprendere. Sono, in fondo, le stesse opzioni che si pongonoquotidianamente anche a quanti sono impegnati in politica. Le prime due opzioni sono in certo modo due “derive”:

La scelta del conflitto (la deriva fondamentalista).Si può scegliere il duello, il conflitto, la guerra. Di eventi del genere

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5 RYSZARD KAPUSCINSKI (1932-2007), giornalista e scrittore polacco. Nel 2006 ha ricevuto unalaurea honoris causa in Traduzione e mediazione culturale presso l’Università di Udine.

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conservano memoria gli archivi, i campi di battaglia, i resti di rovi-ne sparse nel mondo intero. Sono testimonianze della sconfitta del-l’uomo, della sua non-volontà d’intendersi con gli altri. Quella della guerra è una scelta difficilmente giustificabile. Ne esco-no tutti perdenti, nel senso che la guerra rivela l’incapacità dell’uomodi capire, di immedesimarsi con l’altro, di mostrarsi intelligente ebenevolo. (Ritornano alla memoria le scene dei confronti politici neitalk show televisivi, ma anche certe riunioni di condominio).

La scelta della separazione (la deriva immunitaria).Può anche succedere che, invece di aggredire e combattere, la nostrafamiglia-tribù decida di separarsi e isolarsi dagli altri. Un atteggiamento che nel tempo ha prodotto fenomeni sostanzial-mente simili tra loro, costruendo barriere: la Grande Muraglia cine-se, le porte di Babilonia, il limes romano, le mura di pietra degliIncas, il muro di Berlino, il muro nella striscia di Gaza, ma ancheuna semplice alta recinzione come quella eretta qualche anno fa aPadova nel quartiere abitato da extracomunitari. Nella nostra epoca è stata chiamata apartheid l’idea che ha portatol’uomo a innalzare muraglie e scavare profondi fossati per isolarsidagli altri. Anche se è stato attribuito solo al razzismo dei bianchiin Sudafrica, in realtà l’apartheid era stato già praticato in passato esi continua ancor oggi a praticare.Semplificando, si tratta di una tesi secondo cui chiunque nonappartenga alla mia stessa etnia, religione e cultura, è libero di vive-re come gli pare, purché lontano da me. In altri termini, si tratta di quella che papa Francesco definisce “cul-tura dell’indifferenza”. (Qui vengono in mente non solo l’atteggia-mento del sacerdote e del levita del Vangelo di Luca 10, 25-37, maanche le situazioni di convivenza nei caseggiati condominiali dovespesso non si stabiliscono relazioni di buon vicinato nemmeno fraquanti abitano sullo stesso pianerottolo).

La scelta dell’accoglienzaPer fortuna, sempre dai rinvenimenti degli archeologi, emergonoprove che il genere umano è capace anche di un terzo, differenteatteggiamento. Sono prove di incontro e di collaborazione: resti dimercati, luoghi di sosta per rifornirsi d’acqua, dove si trovavano

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agorà e santuari, dove sorgono tuttora le sedi di antiche universitàe accademie o dove ancora si conservano tracce di vie commercialicome la via della seta o dell’ambra. Tutti luoghi dove la gente si è incontrata, ha scambiato idee e merci,ha stretto patti e alleanze, ha scoperto finalità e valori comuni. «L’esperienza insegna – dice ancora Kapuscinski - che la benevolen-za nei confronti dell’altro è l’unico atteggiamento capace di farvibrare le corde dell’umanità».

4. Il conflitto

Per meglio approfondire questo aspetto, abbiamo bisogno di sof-fermarci ancora sul concetto di conflitto, al fine di comprenderecome meglio gestirlo, considerato che la politica da sempre è statavista come un potente condensatore di conflitto (di identità, digenere, religioso, etnico…) e che un conflitto non gestito degenerain guerra.Il conflitto è quel particolare tipo di interazione sociale in cui dueo più attori coinvolti fanno esperienza di una incompatibilità nelleidee, nei valori, negli scopi e nei comportamenti. Il conflitto, in qualunque ambito (incluso quello politico), è di per séqualcosa di positivo. C’è una massima di Terenzio6 che dice: «Il seme e la terra sono inconflitto, ma da quel conflitto nasce la pianta». Senza conflittonon ci sarebbero le piante, e dunque non ci sarebbe neppure la vita. Il conflitto è figlio di un aspetto positivo della complessità: il plurali-smo, che suggerisce il confronto tra idee, valori e prospettive diverse.Le attuali dinamiche di conflitto, sono banalmente moltiplicate, daun processo di esaltazione dell’individuo che coinvolge gli attorisociali e influisce sulle relazioni del sistema, aumentandone ulterior-mente la complessità attraverso dinamiche di chiusura e di potere.

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6 PUBLIO TERENZIO, commediografo cartaginese di lingua latina del II secolo a.C., attivoanche a Roma. Fu uno dei primi autori latini a introdurre il concetto di humanitas.

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C’è poi un altro particolare da tenere in conto: il nostro vissutoemotivo personale che contribuisce a complicare ulteriormente lecose (come ad esempio la percezione che gli altri si approfittino dinoi), da cui – ce lo spiega Freud7 – scaturiscono frustrazione, rabbia,senso di impotenza, senso di solitudine,… e che innescano mecca-nismi di autodifesa e di reazione incontrollata. Insomma, esisteanche un dissidio interiore, un conflitto dentro di noi che non vamai sottovalutato.Il conflitto è stato per secoli oggetto di studio da parte di varie cor-renti di pensiero; quasi tutti i pensatori sono concordi nel conside-rarlo una caratteristica perenne della vita sociale.Fra le diverse teorie filosofico/sociologiche sul conflitto, possiamodistinguere due diverse tradizioni che differiscono sulla possibilitào meno di poter sradicare il conflitto dalla società.Un primo gruppo di teorici, sostiene che possa esistere, almeno inlinea di principio, in un futuro imprecisato, una società nella qualenon ci sia più posto per il conflitto sociale. Per questo vengono chia-mati utopisti. Essi si rifanno ampiamente al pensiero di Karl Marx8.Un secondo gruppo di teorici, che attinge alla tradizione di pensie-ro riconducibile a Max Weber9, ritiene invece il conflitto un aspettoinevitabile e permanente della vita sociale.

Come sciogliere la dicotomia tra le prospettive appena citate? Esaminiamo, ad esempio, due casi differenti.Il primo esempio. Se nel nostro fare politica (a qualunque livello)dovessimo innescare un conflitto con un interlocutore politico in

3447 SIGMUND FREUD (1856-1939), neurologo austriaco, fondatore della psicoanalisi. Ha elabo-rato una teoria scientifica e filosofica, secondo la quale un’entità chiamata inconscio eser-cita influssi determinanti sul comportamento e sul pensiero umano e sulle interazioni traindividui.8 KARL MARX (1818-1883), filosofo, economista, storico e sociologo tedesco. Il suo pensie-ro è incentrato, in chiave materialista, sulla critica dell’economia, della politica, dellasocietà e della cultura a lui contemporanea. Teorico del socialismo scientifico e della con-cezione materialistica della storia, è considerato tra i filosofi maggiormente influenti sulpiano politico, filosofico ed economico nella storia del Novecento.9 KARL EMIL MAXIMILIAN WEBER (1864-1920), sociologo, economista, filosofo e storico tede-sco. È considerato uno dei padri fondatori dello studio moderno della sociologia. Largaparte del suo lavoro di pensatore e studioso riguardò la razionalizzazione nell’ambitodella sociologia della religione e della sociologia politica.

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palese cattiva fede (che, magari, coltiva squallidi interessi personalitravestendoli da iniziative a favore della collettività), molto proba-bilmente ci vedremmo costretti, per impedire o contrastare uncomportamento ingiusto, per così dire, a “spaccare il tavolo” dellanegoziazione. Saremmo in buona compagnia, perché anche Gesù,in nome della verità e dell’amore, in diverse occasioni ha dato rispo-ste molto dure, ha ribaltato tavoli… Non per questo considereremo quel soggetto come un nemico, econtinueremo a comportarci con lui come suggerisce Paolo aiRomani (12, 20), riprendendo una frase del libro dei Proverbi (25,21): «Non fate le vostre vendette, miei cari, ma cedete il posto all’i-ra di Dio; poiché sta scritto: “Se il tuo nemico ha fame, dagli damangiare; se ha sete, dagli da bere; poiché, così facendo, tu radune-rai dei carboni accesi sul suo capo”».Il secondo esempio. E qui il problema irrompe in tutta la sua comples-sità. Se ci troviamo di fronte ad un nostro competitore politico, che èun individuo intelligente, colto, competente e guidato da intenzionioneste, ma che semplicemente ha un’idea diametralmente oppostaalla nostra. Non possiamo essere così sprovveduti da pensare di esse-re aprioristicamente nel giusto; il nostro fare politica non può pre-scindere dal cercare di comprendere quali processi culturali abbianoindirizzato l’altro verso visioni diverse dalle nostre.In politica, non è sempre facile capire come stiano in realtà le cose, discer-nere il vero dal falso. In un sistema complesso, il vero ed il falso tendonoa confondersi e bisogna sviluppare strategie culturali che ci consentanodi comprendere più a fondo quelle realtà che ci appaiono aliene e di dif-ficile interpretazione. Nessuno possiede da solo la verità tutta intera.

5. La politica causa dell’uomo

Dentro tutta questa ampia cornice, si inserisce il focus del tema diquesta sera: la politica causa dell’uomo. Vogliamo naturalmente rife-rirci alla sua interpretazione teleologica, cioè la causa finale: l’uomo inte-so come il fine che la politica intende perseguire con la sua esistenza.

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Ora, il fine di ogni comunità politica è il bene comune: cioè la crescitapiena di ciascuno dei suoi membri e della comunità nel suo insieme,il raggiungimento del loro pieno sviluppo (obiettivi, questi, che i sin-goli, le famiglie, i vari gruppi sociali da soli non potrebbero ottenere).Nella Costituzione conciliare Gaudium et spes si definisce il benecomune come « l’insieme di quelle condizioni della vita sociale chepermettono tanto ai gruppi quanto ai singoli membri di raggiun-gere la propria perfezione più pienamente e più speditamente».Il bene comune, non è né la semplice somma dei beni particolari diogni membro del corpo sociale, né un’imposizione dello Stato: è“un di più” che si raggiunge quando la società riesce a dotarsi distrutture e istituzioni politiche volte a questo scopo; è “un di più”che si può raggiungere solo col contributo di tutti, anzi, con uncontributo disinteressato capace di ricercare il bene altrui comefosse il proprio. Se oggi la politica funziona così male, forse è proprio perché mancauna visione d’insieme, il senso di un interesse generale che trascen-da i bisogni particolari e i diritti individuali. Ogni soggetto – indi-viduale o collettivo che sia – guarda solo a se stesso e ai suoi bisogniparticolari e non pensa ad alcun altro. E l’interesse particolare,sovente, è l’interesse del più forte. Invece, per definizione, il bene comune include la responsabilitànon solo nei riguardi dei nostri vicini ma anche verso i lontani,chiede di pensare ai nostri contemporanei ma anche alle generazio-ni future.Secondo Hannah Arendt10 «il valore dell’uomo viene giudicato dalgrado in cui egli agisce contro il proprio interesse e contro la pro-pria volontà»11; in altre parole il valore dell’uomo è commisuratodalla sua disponibilità a perdere la propria visione parziale in favo-re di una visione più generale, anche se, per questo, dovesse rinun-ciare a qualche beneficio o vantaggio per se stesso o per la propriaparte politica.Si comprende, allora, da dove tragga origine il conflitto nella politica. Oggi, la crescente rigidità del dibattito politico ci spinge a non sot-

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10 HANNAH ARENDT (1906-1975) è stata una filosofa, storica e scrittrice tedesca naturalizza-ta statunitense, di origine ebraica. 11 H. ARENDT, Sulla Rivoluzione, ed. Comunità, Milano 1983.

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tovalutare l’esistenza di un “conflitto di visioni” radicato su posi-zioni politiche radicalmente alternative.E proprio perché il “consenso per intersezione”, secondo il pensie-ro di Rawls12, può apparire irraggiungibile, occorre, per gestire ilconflitto, ricomprendere in modo dinamico questo tipo di conflit-to all’interno di un percorso di riconoscimento reciproco, arginan-do la possibilità che il legittimo “conflitto di visioni” degeneri in un“conflitto tra persone”. Occorrono strumenti culturali adeguati e assolutamente inediti,per illuminare dal di dentro le diverse tradizioni del pensiero poli-tico e coniugare le legittime distinzioni con una possibile unità diintenti e di impegno per il bene comune. Come si intuisce, ciò non significa solo favorire lo scambio delleidee, ma cercare una condivisione ben più profonda. La sfida del confronto si sposta sul terreno della trasformazione delconflitto in dialogo, secondo uno stile peculiare ed insostituibile, apartire dal quale ricercare costantemente la possibilità di uno spa-zio entro cui cercare insieme la verità. Una sfida volta a rendere, anche le visioni più divergenti, tra lorofunzionali (anche se non complementari), specie nella fase di con-creta attuazione delle politiche.

6. Il dialogo

Una quarta considerazione. Con la samaritana al pozzo di GiacobbeGesù instaura un dialogo.Non c’è dubbio che il dialogo sia oggi una realtà emergente, un verosegno dei tempi. Le difficoltà che troviamo nel vivere una vera cul-tura dialogica non fa altro che confermare questa ipotesi. Ci sono oggi voci che parlano di una crisi del pensiero alla quale

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12 JOHN RAWLS (1921-2002), statunitense, figura di spicco della filosofia morale e politicacontemporanea.

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non si può opporre altro che un pensiero della crisi. Già Paolo VInella Populorum progressio aveva detto che «il mondo soffre per man-canza di pensiero». Benedetto XVI nella Caritas in veritate riprendequesta magnifica espressione di papa Montini per indicare l’indi-rizzo di quel nuovo slancio del pensiero che i tempi richiedono:«comprendere meglio le implicazioni del nostro essere famiglia»13.Più precisamente – afferma - ci vuole «un approfondimento criticoe valoriale della categoria della relazione».È qui che si situa la nuova cultura del dialogo che bisogna enuclea-re e offrire alla coscienza degli uomini e delle donne di oggi, anchenell’ambito della vita pubblica. Chiara Lubich ha descritto la nostra epoca con la categoria di “notteculturale”. Non una notte definitiva, assoluta in quanto tale, ma unanotte che nasconde una luce, una speranza: una notte gravida di futu-ro. Potremmo dire allora che nella notte culturale, che è anche notte deldialogo, si cela una luce, ossia la possibilità di una nuova cultura, di unavera riscoperta della natura dialogica della persona umana. Dal punto di vista ontologico possiamo dire che il dialogo rappre-senti la ‘definizione stessa dell’uomo’. Ovvero, dialoghiamo perchéabbiamo una struttura dialogica. L’uomo e la donna in quanto per-sone hanno una apertura alla realtà e agli altri che fa del dialogo ilsuo modo di essere. Il dialogo si muove quindi nella sfera della persona. E la persona,secondo Mounier, è ciò che siamo quando ci purifichiamo dell’in-dividuo che vive in noi. Quando dialoghiamo mettiamo in gioco questo nostro essere per-sonale, come momento anteriore alla ragione e alla parola stessa.Infatti, ogni dialogo vero è sempre un incontro personale. In questo senso, la logica del dialogo non è la logica formale deglischemi mentali o delle categorie filosofiche, ma la logica di un pen-siero che raccoglie il nostro essere e lo dona. Si capisce perché il dia-logo non sia semplice conversazione né discussione14 ma qualchecosa che tocca il più profondo degli interlocutori. Potremmo direche il vero dialogo costituisce un evento esistenziale.

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13 BENEDETTO XVI, Caritas in veritate, n. 53.14 Il vero dialogo richiede la disponibilità a lasciarsi modificare, anche parzialmente, dalpensiero dell’altro.

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Sono concetti che mettono in luce una esigenza di particolare pre-gnanza, quella di concepire “la differenza come dono”: il dono delladifferenza costituisce un vero assioma del pensiero dialogico. “Volontà di dialogo” significa rispetto dell’alterità, ossia rispettodell’altro in se stesso, come si presenta a me, come altro.“Volontà di dialogo” significa anche mettere in moto la nostracapacità di ascolto. L’uomo “non è solo un essere ‘parlante’ ma an-che un essere ‘ascoltante’”.Ovviamente, ascolto implica silenzio, inteso come luogo della relazione.Il silenzio è un modo di vivere il rapporto con sé e con gli altri. Il silenzio è un’abitazione; ‘fare silenzio’ è ben altra cosa che starezitti; è creare uno spazio, un luogo dentro di sé dove riparare dal-l’aggressione incessante dei messaggi; dove raccogliersi dalla molte-plicità eterogenea dei pensieri e delle emozioni.Il vero dialogo inizia con il mio ‘nulla’, con il mio “farmi uno conl’altro”, con il mio silenzio che attende e genera la parola nell’altroin modo tale che essa possa essere parola pienamente sua e piena-mente mia; parola che illumina e chiarifica. Scrive mons. Cacucci nella sua lettera pastorale: «La modalità del-l’incontro di Gesù con la Samaritana ci offre un suggerimento pre-zioso: aprirsi all’ascolto dell’altro: un bisogno talmente radicale eradicato in noi, che forse troppe volte è dato per scontato. Cosaascoltare? Chi ascoltare? Come ascoltare? Innanzitutto è importan-te scegliere di vivere l’ascolto come atteggiamento. Ogni luogo,ogni incontro può diventare “il pozzo” presso cui aprirsi al dialogocon l’altro e offrire il racconto di una vita che l’incontro con Gesùha liberato dalle paure e aperto alla speranza. […] Dobbiamo impa-rare a “perdere tempo”, offrendo tempo all’altro, per vivere rappor-ti autentici che possano favorire dialogo e comunione».E cita Bonhoeffer15: «“il primo servizio che si deve agli altri nellacomunione, consiste nel prestar loro ascolto”. Solo imparando ad

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15 DIETRICH BONHOEFFER (1906-1945) è stato un teologo luterano tedesco, protagonista dellaresistenza al nazismo.

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“ascoltare attraverso l’orecchio di Dio, […] possiamo poi poter par-lare attraverso la sua Parola”».E ancora indica una prospettiva d’impegno nell’azione. «Ci sonoanche periferie dell’ascolto che dovremmo imparare a cercare: l’a-scolto delle persone ferite dalla violenza e minacciate dalla paura;l’ascolto delle persone che hanno perso la speranza e sono chiuse alfuturo; l’ascolto delle solitudini assetate di risposte che possanodare senso e orientamento alla vita». E conclude: «È doveroso chiedersi dove e come incontrare questeperiferie».

7. La fraternità

Una quinta considerazione.Scrive ancora mons. Cacucci: «Proprio in un momento di partico-lare popolarità […] Gesù sembra “spogliarsi” dei luoghi e dellesituazioni di “sicurezza”, per avvicinarsi invece alle miserie umane,per accettare il rischio dell’incontro con i lontani, per attraversareluoghi ostili e inospitali. […] È la decisione del Verbo eterno: dilasciare “il seno del Padre” per entrare nella povertà della naturaumana. È l’ingresso dell’Eterno nelle periferie della storia».Ora, ognuno di noi cerca le proprie sicurezze sociali in un sistemaculturale che considera scontato e comodamente ridondante.Di conseguenza ognuno tende ad edificare dei muri attorno a séall’interno dei quali, come in un guscio ovattato, si accomoda sulleproprie certezze. Tutto ciò che irrompe in modo inaspettato e spezza questo equili-brio viene visto come destabilizzante e ostile. Non a caso, la parola“ostile” viene dal latino hostis che etimologicamente non significa“nemico” ma semplicemente “straniero”, diverso da me.L’invito dell’Arcivescovo è di abbandonare anche noi, come Gesù, lenostre sicurezze e le nostre certezze, e di fare l’esperienza della sof-ferenza sociale, non sfuggendo, ma rimanendo all’interno del con-flitto stesso.Ed è proprio in questo ambito che viene in soccorso il principio di fra-ternità, inteso non tanto come principio etico o culturale, capace alpiù di regolare i rapporti interpersonali, ma inteso piuttosto come

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una vera e propria categoria politica, capace di superare le situazionidi conflitto politico a qualunque livello, dal confronto fra maggio-ranza e minoranza, governo ed opposizione, in un consiglio comu-nale come in un parlamento, fino alle relazioni internazionali permantenere la pace fra i popoli.Dal 1968, per iniziativa di papa Montini, si sono susseguite senzainterruzioni per 46 anni le Giornate mondiali per la pace celebratenella ricorrenza del Capodanno. I messaggi dei pontefici si sonoincentrati ora su un aspetto ora sull’altro che costituiscono i fon-damenti della pace: dalla verità alla giustizia, dalla libertà all’amo-re-solidarietà (cioè i quattro pilastri individuati da Giovanni XXIIInella sua enciclica Pacem in terris).Il messaggio di papa Francesco per la Giornata mondiale della pacedi quest’anno ha scelto proprio la fraternità come fondamento evia alla pace.Spiega come essa sia un anelito insopprimibile di ogni uomo e diogni donna «che sospinge verso la comunione con gli altri, nei qualitroviamo non nemici o concorrenti, ma fratelli da accogliere edabbracciare». Ontologicamente – osserva – «la fraternità è unadimensione essenziale dell’uomo, il quale è un essere relazionale.Senza di essa diventa impossibile la costruzione di una società giu-sta, di una pace solida e duratura».Parla di una vera e propria «vocazione», che va seminata in famiglia,«a formare una comunità composta da fratelli che si accolgonoreciprocamente, prendendosi cura gli uni degli altri». Papa Bergoglio riconosce le difficoltà che paiono smentire nei fattiquesta vocazione. In primo luogo la “globalizzazione dell’indiffe-renza” «che ci fa lentamente “abituare” alla sofferenza dell’altro,chiudendoci in noi stessi». In proposito, il pontefice cita BenedettoXVI: «La globalizzazione ci rende vicini, ma non ci rende fratelli».E in tale contesto ricorda poi le gravi lesioni dei diritti umani intante parti del mondo, «le guerre fatte di scontri armati» ma anchequelle «meno visibili, non certo meno crudeli, che si combattono incampo economico e finanziario con mezzi altrettanto distruttivi divite, di famiglie, di imprese».

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Individua la radice della fraternità nella paternità di Dio: «Poiché viè un solo Padre, che è Dio, voi siete tutti fratelli» (Mt 23,8). «Non sitratta – precisa – di una paternità generica, indistinta e storicamen-te inefficace, bensì dell’amore personale, puntuale e straordinaria-mente concreto di Dio per ciascun uomo. Una paternità, allora,efficacemente generatrice di fraternità, perché l’amore di Dio,quando è accolto, diventa il più formidabile agente di trasforma-zione dell’esistenza e dei rapporti con l’altro, aprendo gli uominialla solidarietà e alla condivisione operosa».Il pontefice evidenzia poi come sia la croce «il “luogo” definitivodi fondazione della fraternità, che gli uomini non sono in grado digenerare da soli», ed anche come l’abbandono di Gesù al Padrediventi «il principio nuovo e definitivo di tutti noi, chiamati a ricono-scerci in Lui come fratelli perché figli dello stesso Padre», e conten-ga anche «il superamento della separazione tra i popoli»: tra quellodell’Alleanza e quello dei Gentili.

8. Conclusione

Vorrei concludere ancora con un brano della lettera di mons. Ca-cucci, laddove, citando la prima Enciclica di papa Francesco, Lumenfidei, ricorda che «chi si è aperto all’amore di Dio, ha ascoltato la suavoce e ha ricevuto la sua luce, non può tenere questo dono per sé”.Con il Mistero nel cuore, la Samaritana corre in città e diventa ‘apo-stola’, si apre alla missione. Va verso la gente, sulle strade delmondo, verso quelle realtà che il pontefice chiama periferie. Versoquei luoghi cioè di “messa al bando”, di esclusione, di emarginazio-ne dalla storia e dalle relazioni sociali. E sono proprio le periferie achiamare in causa la responsabilità di ognuno di noi.Il racconto evangelico conclude l’incontro tra Gesù e la Samaritana,consegnandoci tre verbi: “lasciare”, “andare”, “dire”: tre azioni cheindicano chiaramente l’affetto trasformante di quel vento salvifico. La donna “lascia” la sua anfora (si libera dei pesi che potrebbero ral-lentare la sua corsa); “va” in città (ritorna cioè al suo luogo di vitaordinaria); e “dice” alla gente di aver incontrato il Cristo (rendendole sue parole evocazione di una Presenza straordinaria). È la dina-mica che dovrebbe caratterizzare ogni incontro con Gesù: “lasciare”

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tutto, “andare” e “annunciare” con gioia il dono ricevuto. È la dina-mica dell’amore». È la stessa dinamica che dovrebbe sempre ispirare anche l’azionepolitica, perché la politica è l’atto d’amore più grande nei confron-ti dell’umanità, «la più alta ed esigente forma di carità» come ladefinì Paolo VI.La scelta di relazioni politiche caratterizzate dalla fraternità, dal-l’inclusione e dal dialogo, dalla composizione degli interessi, dal-l’unità nel rispetto della molteplicità, appare la risposta più ade-guata alle domande del presente.Non sarà l’omologazione delle differenze il futuro dell’umanità, mala loro convivialità, il loro reciproco riconoscersi e accettarsi, sulfondamento della comune appartenenza alla famiglia umana.

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Ufficio Laicato.Consulta diocesana per le Aggregazioni laicali

Luigi Alici

“I campi già biondeggiano per la mietitura” (4, 35).Lo Spirito Santo e la nuova evangelizzazione*

Sono contento di poter provare a riflettere insieme, alla luce dell’i-cona dell’incontro di Gesù con la samaritana, sul tempo nuovo cheesige una nuova evangelizzazione. C’è un proverbio orientale che dice: quando soffiano venti nuovi,alcuni costruiscono muri, altri mulini a vento. Forse una parte dellaChiesa italiana, una parte del nostro cuore si è illusa per qualchetempo di difendersi dal vento costruendo muri, siamo usciti stan-chi e frustrati e forse ora riusciamo a capire che, quando soffia ilvento di una nuova primavera della Chiesa, il comportamentopastoralmente più saggio è quello di costruire mulini a vento, capa-ci di intercettare questo vento e di trasformarlo in una energia posi-tiva da condividere e da trasformare in una nuova progettualità,perché stiamo veramente vivendo un tempo nuovo straordinario ea volte rischiamo di perderci lo spettacolo, rinunciando ad essereprotagonisti. Ho provato, interpretando l’impegnativo titolo affidatomi, a suggeri-re un percorso di quattro tappe: le prime due provano a creare le pre-messe per avvicinarci all’Evangelii gaudium, che è il testo che giusta-mente mi avete invitato a metter al centro di questo incontro, mentrela terza e la quarta vorrebbero estrarre da Evangelii gaudium alcunispunti e trasformarli in criteri di discernimento del nostro tempo.

Il primo passo lo organizzerei così: provando a riflettere su che cosasignifica oggi aver bisogno di un nuovo spirito profetico, di una

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*Relazione tenuta dal prof. Luigi Alici, ordinario di Filosofia morale nella Università diMacerata, già presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana, all’Assemblea del laica-to il 6 giugno 2014 presso l’Aula sinodale in Bari.

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nuova profezia, in un tempo in chiaroscuro. C’è un bel libro di unbiblista, Pietro Covati, sul profetismo biblico, che ricorda comespesso non solo nella vita dei singoli individui, ma anche nella sto-ria della società, ci sono momenti in cui la percezione di un’assen-za si fa particolarmente acuta. E quando si fa acuta, avvertiamo unpo’ tutti il bisogno di andare alla ricerca di persone che sappianorileggere in positivo questa assenza.La Scrittura ci ha insegnato che i profeti sono esattamente questepersone. Il luogo specifico dell’intervento profetico, scrive Covati,non è tanto la dimensione etica, è la storia. È la storia d’Israele, è lastoria universale; il profeta è colui che è chiamato a rivelare il sensonascosto che sta prendendo la storia, per gli individui e per l’interacollettività. Il vero profeta sa fare questo perché vede una pace e unagioia dove agli altri è dato di vedere solo disgregazioni e lacrime;quante volte noi, se non nella forma della disgregazione e dellelacrime, nella forma dello scoramento, ci siamo rammaricati, abbia-mo condiviso l’insoddisfazione per una Chiesa ferma in una socie-tà immobile? E il profeta è quello che non minimizza la crisi, nonguarda altrove, ma riesce scavare più in profondità, a individuare isintomi di un tempo nuovo che sta nascendo: è l’invito conciliare,che attraversa tutti i testi, soprattutto le costituzioni e la Gaudiumet spes, a scrutare i segni dei tempi.Nella Gaudium et spes si afferma che questo è dovere di tutto il popo-lo di Dio, e che per far questo è necessario un dialogo che non esclu-da nessuno, perché chiunque promuove la comunità umana nel-l’ordine della famiglia, della cultura, della vita economica e sociale,come pure della politica nazionale e internazionale, porta un nonpoco aiuto secondo il disegno di Dio alla comunità ecclesiale; pro-babilmente la contingenza storica ci porta a leggere la Evangelii gau-dium proprio come una profezia del nostro tempo, come un donoimmeritato per una Chiesa ferma, perché per quello che io possovedere, - la mia è una testimonianza ovviamente molto limitata, - inquesti decenni certamente la Chiesa santa di Dio non ha perso ilsenso di Dio, ma forse ha perso il senso della realtà. Noi siamo esse-ri verticali, abbiamo una testa con degli occhi per guardare in alto,

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ma anche dei piedi: bisogna non solo saper guardare in alto, maanche sapere dove mettere i piedi senza fare danni e senza rimane-re impalati e paralizzati dalla paura.Forse la Chiesa di questi decenni ha dato l’impressione di aver persoil senso della realtà, di essere quasi paralizzata, di non raccoglierepiù quell’invito conciliare ad entrare in dialogo con la storia, adascoltare i segni dei tempi, e questo vale in maniera particolare inun’epoca per la quale forse una cifra che ci può aiutare ad interpre-tare è quella della ‘penombra’. La penombra può essere interpreta-ta in due modi: può preludere al tramonto, ad un tramonto di civil-tà che è così lento da assomigliare ad un’agonia, o può preludereall’alba, in una nuova straordinaria primavera dello Spirito.Dipende da noi se la penombra va intesa come l’apertura di unanuova stagione o come il lento, lentissimo, interminabile congedoda una stagione che sta finendo, rispetto alla quale la comunità cri-stiana spesso ha oscillato fra due estremi entrambi negativi, il cata-strofismo (Papa Giovanni aveva parlato a lungo contro i profeti disventura), quello cioè di una storia perduta dalla quale i cristianidevono tenersi lontani per non contaminarsi, e la tentazione oppo-sta del ‘tutto va bene’. Queste due tentazioni hanno in comune larinuncia ad esercitare un discernimento storico, il ritenere che lastoria è così e non cambia, la penombra ce la dobbiamo tenere enon dobbiamo assumere un atteggiamento positivo.

Come secondo passo vorrei riportare tre brevissimi flash che nasco-no dal mondo della cultura e del costume e ci aiutano a leggere den-tro questa penombra. Il primo lo vorrei organizzare intorno ad unaparola che nei decenni che abbiamo davanti probabilmente potràdiventare una parola chiave per capire il nostro tempo: la parola è‘virtuale’, realtà virtuale. Sappiamo che i nostri figli rispetto a noi sipossono considerare nativi digitali, mentre noi, nel migliore deicasi, siamo degli immigrati digitali. La dimensione virtuale è pro-babilmente quella dimensione che rappresenterà sempre più la casadei nostri figli, è quella dimensione nella quale si riesce a organiz-zare il proprio vissuto in una dimensione che scardina i limiti dellospazio e del tempo: la rete è la grande promessa di liberarci dai limi-ti dello spazio e dai limiti del tempo. Tra gli interlocutori si creauna bolla virtuale che per loro diventa la vera realtà. Chi studia que-

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ste cose dice che l’umanità è nata nomade dalla preistoria e ora losta ridiventando, torniamo a essere nuovi ma in un senso diverso,in un senso più spaziale; prima ci si spostava da un posto all’altro,oggi nel mondo virtuale il nomade è chi attraversa continuamenteuniversi di problemi, mondi vissuti, dallo zapping alla rete, inmodo caleidoscopico, orizzonti completamente diversi, che cidanno l’illusione di vivere in un non luogo, in un non tempo nelquale sogniamo quasi di esser affrancati dal peso della spazialità edella temporalità. E tuttavia sappiamo anche che il termine ‘vir-tuale’, che in realtà nasce nell’ ambito del medioevo e della filosofiascolastica, nasce per indicare non una dimensione opposta al reale,ma una realtà che può crescere al punto tale da essere ancora piùvera di quella che noi stiamo sperimentando. La realtà virtuale è lavirtus che diventa reale, e nell’esperienza cristiana la figura di questavirtualità è Gesù Cristo, che entra nella nostra umanità e ce la resti-tuisce nuova e dilatata. La comunione per i cristiani è il nome dellarete, e Cristo è il vero nome della realtà virtuale. Noi dobbiamolasciarci sfidare da questa realtà virtuale perché in essa c’è unadomanda di infinito; oggi la Chiesa, che nella modernità ha com-battuto una battaglia durissima contro il materialismo, incontra larealtà virtuale che è come una promessa di liberarsi dal materiali-smo; oggi dobbiamo riassestare il dialogo con gli uomini del nostrotempo, che non sono dei materialisti, ma sono alla ricerca di unaffrancarsi dai limiti naturali. Un secondo spunto lo vorrei ricavare da uno psicologo che, attra-verso un percorso in qualche misura parallelo a quello dei credenti,sta sviluppando un contributo molto interessante: mi riferisco aMassimo Recalcati. In molti suoi libri è presente un tema che ciinterpella profondamente: viviamo in una società nella quale le gio-vani generazioni stanno tornando in maniera molto forte ad avver-tire la nostalgia del padre. Il dibattito sul femminismo forse puòessere superato, è con la figura del padre che i nostri ragazzi si deb-bono riconciliare, abbiamo capito che una vita senza padri tendealla rovina. Secondo Recalcati gli psicanalisti hanno lavorato perdecenni con alcune figure che sono diventate quasi le loro ossessio-

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ni: il mito di Edipo, che incarna la tragedia della trasgressione, diNarciso, un figlio che si innamora di se stesso e si dimentica con-templando se stesso della propria madre e del proprio padre, diTelemaco – figlio di Ulisse che sta in una patria dove il posto delpadre è occupato abusivamente da persone che non hanno diritto,lo hanno spodestato e in un certo senso cacciato di casa. Telemacosta in riva al mare in attesa che il padre ritorni – questa è la meta-fora più profonda delle giovani generazioni, che oggi cercano ilpadre non come un rivale, ma come un augurio e una speranza,come la possibilità di ritrovare la legge della parola sulla terra: laretorica del diventare genitori di se stessi ormai ha manifestato ilsuo fallimento.Quest’anno Recalcati ha pubblicato un altro libro intitolato Non èpiù come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa, in cui affer-ma che il culto collettivo di un amore senza vincoli è un’illusioneche ha generato solo fuochi fatui. C’è qualcosa di straordinaria-mente in sintonia con l’insistenza di papa Francesco sul tema dellamisericordia e del perdono; pensiamo anche al dibattito sul divor-zio breve, al tweet fatto dall’AC “il divorzio breve nega il tempo delperdono”. Probabilmente stiamo andando verso un modello disocietà in cui il virtuale acuisce la nostalgia del padre.L’ultimo spunto lo vorrei ricavare da un filosofo francese di confes-sione protestante morto da pochi anni che, in un testo poco cono-sciuto del 1946, afferma: «come la chiesa battezza dei bambini chenon ha messo al mondo, così essa può battezzare anche delle civil-tà che promuovono valori appartenenti a un altro piano dell’esi-stenza umana e della creazione rispetto al disegno di salvezza».Riportando al tema delle periferie lo potremmo dire così: i cristianiche vivono con la nevrosi di non stare più al centro riusciranno astare male in periferia. Il modo migliore di abitare la periferia èabbandonare la nostalgia del centro (non intesa in senso politico) eRicoeur suggerisce di ripensare alle origini della diffusione del cri-stianesimo, quando la chiesa si è trovata a fare i conti con una civil-tà che non aveva contributo a costruire e a battezzare dei bambiniche non aveva generato; così oggi deve assumere quell’atteggiamen-to di umiltà che consente di entrare in dialogo con una cultura chenon è stata più in grado di generare. Se manca questo passaggio, sei cristiani stanno saldamente al centro di una cristianità che non è

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per tutti vivono con la nevrosi dello spossessamento questa emar-ginazione, non avranno quell’atteggiamento positivo libero e pro-fetico di chi prende in mano bambini che non ha generato e provaad annunciare loro Gesù Cristo, anziché sognare una cristianità chenon esiste più. Quindi la penombra non lascia intravedere se pre-lude alla notte o al giorno, i giochi sono aperti e noi non possiamotirarci indietro. Il terzo spunto lo dedico a papa Francesco, a partire da una fraseche forse a me sembra rivelativa della novità di cui noi siamo testi-moni. Durante le congregazioni dei cardinali prima del conclave, ilcardinale Bergoglio ha preso la parola e ha fatto un intervento inmerito ad Apocalisse 3, 20 «ecco sto alla porta, e busso»; egli hadetto: «Le parole di Gesù possono essere interpretate anche comeun bussare da dentro da parte di un messia tenuto prigioniero dauna chiesa autoreferenziale». L’idea di una chiesa che tiene prigio-niera Gesù Cristo è di una potenza eversiva inimmaginabile, e lacosa più eclatante è che un cardinale dopo aver detto queste cose èstato eletto Papa. Questo dà la misura del coraggio straordinarioche ha determinato nell’anno della fede la novità che papaBenedetto ha inaugurato e che papa Francesco sta elaborando. Nonpossiamo permetterci il lusso di declassare quello che sta facendo auna forma di simpatico folclore argentino e non possiamo nemme-no illuderci di nascondere dietro la sua profezia le nostre stanchez-ze e le nostre inerzie, perché ci sono cose che solo lui può fare e coseche non può fare al nostro posto, al posto delle chiese locali, alposto mio, tuo, suo… Questa novità mette in discussione profon-damente la nostra responsabilità. La sua continua insistenza sulfatto che i cristiani non possono essere doganieri della fede signifi-ca che quando il padre misericordioso va incontro a un figlio pen-tito non può esser fermato dal figlio maggiore preoccupato solo deipropri privilegi, che detta dall’alto le condizioni dell’incontro tra ilpadre e il figlio. L’idea di una chiesa che ha tenuto e forse conti-nuerà a tenere prigioniero Gesù Cristo mi porta a pensare che lanostra testimonianza cristiana assomiglia spesso al comportamen-to del figlio maggiore della parabola.

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Non possiamo parlare di nuova evangelizzazione senza aver colle-gato il tema della nuova evangelizzazione al tema dello Spirito: loSpirito è il fuoco che genera la comunione, e non ci può essere evan-gelizzazione senza comunione. Il soggetto della nuova evangelizza-zione è la comunità cristiana, che deve purificare incessantementela qualità spirituale della comunione, afferma la Evangelii gaudium,che è stata promulgata il 24 novembre, il giorno di chiusura del-l’anno della fede, che ha visto l’avvicendamento da papa Benedettoa papa Francesco e si conclude con questo testo straordinariamen-te ampio e organico.

Vorrei ora fermarmi su quattro spunti che ci vengono dal testo del-l’esortazione apostolica e che ci possono servire per fare un po’ didiscernimento comunitario sul tema della nuova evangelizzazione.Nei primi tre capitoli, papa Francesco insiste con forza su una chie-sa in uscita, sui cristiani che non devono essere mummie da museo,che devono andare in aiuto di una tristezza individualista che sca-turisce da un cuore comodo e ammalato; per far questo bisognaavanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionariache implica un nuovo protagonismo di ciascuno dei battezzati, apartire dal primato della parola; dobbiamo mettere tutti i carismi alservizio di una comunione fraterna, non ci sono aggregazioni eccle-siali che lavano più bianco di altre, è necessaria una chiesa orienta-ta verso la catechesi mistagogica. Il quinto capitolo è dedicato al tema della contemplazione e dellapreghiera. Credo che capiremo davvero papa Francesco se capiremoche la sua libertà nasce dal fatto che è un uomo profondamentecontemplativo; questo è evidente se consideriamo come organizzala sua giornata con orari per noi inimmaginabili, un’ora al mattinoe un’ora la sera di contemplazione. I mistici e i contemplativi nellachiesa sono state sempre le persone più sovversive perché sono libe-re. In questo senso, il quinto capitolo ci lascia intravedere qualcosadell’autore. Il quarto capitolo è dedicato alla dimensione sociale della evange-lizzazione. Qui Francesco sviluppa due approfondimenti, uno sultema dei poveri, dove troviamo parole molto forti,- i cristiani nonpossono essere la croce rossa sociale che cura i risultati dei conflit-ti e non ha diritto di interloquire sulle cause che li provocano,- e

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l’altro sul bene comune. Di seguito a questo, in maniera quasi ful-minante, introduce quattro principi, che possiamo definire eulisti-ci, cioè che aprono delle finestre. Papa Francesco li introduce per aiutare ad orientare l’evangelizza-zione verso la dimensione sociale, ma sono così importanti che sottoun certo punto di vista li potremmo intendere come principi che sipossono mettere alla base di un nuovo stile di evangelizzazione.

Il primo principio è: il tempo è superiore allo spazio (nn. 222-225). Lamente mi è andata a un libro sul sabato di uno scrittore ebreo,Abraham Joshua Heschel, in cui afferma che il sabato è la presenza diDio nella storia. Poi usa l’espressione: “Il tempo è il dono che fa allospazio” – questa è una cosa incredibile, lo spazio ci limita, se siamo quinon siamo da un’altra parte, lo spazio è il vincolo materiale che ciricorda la nostra naturalità. Il tempo è qualcosa di diverso, significache noi possiamo collegare i tanti posti in cui siamo stati e staremodentro una storia. Francesco lo dice a proposito della dimensionepolitica: in un’epoca in cui tutti sono occupati, preoccupati, impe-gnati a occupare gli spazi, il cristiano deve attivare processi checostruiscano. Un libro interessante sulla crisi che stiamo vivendo èquello di due psichiatri francesi, Miguel Bena-sayag e Gérard Schmit.Il libro si intitola L’epoca delle passioni tristi e il primo capitolo si intito-la La crisi nella crisi. La crisi è un fenomeno congiunturale in economia(ci sono delle epoche in cui il ciclo economico si incarta e in unamaniera quasi salutare si rettificano i fondamentali dell’economia), lacrisi nella crisi è quando ci entra dentro la testa e siamo convinti chenon ne usciremo più, qui dipende da noi. I due autori portano questoesempio: prendiamo una barca (la barca della nostra vita) che incappain un fortunale; se i marinai si ricordano da dove sono salpati, hannonostalgia del padre, sono convinti che quella tempesta passerà, si atti-va uno spirito collaborativo che cerca di riportare la barca nel porto epoi farà tesoro dei danni per costruire barche fatte meglio. La crisinella crisi è quando i marinai non si ricordano da dove vengono, nonhanno nostalgia del padre, non attivano nessuno spirito collaborativoe sono convinti che la tempesta non passerà più.

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Quando papa Francesco ci dice «dobbiamo attivare i processi, piùche occupare spazi» ci vuole dire: guarda il mito della società vir-tuale, ci può portare fuori strada, perché ci porta alla bolla virtualeche ti può isolare, dare l’illusione di vivere nella simultaneità. È ilgrande mito in cui il virtuale si può nascondere, pensiamo a comeil mito della rete in Italia sia stata l’origine della fortuna delMovimento 5 stelle, ma dove fioriscono anche sette agnostiche. Lasetta agnostica è un insieme di individui che collegandosi in retesono convinti di conoscere delle cose che i comuni mortali nonsanno e di assumere un atteggiamento in cui non si vogliono con-taminare con il resto del mondo. La rete ripropone un tema già pre-sente nei dibattiti degli anni postconciliari sul rapporto tra imme-diatezza e mediazione (ricordiamo la grande polemica tra CL e ACproprio sul tema della mediazione): il mito della immediatezza,della simultaneità, crea l’illusione che non sia necessario elaborareprogetti. Che cosa promette la rete? ci sono dei problemi, si va dipancia e si trova la soluzione. Il primato del tempo sullo spazio ciinvita invece a ritrovare dei luoghi di esercizi attraverso i quali noiricostruiamo il senso di un cammino, di una storia comune. Il cri-stiano sa che il mito della simultaneità è un mito dentro la storia,mentre fuori della storia c’è il regno dei cieli, il vero mito dellasimultaneità; finché siamo nella storia dobbiamo fare dei passiinsieme, non illuderci di trovare alternative telematiche alla faticadella partecipazione, di trovare leader carismatici che ci esonerinodal dovere della partecipazione. Questo primo principio ci aiuta aleggere il nostro tempo, a capire le potenzialità e vedere anche ipericoli, a capire che la fuga dalla temporalità è un impoverimentodell’umano; gli umani sono tali quando riescono, pur abitando inspazi diversi, a sentirsi parte di una storia, di un cammino, di unpercorso comune. E oggi forse la comunità cristiana che deveannunciare Gesù Cristo lo deve fare sottolineando proprio questacapacità di non snobbare la storia: chi si accontenta di alcune pil-lole quasi di acciaio inossidabile, o contempla fisso senza saperedove mette i piedi, non fa un buon servizio alla evangelizzazione,perché non aiuta i nostri ragazzi a riconciliarsi con il tirocinio delladistanza, della fatica, del percorso del cadere e del rialzarsi.

Il secondo principio papa Francesco lo enuncia così: l’unità prevale

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sul conflitto (nn. 226-230). Qui viene ricordato che la nostra è unavita complessa, non possiamo sognare le semplificazioni, i cristianinon possono illudersi di evadere dalla storia. Il consiglio è che neifattori che entrano in conflitto dobbiamo scommettere su quelloche è inclusivo, include l’altro senza negarlo. Papa Francesco ricor-da che non possiamo evitare i conflitti, essi sono un dato fisiologi-co nella crescita politica, personale e pastorale e, a livello educativo,quando i genitori si sono illusi asfaltando la strada ai propri figli direnderli più sereni, li hanno resi più fragili. Il primo fallimento li faandare in paranoia, perché ci siamo dimenticati che ci sono anchele virtù cardinali, non solo quelle teologali. Una virtù cardinale èquella della forza, della fortezza; i conflitti sono un elemento fisio-logico nella vita delle persone, possiamo governarli e farli muovereverso l’unità o bypassarli, e allora generano la guerra. La guerra è unelemento patologico, mentre i conflitti sono fisiologici, anche alivello pastorale, per evitare che talvolta ci riduciamo solo a parlaredegli orari delle processioni. La conflittualità è quell’occasione data alle persone a livello perso-nale e pastorale per crescere, se la affrontano, o per regredire se laevitano. L’unità dello spirito armonizza le diversità (Evangelii gau-dium n. 230), il problema è trovare il collante, non inseguire i sol-venti; ma il collante è interiore, non può essere esteriore: non illu-diamoci di blindare la chiesa su alcune questioni per evitare il di-battito interno, perché ridurremo l’ambiente ecclesiale in un luogoasfittico, da cui le persone scappano - è un fenomeno che caratte-rizza il nostro tempo. Il fenomeno del tribalismo è l’effetto di unasocietà che evita i conflitti creando le tribù, cioè: io sto bene solocon i miei, tu stai bene solo con i tuoi; le tribù sono tenute insiemedal totem, in una tribù si parlano gli stessi dialetti, le stesse lingue:cosa hanno in comune e cosa c’è in comune tra una tribù e l’altra?È proprio allora che i conflitti diventano conflitti tra le tribù. Du-rante una manifestazione sulla scuola in piazza S. Pietro, abbiamosentito che ai cristiani interessa tutta la scuola, statale e non stata-le: non possiamo illuderci, in una società complessa che ci fa paura,di crearci le nostre nicchie, dove il resto è parte di altra tribù.

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Seguire l’unità attraverso i conflitti, e nonostante i conflitti, ecco lavera sapienza.

Il terzo principio: la realtà è più importante dell’idea (nn. 231-233).Sembra che il papa diventi più pragmatico, ma in realtà vuol inten-dere che a forza di parlare ci siamo dimenticati della cosa, della vita,abbiamo pensato che tutto ciò che appartiene alla vita può esseresmontato e rimontato in modo nuovo; questo principio da uncerto punto di vista invita i cristiani nella storia a sperimentare adessere generativi, ad attivare delle esperienze che siano un annuncioper la forza generativa che possono veicolare e non per il volume diparole che riescono a dire.Un altro senso che può essere aperto da questo principio riguardail rapporto tra natura e cultura. Oggi il dibattito sulle teorie delgender è molto attuale, per decenni siamo stati naturalisti. È tuttonaturale, nessuno riesce a schiodarsi dalla condizione in cui è nato,le società antiche erano molto statiche perché ritenevano che lanatura dentro la quale si colloca la vita di ognuno è in un certosenso una gabbia, mentre oggi si tende a porre al centro la cultura:la differenza tra maschile e femminile, secondo le teorie del gender,è il prodotto di una cultura, anche la differenza in una certa misu-ra ancora più grave tra vita animale e vita umana personale (è il pro-dotto della cultura che la vita personale valga più di quella anima-le: in Cina c’è la pena di morte per chi uccide un panda)- le teorieanimaliste nel mondo anglosassone hanno una capacità di presasui giovani uguale a quella che negli anni sessanta aveva il razzismo.La parola ‘cultura’ etimologicamente nasce come una forma di col-tivazione della natura, come l’agricoltura. Il bravo agricoltore ècolui che ha come riferimento normativo la natura, sa dove devepotare, quando deve seminare. Facciamo un esempio: una coppiagay che chiede di adottare un embrione magari con un utero inaffitto e poi fa una battaglia contro gli ogm, cioè ritiene che non sidebbano introdurre organismi geneticamente modificati nellanatura. Abbiamo perso il rapporto tra natura e cultura. Io leggocosì l’invito di papa Francesco: certamente dobbiamo lavorare sulleidee, ma queste hanno un riscontro nella realtà; per i più giovanipossiamo esplicitarlo con questo linguaggio: i nostri ragazzi sonoconvinti che la loro vita sia solo software senza hardware – cioè che

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la nostra vita sia un computer dove far girare qualsiasi programma,ma non è così perché c’è un hardware dentro il quale alcune cosefunzionano altre no.

Il quarto principio: il tutto è superiore alla parte (nn. 234-237). PapaFrancesco lo dice in merito al dibattito sulla globalizzazione, iltutto deve inglobare la parte, non azzerarla. Dobbiamo evitare siaun atteggiamento di universalismo astratto che ci trasforma in unaforma di globalizzazione impersonale, sia l’eccesso opposto diridurci a un museo folcloristico di eremiti localisti. Qual è l’equili-brio fra il tutto e la parte? Perché oscilliamo tra il tutto e la parte?Perché abbiamo perso il valore del bene comune, che è la capacità difare sintesi, in maniera inclusiva e promozionale, e certamente que-sto richiamo al tutto che è superiore alla parte riguarda anche lebiografie spezzate di chi vive oggi: nell’epoca del virtuale diventia-mo tutti schizofrenici, capaci nel mondo del volontariato di unagenerosità al limite dell’eroismo, e poi nel mondo del lavoro carrie-risti gelidi al limite del cinismo. Nei weekend diventiamo tuttiromantici, sognatori, sconclusionati, ma nel periodo del lavoro cal-colatori e utilitaristi. È una forma di schizofrenia che dobbiamo inun certo senso riconciliare.

Secondo me questi quattro principi possono essere una bussola pergiocare la partita dell’evangelizzazione in quattro mosse, a partiredallo spirito con cui papa Francesco li introduce. Dobbiamo accet-tare la complessità e scommettere sempre su quello che include l’al-tro. Il tempo non è la fuga rispetto allo spazio ma è la capacità dimettere lo spazio in una prospettiva più ampia. I conflitti non sonoda scavalcare ma devono essere inseriti in una prospettiva più am-pia, e così per quanto riguarda l’idea al servizio della realtà e la parteriguardo al tutto.Da questi quattro principi possono venire quattro spunti:1. Che vuol dire una nuova evangelizzazione che riconosca il pri-

mato del tempo sullo spazio? Vuol dire una evangelizzazione cheprenda sul serio la nostra vita come storia, come cammino – la vitaè un cammino nel quale la mia storia interseca le cuciture di molte

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altre storie e attivare processi si può fare solo avendo progetti lun-gimiranti. Per guardare lontano in avanti è necessario guardare lon-tano indietro, ecco la memoria del porto: il futuro è contenuto nelleorigini. Tutti i grandi educatori sono riusciti a fare qualcosa diimportante se hanno avuto il coraggio di sognare in grande, diguardare lontano: il grande messaggio educativo è invitare i nostriragazzi a mettere il piede sull’acceleratore più che sul freno, perchéil cristianesimo è pieno di un cartello di sì. Significa: tu puoi fare dipiù, puoi essere di più, la tua comunità cristiana può fare molto dipiù di quello che sta facendo. Significa anche la capacità di elabo-rare un annuncio cristiano nella forma del racconto – è la forma checorrisponde al riconoscimento della vita come storia. Noi sappia-mo spesso enunciare principi ma non raccontare una storia, quin-di certamente il primato del tempo sullo spazio ci impegna a ela-borare un racconto che parte da lontano e guarda lontano. 2. Il secondo spunto sui conflitti ci invita a prendere sul serio il

richiamo alla misericordia, all’amore cristiano che va incontro allamiseria al punto da aprire il cuore alla misericordia: il vertice dellamisericordia è il perdono. Finché non capiamo cosa significa fare lecose per-dono, non riusciremo a capire che cosa è perdono. Le no-stre famiglie, le comunità ecclesiali devono allontanarsi dal mito diuna autonomia ingrata (caratteristica del nostro tempo). Dob-biamo riuscire a rispondere a questa sfida, non con autonomiaingrata, ma con gratitudine misericordiosa, chi fa le cose per grati-tudine e non per dovere esprime una gratitudine leggera appassio-nante contagiosa. Certamente pensare la misericordia significa tro-vare una nuova sintonia con il vissuto delle persone. 3. Il terzo spunto, la realtà è superiore all’idea, mette in primo

piano il tema dell’incarnazione (parola chiave per una evangelizza-zione che tenga conto della fedeltà alla presenza di Cristo); nell’in-carnazione la parola e la vita sono in perfetta equilibrio. Qualcuno hadetto che Dio ha creato l’uomo rivolgendogli la parola. La parolaGesù Cristo. 4. L’ultimo spunto ci riporta al tema dello Spirito: il tutto è

superiore alla parte significa in fondo riconoscere nello Spirito illegame personale che accomuna. I padri della chiesa, riflettendo sulmistero della Trinità, hanno elaborato questa riflessione: nel miste-ro trinitario (paradigma dell’evangelizzazione) il legame tra la

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prima e la seconda persona è persona egli stesso. Il suo nome è cari-tas - quindi lo Spirito è l’amore che genera nell’unità, lo Spirito è ilterzo che include, mentre nella nostra società è il terzo escluso.Dovrebbe essere il terzo incluso, ma anche noi siamo diventati indi-vidualisti e ci dimentichiamo che Dio non crea solo le persone, macrea anche il legame tra di loro. Per questo la chiesa non può evan-gelizzare le persone, ma il legame tra di loro, e la comunione è que-sto: è la voce del verbo ‘condividere’, dividere con altri partecipandoad un bene che accomuna. La parola ‘comunicazione’ (oggi si pensaal telefonino, che invece è un mezzo di comunicazione) è la qualitàdelle relazioni tra le persone, è la capacità di compiere una azioneche accomuna. Comunicare il Vangelo perdendo di vista questacapacità che accomuna significa fare un autogol, non si può sepa-rare nel Vangelo la forma dal contenuto; non si può annunciare uncontenuto e screditarlo per il modo individualistico con cui èannunciato. Questo vale in senso attuale, ma anche in senso stori-co. C’è un bel libro di uno psicanalista, Francesco Stoppa, intitola-to La restituzione: sottolinea come la società stia perdendo di vista ilfattore generativo, cioè il fatto che queste generazioni hanno rice-vuto - accanto a un debito mostruoso, un ambiente politico disse-stato, un pianeta sporco – anche fatti che meritano gratitudine; larestituzione è un fattore di progresso storico quando una genera-zione riconosce un debito e lo trasforma in una promessa verso ilfuturo, quando si capisce che quello che non posso restituire aimiei genitori, debbo restituirlo possibilmente purificato e aumen-tato ai miei figli. Questo è il modo di pensare lo Spirito. Se si fa unarilettura di tutti gli scandali che hanno caratterizzato la nostrasocietà, ci rendiamo conto di aver perso il valore del bene comune,abbiamo immaginato lo stato come una specie di tappeto doveognuno poteva prendersi quello che voleva, costruirci sopra la villadei propri privilegi, senza accorgersi che il tappeto si lacerava facen-do sprofondare tutti. Forse questo è accaduto anche alle aggrega-zioni ec-clesiali dopo il Concilio, ognuno di noi ha voluto nel tap-peto ecclesiale la sua piccola nicchia protetta, erigere la propriacostruzione e nel frattempo il tappeto cedeva. Forse avevamo, ab-

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biamo, avremo un’idea di Spirito piccola, che esclude. E uno Spiritoche esclude è una contraddizione in termini. Lo Spirito può soloincludere e la inclusione è sui fondamentali. Gli insegnamenti cri-stiani fondamentali sono pochissimi, l’annuncio cristiano è sem-plicissimo. Abbiamo un padre che ci vuole bene: diventiamo menocomplicati, togliamo il molto piombo dalle ali della evangelizzazio-ne e facciamolo insieme. Insomma, quando soffia il vento nuovo, èimportante non costruire muri ma costruire mulini a vento.

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Settore Evangelizzazione. Ufficio Catechistico

Convegno nazionale dei direttoridegli Uffici catechistici diocesani

“Sono qui tutti i giovani?” (1Sam 16,11)Comunità cristiana e proposta di fede ai preadolescenti

(Bari, 23-26 giugno 2014)

MAGISTERO PONTIFICIODOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

CONVEGNI

Si è tenuto a Bari dal 23 al 26 giugno presso l’Hotel Parco dei Prin-cipi il Convegno nazionale annuale dei direttori degli Uffici cate-chistici diocesani sul tema “Comunità cristiana e proposta di fedeai preadolescenti”.Hanno partecipato circa 200 tra presbiteri, religiose e laici, di cui 10della nostra diocesi. Il Convegno si è realizzato in quattro sessioni:il mistero, l’annuncio, la scelta, la redditio.All’inizio c’è stato il saluto di accoglienza da parte del nostro arci-vescovo mons. Francesco Cacucci, che ha comunicato la sua gioiacirca la scelta di tenere il convegno a Bari e l’impostazione mistago-gica del convegno attraverso le quattro sessioni e l’unità e sintesi tracatechesi liturgia e vita.Nella prima sessione del mistero si è presentata la realtà dei prea-dolescenti dal punto di vista psico-fisico e comportamentale evi-denziando le risorse e le positività.Nella seconda sessione dell’annuncio si è parlato del compito dellacomunità cristiana, chiamata ad annunciare il Vangelo ai preadole-scenti, mettendo in luce lo stile della prossimità, i contenuti e laresponsabilità dei catechisti-educatori.

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Mons. Marcello Semeraro, presidente della Commissione episcopale perla dottrina della fede l’annuncio e la catechesi, ha presentato gliOrientamenti della CEI per l’annuncio e la catechesi “Incontriamo Gesù”.È un testo ampio e articolato che si propone di orientare la pasto-rale, aiutandola – scrive il presidente della CEI nella presentazione,il card. Angelo Bagnasco – «a ridefinire i suoi compiti all’internodell’azione evangelizzatrice della Chiesa, intesa come orizzonte eprocesso». Il documento, approvato nella 66ª Assemblea generaledei vescovi italiani, esprime sinteticamente l’obiettivo cui tende laformazione cristiana: l’incontro di grazia con Gesù. Il verbo postoalla prima persona plurale sottolinea (come nei simboli di fede) ladimensione ecclesiale di questo incontro, intendendo mostrare siala dimensione del discepolato sia la dinamica della testimonianza.Ecco allora l’importanza che, nell’iter di stesura del testo, la base diconsultazione sia stata particolarmente ampia, facendo tesorodegli insegnamenti dei vescovi e del magistero “catechistico” degliultimi Papi, dagli Orientamenti pastorali decennali della CEIall’Evangelii nuntiandi, dalla Catechesi tradendae alla Novo millennioineunte, dalla Lumen fidei alla Evangelii gaudium. Non si tratta però diriscrivere il Documento di base (DB), il Rinnovamento della catechesidel 1970, tantomeno di sostituirlo. Piuttosto i nuovi Orientamentivogliono aiutare la Chiesa che è in Italia a cinquant’anni dal ConcilioVaticano II e a quarantacinque dal DB, a rafforzare – aggiunge ilcard. Bagnasco – «una comune azione pastorale nell’ambito dellacatechesi ed uno slancio comune nell’annuncio del Vangelo». Il documento è strutturato in quattro capitoli:cap. I: Abitare con speranza il nostro tempo. Un nuovo impegno

di evangelizzazione (8- 31);cap. II: Annunciare il Vangelo di Gesù. Il coraggio del primo

annuncio (32-46);cap. III: Iniziare, accompagnare e sostenere l’esperienza della

fede. Il cammino dell’iniziazione cristiana (47-62);cap. IV: Testimoniare e narrare. Formare servitori del Vangelo (63-95).

Quattro le caratterizzazioni fondamentali del documento, che ri-chiama in primis l’assoluta precedenza della catechesi e della forma-zione cristiana degli adulti, e, all’interno di essa, del coinvolgimen-to delle famiglie nella catechesi dei bambini e dei ragazzi. Secondopunto di particolare interesse è l’ispirazione catecumenale della

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CONVEGNI

catechesi con una esplicita attenzione all’Iniziazione cristiana degliadulti (catecumenato). Grande attenzione anche alla formazione dievangelizzatori e catechisti e alla proposta di fede rivolta ai preado-lescenti, agli adolescenti ed ai giovani, in continuità con la catechesiper l’Iniziazione cristiana ma anche in considerazione della realtà di“nuovi inizi” esistenziali e passaggi di vita e di fede.Gli Orientamenti vogliono essere uno strumento pastorale per pro-muovere un rinnovato impegno di tutte le comunità e di ciascunadelle sue componenti, per aiutare ogni persona ad incontrare dav-vero Gesù, guidandola a sperimentare la gioia della fede, a testimo-niare la vita buona di chi ha accolto il Vangelo.Importanti sono stati i lavori di gruppo (tenuti il 24 e il 25 giugno)divisi in sette aree che hanno riguardato la vita dei preadolescenti:il pensiero, il corpo, i valori, la relazione, l’emozione, la creatività, lospirito. Ogni gruppo ha elaborato una breve proposizione eviden-ziando la realtà esistenziale, facendo una proposta pastorale-cate-chistica e indicando una prospettiva di lavoro per gli uffici catechi-stici diocesani.Nella terza sessione della scelta, attraverso una tavola rotonda si ècomunicata una possibile alleanza educativa circa la vita e la fede deipreadolescenti tra famiglia, scuola, comunità cristiana e social media.Nella quarta e ultima sessione della redditio è stato presentato e con-segnato ai convegnisti il lavoro dei gruppi di studio e don ToninoLasconi ha comunicato le sue impressioni positive del convegno ealcune indicazioni per accompagnare i preadolescenti da parte del-la comunità cristiana.Si sono vissute tre celebrazioni eucaristiche: martedi 24 giugno, nellaCattedrale di Bari, presieduta dal nostro arcivescovo mons. FrancescoCacucci, mercoledi 25 giugno e giovedi 26 giugno presso la parroc-chia Santissimo Sacramento in Bitonto, presiedute rispettivamenteda mons. Vito Angiuli, presidente della Commissione regionale perl’annuncio e la catechesi e vescovo di Ugento-S. Maria di Leuca, e damons. Guido Benzi, direttore dell’Ufficio catechistico nazionale.Non è mancata la presenza e il protagonismo dei preadolescenti, chei partecipanti hanno gradito e apprezzato: i preadolescenti della par-

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rocchia SS. Sacramento di Bitonto hanno animato la messa con ilcanto e il servizio liturgico, i preadolescenti dell’Azione CattolicaRagazzi della parrocchia S. Antonio di Fasano hanno messo in scenaun recital su Alberto Marvelli.Molto seguita è stata la lectio divina su Davide tenuta due volte algiorno da don Dionisio Candido, responsabile nazionale dell’Apo-stolato Biblico, facendo riferimento al primo e secondo libro diSamuele. Nel convegno sono stati anche presentati i romanzi diDavid Grossman, autore contemporaneo israeliano, che narrano lavita di alcuni preadolescenti. Il convegno è stato dunque un evento ecclesiale con la partecipa-zione di alcuni vescovi, presbiteri, religiose e laici impegnati nellacatechesi, dove si è condivisa una riflessione positiva sui preadole-scenti non vedendoli come un problema ma come una risorsa daaccogliere, valorizzare e accompagnare, mettendosi in ascolto delleloro domande di vita e di fede, condividendo i loro problemi, stan-do loro accanto e facendoli sentire protagonisti nel cammino dellacomunità cristiana.Si auspica che la riflessione e l’elaborazione di percorsi di fede e dicatechesi continuino nelle diocesi e arrivino nelle comunità parroc-chiali, dove adulti e giovani continuano a rendere il loro generoso eprezioso servizio di educatori/trici e catechisti/e.

don Antonio Seriovice direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano

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La crisi non ferma la solidarietà. Aumento dei donatori per ilsostentamento dei sacerdoti, contro ogni previsione in periodo direcessione, e consolidamento della partecipazione all’8xmille, sonostati al centro dei lavori del Convegno nazionale degli incaricatidiocesani per il “Sovvenire”, organizzato dalla CEI e ospitato a Baridal 13 al 15 maggio scorsi presso l’Hotel Parco dei Principi. Una tregiorni sul tema “Chiesa povera e solidale per evangelizzare”, segui-ta da oltre 200 partecipanti provenienti da tutte le diocesi italiane,per fare il punto sull’impegno pastorale nel segno del Sovvenire. Apartire dai risultati rag giunti (80% di firme espresse a favore dellaChiesa cattolica e crescita del +3,7% della partecipazione alle offer-te deducibili), gli interventi hanno evidenziato l’importanza dellatrasparenza e della sobrietà di vita come condizioni essenziali dicredibilità ai fini della raccolta, in una Chiesa dove i poveri sonodestinatari preferenziali dell’annuncio.In apertura dei lavori mons. Donato Negro, arcivescovo di Otrantoe presidente del Comitato per la promozione del sostegno econo-mico alla Chiesa, ha ripercorso la visione di una Chiesa povera esolidale dagli Atti degli Apostoli al Concilio Vaticano II, fino alforte impulso impresso da Papa Francesco. «Alla solidarietà sieduca, introducendo a prassi solidali, realizzando vissuti di frater-nità, mostrando la gioia della comunione – ha evidenziato mons.

Ufficio Promozione per il Sostegno economico della Chiesa

Convegno nazionale degli incaricati diocesani “Sovvenire”Chiesa povera e solidale per evangelizzare

(Bari, 13-15 maggio 2014)

CONVEGNI

DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

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Negro, che al tema ha dedicato anche un breve sag gio, Educare allasolidarietà, appena pubblicato nella collana «I Quaderni delSovvenire» edita dalla CEI -. Tanto più saremo capaci di fare comeil Buon Samaritano, icona della nostra identità cristiana, quantopiù ci saremo sentiti amati e avremo accolto, con amorosa gratitu-dine, l’amore ricevuto». «Poiché siamo stati consolati, possiamoconsolare – è stata la riflessione di mons. Marcello Semeraro, vesco-vo di Albano, intervenuto nella seconda giornata dei lavori, eviden-ziando il richiamo dell’Evangelii gaudium –. Se andiamo verso i pove-ri, che sono “carne di Cristo” comprendiamo che cosa significaseguire il Signore, che si è fatto povero e sofferente».La tavola rotonda ha offerto altri spunti di riflessione grazie aldocente di Scenari economici internazionali della Bocconi prof.Luca Fantacci, al prof. Ivan Vitali della Scuola di Economia civile, alresponsabile dell’area nazionale della Caritas italiana dott.Francesco Marsico e infine al presidente onorario di GFK Euriskodott. Remo Lucchi.Grande positività, creatività e fiducia salveranno l’Italia dalla crisi.Ma educare alla vera solidarietà è la grande scommessa sulla qualesi deve puntare.Successivamente è stato affrontato il tema delle “Trasformazioni delcattolicesimo in Italia” grazie alla dott.ssa Elisa Manna, sociologa eresponsabile delle Politiche culturali per la Fondazione CENSIS,membro del Comitato per la promozione del Sostegno economico allaChiesa Cattolica. A conclusione del suo discorso, la dott.ssa Manna hafatto riferimento alla esortazione apostolica di Papa Francesco Evan-gelii gaudiumper ritrovare lo slancio missionario: quel principio di testi-monianza da un lato e di dono disinteressato dall’altro.«L’aumento della partecipazione a 8xmille e offerte è il risultato del-l’impegno messo da tutti noi nella formazione ai valori delSovvenire, la partecipazione corresponsabile alla missione dellaChiesa – ha evidenziato Matteo Calabresi, responsabile del Serviziodi promozione CEI per il sostegno economico alla Chiesa –. Il nostroimpegno proseguirà con le campagne nazionali e la formazione sulterritorio, per cui sono grato ai nostri incaricati diocesani e parroc-chiali, ma possiamo affrontare il futuro con moderato ottimismo».Nell’anno appena trascorso grazie all’8xmille è stato possibile desti-nare 420,6 milioni di euro al culto e alla pastorale, 382 milioni al

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CONVEGNI

so stentamento del clero, 240 a progetti caritativi in Italia e nei Paesiin via di sviluppo. «L’8xmille è anche un indice di stima verso laChiesa cattolica, che va ben oltre l’ambito di chi frequenta – spiegaPaolo Cortellessa del Centro studi del Servizio promozione CEI –.Il 30% degli oltre 15 milioni di contribuenti che a essa destinanol’8xmille del gettito Irpef, infatti, non è praticante e si tratta di unapercentuale in crescita». «La crisi ha contribuito ad accentuare tra i cittadini un giudiziosevero ed esigente sulle grandi istituzioni, ma ha anche innescatomaggior consapevolezza sul valore della condivisione, su un’econo-mia dell’essere e del bene comune piuttosto che dell’avere, dopo lederive della speculazione finanziaria» ha evidenziato durante latavola rotonda Remo Lucchi, presidente di Gfk Eurisko. Anche cosìè cresciuta, pure oltre l’ambito dei fedeli, la consapevolezza – perdirla con papa Francesco – che “la condivisione non è carità, magiustizia”». Nella cattedrale di Bari si è tenuta la S. Messa conclusiva, officiatadall’arcivescovo mons. Francesco Cacucci.

Giusy BorrelliDirettore dell’Ufficio Promozione

per il Sostegno economico della Chiesa

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Pasquale Zecchini

«Vivere la liturgia»Il contributo di Mariano Magrassial rinnovamento liturgico in Italia

Presentazione del card. Salvatore De Giorgi a«Vivere la liturgia». Il contributo di Mariano Magrassial rinnovamento liturgico in Italiadi Pasquale ZecchiniCLV-Edizioni Liturgiche, Roma 2014

INDICE: Premessa di Luigi Girardi; Presentazione del card. Salvatore De Giorgi;Sigle e abbreviazioni; Introduzione.Capitolo primo Mariano Magrassi: Profilo biografico e formazione: 1. L’infan-zia a Monbisaccio e gli anni della formazione – 2. La permanenza a Romae l’approfondimento spirituale e intellettuale – 3. Monaco, teologo, abate– 4. Vescovo della sintesi: uno stile semplice e affettuoso – 5. Per me vive-re è Cristo.Capitolo secondo Celebrare «l’oggi della salvezza»: 1. Al di là del segno perentrare nel mistero – 2. Cristo, nei suoi misteri – 3. Il «Sacramentummemoriae» - 4. Formarsi e lasciarsi formare dalla liturgia – 5. Coinvoltinel mistero salvifico – 6. Dal mistero alla vita e dalla vita al mistero – 7.Mai solo per se stessi.Capitolo terzo Bibbia e liturgia: 1. La maestà delle Scritture: questo unicolibro è Cristo – 2. Nella liturgia è Dio che parla, ed è a me che parla oggi(a. La Parola nella liturgia; b. La Parola nella vita della Chiesa; c. La Parolanella vita del credente) – 3. La predicazione: introduzione al mistero.Capitolo quarto Una luce mistagogica: 1. Il mistero cristiano nell’annoliturgico: un esempio di “mistagogia moderna” – 2. L’anno liturgico come

MAGISTERO PONTIFICIODOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

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itinerario di fede (a. Avvento-Natale; b. Quaresima-Pasqua; c.Tempo ordi-nario) – 3. «Crescamus in illo per omnia».Capitolo quinto Celebrare: “ars artium et amoris officium”: 1. Il magister per-fectionis: il Vescovo “Liturgo” della Chiesa locale – 2. Sacerdotem oportetpraeesse – 3. Celebrare in Spirito e Verità – 4. La celebrazione è una gran-de sinfonia – 5. La celebrazione è atto pastorale – 6. «Ergo nihil Operi Deipraeponatur» – 7. «Meno messe più messa» - 8. La comunità celebrante.Conclusione.Bibliografia essenziale: I. Opere edite di M. Magrassi – II. Articoli e opere diM. Magrassi secondo l’anno di pubblicazione - III. Articoli, lettere e scrit-ti pastorali di M. Magrassi pubblicati sul Bollettino diocesano L’Odegitria,atti ufficiali e attività pastorali a cura dell’Arcidiocesi di Bari-Bitonto – IV.Articoli vari e conferenze alle Settimane Liturgiche del CAL - V. Studi econtributi su M. Magrassi - VI. Opere generali: 1. Fonti liturgiche – 2.Studi generali - 3. Dizionari.

Sono grato al carissimo confratello don Pasquale Zecchini per aver-mi dato la possibilità, con la sua originale ricerca, di ricordare confraterna ammirazione Mons. Mariano Magrassi, insigne abate diNoci ed esimio arcivescovo di Bari: non solo per il prezioso contri-buto offerto al Rinnovamento liturgico in Italia, ma anche e soprat-tutto per la testimonianza del suo trasparente e sincero amore aCristo, dal quale si è sentito “afferrato” sin dalla giovinezza e alquale ha gioiosamente “donato” se stesso e le eccezionali risorse dimente e di cuore, di intelligenza e di bontà, che hanno arricchito lasua vita e reso fecondo il suo ministero.Suo coetaneo di nascita (1930), di ingresso in seminario (1941) e diordinazione sacerdotale (1953), ho conosciuto Mons. Magrassi, dasacerdote, nei convegni annuali del CAL e, da vescovo, in diversicorsi di ritiri e di esercizi spirituali, restando sempre affascinato dalcoinvolgente entusiasmo della sua esperienza di contemplativo edal suo amore per la Liturgia che, insieme alla Sacra Scrittura e aiPadri della Chiesa, ne costituiva il segreto e la sorgente.Ho avuto la grazia di imporgli le mani nell’ordinazione episcopale ed’allora di godere della sua fraterna amicizia, sempre lieto di incon-trarlo e di ascoltarlo nelle Assemblee regionali e nazionali dellaConferenza Episcopale, e con crescente ammirazione per i suoi lucidie puntuali interventi soprattutto come Presidente della Commissione

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episcopale per la liturgia e successivamente della vita consacrata. Ame è apparso come un vero uomo di Dio: Lo ha testimoniato con unavita cristiana coerente, Lo ha annunziato con una parola vibrante difede, Lo ha celebrato con l’ardore di una speranza sempre viva e lo hadonato agli altri nel ministero con la forza e il sorriso dell’amore. E daogni incontro con lui si tornava culturalmente arricchiti e spiritual-mente edificati. Bene ha fatto il nostro Autore a presentarne il profilo biografico edi formazione, dall’infanzia al seminario, dall’ordinazione sacerdo-tale all’ingresso in monastero, dagli studi teologici e biblici alleprime responsabilità monastiche, dalla elezione come Abate a Nocia quella più impegnativa di Arcivescovo a Bari, dalla rinuncia algoverno pastorale al ritorno alla casa del Padre, che lo ha chiamatoa sé nella solennità della Settimana in Albis, nel cuore del MisteroPasquale, da lui proclamato, celebrato, vissuto come fonte e culmi-ne della sua via di monaco e del suo ministero di pastore.La categoria del mistero nella liturgia, come celebrazione dell’oggidella salvezza, gli era particolarmente congeniale: lo affascinava piùdi ogni altra, alla luce del pensiero dei grandi Padri della Chiesa e diinsigni maestri del movimento liturgico che hanno orientato i suoistudi. Ma l’orientamento decisivo è stato quello del Concilio Vati-cano II, del quale è stato un convinto assertore e fedele esecutore eal quale ha dato un contributo rilevante con la parola, con la testi-monianza e con gli scritti, soprattutto per l’attuazione della rifor-ma liturgica, proponendo quel sano “realismo liturgico” che evitasia il freddo “ritualismo” sia “l’esteriorismo” superficiale e consen-te di entrare nel mistero con tutta la propria vita.Pur non essendo stato un insegnante di Liturgia o di Teologiasacramentaria, Mons. Magrassi – come osserva giustamentel’Autore – ha contribuito alla ricezione del rinnovamento liturgicosoprattutto in Italia, «in modo capillare e accessibile a tutti i ceti,attraverso gli innumerevoli corsi di esercizi spirituali predicati alclero, ai religiosi e alle religiose, ai consacrati, e alle masse di parte-cipanti alle Settimane liturgiche nazionali, convegni a carattereliturgico come quelli organizzati dall’Opera della Regalità». Non si

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possono contare quanti, a cominciare dal sottoscritto, siamo debi-tori alla sua profonda formazione liturgica nel costruire o nel rin-saldare la nostra.Essendo stato segretario della Commissione della CEI per la Liturgiaquando egli ne era il presidente, ho avuto modo di percepire piùdirettamente il suo vivo interesse per l’attuazione della riforma litur-gica. Non nascondeva, proprio per questo, il timore che «tutto pog-giasse sulla novità delle forme e sulla moda» e che la novità, «rima-nendo in superficie non penetrasse nell’anima dei testi, non fosseaccompagnata da sufficiente catechesi, dalla novità del cuore».Si illuminava nel volto e vibrava nelle parole quado affermava la con-temporaneità della salvezza nella Liturgia, che ci consente di entrarenel mistero, per lasciarci afferrare da Cristo e vivere della sua vita. Cisi accorgeva che, anche senza dirlo, comunicava a noi un’esperienzapersonale, santamente contagiosa, fonte di quella gioia pasquale, che– come affermava - «niente e nessuno ci può togliere».Non si stancava di ripetere che la Liturgia, e soprattutto l’Euca-ristia, come “azione di Cristo e della Chiesa”, come “attualizzazio-ne” di un mistero accaduto una volta per tutte ma che si rende pre-sente per l’azione dello Spirito Santo nell’oggi della Chiesa, comeattuazione perenne dell’opera della nostra Redenzione, non è “unacosa da fare” ma una “Persona da incontrare”, perché trasformi intutte le sue dimensioni la nostra vita.Convinto che Parola, Sacramenti, Carità si richiamano e si integranoa vicenda, fu il primo a chiedere alla Presidenza della CEI che si tenes-se qualche incontro congiunto delle tre corrispondenti Commissioniepiscopali, e fu felice quando si attuò per la prima volta quello dellaCommissione per la dottrina della fede (della quale allora ero segreta-rio) e della Commissione per la Liturgia, della quale era presidente.L’amore per la Liturgia scaturiva in Mons. Magrassi dall’amore perla Parola di Dio. Come ha annotato l’Autore all’inizio del terzocapitolo tutto dedicato a questo aspetto caratteristico della sua spi-ritualità, Padre Mariano, «instancabile predicatore del Vangelo sineglossa ha rivendicato il carattere fondante della Parola che trovanella Liturgia uno spazio privilegiato ove si può già efficacementeentrare in contatto con Dio, e attraverso un approccio convergentetra Liturgia, Bibbia e Padri ci si può accostare alla comprensione delMistero eucaristico».

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La sua formazione monastica, “impastata” di Scrittura, come stru-mento imprescindibile della spiritualità del monaco, “uomo dellaParola”, lo ha stimolato e favorito nel far riscoprire e promuovereper tutti i battezzati la “lectio divina”, la lettura meditata, orante econtemplativa della Sacra Scrittura, garantita dalla Tradizionevivente e dal Magistero della Chiesa e interpretata dai Padri anchecome chiave di accesso privilegiata ai misteri celebrati nellaLiturgia, nella quale la Parola di Dio, a sua volta, manifesta nel ritola pienezza della sua vitalità e della sua efficacia salvifica.Con encomiabile intuito l’Autore ha richiamato i tratti più illumi-nanti del vasto e profondo insegnamento di Mons. Magrassi, sulmistero della Parola nella vita della Chiesa, nella vita del credente,nella predicazione intesa come introduzione al mistero per una“pastorale ancorata all’altare”, e soprattutto per vivere l’anno litur-gico, nei suoi diversi tempi, come costruttivo itinerario di fede inluce mistagogica. I molteplici e appropriati riferimenti alle sueeccellenti omelie ne costituiscono esemplari piste utili per tutti.Della pastorale ancorata all’altare mons. Magrassi non è stato soloesimio maestro, ma, soprattutto da Vescovo, artefice e testimoneesemplare. «Maestro attento e premuroso – nota giustamentel’Autore – maestro e padre della vita spirituale per la Diocesi a luiaffidata, padre Mariano ha esercitato il suo ministero episcopalepiù con l’esempio della vita che con il freddo e cattedratico inse-gnamento», anche se, in verità il suo insegnamento mi è sembratosempre caldo per il fuoco che gli accendeva nel cuore l’amore perCristo, contemplato nella Parola e celebrato nella Liturgia.Molto in questo ha influito la sua esperienza personale di monacodivenuto pastore. «Il calice e l’altare – annota ancora l’Autore nel-l’individuare il metodo pastorale del suo Arcivescovo – costituiva-no, per lui, il punto di partenza e allo stesso tempo, di arrivo ditutta quanta l’azione pastorale», finalizzata a condurre le anime aCristo Risorto, presente soprattutto nell’Eucaristia.Non si stancava, Mons. Magrassi, di ribadire con il Concilio Vatica-no II che non è possibile formare una comunità cristiana impegna-ta nel servizio del Vangelo e nel servizio al mondo – e questo è il

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cuore della pastorale – se non ha come “cardine” la celebrazioneeucaristica dalla quale prende le mosse qualsiasi azione tendente aformare lo spirito di comunità.Per lui l’arte di presiedere la Liturgia, soprattutto quella eucaristica,in persona Christi capitis, che di essa è l’unico Protagonista, costituti-va il metodo più efficace, il punto di partenza per imparare ad eser-citare l’arte del presiedere, ossia del servire in persona Christi capitis ilsuo Corpo che è la Chiesa e che l’Eucaristia incessantemente co-struisce, nutre, manifesta, fa crescere nella comunione di tutte lesue membra e sostiene nella missione, alla quale tutti – clero e laici– sono chiamati, attraverso molteplici funzioni, servizi, ministeri,che in vario modo per diversi titoli sono affidati a tutti e da chi pre-siede vanno riconosciuti, valorizzati e armonizzati nella “sinfoniaministeriale”, come a lui piaceva chiamarla.Come moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgicadella Chiesa di Bari, su questa funzione primaria, da lui svolta conesemplare dignità, nobile semplicità, assoluta fedeltà, saggio adat-tamento, sana creatività, trasparente verità, spirito orante, stile con-templativo, Mons. Magrassi ha impostato le altre due funzioni epi-scopali di insegnare e di governare: tutte e tre intimamente e indis-sociabilmente connesse tra di loro, nell’unica missione pastoraledel vescovo, come ars artium et amoris officium, da esercitare con “gu-sto” e con “gioia”, in spirito di servizio e mai di potere. Così volevai suoi sacerdoti nel ruolo di presidenti. Era convinto che la partecipazione consapevole, attiva, fruttuosa deifedeli alla Liturgia, non da muti spettatori passivi ma da attori viviuniti a Cristo, desta e rafforza la consapevolezza della loro partecipa-zione attiva e responsabile a tutta la vita e la missione della Chiesa,della quale i fedeli laici sono corresponsabili per statuto battesimalee non per benevola concessione del clero, e nello stesso tempo è anchecondizione per realizzare nel modo più fedele e fecondo l’animazio-ne cristiana di tutte le realtà temporali, che costituisce il loro compi-to specifico nell’unica missione della Chiesa a servizio del mondo.Si appassionava, Mons. Magrassi, quando parlava della dignità,della corresponsabilità e del ruolo proprio dei laici nella Chiesa,come anche dei ministeri a loro affidati. Ne è stato un promotorelungimirante e un sostenitore convinto e convincente, aperto anuove possibilità, ma forte nell’esigere la necessaria formazione

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PUBBLICAZIONI

“sistematica” di tutti gli operatori pastorali, a cominciare dai mini-stri della Liturgia ad ogni livello. La riteneva giustamente comeistanza fondamentale della “spiritualità liturgica”, da lui gioiosa-mente vissuta e costantemente raccomandata, come risulta dallenumerose e ampie citazioni del suo magistero riportate con logicae articolata selezione nell’ultimo capitolo, che mi è apparso comeuna ricca e stimolante meditazione sull’arte del celebrare, utilesoprattutto a noi sacerdoti, come mistagoghi del nostro popolo,per crescere nella spiritualità liturgica, anima di tutta la spirituali-tà sacerdotale, la quale consiste nel vivere ciò che celebriamo e ciòche siamo, ossia “segni sacramentali” del Risorto.Questa fondamentale istanza spirituale mi ha particolarmente col-pito nel magistero e nella testimonianza di Mons. Magrassi con miapersonale edificazione. E questa soprattutto ho colto nel pregevolestudio dell’Autore, che ho letto con altrettanta edificazione e comeuna eco fedele dell’invito sempre attale di Mons. Magrassi a impe-gnarci con entusiasmo, nella prospettiva della Nuova Evangeliz-zazione, nel cantiere sempre aperto del risveglio e del rinnovamen-to liturgico, al quale egli ha dedicato tutto se stesso, come Monaco,Abate e Vescovo.

+ Card. Salvatore De Giorgi

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Fondazione Giovanni Paolo II onlusPeriferie

Itinerari socioeducativi della Chiesa di Bari

Presentazione di mons. Francesco Cacucci aFondazione Giovanni Paolo II onlusPeriferieItinerari socioeducativi della Chiesa di BariDocumenti e testimonianze a cura di Donato CalaceStilo Editrice, Bari 2014

INDICE: Presentazione di S. E. mons. Francesco Cacucci.Prefazione: Il ‘San Paolo’ ovvero come ho visto nascere, crescere e svilupparsi unquartiere (…con un po’ d’ottimismo) di Donato Calace.Introduzione: La fondazione Giovanni Paolo II. Tracce di un racconto, tra novi-tà e avventura di Aldo Olivieri.DOCUMENTI: Antefatto. L’idea iniziale – L’istituzione del VicariatoEpiscopale di San Paolo Stanic – Prime idee di associazione – Foglio dilavoro del Vicariato – Relazione del Vicario per la visita pastorale –Intervento al convegno della Fondazione Gramsci - Istituzione dellaFondazione – Lettera di invito – Conferenza di presentazione dellaFondazione – Il sogno della Cittadella – Valutazioni a margine dell’in-contro del 31 gennaio 1991 sulla Cittadella della Gioventù – I problemidel quartiere. Lettera al Sindaco – L’inizi di un percorso formativo –Lettera d’invito all’inaugurazione del Centro sociale – Inaugurazione delCentro di via Marche –Caratteristiche strutturali del vecchio Centro di viaMarche – Un’idea da diffondere –Il primo libro – Appunti per una rifles-sione –Verifica dell’attività del Vicariato – Intervento alla tavola rotondaal Teatro Abeliano – Il ministro degli Interni, on. Napolitano, al Centro –Dal 1996 al 2007 - I messaggi di don Nicola - Pasqua 2007: una cosanuova - L’amicizia con il prof. Gianfranco Dioguardi – Per l’incontro congli amministratori – Invito per l’incontro del 29 ottobre 2007 – Incontrodi formazione – Lettera a Dioguardi – Natale 2008 – Pasqua 2009: il pas-saggio a una vita nuova – Saluto a chiusura del progetto ‘Via del Campo’– Presentazione del bilancio sociale – Natale 2009 – Pasqua 2010 – Osarela speranza – Rapporto 2010 – Natale 2010 – Pasqua 2011 – Lettera allaredazione di «la Repubblica»- Inaugurazione del nuovo centro –

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PUBBLICAZIONI

Caratteristiche strutturali del nuovo Centro sociale – Il cinquantenariodella Santa Famiglia – Relazione al Consiglio di Amministrazione – Notedel Presidente a margine dei bilanci economico e sociale del 2011 – Notedel Presidente a margine del bilancio ecocomico consuntivo 20123 e pre-ventivo 2013 –Saluto e indicazioni introduttive del Presidente all’incon-tro di Cassano Murge del 30 giugno 2013.APPENDICE: Allegato 1 Una foto …quasi profetica – Allegato 2 Rogito notarile –Allegato 3 Statuto – Allegato 4 I Consigli di Amministrazione e i Collegi deiRevisori dei Conti – Allegato 5 La ‘forza’ – Allegato 6 Il Presente, il Futuro…di Aldo Olivieri - Allegato 7 Note conclusive.APPENDICE FOTOGRAFICA

Fu ‘il vento dello Spirito’ portato da Giovanni Paolo II, oggi beatoe tra breve santo, nella sua indimenticabile e storica visita allanostra città di Bari nel febbraio 1984 ad aprire un cammino che daallora non si è più fermato.Fu grazie al suo carisma profetico e alla sua paterna generosità cheal quartiere San Paolo, da dove volle cominciare la sua Visita pasto-rale, furono poste le basi di quella che sarebbe stata la fondazioneGiovanni Paolo II.Dobbiamo in particolare alla paziente, costante, appassionata fati-ca di un prete, don Nicola Bonerba, una fatica che non ha cono-sciuto mai cedimenti o scoraggiamenti, se quell’evento delloSpirito, se quella intuizione profetica sono diventati oggi una mera-vigliosa realtà.Ringrazio davvero di cuore Donato Calace, grande amico e per tantianni prezioso collaboratore di don Nicola, per aver felicementepensato di presentare in questa pubblicazione le tappe di questo iti-nerario di testimonianza e di impegno sociale ed educativo dellaChiesa di Bari. Ha raccolto i documenti ufficiali, dall’istituzione delVicariato Episcopale San Paolo-Stanic, voluta da mons. Magrassi(16 luglio 1986) fino all’inaugurazione del nuovo Centro dellaFondazione in via Marche (22 giugno 2011) e tanti ‘interventi’ didon Nicola: fogli di lavoro, messaggi natalizi e pasquali, articoli,relazioni in convegni. Sono tutte preziose testimonianze di una

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passione sua, ma anche di tanti che hanno come lui creduto allarealizzazione di un progetto che poteva sembrare un sogno, tramille difficoltà burocratiche, amministrative, economiche, una pas-sione di tanti laici, i cui nomi sono tutti citati in questa pubblica-zione come in una sorta di ‘libro della vita’, di tanti che forse non cisarebbero stati, o che non sarebbero stati così entusiasti, senza lafede di un pastore.Fede. Sì, perché quella che ha retto e animato il cammino e la rea-lizzazione del progetto della Fondazione, che oggi è una realtà alservizio di bisogni, marginalità, di attese del quartiere San Paolo,non è stata tanto o soltanto una capacità organizzativa, che purenon è mancata, ma una solida e ferma fede nella grazia di Dio enella generosità degli uomini, della società civile e della comunitàcristiana.È una fede che è possibile rilevare da tanti dei documenti qui rac-colti, che rivelano il cuore sacerdotale di don Nicola e dei tanti laiciresponsabili della bella avventura. Un impulso decisivo a rilanciaree portare avanti l’impegno è venuto dopo il Congresso eucaristiconazionale celebratosi a Bari (maggio 2005) con la presenza diBenedetto XVI, Senza la domenica non possiamo vivere, e dopo ilConvegno ecclesiale nazionale di Verona (2006), Testimoni delRisorto, speranza del mondo. Scriveva don Nicola in un suo messaggionel marzo 2007:

Ritengo questa fase della vita della Fondazione un momentodecisivo e pieno di ‘grazia’ (kairòs) che ci viene offerto dalSignore nel contesto di una società nella quale i più deboli,che sono le periferie, rischiano un’ulteriore emarginazione.La ‘missione’ specifica della nostra Fondazione è in questadirezione.

Don Nicola è qui nella linea in cui si sta muovendo, e ci sta muo-vendo, la sensibilità di Papa Francesco, che sta insistentemente invi-tando tutta la Chiesa a ‘uscire’, per andare verso le ‘periferie esi-stenziali’, verso le ‘periferie della vita’. È un invito che anch’io ho direcente riproposto nella relazione all’Assemblea diocesana del set-tembre scorso, che è ora una ‘Lettera’ alla comunità diocesana: Losplendore della speranza. Verso le periferie della storia.Prima ancora che geografiche e territoriali, le vere periferie sono quel-

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PUBBLICAZIONI

le culturali e sociali, che possono trovarsi ovunque, anche in pienocentro città, anche dentro di noi. Riferendosi alla ‘periferia’ dell’E-sodo vissuto dal popolo di Israele, don Nicola così diceva ai parteci-panti a un corso per ‘operatori delle periferie’ (29 maggio 1991):

In realtà il disagio dovuto a una situazione da ‘deserto’ strut-turale e sociale, può essere superato dagli spazi e dalle spinteinteriori di ricerca di nuove vie, di nuovi mezzi, e, soprattut-to, di valori più autentici di quelli che lo standard quotidia-no ci offre.

La Fondazione Giovanni Paolo II, che dalla tensostruttura prefab-bricata del 1992 ha visto realizzato dopo anni di faticoso camminol’attuale Centro sociale polifunzionale, prima ancora che un segnoconcreto di impegno civile e sociale, oltre che ecclesiale, è soprat-tutto una grande testimonianza, umana e cristiana, di fede, di spe-ranza e di carità.

+ Francesco CacucciArcivescovo di Bari-Bitonto

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San FerdinandoUn Santo, una Chiesa

Presentazione di mons. Francesco Cacucci aSan Ferdinandoun Santo, una ChiesaCoordinamento di Roberto De PetroTesti di Giuseppe MicuncoEcumenica editrice, Bari 2014

INDICE: Il Santo delle tre religioni per la vocazione ecumenica di Bari dimons. Francesco CacucciPer una crescita culturale come discepoli missionari di don PasqualeMuschitielloLettera di mons. Juan José Asenjo Pelegrina, Arcivescovo di SivigliaDedicato alla Città di Bari in devozione del Santo Re di Roberto De PetroPremessa di Giuseppe MicuncoParte prima Ferdinando III – Il Santo delle tre religioniParte seconda La storia della ChiesaParte terza La Chiesa di San FerdinandoParte quarta La nuova icona - Viatico e glorificazione di San FerdinandoParte quinta Galleria fotografica

Il Santo delle tre religioni per la vocazione ecumenica di Bari

Tante volte entriamo nelle chiese che frequentiamo abitualmente,magari da anni, o da decenni, senza guardarci attorno, senza chie-derci il senso della disposizione degli ambienti, del significato degliarredi sacri, del senso di opere d’arte, più o meno pregevoli, ma di-sposte secondo criteri teologici e liturgici.Tante volte sappiamo poco o niente della storia della nostra chiesa,dello zelo di pastori e di comunità che ci hanno preceduti, e che conamore e passione hanno curato la costruzione e la manutenzionedell’edificio di culto, arricchendolo di arredi e di opere.Tante volte, a meno che si tratti di personaggi che non hanno biso-

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gno di presentazione, sappiamo poco o niente riguardo al santotitolare della nostra chiesa, che dovrebbe invece essere per la comu-nità ecclesiale un modello ispiratore di virtù e di santità.Da diversi anni ormai, e in molte comunità, con mio profondocompiacimento, si sta provvedendo, come sta avvenendo anche perla nostra Chiesa locale di Bari-Bitonto, con una ricca collana distudi storici, a curare delle pubblicazioni, a opera di presbiteri o distudiosi in genere, che vengono incontro a questa necessità di cono-scenza della storia della comunità, dell’edificio di culto, del santotitolare, cose tutte che devono far parte della nostra vita di fede e diimpegno nel mondo.È dunque con vera gioia e gratitudine che accolgo questa pubblica-zione sulla chiesa di San Ferdinando in Bari, a me molto cara: SanFerdinando, un Santo, una Chiesa, che in modo agile e essenziale, mainsieme ricco e documentato, ripropone, dopo il precedente opu-scolo curato dal compianto mons. Gaetano Barracane, la storiadella edificazione della chiesa nella Bari nuova che si andava realiz-zando, da Gioacchino Murat e dai Borboni fino ai giorni nostri.Presenta una biografia accurata e documentata di un santo pococonosciuto, san Ferdinando III, re di Castiglia e di Léon, vissuto nellontano 1200, sovrano, padre di famiglia, uomo di cultura, di giu-stizia e di pace, che molto avrebbe da insegnare a governanti eamministratori della cosa pubblica, e non solo; è anche una detta-gliata rassegna e lettura liturgica e teologica dei tanti affreschi edipinti che arricchiscono l’interno della chiesa.Il lavoro, lodevolmente promosso dall’attuale parroco, don PasqualeMuschitiello, sostenuto e coordinato dall’ing. Roberto De Petro,curato dal prof. Giuseppe Micunco, costituisce una preziosa ‘guida’storico-liturgica, prima e più ancora che artistico-turistica, perché sipropone di favorire nei fedeli una più consapevole e fruttuosa fre-quentazione e fruizione della chiesa e del suo santo patrono.L’occasione per questa pubblicazione è stata offerta dalla colloca-zione nella cappella laterale destra della chiesa di una nuova iconadi San Ferdinando, opera di Maria Teresita Ferrari Donadei, iconaopportunamente illustrata nel presente lavoro: San Ferdinando

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viene proposto nella sua glorificazione, ma anche nel momento incui riceve il Viatico, in grande umiltà, attorniato dalla devozione edall’affetto di tanti, non solo cristiani, ma anche ebrei e musulma-ni, che ne hanno apprezzato le doti di mitezza, di fraternità e di dia-logo, di quella gioiosa misericordia evangelica di cui tanto ci staparlando papa Francesco.San Ferdinando, passato alla storia, proprio per la sua capacità dirispetto e di dialogo con tutti, come il ‘santo delle tre religioni’, possaintercedere per la vocazione ecumenica della nostra città, e possadiventare modello non solo per politici e amministratori, ma ancheper tutti i fedeli, i laici in particolar modo, perché a tutti, come ci haricordato il Concilio Vaticano II, è aperta la via della santità.

+ Francesco CacucciArcivescovo di Bari-Bitonto

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1 - Al mattino, presso la parrocchia SS. Crocifisso in Triggiano,celebra la S. Messa per il 25° anniversario della dedicazionedella chiesa.

1-4 - Visita pastorale alla parrocchia Madonna di Pompei in BariCarbonara.

5 - Alla sera, presso la parrocchia S. Leone Magno in Bitonto,guida la catechesi pasquale su “Lo splendore della speranza”.

6 - Gita con curiali e collaboratori al Santuario Santa Maria diPicciano (Mt).

7 - Al mattino, a Bitonto, celebra la S. Messa per il 70° anniver-sario di ordinazione sacerdotale di mons. Pasquale Pierro edi don Alberto Battaglia.

- Al pomeriggio, presso la Curia arcivescovile, presiede la riu-nione del Consiglio degli Affari economici.

8 - Al mattino, presso il Molo S. Nicola, celebra la S. Messa epresenzia all’imbarco della statua del Santo Patrono.

- Alla sera, presso il Molo S. Nicola, presenzia allo sbarcodella statua del Santo.

9 - Alla sera, nella Basilica di S. Nicola, celebra la S. Messa perla solennità della Traslazione delle ossa di S. Nicola e parte-cipa al prelievo della santa manna.

10 - Al mattino, a Napoli, celebra la S. Messa presso le Figliedella Carità di San Vincenzo de’ Paoli.

11 - Al mattino, presso la parrocchia S. Maria del Carmine in Sam-michele di Bari, celebra la S. Messa per la festa del Patrono S.Michele Arcangelo.

- Alla sera, presso la parrocchia S. Cuore in Mola di Bari, cele-

DOCUMENTI E VITA DELLA CHIESA DI BARI-BITONTO

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bra la S. Messa per l’inizio di “Eternamente”, la manifesta-zione per i giovani organizzata dalla “Comunità Frontiera”.

12 - Alla sera, presso la parrocchia S. Nicola in Bari-Catino, pre-siede la cerimonia della benedizione e posa della prima pie-tra della erigenda chiesa parrocchiale.

- Successivamente, presso la parrocchia SS. Apostoli in Mo-dugno, benedice e inaugura il campo sportivo.

13 - Alla sera, presso la Casa del clero in Bari, presiede la riunio-ne del Consiglio Pastorale Diocesano.

14 - Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa in occasione delConvegno nazionale CEI degli incaricati diocesani per “ilSovvenire”, “Chiesa povera e solidale per evangelizzare”.

15 - Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi dei vica-riati Bitonto-Palo del Colle, II e III.

- Successivamente, nell’aula magna “Mons. Enrico Nicodemo”dell’Istituto superiore di Scienze religiose, partecipa alla pre-sentazione del volume di don Pasquale Zecchini “Vivere laliturgia”. Il contributo di Mariano Magrassi al rinnovamento liturgicoin Italia, presenti il card. Salvatore De Giorgi e p. IldebrandoScicolone, O.S.B.

- Alla sera, presso la parrocchia Buon Pastore in Bari, presie-de l’Adorazione eucaristica vocazionale.

16 - Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi dei vica-riati I, IV, V e XII.

- Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa per l’inizio deltriennio della nuova Presidenza e del nuovo Consigliodell’A.C. diocesana.

17 - Al pomeriggio, presso il Seminario arcivescovile, partecipa allaconclusione dell’anno pastorale dei Laboratori della Fede.

- Alla sera, nella chiesa di S. Domenico in Bitetto, celebra la S.Messa per la festa di santa Rita da Cascia.

18 - Al mattino, presso la parrocchia S. Cataldo in Bari, celebrala S. Messa e amministra le Cresime.

- Alla sera, presso la parrocchia S. Francesco d’Assisi in Triggiano,celebra la S. Messa per i 400 anni di presenza dell’Ordine dei FratiMinori Cappuccini a Triggiano.

19-23 - A Roma, partecipa ai lavori della 66a Assemblea generaledella Conferenza Episcopale Italiana.

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DIARIO DELL’ARCIVESCOVO

23 - Alla sera, presso la parrocchia S. Francesco da Paola in Capurso,tiene la catechesi su “Il pozzo di Gesù e la Samaritana”.

25 - Al mattino, presso la Chiesa Santi Martiri di Abitene inBitonto, celebra la S. Messa e amministra le Cresime.

26 - Al pomeriggio, nella parrocchia S. Maria Maggiore in Gioia delColle, celebra la S. Messa per la festa del Patrono san Filippo Neri.

27 - Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi dei vica-riati VII e VIII.

28 - Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi del vicariato IX.29 - Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi del vicariato XI.

- Alla sera, presso il monastero S. Giuseppe in Bari, celebra la S.Messa nella memoria liturgica della Beata Elia di San Clemente.

30 - Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, cele-bra la S. Messa per le Monache Clarisse di Puglia.

- Al pomeriggio, in Cattedrale, incontra i cresimandi dei vica-riati VI e X.

- Alla sera, presso la parrocchia S. Ferdinando in Bari, celebrala S. Messa per la festa del Titolare e partecipa alla presen-tazione del volume sulla chiesa di S. Ferdinando.

31 - Alla sera, a Mola di Bari, presiede la celebrazione della Vegliadiocesana giovanile di Pentecoste.

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1 - Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per il centena-rio di fondazione della Famiglia Paolina.

2 - Alla sera, presso l’Istituto Preziosissimo Sangue in Bari, assi-ste al recital “Tu vali il sangue di Cristo”.

3 - Al mattino, in Episcopio, incontra l’équipe formativa delSeminario arcivescovile.

- Al pomeriggio, nell’aula magna dell’Università degli Studi“Aldo Moro” di Bari, partecipa alla prima Assemblea pubblicacostitutiva del Forum “Bambini e Mass Media”.

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4 - Al pomeriggio, in Cattedrale, celebra la S. Messa per i disabili.5-8 - Visita pastorale alla parrocchia S. Maria di Costantinopoli

in Bitritto.6 - Al mattino, a Turi, presiede i lavori della Conferenza Episco-

pale Pugliese.10 - Al pomeriggio, presso il Seminario arcivescovile, partecipa

al Meeting diocesano dei Ministranti.- Alla sera, presso l’Università degli Studi “Aldo Moro” di Bari,partecipa alla presentazione del volume di don RoccoD’Ambrosio “Una chiesa al passo coi tempi”.

11 - Al mattino, presso il Teatro Petruzzelli, incontra, col Sovrin-tendente, tutti i componenti del Teatro.

13 - Alla sera, presso la chiesa S. Maria Veterana in Bitetto, cele-bra la S. Messa per la festa di sant’Antonio di Padova.

14 - Alla sera, presso la parrocchia SS. Salvatore in Capurso, cele-bra la S. Messa per il 50° anniversario di ministero di parro-co di don Francesco Ardito.

15 - Al mattino, presso la parrocchia S. Michele Arcangelo inBitetto, celebra la S. Messa e amministra le Cresime.

16 - Alla sera, presso la chiesa di S. Colomba in Bari, partecipa alconcerto della Corale Ecumenica.

17-18 - A Roma, partecipa a un incontro della Congregazione pergli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica.

19 - Al mattino, presso la Facoltà Teologica di S. Fara, partecipaall’assemblea dei docenti.

- Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa in memoria di Mons.Mariano Magrassi, O.S.B., nel X anniversario della morte.

20 - Al mattino, presso l’Oasi S. Maria in Cassano Murge, parte-cipa alla Giornata diocesana di santificazione sacerdotale.

21 - Alla sera, nella Cattedrale di Terni, partecipa alla concele-brazione eucaristica per l’ordinazione episcopale di p.Giuseppe Piemontese, O.F.M.Conv., vescovo eletto di Terni-Narni-Amelia.

22 - Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa nella solennitàdel SS. Corpo e Sangue di Cristo e presiede la processionedel “Corpus Domini” per le vie della città fino a Piazza delFerrarese dove imparte la benedizione eucaristica.

23 - Al pomeriggio, presso l’Hotel Parco dei Principi in Bari-

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Palese, porta il saluto ai partecipanti al Convegno naziona-le dei direttori degli Uffici Catechistici diocesani organizza-to dall’Ufficio Catechistico nazionale della CEI.

25 - Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa in memoria disan Josemaria Escrivà de Balaguer, fondatore dell’Opus Dei.

26 - Alla sera, presso la parrocchia Preziosissimo Sangue in SanRocco in Bari, guida la catechesi sulla proposta pastoraledell’anno.

27 - Alla sera, presso la parrocchia Sacro Cuore in Bari, celebra laS. Messa nella solennità del Sacro Cuore di Gesù.

28 - Al mattino, in Episcopio, presiede la riunione del ConsiglioEpiscopale.

- Al pomeriggio, presso la Cappella del Corpus Domini inBari, celebra la S. Messa.

- Alla sera, presso la Comunità Nazareth in Bitonto, incontrai membri della Comunità.

29 - Al mattino, in Cattedrale, celebra la S. Messa per l’istituzio-ne dei nuovi lettori.

- Alla sera, in Cattedrale, celebra la S. Messa per la consacra-zione di due nuove consacrate dell’Ordo viduarum, nel 35°anniversario dell’ordinazione sacerdotale del parroco mons.Franco Lanzolla.

30/6 - Partecipa al viaggio di formazione per i giovani sacer-4/7 - doti a Parigi.

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ANNOTAZIONI

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