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APPUNTI DI MECCANICA RAZIONALE Maria Stella Mongiov` ı 1

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APPUNTI DI MECCANICA RAZIONALE

Maria Stella Mongiovı

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INTRODUZIONE

La Meccanica Razionale e quella parte della Fisica Matematica che studia le leggi generali

del movimento e dell’equilibrio dei corpi o delle loro parti. Ovviamente, nei fenomeni

fisici, il movimento non interviene mai da solo: ad esempio, se si osserva un’automobi-

le che cammina, il fatto che i vari pezzi della carrozzeria siano rigidi proviene da certe

proprieta degli atomi che sono studiate nella Fisica dello Stato Solido, mentre la viscosita

e la fluidita del carburante, o del liquido di raffreddamento, o i fenomeni che si verificano

all’interno della camera di combustione sono strettamente legati a processi di vario tipo:

termico, chimico, elettromagnetico, ecc. La Meccanica Razionale si limita allo studio della

piu semplice forma di moto, quello meccanico, intendendo per moto meccanico variazioni

con il tempo della posizione dei corpi relativamente ad altri. Poiche lo stato di equilibrio e

un caso particolare di moto, la Meccanica Razionale include anche lo studio dell’equilibrio

dei corpi.

Le osservazioni dei vari fenomeni naturali mostrano che non tutte le proprieta dei

corpi coinvolti nel fenomeno in questione influiscono sull’andamento del fenomeno o sul

suo risultato finale. Per esempio, e noto dall’esperimento che una trave poggiata su due

supporti agisce su di essi con forze che sono dipendenti essenzialmente dalla posizione dei

supporti e non dalla deflessione della trave (purche tale deflessione sia piccola). Pertanto

nel determinare tali forze, possiamo sostituire la trave reale con una trave indeformabile

(perfettamente rigida). Nello studio di altri fenomeni, argomenti analoghi conducono alla

nozione di modelli di corpi (punto materiale, punto carico, corpo rigido, ecc.). Notiamo

tuttavia che in natura non esistono corpi rigidi, punti materiali, punti dotati di carica,

ecc. e che tutte queste sono astrazioni che ci permettono, attraverso la formulazione di un

modello matematico, di considerare teoricamente il fenomeno in questione e di risolvere

il problema proposto. Ogni tentativo, infatti, di risolvere anche il piu semplice problema

senza ricorrere ad uno di tali modelli semplificati e destinato a fallire.

Il presente corso e dedicato allo studio della meccanica classica ed e basato sulle leggi

che vennero stabilite da G. Galilei e da I. Newton. Alla fine del 190 secolo ed all’inizio

del 200 secolo e stato mostrato che le leggi della meccanica classica non sono applica-

bili al moto di particelle subatomiche ed a corpi che si muovono con velocita vicine a

quelle della luce. La meccanica quantistica e la meccanica relativistica, che affrontano

lo studio di tali fenomeni, indicano i limiti di validita della meccanica classica. Tutto

cio non diminuisce tuttavia il ruolo della meccanica classica che continua a rimanere uno

strumento indispensabile per lo studio del moto di corpi macroscopici le cui velocita sono

piccole confrontate con quella della luce, cioe tutti i moti di cui si occupa usualmente

l’ingegneria.

I metodi della Meccanica Razionale. La Meccanica Razionale, cosı come le altre parti

della Fisica Matematica, usa largamente il metodo dell’astrazione. L’applicazione di tale

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metodo consente di stabilire, attraverso la generalizzazione dei risultati sperimentali e

della pratica tecnologica, alcune leggi generali, che prendono il ruolo di assiomi. Tutte le

altre proposizioni della disciplina possono essere derivate da questi assiomi con deduzioni

logiche e calcoli matematici. Poiche la Meccanica Razionale tratta maggiormente con

relazioni quantitative, e chiaro che in essa la Matematica deve giocare un ruolo molto

importante. Tuttavia, sebbene il corso di Meccanica Razionale contenga pochi riferi-

menti a studi sperimentali, anche per questa disciplina, come per ogni altra scienza, la

dimostrazione finale delle sue leggi e proposizioni risiede nella pratica e nell’esperimento:

solamente attraverso una verifica sperimentale si puo decidere se una data ipotesi o una

teoria e o no corretta.

I.1. Note storiche. La Meccanica e una delle scienze piu antiche. Sebbene i piu antichi

manoscritti di meccanica giunti a noi appartengono al 40 secolo a.C., i resti di antiche

strutture mostano che gia molto prima alcuni concetti della meccanica erano noti. La

prima parte della Meccanica Razionale che inizio a svilupparsi fu la Statica, la scienza

che tratta dell’equilibrio dei corpi materiali. Nella prima parte del 30 secolo a.C. vennero

gettate le sue basi, principalmente nei lavori di Archimede (circa 287-212 a.C.). Egli stu-

diando l’equilibrio della leva introdusse il concetto di baricentro, e scoprı la ben nota legge

dell’idrostatica che deve a lui il nome. Le basi della Cinematica, ed, in particolare, della

Dinamica (la parte della Meccanica Razionale che studia il moto dei corpi in connessione

con le loro interazioni) vennero gettate da Galileo (1564-1642) e da Newton (1642-1727)

soltanto alla fine del 160 secolo ed all’inizio del secolo successivo. Il periodo di quasi

2000 anni separante i tempi di Archimede e di Newton, puo essere caratterizzato, in re-

lazione agli sviluppi della Meccanica, come un tempo in cui venne accumulata una grande

quantita di dati sperimentali, riguardanti vari tipi di moto meccanico (in particolare, il

moto dei corpi celesti) e di un sistematico, sebbene lento, sviluppo di metodi matematici.

Questo materiale sperimentale, lo sviluppo della Matematica, le grandi scoperte fatte da

N. Copernicus (1473-1543), da J.Kepler (1571-1630) e soprattutto da Galileo, immediato

predecessore di Newton, consentirono a quest’ultimo di scoprire le leggi generali della

Meccanica (che da lui presero il nome) e di creare adeguati metodi matematici (il cal-

colo differenziale ed integrale) rendendo possibile l’applicazione di queste leggi generali

e delle loro conseguenze alla risoluzione di problemi pratici. Nel 180 e 190 secolo infine

vennero formulati i metodi analitici della Meccanica Razionale (L. Euler (1707-1787),

J.D’Alembert (1717-1783), J.L. Lagrange (1736-1813), K.G.J. Jacobi (1804-1851), W.R.

Hamilton (1805-1865), J.H. Poincare (1854-1912) e altri).

Lo sviluppo della moderna tecnologia ha condotto allo studio indipendente di alcune

particolari parti della Meccanica, cosı come l’idrodinamica, l’aerodinamica, la gasdinam-

ica, la teoria dell’elasticita, la teoria della plasticita, la resistenza dei materiali, ecc. Tut-

tavia, i metodi utilizzati da queste scienze nel risolvere problemi sono tutti basati sui

metodi della Meccanica Razionale e piu in generale della Fisica Matematica.

I.2. Argomenti di Meccanica Razionale. Il corso di Meccanica Razionale e diviso

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in tre parti, la Cinematica, la Statica e la Dinamica. In Cinematica si studia il moto

dei corpi, in maniera puramente geometrica, senza tener conto dei fattori che lo causano.

La Statica riguarda le leggi dell’equilibrio dei corpi materiali e le regole di riduzione di

sistemi di forze a sistemi di forma piu semplice. Infine la Dinamica studia il moto dei

corpi in relazione con le forze che agiscono su di essi e che lo causano.

1.3. Nozioni introduttive

Per avere una visione chiara della Meccanica e necessario possedere una descrizione

matematica rigorosa dei concetti di tempo e di spazio. Cercheremo adesso di descrivere

brevemente dal punto di vista matematico, tali concetti.

Il Tempo. Il concetto di tempo accompagna ogni nostra conoscenza, anche intuitiva,

del mondo che ci circonda. Quando prendiamo coscienza di qualcosa che esiste, questo

qualcosa non si presenta soltanto come esistente, ma come esistente ora; e inoltre possibile

introdurre un ordine negli avvenimenti, per mezzo delle relazioni di prima e di dopo. Per

poter applicare i metodi propri della matematica alla descrizione di tempo, dobbiamo am-

mettere, almeno in linea di principio, che sia possibile fissare, con accuratezza arbitraria,

un punto del tempo o istante, e che, dati due tali punti sia possibile dire quale venga prima

e quale dopo. Inoltre, la relazione di prima e di dopo deve avere la seguente proprieta:

se A, B e C sono tre istanti di tempo, e se A precede B e B precede C, allora A precede

C. Due istanti qualsiasi A e B, dove A precede B, determinano un intervallo orientato

di tempo, che contiene tutti gli istanti che seguono A e precedono B. Il succedersi degli

eventi, ci si presenta ordinato in un continuo, per cui, tra due istanti di tempo comunque

vicini, possiamo sempre pensare un istante intermedio, e senza buchi.

L’insieme di tutti gli istanti puo dunque essere modellato, dal punto di vista matematico,

con l’insieme (continuo e ordinato) dei numeri reali.

Lo Spazio. Le nostre senzazioni ci si presentano come il susseguirsi di eventi, di cui

pensiamo di poter fissare l’immagine istantanea. In questa immagine istantanea i diversi

corpi occupano differenti posizioni: i punti dello spazio. La descrizione in termini ma-

tematici dei punti dello spazio, richiede l’uso di concetti geometrici. Anche lo spazio ci

si presenta come un continuo, ma non e unidimensionale, come il tempo: e un continuo

tridimensionale. Questo comporta l’assenza di una relazione d’ordine (non ha senso dire

che un punto dello spazio precede un’altro). Per descrivere i punti dello spazio si fissano

delle linee preferenziali, in generale delle rette (idealizzazioni di corpi rigidi), e si individua

la posizione di ogni punto dello spazio rispetto a queste rette prefissate. Un ulteriore

risultato dell’esplorazione dello spazio, e che in esso (in una prima approssimazione) vale

la geometria euclidea.

Lo spazio fisico puo cosı essere modellato come uno spazio puntuale euclideo di dimensione

3. Nel seguito, lo spazio fisico sara indicato con E3.

L’insieme a 4 dimensioni E3 ×R, costituito dai quadrivettori (x, y, z, t), dove (x, y, z)

indica in punto di E3 e t ∈ R in istante temporale, prende il nome di spazio-tempo.

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PARTE I

CALCOLO VETTORIALE

E

GEOMETRIA DELLE MASSE

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CAPITOLO 1

ALGEBRA VETTORIALE

1.1. QUANTITA SCALARI, VETTORIALI, TENSORIALI.

Nello studio della Meccanica Razionale si incontrano quantita di vario tipo: scalari, vet-

tori, tensori.

Una quantita scalare, o semplicemente uno scalare, e una quantita che e specificata

soltanto dal suo valore numerico, relativo ad una fissata unita, e non e legata ad alcuna

direzione nello spazio. Esempi di quantita scalari sono la massa di un corpo o il suo

volume, la temperatura, l’energia.

Una quantita vettoriale, o semplicemente un vettore, e specificato, oltre che dal suo

valore numerico, anche da una definita direzione (orientata) nello spazio. Esempi di

vettori sono le forze, le velocita, gli spostamenti.

Una quantita tensoriale, o semplicemente un tensore, e una quantita che per essere

individuata ha bisogno di piu vettori. Un endomorfismo tra spazi vettoriali e un esempio

di tensore.

1.2. I VETTORI LIBERI.

Siano A e B due punti qualunque dello spazio euclideo tridimensionale E3. Si chiama

segmento orientato AB (indicato anche con AB o con B − A) un segmento su cui e

fissato un verso di percorrenza. Un segmento orientato AB e dunque individuato da una

coppia ordinata (A,B) di punti dello spazio. Il primo punto prende il nome di origine del

segmento, il secondo di estremo.

Due segmenti orientati AB ed A′B′ si dicono equipollenti se hanno la stessa direzione,

la stessa lunghezza (o modulo) e lo stesso verso.

Figura 1.2.1

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Si verifica immediatamente che la relazione di equipollenza sopra definita gode delle

seguenti proprieta: e riflessiva (AB e equipollente a se stesso), simmetrica (se AB e

equipollente ad A′B′, A′B′ e equipollente ad AB) e transitiva (se AB e equipollente ad

A′B′ ed A′B′ e equipollente ad A′′B′′, allora AB e equipollente ad A′′B′′ (fig. 1.2.1a)).

La relazione di equipollenza ora definita permette di suddividere l’insieme dei segmenti

orientati dello spazio in sottinsiemi, che chiameremo classi di equipollenza: ogni classe e

costituita da tutti e soli i segmenti orientati equipollenti ad un dato segmento. Una classe

di equipollenza e quindi individuata da uno qualsiasi dei segmenti orientati che la costi-

tuiscono, ad esempio i segmenti AB, A′B′ e A′′B′′ di fig. 1.2.1a sono tutti appartenenti

alla stessa classe. Per individuare la classe si puo allora scegliere come rappresentante

uno qualunque tra essi.

Chiameremo vettore libero (o vettore geometrico o vettore fisico o semplicemente

vettore) (non nullo) una classe definita dalla relazione di equipollenza. Definiamo infine

vettore nullo la classe delle coppie ordinate (A,A).

Denoteremo con V l’insieme delle classi di equipollenza sopra definite. Un vettore sara

sempre indicato con lettere minuscole in grassetto ( x, y, z, u, v, w, ecc.), o con lettere

corsive sottosegnate (x¯,y¯,z¯,u¯,v¯,w¯

, ecc.), o con freccie (~x, ~y, ~z, ~u,~v, ~w, ecc.); uno scalare

(numero reale) con una lettera corsiva non sottosegnata (λ, µ, a, b, ecc.). Il vettore nullo

verra indicato indifferentemente con o e con 0.

Chiameremo direzione, verso e modulo di un vettore rispettivamente la direzione,

il verso e la lunghezza di un suo qualsiasi rappresentante. Al vettore nullo non puo essere

associata ne una direzione ne un verso, il suo modulo invece e zero. Un vettore libero

v, puo essere rappresentato graficamente tramite una qualunque coppia di punti (A,B)

appartenenti alla classe di equivalenza individuata dal vettore v.

Il segmento orientato AB, viene anche chiamato vettore applicato, ed indicato, oltre

che AB e B − A, anche con il simbolo (A,v). Il punto A prende il nome di punto di

applicazione del vettore v; il punto B, estremo.

Si definisce Somma o Risultante di due vettori v1 e v2 il vettore v1 + v2, che de-

noteremo anche con R, il cui rappresentante puo essere ottenuto nel seguente modo: si

applichi il vettore v1 un un punto A qualsiasi dello spazio e si ponga successivamente

l’origine del vettore v2 nell’estremo B di v1. Sia C l’estremo del vettore v2, applicato in

B. Il segmento orientato AC e un rappresentante del vettore v1 + v2. Come si verifica

immediatamente, v1 +v2 coincide con la diagonale del parallelogrammo costruito su v1 e

v2 (fig. 1.2.1b).

Si definisce Moltiplicazione o Prodotto del vettore v per lo scalare λ il vettore, che

indicheremo con λv, avente la stessa direzione di v, lunghezza uguale al prodotto della

lunghezza di v per il valore assoluto dello scalare λ e verso concorde o discorde con v a

seconda che il numero reale λ sia positivo o negativo (fig. 1.2.1c).

Utilizzando le notazioni AB e B − A, la somma e la differenza di due vettori possono

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essere eseguite con le seguenti regole formali:

AB + BC = AC (B − A) + (C −B) = C − A (1.2.1)

AC −BC = AB (C − A)− (C −B) = B − A (1.2.2)

OSSERVAZIONE 1.2.1: L’insieme delle classi di equipollenza V, dotato delle operazioni

sopra definite, gode delle seguenti proprieta:

a) x + y = y + x, ∀x,y ∈ V

b) (x + y) + z = x + (y + z), ∀x,y, z ∈ V

c) ∃o ∈ V tale che o + x = x, ∀x ∈ V

d) ∀x ∈ V, ∃ − x ∈ V tale che (−x) + (x) = o

e) 1x = x, ∀x ∈ V

f) a(bx) = (ab)x, ∀x ∈ V, ∀a, b ∈ R

g) (a + b)x = ax + bx ∀x ∈ V, ∀a, b ∈ R

h) a(x + y) = ax + ay ∀x,y ∈ V, ∀a ∈ R

Conseguentemente, l’insieme delle classi di equipollenza, dotato delle operazioni sopra

definite, costituisce uno spazio vettoriale sui reali.

OSSERVAZIONE 1.2.2: In maniera analoga a come abbiamo definito i vettori dello spazio

possiamo definire i vettori del piano e i vettori della retta, semplicemente scegliendo

i punti A e B su un piano o su una retta.

1.3 SOMMA O RISULTANTE DI PIU VETTORI

Il risultante R di tre vettori v1, v2 e v3 puo essere ottenuto applicando il vettore v1 in

un qualunque punto A, ponendo successivamente il punto di applicazione del vettore v2

sull’estremo B di v1 ed infine applicando sull’estremo C del vettore v2 il vettore v3.

Figura 1.3.1

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Il segmento orientato AD, congiungente l’origine A di v1, con l’estremo D di v3, individua

un rappresentante del vettore R. Si vede immediatamente che il vettore R e la diagonale

principale del parallelepipedo costruito sui tre vettori v1, v2 e v3 (fig. 1.3.1a).

Allo stesso modo, per sommare n vettori v1, v2, ... , vn basta costruire una poligonale

i cui elementi sono i vettori vi (i = 1, 2, ...n); il risultante R, si ottiene congiungendo

l’origine del primo vettore con l’estremo dell’ultimo. Poiche la somma di vettori soddisfa

la proprieta commutativa, il risultante R e indipendente dall’ordine utilizzato per costruire

la poligonale (fig. 1.3.1b e c). Vale la seguente regola formale, che generalizza la (1.2.1):

A1A2 + ... + An−1An = A1An (A2 − A1) + ... + (An − An−1) = An − A1 (1.3.1)

1.4. DECOMPOSIZIONE DI UN VETTORE

Ha interesse, in Meccanica Razionale, decomporre un vettore v nella somma di due o tre

vettori, verificanti determinate proprieta.

DECOMPOSIZIONE SECONDO DUE DIREZIONI NON PARALLELE: Siano r1 ed r2

due rette non parallele, che individuano le due direzioni assegnate.

Figura 1.4.1

Per comodita supporremo tali rette complanari. Sia v un vettore appartenente alla gia-

citura individuata dalle due rette r1 ed r2. Sia A il punto di intersezione delle due rette

r1 ed r2. Applichiamo in A il vettore v. Costruiamo il parallelogramma che si appoggia

sulle due rette r1 ed r2 e che ha come diagonale il vettore v, tracciando dall’estremo B

del vettore applicato (A,v) due rette s1 ed s2 rispettivamente parallele ad r1 ed r2. I

punti di intersezione C e D di queste rette con r1 ed r2 sono proprio gli estremi dei vettori

applicati AC e AD, rappresentanti dei vettori v1 e v2 cercati (fig. 1.4.1). I vettori v1

e v2 cosı ottenuti, prendono il nome di vettori componenti (o componenti vettoriali) di v

secondo le due direzioni orientate r1 ed r2.

DECOMPOSIZIONE SECONDO UNA DIREZIONE ED UNA GIACITURA: Siano r e π

una retta ed un piano non paralleli, individuanti la direzione e la giacitura assegnati. Se v

e parallelo ad r o appartiene alla giacitura di π la decomposizione si effettua banalmente.

Supponiamo dunque v non parallelo ad r ne appartenente alla giacitura del piano π.

Sia A il punto di intersezione tra la retta r ed il piano π. Applichiamo il vettore v nel

punto A. Il vettore applicato (A,v) e la retta r individuano un piano π1, non parallelo

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a π. Sia s la retta di intersezione tra i due piani π e π1. Ripetendo nel piano π1 la

decomposizione - di cui al punto precedente - del vettore v secondo le due direzioni r ed

s, si ottengono i due vettori v1 e v2 cercati (fig. 1.4.2). Tali vettori prendono il nome di

componenti vettoriali di v secondo la direzione orientata r e la giacitura π.

Figura 1.4.2

DECOMPOSIZIONE SECONDO TRE DIREZIONI NON COMPLANARI: Siano r1, r2

ed r3 tre rette non complanari, individuanti le tre direzioni assegnate. Per semplicita

supporremo tali rette uscenti tutte da uno stesso punto A. Sia v un generico vettore.

Applichiamo il vettore v nel punto A. I tre vettori v1, v2 e v3 cercati si trovano imme-

diatamente costruendo il parallelepipedo con vertice in A, che si appoggia sulle tre rette

r1, r2 ed r3 e che ha come diagonale principale il vettore v. Tale costruzione puo essere

fatta nel seguente modo: sia π1 il piano individuato dalla retta r3 e dal vettore v; sia poi

s la retta di intersezione di tale piano π1 con il piano π2, individuato dalle rette r1 ed r2.

Dopo aver decomposto il vettore v nei due vettori v3 e v′, rispettivamente paralleli ad r3

e ad s, si decomponga in vettore v′ nei due vettori v1 e v2 rispettivamente paralleli ad r1

ed r2 (fig. 1.4.3). I tre vettori v1, v2 e v3 prendono il nome di componenti vettoriali del

vettore v secondo le tre direzioni orientate r1, r2 ed r3.

Figura 1.4.3

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1.5. MATRICI.

Siano aij numeri reali; n ed m numeri naturali. Sia:

A = (aij) =

a11 a12 . . a1j . . a1n

a21 a22 . . a2j . . a2n

. . . . . . . .

. . . . . . . .ai1 ai2 . . aij . . ain

. . . . . . . .am1 am2 . . amj . . amn

(1.5.1)

una matrice con m righe ed n colonne. Come e usuale, nell’elemento generico aij di questa

matrice, il primo indice e l’indice di riga, il secondo, l’indice di colonna. Indicheremo con

M(m, n) l’insieme di tutte le matrici di tipo (m,n). Se scegliamo n = 1 otteniamo

l’insieme M(m, 1) dei vettori colonna con m componenti:

v =

a11

a21...

ai1...

am1

=

a1

a2...ai...

am

Se scegliamo m = 1 otteniamo l’insieme M(1, n) dei vettori riga ad n componenti:

v =(a11 a12 · · a1i · a1n

)=

(a1 a2 · · ai · an

)

Se scegliamo m = n otteniamo l’insieme M(n, n) delle matrici quadrate.

ESEMPI DI MATRICI:

a) Si chiama Matrice nulla la matrice O i cui elementi sono tutti nulli.

O = (aij) aij = 0 ∀i,∀jb) Si chiama Matrice unita o Matrice identica la matrice quadrata U i cui elementi in-

dicheremo con il simbolo U = (δij), dove:

δij =

1 i = j0 i 6= j

(1.5.2)

Il simbolo δij qui introdotto prende il nome di simbolo di Kronecker. Se n=3 le matrici

nulla e identica si scrivono:

O =

0 0 00 0 00 0 0

U =

1 0 00 1 00 0 1

SOMMA DI DUE MATRICI: Date le due matrici A = (aij) e B = (bij) si definisce somma

delle matrici A e B la matrice C = (cij) i cui elementi si ottengono sommando i rispettivi

elementi delle due matrici A e B:

C = A + B (cij) = (aij + bij) ∀i,∀j (1.5.3)

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PRODOTTO DI UNA MATRICE PER UN NUMERO REALE: Dati la matrice A = (aij)

ed il numero reale λ, si definisce prodotto della matrice A per lo scalare λ, la matrice

C = (cij) i cui elementi si ottengono moltiplicando i corrispondenti elementi della matrice

A per lo scalare λ:

C = λA (cij) = (λaij) ∀i,∀j (1.5.4)

MATRICI SIMMETRICHE ED ANTISIMMETRICHE: Prende il nome di Matrice sim-

metrica una matrice quadrata i cui elementi verificano la relazione: aij = aji ∀i, ∀j.Si chiama Matrice antisimmetrica (o emisimmetrica) una matrice quadrata i cui ele-

menti verificano la relazione aij = −aji(∀i, ∀j).TRASPOSTA DI UNA MATRICE: Si chiama Matrice trasposta di una matrice quadrata

A = (aij), la matrice quadrata AT ottenuta dalla matrice A scambiando le righe con le

colonne:

AT = (aTij) = (aji)

Si verifica immediatamente che la trasposta della trasposta di una matrice A coincide con

la matrice di partenza:(AT

)T= A.

Osserviamo infine che se A e una matrice simmetrica risulta AT = A, mentre se A e

una matrice antisimmetrica risulta AT = −A.

MATRICI DIAGONALI: Esempi particolari di matrici simmetriche sono le Matrici diag-

onali. Si chiama Matrice Diagonale una matrice quadrata D i cui elementi soddisfano la

condizione: aij = 0 i 6= j.

Nel caso particolare di n=3 una matrice diagonale si scrive:

D =

d1 0 00 d2 00 0 d3

DECOMPOSIZIONE DI UNA MATRICE: Si verifica immediatamente che sommando ad

una matrice A la sua trasposta si ottiene una matrice simmetrica:

aij + aTij = aij + aji = aji + aT

ji

mentre sottraendo ad una matrice A la sua trasposta si ottiene una matrice antisimmet-

rica:

aij − aTij = aij − aji = −(aji − aT

ji)

Osservato poi che risulta

A =1

2(A + AT ) +

1

2(A− AT )

concludiamo che una qualunque matrice A si puo sempre decomporre nella somma di

due matrici, una simmetrica ed una antisimmetrica. La matrice (A + AT )/2 prende il

nome di parte simmetrica della matrice A, la matrice (A−AT )/2 prende il nome di parte

antisimmetrica della matrice A.

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PRODOTTO DI DUE MATRICI: Date le due matrici A = (aij) e B = (bij), tali che il

numero di colonne di A coincida con il numero di righe di B, si definisce prodotto righe

per colonne delle due matrici la matrice C = (cij), tale che:

C = AB (cij) =

(n∑

k=1

aikbkj

)∀i,∀j (1.5.5)

DETERMINANTE DI UNA MATRICE QUADRATA: Prende il nome di determinante

di una matrice quadrata il numero reale:

detA =∑

p∈P

(−1)σ(p)a1j1a2j2 ...ahjh...anjn (1.5.6)

dove la sommatoria e estesa all’insieme P costituito dalle n! permutazioni degli indici di

colonna jh e dove σ(p) e +1 o -1 a seconda che la permutazione p = (j1, j2, ...jn) sia pari

o dispari rispetto a quella fondamentale.

MATRICI SINGOLARI E MATRICI NON SINGOLARI: Una matrice quadrata A si

dice non singolare o singolare a seconda che il suo determinante risulti o no diverso da

zero. Vale la seguente proprieta: Il determinante del prodotto di due matrici quadrate non

singolari A e B e uguale al prodotto dei determinanti:

det(AB) = det A det B

INVERSA DI UNA MATRICE: Data la matrice quadrata non singolare A = (aij), si

definisce inversa di A la matrice A−1 che verifica le seguenti condizioni:

A−1A = AA−1 = I (1.5.7)

Posto A−1 = (bij), ed indicato con αij l’aggiunto dell’elemento aij di A, si verifica che:

bij =αji

detA

MATRICE ORTOGONALE: una matrice quadrata A = (aij) si dice ortogonale se:

A−1 = AT (1.5.8)

Le matrici ortogonali godono delle seguenti proprieta:

n∑

s=1

ahsaks = δhk

n∑

s=1

ashask = δhk (1.5.9)

Dimostrazione: per dimostrare la (1.5.9)1 moltiplichiamo a sinistra la (1.5.8) per la matrice

A ottenendo AAT = U , cioe:n∑

s=1

arsaTsl = δrl (1.5.10)

Quest’ultima relazione, poiche risulta aThk = akh, e proprio la (1.5.9)1. La (1.5.9)2 si

verifica analogamente moltiplicando a destra la (1.5.8) per la matrice A.

13

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Una matrice ortogonale e ovviamente non singolare e risulta:

det A = det AT = det A−1 = ±1 (1.5.11)

CONVENZIONE DELLA SOMMATORIA TACITA. Talvolta, in Fisica Matematica, allo scopo di semplificare lenotazioni, si utilizza la seguente convenzione, nota come convenzione di Einstein o della sommatoria tacita: ognivolta che in un monomio compare due volte lo stesso indice, si deve sottintendere il segno di sommatoria rispettoa quell’indice. Quando in una formula viene utilizzata la convenzione di Einstein, ogni indice deve comparirein essa non piu di due volte. In una data espressione, un indice che compare una sola volta prende il nome diindice libero, un indice che compare due volte prende il nome di indice ripetuto o indice saturato. Supponiamo adesempio di scrivere una formula che contenga vettori e matrici con tre componenti: sia cioe n=3. In tal caso, adogni indice libero corrispondono 3 formule, una per ogni valore dell’indice. Se in una espressione compare inveceun indice ripetuto, tale indice si deve sottintendere sommato da 1 a 3.ESEMPI: le formule (1.5.3)2, (1.5.5)2 (1.5.9) e (1.5.10) con la convenzione di Einstein si scivono, piu semplicemente:

cij = aij + bij , cij = aikbkj , ahsaks = δhk, arsaTsl = δrl. (1.5.12)

Si noti che in ciascuna delle formule sopra scritte compaiono due indici liberi, conseguentemente ciascuna di taliformule e una forma compatta per scrivere 32 espressioni. Ad esempio, la (1.5.12)2 equivale alle 9 uguaglianze:

c11 = a11b11 + a12b21 + a13b31 c12 = a11b12 + a12b22 + a13b32

c21 = a21b11 + a22b21 + a23b31 c22 = a21b12 + a22b22 + a23b32

c31 = a31b11 + a32b21 + a33b31 c32 = a31b12 + a32b32 + a33b32

c13 = a11b13 + a12b23 + a13b33

c23 = a21b13 + a22b23 + a23b33

c33 = a31b13 + a32b23 + a33b33

1.6 DIMENSIONE E BASI NELL’INSIEME DEI VETTORI LIBERI

Richiamiamo le seguenti definizioni: n vettori v1,v2, ...,vn si dicono linearmente dipen-

denti se esiste una loro combinazione lineare a coefficienti non tutti nulli, che risulti uguale

al vettore nullo. n vettori che non sono linearmente dipendenti si dicono linearmente in-

dipendenti. Cio equivale a dire che l’essere

λ1v1 + λ2v2 + λ3v3 + ... + λnvn = o

implica λ1 = λ2 = λ3 = ... = λn = 0.

Uno spazio vettoriale V si dice di dimensione infinita se, comunque preso il numero

intero n, esistono in V n vettori linearmente indipendenti. Uno spazio vettoriale V si dice

di dimensione n se esistono in V n vettori linearmente indipendenti, ma comunque presi

n+1 vettori essi sono linearmente dipendenti. Nel seguito ci occuperemo soltanto di spazi

vettoriali di dimensione finita n. Quando vorremo indicare esplicitamente la dimensione

dello spazio scriveremo Vn.

Si chiama base di uno spazio vettoriale Vn una qualunque n-pla di vettori linearmente

indipendenti. Nel seguito i vettori che compongono una base saranno indicati con il

simbolo ei, e l’insieme degli n vettori con e1, e2, ..., en, con ei(i=1,...,n) o semplicemente

con ei.Si dimostra che, in uno spazio vettoriale Vn di dimensione n, comunque preso un

vettore v ed una base ei, sono determinati in maniera univoca n numeri reali vi, tali

che:

v = v1e1 + v2e2 + ... + vnen (1.6.1)

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Gli n numeri reali vi, cosı determinati, prendono il nome di componenti (piu precisamente

componenti controvarianti) del vettore v nella base ei.Vettori paralleli. Due vettori x e y, non nulli, si dicono paralleli (o collineari) se hanno

la stessa direzione. Si verifica facilmente che y e parallelo a x e scriveremo y||x, se e

solo se se esiste uno scalare m 6= 0 tale che y = mx. Due vettori paralleli sono dunque

linearmente dipendenti. Se m > 0, diremo che y e parallelo e concorde con x; se m < 0,

diremo che y e parallelo e discorde con x.

Vettori complanari. Tre vettori x, y e z non nulli si dicono complanari se hanno

direzioni parallele ad uno stesso piano. Si verifica facilmente che tre vettori complanari

sono linearmente dipendenti (cioe uno di essi si puo esprimere come combinazione lineare

degli altri due).

Basi nell’insieme dei vettori liberi. Abbiamo visto nel par. 1.1.4 che ogni vettore

libero dello spazio fisico puo essere espresso come somma di tre vettori non complanari.

Mostriamo adesso che tre qualsiasi vettori non complanari e1, e2, e3 costituiscono una

base.

Sia dunque v un qualunque vettore e siano r1, r2, r3 tre rette, passanti per un generico

punto A, parallele a e1, e2, e3. Effettuando la decomposizione di cui al punto precedente,

possiamo determinare tre vettori v1, v2 e v3, rispettivamente paralleli a e1, e2 e e3, tali

che:

v = v1 + v2 + v3

Essendo v1, v2, e v3 rispettivamente paralleli a e1, e2 ed e3 esisteranno tre scalari λ1, λ2

e λ3 tali che:

v1 = λ1e1, v2 = λ2e2 v3 = λ3v3

possiamo cosı scrivere:

v = λ1e1 + λ2e2 + λ3v3 (1.6.2)

I tre scalari λ1, λ2, λ3 sono proprio le componenti del vettore v nella base ei. Abbiamo

cosı mostrato che i vettori liberi dello spazio fisico costituiscono uno spazio vettoriale di

dimensione tre.

Allo stesso modo si mostra che l’insieme dei vettori del piano e uno spazio vettoriale di

dimensione 2 e che l’insieme dei vettori della retta e uno spazio vettoriale di dimensione

1.

LEGGE DEL CAMBIAMENTO DI BASE.Siano e1, e2, e3 ed u1,u2,u3 due basi dello spazio vettoriale V3. Convenzionalmente chiameremo vecchia labase ej nuova la base ui. Sia poi Aij la componente i-esima del vettore ej nella nuova base ui; sia cioe:

e1 = A11u1 + A21u2 + A31u3

e2 = A12u1 + A22u2 + A32u3

e3 = A13u1 + A23u2 + A33u3

(1.6.3)

La matrice A = (Aij):

A = (Aij) =

(A11 A12 A13

A21 A22 A23

A31 A32 A33

)(1.6.4)

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in cui il primo indice, l’indice di riga i, e relativo alla vecchia base mentre il secondo indice, l’indice di colonna j,e relativo alla nuova, consente di passare dai vettori della vecchia base ai vettori della nuova e prende il nome diMatrice del cambiamento di base.

Si verifica facilmente che risulta det A 6= 0. Conseguentemente, il sistema di equazioni (1.6.3) e invertibile.Indichiamo con A−1 la matrice inversa della matrice A; come e noto essa e definita dalla relazione:

A−1A = AA−1 = I

La legge che consente di passare dai vettori della vecchia base a quelli della nuova si ottiene invertendo le equazioni(1.6.3); denotando con Aij le componenti della matrice inversa della matrice A, e:

u1 = A11e1 + A21e2 + A31e3

u2 = A12e1 + A22e2 + A32e3

u3 = A13e1 + A23e2 + A33e3

(1.6.5)

Un vettore, essendo un ente intrinseco, non varia al variare della base; variano invece le sue componenti.Indichiamo con vi le componenti del vettore v nella vecchia base e con v′j quelle nella nuova base. Poniamo cioe:

v =

3∑i=1

vjej =

3∑i=1

v′iui

Le componenti (vj) del vettore v nella vecchia base, risultano ovviamente legate alle componenti (v′i) di v nellanuova base. Si ottiene infatti, dopo qualche calcolo:

v′1 = A11v1 + A21v2 + A31v3

v′2 = A12v1 + A22v2 + A32v3

v′3 = A13v1 + A23v2 + A33v3

(1.6.6)

cioe: (v′1v′2v′3

)=

(A11 A12 A13

A21 A22 A23

A31 A32 A33

)(v1

v2

v3

)(1.6.7)

Abbiamo cosı ottenuto la legge che consente di passare dalle vecchie componenti di un vettore v alle nuove.Viceversa, nella legge che consente di passare dalle nuove componenti alle vecchie compare la matrice inversadella matrice A. Si ottiene infatti:

(v1

v2

v3

)=

(A11 A12 A13

A21 A22 A23

A31 A32 A33

)(v′1v′2v′3

)(1.6.8)

Osserviamo infine che il passaggio dalla vecchia base ei alla nuova base uj (equazione (1.6.5)) e retto dallamatrice A = (Aij), mentre il passaggio dalle componenti di v nella base ei a quelle nella base uj , come abbiamoosservato, e retto dalla sua inversa A−1 = (Aji).

ESERCIZIO 1.6.1: Sia V3 uno spazio vettoriale di dimensione 3. Sia ei una sua base.(a) Verificare che i vettori

u1 = e1 − 2e3 u2 = e1 + e2 − e3 u3 = e1 − e2 + e3

costituiscono un’altra base.(b) Scrivere la matrice A del cambiamento di base e la sua inversa A−1.

(c) Sia v un vettore di V3. Siano (1, 2, 4) le sue componenti nella base ei. Determinare le componenti di v

nella base ui.

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1.7. PRODOTTO SCALARE TRA DUE VETTORI LIBERI

In V3 si definisce la seguente operazione, detta Prodotto Scalare. Tale operazione associa

ad ogni coppia di vettori u e v il numero reale, che indicheremo u · v, ottenuto moltipli-

cando la lunghezza dei due vettori per il coseno dell’angolo α che essi formano. Indicando

con u il modulo (la lunghezza) del vettore u e con v il modulo del vettore v, si ha:

u · v = u v cosα (1.7.1)

In particolare se u · v = ±u v, i due vettori u e v sono paralleli (concordi o discordi a

seconda che valga il segno + o il segno -).

Uno spazio vettoriale dotato di un prodotto scalare prende il nome nome di spazio

vettoriale euclideo e verra nel seguito indicato con il simbolo E. Ad esempio, lo spazio

euclideo tridimensionale sara indicato con E3.

PROPRIETA DEL PRODOTTO SCALARE:

Il prodotto scalare gode delle seguenti proprieta: ∀x,y, z ∈ E3, e ∀λ ∈ R

a) x · y = y · xb) λ(x · y) = (λx) · y = x · (λy)

c) x · (y + z) = x · y + x · zd) x · x ≥ 0 e x · x = 0 =⇒ x = o

VETTORI ORTOGONALI: due vettori v1 e v2 si dicono ortogonali se il loro prodotto

scalare si annulla: v1 · v2 = 0. In tal caso scriveremo v1 ⊥ v2.

MODULO DI UN VETTORE: Il modulo del vettore v puo essere espresso utilizzando

l’operazione di prodotto scalare, si ha infatti:

v = |v| = √v · v ≥ 0

VERSORI: Prende il nome di versore un qualunque vettore di modulo unitario. Ha

interesse considerare il versore di un vettore v o il versore di una retta r. Il versore del

vettore v nel seguito verra denotato con il simbolo vers v o con v; esso e espresso da:

v = vers v =v

v. (1.7.2)

COMPONENTE ORTOGONALE DI UN VETTORE RISPETTO AD UN ALTRO VET-

TORE. Siano u e v due vettori. Prende il nome di componente ortogonale del vettore v

rispetto al vettore u il prodotto scalare del vettore v per il versore del vettore u:

vu = v · u. (1.7.3)

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Utilizzando questa definizione, il prodotto scalare tra due vettori risulta espresso da:

v · u = u vu = v uv

COMPONENTE SCALARE DI UN VETTORE SECONDO UNA DIREZIONE ORIEN-

TATA. Sia r una retta orientata ed ur un suo versore. Prende il nome di componente

scalare (o proiezione ortogonale o componente covariante) del vettore v secondo la retta

r il prodotto scalare (fig 1.7.1):

vr = v · ur. (1.7.4)

Figura 1.7.1

PROPRIETA DELLE COMPONENTI SCALARI DI UN VETTORE SECONDO UNA

DIREZIONE. Sia r una retta orientata e ur il suo versore. Dati n vettori v1,v2, ...,vn,

sia R = v1 + v2 + ... + vn. Per la linearita del prodotto scalare risulta:

R · ur = v1 · ur + v2 · ur + ... + vn · ur

Figura 1.7.2

Possiamo dunque affermare che la componente scalare del risultante di n vettori secon-

do la direzione della retta orientata r e uguale alla somma delle componenti dei singoli

vettori secondo la direzione orientata r (vedi fig. 1.7.2):

Rr = v1r + v2r + ... + vnr (1.7.5)

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ESERCIZIO 1.7.1: Determinare le componenti del vettore OP di fig. 1.7.3 secondo le

direzioni dell’asse x e dell’asse y in funzione delle quantita xA e ξP .

Figura 1.7.3

Detta h la lunghezza del lato AB del triangolo ed α l’angolo che BC forma con BA, si ha OP = OA+AB +BP ,

e quindi: xP = xA + ξP sin α; yP = h− ξP cos α.

BASI ORTONORMALI: Come abbiamo detto, nello spazio V3 una base e costituita da

tre generici vettori non complanari. Una base di vettori mutuamente ortogonali e di

modulo unitario, prende il nome di base ortonormale. Sia c1, c2, c3 una generica base

ortonormale di E3. Si verifica immediatamente che tali vettori soddisfano le relazioni:

c1 · c1 = 1 c2 · c2 = 1 c3 · c3 = 1

c1 · c2 = 0 c1 · c3 = 0 c2 · c3 = 0

Utilizzando il simbolo di Kronecker δij, introdotto nella (1.5.2), tali relazioni possono

scriversi in forma compatta:

ci · cj = δij ∀i, j (1.7.6)

ANGOLO TRA DUE VETTORI. COSENI DIRETTORI DI UN VETTORE E DI UNA

RETTA. Il coseno dell’angolo formato dai due vettori u e v e dato da:

cos uv = u · v =u · vu v

. (1.7.7)

Ad esempio, i coseni degli angoli che il vettore v forma con i versori di una base ortonor-

male sono:

cos c1v =v1

v, cos c2v =

v2

v, cos c3v =

v3

v, (1.7.8)

conseguentemente le componenti di un vettore in una base ortonormale non sono altro

che le proiezioni ortogonali del vettore sui versori della base.

In particolare, le componenti di un versore sono i coseni degli angoli che il versore

forma con gli assi coordinati:

v = (cos c1v, cos c2v, cos c3v) . (1.7.9)

Chiameremo versore della retta orientata r, e lo indicheremo con vers r, il vettore di

modulo unitario avente la direzione ed il verso della retta r. Cosı le componenti, in una

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base ortonormale, del versore ur di una data retta r, sono proprio i coseni direttori della

retta, cioe i coseni degli angoli che la retta r forma con gli assi coordinati:

vers r = ur = (cos c1r, cos c2r, cos c3r) . (1.7.10)

COMPONENTI DI UN VETTORE DI V3 IN UNA BASE ORTONORMALE: Sia v

un vettore di V3 e ci una base ortonormale. Le componenti di v nella base ci si

identificano con le proiezioni ortogonali di v sui tre versori della base:

v1 = v · c1, v2 = v · c2, v3 = v · c3 (1.7.11)

Pertanto, in una base ortonormale, per un generico vettore v vale la seguente scompo-

sizione:

v = v1c1 + v2c2 + v3c3 = (v · c1)c1 + (v · c2)c2 + (v · c3)c3 (1.7.12)

ESPRESSIONE DEL PRODOTTO SCALARE DI DUE VETTORI MEDIANTE LE

LORO COMPONENTI IN UNA BASE ORTONORMALE: Sia ci una base ortonor-

male in E3. Dati i due vettori v e w, siano

v =

v1

v2

v3

w =

w1

w2

w3

(1.7.13)

le loro componenti nella base ci. Risulta:

v ·w = (3∑

i=1

vici) ·3∑

j=1

(wjcj)

Ricordando la (1.7.6) si deduce subito:

v ·w = v1w1 + v2w2 + v3w3 (1.7.15)

Osserviamo infine che il prodotto scalare dei due vettori si puo calcolare effettuando il

prodotto righe per colonne del vettore riga (v1 v2 v3), trasposto del vettore (1.7.13)1, per

il vettore colonna (1.7.13)2:

v ·w =(v1 v2 v3

w1

w2

w3

(1.7.15)

ESERCIZIO 1.7.2 Sia ci una base ortonormale nell’insieme dei vettori fisici V3.

a) Determinare il modulo ed il versore del vettore v le cui componenti nella base cisono (1,2,-3).

b) Dato il vettore v=(1,1,1) determinare la componente (scalare) del vettore v, secondo

la bisettrice dell’angolo formato dai versori c1 e c2.

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c) Sia v1 = 1 la prima componente di un vettore v; siano α = 1√2

e β = 1√2

i coseni degli

angoli che il vettore v forma con i versori c1 e c2. Determinare il modulo di v e le

componenti v2 e v3.

RELAZIONE TRA COMPONENTI E PROIEZIONI ORTOGONALI DI UN VETTORE

IN UNA BASE OBLIQUA: Come abbiamo visto, in una base ortonormale, le componenti

del vettore v si identificano con le proiezioni ortogonali di questo vettore sui versori della

base. Questa proprieta ovviamente non e piu vera in una base non ortonormale.

A titolo di esempio, determiniamo la relazione tra componenti e proiezioni ortogonali

di uno stesso vettore x ∈ V2 in una base di vettori non ortonormale.

Figura 1.7.4

Sia e1, e2 una base obliqua di V2. Per semplificare sopporremo i due vettori e1 ed

e2 di modulo unitario. Sia cioe e1 · e1 = 1, e2 · e2 = 1 e e1 · e2 = cos θ, essendo θ l’angolo

formato dai due versori e1 e e2 (vedi fig. 1.7.4).

Denotiamo con x1 e x2 le componenti del vettore x di V2, e con x1 e x2 le proiezioni

ortogonali di x sui due versori della base. Si ha:

x1 = x · e1 = (x1e1 + x2e2) · e1 = x1e1 · e1 + x2e2 · e1 = x1 + cos θ x2

x2 = x · e2 = (x1e1 + x2e2) · e2 = x1e1 · e2 + x2e2 · e2 = cos θ x1 + x2

Le componenti e le proiezioni ortogonali del vettore x sono indicate in fig. 1.7.4.

Come si vede in una base obliqua esse non coincidono. Le componenti di x sono infatti

i due lati del parallelogramma (di lati rispettivamente paralleli ai due versori della base)

di cui x e la diagonale, che differiscono dalle proiezioni ortogonali del vettore x sulle rette

di versori e1 ed e2.

Allo stesso modo si verifica che le componenti di un vettore v di V3, in una base

obliqua di versori, sono i tre lati del parallelepipedo (di lati rispettivamente paralleli ai

versori della base) di cui v e la diagonale, e differiscono dalle proiezioni ortogonali di v

sui versori della base obliqua.

Notiamo infine che in una base obliqua un vettore puo essere individuato sia dalle sue

componenti che dalle sue proiezioni ortogonali sui versori della base. Per questo motivo, le

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proiezioni ortogonali vengono talvolta chiamate anch’esse componenti del vettore x. Per

distinguere i due tipi di componenti in una base obliqua, le prime si chiamano componenti

oblique (o controvarianti), le seconde componenti ortogonali (o covarianti). L’utilizzo

dei termini componenti controvarianti e componenti covarianti fa riferimento alla legge

di variazione di queste quantita al variare della base. Infatti, come abbiamo visto nel

paragrafo 1.6, le componenti oblique si trasformano al variare della base con la legge

(1.6.8) in cui compare la matrice inversa della matrice del cambiamento di base A; si puo

verificare invece che le proiezioni ortogonali al variare della base si trasformano con una

legge in cui compare la matrice A.

CARATTERE VETTORIALE O TENSORIALE DI UN ENTE MATEMATICO. Spesso,

nella pratica, un vettore viene fissato assegnando una terna di numeri, cioe assegnando

le sue componenti in una data base. Tuttavia, come abbiamo detto, un vettore e un

ente intrinseco, cioe indipendente dalla particolare base scelta per rappresentarlo. Con-

seguentemente, per assegnare un vettore non e lecito assegnare semplicemente una n-pla

di numeri, ma bisogna anche assegnare la legge con cui questi numeri si trasformano al

variare della base. Cio vale in generale anche per enti matematici piu complessi (a due o

piu indici).

1.8. SPAZI ORIENTATI. BASI CONCORDI E DISCORDI. SCALARI, VETTORI E TENSORIDISPARI. Indichiamo con B l’insieme di tutte le basi di uno spazio vettoriale Vn di dimensione n.

Due basi ei e ui si dicono concordi o discordi a seconda che il determinante della matrice A che consentedi passare dall’una all’altra sia positivo o negativo. Si ottiene in tal modo una relazione tra basi, che risultaessere una relazione di equivalenza. Una base e infatti banalmente concorde con se stessa. Poi se risulta positivoil determinante della matrice che consente di passare dalla base ei alla base ui, risulta ovviamente anchepositivo il determinante della matrice inversa, che consente di passare dalla base ui alla ei; infine siano ei,ui e ci tre basi, e sia ei concorde con ui ed ui concorde con ci; si verifica facilmente che ei risultaconcorde con ci. La relazione teste definita induce nello spazio vettoriale Vn un orientamento. Tale relazioneinfatti induce nell’insieme di tutte le basi B una suddivisione in classi di equivalenza. Conveniamo di chiamarepositive le basi appartenenti ad una qualsiasi delle due classi definite dalle relazione di equivalenza, negative lealtre. Indichiamo con B+ e B− tali classi. Lo spazio vettoriale Vn, dotato delle sole basi B+, si dice orientatopositivamente, e verra nel seguito da noi denotato con V+

n . Lo spazio vettoriale Vn, dotato delle sole basi B−, sidice orientato negativamente e verra denotato con V−

n .Si chiamano pseudoscalari o scalari dispari gli scalari, dipendenti da elementi di Vn, che cambiano segno

quando Vn cambia orientamento.Si chiamano pseudovettori o vettori dispari gli enti geometrici ad un indice che cambiano segno quando Vn

cambia orientamento.Si chiamano pseudotensori o tensori dispari gli enti geometrici a due o piu indici che cambiano segno quando

Vn cambia orientamento.

Riassumendo, gli scalari, i vettori e i tensori dispari sono degli enti matematici che hanno carattere vettoriale

(tensoriale) separatamente in V+n e in V−

n , ma si mutano nell’opposto quando Vn cambia orientamento.

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1.9. SPAZI DI PUNTI

Nei numeri precedenti, partendo dal concetto intuitivo di spazio fisico, abbiamo costruito

lo spazio vettoriale dei vettori geometrici liberi, associando ad ogni coppia di punti (A,B)

di tale spazio un segmento orientato, e poi definendo nell’insieme dei segmenti orientati la

relazione di equipollenza. Viceversa, partendo dal concetto geometrico astratto di spazio

vettoriale si puo associare ad esso un insieme di punti, e trasportare su tale insieme la

struttura di spazio vettoriale e di spazio euclideo.

Sia V uno spazio vettoriale reale. Sia E un qualsiasi insieme i cui elementi saranno

chiamati punti ed indicati con le lettere dell’alfabeto latino A,B,C.....

L’insieme E si dice uno spazio puntuale affine associato a V, se esiste una applicazione

τ : E×E −→ V che ad ogni coppia ordinata di punti (A,B) di E associa un ben determinato

vettore v di V (v = τ(A,B)) che soddisfa i seguenti assiomi:

a) Fissato ad arbitrio un punto O di E , ad ogni vettore v di V, e associato in maniera

unica un altro punto P di E , tale che τ(O,P)= v.

b) Se alla coppia ordinata (A,B) l’applicazione τ associa il vettore v1 ed alla coppia

ordinata (B,C) il vettore v2, allora alla coppia (A,C) deve corrispondere il vettore

v1 + v2:

Osserviamo che, fissato ad arbitrio un vettore v ∈ V, in base all’assioma a) esistono

infinite coppie ordinate (A,B) tali che τ(A,B)=v. Prefissando un punto O, ne scegliamo

una. Conseguentemente, la proprieta a) stabilisce che i punti di uno spazio affine possono

essere messi in corrispondenza biunivoca con gli elementi di uno spazio vettoriale, una

volta prefissato un punto O dello spazio affine.

In uno spazio affine E la coppia ordinata (O,P) ∈ V×V prende il nome di vettore appli-

cato nel punto O e si indica con uno qualunque dei seguenti simboli: (O,P)=(O,v)=(v,O)=

P-O.

Si verificano facilmente le seguenti ulteriori proprieta di uno spazio affine:

c) L’applicazione τ fa corrispondere alla coppia ordinata (A,A) il vettore nullo.

d) Se alla coppia ordinata (A,B) corrisponde il vettore v, alla coppia ordinata (B,A)

corrisponde il vettore -v.

RIFERIMENTI IN UNO SPAZIO AFFINE. I concetti di dimensione e di base per uno

spazio vettoriale conducono in maniera immediata ai concetti di riferimento in uno spazio

puntuale affine e di coordinate (cartesiane) di un punto P di uno spazio affine.

Prende il nome di dimensione di uno spazio puntuale affine En, la dimensione dello

spazio vettoriale Vn cui e associato lo spazio affine.

In uno spazio puntuale affine En, prende il nome di retta, passante per il punto O ed

individuata dal vettore u, il luogo di punti P tali che P-O = λu, dove λ e un qualunque

numero reale.

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Dati due punti A e B la retta passante per tali punti e ovviamente l’insieme dei punti

P tali che P-A= λ AB.

L’insieme O,ei di un punto O ∈ En e di una base ei dello spazio Vn, prende il

nome di riferimento di En di origine O. Le rette passanti per O, individuate dai vettori ei,

(i = 1, 2, ...n), si chiamano assi del riferimento. Le componenti xi del vettore OP=P-O

nella base ei, si chiamano coordinate cartesiane o coordinate rettilinee del punto P nel

riferimento di origine O ed assi xi.

RIFERIMENTI ORTONORMALI. In uno spazio puntuale euclideo, prende il nome di

riferimento ortonormale l’insieme O,ci di un punto O ∈ En e di una base ci di vettori

ortogonali e di modulo unitario.

RIFERIMENTI NEL PIANO.

Indichiamo con E2 l’insieme dei punti del piano. Come abbiamo visto nel numero prece-

dente, prefissato un punto O∈ E2, i punti del piano possono essere messi in corrispondenza

biunivoca con i vettori di V2. Sia c1, c2 una base ortonormale dello spazio vettoriale

bidimensionale V2. Come si verifica immediatamente, i vettori di tale base, individuano

nel piano, due rette mutuamente ortogonali, passanti per O. Denoteremo con x1, x2 tali

rette. L’insieme O, c1, c2 (o indifferentemente l’insieme O, x1, x2) prende il nome di

riferimento cartesiano ortogonale di origine O assi x1, x2 e versori c1 e c2, o semplicemente

di riferimento ortonormale nel piano.

Figura 1.9.1

Siano (x1, x2)T , le componenti di un generico vettore x nella base c1, c2. Poiche,

prefissato un punto O, i punti del piano possono essere messi in corrispondenza biunivoca

con i vettori di V2, il vettore x individua nel piano un punto P (l’estremo del vettore OP).

I due numeri (x1, x2) individuano univocamente il punto P, nel riferimento O, x1, x2 e

prendono il nome di coordinate cartesiane ortogonali del punto P dello spazio E2, nel

riferimento dato.

ORIENTAMENTO DEL PIANO.

Agli spazi puntuali si trasporta un maniera naturale il concetto di orientamento introdotto

per gli spazi vettoriali (par. 1.8).

Nel piano prende il nome di riferimento positivo un riferimento O, x1, x2 in cui x1

ruota in senso antiorario per sovrapporsi a x2 (fig. 1.9.1a). Ovviamente, un riferimento

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negativo nel piano e un riferimento in cui x1 ruota in senso orario per sovrapporsi a x2

(fig. 1.9.1b).

RIFERIMENTI NELLO SPAZIO.

Indichiamo con E3 l’insieme dei punti dello spazio fisico. Prefissato un punto O∈ E3, i punti

dello spazio fisico possono essere messi in corrispondenza biunivoca con i vettori di V3.

Sia c1, c2, c3 una base dello spazio vettoriale V3. Come si verifica immediatamente,

i vettori di tale base, individuano nello spazio fisico, tre rette mutuamente ortogonali,

passanti per O. Denoteremo con x1, x2, x3 tali rette.

L’insieme O, c1, c2, c3 (o indifferentemente l’insieme O, x1, x2, x3) prende il nome

di riferimento ortonormale nello spazio fisico o di terna trirettangola di origine O assi

x1, x2, x3 e versori c1, c2 e c3.

Siano (x1, x2, x3)T , le componenti di un generico vettore x nella base ci. Poiche,

prefissato un punto O, i punti dello spazio fisico possono essere messi in corrispondenza

biunivoca con i vettori di V3, il vettore x individua nello spazio fisico un punto P (l’estremo

del vettore OP). I tre numeri (x1, x2, x3) individuano univocamente il punto P, nel riferi-

mento O, x1, x2, x3 e prendono il nome di coordinate cartesiane ortogonali del punto P

dello spazio E3, nel riferimento dato.

Figura 1.9.2

ORIENTAMENTO DELLO SPAZIO.

Nello spazio prende il nome di riferimento ortonormale positivo o anche terna trirettangola

levogira quel riferimento in cui un osservatore disposto come c3 (come x3) e guardante c1

(x1) abbia c2 (x2) alla sua sinistra (fig. 1.9.2).

Si chiama riferimento ortonormale negativo o anche terna trirettangola destrogira quel

riferimento in cui un osservatore disposto come c3 (come x3) e guardante c1 (x1) abbia

c2 (x2) alla sua destra.

Una terna obliqua di vettori ei (linearmente indipendenti) si dice positiva o negativa

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a seconda che risulti positivo il determinante della matrice che consente di passare dalla

base ei alla base ci.

1.10. ISOMETRIE

In Meccanica, particolarmente nello studio dei moti rigidi e nei moti relativi, hanno particolare importanza lebijezioni tra spazi vettoriali e tra spazi affini che conservano le lunghezze e gli angoli.

Siano En ed Fn due spazi euclidei di uguale dimensione. Una bijezione f di En in Fn si dice isometrica, seconserva il prodotto scalare. In altre parole, diremo che i due spazi vettoriali euclidei En ed Fn sono isometrici, se,presi ad arbitrio due vettori x1 e x2 di En, detti y1 ed y2 i corrispondenti elementi di Fn (y1 = f(x1) y2 = f(x2)),risulta

x1 · x2 = y1 · y2 (1.9.1)

Ovviamente una isometria f , conservando il prodotto scalare tra due vettori, conserva anche l’angolo che essiformano e le loro lunghezze.

Una bijezione f tra due spazi puntuali euclidei En e Fn si dice isometrica se, detti A1, A2, A3, A4 quattro puntiarbitrari di En e B1, B2, B3, B4 i loro corrispondenti in Fn secondo l’applicazione f , risulta:

A1A2 ·A3A4 = B1B2 · B3B4 (1.9.2)

Una isometria tra due spazi puntuali euclidei e pertanto una bijezione che conserva le distanze tra i punti e gli

angoli tra le rette.

1.11. PRODOTTO VETTORIALE

Sia V+3 uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, dotato delle sole basi levogire (cioe

uno spazio orientato positivamente). Siano u e v due vettori di V+3 .

Prende il nome di prodotto vettoriale o esterno di u e v un vettore, che indicheremo

con u ∧ v, la cui direzione e ortogonale alla giacitura individuata da u e v, il cui modulo

e uguale all’area del parallelogramma costruito su u e v ed il cui verso e tale che la terna

u, v, u ∧ v sia levogira (fig 1.11.1).

Figura 1.11.1

Indicato con α il minore tra gli angoli che formano i due vettori u e v, risulta:

|u ∧ v| = uv sin α (1.11.1)

PROPRIETA DEL PRODOTTO VETTORIALE: si verificano facilmente le seguenti pro-

prieta:

a) il prodotto vettoriale di due vettori u e v si annulla se uno dei due vettori e nullo

oppure se i due vettori sono paralleli.

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b) il prodotto vettoriale e anticommutativo, risulta infatti:

u ∧ v = −v ∧ u (1.11.2)

c) il prodotto vettoriale di due vettori e bilineare; si ha infatti:

(λu) ∧ v = u ∧ (λv) = λ(u ∧ v)u ∧ (v1 + v2) = u ∧ v1 + u ∧ v2

(u1 + u2) ∧ v = u1 ∧ v + u2 ∧ v(1.11.3)

Le proprieta a) e b) sono di verifica immediata. La proprieta c) verra dimostrata alla fine

del prossimo paragrafo.

Osserviamo infine che, indicati con c1, c2, c3 i versori di un un riferimento trirettangolo

levogiro, risulta:c1 ∧ c2 = c3 c2 ∧ c3 = c1 c3 ∧ c1 = c2

c1 ∧ c1 = 0 c2 ∧ c2 = 0 c3 ∧ c3 = 0(1.11.4)

In V−3 il prodotto vettoriale dei due vettori u e v puo essere definito come quel vettore

la cui direzione e ortogonale alla giacitura individuata da u e v, il cui modulo e uguale

all’area del parallelogramma costruito su u e v ed il cui verso e tale che la terna u, v,

u ∧ v sia destrogira, cioe concorde con l’orientamento di V−3 . Il prodotto vettoriale dei

due vettori u e v si muta dunque nell’opposto quando si passa da un riferimento positivo

ad uno negativo: esso pertanto costituisce uno pseudovettore e non un vettore.

1.12. PRODOTTO MISTO

Sia V+3 uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, dotato delle sole basi levogire.

Siano u, v e w tre vettori di V+3 .

Prende il nome di Prodotto misto dei tre vettori u, v e w lo scalare che si ottiene molti-

plicando vettorialmente tra loro i primi due vettori e moltiplicando quindi scalarmente il

risultato cosı ottenuto per il terzo vettore:

u ∧ v ·w = (u ∧ v) ·w (1.12.1)

Ricordando le definizioni di prodotto scalare e di prodotto vettoriale, indicando con θ

l’angolo che formano i due vettori u e v e con φ l’angolo che il vettore w forma con u∧v,

si ottiene:

u ∧ v ·w = uvw sin θ cos φ (1.12.2)

Figura 1.12.1

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Deduciamo dunque che il modulo del prodotto misto dei tre vettori u, v e w e il volume

del parallelepipedo costruito sui tre vettori u, v e w (vedi fig. 1.12.1). Possiamo dire poi

che il prodotto misto dei tre vettori u, v e w e positivo o negativo a seconda che i tre

vettori costituiscano, nell’ordine, una terna positiva o una terna negativa.

In precedenza abbiamo definito terne positive quelle individuate da una base di vettori

positiva (vedi paragrafo 1.9). Quel che precede ci porta ad individuare un facile metodo

per stabilite se una terna e concorde o discorde con una terna trirettangola levogira. Si

verifica infatti che una terna obliqua e levogira se i vettori w e u ∧ v formano un angolo

minore di π/2, cioe se si trovano dallo stesso lato rispetto al piano individuato da u e

v, e destrogira se l’angolo che essi formano e maggiore di π/2. Conseguentemente, una

terna e levogira se il prodotto misto dei tre versori che la individuano e positivo, e invece

destrogira, se tale prodotto misto e negativo.

Da quanto detto si deduce che condizione necessaria e sufficiente perche tre vettori

siano complanari e che il loro prodotto misto si annulli.

SIMBOLO DI RICCI O LEVI-CIVITAIn V+

3 si definisce il seguente ente matematico a tre indici, noto come tensore alternante o simbolo di Ricci osimbolo di Levi-Civita:

εijk =

1 se (ijk) e una permutazione di posto pari su (123)0 se almeno due dei tre indici (ijk) sono uguali−1 se (ijk) e una permutazione di posto dispari su (123)

(1.12.3)

In una base ortonormale levogira si verifica subito che si ha:

εijk = ci ∧ cj · ck (1.12.4)

Come mostra la precedente relazione il tensore di Levi-Civita non e un tensore, ma uno pseudo tensore, in quanto

esso cambia segno nel passare da una base levogira ad una base destrogira.

LINEARITA DEL PRODOTTO VETTORIALE

Dimostriamo adesso la linearita del prodotto vettoriale (Proprieta c). E’ sufficiente far

vedere che si ha:

u ∧ (λ1v1 + λ2v2) = λ1u ∧ v1 + λ2u ∧ v2 (1.12.4)

Moltiplichiamo il primo membro della (1.12.5) per un qualsiasi vettore w di V+3 . Risulta:

u ∧ (λ1v1 + λ2v2) ·w = w ∧ u · (λ1v1 + λ2v2) == λ1(w ∧ u · v1) + λ2(w ∧ u · v2) == λ1(u ∧ v1 ·w) + λ2(u ∧ v2 ·w) =

= (λ1u ∧ v1 + λ2u ∧ v2) ·wConseguentemente, qualunque sia w, risulta:

[u ∧ (λ1v1 + λ2v2)− λ1u ∧ v1 − λ2u ∧ v2] ·w = 0

da quest’ultima relazione, per l’arbitrarieta di w si deduce la (1.12.5).

COMPONENTI DEL PRODOTTO VETTORIALE IN UNA BASE ORTONORMALE

LEVOGIRA: Calcoliamo la componente k-esima del prodotto vettoriale di u ∧ v. Utiliz-

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zando la proprieta appena dimostrata, possiamo scrivere:

(u ∧ v)k = u ∧ v · ck(3∑

i=1

uici) ∧ (3∑

j=1

vjcj) · ck =3∑

i=1

3∑

j=1

uivj ci ∧ cj · ck

otteniamo cosı:

u ∧ v = (u2v3 − u3v2)c1 + (u3v1 − u1v3)c2 + (u1v2 − u2v1)c3 (1.12.6)

Concludiamo dunque che le componenti del prodotto vettoriale dei due vettori u e v, di

componenti (u1, u2, u3) e (v1, v2, v3), sono proprio i minori di secondo ordine della matrice

in cui, ordinatamente, nella prima riga vi sono le componenti del vettore u, nella seconda

le componenti del vettore v: (u1 u2 u3

v1 v2 v3

)(1.12.7)

Una regola pratica per calcolare il prodotto vettoriale di due vettori, di cui sono note

le componenti in una data base ortonormale, consiste nel calcolare il determinante di una

matrice in cui nella prima riga vi sono i versori degli assi, nella seconda le componenti del

primo vettore, nella terza le componenti del secondo vettore:

u ∧ v =

∣∣∣∣∣∣∣

c1 c2 c3

u1 u2 u3

v1 v2 v3

∣∣∣∣∣∣∣(1.12.8)

Un’altra espressione del prodotto vettore in componenti verra data nel capitolo successivo,

quando sara introdotto l’operatore assiale.

ESPRESSIONE DEL PRODOTTO MISTO IN UN RIFERIMENTO ORTONORMALE

LEVOGIRO: Come abbiamo visto, le componenti del prodotto vettoriale dei due vettori

u=(u1, u2, u3) e v=(v1, v2, v3) sono espresse dalle relazioni:

(u ∧ v)1 = u2v3 − u3v2 (u ∧ v)2 = u3v1 − u1v3 (u ∧ v)3 = u1v2 − u2v1 (1.12.9)

o anche dai minori di secondo ordine della matrice (1.12.7).

Ricordando quindi l’espressione del prodotto scalare di due vettori in una base orto-

normale, si ottiene subito:

u ∧ v ·w = (u2v3 − u3v2)w1 + (u3v1 − u1v3)w2 + (u1v2 − u2v1)w3 (1.12.10)

o anche:

u ∧ v ·w =

∣∣∣∣∣∣∣

u1 u2 u3

v1 v2 v3

w1 w2 w3

∣∣∣∣∣∣∣(1.12.11)

ESERCIZIO 1.12.1. Calcolare l’area del triangolo avente come vertici i punti

P = (2, 3, 5), Q = (4, 2,−1), R = (3, 6, 4).

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ESERCIZIO 1.12.2. Calcolare il volume del parallelepipedo costruito sui tre vettori le

cui componenti in un riferimento ortonormale levogiro sono:

v1 = (3,−1, 0) v2 = (0, 1, 2) v3 = (1, 5, 4)

1.13. DOPPIO PRODOTTO VETTORIALE

Sia V3 lo spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, non orientato, dotato cioe sia delle

basi levogire che di quelle destrogire. Siano u, v e w tre vettori di V3.

Prende il nome di doppio prodotto vettoriale il vettore:

(u ∧ v) ∧w (1.13.1)

Come si verifica immediatamente, il doppio prodotto vettoriale risulta un vettore di V3,

e non uno pseudovettore.

Osserviamo che il risultato del doppio prodotto vettoriale (1.13.1), dovendo essere

ortogonale sia a u ∧ v che a w, deve giacere nel piano di u e di v. il risultato del

doppio prodotto (1.13.1) deve potersi esprimere, dunque, come combinazione lineare dei

due vettori u e v. Si dimostra che vale la seguente identita:

(u ∧ v) ∧w = (u ·w)v − (v ·w)u (1.13.2)

La dimostrazione della (1.13.2) si puo effettuare osservando che entrambi i membri della

(1.13.2) hanno le stesse le componenti in una base ortonormale assegnata; mostriamo che

si identificano le componenti secondo la direzione del primo versore. Risulta infatti:

(u ∧ v) ∧w]1 = [(u ∧ v) ∧w] · c1 == (u2v3 − u3v2)c1 ∧w · c1 + (u3v1 − u1v3)c2 ∧w · c1+

+(u1v2 − u2v1)c3 ∧w · c1 == (u3v1 − u1v3)w3c2 ∧ c3 · c1 + (u1v2 − u2v1)w2c3 ∧ c2 · c1 =

= (u3v1 − u1v3)w3 − (u1v2 − u2v1)w2

ma e anche:

[(u ·w)v − (v ·w)u]1 = [(u ·w)v − (v ·w)u] · c1 == (u1w1 + u2w2 + u3w3)v1 − (v1w1 + v2w2 + v3w3)u1 =

= (u2w2 + u3w3)v1 − (v2w2 + v3w3)u1

PROPRIETA DEL DOPPIO PRODOTTO VETTORIALE:

Il doppio prodotto vettore non e associativo. Dalla (1.13.2) si deduce che il doppio

prodotto vettore non gode della proprieta associativa:

(u ∧ v) ∧w 6= u ∧ (v ∧w) (1.13.3)

Si ha infatti:

u ∧ (v ∧w) = (w ∧ v) ∧ u = (u ·w)v − (v · u)w (1.13.4)

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Concludiamo dunque che il doppio prodotto vettoriale soddisfa la proprieta associativa

(u∧v)∧w = u∧ (v∧w) solo se il vettore v risulta contemporaneamente ortogolare sia a

u che a w (v ·u = v ·w = 0), oppure se i vettori u e w sono paralleli: (v ·u)w = (v ·w)u.

Identita di Jacobi: Il doppio prodotto vettoriale soddisfa la seguente identita, detta

identita di Jacobi, di verifica immediata:

u ∧ (v ∧w) + v ∧ (w ∧ u) + w ∧ (u ∧ v) = 0 (1.13.5)

1.14. DIVISIONE VETTORIALE

Dati due vettori non nulli u e v la divisione vettoriale consiste nel ricercare quei vettori

x tali che:

v ∧ x = u (1.14.1)

Scelto un riferimento ortonormale in V3, dette (ui) e (vi) le componenti dei vettori u e

v, e indicate con (xi) quelle del vettore incognito x, la (1.14.1) equivale ad un sistema di

tre equazioni nelle incognite (x1, x2, x3):

0 −v3 v2

v3 0 −v1

−v2 v2 0

x1

x2

x3

=

u1

u2

u3

(1.14.2)

In generale, l’equazione (1.14.1) non ammette soluzioni. La condizione di compatibilita

si determina subito osservando che, se esiste un vettore x che soddisfa la (1.14.1), deve

essere anche, ovviamente:

v ∧ x · v = u · ve quindi i due vettori u e v devono essere ortogonali:

u · v = 0 (1.14.3)

Osserviamo ancora che, in base al teorema di Rouche-Capelli, se e soddisfatta la (1.14.3),

l’equazione (1.14.1) ammette infinite soluzioni.

Tra le infinite soluzioni della (1.14.1) ricerchiamo quella individuata dal vettore x0 che

risulta ortogonale sia a u che a v. A tale scopo, scritta la (1.14.1) con x0 al posto di x,

moltiplichiamo vettorialmente a destra entrambi i membri di tale equazione per il vettore

v:

(v ∧ x0) ∧ v = u ∧ v

Sviluppando il doppio prodotto vettore che compare a primo membro della precedente

equazione e tenendo conto della ortogonalita tra u ed x0, si ottiene:

v2x0 = u ∧ v

Pertanto, la soluzione cercata e:

x0 =u ∧ v

v2(1.14.4)

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Tutte le altre soluzioni della (1.14.1) si ottengono ora aggiungendo al vettore x0 dato dalla

(1.14.4) un qualsiasi vettore parallelo a v.

Concludiamo dunque che, sotto l’ipotesi di compatibilita (1.14.3), la (1.14.1) ammette

le infinite soluzioni:

x = x0 + λv =u ∧ v

v2+ λv (1.14.5)

ESERCIZIO 1.14.1. Dati i due vettori v=(1,1,1) e w=(2,-2,0), risolvere l’equazione

vettoriale:

w = x ∧ v

1.15. BASE RECIPROCA

Come abbiamo visto, in uno spazio (vettoriale o affine) euclideo, e sempre possibile introdurre una base ortonor-male. Nei problemi concreti che incontreremo nello studio della meccanica razionale, sceglieremo, di solito, comebase del nostro spazio proprio una siffatta base.

In alcuni problemi di fisica e di meccanica, e talvolta piu opportono introdurre basi oblique. Cio accade, adesempio, nello studio dei reticoli cristallini: la loro conformazione infatti porta naturalmente a introdurre basi taliche i piani da essi individuati siano proprio i piani di ”simmetria” del cristallo. Anche in altri problemi (ad es. lostudio dell’ellisse d’inerzia) e utile il concetto di base reciproca.

Sia V3 uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3. Siano ui e cj una base obliqua ed una baseortonormale di V3. Fissato un generico vettore v di V3, denotiamo con vi le sue componenti nella base obliquaui e con v′j quelle nella base ortonormale cj:

v =

3∑i=1

viui =

3∑j=1

v′jcj (1.15.1)

Determiniamo la relazione tra le componenti controvarianti di v nella base obliqua e quelle nella base orto-normale. Sia A = (Aji) la matrice del cambiamento di base; riscriviamo la legge del cambiamento di base (1.6.6):

v′1 = A11v1 + A21v2 + A31v3

v′2 = A12v1 + A22v2 + A32v3

v′3 = A13v1 + A23v2 + A33v3

(1.15.2)

E questo un sistema di tre equazioni nelle tre incognite v1, v2, v3. Osserviamo che nelle colonne della matricedi tale sistema compaiono le componenti, nella base ortonormale, dei vettori ui della base obliqua. Si ha dunque:

det(Aji) = u1 ∧ u2 · u3 6= 0 (1.15.3)

Si ha poi:

v1 =u2 ∧ u3

u1 ∧ u2 · u3· v v2 =

u3 ∧ u1

u1 ∧ u2 · u3· v v3 =

u1 ∧ u2

u1 ∧ u2 · u3· v (1.15.4)

Vediamo dunque che le componenti controvarianti del vettore v nella base ui si possono ottenere moltiplicandoscalarmente il vettore v per i tre vettori:

U1 =u2 ∧ u3

u1 ∧ u2 · u3U2 =

u3 ∧ u1

u1 ∧ u2 · u3U3 =

u1 ∧ u2

u1 ∧ u2 · u3(1.15.5)

I tre vettori U1, U2 ed U3, cosı definiti sono tre vettori linearmente indipendenti, e costituiscono la cosiddettabase reciproca della base ui. Essi soddisfano la relazione:

ui ·Uj = δij (1.15.6)

Utilizzando i vettori Uj della base reciproca possiamo scrivere:

v = (v ·U1)u1 + (v ·U2)u2 + (v ·U3)u3 (1.15.7)

Si ha poi dualmente:v = (v · u1)U1 + (v · u2)U2 + (v · u3)U3 (1.15.8)

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1.16. ESERCIZI DI RIEPILOGO

1) In una base ortonormale levogira c1, c2, c3 siano dati i vettori v1 = c1 − 2c2 + c3 e

v2 = 3c1 + c2 + 2c3. Calcolare il coseno dell’angolo che essi formano.

2) Sia V3 uno spazio vettoriale di dimensione 3 e sia ei una sua base.

(a) Verificare che i vettori u1 = −2e3 u2 = e1 + e2 − e3 u3 = e1 − e2 + e3 sono

linearmente indipendenti, mentre i vettori w1 = e2−2e3 w2 = e1−e3 w3 =

e1 − e2 + e3 sono linearmente dipendenti.

(b) Mostrare che le due terne di numeri (4,-1,3), (5,7,1) non si possono interpretare

come le componenti oblique (o controvarianti) di uno stesso vettore nelle due

basi ei ed ui.3) Sia E3 uno spazio vettoriale euclideo e ci una base ortonormale. Dato il vettore v di

componenti (1,2,3), nella base ci, determinare la sua componente scalare secondo

la bisettrice, orientata in un qualunque verso, dell’angolo individuato dai versori c1

e c2.

4) In una terna trirettangola levogira trovare il coseno dell’angolo formato dalle bisettrici

degli angoli xy e yz, supposto prefissato su tali rette un orientamento.

5) In uno spazio vettoriale euclideo sia ci una base ortonormale. Siano v1 = (√

3, 2,√

2)

e v2 = (1,√

5,√

3) due vettori. Determinare i vettori s = v1 + v2 e d = v1 − v2.

Dimostrare che s ⊥ d.

6) Calcolare l’angolo formato dalle diagonali del quadrilatero avente i vertici in (0,0,0),

(3,2,0), (4,6,0), (1,3,0).

7) Sia V2 uno spazio vettoriale di dimensione 2 ed c1, c2 una sua base ortonormale.

Siano

e1 =(

21

)e2 =

(11

)

due vettori di V2.

(a) Mostrare che costituiscono una base di V2.

(b) Determinare le componenti oblique e le proiezioni ortogonali del vettore v =

5e1 + 3e2 nella base e1, e2.(c) Determinare l’area del parallelogrammo costruito su e1 ed e2.

8) Calcolare l’area del triangolo avente come vertici i punti P=(1,3,-1), Q=(0,2,1),

R=(3,6,1).

33

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9) Calcolare il volume del parallelepipedo costruito sui tre vettori le cui componenti in un

riferimento ortonormale levogiro sono v1 = (0,−1, 0), v2 = (0, 1, 2), v3 = (1, 2, 4).

10) Determinare il volume del parallelepipedo avente un vertice nell’origine O degli assi

e gli spigoli uscenti da O, unitari e paralleli alle bisettrici degli angoli xy, yz e xz.

11) Dati i due vettori v=(0,1,1) e w=(2,2,-2), determinare il luogo dei punti P dello

spazio tali che:

w = OP ∧ v

12) Siano i, j, k i versori di una base ortonormale. Dati i tre vettori

u1 = 3i− 4j

u2 = 3j + 4k

u3 = −i + j + 2k

(a) mostrare che essi costituiscono una base e determinare la base reciproca Uj.(b) esprimere il vettore v: v = 5i−3j+8k come combinazione lineare dei tre vettori

ui e dei tre vettori Uj.

34

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CAPITOLO II

TRASFORMAZIONI LINEARI E TENSORI

2.1 TRASFORMAZIONI LINEARI

Siano V e V′ due spazi vettoriali reali. Come e noto, prende il nome di omomorfismo o

applicazione lineare di V in V′ l’applicazione L di V in V′

L : x ∈ V −→ τx ∈ V′ (2.1.1)

che soddisfa le relazioni:

a) L(x + y) = Lx + Ly ∀x,y ∈ V

b) L(λx) = λLx, ∀x ∈ V, ∀λ ∈ RPrende il nome di trasformazione lineare o operatore lineare o endomorfismo un’appli-

cazione lineare L di V in se.

L’insieme di tutte le trasformazioni lineari di V in se verra nel seguito indicato con il

simbolo Lin (V):

Lin (V) = L : V → V : L lineare (2.1.2)

Come e noto, in un generico spazio vettoriale di dimensione finita, ad ogni endomor-

fismo puo essere associato un ente a due indici (la matrice delle sue componenti, in una

data base), che si trasforma al variare della base con una legge tensoriale. Per questo

motivo, gli endomorfismi in uno spazio vettoriale vengono anche chiamati tensori doppi o

tensori del secondo ordine.

ESEMPI DI TRASFORMAZIONI LINEARI

In un generico spazio vettoriale reale sono definiti, in particolare, i seguenti endomorfismi:

1) L’endomorfismo nullo O, che associa ad ogni vettore x il vettore nullo o:

O : x ∈ V −→ O x = o

2) L’endomorfismo identico U, che associa ad ogni vettore x il vettore x stesso:

U : x ∈ V −→ U x = x

3) L’omotetia vettoriale τλ, detta anche moltiplicazione per lo scalare λ, che associa ad

ogni vettore x il vettore ad esso parallelo λx:

τλ : x ∈ V −→ τλ x = λx

35

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2.2. TENSORI DOPPI NEGLI SPAZI EUCLIDEI

Come abbiamo visto nel capitolo precedente, gli spazi vettoriali che si incontrano nello

studio della Meccanica Razionale sono spazi, a due o tre dimensioni, dotati di prodotto

scalare. Ci limiteremo pertanto a studiare gli endomorfismi in un spazio vettoriale euclideo,

di dimensione 2 e di dimensione 3.

TRASFORMAZIONI LINEARI IN UNO SPAZIO EUCLIDEO BIDIMENSIONALE.

Sia E2 uno spazio vettoriale euclideo bidimensionale (l’insieme dei vettori del piano). E

noto che, scelta una base in E2, l’insieme dei vettori piani puo essere messo in corrispon-

denza biunivoca e isomorfa con le coppie ordinate di numeri reali e quindi con l’insieme dei

numeri complessi C. In particolare, scelta in E2 una base ortonormale positiva c1, c2,al vettore x, di componenti (x1, x2), possiamo far corrispondere biunivocamente il numero

complesso z di parte reale x1 e coefficiente dell’immaginario x2:

x = (x1, x2) ∈ E2 ←→ z = x1 + ix2 ∈ C

Cosı come un numero complesso, ogni vettore del piano x e suscettibile di una rappresen-

tazione esponenziale. Detti infatti x il modulo del vettore x e θ l’angolo che il vettore x

forma con il vettore c1, ricordando la formula di Eulero, possiamo scrivere:

x = x(cos θ + i sin θ) = xeiθ

Nell’insieme dei numeri complessi la moltiplicazione per un numero complesso prefis-

sato z0 e una trasformazione lineare; e immediato infatti constatare che la trasformazione

che al numero complesso z associa il numero complesso z0z verifica la relazione:

z0(λ1z1 + λ2z2) = λ1z0z1 + λ2z0z2 ∀z1, z2 ∈ C ∀λ1, λ2 ∈ R

In base all’isomorfismo tra vettori piani e numeri complessi l’operazione di moltiplicazione

per un numero complesso puo essere definita anche nell’insieme E2 dei vettori piani. Dato

il numero complesso z = x1 + ix2, la moltiplicazione del vettore v=(v1, v2) per il numero

complesso z, viene definita nel seguente modo:

z : v = (v1, v2) ∈ E2 −→ zv = (x1v1 − x2v2, x1v2 + x2v1) ∈ E2

Posto v=veiθ, la moltiplicazione del vettore v per il numero complesso z = ρeiφ da

come risultato il vettore di modulo ρv ed argomento θ + φ:

w = zv = ρvei(θ+φ)

Consideriamo in particolare la moltiplicazione di un vettore piano per il numero com-

plesso i:

i : v = (v1, v2) ∈ E2 −→ iv = (−v2, v1) ∈ E2

utilizzando la notazione esponenziale iv = ei π2 (veiθ) = vei(θ+π

2 ), e immediato constatare

che il vettore iv si ottiene ruotando di 90o in verso antiorario il vettore x; la moltiplicazione

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per i si identifica dunque con l’operatore che ruota i vettori del piano di 90o in verso

antiorario. Per tale motivo, la moltiplicazione per il numero complesso i viene anche

chiamata operatore manovella. Si verifica anche facilmente che la moltiplicazione del

vettore x per il numero complesso z di modulo ρ ed argomento φ, consiste nel moltiplicare

il vettore x per il modulo ρ del numero complesso z e quindi ruotare il vettore cosı ottenuto

di un angolo φ in verso antiorario.

L’OPERATORE ASSIALE

Consideriamo lo spazio euclideo tridimensionale dotato delle sole basi positive E+3 . Sia u

un generico vettore di E+3 . Prende il nome di operatore assiale o semplicemente assiale

l’endomorfismo che associa ad ogni vettore x appartenente a E+3 il risultato del prodotto

vettoriale tra u ed x:

u ∧ : x ∈ E+3 −→ (u∧)x = u ∧ x ∈ E+

3 (2.2.1)

L’endomorfismo assiale, dunque, trasforma i vettori dell’intero spazio E+3 , nei vettori

ortogonali ad u; manda cioe i vettori dell’intero spazio E+3 , nei vettori di un piano, la cui

giacitura e ortogonale a quella del vettore u.

Sia i, j,k una terna di versori tra di loro ortogonali. L’assiale k∧ agisce sui vettori

dell’intero spazio, trasformandoli nei vettori del piano π ortogonale a k. Se consideriamo

dunque la restrizione dell’operatore k∧ ai vettori del piano π (individuato dai versori i e

j) constatiamo immediatamente che l’operatore k∧ agisce su ogni vettore di π ruotandolo

di 90o in verso antiorario. Esso dunque si identifica con l’operatore manovella i.

LA DIADE O PRODOTTO TENSORIALE

Sia E un generico spazio vettoriale euclideo. Siano u e v due vettori di E. Prende il nome

di prodotto tensoriale o diade fra i due vettori u e v il tensore, che indicheremo con u⊗v

(un’altra notazione, frequentemente usata, e uv) che agisce sul vettore x moltiplicandolo

scalarmente per il vettore u e moltiplicando infine lo scalare ottenuto per il vettore v:

u⊗ v : x ∈ E −→ u⊗ v x = (u · x)v (2.2.2)

La diade quindi, trasforma i vettori dell’intero spazio E nel sottinsieme di E costituito

dai vettori paralleli al vettore v.

OPERATORI DI PROIEZIONEConsideriamo la diade u⊗ u, dove u e un versore, ad esempio il versore di una data direzione r, ed analizziamocome essa agisce sui vettori dell’intero spazio. Si ha, ∀x ∈ E:

u⊗ u x = (u · x)u = xru.

Come vediamo la diade u⊗ u agisce sul vettore x trasformandolo nel suo vettore proiezione secondo la direzionedella retta r. Nel seguito denoteremo tale operatore con:

P||(u) := u⊗ u (2.2.3)

e lo chiameremo operatore di proiezione sulla retta r di versore u.

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In particolare, se c1, c2 e c3 sono i versori di un riferimento ortogonale in uno spazio tridimensionale E3,possiamo scrivere:

x = x1c1 + x2c2 + x3c3 = (c1 ⊗ c1 + c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3)x,

da cui deduciamo:U = c1 ⊗ c1 + c2 ⊗ c2 + c3 ⊗ c3. (2.2.4)

Infine, l’operatoreP⊥(u) := U− u⊗ u (2.2.5)

e il vettore proiezione nel piano perpendicolare ad u, infatti si ha:

[P⊥(u)x] · x = [(U− u⊗ u)x] · x = 0

eP||(u) + P⊥(u) = I.

2.3. COMPONENTI DI UN OPERATORE LINEARE

Ci limiteremo, in questo paragrafo, a considerare le componenti di un operatore lineare in

uno spazio euclideo tridimensionale V3 in una base ortonormale.

Siano L un tensore doppio di E3 e c1, c2, c3 i versori di una base ortonormale. Applichiamo

il tensore L ai versori della base, e sia Lij la componente i-esima del vettore Lcj nella

base ortonormale ci. Poniamo cioe:

Lij = ci · (Lcj) (2.3.1)

ovvero:

Lc1 =

L11

L21

L31

Lc2 =

L12

L22

L32

Lc3 =

L13

L23

L33

(2.3.2)

I 9 numeri Lij prendono il nome di componenti del tensore L nella base ci mentre la

matrice:

L = (Lij) =

L11 L12 L13

L21 L22 L23

L31 L32 L33

(2.3.3)

prende il nome di matrice delle componenti del tensore L nella base ci.Mostriamo che tale matrice determina univocamente il tensore L, una volta scelta la

base. Sia dunque v un generico vettore di E3. Indichiamo con w il risultato dell’applicazione

del tensore L al vettore v:

w = Lv (2.3.4)

Siano vi le componenti del vettore v nella base ci e wi quelle del vettore w:

v =3∑

j=1

vjcj =

v1

v2

v3

w =

3∑

i=1

wici =

w1

w2

w3

Si ha, per la linearita dell’operatore L:

w = Lv = L(3∑

j=1

vjcj) =3∑

j=1

vj Lcj (2.3.5)

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Il vettore w trasformato del vettore v tramite l’operatore L si ottiene come combinazione

lineare, con coefficienti vi, dei trasformati degli elementi della base ci. Conseguente-

mente, esso risulta individuato una volta noti i tre vettori Lc1, Lc2 e Lc3, trasformati

degli elementi della base.

Sostituendo adesso le (2.3.2) nella (2.3.5) si ricava:

w =3∑

i=1

wici =3∑

i,j=1

vjLijci

cioe:

wi =3∑

j=1

Lijvj (2.3.6)

ovvero, utilizzando la notazione matriciale:

w1

w2

w3

=

L11 L12 L13

L21 L22 L23

L31 L32 L33

v1

v2

v3

ESEMPI

Componenti dell’endomorfismo nullo e dell’endomorfismo identico. Applicando

la (2.3.1), si deduce subito:

Oij = ci · (Ocj) = 0 Uij = ci · (Ucj) = δij (2.3.7)

quindi, le matrici delle componenti di tali endomorfismi, in un spazio euclideo tridimen-

sionale sono proprio la matrice nulla e la matrice identita:

(Oij) =

0 0 00 0 00 0 0

(Uij) =

1 0 00 1 00 0 1

(2.3.8)

Componenti dell’operatore assiale. Si ha, applicando la (2.3.1):

(u∧)ij = ci · (u ∧ cj) =3∑

k=1

ukci · (ck ∧ cj) = −3∑

k=1

ukci · (cj ∧ ck) (2.3.11)

Utilizzando il tensore di Ricci εijk = ci·(cj∧ck), la (2.3.11) si scrive (u∧)ij = −∑3k=1 εijkuk.

Concludendo, nello spazio euclideo tridimensionale, orientato positivamente E+3 , la

matrice delle componenti dell’assiale e:

((u∧)ij) =

0 −u3 u2

u3 0 −u1

−u2 u1 0

(2.3.12)

Componenti della diade. Si ha, applicando la (2.3.1):

(u⊗ v)ij = ci · (u⊗ v cj) = ujvi (2.3.9)

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deduciamo quindi che, in un spazio euclideo tridimensionale, la matrice delle componenti

del prodotto tensoriale tra u e v e:

((u⊗ v)ij) =

u1v1 u2v1 u3v1

u1v2 u2v2 u3v2

u1v3 u2v3 u3v3

(2.3.10)

In particolare, si ha, detti c1, c2, c3 i versori di una base ortonormale:

((c1 ⊗ c1)ij) =

(1 0 00 0 00 0 0

), ((c1 ⊗ c2)ij) =

(0 0 01 0 00 0 0

), ((c1 ⊗ c3)ij) =

(0 0 00 0 01 0 0

),

((c2 ⊗ c1)ij) =

(0 1 00 0 00 0 0

), ((c2 ⊗ c2)ij) =

(0 0 00 1 00 0 0

), ((c2 ⊗ c3)ij) =

(0 0 00 0 00 1 0

),

((c3 ⊗ c1)ij) =

(0 0 10 0 00 0 0

), ((c3 ⊗ c2)ij) =

(0 0 00 0 10 0 0

), ((c3 ⊗ c3)ij) =

(0 0 00 0 00 0 1

).

Componenti dell’operatore manovella. Ricordando che l’operatore manovella e la

restrizione ad E+2 dell’operatore c3∧ possiamo scrivere:

(irs) =(

0 −11 0

)(2.3.13)

2.4. OPERAZIONI TRA ENDOMORFISMI. PRODOTTO TRA TENSORI

Nell’insieme Lin (V) delle trasformazioni lineari vengono definite, in maniera naturale,

la somma ed il prodotto per uno scalare.

Prende il nome di somma dei due operatori L1 e L2, l’operatore L1 + L2 tale che:

(L1 + L2)v = L1v + L2v (2.4.1)

Prende il nome di prodotto dell’operatore L per il numero reale λ (scalare), l’operatore λL

tale che:

(λL)v = λ(Lv) (2.4.2)

L’insieme Lin (V) munito di tali operazioni assume la struttura di spazio vettoriale;

l’elemento neutro di tale spazio vettoriale e l’endomorfismo nullo O, l’elemento unita e

l’endomorfismo identico U.

Nell’insieme Lin (V) e definito anche il prodotto tra tensori L1L2, nel seguente modo:

(L1 L2)v = L1(L2v) (2.4.4)

Si verifica immediatamente che le componenti in una base ei della somma di due

operatori, del prodotto di un operatore per uno scalare e del prodotto di due operatori

sono:

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(L1 + L2)ij = (L1)ij + (L2)ij

(λL)ij = λLij

(L1 L2)ij =∑n

h=1(L1)ih(L2)hj

BASI NELLO SPAZIO DELLE TRASFORMAZIONI LINEARI

Se E ha dimensione n, Lin (E) e uno spazio vettoriale di dimensione n2. Una base di tale spazio vettoriale ecostituita dagli n2 tensori ci ⊗ cj.

Ad esempio, nel caso in cui n = 3, si verifica facilmente che, detta L una qualunque trasformazione lineare diE3, si ha:

L =

3∑i,j=1

Lijci ⊗ cj. (2.4.3)

2.5. TRASPOSTO DI UN TENSORE. DILATAZIONI

OPERATORE TRASPOSTO DI UN OPERATORE A.

In uno spazio vettoriale euclideo En si chiama operatore trasposto o aggiunto del tensore

A l’operatore AT (indicato anche A+ o A) definito dalla relazione:

(Ax) · y = x · (ATy) ∀x,∀y (2.5.1)

Vale la seguente proprieta, che ci limitiamo ad enunciare: se A e lineare, anche l’operatore

AT e lineare.

Il tensore AT in una data base, e individuato da n2 componenti. Sia ci una base

ortonormale; scritta la (2.5.1) per i versori di tale base, risulta:

(Aci) · cj = ci · (ATcj). (2.5.2)

Il primo membro della (2.5.2), per la (2.3.1), e la componente Aji dell’operatore A nella

base prefissata, mentre il secondo membro e la componente di posto ij dell’operatore AT ;

denotata quest’ultima con ATij, la (2.5.2) porge:

ATij = Aji (2.5.3)

Pertanto, in una base ortogonale, la matrice delle componenti dell’operatore aggiunto AT

di un operatore A e la matrice trasposta della matrice delle componenti dell’operatore A.

TENSORI SIMMETRICI O DILATAZIONI

Un operatore D che coincide con il suo aggiunto, cioe tale che

(Dx) · y = x · (Dy) ∀x,∀y (2.5.5)

prende il nome di operatore autoaggiunto o anche tensore simmetrico o dilatazione.

In una base ortonormale la matrice delle componenti di una dilatazione D e una matrice

simmetrica.

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ESEMPIO: La diade (v,v) e una dilatazione. Infatti:

[(v,v)x] · y = (v · x)(v · y) = x · [(v,v)y]

Tensori simmetrici si incontrano nello studio della dinamica dei corpi rigidi (tensore

d’inerzia) e nello studio della cinematica e della meccanica dei continui deformabili. Il

termine dilatazione per indicare un tensore simmetrico trae origine proprio dallo studio

della deformazione dei continui tridimensionali.

DIREZIONI UNITE E SPETTRO DI UN TENSORE SIMMETRICO

Sia D un tensore. Cerchiamo, se esistono delle direzioni u tali che:

Du‖u (2.5.6)

cioe tali che la dilatazione del vettore u sia ad esso parallela. Ricordiamo che prende il

nome di autovettore v dell’operatore D corrispondente all’autovalore λ un vettore v tale

che

Dv = λv (2.5.7)

Osservato che se v e un autovettore associato all’autovalore λ anche il prodotto di v per

un qualunque numero reale λ e un autovettore, possiamo affermare che l’equazione (2.5.7)

individua semplicemente una direzione che prende il nome di direzione unita dell’operatore

D associata all’autovettore λ.

E noto che un operatore simmetrico ammette sempre tre autovalori λi reali (even-

tualmente coincidenti) e tre autovettori linearmente indipendenti. Mostreremo adesso

che questi tre autovettori individuano tre direzioni unite mutualmente ortogonali, mostr-

eremo cioe che, detti u1, u2 ed u3 i versori di queste direzioni unite, risulta:

ui · uj = δij (2.5.8)

Supponiamo dapprima che i tre autovalori λ1, λ2 e λ3 siano distinti. Siano u1, u2 e u3

tre autovettori associati ai tre autovalori λi; sia cioe:

Du1 = λ1u1 Du2 = λ2u2 Du3 = λ3u3 (2.5.9)

Calcoliamo, ad esempio, il prodotto scalare u1 · u2; utilizzando (2.5.5), (2.5.7) e (2.5.9),

si deduce:

u1 · u2 =1

λ1

(Du1) · u2 =1

λ1

u1 · (Du2) =λ2

λ1

u1 · u2

Da questa relazione, essendo λ1 6= λ2 si deduce u1 · u2 = 0.

Supponiamo adesso che ad uno stesso autovalore λ siano associati i due autovettori

e1 ed e2. In questo caso, come si verifica immediatamente, ogni vettore combinazione

lineare di e1 ed e2 e ancora un autovettore associato all’autovalore λ. All’autovalore λ

sono dunque associate infinite direzioni unite, tutte quelle del piano individuato da e1 ed

e2. Possiamo quindi scegliere due vettori u1 ed u2 che, appartendo al piano individuato

da e1 ed e2, risultano direzioni unite per l’operatore simmetrico D e sono ortogonali.

42

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Concludendo, possiamo affermare che se λ1 6= λ2 6= λ3 esistono tre direzioni privilegiate

lungo le quali la dilatazione del vettore v e parallela al vettore stesso. Se i versori di queste

direzioni vengono scelti come base del nostro spazio vettoriale, la matrice delle componenti

di D assume forma diagonale. Nel caso in cui due dei tre autovalori sono uguali, sono

direzioni unite tutte quelle di un piano, nonche la direzione ortogonale alla giacitura di

suddetto piano. Nel caso infine in cui tutti e tre gli autovalori sono uguali allora ogni

direzione e una direzione unita.

DECOMPOSIZIONE SPETTRALESia Y un sottospazio lineare di E. Chiamiamo complemento ortogonale di Y il sottospazio lineare di E definitoda:

Y⊥ := x ∈ E : x · y = 0, ∀y ∈ Y I due sottospazi Y e Y⊥ decompongono E, nel senso che, fissato un qualunque vettore x di E, esistono e sonounici due vettori y e y⊥, il primo appartenente a Y il secondo a Y⊥ tali che:

x = y + y⊥

Sia D un tensore simmetrico e supponiamo che esso ammetta tre autovalori λ1, λ2 e λ3 distinti. Come abbiamovisto, esistono tre sottospazi di E (i tre autospazi costituiti dai vettori paralleli agli autovettori u1, u2 ed u3) chesono invarianti sotto l’azione di D. Se i versori di queste direzioni vengono scelti come base di E3, la matrice Dhk

delle componenti di D assume la seguente forma diagonale:(

λ1 0 00 λ2 00 0 λ3

)

Da quanto detto si deduce che il tensore D ammette la seguente decomposizione:

D = λ1u1 ⊗ u1 + λ2u2 ⊗ u2 + λ3u3 ⊗ u3 (2.5.10)

detta decomposizione spettrale. In generale, anche quando gli autovalori non sono tutti distinti, gli autospazi di

un tensore simmetrico D in Lin(E) decompongono lo spazio vettoriale E. Nel caso in cui gli autovalori di D sono

tutti coincidenti, la matrice delle componenti di D e una matrice diagonale in un qualunque sistema di riferimento

ed il tensore D e un tensore isotropo.

2.5a. FORMA QUADRATICA ASSOCIATA AD UNA DILATAZIONE

Sia D un endomorfismo simmetrico nello spazio vettoriale En di dimensione n. Nello

spazio puntuale euclideo En associato allo spazio vettoriale En, si consideri la forma

quadratica f definita dal seguente prodotto scalare:

f = (D OP ) ·OP (2.5.11)

Detto O, xi (i = 1, 2, ..., n) un generico riferimento ortogonale, in componenti la

forma quadratica e individuata da un polinomio omogeneo di secondo grado nelle variabili

(x1, x2, ...xn) = x. Si ottiene infatti, sviluppando:

f =n∑

h,k=1

Dhkxkxh (2.5.12)

Ricordiamo che una forma quadratica f si dice

definita positiva se f(x) > 0, ∀x ∈ Rn;

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definita negativa se f(x) < 0, ∀x ∈ Rn;

semidefinita positiva se f(x) ≥ 0, ∀x ∈ Rn, con f(x) = 0 per almeno un x;

semidefinita negativa se f(x) ≤ 0, ∀x ∈ Rn, con f(x) = 0 per almeno un x;

indefinita se f(x) assume valori sia positivi che negativi.

CONICA ASSOCIATA AD UN ENDOMORFISMO SIMMETRICO IN E2

Nel piano affine E2, prende il nome di conica associata alla trasformazione lineare

simmetrica D (o conica indicatrice della dilatazione D) il luogo dei punti di E2

definiti dalla uguaglianza:

D OP ·OP = costante (2.5.13)

Nel riferimento O; x, y l’equazione (2.5.13) si scrive:

D11x2 + D22y

2 + 2D12xy = cost (2.5.14)

Osserviamo che a seconda del segno degli autovalori della dilatazione D, la forma quadrat-

ica (2.5.12) risulta definita, semidefinita o indefinita, e la conica associata (2.5.14) e un

ellisse, una parabola degenere in due rette parallele, o un iperbole. In particolare, se

la forma quadratica (2.5.12) e definita positiva (cioe se tutti e due gli autovalori della

dilatazione D sono positivi) e la costante c e anch’essa positiva, la conica e un ellisse.

BREVI RICHIAMI SULLE CONICHE A CENTRO.

Ricordiamo che una conica e una curva algebrica del secondo ordine, pertanto essa e il

luogo dei punti del piano che soddisfa un’equazione del tipo:

a11x2 + a22y

2 + 2a12xy + 2a13x + 2a23y + a33 = 0 (2.5.15)

Se si effettua un cambiamento del sistema di riferimento l’equazione (2.5.15) si trasforma,

come si puo verificare facilmente, in un’equazione dello stesso tipo. Si verifica pero che il

cambiamento di riferimento lascia invariate le seguenti tre quantita scalari, dette invarianti

della conica:

D =

∣∣∣∣∣∣∣

a11 a12 a13

a21 a22 a23

a31 a32 a33

∣∣∣∣∣∣∣D33 =

∣∣∣∣∣a11 a12

a21 a22

∣∣∣∣∣ T = a11 + a22 (2.5.16)

Una conica C si dice di tipo ellittico, parabolico o iperbolico a seconda che risulti D33 > 0,

D33 = 0, D33 < 0. Nel seguito ci interesseremo soltanto delle coniche per le quali risulta

D33 6= 0, dette coniche a centro.

Si puo dimostrare facilmente che, con un opportuno cambiamento di variabili, se risulta

D33 6= 0, si puo fare in modo che i termini lineari nella (2.5.15) si annullino. In questo

caso l’equazione della conica si scrive:

a11x2 + a22y

2 + 2a12xy + a33 = 0 (2.5.17)

e, come si vede, e del tipo (2.5.14). Nel seguito considereremo coniche a centro scritte

nella forma (2.5.14) (o (2.5.17)). Come vedremo in questo caso il centro della conica, che

e centro di simmetria, coincide con l’origine del sistema di riferimento.

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DIREZIONI CONIUGATE DI UN ENDOMORFISMO SIMMETRICO

Data una dilatazione D, prendono il nome di direzioni coniugate della dilatazione

due direzioni, individuate dai versori u e u′, tali che

u ·Du′ = u′ ·Du = 0 (2.5.18)

La corrispondenza che associa ad ogni direzione u la direzione u′ ad essa coniugata prende

il nome di involuzione delle direzioni coniugate.

In componenti, posto u = (α, β) e u′ = (α′, β′), la (2.5.18) si scrive:

a11αα′ + a12(αβ′ + α′β) + a22ββ′ = 0. (2.5.19)

DIAMETRI DI UNA CONICA.

Si consideri una conica C ed un fascio di rette parallele che la intersecano. Sia u = (α, β)

il versore che individua la direzione comune delle rette del fascio.

Prende il nome di diametro della conica C coniugato alla direzione u il luogo

dei punti P soddisfacenti la relazione:

LOP · u = 0 (2.5.20)

che in componenti si scrive

(a11x + a12y)α + (a12x + a22y)β = 0 (2.5.21)

Come si vede, fissato il versore u, il diametro coniugato alla direzione u e una retta

passante per il punto O, che prende il nome di centro della conica. Come si puo

verificare facilmente, per tale punto passano anche tutti gli altri diametri della conica.

FIGURA 2.5.1

Sono di facile verifica le seguenti due proprieta, che ci limitiamo ad enunciare:

PROPRIETA 1: Il diametro della conica C coniugato alla direzione u e il luogo dei punti

medi delle corde della conica ottenute intersecando la conica con le rette del fascio di

direzione u.

PROPRIETA 2 : Se il diametro d coniugato alla direzione u incontra la conica in un

punto P , la retta s passante per P di versore u e tangente alla conica C in P .

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In particolare, i diametri della conica coniugati alle direzioni degli assi coordinati hanno

equazioni:

a11x + a12y = 0 a12x + a22y = 0 (2.5.22)

Il punto O e centro di simmetria della conica; infatti il diametro d coniugato alla

direzione u contiene una corda PQ della conica con direzione u′ individuata dalla (2.5.18)

e quindi il diametro d′, coniugato alla direzione u′, per la proprieta 2, passera per il punto

O, punto medio della corda PQ.

FIGURA 2.5.2

La corrispondenza nel fascio di rette di centro O individuata dalla (2.5.18) che associa al

diametro d il suo diametro coniugato d′ si dice involuzione dei diametri coniugati.

ASSI DI UNA CONICA A CENTRO.

Mostriamo che in una conica a centro esistono sempre due diametri mutuamente ortogo-

nali. Questi diametri si chiamano assi di simmetria ortogonale della conica, o semplice-

mente assi della conica.

Per determinarli basta osservare che essi devono soddisfare le due relazioni:

u ·Du′ = 0u · u′ = 0

(2.5.23)

Questo sistema o ammette infinite soluzioni, nel caso in cui C e una circonferenza (perche

allora ogni diametro e asse di simmetria ortogonale) o ammette due soluzioni reali che

individuano due direzioni fra loro ortogonali, che sono gli assi di simmetria ortogonale

della conica, le loro intersezioni reali con C si chiamano vertici.

EQUAZIONE CANONICA DI UNA CONICA A CENTRO.

Gli assi della conica sono proprio le direzioni unite dell’endomorfismo D a cui la conica

e associata; infatti, se si assume come sistema di riferimento O; x, y quello coincidente

con gli assi della conica, quest’ultima sara rappresentata dall’equazione

λ1x2 + λ2y

2 = c (2.5.24)

dove λ1 e λ2 sono gli autovalori della dilatazione D.

Supposto ad esempio λ1 > 0, escludendo i casi in cui la conica sia immaginaria o

degenere, a seconda dei segni di λ2 e c, si hanno le seguenti equazioni canoniche;

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Ellisse. Supponiamo che sia λ1 > 0, λ2 > 0. Posto allora λ1 = c/a2 e λ2 = c/b2 si ottiene:

x2

a2+

y2

b2= 1

che e l’equazione canonica dell’ellisse. Come caso particolare si ottiene la circonferenza se

risulta λ1 = λ2 > 0

Iperbole: Se risulta λ1 > 0, λ2 < 0, posto λ1 = c/a2 e λ2 = −c/b2 si ottiene:

x2

a2− y2

b2= 1

QUADRICA ASSOCIATA AD UNA DILATAZIONE IN E3.

Nello spazio puntuale euclideo E3 associato allo spazio vettoriale E3, si consideri la forma

quadratica f definita dal seguente prodotto scalare:

f = (D OP ) ·OP (2.5.30)

Detto O, xi un generico riferimento ortogonale, in componenti si ha:

f =3∑

h,k=1

Dhkxkxh (2.5.31)

Prende il nome di quadrica associata alla dilatazione D (o quadrica indicatrice

della dilatazione D) il luogo dei punti di E3 definiti dalla uguaglianza:

D OP ·OP = costante (2.5.32)

Nel riferimento O; x, y, z la (2.5.32) si scrive:

D11x2 + D22y

2 + D33z2 + 2D12xy + 2D13xz + 2D23yx = cost (2.5.33)

Osserviamo che a seconda del segno degli autovalori della dilatazione D, la forma

quadratica (2.5.31) risulta definita, semidefinita o indefinita, e la quadrica associata

(2.5.33) e un ellissoide, un paraboloide o un iperboloide. In particolare, se la forma

quadratica (2.5.31) e definita positiva (cioe se tutti e tre gli autovalori della dilatazione

D sono positivi) e la costante c e anch’essa positiva, la quadrica e un ellissoide, la cui

equazione e proprio la (2.5.33). Da quanto dedotto in precedenza, si deduce infine che,

se si effettua in E3 un cambiamento del sistema di riferimento, scegliendo come nuovi

assi y1, y2, y3 proprio le direzioni unite della dilatazione, l’equazione (2.5.33) assume la

seguente forma canonica:

λ1y21 + λ2y

22 + λ3y

23 = c

In tale nuovo riferimento, la matrice dhk delle componenti dell’operatore D assume forma

diagonale:

λ1 0 00 λ2 00 0 λ3

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ESERCIZIO 1: Nello spazio vettoriale euclideo V3 sia data la dilatazione D, le cui componenti, in una baseortonormale ci, sono:

Dij =

(d1 0 00 1 −10 −1 1

)

(a) mostrare che si tratta di una dilatazione singolare.

(b) determinare le direzioni unite della dilatazione D.

(c) Scrivere la matrice delle componenti di D, nella base individuata dai versori delle direzioni unite.

(d) Individuare la quadrica associata alla dilatazione.

ESERCIZIO 2: Nello spazio vettoriale euclideo E3 sia data la dilatazione D, le cui componenti, in una baseortonormale ci, sono:

D =

(d1 2 32 1 −13 −1 1

)

(a) mostrare che si tratta di una dilatazione non singolare.

(b) determinare le direzioni unite della dilatazione D.

(c) Scrivere la matrice delle componenti di D, nella base individuata dai versori delle direzioni unite.

(d) Individuare la quadrica associata alla dilatazione.

TENSORI ANTISIMMETRICI. DECOMPOSIZIONE DI UN TENSORE

Accanto ai tensori simmetrici si definiscono i tensori antisimmetrici, come quei tensori

tali che

WT = −W (2.5.14)

Si verifica facilmente che la matrice delle componenti di un tensore antisimmetrico e

una matrice antisimmetrica. Un esempio di tensore antisimmetrico, nello spazio E3 e

l’operatore assiale. Viceversa, si puo mostrare che ad ogni tensore antisimmetrico W si

puo associare sempre un vettore w tale che W = w∧.

L’insieme di tutti i tensori doppi simmetrici S(E) costituisce un sottospazio vettoriale

dello spazio Lin (E) e cosı anche l’insieme W(E) di tutti i tensori antisimmetrici.

Ogni tensore L ∈ Lin (E) puo essere decomposto nella somma di un tensore simmetrico

Ls e di un tensore antisimmetrico Lw nel seguente modo:

L = Ls + Lw dove Ls :=1

2(L + LT ) Lw :=

1

2(L− LT ) (2.5.15)

2.6. TENSORI ORTOGONALI.

In uno uno spazio vettoriale euclideo E, prende il nome di tensore ortogonale o operatore

isometrico un operatore Q che conserva il modulo di ogni vettore x:

|Qx| = |x| (2.6.1)

Un tensore ortogonale Q soddisfa le seguenti proprieta:

PROPRIETA 1: Un tensore ortogonale e invertibile ed il suo inverso Q−1 e anch’esso

un tensore ortogonale.

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Il fatto che il tensore Q e invertibile discende subito dall’osservare che il nucleo di Q (cioe

l’insieme dei vettori x tali che Qx=o) coincide col vettore nullo. Ovviamente, anche il

tensore Q−1 e ortogonale; infatti, posto u=Qx, la (2.6.1) equivale alla uguaglianza:

|u| = |Q−1u|

PROPRIETA 2: Un tensore ortogonale Q conserva il prodotto scalare tra due generici

vettori.

Qx ·Qy = x · y ∀x,y (2.6.3)

Dimostrazione: Essendo Q ortogonale, risulta:

|Q(x + y)| = |x + y|Ma si ha, ricordando la definizione di modulo di un vettore x:

|Q(x + y)|2 = Q(x + y) ·Q(x + y) = |Qx|2 + |Qy|2 + 2Qx ·Qy

|x + y|2 = (x + y) · (x + y) = |x|2 + |y|2 + 2x · yUguagliando le due ultime relazioni, tenendo presente la (2.6.1) e semplificando, si ricava

la (2.6.3).

PROPRIETA 3: Il tensore inverso di un tensore ortogonale coincide con il suo trasposto:

Q−1 = QT (2.6.4)

Dimostrazione: Sia QT il trasposto del tensore Q e siano x e y due generici vettori di E.

Applicando la (24.7) ai vettori x e Qy possiamo scrivere:

Qx ·Qy = x ·QT (Qy)

cioe, tenendo presente la (2.6.3):

x · [(QT Q)y] = x · yda quest’ultima relazione, per l’arbitrarieta di x e di y, si deduce:

QT Q = U

PROPRIETA 4. Dalla definizione (2.6.1) e dalla (2.6.3) si deduce la seguente importante

proprieta dei tensori ortogonali:

Un tensore ortogonale conserva il modulo di ogni vettore e l’angolo tra due vettori; esso

e pertanto una isometria di E in se. Un tensore ortogonale Q trasforma dunque i vettori

cs di una base ortonormale nei vettori Js = Qcs di un’altra base, anch’essa ortonormale.

Js = Qcs (2.6.5)

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Osserviamo in particolare che, dato in En un generico vettore v=(vi), risulta:

w = Qv =3∑

s=1

Qvscs =3∑

s=1

vsJs (2.6.6)

cioe il tensore Q trasforma il generico vettore v in un vettore w, che ha come componenti,

rispetto alla nuova base Jh le stesse componenti del vettore v nella vecchia base ck.Ricordando adesso la (2.6.4), moltiplicando a sinistra la (2.6.5) per il trasposto QT del

tensore Q, si ottiene:

cs = QTJs. (2.6.7)

Determiniamo le componenti dell’operatore Q nella base ci. Si ha:

Qhk = ch · (Qck) = ch · Jk; (2.6.8)

d’altra parte risulta anche:

ch =3∑

k=1

(ch · Jk)Jk Jh =3∑

k=1

(Jh · ck)ck (2.6.9)

Si ha cioe:

ch =3∑

k=1

QhkJk Jh =3∑

k=1

Qkhck =3∑

k=1

QThkck (2.6.10)

da cui constatiamo, ricordando la formula (2.6) del capitolo 1, che la matrice Qhk e una

matrice di cambiamento di base, tra basi ortonormali. Essa infatti consente di passare

dalla nuova base Jh alla vecchia base ck. La sua inversa Q−1 = QT consente di

passare dalla vecchia base alla nuova.

Concludiamo dunque che il tensore Q ha due interpretazioni differenti. La prima

interpretazione (detta attiva) consente di passare dai versori ci di una base ortonormale ad

i versori Ji di un’altra base anch’essa ortonormale. La seconda (detta passiva) interpreta

la matrice Qhk come matrice di cambiamento di base: dai vettori Ji ai vettori ci.

PROPRIETA 5: La matrice delle componenti di un operatore ortogonale, in una base

ortonormale, e una matrice ortogonale.

Dimostrazione. Sia ci una base ortonormale; sia poi (Qij) la matrice delle componenti

dell’operatore Q nella base assegnata. Dalla (2.6.4) si deduce:

Q−1rs = QT

rs = Qsr

Concludiamo dunque che, in una base ortonormale, la matrice delle componenti di un

tensore ortogonale e una matrice ortogonale. Se si interpreta tale matrice come matrice

di cambiamento di base tra basi ortonormali, ritroviamo la nota proprieta che, in uno

spazio vettoriale euclideo, la matrice di cambiamento di base - tra basi ortonormali - e

una matrice ortogonale.

Mostriamo adesso che gli elementi di una matrice ortogonale non sono indipendenti.

Tenendo presente la (2.6.10)2 e ricordando che jh sono i versori di una base ortonormale,

si ricava:

jh · jk =3∑

i,s=1

(Qihci)(Qskcs) =3∑

i,s=1

QihQskδis =3∑

s=1

QshQsk

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cioe:3∑

s=1

QshQsk = δhk (2.6.11)

Allo stesso modo, utilizzando la (2.6.10)1, si ricava:

3∑

s=1

QhsQks = δhk (2.6.12)

Osserviamo infine che la matrice delle componenti di un operatore ortogonale soddisfa

la relazione

det(Qij) = ±1 (2.6.13)

Un tensore ortogonale Q, per cui risulta det(Qij) = +1 e detto operatore ortogonale

positivo.

Un operatore ortogonale Q, per cui risulta det(Qij) = −1 e detto operatore ortogo-

nale negativo.

In particolare, se Q e un tensore ortogonale positivo, esso conserva anche l’orientamento

delle basi, invece un tensore ortogonale negativo manda una base levogira in una base

destrogira e viceversa.

PROPRIETA 6:

I tensori ortogonali formano un gruppo rispetto al prodotto di tensori definito nella (24.6).

Si lascia come esercizio al lettore la verifica di questa proprieta.

Denoteremo con O(E) il gruppo dei tensori ortogonali:

O(E) := Q ∈ Lin (E) : Qx ·Qx = x · x, ∀x ∈ E (2.6.14)

e lo chiameremo gruppo ortogonale.

TENSORI ORTOGONALI POSITIVI. ROTAZIONI

Consideriamo uno spazio vettoriale euclideo di dimensione 3, e lo spazio affine E3 ad esso

associato. Le considerazioni ora fatte, ci portano ad affermare che, fissato un punto O

di E3, il tensore Q agisce su un riferimento levogiro di origine O ed assi x1, x2, x3 di

versori c1, c2, c3, trasformandolo in un riferimento levogiro di origine O ed assi y1, y2, y3 di

versori J1,J2,J3. Possiamo dunque dire che un tensore ortogonale positivo caratterizza

una rotazione rigida dello spazio intorno ad un punto fisso O.

ESEMPIO 1. L’operatore manovella, gia definito nel paragrafo 2, e un operatore

ortogonale, infatti esso, ruotando semplicemente i vettori di E2, non ne altera il modulo.

Esso inoltre conserva l’orientamento delle basi; e dunque un operatore ortogonale positivo.

Verifichiamo che la matrice (19.13) delle sue componenti e una matrice ortogonale. E

sufficiente mostrare che il prodotto righe per colonne della matrice (iij)T per la matrice

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(iij) e uguale alla matrice identita:

QT Q =(

0 −11 0

) (0 1−1 0

)=

(1 00 1

)(2.6.15)

ESEMPIO 2. Nello spazio euclideo tridimensionale E3, e un ortogonale positiva la

rotazione Qz(φ) di un angolo φ, intorno ad un asse, ad esempio l’asse di versore c3.

Infatti, tale operatore, come nel piano l’operatore manovella, non altera il modulo dei

vettori di E3, ne l’orientamento delle basi. Come si verifica immediatamente, la matrice

delle sue componenti e:

(Qz (φ))ij =

cos φ − sin φ 0sin φ cos φ 0

0 0 1

(2.6.16)

Ovviamente tale matrice e una matrice ortogonale.

Osservazione. Se si pone φ = π2, otteniamo Qz

(π2

), cioe la rotazione di 90o in verso an-

tiorario, intorno all’asse z. Ovviamente la restrizione di tale operatore ai vettori del piano

c1, c2 si identifica con l’operatore manovella. Come mostrato nel paragrafo 2, l’operatore

manovella e anche la restrizione, allo spazio E2, dell’operatore c3∧. Tuttavia i due tensori

Qz

(π2

)e c3∧ non si identificano, come si evidenzia subito osservando che, mentre il primo

e un tensore ortogonale positivo, non singolare, il secondo, avendo come componenti una

matrice antisimmetrica, e singolare.

I tensori ortogonali positivi costituiscono un sottogruppo (proprio) del gruppo ortogo-

nale O(E), che si indica con

SO(E) := Q ∈ O(E) : detQ = 1 (2.6.17)

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CAPITOLO III

SISTEMI DI VETTORI APPLICATI

Nello studio dei fenomeni meccanici si incontrano spesso grandezze vettoriali che dipen-

dono anche dal punto dello spazio in cui vengono applicate. Esempi di tali grandezze

sono le Forze. Le forze, infatti vengono applicate a punti di corpi materiali, ed il loro

effetto dipende dal punto del corpo in cui vengono applicate. E dunque indispensabile,

nello studio della Meccanica, approfondire lo studio degli insiemi di vettori applicati.

3.1. VETTORI APPLICATI.

Ricordiamo che prende il nome di vettore applicato una coppia ordinata (A,B) di

punti dello spazio E3. Un vettore applicato e dunque quel particolare ente geometri-

co caratterizzato da modulo, direzione, verso e punto di applicazione. Nel seguito lo

indicheremo con il simbolo

(A,v). (3.1.1)

La retta a passante per A e parallela al vettore v si dice retta di applicazione o retta

di azione del vettore v.

Figura 3.1.1

Accanto al concetto fondamentale di vettore applicato, si introduce in Meccanica

Razionale anche il concetto di cursore. Prende il nome di cursore l’ente geometrico

caratterizzato da modulo, direzione, verso e retta di applicazione, che verra nel seguito

indicato con il simbolo

(a,v). (3.1.2)

Cosı, ad esempio, i due vettori applicati (A,v) e (B,v) di fig 3.1.1 rappresentano lo

stesso cursore. Invece (A,v) e (C,v) rappresentano due cursori diversi, perche applicati

su diverse rette di applicazione. I tre vettori applicati (A,v), (B,v) e (C,v) sono invece

tre rappresentanti dello stesso vettore v.

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3.2. MOMENTO POLARE

Sia (A,v) un vettore applicato nel punto A, e Q un punto qualsiasi dello spazio puntuale

euclideo tridimensionale E3.

Si chiama momento polare del vettore applicato (A,v) rispetto al polo Q il prodotto

vettoriale:

MQ = QA ∧ v (3.2.1)

Si noti che al momento polare MQ ora definito non viene associato alcun punto di appli-

cazione. Esso e pertanto un vettore libero.

DETERMINAZIONE ANALITICA DEL MOMENTO POLARE

Sia O, x, y, z un riferimento ortonormale positivo in E3 e siano i, j,k i suoi versori. Dette

(xA, yA, zA) le coordinate del punto A, (xQ, yQ, zQ) le coordinate del punto Q e (vx, vy, vz)

le componenti del vettore v, risulta:

QA ∧ v =

∣∣∣∣∣∣∣

i j kxA − xQ yA − yQ zA − zQ

vx vy vz

∣∣∣∣∣∣∣(3.2.2)

Esercizio 3.2.1: Calcolare il momento del vettore v= (3,−1, 2)T , applicato nel punto P

di coordinate (0,1,2), rispetto al punto Q di coordinate (3,1,0).

DETERMINAZIONE SINTETICA DEL MOMENTO POLARE

Si consideri il piano π contenente la retta di applicazione a del vettore applicato (A,v) ed

il punto Q, che si suppone esterno alla retta a (fig. 3.2.1a). Il momento polare MQ, che

per comodita e stato applicato in Q, e un vettore (libero), diretto normalmente al piano

π, che vede antioraria la rotazione che porta QA su v. Per individuare facilmente il verso

del vettore momento polare di (A,v) rispetto al polo Q, possiamo anche dire che il verso e

tale che il vettore MQ, supposto applicato in Q, veda scorrere il vettore v sulla sua retta

di applicazione, in verso antiorario.

Figura 3.2.1

Se si sceglie nel piano π, che contiene a e Q, un riferimento con origine Q, assi x e y

su questo piano e z ortogonale a π, in modo che Q,x, y, z sia un riferimento ortogonale

levogiro, detti i, j e k i versori di tali assi, il momento del vettore v rispetto al polo Q

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risulta parallelo all’asse z, mentre il suo verso e concorde con k (cioe uscente dal foglio)

se il punto Q vede scorrere v sulla sua retta di applicazione in verso antiorario (vedi

fig. 3.2.1a), e discorde con k (cioe entrante dentro il foglio) se il punto Q vede scorrere v

sulla sua retta di applicazione in verso orario (vedi fig. 3.2.1b).

Figura 3.2.2

Il modulo del momento polare MQ, essendo uguale all’area del parallelogrammo costruito

su QA e v, e dato da:

MQ = |MQ| = |QA| |v| sin α

dove α e l’angolo tra QA e v. Denotiamo con b la distanza della retta a di applicazione

del vettore v dal polo Q e con v il modulo del vettore v; possiamo scrivere:

MQ = bv (3.2.3)

Il numero reale positivo b ora introdotto, prende anche il nome di braccio del vettore

applicato (A,v) rispetto al polo Q.

Il momento polare soddisfa le seguenti proprieta:

Proprieta 3.2.1: Il momento polare di un vettore applicato si annulla se e solo se il

punto Q appartiene alla retta a di applicazione del vettore v.

MQ = 0 ⇐⇒ Q ∈ a (3.2.4)

Proprieta 3.2.2: Il momento polare di un vettore applicato non varia se si sposta il

vettore sulla sua retta di applicazione.

DIMOSTRAZIONE: Sia A’ un qualunque altro punto della retta a di applicazione del

vettore v (fig. 3.2.3). Si ha:

QA’ ∧ v = (QA+AA’) ∧ v = QA ∧ v + AA’ ∧ v

essendo AA’ e v paralleli, il loro prodotto vettoriale si annulla, otteniamo cosı:

QA’ ∧ v = QA ∧ v (3.2.5)

55

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Figura 3.2.3

Pertanto, il concetto di momento polare resta definito anche per i cursori; notiamo invece

che tale concetto non ha senso per i vettori liberi.

L’esigenza di introdurre in Meccanica il concetto di momento di un vettore rispetto a

un punto (e quindi il concetto di prodotto vettoriale tra vettori) appare evidente quando

si considera ad esempio l’effetto di una forza (A,F), applicata in un punto A di un corpo

rigido girevole intorno ad un asse fisso, passante per Q: infatti, come si vedra in seguito,

il vettore QA∧F rappresenta totalmente tale effetto, in quanto e in grado di tener conto,

con il suo modulo |MQ| = bF , della forza F e della sua distanza dall’asse di rotazione,

con la sua direzione dell’asse di rotazione e con il suo verso del senso della rotazione.

Il concetto di momento di una forza rispetto a un punto e un concetto fondamen-

tale della statica (cioe dell’equilibrio) dei corpi rigidi. Cio si comprende, ad esempio,

considerando una leva (cioe un’asta AB, di lunghezza l, imperniata in un suo punto C).

L’esperienza insegna che, se il perno C e il punto medio dell’asta AB, se si applica una forza

F sul punto A della leva, perche l’asta sia in equilibrio e necessario applicare nel punto B

una forza F, identica a quella che e stata applicata in A. Se invece il perno C e posto ad

una distanza disuguale dai due estremi, ad esempio, |AC| = l/3 e |CB| = 2l/3, le forze

che devono essere applicate nei punti A e B della leva sono inversamente proporzionali

alle distanze di A e B dal perno C. Soddisfano cioe la relazione:

CA ∧ FA = −CB ∧ FB

3.3. MOMENTO ASSIALE

Sia (A,v) un vettore applicato, a la sua retta di applicazione, r una retta orientata dello

spazio, di versore u, e Q un qualunque punto di r.

Si chiama Momento assiale del vettore applicato (A,v) rispetto alla retta orientata

r, lo scalare:

Mr = QA ∧ v · u (3.3.1)

DETERMINAZIONE ANALITICA DEL MOMENTO ASSIALE

Sia O, x, y, z un riferimento ortonormale positivo in E3, dette (xA, yA, zA) le coordinate

del punto A, (xQ, yQ, zQ) le coordinate del punto Q, (vx, vy, vz)T le componenti del vettore

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v, (ux, uy, uz)T le componenti del versore u, possiamo scrivere:

QA ∧ v · u =

∣∣∣∣∣∣∣

xA − xQ yA − yQ zA − zQ

vx vy vz

ux uy uz

∣∣∣∣∣∣∣(3.3.2)

Osserviamo che la definizione di momento assiale sembra non ben posta, in quanto appare

dipendere dal punto Q della retta r. Vale invece la seguente:

Proprieta 3.3.1. Il momento assiale non varia quando si fa variare Q sulla retta r.

DIMOSTRAZIONE: Sia Q’ un punto di r, distinto da Q. Calcoliamo il prodotto misto

dei tre vettori Q’A, v, e u. Si ha:

Q’A ∧ v · u = (Q’Q+QA) ∧ v · u = Q’Q ∧ v · u + QA ∧ v · uOsservando che Q’Q e parallelo a u, si deduce che il prodotto misto Q’Q∧v · u si annulla;

conseguentemente:

Q’A ∧ v · u = QA ∧ v · u (3.3.3)

Ovviamente, anche per il momento assiale vale la seguente:

Proprieta 3.3.2. Il momento assiale non varia quando si fa variare il punto di appli-

cazione del vettore v sulla retta a.

Notiamo cosı che il concetto di momento assiale, come quello di momento polare, resta

definito anche per i cursori.

E importante osservare la seguente:

Proprieta 3.3.3. Il momento assiale si annulla se e solo se la retta di azione di v e

parallela od incidente la retta a.

Infatti, in tal caso, i tre vettori QA, v e u risultano complanari, e quindi il loro prodotto

misto si annulla.

DETERMINAZIONE SINTETICA DEL MOMENTO ASSIALE

Consideriamo dapprima il caso particolare in cui la retta a di applicazione del vettore

v e la retta r risultano perpendicolari tra loro e non incidenti. E questo il caso che si

presenta quando il vettore v appartiene ad un piano π e la retta r e ortogonale al piano

π. Denotiamo con z tale retta, con k il suo versore, e sia Q il punto di intersezione tra z e

π (vedi fig. 3.3.1a). In questo caso il momento polare MQ risulta parallelo a z, ed il suo

modulo coincide con il valore assoluto del momento assiale Mz. In questo caso, pertanto,

il momento polare del vettore v rispetto al punto Q si scrive:

MQ = Mzk con Mz = ±|MQ| (3.3.4)

Detta b la distanza della retta a dal polo Q, v il modulo del vettore v e k il versore del

piano π, si ha:

Mz = QA ∧ v · k = ±bv (3.3.5)

dove e da prendere il segno + se il versore k, uscente da π, supposto applicato in Q, vede

il vettore v scorrere in verso antiorario, il segno - nel caso opposto (vedi fig. 3.3.1b).

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Figura 3.3.1

Consideriamo adesso il caso in cui le rette r ed a non sono perpendicolari tra di loro. Sia

Q un punto di r e π il piano che contiene Q e la retta di applicazione a del vettore v

(fig. 3.3.2).

Figura 3.3.2

Sia α l’angolo che la retta r forma con la direzione di MQ (ovviamente ortogonale a π).

Detto b il braccio di v rispetto a Q, risulta:

Mr = bv cos α (3.3.6)

Una differente determinazione del momento assiale si ottiene considerando il piano π

per A ortogonale ad r; sia Q il punto di intersezione tra r e π (vedi fig. 3.3.3a). Decom-

poniamo v secondo le tre direzioni mutuamente ortogonali individuate da r, QA e dalla

direzione ortogonale al piano π, (tali componenti si sogliono anche chiamare componenti

cilindriche del vettore v). Siano v1,v2,v′ tali vettori componenti. Solo il componente v′

di v ortogonale sia ad r che a QA contribuisce al prodotto misto. Detta d la lunghezza

del vettore QA, si ha:

Mr = ±dv′ (3.3.7)

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(a) (b)

Figura 3.3.3

Un altro modo per effettuare una determinazione sintetica del momento assiale e il

seguente. Siano Q∗ ∈ r e A∗ ∈ a i punti di minima distanza tra r ed a (vedi figura

3.3.3b). Come e noto, il vettore Q∗A∗ che congiunge tali punti e ortogonale sia ad r

che ad a. Calcoliamo il momento assiale del vettore applicato (A,v) rispetto ad r. Se si

scompone v nei suoi componenti v⊥ e v′′, rispettivamente normale e parallelo ad r, solo

il componente v⊥ ortogonale ad r contribuisce al momento assiale. Si ottiene cosı, detto

u il versore di r:

Mr = QA ∧ v · u = Q∗A∗ ∧ v⊥ · u (3.3.8)

Notiamo adesso che i tre vettori Q∗A∗, v⊥ ed u sono mutuamente ortogonali. Denotata

con b∗ = |Q∗A∗| la distanza tra le due rette a ed r, e con v⊥ il modulo del vettore v⊥,

risulta:

Mr = ±b∗v⊥ (3.3.9)

ove e da prendersi il segno + o il segno - a seconda che la terna Q∗A∗, v⊥ e u sia levogira

o destrogira.

ESERCIZIO 3.3.1. Determinare il momento del vettore v = (−1, 1, 2)T applicato nel

punto A = (1, 1, 0) rispetto all’asse z.

DETERMINAZIONE ANALITICA. Si ha:

Mz = OA ∧ v · c3 =

∣∣∣∣∣∣∣

1 1 0−1 1 20 0 1

∣∣∣∣∣∣∣= 2

DETERMINAZIONE SINTETICA. Con riferimento alla figura 3.3.3b, scelto Q coinci-

dente con O e la retta r come asse z, decomponiamo il vettore v nei due componenti

parallelo e ortogonale all’asse z. Si ha: v⊥ = (−1, 1, 0)T e v′′ = (0, 0, 2)T . Constatato che

solo v⊥ contribuisce a Mz e che OA e perpendicolare a v⊥, osservando che |OA| = √2 e

|v⊥| =√

2, si deduce subito

Mz =√

2√

2 = 2

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3.4. SISTEMI DI VETTORI APPLICATI: RISULTANTE E MOMENTO

Dicesi Sistema di vettori applicati l’insieme formato da piu vettori applicati.

Un sistema di forze applicate in punti di un corpo rigido e un esempio di sistema di

vettori applicati. Un insieme costituito da un numero finito di forze applicate in punti

distinti dello spazio si dira discreto, un insieme costituito da infiniti vettori applicati in

una regione continua dello spazio si dira continuo. Parleremo nel primo caso di forze

concentrate in punti del corpo rigido (ad esempio un insieme di molle o di funi), nel

secondo caso di una sollecitazione distribuita (o continua) di forze (ad esempio la forza

peso, che agisce su ogni elemento del corpo rigido in esame).

RISULTANTE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI

Sia Σ = (A1,v1), (A2,v2), ..., (An,vn) un sistema di vettori applicati.

Si definisce Risultante di Σ il vettore libero, somma vettoriale dei singoli vettori appli-

cati:

R =n∑

i=1

vi (3.4.1)

MOMENTO RISULTANTE POLARE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI

Si definisce Momento risultante polare MQ di Σ rispetto al polo Q il vettore libero,

somma dei momenti polari dei singoli vettori applicati:

MQ =n∑

i=1

QAi ∧ vi (3.4.2)

Lo studente stia ben attento a non confondere il momento risultante di Σ con il momento

del risultante R. Non ha senso, infatti, parlare di momento del risultante R, in quanto,

quest’ultimo, come del resto MQ e un vettore libero.

MOMENTO RISULTANTE ASSIALE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI

Si definisce Momento risultante assiale Mr di Σ rispetto alla retta r di versore u

lo scalare somma dei momenti assiali dei singoli vettori applicati:

Mr =n∑

i=1

QAi ∧ vi · u (3.4.3)

FORMULA DI TRASPOSIZIONE DEI MOMENTI

Determiniamo la legge di variazione del momento risultante MQ al variare del polo Q

rispetto a cui esso e calcolato. Preso comunque un altro punto P, decomponendo il vettore

PAi nella somma di PQ e di QAi, si ottiene:

MP =n∑

i=1

PAi ∧ vi =n∑

i=1

(PQ + QAi) ∧ vi

60

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applicando la linearita del prodotto vettoriale:

MP =n∑

i=1

PQ ∧ vi +n∑

i=1

QAi ∧ vi = PQ ∧n∑

i=1

vi + MQ

Ricordando la definizione di risultante del sistema di vettori applicati, otteniamo infine

la seguente Legge di variazione del momento polare:

MP = MQ + PQ ∧R (3.4.4)

E importante osservare la seguente proprieta, di cui si lasca la verifica al lettore:

Proprieta 3.4.1: Il momento risultante polare MQ non dipende dal polo se e solo se il

sistema Σ e a risultante nullo.

COPPIE.

Si chiama coppia il sistema formato da due vettori applicati, paralleli, discordi e di uguale

modulo.

Si chiama intensita della coppia il valore comune del modulo di ciascun vettore della

coppia. Si chiama braccio della coppia la distanza tra le rette di applicazione dei due

vettori.

Una coppia di braccio nullo e una coppia di vettori che hanno la stessa retta di

applicazione.

Figura 3.4.1

Valgono le seguenti proprieta, di verifica immediata:

Proprieta 3.4.2: Il risultante di una coppia e nullo: R=0.

Proprieta 3.4.3. il momento di una coppia non dipende dal polo:

MQ = MP ∀Q,∀P

Per questo motivo, nel seguito, nell’indicare il momento di una coppia, scriveremo sem-

plicemente M, senza indicare il polo.

Siano (A,v) e (B,-v) i due vettori della coppia. Sia π il piano che la contiene e N il

versore normale al piano π.

Determiniamo il momento della coppia. Scegliamo come polo il punto di applicazione

di uno dei due vettori, ad esempio B. Si ha:

M = MB = BA ∧ v = ±bvN (3.4.6)

61

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Figura 3.4.2

Il momento polare e un elemento caratteristico delle coppie, in quanto, data una cop-

pia, e unico il suo momento M; viceversa, dato un vettore momento M, esso e sempre

rappresentabile tramite una coppia in cui il vettore v ed il braccio b siano tali che vb = M

e la terna AB, v, M sia levogira. Ovviamente, vi sono infinite coppie atte a rappresentare

un dato momento M.

In particolare osserviamo che il momento di una coppia non varia se il piano che la

contiene si sposta parallelamente a se stesso o ruota di un angolo qualsiasi intorno ad un

asse ad esso perpendicolare.

Infine, il momento assiale di una coppia rispetto ad una retta orientata r, di versore

u, denotato con α l’angolo formato tra il versore N ortogonale al piano della coppia ed il

versore u della retta r, e dato da:

Mr = ±bv cos α.

3.5. TEOREMI DI VARIGNON.

Vale il seguente teorema di Varignon per il momento polare:

Teorema 3.5.1: Se i vettori di Σ sono applicati su rette concorrenti in un punto A, il

momento risultante di Σ rispetto ad un polo Q coincide con il momento rispetto a Q del

risultante R di Σ applicato in A.

Figura 3.5.1

DIMOSTRAZIONE: Ricordando che il momento polare non varia trasportando i vet-

tori lungo la loro retta di applicazione, si ha:

MQ =n∑

i=1

QAi ∧ vi =n∑

i=1

QA ∧ vi = QA ∧n∑

i=1

vi = QA ∧R

62

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Vale un analogo teorema di Varignon per il momento risultante assiale:

Teorema 3.5.2: Se i vettori di Σ sono applicati su rette concorrenti in un punto A, il

momento risultante assiale di Σ rispetto ad una retta r coincide con il momento rispetto

ad r del risultante R di Σ applicato in A.

La dimostrazione di questo teorema e una immediata conseguenza del teorema prece-

dente.

3.6. INVARIANTE SCALARE, MOMENTO MINIMO E ASSE CENTRALE

Prende il nome di invariante scalare o trinomio invariante del sistema di vettori applicati

Σ il prodotto scalare del momento polare MQ per il risultante R.

I = MQ ·R (3.6.1)

Come si verifica facilmente, tale quantita risulta invariante al variare del polo. Infatti:

MQ ·R = (MP + QP ∧R) ·R = MP ·R

Anche la componente di MQ parallela ad R non varia al variare del polo. Si verifica

infatti immediatamente:

MQ · vers R = MP · vers R (3.6.2)

E utile decomporre il vettore MQ nei suoi due componenti parallelo e normale al vettore

R; denotiamo con ~µ il vettore proiezione di MQ su R e con NQ il vettore proiezione di

MQ sul piano π ortogonale ad R:

~µ = P||RMQ = (MQ · vers R) vers R, NQ = P⊥RMQ = MQ − ~µ. (3.6.3)

Come si verifica facilmente, risulta:

MQ ·R = (~µ + NQ) ·R = ~µ ·R

da cui, indicato con µ il modulo del vettore ~µ, si ha:

I = ±µR (3.6.4)

ove e da prendere il segno + o il segno - a seconda che i due vettori ~µ ed R siano concordi

o discordi.

Osserviamo infine che, essendo ~µ ed NQ ortogonali tra loro risulta:

|MQ| ≥ µ

Mostreremo nel prossimo paragrafo che esistono punti di E3 rispetto ai quali il momento

del sistema di vettori applicati Σ e proprio uguale a ~µ. Per questo motivo ~µ prende il

nome di momento minimo (cioe di modulo minimo) del sistema Σ ed e anche spesso

indicato con Mmin. Risulta:

~µ = Mmin =IR

vers R =IR2

R. (3.6.5)

63

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ASSE CENTRALE DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI

Sia Σ un sistema di vettori applicati, di risultante R e momento risultante rispetto al

polo Q MQ. Decomponiamo MQ nei suoi due componenti parallelo e normale al vettore

R; con le notazioni introdotte nel numero precedente:

MQ = ~µ + NQ (3.6.6)

Determiniamo il luogo dei punti A dello spazio tali che:

NQ = QA ∧R (3.6.7)

Si tratta di un’equazione vettoriale nella incognita QA. Quest’equazione ammette cer-

tamente soluzioni poiche per costruzione NQ e ortogonale ad R. In quest’ipotesi, come

mostrato nel primo capitolo, sappiamo che l’equazione vettoriale ammette infinite soluzioni,

e che il luogo cercato e una retta. Per determinarla moltiplichiamo l’ultima equazione a

destra vettorialmente per R; si ottiene:

NQ ∧R = (QA ∧R) ∧R = (QA ·R)R−R2QA

Ricavando da quest’equazione QA, si ha:

QA =R ∧NQ

R2+

QA ·RR2

R

Il vettore (R ∧NQ)/R2 e un vettore ortogonale sia ad R che a NQ, di modulo NQ/R; il

vettore (QA ·R/R2)R e un generico vettore parallelo ad R. Otteniamo cosı:

QA =R ∧NQ

R2+ λR (3.6.8)

Figura 3.6.1

Mostriamo che la retta a cosı trovata non dipende dal punto Q, rispetto a cui e stato

calcolato il momento risultante di Σ. A tale scopo, supponiamo che, scegliendo come polo

un punto Q′, diverso da Q, si pervenga ad una retta a′. Denotati con A′ i punti della

retta a′, possiamo scrivere:

MQ′ = ~µ + Q′A′ ∧R

ma anche

MQ = ~µ + QA ∧R

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Sottraendo membro a membro:

MQ′ −MQ = (Q′A′ −QA) ∧R (3.6.9)

ma e anche, per la formula di trasposizione dei momenti:

MQ′ −MQ = QQ′ ∧R (3.6.10)

Uguagliando (3.6.9) e (3.6.10), si ottiene:

(Q′Q -Q′A′ + QA) ∧R = 0

deduciamo dunque A′A∧R=0; il che implica che A′A e parallelo a R. Poiche A appartiene

alla retta a, ed A′ alla retta a′, deduciamo che le due rette a e a′ devono coincidere.

Il luogo cercato e dunque la retta a, parallela ad R, contenuta nel piano π, passante

per Q, ortogonale a NQ e distante dal punto Q la quantita d = NQ/R. Infine, la retta a

e tale che la terna QA∗, R, NQ e levogira, avendo indicato con A∗ il punto di a distante

d da Q.

La retta a di cui si e provata l’esistenza e l’unicita prende il nome di asse centrale

del sistema di vettori applicati Σ. Per determinarla, una volta noti i vettori caratteristici

del sistema Σ possiamo utilizzare la formula (3.6.8), che si puo anche scrivere, ricordando

che essendo ~µ parallelo ad R risulta R ∧NQ = R ∧MQ, nel seguente modo:

QA =R ∧MQ

R2+ λR (3.6.11)

o anche, fissato un qualunque punto O:

OA = OQ +R ∧MQ

R2+ λR (3.6.12)

Questa relazione consente di scrivere l’equazione dell’asse centrale a in forma parametrica,

in funzione del parametro λ.

PROPRIETA DELL’ASSE CENTRALE

L’asse centrale di un sistema di vettori applicati gode delle seguenti proprieta:

a) e parallelo al risultante R di Σ.

b) e il luogo dei punti A∈ E3 tali che MA||R oppure e nullo. Risulta infatti MA = ~µ.

c) e il luogo dei punti A∈ E3 rispetto ai quali il momento del sistema di vettori applicati

e minimo.

Oltre che sfruttando la formula (3.6.12), l’asse centrale di un sistema di vettori applicati

Σ puo essere determinato facilmente utilizzando la proprieta b).

Introduciamo per semplicita un sistema di assi cartesiani ortogonali con origine O

coincidente con Q e tale che il risultante R di Σ sia parallelo all’asse z ed il momento

risultante rispetto a O sia contenuto nel piano y, z (fig. 3.6.1). Denotiamo con (0, 0, Rz)T

le componenti del risultante R, con (0,MOy, MOz)T le componenti del momento MO e

65

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con (xA, yA, zA) le coordinate del punto A. Applicando la formula di trasposizione (3.4.4)

il momento risultante del sistema rispetto al polo A vale:

MA = (−RzyA, MOy + RzxA, MOz)

Imponendo che MA coincida con ~µ si ottiene l’equazione dell’asse centrale (nel riferimento

scelto): yA = 0xA = −MOy

R

ESERCIZIO 3.6.1. Dato il sistema di quattro vettori applicati

Σ = ( A 1,v1) ;(A2, v2) ; (A3, v3) ;(A4, v4) dove

A1=(0,0,1), v1 = [1, 1, 0]T ; A2=(-1,0,1), v2 = [−1, 1, 0)]T ;

A3=(0,1,1), v3 = [1, 1, 1]T ; A4=(0,0,1), v4 = [0, 0, 1)]T ;

determinare:

a) il risultante ed il momento risultante di Σ rispetto ai poli O=(0,0,0) e Q=(0,0,2);

b) l’invariante scalare;

c) i due componenti ~µ ed NQ del momento polare parallelo e normale al risultante;

d) l’asse centrale di Σ.

RISOLUZIONE. Si ha R = (1, 3, 2)T e R = |R| = √14.

Per il calcolo di MO, osservato che A1 e A4 coincidono, applicando il teorema di

Varignon, possiamo sostituire ai due vettori applicati (A1,v1) e (A4,v4) il loro risultante

w1 = v1 + v4 applicato in A1 = A4. Ugualmente, possiamo sostituire ai due vettori

applicati (A2,v2) e (A3,v3) il loro risultante w2 = v2 + v3 applicato in A2 = A3. Si ha:

MO =

0 −1 01 0 00 0 0

111

+

0 2 0−2 0 00 0 0

021

=

−110

+

−100

=

−210

Per calcolare MQ possiamo applicare la legge di trasposizione dei momenti, ottenendo

MQ = MO + QO ∧R =

−210

+

0 2 0−2 0 00 0 0

132

=

4−10

L’invariante scalare e:

I = MO ·R = 1

Il momento minimo ~µ e:

µ =IR2

R =1

14

132

66

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Si ha poi

NQ = MQ − µ =(

55

14,−17

14,− 2

14

)

Infine, l’equazione dell’asse centrale si puo determinare con la formula (3.6.12):

OA =R ∧Mo

R2+ λR =

1

14

0 −2 32 0 −1−3 1 0

−210

+ λ

132

=

− 2

14+ λ

− 414

+ 3λ

− 714

+ 2λ

ESERCIZIO 3.6.2

Cinque forze, di uguale intensita F = 2N , sono applicate nei vertici di un cubo, di spigolo

l = 10 cm, come in figura. Determinare:

a) il risultante ed il momento risultante di Σ rispetto ai poli O=(0,0,0) e Q=(0,10,10);

b) l’invariante scalare;

c) i due componenti ~µ ed NQ del momento polare parallelo e normale al risultante;

d) l’asse centrale di Σ.

ESERCIZIO 3.6.3

Un corpo rigido e sottoposto all’azione di tre forze F1, F2 e F3, parallele agli assi co-

ordinati, dirette come in figura. I loro punti di applicazione A, B e C distano a, b e c

dall’origine degli assi. Determinare

a) i due componenti ~µ ed NO del momento polare parallelo e normale al risultante;

b) la condizione che devono soddisfare le tre forze perche il loro asse centrale passi per

l’origine O delle coordinate.

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3.7. EQUIVALENZA E RIDUCIBILITA DI SISTEMI DI VETTORI APPLI-

CATI

Il concetto di equivalenza tra sistemi di vettori applicati e strettamente legato al problema

dello studio dell’equilibrio e del moto dei sistemi rigidi: come vedremo in seguito, infatti,

sistemi di forze equivalenti applicate ad un corpo rigido, producono gli stessi effetti (globali,

non le stesse azioni interne) sul comportamento meccanico (statico e dinamico) dei corpi

rigidi.

DEFINIZIONE: Due sistemi di vettori applicati Σ e Σ′ si dicono equivalenti se hanno

uguale risultante ed uguale momento risultante rispetto ad un qualsiasi polo:

R = R′ MQ = M′Q, ∀Q ∈ E3 (3.7.1)

Osserviamo che basta verificare che R = R′ e che MQ = M′Q per un solo Q. Sotto queste

ipotesi infatti si ha:

MP = MQ + PQ ∧R = M′Q + PQ ∧R′ = M′

P (3.7.2)

3.7.1 OPERAZIONI INVARIANTIVE.

E importante determinare le operazioni che e possibile effettuare su un sistema di vettori

applicati Σ se si vuole ottenere un sistema Σ′ equivalente al sistema dato. Tali operazioni

prendono il nome di operazioni invariantive.

Dato un sistema di vettori applicati Σ, consideriamo il seguente gruppo di operazioni,

dette Operazioni elementari.

a) la sostituzione di piu vettori applicati in un punto con il loro risultante applicato in

quel punto o viceversa la sostituzione di un vettore applicato con piu vettori applicati

nello stesso punto e che lo ammettono come risultante.

b) l’aggiunta o la soppressione di una coppia di braccio nullo.

Si ha la seguente importante proprieta, di verifica immediata:

Proprieta 3.7.1: le operazioni elementari non alterano il risultante ed il momento risul-

tante di un sistema di vettori applicati Σ.

Conseguentemente, applicando ad un insieme di vettori applicati Σ un numero finito

di operazioni elementari si ottiene un sistema Σ′ equivalente al sistema di partenza.

Si definisce anche la seguente Operazione di trasporto: c) il trasporto di un vettore

lungo la sua retta di applicazione.

Conseguenza immediata della proprieta 3.2.2 e la seguente

Proprieta 3.7.2: le operazioni di trasporto non alterano il risultante ed il momento

risultante di un sistema di vettori applicati Σ.

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Osserviamo che si puo trasportare un vettore lungo la sua retta di applicazione con due

successive operazioni elementari di tipo b). Sia (A,v) un vettore applicato sulla retta a.

Sia B un altro punto della stessa retta a. Aggiungiamo al sistema Σ la coppia di braccio

nullo costituita dai vettori (B,v), (B, -v). Sottraiamo al sistema cosı ottenuto la coppia

costituita dai vettori (A,v), (B, -v) . Si ottiene in tal modo il vettore (B,v).

3.7.2. SISTEMI EQUILIBRATI

Un sistema Σ si dice riducibile a 0 o equilibrato se con sole operazioni elementari si

puo passare dai vettori di Σ ad una o piu coppie di braccio nullo.

In un sistema equilibrato risulta:

R = 0MQ = 0 ∀Q (3.7.3)

3.7.3. MUTUA RIDUCIBILITA DI SISTEMI DI VETTORI APPLICATI.

Le operazioni introdotte nei numeri precedenti in modo formale sono particolarmente

significative quando il sistema Σ e un sistema di forze applicate ai punti di un corpo

rigido; in tal caso, infatti, operando sul sistema di forze con le operazioni invariantive non

si alterano la quiete o il movimento del corpo rigido.

DEFINIZIONE: Si dice che il sistema di vettori applicati Σ e riducibile al sistema di

vettori applicati Σ′ se con sole operazioni invariantive si puo passare dai vettori di Σ ai

vettori di Σ′.Poiche le operazioni elementari non alterano il risultante ed il momento risultante

del sistema possiamo dire che due sistemi che sono riducibili l’uno all’altro sono

equivalenti.

Viceversa, si puo dimostrare che due sistemi di vettori applicati equivalenti Σ

e Σ′, costituiti ciascuno da un numero finito di vettori applicati, si possono sempre

ridurre l’uno all’altro con un numero finito di operazioni invariantive. Basta

infatti osservare che entrambi i sistemi Σ e Σ′ possono essere ridotti, con il procedimento

illustrato negli esempi 3.8.3, 3.8.4 e 3.8.9 ad un vettore (il risultante R = R′) applicato

in un punto prefissato A e ad una coppia di momento MA = M′A.

Nel caso di sistemi costituiti da infiniti vettori applicati (come ad esempio nel caso di

forze distribuite) questa asserzione perde di senso. L’esperienza ci insegna tuttavia che

anche i sistemi di forze distribuite possono essere sostituiti da un numero finito di forze.

Nei problemi concreti si presentano spesso forze distribuite di natura diversa, equivalenti

ciascuna ad un numero finito di forze applicate in piu punti, ed e quindi importante saper

effettuare in maniera semplice, ad esempio per via grafica, la riduzione di tale sistema di

forze ad un sistema di forze piu semplice.

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3.8. APPLICAZIONI ED ESEMPI

Mostriamo adesso, con semplici esempi, come e possibile da un dato sistema di vettori

applicati Σ ottenerne un altro equivalente attraverso operazioni elementari e di trasporto.

SISTEMI PIANI

ESEMPIO 3.8.1. Dato il sistema di due vettori applicati Σ = ( A 1,v1); (A2,v2),contenuti nel piano π, non formanti coppia. Mostrare che questo sistema e equivalente al

risultante R = v1 + v2 applicato in un punto opportuno.

I caso: le rette di azione dei due vettori sono incidenti nel punto C. (Figura 3.8.1a)

Effettuiamo le seguenti operazioni:

a) trasportiamo i due vettori v1 e v2 nel punto C.

b) sostituiamo ai due vettori (C,v1) e (C,v2) il loro risultante R= v1 +v2 applicato in C.

Figura 3.8.1a Figura 3.8.1b

II caso: le rette di azione dei due vettori sono parallele (Figura 3.8.1b).

Effettuiamo le seguenti operazioni:

a) aggiungiamo la coppia di braccio nullo (A1,w); (A2, w).

b) sostituiamo ai due vettori (A1,v1) e (A1, w), applicati nello stesso punto il loro risul

tante v1 + w applicato in A1 e ai due vettori (A2,v2) e (A2,−w), applicati nel punto

A2, il loro risultante v2 −w applicato in A2.

c) trasportiamo i due vettori v1 + w e v2−w nel punto C, intersezione delle loro rette di

applicazione.

d) sostituiamo ai due vettori (C,v1 + w) e (C, v2 − w) il loro risultante R = v1 + v2

applicato in C.

OSSERVAZIONE: In entrambi i casi la retta di applicazione del risultante R e l’asse

centrale del sistema di vettori applicati.

ESEMPIO 3.8.2. Nel piano π, mostrare che un vettore applicato (P,v), e equivalente a

tre vettori applicati su tre rette a, b e c non concorrenti prefissate.

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Sia C l’intersezione della retta di applicazione del vettore v con la retta c. Dopo aver

trasportato il vettore v in C, lo si decomponga nei due vettori vc e v′, rispettivamente

paralleli alla retta c ed alla retta CQ, essendo Q l’intersezione delle rette a e b. Trasportato

il vettore v′ nel punto Q, lo si decomponga infine nei due vettori va e vb, rispettivamente

paralleli alle rette a e b.

Figura 3.8.2

ESEMPIO 3.8.3. Nel piano π, mostrare che una coppia (P,v), (Q, -v) e equivalente ad

un’altra coppia i cui punti di applicazione sono due punti assegnati A e B (di π).

Basta decomporre il vettore v secondo le direzioni PA e PB ed il vettore -v secondo le

direzioni di QA e QB. I quattro vettori ottenuti, si trasportano quindi nei due punti A

e B e si sommano a due a due. Si ottiene una nuova coppia, i cui punti di applicazione

sono proprio P e Q.

Figura 3.8.3

ESEMPIO 3.8.4. Nel piano π, mostrare che una coppia (P,v), (Q, -v) e equivalente

ad un’altra coppia i cui vettori sono perpendicolari alla retta che congiunge i punti di

applicazione dei vettori.

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Basta decomporre i due vettori v e -v secondo la direzione PQ e la direzione perpendicolare

a PQ. Dei quattro vettori che si ottengono, due costituiscono una coppia di braccio nullo,

gli altri due una coppia equivalente alla data.

Figura 3.8.4

3.8.5. COPPIA DI TRASPORTO

Dato un vettore applicato (P,v), costruire un sistema equivalente, in cui il vettore v e

applicato in un punto O, esterno alla retta r di applicazione di v.

Basta aggiungere la coppia di braccio nullo (O,v), (O,-v). Si ottiene il sistema costituito

dal vettore (O,v), e dalla coppia (P,v), (O,-v) di momento M=±bv, essendo b la distanza

del punto Q dalla retta di applicazione di (P,v). La coppia (P,v), (O,−v) prende il

nome di coppia di trasporto.

Figura 3.8.5

3.8.6. POLIGONO FUNICOLARE.

Introduciamo adesso un metodo grafico di riduzione, valido per i sistemi di vettori piani,

detto metodo del poligono funicolare. Per semplicita lo illustreremo nel caso di un sistema

di tre vettori applicati.

Sia dato un sistema piano di tre vettori Σp = ( A1,v1); (A2,v2); (A3,v3), apparte-

nenti al piano π, a risultante non nullo. Siano r1, r2 e r3 le rette di applicazione di tali

vettori.

Fissato un qualsiasi punto O0 di π, che chiameremo origine del poligono funicolare,

costruiamo, a partire da questo punto la poligonale O0, O1, O2, O3, con i vettori v1, v2 e

v3; risulta ovviamente R=O0O3 = O0P + PO3.

Consideriamo un qualsiasi punto P di π, che chiameremo polo del poligono funicolare,

non appartenente a nessuna delle rette contenenti i lati della poligonale tracciate, ne alla

retta che contiene R. Congiungiamo P con O0, O1, O2, O3, ottenendo rispettivamente i

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quattro segmenti PO0, PO1, PO2, PO3, che prendono il nome di raggi proiettanti (primo,

secondo, terzo e quarto raggio proiettante).

Sia b0 una qualunque retta di π parallela al raggio proiettante PO0. Dalla sua inter-

sezione C1 con r1 conduciamo la parallela b1 al raggio proiettante PO1, fino ad incontrare,

in C2 la retta di applicazione del secondo vettore; da C2 tracciamo la retta b2 parallela

al raggio proiettante PO2, fino ad incontrare in C3 la retta di applicazione del terzo vet-

tore; infine da C3 conduciamo la retta b3 parallela all’ultimo raggio proiettante PO3. La

poligonale di lati b0, b1, b2 e b3 prende il nome di poligono funicolare di polo P.

Figura 3.8.6

Vale il seguente:

Teorema del poligono funicolare. Il sistema Σp e equivalente al vettore O0P, applicato

su b0 piu il vettore POn, applicato su bn (PO3, nell’esempio illustrato in figura).

Osserviamo dapprima che:

v1 = O0P + PO1, v2 = O1P + PO2, v3 = O2P + PO3.

Trasportiamo quindi ciascun vettore vi lungo la propria retta di azione, fino ad avere

punto di applicazione in Ci. Quindi scomponiamo ciascun vettore vi in due vettori,

rispettivamente paralleli ai lati del poligono funicolare passanti per Ci. Sui lati intermedi

b1 e b2 del poligono funicolare si ottengono coppie di braccio nullo, che si possono eliminare.

Il sistema Σp e quindi equivalente al sistema di due soli vettori applicati O0P applicato

in b0 e O3P applicato in b3. (c.v.d.)

Osservato che i lati b0 e b3 si incontrano nel punto Ω, possiamo ancora trasportare i

vettori O0P e O3P in tale punto Ω e poi sommarli. Si ottiene il risultante R applicato

in Ω. Ovviamente, la retta di applicazione del vettore R e l’asse centrale del sistema di

vettori applicati.

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Infine, nel caso in cui Σ ha risultante nullo il punto O0 coincide con il punto On. Ne

consegue che b0 e bn sono paralleli e Σ si riduce alla coppia di vettori O0P e PO0 applicati

rispettivamente su b0 e su bn. Nel caso in cui b0 coincide con bn il sistema si riduce ad

una coppia di braccio nullo.

SISTEMI DI VETTORI APPLICATI NELLO SPAZIO

ESEMPIO 3.8.7. Mostrare che un vettore applicato (P,v), e equivalente a tre vettori

applicati in tre punti prefissati A, B e C, non allineati.

Si scelga un punto Q sulla retta di applicazione di v, che non appartenga al piano indi-

viduato dai tre punti A, B e C. Si considerino le rette a, b e c che congiungono Q con i

tre punti prefissati A, B e C. Dopo aver trasportato il vettore v in Q lo si decomponga

secondo le tre direzioni (non complanari) delle rette a, b e c. Si trasportino infime i vettori

cosı ottenuti nei punti A,B e C.

Figura 3.8.7

ESEMPIO 3.8.8. Dato il sistema di n vettori applicati Σ = ( A i,vi)(i=1,2,...,n). Mostrare

che questo sistema e equivalente a tre vettori applicati in tre punti prefissati A, B e C,

non allineati.

Basta effettuare per ciascun vettore del sistema la decomposizione dell’esempio 3.8.2 e

quindi sostituire a ciascuno degli n vettori applicati nei punti A, B e C che cosı si ottengono

la loro somma applicata in quel punto.

ESEMPIO 3.8.9. Dato il sistema di n vettori applicati Σ = ( A i,vi)(i=1,2,...,n), mostrare

che questo sistema e equivalente a due vettori applicati, dei quali uno in un punto prefissato

A.

Per quanto detto nell’esempio 3 basta far vedere che un sistema di tre vettori Σ = ( A

,vA); (B ,vB); (C ,vC), e equivalente ad un sistema di due vettori dei quali uno applicato

in A. Se i due vettori applicati (B ,vB) e (C ,vC) sono complanari il problema e subito

risolto affettuando per questi due vettori la riduzione dell’esempio 1. Analogamente se

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A appartiene alla retta di applicazione di (B ,vB) o a quella di (C ,vC), il problema si

risolve trasportando (B ,vB) (o (C ,vC)) in A.

Esclusi questi casi, consideriamo i piani πB e πC passanti per A e contenenti rispetti-

vamente i vettori vB e vC , certamente distinti. Sia r la loro intersezione, passante per A.

Scelto su r un qualunque punto Q diverso da A, scomponiamo il vettore vB, nel piano πB

in due vettori vB1 e vB2 aventi le direzioni di AB e QB ed il vettore vC , nel piano πC in

due vettori vC1 e vC2 aventi le direzioni di AC e QC. Facciamo scorrere i quattro vettori

cosı ottenuti lungo le loro rette di applicazione, fino in A e Q. Il sistema di partenza risulta

cosı equivalente ad un sistema di 5 vettori, tre applicati in A e due applicati in Q; a loro

volta questi 5 vettori sono equivalenti a due vettori, uno applicato in A e l’altro applicato

in Q.

Figura 3.8.8

ESEMPIO 3.8.10. Un sistema di vettori applicati e equivalente ad un vettore (il risultante)

applicato in un punto prefissato A e ad una coppia.

Con la costruzione dell’esempio 3.8.9 riduciamo dapprima il sistema ad un vettore v

applicato in A e ad un vettore w applicato in Q; trasportiamo anche il secondo vettore in

A aggiungendo al sistema la coppia di braccio nullo (A,w), (A,-w). Otteniamo un sistema

equivalente costituito dal vettore R=v+w, applicato in A, e dalla coppia (A,w), (Q,-w).

Figura 3.8.9

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3.9. OPERAZIONI DI RIDUZIONE

Come si e detto, e molto importante, nelle applicazioni, ridurre un sistema di vettori

applicati Σ ad un altro Σ′ che sia piu semplice, anzi il piu semplice possibile. Si pensi

all’utilita di questa operazione nello studio delle condizioni di quiete o di moto di un corpo

rigido sotto l’azione di un sistema Σ di forze; si puo studiare il problema applicando al

corpo un qualunque altro sistema di forze Σ′ equivalente al sistema Σ.

3.9.1 RIDUZIONE DI SISTEMI AD INVARIANTE SCALARE DIVERSO DA ZERO

3.9.1A. Riduzione al polo Q: prende il nome di riduzione al polo Q la trasformazione di

un sistema di vettori applicati Σ ad un altro equivalente, costituito da un vettore applicato

in Q piu una coppia.

Per effettuarla, calcolati R ed MQ, basta applicare R in Q e costruire una coppia (A,v),

(B,-v), di momento MQ, cioe una coppia di vettori, che giace in un piano ortogonale ad

MQ, tale che il prodotto tra l’intensita della coppia v ed il suo braccio sia uguale a MQ e

tale che MQ, supposto applicato in B, veda scorrere v in verso antiorario. Il sistema

Σ′ = (Q,R) ; (A,v) ; (B,-v)e equivalente a Σ.

Al variare del polo Q, varia il sistema ridotto, poiche varia il punto di applicazione di

R e varia la coppia di momento MQ. Se si sceglie come polo per effettuare la riduzione

un punto A dell’asse centrale, si ottiene la seguente operazione:

3.9.1B. Riduzione ad un polo A sull’asse centrale: In questo caso il sistema Σ viene

ridotto al risultante R applicato sull’asse centrale e ad una coppia di momento ~µ parallelo

all’asse centrale, cioe ad una coppia di vettori che giace in un piano ortogonale all’asse

centrale.

3.9.1C. Riduzione a due vettori di cui uno applicato in un punto prefissato Q.

Basta effettuare un’operazione di riduzione al polo Q, scegliendo uno dei due vettori che

compongono la coppia applicato in Q; si ottiene il sistema:

Σ′ = (Q,R) ; (A,v) ; (Q,-v)equivalente a Σ; componendo i due vettori applicati in Q, si ottiene infine il sistema:

Σ′′ = (Q,R-v) ; (A,v)

ESERCIZIO 3.9.1. Dato il sistema di vettori applicati Σ, con risultante RT = [0, 2, 1] e

momento risultante rispetto al punto O MT0 = [0, 0, 3]

a) effettuarne la riduzione al polo O;

b) effettuarne la riduzione ad un polo sull’asse centrale.

c) effettuarne la riduzione a due vettori di cui uno applicato in un polo prefissato.

RISOLUZIONE.

Quesito a: per effettuare la riduzione al polo O, basta applicare il risultante R di Σ in O

e costruire una qualunque coppia di vettori (P,v); (Q,−v) di momento uguale ad M0.

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Se vogliamo ulteriormente ridurre il sistema a due soli vettori di cui uno applicato in

O (quesito c), basta scegliere uno dei due punti di applicazione dei vettori della coppia

nel punto O e poi effettuare le operazioni indicate al punto 3.9.1C.

Come coppia di momento M0 possiamo scegliere

(O,−v), (P,v), con P ≡ (1, 0, 0), v ≡ [0, 3, 0]T

Si ottiene il sistema:

Σ′ = ( O,R) ; (P , v) ; (O, -v) equivalente a Σ; componendo i due vettori applicati in O si ottiene infine il sistema

Σ′′ = (O,R− v), (P,v) , con (R− v)T ≡ [0,−1, 1]T

equivalente a Σ′ e quindi a Σ.

Quesito b: per prima cosa determiniamo l’asse centrale a di Σ.

Detto A un punto dell’asse centrale, utilizziamo la proprieta MA||R. Si ha:

MA = MO + R ∧OA =

003

+

0 −1 21 0 0−2 0 0

xyz

=

−y + 2z

x3− 2x

Imponendo il parallelismo tra questo vettore ed R si ottiene:−y + 2z = 0

x = 65

che e l’equazione dell’asse centrale (si ricordi che nello spazio una retta e l’intersezione di

due piani). Il sistema Σ e dunque equivalente al vettore R, applicato in un punto dell’asse

centrale e ad una coppia di momento ~µ:

~µ = (MO ·R)R

R2=

06/53/5

Se vogliamo ulteriormente ridurre il sistema Σ a due vettori, di cui uno applicato

sull’asse centrale (quesito c), dobbiamo fissare un punto sull’asse centrale ed una coppia

di momento ~µ.

Scegliamo come punto A dell’asse centrale rispetto a cui fare la riduzione il punto

A =(

65, 0, 0

), e scegliamo la coppia di momento ~µ con uno dei due vettori, −v, applicato

in A. Il secondo vettore della coppia v deve essere applicato in un punto P (appartenente

al piano passante per A ortogonale al risultante), scelto in modo tale che il momento di

questo vettore rispetto ad A sia proprio ~µ. Queste condizioni si scrivono:

AP ∧ v = ~µAP · ~µ = 0v · ~µ = 0

Vi sono infiniti vettori v ed infiniti punti P che soddisfano queste relazioni. Possiamo

scegliere, ad esempio:

P = (6/5,−1, 2) e v = [3/5, 0, 0]T .

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Con questa scelta, il sistema Σ e infine equivalente al sistema:

Σ′′′ = ( O,R-v) ; (P, v ) con R− v = [−3/5, 2, 1]T .

ESERCIZIO 3.9.2. Dato il sistema di quattro vettori applicati

Σ = ( P1,v1) ;(P2, v2) ; (P3, v3) ;(P4, v4) dove P1=(1,1,1), v1 = [0, 1, 0]T ; P2=(1,0,0), v2 = [1, 2, 2]T ;

P3=(0,1,0), v3 = [−1, 0, 0]T ; P4=(0,0,1), v4 = [2, 2, 0]T ,

ridurlo a due vettori di cui uno applicato nell’origine.

RISOLUZIONE.

Si ha R = [2, 5, 2]T e MO = [−3, 0, 4]T .

Il sistema puo essere ridotto al risultante R applicato in O, e ad una coppia di momento

M0. Per ridurre ulteriormente il sistema a due soli vettori, di cui uno applicato in O,

basta scegliere uno dei due punti di applicazione dei vettori della coppia nel punto O.

Come coppia di momento M0 possiamo scegliere

(O,−v), (P,v), con P ≡ (4, 1, 3), v ≡ [0, 1, 0]T

Si ottiene il sistema:

Σ′ = ( O,R) ; (P , v) ; (O, -v) equivalente a Σ; componendo i due vettori applicati in O si ottiene infine il sistema

Σ′′ = (O,R− v), (P,v) , con (R− v) ≡ [2, 4, 2]T

equivalente a Σ′ e quindi a Σ.

3.9.2. RIDUZIONE DI SISTEMI A INVARIANTE SCALARE NULLO

Per tali sistemi si ha

MO ·R = ±µR = 0

Conseguentemente, in un sistema ad invariante scalare nullo o si annulla il momento

minimo Mmin = ~µ o si annulla il risultante R. Escludendo il caso in cui il sistema e

equilibrato (R = 0 e ~µ = 0), possono verificarsi due casi:

A) ~µ = 0 e R 6= 0;

B) R = 0 e ~µ 6= 0.

A. Riducibilita di un sistema con Mmin = 0.

Si ha la seguente:

Proprieta 3.9.2A. Un sistema Σ di vettori applicati con Mmin = 0 e riducibile al risul-

tante R applicato in un punto dell’asse centrale.

DIMOSTRAZIONE. Basta osservare che il sistema costituito dal solo risultante R, ap-

plicato in un punto A dell’asse centrale

Σ′ = (A,R)ha risultante coincidente con il risultante R di Σ e momento MA = Mmin = 0.

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B. Riducibilita di un sistema con R=0.

Si ha la seguente:

Proprieta 3.9.2B. Un sistema Σ di vettori applicati con R = 0 e riducibile ad una sola

coppia di momento M = ~µ.

DIMOSTRAZIONE. Basta osservare che, essendo il risultante di Σ nullo il momento

risultante non dipende dal polo. Quindi, una qualunque coppia Σ′

Σ′ = (A,v); (B,−v)tale che BA ∧ v = ~µ e equivalente al sistema Σ.

3.10. SISTEMI PIANI.

Un sistema di vettori applicati, contenuti tutti un un piano π prende il nome di sistema

piano. Lo indicheremo con Σπ.

Un sistema Σπ gode della seguente:

Proprieta 3.10.1: L’invariante scalare di un sistema piano e nullo.

DIMOSTRAZIONE: Risulta infatti R||π ed inoltre, detto Q un punto qualunque del

piano π, risulta MQ perpendicolare a π e quindi ad R.

Come conseguenza, deduciamo la seguente:

Proprieta 3.10.2: Un sistema piano e riducibile o ad un solo vettore applicato in un

punto dell’asse centrale o ad una coppia.

ESERCIZIO 3.10.1

Nei punti P1 = (1, 0), P2 = (0, 1) e P3 = (1,−1) di una lamina rigida piana sono applicate

le tre forze F1 = i, F2 = 2j, F3 = 2i + j. Ridurre il sistema alla forma piu semplice.

RISOLUZIONE: Si tratta di un sistema piano con risultante diverso da zero, riducibile

dunque ad un sola forza, applicata sull’asse centrale. E R = 3i + 3j, MO = −3k.

L’asse centrale e, questo caso, il luogo dei punti di momento nullo, ed ha equazione:

y = x + 1

Il sistema e dunque riducibile al vettore R applicato in un punto dell’asse centrale, ad

esempio A = (0, 1).

ESERCIZIO 3.10.2

Sia dato il sistema Σ = (A1,v1), (A2,v2), (A3,v3) di tre vettori applicati:

A1 = (3, 1, 0), A2 = (1, 1, 0), A3 = (1,−1, 0); v1 = −3j, v2 = 3i + 3j, v3 = −3i + 3j

a) determinare l’asse centrale a di Σ.

b) ridurre graficamente il sistema Σ ad un solo vettore applicato in un punto opportuno.

ESERCIZIO 3.10.3

Nei punti A1 = (3, 1), A2 = (1, 1) e A3 = (0, 1) di una lamina rigida piana sono applicate

le tre forze F1 = 2i, F2 = 2i + j, F3 = 2i− j.

Determinare sia analiticamente che graficamente l’asse centrale a del sistema di forze.

79

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3.11. SISTEMI DI VETTORI APPLICATI PARALLELI.

Sia Σp un sistema di n vettori applicati paralleli:

Σp = (Ai,vi) vi‖vj, ∀i, j (3.11.1)

Sia u il versore della direzione comune ai vettori di Σp. Si ha

R =n∑

i=1

vi || u MQ =n∑

i=1

QAi ∧ vi ⊥ u (3.11.2)

e quindi il sistema Σp e un sistema ad invariante scalare nullo:

MO ·R = 0 (3.11.3)

Se ne deduce che un sistema di vettori applicati paralleli e riducibile o ad un unico vettore

applicato sull’asse centrale o ad una coppia.

Supponiamo R 6= 0. Il sistema Σp e riducibile al vettore R applicato in un punto

dell’asse centrale. Per determinare l’asse centrale, denotiamo con v′i la componente di vi

secondo la direzione di u; si ha:

vi = v′iu, con v′i = vi · u = ±|vi| (3.11.4)

ed anche

R =n∑

i=1

vi =n∑

i=1

v′iu = R′u, con R′ = R · u =n∑

i=1

v′i (3.11.5)

Poiche il trinomio invariante e nullo, l’asse centrale e il luogo dei punti A che soddisfano

l’equazione

MA = 0.

Si ha:

MA =n∑

i=1

AAi ∧ vi =n∑

i=1

v′iAAi ∧ u =

(n∑

i=1

v′iAAi

)∧ u = 0

Pertanto l’asse centrale a e definito dalla condizione:n∑

i=1

v′iAAi ‖ u (3.11.6)

ed il sistema Σp e equivalente al vettore R applicato in un punto della retta a.

CENTRO DI UN SISTEMA DI VETTORI APPLICATI PARALLELI

Al variare di u, otteniamo un nuovo sistema di vettori applicati paralleli, il cui asse

centrale sara una nuova retta, parallela al nuovo versore u.

Mostriamo che al variare di u gli assi di tutti questi sistemi di vettori applicati paral-

leli formano una stella di rette. Il centro C di questa retta, se esiste, deve essere tale che

rispetto ad esso il momento risultante di tutti questi sistemi di vettori applicati paralleli

e zero, indipendentemente dalla direzione comune di tutti questi vettori, cioe indipenden-

temente da u. E

MC =

(n∑

i=1

v′iCAi

)∧ u (3.11.7)

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La condizione che individua questo punto C allora si scrive:

MC = 0, ∀u ⇐⇒n∑

i=1

v′iCAi = 0 (3.11.8)

Il punto C cosı individuato prende il nome di centro del sistema Σp. Esso e definito

dalla relazione:n∑

i=1

v′iCAi = 0 (3.11.9)

Determiniamo le coordinate di tale punto C in un generico riferimento di origine O.

n∑

i=1

v′iCAi =n∑

i=1

v′i(OAi −OC) = 0

e quindin∑

i=1

v′iOC =n∑

i=1

v′iOAi

pertanto

OC =1

R′

n∑

i=1

v′iOAi (3.11.10)

Le coordinate del punto C, detti x, y, z gli assi di un sistema di riferimento avente origine

in O, ed (xi, yi, zi) le cordinate del punto Ai, sono date da:

xC =1

R′

n∑

i=1

v′ixi, yC =1

R′

n∑

i=1

v′iyi, zC =1

R′

n∑

i=1

v′izi. (3.11.11)

ESERCIZIO 3.11.1. Determinare il centro del sistema Σp:

Σ = (P1,v1); (P2,v2); (P3,v3); (P4,v4)dove

P1=(1,0,0), v1 = [1,−2, 3]T ; P2=(0,1,0), v2 = [1/3,−2/3, 1]T ;

P3=(1,1,1), v3 = [3,−6, 9]T ; P4=(0,0,1), v4 = [−2, 4,−6]T ;

RISOLUZIONE.

E R = [7/3,−14/3, 7]T 6= 0. Posto u = vers v1, si ha:

v′1 =√

14 ; v′2 =√

14/3 ; v′3 = 3√

14 ; v′4 = −2√

14 ; R′ =√

14/3.

Pertanto e:

OC =1

R′

4∑

i=1

v′iOAi =3√14

(√14OP1 +

√14

3OP2 + 3

√14OP3 − 2

√14OP4

)

da cui:

OC = 6c1 − 10

3c2 + c3

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3.11.1. CENTRO DI UN SISTEMA DI DUE VETTORI PARALLELI

Come applicazione consideriamo il sistema di due vettori applicati paralleli a risultante

non nullo:

Σp = (A1,v1), (A2,v2), con v1||v2 e R = v1 + v2 6= 0

vale la seguente proprieta:

Il centro del sistema Σp appartiene alla retta r che congiunge A1 e A2, e interno al

segmento A1A2 se v1 e v2 sono concordi, esterno se v1 e v2 sono discordi, e le sue

distanze da A1 ed A2 sono inversamente proporzionali ai moduli di v1 e v2.

Dimostrazione: La (22), nel caso in esame, porge:

OC =1

R′ (v′1OA1 + v′2OA2) (3.11.12)

con O arbitrario. Scegliendo O sulla retta r passante per i due punti di applicazione A1

A2 si vede che C appartiene a tale retta.

Prendendo poi O ≡ C, deduciamo:

v′1CA1 + v′2CA2 = 0

cioe

CA2 = −v′1v′2

CA1 (3.11.13)

da cui segue che se il rapporto v′1/v′2 e positivo C e interno al segmento A1A2, mentre se

risulta v′1/v′2 negativo C e esterno al segmento A1A2. Infine, in ogni caso, si ha:

|CA2||CA1| =

|v1||v2| (3.11.14)

Determinazione grafica del centro di due vettori paralleli

La proporzionalita inversa, espressa dalla (3.11.14), suggerisce la determinazione grafica

del centro di Σp illustrata in figura 3.11.1.

Figura 3.11.1

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Il centro di un sistema di vettori applicati paralleli gode delle seguenti importanti

proprieta.

PROPRIETA 3.11.1. Il centro di un sistema Σp (a risultante non nullo) non varia, ne se

si fanno ruotare tutti i vettori di uno stesso angolo, ne se si moltiplicano per uno stesso

numero.

PROPRIETA 3.11.2. Un sistema Σp (a risultante non nullo) e equvalente al risultante

applicato nel centro.

Queste due prime proprieta discendono immediatamente dalla definizione di centro di

un Σp.

PROPRIETA 3.11.3. Questa proprieta e nota sotto il nome di

PROPRIETA DISTRIBUTIVA DEL CENTRO dei sistemi di vettori applicati paralleli.

Il centro di un sistema di vettori applicati paralleli Σp, a risultante non nullo, non varia se

Σp si decompone in piu sistemi parziali (ciascuno a risultante non nullo) e si sostituisce

a ciascuno di questi il proprio risultante applicato nel relativo centro.

Dimostrazione: Basta provarla nell’ipotesi che Σp sia decomposto in due soli sottosistemi

Σ(1)p e Σ(2)

p . Sia Σp un sistema di n vettori paralleli. Supponiamo, per semplicita, che Σ(1)p

sia costituito dai primi m vettori di Σp e Σ(2)p dai rimanenti n−m. Sia cioe

Σp = Σ(1)p

⋃Σ(2)

p (3.11.15)

con

Σ(1)p = (Ai,vi), (i = 1, 2, ...m) Σ(2)

p = (Aj,vj), (j = m + 1,m + 2, ...n)

Spezzando la sommatoria in due sommatorie, la prima estesa ai vettori di Σ(1)p e la seconda

ai vettori di Σ(2)p , si ha

OC =1

R′

m∑

i=1

v′iOAi +n∑

i=m+1

v′iOAi

.

Posto

R′(1) =

m∑

i=1

v′i R′(2) =

n∑

i=m+1

v′i

e denotando con C1 e C2 rispettivamente i centri dei due sottosistemi Σ(1)p e Σ(2)

p , si ottiene:

OC =1

R′(R′

(1)OC1 + R′(2)OC2

). (3.11.16)

PROPRIETA 3.11.4: Se i punti di applicazione dei vettori di un sistema Σp parallelo,

a risultante non nullo, appartengono tutti ad uno stesso piano π anche il centro di Σp

appartiene a π.

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PROPRIETA 3.11.5: Se i punti di applicazione dei vettori di un sistema Σp parallelo,

a risultante non nullo, appartengono tutti ad una stessa retta r anche il centro di Σp

appartiene a ad r.

Entrambe queste proprieta discendono immediatamente dalla (3.11.10), prendendo O

su π per la proprieta 4 e prendendo O su r per la proprieta 5.

PROPRIETA 3.11.6: Questa proprieta e nota sotto il nome di

PROPRIETA DI UBICAZIONE DEL CENTRO dei sistemi di vettori applicati paralleli.

Il centro C di un sistema di vettori applicati paralleli e concordi Σp e non esterno ad ogni

dominio convesso contenente tutti i punti di applicazione Ai dei vettori di Σp.

Ricordiamo che un dominio D si dice convesso se contiene il segmento congiungente

due suoi punti qualsiasi. Dimostreremo la proprieta applicando il principio di induzione

matematica.

La proprieta e vera per n = 2, come si e visto nel paragrafo 3.11.1.

Supposta vera per un Σp costituito da n − 1 vettori, mostriamo che e vera per un Σp

con n vettori.

Scomposto Σp nell’unione dei due sottosistemi

Σ(1)p = (Ai,vi), (i = 1, 2, ...n− 1) Σ(2)

p = (An,vn))

siano C1 ed R′ rispettivamente il centro ed il risultante del sistema Σ(1)p costituito dai primi

n − 1 vettori di Σp. Per ipotesi, C1 e non esterno ad ogni dominio convesso contenente

gli n − 1 punti A1, A2, .., An−1 ed e quindi anche non esterno ad ogni dominio convesso

contenente tutti i punti Ai (i = 1, 2, .., n).

Consideriamo un qualsiasi dominio convesso D contenente tutti i punti Ai (i = 1, 2, .., n).

Tale dominio contiene C ′ ed An e quindi anche il centro C del sistema costituito dal risul-

tante di Σ(1)p applicato in C1 e da (An,vn). Ma, per la proprieta distributiva, tale centro

C e proprio il centro di Σp, da cui l’asserto.

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3.12. ESERCIZI DI RIEPILOGO

1) Nei punti A1 = (0, 1, 0), A2 = (0, 1, 0) e A3 = (0, 0, 1) di un corpo rigido sono applicate

le tre forze

F1 = 2j, F2 = 2j + k, F3 = −j− k,

a) determinare l’asse centrale a del sistema di forze.

b) ridurre graficamente, se possibile, il sistema ad una sola forza e analizzare la

differenza tra il sistema considerato ed il sistema costituito dal solo risultante R

applicato sull’asse centrale.

2) Nei punti A1 = (0, 1, 1), A2 = (1, 1, 0) e A3 = (0, 1, 0) di un corpo rigido sono applicate

le tre forze

F1 = 2i, F2 = 2i + j, F3 = 2i− j,

a) determinare l’asse centrale a del sistema di forze.

b) analizzare la differenza tra il sistema considerato ed il sistema costituito dal solo

risultante R applicato sull’asse centrale.

3) Ad un cubo rigido sono applicate le tre forze (A1,F1), (A2,F2), (A3,F3) , dove:

A1 = (a, 0, 0), A2 = (0, a, 0), A3 = (0, 0, a);

F1 = (0, X,X), F2 = (X,X, 0), F3 = (X, 0, X)

a) Determinare la condizione che devono soddisfare tali forze perche siano riducibili

ad un solo vettore.

b) Determinare il loro asse centrale.

4) Un corpo rigido e sottoposto all’azione di tre forze F1, F2 e F3, parallele agli assi

coordinati, ma dirette in un verso o nell’altro. I loro punti di applicazione A, B e C

distano a, b e c dall’origine degli assi. Determinare

a) la condizione che devono soddisfare tali forze perche siano riducibili ad un solo

vettore.

b) la condizione che devono soddisfare le tre forze perche il loro asse centrale passi

per l’origine O delle coordinate.

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5) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di sei forze di uguale

intensita applicate al cubo rigido di figura.

6) Effettuare la riduzione al polo A del sistema di quattro forze di uguale intensita

applicate al cubo rigido di figura.

7) Effettuare la riduzione al polo A del sistema di dodici forze di uguale intensita applicate

al cubo rigido di figura.

8) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di due forze di uguale

intensita applicate al tetraedo rigido di figura.

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9) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di tre forze di uguale

intensita applicate al tetraedo rigido di figura.

10) Effettuare la riduzione ad un punto dell’asse centrale del sistema di tre forze di uguale

intensita applicate al parallelepipedo rigido di figura.

11) Effettuare la riduzione al polo O del sistema di sei forze di uguale intensita applicate

al parallelepipedo rigido di figura.

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CAPITOLO 4

BARICENTRI E MOMENTI D’INERZIA

4.1. MASSA. DENSITA.

Nella trattazione dei Principi della Meccanica, ad ogni punto materiale P e stato associato

un numero positivo m detto massa. Anche nello studio della meccanica di un sistema

materiale S, e utile introdurre in concetto di massa del sistema S; cio vien fatto in maniera

naturale, postulando che la massa sia una quantita additiva.

Sia S un sistema di n punti materiali Pi, di massa mi. Si chiama massa del sistema

particellare S il numero positivo:

m =n∑

i=1

mi (4.1.1)

Sia S un corpo che occupa una regione C dello spazio, come ad esempio una trave

o l’acqua contenuta all’interno di un recipiente. In questo caso, e utile la descrizione

del corpo S, come un corpo continuo. Tale descrizione, presuppone che sia possibile

continuare a suddividere il corpo in porzioni ∆S di volume ∆τ sempre piu piccolo, in

modo che le quantita fisiche che caratterizzano le varie porzioni in cui il corpo S e stato

suddiviso siano, all’interno di ciascuna porzione, sempre piu uniformi. Tuttavia e noto

che cio e vero, purche il volume ∆τ occupato dall’elementino non sia troppo piccolo. Se

infatti il volume ∆τ scende al di sotto di un volume critico ∆τ0, dobbiamo prendere in

considerazione la struttura microscopica della materia e considerare il nostro corpo come

costituito da un numero estremamente grande di molecole; lo studio, in questo caso non

puo che essere affrontato utilizzando la meccanica statistica.

Nella schematizzazione di un sistema materiale come corpo continuo, si affronta lo

studio della materia ad un livello intermedio (detto mesoscopico), che prescinde dalla

struttura microscopica della materia. Si postula allora che suddividendo la regione di

spazio C occupata da S in regioni ∆C sempre piu piccole, il rapporto tra la massa ∆m

contenuta in ∆C ed il volume ∆τ di ∆C, ammetta limite, al restringersi della regione ∆Cintorno a P:

lim∆C→P

∆m

∆τ= µ(P) (4.1.2)

Il numero µ cosı introdotto prende il nome di densita del corpo S nel punto P.

La densita µ = µ(P) e detta lineare, superficiale o cubica, a seconda che il corpo S sia

ad una, due o tre dimensioni.

L’ipotesi fatta di arrestarci ad un livello mesoscopico, ci consente di affermare che la

funzione µ(P) e una funzione continua del punto P. Conseguentemente, se il volume ∆τ

di ∆C risulta sufficientemente piccolo, la massa in esso contenuta e data da µ(P)∆C.

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Ricordando la definizione di integrale multiplo, come limite, al tendere a zero del

massimo diametro δ delle regioni ∆C, definiamo massa del corpo continuo S l’integrale:

m =∫

Cµ(P)dC. (4.1.3)

Se la densita e costante, il corpo S, si dice omogeneo. In tal caso e:

m = µ ·mis C (4.1.4)

Se, come abbiamo supposto in cio che precede, il corpo S occupa una regione dello spazio

tridimensionale mis C e il volume della regione C. Se il corpo S occupa una regione

bidimensionale (una porzione di piano o di superficie), con mis C intendiamo l’area della

regione di piano (o della superficie), se infine il corpo S occupa una regione lineare con

mis C intendiamo la lunghezza della linea.

4.2. BARICENTRO DI UN SISTEMA PARTICELLARE O CONTINUO.

Sia S un sistema di n punti materiali Pi, di massa mi. Si chiama baricentro G del

sistema particellare S il centro di un qualunque sistema di vettori paralleli, concordi e di

modulo proporzionale alle masse, applicati nei punti del sistema:

OG =1

m

n∑

i=1

miOPi (4.2.1)

Detta O,x, y, z una qualunque terna di riferimento, dette (xG, yG, zG) le coordinate del

punto G e (xi, yi, zi) quelle del punto Pi, risulta:

xG = 1m

∑ni=1 mixi

yG = 1m

∑ni=1 miyi

zG = 1m

∑ni=1 mizi

(4.2.2)

Sia S un corpo continuo, che occupa, ad un dato istante t, una regione C dello spazio

E3. Si chiama baricentro G del sistema continuo S il punto G definito da:

OG =1

m

Cµ(P)OPdC (4.2.3)

Dette (xi, yi, zi) le coordinate del punto Pi, le coordinate di G sono espresse da:

xG = 1m

∫C µxdC

yG = 1m

∫C µydC

zG = 1m

∫C µzdC

(4.2.4)

Il punto G e dunque il limite a cui tende il baricentro del sistema particellare Sn cosı

costituito:

Si suddivide la regione C occupata da S in n regioni parziali ∆Ci e si sceglie all’interno

di ciascuna regione un punto Pi. Si considera il sistema particellare Sn costituito dagli n

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punti Pi, ciascuno dotato di massa mi = µ(Pi) mis (∆Ci). Passando al limite, al tendere

a zero del massimo diametro δ delle regioni ∆Ci, si ottiene proprio G.

FIGURA 4.2.1

Se il corpo S e omogeneo, la densita µ e costante; pertanto risulta:

OP =1

mis C∫

COPdC (4.2.5)

4.3. PROPRIETA DEL BARICENTRO.

Il baricentro di un sistema materiale S gode delle proprieta di cui gode il centro di un

sistema di vettori applicati paralleli e concordi. Ricordiamo qui alcune di tali proprieta.

a) La definizione di baricentro e indipendente dalla scelta del punto O.

b) Se il sistema S e costituito tutto da punti appartenenti ad un piano π, il baricentro G

del sistema appartiene al piano π.

c) Se il sistema S e costituito tutto da punti appartenenti ad una retta r, il baricentro G

del sistema appartiene alla retta r.

d) Il baricentro di un sistema S appartiene alla piu piccola regione convessa dello spazio

che contiene S.

4.3.1. Proprieta distributiva. Se si suddivide il sistema S in n sistemi parziali Si, il

baricentro G di S coincide con il baricentro del sistema dei baricentri Gi dei sistemi Si,

considerati come punti materiali aventi come massa la massa del sistema Si.

FIGURA 4.3.1 FIGURA 4.3.2

Chiusura convessa di un insieme Proprieta’ distributiva del baricentro

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4.3.2. Piano diametrale e piano di simmetria.

Per una piu semplice determinazione del baricentro G di alcuni sistemi materiali, e utile

introdurre la nozione di piano diametrale.

Si dice che il piano π e per il sistema particellare (continuo) S un piano diametrale

coniugato alla direzione della retta r, se i punti di S che non appartengono a π, si suddi-

vidono in coppie di punti P P′, di uguale massa (densita) e tali che il segmento PP′ sia

parallelo ad r e dimezzato da π.

Un piano π coniugato alla sua direzione ortogonale prende il nome di piano di simme-

tria.

Un piano π coniugato ad una direzione non ortogonale ad esso si chiama anche piano

di simmetria obliqua.

Sussiste la seguente importante proprieta:

Ogni piano diametrale per un sistema S contiene il baricentro G di S.

Infatti, possiamo considerare il sistema S come l’unione (di un numero finito o infinito)

di sottosistemi:

S =⋃

i∈I

Pi, P′i ∪ Sπ

dove con Sπ si e indicato il sottinsieme di punti di S che appartiene a π. Poiche ogni

coppia di punti Pi,P′i ha il baricentro appartenente al piano π, come conseguenza della

proprieta distributiva del baricentro, si ha la tesi.

FIGURA 4.3.3 FIGURA 4.3.4

Piano diametrale Piano di simmetria

Come conseguenza della proprieta f), se un sistema S ammette tre piani diametrali

il suo baricentro, viene determinato immediatamente come il punto di intersezione dei

tre piani diametrali. Se un sistema S e piano, ed ammette due piani diametrali, il suo

baricentro e il punto di intersezione del piano che contiene il sistema e dei due piani

diametrali. Se un sistema S e contenuto in una retta ed ammette un piano diametrale,

il suo baricentro e il punto di intersezione della retta che contiene il sistema e del piano

diametrale.

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4.3.4. Teoremi di Pappo-Guldino.

Per il calcolo del baricentro di solidi o di superfici di rotazione possono essere applicati i

seguenti teoremi, di omettiamo la dimostrazione.

Primo teorema di Pappo-Guldino. Una figura piana ruota ruota intorno ad un asse com-

planare, che non la interseca. Il volume da essa generato e pari al prodotto dell’area A

della figura per il cammino percorso dal suo baricentro durante la rotazione.

Questo teorema puo essere utilizzato per determinare la posizione del baricentro di una

figura piana quando sono note le misure dell’area A e del volume da essa generato.

ESEMPIO: Baricentro di un semicerchio. Si ha:

V = A · 2πyG =⇒ yG =V

2πA=

4R

Figura 4.3.5

Secondo teorema di Pappo-Guldino. Un arco di curva piano ruota intorno ad un asse com-

planare, che non lo interseca. L’area della superficie da esso generata e pari al prodotto

della lunghezza della curva l per il cammino percorso dal suo baricentro durante la ro-

tazione.

Questo teorema puo essere utilizzato per determinare la posizione del baricentro di una

curva quando sono note le misure della sua lunghezza e dell’area della superficie da essa

generata.

ESEMPIO: Baricentro di una semicirconferenza. Si ha:

S = l · 2πyG =⇒ yG =S

2πl=

2R

π

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4.4. CALCOLO DI BARICENTRI.

Esempio 4.4.1. Baricentro di un’asta non omogenea.

Sia AB un’asta, di lunghezza l, la cui densita varia con la legge µ = kx, essendo x la

distanza del punto generico dell’asta dall’estremo A. Si ha:

m =∫ l

0µ(x)dx =

∫ l

0kxdx = k

1

2l2

e quindi k = 2ml2

. Si ha poi:

xG =1

m

∫ l

0µ(x)xdx =

1

m

∫ l

0kx2dx =

2

l2l3

3=

2

3l

Vediamo cosı che il baricentro dell’asta AB ha la stessa ascissa del triangolo omogeneo

ABC, costruito sul lato AB, il cui lato AC ha equazione y = kx. In generale, se la densita

dell’asta e la funzione µ = µ(x) il baricentro di AB ha la stessa ascissa del baricentro del

trapezoide costruito sul lato AB relativo alla funzione densita µ = µ(x).

FIGURA 4.4.1

Esempio 4.4.2. Baricentro di un arco di circonferenza omogenea.

Si consideri un arco di circonferenza omogeneo di raggio R e semiaperura α. Si scelga

come sistema di riferimento il sistema O, x, y di figura.

FIGURA 4.4.2

Poiche l’asse x e un asse di simmetria per la figura, il baricentro G dell’arco ha ordinata

yG = 0. Si ha poi, ricordando che e x = R cos θ e che l’elemento d’arco ds = Rdθ:

xG =1

l

∫ α

−αx ds =

1

2αR

∫ α

−αR2 cos θ dθ =

R sin α

α

93

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In particolare, il baricentro di una semicirconferenza si ottiene ponendo α = π/2. Si

ottiene in tal caso xG = 2Rπ

. Allo stesso risultato si perviene utilizzando il secondo

teorema di Pappo-Guldino.

Esempio 4.4.3. Baricentro di un triangolo omogeneo.

Il baricentro di un triangolo coincide con l’intersezione delle tre mediane, e dista da ognuno

dei tre vertici i due terzi della lunghezza della mediana uscente da quel vertice.

Dimostrazione: Osserviamo che ognuno dei tre piani ortogonali al piano del triangolo e

passante per una sua mediana e piano diametrale conuigato alla direzione del lato relativo

alla mediana. Mostriamo che il piano π, ortogonale al piano del triangolo ABC di fig.

5.1, passante per la mediana CH e piano diametrale coniugato alla direzione del lato

AB. Decomponiamo a tale scopo il triangolo ABC in striscie (infinitesime) di altezza dh,

parallele al lato AB. Come si constata immediatamente, questa striscia e dimezzata dal

piano π in due semistriscie identiche per dimensione e densita.

FIGURA 4.4.3

Si conclude dunque che il baricentro G del triangolo e il punto di intersezione delle tre

mediane. Detta l la lunghezza della mediana CH, mostriamo che risulta

AG=23AN.

Siano M ed N i punti medi dei lati AB e BC. Dai punti M ed N tracciamo leparallele

alla mediana CH, che intersecheranno le mediane AN e BM nei punti L e P; essendo

il quadrilatero LMNP ottenuto un parallelogramma risulta |LG| = |GN|, |MG| = |GF|.Osservato poi che i triangoli AML e ACG sono simili, deduciamo che |AL| = 2 |AG|.

Esempio 4.4.4. Baricentro di un parallelogramma omogeneo.

Il baricentro di un parallelogramma (in particolare di un rettangolo) si trova nel punto di

intersezione delle diagonali.

FIGURA 4.4.4

94

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Infatti il piano ortogonale al piano del parallelogramma, contenente una diagonale, e un

piano diametrale coniugato alla direzione dell’altra diagonale.

Esempio 4.4.5. Baricentro di un quadrangolo omogeneo.

Sia dato il quadrangolo semplice (cioe non intrecciato) ABCD. Le diagonali AC e BD

lo decompongono ciascuna in due triangoli ABC, ADC e ABD, CDB. Determiniamo i

baricentri G1, G2, G3 e G4 di ciascuno di questi triangoli. Per la proprieta distributiva, il

baricentro G del quadrangolo e il baricentro dei due punti G1 e G2 dotati rispettivamente

delle masse dei due triangoli ABC e ABD. Pertanto G e interno al segmento G1G2. Allo

stesso modo si deduce che G e interno al segmento G3G4. In conclusione G si trovera

nell’intersezione dei due segmenti G1G2 e G3G4.

FIGURA 4.4.5

Esempio 4.4.6. Baricentro di un trapezio omogeneo.

La determinazione del baricentro di un trapezio puo effettuarsi osservando che esso e un

particolare quadrangolo, oppure puo essere utilizzato il seguente procedimento.

Dato il trapezio ABCD. Osserviamo che il piano ortogonale al piano del trapezio, che

contiene i punti medi M ed N dei lati paralleli AB e CD, e un piano diametrale coniugato

alla direzione del lato AB. Il baricentro del trapezio si trova dunque sul segmento MN. Per

determinarlo graficamente, osserviamo che la diagonale AC decompone il trapezio nei due

triangoli ABC e ADC. Come conseguenza della proprieta distributiva possiamo affermare

che il baricentro del trapezio si trova sulla congiungente i due baricentri G1G2 dei due

triangoli ABC e ADC. Il baricentro del trapezio e dunque l’intersezione del segmento MN

con il segmento G1G2.

FIGURA 4.4.6

95

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Esempio 4.4.7. Baricentro di una trave a L.

Si consideri la sezione di una trave ad L indicata in figura. Scelto come sistema di

riferimento il sistema O, x, y di figura, si constata immediatamente che la retta x = y e

un’asse di simmetria per la figura. Il baricentro G della sezione, si trova pertanto su tale

retta. Si ha:

xG = yG =a(a + b)a

2+ ab

(a + b

2

)

2b2 + a2=

a(a2 + 3ab + b2)

2(2ab + a2)

Una determinazione grafica immediata di G si ottiene decomponendo la figura in due

rettangoli. Il baricentro G si trova sull’intersezione del segmento G1G2 che congiunge i

due rettangoli con la bisettrice del primo quadrante.

FIGURA 4.4.7

Esempio 4.4.8. Baricentro di una trave a T.

Si consideri la sezione di una trave a T indicata in figura. Scelto come sistema di riferi-

mento il sistema O, x, y di figura, si constata immediatamente che l’asse y e un’asse di

simmetria per la figura. Il baricentro G della sezione, si trova pertanto su tale retta. Si

ha:

yG =ac c

2+ bd(c + d

2

ac + bd=

ac2 + bd2 + 2bcd

2(ca + bd)

Lo studente effettui una determinazione grafica del baricentro G, applicando la teoria dei

sistemi di vettori applicati paralleli, nel caso in cui b = c.

FIGURA 4.4.8

96

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Esempio 4.4.9. Baricentro di un pendolo.

Si schematizzi il pendolo di un orologio con un disco omogeneo di massa m collegato

rigidamente ad un asta anch’essa omogenea, di uguale massa m. Sia d la lunghezza

dell’asta. Applicando la proprieta distributiva del baricentro, si verifica immediatamente

che il baricentro G coincide con il punto di medio del segmento G1G2.

FIGURA 4.4.9

Esempio 4.4.10. Baricentro di una lamina circolare forata.

Sia S la lamina forata omogenea tratteggiata in figura. Sia S1 il cerchio di raggio R e

centro G1, sia S2 il cerchio di raggio R/2 e centro G2, sia G il baricentro di S. Sia infine

d = R/2 la distanza tra G2 e G1. Si ha:

mOG + m2OG2 = m1OG1

E‘ m1 = µπR2, m2 = µπR2/4, m = m1 −m2 = 3µπR2/4. Scelto O coincidente con G1,

si ha:

mG1G + m2G1G2 = 0

Si ottiene cosı:

G1G = −1

3G1G

FIGURA 4.4.10

Esempio 4.4.11. Baricentro di un esagono regolare forato.

Sia S la lamina forata omogenea tratteggiata in figura. Sia S1 l’esagono regolare di centro

O e lato a, sia S2 il cerchio di raggio r e centro G2, sia G il baricentro di S. Sia infine b

la distanza tra G2 e O.

97

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FIGURA 4.4.11

Con lo stesso procedimento utilizzato nell’esempio precedente, si ottiene:

S OG + S1 OG2 = 0;

ricordando che la superficie dell’esagono e data da S2 = 3√

32

a2, si ottiene:

(3√

3

2a2 − πr2

)xG + πr2b = 0

Esempio 4.4.12. Baricentro di una lamina piana unione di piu lamine di dif-

ferente densita.

Si consideri la lamina non omogenea di figura. Per considerazioni di simmetria, G si trova

sull’asse y, indicato in figura. Si ha poi, per la proprieta distributiva:

yG =2

[µa2 a

2

]+ 2

[3µa2

2a3

]+ 2

[2µa2

22a3

]

7µa2

FIGURA 4.4.12

Esempio 4.4.13. Baricentro di un settore di corona circolare omogenea.

Sia S un settore di corona circolare, di raggi r ed R, sotteso da un angolo al centro di

semiapertura α.

Scelto come sistema di riferimento il sistema O, x, y di figura, essendo l’asse x un

asse di simmetria, il baricentro G di S ha ordinata yG = 0. Si ha poi:

xG =1

mis C∫

Cx dC

98

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FIGURA 4.4.13

Passando in coordinate polari, il dominio C si trasforma nel rettangolo D = (ρ, θ)|r ≤ρ ≤ R, −α ≤ θ ≤ α, mentre e x = ρ cos θ. L’elemento di superficie in coordinate polari

si scrive dC = ρdρdθ. Si ha quindi:

xG =

∫ ∫D ρ2 cos θdρdθ∫ ∫

D ρdρdθ=

2

3

R3 − r3

R2 − r2

sin α

α

In particolare, il baricentro di un semicerchio si ottiene ponendo r = 0 e α = π/2, si

ottiene:

xG =4R

Esempio 4.4.14. Baricentro del sistema costituito da due sfere tangenti di

diametri differenti.

Siano R ed r i raggi delle due sfere, G1 e G2 i due centri. Per la proprieta distributiva del

baricentro, possiamo scrivere:

(S1 + S2)OG = S1OG1 + S2OG2

FIGURA 4.4.14

Scelto O coincidente con G1, si ottiene:

OG =S2

S1 + S2

OG2

99

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Scelto come sistema di riferimento il sistema O, x, y, z di figura, si ha:

yG = 0 xG =r3

r3 + R3(R + r)

Esempio 4.4.15. Baricentro di un prisma retto omogeneo, di altezza h.

Sia C un prisma retto omogeneo, di altezza h. Il piano π ortogonale alle generatrici del

prisma, distante h/2 dalle due basi, e un piano di simmetria. Il baricentro G appar-

tiene dunque a tale piano. Inoltre, le sezioni di C con piani paralleli alla base sono tutte

uguali. Allora, decomposto il cilindro C in sezioni di altezza ∆z, il baricentro di ciascuna

di tali sezioni appartiene ad una stessa retta a, parallela alle generatrici del prisma. Con-

seguentemente, il baricentro G di C e l’intersezione della retta a con il piano di simmetria.

FIGURA 4.4.15

Esempio 4.4.16. Baricentro di un prisma forato omogeneo.

Sia S un prisma di altezza h e sezione quadrata di lato l. Sia r il raggio del foro cilindrico, e

d la distanza dell’asse del cilindro dall’asse del prisma. Utilizzando i risultati dell’esempio

4.4.15, e sufficiente calcolare il baricentro di una generica sezione. Scelto come sistema di

riferimento il sistema O, x, y, z di figura, con lo stesso procedimento dell’esempio 4.5.14

si ottiene:

h(l2 − πr2)xG + hπr2d = 0

e quindi:

xG = − πr2

l2 − πr2d

FIGURA 4.4.16

100

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Esempio 4.4.17. Baricentro di settore sferico omogeneo.

Sia S un settore sferico omogeneo, di raggio R ed angolo al centro α e C la regione di

spazio da esso occupato.

FIGURA 4.4.17

Scelto come sistema di riferimento il sistema O, x, y, z di figura, il baricentro G di Sha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0. Si ha poi:

zG =1

mis S∫

Cz dC

Passando in coordinate polari, il dominio C si trasforma nel parallelepipedo D = (ρ, θ, φ)|0 ≤ρ ≤ R, 0 ≤ θ ≤ α, 0 ≤ φ ≤ 2π, mentre e z = ρ cos θ. L’elemento di volume in coordinate

polari si scrive

dC = ρ2 sin θdρdθdφ. Si ha quindi:

mis C =∫ ∫ ∫

Dρ2 sin θdρdθdφ =

2

3πR3(1− cos α)

e

zG =

∫ ∫ ∫D ρ3 sin θ cos θdρdθdφ

mis C =3

8R

sin2 α

1− cos α

In particolare, il baricentro di una semisfera si ottiene ponendo α = π/2, si ottiene:

xG =3

8R

Esempio 4.4.18. Baricentro di un cono rotondo omogeneo.

Sia S un cono rotondo omogeneo di raggio di base R ed altezza h e C la regione di spazio

da esso occupata.

Scelto come sistema di riferimento il sistema O, x, y, z di figura, il baricentro G di

S ha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0. Per calcolare zG utilizzeremo la formula

di integrazione per sezioni, osservando che la sezione Cz e il cerchio di centro l’origine e

raggio rz = rhz. Si ha:

mis C =∫ ∫ ∫

CdC =

∫ h

0dz

Cz

dxdy =πR2h

3

101

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e

zG =

∫C z dC∫C dC =

∫ h0 zdz

∫ ∫Cz

dxdy

mis C =3

4h

FIGURA 4.4.18 FIGURA 4.4.19

Esempio 4.4.19. Baricentro di una calotta sferica omogenea.

Sia S una calotta sferica omogenea, di raggio R ed angolo al centro α.

Scelto come sistema di riferimento il sistema O, x, y, z di figura, il baricentro G di Sha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0.

Dette m1 e zG1 la massa e la quota del baricentro del settore sferico, dette m2 e zG2 la

massa e la quota del baricentro del cono rotondo di altezza h = R cos α e dette infine m

e zG la massa e la quota del baricentro della calotta sferica, si ha:

mzG + m2zG2 = m1zG1

Utilizzando i risultati degli esempi 4.4.17 e 4.4.18 si ottiene subito la quota zG cercata.

Esempio 4.4.20. Baricentro di una superficie semisferica omogenea.

Sia S una superficie semisferica omogenea, di raggio R.

FIGURA 4.4.20

Scelto come sistema di riferimento il sistema O, x, y, z di figura, il baricentro G di Sha ascissa e ordinata nulle xG = 0, yG = 0, mentre e:

zG =1

2πR2

Szdσ

L’elemento di superficie si scrive dσ = R2 sin θdθdφ; inoltre e z = ρ cos θ. Il dominio base

della superficie e D = (θ, φ)| 0 ≤ θ ≤ π2, 0 ≤ φ ≤ 2π. Si ha quindi:

zG =

∫ ∫D R cos θ R2 sin θdθdφ

2πR2=

R

2

102

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4.5. MOMENTI STATICI (O DI PRIMO ORDINE)

Sia S un sistema di punti materiali Pi di masse mi. Sia G il baricentro S.

Dato un piano π, se non contiene G, orientiamo la normale d a tale piano verso il

baricentro G di S, se invece G ∈ π orientiamo la normale a π in un verso qualunque.

Figura 4.5.1

Si chiama momento statico di S rispetto a π, la quantita scalare:

Sπ =n∑

i=1

miδi, (4.5.1)

dove con δi si e indicata la distanza (con segno) del punto Pi dal piano π. Fissato un

punto O qualunque su π e denotato con n il versore dell’asse d ortogonale a π, il momento

statico Sπ (che sara anche indicato con Sn), risulta uguale a:

Sπ = Sn =n∑

i=1

mi(OPi · n). (4.5.2)

Se S e un sistema continuo, indicando con C la regione di spazio occupata dal corpo

S, prende il nome di momento statico di S rispetto a π, la quantita scalare:

Sπ = Sn =∫

CµδdC =

Cµ(OP · n)dC. (4.5.3)

Ricordando la definizione di baricentro, ricaviamo subito la relazione:

Sπ = mdG (4.5.4)

avendo indicato con dG la distanza del baricentro G di S dal piano π e con m =∑n

i=1 mi

la massa del sistema S. Dalla (4.5.4) deduciamo la seguente importante proprieta

PROPRIETA 4.5.1: il momento statico di un qualunque sistema materiale rispetto ad un

piano coincide con quello dell’intera sua massa concentrata nel baricentro.

103

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In particolare, se π e un piano passante per il baricentro G di S, il momento statico di

S rispetto a tale piano e nullo. Vale anche la seguente

PROPRIETA 4.5.2: se sono noti i tre momenti statici di S rispetto a tre piani non

paralleli e individuata univocamente la posizione del baricentro G di S.

Infatti, se tali piani sono mutuamente ortogonali, possiamo sceglierli come piani coordinati

e quindi scrivere:

OG =Sc1

mc1 +

Sc2

mc2 +

Sc3

mc3 (4.5.4)

La proprieta rimane valida anche se i tre piani non sono tra di loro perpendicolari. Ci

limiteremo a verificarla nel caso di un sistema S che giace nel piano (x, y). In questo

caso il momento statico rispetto ad un piano τ ortogonale a π, che interseca il piano π

secondo una retta a viene piu semplicemente chiamato momento statico rispetto all’asse

a. Ad esempio, i momenti statici rispetto ai piani (x, z) e (y, z), vengono chiamati,

rispettivamente, momenti statici rispetto agli assi x e y.

Figura 4.5.2

Consideriamo due assi qualsiasi ξ e η giacenti nel piano π, uscenti da un punto O e

formanti un angolo α. Siano e1 ed e2 i versori di questi due assi. Fissato un punto Pi

qualunque di S si ha: OPi = ξie1 + ηie2. Tenendo presente la definizione di baricentro,

possiamo scrivere

mOG =n∑

i=1

miOPi =n∑

i=1

mi(ξie1 + ηie2) =n∑

i=1

miξie1 +n∑

i=1

miηie2

dalla figura 4.5.2 deduciamo, dette δi e δ′i le distanze del punto Pi dai due assi ξ e η:

δ′i = ξi sin α, δi = ηi sin α

e quindi

mOG =n∑

i=1

miξie1 +n∑

i=1

miηie2 =1

sin α

(n∑

i=1

miδ′ie1 +

n∑

i=1

miδie2

)=

1

sin α(Sηe1 + Sξe2)

conseguentemente, si ha

OG =1

m sin α(Sηe1 + Sξe2)

104

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4.6. MOMENTI D’INERZIA

La posizione del baricentro non consente di caratterizzare in maniera completa la distribu-

zione nello spazio delle masse di un sistema materiale. Si consideri ad esempio il sistema

di figura 4.6.1.

FIGURA 4.6.1

Se la distanza d dall’asse z di ognuna delle due sfere A e B, omogenee di uguale raggio

ed uguale densita, aumenta di una stessa grandezza, la posizione del centro di massa del

sistema non varia, ma, come si verifica sperimentalmente, la velocita angolare del sistema

intorno all’asse z risultera rallentata. Constatiamo cosı che una diversa distribuzione

delle masse modifica il moto del sistema. Pertanto, nello studio della dinamica dei sistemi

materiali e necessario introdurre ulteriori concetti, allo scopo di caratterizzare meglio la

distribuzione delle masse; abbiamo gia introdotto, nei numeri precedenti, il concetto di

momento statico (o momento di primo ordine) di un sistema materiale rispetto ad un

piano, ed abbiamo mostrato che esso e legato al concetto di baricentro. Introdurremo

adesso i momenti di secondo ordine, tra di questi e di fondamentale importanza per lo

studio della dinamica dei sistemi materiali il concetto di momento di inerzia assiale.

4.6.1. MOMENTO D’INERZIA ASSIALE

Si definisce momento di inerzia di un punto P rispetto ad una retta r (o momento di

inerzia assiale) il prodotto della massa m di P per il quadrato della sua distanza d dalla

rettar:

Ir = md2 (4.6.1)

Sia S un sistema materiale, ad esempio particellare, costituito da un numero finito n

di punti Ps. Si definisce momento di inerzia del sistema S rispetto ad una retta r la

somma dei prodotti delle masse ms dei singoli punti Ps del sistema per i quadrati delle

loro distanze ds dalla retta r:

Ir =n∑

s=1

msd2s (4.6.2)

Da questa definizione segue che il momento di inerzia di un qualunque sistema rispetto

ad una retta r e una grandezza positiva (o eventualmente nulla, nel caso limite di un

sistema avente tutti i punti sulla retta r). Nel seguito mostreremo che nel moto rotatorio di

un corpo rigido attorno ad un asse fisso, il momento di inerzia assiale svolge lo stesso ruolo

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svolto dalla massa nel moto traslatorio, cioe cosı come la massa e la misura dell’inerzia di

un corpo rigido in moto traslatorio, il momento di inerzia assiale e la misura dell’inerzia

di un corpo rigido in moto rotatorio.

Scelto un riferimento ortogonale O; x, y, z, i momenti di inerzia del sistema S rispetto

agli assi x, y e z sono dati dalle formule

Ix =n∑

s=1

ms(y2s + z2

s), Iy =n∑

s=1

ms(x2s + z2

s), Iz =n∑

s=1

ms(x2s + y2

s). (4.6.3)

I momenti d’inerzia rispetto agli assi coordinati si sogliono anche indicare con i simboli

Ix = I11, Iy = I22 e Iz = I33.

La precedente definizione si estende in modo ovvio a sistemi materiali continui. Si

consideri ad esempio un corpo continuo S, occupante una regione tridimensionale C.

Si suddivida la regione C occupata dal sistema S in n regioni parziali ∆Cs e si scelga

all’interno di ciascuna regione un punto Ps. Si consideri il sistema particellare Sn cos-

tituito dagli n punti Ps, ciascuno dotato di massa ms = µ(Ps) mis (∆Cs) e si calcoli il

momento d’inerzia di questo sistema particellare rispetto alla retta r. Passando al limite,

al tendere a zero del massimo diametro δ delle regioni ∆Cs, la sommatoria che figura

nell’uguaglianza (4.6.2) si trasforma in un integrale. Nel caso di continui bidimensionali o

monodimensionali, si ripete ovviamente lo stesso ragionamento con le dovute modifiche.

In particolare, tenendo presente che dm = µdC, dove µ e la densita e dC e l’elemento

di volume, si ottiene, indicando con δ la distanza del generico punto P di C dalla retta r:

Ir =∫

Cδ2dm =

Cµδ2dC (4.6.4)

In questa relazione, la densita µ = µ(P ) e la distanza δ = δ(P ) dipendono dalle coordinate

dei punti del corpo e l’integrale e esteso alla regione C occupata dal sistema.

Le formule (4.6.3) per i corpi continui si scrivono:

Ix = I11 =∫

Cµ(y2 + z2)dC, Iy = I22 =

Cµ(x2 + z2)dC, Iz = I33 =

Cµ(x2 + y2)dC.

(4.6.5)

Osserviamo infine che il momento d’inerzia assiale del sistema S rispetto alla retta r,

passante per O, di versore ur si puo anche esprimere nel seguente modo equivalente:

Ir =n∑

s=1

ms[OPs ∧ ur]2. (4.6.6)

FIGURA 4.6.2

106

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4.6.2. RAGGIO D’INERZIA

Nelle applicazioni si usa spesso la nozione di raggio di inerzia. Si definisce raggio

d’inerzia di un sistema materiale rispetto all’asse r la grandezza lineare ρin definita

dall’uguaglianza

Ir = mρ2in (4.6.7)

dove m e la massa del sistema.

Dalla definizione segue che il raggio di inerzia individua la distanza dalla retta r del

punto in cui bisogna concentrare la massa dell’intero sistema, affinche il momento di

inerzia di questo punto sia uguale al momento di inerzia di tutto il corpo. Conoscendo

il raggio di inerzia, si puo trovare, dalla (4.6.4), il momento di inerzia di un corpo e

viceversa.

Altri momenti di secondo ordine

Oltre al concetto di momento assiale appena introdotto, esistono altri momenti di secondo

ordine, alcuni dei quali risulteranno utili nello studio della dinamica dei corpi rigidi.

Le definizioni che daremo si riferiscono ad un sistema S di n punti materiali Ps di

masse ms e si estendono in modo ovvio a sistemi materiali continui.

4.6.3. MOMENTI DI DEVIAZIONE

Si consideri una coppia di piani π, π′ non paralleli, di rispettivi versori normali n e n′.Prende il nome di momento di deviazione o momento centrifugo o prodotto di

inerzia del sistema S rispetto ai due piani π, π′ non paralleli, la quantita scalare:

In,n′ =n∑

s=1

msdsd′s, (4.6.8)

dove ds e d′s sono rispettivamente le distanze con segno del punto Ps dai piani π e π′.La (4.6.8) puo anche scriversi nella seguente forma equivalente, che sara utilizzata nel

seguito:

In,n′ =n∑

s=1

ms[OP · n][OP · n′], (4.6.9)

con O punto arbitrario della retta intersezione dei due piani π e π′.

FIGURA 4.6.3

107

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Fissato un riferimento ortogonale O; x, y, z, i momenti di deviazione rispetto alle

coppie di piani coordinati (assumendo come versori normali i versori degli assi c1, c2, c3)

si definiscono nel seguente modo:

Ic1c2 =n∑

s=1

msxsys, Ic1c3 =n∑

s=1

msxszs, Ic2c3 =n∑

s=1

msyszs. (4.6.10)

momenti di deviazione rispetto alle coppie di piani coordinati sono spesso indicati con i

simboli Ic1c2 = C ′, Ic1c3 = B′, Ic2c3 = A′.I momenti d’inerzia ed i momenti di deviazione ora definiti verranno applicati nello

studio della dinamica dei corpi rigidi.

4.6.4. MOMENTI POLARI

Prende il nome di momento polare rispetto a un punto O lo scalare:

IO =n∑

s=1

ms(OP )2. (4.6.11)

Fissato un riferimento ortogonale O; x, y, z, si ha:

IO =n∑

s=1

ms(x2s + y2

s + z2s)

Come si verifica facilmente risulta:

IO =1

2(Ix + Iy + Iz) (4.6.12)

4.6.5. MOMENTI PLANARI DI SECONDO ORDINE

Prende il nome di momento planare di secondo ordine rispetto ad un piano π, lo

scalare:

Iπ =n∑

s=1

ms[OPs · n]2. (4.6.13)

con O punto arbitrario di π ed n versore normale a π.

Si osservi che dei quattro momenti di secondo ordine sopra definiti (momenti d’inerzia,

di deviazione, polari e planari) soltanto il momento di deviazione puo essere negativo.

4.6.6. CALCOLO DI MOMENTI DI SECONDO ORDINE

Determiniamo i momenti di inerzia di alcuni corpi rigidi.

1. Sistema di due punti materiali (molecola biatomica).

Determiniamo il momento d’inerzia del sistema S di due punti materiali P1 e P2 fis-

sati rigidamente agli estremi di un’asta, rispetto ad un asse baricentrale ortogonale alla

congiungente i due punti.

108

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Siano m1 ed m2 le masse dei due punti e d la distanza tra i due punti; indichiamo con

δ1 e δ2 le distanze dei due punti P1 e P2 dal baricentro della molecola. Per la definizione

di baricentro, si ha m1δ1 = m2δ2, e quindi δ1 = m2

m1+m2d e δ2 = m1

m1+m2d.

FIGURA 4.6.4

Allora per il momento d’inerzia della molecola biatomica rispetto all’asse baricentrale,

si ha:

Ir = m1δ21 + m2δ

22 =

m1m2

m1 + m2

d (4.6.14)

2. Asta omogenea di lunghezza l e di massa M .

Calcoliamo il momento di inerzia Ir di un’asta omogenea AB di lunghezza l e massa M ,

rispetto alla retta r passante per un suo estremo e formante con essa un angolo α.

FIGURA 4.6.5

Scegliamo l’asse x lungo l’asta AB. Si ha:

Ir =∫ l

0δ2dm

La distanza del generico punto x dell’asta dall’asse r e δ = x sin α, mentre la massa

elementare e dm = µdx, dove µ = M/l e la massa dell’unita di lunghezza dell’asta. Si

ottiene cosı

Ir = µ∫ l

0(x sin α)2dx = µ sin2 α

∫ l

0x2dx = µ sin2 α

l3

3Sostituendo µ con il suo valore, si ha infine

Ir =Ml2

3sin2 α (4.6.15)

109

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3. Anello circolare omogeneo (superficie cilindrica omogenea).

Determiniamo il momento d’inerzia di un anello circolare omogeneo di raggio R e massa

M , rispetto all’asse z perpendicolare al piano dell’anello e passante per il suo centro C.

L’elemento lineare dell’anello, di lunghezza ds e massa dm = µds, ha momento d’inerzia

dIz = dm δ2, dove δ indica la distanza dell’elemento dall’asse. Poiche tutti i punti

dell’anello hanno uguale distanza δ = R dall’asse (figura 4.6.6), si ha dIz = R2dm; quindi:

Iz =∫

CR2dm = R2

Cdm

Di conseguenza

Iz = mR2. (4.6.16)

FIGURA 4.6.6

Un risultato analogo si ottiene, evidentemente, per il momento di inerzia di una super-

ficie cilindrica di massa M e di raggio R rispetto al suo asse.

4. Lamina circolare omogenea (cilindro omogeneo).

Calcoliamo il momento di inerzia di una lamina circolare omogenea di raggio R e massa

M rispetto all’asse z perpendicolare alla lamina e passante per il suo centro C. A tal fine

consideriamo un anello elementare di raggio r e di larghezza dr (fig. 4.6.7). La superficie

di questo anello e uguale a 2πrdr, mentre la massa e

dm = µdS = µ2πrdr,

dove µ = M/πR2 e la massa dell’unita di area della lamina. Quindi, in base alla formula

(4.6.14), per l’anello elementare avremo

dIz = r2dm = 2πµr3dr

mentre per tutta la lamina si ottiene

Iz = 2πµ∫ R

0r3dr = 2πµ

R4

4=

1

2πµR4

Sostituendo µ con il suo valore, si trova infine

Iz =1

2MR2 (4.6.17)

110

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FIGURA 4.6.7

La stessa formula si ottiene anche per il momento di inerzia Iz di un cilindro omogeneo

circolare di massa M e di raggio R rispetto al suo asse.

Omettendo i calcoli (che lasciamo come esercizio al lettore), riportiamo le formule che

determinano i momenti di inerzia dei seguenti corpi :

5. Triangolo omogeneo di massa M e altezza h, l’asse z e diretto lungo la base del

triangolo.

Iz =1

6Mh2 (4.6.18)

6. Lamina rettangolare omogenea di massa M con lati AB = a e BD = b (l’asse x e

diretto lungo il lato AB, l’asse y lungo BD, l’asse z perpendicolare al piano della lamina

passante per un vertice):

Ix =1

3Mb2 Iy =

1

3Ma2 Iz =

1

3M(a2 + b2) (4.6.19)

7. Cono circolare retto omogeneo di massa M e raggio della base R (l’asse z e diretto

lungo l’asse del cono):

Iz =3

10MR2 (4.6.20)

8. Sfera omogenea di massa M e raggio R (l’asse z e diretto lungo un diametro):

Iz =2

5MR2 (4.6.21)

I momenti di inerzia di corpi non omogenei e di corpi di configurazione complessa

possono essere determinati sperimentalmente con l’aiuto di opportuni strumenti. Uno di

questi metodi verra studiato in seguito.

111

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4.7. ENDOMORFISMO D’INERZIA, MATRICE D’INERZIA

Sia r una retta generica uscente da un punto Ω, ed ur il suo versore. Vogliamo studiare

come varia il momento d’inerzia del sistema al variare della retta r passante per un punto

Ω. A tale scopo e utile usare l’espressione (4.6.6), che riscriviamo nel seguente modo:

Ir =n∑

s=1

ms(ΩPs ∧ ur) · (ΩPs ∧ ur). (4.7.1)

FIGURA 4.7.1

Il prodotto scalare (ΩPs∧ur)·(ΩPs∧ur) puo essere considerato come prodotto misto dei

tre vettori ΩPs∧ ur, ΩPs ed ur; permutando ciclicamente questi tre vettori, ed applicando

la proprieta di anticommutazione del prodotto vettoriale, si ottiene

Ir =n∑

s=1

ms[(ΩPs ∧ ur) ∧ ΩPs] · ur = −n∑

s=1

ms[ΩPs ∧ (ΩPs ∧ ur)] · ur.

Constatiamo dunque che il momento d’inerzia del sistema rispetto alla retta r si ottiene

applicando due volte l’operatore assiale ΩPs∧ al versore ur della retta r, moltiplicando

il risultato ottenuto per la massa del punto Ps, sommando su tutti i punti del sistema,

e, dopo aver cambiato di segno il risultato ottenuto, moltiplicando il tutto scalarmente

per il versore ur della retta r. Possiamo piu semplicemente dire che il momento d’inerzia

del sistema rispetto alla retta r si ottiene applicando l’operatore −∑ns=1 ms(ΩPs∧)2, che

denoteremo con σΩ (o anche con IΩ), definito dalla relazione:

σΩ = −n∑

s=1

ms(ΩPs∧)2 (4.7.2)

al versore ur e moltiplicando scalarmente il risultato ottenuto per ur:

Ir = [σΩur] · ur (4.7.3)

L’operatore σΩ cosı definito e un operatore lineare (un endomorfismo), infatti ciascun

singolo addendo della sommatoria si ottiene mediante la successiva applicazione di due

prodotti vettoriali, cioe di due operatori assiali -che come sappiamo, sono particolari

endomorfismi- e moltiplicando il risultato ottenuto per ms. Pertanto l’operatore σΩ,

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come combinazione lineare di endomorfismi, e un endomorfismo. Esso prende il nome di

operatore d’inerzia, o tensore d’inerzia, relativo al punto Ω.

All’operatore σΩ e quindi associata, in una data base, una matrice (la matrice delle sue

componenti). Scegliamo di scrivere la matrice delle componenti di σΩ in un riferimento

di origine Ω, assi x1, x2, x3 e versori c1, c2, c3. Come mostreremo, denotate con σhk le

componenti dell’operatore σΩ, risulta:

σΩhk = ch · (σΩck) = ck · (σΩch) = σΩ

kh (4.7.4)

La matrice delle componenti di σΩ e pertanto una matrice simmetrica. Le componenti di

σΩ, in un riferimento solidale, si indicano solitamente nel seguente modo:

σΩ =

A −C ′ −B′

−C ′ B −A′

−B′ −A′ C

(4.7.5)

Gli elementi A,B, C, e A′, B′, C ′ che compaiono nella matrice (4.7.5) si calcolano uti-

lizzando le relazioni (4.7.3) e (4.7.4). Si ottiene, applicando la (4.7.3) ai versori degli assi

coordinati:

A = c1 · [σΩc1] = Ix, B = c2 · [σΩc2] = Iy, C = c3 · [σΩc3] = Iz. (4.7.6)

Vediamo dunque che gli elementi della diagonale principale della matrice delle compo-

nenti di σΩ sono proprio i momenti d’inerzia del corpo rispetto agli assi del sistema di

riferimento. Denotate con xs, ys, zs le coordinate del generico punto Ps del sistema, per

la (4.6.3), si ottiene:

A =n∑

s=1

ms(y2s + z2

s), B =n∑

s=1

ms(x2s + z2

s), C =n∑

s=1

ms(x2s + y2

s). (4.7.7)

Gli elementi fuori diagonale risultano espressi da:

σ12 = σ21 = c1 · [σΩc2] σ13 = σ31 = c1 · [σΩc3] σ23 = σ32 = c2 · [σΩc3] (4.7.8)

Calcoliamo, a titolo di esempio, l’elemento σ12; si ha,

σ12 = c1 · [σΩc2] = c1 ·[−

n∑

s=1

msΩPs ∧ (ΩPs ∧ c2)

]= −

n∑

s=1

msc1 · [ΩPs ∧ (ΩPs ∧ c2)]

che si puo scrivere, calcolando il doppio prodotto vettoriale:

σ12 = −n∑

s=1

ms

[(ΩPs · c1)(ΩPs · c2)− |ΩPs|2c1 · c2

]= −

n∑

s=1

ms(ΩPs·c1)(ΩPs·c2) = −Ic1c2 .

Come si verifica immediatamente, scambiando nella relazione precedente c1 con c2 si

ottiene lo stesso risultato. Pertanto σ12 = σ21.

Notiamo che gli elementi fuori diagonale della matrice delle componenti di σΩ sono

gli opposti dei momenti di deviazione di S rispetto alle coppie di piani coordinati.

113

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Denotate con xs, ys, zs le coordinate del generico punto Ps del sistema, per la (4.6.10), si

ha:

A′ =n∑s

msyszs, B′ =n∑s

msxszs, C ′ =n∑s

msxsys. (4.7.9)

La matrice σΩ caratterizza completamente le proprieta geometriche delle masse che

costituiscono un dato sistema materiale, ad esempio un dato corpo rigido.

La conoscenza della matrice σΩ consente di determinare il momento d’inerzia del siste-

ma rispetto ad una qualunque retta r passante per Ω ed il momento di deviazione rispetto

ad una qualunque coppia di piani passanti per Ω. Scelto un riferimento con origine in Ω

ed assi x, y, z, denotato con u = (α, β, γ) il versore della retta r, la (4.7.3), in componenti

si scrive:

Ir = [σΩur] · ur =[

α β γ]

A −C ′ −B′

−C ′ B −A′

−B′ −A′ C

αβγ

(4.7.10)

Da cui:

Ir = Aα2 + Bβ2 + Cγ2 − 2A′βγ − 2B′αγ − 2C ′αβ (4.7.11)

Siano poi u = (α, β, γ) e u′ = (α′, β′, γ′) i versori ortogonali a due piani π e π′ tra loro

perpendicolari, passanti per Ω. Si ha:

−Inn′ = n′ · [σΩn] =[

α′ β′ γ′]

A −C ′ −B′

−C ′ B −A′

−B′ −A′ C

αβγ

(4.7.12)

−Inn′ = Aαα′ + Bββ′ + Cγγ′ −A′(βγ′ + β′γ)−B′(αγ′ + α′γ)−C ′(αβ′ + α′β) (4.7.13)

Se i due piani π e π′ non sono perpendicolari, la determinazione del momento di

deviazione del sistema S rispetto ai due piani non e cosı immediata. Infatti, se u =

(α, β, γ) e u′ = (α′, β′, γ′) sono i versori normali a due piani π e π′ non perpendicolari tra

loro, si ha:

n′ · [σΩn] = n′ ·[−

n∑

s=1

msΩPs ∧ (ΩPs ∧ n)

]= −

n∑

s=1

msn′ · [ΩPs ∧ (ΩPs ∧ n)]

che si puo scrivere, calcolando il doppio prodotto vettoriale:

n′ · [σΩn] = −n∑

s=1

ms

[(ΩPs · n)(ΩPs · n′)− |ΩPs|2n · n′

]=

= −n∑

s=1

ms(ΩPs · n)(ΩPs · n′)−n∑

s=1

ms|ΩPs|2n · n′

Ricordando la definizione (4.6.9) di momento di deviazione rispetto a due piani e la

definizione (4.6.11) di momento polare, si deduce subito:

Inn′ = −n′ · [σΩn]− IΩn · n′ (4.7.14)

114

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ASSI PRINCIPALI ED ASSI CENTRALI D’INERZIA

La matrice σΩ e reale e simmetrica. Questa proprieta ci consente di affermare che esiste

una base ortonormale (cioe un sistema di riferimento con origine in Ω) rispetto alla quale

essa assume la seguente forma diagonale:

σΩ =

A 0 00 B 00 0 C

(4.7.15)

Questa base ortonormale e costituita dagli autovettori di σΩ relativi ai suoi tre autovalori

(reali) A,B, C. Denoteremo con i1, i2, i3 gli autovettori di σΩ di modulo unitario.

Gli assi del riferimento Ω, i1, i2, i3, che distingueremo dagli assi della generica terna

solidale indicandoli con ξ, η, ζ, sono chiamati assi principali d’inerzia relativi ad Ω, e

gli elementi non nulli A,B, C di σΩ sono i momenti principali d’inerzia rispetto agli

assi ξ, η, ζ. Essi sono ancora definiti dalle (4.7.7), che ora si scrivono:

A =n∑s

ms(η2s + ζ2

s ), B =n∑s

ms(ξ2s + ζ2

s ), C =n∑s

ms(ξ2s + η2

s). (4.7.16)

mentre le (4.7.9) diventano:

A′ =n∑s

msηsζs = 0, B′ =n∑s

msξsζs = 0, C ′ =n∑s

msξsηs = 0. (4.7.17)

Se ne conclude che nel sistema di riferimento costituito dalla terna principale Ω, ξ, η, ζ,che prende il nome di riferimento principale d’inerzia, si annullano tutti i momenti

di deviazione.

La formula (4.7.11) che fornisce l’espressione del momento d’inerzia rispetto ad una

retta passante per Ω e la formula (4.7.13) che fornisce l’espressione del momento di de-

viazione rispetto a piani passanti per Ω perpendicolari tra loro, quando si sceglie come

riferimento il riferimento principale d’inerzia, si scrivono semplicemente:

Ir = Aα2 + Bβ2 + Cγ2 (4.7.18)

−Inn′ = Aαα′ + Bββ′ + Cγγ′ (4.7.19)

Il tensore d’inerzia relativo al baricentro G del sistema S prende in nome di ten-

sore centrale d’inerzia, il riferimento con origine in G rispetto al quale la matrice

delle componenti del tensore centrale d’inerzia assume forma diagonale prende il nome di

riferimento centrale d’inerzia, gli assi di questo riferimento si chiamano assi centrali

d’inerzia ed infine i momenti d’inerzia del sistema S rispetto agli assi centrali d’inerzia

si chiamano momenti centrali d’inerzia.

ELLISSOIDE D’INERZIA

Il tensore d’inerzia (4.7.2) e suscettibile di una utile interpretazione geometrica.

A tale scopo si consideri la formula (4.7.3) che fornisce la legge di variazione del mo-

mento d’inerzia rispetto alle rette passanti per Ω e si cerchi il luogo dei punti L = (x, y, z)

115

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della generica retta r, passante per Ω, la cui distanza da Ω sia inversamente proporzionale

alla radice quadrata del momento d’inerzia, cioe tali che:

|ΩL| =√

1

Ir

. (4.7.31)

Detto u il versore della retta r si ha:

ΩL =

√1

Ir

u o anche u =√Ir ΩL; (4.7.32)

sostituendo quest’espressione nella (4.7.28) si ricava Ir = IrΩL · [σΩΩL].

L’equazione del luogo cercato e quindi la quadrica:

ΩL · [σΩΩL] = 1 (4.7.33)

FIGURA 4.7.2

In un riferimento Ω, xyz la (4.7.33) si scrive:

Ax2 + By2 + Cz2 − 2A′yz − 2B′xz − 2C ′xy = 1 (4.7.34)

Poiche la matrice d’inerzia e simmetrica e definita positiva, quest’equazione rappresenta

un ellissoide di centro Ω, chiamato ellissoide d’inerzia del sistema relativo al punto

Ω. Anch’esso e completamente individuato dalla matrice d’inerzia σΩ, e nel sistema di

riferimento solidale costituito dagli assi principali d’inerzia ξ, η, ζ la sua equazione si riduce

alla forma canonica:

Aξ2 + Bη2 + Cζ2 = 1 (4.7.35)

dove A,B, C sono i momenti principali d’inerzia relativi ad Ω.

116

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SIMMETRIE. GIROSCOPI.

Se i momenti principali d’inerzia rispetto a due assi di simmetria dell’ellissoide sono uguali,

allora l’ellissoide d’inerzia e di rotazione attorno al terzo asse principale, e il sistema

materiale si definisce a struttura giroscopica rispetto al punto Ω. Se tutti e tre i

momenti principali d’inerzia sono uguali, l’ellissoide d’inerzia e la sfera di centro Ω e

raggio√

1/Ir.

Se Ω coincide con il baricentro G del sistema, l’ellissoide relativo a G e chiamato

ellissoide centrale d’inerzia, i suoi assi di simmetria sono gli assi centrali d’inerzia

e i momenti A,B, C rispetto a tali assi sono i momenti centrali d’inerzia del sistema.

Se i momenti centrali d’inerzia rispetto a due assi di simmetria dell’ellissoide sono uguali,

allora l’ellissoide d’inerzia e rotondo, e il sistema materiale prende il nome di giroscopio.

Le proprieta dell’ellissoide d’inerzia sono legate all’esistenza di simmetrie nel sistema

materiale. L’individuazione di un piano di simmetria per il sistema materiale consente

spesso di determinare con facilita i momenti principali d’inerzia.

In particolare, valgono le seguenti proprieta, di facile verifica:

PROPRIETA 1. Se il sistema ammette un piano di simmetria π, la retta normale a π

passante per ogni suo punto Ω e asse principale d’inerzia relativo ad Ω.

PROPRIETA 2. Se il sistema ammette due piani di simmetria π1 e π2 perpendicolari fra

loro, la retta intersezione dei due piani e asse principale d’inerzia relativo ad ogni suo

punto A. Gli altri due assi principali d’inerzia relativi a tale punto A sono le due rette,

appartenenti a π1 e a π2, normali alla retta intersezione dei due piani, passanti per A.

PROPRIETA 3. Se il sistema ammette due piani di simmetria non perpendicolari fra

loro, il sistema e a struttura giroscopica rispetto ad ogni punto A della retta intersezione

dei due piani.

TEOREMI DI TRASPOSIZIONE

TEOREMA DI TRASPOSIZIONE PER IL TENSORE D’INERZIA

In questo paragrafo determineremo la legge di variazione del tensore d’inerzia σΩ (e quindi

in particolare dei momenti d’inerzia e dei momenti di deviazione) al variare del polo.

Consideriamo in particolare il tensore d’inerzia del sistema S relativo al suo baricentro,

detto tensore centrale d’inerzia. Esso e per definizione l’applicazione (lineare) che

associa al vettore u il vettore −∑ns=1 msGPs ∧ (GPs ∧ u):

σG : u −→ −n∑

s=1

msGPs ∧ (GPs ∧ u) (4.7.39)

e scriveremo

σG = −n∑

s=1

ms(GPs∧)2 (4.7.40)

117

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Determiniamo il legame tra i due tensori σΩ e σG. Calcoliamo σΩu; si ha:

σΩu = −n∑

s=1

msΩPs∧(ΩPs∧u) = −n∑

s=1

ms(ΩG+GPs)∧ [(ΩG+GPs)∧u] =

= −n∑

s=1

msGPs∧(GPs∧u)+ΩG∧(ΩG∧u)+ΩG∧(GPs∧u)+GPs∧(ΩG∧u) (4.7.41)

Otteniamo la somma di quattro addendi, che studiamo separatamente. Si ha

−n∑

s=1

msGPs ∧ (GPs ∧u) = σGu −n∑

s=1

msΩG∧ (ΩG∧u) = −m(ΩG∧)2u (4.7.42)

come si vede, la prima sommatoria e proprio il tensore d’inerzia relativo al baricentro

applicato al vettore u; la seconda sommatoria rappresenta il tensore d’inerzia, relativo al

punto Ω, che competerebbe al sistema costituto da un solo punto materiale, il baricentro,

in cui si immagina conentrata l’intera massa del sistema. Infine, le altre due sommatorie

risultano nulle,

−n∑

s=1

msΩG ∧ (GPs ∧ u) = 0 −n∑

s=1

msGPs ∧ (ΩG ∧ u) = 0

in quanto, per definizione di baricentro, si ha∑n

s=1 msGPs = 0.

Concludendo, abbiamo ottenuto il seguente legame:

σΩ = σG −m(ΩG∧)2 (4.7.43)

Questa formula costituisce il teorema di trasposizione per il tensore d’inerzia, che

si enuncia: Il tensore d’inerzia di un sistema materiale rispetto ad un generico punto Ω e

dato dalla somma del tensore d’inerzia del sistema materiale rispetto al baricentro e del

tensore d’inerzia che competerebbe al baricentro qualora in esso fosse concentrata tutta la

massa del sistema.

Dalla (4.7.43) si deducono immediatamente i teoremi di trasposizione per il momento

d’inerzia e per i momenti di deviazione; per ottenerli basta infatti considerare le compo-

nenti, in un generico riferimento, dei due membri della (4.7.43).

Si ottengono cosı i seguenti teoremi:

Teorema di trasposizione per il momento d’inerzia o teorema di Huygens:

Il momento d’inerzia di un sistema materiale rispetto ad una generica retta a e dato dalla

somma del momento d’inerzia del sistema materiale rispetto ad una retta aG, parallela

alla retta a, passante per il baricentro, e del momento d’inerzia, rispetto alla retta a, che

competerebbe al baricentro qualora in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema.

Denotata con d la distanza tra le due rette a e aG, otteniamo:

Ia = IaG+ md2 (4.7.44)

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Teorema di trasposizione per i momenti di deviazione.

Il momento di deviazione di un sistema materiale rispetto a due piani π1 e π2 tra di

loro perpendicolari e dato dalla somma del momento di deviazione del sistema materiale

rispetto a due piani π(G)1 e π

(G)2 , paralleli rispettivamente ai piani π1 e π2 e passanti per il

baricentro, e del momento di deviazione (rispetto ai due piani π1 e π2 ) che competerebbe

al baricentro qualora in esso fosse concentrata tutta la massa del sistema.

Denotate con d1 e d2 le distanze (con segno) di G dai due piani π1 e π2, otteniamo:

Iπ1π2 = Iπ

(G)1 π

(G)2

+ md1d2 (4.7.45)

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4.9. TENSORE D’INERZIA PER I SISTEMI PIANI

Se il sistema materiale e piano, il piano che lo contiene e un piano di simmetria, pertanto

la retta normale al piano e passante per un suo punto qualsiasi Ω e asse principale d’inerzia

relativo ad Ω. In tal caso, il momento principale d’inerzia rispetto a questa retta normale

si denota con IΩ (senza indicare l’asse normale al piano del moto).

Inoltre, il momento d’inerzia IΩ e la somma dei momenti d’inerzia del sistema piano

rispetto a due assi ortogonali passanti per Ω e contenuti nel piano del sistema.

Scegliamo il piano π che contiene del sistema S come piano x, y e sia O un qualunque

punto di π. Sia z l’asse passante per Ω ortogonale al piano π e chiamati x e y due assi

ortogonali a z uscenti da Ω, si ha:

A = Ix =n∑

i=1

miy2i , B = Iy =

n∑

i=1

mix2i , C = Iz =

n∑

i=1

mi(x2i + y2

i ), (4.9.1)

e quindi Iz = Ix + Iy. Inoltre si ha:

A′ =n∑

i=1

miyizi = 0, B′ =n∑

i=1

mixizi, C ′ = Jxy =n∑

i=1

mixiyi (4.9.2)

Pertanto le componenti del tensore d’inerzia di un sistema piano, nel riferimento

O; xyz sono:

σΩ =

Ix −Jxy 0Jxy Iy 00 0 Iz

(4.9.3)

Il momento d’inerzia del sistema rispetto ad una retta r passante per Ω di versore u =

(α, β, γ) e:

Ir = Aα2 + Bβ2 + (A + B)γ2 − 2C ′αβ (4.9.4)

e l’equazione dell’ellissoide d’inerzia relativo al punto O si scrive:

Ax2 + By2 + (A + B)z2 − 2C ′xy = c (4.9.4a)

ESERCIZIO

Si consideri il sistema piano costituito da 5 punti collegati rigidamente tra di loro, le cui

coordinate, nel riferimento di figura, sono:

P1 ≡ (0, 0), P2 ≡ (l, 0), P3 ≡ (2l, l), P4 ≡ (0, 2l), P5 ≡ (−l, l).

Le masse di P1, P2, P3 e P4 sono tutte uguali ad m, la massa di P5 e scelta in modo tale

che il riferimento c1, c2, c3 sia un riferimento principale d’inerzia per il sistema relativo

ad O. Determinare il tensore d’inerzia del sistema relativo al suo baricentro.

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ELEMENTI DI GEOMETRIA DELLE AREE

In questo paragrafo considereremo sistemi piani omogenei e supporremo unitaria la loro

densita. Parleremo di sistemi piani o di figure (aree) piane.

Nello studio di tali sistemi e sufficiente considerare la restrizione del tensore d’inerzia

σO ai vettori del piano π. Si verifica infatti facilmente che se S e un sistema piano, che

giace su π, l’operatore d’inerzia ad esso associato σO, con O punto qualsiasi del piano π,

trasforma vettori appartenenti a π in vettori appartenenti ancora a π. Infatti, scelto il

piano π come piano x, y, preso un qualunque vettore v = (v1, v2, 0), si ha:

σOv =

Ix −Jxy 0−Jxy Iy 0

0 0 Iz

v1

v2

0

=

Ixv1 − Jxyv2

−Jxyv1 + Iyv2

0

(4.9.5)

La matrice delle componenti di σO si scrive semplicemente:

σO =

[Ix −Jxy

−Jxy Iy

](4.9.5a)

Il momento d’inerzia del sistema rispetto ad una retta r passante per Ω di versore

u = (α, β) e:

Ir = u · (σOu) = Ixα2 + Iyβ

2 − 2Jxyαβ (4.9.4a)

ELLISSE D’INERZIA

Fissato un punto O del piano (x, y) e fissata una costante positiva c, il luogo dei punti L

del piano tali che risulti:

OL · (σOOL) = c (4.9.6)

prende il nome di conica indicatrice associata all’endomorfismo simmetrico σO.

Come gia visto nel caso dei sistemi spaziali, i punti L che appartengono a questo luogo

sono legati al momento d’inerzia del sistema Ir rispetto alla retta r dalla relazione:

|OL|2Ir = c (4.9.7)

Determiniamo l’equazione cartesiana di questo luogo. Posto OL = (x, y) e ur = (α, β), e

sostituendo nella (4.9.6), si ottiene:

Ixx2 + Iyy

2 − 2Jxyxy = c (4.9.8)

Fissato un valore per la costante c tale luogo e una conica (anzi e un’ellisse, poiche

essendo Ir sempre diverso da zero i punti L sono tutti al finito), che prende il nome di

ellisse d’inerzia, relativa al punto O, dell’area piana A. Come si verifica immediatamente,

tale ellisse e l’intersezione dell’ellissoide d’inezia di equazione (4.9.4) con il piano π di

equazione z = 0.

Se scegliamo come assi del riferimento proprio gli assi principali d’inerzia passanti per

O, denotati con X e Y tali assi, poiche in questo caso il momento di deviazione JXY e

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zero, l’equazione dell’ellisse d’inerzia si scrive:

IXX2 + IY Y 2 = c (4.9.9)

essendo IX e IY i momenti principali d’inerzia del sistema relativi ad O.

Ricordando la definizione di raggio d’inerzia ρr, ed indicando con ρX e ρY i raggi

d’inerzia relativi agli assi principali d’inerzia X e Y (i raggi principali), l’equazione

dell’ellisse d’inerzia si scrive:

ρ2XX2 + ρ2

Y Y 2 =c

A. (4.9.10)

Al variare di c otteniamo tante ellissi simili tra loro. Nello studio della Scienza delle

Costruzioni ha particolare importanza un’ellisse d’inerzia, detta ellisse di Culmann, che

si ottiene ponendo nella (4.9.10):

c = A ρ2Xρ2

Y (4.9.11)

Con questa scelta della costante c l’equazione dell’ellisse d’inerzia di Culmann si scrive in

forma canonica:X2

ρ2Y

+Y 2

ρ2X

= 1 (4.9.12)

Si verifica in particolare la seguente importante proprieta: Il raggio d’inerzia relativo

ad un diametro dell’ellisse d’inerzia e uguale alla lunghezza del semidiametro coniugato.

FIGURA 4.9.1

DETERMINAZIONE DEGLI ASSI PRINCIPALI D’INERZIA

Sia dato il tensore d’inerzia σO, e sia

σΩ =

[Ix −Jxy

−Jxy Iy

](4.9.5)

la sua matrice d’inerzia in un dato riferimento, con origine in O. Vogliamo determinare

gli assi principali d’inerzia passanti per O. Dobbiamo cioe determinare (nel piano (x, y))

una coppia di assi, perpendicolari tra loro, rispetto ai quali la matrice delle componenti

σO assume forma diagonale.

Detti ξ, η questi assi e i1 e i2 i rispettivi versori, deve risultare:

Jξη = i1 · (σi2) = 0 (∗)

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detto α e l’angolo che l’asse principale ξ forma con l’asse x, e

i1 = (cos α, sin α) i2 = (− sin α, cos α)

conseguentemente la condizione (*) si scrive:

Jξη =

[− sin αcos α

] [Ix −Jxy

−Jxy Iy

] [cos αsin α

]= 0

(Iy − Ix) sin α cos α− 2Jxy(cos2 α− sin2 α) = 0

e quindi

tan 2α =2Jxy

Iy − Ix

DIREZIONI CONIUGATE DELL’ENDOMORFISMO D’INERZIA

Dato un endomorfismo simmetrico, ad esempio il tensore d’inerzia σO, prendono il nome

di direzioni coniugate dell’endomorfismo due direzioni, individuate dai versori u e

u′, tali che

u · σOu′ = u′ · σOu = 0 (4.9.13)

La corrispondenza che associa ad ogni direzione u la direzione u′ ad essa coniugata prende

il nome di involuzione delle direzioni coniugate.

In componenti, posto u = (α, β) e u′ = (α′, β′), la (4.9.13) si scrive:

Ixαα′ − Jxy(αβ′ + α′β) + Iyββ′ = 0. (4.9.14)

ASSI A MOMENTO DI DEVIAZIONE NULLO

Dato il tensore d’inerzia σO, ha interesse determinare le coppie di assi uscenti per O,

rispetto alle quali il momento di deviazione del sistema S si annulla.

Siano dunque ξ e ξ′ due rette uscenti da O, denotiamo con u e u′ i versori normali

rispettivamente a ξ e a ξ′. Si ha:

Jξξ′ =n∑

s=1

ms[OPs · u][OPs · u′] =n∑

s=1

msδsδ′s, (4.9.15)

dove abbiamo indicato con δs e δ′s le distanze (con segno) del punto Ps dagli assi ξ e ξ′.Ma si ha anche, detti n e n′ i versori normali a u e u′:

n′ · [σOn] = n′ ·[−

n∑

s=1

msOPs ∧ (OPs ∧ n)

]= −

n∑

s=1

msn′ · [OPs ∧ (OPs ∧ n)] =

= −n∑

s=1

ms(OPs ∧ u) · (u′ ∧OPs) = −n∑

s=1

msδsδ′s (4.9.16)

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confrontando con la (4.9.15) si ottiene infine:

Jξξ′ = −n′ · [σOn] (4.9.17)

Vediamo cosı che il momento di deviazione di un sistema materiale rispetto a due assi

uscenti da O si annulla se e solo se i versori normali a questi assi sono direzioni coniugate

per l’endomorfismo d’inerzia σO.

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