lezioni di meccanica razionale a
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Universita di Modena e Reggio Emilia
Facolta di Ingegneria - sede di Modena
LEZIONI
di
MECCANICA RAZIONALE A
Docente: Prof. Valter Franceschini
Corsi di Laurea in Ingegneria (NOD)
- a.a. 2009/2010 -
PREFAZIONE
Il corso di Meccanica Razionale A si pone come obiettivi specifici quelli di introdurre glielementi di base della Meccanica Classica e di fornire gli strumenti matematici essenzialiper la costruzione e lo studio dei modelli che descrivono i fenomeni meccanici. Questedispense, che raccolgono le lezioni tenute dall’autore negli ultimi anni presso le Facoltad’Ingegneria di Modena e Reggio Emilia, sono intese da una parte come un supporto alladidattica, dall’altra come un testo dove il futuro ingegnere potra recuperare utili nozionieventualmente dimenticate.
Le dispense comprendono sei capitoli. Il primo e dedicato ai vettori e propone tutti glistrumenti di calcolo vettoriale necessari per lo svolgimento del corso. Il secondo e il terzocapitolo trattano rispettivamente la geometria della masse, vale a dire baricentri e momentid’inerzia, e la cinematica. Nel quarto vengono introdotte diverse nozioni propedeutichealla formulazione e allo studio dei problemi della Meccanica, quali i postulati fondamen-tali, i concetti di forza, di vincolo, di lavoro, di potenziale, etc. Gli ultimi due capitolipropongono infine la Meccanica vera e propria: prima quella del punto, poi quella deisistemi.
Una considerazione e doverosa circa gli argomenti trattati nei capitoli quinto e sesto.La necessita di limitare i contenuti del corso ha comportato l’esclusione di argomenti digrande interesse, quali i fenomeni dei battimenti e della risonanza, il problema dei duecorpi, i fenomeni giroscopici, il moto dei sistemi articolati, le piccole oscillazioni, lo studioqualitativo dei moti mediante il teorema di Weierstrass. Questi argomenti potranno peroessere recuperati, per obbligo o per scelta, col corso di Meccanica Razionale B da queglistudenti che proseguiranno gli studi con la laurea specialistica dopo aver conseguito quellatriennale.
Nella stesura di queste dispense si e cercato di conciliare due esigenze: da una parte, pernon appesantire troppo il corso, la necessita di proporre solo argomenti ritenuti basilari;dall’altra, per non rinunciare a priori alle possibili ricadute formative della materia, lavolonta di mantenere formalismo e rigore matematico associati a proprieta di linguaggio.
Il corso di Meccanica Razionale A, oltre alla trattazione di gran parte degli argomentiqui considerati, prevede lo svolgimento di un certo numero di esercitazioni. I problemiche sono affrontati in queste esercitazioni, e che sono destinati a far parte integrante delprogramma d’esame, sono inclusi nelle dispense Esercitazioni di Meccanica Razionale A,tutti completamente risolti.
A conclusione di questa prefazione l’autore desidera porgere un sentito ringraziamento atutti coloro che in qualche misura hanno contribuito negli anni alla messa a punto di questolavoro: innanzitutto il Prof. Italo Ferrari per tutto quanto gli ha insegnato di Meccanica,poi la Dott.ssa Cecilia Vernia per le sue osservazioni e i suoi suggerimenti, infine tutti glistudenti che gli hanno fatto notare imprecisioni o mancanza di chiarezza.
i
INDICE
1. Calcolo vettoriale 1
1.1 Vettori e loro prime proprieta 11.2 Somma di vettori 21.3 Prodotto scalare 61.4 Prodotto vettoriale 81.5 Prodotto misto 91.6 Rappresentazione cartesiana dei vettori 101.7 Doppio prodotto vettoriale e divisione vettoriale 141.8 Vettori variabili e loro derivazione 15
2. Geometria delle masse 20
2.1 Massa 202.2 Baricentro 212.3 Momento d’inerzia 232.4 Calcolo dei momenti d’inerzia 242.5 Ellissoide d’inerzia 262.6 Assi principali d’inerzia 282.7 Momento d’inerzia polare 30
3. Cinematica 31
3.1 Terna intrinseca ad una curva 313.2 Vettore spostamento, equazione del moto, legge oraria 333.3 Velocita 343.4 Accelerazione 353.5 Classificazione dei moti 363.6 Classificazione dei moti in base alla legge oraria 373.7 Moto circolare 393.8 Corpo rigido: generalita 403.9 Formule di Poisson 433.10 Formula fondamentale della cinematica rigida 443.11 Stati cinetici 453.12 Stato cinetico rotatorio 473.13 Stato cinetico elicoidale; teorema di Mozzi 493.14 Stati cinetici e moti di un corpo rigido: schema riassuntivo 503.15 Composizione degli stati cinetici 513.16 Definizione del problema della Cinematica relativa 533.17 Teoremi di composizione delle velocita e delle accelerazioni 543.18 Relazione fra le derivate di un vettore rispetto a due osservatori 563.19 Moto rigido piano 573.20 Determinazione del centro di istantanea rotazione per via geometrica 593.21 Esempi di moti rigidi piani 60
ii
3.22 Equazioni parametriche della base e della rulletta 613.23 Polo delle accelerazioni 633.24 Moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto 643.25 Sistemi di riferimento equivalenti 653.26 Moto di due corpi rigidi a contatto in un punto 66
4. Concetti e nozioni fondamentali della Meccanica 68
4.1 Forze 684.2 Leggi fondamentali della Meccanica 704.3 Sistemi meccanici 714.4 Vincoli 724.5 Numero di gradi di liberta 744.6 Parametri lagrangiani e sistemi olonomi 754.7 Altri esempi di vincoli 764.8 Spostamenti infinitesimi 784.9 Configurazioni interne e di confine 804.10 Forze attive 814.11 Reazioni vincolari 814.12 Vettori caratteristici di un sistema di forze 834.13 Sistemi equivalenti di forze 854.14 Sistemi elementari di forze 864.15 Teorema di equivalenza sui sistemi di forze 864.16 Operazioni elementari sulle forze 894.17 Sistemi di forze interne 904.18 Sistemi di forze parallele 914.19 Forza peso 924.20 Misura della massa 934.21 Lavoro reale infinitesimo 944.22 Lavoro finito 954.23 Lavoro virtuale 954.24 Lavoro infinitesimo delle forze applicate ad un corpo rigido 964.25 Forze posizionali 974.26 Sistemi conservativi di forze 974.27 Esempi significativi di sistemi conservativi di forze 994.28 Potenza 1014.29 Vincoli perfetti 102
5. Meccanica del punto 104
5.1 I problemi della Meccanica 1045.2 La legge di Newton 1065.3 Moto di un punto libero 1065.4 Moto di un punto vincolato senza attrito 1065.5 Equilibrio di un punto libero o vincolato senza attrito 1095.6 Possibili casi di equilibrio di un punto 1105.7 Punto vincolato con attrito: relazioni di Coulomb 1115.8 Oscillazioni libere 112
iii
5.9 Quantita di moto ed energia cinetica di un punto 1155.10 Teoremi delle forze vive e di conservazione dell’energia 1155.11 Momento della quantita di moto di un punto 1165.12 Integrali primi del moto di un punto 1185.13 Pendolo semplice 1195.14 Moto ed equilibrio relativo 1215.15 Forza centrifuga 124
6. Meccanica dei sistemi 126
6.1 Equilibrio di un sistema meccanico 1266.2 Principio dei lavori virtuali 1276.3 Configurazioni d’equilibrio interne dei sistemi olonomi a vincoli perfetti 1286.4 Equilibrio dei sistemi conservativi 1296.5 Stabilita dell’equilibrio 1306.6 Equazioni cardinali della statica 1326.7 Problemi staticamente determinati 1336.8 Equilibrio di un corpo rigido con asse fisso 1356.9 Equilibrio di un corpo rigido appoggiato in un punto ad un piano 1376.10 Sistemi composti 1396.11 Attrito fra due corpi rigidi 1406.12 Quantita di moto di un sistema 1426.13 Momento delle quantita di moto di un sistema 1436.14 Energia cinetica di un sistema 1466.15 Equazioni cardinali della dinamica 1496.16 Teoremi dell’energia 1516.17 Integrali primi 1526.18 Studio del moto e determinazione delle reazioni vincolari mediante 153
le equazioni cardinali della Dinamica6.19 Principio di D’Alembert 1546.20 Equazioni di Lagrange 1556.21 Equazioni di Lagrange per un sistema conservativo 1566.22 Pendolo fisico 157
Bibliografia 158
Indice analitico 159
Ultime modifiche apportate il 10/09/08
.
iv
1. CALCOLO VETTORIALE
1.1 Vettori e loro prime proprieta
Ogni grandezza fisica risulta matematicamente ben definita quando e possibile associare ad
essa un opportuno ente matematico in modo da rappresentarne quantitativamente tutte le
caratteristiche fisiche. E noto che alcune grandezze come la lunghezza sono completamente
individuate da un valore numerico; esse sono dette grandezze scalari. Per altre grandezze,
quali lo spostamento e la velocita di un punto, un numero non e sufficiente a caratterizzarle:
per esse occorre un vettore. Di conseguenza sono dette grandezze vettoriali.
Un vettore e un ente matematico caratterizzato da un numero (non negativo), da una
direzione e da un verso.
Un vettore a (nei testi denotato anche con a oppure a) viene sem-
pre rappresentato da un segmento orientato (ossia da un segmento
munito di freccia). La lunghezza del segmento, misurata in una
certa scala, e il numero (positivo) che caratterizza il vettore e che
viene chiamato modulo del vettore stesso; esso verra denotato con
jaj o, piu semplicemente con a. La direzione della retta che contiene
il segmento e la direzione del vettore; il verso e dato dal verso della
freccia.
Un vettore di modulo unitario si dice versore; un vettore di modulo zero e detto vettore
nullo. Per quest’ultimo, che denotiamo con 0, la direzione ed il verso possono essere presi
ad arbitrio.
Se A e B sono gli estremi del segmento che rappresenta un vettore (con verso da A a B),
il vettore puo indicarsi col simbolo B ¡ A, cioe come differenza di punti. Il modulo del
vettore B ¡ A vale la lunghezza del segmento AB. Il punto A si chiama origine o primo
estremo del vettore, il punto B secondo estremo.
Un vettore e dunque rappresentabile nello spazio mediante 13 segmenti orientati equipol-
lenti, cioe aventi la stessa lunghezza, la stessa direzione e lo stesso verso. Da qui segue
l’ovvia assunzione che due vettori sono uguali quando sono equipollenti.
A rimarcare il fatto che ad un vettore, a differenza di ogni segmento orientato, non cor-
risponde una posizione precisa nello spazio, si dice che e un vettore libero. Qualche volta
pero risulta necessario associare ad un vettore a una precisa origine A, ossia una ben de-
1
terminata localizzazione nello spazio. In tal caso si parla di vettore applicato e lo si indica
con la notazione (A, a). L’origine A e detta punto d’applicazione del vettore. Occorre
comunque sottolineare il fatto che ogni volta che si parla semplicemente di un vettore, si
intende un vettore libero.
Se due vettori, entrambi rappresentati come differenza di punti, sono uguali, si ha
B ¡A = D ¡ C ,
per cui, essendo ABCD un parallelogramma, ri-
sulta anche
C ¡A = D ¡B .
Definizione Si definisce prodotto di un numero reale m per un vettore a, e si scrive ma,
il vettore di modulo jmjjaj, di direzione uguale a quella di a, e di verso uguale od opposto
a quello di a a seconda che m e positivo o negativo.
In particolare, se m=¡1 si ha il vettore ¡a che e detto vettore opposto di a. Poiche
l’opposto di B ¡A e A¡B, vale la relazione
B ¡A = ¡(A¡B) ,
vera anche in senso algebrico, cioe considerando i punti come se fossero numeri.
Due vettori sono paralleli se hanno la stessa direzione; essi sono poi concordi o discordi a
seconda che abbiano oppure no lo stesso verso.
Teorema Se b e a sono due vettori paralleli (con a 6= 0) esiste un numero reale m tale
che
b = ma .
La dimostrazione e immediata. Si prenda m = +b
aoppure m = ¡
b
aa seconda che i due
vettori siano concordi o discordi. E facile vedere che b e ma hanno la stessa direzione e lo
stesso verso; inoltre, poiche jmaj =b
aa = b, il modulo di ma coincide col modulo di b.
1.2 Somma di vettori
Siano dati due vettori a1 ed a2. Si costruiscano due vettori consecutivi A1¡A ed A2¡A1
uguali rispettivamente ad a1 e ad a2 (l’origine del secondo vettore viene fatta coincidere
col secondo estremo del primo).
2
Definizione Si chiama somma o vettore risultante dei vettori a1 ed a2 il vettore A2 ¡A,
cioe
a1 + a2 = A2 ¡A .
La somma di due vettori gode della proprieta commu-
tativa. Infatti, completando il parallelogramma di
lati AA1 e A1A2, si ha subito che A2¡A e la somma
dei vettori A3 ¡ A ed A2 ¡ A3, uguali rispettiva-
mente ad a2 ed a1. Quindi si ha
a2 + a1 = a1 + a2.
Si considerino ora n vettori a1, a2, . . . , an, con n ¸ 3. Costruiamo la poligonale (in generale
non piana) formata dagli n vettori consecutivi A1 ¡ A,A2 ¡ A1, . . . , An ¡ An−1, uguali
rispettivamente ad a1, a2, . . . , an.
Definizione Il vettore An ¡ A si dice
somma o vettore risultante degli n vet-
tori dati, ossia
(1.1) a1+ a2+ a3+ ¢ ¢ ¢+ an = An¡A .
Notiamo che se An coincide con A, cioe
se la poligonale e chiusa, la somma dei
vettori e nulla (cioe e uguale al vettore
nullo).
La somma di vettori gode delle proprieta commutativa ed associativa. Quest’ultima proprieta,
di cui ovviamente ha senso parlare solo nel caso di almeno tre addendi, si prova subito
nel caso di vettori consecutivi. Infatti, sostituendo, per esempio, ai tre vettori consecutivi
a2, a3 ed a4 al primo membro della (1.1) la loro somma A4 ¡A1, si ottiene
a1 + (a2 + a3 + a4) + ¢ ¢ ¢+ an = (A1 ¡A) + (A4 ¡A1) + ¢ ¢ ¢+ (An ¡An−1) =
= An ¡A = a1 + a2 + a3 + a4 + ¢ ¢ ¢+ an,
conforme alla proprieta associativa.
Sfruttando il fatto, gia dimostrato, che per la somma di due vettori la proprieta commu-
tativa vale, si ha poi
a1 + a2 + a3 + ¢ ¢ ¢+ an = a1 + (a2 + a3) + a4 + ¢ ¢ ¢+ an =
= a1 + (a3 + a2) + a4 + ¢ ¢ ¢+ an =
= a1 + a3 + a2 + a4 + ¢ ¢ ¢+ an ,
3
ed in questo modo risulta provata la proprieta commutativa per due vettori consecutivi.
Poiche due vettori non consecutivi possono essere resi tali con opportuni scambi, e facile
provare che la proprieta commutativa e valida in generale.
Si puo notare che la (1.1) puo essere cosı riscritta
(A1 ¡A) + (A2 ¡A1) + ¢ ¢ ¢+ (An ¡An−1) = An ¡A ,
relazione vera anche in senso algebrico.
Osserviamo che vale la relazione
B ¡A = (B ¡ C) + (C ¡A)
che permette di aggiungere e togliere un punto
come se fosse un numero.
Definizione Si chiama differenza fra due vettori la somma del primo vettore con l’opposto
del secondo, cioe
a1 ¡ a2 = a1 + (¡a2) .
La differenza di vettori gode delle stesse proprieta della differenza fra numeri.
Enunciamo ora due teoremi di cui omettiamo la facile dimostrazione.
Teorema In una uguaglianza fra vettori del tipo
a1 + a2 + ¢ ¢ ¢+ an = b1 + b2 + ¢ ¢ ¢+ bm
si puo trasportare un vettore da un membro all’altro come se fosse un numero, cioe cam-
biando il suo segno.
Teorema Il prodotto di un numero per una somma di vettori vale la somma dei singoli
vettori moltiplicati per quel numero, cioe
m(a1 + a2 + ¢ ¢ ¢+ an) = ma1 +ma2 + ¢ ¢ ¢+man.
I due teoremi che seguono (con dimostrazione) sono particolarmente importanti. Essi
riguardano la possibilita di decomporre un vettore secondo delle direzioni assegnate. Prima
di enunciarli e dimostrarli, premettiamo la seguente nozione: le direzioni di tre o piu vettori
sono complanari se, rappresentati i vettori con l’origine in comune, essi risultano contenuti
in uno stesso piano.
4
Teorema Un vettore a si puo sempre decomporre nella somma di due vettori a1 ed a2
aventi direzioni distinte assegnate, ma complanari con quella di a.
Dimostrazione. Posto a = B ¡ A, si considerino
le due rette passanti per A e parallele alle dire-
zioni date (quindi complanari con a) e le altre due
rette passanti per B anch’esse parallele a quelle
direzioni. Si determina cosı un parallelogramma
ADBC e si ha
a = B ¡A = (B ¡D) + (D ¡A) = a1 + a2 ,
con a1 e a2 uguali rispettivamente ai vettori D¡A e B¡D, e quindi con direzioni uguali
a quelle assegnate.
Teorema Ogni vettore a si puo sempre decomporre nella somma di tre vettori aventi
direzioni assegnate non complanari.
Sia A l’origine del vettore B ¡ A, uguale ad
a, e siano r1, r2, r3 tre rette passanti per A e
parallele alle direzioni date.
Nel caso particolare che a abbia la stessa di-
rezione di una delle tre rette, per esempio r3,
allora il teorema e gia dimostrato in quanto i
due vettori paralleli a r1 ed r2 possono conside-
rarsi nulli, mentre quello parallelo ad r3 e a.
Se a non e parallelo a nessuna delle tre rette, sia r′ l’intersezione fra il piano individuato
da r1 ed r2 e quello individuato da B ¡A ed r3. Poiche B ¡A, r′ ed r3 sono complanari
ed r′ ed r3 sono rette distinte, si puo decomporre B ¡ A in due vettori a′ ed a3 paralleli
rispettivamente ad r′ ed r3, tali che si abbia
a = a′ + a3 .
Ma a′ si puo decomporre secondo i due vettori a1 ed a2 paralleli ad r1 ed r2. Di conseguenza
sara
a′ = a1 + a2 ,
e quindi
a = a1 + a2 + a3 ,
con a1, a2 e a3 aventi rispettivamente le direzioni di r1, r2 ed r3.
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Si noti che il vettore a e la diagonale del parallelepipedo di spigoli a1, a2, a3, qualora
questi quattro vettori abbiano tutti origine in A.
Se r3 e normale al piano di r1 ed r2, il vettore a′ si chiama componente di a lungo il
piano individuato da r1 ed r2, mentre a3 si chiama componente normale al piano. In altre
parole, dato un vettore a, per ottenerne la componente lungo un piano π e quella normale
a questo piano, lo si pone con origine in un punto O di π e lo si decompone lungo la
normale a π per O e l’intersezione fra questo piano e quello ad esso normale passante per
a. Ovviamente il vettore a e la somma delle sue componenti lungo il piano e normale al
piano.
1.3 Prodotto scalare
Definizione L’angolo formato da due vettori a e b e l’angolo, minore od al piu uguale
a π, formato da due semirette aventi l’origine in comune e parallele ed equiverse ai due
vettori.
Definizione Si chiama prodotto scalare (o interno) tra due vettori a e b il prodotto dei loro
moduli per il coseno dell’angolo da essi formato, cioe
a ¢ b = ab cosα. (1.2)
Ovviamente il prodotto scalare fra due vettori e un numero. Dalla (1.2) segue subito che
il prodotto scalare e nullo quando o uno almeno dei due vettori e nullo o i due vettori sono
ortogonali. L’annullarsi del prodotto scalare fra due vettori non nulli e quindi condizione
necessaria e sufficiente per l’ortogonalita dei due vettori.
Osserviamo che la (1.2) puo essere cosı riscritta:
a ¢ b = a(b cosα) = aOH ,
cioe il prodotto scalare fra due vettori puo essere visto
come lo scalare ottenuto moltiplicando il modulo di uno
dei due vettori per la proiezione su questo dell’altro vettore. Per proiezione di un vettore
b = B ¡ O su un altro vettore a = A¡ O si intende un numero con segno che esprime la
lunghezza del segmento OH ottenuto proiettando b su a. Il segno e positivo o negativo a
seconda che H ¡O e concorde o discorde con a.
Il prodotto scalare gode della proprieta commutativa, cioe a ¢ b = b ¢ a. Cio segue immedia-
tamente dalla (1.2) in quanto l’angolo fra a e b e identico a quello fra b e a.
6
Il prodotto scalare gode della proprieta distributiva
rispetto alla somma, cioe si ha
(1.3) a ¢ (b+ c) = a ¢ b+ a ¢ c .
Per dimostrare cio si costruiscono i tre vettori
a = A¡O, b = B ¡O e c = C ¡B. Siano poi
H e G le proiezioni di C e B su a, sicche OG e
GH sono le proiezioni di b e c su a. Si ha quindi
a ¢ (b+ c) = aOH = a(OG+GH) = aOG+ aGH = a ¢ b+ a ¢ c ,
e la (1.3) e cosı dimostrata.
Dal momento che l’angolo fra due vettori uguali e nullo, si ha
a ¢ a = a2 . (1.4)
D’ora in poi potremo riferirci al prodotto scalare di un vettore a per se stesso, e quindi al
quadrato del modulo di a, come al quadrato del vettore a. In altre parole: (a)2 = a2 .
Si ha poi
(a§ b)2 = a2 + b2 § 2a ¢ b ,
(a+ b) ¢ (a¡ b) = a2 ¡ b2 .
Teorema Sia a un vettore qualsiasi e siano m1, m2, m3 tre vettori distinti non nulli e
non complanari. Se si verifica
a ¢m1 = 0, a ¢m2 = 0, a ¢m3 = 0 ,
allora a = 0.
Dimostrazione Se a fosse diverso dal vettore nullo, esso risulterebbe perpendicolare a tre
vettori per ipotesi non complanari, il che sarebbe chiaramente assurdo.
Corollario Siano a e b due vettori qualunque e siano m1, m2, m3 tre vettori non nulli e
non complanari. Se si verifica
a ¢m1 = b ¢m1, a ¢m2 = b ¢m2, a ¢m3 = b ¢m3 , (1.5)
allora a = b .
7
Dimostrazione Dalle (1.5) si ha
(a¡ b) ¢m1 = 0, (a¡ b) ¢m2 = 0, (a¡ b) ¢m3 = 0,
e quindi, per il teorema precedente, a¡ b = 0, da cui la tesi.
Dal teorema e dal corollario appena dimostrati conseguono immediatamente altri due
corollari:
Corollario Se per ogni m si ha
a ¢m = 0 ,
allora a = 0.
Corollario Se per ogni m si ha
a ¢m = b ¢m,
allora a = b.
Nota. Ci sono autori che denotano il prodotto scalare in maniera diversa da quella qui
adottata. Le altre notazioni piu comuni sono a£ b e ab.
1.4 Prodotto vettoriale
Definiamo ora un’operazione tra vettori che, a differenza del prodotto scalare, a due vettori
associa un terzo vettore.
Definizione Si definisce prodotto vettoriale (o esterno) di due vettori a e b un vettore, che
indichiamo col simbolo a£ b (da leggersi a vettore b), cosı definito:
¡ il suo modulo e dato dal prodotto ab sinα (α angolo compreso tra a e b);
¡ la sua direzione e quella ortogonale al piano dei due vettori (posti con l’origine in
comune);
¡ il suo verso e quello per cui un osservatore, disposto lungo la suddetta direzione e che
guarda b, vede a alla sua destra.
E opportuno notare che il modulo di a£ b rappresenta l’area del parallelogramma di lati
a e b.
Per stabilire il verso del prodotto vettoriale si possono usare anche altre regole:
1) il verso di a£ b e quello per cui avanza un cavatappi, normale al piano contenente a e
b, quando viene fatto ruotare in modo che a vada a sovrapporsi a b descrivendo l’angolo
minore;
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2) il verso di a £ b e quello per cui la terna (a, b, a £ b) e una terna destra. Una terna
di vettori (a, b, c) e destra o sinistra a seconda che a, b e c possano essere fatti coincidere
rispettivamente con il pollice, l’indice e il medio della mano destra o della mano sinistra.
Dalla definizione segue immediatamente che il prodotto vettoriale e nullo o quando e nullo
uno almeno dei due vettori, o quando essi sono paralleli. Quindi l’annullarsi del prodotto
vettoriale fra due vettori non nulli, e condizione necessaria e sufficiente per il parallelismo
fra due vettori. In particolare si ha
a£ a = 0 .
Se m e un numero, allora
m(a£ b) = (ma)£ b = a£ (mb) .
Il prodotto vettoriale non gode della proprieta commutativa; infatti b£ a ha lo stesso modulo e
la stessa direzione di a£ b ma verso opposto, cioe
a£ b = ¡b£ a.
Il prodotto vettoriale gode della proprieta distributiva rispetto alla somma (senza dimostrazione):
a£ (b+ c) = a£ b+ a£ c .
Il prodotto vettoriale, in generale, non gode della proprieta associativa, cioe in generale si ha
(a£ b)£ c6= a£ (b£ c) ,
dove il primo membro, detto anche doppio prodotto vettoriale, indica il prodotto vettoriale
tra il vettore a£ b ed il vettore c, mentre il secondo membro e il prodotto fra i vettori a e
b£ c.
Nota. Anche per il prodotto vettoriale esistono altre notazioni, la piu comune delle quali
e a^ b. Tuttavia, per non creare inutili fraintendimenti, si consiglia vivamente di usare le
notazioni da noi introdotte, a ¢ b per il prodotto scalare e a£ b per il prodotto vettoriale,
notazioni che corrispondono a quelle piu largamente usate nei testi.
1.5 Prodotto misto
Definizione Si definisce prodotto misto di tre vettori a, b e c lo scalare
a£ b ¢ c . (1.6)
9
Osserviamo che non c’e ambiguita nell’ordine delle due operazioni in quanto ha senso solo
fare prima il prodotto vettoriale a£ b e poi moltiplicare scalarmente il risultato per c.
Teorema Il prodotto misto (1.6) vale il vo-
lume del parallelepipedo avente come spigoli i
tre vettori (supposti con la stessa origine O),
con la convenzione che il volume si intende po-
sitivo o negativo a seconda che il triedro a b c e
destro o sinistro. Si omette la dimostrazione.
Osserviamo che se il triedro individuato dalla terna di vettori (a, b, c) e destro, tali sono
anche i triedri individuati dalle terne (b, c, a) e (c, a, b). Di conseguenza, in virtu del
teorema appena enunciato, si ha
a£ b ¢ c = b£ c ¢ a = c£ a ¢ b .
Applicando poi la proprieta commutativa del prodotto scalare a b£ c ¢ a, ne segue
a ¢ b£ c = a£ b ¢ c .
Con cio si e dimostrata una importante proprieta del prodotto misto: in un prodotto misto
e lecito scambiare il segno di prodotto scalare con quello di prodotto vettoriale.
Osserviamo che se il prodotto misto di tre vettori e nullo, allora il parallelepipedo ha
volume nullo e quindi, o almeno uno dei vettori e nullo, o i tre vettori sono complanari.
Viceversa, se almeno un vettore e nullo, o se i tre vettori sono complanari, il volume e
nullo e cosı il prodotto misto. Quanto detto permette di affermare che condizione necessaria
e sufficiente affinche tre vettori non nulli siano complanari e che il loro prodotto misto sia nullo.
Un caso particolare, ma assai frequente, di nullita del prodotto misto si ha quando due
vettori sono paralleli.
1.6 Rappresentazione cartesiana dei vettori
Consideriamo un sistema di coordinate cartesiane
ortogonali Oxyz tali da costituire una terna destra.
Si prendano tre vettori unitari, detti versori fon-
damentali i, j, k paralleli ed equiversi agli assi x,
y, z rispettivamente e con origine in O e sia a un
generico vettore pure con origine in O.
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Poiche gli assi formano tre direzioni non complanari si puo scomporre a in tre vettori a1,
a2, a3, paralleli agli assi cartesiani, cioe
a = a1 + a2 + a3 . (1.7)
Essendo a1 un vettore parallelo all’asse x, e quindi al vettore i, esiste un numero reale ax
tale che
a1 = axi .
In modo analogo si ha
a2 = ayj , a3 = azk .
Sostituendo nella (1.7) si ottiene
a = axi+ ayj + azk . (1.8)
Da quanto precede e ovvio che, fissato un sistema di assi cartesiani ortogonali, ad ogni
vettore corrisponde una terna di numeri (ax, ay, az), che e unica. Viceversa, ogni terna
(ax, ay, az) individua, mediante la (1.8), un unico vettore a. Si puo percio concludere
che i tre numeri ax, ay, az caratterizzano in modo completo il vettore rispetto al sistema
di riferimento Oxyz fissato. Questi numeri sono detti componenti cartesiane del vettore,
lungo gli assi x, y, z rispettivamente. I vettori a1, a2, a3 possono chiamarsi anche vettori
componenti di a lungo gli assi.
Il vettore a3, normale al piano xy, ed il vettore axy = a1 + a2, parallelo a tale piano,
sono rispettivamente i vettori componenti di a normali ad xy e lungo xy. Il primo ha per
componenti cartesiane (0, 0, az), il secondo (ax, ay, 0).
Le componenti cartesiane dei tre versori fondamentali sono ovviamente le seguenti:
i ´ (1, 0, 0) , j ´ (0, 1, 0) , k ´ (0, 0, 1) .
Vediamo ora alcune proprieta delle componenti cartesiane di un vettore. Ovviamente, se
due vettori sono uguali, hanno uguali le componenti e viceversa. Vale poi l’affermazione
seguente:
Le componenti del vettore somma di due o piu vettori si ottengono sommando le compo-
nenti analoghe dei singoli vettori.
Infatti se e a = b+ c, esprimendo b e c nelle loro componenti cartesiane, avremo
a = (bxi+ byj + bzk) + (cxi+ cyj + czk) =
= (bx + cx)i+ (by + cy)j + (bz + cz)k ,
11
da cui segue che le componenti ax, ay, az di a valgono rispettivamente bx + cx, by + cy,
bz + cz. Risulta immediata l’estensione al caso in cui a e la somma di n vettori.
Ricaviamo ora l’espressione cartesiana del prodotto scalare fra due vettori. Per fare cio
osserviamo che essendo i vettori i, j, k unitari e a due a due ortogonali, si ha
i ¢ i = 1 , j ¢ j = 1 , k ¢ k = 1 ; (1.9)
i ¢ j = 0 , j ¢ k = 0 , k ¢ i = 0 . (1.10)
Dati due vettori a e b, rispettivamente di componenti (ax, ay, az) e (bx, by, bz), in virtu
della proprieta distibutiva del prodotto scalare rispetto alla somma e tenendo conto delle
relazioni (1.9) ed (1.10) appena scritte, si ha
a ¢ b = (axi+ ayj + azk) ¢ (bxi+ byj + bzk) = axbx + ayby + azbz . (1.11)
Il risultato ottenuto puo essere letto nel modo seguente: il prodotto scalare fra due vettori
vale la somma dei prodotti delle componenti analoghe dei due vettori.
Siamo ora in grado di ricavare alcune importanti proprieta delle componenti di un vettore.
Indicando con α l’angolo fra a e la direzione positiva dell’asse delle x, ricorrendo alla
definizione di prodotto scalare si ha
a ¢ i = a cosα .
Ricordando poi le (1.8), ed effettuando il prodotto sulla base della (1.11), si ricava
a cosα = ax . (1.12)
In modo analogo, se β e γ sono gli angoli fra il vettore a e la direzione positiva degli assi
y e z, si ottiene che
a cosβ = ay , (1.13)
a cos γ = az . (1.14)
Da queste relazioni si ricavano le componenti di un vettore noti il suo modulo e gli angoli
che esso forma con gli assi. Elevando al quadrato le tre ultime relazioni, sommando
membro a membro, e ricordando che cos2 α+ cos2 β + cos2 γ = 1, avremo
a2 = a2x + a2y + a2z ,
12
da cui
a =√
a2x + a2y + a2z . (1.15)
Questa formula esprime il modulo di un vettore note le sue componenti, mentre le (1.12),
(1.13) ed (1.14) esprimono i coseni degli angoli che il vettore forma con gli assi. Questo
permette di costruire il vettore note le sue componenti. Dalle (1.12), (1.13), (1.14) si ha
che la componente di un vettore lungo un dato asse e la sua proiezione sull’asse stesso.
Sottolineiamo il fatto che la componente di un vettore lungo un asse vale il prodotto scalare
del vettore per un versore diretto lungo quell’asse. Piu in generale, si chiama componente
di un vettore lungo una direzione individuata dal versore m il prodotto scalare fra a e m.
Ricaviamo ora l’espressione cartesiana del prodotto vettoriale. Ricordando che
i£ i = 0 , j £ j = 0 , k £ k = 0 ;
i£ j = k , j £ k = i , k £ i = j ,
e che, per le proprieta del prodotto vettoriale
j £ i = ¡k , k £ j = ¡i , i£ k = ¡j ,
si ha
a£ b = (axi+ ayj + azk)£ (bxi+ byj + bzk) =
= axbxi£ i+ axbyi£ j + axbzi£ k + aybxj £ i+ aybyj £ j+
+ aybzj £ k + azbxk £ i+ azbyk £ j + azbzk £ k =
= axbyk ¡ axbzj ¡ aybxk + aybzi+ azbxj ¡ azbyi ,
e cioe
a£ b = (aybz ¡ azby)i+ (azbx ¡ axbz)j + (axby ¡ aybx)k. (1.16)
Per ricordare facilmente le componenti del prodotto vettoriale e utile il determinante
simbolico:
a£ b =
∣∣∣∣∣∣
i j kax ay azbx by bz
∣∣∣∣∣∣. (1.17)
che, sviluppato secondo la prima riga, da esattamente la (1.16).
Calcoliamo ora l’espressione cartesiana del prodotto misto a£ b ¢ c. Ricordando la (1.11)
e la (1.16) si ottiene
a£ b ¢ c = cx(aybz ¡ azby) + cy(azbx ¡ axbz) + cz(axby ¡ aybx) ,
13
o, equivalentemente,
a£ b ¢ c =
∣∣∣∣∣∣
ax ay azbx by bzcx cy cz
∣∣∣∣∣∣.
Una considerazione importante e la seguente: Dato il punto P di coordinate (x, y, z), le
componenti del vettore P ¡ O sono proprio x, y e z. Infatti, essendo PO cosα, PO cosβ,
PO cos γ, nell’ordine, proprio le coordinate x, y, z di P , si puo scrivere
P ¡O = PO cosα i+ PO cosβ j + PO cos γ k = xi+ yj + zk . (1.18)
Di conseguenza, dati due punti P1 e P2 di coordinate (x1, y1, z1) e (x2, y2, z2), si ha
P1 ¡O = x1i+ y1j + z1k , P2 ¡O = x2i+ y2j + z2k .
Sottraendo la prima uguaglianza dalla seconda si ottiene
P2 ¡ P1 = (x2 ¡ x1)i+ (y2 ¡ y1)j + (z2 ¡ z1)k.
Dunque, il vettore definito dalla differenza tra due punti ha per componenti la differenza
fra le coordinate analoghe dei due punti stessi.
1.7 Doppio prodotto vettoriale e divisione vettoriale
Dimostreremo ora la formula seguente
(a£ b)£ c = (a ¢ c)b¡ (b ¢ c)a . (1.19)
Scegliamo un sistema di assi cartesiani ortogonali Oxyz in modo che l’asse z sia parallelo
a c; cosı si ha
c = ck, a ¢ c = azc, b ¢ c = bzc.
Allora, ricordando le espressioni (1.16) e (1.17) del prodotto vettoriale, possiamo scrivere
(a£ b)£ c =
∣∣∣∣∣∣
i j kaybz ¡ azby azbx ¡ axbz axby ¡ aybx
0 0 c
∣∣∣∣∣∣=
= (azbxc¡ axbzc)i+ (azbyc¡ aybzc)j + (azbzc¡ azbzc)k =
= azc(bxi+ byj + bzk)¡ bzc(axi+ ayj + azk) = (a ¢ c)b¡ (b ¢ c)a ,
col che abbiamo dimostrato la (1.19).
14
La formula (1.19) permette di risolvere assai facilmente il problema della divisione vettoriale,
che consiste nel determinare i vettori x soluzione dell’equazione:
a£ x = b , con a ? b . (1.20)
Osservato che essendo a ? b l’equazione e ben posta (se a e b non fossero perpendicolari
l’equazione non avrebbe soluzione), dimostriamo che
x0 =b£ a
a2
e soluzione. Infatti, sostituendo x0 nell’equazione ed applicando la formula (1.19), si ha
a£(b£ a)
a2= ¡
1
a2(b£ a)£ a = ¡
1
a2[(b ¢ a)a¡ (a ¢ a)b] = ¡
1
a2[¡a2b] = b .
Ricordando poi che a£ a = 0, la (1.20) risulta soddisfatta anche ponendo
x = x0 + ha ,
con h numero qualunque. Osserviamo che ogni vettore soluzione x e normale a b (x0 e
normale anche ad a).
Posti a e b con origine in un punto O e posto
x = P ¡ O, il risultato ottenuto ci dice che il
luogo dei punti P soddisfacenti l’equazione
a£ (P ¡O) = b
e una retta parallela ad a posta come in figura.
1.8 Vettori variabili e loro derivazione
Si consideri ora una variabile numerica reale t, che assuma tutti i valori compresi in un
intervallo I = (t1, t2). Supposto che ad ogni valore di t corrisponda uno ed un sol vettore
u, diremo che u e un vettore funzione di t ed esprimeremo cio scrivendo
u = u(t) , t 2 I . (1.21)
Fissato quindi un sistema di riferimento cartesiano ortogonale Oxyz, le componenti carte-
siane ux, uy, uz di u sono anch’esse funzioni della variabile t. Allora la funzione vettoriale
(1.21) e equivalente alle tre funzioni scalari:
ux = ux(t) , uy = uy(t) , uz = uz(t) .
15
Per i vettori funzione di una variabile t, si puo definire, come per le funzioni ordinarie, il
concetto di limite per t tendente a t0, essendo t0 un punto di accumulazione di I.
Definizione Diremo che il vettore u(t) tende, per t! t0, al limite u0 e scriveremo
limt→t0
u(t) = u0 (1.22)
se
8ǫ > 0 , 9δǫ > 0 : 8t 2 (t0 ¡ δǫ, t0 + δǫ) , t6= t0 ) ju(t)¡ u0j < ǫ .
Posto poi
u0 = u0xi+ u0yj + u0zk ,
poiche il valore assoluto della componente di un vettore e sempre minore o al piu uguale
al modulo del vettore stesso (vedi (1.15)), l’esistenza del limite (1.22) implica che
8ǫ > 0 , 9δǫ > 0 : 8t 2 (t0 ¡ δǫ, t0 + δǫ) , t6= t0 ) jux(t)¡ u0xj · ju(t)¡ u0j < ǫ .
Questa relazione, e le analoghe per uy ed uz, implicano
limt→t0
ux(t) = u0x , limt→t0
uy(t) = u0y , limt→t0
uz(t) = u0z ,
vale a dire: il limite delle componenti di un vettore e dato dalle componenti del limite del
vettore stesso.
Dalle precedenti formule si deduce poi subito che
limt→t0
u(t) = limt→t0
√u2x(t) + u2y(t) + u2z(t) =
√u20x + u20y + u20z = u0, (1.23)
cioe il limite del modulo di un vettore vale il modulo del suo limite.
Si possono poi dimostrare i seguenti teoremi:
— Il limite della somma di due o piu vettori vale la somma dei limiti dei singoli vettori.
— Il limite del prodotto scalare o vettoriale di due vettori vale il prodotto scalare o vettoriale
dei limiti dei singoli vettori.
— Il limite del prodotto di uno scalare per un vettore vale il limite dello scalare per il limite
del vettore.
Considerati uno scalare m(t) e due vettori u(t) e v(t), e supposto che
limt→t0
m(t) = m0 , limt→t0
u(t) = u0 , limt→t0
v(t) = v0 ,
16
i tre teoremi precedenti si scrivono cosı :
limt→t0
(u(t)§ v(t)
)= u0 § v0 ,
limt→t0
u(t) ¢ v(t) = u0 ¢ v0 ,
limt→t0
u(t)£ v(t) = u0 £ v0 ,
limt→t0
m(t)u(t) = m0u0 .
Definizione Il vettore u(t) e continuo per t = t0 se
limt→t0
u(t) = u(t0).
Definizione Si chiama derivata del vettore u(t) per t = t0 il vettore
u′(t0) =du
dt
∣∣∣∣t=t0
= limh→0
u(t0 + h)¡ u(t0)
h. (1.24)
(supposto che il limite esista)
Definizione Si chiama differenziale del vettore u(t) per t = t0, e si indica con du, il prodotto
della derivata del vettore per t = t0 per il differenziale della variabile indipendente, vale a
dire
du = u′(t0)dt .
Si dimostra facilmente che la derivata di un vettore ha per componenti le derivate delle compo-
nenti del vettore stesso. Infatti si ha
du
dt
∣∣∣∣t=t0
= limh→0
u(t0 + h)¡ u(t0)
h=
= limh→0
ux(t0 + h)¡ ux(t0)
hi+ lim
h→0
uy(t0 + h)¡ uy(t0)
hj + lim
h→0
uz(t0 + h)¡ uz(t0)
hk =
=
(duxdt
)
t0
i+
(duydt
)
t0
j +
(duzdt
)
t0
k = u′x(t0) i+ u′y(t0) j + u′z(t0) k .
Non e difficile provare che valgono le seguenti regole di derivazione:
d(u ¢ v)
dt=
du
dt¢ v + u ¢
dv
dt, (1.25)
d(u£ v)
dt=
du
dt£ v + u£
dv
dt,
d(mu)
dt=
dm
dtu+m
du
dt.
17
In particolare, dalla (1.25), ricordando anche la (1.4), si ha
du2
dt=
d(u ¢ u)
dt= 2u ¢
du
dt, (1.26)
cioe la derivata del quadrato del modulo di un vettore vale il doppio del prodotto scalare
tra il vettore e la sua derivata.
Conseguenza immediata della (1.26) e che, se il vettore u e costante in modulo, allora
du
dt¢ u = 0 ,
per cui la derivata di un vettore costante in modulo e perpendicolare al vettore stesso. In parti-
colare cio vale per un versore.
Supponiamo ora che si abbia
u = u(s(t)),
ossia che u sia funzione della variabile t attraverso una seconda variabile reale s. In tal
caso e facile dimostrare chedu
dt=
ds
dt
du
ds. (1.27)
Infatti, se u=u(s(t)), allora ux=ux(s(t)), uy=uy(s(t)) e uz=uz(s(t)), per cui, ricordando
le regole di derivazione delle funzioni ordinarie, si ottiene
du
dt=
duxdt
i+duydt
j +duzdt
k =duxds
ds
dti+
duyds
ds
dtj +
duzds
ds
dtk =
=ds
dt
(duxds
i+duyds
j +duzds
k
)=
ds
dt
du
ds.
Si consideri ora la variabile t e si supponga che ad ogni suo valore corrisponda una posizione
di un punto P dello spazio. In tal caso diremo che il punto P e funzione di t e scriveremo
P = P (t) .
Definizione Si chiama derivata del punto P rispetto a t la derivata del vettore P (t) ¡ O,
dove O e un qualunque punto dello spazio che non dipende da t.
Questa definizione e giustificata dal fatto che la derivata di P non dipende da O. Infatti,
indicata condP
dtla derivata di P rispetto a t, avremo
dP
dt=
d(P ¡O)
dt= limh→0
(P (t+ h)¡O
)¡(P (t)¡O
)
h= limh→0
P (t+ h)¡ P (t)
h.
Questo dimostra l’indipendenza didP
dtda O. Osserviamo che sarebbe perfettamente
equivalente assumere come definizione della derivata di un punto rispetto ad una variabile
t l’ultimo limite soprascritto.
18
Come sappiamo, considerato un sistema di riferimento Oxyz e un punto P di coordinate
x, y, z, le componenti del vettore (P ¡O) sono proprio le coordinate di P, si ha cioe
P ¡O = x i+ y j + z k .
La definizione appena data conduce dunque alla formula
dP
dt=
dx
dti+
dy
dtj +
dz
dtk ,
cioe le componenti della derivata di un punto sono le derivate delle sue coordinate.
Se poi P e funzione di un parametro s a sua volta funzione di t, per cui P = P(s(t)), in
virtu della (1.27) si ha
dP
dt=
d(P ¡O)
dt=
ds
dt
d(P ¡O)
ds=
ds
dt
dP
ds.
Infine, se i punti P e Q sono entrambi funzione di t, tale sara anche il vettore P ¡Q; di
conseguenza, si ha
d(P ¡Q)
dt=
d(P ¡O)
dt¡
d(Q¡O)
dt=
dP
dt¡
dQ
dt.
19
2. GEOMETRIA DELLE MASSE
In questo capitolo ci occupiamo di geometria delle masse, vale a dire di nozioni
fondamentali della Meccanica che, dipendendo solo dalla distribuzione geometrica delle
masse, possono essere trattate anticipatamente. Piu precisamente, ci occupiamo delle
nozioni di baricentro e di momento d’inerzia, fornendone anche il calcolo in alcuni
esempi elementari ma utili ai fini degli esercizi.
2.1 Massa
Definizione La massa e una proprieta intrinseca dei corpi connessa alla loro quantita di
materia.
Matematicamente la massa e rappresentata mediante una grandezza scalare m positiva,
che supponiamo indipendente dal sistema di riferimento e additiva, cioe uguale alla somma
delle masse delle parti componenti.
Il numero m rappresenta la misura della massa del corpo in rapporto a quella di un
corpo campione la cui massa e assunta come unitaria. La possibilita di misurare una
massa confrontandola con un’altra e una conseguenza della II Legge della Dinamica che
introdurremo fra un po’.
Spesso, quando le dimensioni del corpo sono piccole e il problema che ci interessa lo
permette, tornera comodo, nel nostro modello matematico, trattare il corpo come se fosse
un punto geometrico P dotato della massa del corpo. Ebbene, in tal caso si parlera di
punto materiale P di massa m, e si usera la notazione (P,m).
Un qualunque corpo potra sempre essere riguardato come un’unione di punti materiali.
Tali punti potranno essere in numero finito o una infinita numerabile o un continuo. Nei
primi due casi, indicata con mi la massa dell’i-esimo punto, la massa totale del corpo, in
virtu dell’additivita, sara data da
M =N∑
i=1
mi (2.1)
oppure
M =
∞∑
i=1
mi
a seconda che i punti siano in numero finito o un’infinita numerabile.
20
Se invece i punti materiali costituiscono un continuo C, allora si suppone che al corpo sia
associata una funzione ρ(P ) reale, non negativa, limitata, detta densita di massa, definita
per ogni punto P del corpo e tale che la massa infinitesima dm contenuta in un elemento
infinitesimo dC del corpo contenente P sia data da dm = ρ(P )dC. La massa totale di C,
sempre in virtu dell’additivita, sara quindi data da
M =
∫
C
ρ(P )dC . (2.2)
In generale (2.2) e un integrale di volume; se pero la forma del corpo C e particolare, per
cui una o due dimensioni risultino trascurabili rispetto alle altre, allora si potra avere un
integrale di superficie o un integrale curvilineo.
Il caso piu semplice che si possa presentare e ρ(P ) = costante = ρ0, cioe quando il corpo
e omogeneo, per cui risulta m = ρ0V , con V volume di C.
Nota bene: nel seguito supporremo sempre di aver a che fare o con un numero finito
di punti materiali o con un corpo continuo. Tutte le dimostrazioni verranno fatte nel
caso finito, sapendo pero che esse possono essere riportate al caso numerabile o continuo
sostituendo semplicemente le somme finite con serie o integrali che supporremo sempre
convergenti.
2.2 Baricentro
Definizione Si chiama baricentro o centro di massa di un sistema materiale il punto G
definito dalla relazione
G¡O =
∑Ns=1ms(As ¡O)
M(2.3)
se il sistema e costituito di N punti materiali (As,ms), s = 1, . . . , N , oppure da
G¡O =
∫C ρ(P )(P ¡O)dC
M(2.4)
nel caso di un corpo continuo C. Il punto O e un qualunque punto da noi fissato ed M e
la massa totale del sistema materiale.
Di solito O e l’origine del sistema di riferimento. Le coordinate di G rispetto ad un
riferimento Oxyz sono date da
xG =
∑Ns=1msxs
M, yG =
∑Ns=1msys
M, zG =
∑Ns=1mszs
M. (2.5)
oppure da
xG =
∫C ρxdC
M, yG =
∫C ρydC
M, zG =
∫C ρzdC
M, (2.6)
21
a seconda che i punti siano in numero finito od un continuo.
Osservazioni:
- Nel caso di un insieme di punti materiali tutti appartenenti ad una retta, anche G ap-
partiene alla retta. Esempio ovvio: un’asta. Analogamente, se tutti i punti appartengono
ad un piano, anche G appartiene al piano.
- In generale gli integrali (2.6) sono degli integrali di volume. Tuttavia, nel caso di corpi
particolari, essi possono ridursi ad integrali di superficie o addirittura ad integrali curvi-
linei. Cio accade quando il corpo puo assumersi come bidimensionale (ad esempio una
lamina) o unidimensionale (ad esempio un filo).
- Si puo dimostrare che se il corpo e delimitato da una superficie convessa, G e interno al
corpo.
- Ai fini del calcolo dei baricentri risulta molto utile (in quanto aiuta a semplificare il
calcolo stesso) la seguente proposizione: se il sistema materiale ha un piano di simmetria
geometrico-materiale, il baricentro sta su tale piano.
Dimostrazione. Dire che il sistema di punti
materiali, che indichiamo con S, ha un piano
Π di simmetria significa dire che, se Ps 2 S,
anche il punto Qs, simmetricamente posto
rispetto a Π, appartiene a S. Dire poi che
la simmetria e anche materiale, significa dire
che Ps e Qs hanno la stessa massams (o, nel
caso continuo, la stessa densita di massa).
Supposto ora che il piano Π coincida col piano Oxy (che ha equazione z = 0), se Ps ´
(xs, ys, zs), allora Qs ´ (xs, ys,¡zs). Dalla terza relazione delle (2.5) (o delle (2.6)) segue
quindi banalmente zG = 0, ossia G 2 Π.
- Conseguenza immediata del teorema appena dimostrato e che, se il corpo ha due piani di
simmetria, G sta sulla retta d’intersezione. Se poi ne ha tre, G e il loro punto d’intersezione.
Ad esempio, in un corpo omogeneo a forma di parallelepipedo o di sfera G coincide col
centro.
- Per determinare il baricentro di un sistema materiale costituito di N componenti, si determina
prima il baricentro di ciascuna componente, e quindi ci si comporta come se si avessero N
punti. Piu precisamente, se si hanno N componenti di massa mi e baricentro Gi, e come
se si avessero gli N punti materiali (Gi,mi).
22
2.3 Momento d’inerzia
Definizione Si definisce momento d’inerzia di un sistema di punti materiali (Ps, ms), s =
1, ..., N , rispetto ad un asse (O, a) lo scalare
I =N∑
s=1
msr2s , (2.7)
dove rs e la distanza di Ps dall’asse.
Se invece di un sistema materiale discreto abbiamo a che fare con un sistema continuo,
allora, indicata con ρ(P ) la densita di massa, anziche (2.7), si ha
I =
∫
C
ρ(P )r2dC , (2.8)
con r distanza di P dall’asse. In generale questo e un integrale di volume. Tuttavia, se
la forma del corpo C e particolare, per cui una o due dimensioni sono trascurabili rispetto
alle altre, allora si ha un integrale di superficie o un integrale curvilineo.
Il momento d’inerzia puo anche essere definito rispetto ad un punto O: in questo caso,
in cui le distanze rs sono le distanze di Ps da O, si parla di momento d’inerzia polare
(rispetto al polo O) invece che di momento assiale.
Il momento polare pero non e molto importante; esso e utile a semplificare il calcolo di
qualche momento d’inerzia assiale particolare (ad esempio, il momento d’inerzia di una
sfera omogenea rispetto ad un suo diametro). Nel seguito, quando si parlera di momento
d’inerzia si intendera sempre quello assiale, salvo che non sia altrimenti specificato.
Analogamente a quanto fatto finora, tutte le dimostrazioni che seguiranno si baseranno sul-
l’ipotesi che il sistema materiale sia discreto. Ovviamente le stesse dimostrazioni possono
essere rifatte in maniera del tutto analoga nel caso di un sistema materiale continuo.
Osserviamo che il momento d’inerzia I in generale e funzione del tempo t in quanto, in
generale, la distanza dei punti Ps dall’asse varia col tempo. Osserviamo pero che, se il
sistema materiale e un corpo rigido e l’asse e fisso rispetto al corpo, allora I e costante. La
nozione di corpo rigido, di cui ci limitiamo a riportare qui la definizione, sara approfondita
nel prossimo capitolo.
Definizione Un corpo rigido e un sistema di punti materiali le cui mutue distanze riman-
gono costanti nel tempo.
Un corpo non rigido, e un corpo deformabile.
23
2.4 Calcolo dei momenti d’inerzia
Il calcolo di un momento d’inerzia e sempre possibile ricorrendo direttamente alla defi-
nizione, cioe, a seconda che il sistema materiale sia discreto o continuo, alla (2.7) o alla
(2.8). Esistono pero degli altri metodi che sono estremamente utili e che sono espressi dai
due teoremi che seguono.
Teorema (di Huyghens o di Steiner)
Noto il momento d’inerzia IG di un sistema materiale di massa totale M rispetto alla retta
baricentrica (G, k), il momento d’inerzia I rispetto ad una qualunque retta parallela posta
a distanza d vale
I = IG +Md2 . (2.9)
Dimostrazione
Siano Oxyz e Gx′y′z′ due sistemi di
riferimento con Gz′ asse rispetto al
quale e noto il momento d’inerzia e
Oz asse rispetto al quale si vuole cal-
colare il momento, con k versore co-
mune. Si supponga poi che Oy ´ Gy′
(senza con cio perdere di generalita).
Ne consegue che
xs = x′s , ys = y′s + d , zs = z′s ,
e quindi
I =∑
s
msr2s =
∑
s
ms
(x2s + y2s
)=∑
s
ms
((x′s)
2 + (y′s + d)2)
=∑
s
ms
((x′s)
2 + (y′s)2)+ d2
∑
s
ms + 2d∑
s
msy′s =
∑
s
ms(r′s)2 +Md2
= IG +Md2 ,
dove si e tenuto conto che∑smsy
′s =My′G = 0.
Osservazione. Noto il momento d’inerzia rispetto ad una retta r, il teorema di Huyghens
permette il calcolo del momento d’inerzia rispetto ad una qualunque retta r′ parallela ad
r. Cio e possibile in base alla ovvia considerazione che la formula (2.9) puo essere usata
anche per ricavare IG noto I.
Teorema Il momento d’inerzia di un sistema materiale rispetto alla retta (O, a) di coseni
direttori α, β e γ rispetto ad un riferimento Oxyz vale
I = Aα2 +Bβ2 + Cγ2 ¡ 2A′αβ ¡ 2B′αγ ¡ 2C ′βγ , (2.10)
24
dove
A =∑
s
ms
(y2s + z2s
), B =
∑
s
ms
(x2s + z2s
), C =
∑
s
ms
(x2s + y2s
), (2.11)
A′ =∑
s
msxsys , B′ =∑
s
msxszs , C ′ =∑
s
msyszs . (2.12)
Prima di dimostrare il teorema osserviamo che A, B e C sono i momenti d’inerzia del
sistema materiale rispetto agli assi Ox, Oy ed Oz rispettivamente. Le quantita A′, B′ e
C ′, che hanno le dimensioni di un momento d’inerzia, si chiamano momenti di deviazione
o prodotti d’inerzia o momenti centrifughi. Dalle definizioni (2.11) e (2.12) si puo osservare
che, al contrario di A, B e C che essendo dei veri momenti d’inerzia sono sempre positivi,
i momenti di deviazione A′, B′ e C ′ possono essere sia postivi che negativi.
Dimostrazione Posto
Ps ¡O = xsi+ ysj + zsk ,
essendo a = αi+ βj + γk, si ha
r2s =[(Ps ¡O)£ a
]2=[(γys ¡ βzs)i+ (αzs ¡ γxs)j + (βxs ¡ αys)k
]2
= (γys ¡ βzs)2 + (αzs ¡ γxs)
2 + (βxs ¡ αys)2
= (y2s + z2s)α2 + (x2s + z2s)β
2 + (x2s + y2s)γ2 ¡ 2xsysαβ ¡ 2xszsαγ ¡ 2yszsβγ .
Sostituendo in (2.7) si ha
I =∑
s
ms(y2s + z2s)α
2 +∑
s
ms(x2s + z2s)β
2 +∑
s
ms(x2s + y2s)γ
2¡
¡ 2∑
s
msxsysαβ ¡ 2∑
s
msxszsαγ ¡ 2∑
s
msyszsβγ ,
che in virtu delle posizioni (2.11) e (2.12) da la (2.10).
Il teorema appena dimostrato vale per qualunque sistema materiale. Ovviamente, in base
a quanto osservato alla fine del precedente paragrafo, i momenti d’inerzia A, B, C e i
momenti di deviazione A′, B′ e C′ in generale sono funzione del tempo. Nel caso pero di
un sistema rigido, se il sistema di riferimento e solidale con esso, allora A, B, C, A′, B′
e C ′ sono costanti. In considerazione di cio, ed in considerazione del fatto che noi siamo
interessati esclusivamente a corpi rigidi, d’ora in poi, in questo e nel successivo paragrafo,
supporremo che il sistema materiale sia un corpo rigido e che la terna di riferimento sia
con esso solidale. Per mettere in evidenza quest’ultimo fatto la terna sara indicata con
O1x1y1z1 (naturalmente con versori i1, j1 e k1).
25
Definizione Si chiama matrice o tensore d’inerzia di un corpo rigido C relativa al riferimento
solidale O1x1y1z1 la matrice simmetrica
J =
A ¡A′ ¡B′
¡A′ B ¡C ′
¡B′ ¡C′ C
. (2.13)
Ora, utilizzando la matrice J , il risultato (2.10) puo scriversi nella forma compatta
I = (J a, a) , (2.14)
dove a va inteso come vettore colonna, J a e il prodotto di una matrice 3£3 per un vettore
colonna (o, se si vuole, una matrice 3£ 1), e (¢, ¢) indica il prodotto scalare tra due vettori
colonna.
Osservazione La matrice J , oltre ad essere simmetrica, e definita positiva. Ricordiamo
che una matrice A di tipo n£n si dice definita positiva se
(Ax,x) > 0 8x6= 0 , x 2 Rn .
Ovviamente il determinante di una matrice definita positiva e positivo.
2.5 Ellissoide d’inerzia
Il calcolo del momento d’inerzia rispetto ad una data retta puo essere fatto utilizzando
l’ellissoide d’inerzia anziche la matrice d’inerzia. Questo approccio, per quanto totalmente
equivalente ad usare la formula (2.10), permette pero una interpretazione geometrica sia
della matrice J che del momento d’inerzia.
Definizione Si chiama ellissoide d’inerzia di un corpo rigido C relativo al punto O1 l’ellis-
soide di equazione
Ax21 +By21 +Cz21 ¡ 2A′x1y1 ¡ 2B
′x1z1 ¡ 2C′y1z1 = 1 (2.15)
rispetto ad una terna O1x1y1z1 solidale con C.
Indicato con E(O1) l’ellissoide di C rispetto al punto
O1, vale il seguente
Teorema Il momento d’inerzia I del corpo rigido C
rispetto ad una qualunque retta passante per O1 vale
I =1
O1L2 , (2.16)
essendo L uno dei due punti in cui la retta interseca
l’ellissoide E(O1).
26
Osservato che ogni retta passante per (O1) interseca sempre E(O1) in due punti simme-
tricamente posti rispetto ad O1, andiamo a dimostrare il teorema. Se la retta considerata
e (O1, a), indicati con α, β e γ i suoi coseni direttori rispetto ad O1x1y1z1, le equazioni
cartesiane della retta rispetto allo stesso riferimento sono
x1α=
y1β=
z1γ
. (2.17)
Per calcolare gli eventuali punti d’intersezione con E(O1) mettiamo a sistema (2.15) con
(2.17). Le (2.17) forniscono
y1 =β
αx1 , z1 =
γ
αx1 . (2.18)
Sostituendo in (2.15) si ottiene
Ax21 +Bβ2
α2x21 + C
γ2
α2x21 ¡ 2A
′ β
αx21 ¡ 2B
′ γ
αx21 ¡ 2C
′βγ
α2x21 = 1 ,
da cui, facendo il denominatore comune
(Aα2 +Bβ2 + Cγ2 ¡ 2A′αβ ¡ 2B′αγ ¡ 2C ′βγ
)x21 = α2 ,
ossia, in virtu di (2.10),
x21L =α2
I,
con L punto di intersezione della retta con E(O1). Tenendo poi conto delle (2.18) si ha
y21L =β2
I, z21L =
γ2
I.
Sommando queste tre relazioni, e ricordando che la somma dei quadrati dei coseni direttori
di una retta vale uno, si ottiene
O1L2= x21L + y21L + z21L =
α2 + β2 + γ2
I=1
I,
da cui segue in modo ovvio la (2.16).
Osservazioni:
— Cambiando O1, l’ellissoide cambia.
— Mantenendo O1 e cambiando gli assi del riferimento solidale, cambia la matrice d’inerzia
e quindi l’equazione dell’ellissoide, ma non cambia l’ellissoide. Cio e ovvio dal fatto che la
formula (2.16) deve valere indipendentemente dal riferimento scelto.
— L’ellissoide d’inerzia e definito per ogni corpo rigido, eccetto che per un’asta. In tal caso,
infatti, assunto l’asse O1z1 coincidente con l’asta, poiche ciascun punto Ps ha x1s = y1s =
0, si ha ovviamente C = 0, e di conseguenza l’ellissoide (2.15) degenera in un cilindro di
asse l’asse z1.
27
2.6 Assi principali d’inerzia
Fra tutte le possibili terne di riferimento O1x1y1z1 solidali con il corpo rigido ne esiste
(almeno) una privilegiata: quella i cui assi coincidono con gli assi dell’ellissoide. Rispetto
a questa terna, infatti, la matrice d’inerzia assume la forma diagonale, e di conseguenza
l’equazione dell’ellissoide diventa
Ax21 +By21 + Cz21 = 1 . (2.19)
Definizione Si chiamano assi principali d’inerzia per il punto O1 gli assi passanti per O1 e
coincidenti con gli assi dell’ellissoide d’inerzia relativo al punto O1. I momenti d’inerzia
rispetto a tali assi si chiamano momenti principali d’inerzia.
La scelta della terna solidale O1x1y1z1 coincidente con quella principale d’inerzia risulta
utile in quanto semplifica notevolmente i calcoli delle grandezze che coinvolgono il momento
d’inerzia (energia cinetica e momento della quantita di moto). Di conseguenza risulta
importante determinare gli assi principali d’inerzia.
Vediamo dapprima come si determinano gli assi principali d’inerzia di un corpo rigido C
rispetto ad un suo punto O1, nota la matrice d’inerzia J rispetto ad una terna O1x1y1z1.
Naturalmente supponiamo J in forma non diagonale, perche altrimenti gli assi O1x1, O1y1
e O1z1 sarebbero gia principali d’inerzia. Si puo dimostrare la seguente proposizione:
Gli assi principali d’inerzia di C rispetto ad O1 hanno la direzione degli autovettori w1,
w2, w3 associati agli autovalori λ1, λ2 e λ3 della matrice d’inerzia J .
Ricordiamo che λ1, λ2 e λ3, che sono reali, positivi e distinti in conseguenza del fatto che
J e simmetrica e definita positiva, sono dati dalle radici dell’equazione
det(J ¡ λI) = 0 ,
e che l’autovettorewk e determinato, a meno di una costante moltiplicativa, dall’equazione
(J ¡ λkI)wk = 0 , k = 1, 2, 3 .
Piuttosto che calcolare la matrice d’inerzia J rispetto ad un osservatore O1x1y1z1 scelto
a caso, e determinare poi gli assi principali d’inerzia diagonalizzando J , conviene cercare
di scegliere fin dall’inizio la terna principale d’inerzia, o almeno scegliere una terna con un
asse che sia principale d’inerzia. Valgono infatti i seguenti
Teoremi (senza dimostrazione)
C.N.S. perche l’asse O1x1 sia principale d’inerzia e che si abbia A′ = B′ = 0.
C.N.S. perche l’asse O1y1 sia principale d’inerzia e che si abbia A′ = C ′ = 0.
28
C.N.S. perche l’asse O1z1 sia principale d’inerzia e che si abbia B′ = C ′ = 0.
Conseguenza immediata di questi teoremi e che, se due assi sono principali d’inerzia, anche
il terzo lo e.
Torna particolarmente utile il seguente
Teorema Ogni retta perpendicolare in O1 ad un piano di simmetria geometrico-materiale
e principale d’inerzia.
Dimostrazione
Sia O1z1 la retta perpendicolare al piano di simme-
tria geometrico-materiale O1x1y1. La simmetria
significa che ad ogni punto Ps ´ (x1s, y1s, z1s) di
massams corrisponde il puntoQs ´ (x1s, y1s,¡z1s)
pure di massa ms. Ne consegue
B′ =∑smsx1sz1s = 0 , C′ =
∑smsy1sz1s = 0 ,
in quanto in ogni somma per ciascun termine ce n’e uno uguale e contrario.
Corollario 1 Se il corpo C e una figura rigida piana, allora il piano π contenente la figura
e di simmetria per C. Di conseguenza, qualunque sia O1 2 π, la retta perpendicolare al
piano del corpo e asse principale d’inerzia per O1. Allora, assunto π ´ O1x1y1, l’asse z1
e principale d’inerzia e l’equazione dell’ellissoide vale
Ax21 +By21 +Cz21 ¡ 2A′x1y1 = 1 .
Inoltre, poiche Ps ´ (x1s, y1s, 0), si ha
C =∑
s
ms
(x21s + y21s
)=∑
s
ms
(x21s + z21s
)+∑
s
ms
(y21s + z21s
)= A+B . (2.20)
Corollario 2 Se il corpo ha tre piani di simmetria mutuamente ortogonali, allora le tre
rette intersezioni (a due a due) sono assi principali d’inerzia per il baricentro G. (Ciascun
piano di simmetria contiene necessariamente G, e quindi tre piani di simmetria a due a
due ortogonali si intersecano in G).
In base a questo corollario si capisce facilmente che la terna principale d’inerzia non e
necessariamente unica. Basta infatti pensare ad una sfera rigida omogenea, e si ha imme-
diatamente che se O1 coincide col centro della sfera, ogni terna e principale d’inerzia.
Definizione L’ellissoide relativo al baricentro G e detto ellissoide centrale d’inerzia del
corpo. I suoi assi sono detti assi centrali e i momenti A, B, C ad essi relativi momenti
centrali d’inerzia.
29
Ai fini del calcolo dei momenti di deviazione puo risultare utile il seguente teorema, analogo
a quello di Huyghens:
Teorema Noti i momenti di deviazione A′G, B′G, C′
G di un sistema materiale rispetto
ad una terna Gx′y′z′, gli analoghi momenti A′O, B′O, C ′
O rispetto ad una terna parallela
Oxyz sono dati dalle relazioni seguenti:
A′O = A′G +MxG yG , B′O = B′
G +MxG zG , C ′O = C ′
G +MyG zG , (2.21)
con xG, yG e zG coordinate di G rispetto ad Oxyz.
Dimostriamo la prima delle tre relazioni. Le altre
due si otterranno analogamente. Considerato un
generico punto Ps del sistema, siano (xs, ys, zs)
le sue coordinate rispetto ad Oxyz e (x′s, y′s, z
′s)
quelle rispetto a Gx′y′z′. Essendo gli assi delle
due terne paralleli, sussistono le relazioni
xs = x′s + xG ys = y′s + yG zs = z′s + zG .
Essendo x′G = y′G = 0, si ha
A′O =∑
s
msxs ys =∑
s
ms(x′s + xG)(y
′s + yG) =
=∑
s
msx′s y
′s +
(∑
s
msx′s
)yG +
(∑
s
msy′s
)xG +
(∑
s
ms
)xGyG =
= A′G +Mx′GyG +My′GxG +MxGyG = A′G +MxGyG .
Se la terna Gx′y′z′ e principale d’inerzia, le (2.21) diventano semplicemente le seguenti:
A′O =MxG yG , B′O =MxG zG , C ′
O =MyG zG . (2.22)
2.7 Momento d’inerzia polare
Ricaviamo qui una relazione tra il momento d’inerzia polare J rispetto al polo O e i
momenti d’inerzia A, B, C rispetto ad una qualunque terna Oxyz. Si ha:
J =∑
s
msr2s =
∑
s
ms
(x2s + y2s + z2s
)=
=1
2
∑
s
ms
(y2s + z2s
)+1
2
∑
s
ms
(x2s + z2s
)+1
2
∑
s
ms
(x2s + y2s
)=1
2
(A+B + C
).
Nel caso di una sfera omogenea (o, piu in generale, a simmetria radiale) si ha A = B = C,
e quindi J = 32A. Tale formula e utile per determinare A mediante J (il che e piu facile
rispetto al calcolo mediante (2.8)).
30
3. CINEMATICA
La cinematica ha come obiettivo la descrizione del moto dei sistemi materiali
prescindendo dalle cause che lo producono. Tale descrizione comporta sempre la
scelta di un sistema di riferimento Oxyz rispetto al quale riferire la posizione di
ciascuno dei punti del sistema materiale oggetto di studio. I concetti di spazio e di
tempo sono assunti come assoluti, vale a dire si assume il seguente
Postulato: Due osservatori diversi misurano sempre le stesse distanze e gli stessi
tempi.
Andiamo ora a trattare la CINEMATICA DEL PUNTO.
3.1 Terna intrinseca ad una curva
Sia γ una qualunque curva regolare dello spazio. Andiamo a definire su di essa un sistema
di ascisse curvilinee. A tal fine fissiamo su γ un punto O1, che chiameremo origine, ed un
verso positivo che diremo verso degli archi crescenti. Inoltre, fissiamo un’unita di
misura per la lunghezza degli archi. In questo
modo ad ogni punto P si puo associare il numero s
lunghezza dell’arco O1P , preso col segno positivo
o negativo a seconda che P segua o preceda O1 in
base all’ordinamento indotto dal verso positivo fis-
sato. Viceversa ad ogni valore di s corrisponde un
unico punto P di γ. Si e dunque stabilita una cor-
rispondenza biunivoca tra i punti di γ ed i numeri
reali di un opportuno intervallo. Il numero s che
corrisponde al punto P e detto ascissa curvilinea del punto P. Ha dunque sempre senso,
quando torni utile, considerare il punto P come funzione della sua ascissa curvilinea s; in
tal caso si scrivera: P = P (s) .
Ci poniamo ora il problema di calcolare le derivate prima e seconda di P rispetto ad s. In
virtu della definizione (1.24), si ha
dP
ds= limh→0
P (s+ h)¡ P (s)
h.
Osserviamo innanzitutto che, poiche P (s+h)¡P (s)
e un vettore diretto secondo la corda, tale e anche
31
il vettoreP (s+ h)¡ P (s)
h. Passando al limite per h ! 0, la suddetta corda tendera
alla tangente a γ in P (s); di conseguenzadP
dsha direzione tangente alla curva in P (s).
Supposto ora h>0, osserviamo cheP (s+ h)¡ P (s)
hha il verso degli archi crescenti; di
conseguenza, poiche il verso non cambia nel passaggio al limite, anchedP
dsha il verso degli
archi crescenti. Allo stesso risultato si giunge supponendo h < 0.
Infine, ricordando la (1.23), si ha∣∣∣∣dP
ds
∣∣∣∣ = limh→0
jP (s+ h)¡ P (s)j
jhj.
Ma il modulo di P (s+h)¡P (s) e la lunghezza della corda che ha per estremi i due punti
e jhj e la lunghezza dell’arco associato alla stessa corda. Di conseguenza, poiche quando
h tende a zero il rapporto fra corda ed arco tende ad uno, si puo scrivere
dP
ds= t , (3.1)
dove t e il versore tangente alla curva nel punto P di ascissa s, orientato secondo il verso
degli archi crescenti.
La (1.28) comporta
d2P
ds2=
dt
ds= limh→0
t(s+ h)¡ t(s)
h.
Osserviamo che, essendo t costante in modulo,dt
ds
e normale a t, per cuidt
dsgiace nel piano normale a
t, cioe nel piano normale alla curva in P (s). Posti
i vettori t(s + h) e t(s) con origine in P (s), osserviamo poi che il vettore t(s + h) ¡ t(s)
giace nel piano passante per la tangente in P (s) e parallelo alla tangente in P (s + h).
Per h ! 0 tale piano tende al cosiddetto piano osculatore alla curva nel punto P (s). Di
conseguenzadt
dsha come direzione quella della retta intersezione del piano normale col
piano osculatore. Tale retta e la normale principale alla curva γ nel punto P (s). Si puo poi
dimostrare che esiste una circonferenza speciale, detta cerchio osculatore, situata nel piano
osculatore e con centro sulla normale principale, che approssima γ in un intorno del punto
P meglio di qualunque altra circonferenza. Il raggio del cerchio osculatore, che indichiamo
con ρc, si chiama raggio di curvatura di γ nel punto P , mentre il suo inverso1
ρce detto
curvatura. Ebbene, si puo dimostrare che
dt
ds=
d2P
ds2=1
ρcn , (3.2)
32
dove n e un versore, detto versore normale, avente la direzione della normale principale alla
curva in P (s) ed orientato verso il centro del cerchio osculatore.
Se la curva γ e piana, il piano osculatore coincide col piano della curva, la normale prin-
cipale coincide con la normale alla curva ed il versore n e orientato verso l’interno della
curva. Nel caso poi che γ sia una circonferenza il cerchio osculatore coincide ovviamente
con la circonferenza stessa e si ha ρc = R.
Dal momento che i versori t ed n sono normali tra loro, si puo definire un terzo versore b,
normale ad entrambi (e quindi normale al piano osculatore) in modo che (t, n, b) sia una
terna destra. La retta avente la direzione di b e passante per P (s) e detta binormale a γ
nel punto P . La terna di versori (t, n, b) e detta terna intrinseca alla curva nel punto P .
3.2 Vettore spostamento, equazione del moto, legge oraria
Si consideri dunque un punto P e sia O l’origine del sistema di riferimento cartesiano
scelto. Ad ogni istante temporale t corrispondera una posizione di P, cioe un valore del
vettore P ¡O. Tale vettore e detto vettore spostamento (o piu semplicemente spostamento)
del punto dall’origine oppure raggio vettore, e si puo scrivere
P ¡O = P (t)¡O , (3.3)
che costituisce l’equazione vettoriale del moto di P. Ovviamente, anche le tre coordinate
cartesiane di P possono essere scritte in funzione di t,
x = x(t), y = y(t), z = z(t) . (3.4)
Queste funzioni sono dette equazioni cartesiane del moto di P. E ovvio che le (3.4) sono equi-
valenti alla (3.3), dal momento che si possono dedurre uguagliando fra loro le componenti
dei due vettori che compaiono in quell’equazione.
Volendo separare l’aspetto geometrico da quello cine-
matico, si puo pensare di scrivere le equazioni del moto
facendo riferimento alla traiettoria percorsa dal punto P.
A tal fine consideriamo tale curva, che indichiamo con
γ, e fissiamo su di essa un sistema di ascisse curvilinee.
Allora ad ogni valore dell’ascissa s corrisponde una posizione di P, mentre ad ogni valore
di t corrisponde un valore dell’ascissa curvilinea, cioe
P ¡O = P (s)¡O
s = s(t) .(3.5)
33
La prima funzione di (3.5) fornisce la traiettoria di P, la seconda, detta legge oraria del
moto, lo spazio in funzione del tempo, e quindi la posizione di P sulla traiettoria ad ogni
istante t. In forma cartesiana (3.5) equivale a
x = x(s)
y = y(s)
z = z(s)
s = s(t) .
(3.6)
Nel seguito si assumera che le funzioni a secondo membro di (3.3), (3.4), (3.5) e (3.6) siano
almeno C2 (continue assieme alle loro derivate seconde).
3.3 Velocita
Definizione Si definisce velocita scalare (istantanea), e la si indica con s(t), la derivata
della funzione s(t) rispetto al tempo, ossia
s(t) ´ds
dt. (3.7)
Osserviamo che la velocita scalare all’istante t altro non e che il limite della velocita scalare
media nell’intervallo (t, t+ h), cioes(t+ h)¡ s(t)
h, quando h tende a zero.
Osserviamo anche che abbiamo introdotto una notazione che sara ampiamente usata nel
seguito: il punto sopra una variabile dipendente dal tempo t significa la derivata di questa
rispetto a t. Analogamente, due punti significheranno la derivata seconda.
Se la velocita scalare e costante ed uguale a v0, allora la legge oraria e del tipo
s(t) = s0 + v0t (3.8)
con s0 = s(0). In tal caso il moto si dice uniforme.
Dalla (3.7) si vede che se la velocita scalare s e positiva, s cresce al crescere del tempo: in
tal caso il moto si dice diretto; se invece s e negativa, s decresce all’aumentare del tempo
e il moto si dice retrogrado.
Siano ora P (t) e P (t+ h) le posizioni del punto rispettivamente all’istante t e t+ h.
Definizione Si definisce velocita vettoriale all’istante t la derivata rispetto al tempo del
vettore spostamento:
v(t) =d(P ¡O)
dt=
dP
dt= limh→0
P (t+ h)¡ P (t)
h. (3.9)
34
Analogamente alla velocita scalare, la velocita vettoriale all’istante t e il limite della velo-
cita vettoriale mediaP (t+ h)¡ P (t)
hnell’intervallo (t, t+ h) quando h tende a zero.
Nota bene: d’ora in poi, quando si parlera di velocita, si intendera sempre il vettore velocita
istantanea.
Consideriamo ora P come funzione del tempo t attraverso l’ascissa curvilinea s; tenendo
conto della (3.1) si ha
v(t) =dP
dt=
dP
ds
ds
dt=
ds
dtt = st . (3.10)
Dunque, la velocita all’istante t ha sempre direzione tangente alla traiettoria, modulo dato
dal modulo della velocita scalare, il verso degli archi crescenti o decrescenti a seconda che
s sia positiva o negativa.
Se il moto e uniforme la velocita non varia in intensita perche s e costante, ma varia, in
generale, in direzione. v e costante solo nel caso in cui il moto e anche rettilineo, perche
allora t e costante.
In forma cartesiana si ha
v(t) =dP
dt=
d(P (t)¡O)
dt= xi+ yj + zk , (3.11)
ossia le componenti sugli assi della velocita di P sono le derivate delle coordinate del punto
rispetto al tempo. Il modulo della velocita, o equivalentemente, il modulo della velocita
scalare e dato da
jvj = jstj = jsj =√
x2 + y2 + z2 .
Ne consegue
s(t) = §√
x2(t) + y2(t) + z2(t) , (3.12)
s(t) = §
∫ t
t0
√x2(τ) + y2(τ) + z2(τ)dτ . (3.13)
3.4 Accelerazione
Poiche l’unico moto che avviene con velocita costante e il moto rettilineo uniforme, in
generale la velocita di un punto e variabile nel tempo.
Definizione Si definisce accelerazione all’istante t la derivata prima della velocita rispetto
al tempo o, equivalentemente, la derivata seconda del vettore spostamento rispetto al
tempo, cioe
a(t) = limh→0
v(t+ h)¡ v(t)
h=
dv
dt=
d2(P ¡O)
dt2=
d2P
dt2. (3.14)
35
Derivando la (3.10)e ricordando la (3.2) si ha
a =d
dt(st) =
ds
dtt+ s
dt
dt= st+ s
dt
ds
ds
dt= st+
s2
ρcn ,
ossia
a = att+ ann con at = s , an =s2
ρc. (3.15)
L’accelerazione all’istante t e dunque la somma di due vettori, uno detto accelerazione tan-
genziale uguale a st, diretto secondo la tangente alla traiettoria, l’altro, detto accelerazione
centripeta o normale, uguale as2
ρcn, diretto secondo la normale principale e verso il centro
del cerchio osculatore alla curva. Poiche questi due vettori giacciono nel piano osculatore
alla traiettoria nel punto P (t), si avra che l’accelerazione giace nel piano osculatore della
traiettoria. Ricordiamo anche che ρc e il raggio di curvatura della curva percorsa dal punto
in P (t).
Se l’accelerazione tangenziale e nulla in ogni istante, si ha s(t) = 0, per cui s(t) = cost = v0;
integrando si ha s(t) = s0 + v0t, cioe il moto e uniforme. Invece i moti con accelerazione
centripeta in ogni istante nulla sono i moti rettilinei, perche dovendo esseres2
ρc= 0, il
raggio ρc di curvatura deve essere infinito, e quindi la traiettoria e una retta. Si conclude
che i moti con accelerazione nulla in ogni istante sono soltanto i moti rettilinei ed uniformi.
La (3.15) rappresenta l’espressione dell’accelerazione in forma intrinseca; in forma carte-
siana si avra
a = xi+ yj + zk, (3.16)
cioe le componenti dell’accelerazione sugli assi sono le derivate seconde rispetto al tempo
delle coordinate del punto.
3.5 Classificazione dei moti
In base a velocita ed accelerazione
Consideriamo ora alcuni moti con particolari caratteristiche per quanto riguarda la velocita
o l’accelerazione, e proponiamo uno schema di classificazione di tali moti. Cio ci portera
a riconsiderare anche moti gia presi in considerazione e classificati.
- moto diretto : se s > 0;
- moto retrogrado : se s < 0;
- moto uniforme : se s(t) = v0 costante;
- moto rettilineo : se t(t) = t0 costante;
36
- moto rettilineo ed uniforme : se st = v0 costante;
- moto curvilineo : se t(t)6= cost;(circolare, parabolico, ellittico, . . . , a seconda della traiettoria)
- moto accelerato : se ss > 0;(ds2
dt> 0 () jsj crescente
)
- moto ritardato : se ss < 0;(ds2
dt< 0 () jsj decrescente
)
- moto uniformemente vario : se s(t) = a costante;
- moto uniformemente accelerato : se ss > 0 ed s costante;
- moto uniformemente ritardato : se ss < 0 ed s costante.
In base alla legge oraria
I moti di un punto possono essere classificati anche in base alla legge oraria, nel qual caso
torna utile introdurre e studiare il diagramma orario, vale a dire il grafico di s(t).
1) s(t) = v0t+ s0
Il moto e uniforme. Il diagramma orario e una retta e, ovviamente, v0 ed s0 rappresentano
rispettivamente la velocita scalare s (che e costante) e l’ascissa curvilinea iniziale s(0).
2) s(t) =1
2at2 + v0t+ s0
Il moto e uniformemente vario. Il diagramma orario e una parabola e le costanti a, v0 ed
s0 forniscono rispettivamente s (che e costante), la velocita scalare iniziale s(0) e l’ascissa
curvilinea iniziale s(0).
3) s(t) = A cos(ωt+ γ)
Il moto e oscillatorio armonico. Il diagramma orario e una sinusoide, A e l’ampiezza del moto,
ω la pulsazione e γ la fase iniziale.
Il moto oscillatorio armonico e periodico. A questo riguardo diamo la seguente
Definizione Un moto di equazione oraria s(t) si dice periodico se esiste T > 0 tale che
s(t+ T ) = s(t) 8t . (3.17)
Il minimo T positivo per cui vale la (3.17) viene detto periodo del moto.
Il moto oscillatorio armonico e periodico di periodo T =2π
ω. Infatti
s
(t+
2π
ω
)= A cos
(ω
(t+
2π
ω
)+γ
)= A cos(ωt+ 2π + γ) = A cos(ωt+ γ) = s(t) .
37
Chiaramente 2πωe il minimo T per cui vale la (3.17). La frequenza di tale moto sara
pertanto f = 1T= ω
2π . Osserviamo che frequenza e pulsazione differiscono solo per un
fattore 2π; cio giustifica il fatto che spesso ci si riferisca direttamente ad ω come alla
frequenza del moto.
Calcoliamo ora velocita ed accelerazione scalare del moto. Si ha
s(t) = ¡Aω sin(ωt+ γ) ,
s(t) = ¡Aω2 cos(ωt+ γ) .
Quest’ultima puo essere riscritta come
s(t) + ω2s(t) = 0 , (3.18)
che costituisce l’equazione differenziale che caratterizza univocamente la classe di leggi
orarie del tipo 3).
4) s(t) = Ae−pt cos(ωt+ γ), p > 0
Il moto e oscillatorio smorzato. Il diagramma orario e una sinusoide smorzata, p e il coeffi-
ciente di smorzamento, Ae−pt e l’ampiezza dell’oscillazione (decrescente in quanto p > 0),
ω e la pulsazione e γ e la fase iniziale.
5) s(t) = C1e−β1t + C2e
−β2t , β1 > β2 > 0
Il moto e aperiodico smorzato. Per t!1, s(t)! 0.
6) s(t) = (C1 + C2t)e−βt , β > 0
Il moto e aperiodico con smorzamento critico. Come per i moti 4) e 5), per t! +1, s(t)! 0.
Un’equazione differenziale e una relazione d’uguaglianza che esprime il legame tra una fun-
zione incognita, alcune sue derivate e la variabile indipendente. Si chiama ordine dell’equa-
zione differenziale l’ordine della derivata di ordine massimo. L’insieme di tutte le funzioni
che sono soluzione di un’equazione differenziale e detto integrale generale dell’equazione. Se
p e l’ordine dell’equazione differenziale, il suo integrale generale e costituito di1p funzioni.
L’equazione (3.18) ha ordine 2 ed il suo integrale generale e costituito dalle 12 funzioni
C1 cosωt+ C2 sinωt
con C1 e C2 costanti arbitrarie o, equivalentemente, da
C(cosωt+ γ)
con C e γ costanti arbitrarie.
38
3.6 Moto circolare
Definizione Il moto di un punto P e detto circolare se la sua traiettoria e una circonferenza
od un suo arco.
Per studiare questo particolare moto e conveniente esprimere velocita ed accelerazione di
P in forma intrinseca. A tal fine, data la circonferenza C di centro C e raggio R, fissiamo
l’origine degli archi in un suo punto O1 e assumiamo come verso degli archi crescenti il
verso antiorario. Ne consegue che il il versore tangente t ed il versore normale n in P sono
quelli indicati in figura, con t normale a P ¡ C e n diretto radialmente e orientato verso
C. Indichiamo poi con k il versore normale al piano della circonferenza che forma con t e
n una terna destra.
Riprendiamo le espressioni di v e a in forma intrin-
seca:
(3.19) v = st , a = st+s2
ρcn ,
Essendo ρc = jP ¡Cj = R e s(t) = §jv(t)j, l’acce-
lerazione sara data da
a = st+s2
Rn = st+
v2
Rn .
Supposto poi che le origini degli archi e degli angoli siano le stesse, indicato con θ l’angolo
PCO1, crescente come l’ascissa curvilinea s nel verso antiorario, si ha s = Rθ , e quindi,
derivando rispetto al tempo,
s = Rθ , s = Rθ .
Le (3.19) diventano quindi
v = Rθt , a = Rθt+Rθ2n. (3.20)
θ viene detta velocita angolare scalare di P.
Osserviamo che, essendo t = n£ k e Rn = C ¡ P , si puo anche scrivere
v(P ) = R θ t = R θ n£ k = ¡R θ k £ n = θ k £ (¡Rn) ,
ovvero, posto ω = θk,
v(P ) = ω £ (P ¡C) . (3.21)
Il vettore ω si chiama vettore velocita angolare o, piu semplicemente, velocita angolare del
punto P .
39
Se il moto avviene con velocita scalare s costante, si parla di moto circolare uniforme. In
tale moto, essendo s funzione lineare del tempo, ossia s = v0t + s0 (dove s0 rappresenta
l’ascissa curvilinea di P all’istante t=0), si ottiene
θ(t) =s
R=
v0R
t+s0R= ω0t+ θ0 , (3.22)
dove si e posto ω0 =v0Re θ0 =
s0R. Le (3.20) diventano quindi
v = v0t = Rω0t , a =v20R
n = Rω20n ,
da cui si evidenzia come, nel moto circolare uniforme, l’accelerazione sia tutta centripeta.
Notiamo che, indicato con T il periodo del moto, ossia il tempo impiegato dal punto per
percorrere l’intera circonferenza, si ha
T =2πR
v0=2π
ω0.
Fissato un sistema di riferimento cartesiano ortogonale nel piano Cxy (per semplicita si
scegliera CO1 come asse delle x), le equazioni cartesiane del moto circolare uniforme sono
date da:
x = R cos(ω0t+ θ0
), y = R sin
(ω0t+ θ0
).
Osserviamo che le proiezioni di un moto circolare uniforme sugli assi (e quindi su un
qualunque diametro della circonferenza che puo sempre essere assunto come uno degli
assi) sono moti armonici.
Passiamo ora a considerare la CINEMATICA DEL CORPO RIGIDO.
3.7 Corpo rigido: generalita
Definizione Un corpo rigido e un sistema di punti materiali le cui mutue distanze riman-
gono costanti nel tempo.
Ovviamente, essendo la distanza fra due punti indipendente dal riferimento, ne consegue
che un corpo rigido e tale rispetto a qualunque osservatore.
Il moto di un corpo rigido e determinato quando e noto il moto di ogni suo punto in ogni
istante t dell’intervallo di tempo considerato. In realta, grazie alla rigidita del corpo, la
conoscenza del moto di tre punti non allineati, permette di conoscere il moto di ogni altro
punto. Vale infatti il teorema che segue.
40
Teorema Assegnata la posizione del corpo rigido C , ossia dei suoi punti, in un istante
t0, e nota all’istante t la posizione di tre punti non allineati di C , risulta determinata
all’istante t la posizione di ogni altro punto di C.
Dimostrazione Siano At, Bt e Ct le posizioni (note) occupate dai tre punti in questione
all’istante t e A0, B0 e C0 quelle occupate all’istante t0. Sia poi P un qualunque altro punto
del corpo rigido, e Pt e P0 le sue posizioni agli istanti t e t0, con P0 nota. In virtu della
rigidita di C , il tetraedro AtBtCtPt e uguale al tetraedro A0B0C0P0. Di conseguenza la
posizione di P all’istante t e univocamente determinata dal vertice del tetraedro A0B0C0P0
quando la sua base A0B0C0 e fatta coincidere con AtBtCt.
Vale poi anche il seguente
Teorema C.N.S. affinche un corpo C sia rigido, o si comporti come rigido, e che in ogni
istante t si abbia
8P,Q 2 C ,dP
dt¢(P ¡Q)
jP ¡Qj=
dQ
dt¢(P ¡Q)
jP ¡Qj. (3.23)
C.N. Per la definizione di corpo rigido, 8P,Q 2 C, si ha jP ¡Qj = d, cioe (P ¡Q)2 = d2.
Derivando ambo i membri:
2(P ¡Q) ¢
(dP
dt¡
dQ
dt
)= 0 ,
e quindi
(P ¡Q)
jP ¡Qj¢
(dP
dt¡
dQ
dt
)= 0 .
C.S. Si dimostra ripetendo a ritroso i passaggi appena descritti.
Osservazione. Un punto non appartenente al corpo rigido, ma solidale con esso, puo sem-
pre essere considerato un punto del corpo.
Quanti parametri sono necessari e sufficienti a determinare la posizione di un corpo rigido
libero (cioe non soggetto a restrizioni nei suoi spostamenti) ?
Il modo piu semplice per rispondere a questa domanda si basa sulla considerazione pre-
cedente. Siano Pi ´ (xi, yi, zi), i = 1, 2, 3, tre punti non allineati del corpo rigido. Per
quanto detto, la conoscenza dei 9 parametri xi, yi e zi in funzione del tempo permette di
conoscere la posizione di ogni altro punto del corpo, e quindi la posizione del corpo, in
ogni istante. Tuttavia, dovendo le distanze P1P2, P1P3 e P2P3 rimanere costanti al variare
41
del tempo, sussistono tra i nove parametri le seguenti tre relazioni:
P1P2 =
((x1 ¡ x2)
2 + (y1 ¡ y2)2 + (z1 ¡ z2)
2
) 1
2
= d12
P1P3 =
((x1 ¡ x3)
2 + (y1 ¡ y3)2 + (z1 ¡ z3)
2
) 1
2
= d13
P2P3 =
((x2 ¡ x3)
2 + (y2 ¡ y3)2 + (z2 ¡ z3)
2
) 1
2
= d23 ,
con d12, d13 e d23 costanti. Di conseguenza, i parametri indipendenti necessari e sufficienti
a definire la posizione di un corpo rigido libero sono 6 (= 9¡3).
E bene osservare fin d’ora che nella pratica la scelta delle coordinate di tre punti non
allineati del corpo o, in alternativa, delle coordinate di un punto O1 del corpo e dei nove
coseni direttori degli assi di un sistema solidale col corpo, non e conveniente. Infatti, in
tal caso occorrerebbe poi tener conto delle 6 relazioni che intercorrono tra questi parame-
tri. Sottolineiamo fin d’ora il fatto che e sempre opportuno scegliere dei parametri, che
chiameremo parametri lagrangiani, che siano indipendenti.
Nel caso di un corpo rigido C libero la scelta ottimale consiste nell’assumere come para-
metri lagrangiani le coordinate di un punto del corpo (x, y, z), per esempio il baricentro,
e i tre angoli di Eulero (ψ, φ, θ) che adesso definiamo.
Sia O1 un punto del corpo rigido C e O1xyz un sistema di riferimento con origine in O1
e traslante (cioe tale che i suoi assi rimangono paralleli a se stessi durante il moto) rispetto ad
un osservatore fisso OXY Z, con gli assi della terna O1xyz paralleli a quelli di OXY Z.
Introduciamo poi anche un sistema O1x1y1z1 solidale con C.
Si consideri la retta (linea nodale)
(O1, l) intersezione del piano xy con
il piano x1y1 (supposti non coinci-
denti). Gli angoli di Eulero, che
indicheremo con ψ (angolo di pre-
cessione), ϕ (angolo di rotazione
propria) e θ (angolo di nutazione),
sono cosı definiti:
ψ = xl angolo levogiro rispetto a z, 0 · ψ < 2π ,
ϕ = lx1 angolo levogiro rispetto a z1, 0 · ϕ < 2π ,
θ = zz1 angolo levogiro rispetto a l, 0 · θ · π .
42
3.8 Formule di Poisson
Un problema fondamentale della Meccanica riguarda lo
studio del moto di un corpo rigido C rispetto ad un si-
stema di riferimento Oxyz fissato. A tal fine risulta di
grande utilita l’introduzione di un secondo sistema di rife-
rimento O1x1y1z1, solidale col corpo. I versori i1, j1 e k1
associati a questa terna mobile in generale variano in di-
rezione, per cui la loro derivata rispetto al tempo non e
nulla. Ebbene, le formule di Poisson risolvono il problema
di calcolare le derivate temporali di una terna di versori
mobili. Poiche
i1 ¢ j1 = 0 j1 ¢ k1 = 0 k1 ¢ i1 = 0
si avradi1dt¢ j1 + i1 ¢
dj1dt
= 0 =)
dj1dt
¢ k1 + j1 ¢dk1dt
= 0 =)
dk1dt
¢ i1 + k1 ¢di1dt
= 0 =)
di1dt¢ j1 = ¡i1 ¢
dj1dt
= r(t)
dj1dt
¢ k1 = ¡j1 ¢dk1dt
= p(t)
dk1dt
¢ i1 = ¡k1 ¢di1dt
= q(t) .
Definito il vettore ω nel modo seguente
ω(t) = p(t)i1 + q(t)j1 + r(t)k1, (3.24)
il vettoredi1dt
si potra rappresentare come
di1dt
=
(di1dt¢ i1
)i1 +
(di1dt¢ j1
)j1 +
(di1dt¢ k1
)k1 = rj1 ¡ qk1 .
Ma siccome
ω £ i1 =
∣∣∣∣∣∣
i1 j1 k1p q r1 0 0
∣∣∣∣∣∣= rj1 ¡ qk1 ,
si hadi1dt
= ω £ i1. (3.25)
In modo analogo si ottengono analoghe relazioni per j1 e k1. Si hanno quindi le tre formule
seguenti, note come formule di Poisson.
di1dt
= ω £ i1dj1dt
= ω £ j1dk1dt
= ω £ k1 . (3.26)
Il vettore ω si chiama vettore velocita angolare del corpo rigido C (e del riferimento O1x1y1z1)
rispetto ad Oxyz.
43
Osservazione. In realta il corpo rigido non ha giocato nessun ruolo nella deduzione delle
formule (3.26). Si poteva quindi partire direttamente con il solo riferimento O1x1y1z1,
senza associarlo ad alcun corpo rigido. Occorre tuttavia dire che nella pratica O1x1y1z1 e
quasi sempre ”attaccato” ad un corpo rigido. Cio giustifica la scelta fatta.
3.9 Formula fondamentale della cinematica rigida
Risolviamo ora il seguente problema: determinare la velocita di un punto qualunque di un
corpo rigido C , note la velocita angolare ω e la velocita di un punto O1 di C . Sia Oxyz il
sistema di riferimento rispetto al quale stiamo studiando il moto di C .
Consideriamo un generico punto P di C . Indicata con
O1x1y1z1 una terna solidale con C con origine in O1 e
versori i1, j1 e k1, si ha
P ¡O1 = x1i1 + y1j1 + z1k1 ,
con x1, y1, z1 costanti per la rigidita di C. Derivando
ambo i membri rispetto all’osservatore Oxyz, si ottiene
dP
dt¡
dO1dt
= x1di1dt+ y1
dj1dt
+ z1dk1dt
= x1ω £ i1 + y1ω £ j1 + z1ω £ k1 =
= ω £ (x1i1 + y1j1 + z1k1) = ω £ (P ¡O1) ,
ossiadP
dt=
dO1
dt+ ω £ (P ¡O1) . (3.27)
Questa formula, a cui ci riferiremo come formula fondamentale della cinematica rigida, esprime
dunque la velocita di un qualsiasi punto P del corpo rigido, nota la velocita di un punto O1
e noto il vettore velocita angolare ω. Derivandola otteniamo l’espressione dell’accelerazione
di un generico punto P di un corpo rigido.
d2P
dt2=
d2O1dt2
+dω
dt£ (P ¡O1) + ω £
d
dt(P ¡O1) =
=d2O1dt2
+dω
dt£ (P ¡O1) + ω £
[ω £ (P ¡O1)
]. (3.28)
Poiche la relazione (3.27) vale 8P 2 C, puo essere scritta per un altro punto Q 2 C:
dQ
dt=
dO1dt
+ ω £ (Q¡O1). (3.29)
Sottraendo membro a membro la (3.29) dalla (3.27) si ha
dP
dt¡
dQ
dt= ω £ (P ¡Q) )
d(P ¡Q)
dt= ω £ (P ¡Q), (3.30)
che da l’espressione della derivata del vettore (P ¡Q), 8P,Q 2 C.
44
Il vettore ω gode delle seguenti proprieta:
- e unico. Infatti non dipende dal punto O1 (come e evidente dalla sua definizione) e
supposto che ne esistano due, si dimostra immediatamente che sono uguali.
- dipende, in generale, dal tempo. Di conseguenza esso varia, in generale, sia in modulo
che in direzione.
- ha le dimensioni dell’inverso di un tempo, come si evince da una analisi dimensionale
della formula (3.29). Di conseguenza ω puo essere pensato nella forma
ω = θ(t)a(t) ,
con θ angolo di rotazione del corpo. Il concetto di angolo di rotazione sara ripreso e
giustificato piu avanti, quando tratteremo lo stato cinetico rotatorio.
3.10 Stati cinetici
Definizione Si chiama stato cinetico o atto di moto di un corpo rigido C il campo vettoriale
delle velocita dei suoi punti in un dato istante t0.
Si possono definire quattro stati cinetici elementari:
1) stato cinetico nullo: 8P 2 C =) v(P ) = 0 ;
2) stato cinetico traslatorio: 8P 2 C =) v(P ) = u ;
3) stato cinetico rotatorio: 8P 2 C =) v(P ) = ω £ (P ¡O1) ;
4) stato cinetico elicoidale: 8P 2 C =) v(P ) = u+ ω £ (P ¡O1), u k ω .
Osserviamo che lo stato cinetico elicoidale, essendo u k ω, posto u = uk e ω = ωk, puo
essere rappresentato in modo equivalente nella forma
8P 2 C =) v(P ) = uk + ωk £ (P ¡O1) .
In un dato istante un corpo rigido puo passare attraverso piu stati cinetici v1(P ), v2(P ),...,
vn(P ). Ebbene, in tal caso lo stato cinetico risultante e determinato dalla composizione
degli n stati cinetici, ossia da
v(P ) = v1(P ) + v2(P ) + ...+ vn(P ) .
45
Come sappiamo gia, lo stato cinetico rigido e dato dalla formula fondamentale della
cinematica rigidadP
dt=
dO1dt
+ ω £ (P ¡O1), 8P 2 C.
Esso puo essere riguardato come la composizione di uno stato cinetico traslatorio, definito
da u =dO1dt, con uno rotatorio, definito da (O1, ω). Per questa ragione si parla spesso di
stato cinetico rototraslatorio.
Prima di passare ad esaminare i diversi casi che si possono avere a seconda del valore dei
vettori caratteristicidO1
dted ω, occorre introdurre una nozione che ci tornera assai utile.
Definizione Si chiama invariante la grandezza scalare
I =dO1dt
¢ ω . (3.31)
L’invariante non dipende da O1 (il che giustifica il nome); infatti
dP
dt¢ ω =
(dO1dt
+ ω £ (P ¡O1)
)¢ ω =
dO1dt
¢ ω + ω £ (P ¡O1) ¢ ω =dO1
dt¢ ω .
Andando ad esaminare i diversi casi che si presentano a seconda del valore dei vettori carat-
teristicidO1
dted ω, dimostreremo che uno stato cinetico rigido e sempre equivalente
ad uno stato cinetico elementare.
Incominciamo considerando innanzitutto i due casi piu semplici.
dO1
dt= 0, ω = 0 : lo stato cinetico e nullo. Tutti i punti del corpo hanno velocita nulla
all’istante t0; ossia, per t = t0 il corpo ha un istante di arresto.
dO1
dt6= 0, ω = 0 : lo stato cinetico e traslatorio. Tutti i punti del corpo hanno, all’istante
t0, la stessa velocita. E questo l’unico caso in cui si puo parlare di velocita del corpo C .
Al riguardo si puo enunciare un ovvio teorema:
Teorema C.N.S. affinche lo stato cinetico rigido sia traslatorio e chedO1dt
6= 0, ω = 0.
Se poi lo stato cinetico del corpo C e traslatorio in ogni istante di un intervallo (t1, t2),
si dira che in detto intervallo C si muove di moto traslatorio o, piu semplicemente, che C
trasla. Ovviamente, durante un moto traslatorio la velocita, in generale, varia da istante
ad istante.
46
3.11 Stato cinetico rotatorio
Consideriamo ora il caso in cuidO1
dt= 0 mentre ω 6= 0, per cui
v(P ) = ω £ (P ¡O1) .
Lo stato cinetico, che e chiaramente rotatorio, e definito dalla coppia costituita dal punto
O1 e dal vettore ω, e quindi dal vettore applicato (O1, ω). La retta individuata da questo
vettore applicato e detta asse di istantanea rotazione.
Osserviamo subito che tutti i punti dell’asse di istantanea
rotazione hanno velocita nulla.
Consideriamo quindi un qualunque punto P di C non ap-
partenente ad (O1, ω) ed andiamo a studiarne la velocita.
Osserviamo innanzitutto che v(P ) e un vettore normale al
piano individuato dall’asse di istantanea rotazione e dal vet-
tore (P ¡ O1) o, equivalentemente, dall’asse e dal vettore
(P ¡ P0), essendo P0 la proiezione di P sull’asse. Posto poi
ω = ωk, con k versore parallelo a ω, si puo scrivere
v(P ) = ωk£ (P ¡P0+P0¡O1) = ωk£ (P ¡P0) . (3.32)
Ora, confrontando questa espressione di v(P ) con la (3.21), se ne deduce che la velocita
di un punto P /2 (O1, ω) e quella di un punto che, all’istante considerato, percorre con
velocita angolare scalare θ = ω la circonferenza posta nel piano normale a k di centro
P0 e raggio r = PP0. Il fatto che ω sia indipendente dal punto P , e quindi esprima una
caratteristica del moto dell’intero corpo, giustifica il nome di velocita angolare di C che si
da al vettore ω. Naturalmente θ e detta velocita angolare scalare di C .
Definito poi lo scalare
θ(t) =
∫ t
t0
θ(τ)dτ =
∫ t
t0
ω(τ)dτ , (3.33)
ad esso, che come θ(t) e indipendente da P , si da il nome di angolo di rotazione di C.
Osserviamo che mentre l’angolo θ di rotazione di un corpo rigido e definito analiticamente
in maniera inequivocabile dalla (3.33), esso non e altrettanto facilmente definibile per via
geometrica a causa del fatto che, in generale, ω(t) = θ(t)k(t) varia anche in direzione. Se
pero k(t) = k0, allora θ puo essere definito come l’angolo solido compreso tra due semipiani
uscenti dall’asse (O1, k0), l’uno fisso nello spazio (o con giacitura fissa) e l’altro solidale
con C. Osserviamo che in questo caso il corpo rigido o ha un asse fisso nello spazio o ha
un asse che durante il moto rimane parallelo a se stesso.
47
Lo stato cinetico di un corpo rigido puo essere rotatorio anche senza chedO1dt
sia nullo. Il
teorema che segue da ragione di questa affermazione.
Teorema C.N.S. affinche lo stato cinetico rigidodP
dt=
dO1dt
+ ω£ (P ¡O1), con ω 6= 0,
sia rotatorio e che si abbia
dO1
dt= 0 oppure
dO1dt
? ω .
Dimostrazione
C.N. L’ipotesi e che lo stato cinetico e rotatorio. Di conseguenza esiste certamente un
punto O2 che permette di rappresentare lo stato cinetico nel modo seguente:dP
dt= ω £ (P ¡O2), 8P 2 C .
Con questa formula sara lecito calcolare anche la velocita di O1:dO1dt
= ω £ (O1 ¡O2) ,
da cui si deducedO1
dt= 0 oppure
dO1
dt? ω .
C.S. L’ipotesi e che odO1
dt= 0 o
dO1
dt? ω . Esaminiamo separatamente i due casi.
a)dO1dt
= 0 : lo stato cinetico e rotatorio per definizione, con asse (O1, ω).
b)dO1
dt? ω: in tal caso si puo determinare un punto O2 tale che
dO1dt
= ω£ (O1¡O2) . (3.34)
(Nel x1.7 si e dimostrato che questa equazione ammette infinite soluzioni: tutti i punti
O2 di una opportuna retta parallela ad ω.) Dalla formula fondamentale della cinematica
rigida si ha quindi
dP
dt=
dO1dt
+ ω £ (P ¡O1) = ω £ (O1 ¡O2) + ω £ (P ¡O1) = ω £ (P ¡O2) .
In questo caso, dunque, si ha uno stato cinetico di rotazione con asse (O2, ω) individuato
dalla relazione (3.34).
Osservazione Uno stato cinetico rotatorio (O1, ωk) e equivalente agli infiniti stati cinetici
(O2, ωk), con O2 2 (O1, k). Infatti:
v(P ) = ω£(P¡O1) = ω£(P¡O2+O2¡O1) = ω£(P¡O2)+ω£(O2¡O1) = ω£(P¡O2) .
In altre parole: dato uno stato cinetico rotatorio, e lecito far scorrere il vettore velocita
angolare lungo l’asse di istantanea rotazione.
48
Se lo stato cinetico del corpo C e rotatorio in ogni istante di un intervallo (t1, t2), si dira
che in detto intervallo C si muove di moto rotatorio o, piu semplicemente, che C ruota.
Naturalmente, durante un moto rotatorio, l’asse di istantanea rotazione varia, in generale,
sia nello spazio che nel corpo.
Nota bene : in questo paragrafo e stata introdotto l’uso della notazione di vettore applicato
anche per indicare la retta dello spazio che esso individua. Di questo doppio uso del simbolo
di vettore applicato faremo ampio uso anche in seguito. Il contesto dovrebbe escludere
ogni possibilita di confusione.
3.12 Stato cinetico elicoidale; teorema di Mozzi
Come abbiamo visto uno stato cinetico elicoidale e cosı rappresentabile:dP
dt= uk + ωk £ (P ¡O1) .
La retta (O1, k) e detta asse di Mozzi o asse elicoidale. I suoi punti sono caratterizzati dalla
seguente proprieta:
8M 2 (O1, k) , v(M) = uk .
Di solito la velocita uk, che e comune a tutti (e solo) i punti dell’asse di Mozzi, e detta
velocita di scorrimento del corpo. Osserviamo che si puo scrivere
v(M ) = uk =uω
ω
ω
ω=
I
ω2ω .
Per quanto riguarda la velocita di un qualunque punto non appartenente all’asse di Mozzi,
osserviamo che si ottiene sommando alla velocita di scorrimento una componente (non
nulla) normale all’asse stesso.
Teorema di Mozzi C.N.S. perche uno stato cinetico rigido sia elicoidale e che l’inva-
riante I sia diverso da zero.
Dimostrazione
Lo stato cinetico rigido sia rappresentato come al solito:dP
dt=
dO1
dt+ ω £ (P ¡O1) .
C.N. L’ipotesi e che lo stato cinetico e elicoidale. Cio implicadO1dt
6= 0, ω 6= 0,dO1
dtk ω .
Essendo I =dO1
dt¢ ω, ne consegue immediatamente I 6= 0.
C.S. L’ipotesi e I 6= 0. Ne consegue che i vettoridO1dt
e ω sono non nulli e non ortogonali,
e quindidO1dt
k ω oppuredO1dt
= uω+un con uω k ω ed un ? ω. Consideriamo nell’ordine
i due casi.
49
a)dO1dt
k ω. Per definizione lo stato cinetico e elicoidale con asse di Mozzi (O1, ω) .
b)dO1dt
= uω + un. Essendo un ? ω, come visto al x1.7, esistono infiniti O2 tali che
un = ω £ (O1 ¡O2) . (3.35)
Scelto un O2 siffatto, si ha quindi
dP
dt=
dO1
dt+ ω £ (P ¡O1) = uω + ω £ (O1 ¡O2) + ω £ (P ¡O1) = uω + ω £ (P ¡O2) .
Cio significa che in questo caso lo stato cinetico di C e equivalente ad uno stato cinetico
elicoidale con asse di Mozzi (O2, ω) definito dall’equazione (3.35).
Se lo stato cinetico del corpo C e elicoidale in ogni istante di un intervallo (t1, t2), si dira che
in detto intervallo C si muove di moto rototraslatorio. Durante un moto rototraslatorio,
l’asse di Mozzi varia, in generale, sia nello spazio che nel corpo. Un esempio significativo
di moto rototraslatorio e costituito dal moto di un corpo rigido con un asse scorrevole su
un asse fisso. In tal caso l’asse di Mozzi risulta fisso sia nello spazio che nel corpo.
3.13 Stati cinetici e moti di un corpo rigido: schema riassuntivo
I diversi casi di stati cinetici rigidi possono essere riassunti nello schema seguente:
I = 0 :
dO1dt
= 0, ω = 0 =) Stato cinetico nullo
dO1dt
6= 0, ω = 0 =) Stato cinetico traslatorio
dO1dt
= 0, ω 6= 0 =) Stato cinetico rotatorio (O1, ω)
dO1dt
6= 0, ω 6= 0,dO1dt
? ω =) Stato cinetico rotatorio (O2, ω)
I 6= 0 :
dO1
dt6= 0, ω 6= 0,
dO1
dtk ω =)
Stato cinetico elicoidale
con asse di Mozzi (O1, ω)
dO1
dt6= 0, ω 6= 0,
dO1
dttrasverso a ω =)
Stato cinetico elicoidale
con asse di Mozzi (O2, ω)
Nel caso del moto di un corpo rigido in un intervallo di tempo (t1, t2) si parla di
- moto traslatorio : se 8t 2 (t1, t2) lo stato cinetico e traslatorio;
- moto rotatorio : se 8t 2 (t1, t2) lo stato cinetico e rotatorio;
- moto rototraslatorio : se 8t 2 (t1, t2) lo stato cinetico e elicoidale.
50
3.14 Composizione degli stati cinetici
Sia C un corpo rigido in moto e sia fv(P ), P 2 Cg il suo stato cinetico in un dato istante
t. Supponiamo che v(P ) sia la composizione di due stati cinetici v1(P ) e v2(P ), ossia che
si abbia
v(P ) = v1(P ) + v2(P ) .
Vogliamo studiare lo stato cinetico risultante. In particolare vogliamo prendere in consi-
derazione i casi possibili di composizione di due stati cinetici rotatori. Altri casi, che sono
invece riconducibili ai due teoremi visti nei precedenti paragrafi, non saranno ripresi in
esame.
1) Composizione di due stati cinetici di traslazione:
v1(P ) = u1, v2(P ) = u2 =) v(P ) = u1 + u2.
Lo stato cinetico risultante e di traslazione se u1 6= ¡u2, nullo se u1 = ¡u2.
2) Composizione di uno stato cinetico traslatorio con uno rotatorio:
v1(P ) = u , v2(P ) = ω £ (P ¡O1) =) v(P ) = u+ ω £ (P ¡O1) .
Per quanto visto sugli stati cinetici rotatorio ed elicoidale sappiamo gia che lo stato cinetico
risultante e rotatorio se u ? ω, elicoidale altrimenti (si veda il teorema di Mozzi).
3) Composizione di due stati cinetici di rotazione:
v1(P ) = ω1 £ (P ¡O1), v2(P ) = ω2 £ (P ¡O2);
Si presentano tre possibili casi.
3a) Gli assi d’istantanea rotazione (O1, ω1) e (O2, ω2) sono concorrenti (eventualmente
anche coincidenti).
Detto O il punto d’intersezione delle rette (O1, ω1) e (O2, ω2), si puo scrivere
v(P ) = ω1 £ (P ¡O) + ω2 £ (P ¡O) = (ω1 + ω2)£ (P ¡O).
Di conseguenza, se ω1 + ω2 6= 0 (come in generale sara), lo stato cinetico risultante e
rotatorio con asse (O,ω1 + ω2). Se invece ω1 + ω2 = 0, cioe ω1 = ¡ω2, lo stato cinetico
risultante e nullo.
3b) Gli assi d’istantanea rotazione (O1, ω1) e (O2, ω2) sono paralleli (e distinti, per cui
O2 /2 (O1, ω1)).
51
Se ω1 + ω2 6= 0 allora sulla retta O1O2 esiste un punto O tale che
ω1 £ (O1 ¡O) + ω2 £ (O2 ¡O) = 0 . (3.36)
Infatti, qualunque sia il punto O, questi due vettori hanno uguale direzione (normale
al piano contenente ω1 e ω2); affinche abbiano verso opposto, occorre scegliere O inter-
namente al segmento O1O2 quando ω1 e ω2 sono concordi, esternamente quando sono
discordi. Affinche poi i due vettori abbiano lo stesso modulo si deve verificare che
ω1OO1 = ω2OO2 =)ω1ω2
=OO2
OO1,
cioe il punto O deve dividere il segmento O1O2 internamente o esternamente (a seconda che
ω1 e ω2 siano o no equiversi) in parti inversamente proporzionali ad ω1 e ω2. Osserviamo
che nel caso in cui O e esterno ad O1O2, esso sta dalla parte dell’ωi di modulo maggiore.
Ora, tenendo presente la (3.36) si ha
v(P ) = ω1£(P¡O1)+ω2£(P¡O2)+ω1£(O1¡O)+ω2£(O2¡O) = (ω1+ω2)£(P¡O),
che rappresenta uno stato cinetico di rotazione attorno ad un asse d’istantanea rotazione
parallelo ad ω1+ω2 e con velocita angolare uguale allo stesso vettore somma.
Se invece ω1 + ω2 = 0, per cui ω1 = ¡ω2 = ω, si puo scrivere
v1(P ) = ω £ (P ¡O1), v2(P ) = ¡ω £ (P ¡O2)
Allora, poiche
v(P ) = ω £ (P ¡O1 ¡ P +O2) = ω £ (O2 ¡O1) = u ,
v(P ) = u non dipende da P, e quindi lo stato cinetico e traslatorio. Si noti che u e
ortogonale al piano che contiene i due assi di rotazione.
3c) Gli assi d’istantanea rotazione (O1, ω1) e (O2, ω2) sono sghembi (per cui ω1 6= ω2).
v(P ) = ω1 £ (P ¡O1) + ω2 £ (P ¡O2) + ω1 £ (P ¡O2)¡ ω1 £ (P ¡O2) =
= ω1 £ (O2 ¡O1) + (ω1 + ω2)£ (P ¡O2) = u+ (ω1 + ω2)£ (P ¡O2)
Osserviamo che, essendo u = ω1£ (O2¡O1), u e perpendicolare sia a ω1 che a (O2¡O1).
Dimostriamo che u non e perpendicolare ad ω1+ω2. Per farlo, ragioniamo per assurdo e
supponiamo che lo sia. Considerato il piano Π individuato dal vettore (O1, ω1) e da O2,
essendo u ? ω1 e u ? (O2 ¡ O1), ne consegue u ? Π. Di conseguenza u ? (ω1 + ω2)
comporterebbe (O2, ω1+ω2) 2 Π e quindi anche (O2, ω2) 2 Π, contro l’ipotesi che (O1, ω1)
e (O2, ω2) sono sghembi. Dunque u non e perpendicolare ad ω1+ω2. Di conseguenza
lo stato cinetico risultante, essendo la somma di uno stato cinetico traslatorio con uno
rotatorio con asse non ortogonale, per il teorema di Mozzi e elicoidale.
52
Passiamo ora allo studio di quel capitolo della cinematica che va sotto il nome di
CINEMATICA RELATIVA.
3.15 Definizione del problema della cinematica relativa
Il problema di cui vogliamo occuparci e il seguente: Si considerino due sistemi di rife-
rimento Oxyz e O1x1y1z1 in moto l’uno rispetto all’altro. Noto il moto di un punto P
rispetto ad uno dei sistemi, ad esempio rispetto ad O1x1y1z1, e noto il moto di O1x1y1z1
rispetto ad Oxyz, si vuole determinare il moto di P rispetto ad Oxyz. Ci riferiremo con-
venzionalmente al sistema Oxyz come al sistema fisso o assoluto e al sistema O1x1y1z1
come al sistema mobile o relativo.
Ricordato che in virtu di due fondamentali postulati gia introdotti i tempi e le distanze
non variano al variare dell’osservatore (si veda il postulato della nota introduttiva alla
Cinematica, pag. 43), facciamo subito un’importante considerazione. Ogni sistema di
riferimento si puo sempre pensare collegato ad un corpo rigido, in quanto o lo e realmente,
oppure si puo immaginare che lo sia (in tal caso il corpo rigido sarebbe quello formato dai
punti le cui distanze dagli assi rimangono invariate nel tempo).
Allora, per conoscere il moto del sistema relativo rispetto a quello fisso occorre conoscere in
ogni istante la posizione rispetto ad Oxyz del corpo rigido collegato col sistema O1x1y1z1.
Cio e possibile conoscendo il moto di O1 e i nove coseni direttori degli angoli che gli assi
del sistema mobile formano con gli assi del sistema fisso o, equivalentemente, il moto di
O1 e il vettore ω(t).
Il problema che ci interessa puo essere risolto attraverso le formule di trasformazione di
coordinate. Infatti, denotate con (a, b, c) le coordinate di O1 rispetto ad Oxyz e con
(α1, α2, α3), (β1, β2, β3), (γ1, γ2, γ3) i nove coseni direttori delle rette O1x1, O1y1, O1z1
rispetto agli assi Ox, Oy e Oz, le formule di trasformazione seguenti forniscono le coordi-
nate (x, y, z) di un qualunque punto P rispetto ad Oxyz, note le sue coordinate (x1, y1, z1)
rispetto ad O1x1y1z1.
x = a+ α1x1 + β1y1 + γ1z1y = b+ α2x1 + β2y1 + γ2z1z = c+ α3x1 + β3y1 + γ3z1 .
(3.37)
Ovviamente, per usare queste formule, occorre conoscere le 12 funzioni a(t), b(t), c(t),
α1(t), α2(t), α3(t), β1(t), β2(t), β3(t), γ1(t), γ2(t) e γ3(t).
53
3.16 Teoremi di composizione delle velocita e delle accelerazioni
Le formule (3.37) risolvono dunque il problema di determinare il moto del punto P ri-
spetto all’osservatore fisso, noto il moto di P rispetto all’osservatore mobile e noto il moto
di questo rispetto all’osservatore fisso. Risultano tuttavia molto importanti le relazioni
che legano direttamente fra di loro le due velocita e le due accelerazioni rispetto ai due
osservatori. Ci occupiamo ora di determinare queste relazioni. In questo caso il moto del
riferimento O1x1y1z1 rispetto ad Oxyz e noto essendo noti O1(t) e ω(t).
Ritorniamo alle primitive coordinate, (x, y, z) rispetto al sistema fisso e (x1, y1, z1) rispetto
al sistema mobile, e supponiamo, come al solito, che i, j, k siano i versori relativi agli assi
del sistema Oxyz mentre i1, j1, k1 siano i versori del sistema O1x1y1z1. L’espressione
cartesiana del vettore P ¡O rispetto ad Oxyz e di P ¡O1 rispetto ad O1x1y1z1 e data da
P ¡O = xi+ yj + zk , P ¡O1 = x1i1 + y1j1 + z1k1 .
La velocita di P rispetto al sistema relativo (velocita relativa) e
v1 =
(d(P ¡O1)
dt
)
O1
= x1i1 + y1j1 + z1k1 , (3.38)
mentre quella rispetto al sistema assoluto (velocita assoluta) vale
v =
(d(P ¡O)
dt
)
O
= xi+ yj + zk . (3.39)
Analogamente l’accelerazione relativa di P diventa
a1 =
(d2(P ¡O1)
dt2
)
O1
= x1i1 + y1j1 + z1k1 , (3.40)
e l’accelerazione assoluta vale
a =
(d2(P ¡O)
dt2
)
O
= xi+ yj + zk . (3.41)
Derivando ora P ¡O1 rispetto al tempo nel sistema fisso, si ottiene
dP
dt¡
dO1dt
= x1i1 + y1j1 + z1k1 + x1di1dt+ y1
dj1dt
+ z1dk1dt
, (3.42)
ovverodP
dt=[x1i1 + y1j1 + z1k1
]+[dO1
dt+ x1
di1dt+ y1
dj1dt
+ z1dk1dt
].
Si puo dunque scrivere
v(P ) = v1(P ) + vτ (P ) , (3.43)
54
dove
vτ (P ) =dO1
dt+ x1
di1dt+ y1
dj1dt
+ z1dk1dt
= (3.44)
=dO1
dt+ x1(ω £ i1) + y1(ω £ j1) + z1(ω £ k1) =
=dO1
dt+ ω £ (x1i1) + ω £ (y1j1) + ω £ (z1k1) =
=dO1
dt+ ω £ (P ¡O1) (3.45)
viene detta velocita di trascinamento di P . Tale nome deriva dal fatto che vτ (P ) rappresenta
la velocita che il punto P avrebbe se fosse rigidamente connesso al sistema mobile.
La (3.43) esprime il teorema di composizione delle velocita: la velocita di un punto rispetto
al sistema fisso vale la velocita del punto rispetto al sistema mobile sommata con la velocita
di trascinamento.
Consideriamo ora la (3.42) e deriviamola rispetto al tempo nel sistema fisso. Si avra
d2P
dt2¡
d2O1dt2
= x1i1+ y1j1+ z1k1+2x1di1dt+2y1
dj1dt+2z1
dk1dt+x1
d2i1dt2
+y1d2j1dt2
+z1d2k1dt2
,
e cioe
a(P ) = a1(P ) + ac(P ) + aτ (P ) . (3.46)
Il termine
aτ (P ) =d2O1dt2
+ x1d2i1dt2
+ y1d2j1dt2
+ z1d2k1dt2
, (3.47)
costituisce l’accelerazione di trascinamento di P ; esso rappresenta l’accelerazione che il punto
P avrebbe se considerato rigidamente connesso al sistema relativo, mentre il termine
ac(P ) = 2
(x1
di1dt+ y1
dj1dt
+ z1dk1dt
)= 2(x1ω £ i1 + y1ω £ j1 + z1ω £ k1
)=
= 2ω £(x1i1 + y1j1 + z1k1
)= 2ω £ v1(P ), (3.48)
e detto accelerazione complementare o di Coriolis del punto P .
La (3.46) rappresenta il teorema di composizione delle accelerazioni o di Coriolis : l’acce-
lerazione di un punto rispetto al sistema Oxyz vale l’accelerazione rispetto ad O1x1y1z1
sommata con l’accelerazione di trascinamento e con l’accelerazione di Coriolis.
L’accelerazione di Coriolis ac(P ) e nulla in ogni istante t in cui o e nullo v1(P ) o e nullo
ω o ω e parallelo a v1(P ).
L’accelerazione di trascinamento aτ (P ) non e la derivata rispetto a t di vτ (P ). Essa puo
pero essere pensata come la derivata di vτ (P ) rispetto a t purche si consideri P solidale
55
con il riferimento O1x1y1z1, cioe supponendo x1, y1 e z1 costanti. Cio risulta evidente se
si confronta (3.44) con (3.47). Sviluppando quest’ultima si ottiene un’espressione dell’ac-
celerazione di trascinamento molto utile ai fini del calcolo della stessa:
aτ (P ) =d2O1dt2
+ x1d(ω £ i1)
dt+ y1
d(ω £ j1)
dt+ z1
d(ω £ k1)
dt=
=d2O1dt2
+ x1
(dω
dt£ i1 + ω £
di1dt
)+
+ y1
(dω
dt£ j1 + ω £
dj1dt
)+ z1
(dω
dt£ k1 + ω £
dk1dt
)=
=d2O1dt2
+dω
dt£ (P ¡O1) + ω £
[ω £ (P ¡O1)
]. (3.49)
Supponiamo ora che i sistemi di riferimento coinvolti siano tre: oltre ad Oxyz ed O1x1y1z1
introduciamo anche O2x2y2z2. Considerando O1x1y1z1 come sistema assoluto ed O2x2y2z2
come sistema relativo, si ha
v1 = v2 + vτ2 , a1 = a2 + aτ2 + ac2 .
Ricordando poi le relazioni (3.43) e (3.46) si avra
v = v2 + vτ1 + vτ2, a = a2 + aτ1 + aτ2 + ac1 + ac2.
Nel seguito qualche volta useremo una notazione piu sintetica per indicare un sistema di
riferimento: (O) per Oxyz e (O1) per O1x1y1z1.
3.17 Relazione fra le derivate di un vettore rispetto a due osservatori
Preso un vettore qualsiasi u, in generale esso varia sia rispetto al sistema fisso Oxyz che
rispetto al sistema mobile O1x1y1z1. Ci poniamo il problema di determinare la relazione
che lega le derivate (rispetto al tempo) di u rispetto ai due riferimenti. Sia
u = u1xi1 + u1yj1 + u1zk1
l’espressione cartesiana di u rispetto ad O1x1y1z1. Derivando rispetto ai due sistemi, si
ottiene (du
dt
)
O1
= u1xi1 + u1yj1 + u1zk1 ,
56
(du
dt
)
O
=
(du
dt
)
O1
+ u1xdi1dt+ u1y
dj1dt
+ u1zdk1dt
=
(du
dt
)
O1
+ u1x(ω £ i1) + u1y(ω £ j1) + u1z(ω £ k1)
=
(du
dt
)
O1
+ ω £ (u1xi1 + u1yj1 + u1zk1) ,
ossia (du
dt
)
O
=
(du
dt
)
O1
+ ω £ u . (3.50)
Si e cosı ottenuta la relazione cercata.
Supponendo u = ω si trova un’importante proprieta del vettore velocita angolare. In tal
caso, infatti, la (3.50) diventa
(dω
dt
)
O
=
(dω
dt
)
O1
,
cioe la derivata rispetto al tempo del vettore ω e la stessa rispetto ai due sistemi di
riferimento. Pertanto se p, q, r sono le componenti di ω sugli assi x1, y1, z1, le componenti
di
(dω
dt
)
O
sugli stessi assi sono p, q, r. Si puo inoltre osservare che, se
(dω
dt
)
O1
= 0,
allora (O1, ω) e fisso rispetto ad (O1) e traslante rispetto ad (O).
Dedichiamo ora alcuni paragrafi allo studio di particolari moti rigidi, detti MOTI
RIGIDI PIANI. Questo argomento, riveste particolare interesse soprattutto in vista
del corso di “Meccanica Applicata alle Macchine”.
3.18 Moto rigido piano
Definizione Si definisce moto rigido piano il moto di una figura rigida piana nel proprio
piano.
Sia Oxy il piano fisso su cui si muove la figura rigida piana e sia O1x1y1 un piano solidale
con la figura, mobile su Oxy. Siano poi k e k1 i versori ortogonali rispettivamente al
piano fisso Oxy e al piano mobile O1x1y1, orientati in modo tale che le terne Oxyz e
O1x1y1z1 siano destre. Poiche O1x1y1 si muove su Oxy, in ogni istante si ha k = k1, e
quindi dk1dt=0. Utilizzando le formule di Poisson si ha dunque ω£k1 =0, per cui, supposto
ω6=0, ω e ortogonale ai due piani. Ovviamente, se ω =0 lo stato cinetico in generale e
traslatorio (si puo anche verificare il caso particolarissimo in cui e nullo).
57
Lo stato cinetico del moto rigido piano e dunque dato da
dP
dt=
dO1
dt+ ω £ (P ¡O1) ,
condO1dt
ortogonale ad ω. Esiste percio, ed e unico, un punto C 2 Oxy, soddisfacente
l’equazionedO1
dt= ω £ (O1 ¡ C) ; (3.51)
questo punto e tale che, sostituendo, si ha
dP
dt= ω £ (P ¡ C) . (3.52)
Questa relazione dice che in un moto rigido piano con ω 6= 0 lo stato cinetico e sempre
rotatorio attorno all’asse (C, k). Il punto C si chiama centro di istantanea rotazione. Esso si
muove sia rispetto al piano fisso Oxy che rispetto al piano mobile O1x1y1. I luoghi geome-
trici descritti dal moto del punto C rispetto ai due osservatori si chiamano rispettivamente
base (o curva polare fissa) e rulletta (o curva polare mobile). Le due curve polari sono anche
dette traiettorie polari.
Il centro di istantanea rotazione gode di una importante proprieta: e l’unico punto del
piano mobile che ha velocita di trascinamento nulla. Infatti, in virtu della (3.52),
vτ (C) = ω £ (C ¡ C) = 0 ,
o equivalentemente, in virtu della (3.51),
vτ (C) =dO1dt
+ ω £ (C ¡O1) = 0 .
Ne consegue che
v(C) = v1(C) ,
ossia il punto C percorre la base e la rulletta con la stessa velocita. Questo permette anche
di affermare che durante il moto della figura rigida piana la base e la rulletta rotolano senza
strisciare l’una sull’altra.
Osserviamo che l’equazione (3.51), usata per determinare C, ne esprime la proprieta che
lo caratterizza, vale a dire vτ (C) = 0.
58
Problema: Note in un dato istante la posizione del centro C e la velocita di un punto A
della figura piana, determinare la velocita di un qualunque altro punto P.
Osserviamo innanzitutto che, essendo
v(A) = ω£ (A¡C) , v(P ) = ω£ (P ¡C) ,
cosı come v(A) e ortogonale ad (A ¡ C), do-
vra essere ortogonale a (P ¡C). Inoltre, poiche
nell’istante considerato la figura sta ruotando
attorno a C, il verso di v(P ) sara “concorde”
con quello di v(A). Dunque, v(P ) e immedia-
tamente determinata in direzione e verso. Per
determinarne il modulo, osserviamo che
jv(A)j = jωj jA¡ Cj ; jv(P )j = jωj jP ¡ Cj .
Ricavando jωj dalla prima relazione e sostituendolo nella seconda si ottiene
jv(P )j =jP ¡ Cj
jA¡Cjjv(A)j .
3.19 Determinazione del centro di istantanea rotazione per via geometrica
Qualche volta e possibile determinare il centro di istantanea rotazione di un moto rigido
piano per via geometrica. A tal fine tornano utili i due teoremi che seguono.
Teorema Sia nota la traiettoria Γ di un punto A della figura rigida piana. Allora il centro
C di istantanea rotazione sta sulla normale a Γ per A.
La dimostrazione e ovvia in quanto, essendo
dA
dt= ω £ (A¡ C) ,
i vettoridA
dte (A¡ C) sono ortogonali.
Per enunciare il secondo teorema e necessario introdurre il concetto di profili coniugati.
Cosı si chiamano due curve γ e γ′, l’una fissa e l’altra solidale col sistema mobile, tali che
durante il moto rigido si mantengono in ogni istante tangenti. Vale quindi il seguente
Teorema La normale comune a due profili coniugati nel loro punto di contatto passa per
il centro di istantanea rotazione.
59
Dimostrazione. Sia M il punto di contatto fra i profili coniugati γ e γ′, che rotolano e
strisciano uno sull’altro. Supposto M 6= C, essendo
v(M) k v1(M) e vτ (M) = v(M)¡ v1(M) ,
ne deriva che vτ (M), che e diverso dal vettore nullo, ha la direzione della tangente ai
profili coniugati. Di conseguenza, essendo vτ (M) = ω£ (M ¡C), C sta sulla normale per
M a γ e γ′.
Se vτ (M ) = 0, allora M ´ C, γ coincide con la base e γ′ con la rulletta.
L’applicazione di uno dei due teoremi appena enunciati porta dunque a determinare una
retta che contiene il centro di istantanea rotazione C. Chiaramente, il punto di interse-
zione di due rette siffatte determina completamente C. Pertanto, il centro di istantanea
rotazione di un moto rigido piano e determinabile per via geometrica quando sono note le
traiettorie di due punti della figura rigida oppure la traiettoria di un punto e due profili
coniugati oppure due coppie di profili coniugati.
3.20 Esempi di moti rigidi piani
a) Asta scorrevole su guide rettilinee (glifo).
Consideriamo un’asta rigida AB (schematizzata
con un segmento) i cui estremi siano vincolati
a percorrere due guide rettilinee ortogonali che
assumiamo come assi x ed y del nostro riferi-
mento fisso. Assumiamo poi O1 coincidente con
l’estremo A e l’asse y1 coincidente con la retta
individuata dall’asta, come nella figura.
In base al primo teorema enunciato nel paragrafo precedente, il centro di istantanea ro-
tazione C e individuato dal punto di intersezione delle perpendicolari agli assi x in A e
all’asse y in B. Di conseguenza il quadrilatero OACB e in ogni istante un rettangolo
avente sempre una diagonale coincidente con l’asta, e quindi di lunghezza ℓ = AB. Per-
tanto, rispetto al sistema fisso, C ha sempre distanza ℓ da O, il che significa che la base
e la circonferenza di centro O e raggio ℓ. Per quanto concerne invece la posizione di C
rispetto al sistema solidale, si puo notare che in ogni istante AB e visto da C sotto un
angolo retto. Cio permette di affermare che la rulletta e la circonferenza di centro il punto
medio dell’asta e raggio ℓ/2.
60
b) Esempio di profili coniugati.
La figura accanto mostra un’asta AB che si muove
in un piano rimanendo appoggiata alla circonferenza
fissa di raggio R e centro Q ´ (0, R), e con l’estremo
A obbligato a scorrere lungo una retta (l’asse x). Eb-
bene, la circonferenza e la retta contenente l’asta stessa,
essendo la prima fissa rispetto ad Oxy e l’altra fissa ri-
spetto ad O1x1y1, mantenendosi esse tangenti durante
il moto, costituiscono una coppia di profili coniugati.
Il centro C di istantanea rotazione risulta quindi individuato dal punto di intersezione
della retta QM , normale ai due profili nel loro punto di tangenza M, con la perpendicolare
all’asse x per il punto A. Si puo far vedere, anche solo con ragionamenti geometrici, che
base e rulletta sono entrambe delle parabole.
c) Ruota di un treno che si muove di puro rotolamento.
Si consideri la ruota di un treno (schematizzata con
una circonferenza) in moto su un binario rettilineo
orizzontale che assumiamo come asse x. Essa si muove
di moto rigido piano rispetto al piano verticale Oxy
che la contiene (Oy e verticale).
Indicato con O1 il centro della ruota e con O1x1 un asse solidale, si ha ω = θk, essendo
l’angolo di rotazione θ definito (per esempio) dall’angolo compreso fra O1x1 e l’asse O1x
(parallelo ad Ox per O1). Ebbene, se la ruota rotola senza strisciare, allora il punto C di
contatto con la rotaia ha velocita di trascinamento nulla in ogni istante (giustificheremo
cio piu avanti). Di conseguenza C e il centro di istantanea rotazione; la base e la rotaia
e la rulletta e la ruota stessa. Osserviamo che rispetto all’osservatore fisso il punto della
ruota coincidente con C ha velocita nulla, mentre la velocita con cui C percorre la rotaia
e uguale a quella di O1 (che coincide con “la velocita del treno”). Il punto piu in alto della
ruota (quello diametralmente opposto a C) ha velocita doppia di quella di O1.
d) Moti cicloidali.
Si chiamano moti cicloidali i moti rigidi piani nei quali ambedue le curve polari sono circon-
ferenze. In particolare, si parla di moto epicicloidale quando la rulletta e esterna alla base e
di moto ipocicloidale quando e interna (come nell’esempio a)). Si chiama poi epiciclo o ipo-
ciclo la traiettoria descritta da un punto solidale con la figura rigida a seconda che il moto
e epicicloidale o ipocicloidale. Tali moti sono di interesse nella teoria degli ingranaggi.
61
In un moto cicloidale la base puo anche essere una retta (”circonferenza di raggio infinito”),
come nell’esempio c). In tal caso la traiettoria descritta da un punto solidale con la figura
mobile e detta cicloide.
3.21 Equazioni parametriche della base e della rulletta
Supponiamo sia nota la traiettoria di un punto O1 della figura rigida piana. Assunto tale
punto come origine del sistema di riferimento solidale, e indicato con θ l’angolo tra gli assi
x e x1, siano a(θ) e b(θ) le coordinate di O1 rispetto ad Oxy. Indicate poi con (ξ, η) e
(ξ1, η1) le coordinate del centro C rispetto ad Oxy e O1x1y1 rispettivamente, valgono le
seguenti relazioni :
O1 ¡O = ai+ bj(3.53)
C ¡O1 = (ξ ¡ a)i+ (η ¡ b)j(3.54)
C ¡O1 = ξ1i1 + η1j1(3.55)
(3.56)
i = cos θ i1 ¡ sin θ j1
j = sin θ i1 + cos θ j1 .
Riscrivendo la (3.51), che come abbiamo visto rappresenta la condizione vτ (C) = 0, te-
nendo conto che O1 e funzione del tempo t attraverso θ, e semplificando per θ (cosa lecita
in quanto ω 6= 0), si hadO1dθ
+ k £ (C ¡O1) = 0 . (3.57)
Sostituendovi la derivatadO1dθ
ottenuta dalla (3.53), si ottiene
da
dθi+
db
dθj + k £ (C ¡O1) = 0 . (3.58)
Questa relazione permette ora di ricavare facilmente le equazioni parametriche delle curve
polari. Per ricavare quelle della base e sufficiente sostituirvi la (3.54) ed eseguire il prodotto
vettoriale. Cosı facendo otteniamo
da
dθi+
db
dθj + (ξ ¡ a)j ¡ (η ¡ b)i = 0 ,
che implica
ξ = a¡db
dθ
η = b+da
dθ.
(3.59)
62
Per ottenere le equazioni della rulletta occorre sostituire in (3.58) le espressioni di C ¡O1
e dei versori i e j date dalle (3.55) e (3.56). Cio porta alla relazione
da
dθ(cos θi1 ¡ sin θj1) +
db
dθ(sin θi1 + cos θj1) + ξ1j1 ¡ η1i1 = 0 ,
da cui si deduce
ξ1 =da
dθsin θ ¡
db
dθcos θ ,
η1 =da
dθcos θ +
db
dθsin θ .
(3.60)
Osservazione. Nella relazione (3.57) il tempo non compare. Questo significa che base e
rulletta costituiscono un fatto geometrico e non cinematico, vale a dire esse non dipendono
dalla legge oraria del moto. Di conseguenza possono esistere infiniti moti diversi aventi
pero la stessa base e la stessa rulletta.
3.22 Polo delle accelerazioni
L’accelerazione di un generico punto di una figura rigida piana in moto nel suo piano si
ottiene derivando la (3.52) ed e data da
a(P ) =dω
dt£ (P ¡ C) + ω £
(ω £ (P ¡ C)
)¡ ω £
dC
dt, (3.61)
con ω = θk. Ebbene, vale il seguente
Teorema In un moto rigido piano in ogni istante t esiste uno ed un solo punto, detto
polo delle accelerazioni, che ha accelerazione nulla.
Dimostrazione. Perche a(P ) sia nulla, dalla (3.61), opportunamente riscritta, si deduce
che deve essere verificata la seguente relazione:
θk £ (P ¡ C)¡ θ2(P ¡ C) = θk £dC
dt.
Posto
u1 = θk £ (P ¡ C) , u2 = ¡θ2(P ¡C) , u = θk £dC
dt,
vediamo dunque se esiste un punto P per cui si abbia
u1(P ) + u2(P ) = u .
Osserviamo innanzitutto che mentre u1 e u2 dipendono da P , u e indipendente. Osser-
viamo anche che u1 e u2 sono perpendicolari tra loro e che si ha ju1j = jθjr e ju2j = θ2r,
con r distanza di P da C. Percio, posti i vettori con l’origine in C, quando si varia P sulla
circonferenza di centro C e raggio r, il secondo estremo del vettore u1+u2 descrive pure
esso una circonferenza. Se si varia con continuita il raggio r da 0 ad 1, la circonferenza
63
descritta da u1+u2 copre tutto il piano. Di conseguenza, al variare di P in tutto il piano, il
vettore u1+u2 diventa uguale ad un qualunque vettore prefissato. Esiste quindi un punto
A, chiaramente unico, per cui u1+u2 = u, e conseguentemente tale che a(A) = 0.
Il polo A delle accelerazioni e importante in quanto puo essere utilizzato per calcolare
l’accelerazione dei punti della figura rigida. Vale infatti la seguente proposizione:
In un moto rigido piano l’accelerazione di un punto puo essere calcolata come se la figura
ruotasse attorno al polo A anziche attorno al centro C, purche si consideri A fisso.
Dimostrazione.
L’espressione (3.61) calcolata per P ´ A fornisce
0 =dω
dt£ (A¡ C) + ω £
(ω £ (A¡ C)
)¡ ω £
dC
dt.
Sottraendo questa relazione dalla (3.61) si ottiene
a(P ) =dω
dt£ (P ¡A) + ω £
(ω £ (P ¡A)
).
Questa espressione di a(P ) e esattamente la derivata di
dP
dt= ω £ (P ¡A)
purche si consideridA
dt= 0. Cio prova l’affermazione precedentemente fatta circa la
possibilita di utilizzare il polo delle accelerazioni ai fini del calcolo delle accelerazioni.
Per completare il capitolo riguardante la cinematica rimangono da introdurre alcune
nozioni, quasi tutte molto importanti ed utili nel seguito del corso.
3.23 Moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto
Dato un corpo rigido C e l’osservatore assoluto OXY Z, per moto del corpo rispetto ad un suo
punto O1 si intende il moto del corpo rispetto ad un riferimento O1xyz traslante rispetto
ad OXY Z. Dalla (3.43) si ha
v(P ) = v1(P ) +dO1dt
,
e dalla formula fondamentale della cinematica rigida
v(P ) =dO1
dt+ ω £ (P ¡O1) .
64
Uguagliando queste due relazioni si ottiene
v1(P ) = ω £ (P ¡O1) . (3.62)
Cio significa che il moto di un corpo rigido rispetto ad un suo punto O1 e sempre rotatorio con
asse (O1, ω), eccetto il caso in cui ω =0, nel qual caso il corpo e fermo (nell’istante in
questione).
Lo stato cinetico v1(P ) puo essere definito in termini un po piu precisi mediante gli angoli
di Eulero introdotti nel x3.7. Facendo riferimento alla figura e alle notazioni del suddetto
paragrafo, lo stato cinetico di C puo infatti essere riguardato come la composizione dei tre
stati cinetici rotatori (con assi concorrenti) (O1, ψk), (O1, ϕk1) e (O1, θl). Di conseguenza
ω = ψk + ϕk1 + θl .
Un generico moto di un corpo rigido C rispetto ad un suo punto O1 e sempre rotatorio
con questa velocita angolare. Se ψ e ϕ sono entrambe diverse da zero, il corpo ruota sia
attorno all’asse z, che e traslante (se non addirittura fisso) nello spazio ed e chiamato asse
di precessione, sia attorno all’asse z1, che e fisso nel corpo ed e detto asse di figura. Se
anche θ 6= 0, allora l’angolo tra gli assi di precessione e di figura varia col tempo.
Si chiamano precessioni quei particolari moti per i quali θ(t) = θ0 costante, per cui
ω = ψk + ϕk1 .
Se poi ψ e ϕ sono entrambi costanti, per cui le due rotazioni attorno agli assi di precessione
e di figura sono uniformi, allora la precessione e detta regolare.
Esempi tipici di precessioni sono il moto della trot-
tola e il moto della terra rispetto al proprio cen-
tro. In quest’ultimo caso l’asse terrestre nord-sud
e l’asse di figura e la retta baricentrica normale al
piano dell’orbita terrestre e l’asse di precessione.
Valutando il tempo in giorni e tenendo conto che
l’asse di figura impiega 26000 anni a fare un giro
completo attorno all’asse di precessione, il moto di
precessione della terra risulta caratterizzato da
θ0 = 2328′, ϕ =
2π
1g, ψ =
2π
365 ¢ 26000g.
65
3.24 Sistemi di riferimento equivalenti
Definizione Due sistemi di riferimento (O) ed (O1) si dicono equivalenti se si muovono
l’uno rispetto all’altro di moto traslatorio rettilineo uniforme.
Teorema C.N.S. affinche due sistemi di riferimento (O) ed (O1) siano equivalenti e che
si abbia
a(P ) = a1(P ) , 8P = P (t) .
Ne dimostriamo solo la condizione necessaria. Se (O) e (O1) sono equivalenti, essi si
muovono l’uno rispetto all’altro di moto traslatorio (ω = 0) rettilineo uniforme (dO1dt
= v0)
e quindi, qualunque sia P (t), si ha ac(P ) = 0, aτ (P ) = 0. Di conseguenza, in virtu del
teorema di composizione delle accelerazioni, si ha a(P ) = a1(P ).
Supponiamo di considerare due sistemi equivalenti Oxyz
e O1x1y1z1 con l’asse x coincidente con l’asse x1. Le
formule di trasformazione di coordinate, note come
trasformazioni di Galileo, sono date da
x = x1 + v0t
y = y1
z = z1 .
Sono sistemi equivalenti fra di loro i sistemi stellari, vale a dire i sistemi di riferimento con
origine in una stella fissa ed assi orientati verso stelle fisse. Il sistema solare, con origine nel
centro del Sole ed assi orientati verso stelle fisse, e da ritenersi, in buona approssimazione,
equivalente ad un sistema stellare. Ricordiamo che le stelle fisse sono le stelle per le quali
la loro reciproca posizione ci appare invariabile nel tempo. Chiaramente il Sole non e una
stella fissa.
Un sistema di riferimento molto importante per noi terrestri e il sistema terrestre-stellare,
con origine nel centro della terra ed assi orientati verso stelle fisse.
3.25 Moto di due corpi rigidi a contatto in un punto
Supponiamo di avere due corpi rigidi C e C1, con C1 che si muove su C avendo con esso
un unico punto di contatto. Sia σ la superficie di C e σ1 quella di C1, con σ e σ1 superfici
regolari. Consideriamo un sistema di riferimento Oxyz solidale con C ed uno O1x1y1z1
solidale con C1. Sia Oxyz il sistema fisso ed O1x1y1z1 quello mobile.
66
Per ogni P 2 C1 si ha
v(P ) =dO1dt
+ ω £ (P ¡O1) , (3.63)
con ω velocita angolare di C1.
Se poi consideriamo il puntoM di contatto fra i due corpi
(che non e solidale con C1!), la sua velocita vale
v(M) = v1(M) + vτ (M) ,
con
vτ (M) =dO1dt
+ ω £ (M ¡O1) .
Quest’ultima relazione fornisce
dO1dt
= vτ (M) + ω £ (O1 ¡M) ,
che sostituita in (3.63) da
v(P ) = vτ (M) + ω £ (P ¡M ) .
Scomposto ω lungo la normale e il piano tangente in M (comuni alle due superfici σ e σ1),
per cui ω = ωt + ωn, si ha
v(P ) = vτ (M ) + ωt £ (P ¡M) + ωn £ (P ¡M) , 8P 2 C1 . (3.64)
Interpretiamo il risultato ottenuto. Quando un corpo si muove su un altro corpo avendo
con questi un unico punto di contatto, lo stato cinetico risultante e la somma di tre stati
cinetici: uno stato cinetico di traslazione vτ (M) comune a tutti i punti del corpo (che da
luogo al moto di strisciamento di C1 su C ), uno stato cinetico di rotazione di asse (M,ωt)
(che origina il moto di rotolamento di C1 su C ) e un secondo stato cinetico di rotazione di
asse (M,ωn) (causa del moto di piroettamento di C1 su C ).
Definizione Si dice che un corpo rigido C1, per il quale si ha ωn = 0, rotola senza strisciare
sul corpo C se vτ (M) = 0.
Osservazione Nel moto di puro rotolamento (sinonimo di rotolamento senza strisciamento)
la velocita del punto di contatto M e nulla, e quindi lo stato cinetico e di rotazione con
asse di istantanea rotazione (M,ω), con ω tangente a σ (e quindi anche a σ1) in M .
67
4. CONCETTI E NOZIONI FONDAMENTALI DELLA MECCANICA
Prima di entrare nel vivo della Meccanica, e necessario introdurre una serie di concetti,
nozioni e strumenti senza i quali lo studio non puo essere affrontato. In questo capitolo,
si introdurranno, fra l’altro, i postulati fondamentali della Meccanica, i concetti di forza,
di vincolo e di lavoro. Sottolineiamo il fatto che per noi “Meccanica” significaMeccanica
Classica, vale a dire quella branca della scienza che si occupa dei fenomeni di moto per i
quali il modello matematico puo essere efficacemente costruito assumendo che i concetti
di spazio e tempo siano assoluti (Postulato di pag. 43). La Meccanica Classica fallisce
quando i fenomeni comportano delle velocita confrontabili con quella della luce. In
questo caso il modello matematico utile e fornito dalla Meccanica Relativistica.
4.1 Forze
Una forza e un ente fisico in grado di modificare lo stato di quiete o di moto rettilineo
uniforme di un punto materiale rispetto ad un dato osservatore. In altre parole, una forza
e qualcosa che produce accelerazione.
Il concetto importantissimo di forza, cosı introdotto in termini fisici, in termini matematici
viene definito nel modo seguente:
Definizione Una forza e un vettore applicato (P, F ). Il punto P e il punto di applicazione della
forza ed il vettore F e il vettore della forza.
Come si misura sperimentalmente il vettore F ?
Considerato un punto P in moto nello spazio, ci poniamo il problema di misurare la forza
che agisce su di esso in un dato istante t0 rispetto ad un fissato osservatore Oxyz. A tal fine
useremo un “dinamometro”, cioe uno strumento che possiamo pensare costituito da una
molla opportunamente costruita, sottile, leggera, come un segmento, con due ganci alle
estremita. Supposto che il punto P all’istante considerato abbia velocita v0, vi attacchiamo
uno dei due estremi della molla, a cui abbiamo imposto un moto traslatorio pure con
velocita v0 e, tenendola all’altro estremo, la tendiamo in modo tale da “compensare”
l’azione della forza agente sul punto, cosı che all’istante t0 l’accelerazione di P sia nulla.
Allora, il vettore F all’istante t0 ha la direzione del dinamometro, il verso opposto a quello
in cui il dinamometro e teso, modulo dato dall’allungamento del dinamometro.
68
Da quanto detto emergono dunque due concetti basilari:
- sul punto P agisce una forza se e solo se la sua accelerazione e non nulla;
- quantitativamente questa forza corrisponde all’allungamento di un dinamometro campione teso in
modo da compensare la forza stessa.
Fino a questo punto si e parlato “della forza” applicata al punto P come se su P agisse
un’unica forza. In realta molto spesso su P agiscono piu forze e tutto quanto detto finora
rimane valido in virtu del concetto di forza risultante e di un postulato che ora andiamo
a formulare. Supponiamo che il punto sia soggetto a N forze (P,F i) , i = 1, 2, ..., N .
Definizione Si chiama forza risultante agente su P la forza (P, F ) con
F =N∑
i=1
F i .
Supposto poi che l’accelerazione prodotta dalla singola forza (P, F i), quando applicata
singolarmente, sia ai, e che quella prodotta dalla forza risultante sia a, vale il seguente
Postulato L’accelerazione del punto P quando ad esso sono applicate N forze (P, F i) e
uguale a quella che ha P quando vi e applicata la sola forza risultante (P, F ), ossia
a = a1 + a2 + ¢ ¢ ¢+ aN .
In altre parole: gli effetti meccanici prodotti da piu forze aventi lo stesso punto di appli-
cazione si sommano.
Si impongono ora una considerazione e un avvertimento. La considerazione riguarda la
forza che si va a misurare con l’esperimento del dinamometro. Si tratta chiaramente della
risultante di tutte le forze applicate al punto. Naturalmente, se sul punto agisce un’unica
forza, allora la risultante coincide con quella forza. L’avvertimento consiste nel mettere
in guardia contro l’idea che le forze si possano sempre sommare ed ottenere quindi una
forza risultante. Mentre cio ha sempre senso nel caso di forze applicate tutte allo stesso
punto, in generale non lo ha quando i punti di applicazione sono diversi. Sull’argomento
ritorneremo ampiamente in seguito quando tratteremo i sistemi di forze.
Sulla natura del vettore di una forza si assume poi questo ulteriore
Postulato Il vettore F di una forza (P, F ) dipende, in generale, dalla posizione del suo
punto d’applicazione, dalla sua velocita e dal tempo, ossia
F = F(P, v(P ), t
). (4.1)
69
Posto P ´ (x, y, z) e F = Fxi+ Fyj + Fzk, la (4.1) significa
Fx = Fx(x, y, z, x, y, z, t) ,
Fy = Fy(x, y, z, x, y, z, t) ,
Fz = Fz(x, y, z, x, y, z, t) .
Per completare questo primo discorso sulle forze, occorre dire che esse possono essere di
due tipi diversi:
- dovute a corpi (quali le forze newtoniane, elastiche, elettriche, viscose, reazioni vincolari);
- dovute al sistema di riferimento (forze di trascinamento e di Coriolis).
Rinviando al momento opportuno la definizione delle diverse forze elencate fra parentesi,
assumiamo fin d’ora che le forze dovute a corpi siano assolute, cioe valga il
Postulato Le forze dovute a corpi non dipendono dall’osservatore.
4.2 Leggi fondamentali della Meccanica
Siamo ora in grado di enunciare le Leggi fondamentali della Meccanica, vale a dire i
tre postulati, nati dall’osservazione sperimentale, che sono basilari nella costruzione del
modello matematico che ci apprestiamo a descrivere e che utilizzeremo ai fini dello studio
del moto (e dell’equilibrio) dei sistemi materiali.
Prima Legge (Principio d’inerzia)
Esiste almeno un osservatore, che chiameremo osservatore inerziale o Galileiano, rispetto al
quale ogni punto materiale isolato o e in quiete o si muove di moto rettilineo uniforme.
Un punto materiale si intende isolato se e posto ad una distanza molto grande dagli altri
corpi dello spazio, per cui si possono ritenere trascurabili le forze esercitate da questi
ultimi sul punto. La prima Legge della Dinamica postula dunque l’esistenza di almeno un
riferimento rispetto al quale un punto materiale isolato ha accelerazione nulla, e quindi non
e soggetto a forze. Questo riferimento ha un ruolo privilegiato: esso permette di definire
la forza assoluta che agisce sul punto materiale P come quella che agisce su P rispetto a
questo riferimento. Tale forza e esclusivamente dovuta a corpi.
Ogni sistema di riferimento equivalente ad un sistema inerziale, e pure esso inerziale. In
realta, dunque, il Principio d’inerzia postula l’esistenza di una classe di infiniti osservatori
inerziali. D’ora innanzi, ogni volta che si introdurra un sistema di riferimento fisso (o
assoluto), si intendera sempre un sistema di riferimento inerziale. Gli osservatori che meglio
approssimano i sistemi di riferimento inerziali sono i sistemi stellari. Il sistema solare, pur
non essendo un sistema stellare, per tanti problemi ne risulta una buona approssimazione e
70
quindi puo essere riguardato come inerziale. Nello studio di molti fenomeni che avvengono
sulla superficie terrestre e inoltre lecito ritenere inerziale anche il sistema terrestre-stellare.
Seconda Legge (Legge di Newton)
Il moto di un punto materiale rispetto ad un osservatore inerziale soddisfa la relazione
ma = F . (4.2)
La Legge di Newton stabilisce che l’accelerazione a di un punto materiale e il vettore F
della forza a cui e soggetto, rispetto ad un sistema inerziale, sono proporzionali e che la
costante di proporzionalita e la massa m del punto. La possibilita di misurare la massa m
di un corpo e dovuta a questa proporzionalita. Vedremo infatti in seguito come la massa
m di un corpo C si trovi rapportando la sua “forza peso” con quella di un altro corpo la
cui massa e assunta come unitaria.
Consideriamo ora un sistema di due punti materiali (P,mP ) e (Q,mQ). I due punti
esercitano uno sull’altro una forza. Sia (P, FQ→P ) la forza che agisce sul punto P dovuta
a Q e (Q,FP→Q) quella che agisce su Q dovuta a P . Ebbene, vale il seguente postulato :
Terza Legge (Principio di azione e reazione)
Le forze (P, FQ→P ) e (Q,FP→Q) sono uguali e contrarie e con linea d’azione coincidente
con la retta congiungente i due punti. Ossia:
(a) FQ→P = ¡FP→Q ;
(b) FP→Q k (P ¡Q) .
4.3 Sistemi meccanici
Un sistema materiale e un insieme di punti materiali. Un sistema e discreto se e costituito
da un numero finito o numerabile di punti; in questo caso lo indichiamo con (Ps,ms), s =
1, ¢ ¢ ¢ , N , conN finito oppure no. Si dice invece che il sistema e continuo se e formato da un
continuo di punti. Il piu semplice sistema materiale discreto e ovviamente quello costituito
da un unico punto materiale (P,m), mentre un corpo rigido rappresenta l’esempio piu
comune e significativo di sistema continuo con cui avremo a che fare. Ovviamente esistono
anche sistemi materiali formati sia da punti che da corpi continui.
Un sistema meccanico e un sistema materiale su cui agisce un assegnato sistema di forze
attive e di vincoli. (Questi concetti saranno precisati piu avanti)
71
E importante sottolineare come un sistema meccanico costituisca un modello matematico
che si ritiene valido ai fini dello studio di un problema che ci interessa. Cambiando il
problema, anche il sistema meccanico in generale variera. Il seguente esempio potra aiutare
a capire il concetto. La terra puo essere rappresentata con un punto se ci interessa il suo
moto attorno al sole, con una sfera rigida se si vogliono studiare i suoi moti rispetto ad un
sistema terrestre-stellare (precessioni,...), con un corpo continuo deformabile se interessano
le sue deformazioni (deriva dei continenti, maree,..). Ovviamente, cambiando il problema
in esame, cambieranno in generale anche le forze di cui si deve tenere conto.
4.4 Vincoli
Definizione Si dice configurazione di un sistema meccanico all’istante t0 l’insieme delle
posizioni occupate dai punti del sistema in quell’istante rispetto ad un dato osservatore.
Qualche volta, anziche di configurazione del sistema, si parla di posizione. I due termini
possono considerarsi come sinonimi anche se il termine configurazione appare preferibile
in tutti i casi eccetto che per un sistema materiale costituito da un singolo punto.
Definizione Si chiama vincolo un qualunque dispositivo, dovuto a corpi, che limita le
configurazioni e/o le velocita dei punti del sistema meccanico.
Definizione Un sistema meccanico si dice vincolato se e soggetto ad almeno un vincolo;
altrimenti si dice libero.
Supponiamo ora che in ogni istante una qualunque configurazione del sistema meccanico
sia determinata dagli m parametri x1, x2, ..., xm. Cio equivale ad affermare che in ogni
istante t i parametri xi determinano la posizione di ognuno degli N punti Ps del sistema,
ossia che sono note le seguenti N funzioni:
Ps = Ps(x1, x2, ..., xm, t) ´ Ps(x, t), s = 1, ..., N . (4.3)
Nella (4.3) e stata introdotta una notazione di cui verra fatto ampio uso in seguito: con
la lettera in grassetto x si intende l’insieme delle variabili x1, x2, ..., xm. Ovviamente
con x si potra rappresentare l’insieme delle derivate x1, x2, ..., xm.
Definizione Se un vincolo non dipende dal tempo e detto fisso o scleronomo; altrimenti
e detto mobile o reonomo.
72
Esempio
Consideriamo un punto vincolato a muoversi su
una circonferenza di raggio R; sia θ l’angolo che
individua la posizione di P su di essa. Vediamo
come, a seconda del caso, questo vincolo (la cir-
conferenza) possa essere o fisso o mobile.
Caso I. Supponiamo che la circonferenza, il cui piano coincide col piano Oxy, sia fissata
con il centro C fissato nel punto dell’asse x di ascissa d. Chiaramente, in questo caso il
vincolo e fisso. Osserviamo che la posizione di P e data da
x = R cos θ + d
y = R sin θ .(4.4)
Caso II. Supponiamo ora che la circonferenza trasli uniformemente con velocita voi con
il centro C che si muove percorrendo l’asse x. In questo caso la circonferenza e mobile
e quindi anche il vincolo lo e. Supposto che all’istante t=0 si abbia C´O, l’ascissa di C
sull’asse x e v0t. Di conseguenza la posizione di P sul piano ora e determinata da
x = R cos θ + v0t
y = R sin θ .(4.5)
Il confronto delle (4.4) con le (4.5) porta ad una considerazione molto importante: se il
vincolo e fisso, il punto dipende dal tempo t solo attraverso l’angolo θ; se il vincolo e mobile,
il punto, oltre la dipendenza implicita attraverso θ, dipende da t anche esplicitamente.
Generalizzando, si puo affermare che la presenza esplicita nella (4.3) della variabile t significa
vincoli mobili nel tempo, mentre la mancanza significa vincoli fissi.
Definizione Un sistema meccanico si dice scleronomo se tutti i suoi vincoli sono sclero-
nomi; altrimenti e detto reonomo.
Osservazione: un sistema libero e un sistema scleronomo.
Definizione Un vincolo si dice interno se e dovuto a punti del sistema, esterno se e dovuto
a punti non appartenenti al sistema.
Esempio
Consideriamo un anello puntiforme vincolato a scorrere lungo un’asta. Caso I: il sistema
materiale sia costituito dal solo anello. L’asta non fa parte del sistema meccanico e quindi
il vincolo che agisce sull’anello e esterno. Caso II: il nostro sistema materiale e costituito
dall’anello e dall’asta. In questo caso l’asta esercita sull’anello un vincolo interno (cosı
come l’anello sull’asta).
73
I vincoli analiticamente si traducono in equazioni o disequazioni che devono essere soddi-
sfatte dai parametri xk.
Definizione Un vincolo si dice bilaterale se e espresso da un’equazione, unilaterale se e
espresso da una disequazione.
Esempio
Anche in questo caso un esempio puo essere d’aiuto a capire la differenza fra i due tipi di
vincolo.
Caso I. Consideriamo un punto materiale vincolato a muoversi all’interno o sulla superficie
di una sfera di raggio R. Adottati come parametri xi le coordinate cartesiane x, y e z di P
rispetto ad una terna Oxyz con O coincidente col centro della sfera, il vincolo e espresso
dalla disequazione
x2 + y2 + z2 · R2 ,
e pertanto si tratta di un vincolo unilaterale.
Caso II. Se invece il punto e vincolato a muoversi sulla superficie della sfera, il vincolo e
espresso dall’equazione
x2 + y2 + z2 = R2 .
Dunque, in questo caso il vincolo e bilaterale.
L’equazione che segue generalizza l’equazione appena vista:
F (x1, x2, . . . , xm, t) = 0 . (4.6)
Un vincolo bilaterale con un’espressione analitica del tipo (4.6) e detto vincolo finito.
4.5 Numero di gradi di liberta
Come abbiamo visto, ciascun vincolo bilaterale finito comporta una relazione d’ugua-
glianza tra due o piu parametri xi. Di conseguenza, supposto che sul sistema meccanico
agiscano r vincoli del tipo (4.6), questo significa che r parametri xi sono esprimibili in
funzione dei rimanenti n=m¡r, e che pertanto non e necessario usare tutti glim parametri
inizialmente introdotti, ma soltanto n che siano indipendenti. Per meglio capire quanto
detto consideriamo un esempio estremamente importante (anche ai fini degli esercizi).
Esempio: il puro rotolamento.
Consideriamo una ruota che rotola senza strisciare su una rotaia rettilinea che assumiamo
come asse x. Sia Oxy il piano nel quale avviene il moto. Indichiamo con θ (crescente nel
verso antiorario) l’angolo di rotazione della ruota e con x l’ascissa del puntoM della ruota
a contatto con l’asse x (o, equivalentemente, del centro C della ruota). Chiaramente, i
74
due parametri x e θ sono sufficienti ad individuare, qualunque sia il moto della ruota, la
posizione della ruota stessa. Tuttavia, se il moto e di puro rotolamento, la velocita di
trascinamento di M deve essere nulla. Di conseguenza si ha:
vτ (M) =dC
dt+ ω £ (M ¡ C) = xi+ θk £ (¡Rj) = (x+Rθ)i = 0 ,
da cui l’equazione scalare x + Rθ = 0.
Supposto per semplicita x(0)=0 e θ(0)=0,
integrando questa equazione si ottiene il
vincolo finito
x+Rθ = 0 . (4.7)
In virtu di questa relazione tra x e θ e sufficiente un solo parametro, indifferentemente x
o θ, per individuare la posizione della ruota quando questa rotola senza strisciare.
Definizione Si chiama numero di gradi di liberta di un sistema meccanico il numero dei
parametri che sono necessari e sufficienti ad individuare una qualunque configurazione del
sistema.
Osserviamo che il fatto che nella definizione si sia detto parametri “necessari” implica pure
che essi siano indipendenti. Osserviamo inoltre che la scelta dei parametri e in generale
largamente arbitraria.
Ritornando alla ruota che rotola senza strisciare sulla rotaia, essa ha 1 grado di liberta. Se
invece la ruota rotola e striscia, allora non sussistendo piu la relazione (4.7), i parametri
x e θ sono indipendenti e la ruota ha 2 gradi di liberta.
4.6 Parametri lagrangiani e sistemi olonomi
D’ora in poi indicheremo sempre con n il numero di gradi di liberta del sistema e con
q1, q2, ..., qn gli n parametri indipendenti scelti. A questi ci riferiremo come parametri o
coordinate lagrangiane. Le loro derivate qi saranno chiamate velocita generalizzate.
Il numero di gradi di liberta e massimo se il sistema meccanico e un sistema libero : ad
esempio, per un punto si ha n=3, per due punti n=6, per un corpo rigido libero n=6, per
un’asta rigida n=5. Se invece il sistema ha dei vincoli finiti, il numero di gradi di liberta
diminuisce. Esempi tipici sono un corpo rigido con un punto fisso (n=3) o con un asse
fisso (n=1) o con un asse scorrevole su un asse fisso (n=2), un punto vincolato ad una
curva (n=1) oppure ad una superficie (n=2).
75
Definizione Un sistema meccanico ad n gradi di liberta con parametri lagrangiani q1, q2,
. . . , qn si dice olonomo se non ha vincoli bilaterali del tipo
G(q1, q2, . . . , qn, q1, q2, . . . , qn, t) = 0 . (4.8)
Assumeremo poi che ciascun parametro lagrangiano qi abbia un proprio intervallo di va-
riabilita :
qi 2 [q1i , q
2i ], i = 1, ..., n , (4.9)
con i q1i che possono anche essere ¡1 ed i q2i che possono anche essere +1. Una qualunque
configurazione C0 del sistema compatibile con i vincoli sara associata ad una n-pla di valori
numerici soddisfacenti le (4.9), per cui dovra essere del tipo
C0 ´ (q01 , q02 , ..., q
0n) , q0i 2 [q
1i , q
2i ] .
C0 rappresenta un punto in Rn. Piu precisamente, tale punto appartiene al sottinsieme
chiuso S di Rn definito dal prodotto cartesiano
S =
n∏
i=1
[q1i , q
2i
],
che chiameremo spazio delle configurazioni del sistema meccanico. Ogni moto del sistema
nell’intervallo di tempo (t1, t2) sara rappresentato dal moto del punto
C(t) ´(q1(t), q2(t), ..., qn(t)
)´ q(t)
all’interno di S, dove descrivera una traiettoria di estremi C(t1) e C(t2). Se qi(t) = q1i
oppure qi(t) = q2i , diremo che qi ha, all’istante t, un valore estremale.
Come si e convenuto, d’ora in poi n indichera il numero dei gradi di liberta del sistema
meccanico in questione. Analogamente possiamo convenire di indicare con N il numero
dei punti materiali costituenti il sistema.
4.7 Altri esempi di vincoli
1) Punto vincolato ad una superficie fissa (n = 2)
L’equazione della superficie e del tipo
f(x, y, z) = 0 ,
che costituisce un vincolo finito scleronomo bilaterale.
76
2) Sistema costituito da due particelle P1 e P2 collegate da un’asta rigida (n = 5)
Supposto che l’asta abbia lunghezza ℓ e che P1 ´ (x1, y1, z1) e P2 ´ (x2, y2, z2), l’equazione
del vincolo e della forma
(x1 ¡ x2)2 + (y1 ¡ y2)
2 + (z1 ¡ z2)2 = ℓ2 .
Anche in questo caso si tratta di un vincolo finito scleronomo bilaterale.
3) Punto mobile in una stanza (n = 3)
Assunto Oxyz come sistema di riferimento, con O coincidente con un “vertice” ed assi
coincidenti con gli spigoli uscenti da O ed indicate con a, b, c le dimensioni della stanza,
allora le coordinate x, y, z di P devono soddisfare i seguenti sei vincoli finiti unilaterali:
0 · x · a
0 · y · b
0 · z · c .
4) Il pattino (n = 3)
Si tratta del sistema costituito da due particelle P1 e P2 collegate da un’asta di lunghezza
costante ℓ e vincolate a muoversi in un piano in modo che la velocita del punto medio
dell’asta abbia la direzione dell’asta. Supponendo P1 = (x1, y1, z1) e P2 = (x2, y2, z2) e
supponendo che il moto avvenga nel piano xy, i vincoli sono i seguenti :
z1 = 0
z2 = 0
(x1 ¡ x2)2 + (y1 ¡ y2)
2 = ℓ2
x1 + x2x1 ¡ x2
=y1 + y2y1 ¡ y2
.
Si tratta di un sistema meccanico soggetto a tre vincoli finiti (le prime tre equazioni) e
ad un vincolo del tipo (4.8) (l’ultima equazione). Di conseguenza questo costituisce un
esempio di sistema non olonomo.
Nel seguito considereremo solo sistemi olonomi e scleronomi. L’ipotesi di olo-
nomia ci garantira non solo l’indipendenza dei parametri lagrangiani qi, ma anche quella
delle velocita generalizzate qi, e di conseguenza quella dei dqi. L’ipotesi di vincoli fissi,
invece, ci permettera di scrivere la (4.3) senza il tempo t. Potremo quindi sempre scrivere:
Ps = Ps(q1, q2, . . . , qn) , (4.10)
vs =
n∑
i=1
(∂Ps∂qi
)qi , (4.11)
dPs =
n∑
i=1
(∂Ps∂qi
)dqi . (4.12)
77
4.8 Spostamenti infinitesimi
Introduciamo ora i concetti di spostamento infinitesimo reale e spostamento virtuale che gio-
cheranno un ruolo fondamentale in argomenti molto importanti che svilupperemo nel se-
guito. Si tratta di concetti non banali, legati alla nozione matematica di ”infinitesimo”.
Una grandezza costituisce un ”infinitesimo” quando, facendone un opportuno limite, essa
tende a zero. Operativamente, per semplificare le cose, gli infinitesimi possono essere trattati
come quantita finite ”arbitrariamente piccole”. In quest’ottica, il differenziale dx della varia-
bile spaziale x puo essere visto come un incremento (positivo o negativo) estremamente
piccolo di x. Analogamente il differenziale dt della variabile tempo t puo essere riguardato
come un intervallo molto piccolo di tempo.
Consideriamo un sistema meccanico ad n gradi di liberta con parametri lagrangiani q1, q2,
..., qn. Posto q0k=qk(0) e q0k=qk(0), con k=1, 2, . . . , n, allora la n-pla (q01 , ..., q0n) rappresenta
la configurazione C0 del sistema all’istante t0 e (q01 , ..., q
0n) la n—pla delle velocita genera-
lizzate nel medesimo istante. In virtu della (4.10) la posizione di P all’istante t0 e data
da
P0 = P (q01 , q02 , . . . , q
0n) = P (C0) .
Diamo ora due definizioni fondamentali:
Definizione Si definisce spostamento infinitesimo reale del punto P il vettore
dP = v0dt ,
essendo v0 la velocita di P all’istante t0.
Definizione Si definisce spostamento infinitesimo virtuale, o piu semplicemente spostamento
virtuale, ogni vettore δP del tipo
δP = v′dt ,
essendo v′ una qualunque velocita del punto P consentita dai vincoli nella posizione P0
all’istante t0.
A questo punto sono necessarie alcune considerazioni.
a) Matematicamente, dP e il differenziale della funzione P (t) all’istante t0. E detto spo-
stamento infinitesimo “reale” in quanto costituisce la parte principale dello spostamento
infinitesimo effettivo ∆P = P (t0 + dt) ¡ P (t0) a cui il punto da luogo nell’intervallo di
tempo (t0, t0 + dt).
78
b) Uno spostamento virtuale e uno spostamento fittizio, ipotetico, ma compatibile con i vincoli,
che immaginiamo di far compiere al punto P all’istante t0. Gli spostamenti virtuali costitui-
scono, come avremo ampiamente occasione di verificare in seguito, un artificio analitico
estremamente utile.
c) La velocita v0 di P all’istante t0, che e fornita dalla (4.11) calcolando le derivate
all’istante t0, ha la seguente espressione:
v0 =
n∑
k=1
( ∂P
∂qk
)(C0)
q0k .
d) Una qualunque velocita v′ di P consentita dai vincoli all’istante t0 ha ovviamente la
stessa espressione di v0, ma con le qk qualunque:
v′ =n∑
k=1
( ∂P
∂qk
)(C0)
qk .
Definizione Uno spostamento virtuale δP si dice invertibile se anche ¡δP e uno sposta-
mento virtuale; altrimenti esso e detto non invertibile.
E importante sottolineare il fatto che, perche uno spostamento virtuale δP sia non inver-
tibile, occorre che almeno uno dei parametri qi nella configurazione occupata dal sistema
meccanico all’istante t0 abbia un valore estremale e che il corrispondente δqi sia diverso da
zero. Supponiamo, per esempio, che sia q1(t0) = q11 e δq1 > 0. Ovviamente lo spostamento
¡δP implicherebbe ¡δq1, e quindi si verrebbe ad avere q1 = q11 ¡ δq1 < q11 , il che non e
lecito.
Definizione Uno spostamento non consentito δ∗P ´ (Q ¡ P ) si dice totalmente o
parzialmente proibito a seconda che non esista od esista uno spostamento virtuale δP
che avvicini P a Q.
Osservazione Uno spostamento parzialmente proibito
puo scriversi come somma di uno spostamento total-
mente proibito e di uno virtuale
δ∗P = δ∗1P + δP .
Consideriamo l’esempio di un punto appoggiato ad un
piano. Lo spostamento normale al piano δ∗1 = (Q′¡P )
e totalmente proibito, mentre lo spostamento obliquo (Q¡ P ) e parzialmente proibito in
quanto mi posso avvicinare a Q con lo spostamento virtuale δP=(Q”¡ P ).
79
Vediamo ora come le nozioni date per un singolo punto P si estendono al sistema meccanico
di cui esso fa parte. I parametri lagrangiani siano q1, q2, ..., qn. Supponiamo che il sistema
meccanico sia costituito di N punti Ps. Naturalmente lo spostamento infinitesimo di
un sistema meccanico e definito dagli spostamenti infinitesimi di tutti i suoi punti. Per
indicare uno spostamento virtuale si potrebbe dunque scrivere
δC ´ (δP1, δP2, . . . , δPN ) .
Ma essendoδPs =
n∑
k=1
(∂Ps∂qk
)δqk ,
tutti i δPs sono individuati dalla n¡pla (δq1, δq2, ..., δqn). Di conseguenza si ha anche
δC ´ (δq1, δq2, . . . , δqn) .
Definizione Uno spostamento virtuale δC di un sistema meccanico e invertibile se lo e lo
spostamento di ciascun suo punto Ps.
Questo significa che, dato uno spostamento δC invertibile a partire da una configurazione
C0 ´ (q01 , ..., q
0n), nessun q0k corrispondente ad un δqk non nullo ha un valore estremale. Al
contrario, se δC e non invertibile, questo significa che ad almeno uno dei δqk diversi da
zero corrisponde q0k estremale.
4.9 Configurazioni interne e di confine
Definizione C0 = (q01 , q
02 , . . . , q
0n) e una configurazione interna per il sistema meccanico
se ogni spostamento virtuale del sistema a partire da C0 e invertibile.
Definizione C0 = (q01 , q02 , . . . , q
0n) e una configurazione di confine se esiste almeno uno
spostamento virtuale del sistema a partire da C0 che e non invertibile.
In base a quanto affermato in precedenza si puo dire che, affinche una configurazione
C0 sia interna occorre che nessuno dei q0i , i = 1, ..., n, sia estremale. Se invece almeno
uno dei q0i ha un valore estremale, allora C0 e di confine. Consideriamo i due esempi
seguenti. i) punto P (x, y, z) libero, per cui ¡1<x< +1, ¡1<y<+1, ¡1<z<+1 :
ogni configurazione e di tipo interno. ii) punto vincolato a muoversi all’interno di una
stanza, 0 · x · a, 0 · y · b, 0 · z · c : ogni configurazione relativa alle pareti e di
confine, tutte le altre sono interne.
Nota bene La scelta di particolari sistemi di coordinate puo portare a configurazioni per le
quali il valore di qualche coordinata e estremale senza che la configurazione sia di confine.
Un esempio in cui si puo banalmente incorrere in errore si ha quando si utilizza un angolo
θ per descrivere una rotazione, senza che alcun vincolo fisico ponga delle limitazioni.
80
Chiaramente, se si assume θ variabile tra 0 e 2π, θ = 0 e θ = 2π non sono configurazioni
di confine. Per ovviare a questo inconveniente e sufficiente considerare θ variabile tra
¡1 e +1 (anche se in questo modo si perde la biunivocita della corrispondenza fra
configurazioni del sistema e valori del parametro θ).
4.10 Forze attive
Definizione Una forza (P,F ) si dice attiva se il suo vettore F e noto in funzione di
x, y, z, x, y, z, t, essendo x, y, z le coordinate di P .
Le forze attive possono essere distinte in due tipi: a) le forze dovute a corpi, quali le forze
Newtoniane, elettriche, elastiche, etc.; b) le forze dovute al sistema di riferimento, quali le
forze di trascinamento e di Coriolis.
Per quanto concerne le forze dovute a corpi sottolineiamo il fatto che sono forze assolute,
cioe forze che non dipendono dall’osservatore. Le altre, invece, variano a seconda dell’os-
servatore e sono collegate ovviamente alle accelerazioni che intervengono nel moto relativo
rispetto ad un osservatore assoluto inerziale.
Nota bene Il vettore F = F (x, y, z, x, y, z, t) di una forza attiva (P,F ) deve essere noto
in funzione di x, y, z, x, y, z. Cio non significa affatto che questi parametri siano noti in
funzione del tempo ! Se cosı fosse il moto di P sarebbe gia noto, mentre il nostro problema
e proprio quello di determinarlo !
Le forze attive dovute all’azione di altri corpi possono essere distinte in interne ed esterne a
seconda che siano dovute a punti materiali facenti parte del sistema materiale considerato
oppure no. Nel caso di forze interne vale ovviamente il Principio di azione e reazione. Su
ogni punto Ps di un sistema meccanico si possono dunque pensare applicate una forza
attiva interna (Ps, F is) ed una esterna (Ps, F es). Volendo, nel caso in cui intervengono
anche forze non assolute dovute ad un sistema di riferimento non inerziale, queste si
possono includere fra le forze attive esterne. In realta su ciascun punto Ps agiscono in
generale piu forze interne e piu forze esterne. Ovviamente, (Ps, F es) e la risultante delle
forze esterne, (Ps, F is) e la risultante di quelle interne.
4.11 Reazioni vincolari
Le reazioni vincolari, differentemente dalle forze attive, sono forze piu o meno incognite,
dovute ai vincoli, la cui natura e sancita dal postulato che segue.
81
Postulato delle reazioni vincolari Un sistema meccanico comunque vincolato puo essere
reso libero, senza alterarne lo stato di quiete o di moto, sopprimendo i vincoli e sostituendo
ad essi “opportune forze” dette reazioni vincolari.
L’azione di un vincolo puo essere rappresentata o da una singola reazione o da un sistema
di piu reazioni. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, e sufficiente considerare una sola
reazione il cui punto di applicazione coincide col punto su cui il vincolo agisce.
Definizione Un vincolo si dice liscio o senza attrito se la sua azione e rappresentata da un’u-
nica reazione vincolare (P,Φ) avente la direzione di uno spostamento totalmente proibito
e verso opposto. Altrimenti il vincolo e detto scabro o con attrito.
Spesso, anziche coinvolgere gli spostamenti totalmente proibiti, si dice piu semplicemente
che un vincolo e liscio quando esplica un’unica reazione normale al vincolo stesso. Vediamo
ora alcuni esempi di vincoli lisci:
- punto vincolato ad un piano liscio : Φ = Φn (n versore normale al piano);
- punto appoggiato ad un piano liscio : Φ = Φn , Φ ¸ 0 (n versore normale al piano,
diretto nel verso in cui puo avvenire il distacco);
- punto vincolato ad una curva liscia : Φ = Φnn+Φbb (n e b versori lungo la normale
principale e la binormale).
L’attrito si manifesta quando un punto materiale, muovendosi (o tentando di muoversi)
su un altro corpo, ne modifica lievemente la superficie (che guardata al microscopio non
e poi cosı liscia come sembra), generando forze non solo normali alla superficie ma anche
tangenti. Nella realta i vincoli sono tutti piu o meno scabri, per cui i vincoli lisci rappre-
sentano essenzialmente delle situazioni ideali. In molti problemi, tuttavia, le superfici sono
abbastanza levigate, per cui si puo assumere che il vincolo sia liscio. Limitandoci a questo
caso, (il problema dell’attrito sara ripreso e trattato in maniera piu ampia in seguito) e
ricordando la definizione di vincolo liscio, si possono fare le seguenti considerazioni circa
il vettore Φ della reazione vincolare. Pur rimanendo il suo modulo in ogni caso incognito,
ne conosciamo:
- la direzione, se vi sono solo due spostamenti totalmente proibiti uno opposto all’altro;
- la direzione ed il verso, quando c’e un unico spostamento totalmente proibito.
Come nel caso delle forze attive, anche le reazioni vincolari possono distinguersi in interne
ed esterne, e cio a seconda che il vincolo e di tipo interno od esterno. Di conseguenza, su
ogni punto Ps di un sistema meccanico, oltre alle forze attive interna (Ps, F is) ed esterna
(Ps, F es), potremo sempre pensare che ci siano le reazioni vincolari interna (Ps,Φis) ed
esterna (Ps,Φes).
82
4.12 Vettori caratteristici di un sistema di forze
Su ogni sistema meccanico agiscono sempre delle forze, in generale sia forze attive che
reazioni vincolari. Consideriamo per il momento delle forze generiche, senza specificarne
la natura, ed andiamo ad introdurre alcune nozioni che ci torneranno poi utili in seguito.
Al momento in cui queste nozioni saranno utilizzate, potremo facilmente circoscriverci
o alle sole forze attive o alle sole reazioni vincolari o ad un qualunque altro insieme di
forze. Consideriamo dunque un generico sistema di forze agenti sul sistema meccanico; lo
indicheremo enumerando le forze: (As, F s), s = 1, . . . , N . Ovviamente, piu forze possono
avere lo stesso punto di applicazione, per cui i punti As, che naturalmente sono punti del
sistema meccanico, non sono necessariamente distinti.
Un sistema di forze (As, F s), s = 1, . . . , N , e caratterizzato dai due vettori seguenti :
a) il vettore R somma dei vettori delle forze,
R =
N∑
s=1
F s, (4.13)
che chiamiamo vettore risultante o piu semplicemente il risultante, e
b) il vettore
Ω(O) =N∑
s=1
Ωs(O) =N∑
s=1
F s £ (O ¡As), (4.14)
che chiamiamo momento risultante del sistema di forze rispetto al polo O.
Si noti che il vettore Ωs(O) = F s£ (O¡As) , cioe il mo-
mento della singola forza (As, F s), e ortogonale al piano
individuato dal polo O e da (As, F s). Il suo modulo vale
FsjO¡Asj sinαs = Fsrs, dove rs e la distanza di O dalla
linea d’azione della forza. Qualche volta la distanza rs e
detta braccio della forza rispetto ad O.
Ovviamente, se F s 6= 0, Ωs(O) e nullo se e solo se O
appartiene alla retta (As, F s). In particolare, Ω(As) = 0.
Nota bene: R e Ω(O) sono vettori liberi (cioe non applicati) !
83
Proprieta dei vettori caratteristici
a) In generale il momento risultante di un sistema di forze dipende dal polo. Vediamo la
relazione che intercorre fra Ω(O) ed Ω(O1). Si ha:
Ω(O1) =N∑
s=1
F s £ (O1 ¡As) =N∑
s=1
F s £ [(O1 ¡O) + (O ¡As)] =
=N∑
s=1
F s £ (O ¡As) +N∑
s=1
F s £ (O1 ¡O) = Ω(O) +( N∑
s=1
F s
)£ (O1 ¡O) ,
ossia
Ω(O1) = Ω(O) +R£ (O1 ¡O). (4.15)
b) Teorema C.N.S. affinche il momento risultante di un sistema di forze sia indipendente
dal polo e che sia R = 0.
C.N. Se il momento risultante e indipendente dal polo, si ha Ω(O) = Ω(O1), qualunque
siano O ed O1. Dalla relazione (4.15) segue R £ (O1 ¡ O) = 0 per qualunque O ed O1.
Cio implica R = 0.
C.S. Se R = 0, la tesi segue in modo ovvio dalla (4.15).
Nel seguito la scrittura di un momento senza l’indicazione del polo, ne implichera auto-
maticamente l’indipendenza.
Introduciamo infine le nozioni di invariante e di momento assiale.
Si chiama invariante del sistema di forze (As, F s), s = 1, . . . , N , la grandezza scalare
I = R ¢Ω(O) . (4.16)
Il nome e giustificato dal fatto che questa grandezza non dipende dal polo rispetto al quale
e calcolato il momento risultante. Infatti, considerato un secondo polo O1 ed utilizzando
la (4.15), si ha
R ¢ Ω(O1) = R ¢(Ω(O) +R£ (O1 ¡O)
)= R ¢ Ω(O) +R ¢R£ (O1 ¡O) = R ¢ Ω(O) .
Si chiama momento assiale del sistema di forze (As, F s), s = 1, . . . , N , rispetto alla retta
(O, r), r versore, la grandezza scalare
Ωr = Ω(O) ¢ r =
N∑
s=1
F s £ (O ¡As) ¢ r.
84
Tale grandezza dipende dalla retta, ma non dal punto O. Infatti, qualunque sia O1 2
(O, r), per cui r k (O1 ¡O) , si ha:
Ωr(O1) = Ω(O1) ¢ r =[Ω(O) +R£ (O1 ¡O)
]¢ r = Ω(O) ¢ r +R£ (O1 ¡O) ¢ r =
= Ω(O) ¢ r = Ωr(O).
4.13 Sistemi equivalenti di forze
Diamo ora una definizione il cui significato fisico apparira chiaro nel seguito del corso.
Definizione Due sistemi di forze S : (As, F s), s = 1, . . . , N , e S′ : (A′s, F′s), s = 1, . . . , N ′
si dicono equivalenti se
R = R′
e Ω(O) = Ω′(O).
Teorema C.N.S. affinche due sistemi di forze siano equivalenti e che essi abbiano lo
stesso momento risultante qualunque sia il polo.
In virtu della (4.15), qualunque siano i punti O ed O1, valgono le seguenti relazioni:
Ω(O1) = Ω(O) +R£ (O1 ¡O)
Ω′(O1) = Ω′(O) +R′ £ (O1 ¡O)(4.17)
C.N. Hp.: i due sistemi di forze sono equivalenti. Th.: i due momenti sono gli stessi per
qualunque altro polo O1. Cio e evidente dalle relazioni (4.17): l’uguaglianza dei secondi
membri comporta anche quella dei primi.
C.S. Hp.: Ω(O) = Ω′(O) qualunque sia O. Th.: i due sistemi sono equivalenti, cioe
R = R′. L’ipotesi e le (4.17) comportano
R£ (O1 ¡O) = R′£ (O1 ¡O) =) (R¡R
′)£ (O1 ¡O) = 0,
da cui consegue, per l’arbitrarieta di (O1 ¡O), la tesi.
85
4.14 Sistemi elementari di forze
Si definiscono i seguenti sistemi elementari di forze:
a) sistema nullo, quando non c’e nessuna forza. Ovviamente
R = 0, Ω = 0, I = 0.
b) una forza (A,F ), per cui
R = F, Ω(A) = 0, I = 0.
c) una coppia (A, F ), (B,¡F ), con F non parallelo a (B—A), per cui
R = 0, Ω = F £ (B ¡A)6= 0, I = 0.
Si chiama braccio della coppia la distanza fra le linee d’azione delle due forze. Osser-
viamo che l’ipotesi fatta di non parallelismo tra F e (B—A) implica un braccio non nullo.
Osserviamo anche che, essendo R = 0, il momento di una coppia non dipende dal polo.
d) una forza (A,F ) ed una coppia (B,F 1), (C,¡F 1), di braccio non nullo, con F parallelo al
momento della coppia Ω = F 1 £ (C ¡B). Chiaramente:
R = F, Ω(A) = Ω, I 6= 0.
Osserviamo che la definizione di sistemi elementari di forze e del tutto analoga a quella di
stati cinetici elementari introdotta in cinematica.
4.15 Teorema di equivalenza sui sistemi di forze
Teorema Un qualunque sistema di forze e equivalente ad un sistema elementare di forze.
Dimostrazione Considerato un sistema di forze S : (As, F s), s = 1, . . . , N , siano R ed
Ω(O) i suoi vettori caratteristici, con il polo O arbitrariamente scelto. Distinguiamo due
casi: a) I = 0; b) I 6= 0.
Caso a). Sono possibili quattro sottocasi.
a1) R = 0, Ω = 0 : il sistema S e equivalente al sistema nullo.
a2) R = 0, Ω 6= 0 : il sistema S e equivalente ad una qualunque coppia di forze di
momento Ω.
86
a3) R 6= 0, Ω(O) = 0 : il sistema S e equivalente ad una forza (A,R), con A punto
qualunque della retta (O,R). Tale retta, che rappresenta il luogo dei punti dello spazio
rispetto ai quali il momento risultante e nullo, si chiama asse centrale del sistema di forze.
a4) R 6= 0, Ω(O) 6= 0, R ? Ω(O): se avessimo un polo O1 tale che Ω(O1) = 0,
ricadremmo nel caso precedente. Facciamo vedere che un tale O1 esiste. Essendo
Ω(O1) = Ω(O) +R£ (O1 ¡O) ,
perche Ω(O1) sia nullo, O1 dovra essere soluzione dell’equazione
Ω(O) = R£ (O ¡O1) . (4.18).
Essendo R ? Ω(O), si tratta di un problema di divisione vettoriale (x1.7) che ammette
infinite soluzioni: tutti i punti di una certa retta parallela a R. Si puo dunque affermare
che il sistema S e equivalente ad una forza (A,R), con A punto qualunque della retta
(O1, R) formata dai punti O1 soluzione dell’equazione (4.18).
Caso b). Ora I 6= 0, per cui R 6= 0, Ω(O) 6= 0, con i due vettori non ortogonali. Sono
dunque possibili due sottocasi.
b1) R k Ω(O) : il sistema S e equivalente ad una forza (A,R), con A punto qualunque
della retta (O,R), ed una qualunque coppia di momento Ω(O). Anche in questo caso la
retta (O,R) e detta asse centrale del sistema di forze.
b2) R ed Ω(O) sono obliqui, per cui, scomponendo Ω(O) lungo le direzioni rispettivamente
parallela e perpendicolare a R, si puo scrivere
Ω(O) = Ω‖(O) + Ω⊥(O) .
Osserviamo che se avessimo un polo O1 tale che Ω(O1) = Ω‖(O) ci troveremmo nelle stesse
condizioni del punto b1). Perche un siffato O1 esista deve essere
Ω(O1) = Ω(O) +R£ (O1 ¡O) = Ω‖(O) + Ω⊥(O) +R£ (O1 ¡O) = Ω‖(O)
ovvero
Ω⊥(O) +R£ (O1 ¡O) = 0 o, equivalentemente, Ω⊥(O) = R£ (O ¡O1) .
Essendo Ω⊥(O) perpendicolare ad R, esistono infiniti punti O1 che soddisfano questa
condizione. Scelto un tale O1, si puo dunque affermare che il sistema S e equivalente ad
una forza (A,R), con A punto qualunque della retta (O1, R) ed una qualunque coppia di
momento Ω‖(O). La retta (O1, R) e l’asse centrale del sistema di forze.
Si impongono ora alcune osservazioni.
a) La prima osservazione riguarda il fatto che spesso, impropriamente, si parla di un
sistema nullo anziche di un sistema equivalente ad un sistema nullo. A tale proposito
87
anticipiamo fin d’ora che, mentre questa distinzione non e rilevante quando il sistema di
forze e applicato ad un corpo rigido, lo e invece nel caso di un corpo deformabile.
b) Il piu semplice sistema equivalente ad un sistema nullo e una coppia di braccio nullo.
Esempio significativo: la coppia di forze che due punti materiali esercitano l’uno sull’altro
in virtu del principio di azione e reazione.
c) L’asse centrale e definito quando il sistema di forze e equivalente ad una sola forza
e quando e equivalente ad una forza ed una coppia. Nel primo caso l’asse centrale e il
luogo dei punti rispetto ai quali il momento risultante e nullo; nel secondo caso e il luogo
dei punti rispetto ai quali Ω e parallelo ad R. Ebbene, poiche in entrambi i casi un
polo non appartenente all’asse centrale comporta una componente di Ω ortogonale all’asse
medesimo, e chiaro che l’asse centrale e il luogo dei punti dello spazio rispetto ai quali il
modulo del momento risultante del sistema di forze e minimo. Nel caso di equivalenza ad
una forza ed una coppia il momento rispetto ad un punto P dell’asse centrale vale
Ω(P ) =
(Ω(O) ¢
R
jRj
)R
jRj=
I
R2R .
d) L’invariante I di un sistema di forze complanari e sempre nullo. Infatti, se Π e il piano
delle forze, R e parallelo a tale piano, mentre Ω(O), con O 2 Π, e ortogonale a Π. Se poi
R6= 0, il sistema e equivalente ad una forza con asse centrale che sta, come le forze, su Π.
e) L’ultima osservazione concerne la possibilita di formulare i tre corollari che seguono:
Corollario 1 : C.N.S. affinche un sistema di forze sia equivalente ad una forza ed una
coppia e che si abbia I 6= 0.
Corollario 2 : C.N.S. affinche un sistema di forze sia equivalente ad una sola forza e che
si abbia I = 0, R6= 0.
Corollario 3 : C.N.S. affinche un sistema di forze sia equivalente ad una coppia e che si
abbia R = 0, Ω6= 0.
Infine, una considerazione molto importante. Nel caso in cui il sistema e equivalente ad una
forza, e solo in questo caso, ha senso parlare di forza risultante o, piu semplicemente, della
risultante, intendendo con cio una forza equivalente al sistema. Sottolineiamo la differenza
tra il risultante e la risultante: il primo, cioe il vettore risultante, e un vettore libero ed
esiste sempre; la seconda, ossia la forza risultante, esiste solo nel caso di sistemi particolari
(Corollario 2), il piu semplice dei quali e quello in cui tutte le forze hanno lo stesso punto di
applicazione A. Ovviamente in questo caso A costituisce il punto d’applicazione “naturale”
della risultante, come assunto nella definizione di forza risultante data nel x4.1.
88
4.16 Operazioni elementari sulle forze
Con le forze si possono compiere tre operazioni elementari che trasformano il sistema di
forze dato in un sistema equivalente.
a) Composizione di due o piu forze applicate allo stesso punto. Tale operazione consiste
nel sostituire al sistema di forze (A,F s), s = 1, ...,M , la risultante (A, F =
M∑
s=1
F s).
b) Scomposizione di una forza in due o piu forze con lo stesso punto d’applicazione ed
aventi direzioni assegnate as. Tale operazione consiste nel sostituire alla forza (A, F ) il
sistema di forze (A,F s = Fsas), s = 1, ...,M , con∑s Fsas = F .
c) Scorrimento di un forza lungo la sua retta d’azione. Questa operazione consiste nel
sostituire alla forza (A,F ) la forza (A′, F ), con A′ punto qualunque della retta (A, F ).
Teorema Le operazioni elementari trasformano un sistema di forze in un sistema equi-
valente. La facile dimostrazione e lasciata per esercizio.
Dimostriamo invece l’importante teorema che segue:
Teorema Un sistema di N forze qualunque si puo sempre ridurre, mediante operazioni
elementari, ad un sistema di due forze.
Dimostriamo il teorema per N = 3. Siano
(As, F s), s = 1, 2, 3, le tre forze in que-
stione che, volendo stare nel caso generale,
supponiamo sghembe. Sia r la retta inter-
sezione del piano[A1, (A2, F 2)
]col piano
[A1, (A3, F 3)
]. Sia A un qualunque punto
di r. Scomponiamo la forza (A2, F 2) lungo
le rette A2A1 e A2A: otterremo due nuove
forze (A2, F′
2) e (A2, F′′
2).
Analogamente scomponiamo la forza (A3, F 3) lungo le rette A3A1 e A3A ottenendo le
due nuove forze (A3, F′
3) e (A3, F′′
3). A questo punto facciamo scorrere ciacuna di queste
quattro forze lungo la propria linea d’azione in modo da portare i vettori F′2 ed F
′3 in A1 e
F′′
2 ed F′′
3 in A. Eseguite queste operazioni ci sono tre forze di vettori F 1, F′
2, F′
3 applicate
in A1 e due forze di vettori F′′
2 e F′′
3 applicate in A. Componendo le prime tre ottengo la
forza (A1, F 1 + F′
2 +F′
3), mentre componendo le altre due si ha (A, F′′
2 +F′′
3). Dunque il
sistema di tre forze e stato trasformato in un sistema equivalente di due forze.
89
Ovviamente, se il sistema e costituito di N > 3 forze, se ne prendono tre e ci si riduce ad
N ¡ 1 forze, poi se ne prendono ancora tre e ci si riduce ad N ¡ 2, e cosı via fino a che
non ci si riduce a due soltanto.
Se le tre forze sono parallele, la dimostrazione e ancora valida prendendo come retta r la
linea d’azione di (A1, F 1). Se delle tre forze due sono complanari ed incidenti, mediante
scorrimento queste due si riducono immediatamente ad una sola forza, per cui il teorema
e subito provato. Se tutte le forze sono complanari, il sistema si riduce ad una sola forza
(caso generale) o ad una coppia (caso particolare).
4.17 Sistemi di forze interne
In base a quanto detto in precedenza, le forze che agiscono su un sistema meccanico
possono essere distinte in forze attive e in reazioni vincolari. A loro volta, sia le une
che le altre, possono essere distinte in interne ed esterne. Dunque, su qualunque sistema
meccanico, si puo sempre ritenere che agiscano quattro sistemi di forze: i sistemi delle forze
attive esterne (As, F es), s = 1, . . . , N , delle forze attive interne (Bs, F is), s = 1, . . . ,M ,
delle reazioni vincolari esterne (Cs,Φes), s = 1, . . . , N ′, e delle reazioni vincolari interne
(Ds,Φis), s = 1, . . . ,M ′.
Essendo le forze interne dovute soltanto all’azione di punti appartenenti al sistema mecca-
nico in questione, per il III principio della Meccanica (principio di azione e reazione) esse
compaiono sempre a coppie di braccio nullo. Piu precisamente, se (Br, F s→r) e la forza
attiva che agisce sul punto Br dovuta a Bs, allora c’e anche la forza (Bs, F r→s) dovuta a
Br. Queste due forze costituiscono una coppia di braccio nullo e di conseguenza, oltre ad
avere risultante nullo, hanno anche momento risultante nullo. Ne consegue che
Ri =
M∑
s=1
F is =
M∑
s=1
M∑
r=1r =s
F r→s = 0 ,
Ωi(O) =
M∑
s=1
F is £ (O ¡Bs) =
M∑
s=1
M∑
r=1r =s
F r→s £ (O ¡Bs) = 0 .
Vale dunque il seguente
Teorema Il sistema delle forze attive interne (Bs, F is), s = 1, . . . ,M , e equivalente al
sistema nullo.
90
Un analogo teorema vale ovviamente anche per le reazioni vincolari:
Teorema Il sistema delle reazioni vincolari interne (Ds,Φis), s = 1, . . . ,M ′, e equivalente
al sistema nullo.
4.18 Sistemi di forze parallele
Consideriamo ora il caso particolare di un sistema di forze tutte parallele. Indicato con
a un versore con la direzione delle forze, il sistema in questione puo essere scritto nel
modo seguente: (As, Fsa), s = 1, ..., N . Ovviamente lo scalare Fs, che rappresenta la
componente del vettore F s lungo a, e positivo o negativo a seconda che F s e concorde o
discorde con a. Se gli Fs hanno tutti lo stesso segno, le forze sono tutte concordi.
Teorema L’invariante di un sistema di forze parallele e nullo.
Infatti, essendo
R =N∑
s=1
F s =N∑
s=1
Fsa =( N∑
s=1
Fs
)a = Ra,
Ω(O) =
N∑
s=1
F s £ (O ¡As) =
N∑
s=1
Fsa£ (O ¡As) = a£
N∑
s=1
Fs(O ¡As),
ne consegue
I = R ¢ Ω(O) = Ra ¢ a£
N∑
s=1
Fs(O ¡As) = 0 .
Questo teorema implica dunque che un sistema di forze parallele non e mai equivalente
ad una forza ed una coppia. In particolare implica che un sistema di forze parallele con
R 6= 0 e sempre equivalente ad una sola forza, in altre parole ammette la risultante. In
questo caso vale l’importante
Teorema Per ogni sistema di forze parallele con R 6= 0 esiste, ed e unico, un punto C
dell’asse centrale che e indipendente dalla direzione a delle forze. Tale punto, che si chiama
centro delle forze parallele, e dato da
C ¡O =
∑Ns=1 Fs(As ¡O)∑Ns=1 Fs
. (4.19)
Dunque, un qualunque sistema di forze parallele con R 6= 0 ammette sempre il centro
delle forze parallele, vale a dire un punto C, indipendente dalla direzione delle forze, in
cui si puo applicare la risultante. L’indipendenza di C da a comporta la sua invarianza
91
rispetto ad una qualunque rotazione delle forze, lasciandone fermi i punti d’applicazione
e invariate le intensita.
Assunto un sistema di coordinate cartesiane Oxyz, indicate con (xs, ys, zs) le coordinate di
As e con (xC , yC , zC) quelle del centro C, la relazione (4.19) proiettata sugli assi fornisce
le coordinate cartesiane di C:
xC =
∑Ns=1 Fsxs∑Ns=1 Fs
, yC =
∑Ns=1 Fsys∑Ns=1 Fs
, zC =
∑Ns=1 Fszs∑Ns=1 Fs
. (4.20)
E immediato verificare che se tutti i punti d’applicazione delle forze stanno su una retta,
anche C sta sulla retta. Analogamente, se tutti i punti As stanno in un piano, anche C
sta nel piano.
Consideriamo a titolo di esempio il piu semplice sistema di forze parallele: quello costituito
di due sole forze. Siano (A1, F1a) e (A2, F2a) le due forze, con F1+F2 6= 0. Assunto come
asse Ox la retta congiungente i punti A1 ed A2, essendo A1 ´ (x1, 0, 0) e A2 ´ (x2, 0, 0),
le (4.20) forniscono immediatamente yC = zC = 0, per cui C sta sulla congiungente A1
con A2. Inoltre
xC =F1x1 + F2x2
F1 + F2=) F1(xC ¡ x1) = ¡F2(xC ¡ x2).
Cio significa che C e interno al segmento
A1A2 se le due forze sono concordi, esterno
se sono discordi (dalla parte della forza di
modulo maggiore). Inoltre, in ogni caso, le
distanze di C dai punti A1 ed A2 sono in-
versamente proporzionali a jF1j e jF2j.
4.19 Forza peso
Definizione Si chiama peso del punto materiale (P,m) la forza che occorre equilibrare
perche il punto sia in equilibrio rispetto ad un osservatore solidale con la terra.
La forza peso, che indichiamo con (P, p), e la risultante delle forze dovute all’attrazione
Newtoniana ed ai moti della terra. Essa risulta principalmente dalla composizione di due
forze: la forza d’attrazione esercitata dalla terra e la forza centrifuga (che sara definita
piu avanti) dovuta alla rotazione uniforme della terra attorno al proprio asse. Piu preci-
samente, indicati rispettivamente con n e N i versori radiali e normali all’asse terrestre
92
orientati come in figura, si ha
p ' GmM
ρ2n¡mρ cosϕω2N , (4.21)
dove G e la costante di gravitazione universale, ρ e
la distanza di P dal centro della terra, M la massa
della terra, ϕ e la latitudine di P e ω e la velocita
angolare della terra. Poiche la forza Newtoniana e
diretta verso il centro della terra e la forza centrifuga e normale all’asse, ne consegue che,
eccetto che all’equatore e ai poli, la forza peso non passa per il centro della terra (anche
se vi passa molto vicino).
Nel seguito il vettore p della forza peso agente su (P,m) sara scritto come
p = mg = ¡mgk , (4.22)
dove g, che e detta accelerazione di gravita, e indipendente da m e variabile con la latitudine
e con l’altezza (rispetto al livello del mare). Il versore k, che definisce punto per punto la
direzione verticale (direzione del filo a piombo), e quindi il piano orizzontale, e il versore
verticale ascendente. Osserviamo che in un problema ha senso parlare di “verticale” solo
se tra le forze che agiscono sul sistema ci sono anche le forze peso.
Consideriamo ora un sistema di N punti materiali (Ps,ms). Ad esso sara associato il
sistema delle forze peso (Ps, ps = msgs), s = 1, ..., N . Supponendo che le distanze fra i
punti Ps siano molto piccole rispetto al raggio terrestre, come e ragionevole supporre per
ogni sistema meccanico con cui abbiamo a che fare, si puo assumere ps = msg = ¡msgk.
Dunque, il sistema delle forze peso applicate ad un sistema meccanico puo considerarsi
un sistema di forze parallele. Essendo queste equiverse si ha R 6= 0, e quindi il sistema
delle forze peso e equivalente ad una sola forza (A,¡Mgk), dove A e un punto qualunque
dell’asse centrale, M =∑Ns=1ms e la massa totale e k e il versore verticale ascendente. A
tale forza ci si riferisce come al peso del sistema materiale.
In particolare, la forza peso puo sempre essere applicata nel baricentro G del sistema
materiale. E infatti facile verificare che il baricentro e il centro delle forze peso.
4.20 Misura della massa
Come si calcola la massa di un punto materiale (P,m) ? Assunta come massa unitaria
quella di un punto campione (P0, m0), si ha:
m0g = ¡m0gk = p0k, mg = ¡mgk = pk (p0 < 0, p < 0),
93
da cui la relazionem
m0=
p
p0. Per ottenere la massa m fornita dalla bilancia basta porre
m0 = 1:
m =p
p0.
4.21 Lavoro reale infinitesimo
Definizione Si definisce lavoro reale infinitesimo della forza (P, F ) il prodotto scalare
dL = F ¢ dP. (4.23)
Posto, come al solito,P ¡O = xi+ yj + zk
dP = dxi+ dyj + dzk
F = Fxi+ Fyj + Fzk,
l’espressione cartesiana di dL e la seguente:
dL = Fxdx+ Fydy + Fzdz. (4.24)
Nel caso di un sistema meccanico ad n gradi di liberta con parametri lagrangiani q1, q2, . . . , qn,
il lavoro dLs della forza (Ps, F s), tenendo conto della (4.12), sara dato da:
dLs = F s ¢ dPs = F s ¢
n∑
i=1
∂Ps∂qi
dqi .
Definizione Si definisce lavoro reale infinitesimo compiuto dal sistema di forze (Ps, F s), s =
1, . . . , N , la somma dei lavori dLs compiuti da ciascuna forza, ossia
dL =
N∑
s=1
dLs =
N∑
s=1
F s ¢ dPs . (4.25)
Quando il sistema delle forze in questione e quello delle forze attive, e molto conveniente
rappresentare dL in una forma che ora andiamo a ricavare.
dL =
N∑
s=1
F s ¢ dPs =
N∑
s=1
F s ¢
n∑
i=1
∂Ps∂qi
dqi =
n∑
i=1
( N∑
s=1
F s ¢∂Ps∂qi
)dqi
Ponendo
Qi =
N∑
s=1
F s ¢∂Ps∂qi
, i = 1, ..., n , (4.26)
si ha
dL = Q1dq1 +Q2dq2 + ¢ ¢ ¢+Qndqn =n∑
i=1
Qidqi . (4.27)
Le Qi sono dette forze generalizzate di Lagrange. In un certo senso, esse generalizzano il
concetto di componenti cartesiane delle forze. Infatti, nel caso di un punto libero, posto
q1 = x, q2 = y, q3 = z, si ha Q1 = Fx, Q2 = Fy, Q3 = Fz.
94
4.22 Lavoro finito
Definizione Si definisce lavoro compiuto dalla forza (P,F ) nell’intervallo di tempo (t1, t2)
l’integrale curvilineo
L = (γ)
∫ P2
P1
F ¢ dP, (4.28)
dove P1 = P (t1), P2 = P (t2) e γ e la curva percorsa dal punto P per andare da P1 a P2.
Poiche, in generale, F = F (x, y, z; x, y, z; t), questo integrale, in generale, dipende: a) dalla
curva γ (a causa della dipendenza da x, y, z); b) dalla legge oraria con cui P percorre γ (a
causa della dipendenza da x, y, z); c) direttamente dal tempo, cioe dall’intervallo (t1, t2).
Consideriamo ora il caso di un sistema ad n gradi di liberta soggetto ad un sistema di N
forze. Supponiamo che il sistema nell’intervallo di tempo (t1, t2) si sposti dalla configura-
zione C1=C(t1) alla configurazione C2=C(t2), percorrendo, nello spazio n-dimensionale dei
parametri lagrangiani qi, la curva Γ.
Definizione Si definisce lavoro compiuto dal sistema di forze (Ps, F s), s = 1, . . . , N sul
sistema meccanico nell’intervallo di tempo (t1, t2) l’integrale curvilineo
L = (Γ)
∫ C2
C1
N∑
s=1
F s ¢ dPs . (4.29)
Analogamente al lavoro di una singola forza, anche questo integrale dipende, in generale,
dalla traiettoria Γ, dalle modalita con cui il sistema si sposta da C1 a C2 (attraverso le
velocita generalizzate qi) e dal tempo.
4.23 Lavoro virtuale
Definizione Si definisce lavoro virtuale, ovviamente infinitesimo, della forza (P,F ) il pro-
dotto scalare
δL = F ¢ δP = Fxδx+ Fyδy + Fzδz. (4.30)
Nel caso di un sistema ad n gradi di liberta su cui agisce un sistema di N forze attive
(Ps, F s), si ha
δL =N∑
s=1
δLs =N∑
s=1
F s ¢( n∑
k=1
∂Ps∂qk
δqk
)=
n∑
k=1
( N∑
s=1
F s ¢∂Ps∂qk
)δqk =
n∑
k=1
Qkδqk. (4.31)
Questa relazione esprime il lavoro virtuale delle forze attive. Osserviamo che (4.31) coin-
cide formalmente con l’espressione (4.27) del lavoro reale infinitesimo. Cio non sarebbe
vero se il sistema meccanico non fosse scleronomo.
95
4.24 Lavoro infinitesimo delle forze applicate ad un corpo rigido
Se il sistema materiale e un corpo rigido C, il lavoro virtuale delle forze ad esso appli-
cate assume una semplice espressione, di particolare importanza, che deriva dalla formula
fondamentale della cinematica rigida
dPsdt
=dO1dt
+ ω £ (Ps ¡O1).
Posto ω = θa, ed essendo dθ = θdt, lo spostamento infinitesimo reale di un punto Ps 2 C
in corrispondenza allo spostamento reale dC=(dO1, (O1, dθa)
)(naturalmente compatibile
coi vincoli esterni), e dato da
dPs = dO1 + dθa£ (Ps ¡O1) . (4.32)
Ne consegue che il lavoro infinitesimo reale di un generico sistema di forze (Ps, F s), s =
1, . . . , N , e dato da
dL =
N∑
s=1
F s ¢ dPs =
N∑
s=1
F s ¢(dO1 + dθa£ (Ps ¡O1)
)=
=( N∑
s=1
F s
)¢ dO1 +
N∑
s=1
F s ¢ (O1 ¡ Ps)£ dθa =
=( N∑
s=1
F s
)¢ dO1 +
N∑
s=1
F s £ (O1 ¡ Ps) ¢ dθa .
Ricordando la definizione di vettore risultante e di momento risultante, si ottiene la se-
guente espressione:
dL = R ¢ dO1 +Ω(O1) ¢ dθa . (4.33)
L’espressione del lavoro virtuale e formalmente la stessa.
Osservazioni:
— Il lavoro infinitesimo, sia reale che virtuale, delle forze interne (attive e vincolari) che
agiscono su un corpo rigido, e sempre nullo.
— L’espressione trovata per dL (o δL) ci dice che due sistemi di forze equivalenti, se applicati
ad un corpo rigido, compiono lo stesso lavoro. Cio non e vero se il corpo e deformabile, in
quanto la formula (4.32) non vale piu.
— Sottolineiamo che l’espressione di dL ottenuta vale qualunque sia il punto O1 del corpo
rigido e qualunque sia lo spostamento infinitesimo(dO1, (O1, dθa)
)(analogamente per
δL).
96
4.25 Forze posizionali
Definizione Una forza attiva (P,F ) si dice posizionale quando il suo vettore F dipende
solo dalla posizione del suo punto d’applicazione P ´ (x, y, z), ossia se
F = F (x, y, z).
Il vantaggio piu immediato che deriva da questa proprieta consiste nel fatto che il lavoro
finito di una forza posizionale, dato dall’integrale (4.28), dipende solo dalla traiettoria γ
percorsa per andare da P1 a P2, mentre e indipendente sia dalla legge oraria che dal tempo.
Osserviamo che nel caso di una forza (Ps, F s) applicata ad un sistema con parametri
lagrangiani qi, il fatto che sia posizionale implica
F s = F s(q1, q2, . . . , qn).
Ovviamente, se tutte le forze applicate al sistema sono posizionali, anche il lavoro finito L
espresso dalla (4.29) dipende soltanto dalla “traiettoria”.
4.26 Sistemi conservativi di forze
Consideriamo un punto materiale (P,m), libero e soggetto ad un’unica forza posizionale
(P, F ). Siano x, y e z le coordinate di P rispetto ad un sistema di riferimento Oxyz
rispetto al quale sia
F (x, y, z) = Fx(x, y, z) i+ Fy(x, y, z) j + Fz(x, y, z) k. (4.34)
Definizione La forza posizionale (P,F ) si dice conservativa se esiste una funzione U(x, y, z)
tale che
Fx =∂U
∂x, Fy =
∂U
∂y, Fz =
∂U
∂z.
La principale proprieta che caratterizza una forza conservativa consiste nel fatto che il
lavoro da essa compiuto quando il punto P si sposta dalla posizione P1 alla posizione P2
dipende solo dalle posizioni iniziale e finale, e non dalla traiettoria γ percorsa. Si ha infatti
L = (γ)
∫ P2
P1
dL = U(P2)¡ U(P1).
In particolare, se la curva e chiusa (quando P1 ´ P2), il lavoro e nullo.
La definizione appena data si puo generalizzare ad un sistema di forze, purche applicato
ad un sistema meccanico olonomo e scleronomo (ipotesi in cui ci siamo messi una volta
per tutte, ma che e opportuno ricordare).
97
Definizione Un sistema di forze attive posizionali si dice conservativo se esiste una funzione
U = U(q1, q2, . . . , qn) tale che
Qi =∂U
∂qi, i = 1, . . . , n , (4.35)
essendo le Qi le forze generalizzate.
La funzione U si chiama funzione potenziale o, piu semplicemente, potenziale. Chiaramente,
U e definita a meno di una costante additiva arbitraria U∗. Qualche volta l’arbitrarieta
di U∗ e sfruttata ai fini di far assumere ad U un valore desiderato in una data posizione
del sistema.
La principale proprieta dei sistemi conservativi di forze e che il lavoro da esse compiuto sul
sistema meccanico quando questo si sposta dalla configurazione C1 = q1 ´ (q11 , q12 , ¢ ¢ ¢ , q
1n)
alla configurazione C2 = q2 ´ (q21 , q22 , ¢ ¢ ¢ , q
2n) non dipende dalla traiettoria Γ percorsa
(nello spazio delle configurazioni), ma solo dai suoi punti estremi C1 e C2. Infatti, si ha
L = (Γ)
∫ C2
C1
dL = U(C2)¡ U(C1) = U(q2)¡ U(q1) .
Osserviamo che, se una forza e conservativa, essa rimane tale qualunque sia il sistema
meccanico a cui la si applichi. Ne consegue che, se un sistema e costituito di forze tutte
conservative, e certamente conservativo. Possono pero esistere dei sistemi conservativi di
forze senza che tutte le forze componenti, prese singolarmente, lo siano.
Sia (P, F ) una forza conservativa e sia U(x, y, z) il suo potenziale. Quando la forza viene
applicata ad un sistema meccanico di parametri lagrangiani qi, il suo potenziale diventa
U(q) = U(x(q), y(q), z(q)
).
Di conseguenza, se si considera un generico sistema di N forze(Ps, F s(q)
)tutte conser-
vative, per cui esistono gli N potenziali Us(q) = Us(xs(q), ys(q), zs(q)
), allora anche il
sistema di forze e conservativo e il suo potenziale e dato dalla somma dei potenziali delle
singole forze, ossia
U(q) =∑s Us(q) .
Osservazione. Il fatto che un sistema di forze sia conservativo ha un’importante impli-
cazione: il lavoro infinitesimo dL delle forze attive e uguale al differenziale dU del potenziale.
Infatti, riprendendo l’espressione (4.27) di dL e sostituendovi le uguaglianze (4.35), si ha
dL = Q1dq1 +Q2dq2 + ¢ ¢ ¢+Qndqn =∂U
∂q1dq1 +
∂U
∂q2dq2 + ¢ ¢ ¢+
∂U
∂qndqn = dU .
98
Dunque, per un sistema conservativo di forze attive, si ha
dL = dU . (4.36)
In Analisi Matematica questo fatto si esprime dicendo che dL e una forma differenziale
esatta. La condizione (4.35) della definizione equivale dunque alla richiesta che dL sia un
differenziale esatto.
Nella pratica la verifica che un dato sistema di forze posizionali e conservativo si ri-
duce a verificare che il corrispondente lavoro infinitesimo dL=∑ni=1Qidqi e una forma
differenziale esatta. A tal fine, date per soddisfatte alcune condizioni sulle funzioni
Qi(q1, q2, . . . , qn) e sul loro dominio di esistenza, e sufficiente verificare che dL e una
forma chiusa, ossia che valgono le uguaglianze
∂Qh∂qk
=∂Qk∂qh
, h, k = 1, . . . , n .
Consideriamo in particolare il caso di una singola forza della forma (4.34). Volendo ve-
rificare che e conservativa, essendo dL dato dalla (4.24), dovranno essere soddisfatte le
relazioni∂Fx∂y
=∂Fy∂x
,∂Fx∂z
=∂Fz∂x
,∂Fy∂z
=∂Fz∂y
.
Per quanto riguarda il calcolo del potenziale, ne diamo un’espressione nel caso particolare
in cui la forza e piana, rinviando ad un testo di Analisi Matematica per il caso di una
forza non piana. Sia
dL = Fx dx+ Fy dy = A1(x, y) dx+A2(x, y) dy = dU
la forma differenziale. Comunque scelto P0 ´ (x0, y0), la funzione potenziale U(x, y), cioe
la funzione avente come differenziale la forma appena scritta, e la seguente:
U(x, y) =
∫ x
x0
A1(ξ, y0) dξ +
∫ y
y0
A2(x, ξ) dξ . (4.37)
Si noti che questa formula corrisponde al calcolo del lavoro
compiuto dalla forza (P,F ) quando il punto P si sposta da
P0 a P muovendosi prima parallelamente all’asse x fino a rag-
giungere il punto Q´ (x, y0), e poi parallelamente all’asse y.
Una formula equivalente si puo ottenere percorrendo l’analogo
cammino parallelo prima all’asse y e poi all’asse x.
99
4.27 Esempi significativi di sistemi conservativi di forze
a) Forza costante
Consideriamo la forza (P,F ) di vettore F = ai+ bj + ck costante. Questa forza e conser-
vativa ed il suo potenziale U e dato da
U(x, y, z) = ax+ by + cz + U∗ , (4.38)
con U∗ costante arbitraria.
Quando la forza e applicata ad un punto di un sistema meccanico ad n gradi di liberta, il
suo potenziale vale
U(q) = ax(q) + by(q) + cz(q) + U∗ .
Tra le forze costanti va annoverata la forza peso. In tal caso, assunto un sistema di rife-
rimento Oxyz con z verticale ascendente, il peso ha vettore ¡mgk. Dalla (4.38) consegue
quindi che il potenziale della forza peso che agisce sul punto materiale (P,m) e dato da
U(x, y, z) = U(z) = ¡mgz + U∗ .
Nel caso di un sistema materiale di N punti (Ps, ms), si ha
U =∑
s
(¡msgzs + U∗
s
)= ¡g
(∑
s
mszs
)+ U∗ = ¡g
(MzG
)+ U∗ ,
cioe
U = ¡MgzG + U∗ . (4.39)
Dunque, il potenziale delle forze peso agenti su un sistema materiale e uguale a quello della
risultante purche applicata nel baricentro. Esprimendo zG in funzione di q1, q2, . . . , qn, si
ottiene U(q). Osserviamo che la relazione (4.39) mette in evidenza, per la prima volta,
l’importanza del baricentro.
Se andiamo a calcolare il lavoro finito L delle forze peso nell’intervallo (t1, t2) quando il
sistema meccanico si sposta dalla configurazione C1 ´ C(t1) a C2 ´ C(t2) , si ottiene:
L = U(C2)¡ U(C1) = ¡MgzG2+ U∗ ¡ (¡MgzG1
+ U∗) =Mg(zG1 ¡ zG2) ,
essendo G1 ´ G(t1) e G2 ´ G(t2) . Dunque, il lavoro delle forze peso e positivo se il
baricentro del sistema si abbassa, negativo se si alza, nullo se rimane alla stessa quota
(indipendentemente da tutte le posizioni intermedie).
Osserviamo infine che l’espressione (4.39) di U rimane valida anche per un corpo continuo
in quanto si ricava allo stesso modo sostituendo la somma con il corrispondente integrale.
100
b) Forza d’attrazione Newtoniana
Consideriamo il punto materiale (P,m) e la forza d’attrazione Newtoniana (P, F ) che agisce
su P dovuta al punto materiale (O,M). Come e ben noto, il vettore F e il seguente:
F = ¡GmM
ρ2r ,
essendo G la costante di gravitazione universale (positiva), ρ la distanza di P da O e r = P−Oρ
il versore avente la direzione della retta congiungente P con O, orientato da O verso P
(il che spiega il segno meno). Si puo dimostrare che questa forza e conservativa ed il
potenziale U , espresso in funzione di ρ, e il seguente:
U(ρ) = GmM
ρ+ U∗ . (4.40)
c) Forza elastica esterna
Data una molla di lunghezza a riposo nulla, avente un estremo nel punto fisso O e l’altro
nel punto P , il punto P e soggetto alla forza di vettore
F = ¡k2ρr ,
con k2 costante elastica della molla, e ρ ed r con lo stesso significato visto in b). La forza
(P, F ) e conservativa ed il suo potenziale vale
U(ρ) = ¡1
2k2ρ2 + U∗, (4.41)
Se invece la molla a riposo ha lunghezza ℓ, allora
F = ¡k2(ρ¡ ℓ)r ,
e quindi
U(ρ) = ¡1
2k2(ρ¡ ℓ)2 + U∗. (4.42)
d) Coppia di forze elastiche interne
Siano (P1, k2ρa) e (P2,¡k2ρa) le due forze elastiche, con
P2 ¡ P1 = ρa. In questo caso P1 e P2 sono due punti di
un sistema meccanico, entrambi mobili, collegati tra di loro
da una molla. Si puo dimostrare che il sistema costituito da
questa coppia di forze elastiche interne e conservativo e vale
U(ρ) = ¡1
2k2ρ2 + U∗ ,
esattamente come nel caso di una singola forza elastica esterna.
101
Osserviamo che questo costituisce un esempio di un sistema conservativo di due forze,
senza che ciascuna delle due forze sia conservativa. Risulta infatti impossibile scrivere
separatamente il potenziale di ciascuna delle due forze.
I risultati ottenuti ai punti c) e d) permettono di affermare che una molla di costante
elastica k2, sia che agisca come forza esterna, sia che agisca come coppia di forze interne,
ha potenziale U = ¡ 12k
2ξ2 + U∗, essendo ξ la sua elongazione.
4.28 Potenza
Definizione Si chiama potenza della forza (P,F ) lo scalare
W (t) =d
dt
(L(t)
)=
d
dt
(∫ P (t)
P (t0)
F ¢ dP
)=
d
dt
(∫ t
t0
F ¢ vdτ
)= F ¢ v.
Il lavoro finito L della forza puo essere riscritto utilizzando la potenza:
L =
∫ t2
t1
W (t)dt.
Osserviamo che ci sono dei testi di Meccanica Razionale nei quali viene prima introdotta
la nozione di potenza, e poi attraverso questa la nozione di lavoro.
4.29 Vincoli perfetti
Concludiamo questo capitolo con alcune nozioni, molto importanti, riguardanti il lavoro
delle reazioni vincolari per una classe molto importante di sistemi meccanici, che adesso
definiamo.
Definizione Un sistema meccanico vincolato si dice a vincoli perfetti o ideali se, per qua-
lunque configurazione C0 compatibile coi vincoli, e per qualunque spostamento virtuale a
partire da C0, il lavoro δρ delle reazioni vincolari e non negativo, ossia
δρ =N∑
s=1
Φs ¢ δPs ¸ 0 . (4.43)
Si impongono immediatamente alcune considerazioni.
Nella (4.43) vale il segno di uguaglianza in corrispondenza ad ogni spostamento invertibile.
Infatti, se la (4.43) vale per lo spostamento invertibile (δP1, δP2, ..., δPN ), essa deve valere
anche per il suo opposto, per cui, dovendo essere δρ ¸ 0 e ¡δρ ¸ 0, necessariamente si ha
δρ = 0.
102
La relazione (4.43), e di conseguenza la nozione di vincolo perfetto, costituisce una re-
lazione sintetica dedotta, con metodo induttivo, dall’esame di una vasta gamma di casi
concreti : essa riassume tutte le proprieta delle reazioni vincolari nel caso, sia pure limite,
di assenza di attrito. In altre parole, i vincoli lisci sono anche perfetti. Ricordiamo che i
vincoli lisci piu comuni sono quelli di un punto P a) vincolato ad una curva liscia; b)
vincolato ad una superficie liscia; c) appoggiato ad una superficie liscia.
L’utilita di introdurre la nozione di vincolo perfetto e giustificata dal fatto che ci sono anche
vincoli scabri che sono perfetti. Infatti, il vincolo di puro rotolamento, che puo realizzarsi
solo in presenza di attrito, e un vincolo perfetto.
Rientrano infine tra i vincoli perfetti i vincoli di rigidita e i fili.
Un’importante proprieta, che contraddistingue i vincoli perfetti da quelli che non lo sono,
e la seguente:
Il lavoro reale, sia infinitesimo che finito, della reazione vincolare associata ad un vincolo scleronomo
perfetto e sempre nullo.
103
5. MECCANICA DEL PUNTO
5.1 I problemi della Meccanica
Quali sono i problemi che si possono affrontare con la Meccanica ?
Sia dato un sistema meccanico, ossia sia dato un sistema di punti materiali soggetto
ad un sistema noto di forze attive ed ad un certo numero di vincoli di cui e nota la
natura. Supponiamo poi che in un dato istante siano noti la posizione e lo stato cinetico
del sistema meccanico. Piu precisamente, siano C0 = C(t0) = (q01 , q02 , ..., q
0n) ´ q0 e
C0 = (q01 , q02 , ..., q
0n) ´ q0 la posizione e “la velocita” all’istante t0. Sia poi (As, F s), s =
1, . . . , N , il sistema delle forze attive e (Bs,Φs), s = 1, . . . ,M , il sistema delle reazioni
vincolari che rappresentano l’azione dei vincoli.
La Meccanica si pone innanzitutto il seguente problema: determinare il moto del sistema,
vale a dire determinare n funzioni qk(t) tali che qk(t0) = q0k e qk(t0) = q0k.
Un secondo problema che la Meccanica puo risolvere e quello di determinare le reazioni
vincolari durante il moto. Tale problema puo pero essere risolto in modo univoco solo se il
numero delle reazioni scalari introdotte e il numero minimo necessario per rappresentare
l’azione dei vincoli. In questo caso le reazioni vincolari Φs si determinano in funzione dei
parametri qk(t) e quindi potranno essere note in funzione di t solo dopo che il moto e stato
determinato.
A volte particolari condizioni iniziali possono dar luogo a soluzioni costanti (o staziona-
rie). Cio e possibile quando esistono particolari posizioni nelle quali il sistema meccanico,
postovi in quiete in un dato istante, vi rimane per sempre. Ebbene, la ricerca di siffatte
soluzioni, o per dirla con linguaggio piu appropriato, la ricerca delle configurazioni d’equilibrio,
costituisce un altro problema che la Meccanica insegna ad affrontare e risolvere.
Osserviamo che una configurazione d’equilibrio e rappresentata da una n-pla (q∗1 , q∗2 , ..., q
∗n)
di numeri. C’e dunque una differenza sostanziale tra la determinazione del moto e quella
delle configurazioni d’equilibrio. Nel primo caso si deve determinare una n-pla di funzioni,
nel secondo caso, ammesso che il problema abbia soluzione, una o piu n¡ple di numeri.
Nel primo il problema ammette sempre soluzione e questa e unica; nel secondo caso il
problema puo avere o non avere soluzione, e in caso positivo, le soluzioni possono essere
1,2, ... ,m (anche infinite).
104
Il problema del calcolo delle reazioni vincolari nelle configurazioni d’equilibrio e un problema suc-
cessivo a quello di determinare le suddette configurazioni. Analogamente al caso dinamico,
esso puo essere affrontato e risolto (in modo univoco) solo se le reazioni vincolari non sono
in numero sovrabbondante (piu avanti diremo “solo se il problema e staticamente de-
terminato”). Determinare le reazioni vincolari significa associare ad ogni configurazione
d’equilibrio le rispettive reazioni.
Sottolineiamo il fatto che il problema del moto (o dell’equilibrio) viene sempre prima di
quello delle reazioni (che puo anche non interessare). Vedremo metodi per scrivere le equa-
zioni che governano il moto (o le equazioni per l’equilibrio) che prescindono completamente
dalle reazioni vincolari ed altri che, al contrario, le contemplano.
In ogni caso per determinare il moto di un sistema ad n gradi di liberta dovremo scrivere
un sistema di n equazioni differenziali in cui non compaiono altre incognite se non le qk(t).
Associando a queste equazioni le condizioni iniziali e risolvendo il problema di Cauchy cosı
ottenuto, si determinera il moto.
Per quanto concerne invece il problema dell’equilibrio, esso comporta la scrittura di un
sistema di n equazioni (non piu differenziali !) nelle sole incognite qk. Ciascuna n-pla solu-
zione di questo sistema costituisce una configurazione d’equilibrio per il sistema meccanico
(purche nel dominio di variabilita dei parametri e purche le relative reazioni vincolari siano
compatibili con i vincoli).
Tradizionalmente la Meccanica viene suddivisa in Statica eDinamica, l’una concernente
il problema dell’equilibrio di un sistema meccanico, l’altra concernente il problema del
moto. Un’ipotesi molto importante, da tenere ben presente, che contraddistingue la Statica
dalla Dinamica e la seguente : in statica i vincoli si assumono indipendenti dal tempo e le forze
si assumono posizionali. Cio e giustificato dal fatto che in statica le velocita sono sempre
tutte nulle e dal fatto che si vogliono configurazioni d’equilibrio, e quindi anche reazioni
vincolari, che non dipendano dal tempo.
La premessa appena fatta riguarda la Meccanica di tutti i sistemi. In questo capitolo,
pero, ci occuperemo della Meccanica del punto, vale a dire la Meccanica del piu
semplice sistema meccanico.
105
5.2 La legge di Newton
Lo studio del moto di un punto si basa sulla legge di Newton. Come abbiamo gia visto,
essa postula che, rispetto ad un osservatore inerziale, un punto si muova in modo tale che
la sua accelerazione a e il vettore risultante R di tutte le forze ad esso applicate, siano
legate dalla relazione
ma = R(P, v, t) (5.1)
Ricordiamo che le forze o sono dovute ai corpi (forze newtoniane, elastiche, elettriche,
viscose, convettive, reazioni vincolari) o sono dovute al sistema di riferimento (forze di
trascinamento e forze di Coriolis, che vedremo in seguito). Spesso tornera utile evidenziare
nella (5.1) la distinzione fra il vettore risultante F delle forze attive (noto in funzione di
P, v(P ) e t) ed il vettore risultante Φ delle reazioni vincolari (sempre incognito, totalmente
o parzialmente):
ma(P ) = F (P, v(P ), t) + Φ(P, v(P ), t). (5.2)
L’equazione di Newton non e sufficiente, da sola, a determinare il moto del punto P.
Occorre associarle le condizioni iniziali, vale a dire la posizione e la velocita di P in un dato
istante t0, istante che chiamiamo istante iniziale e che spesso assumeremo uguale a zero
(senza con cio perdere di generalita). Cio porta alla formulazione di un problema di Cauchy
la cui risoluzione permette di determinare il moto di P.
5.3 Moto di un punto libero
Il problema di Cauchy e il seguente:
ma = F (P, v, t)
P (t0) = P0
v(t0) = v0 .
(5.3)
L’Analisi Matematica insegna che, se F e una funzione sufficientemente regolare dei suoi
argomenti, allora il problema di Cauchy ammette soluzione e questa e unica. Di conse-
guenza il moto di P e determinato da questa soluzione.
Assunto P = P (x, y, z), scalarmente l’equazione di Newton equivale ad un sistema di tre
equazioni differenziali del 2 ordine in forma normale (cioe esplicitato rispetto a x, y, z).
Queste equazioni, che chiamiamo equazioni differenziali del moto,
mx = Fx(x, y, z, x, y, z, t),
my = Fy(x, y, z, x, y, z, t),
mz = Fz(x, y, z, x, y, z, t),
(5.4)
106
assieme alle condizioni iniziali
x(t0) = x0, y(t0) = y0, z(t0) = z0, (5.5a)
x(t0) = v0x, y(t0) = v0y, z(t0) = v0z, (5.5b)
forniscono il problema di Cauchy da risolvere per ottenere il moto di P. Risolverlo significa:
a) Determinare l’ integrale generale del sistema di equazioni differenziali (5.4) (coi metodi
dell’Analisi Matematica). Cio porta a determinare tre funzioni
x = x(t, C1, C2, C3, C4, C5, C6),
y = y(t, C1, C2, C3, C4, C5, C6),
z = z(t, C1, C2, C3, C4, C5, C6),
(5.6)
essendo C1, ..., C6 sei costanti arbitrarie. Le 16 funzioni P (t) date dalle (5.6) rappresen-
tano gli 16 moti di P che sarebbero possibili sotto l’azione di un qualunque sistema di
forze avente come vettore risultante F .
b) Determinare le costanti Ci imponendo le condizioni iniziali. A tal fine si deve risolvere
il sistema di sei equazioni nelle sei incognite Ci dato da
x(t0, C1, C2, C3, C4, C5, C6) = x0,
y(t0, C1, C2, C3, C4, C5, C6) = y0,
z(t0, C1, C2, C3, C4, C5, C6) = z0,
x(t0, C1, C2, C3, C4, C5, C6) = v0x,
y(t0, C1, C2, C3, C4, C5, C6) = v0y,
z(t0, C1, C2, C3, C4, C5, C6) = v0z .
(5.7)
Ovviamente, determinate le costanti Ci e sostituite nelle (5.6) si ottengono le tre funzioni
x = x(t), y = y(t) e z = z(t) che rappresentano il moto del punto P.
5.4 Moto di un punto vincolato senza attrito
Esaminiamo ora alcuni possibili casi di punto soggetto a vincolo liscio. Nel caso di punto
vincolato od appoggiato ad una superficie, per semplificare le cose, si considera un piano.
a) Punto vincolato ad un piano liscio Π. In questo caso il problema ha due gradi di liberta:
siano x e y le coordinate del punto P rispetto ad un sistema Oxyz con il piano xy coinci-
dente con Π. Essendo il vincolo liscio, la reazione vincolare e normale al piano e quindi e
107
diretta lungo k, per cui Φ = Φk. Posto F = Fxi+Fyj+Fzk ed a(P ) = xi+ yj, l’equazione
di Newton, proiettata su i, j e k fornisce il seguente sistema di tre equazioni scalari:
mx = Fx(x, y, x, y, t) (5.8a)
my = Fy(x, y, x, y, t) (5.8b)
0 = Fz(x, y, x, y, t) + Φ . (5.9)
Chiaramente le due equazioni (5.8), non contenendo la reazione vincolare Φ, costituiscono
le equazioni differenziali del moto. Abbinando ad esse le condizioni iniziali x0 =x(t0),
y0 = y(t0), x0 = x(t0), y0 = y(t0), si ottiene il problema di Cauchy la cui soluzione fornisce
il moto di P, vale a dire x=x(t), y = y(t).
L’equazione (5.9) fornisce la reazione vincolare Φ. Una volta che il moto di P e stato
determinato, Φ e nota in funzione del tempo.
b) Punto appoggiato ad un piano liscio Π. Le equazioni (5.8) sono ancora le equazioni del
moto, mentre la (5.9) fornisce sempre la reazione vincolare. In questo caso, pero, preso il
versore k orientato nel verso in cui puo avvenire il distacco, si deve aggiungere la condizione
Φ ¸ 0 ,
che deve essere verificata in ogni istante in cui il punto P e appoggiato a Π. Se accade
che Φ(t∗) = 0 e Φ(t)< 0 per t > t∗, cio significa che all’istante t∗ P si stacca da Π. Di
conseguenza, per t > t∗ il problema non e piu lo stesso: ora P e libero !
c) Punto vincolato ad una curva liscia γ. Ora il problema ha un grado di liberta: sia s l’ascissa
curvilinea di P su γ. Considerata la terna di versori t, n e b intrinseca a γ, essendo la
reazione vincolare normale a γ, si ha Φ = Φnn + Φbb. Posto F = Ftt + Fnn + Fbb,
l’equazione di Newton, proiettata su t, n e b fornisce le seguenti tre equazioni scalari:
ms = Ft(s, s, t) (5.10)
ms2
ρc= Fn(s, s, t) + Φn (5.11)
0 = Fb(s, s, t) + Φb . (5.12)
L’equazione (5.10), non contenendo le reazioni vincolari scalari Φn e Φb, costituisce l’equazi-
one differenziale del moto. Associando ad essa le condizioni iniziali s0 = s(t0), v0 = s(t0),
si ottiene il problema di Cauchy la cui soluzione fornisce il moto di P, cioe la legge oraria
s= s(t).
Le equazioni (5.11) e (5.12), nota s(t), forniscono Φ(t).
108
5.5 Equilibrio di un punto libero o vincolato senza attrito
Definizione Si dice che P0 e posizione d’equilibrio per il punto P , se P , posto in quiete
in P0 all’istante t0, vi rimane per ogni t > t0.
Osserviamo subito che dire che P0 e posizione d’equilibrio di P equivale ad affermare che
l’equazione del moto di P ammette la soluzione costante (o stazionaria) P (t) ´ P0.
Chiediamoci ora quanto segue: posto il punto P in una generica posizione P0 con velocita
v0 = 0, cosa fa P ?
Teorema (noto come legge del “moto incipiente”).
Se R(P0)6= 0 il punto si mette in moto nella direzione e verso di R(P0).
Questo teorema, che non dimostriamo, dice che un punto in quiete in un dato istante
si mette in moto concordemente con la forza risultante agente su di esso in quell’istante
(purche non nulla).
Teorema C.N.S. perche P0 sia posizione d’equilibrio per un punto P libero o soggetto a
vincolo liscio e che si abbia
R(P0) = F (P0) + Φ(P0) = 0 . (5.13)
Dimostrazione.
C.N. Sia P0 posizione d’equilibrio per P . Dunque, posto P in P0 con velocita v0 nulla,
vi rimane. Di conseguenza, si ha v(t) ´ 0 per t > t0, e quindi anche a(t) ´ 0. L’equazione
di Newton comporta allora R(P0) = 0, o equivalentemente, F (P0) + Φ(P0) = 0.
C.S. Sia R(P0) = 0. Per sapere se P , posto in P0 all’istante t0 con velocita nulla, vi
rimane, andiamo a studiare il relativo problema di Cauchy. Se esso ammette la soluzione
costante P (t) ´ P0, essendo questa unica in virtu del fatto che il punto e libero oppure
soggetto a vincolo liscio, avremo dimostrato che il punto rimane in P per ogni t > t0.
Il problema di Cauchy (5.3) ora e il seguente:
ma = R(P )
P (t0) = P0
v(t0) = 0.
(5.14)
Chiaramente, essendo R(P0) = 0, P (t) = P0 e soluzione.
Commento: Questo teorema e molto importante in quanto dice che le posizioni d’equilibrio
di un punto P libero o soggetto a vincolo liscio sono date da tutte e sole le soluzioni P0 dell’equazione
F (P ) + Φ(P ) = 0 .
109
5.6 Possibili casi di equilibrio di un punto
L’equazione vettoriale (5.13) e sempre equivalente a tre equazioni scalari in tre incognite
scalari : gli n parametri che determinano la posizione di P , n · 3, e le (3¡n) componenti
della reazione vincolare. Esaminiamo il problema dell’equilibrio di un punto in alcuni casi
specifici, gia studiati, per quanto concerne il moto, nei paragrafi (5.3) e (5.4). Teniamo
presente che ora, dovendoci occupare d’equilibrio, le forze sono posizionali.
a) Punto libero. In questo caso l’equazione (5.13) proiettata sugli assi fornisce il seguente
sistema di tre equazioni scalari nelle incognite x, y e z :
Fx(x, y, z) = 0
Fy(x, y, z) = 0
Fz(x, y, z) = 0.
(5.15)
Tutte e sole le soluzioni (x∗, y∗, z∗) di questo sistema costituiscono le posizioni d’equilibrio
del punto P .
Se il punto non e libero, ma e soggetto a vincoli unilaterali (per esempio un punto in una
stanza), allora sono posizioni d’equilibrio solo le soluzioni che appartengono al dominio
di variabilita delle coordinate. Naturalmente, ad esse vanno poi aggiunte eventuali altre
posizioni d’equilibrio di confine.
b) Punto vincolato ad un piano liscio. L’equazione (5.13) proiettata sui versori i, j e k
fornisce il seguente sistema di tre equazioni scalari nelle incognite x, y e Φ:
Fx(x, y) = 0
Fy(x, y) = 0
Fz(x, y) + Φ = 0 .
(5.16)
Chiaramente, mentre le prime due equazioni forniscono le posizioni d’equilibrio (x∗, y∗), la
terza equazione fornisce la reazione vincolare Φ. Sottolineiamo il fatto che Φ va calcolata
in ciascuna posizione d’equilibrio (ovviamente dopo che queste sono state determinate).
c) Punto appoggiato ad un piano liscio. Il sistema che fornisce l’equilibrio del punto e
ancora (5.16), pero con l’aggiunta della condizione Φ ¸ 0, condizione che assicura che il
punto non sia distaccato dal piano. Cio implica che fra tutte le soluzioni (x∗, y∗) del sistema
costituito dalle prime due equazioni di (5.16), soltanto quelle per le quali Fz(x∗, y∗) · 0
rappresentano posizioni d’equilibrio. Se fosse Fz(x∗, y∗) > 0 il punto si solleverebbe dal
piano.
110
d) Punto vincolato ad una curva liscia. L’equazione (5.13) proiettata sui versori della
terna intrinseca t, n e b da le tre seguenti equazioni scalari nelle incognite s, Φn e Φb :
Ft(s) = 0
Fn(s) + Φn = 0
Fb(s) + Φb = 0
La prima equazione fornisce le posizioni d’equilibrio s∗, la seconda e la terza equazione
forniscono la reazione vincolare Φ in corrispondenza di ogni posizione d’equilibrio.
e) Punto fisso. In questo caso non ci sono posizioni d’equilibrio da calcolare. L’equazione
(5.13) permette tuttavia il calcolo della reazione vincolare. Se il punto e fissato in P0 di
coordinate (x0, y0, z0), posto Φ = Φxi+Φyj +Φzk, si ha il sistema
Fx(x0, y0, z0) + Φx = 0
Fy(x0, y0, z0) + Φy = 0
Fz(x0, y0, z0) + Φz = 0,
di immediata soluzione rispetto alle incognite Φx, Φy e Φz.
5.7 Punto vincolato con attrito: relazioni di Coulomb
Consideriamo un punto soggetto ad un vincolo con attrito. Ora, differentemente dal caso di
vincolo liscio, la reazione vincolare Φ ha anche una componente tangente al vincolo. Il
vettore Φ puo dunque scriversi come Φ = Φt + Φn, cioe come somma di due componenti
l’una tangente al vincolo e l’altra normale. L’esperienza ha portato Coulomb a formulare
due relazioni, una valida in statica, l’altra in dinamica, che legano Φt a Φn.
Relazione statica:
jΦtj · fsjΦnj (5.17)
Relazione dinamica:
Φt = ¡fdjΦnjv
jvj(se v 6= 0) (5.18)
I coefficienti fs e fd, che sono detti coefficienti d’attrito statico e d’attrito dinamico, sono legati
dalla relazione fd · fs e dipendono dalla natura del punto materiale e del vincolo.
Le relazioni (5.17) e (5.18) vanno aggiunte rispettivamente all’equazione dell’equilibrio (5.13) o
all’equazione di Newton a seconda che si voglia determinare l’equilibrio o il moto del punto. Os-
serviamo che mentre la relazione statica fornisce semplicemente una disuguaglianza fra i
111
moduli delle due componenti, la relazione dinamica non solo lega il modulo di Φt a quello
di Φn, ma ne fornisce la direzione (quella della velocita) ed il verso (opposto a quello in
cui il punto si muove). La diseguaglianza (5.17) porta, in generale, ad infinite posizioni
d’equilibrio. Fra queste ci sono ovviamente quelle che si avrebbero se il vincolo fosse liscio.
5.8 Oscillazioni libere
Uno tra i comportamenti temporali piu significativi che un sistema fisico puo esibire e
quello che comporta delle oscillazioni. Questo fenomeno puo nascere sotto forma di vi-
brazioni meccaniche, fluttuazioni di carica elettrica sulle armature di un condensatore in
un circuito elettrico, il moto in cima ad una colonna di fluido nel tubo di un manometro,
ed in molti altri modi. Tuttavia, per rimanere in argomento con la dinamica del punto,
consideriamo un punto materiale (P,m) vincolato a muoversi su una retta liscia, che as-
sumiamo come asse Ox. In ogni caso il punto e soggetto ad una forza elastica (P,¡k2xi).
Puo poi essere soggetto anche ad una forza viscosa (P,¡2mpxi), con p > 0, e ad una forza
periodica di tipo sinusoidale (P,N cos(Ωt+ α)) i. A delle forze agenti su P , si parla di
a) oscillazioni libere non smorzate, se su P agisce solo la forza elastica;
b) oscillazioni libere smorzate, se su P agiscono la forza elastica e la forza viscosa;
c) oscillazioni forzate non smorzate, se su P agiscono la forza elastica e la forza periodica;
d) oscillazioni forzate smorzate, se su P agiscono tutte tre le forze.
Esaminiamo da vicino i due casi di oscillazioni libere.
Oscillazioni libere non smorzate
L’equazione del moto di P e la seguente:
mx = ¡k2x .
Posto ω2=k2
m, questa equazione differenziale del 2 ordine, lineare, omogenea, a coefficienti
costanti, si puo riscrivere nella forma
x+ ω2x = 0 . (5.19)
Abbiamo cosı ritrovato l’equazione differenziale (3.18) che, come gia sappiamo, e carat-
teristica dei moti oscillatori armonici. L’Analisi Matematica insegna che il suo integrale
generale e dato da
x(t) = C cos(ωt+ γ) , (5.20)
che rappresenta appunto un moto oscillatorio armonico di ampiezza C e di fase iniziale γ.
Le costanti C e γ si determinano imponendo le condizioni iniziali x0 = x(0) e v0 = x(0),
112
il che porta al sistema seguente:
x0 = C cos γ
v0 = ¡ω C sin γ .
Risolvendolo si ottiene
C =
√x20 +
v20ω2
, γ =
arctan(¡
v0ω x0
)se x0 > 0
arctan(¡
v0ω x0
)+ π se x0 < 0
¡π
2se x0 = 0 e v0 > 0
+π
2se x0 = 0 e v0 < 0 .
(5.21)
Oscillazioni libere smorzate.
In questo caso, l’equazione di Newton per il punto P , proiettata sull’asse x, fornisce
l’equazione scalare
mx = ¡k2x¡ 2mpx . (5.22)
Posto, come prima, ω2=k2
m, questa equazione differenziale, anch’essa del 2 ordine, lineare,
omogenea, a coefficienti costanti, si puo riscrivere nella forma
x+ 2px+ ω2x = 0 . (5.23)
Il suo integrale generale puo assumere tre diverse forme a seconda del segno del discrimi-
nante ∆ = p2 ¡ ω2 dell’equazione caratteristica associata:
λ2 + 2pλ+ ω2 = 0 . (5.24)
Distinguiamo dunque i tre casi, e per ciascuno di essi diamo l’integrale generale e i valori
delle costanti C e γ in funzione delle condizioni iniziali.
a) Caso p2 > ω2. Le radici λ1 = ¡p ¡√
p2 ¡ ω2 e λ2 = ¡p +√
p2 ¡ ω2 di (5.23) sono
reali ed entrambe negative. Di conseguenza, posto β1 = ¡λ1 e β2 = ¡λ2 si ha
x(t) = C1e−β1t +C2e
−β2t , (5.25)
che rappresenta l’equazione oraria di un moto aperiodico smorzato. Le costanti C1 e C2
si determinano risolvendo il sistema
C1 + C2 = x0
¡β1C1 ¡ β2C2 = v0 ,
113
che fornisce
C1 =β2x0 + v0β2 ¡ β1
, C2 =β1x0 + v0β1 ¡ β2
.
b) Caso p2 = ω2. Le radici di (5.24) sono λ1 = λ2 = ¡p, per cui
x(t) =(C1 + C2t
)e−pt , (5.26)
che rappresenta l’equazione di un moto aperiodico con smorzamento critico. Imponendo
le condizioni iniziali si ottiene immediatamente
C1 = x0 , C2 = px0 + v0 .
c) Caso p2 < ω2. Le radici di (5.24) sono complesse coniugate e valgono λ1 = ¡p¡iq, λ2 =
¡p+ iq, con q =√
ω2 ¡ p2. Cio porta all’integrale generale seguente :
x(t) = Ce−pt cos(qt+ γ) , (5.27)
che costituisce l’equazione di un moto oscillatorio smorzato. Le costanti C e γ sono le
soluzioni del sistema C cos γ = x0
¡pC cos γ ¡ qC sin γ = v0 ,
da cui, se x0 > 0,
C =
√x20 +
(v0 + px0q
)2, γ = arctan
(¡
v0 + px0qx0
).
Osservazioni :
— Nei casi a) e b) l’uso del termine “oscillazioni” per descrivere i moti associati alle soluzioni
dell’equazione (5.23) e improprio in quanto il moto non e oscillatorio.
— Caratteristica comune delle oscillazioni libere smorzate e il fatto che asintoticamente
esse tendono a “smorzarsi”, vale a dire
limt→∞ x(t) = 0.
— Un punto materiale che si muove su una retta liscia sotto la sola azione di una forza
elastica e spesso detto oscillatore armonico. Un oscillatore armonico ha la notevole
proprieta di esibire solo moti periodici aventi tutti lo stesso periodo indipendentemente
dalla loro ampiezza (proprieta dell’isocronismo, caratteristica delle piccole oscillazioni del
pendolo semplice, che vedremo piu innanzi).
— Se il punto e soggetto anche ad una forza viscosa, allora si parla di oscillatore armonico
smorzato.
114
5.9 Quantita di moto ed energia cinetica di un punto
Definizione Si definisce quantita di moto del punto materiale (P,m) rispetto ad un dato
sistema di riferimento il vettore
Q = mv .
Nell’ipotesi di massa costante, siccome ma =d(mv)
dt=
dQ
dt, l’equazione di Newton puo
essere cosı riscritta:dQ
dt= F +Φ. (5.28)
Questa equazione, a cui ci si riferisce come all’equazione della quantita di moto, vale pero
anche nel caso di massa variabile. Concettualmente essa e molto diversa dalla legge di
Newton: infatti, mentre quest’ultima esprime il legame tra forze e variazione istantanea
di velocita, la (5.28) lega le forze alla variazione istantanea della quantita di moto. Molti
autori interpretano la legge di Newton come caso particolare dell’equazione della quantita
di moto, ma qui si preferisce non entrare in disquisizioni circa quale delle due venga prima.
Definizione Si definisce energia cinetica di un punto materiale (P,m) rispetto ad un dato
sistema di riferimento Oxyz la grandezza scalare
T =1
2mv2 =
1
2ms2 . (5.29)
Ovviamente v e la velocita di P rispetto all’osservatore Oxyz.
L’energia cinetica T , che non e mai negativa, puo essere scritta immediatamente anche
usando le coordinate cartesiane:
T =1
2m(x2 + y2 + z2) .
5.10 Teoremi delle forze vive e di conservazione dell’energia
Teorema delle forze vive (o dell’energia cinetica): Il lavoro infinitesimo (o finito) compiuto
da tutte le forze applicate ad un punto e uguale alla variazione infinitesima (o finita) di
energia cinetica.
Sia dL ´ dL+ dρ il lavoro infinitesimo di tutte le forze applicate al punto, sia attive che
vincolari. Dimostriamo che
dL = dT . (5.30)Si ha infatti
dL = F ¢ dP +Φ ¢ dP = R ¢ dP = ma ¢ dP = mdv
dt¢ v dt = m
(dv
dt¢ v)dt =
= md
dt
(v2
2
)dt =
d(12mv2
)
dtdt = d
(12mv2
)= dT .
115
Consideriamo ora uno spostamento di P finito relativo ad un intervallo di tempo (t0, t). Il
lavoro finito L si ottiene integrando la (5.30) sull’intervallo suddetto. Si ha quindi
L = (γ)
∫ P (t)
P (t0)
dL =
∫ t
t0
dT ,
ossia, essendo dT il differenziale della funzione T (t), posto T =T (t) e T0 =T (t0),
L = T ¡ T0 , (5.31)
col che il teorema e dimostrato.
Definizione Si chiama energia potenziale di un punto materiale soggetto ad una forza
attiva (risultante) conservativa la funzione
V (x, y, z) = ¡U(x, y, z) .
Definizione Si chiama energia meccanica totale di un punto materiale soggetto ad una forza
attiva (risultante) conservativa la somma dell’energia cinetica T e dell’energia potenziale
V .
Vale il seguente importantissimo
Teorema di conservazione dell’energia L’energia meccanica totale di un punto materiale
libero, oppure vincolato con vincolo scleronomo liscio, soggetto ad una forza attiva (risul-
tante) conservativa, rimane costante durante il moto, ossia
T ¡ U = T + V = E . (5.32)
Dimostrazione. Sia U(P ) il potenziale delle forze applicate al punto P . Osserviamo che
dL = R ¢ dP = F ¢ dP +Φ ¢ dP = dL+ dρ = dL ,
in quanto il lavoro dρ della reazione vincolare, se c’e, e nullo (come si e visto alla fine
del precedente capitolo nel caso di vincoli scleronomi perfetti). In virtu della (5.30) si ha
quindi dL = dT e, grazie al fatto che la forza attiva applicata a P e conservativa, si ha
anche dL = dU . Ne consegue percio
dT = dU , ossia d(T ¡ U) = 0 ,
e quindi, integrando, T ¡ U = cost = E .
La costante E e determinata dalle condizioni iniziali:
E = T0 ¡ U0 , T0 =1
2mv20 , U0 = U(P0) . (5.33)
Osservato che questo teorema giustifica il nome di forze “conservative”, sottolineiamo il
fatto che la relazione (5.32), poiche esprime un legame fra le funzioni x(t), y(t), z(t) e le
116
loro derivate x(t), y(t), z(t), costituisce un’equazione differenziale del I ordine. Avendo le
stesse incognite di una equazione del moto, se ci fara comodo, potremo utilizzarla al posto
di una delle equazioni del moto. Ritorneremo sull’argomento un po’ piu avanti quando si
parlera degli integrali primi.
Se alcune delle forze applicate al punto fanno si che la forza risultante non sia conservativa,
allora indicando con Lr il lavoro finito compiuto da tali forze, si ha
(T + V )¡ (T0 + V0) = Lr . (5.34)
Se Lr < 0, le forze si ”oppongono” al moto e per questo sono dette resistenti. Pertanto, in
questo caso, la (5.34) equivale ad affermare che se un punto e soggetto a forze resistenti,
durante il moto la sua energia meccanica totale diminuisce di una quantita uguale a quella
dissipata da tali forze.
5.11 Momento della quantita di moto di un punto
Definizione Si chiama momento della quantita di moto (o momento angolare) di un punto P
di massa m rispetto al polo O1 (e ad un dato osservatore Oxyz) il vettore
K(O1) = mv £ (O1 ¡ P ) , (5.35)
essendo v la velocita di P rispetto ad Oxyz.
Se O1 ´ O la forma cartesiana di K(O) e la seguente:
K(O) = m(xi+ yj + zk)£ (¡xi¡ yj ¡ zk) =
= m(yz ¡ yz)i+m(zx¡ zx)j +m(xy ¡ xy)k . (5.36)
Vale il seguente
Teorema Se il polo O1 e fisso rispetto ad Oxyz, si ha
dK(O1)
dt= Ω(O1) + Ψ(O1) , (5.37)
con Ω(O1) e Ψ(O1) momento risultante rispetto ad O1 rispettivamente delle forze attive
e delle reazioni vincolari agenti su P .
Dimostrazione :
dK(O1)
dt=
d
dt
(mv £ (O1 ¡ P )
)= ma£ (O1 ¡ P ) +mv £
(dO1dt
¡dP
dt
),
e ricordando la legge di Newton, ed essendo O1 fisso e v ´ dPdt,
dK(O1)
dt= (F +Φ)£ (O1 ¡ P ) = Ω(O1) + Ψ(O1) .
117
5.12 Integrali primi del moto di un punto
Definizione Si definisce integrale primo del moto del punto P una funzione ϕ delle sue
coordinate x, y, z, delle componenti x, y, z della sua velocita, e del tempo t, che rimane
costante durante il moto. In altre parole, in ogni istante t si ha
ϕ[x(t), y(t), z(t), x(t), y(t), z(t), t
]= C , (5.38)
dove C e una costante, x(t), y(t), z(t) sono le leggi del moto di P e x(t), y(t), z(t) le
corrispondenti derivate. La costante C si determina attraverso le condizioni iniziali.
Un integrale primo del moto e a tutti gli effetti equivalente ad una equazione del moto,
col vantaggio di essere un’equazione differenziale del I ordine anziche del II. Per questa
ragione gli integrali primi, quando esistono, possono tornare molto utili ai fini dello studio
del moto.
Vediamo due esempi significativi di integrali primi collegati con le nozioni di energia totale,
di quantita di moto e momento della quantita di moto introdotte in precedenza.
a) Integrale primo dell’energia. La relazione (5.32), che esprime la conservazione dell’e-
nergia totale per un punto, fornisce l’integrale primo
1
2m(x2 + y2 + z2) + V (x, y, z) = E .
b) Integrali primi assiali. Si ottengono dall’equazione della quantita di moto (5.20) quando
il vettore risultante di tutte le forze applicate al punto ha componente sempre nulla lungo
uno degli assi. Per esempio,
(F +Φ) ¢ i = 0 )dQ
dt¢ i = 0 )
dQxdt
= 0 ,
per cui
Qx = Cx , vale a dire mx = Cx = mv0x .
In questo caso si puo parlare di conservazione della quantita di moto lungo l’asse x.
Analogamente Q puo conservarsi lungo gli assi y oppure z. In tali casi si avrebbe
my = Cy = mv0y oppure mz = Cz = mv0z .
118
5.13 Pendolo semplice
Definizione Si chiama pendolo semplice o ideale o matematico un punto materiale, soggetto
solo al peso, vincolato senza attrito ad una circonferenza non orizzontale.
Indicato con π il piano della circonferenza e con α l’angolo che π forma col piano oriz-
zontale, assumiamo come sistema di riferimento il sistema Cxyz, con C centro della cir-
conferenza, Ck normale a π ed orientato verso l’alto, Ci e Cj paralleli alle rette di π
rispettivamente orizzontali e con la massima pendenza (anche j orientato verso l’alto).
Assumiamo poi come parametro l’angolo θ = OCP , levogiro rispetto a k (O punto piu
basso della circonferenza).
Volendo scrivere l’equazione di Newton ma = mg+Φ rispetto alla terna intrinseca t, n, b,
b ´ k, scriviamo il peso prima rispetto a Cxyz e poi rispetto alla terna intrinseca.
mg = ¡mg sinα j ¡mg cosα k = ¡mg sinα sin θt¡mg sinα cos θn¡mg cosα k .
Pertanto, indicato con ℓ il raggio della circonferenza e tenuto conto che Φ e normale al
vincolo, l’equazione di Newton, proiettata su t, n e k, fornisce le tre equazioni scalari
seguenti:
mℓ θ = ¡mg sinα sin θ (5.39)
mℓ θ2 = ¡mg sinα cos θ +Φn .
0 = ¡mg cosα+Φb
L’equazione (5.39) costituisce l’equazione del moto. Associandole le condizioni iniziali si
ottiene il problema di Cauchy relativo al moto del pendolo semplice:
θ + ω2 sin θ = 0
θ(0) = θ0
θ(0) = θ0 ,
(5.40)
119
dove si e posto
ω2 =g sinα
ℓ. (5.41)
Osservazione: 0 < α · π2 . Se fosse α = 0, la circonferenza sarebbe orizzontale ed il moto
sarebbe uniforme (θ = costante), per cui non avremmo piu un “pendolo”.
Lo studio delle soluzioni del problema di Cauchy (5.40) risulta alquanto complicato in
quanto esse non sono esprimibili in termini di funzioni elementari. Per via analitica sono
facilmente studiabili solo dei particolari moti approssimati detti piccole oscillazioni, ossia
dei moti tali che il punto si mantenga sempre cosı vicino alla posizione θ =0 per cui siano
lecite le approssimazioni
sin θ ' θ , cos θ ' 1 . (5.42)
Osserviamo che la posizione θ =0 non e una posizione qualunque, ma rappresenta una
delle due posizioni d’equilibrio del pendolo. Infatti, l’equazione che fornisce le posizioni
d’equilibrio, che si ottiene semplicemente uguagliando a zero il secondo membro di (5.39),
e data da
¡mg sinα sin θ = 0 ,
da cui le due posizioni d’equilibrio θ1 =0 e θ2 = π. Ma non e tutto: θ1 e posizione d’e-
quilibrio stabile, mentre θ2 e posizione d’equilibrio instabile. Piu innanzi si vedra cosa
questo significhi da un punto di vista matematico. Fisicamente, nel caso di una posizione
d’equilibrio stabile le forze tendono a far rimanere il punto in un intorno di tale posizione,
mentre nel caso di una instabile le forze tendono ad allontanarlo.
Dunque, nell’ipotesi di piccole oscillazioni attorno alla posizione di equilibrio stabile θ = 0,
l’equazione del moto, “linearizzata” apportando la prima delle approssimazioni (5.42),
diventa
θ + ω2θ = 0 ,
il cui integrale generale e dato, come abbiamo visto nel x5.8, da
θ(t) = C cos(ωt+ γ) .
Le costanti C (ampiezza) e γ (fase iniziale), determinate imponendo le condizioni iniziali,
sono date, come abbiamo visto, dalle (5.21) (ovviamente con θ0 e θ0 al posto rispettiva-
mente di x0 e v0).
Abbiamo dunque trovato che il punto, spostato di “poco” dalla posizione di equilibrio
stabile θ =0 e con una velocita “sufficientemente piccola”, descrive delle oscillazioni perio-
diche di ampiezza C intorno a tale posizione. Il periodo di queste oscillazioni, ricordando
120
la posizione (5.41), vale
T =2π
ω= 2π
√ℓ
g sinα. (5.43)
Osserviamo che T non dipende dall’ampiezza C. Questo fatto, che si esprime dicendo che
le piccole oscillazioni del pendolo sono isocrone, fu osservato per la prima volta da Galileo
ed e noto come legge dell’isocronismo del pendolo.
I moti generici del pendolo semplice possono essere studiati qualitativamente mediante il
teorema di Weierstrass, che in questo corso non trattiamo. Ci limitiamo solo a riportare i
risultati di un tale studio.
Il tipo di moto del pendolo semplice dipende dalle condizioni iniziali. Piu precisamente,
dipende dal valore E dell’energia meccanica totale e dal suo rapporto con il valore massimo
Vmax dell’energia potenziale. Prescindendo dai possibili casi di quiete, si hanno i tre casi
seguenti:
a) E > Vmax : il punto si muove sulla circonferenza sempre nello stesso verso con velocita
che non si annulla mai. Per questa ragione spesso si parla di moto rivolutivo.
b) E = Vmax : il moto e asintotico verso la posizione (d’equilibrio instabile) θ = π.
c) E < Vmax : il moto e periodico.
Si puo dimostrare che il potenziale del pendolo semplice vale
U(θ) = ¡mgl sinα(1¡ cos θ) (5.44)
dove la costante arbitraria U∗ e stata posta uguale a ¡mgl sinα in modo che U(0) = 0.
Da (5.44) e facile verificare che Vmax = ¡U(π) = 2mgl sinα.
5.14 Moto ed equilibrio relativo
Ci occupiamo ora di un argomento estremamente importante della Meccanica, argomento
che va sotto il nome di Meccanica relativa del punto.
Il problema da risolvere e il seguente: determinare il moto di un punto materiale (P,m)
rispetto ad un osservatore O1x1y1z1, in moto rispetto ad un osservatore fisso Oxyz, noto
il moto di O1x1y1z1 rispetto ad Oxyz, nota la forza attiva agente su P rispetto ad Oxyz, e
note le condizioni iniziali di P rispetto ad uno dei due osservatori. Nel seguito ci riferiremo
a un problema di questo tipo come ad un problema di moto relativo del punto P .
121
Si puo dimostrare (cosa che omettiamo) il seguente:
Teorema La legge di Newton vale qualunque sia l’osservatore.
Come si ricordera, la validita della legge di Newton e stata postulata per i sistemi di
riferimento inerziali. Questo teorema estende la sua validita a tutti i sistemi di riferimento.
Ne consegue che se O1x1y1z1 e un riferimento non inerziale, potremo sempre scrivere
ma1 = R1 , (5.45)
con R1, vettore risultante di tutte le forze agenti su P rispetto ad (O1), che e conveniente
scrivere come
R1 = F 1 +Φ1 ,
separando cosı le forze attive e le reazioni vincolari. Ora, mentre e chiaro che Φ1 = Φ
in quanto le reazioni vincolari sono forze dovute a corpi e quindi assolute, non sappiamo
quanto vale il vettore risultante F 1 delle forze attive agenti su P rispetto ad (O1). Ma
F 1 e facilmente deducibile. Infatti, scritta l’equazione di Newton rispetto all’osservatore
assoluto,
ma = F +Φ ,
sfruttando il teorema di composizione delle accelerazioni, vi sostituiamo a con a1+aτ+ac.
Otteniamo cosı l’equazione
m(a1 + aτ + ac) = F +Φ ,
ossia,
ma1 = F ¡maτ ¡mac +Φ . (5.46)
Confrontando ora con
ma1 = F 1 +Φ1 ,
e tenendo conto che Φ = Φ1, si ha
F 1 = F ¡maτ ¡mac . (5.47)
Ebbene, posto F τ = ¡maτ e F c = ¡mac, le forze (P,F τ ) e (P,F c) si chiamano rispe-
tivamente forza di trascinamento e forza di Coriolis. Si puo dunque affermare che
la forza attiva risultante rispetto al sistema (O1) vale la forza attiva risultante rispetto al
sistema (O) piu le forze di trascinamento e di Coriolis dovute al moto di (O1) rispetto ad
(O).
122
Il concetto di forza da noi adottato e un concetto “relativo”: la forza agente su
di un punto materiale dipende dall’osservatore. Esiste pero anche una concezione
“assoluta”, meno moderna (anche se adottata ancor oggi da molti autori di testi
di Meccanica), secondo la quale le forze sono dovute solo a corpi e sono caratte-
rizzate dal fatto di tendere a zero quando le reciproche distanze dei corpi tendono
all’infinito. In base a questa seconda concezione, poiche l’accelerazione a(P ) varia
con l’osservatore mentre F non cambia, la legge di Newton vale solo rispetto ad
un osservatore inerziale. Per studiare il moto rispetto ad un osservatore non iner-
ziale occorre ancora scrivere l’equazione (5.46), ma questa non e piu l’equazione
di Newton. I termini ¡maτ e ¡mac, di cui bisogna sempre tenere conto, non
sono piu dovuti a forze vere ma a forze fittizie, variabili con l’osservatore. Dunque,
nelle due concezioni cambia l’interpretazione dei simboli, ma le formule rimangono
inalterate.
Osserviamo che se l’osservatore fisso (O) e un osservatore inerziale, allora il vettore F nella
(5.47) e dovuto a tutte e sole le forze dovute a corpi, che sono le stesse per qualunque
osservatore. Se invece (O) e un osservatore non inerziale, F e il risultante, oltre che delle
forze dovute a corpi, anche di quelle di trascinamento e di Coriolis dovute al moto di
(O) rispetto ad un osservatore inerziale. Dunque, e sempre conveniente assumere come
osservatore fisso un osservatore inerziale.
Ci si puo porre anche il problema dell’equilibrio relativo di P . Ovviamente in questo
caso il problema deve essere affrontato direttamente, imponendo che valga la condizione
necessaria e sufficiente
R1 = F 1 +Φ1 = 0 .
In virtu della (5.47) e tenendo conto che P in equilibrio rispetto ad (O1) significa v1 = 0,
e quindi ac = 2ω £ v1 = 0, e di conseguenza anche F c = 0, l’equazione dell’equilibrio
relativo e la seguente:
F +Φ¡maτ = 0 . (5.48)
Una considerazione importante e la seguente. Si supponga di dover determinare il moto
(o l’equilibrio) di un punto P (soggetto ad un dato sistema di forze attive dovute a corpi)
rispetto ad un assegnato sistema di riferimento (O) non inerziale. Ebbene, si tratta di un
problema di dinamica (o statica) relativa. Infatti, per ottenere il risultante F 1 delle forze
attive agenti su P rispetto ad (O), occorre considerare anche le forze di trascinamento e
di Coriolis dovute al moto di (O) rispetto ad un osservatore inerziale.
123
Il caso piu semplice, ma nondimeno significativo, di moto relativo si ha quando il sistema
relativo (O1) trasla.
In questo caso la forza di trascinamento agente sul punto materiale (P,m) ha vettore
F τ = ¡md2O1dt2
,
mentre la forza di Coriolis, essendo ω =0, e nulla.
Se si considera un sistema di N punti materiali (Ps,ms), allora le forze di trascinamento
costituiscono un sistema di forze parallele concordi (Ps,¡msa(O1)), e quindi con centro. E
facile verificare che tale centro coincide col baricentro. Di conseguenza, postoM =∑sms,
vale il seguente
Teorema Il sistema delle forze di trascinamento agenti su un sistema di punti rispetto ad
un riferimento (O1) traslante e equivalente ad un’unica forza di vettore F τ = ¡Ma(O1),
con asse centrale parallelo ad a(O1) e passante per G.
5.15 Forza centrifuga
Consideriamo ora la forza di trascinamento agente su di un punto P : (P,F τ = ¡maτ ).
Indichiamo con γτ la curva di trascinamento descritta da P , cioe la curva percorsa da P
pensato solidale con (O1). Indichiamo poi con sτ , ρcτ , tτ e nτ l’ascissa curvilinea, il raggio
di curvatura, il versore tangente e il versore normale associati alla posizione di P su γτ .
Possiamo quindi scrivere
F τ = ¡m(sτ tτ +
s2τρcτ
nτ
)= ¡msτ tτ ¡m
s2τρcτ
nτ .
La componente
F τc = ¡ms2τρcτ
nτ , (5.49)
si chiama forza centrifuga agente su P .
Caso particolare significativo. Consideriamo il caso in cui il sistema (O1) si muove rispetto
ad (O) di moto rotatorio attorno ad un asse fisso (A, a) con velocita angolare ω = ωa.
In tal caso la curva di trascinamento di un punto
P e una circonferenza di centro la sua proiezione
P0 sull’asse. Di conseguenza la componente nor-
male dell’accelerazione aτ vale ω2(P0¡P ), da cui
(5.50) F τc = mω2(P ¡ P0) .
124
Un esempio di forza centrifuga, e piu in generale, di problema di equilibrio relativo, e
gia stato visto quando si e definita la forza peso agente su un punto nel x4.19. Il peso
di un punto materiale, infatti, e la forza F 1 = F ¡ maτ che deve essere compensata
perche P sia in equilibrio rispetto ad un riferimento solidale con la terra. F e la forza
assoluta, cioe dovuta a corpi, e quindi e la risultante delle forze d’attrazione Newtoniana,
che approssimiamo considerando solo l’attrazione della terra. La forza di trascinamento
¡maτ , dovuta al moto della terra rispetto ad un sistema stellare (riferimento inerziale), e
invece approssimata dalla forza centrifuga agente su P per effetto della rotazione uniforme
della terra attorno al proprio asse, ed ha quindi l’espressione (5.50) con ω =2π
1gvelocita
angolare della terra.
Osservazione. L’unico caso in cui la forza centrifuga e nulla si ha quando il sistema (O1)
trasla di moto rettilineo.
125
6. MECCANICA DEI SISTEMI
In questo ultimo e fondamentale capitolo tratteremo la Meccanica dei sistemi.
A tal fine supporremo che il sistema meccanico considerato sia costituito dai punti
Ps, s = 1, ..., N , e che su di esso agiscano i sistemi delle forze attive (Ps, F s),
con vettori caratteristici F e Ω(O) e delle reazioni vincolari (Ps,Φs), con vettori
caratteristici Φ e Ψ(O).
Se poi si vorra distinguere tra forze interne ed esterne, allora rappresenteremo le
forze attive esterne con (Ps, F es) e quelle interne con (Ps, F is), le reazioni vincolari
esterne con (Ps,Φes) e quelle interne con (Ps,Φis). I loro vettori risultanti saranno
indicati con F e, F i, Φe e Φi e i momenti risultanti con Ωe(O), Ωi(O), Ψe(O) e
Ψi(O), senza specificarne il polo quando non necessario.
Occorre pero avere ben presente che, essendo i sistemi delle forze attive e delle
reazioni vincolari interne equivalenti al sistema nullo, si ha
F = F e + F i = F e , Ω(O) = Ωe(O) + Ωi(O) = Ωe(O) ,
Φ = Φe +Φi = Φe , Ψ(O) = Ψe(O) + Ψi(O) = Ψe(O) .
6.1 Equilibrio di un sistema meccanico
Tra i possibili moti di un sistema meccanico ci puo anche essere ”l’equilibrio”, che ha
luogo quando il sistema rimane sempre fermo nella stessa configurazione C0 = q0. In
questo caso i parametri lagrangiani qi(t) si mantengono costanti (ovviamente qi(t) = q0i ),
e rappresentano una soluzione stazionaria delle equazioni differenziali del moto del sistema
(di cui parleremo piu innanzi).
Estendendo la definizione gia data per un punto (vedi x5.5), diamo la seguente
Definizione Dato un sistema meccanico qualunque, una configurazione C0 si dice d’equilibrio
per il sistema se esso, posto in quiete in C0 all’istante t0, vi rimane anche per ogni t > t0.
Spesso, anziche dire che il sistema e in quiete nella configurazione d’equilibrio C0, si dice
che esso e in equilibrio in C0.
Andiamo ora ad occuparci dei metodi che permettono di determinare le configurazioni
d’equilibrio dei sistemi meccanici e, se interessano, le relative reazioni vincolari. In altre
126
parole, andiamo a trattare il capitolo della Meccanica che tradizionalmente va sotto il nome
di STATICA. I metodi che vedremo sono due: il metodo dei lavori virtuali e il metodo
delle equazioni cardinali. Nel caso di sistemi conservativi vedremo anche un terzo metodo,
il metodo del potenziale, molto pratico, ma utile solo per il calcolo delle configurazioni
d’equilibrio.
Nota bene: essendo in Statica, come supposto alla fine del x5.1, le forze sono assunte posi-
zionali.
6.2 Principio dei lavori virtuali
Vale il seguente importantissimo Principio dei lavori virtuali:
C.N.S. perche una configurazione C0 sia d’equilibrio per un sistema meccanico a vincoli
perfetti e che il lavoro virtuale delle forze attive sia negativo o nullo per ogni spostamento
virtuale del sistema a partire da C0, ossia
δL =
N∑
s=1
F s ¢ δPs · 0 , 8δC . (6.1)
Mentre la condizione necessaria puo facilmente essere dimostrata, la condizione sufficiente
e postulata. Dimostriamo dunque la necessaria.
Sia C0 = q0 ´ (q01 , q02 , ..., q
0n) una configurazione d’equilibrio del sistema. Cio significa che,
posto il sistema in quiete in C0 all’istante t0, vi rimane anche per t > t0. Di conseguenza
ciascun punto materiale Ps del sistema e in equilibrio per t ¸ t0, e quindi il sistema di
forze agenti su Ps e equivalente al sistema nullo. Si ha cioe
F s +Φs = 0 , s = 1, ..., N . (6.2)
Se si considera uno spostamento virtuale del sistema δC ´ (δP1, δP2, ..., δPN ), moltipli-
cando scalarmente (6.2) per δPs e sommando rispetto ad s, si ottiene
∑
s
(F s +Φs
)¢ δPs = 0 .
Ma in virtu dell’ipotesi di vincolo perfetto vale la (4.43), ossia
δρ =N∑
s=1
Φs ¢ δPs ¸ 0 ,
e di conseguenza vale la (6.1).
127
Osservazioni importanti.
a) La disuguaglianza (6.1), implica il segno di uguaglianza in corrispondenza ad ogni δC
invertibile. Di conseguenza, se C0 e di tipo interno, ogni δC e invertibile e quindi ogni δL e
nullo. Se invece C0 e di confine, allora δL e nullo per i δC invertibili e in generale negativo
per i δC non invertibili.
b) Nel caso di un corpo rigido la disuguaglianza (6.1), tenendo conto del fatto che il lavoro
virtuale delle forze attive ha un’espressione formalmente uguale alla (4.33), diventa:
δL = F e ¢ δO1 +Ωe(O1) ¢ aδθ · 0 , 8δC =(δO1, (O1, δθa)
). (6.3)
c) Il principio dei lavori virtuali costituisce uno strumento estremamente utile ai fini
del calcolo delle configurazioni d’equilibrio in quanto coinvolge solamente le forze attive.
Tuttavia esso permette anche il calcolo delle reazioni vincolari. A tal fine occorre :
— eliminare i vincoli, uno o piu alla volta, sostituendoli con le relative reazioni vincolari;
— riguardare le reazioni vincolari come forze attive, ed applicare il principio in corrispon-
denza di opportuni spostamenti virtuali, compatibili con i vincoli rimasti, che facciano
“lavorare” le reazioni;
— riscrivere la (6.1) tante volte fino ad ottenere un numero di equazioni (indipendenti) pari
al numero delle reazioni vincolari che si vogliono calcolare;
— risolvere infine il sistema di equazioni cosı ottenuto.
Gli esempi che riporteremo piu avanti chiariranno meglio il senso di queste affermazioni.
6.3 Configurazioni d’equilibrio interne dei sistemi olonomi a vincoli perfetti
La prima utile applicazione del principio dei lavori virtuali e rivolta alla determinazione
delle configurazioni d’equilibrio, in particolare di quelle interne, di un sistema olonomo
a vincoli perfetti. A tal fine supponiamo, come al solito, che il sistema abbia n gradi di
liberta, con parametri lagrangiani qi. Ricordando l’espressione del lavoro virtuale delle
forze attive mediante le forze generalizzate di Lagrange, (6.1) diventa
δL =∑
k
Qkδqk · 0 , 8δC ´ (δq1, δq2, ..., δqn) . (6.4)
Determiniamo le configurazioni d’equilibrio interne. In questo caso ciascun δqk ammette
anche il suo opposto ¡δqk, e quindi ogni spostamento virtuale δC del sistema e invertibile.
Di conseguenza la (6.4) vale col segno di uguaglianza.
128
Essendo poi il sistema olonomo, i δqk sono indipendenti, e quindi si possono considerare
gli n spostamenti virtuali del tipo
δCk ´ (δq1 = 0, ..., δqk−1 = 0, δqk 6= 0, δqk+1 = 0, ..., δqn = 0) .
In corrispondenza dello spostamento δCk la (6.4) fornisce
Qkδqk = 0 , e quindi Qk = 0 .
Debbono quindi essere soddisfatte le n equazioni
Q1(q1, q2, ..., qn) = 0
Q2(q1, q2, ..., qn) = 0
. . . . . . . . . . . . . . . . . .
Qn(q1, q2, ..., qn) = 0 .
(6.5)
Le configurazioni d’equilibrio interne del sistema meccanico sono tutte comprese fra le
soluzioni di questo sistema di n equazioni nelle n incognite qi. Si noti che eventuali
soluzioni rappresentanti configurazioni di confine sono pure d’equilibrio.
6.4 Equilibrio dei sistemi conservativi
Definizione Un sistema meccanico conservativo e un sistema olonomo, scleronomo, a vincoli
perfetti e soggetto ad un sistema conservativo di forze attive.
Teorema Le configurazioni d’equilibrio interne di un sistema meccanico conservativo
sono tutte e sole quelle nelle quali il potenziale U e stazionario.
Poiche il sistema delle forze attive e conservativo, esiste una funzione U = U(q1, q2, ..., qn),
che abbiamo chiamato potenziale, con la proprieta che
Qk =∂U
∂qk, k = 1, ..., n .
Di conseguenza il sistema (6.5), che vale in quanto il sistema meccanico e olonomo, scle-
ronomo e a vincoli perfetti, diventa
∂U
∂qk= 0, k = 1, ..., n . (6.6)
Ricordiamo che tra i punti di stazionarieta di una funzione ci sono i punti di minimo e di
massimo.
129
A titolo di esempio consideriamo il pendolo semplice. Il potenziale e dato dalla (5.44):
U(θ) = ¡mgl sinα(1¡ cos θ), con 0 · θ < 2π. Le posizioni d’equilibrio θ∗i coincidono con
i punti di stazionarieta di U(θ), e quindi sono date dalle soluzioni dell’equazione
U ′(θ) = ¡mgl sinα sin θ = 0 .
Si ha dunque: θ∗1 = 0, θ∗2 = π .
6.5 Stabilita dell’equilibrio
In questo paragrafo introduciamo un nuovo importante concetto: quello di stabilita dell’e-
quilibrio.
Definizione Una configurazione d’equilibrio C0 si dice stabile se esiste un intorno di C0,
che indichiamo con I(C0), tale che il lavoro
∆L = (Γ)
∫ C
C0
dL = (Γ)
∫ C
C0
∑
s
F s ¢ dPs
sia negativo qualunque C 2 I(C0), e qualunque sia la “traiettoria” Γ 2 I(C0) da C0 a C.
Invece, se ∆L > 0 8C e 8Γ appartenenti a I(C0) , C0 e detta di equilibrio instabile.
Inoltre, se ∆L = 0 8C e 8Γ appartenenti a I(C0) , C0 e detta di equilibrio indifferente.
Commento. Cosa significa affermare che ∆L e negativo per ogni spostamento da C0 ad
una qualunque configurazione C all’interno di un intorno di C0 ? Significa che il sistema
delle forze attive tende ad opporsi a che il sistema meccanico si allontani, in una qua-
lunque ”direzione”, da C0. Cio giustifica l’attributo ”stabile”. Al contrario, l’equilibrio e
”instabile” se il sistema delle forze agisce sempre a favore di un allontanamento del sistema
meccanico da C0.
Come esempi si considerino il pendolo semplice nel punto piu basso (equilibrio stabile) e
nel punto piu alto (equilibrio instabile), oppure un punto materiale, sempre soggetto al
solo peso, vincolato ad un piano orizzontale (equilibrio indifferente).
Cos’e un intorno I(C0) ? Dato un sistema meccanico, ed una sua configurazione interna
C0 = q0, un intorno I(C0) e, ad esempio, il seguente:
I(C0) ´ (q01 ¡ ǫ, q01 + ǫ)£ (q02 ¡ ǫ, q02 + ǫ)£ ¢ ¢ ¢ £ (q0n ¡ ǫ, q0n + ǫ) .
Naturalmente I(C0) e contenuto nello spazio n¡dimensionale delle configurazioni.
130
Sistemi meccanici conservativi
Nel caso di un sistema meccanico conservativo le definizioni appena date di equilibrio
stabile e instabile si collegano immediatamente al potenziale attraverso il seguente
Teorema (senza dimostrazione):
Una configurazione interna C0 e di equilibrio stabile per un sistema meccanico conservativo
se e solo se e un punto di massimo per il potenziale U , ed e di equilibrio instabile se e solo
se e un punto di minimo.
Sistemi meccanici conservativi con solo il peso
Se il sistema delle forze esterne e costituito dalle sole forze peso, il potenziale e dato dalla
(4.39), ossia
U = ¡MgzG + U∗ .
Da cio segue l’ovvio
Teorema di Torricelli : in un sistema meccanico conservativo con solo la forza peso le confi-
gurazioni d’equilibrio stabile si hanno quando zG e minima e quelle di equilibrio instabile
quando zG e massima.
Osserviamo che se il sistema meccanico ha n gradi di liberta con parametri lagrangiani qi,
allora zG = zG(q), e quindi il problema e ancora quello di determinare minimi e massimi
di una funzione ad n variabili. Ovviamente, se questa funzione non ha minimi, allora non
ci sono configurazioni d’equilibrio stabile, cosı come se non ci sono massimi, non ci sono
neppure configurazioni d’equilibrio instabile.
Un’applicazione immediata del teorema di Torricelli si ha nel caso del pendolo semplice.
zG, che ovviamente coincide con zP , e minima per θ = 0 e massima per θ = π. Di
conseguenza θ = 0 rappresenta la posizione d’equilibrio stabile e θ = π quella d’equilibrio
instabile.
Il principio dei lavori virtuali costituisce uno dei possibili strumenti utilizzabili per de-
terminare le configurazioni d’equilibrio e le relative reazioni vincolari di un qualunque
sistema meccanico, purche a vincoli perfetti. Attraverso una sua applicazione ai sistemi
olonomi, abbiamo poi visto che le configurazioni d’equilibrio interne di un sistema con-
servativo corrispondono ai punti di stazionarieta del potenziale, con l’importantissima
proprieta che nei punti di massimo l’equilibrio e stabile, mentre in quelli di minimo
l’equilibrio e instabile. A questi due strumenti, principio dei lavori virtuali e metodo
del potenziale, che abbiamo gia a disposizione, andiamo ora ad aggiungerne un terzo:
131
le equazioni cardinali della statica. Procederemo ricavandole, anche se costituiscono un
caso particolare delle equazioni cardinali della Dinamica che ricaveremo piu innanzi. Il
ricavarle separatamente porta sı a qualche ripetizione e ad una leggera perdita di tempo,
pero permette una maggior chiarezza e una miglior organizzazione delle esercitazioni.
6.6 Equazioni cardinali della statica
Teorema Dato un sistema meccanico qualunque, condizione necessaria perche C0 sia
configurazione d’equilibrio e che
F e +Φe = 0
Ωe +Ψe = 0 .(6.7)
Dimostrazione
Sia C0 = q0 ´ (q01 , q02 , ..., q
0n) una configurazione d’equilibrio e
(Ps,Φs), s = 1, ..., N
un
sistema di reazioni vincolari che realizza i vincoli a cui il sistema meccanico e soggetto.
Poiche C0 e configurazione d’equilibrio, il sistema posto in C0 in quiete all’istante t0, vi
rimane anche per t > t0. Ne consegue che ciascun punto Ps del sistema materiale rimane
in equilibrio nella posizione che occupa all’istante t0. Di conseguenza deve essere
F es + F is +Φes +Φis = 0 , s = 1, . . . , N . (6.8)
Sommando su tutti i punti del sistema, risulta
N∑
s=1
(F es + F is +Φes +Φis
)= F e + F i +Φe +Φi = 0 ,
e tenendo conto del fatto che F i = Φi = 0 , si ottiene la prima delle (6.7).
Moltiplicando poi vettorialmente a destra ciascuna delle relazioni (6.8) per (O ¡ Ps), con
O punto qualunque, si ha(F es + F is +Φes +Φis
)£ (O ¡ Ps) = 0 , s = 1, . . . , N ,
e sommando quindi su tutti i punti, si ottiene
N∑
s=1
(F es + F is +Φes +Φis
)£ (O ¡ Ps) = Ωe(O) + Ωi(O) + Ψe(O) + Ψi(O) = 0 .
Poiche Ωi(O) = Ψi(O) = 0, segue
Ωe(O) + Ψe(O) = 0 ,
che grazie alla prima delle (6.7) e indipendente dal polo. Risulta cosı dimostrata anche la
necessarieta della seconda equazione cardinale della statica.
132
Osservazioni
— Dalla dimostrazione appena fatta e evidente che il teorema vale anche scrivendo le
equazioni (6.7) per tutte le forze attive e le reazioni vincolari sia esterne che interne, ossia
F +Φ = 0
Ω +Ψ = 0 .(6.9)
Scrivere (6.7) anziche (6.9) ha il pregio di mettere in evidenza la irrelevanza, nelle equazioni
cardinali della statica, delle forze e delle reazioni vincolari interne. Piu avanti vedremo
che cio e vero anche per le equazioni cardinali della dinamica.
— Scrivendo (6.7) o (6.9) si e omesso il polo in quanto irrilevante. Infatti, in virtu della
relazione (4.15) e della prima delle equazioni (6.7) o (6.9), l’equazione dei momenti, se
verificata per un polo O, risulta verificata per qualunque altro polo O1.
Vale poi il seguente importantissimo teorema (che non dimostriamo):
Teorema Se il sistema materiale e un corpo rigido, soggetto a vincoli perfetti, le equazioni
(6.7) sono pure condizioni sufficienti perche una configurazione C0 sia d’equilibrio per il
sistema.
6.7 Problemi staticamente determinati
Le equazioni cardinali (6.7) rappresentano dunque delle condizioni necessarie e sufficienti
per l’equilibrio di un corpo rigido. Quali sono le incognite di queste equazioni ? Ebbene,
le incognite sono gli n parametri lagrangiani fqkg, che danno le configurazioni d’equilibrio,
e le reazioni vincolari.
In generale (cioe escludendo casi particolari quali i sistemi piani) le due equazioni vettoriali
(6.7) sono equivalenti a 6 equazioni scalari. Tale sistema e dunque risolubile, in generale,
solo quando anche le incognite sono esattamente 6.
L’esperienza dimostra tuttavia che dalle (6.7) e sempre possibile dedurre n equazioni che non
contengono le reazioni vincolari, per cui il problema dell’equilibrio (cioe il problema di determi-
nare le configurazioni d’equilibrio) e sempre risolubile. Ogni n—pla (q∗1 , q∗2 , ..., q
∗n) soluzione del
sistema rappresenta una configurazione d’equilibrio, purche le relative reazioni vincolari
siano compatibili con la natura dei vincoli. Il senso di questa ultima affermazione risultera
piu chiaro dagli esempi che seguono relativi a dei vincoli d’appoggio.
Supposto che i vincoli siano lisci, ogni reazione vincolare puo essere totalmente o parzial-
mente incognita. Se e totalmente incognita, essa comporta tre incognite scalari. Se si sa
133
che la reazione vincolare sta in un piano, allora le incognite scalari sono due. Nel caso poi
che la direzione sia nota, allora l’incognita e una sola. In quest’ultimo caso puo essere noto
anche il verso: cio comporta che l’incognita soddisfi anche ad una disequazione. Dunque,
ogni reazione vincolare implica, a seconda del tipo di vincolo, da una a tre incognite sca-
lari. Il numero delle incognite dovute alle reazioni vincolari dipende dunque dal numero
dei vincoli e dalla loro natura.
Diremo che un problema di equilibrio per un corpo rigido e staticamente determinato se il
numero di reazioni vincolari scalari e 6¡n, il che e equivalente ad affermare che il numero
di reazioni vincolari e quello minimo sufficiente a rappresentare i vincoli a cui e soggetto
il corpo rigido. Se il numero delle reazioni vincolari e maggiore di 6¡n, allora il problema
e staticamente indeterminato, e non e possibile determinare tutte le reazioni vincolari. In
quest’ultimo caso si dice anche che il sistema meccanico e iperstatico.
Consideriamo ora il caso generale di un sistema meccanico qualunque ad n gradi di liberta,
composto di punti e di corpi rigidi. In tal caso applicando a ciascun punto l’equazione
dell’equilibrio (5.13) e a ciascun corpo rigido le equazioni (6.7) si scrive un sistema di m
equazioni. Ebbene, il problema sara staticamente determinato se il numero delle reazioni
vincolari scalari che compaiono nel sistema e esattamente m ¡ n. Cio sara verificato
ogni volta che il numero (ed il tipo) di reazioni vincolari introdotte e quello minimo
indispensabile a realizzare i vincoli del sistema. Sull’argomento dei sistemi composti si
tornera piu avanti con uno specifico paragrafo.
Andiamo ora a considerare un paio di esempi significativi di corpi rigidi diversamente
vincolati. Questi esempi, gia interessanti di per se stessi, potranno anche essere utili ai
fini di una miglior comprensione della teoria appena svolta.
I vincoli saranno supposti lisci. Ciascun corpo rigido sara supposto soggetto ad un dato
sistema di forze attive esterne (As, F s), s = 1, . . . , N , i cui vettori caratteristici saranno
denotati con F e e Ωe. Risolveremo il problema dell’equilibrio e della determinazione
delle reazioni vincolari (ovviamente nel caso di problema staticamente determinato)
sia con le equazioni cardinali che col principio del lavori virtuali. Nell’applicazione di
quest’ultimo faremo uso della condizione (6.3), tenendo conto che essa vale col segno
di uguale se δC e invertibile.
134
6.8 Equilibrio di un corpo rigido con un asse fisso
Un corpo rigido con un asse fisso ha un unico grado
di liberta rappresentato dall’angolo θ di rotazione
del corpo. Assunto un riferimento Oxyz con Oz
coincidente con l’asse fisso, l’angolo θ puo essere
definito come l’angolo solido che un semipiano soli-
dale col corpo ed uscente dall’asse forma, per esem-
pio, con il semipiano fisso Oxz (x > 0).
Con le equazioni cardinali della statica
Supponiamo che l’asse sia stato fissato in due punti: Q1 ´ O ´ (0, 0, 0) (la scelta di O e
a nostra discrezione) e Q2 ´ (0, 0, h). Il sistema di reazioni vincolari esterne consta allora
delle reazioni (Q1,Φ1 = Φ1xi+Φ1yj+Φ1zk) e (Q2,Φ2 = Φ2xi+Φ2yj+Φ2zk). Osserviamo
che le reazioni vincolari, essendo applicate all’asse, hanno momento risultante normale
all’asse stesso. Infatti
Ψe(O) =
2∑
r=1
Φr £ (O ¡Qr) = Φ2 £ (O ¡Q2) =
= (Φ2xi+Φ2yj +Φ2zk)£ (¡hk) = ¡hΦ2yi+ hΦ2xj . (6.10)
Andiamo dunque a scrivere le 6 equazioni scalari che si ottengono proiettando sugli assi
le due equazioni (6.7). Posto
F e = Fexi+ Feyj + Fezk , Ωe(O) = Ωexi+Ωeyj +Ωezk ,
si ottiene
Fex +Φ1x +Φ2x = 0
Fey +Φ1y +Φ2y = 0
Fez +Φ1z +Φ2z = 0
Ωex ¡ hΦ2y = 0
Ωey + hΦ2x = 0
Ωez = 0 .
(6.11)
L’ultima equazione di questo sistema non contiene le reazioni vincolari. Poiche il pro-
blema ha un solo grado di liberta, si tratta dell’equazione che fornisce le configurazioni
d’equilibrio. Riscriviamola mettendone in evidenza l’incognita θ:
Ωez(θ) = 0 . (6.12)
135
Le configurazioni d’equilibrio del corpo rigido sono tante quante le soluzioni θ∗ di (6.12).
Ci proponiamo ora di determinare le reazioni vincolari nelle configurazioni d’equilibrio.
Cio e possibile se il problema e staticamente determinato, ossia se il numero delle rea-
zioni vincolari scalari e 5 (= 6 ¡ 1). Osserviamo subito che fissando due punti dell’asse
abbiamo 6 reazioni vincolari scalari da determinare, il che rende il problema staticamente
indeterminato. Cio e dovuto al fatto che per fissare un asse del corpo, non e necessario
fissarne due punti, ma basta fissarne uno e mettere un anello nell’altro, impedendo cosı
gli spostamenti normali all’asse.
Assumiamo dunque che in Q2 ci sia un anello. In questo caso, essendo Φ2 normale all’asse,
si ha Φ2 = Φ2xi+Φ2yj. Le prime cinque equazioni del sistema (6.11) diventano quindi:
Fex +Φ1x +Φ2x = 0
Fey +Φ1y +Φ2y = 0
Fez +Φ1z = 0
Ωex ¡ hΦ2y = 0
Ωey + hΦ2x = 0 ,
(6.13)
dove le componenti di F e e Ωe(O) sono calcolate nelle configurazioni d’equilibrio. Il sistema
(6.13) determina in modo univoco (ed immediato) le reazioni vincolari.
Con il principio dei lavori virtuali
Perche una configurazione C0 sia d’equilibrio occorre e basta che la condizione (6.3) sia
soddisfatta per qualunque δC.
Sia O1 un punto qualunque dell’asse fisso. Consideriamo l’unico spostamento consentito
dai vincoli (assieme al suo opposto), che consiste in una rotazione infinitesima attorno
all’asse fisso (O1, k) : (δO1 = 0 , (O1, δθk)
), con δθ 6= 0 .
Essendo tale rotazione invertibile, la (6.3) comporta
δL = Ωe(O1) ¢ kδθ = 0 , e quindi, essendo δθ 6= 0 , Ωez(θ) = 0 .
Si e dunque ritrovata l’equazione (6.12).
Poniamoci ora il problema di determinare le reazioni vincolari nelle configurazioni d’equi-
librio nel caso che il problema sia staticamente determinato, cioe nel caso dei due vincoli
seguenti: Q1 fissato e Q2 impedito tramite un anello nei suoi movimenti normali all’asse.
Come prima, sia h = Q1Q2.
136
Sopprimiamo dapprima solo il vincolo in Q2 e lo sostituiamo con la reazione vincolare
Φ2 = Φ2xi+Φ2yj, che riguardiamo come forza attiva. Ora il corpo rigido ha come unico
vincolo il punto fisso Q1. Sono dunque possibili le rotazioni (tutte invertibili) attorno ad
un qualunque asse (Q1, a). La (6.3) diventa percio
δL =(Ωe(Q1) + Φ2 £ (Q1 ¡Q2)
)¢ aδθ = 0 , 8a e 8δθ 6= 0 ,
e per l’arbitrarieta di a ne consegue
Ωe(Q1) + Φ2 £ (¡hk) = 0 .
Proiettando sugli assi x e y si ottengono le due ultime equazioni di (6.13), che forniscono
le componenti di Φ2.
Infine, per calcolare la reazione vincolare dovuta al vincolo in Q1, sopprimiamo anche
questo e lo sostituiamo con la forza di vettore Φ1 = Φ1xi+Φ1yj+Φ1zk. Il corpo ora e libero,
soggetto, oltre che al sistema di forze attive, anche a (Q1,Φ1) e (Q2,Φ2). Immaginiamo di
far compiere al corpo, prima una traslazione infinitesima parallela all’asse x, δO1 = δxi,
poi una parallela all’asse y, δO1 = δyj, ed infine una parallela all’asse z, δO1 = δzk.
Ovviamente si tratta di spostamenti invertibili, per cui in tutti tre i casi deve essere
δL = (F e +Φ1 +Φ2) ¢ δO1 = 0 .
Si riottengono cosı le tre prime equazioni di (6.13).
6.9 Equilibrio di un corpo rigido appoggiato in un punto ad un piano
Consideriamo ora un corpo rigido C appoggiato in
un punto O1 ad un piano fisso Π liscio. Supposto
che la superficie σ del corpo sia regolare, il piano
tangente a σ in O1 coincide con Π. Si vuole stu-
diare l’equilibrio di C rispetto ad un sistema di ri-
ferimento Oxyz, con il piano Oxy coincidente con
Π e l’asse z orientato da Π verso C .
Il problema ha cinque gradi di liberta. Assumiamo come parametri lagrangiani le due
coordinate x e y di O1 su Π e i tre angoli di Eulero ψ, ϕ e θ di C , definiti mediante
un sistema solidale con origine in un punto O2 di C (ovviamente distinto dal punto di
contatto O1 che, in generale, varia).
Cio premesso, si abbia F e = Fexi+ Feyj + Fezk.
137
Con le equazioni cardinali della statica
La reazione vincolare (O1,Φ) ha come direzione quella della normale a Π. Trattandosi poi
di un vincolo di appoggio, il vettore Φ e diretto da Π verso C , ossia Φ = Φk, con Φ ¸ 0.
Andiamo a scrivere le equazioni cardinali. La prima implica F e = ¡Φ = ¡Φk, la seconda
Ωe(O1) = 0. Il sistema di equazioni scalari che forniscono le configurazioni d’equilibrio e
percio il seguente:
Fex(x, y, ψ, ϕ, θ) = 0
Fey(x, y, ψ, ϕ, θ) = 0
Ωex(x, y, ψ, ϕ, θ) = 0
Ωey(x, y, ψ, ϕ, θ) = 0
Ωez(x, y, ψ, ϕ, θ) = 0
(6.14)
La sesta equazione scalare comporta invece Φ = ¡Fez. Dovendo essere Φ ¸ 0, ne consegue
che le configurazioni d’equilibrio sono date dalle soluzioni (x∗, y∗, ψ∗, ϕ∗, θ∗) di (6.14) tali
che Fez(x∗, y∗, ψ∗, ϕ∗, θ∗) · 0. Soluzioni di (6.14) che non soddisfano questa condizione
non sono d’equilibrio: Φ < 0 implicherebbe che C si distacca dal piano Π.
Quanto trovato permette di formulare il seguente
Teorema C.N.S. affinche una configurazione C0 sia d’equilibrio per un corpo rigido C
appoggiato in un punto O1 ad un piano, e che il sistema delle forze attive esterne sia
equivalente ad un’unica forza passante per O1, normale al piano in O1 ed orientata da C
verso il piano, oppure al sistema nullo.
Con il principio dei lavori virtuali
Consideriamo dapprima una traslazione δO1 di C parallela al piano Π (che coincide con
Oxy), e quindi invertibile. In tal caso (6.3) diventa
δL = F e ¢ δO1 = 0 8δO1 k Π ,
e quindi deve essere
F e ? Π ,
per cui debbono valere le prime due equazioni di (6.14).
Se la traslazione δO1, anziche tangente a Π, e di distacco, allora
δL = F e ¢ δO1 · 0 ,
il che implica che l’angolo tra δO1 e F e deve essere ottuso. In altre parole, F e deve essere
diretta da C verso Π. Si ha quindi F e = Fezk, con Fez·0.
138
Se consideriamo poi uno spostamento virtuale rotatorio (O1, aδα) con a versore arbitrario,
essendo anch’esso invertibile, si avra
δL = Ωe(O1) ¢ aδα = 0 8a .
Di conseguenza deve essere
Ωe(O1) = 0 ,
come gia visto con le equazioni cardinali.
Per determinare la reazione vincolare dovuta all’appoggio in O1, supponiamo di soppri-
mere l’appoggio e di applicare in O1 la forza di vettore Φ. Applicando di nuovo (6.3) in
corrispondenza di una traslazione δO1 qualunque, si ottiene
δL = (F e +Φ) ¢ δO1 = 0 8δO1 ,
e quindi Φ = ¡F e.
6.10 Sistemi composti
In generale un sistema meccanico risulta composto di uno o piu punti materiali e di
uno o piu corpi, fra di loro variamente vincolati. Ciascun corpo puo poi essere rigido
o deformabile. La teoria svolta nel presente corso di Meccanica Razionale fornisce tutti
gli strumenti necessari per risolvere il problema del moto o dell’equilibrio nel caso che
tutti i corpi in questione siano rigidi. Muovendoci in questa ipotesi, facciamo ora alcune
considerazioni circa la soluzione del problema dell’equilibrio mediante le equazioni cardinali
della statica. Queste considerazioni potranno essere facilmente estese al problema del moto
quando lo si affronti con le equazioni cardinali della dinamica (che vedremo piu avanti).
Un qualunque sistema meccanico e in equilibrio in una configurazione C0 se e solo se
in tale configurazione ogni suo punto e in equilibrio. Ne consegue che le configurazioni
d’equilibrio di un sistema composto saranno quelle per cui ogni componente e in equilibrio.
Per determinarle occorrera quindi liberare ciascuna componente dagli eventuali vincoli,
sia interni che esterni, sostituendoli con le relative reazioni vincolari, ed imporre che siano
soddisfatte le equazioni necessarie e sufficienti per l’equilibrio. Occorrera quindi che per
ciascun punto materiale (non facente parte di un corpo rigido) sia soddisfatta l’equazione
(5.13) e per ciascun corpo rigido siano soddisfatte le equazioni cardinali (6.7).
139
Nello scrivere le equazioni (5.13) e (6.7) e molto importante tener presente che le eventuali
coppie di forze attive e di reazioni vincolari interne debbono essere tenute in considerazione,
e ciascuna forza interna e ciascuna reazione vincolare deve apparire nella equazione (5.13)
(se agisce su un punto) o nelle equazioni (6.7) se agisce su un corpo rigido. L’esempio che
segue rendera piu chiara questa affermazione.
Consideriamo due aste rigide AB e CD incernierate mediante una cerniera sferica negli
estremi B e C (per cui B ´ C). Chiaramente le due aste esercitano l’una sull’altra un
vincolo, che per il principio di azione e reazione implica una coppia di reazioni vincolari
interne al sistema del tipo (B,Φ) e (C,¡Φ), con Φ totalmente incognito e quindi del tipo
Φ = Φxi+Φyj+Φzk. Ebbene, quando si scrivono le equazioni (6.9) per l’asta AB si deve
includere la reazione vincolare (B,Φ), mentre quando si scrivono per l’asta CD occorre
tener conto della reazione (C,¡Φ). Per inciso, osserviamo che a volte, quando il sistema
e piano e tutte le forze attive stanno in quel piano (per esempio il piano xy), si puo anche
avere una cerniera piana, rappresentabile percio con una reazione di vettore Φ = Φxi+Φyj.
Le considerazioni appena fatte valgono anche nel caso in cui, calcolate le configurazioni d’e-
quilibrio col principio dei lavori virtuali, si vogliano determinare anche le relative reazioni
vincolari.
In alcuni testi si parla di sistemi articolati. Si tratta di sistemi composti di aste rigide,
assimilabili a segmenti rettilinei, collegate tra loro mediante cerniere. Ciascuna di queste
si suppone assimilabile ad un punto materiale e costituisce un nodo. Il sistema deve essere
connesso, non deve cioe constare di parti scollegate tra di loro.
6.11 Attrito fra due corpi rigidi
Nel paragrafo x5.7 si e considerato l’attrito nel caso di un punto. Ora si vedra cosa significa
dire che un corpo rigido C e in quiete o si muove appoggiato in un punto O1 ad un altro
corpo rigido C1 in presenza di attrito. Come si e gia detto l’attrito e dovuto a forze, sia
normali che tangenti, che si manifestano quando un corpo si muove o tenta di muoversi
su un altro. Ebbene, dire che c’e attrito fra C e C1 significa convenire che C1 esplica su C
un sistema di reazioni vincolari equivalente ad una forza di vettore Φ e ad una coppia di
momento M . La forza (O1,Φ) si oppone al moto di strisciamento, e quindi rappresenta
l’attrito radente, mentre la coppia si oppone al moto di rotazione, e percio rappresenta
l’attrito volvente.
140
Al fine di formulare le leggi dell’attrito in statica ed in dinamica, poniamo
Φ = Φtt+Φnn = Φt +Φn
M =Mtt+Mnn =M t +Mn ,(6.15)
con t versore parallelo al piano tangente e n versore normale. Osserviamo che nella termi-
nologia della “Meccanica Applicata” la reazione (O1,Φn) e detta forza normale di contatto,
mentre la reazione (O1,Φt) e detta forza d’attrito radente. Dal canto suo, la coppia di
momento M t e detta coppia d’attrito di rotolamento, in quanto si oppone al moto di puro
rotolamento, mentre quella di momento Mn e detta coppia di attrito di giro, in quanto si
oppone al moto di prillamento attorno alla normale.
Noi, tuttavia, per semplificare le cose, supporremo sempre di poter trascurare la coppia,
limitandoci percio a considerare soltanto la reazione (O1,Φ).
L’attrito in statica
L’equilibrio di C1 e garantito dalle equazioni cardinali (6.7) e dalla condizione seguente:
jΦtj · fsjΦnj , (6.16)
La costante fs, che e positiva, dipende dalle caratteristiche dei materiali a contatto e si
chiama coefficiente d’attrito statico radente.
L’attrito in dinamica
Durante il moto di C1 su C , oltre alle equazioni cardinali della dinamica (che vedremo
piu innanzi), la reazione Φ deve soddisfare
— nel caso di puro rotolamento, alla condizione (6.16);
— nel caso di rotolamento e strisciamento, alla condizione
Φt = ¡fdjΦnjvτjvτ j
, (6.17)
con vτ velocita di trascinamento del punto di contatto O1.
Dunque, quando C1 si muove su C , occorre distinguere il caso in cui c’e strisciamento dal
caso in cui non c’e. In quest’ultimo caso la relazione che riguarda l’attrito radente non
cambia rispetto al caso statico in quanto il punto di contatto O1 e fermo rispetto a C .
Se invece C1 striscia su C la relazione statica (6.16) e sostituita dalla relazione dinamica
(6.17). La costante fd, che e minore di fs, e detta coefficiente d’attrito dinamico radente.
141
6.12 Quantita di moto di un sistema
Definizione Si definisce quantita di moto di un sistema materiale discreto (Ps,ms), s =
1, ..., N, rispetto ad un riferimento Oxyz il vettore
Q =∑
s
msvs , (6.18)
essendo vs la velocita di Ps rispetto ad Oxyz. Per un corpo continuo C si definisce invece
Q =
∫
C
ρ(P )v(P )dC .
Vale l’importantissimo
Teorema La quantita di moto di un qualunque sistema meccanico e uguale alla quantita
di moto del baricentro qualora vi si attribuisca tutta la massa del sistema, ossia
Q =MvG . (6.19)
Dimostrazione Riscriviamo la formula (2.3) del baricentro,
M(G¡O) =∑sms(Ps ¡O) , (6.20)
e deriviamola rispetto al tempo; si ha
MvG =∑smsvs = Q .
Definizione Si definisce quantita di moto di un sistema materiale rispetto al baricentro la sua
quantita di moto rispetto ad una terna Gx′y′z′ traslante rispetto al sistema fisso Oxyz.
Indicando tale grandezza con QG, nel caso di un sistema
discreto si ha dunque
QG =∑smsvs
′ ,
con vs′ velocita di Ps rispetto a Gx′y′z′. Ebbene, vale il
Teorema La quantita di moto rispetto al baricentro di
un qualunque sistema materiale e sempre nulla, cioe
QG = 0 . (6.21)
Dimostrazione. Essendo vs′ = vs ¡ vτ (Ps) = vs ¡ vG , e ricordando (6.19), si ha
QG =∑smsvs
′ =∑sms(vs ¡ vG) =
∑smsvs ¡
(∑sms
)vG =MvG ¡MvG = 0 .
Osservazione In realta il teorema ora dimostrato vale qualunque sia il sistema Gx′y′z′.
La dimostrazione si fa procedendo allo stesso modo, ma con vτ (Ps) = vG + ω £ (Ps ¡G).
E facile verificare che il termine∑sms ω £ (Ps ¡G) porta un contributo nullo a QG.
142
6.13 Momento delle quantita di moto di un sistema
Definizione Si definisce momento delle quantita di moto (o momento angolare) di un sistema
materiale discreto (Ps,ms), s = 1, ..., N, rispetto al polo O1 il vettore
K(O1) =∑
s
msvs £ (O1 ¡ Ps) , (6.22)
essendo vs la velocita del punto Ps rispetto ad un sistema di riferimento Oxyz. Natural-
mente la grandezza cosı definita dipende, oltre che dal polo O1, dal sistema di riferimento
scelto.
Per un corpo continuo C si definisce invece
K(O1) =
∫
C
ρ(P )v(P )£ (O1 ¡ P )dC .
Dati K(O1) e K(O2), essi sono legati dalla relazione
K(O1) = K(O2) +MvG £ (O1 ¡O2) . (6.23)
Infatti:
K(O1) =∑
s
msvs £ (O1 ¡ Ps) =∑
s
msvs £ (O1 ¡O2 +O2 ¡ Ps)
=∑
s
msvs £ (O2 ¡ Ps) +∑
s
msvs £ (O1 ¡O2) = K(O2) +MvG £ (O1 ¡O2) .
In particolare, se O2 ´ G, si ha
K(O1) = K(G) +MvG £ (O1 ¡G) . (6.24)
Quando il polo O1 e in moto rispetto ad Oxyz, il calcolo di K(O1) puo essere facilitato
coinvolgendo il momento relativo delle quantita di moto rispetto ad O1, vale a dire
K ′(O1) =∑
s
msvs′ £ (O1 ¡ Ps) ,
essendo vs′ la velocita di Ps rispetto ad una terna traslante O1x
′y′z′. Andiamo a determi-
nare la relazione che esiste traK(O1), che potremo chiamaremomento assoluto, eK ′(O1).
Tenendo conto che per il teorema di composizione delle velocita si ha vs = vs′ + v(O1), si
ha:K(O1) =
∑
s
msvs £ (O1 ¡ Ps) =∑
s
ms
(vs′ + v(O1)
)£ (O1 ¡ Ps)
=∑
s
msvs′ £ (O1 ¡ Ps) +
∑
s
msv(O1)£ (O1 ¡ Ps)
= K ′(O1) + v(O1)£∑
s
ms(O1 ¡ Ps) ,
143
ossia
K(O1) = K ′(O1) +Mv(O1)£ (O1 ¡G) . (6.25)
In particolare, se come polo O1 si sceglie G, si ha
K(G) = K ′(G) . (6.26)
Analogamente, se O1 e un punto fisso, essendo v(O1) = 0, si ha
K(O1) = K ′(O1) . (6.27)
Dunque, i momenti delle quantita di moto assoluto e relativo rispetto al baricentro, o
rispetto ad un punto fisso, sono uguali.
Di particolare importanza, ai fini pratici, e il momento delle quantita di moto di un corpo
rigido. A questo riguardo e possibile ricavare una formula generale per K ′(O1) che utilizza
la matrice d’inerzia J del corpo relativa al punto O1. Una volta ricavato K ′(O1) mediante
questa, utilizzando le formule (6.25) e (6.23), e possibile ricavare il momento rispetto ad
un qualunque polo. Qui, tuttavia, prescinderemo da tale formula limitandoci a ricavare
K(O1) in alcuni casi semplici, ma di grande utilita ai fini degli esercizi.
Corpo rigido traslante con velocita v.
Poiche il corpo trasla, le velocita vs′ sono tutte nulle e quindi K
′(G) = 0. Di conseguenza,
grazie alla (6.26), si ha anche K(G) = 0. Applicando poi la (6.24) si ottiene
K(O1) =Mv £ (O1 ¡G) , 8O1 . (6.28)
Corpo rigido piano con asse fisso normale.
Consideriamo un corpo rigido piano con un asse
fisso normale al piano del corpo. Sia Oxyz il
sistema di riferimento, con Oxy coincidente col
piano del corpo e Oz asse fisso. Indicato con θ
l’angolo di rotazione del corpo attorno all’asse
fisso, si ha ω = θk.
Ogni punto Ps del corpo descrive una circonferenza di centroO e raggio rs = PsO. Indicato
con ts il versore tangente a tale circonferenza in Ps e con ns il versore normale (diretto
verso O), si ha v(Ps) = vs = rsθts. Inoltre, ts £ ns = k.
Calcoliamo dunque K(O) sulla base della definizione (6.22):
K(O) =∑
s
msrsθts £ (O ¡ Ps) =∑
s
msrsθts £ (rsns) =∑
s
msr2s θk = θ
(∑
s
msr2s
)k ,
144
e quindi, ricordando la definizione (2.7) di momento d’inerzia,
K(O) = IzOθk . (6.29)
Ovviamente IzO rappresenta il momento d’inerzia rispetto all’asse fisso (O, k).
Corpo rigido piano in moto nel suo piano.
SiaOxyz il sistema di riferimento fisso,
conOxy coincidente col piano del corpo
(e del moto) e Gx′y′z′ un sistema tra-
slante baricentrico, con l’asse z′ pa-
rallelo ad Oz. Il problema ha 3 gradi
di liberta; assumiamo come parame-
tri lagrangiani l’angolo θ di rotazione
del corpo e le coordinate xG e yG del
baricentro. Ovviamente ω = θk.
Per calcolare K(O), possiamo calcolare prima K(G) e quindi utilizzare la (6.24). Essendo
K(G) = K′(G), il conto e presto fatto. Rispetto al sistema traslante Gx′y′z′ il moto del
corpo e rotatorio con asse fisso. Dunque, per ottenere K′(G) si puo applicare la (6.29),
ovviamente tenendo conto che in questo caso l’asse e (G, k). Si ha quindi:
K(G) = K′(G) = IzGθk . (6.30)
Applicando ora la (6.24), si ottiene
K(O) = IzGθk +MvG £ (O ¡G) =(IzGθ +M(xGyG ¡ xGyG)
)k . (6.31)
Corpo rigido con asse fisso.
Sia Oxyz il sistema di riferimento fisso rispetto al quale vogliamo studiare il moto del
corpo rigido, con Oz coincidente con l’asse fisso. Sia poi Ox1y1z1 un sistema solidale
col corpo con Oz1 ´ Oz. L’unico parametro lagrangiano e rappresentato dall’angolo di
rotazione θ del corpo, che puo essere definito come θ = xOx1.
Consideriamo ora un generico punto Ps del corpo e indichiamo con (x1s, y1s, z1s) le sue
coordinate rispetto alla terna solidale. Ebbene, poiche Ps descrive la circonferenza di
centro Qs (proiezione di Ps sull’asse) con velocita angolare ω = θk, indicati con ts e ns i
versori tangente e normale a tale circonferenza in Ps, posto rs = Ps ¡Qs, si ha
145
Ps ¡O = x1si1 + y1sj1 + z1sk1 ,
Ps ¡Qs = x1si1 + y1sj1 = ¡rsns ,
ns =Qs ¡ Ps
rs= ¡
x1si1 + y1sj1rs
,
ts =¡y1si1 + x1sj1
rs,
vs = rsθts .
Si puo quindi calcolare K(O):
K(O) =∑
s
msvs £ (O ¡ Ps) =∑
s
msrsθts £ (O ¡ Ps) =
= θ∑
s
ms(¡y1si1 + x1sj1)£ (¡x1si1 ¡ y1sj1 ¡ z1sk1) =
= θ∑
s
ms
[¡x1sz1si1 ¡ y1sz1sj1 + (x
21s + y21s)k1
]=
= θ[¡(∑
s
msx1sz1s
)i1 ¡
(∑
s
msy1sz1s
)j1 +
(∑
s
ms(x21s + y21s)
)k1
],
ossia
K(O) = ¡B′θi1 ¡ C ′θj1 + Cθk1 . (6.32)
Osserviamo che la formula (6.29) costituisce un caso particolare della (6.32). Infatti, se il
corpo rigido e piano con asse fisso normale (come nell’esempio considerato in precedenza),
utilizzando la (6.32), poiche B′ = C′ = 0, si ottiene K(O) = Cθk1. Essendo k ´ k1 e C il
momento d’inerzia del corpo rigido rispetto all’asse Oz, per cui C = IzO, la (6.32) fornisce
ancora la (6.29).
Nota bene. Le formule (6.28), (6.29), (6.30), (6.31) e (6.32) sono molto utili ai fini degli
esercizi. Nella stragrande maggioranza di questi, infatti, i corpi rigidi considerati sono
piani e mobili nel loro piano o con asse fisso. Con le formule suddette e quindi possibile
calcolare tutti i momenti delle quantita di moto che servono (per scrivere, come vedremo,
la seconda equazione cardinale della dinamica).
6.14 Energia cinetica di un sistema
Definizione Si definisce energia cinetica di un sistema materiale discreto (Ps,ms), s =
1, ..., N, rispetto ad un riferimento Oxyz la grandezza scalare
T =1
2
∑
s
msv2s , (6.33)
146
essendo vs la velocita di Ps rispetto ad Oxyz. Per un corpo continuo C si definisce invece
T =1
2
∫
C
ρ(P )v2(P )dC .
Vale il seguente importantissimo
Teorema di Konig: Per un qualunque sistema mec-
canico si ha
T = TG +1
2Mv2G , (6.34)
dove
TG = T ′(G) =1
2
∑smsvs
′2 ,
essendo vs′ la velocita del punto Ps rispetto ad una
terna traslante Gx′y′z′.
Dimostrazione
Poiche si ha vs = vs′ + vG, si ha
T =1
2
∑
s
msv2s =
1
2
∑
s
msvs′2 +
1
2
(∑
s
ms
)v2G +
(∑
s
msvs′)¢ vG
= TG +1
2Mv2G +QG ¢ vG .
Ma QG in virtu della (6.21) e nullo. Dunque vale la (6.34).
Corollari
— T = 12Mv2G se e solo se il sistema materiale trasla;
— T = TG se e solo se il baricentro e fermo.
Osservazione. Nel caso di un corpo rigido, il termine 12Mv2G rappresenta l’energia cinetica
che il corpo avrebbe nel caso di moto traslatorio. Ci si riferisce percio a questa porzione di
energia cinetica come alla energia cinetica di traslazione del corpo. Per quanto concerne
invece TG, essa e dovuta al moto del corpo rigido rispetto al baricentro. Poiche tale moto
e sempre rotatorio, ci si puo riferire a TG come all’energia cinetica di rotazione del corpo.
Il teorema di Konig permette il calcolo di T senza ricorrere alla definizione. Le difficolta
stanno eventualmente nel calcolo di TG. Tuttavia, nel caso di un corpo rigido C, e possibile
ricavare per TG una formula assai semplice che sfrutta la matrice d’inerzia J del corpo
rispetto al baricentro. Qui, pero, come in precedenza per il momento delle quantita di
moto, prescinderemo da tale formula limitandoci a prendere in considerazione solo casi
semplici, ma utili ai fini degli esercizi.
147
Corpo rigido traslante con velocita v.
Tutti i punti hanno la stessa velocita, per cui: T = 12Mv2 (6.35)
Corpo rigido con asse fisso.
Siano (O, k) l’asse fisso e θ l’angolo di rota-
zione del corpo. Il generico punto Ps del corpo
descrive una circonferenza di centro la proie-
zione Qs di Ps sull’asse di rotazione. Posto
rs = PsQs, si ha v2s = r2s θ2. Calcoliamo ora
T rifacendoci alla definizione (6.33).
T =1
2
∑
s
msv2s =
1
2
∑
s
msr2s θ2 =
1
2θ2∑
s
msr2s ,
e quindi, ricordando ancora la definizione di momento d’inerzia,
T =1
2IzO θ2 , (6.36)
con IO momento d’inerzia rispetto all’asse fisso.
Corpo rigido piano in moto nel suo piano.
SiaOxyz il sistema di riferimento fisso, conOxy
coincidente col piano del corpo (e del moto) e
Gx′y′z′ un sistema traslante con l’asse z′ pa-
rallelo all’asse z. Assunti come parametri la-
grangiani le coordinate xG e yG del baricentro
e l’angolo θ di rotazione del corpo, osserviamo
che si ha ω = θk.
Applichiamo il teorema di Konig. A tal fine cal-
coliamo TG, che rappresenta l’energia cinetica
del corpo rispetto al sistema Gx′y′z′.
Rispetto a tale sistema il corpo si muove di moto rotatorio attorno all’asse fisso (G, k). Si
puo dunque applicare il risultato (6.36) ottenendo
TG =1
2IzGθ2 . (6.37)
Applicando ora il teorema di Konig, si ha
T = TG +1
2Mv2G =
1
2IzGθ2 +
1
2Mv2G =
1
2IzGθ2 +
1
2M(x2G + y2G) . (6.38)
148
Nota bene. I risultati (6.35), (6.36) e (6.38) sono utili alla risoluzione di quasi tutti gli
esercizi che verranno proposti.
Abbiamo ora a disposizione tutti gli elementi necessari per introdurre: a) le equazioni
cardinali della dinamica, che costituiscono uno strumento essenziale che permette di
determinare sia le equazioni differenziali del moto di un sistema sia le reazioni vincolari
(purche il loro numero sia quello minimo necessario a realizzare i vincoli); b) le equa-
zioni di Lagrange, che permettono di scrivere le equazioni differenziali del moto di un
qualunque sistema olonomo (purche a vincoli perfetti e bilaterali).
6.15 Equazioni cardinali della dinamica
Consideriamo un sistema meccanico qualunque, e supponiamolo costituito, come al solito,
di N punti materiali (Ps,ms). Durante il moto ciascun punto Ps si muove obbedendo alla
legge di Newton, per cui, tenendo anche conto del fatto che ms e costante, si ha
msas =dQsdt
= F es + F is +Φes +Φis , s = 1, ..., N .
Sommando su tutti gli N punti si ottiene
∑
s
dQsdt
=∑
s
(F es + F is +Φes +Φis
)= F e + F i +Φe +Φi .
Applicando il teorema della derivata di una somma e ricordando che F i = Φi = 0, si ha
dQ
dt= F e +Φe . (6.39)
Questa equazione esprime il Teorema della quantita di moto: La derivata della quantita di
moto di un qualunque sistema meccanico e uguale al vettore risultante delle forze attive e
vincolari esterne.
Ricordando poi che Q=MvG la (6.39) puo essere messa in una forma equivalente di
rilevante significato fisico. Risulta infatti
Md2G
dt2= F e +Φe . (6.40)
In questa forma l’equazione esprime il Teorema del moto del baricentro: Il baricentro di un
qualunque sistema meccanico si muove come se in esso fosse concentrata tutta la massa e
ad esso fossero applicate tutte le forze attive e vincolari esterne.
149
Abbiamo cosı ricavato la prima equazione cardinale della dinamica, nelle due forme equivalenti
(6.39) e (6.40). Osserviamo che in virtu di questa equazione le forze attive e vincolari
interne non hanno alcun effetto sul moto del baricentro, mentre le forze attive e vincolari
esterne hanno effetto solo attraverso il loro risultante.
Consideriamo ora un punto O1 qualunque, non importa se fisso o mobile rispetto al rife-
rimento fissato. Il momento della quantita di moto del punto (Ps,ms) rispetto al polo O1
per definizione e
Ks(O1) = msvs £ (O1 ¡ Ps) .
Derivando si hadKs(O1)
dt= msas £ (O1 ¡ Ps) +msvs £
dO1dt
,
dove si e omesso di mettere il termine ¡msvs £dPsdt
in quanto evidentemente nullo.
Tenendo di nuovo conto della legge di Newton e sommando quindi sugli N punti, si ottiene
dK(O1)
dt=∑
s
[(F es + F is +Φes +Φis
)£ (O1 ¡ Ps)
]+(∑
s
msvs
)£
dO1dt
= Ωe(O1) + Ωi(O1) + Ψe(O1) + Ψi(O1) +Q£dO1dt
,
ovvero, ricordando che Ωi(O1) =Ψi(O1) = 0 e la (6.19),
dK(O1)
dt= Ωe(O1) + Ψe(O1) +M
dG
dt£
dO1dt
. (6.41)
Questa equazione e detta seconda equazione cardinale della dinamica. Se il polo O1 e fisso,
oppure coincide con G, oppure ha velocita parallela a quella di G, allora l’ultimo termine
di (6.41) e nullo, e si hadK(O1)
dt= Ωe(O1) + Ψe(O1) . (6.42)
Questa equazione esprime il Teorema del momento delle quantita di moto: La derivata del
momento delle quantita di moto di un qualunque sistema meccanico, rispetto ad un punto
fisso o al baricentro o ad un punto con velocita parallela a quella del baricentro, e uguale
al momento risultante delle forze attive e vincolari esterne.
Le due equazioni cardinali della dinamica (6.39) (o (6.40)) e (6.41) sono necessariamente
soddisfatte durante il moto di un qualunque sistema meccanico. Supposto che il sistema
abbia n gradi di liberta con parametri lagrangiani q1, q2, ..., qn, cio significa che esiste
almeno un sistema di reazioni vincolari esterne (Ps,Φes), compatibili con i vincoli, che
assieme alle n funzioni qi(t) soddisfano in ogni istante le due equazioni.
150
Osservazione. Le equazioni cardinali della Statica (6.7) sono contenute in quelle della
Dinamica. Infatti, se il sistema e in equilibrio, allora tutti i punti Ps sono fermi, e le
equazioni (6.39) e (6.41) si riducono alle (6.7).
Si puo dimostrare, cosa che non facciamo, che vale il seguente importantissimo
Teorema Se il sistema materiale e un corpo rigido, soggetto a vincoli perfetti, le equazioni
cardinali della dinamica sono sufficienti a determinarne il moto.
Dunque, le equazioni cardinali delle dinamica sono necessarie e sufficienti a determinare il moto
di un corpo rigido. Sottolineiamo il fatto che ai fini di tale moto le forze attive e vincolari
interne non hanno alcuna rilevanza, e che quelle esterne intervengono solamente attraverso
i loro vettori caratteristici. Conseguenza di quest’ultima osservazione e che se ad un corpo
rigido si applicano due sistemi equivalenti di forze (ovviamente non simultaneamente!),
essi producono gli stessi effetti meccanici.
6.16 Teoremi dell’energia
Gli importantissimi teoremi dell’energia gia visti per un singolo punto materiale (vedi
x5.10) si estendono facilmente ai sistemi di punti. Sia, come al solito, (Ps,ms), s =
1, . . . , N, il sistema materiale.
Teorema dell’energia cinetica o (delle forze vive):
Il lavoro infinitesimo (o finito) compiuto da tutte le forze applicate ad un sistema materiale
e uguale alla variazione infinitesima (o finita) di energia cinetica.
Dimostrazione: Dal paragrafo 5.10 sappiamo gia che per ogni punto Ps si ha
dLs = dLs + dρs = dTs .
Sommando su tutti i punti, si ottiene
dL = dL+ dρ = dT , (6.43)
e cio dimostra il teorema nella versione infinitesima.
Per quanto concerne poi la dimostrazione della versione finita del teorema, occorre inte-
grare la relazione (6.43) su un intervallo di tempo finito, ad esempio l’intervallo (t0, t).
Posto quindi T0 = T (t0) e T =T (t) e indicate con C0 la configurazione del sistema all’i-
stante t0 e con C quella all’istante t, ricordando la definizione (4.29), si ha
L = (Γ)
∫ C
C0
dL =
∫ t
t0
dT ,
151
essendo Γ la traiettoria percorsa dal sistema (nello spazio delle configurazioni) per andare
da C0 a C. Ora, tenendo conto che dT e il differenziale della funzione T (t) e indicando con
L il lavoro finito, si ha
L = T ¡ T0 . (6.44)
Con cio il teorema e dimostrato completamente.
Sottolineiamo il fatto che dL e L rappresentano il lavoro, rispettivamente infinitesimo e
finito, di tutte le forze (e quindi sia attive che vincolari). Se poi i vincoli sono scleronomi
perfetti, allora dρ = 0 (vedi x4.29, ultime righe) e di conseguenza si ha
dL = dT oppure L = T ¡ T0
a seconda che lo spostamento del sistema sia infinitesimo o finito.
Teorema di conservazione dell’energia (senza dimostrazione): L’energia meccanica totale di
un sistema meccanico conservativo si mantiene costante durante il moto, ossia
T + V = T ¡ U = E . (6.45)
La costante E, che rappresenta l’energia meccanica totale, si determina, come gia sap-
piamo, attraverso le condizioni iniziali.
6.17 Integrali primi
Definizione Si definisce integrale primo del moto del sistema meccanico una funzione ψ dei
suoi parametri lagrangiani qi, delle sue velocita generalizzate qi e del tempo t, che rimane
costante durante il moto, ossia
ψ(q(t), q(t), t) ´ ψ(q1(t), ..., qn(t), q1(t), ..., qn(t), t) = C , (6.46)
dove C e una costante che si determina attraverso le condizioni iniziali.
Un primo esempio di integrale primo e fornito dal teorema di conservazione dell’energia.
Come abbiamo appena visto, esso esiste quando il sistema meccanico e a vincoli fissi e
perfetti, e il sistema di forze e conservativo. In tal caso, abbreviando la notazione, si ha
T (q, q)¡ U(q) = T0 ¡ U0 .
Altri integrali primi possono derivare dalle equazioni cardinali della dinamica. Se accade
che il secondo membro di (6.39) oppure di (6.42) ha componente nulla lungo una direzione,
questo comporta l’esistenza di un integrale primo. Per esempio,
(F e +Φe) ¢ k = 0 =)dQ
dt¢ k = 0 =)
dQzdt
= 0 =) Qz = Q0z = cost ,
152
comporta la conservazione della quantita di moto lungo l’asse z.
Analogamente, se il secondo membro della seconda equazione cardinale della dinamica ha
componente nulla lungo una direzione, ad esempio l’asse z, si ha
(Ωe(G) + Ψe(G)) ¢ k = 0 =)dKz(G)
dt= 0 =) Kz(G) = K0
z = cost ,
il che implica la conservazione del momento delle quantita di moto lungo l’asse z.
Consideriamo ora alcuni esempi.
— Il sistema solare, essendo (in buona approssimazione) un sistema isolato, cioe non sog-
getto a forze esterne, ha sia F e +Φe = 0, per cui Q = Q0, sia Ωe(G) + Ψe(G) = 0, da cui
K(G) = K0(G). Il primo integrale primo implica che il moto del baricentro del sistema
solare sia rettilineo uniforme (rispetto alle stelle fisse), il secondo che il piano passante per
G e normale a K0(G) conservi giacitura costante (sempre rispetto alle stelle fisse).
— Una persona ferma su un piano orizzontale liscio non puo muoversi parallelamente al
piano se non lanciando un oggetto. In tal caso, se M ed m sono le masse rispettivamente
della persona e dell’oggetto, e V e v le rispettive velocita dopo il lancio, essendo Q0 =
mv +MV = 0, si ha V = ¡mM
v.
— Il baricentro di un proiettile che scoppia (a causa di forze interne), nel vuoto (e quindi
in assenza di forze resistenti dovute al mezzo) continuerebbe a muoversi dopo lo scoppio
come se niente fosse accaduto.
— Si consideri una ballerina come un corpo rigido ruotante attorno ad un asse z verticale.
Poiche il peso e la reazione vincolare hanno momento assiale (lungo z) nullo, ne consegue
Kz = Cθ = Iz θ = cost. Cio significa che quando la ballerina apre le braccia, Iz aumenta
e θ diminuisce, mentre Iz diminuisce facendo aumentare θ quando la ballerina porta le
braccia in alto vicino all’asse.
6.18 Studio del moto e determinazione delle reazioni vincolari mediantele equazioni cardinali della Dinamica
Le equazioni cardinali (6.40) e (6.42) della Dinamica, che in generale comportano 6 equa-
zioni scalari indipendenti, permettono sempre di determinare il moto di un corpo rigido.
Infatti, se n e il numero di gradi di liberta del corpo, e sempre possibile ricavare dal sistema
delle 6 equazioni scalari n equazioni non contenenti le reazioni vincolari che costituiscono
le equazioni differenziali del moto del corpo.
153
Se il numero delle reazioni vincolari scalari e 6¡n, il che significa che non ci sono rea-
zioni ”superflue”, allora, dopo aver risolto il problema del moto, e possibile determinare
anche le reazioni vincolari. E importante sottolineare che un numero sovrabbondante di
reazioni vincolari scalari, sovrabbondante nel senso di maggiore rispetto a quello stretta-
mente necessario per realizzare i vincoli, in ogni caso impedisce solamente di determinare
completamente le reazioni vincolari, ma non di risolvere il problema del moto.
Si consiglia di rileggere attentamente il x5.1 e il x6.7, facendo per quest’ultimo le dovute
trasposizioni dal caso statico a quello dinamico. In vista dell’utilizzazione delle equazioni
cardinali della dinamica ai sistemi composti, si consiglia di rileggere anche il x6.10, nonche
il x6.11 per i problemi con attrito.
6.19 Principio di D’Alembert
Consideriamo un sistema meccanico costituito da N punti materiali (Ps,ms). Qualunque
siano i vincoli a cui esso e soggetto e qualunque sia il sistema delle forze attive che lo
sollecita, ciascun punto Ps si muove obbedendo alla legge di Newton. Valgono dunque
durante il moto le equazioni
msas = F s +Φs , s = 1, ..., N ,
che si possono anche scrivere
F s ¡msas +Φs = 0 , s = 1, ..., N . (6.47)
Interpretando ciascuno dei vettori ¡msas come una forza (ne ha le dimensioni), che chia-
meremo forza d’inerzia relativa al punto Ps, le (6.47) dicono quanto segue: durante il moto
di un qualunque sistema meccanico, in ogni istante le forze attive, le forze d’inerzia e le
reazioni vincolari si fanno equilibrio. Poiche le reazioni Φs rappresentano le azioni dei
vincoli, si puo anche dire che durante il moto di un qualunque sistema meccanico, in ogni
istante le forze attive e le forze d’inerzia si fanno equilibrio in virtu dei vincoli.
A questo enunciato si puo dare un’altra forma osservando che si puo scrivere
F s = msas + (F s ¡msas) , s = 1, ..., N .
In base a questa osservazione la forza attiva agente su ciascun punto Ps puo essere scom-
posta in due componenti: la prima, di vettore msas, rappresenta la forza che sarebbe
atta ad imprimere al punto Ps, qualora fosse libero, lo stesso moto che esso acquista sotto
l’azione combinata dell’intera forza F s e dei vincoli; la seconda componente, il cui vettore
154
e F s¡msas (e quindi somma dei vettori della forza attiva e della forza d’inerzia), rappre-
senta quella parte di F s che va perduta per compensare i vincoli. Cio giustifica il nome
di forze perdute che di solito si da alle componenti F s ¡msas.
Riprendendo ora le equazioni (6.47), riscritte in modo da evidenziare le forze perdute,
(F s ¡msas) + Φs = 0 , s = 1, ..., N ,
si puo enunciare il
Principio di D’Alembert: Durante il moto di un qualunque sistema meccanico, in ogni
istante le forze perdute e le reazioni vincolari si fanno equilibrio.
L’interesse del principio di D’Alembert consiste nel fatto che permette di ridurre ciascun
problema di dinamica ad un problema di statica: a tal fine basta sostituire alle forze attive
le forze perdute (o, equivalentemente, aggiungere alle forze attive le forze d’inerzia).
6.20 Equazioni di Lagrange
Dato un sistema a vincoli perfetti e bilaterali, ad n gradi di liberta e con parametri la-
grangiani qk, si puo dimostrare che valgono le seguenti equazioni di Lagrange:
d
dt
(∂T
∂qk
)¡
∂T
∂qk= Qk , k = 1, ..., n . (6.48)
Si tratta di un sistema di n equazioni differenziali del 2 ordine nelle n incognite qk(t), che
rappresentano le equazioni differenziali del moto del sistema. Osserviamo che per scriverle
occorre ricavare l’energia cinetica T = T (q,q) e le forze generalizzate Qk = Qk(q,q, t).
Associando poi alle equazioni (6.48) le condizioni iniziali fqk(0)g e fqk(0)g, e risolvendo il
corrispondente problema di Cauchy, si determina il moto del sistema meccanico.
Esempio: equazioni di Lagrange per un corpo rigido con asse fisso.
A titolo di esempio andiamo a calcolare l’equazione differenziale del moto di un corpo
rigido con un asse fisso. Sia θ, angolo di rotazione del corpo, il parametro lagrangiano.
Come abbiamo visto nel x6.14 (formula (6.36)), l’energia cinetica vale
T =1
2Iz θ
2 ,
con Iz momento d’inerzia del corpo rispetto all’asse fisso. Per poter scrivere l’equazione
di Lagrange serve la forza generalizzata Qθ, per ricavare la quale occorre scrivere il lavoro
infinitesimo dL delle forze attive.
155
Considerato un punto O1 del corpo appartenente all’asse, in virtu della formula (4.33),
tenendo poi conto che O1 e fisso, si ha
dL = F e ¢ dO1 +Ωe(O1) ¢ adθ = Ωe(O1) ¢ kdθ = Ωez(O1)dθ .
Dunque:
Qθ = Ωez ,
dove si e omessa l’indicazione del polo per l’indipendenza del momento assiale dalla scelta
del polo sull’asse. Pertanto, scrivendo l’equazione di Lagrange si had
dt
(Iz θ)= Ωez ,
e quindi, mettendo in evidenza i parametri da cui dipende il secondo membro,
Iz θ = Ωez(θ, θ, t) . (6.49)
6.21 Equazioni di Lagrange per un sistema conservativo
Se il sistema meccanico e conservativo, allora le forze generalizzate di Lagrange si ottengono
dal potenziale U = U(q1, q2, ..., qn) mediante le relazioni
Qk =∂U
∂qk, k = 1, ..., n .
Le equazioni di Lagrange diventano percio
d
dt
(∂T
∂qk
)¡
∂T
∂qk=
∂U
∂qk, k = 1, ..., n ,
e tenendo conto che∂U
∂qk= 0, si puo scrivere
d
dt
(∂T
∂qk+
∂U
∂qk
)¡
(∂T
∂qk+
∂U
∂qk
)= 0 , k = 1, ..., n ,
o, equivalentemente,
d
dt
(∂(T + U)
∂qk
)¡
∂(T + U)
∂qk= 0 , k = 1, ..., n .
Allora, definita la funzione L = T + U , le equazioni di Lagrange assumono la seguente
semplice formad
dt
(∂L
∂qk
)¡
∂L
∂qk= 0 , k = 1, ..., n . (6.50)
La funzione L e detta funzione di Lagrange, o piu semplicemente, Lagrangiana. Essa risulta
del tipo L = L(q,q), e riassume tutte le proprieta e le caratteristiche del sistema meccanico
conservativo in questione. Infatti, nota L ed assegnate le condizioni iniziali, le equazioni
(6.50) determinano il moto del sistema.
156
6.22 Pendolo fisico.
Definizione Si chiama pendolo fisico (o pendolo composto) un corpo rigido soggetto solo al
peso con un asse fisso ne baricentrico ne verticale. L’asse e detto asse di sospensione.
Sia α l’angolo che l’asse fisso Oz del pendolo forma con
la verticale ascendente, con O proiezione del baricentro
G sullo stesso asse. Allora G descrive una circonferenza
di centro O e raggio d = GO nel piano normale all’asse.
Assumiamo tale piano come piano xy, con Ox orizzontale
e Oy coincidente di conseguenza con la linea di massima
pendenza (verso ascendente).
Si tratta di scrivere l’equazione del moto, che come ab-
biamo visto e data dalla (6.49). A tal fine, indicato con
θ l’angolo fra il vettore G ¡ O e la direzione negativa
dell’asse y (in modo che a θ=0 corrisponde la posizione
d’equilibrio stabile del corpo), si ha
mg = ¡mg sinαj ¡mg cosαk ,
G¡O = d sin θi¡ d cos θj ,
Ωz = mg £ (O ¡G) ¢ k = ¡mgd sinα sin θ .
Indicato con Iz il momento d’inerzia rispetto all’asse fisso, l’equazione differenziale del
moto e
Iz θ = ¡mgd sinα sin θ . (6.51)
Posto poi ℓ =Izmd
e ω2 =mgd sinα
Iz=
g sinα
ℓ, si ritrova la (5.32), cioe l’equazione
di un pendolo semplice di lunghezza ℓ:
θ + ω2 sin θ = 0 .
Il pendolo fisico, avendo la stessa equazione del moto del pendolo semplice, da luogo agli
stessi moti di quest’ultimo. Naturalmente cio va inteso nel senso che ciascun punto del
corpo rigido (compreso il baricentro G) si muove come se fosse un pendolo semplice.
Osservazioni.
— Per α=0 l’asse e verticale e l’equazione (6.51) fornisce θ =0, che implica rotazione
uniforme oppure quiete. Chiaramente in questo caso il corpo non e piu un “pendolo”.
— Se l’asse e baricentrico si ha di nuovo θ =0, e quindi si ha ancora rotazione uniforme
oppure quiete.
— Se l’asse e baricentrico o verticale ogni posizione e d’equilibrio (equilibrio indifferente).
157
Bibliografia
Testi teorici:
Biscari Paolo, Tommaso Ruggeri, Saccomandi Giuseppe, Vianello Maurizio, Meccanica
Razionale per l’Ingegneria, Monduzzi.
Cercignani Carlo, Spazio Tempo Movimento, Zanichelli.
Fabrizio Mauro, La Meccanica Razionale e i suoi Metodi Matematici, Zanichelli.
Graffi Dario, Lezioni di Meccanica Razionale, Patron.
Eserciziari:
Bampi Franco, Benati Mauro e Morro Angelo, Problemi di Meccanica Razionale, ECIG.
Augusto Muracchini, Tommaso Ruggeri e Leonardo Seccia, Esercizi e Temi d’esame di
Meccanica Razionale, Esculapio.
158
Indice analitico
accelerazione, 35assoluta, 54centripeta (o normale), 36di Coriolis (o complementare), 55di gravita, 93di trascinamento, 55relativa, 54tangenziale, 36
ampiezza del moto, 37angoli di Eulero, 42angolo,
di nutazione, 42di precessione, 42di rotazione, 47di rotazione propria, 42angolo fra due vettori, 6
ascissa curvilinea, 31asse,
centrale di un sistema di forze, 87di figura, 65di istantanea rotazione, 47di precessione, 65elicoidale o di Mozzi, 49
assi,centrali d’inerzia, 29principali d’inerzia, 28
atto di moto, 45attrito, 111, 140
radente, 140volvente, 140
autovalori di una matrice, 28autovettori, 28
baricentro, 21, 93base, 58binormale, 33braccio, 83
di una coppia, 86
centro,delle forze parallele, 91di istantanea rotazione, 58di massa, 21
cerchio osculatore, 32cerniera,
piana, 140sferica, 140
cicloide, 60coefficienti d’attrito, 111, 141
componente di un vettore lungo una direzione, 13componenti cartesiane di un vettore, 11composizione,
degli stati cinetici, 51di due o piu forze, 89
condizioni iniziali, 106configurazione, 72
d’equilibrio di un punto, 109d’equilibrio di un sistema meccanico, 126di confine, 80interna, 80
coordinate lagrangiane, 75coppia,
d’attrito, 141di forze, 86
elastiche, 101corpo,
deformabile, 23omogeneo, 21rigido, 23, 40
costante,di gravitazione universale, 101elastica, 101
curvatura, 32curve polari, 58
decomposizione di un vettore, 5densita di massa, 21derivata,
di un punto, 18di un versore, 18di un vettore, 17
diagramma orario, 37differenza di due vettori, 4differenziale di un vettore, 17direzione di un vettore, 1divisione vettoriale, 14doppio prodotto vettoriale, 14
ellissoide d’inerzia, 26centrale, 29
energia,cinetica, 115, 146
di un corpo rigido (esempi), 148di un punto, 115di un sistema di punti, 146
meccanica totale, 116potenziale, 116
epiciclo, 60
159
equazione,della quantita di moto, 115differenziale, 38
del pendolo semplice, 119di Newton, 71, 106vettoriale del moto, 33
equazioni,cardinali della dinamica, 149cardinali della statica, 132cartesiane del moto di un punto, 33differenziali del moto, 106di Lagrange, 155
per un sistema conservativo, 156parametriche di base e rulletta, 61
equilibrio, 126dei sistemi conservativi, 129dei sistemi a vincoli perfetti, 128di un corpo rigido, 133
appoggiato in un punto ad un piano, 137con un asse fisso, 135
di un punto, 109appoggiato ad un piano liscio, 110libero, 110vincolato ad una curva liscia, 111vincolato ad un piano liscio, 110
indifferente, 130instabile, 130relativo, 123stabile, 130
fase iniziale, 37forma differenziale esatta, 99formula fondamentale della cinematica rigida, 44formule,
di Poisson, 43di trasformazione di coordinate, 53
forza, 68assoluta, 70, 123attiva, 81centrifuga, 124conservativa, 97costante, 100di Coriolis, 122di trascinamento, 122elastica, 101esterna, 81interna, 81Newtoniana, 101peso, 92, 125posizionale, 97resistente, 117risultante, 69, 88viscosa, 70
forze,d’inerzia, 154fittizie, 123generalizzate di Lagrange, 94perdute, 155
frequenza, 38funzione,
di Lagrange, 155potenziale, 98
geometria delle masse, 20glifo, 60grandezze,
scalari, 1vettoriali, 1
integrale generale, 38, 107integrale primo del moto,
di un punto, 118di un sistema materiale, 152
invariante,di un sistema di forze, 84di uno stato cinetico rigido, 46
ipociclo, 60isocronismo del pendolo, 121istante,
di arresto, 46iniziale, 106
Lagrangiana, 156lavoro,
finito, 95, 97infinitesimo reale, 94virtuale, 95
legge,dell’isocronismo del pendolo, 121del moto incipiente, 109di Newton, 71, 106oraria del moto, 34
leggi fondamentali della Meccanica, 70linea nodale, 42
massa, 20, 93matrice,
definita positiva, 26d’inerzia, 26
modulo di un vettore, 1momento,
assiale, 84centrifugo, 25della quantita di moto (o angolare), 117, 143
di un corpo rigido (esempi), 144di un punto, 117di un sistema di punti, 143
di deviazione, 25d’inerzia, 23
centrale , 29polare, 28principale, 28
di una coppia di forze, 86di una forza, 83risultante di un sistema di forze, 83
160
moto,cicloidale, 60di un corpo rigido, 149
con asse fisso, 155di precessione, 65di piroettamento, 67di puro rotolamento, 61, 67, 74di rotolamento, 67di strisciamento, 67piano, 57rispetto ad un suo punto, 64rotatorio, 49rototraslatorio, 50traslatorio, 46
di un punto, 106, 107accelerato, 37aperiodico con smorzamento critico, 38aperiodico smorzato, 38appoggiato ad un piano liscio, 108asintotico, 121circolare, 39diretto, 34libero, 106oscillatorio armonico, 37oscillatorio smorzato, 38periodico, 37, 121relativo, 121retrogrado, 34rettilineo, 36ritardato, 37rivolutivo, 121uniforme, 34, 36uniformemente vario, 37vincolato ad una curva liscia, 108vincolato ad un piano liscio, 107
epicicloidale, 60ipocicloidale, 60rigido piano, 57
normale principale, 32numero di gradi di liberta, 74nutazione, 42operazioni elementari sulle forze, 89ordine di un’equazione differenziale, 38oscillatore armonico, 114oscillazioni libere, 112
parametri lagrangiani, 75pattino, 77pendolo,
fisico (o composto), 157semplice (o ideale o matematico), 119
periodo, 37peso, 92
piano,orizzontale, 93osculatore, 32
piccole oscillazioni del pendolo semplice, 120polo,
delle accelerazioni, 63del momento della quantita di moto, 117del momento di una forza, 83
posizione d’equilibrio di un punto, 109postulato delle reazioni vincolari, 81potenza di una forza, 102potenziale, 98precessione, 42, 65principio,
d’azione e reazione, 71dei lavori virtuali, 127d’inerzia, 70di D’Alembert, 154
problema,di Cauchy, 106di cinematica relativa, 53di dinamica relativa, 121di statica relativa, 123staticamente determinato, 133
prodotto,d’inerzia, 25di un numero per un vettore, 2misto, 9scalare (o interno), 6vettoriale (o esterno), 8
profili coniugati, 59pulsazione, 37punto d’applicazione, 2, 68punto materiale, 20
quantita di moto,di un punto, 115di un sistema di punti, 142
raggio di curvatura, 32rappresentazione cartesiana dei vettori, 10reazione vincolare, 81
esterna, 82interna, 82
regola del cavatappi, 8relazioni di Coulomb per l’attrito, 111risultante, 83, 88rotazione propria, 42rotolamento senza strisciamento, 61, 67rulletta, 58scomposizione,
di una forza, 89di un vettore, 5
scorrimento di una forza, 89simmetria geometrico-materiale, 22
161
sistema,di forze, 83
conservativo, 98elementare, 86interne, 90parallele, 91
di riferimento,assoluto (o fisso), 53inerziale o Galileiano, 70mobile (o relativo), 53solare, 66stellare, 66terrestre-stellare, 66
sistema materiale, 71sistema meccanico, 71
conservativo, 129iperstatico, 134libero, 72olonomo, 76reonomo, 73scleronomo, 73vincolato, 72
sistemi equivalenti,di forze, 85di riferimento, 65
somma di vettori, 2spazio delle configurazioni, 76spostamento, 33
infinitesimo reale, 73invertibile, 79proibito, 79virtuale, 78
stato cinetico, 45elementare, 45elicoidale, 45, 49nullo, 45rigido, 46rotatorio, 45, 47traslatorio, 45
tensore d’inerzia, 26teorema,
della quantita di moto, 149delle forze vive (o dell’energia cinetica),
per un punto, 115per sistema di punti, 151
del momento della quantita di moto, 150del moto del baricentro, 149di composizione delle accelerazioni, 55di composizione delle velocita, 54di conservazione dell’energia,
per un punto, 116per un sistema, 152
teorema,di Coriolis, 55di Huyghens (o di Steiner), 24di Konig, 147di Mozzi, 49di riduzione per un sistema di forze, 89di Torricelli, 131
terna intrinseca, 33traiettoria di un punto, 33traiettorie polari, 58trasformazioni di Galileo, 66
velocita, 34angolare, 39, 47assoluta, 54di trascinamento, 55generalizzate, 75relativa, 54scalare, 34vettoriale, 34
verso di un vettore, 1versore, 1
normale, 33tangente, 32
verticale per un punto, 93vettore, 1
applicato, 2di una forza, 68libero, 1nullo, 1opposto, 2risultante, 3, 83spostamento, 33velocita angolare, 43
vettori,caratteristici di uno stato cinetico rigido, 46caratteristici di un sistema di forze, 83concordi, 2discordi, 2equipollenti, 1paralleli, 2
vincolo, 72bilaterale, 74esterno, 73finito, 74interno, 73liscio (o senza attrito), 82, 102perfetto (o ideale), 102reonomo (o mobile), 72scabro (o con attrito), 82scleronomo (o fisso o stazionario), 72unilaterale, 74
162