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Facciamo il punto sulla cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro e “left dominant cardiomyopathy” A cura di Massimo Zecchin La Cardiomiopatia Aritmogena del Ventricolo Destro (ARVC: Arrhythmogenic Right Ventricular Cardyopathy), nota anche come Displasia Aritmogena del Ventricolo Destro è una patologia cardiaca ereditaria che colpisce prevalentemente il ventricolo destro. È caratterizzata dalla progressiva perdita del tessuto miocardico e dalla sua sostituzione con tessuto fibro-adiposo ed è una delle principali cause di arresto cardiaco nei giovani e negli atleti. La prima descrizione risale al 1965 (Dalla Volta S et al. Arch Mal Coeur Vaiss 1965; 58:1129-43), ma la patologia è stata caratterizzata solo nel 1982 (Marcus et al. Circulation 1982; 65:384-98). Inizialmente fu utilizzato il termine “displasia”; si riteneva infatti che alla base della patologia vi fosse un difetto congenito nello sviluppo del miocardio ventricolare destro. Successivamente si dimostrò una base genetica, fatto che portò al suo riconoscimento e inclusione nella classificazione delle cardiomiopatie dall'American Heart Association. Considerato il più recente riscontro di forme con interessamento biventricolare o prevalente ventricolare sinistro, è sempre più diffusa l’espressione “Cardiomiopatia Aritmogena”, per racchiudere tutte le espressioni fenotipiche della malattia. Le alterazioni genetiche consistono in mutazioni a livello dei geni codificanti per le proteine dei dischi intercalari, le proteine regolanti la concentrazione di calcio, i fattori della crescita ed altri geni strutturali. Tuttavia, in circa il 50% dei soggetti può non essere identificata alcuna mutazione. Epidemiologia La prevalenza della patologia si aggira attorno ad 1: 5000 (1: 2000 in alcuni paesi europei, come in Germania e Italia). La ARVC è una malattia post-puberale (nella maggior parte dei casi diagnosticata tra i 20 ed i 50 anni di età), con espressione fenotipica più comune nei maschi (2-3:1) ed è la principale causa di morte nei giovani atleti, quantomeno in Italia. Patogenesi Caratteristica peculiare è la perdita progressiva del tessuto miocardico ventricolare destro con infiltrazione fibro-adiposa, dilatazione segmentaria e formazione di aneurismi nella classica regione del "triangolo della displasia" delimitato dalla parete inferiore (regione sub-tricuspidale), il tratto infundibolare e l’apice del ventricolo destro, con risparmio della regione settale. La possibilità di un interessamento del ventricolo sinistro anche in assenza di lesioni macroscopiche è stata descritta fin dagli anni ‘90. La “Left-dominant Cardiomyopathy” è tuttavia una forma distinta dalla ARVC, caratterizzata dal coinvolgimento iniziale del ventricolo sinistro con funzione ventricolare destra conservata. La “Cardiomiopatia Aritmogena Biventricolare” è caratterizzata invece da un coinvolgimento precoce di entrambi i ventricoli, progressiva disfunzione sistolica, dilatazione biventricolare ed aritmie provenienti da entrambi i ventricoli già in fase precoce. È stato suggerito che la porzione posterolaterale basale del ventricolo sinistro dovrebbe essere inclusa nel “triangolo della displasia”, comprendendo così le forme “left dominant” o biventricolari di sinistra. Anche in queste forme, tuttavia, le aritmie ad origine ventricolare sinistra sono più rare. In base alla predominanza di tessuto fibroso o adiposo sono state descritte varie forme istologiche. L’infiltrazione adiposa, tuttavia, non è criterio necessario per la diagnosi istologica, mentre sono frequenti gli infiltrati infiammatori, linfocitari o istiocitari, la necrosi focale e i segni di apoptosi. L’associazione tra la ARVC ed i segni clinici e istologici di miocardite non è così rara, suggerendo una qualche relazione tra le due condizioni.

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Page 1: A cura di Massimo Zecchin - ANMCO · Facciamo il punto sulla cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro e “left dominant cardiomyopathy” A cura di Massimo Zecchin La Cardiomiopatia

Facciamo il punto sulla cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro e “left dominant cardiomyopathy”

A cura di Massimo Zecchin

La Cardiomiopatia Aritmogena del Ventricolo Destro (ARVC: Arrhythmogenic Right Ventricular Cardyopathy), nota anche come Displasia Aritmogena del Ventricolo Destro è una patologia cardiaca ereditaria che colpisce prevalentemente il ventricolo destro. È caratterizzata dalla progressiva perdita del tessuto miocardico e dalla sua sostituzione con tessuto fibro-adiposo ed è una delle principali cause di arresto cardiaco nei giovani e negli atleti. La prima descrizione risale al 1965 (Dalla Volta S et al. Arch Mal Coeur Vaiss 1965; 58:1129-43), ma la patologia è stata caratterizzata solo nel 1982 (Marcus et al. Circulation 1982; 65:384-98). Inizialmente fu utilizzato il termine “displasia”; si riteneva infatti che alla base della patologia vi fosse un difetto congenito nello sviluppo del miocardio ventricolare destro. Successivamente si dimostrò una base genetica, fatto che portò al suo riconoscimento e inclusione nella classificazione delle cardiomiopatie dall'American Heart Association. Considerato il più recente riscontro di forme con interessamento biventricolare o prevalente ventricolare sinistro, è sempre più diffusa l’espressione “Cardiomiopatia Aritmogena”, per racchiudere tutte le espressioni fenotipiche della malattia. Le alterazioni genetiche consistono in mutazioni a livello dei geni codificanti per le proteine dei dischi intercalari, le proteine regolanti la concentrazione di calcio, i fattori della crescita ed altri geni strutturali. Tuttavia, in circa il 50% dei soggetti può non essere identificata alcuna mutazione.

Epidemiologia La prevalenza della patologia si aggira attorno ad 1: 5000 (1: 2000 in alcuni paesi europei, come in Germania e Italia). La ARVC è una malattia post-puberale (nella maggior parte dei casi diagnosticata tra i 20 ed i 50 anni di età), con espressione fenotipica più comune nei maschi (2-3:1) ed è la principale causa di morte nei giovani atleti, quantomeno in Italia.

Patogenesi Caratteristica peculiare è la perdita progressiva del tessuto miocardico ventricolare destro con infiltrazione fibro-adiposa, dilatazione segmentaria e formazione di aneurismi nella classica regione del "triangolo della displasia" delimitato dalla parete inferiore (regione sub-tricuspidale), il tratto infundibolare e l’apice del ventricolo destro, con risparmio della regione settale. La possibilità di un interessamento del ventricolo sinistro anche in assenza di lesioni macroscopiche è stata descritta fin dagli anni ‘90. La “Left-dominant Cardiomyopathy” è tuttavia una forma distinta dalla ARVC, caratterizzata dal coinvolgimento iniziale del ventricolo sinistro con funzione ventricolare destra conservata. La “Cardiomiopatia Aritmogena Biventricolare” è caratterizzata invece da un coinvolgimento precoce di entrambi i ventricoli, progressiva disfunzione sistolica, dilatazione biventricolare ed aritmie provenienti da entrambi i ventricoli già in fase precoce. È stato suggerito che la porzione posterolaterale basale del ventricolo sinistro dovrebbe essere inclusa nel “triangolo della displasia”, comprendendo così le forme “left dominant” o biventricolari di sinistra. Anche in queste forme, tuttavia, le aritmie ad origine ventricolare sinistra sono più rare. In base alla predominanza di tessuto fibroso o adiposo sono state descritte varie forme istologiche. L’infiltrazione adiposa, tuttavia, non è criterio necessario per la diagnosi istologica, mentre sono frequenti gli infiltrati infiammatori, linfocitari o istiocitari, la necrosi focale e i segni di apoptosi. L’associazione tra la ARVC ed i segni clinici e istologici di miocardite non è così rara, suggerendo una qualche relazione tra le due condizioni.

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L’ARVC è causata generalmente da mutazioni di geni che codificano proteine dei dischi intercalari, in particolare proteine desmosomiali. I desmosomi sono responsabili dell’adesione cellulare e sono fondamentali nel mantenere l’integrità strutturale delle cellule dei tessuti sottoposti a trazione meccanica. I complessi desmosomiali comprendono proteine transmembrana come la desmocollina 2 (DSC2), la desmogleina (DSG2), la desmoplachina (DSP), le plakoglobine (JUP) e la plakofillina-2 (PKP2) (Figura 1).

Figura 1 - Mutazioni genetiche nella Cardiomiopatia Aritmogena. Abbreviazioni: Plakophilin-2(PKP2); Desmogleina-2(DSG2); Desmoplakina (DSP); Desmocollina-2(DSC2); Pakoglobina (JUP); Alpha-T-catenina (CTNNA3); N-cadherina (CDH2); LUMA(TMEM43); Lamin A/C (LMNA); Desmina (DES); Titina (TTN); Phospholambano (PLN); Recettore della ryanodina tipe2 (RYR2); Nav1.5 (SNC5A); P63(TP63) TGF-beta3 (TGFB3). Bennett RG, et al. Arrhythmogenic Cardiomyopathy in 2018: ARVC/ALVC or both? Heart, Lung and Circulation (2018), https://doi.org/10.1016/j.hlc.2018.10.013

Circa l’80% delle mutazioni rilevate sono a carico della plakofillina, della desmoplachina e della desmogleina. Tali mutazioni portano ad alterazioni della struttura desmosomiale e di conseguenza ad un rimodellamento dei dischi intercalari, della stabilità meccanica e della connessione elettrica intercellulare. Vi sono inoltre alterazioni dei segnali nucleari e dell’attività di trascrizione, con incremento dell’espressività di geni adipogenici e fibrogenici. La presenza di tessuto fibro-adiposo determina zone di conduzione rallentata, substrato alla base dei circuiti di rientro delle aritmie. Le alterazioni delle proteine desmosomiali possono determinare, inoltre, modificazioni della cinetica dei canali del sodio (quindi dell’eccitabilità cellulare) e della funzione di proteine della “gap junction” come la connessina 43. Le alterazioni possono essere favorite dallo stress meccanico, come in corso di attività fisica, accelerando la progressione della malattia. La trasmissione ereditaria è generalmente autosomica dominante, con bassa penetrazione (circa 1/3 dei portatori soddisfano i criteri per la diagnosi di malattia). Come già accennato tuttavia, alterazioni geniche sono identificabili, attualmente, in poco più dei 50% di pazienti. Le mutazioni della plakofillina sono di gran lunga le più frequenti e sono associate alla classica espressione della ARVC, mentre le alterazioni della desmoplachina possono determinare un fenotipo variabile (forme classiche, forme prevalentemente sinistre o biventricolari), talora a rischio aritmico particolarmente elevato. Le alterazioni della desmogleina sono spesso associate a disfunzione biventricolare con rischio più elevato di progressione verso un quadro di scompenso cardiaco severo. Multiple alterazioni geniche possono essere presenti nel 20% dei soggetti, spesso accompagnate ad un fenotipo più severo. Sono state descritte, inoltre, mutazioni non desmosomiali,

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in particolare a carico di geni delle proteine della membrana nucleare (come la lamina), o dei canali del sodio (SCN5A), con fenotipi di “overlapping” tra la ARVC e la Sindrome di Brugada.

Presentazioni clinica L’ARVC può presentarsi in diverse fasi di evoluzione. Nelle forme iniziali è asintomatica, con alterazioni strutturali minime o non evidenti. Anche in questa fase, tuttavia, la morte improvvisa può essere la prima manifestazione clinica. In una fase più avanzata vi possono essere alterazioni prevalentemente di tipo “elettrico”, con palpitazioni od episodi sincopali, extrasistoli ventricolari, iniziali alterazioni ECG (p. es inversione delle T nelle derivazioni precordiali) ed alterazioni morfologiche a carico del ventricolo destro. Le aritmie ventricolari hanno classicamente una morfologia tipo blocco di branca sinistra (BBS), talora poco distinguibili dalle forme benigne di aritmie infundibolari. Particolarmente suggestive di ARVC possono essere le aritmie con asse elettrico diretto superiormente o con morfologia tipo blocco di branca destra (BBD), quest’ultime caratteristiche delle forme biventricolari o “left dominant”. Nelle forme più avanzate può evidenziarsi una disfunzione destra, sinistra o biventricolare a seconda del fenotipo.

Diagnosi Per uniformare la diagnosi di ARVC nel 1994 una Task Force Internazionale ha proposto di utilizzare uno score sulla base di criteri diagnostici, valutati in forma qualitativa. Tali criteri sono stati successivamente modificati nel 2010, comprendendo parametri in forma maggiormente quantitativa combinati in varie categorie: anomalie della depolarizzazione o della ripolarizzazione all’ECG, presenza di aritmie ventricolari, alterazioni morfologiche, funzionali o istopatologiche, storia familiare e genetica. I criteri sono classificati come maggiori e minori e la loro diversa combinazione stabilisce la diagnosi come "certa", “borderline” o “possibile” (Tabella 1). La diagnosi è considerata certa in presenza di 2 criteri maggiori, 1 maggiore e 2 minori oppure 4 minori di diverse categorie; la diagnosi è considerata borderline in presenza di 1 criterio maggiore e 1 minore o 3 criteri minori da diverse categorie e la diagnosi è classificata come possibile in presenza di 1 o 2 criteri minori di diverse categorie.

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Dominio Criteri Maggiori Criteri Minori

Storia familiare ARVC Confermata in un parente di 1° grado Storia di ARVC in un parente di 1° grado senza conferma dei criteri della Task Force

ARVC Confermata all’autopsia o chirurgia di in un parente di 1° grado

Morte improvvisa in età < 35 anni per sospetta ARVC

Mutazioni patogene di un gene associato a ARVC

ARVC Confermata all’autopsia o dai criteri della Task Force in un parente di 2° grado

Anomalie ECG Onde epsilon (V1 – V3) ≥ 1 criterio positivo per potenziali tardivi in assenza di QRS ≥ 110 msec

Onde T invertite in V1-V3 o oltre in soggetti di età > 14 anni e in assenza di blocco di branca destro con QRS ≥ 120 msec

Durata porzione terminale del QRS (tra il nadir dell’onda S e la fine del QRS, compresa onda R’ in V1-V3 in assenza di blocco di branca destra) ≥55 msec

Onde T invertite in V1-V2 in soggetti di età > 14 anni e in assenza di blocco di branca destro oppure in V4-V6

Onde T invertite in V1-V4 in soggetti di età > 14 anni in presenza di blocco di branca destro completo

Aritmie TVs o TVns con morfologia tipo BBS ed asse superiore (negativo in II, III, aVF e positivo in aVL)

TVs o TVns con morfologia tipo BBS ed asse inferiore (positivo in II, III, aVF e negativo in aVL) o di asse non determinabile

Almeno 500 BEV/24 h al monitoraggio Holter

Anomalie funzionali globali o segmentarie Ecocardiografia Acinesia o discinesia segmentaria o

aneurisma ventricolare destro in associazione a:

Acinesia o discinesia segmentaria ventricolare destro in associazione a:

Diametro telediastolico dell’infundibolo ventricolare destro ≥32 mm (≥19 mm/m2) in parasternale long-axis

Diametro telediastolico dell’infundibolo ventricolare destro ≥36 mm (≥21 mm/m2) in parasternale short-axis

Diametro telediastolico dell’infundibolo ventricolare destro in parasternale long-axis compreso tra 29 e 32 mm (16 e 19 mm/m2)

Diametro telediastolico dell’infundibolo ventricolare destro in parasternale short-axis compreso tra 32 e 36 mm (19 e 21 mm/m2)

Frazione di accorciamento delle aree del ventricolo destro ≤33%

Frazione di accorciamento delle aree del ventricolo destro compre tra 33 e 40%

Risonanza Magnetica Nucleare Acinesia o discinesia segmentaria o contrazione dissincronia ventricolare destra in associazione a:

Acinesia o discinesia segmentaria ventricolare destra in associazione a:

Volume telediastolico del ventricolo destro ≥110 mL/m2 (maschi) o ≥100 mL/m2 (femmine)

Volume telediastolico del ventricolo destro compreso tra 100 e 110 mL/m2 (maschi) o tra 90 e 100 mL/m2 (femmine)

Frazione d’eiezione ventricolare destra ≤40%

Frazione d’eiezione ventricolare destra compresa tra 40 e 45%

Angiografia Acinesia o discinesia segmentaria o aneurisma ventricolare destro

Caratterizzazione tissutale Miociti residui <60% all’analisi morfometrica (<50% se stimato) con sostituzione fibrosa

della parete miocardica (1 campione) con o senza sostituzione adiposa alla biopsia endomiocardica

Miociti residui 60-75% all’analisi morfometrica (50-65% se stimato) con sostituzione fibrosa

della parete miocardica (1 campione) con o senza sostituzione adiposa alla biopsia endomiocardica

Tabella 1 - Criteri diagnostici di ARVC (adattata da Marcus FI, McKenna WJ, Sherrill D, et al. Diagnosis of arrhythmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia: proposed modification of the Task Force criteria. Eur Heart J 2010;31: 806–14). La diagnosi è considerata certa in presenza di 2 criteri maggiori, 1 maggiore e 2 minori oppure 4 minori di diverse categorie; la diagnosi è considerata borderline in presenza di 1 criterio maggiore e 1 minore o 3 criteri minori da diverse categorie e la diagnosi è classificata come possibile in presenza di 1 o 2 criteri minori di diverse categorie.

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Elettrocardiogramma L’elettrocardiogramma (ECG) è il primo esame strumentale, spesso fondamentale nell’indirizzare la diagnosi nei pazienti con ARVC. Per una corretta interpretazione è fondamentale innanzitutto una corretta impostazione dell’elettrocardiografo. In particolare, la sensibilità può essere migliorata modificando i filtri passa-basso da 40 Hz (che potrebbero non rilevare segnali “frammentati” o “onde epsilon”) a 100 o 250 Hz. Può essere utile, inoltre, la doppia amplificazione ed un’aumentata velocità di scorrimento (a 50 mm/sec). Le alterazioni ECG, in particolare nelle derivazioni precordiali, dipendono dall'estensione e dalla localizzazione della malattia. I criteri ECG inclusi nella Task Force del 2010 comprendono:

1. l’inversione delle onde T nelle derivazioni precordiali; 2. la presenza di onde “epsilon” (potenziali tardivi tra la fine del complesso QRS e l'inizio

dell'onda T); 3. un prolungamento della parte terminale del QRS (intervallo nadir-fine dell’onda S>55 msec).

Tali alterazioni possono non essere presenti nel 30% dei pazienti. Possono essere presenti tuttavia altre anomalie aspecifiche, come alterazioni del tratto ST o “frammentazione” del QRS. L’inversione dell'onda T nelle derivazioni precordiali destre (fino a V3) è presente nella maggior parte dei pazienti adulti con ARVC, è correlata con l’entità della dilatazione ventricolare destra e può estendersi alle derivazioni sinistre con il passare degli anni. Vanno tuttavia escluse altre condizioni, fisiologiche o patologiche, associate all’inversione dell’onda T. Tale reperto nelle derivazioni destre può infatti essere presente nei giovani atleti (in particolare di etnia afrocaraibica), nella cardiopatia ischemica, nell’embolia polmonare acuta e nel blocco di branca destro. L’inversione dell’onda T nelle derivazioni inferiori è invece associata alla forma “left dominant”. Le alterazioni a carico del QRS (potenziali epsilon, onda S allargata, frammentazione del QRS, blocco di branca destra atipico) generalmente riflettono l’entità della cicatrice e del rallentamento della conduzione nel ventricolo destro. In particolare i “potenziali epsilon” corrispondono ad una rallentata attivazione epicardica perivalvolare, lo slargamento dell’onda S una rallentata attivazione endocardica perivalvolare e dell’infundibolo destro.

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a)

b)

c)

F Figura 2 - a) ECG in paziente con ARVC. Presenza di inversione dell’onda T da V1 a V3 ed onda epsilon in V1. Li KHC, Bazoukis G, Liu T et al: Arrhythmogenic right ventricular cardiomyopathy/dysplasia (ARVC/D) in clinical practice. Journal of Arrhythmia. 2018; 34:11–221. b) ECG in paziente con ARVC (mutazione PK2-P). Presenza di inversione dell’onda T da V1 a V6 ed onda epsilon in V1. Bennett RG, et al. Arrhythmogenic Cardiomyopathy in: ARVC/ALVC or both? Heart, Lung and Circulation (2018), https://doi.org/10.1016/j.hlc.2018.10.013. c) intervallo nadir-fine dell’onda S>55 msec

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Un’ulteriore possibilità di analisi dell’ECG è data dalle tecniche di “signal averaging” (saECG). Con particolari elettrocardiografi viene calcolata la media di complessi QRS ripetuti più volte e filtrati da rumori esterni per identificare eventuali micropotenziali alla fine del complesso QRS. I potenziali tardivi rappresentano anomalie della depolarizzazione e sono considerati tra i criteri minori nella Task Force del 2010 e sono presenti se almeno uno tra i seguenti criteri è soddisfatto: 1. Durata QRS filtrato: ≥114 ms 2. Durata della porzione terminale del QRS di ampiezza <40 microV: ≥38 ms 3. Media quadratica (Root Mean Square) dei 40 msec terminali del QRS: ≤ 20 microV

Figura 3 - Potenziali tardivi al saECG (https://www.medscape.com/viewarticle/498411_3)

Aritmie Le aritmie ventricolari nella ARVC hanno generalmente una morfologia tipo blocco di branca sinistra (BBS) ed includono battiti ectopici ventricolari (BEV), tachicardie ventricolari non sostenute (TVns), tachicardie ventricolari sostenute (TVs) e fibrillazione ventricolare (FV). Nelle fasi più avanzate le aritmie sono dovute generalmente a circuiti di rientro causati dalla conduzione rallentata in presenza di fibrosi miocardica ed alterazioni delle giunzioni intercellulari. Nelle fasi più precoci le aritmie possono essere dovute ad aumentato automatismo in corso di stimolazione adrenergica (durante esercizio), mentre la differente durata del potenziale d'azione a livello epicardico, intramurale ed endocardico può favorire TV polimorfe. Le aritmie ventricolari sono considerate criterio maggiore in presenza di morfologia tipo BBS ed asse superiore. TVns o TVs con asse diverso o sconosciuto sono considerati criteri minori, così come la presenza di ≥ 500 BEV/24 h (indipendentemente dalla morfologia). La FV è piuttosto rara nei pazienti con ARVC di lunga durata, nei quali sono più frequenti le TVs emodinamicamente stabili, legate all’elevata componente fibrosa. In presenza di aritmie ventricolari con morfologia tipo BBS ed asse inferiore la diagnosi differenziale con le aritmie ventricolari benigne può essere complessa. I parametri maggiormente sensibili sono una durata del QRS ≥ 120 msec in I, la transizione tardiva (in V6), la presenza di “incisure” nel complesso QRS. Lo studio elettrofisiologico non fa parte generalmente dell’iter diagnostico della ARVC, se non nel contesto di un’ablazione transcatetere o nella diagnosi differenziale delle tachicardie a QRS largo.

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a)

b)

Figura 4 - a) ECG durante TVs in paziente con ARVC. Morfologia della TV tipo BBS con asse superiore. Li et al Journal of Arrhythmia. 2018; 34:11–22 b) ECG durante TV durante sforzo in paziente con ARVC. Morfologia della TV tipo BBS con asse inferiore, transizione tardiva, QRS largo e presenza di incisure nei complessi QRS (dati personali)

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Imaging Le tecniche di imaging svolgono un ruolo fondamentale nella diagnosi e follow-up dei pazienti con ARVC. In particolare, è possibile identificare e valutare le anomalie di morfologia e contrazione dei ventricoli, la frazione d’eiezione ed eventualmente la presenza di infiltrato fibro-adiposo. Le tecniche più utilizzate sono l’Ecocardiografia e la Risonanza Magnetica Nucleare, mentre molto meno utilizzata rispetto al passato è la ventricolografia in corso di angiografia. Problematica comune delle metodiche è la difficoltà nello standardizzare i parametri diagnostici e l’elevata soggettività nel definire le anomalie della cinetica, in particolare del ventricolo destro. L’ecocardiogramma è il primo esame di imaging e consente una valutazione quantitativa della dilatazione e disfunzione ventricolare destra, nonché la valutazione delle alterazioni della cinetica segmentaria, definite come acinesia segmentaria, discinesia o dissincronia. L’entità dei riscontri definisce la presenza di criteri minori o maggiori per la diagnosi di ARVC. Tali criteri, pur estremamente specifici, sono tuttavia scarsamente sensibili, in particolare nelle fasi precoci della malattia. Alcune alterazioni strutturali, come un’accentuata trabecolatura e l’ispessimento della banda moderatrice, inoltre, sono scarsamente specifiche, essendo presenti per esempio frequentemente negli atleti. Nuove tecniche ecocardiografiche, come l’ecografia 3D o lo speckle-tracking potrebbero incrementare la sensibilità della metodica, soprattutto nelle fasi precoci. La Risonanza Magnetica (RM) va considerata come metodica di imaging di terzo livello. Grazie all’elevata risoluzione spaziale e temporale rappresenta il gold standard per la valutazione della morfologia, volumi, spessori, massa, cinetica segmentaria e globale dei ventricoli. Ha il grande vantaggio inoltre della caratterizzazione tissutale, essendo in grado di identificare la presenza di tessuto fibroso e/o adiposo. Sebbene i criteri diagnostici proposti dalla Task Force nel 2010 considerino solamente la dilatazione, la disfunzione e le anomalie della cinetica regionale del ventricolo destro recenti dati di letteratura suggeriscono l’importanza della caratterizzazione tissutale in termini diagnostici e prognostici. Vanno segnalati comunque alcuni limiti legati alla risoluzione spaziale a livello della parete del ventricolo destro, particolarmente sottile e alla non specificità del reperto di sostituzione fibro-adiposa, presente anche in numerose altre condizioni patologiche (cardiopatia ischemica, miocardite, sarcoidosi, ecc). Valore aggiunto della RM è la capacità di identificare il coinvolgimento ventricolare sinistro, riscontro a significato prognostico negativo. L’estensione subepicardica/intramiocardica della sostituzione fibro-adiposa, infatti, può rendere ragione della normalità delle dimensioni, della funzione e della cinetica segmentaria segmentaria del ventricolo sinistro valutate con altre metodiche di imaging, soprattutto nelle fasi iniziali di malattia. In un recente lavoro di Aquaro et al. sono stati studiati con RM 175 pazienti (52 con diagnosi definita, 50 con diagnosi borderline, 73 con diagnosi possibile). In un follow-up mediano di 4 anni, 35 pazienti hanno manifestato un evento maggiore (morte cardiaca improvvisa, arresto cardiaco rianimato, shock appropriato di ICD), 34 dei quali presentavano reperti RM anormali in termini di dilatazione, disfunzione e anomalie della cinetica biventricolare, infiltrazione adiposa e presenza di late gadolinium enhancement (LGE). Il riscontro di anomalie della caratterizzazione tissutale del ventricolo sinistro (infiltrazione adiposa e LGE), inoltre, era predittore indipendente di eventi nella popolazione globale (HR 3.69, 95%IC 1.57-8.65, p=0.0002) e nel sottogruppo con diagnosi definita (HR 3.03, 95%IC 1.15-8.02, p=0.02). Una RM normale, al contrario, si associava ad un elevato valore predittivo negativo (96,9%) nei confronti di eventi clinici maggiori.

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Istopatologia La diagnosi definitiva si basa sulla dimostrazione istologica di sostituzione di fibro-adiposa transmurale del ventricolo destro in corso di biopsia, autopsia o intervento chirurgico. Tale valutazione non è naturalmente possibile o necessaria nella maggior parte dei pazienti; l’utilizzo della biopsia endomiocardiaca è limitato 1) dall’impossibilità di una valutazione transmurale; 2) dall’elevato rischio di perforazione in corso di biopsia a livello della parete libera ventricolare destra, in particolare nelle regioni più assottigliate; 3) dalla natura segmentaria della patologia, con elevato rischio di falsi negativi, in particolare a livello del setto interventricolare, sede di prelievo preferita per il minor rischio di complicanze. La biopsia endomiocardica può avere un ruolo soprattutto nella diagnosi differenziale con altre patologie, come la miocardite, la sarcoidosi, ecc.

Stratificazione prognostica I dati relativi alla stratificazione prognostica nei pazienti con ARVC sono in gran parte provenienti da studi di singoli Centri e piccoli registri multicentrici. Indicazioni definitive potrebbero derivare da larghi studi randomizzati sull’efficacia dei trattamenti, in particolare il defibrillatore impiantabile (ICD), ma è improbabile che tali studi vengano realizzati a causa della rarità della patologia e dell’eterogenea presentazione clinica. I fattori di rischio per aritmie ventricolari sostenute o morte improvvisa (SD) sono legati a 1) storia precedente di aritmie ventricolari sostenute 2) estensione delle alterazioni strutturali 3) grado di instabilità elettrica 4) storia di sincopi 5) età non avanzata 6) sesso maschile 7) tipo di mutazione genica 8) entità dell’esercizio fisico. I dati sono tuttavia contrastanti. In uno studio multicentrico su 88 pazienti non trattati con ICD seguiti per una media di 9,1 ± 7,7 anni ci sono stati 12 decessi (14%). Non è stata evidenziata nessuna relazione tra la mortalità e la storia di sincope, il sesso maschile, l’età, l’inducibilità allo studio elettrofisiologico e le anomalie ECG (inversione dell'onda T, durata QRS) e uso di β-bloccanti, mentre è stata osservata una correlazione tra la storia di TVs e TVns e la funzione ventricolare sinistra. Non sono stati registrati peraltro eventi fatali tra i pazienti senza storia di aritmie ventricolari sostenute. Pur essendo stato ritenuto, in passato, che la presenza di TVs emodinamicamente stabili fosse correlata ad una bassa probabilità di SD, dati recenti concordano nell’ identificare i pazienti con TVs, indipendentemente dalla stabilità emodinamica, come a rischio sufficientemente elevato da suggerire l’impianto di ICD. Una recente meta-analisi su 45 studi pubblicati tra il 1999 ed il 2017 ha dimostrato un rischio di eventi aritmici pari al 10,6%/anno (range 3.0-30.1%), nei pazienti con diagnosi di ARVC certa, 10%/anno (range 6.3-13.1%) nei pazienti con diagnosi “borderline” e 3.7%/anno (range 1.0-6.4%) nei pazienti con sola mutazione genica. La giovane età è risultata significativamente associata ad un rischio più elevato di eventi soltanto in 2 dei 23 studi analizzati, mentre negli altri lavori, utilizzando sia un valore continuo che un cut-off di 35 anni non sono emerse differenze significative; il sesso maschile era associato ad un rischio più elevato in presenza di malattia certa (HR 1.83, 95%CI 1.41-2.37), così come la storia di sincope non spiegata (HR 3.67; 95%CI 2.75-4.90). I dati nei pazienti con malattia borderline, pur con un trend analogo, non hanno raggiunto la significatività statistica. Tutti gli studi che hanno analizzato l’effetto dell’esercizio fisico strenuo hanno confermato la sua associazione con un maggior rischio di aritmie, sia nei pazienti con patologia certa (HR 2.90; 95%CI 1.14-7.38), che borderline (HR 1.99; 95%CI 1.21-3.28); nei portatori asintomatici di anomalie genetiche la riduzione dell’esercizio si è dimostrata protettiva (OR 0.05; 95%CI 0.003-0.67 di sviluppare aritmie ventricolari). La storia familiare di morte improvvisa (in età < 35 anni) non è invece risultata associata ad un rischio significativo in 9/10 dei studi in cui è stata analizzata, sia nei

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pazienti con diagnosi certa (HR 1.25, 95%CI 0.86-1.8), che borderline (HR 1.21; 95%CI 0.39-3.80). Non vi sono dati sufficienti per definire il significato prognostico delle alterazioni geniche, anche se la presenza di mutazioni multiple o alterazioni non associate a geni codificanti proteine desmosomiali sembra a rischio più elevato (anche se piuttosto rara). Le anomalie ECG hanno dimostrato dati contrastanti, poiché la presenza di inversione dell’onda T oltre V3 e nelle derivazioni inferiori si è dimostrata associata ad un rischio maggiore di eventi, mentre l’inversione fino a V3 non sembra essere predittiva. Non vi sono dati conclusivi sul significato di altre anomalie ECG caratteristiche della ARVC, come la presenza di onde epsilon, lo slargamento della porzione terminale dell’onda S o la presenza di potenziali tardivi, mentre la frammentazione del QRS è stata identificata come un fattore di rischio nei tre studi in cui è stata analizzata, con un HR 8.54 (95%CI 3.65-15.42) nei pazienti con diagnosi certa e 1,76 (95%CI 1,01-3,06) nei pazienti diagnosi borderline. Per quanto riguarda le aritmie ventricolari, la presenza di >500 BEV/24h sembra essere associata ad un rischio più elevato, così come la presenza di TVns (HR 1.43; 95%CI 1.10-2.15) e TVs (HR 2.05; 95%CI 1.08-3.88). Interessante invece osservare come l’inducibilità di aritmie allo studio elettrofisiologico si sia dimostrata predittiva di aritmie sostenute spontanee nei pazienti con diagnosi borderline (HR 3.24; 95%CI 1.95-5.39) ma non nei pazienti con diagnosi certa (HR 1.02; 95%CI 0.39-2.64). Per quanto riguarda le anomalie morfo-funzionali, una ridotta frazione d’eiezione del ventricolo destro sembra essere ai limiti della significatività nel predire eventi aritmici (HR per riduzione della frazione d’eiezione del 5%: 1.89; 95%CI 0.90-3.99), così come la ridotta frazione d’accorciamento delle aree ventricolari destre (HR per riduzione del 5%: 1.25; 95%CI 0.89-1.15). Le alterazioni segmentarie del ventricolo destro sembrano essere associati ad un incremento di rischio ai limiti della significatività statistica, così come la disfunzione ventricolare sinistra, con un HR per riduzione del 5% della frazione d’eiezione del ventricolo sinistro pari a 1.16 (95%CI 0.87-1.54) nei pazienti con diagnosi certa e 1.05 (95%CI 0.93-1.19) nei pazienti con diagnosi borderline. In sintesi, i dati di letteratura sembrano suggerire che nei pazienti con ARVC certa i fattori di rischio maggiormente significativi siano la storia di sincope non spiegata, alcune anomalie ECG (estesa inversione delle onde T e forse presenza di frammentazione dell’ECG), la disfunzione del ventricolo destro, la presenza di TVs e TVns e l’esercizio fisico strenuo. Nei pazienti con ARVC borderline sono stati evidenziati altri fattori di rischio, come l’inducibilità allo studio elettrofisiologico.

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Figura 5 - Risultati della meta-analisi. I circoletti pieni corrispondono a studi su pazienti con diagnosi certa i circoletti vuoti con diagnosi almeno borderline. Bosman LP, Sammani A, James CA, Cadrin-Tourigny J, Calkins H, van Tintelen JP, Hauer RNW, Asselbergs FW, Te Riele ASJM. Predicting arrhythmic risk in arrhythmogenic right ventricular cardiomyopathy: A systematic review and meta-analysis. Heart Rhythm. 2018; 15:1097-107. doi: 10.1016/j.hrthm.2018.01.031

Trattamento Limitazione dell’esercizio fisico Fondamentale per il trattamento della ARVC e la riduzione della progressione della malattia è la restrizione dell’esercizio fisico. Ciò è facilmente spiegabile considerati i meccanismi fisiopatologici della malattia (alterazione a livello delle proteine fondamentali nel mantenere l’integrità strutturale dei tessuti sottoposti a trazione meccanica). Inoltre è stato dimostrato che la restrizione all’esercizio riduce la progressione della malattia ed il rischio di aritmie ventricolari nei soggetti asintomatici con alterazioni geniche e contemporaneamente l’espressione fenotipica è maggiore negli atleti di endurance rispetto ai sedentari.

Terapia farmacologica Le opzioni farmacologiche comprendono farmaci antiaritmici, betabloccanti e farmaci per il trattamento dello scompenso cardiaco. Di fatto non esistono studi randomizzati sull’efficacia dei farmaci nella ARVC. Pertanto, le indicazioni sulla scelta farmacologica derivano prevalentemente dall’estrapolazione di dati provenienti da altre

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patologie o su esperienze limitate. L’amiodarone, eventualmente in associazione ai betabloccanti, sembra essere la terapia farmacologica più efficace nel prevenire le aritmie ventricolari sostenute, senza tuttavia che sia stata evidenziata una riduzione del rischio di SD o degli interventi ICD in prevenzione primaria. L’utilità dei farmaci antiaritmici, se efficaci, è limitata pertanto al controllo delle aritmie sintomatiche. Nella ARVC le aritmie ventricolari e la SD sono spesso innescate dalla stimolazione adrenergica. È pertanto intuibile l'indicazione all’utilizzo dei betabloccanti, considerata la loro provata efficacia nel prevenire le aritmie da sforzo e nell'insufficienza cardiaca e la potenziale, ma non dimostrata, utilità nel ridurre la progressione della malattia riducendo lo stress di parete. In assenza di studi di confronto tra i vari betabloccanti o sul dosaggio ottimale viene consigliato l’utilizzo di farmaci non vaso-dilatatori alla massima dose tollerata. Nei pazienti con scompenso cardiaco (destro o sinistro) e nella disfunzione ventricolare asintomatica è consigliata la terapia standard con inibitori dell'enzima di conversione dell'angiotensina, i sartani, betabloccanti e diuretici. La terapia anticoagulante (TAO) è indicata in prevenzione secondaria in presenza di trombosi endocavitaria o tromboembolismo, mentre non vi sono dati sufficienti per porre indicazione alla TAO in prevenzione primaria in presenza della sola dilatazione e disfunzione ventricolare destra o sinistra.

Defibrillatore Automatico (ICD) Gli studi che hanno analizzato l’efficacia dell’ICD nei pazienti con ARVC hanno dimostrato un’elevata incidenza di interventi appropriati nel corso del follow-up (Tabella 2).

Tabella 2. Studi pubblicati sui pazienti con ARVC trattati con ICD. H. Calkins, D. Corrado, F. Marcus. Risk Stratification in Arrhythmogenic Right Ventricular Cardiomyopathy. Circulation 2017; 136:2068–2082. DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.117.030792

Non sono disponibili studi randomizzati e prospettici vista la scarsa prevalenza della patologia. I dati disponibili, provenienti da studi osservazionali o registri hanno dimostrato l’efficacia dell’ICD nella ARVC nell’interrompere TVs. Più del 50% dei pazienti trattati con ICD ha ricevuto interventi appropriati in un follow-up variabile tra 3 e 8 anni. Gli studi che hanno analizzato l’incidenza di interventi nei pazienti trattati solo in prevenzione primaria hanno evidenziato un’incidenza di interventi tra il 24% ed il 44% a 3-5 anni. Considerando le aritmie a frequenza > 240/min (considerate potenzialmente letali) è stata stimata una riduzione di mortalità del 26% a 3 anni in pazienti impiantati prevalentemente in prevenzione secondaria. Una meta-analisi che ha incluso 610 pazienti trattati con ICD in prevenzione primaria e secondaria (20% con VF o SD abortita, 58% con TV) ha dimostrato un’incidenza annua di interventi appropriati del 9,3% e di interventi inappropriati del 3,7%.Tuttavia è importante sottolineare l’elevata percentuale di complicanze acute o nel corso del follow-up (20,3%), verosimilmente legata alla giovane età dei pazienti, nei quali è nota la maggior incidenza di problematiche legate soprattutto agli elettrodi.

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Recentemente nella ARVC è stato proposto l’utilizzo dell’ICD interamente sottocutaneo, che sembra essere estremamente efficace nel riconoscere e trattare le tachiaritmie ventricolari, pur con un rischio di interventi inappropriati non inferiore ai dispositivi tradizionali. Il rapporto tra costo/beneficio dell’ICD è ovviamente dipendente dal rischio aritmico previsto nel singolo paziente. Nei pazienti a rischio elevato (pregressa FV/TVs), con rischio stimato annuale di recidive > 10%, il beneficio dell’ICD è massimo; nei pazienti a rischio intermedio, in cui la presenza di almeno un fattore di rischio determina un rischio annuale di eventi aritmici compreso tra l’1 ed il 10% l’ICD andrebbe considerato caso per caso: la presenza di fattori di rischio maggiori (sincope, TVns, disfunzione moderato-severa ventricolare) suggerisce l’utilità dell’ICD, mentre in presenza di soli fattori di rischio minori (genotipo complesso, sesso maschile, inducibilità allo studio elettrofisiologico, inversione dell'onda T in II e III e in ≥3 derivazioni precordiali) l’impianto non sembrerebbe essere giustificato. La categoria a basso rischio comprende pazienti senza fattori di rischio e portatori sani di genotipi alterati (tasso annuo di eventi aritmici maggiori <1%) e non richiede alcun trattamento, inclusa la terapia con ICD.

Figura 6 - Indicazioni all’impianto di ICD. in base al rischio stimato. *genotipo complesso, sesso maschile, inducibilità allo studio elettrofisiologico, inversione dell'onda T in II e III e in ≥3 derivazioni precordiali. H. Calkins, D. Corrado, F. Marcus. Risk Stratification in Arrhythmogenic Right Ventricular Cardiomyopathy. Circulation 2017;136: 2068–2082. DOI: 10.1161/CIRCULATIONAHA.117.030792

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Ablazione transcatetere L'ablazione transcatetere è un'importante opzione per il trattamento di pazienti con ARVC e TVs. I primi studi sull’ablazione nella ARVC risalgono alla fine degli anni ’80 ad opera di Fontaine et al. I successivi lavori sull’efficacia dell’ablazione endocardica evidenziavano un’incidenza di recidive nei 3-5 anni successivi di circa il 50%. Le tecniche ablative sono significativamente migliorate nel corso degli anni, grazie ai progressi tecnologici ed all’introduzione dell’ablazione con approccio epicardico. L’ablazione transcatetere si è dimostrata efficace nel ridurre gli episodi di TVs e migliorare significativamente la qualità della vita, ma non può essere considerata curativa né ridurre il rischio di SD o necessità di ICD.

Figura 7 - Ablazione transcatetere con approccio endocardico ed epicardico. D. Corrado, M.S. Link and H. Calkins: Arrhythmogenic Right Ventricular Cardiomyopathy N Engl J Med 2017;376:61-72

Garcia et al. hanno dimostrato per primi la fattibilità e l'efficacia dell'approccio epicardico per il trattamento dei pazienti con ARVC. In questi pazienti, l'estensione di aree cicatriziali è generalmente maggiore sul versante epicardico che in quello endocardico, tanto che molti Autori suggeriscono un approccio diretto endo-epicardico. La presenza di regioni patologiche meso-miocardiche o epicardiche può essere sospettata tuttavia anche in corso di mappaggio endocardico confrontando i segnali unipolari (la cui ampiezza rappresenta meglio l’attività transmurale) con i potenziali bipolari (che rappresentano maggiormente l’attività locale endocardica e possono essere normali in presenza di aree cicatriziali epicardiche). Un interessamento esclusivamente epicardico (in assenza di alterazioni endocardiche) è frequente soprattutto nelle forme prevalentemente aritmiche con minor alterazioni morfo-funzionali. In corso di mappaggio elettro-anatomico l’analisi del substrato patologico e potenzialmente aritmogeno prevede la ricerca di regioni con segnali endocavitari assenti (ampiezza generalmente < 0,5 mV al mappaggio bipolare, 3 mV a quello unipolare), compatibili con zona cicatriziale o regioni “borderline “(segnale bipolare compreso tra 0,5 e 1,5 mV, unipolare tra 3 e 5 mV), spesso prolungati e frammentati (LAVA: local abnormal ventricular activity). Inoltre, l'analisi comprende anche la ricerca dei “potenziali tardivi”, potenziali ventricolari locali visibili dopo la parte terminale del QRS

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dell’ECG di superficie. Questi rappresentano un rallentamento locale della conduzione elettrica e pertanto un potenziale punto critico per il mantenimento delle aritmie da rientro. Con gli attuali cateteri (ad alta densità di elettrodi per una miglior definizione spaziale) e gli attuali sistemi di mappaggio elettroanatomico è possibile localizzare tali regioni con estrema precisione. Il target principale dell’ablazione transcatetere, oltre alla non-inducibilità di TVs, è la completa abolizione dei potenziali tardivi. Il raggiungimento di questi obiettivi si è dimostrato strettamente correlato con i risultati a lungo termine, che possono tuttavia essere inficiati dall’evolutività della patologia e dalla formazione di nuovi circuiti. Per tali motivi le recidive a lungo termine, pur significativamente inferiori che in passato, sono comunque attorno al 20-30% anche in centri con maggiore esperienza. Un risultato clinicamente soddisfacente (solo 1 episodio di TV con follow-up medio > 3 anni) può essere ottenuto tuttavia in più dell’85% dei pazienti. Tali risultati, peraltro, sono in linea, o addirittura migliori, rispetto a quelli ottenuti nel trattamento delle TVs in altre cardiopatie di origine non ischemica, sebbene nei pazienti con “left dominant cardiomyopathy” sembrino essere meno incoraggianti. L’ablazione delle TVs, in particolare con approccio epicardico, rimane tuttavia impegnativa e non esente da rischi anche nei Centri con maggiore esperienza.

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a)

b)

c)

Figura 8 - Mappaggio elettroanatomico della superficie epicardica in paziente con ARVC e TVs (paziente della Figura 3b). a) In ritmo sinusale evidenza di potenziali tardivi al mappaggio elettro-anatomico ad alta densità della parete anteriore del ventricolo destro b) In corso di TV presenza di potenziali diastolici a livello della stessa regione c) assenza di potenziali tardivi dopo ablazione e non inducibilità dell’aritmia. (Dati personali).

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