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CGIL SPI IRES Terzo rapporto sulla contrattazione sociale territoriale GIUGNO 2012 24-IB-contrat soc_ok 28/06/12 14:30 Pagina 1

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Page 1:  · 2012. 7. 13. · PRESENTAZIONE Iniziativa nazionale e negoziazione sociale sul territorio Sandro Del Fattore 4 La scelta dell’equità e del rigore nello scenario della crisi

CGIL SPI IRES

Terzo rapportosullacontrattazionesociale territoriale

GIUGNO 2012

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PRESENTAZIONEIniziativa nazionale e negoziazione sociale sul territorioSandro Del Fattore 4

La scelta dell’equità e del rigore nello scenario della crisi economicaLucio Saltini 7Diritti, tutele, welfare. Nel cuore vivo della contrattazione socialeMaria Guidotti 11

L’azione sociale territoriale del sindacato: fra cambiamenti e continuitàMaria Luisa Mirabile 15

LA CONTRATTAZIONE SOCIALE TERRITORIALE NEL 2011 18PARTE I – LA CONTRATTAZIONE SOCIALE 2011: TERRITORI, SOGGETTI, TEMI NEGOZIALIUn osservatorio nazionale e territoriale per una contrattazione “plurilivello”

Verso la stabilizzazione dell’Osservatorio sulla contrattazione sociale Cgil e Spi La base dati e la contrattazione sociale Cgil nel 2011

I dati e il profilo generale della contrattazione socialeTipologia dei documenti Livello territoriale Andamento nel corso dell’anno Parti coinvolteDestinatari Ripartizione territoriale

La fisionomia tematica della contrattazione sociale

La “mappa” delle voci tematiche negozialiArea 1. Relazioni tra le parti e definizione del processo Area 2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attivaArea 3. Pubblica amministrazione Area 4. Politiche di bilancio Area 5. Politiche socio-sanitarie ed assistenziali Area 6. Politiche del lavoro e dello sviluppo Area 7. Politica locale dei redditi e delle entrate Area 8. Azioni di contrasto delle discriminazioni e pari opportunità Area 9. Politiche abitative e del territorio Area 10. Politiche dell’infanzia, per i giovani, educative e dell’istruzione Area 11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezza

PARTE II – I PERCORSI, LE PRATICHE E L’EVOLUZIONE DELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE DEL SINDACATO 61L’osservazione sindacale sulla contrattazione sociale 2011 e l’approccio al 2012 Modelli e pratiche di contrattazione sociale: alcuni studi di caso

Piemonte Marche Sicilia Domande e direzioni per il futuro

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INDICE

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3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale 3

Questo Rapporto è strutturato in tre parti principali. La prima si concentra sui dati e leinterpretazioni della documentazione raccolta nel corso del 2011: l’avvio è dedicato a unapresentazione del tipo e della qualità delle fonti utilizzate e delle caratteristiche dell’Osservatorio inquanto sistema informativo. Quindi, il Rapporto procede con una rappresentazione generale dei datidella contrattazione sociale del 2011 (tipologia dei documenti, ripartizione territoriale, particoinvolte, destinatari, etc.); a ciò segue un primo dettaglio riguardante le aree tematiche negoziatesui territori e una successiva articolazione dei temi negoziati per ciascuna area tematica. Le seconda parte affronta dimensioni maggiormente valutative e interpretative: vengono presentatele valutazioni di sintesi circa alcuni aspetti della contrattazione sociale nei diversi territori, tratte daquestionari somministrati alle strutture regionali della Cgil; quindi sono illustrati tre studi di casoterritoriali, con i quali vengono messi in luce i percorsi negoziali e il loro sviluppo nel corso deltempo, sullo sfondo di caratteri peculiari e strutturali che incidono sulla diversità territoriale dellacontrattazione sociale. Il Rapporto si conclude, nella sua terza parte, con alcuni saggi appositamente preparati da LaviniaBifulco, Vando Borghi, Alessandro Montebugnoli e Ida Regalia, a seguito di una riflessione comuneche il coordinamento dell’Ocs ha inteso avviare attraverso l’Ires e l’apporto di studiosi esperti deitemi delle relazioni industriali, delle politiche sociali, della loro governance e della partecipazionedei cittadini.Quando non esplicitamente riportato nell’indice, le sezioni di questo rapporto sono da attribuirsi aBeppe De Sario (elaborazione dei dati, analisi dei documenti e stesura dei testi); la supervisione e ilcoordinamento scientifico dell’impianto d’analisi e dell’attività di ricerca sono di Maria LuisaMirabile. Ha collaborato al rapporto Giuliano Ferrucci per la parte relativa al data management. A Maria Guidotti va un ringraziamento particolare dell’Ires per aver coordinato l’Osservatorio e averpromosso il raccordo necessario tra le strutture territoriali, quelle nazionali e l’Ires stesso. A Lucio Saltini,segretario nazionale dello Spi Cgil, e a Luigi Annesi della sua area di lavoro nello Spi, va inoltre ilringraziamento dell’Ires per aver contribuito alle diverse fasi di impostazione, formazione e ridefinizionedell’impianto d’analisi di cui l’attività realizzata, dunque anche questo rapporto, si sono avvalsi.

PARTE III – CONTRIBUTI SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE: PARTECIPAZIONE, GOVERNANCE, DEMOCRAZIA 78Quali prospettive per la negoziazione sociale. Note a margine dellerilevazioni dell’Osservatorio sulla contrattazione sociale di Cgil e Spi Ida Regalia 78

Programmazione negoziale, giustizia sociale e democrazia Lavinia Bifulco 86

Questioni della nuova governance territoriale: note per una esplorazione Vando Borghi 93

Partecipazione: non basta la parola Alessandro Montebugnoli 103

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Presentazione4

SANDRO DEL FATTORECoordinatore Dipartimento Welfare eNuovi diritti Cgil

La lettura del rapporto sulla con-trattazione sociale territorialesollecita doverose riflessioni. Le

considerazioni che di seguito cercheròdi svolgere hanno lo scopo di metterein evidenza gli aspetti più critici e pro-blematici proprio per sollecitare unanostra più approfondita riflessionesulla negoziazione sociale. La prima criticità da rilevare è legata aun aspetto che riguarda le condizioninelle quali stiamo praticando la con-trattazione sociale-territoriale. Mi rife-risco al fatto che, in particolare daquesto anno, si fanno sentire i taglidrastici operati dal precedente gover-no, confermati dall'attuale, sulle poli-tiche sociali e su quelle sanitarie. Nonè una esagerazione affermare che l’ef-fetto di quei tagli rischia di compro-mettere il nostro sistema di welfare. Cisiamo soffermati più volte sui dati.Qui è sufficiente ricordarne due per laloro portata anche simbolica. In pri-mo luogo, come è noto, la quota de-stinata alle Regioni dal fondo nazio-nale per le politiche sociali ammonta asoli 39 milioni di euro. È un sostan-ziale azzeramento di questa importan-

te voce del fondo se solo si considerache nel 2006 tale finanziamento am-montava a circa 800 milioni di euro.Perché è importante soffermarsi suquesto punto? Perché quel fondo fu i-stituito dalla legge di riforma dell'assi-stenza (L. 328). E, come è noto, quel-la legge si prefiggeva l’obiettivo di spo-stare progressivamente il baricentrodel nostro sistema di welfare dai tra-sferimenti monetari a una diffusa retedi servizi sul territorio. Azzerare quelfondo significa, quindi, colpire pro-prio il tentativo di dotare tutto il pae-se di quei servizi necessari a dare unarisposta a esigenze e bisogni non piùrimandabili quali l'assistenza agli an-ziani, i servizi socio-educativi per l'in-fanzia, il contrasto alla povertà e all'e-sclusione. E cosa sta succedendo, og-gi, nei diversi territori? Il combinatodisposto tra il taglio delle risorse desti-nate al finanziamento delle politichesociali e l’inasprimento del patto distabilità interno stanno portando di-versi comuni, non solo nei territoridove tradizionalmente meno consi-stente è stata ed è la presenza di servi-zi, a un’alternativa secca: chiudere ser-vizi o alzare la compartecipazione. Analizzando attentamente il rapportosi può vedere che gran parte della ne-goziazione si è svolta entro questa

PRESENTAZIONE

Iniziativa nazionalee negoziazione socialesul territorio

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3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale 5

condizione. Abbiamo cercato faticosa-mente di non porre in discussione lagià fragile rete dei servizi e, al tempostesso, tutelare gli anziani, il lavoro di-pendente, le situazioni di maggiorefragilità, dall'aumento della compar-tecipazione ai costi dei servizi. Ora,questa situazione di grande difficoltàci mette di fronte alla esigenza di co-niugare meglio l’iniziativa nazionale ela negoziazione sociale sul territorio.Ad esempio, diventa fondamentaledare seguito all'impegno che abbiamoassunto nell'assemblea del 1° e 2 mar-zo di dare vita a una grande giornatadi mobilitazione nazionale delle poli-tiche sociali, in secondo luogo, come ènoto, abbiamo cercato in molte regio-ni e comuni di promuovere “patti an-tievasione” capaci di reperire risorse,sottratte alla collettività, per destinarleai servizi di welfare. In occasione dellapresentazione pubblica del rapportosulla contrattazione sociale-territorialesarà interessante fare un bilancio dicome e se questo strumento ha datorisultati concreti. Naturalmente valela pena continuare ad insistere in tut-ti i territori. C'è però l'esigenza di ri-chiamare, nazionalmente, Regioni eComuni ad un impegno più esplicitosu questo terreno. Ci sono le condi-zioni e lo spazio per farlo. Tra i tantidati pubblicati di recente ce ne è unodi grande interesse. Risulta che nelcorso di questi ultimi tre anni non so-lo è cresciuta la povertà relativa ma an-che quell'area di persone che, pur nonessendo “relativamente povera”, ri-schia con estrema facilità di caderci.Ora, a fronte di questo dato, emergeche, negli stessi anni è aumentato ilconsumo dei beni di lusso, in partico-

lare vi è stato un vero e proprio boomdelle immatricolazioni dei veicoli da-gli 80.000 euro in su. Questo fatto cidice due cose importanti: in primoluogo che, nel pieno della crisi, è con-tinuata una redistribuzione del reddi-to verso l'alto della scala sociale. In se-condo luogo risulta che, stando alladichiarazione dei redditi, soltanto lametà di coloro che ha acquistato queibeni di lusso avrebbe potuto permet-terselo. Persiste dunque una enormeevasione fiscale. Ecco cosa intendo permaggiore sinergia tra contrattazioneterritoriale e iniziativa nazionale: im-pegno nei territori a rendere esigibili epraticabili i “patti antievasione” e, altempo stesso, chiedere, nazionalmen-te, alla Conferenza delle Regioni e al-l’Anci un maggiore impegno su que-sto terreno.Il rapporto sulla contrattazione solle-cita una riflessione su un altro puntoimportante. Siamo in grado ora di a-nalizzare materiale consistente che ri-guarda la contrattazione: verbali di ac-cordo, protocolli di intesa, documentidi intenti etc.Proprio da questa analisi però possia-mo riscontrare uno scarso numero dipiattaforme. Perché questo è un datosu cui vale la pena riflettere? A nostroavviso perché scontiamo ancora unadifficoltà: quella cioè di definire noi,autonomamente, criteri di priorità, te-mi che riteniamo irrinunciabili dellanostra azione sindacale e trasformarli,quindi, in vertenze, mobilitazione, co-struzione paziente di alleanze. Lo stes-so decisivo confronto sui bilanci si po-ne in una luce diversa se, a quel con-fronto, si va avendo preventivamentedefinito temi e priorità su cui incalza-

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Presentazione6

re poi l’ente locale, verificare ciò che siè riusciti a strappare e se ciò che si è ot-tenuto diventa davvero esigibile. Ladefinizione di una piattaforma, quin-di, presuppone un impegno pieno del-le nostre strutture confederali. Non acaso l'assemblea del gennaio 2012 ave-va proprio questo valore: dare alla con-trattazione sociale-territoriale piena“cittadinanza” nel nostro agire sindaca-le. Questo punto è, forse, ancora daconquistare in tutta la sua portata.Infine c'è una terza questione su cuivale la pena discutere: che rapporto c'ètra la nostra azione di contrattazione ela rappresentanza, ai tavoli di confron-to, di bisogni e soggetti che insistonosui temi del welfare locale? È una que-stione importante e, al tempo stesso,complessa. Importante perché, so-prattutto in una fase di risorse scarse,chi decide dove allocare quelle risorsescarse? E la decisione si assume entroquale percorso democratico e di veri-fica, sia interno all’organizzazione chead essa esterno? Complesso, perchésul territorio c’è una dispersione mag-giore dei soggetti interessati ai temidel welfare locale; e quando, a volte, viè la presenza di soggetti organizzatichi e dove decide che quelle organiz-zazioni esprimono esigenze e bisognirealmente prioritari? Sta qui la centra-lità e, insieme, la delicatezza di ragio-nare e discutere insieme su come darevita a percorsi di verifica democraticadella nostra attività di contrattazionesul territorio. Un primo passo impor-tante sarebbe già quello di un coinvol-gimento pieno di tutte le nostre strut-ture, confederali e di categoria, nellanegoziazione sociale. Questo, ad e-sempio, ci consentirebbe di evitare

l’attuale separazione tra la contratta-zione territoriale sul welfare locale equello che definiamo welfare azienda-le. Che rapporto c’è tra questi due a-spetti della nostra attività contrattua-le? Come fare del welfare aziendale u-no strumento che non contraddica lanostra visione di un welfare universa-listico? Come si vede sono questionirilevanti ma non più rinviabili. Pro-prio la “massa critica” che abbiamo untempo accumulato e che è diventatavisibile nei rapporti sulla contrattazio-ne presentati in questi anni ci consen-te di soffermarci e riflettere attenta-mente sulle questioni prima indicate.

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3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale 7

LUCIO SALTINISegretario nazionale Spi Cgil

Questa terza edizione del Rap-porto sulla contrattazione so-ciale si colloca in un mo-

mento davvero particolare. Le mano-vre di aggiustamento dei conti pubbli-ci hanno profondamente inciso sui bi-lanci degli Enti Locali, la crisi manife-sta in modo evidente i suoi effetti im-poverendo estesi strati di popolazione,la credibilità del sistema politico e isti-tuzionale si è fortemente ridotta e icittadini manifestano in diverse formela propria insoddisfazione. Il sindaca-to si ritrova dunque a dover risponde-re a una domanda di tutela difficil-mente esigibile, per la crisi economicae per il persistere di una politica che innome del risanamento aumenta le dif-ficoltà delle persone più esposte, gio-vani e anziani innanzitutto. Per questoabbiamo condiviso la richiesta di unallentamento del “Patto di stabilità”per gli Enti Locali e dei vincoli cheimpediscono il rilancio degli investi-menti pubblici ed il rafforzamento delsistema di protezione sociale. Dunquechi ha tentato di discutere con sindacie presidenti di regione rivendicandopolitiche di sviluppo e tutele sociali siè trovato di fronte interlocutori in dif-

ficoltà. Se aggiungiamo il congressonazionale che ha rallentato l’iniziativanel territorio, si comprende comequesto Secondo rapporto faccia riferi-mento a un’annata davvero particola-re. Di fronte a questo stato di cose loSpi ha lavorato affinché la crisi e lescelte del governo non interrompesse-ro lo sforzo negoziale delle Leghe e deiterritori, ritenendo che proprio una si-tuazione così difficile imponga equitàe rigore. Fin dall’estate abbiamo dunque indicatouna “linea” e alcune proposte operative.La linea: il governo ha adottato una poli-tica economica e sociale sbagliata, dob-biamo evitare che quella scelta sia seguitapassivamente dagli enti locali e dalle re-gioni, e dunque dobbiamo preoccuparcinon solo degli obiettivi rivendicativi maanche delle risorse disponibili. Che pos-sono essere individuate nelle risorse “na-scoste” dall’evasione fiscale, dagli sprechie dalle inefficienze, oltre che dal mancatoutilizzo di risorse comunitarie. Non stiamo parlando di piccole cose: sela Corte dei Conti stima in oltre 200 mi-liardi le risorse sottratte da evasione, spre-chi e corruzione, come possiamo accetta-re che si dica che mancano i soldi per lepolitiche sociali, scolastiche e di sviluppo?Abbiamo accompagnato questa posizio-ne con alcune proposte operative, a par-

PRESENTAZIONE

La scelta dell’equitàe del rigore nello scenariodella crisi economica

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tire dalla richiesta di un diffuso utilizzodei “patti antievasione” e da una rinnova-ta pressione per superare i limiti del loca-lismo e promuovere una collaborazionepiù efficace tra risorse pubbliche e del pri-vato sociale.In questa situazione la nostra contrattazio-ne, sostenuta anche da un crescente sforzoformativo, testimonia di uno sforzo unita-rio e di una crescente collaborazione tra Spie Cgil per ridurre gli effetti negativi dellacrisi e delle scelte del Governo, tentando diintrodurre “dal basso” elementi di novità.L’Osservatorio consente una valutazioneglobale di ciò che sta accadendo. Testimo-nia la qualità delle relazioni sindacali nei di-versi territori e permette di valorizzare ri-sultati non scontati. Senza anticipare inquesta sede i contenuti del rapporto, ri-tengo importante sottolineare alcuni ele-menti di contesto senza i quali ogni valu-tazione rischia di essere fuorviante.Il primo elemento di riflessione riguardala praticabilità della negoziazione socialenel momento in cui le risorse a disposi-zione degli enti locali vengono compres-se, con la riduzione dei trasferimenti econ le tensioni provocate dall’esigenza direperire in sede locale quanto serve per fi-nanziare i servizi. Di fronte a questa si-tuazione il sindacato non ha bloccato lasua iniziativa e nei limiti del possibile nonha nemmeno subito passivamente l’au-mento della pressione tributaria e tariffa-ria. Ha tentato (pur con differenze di ri-sultato tra le diverse realtà) di svolgere unruolo non solo di tutela ma anche di mo-difica della situazione esistente, solleci-tando le amministrazioni a recuperare ri-sorse senza gravare sui soliti noti. Quan-do questo sforzo non ha prodotto risulta-ti sufficienti, ha chiesto l’introduzione dielementi di equità nel prelievo.

Rispetto alla ricerca di soluzioni diverse daquelle del semplice incremento delle addi-zionali Irpef e delle tariffe dei servizi (in pri-mis quelli per la gestione dei rifiuti), ab-biamo fatto pressione per attivare “Pattianti-evasione” tra Enti Locali ed Agenziadelle Entrate, nella consapevolezza che l’e-norme quantità di risorse sottratte dall’e-conomia sommersa è decisiva per una u-scita dalla crisi fondata su una distribuzio-ne più equa dei redditi e sul rilancio di ser-vizi e investimenti. Non sempre gli Amministratori hanno di-mostrato coraggio, a volte sono emersepreoccupazioni per gli effetti elettorali diuna più incisiva lotta all’evasione fiscale.Anche per questo è importante che il ge-nerico impegno a sottoscrivere intese conl’Agenzia delle entrate sia seguito dagli at-ti necessari affinché lo scambio di infor-mazioni sia efficace e lo sviluppo delle pro-fessionalità necessarie sia assicurato. L’inte-ra pubblica amministrazione è chiamataad un salto di qualità, ad una maggiore ef-ficienza ed efficacia non per spendere me-no ma per migliorare la propria capacità digoverno e di offerta di tutele.Siamo consapevoli che questa linea di la-voro, decisiva per il futuro, non sempre ri-solve le tensioni già presenti nei bilanci de-gli Enti Locali. Per questo, ed a fronte del-l’inevitabile dilemma tra ulteriori tagli aiservizi o incrementi delle entrate tributariee tariffarie, il sindacato ha chiesto di intro-durre elementi di progressività nel prelie-vo (addizionali Irpef ed estensione dell’u-tilizzo dell’Isee nei sistemi tariffari) e di ap-plicare l’Imu facendo attenzione al suo im-patto sociale. Una linea certamente difen-siva, data la situazione, che l’Osservatorioci permette di verificare come mai abbia-mo potuto fare in passato. E che ha visto ilsindacato dei pensionati attento alle esi-

Presentazione

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genze della propria rappresentanza ma mairipiegato su posizioni corporative.Rispetto alle politiche di welfare è ulterior-mente aumentata la distanza tra le esigen-ze di persone e famiglie e le capacità del-l’intervento pubblico. Di fronte ai vincolidi bilancio la gran parte dei confronti si ècosì concentrata sulla difesa dell’esistentepiù che sull’offerta di nuovi servizi. Una di-fesa quantitativa che non di rado ha scon-tato potenziali arretramenti qualitativi,nella ricerca di risparmi tanto pericolosiquanto incerti. Dopo quattro anni di crisieconomica il logoramento del sistema diprotezione sociale comincia ad essere mol-to visibile, creando i presupposti per un e-vidente ulteriore peggioramento dellecondizioni di vita di molte persone. Un di-sastro, che sollecita una netta inversione ditendenza nelle scelte fondamentali del Go-verno e dell’Unione Europea come condi-zione per rilanciare l’offerta di occupazio-ne e ricostruire le condizioni per uno svi-luppo che assicuri ai cittadini benessere. Eche ci impone di sollecitare anche le Am-ministrazioni ad un uso più oculato dellerisorse, riducendo sprechi e spese inop-portune, adottando modalità gestionaliche non facciano seguire all’annuncio digrandi progetti l’incapacità di realizzarli,con la frequente conseguenza di accumu-lare consistenti e paradossali avanzi di am-ministrazione. La seconda delle considerazioni “di conte-sto” ha natura più strettamente politica. Nel momento in cui la crisi alimenta unadiffusa e spesso radicale contestazione aipartiti, senza distinguere tra chi ha avutoresponsabilità di Governo o di opposizio-ne ed impugnando i frequenti casi di cor-ruzione e di malcostume, la nostra inizia-tiva si è distinta chiedendo “più politica”,dando voce a lavoratori e pensionati che

chiedono alle Istituzioni ed ai partiti più re-sponsabilità, più disponibilità al confron-to, più capacità di ascolto dei problemiconcreti delle persone. Il contrario di chi,rivendicando una generica “piazza pulita”,rinuncia a ogni forma di partecipazioneoppure la limita a sommarie contumelie,magari diffuse via internet.Credo che valga la pena di valorizzare que-sto aspetto, che naturalmente contiene an-che una sfida a noi stessi affinché la rela-zione con le iscritte e gli iscritti nell’ambi-to delle attività di negoziazione sociale siaricercata e praticata con attenzione. Il ri-schio che per effetto del drastico peggiora-mento delle condizioni di vita prendano ilsopravvento culture che negano il valoredelle rappresentanze democratiche è evi-dente. Di fronte alle difficoltà determina-te dalla crisi, in presenza di mass media im-pegnati a demolire ogni alternativa alle po-litiche sin qui seguite (salvo poi accredita-re l’idea che “sono tutti uguali”), con par-titi politici troppo spesso occupati a discu-tere temi lontani dal vissuto quotidianodelle persone in difficoltà, rappresentanzesociali spesso in polemica tra loro e “tecni-ci” che di fronte a tutto questo si presenta-no come gli uinci competenti in grado didecidere per il bene comune, l’astensioni-smo elettorale dilaga ed il rancore si diffon-de. Uno stato di cose gravido di rischi perla stessa tenuta democratica del paese. Va-le la pena, nel momento in cui movimen-ti xenofobi attraversano l’intera Europa a-limentati dalle paure dei ceti medi e popo-lari, di non dimenticare come nacquero ledittature del Novecento. La negoziazione sociale negli enti locali enelle regioni, così come la richiesta al Go-verno nazionale di un confronto vero sul-le sue grandi scelte, rappresenta l’offerta al-la politica di una democrazia più parteci-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

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pata, che riconosca sia alle persone che al-le rappresentanze il diritto di esprimersi,per contribuire alla soluzione di problemicomplessi. Demonizzare le organizzazio-ni dei cittadini (siano queste di natura so-ciale o politica poco importa) è insensatoquanto demonizzare la partecipazione deisingoli cittadini. La pretesa del “Governodei tecnici” (meglio, di emergenza) di nonriconoscere ai sindacati il diritto di discu-tere di previdenza o di fisco, ritenendo diaffidar loro un ruolo puramente azienda-le e corporativo, rappresenta un errore ver-so il quale non a caso anche la Costituzio-ne mette in guardia. Da questa crisi si può uscire con meno ocon più democrazia, non con una demo-crazia che non funziona perché il Gover-no rivendica a se stesso il diritto di selezio-nare le voci che meritano di essere ascolta-te e nega la funzione delle loro rappresen-tanze sociali e politiche. Se si uscirà dalla crisi con meno democra-zia l’esito sarà accompagnato da nuove tra-gedie, con l’ulteriore drammatico aumen-to delle differenze sociali e quindi con l’in-sorgere di conflitti sempre più pesanti. Noivogliamo che si esca dalla crisi con più de-mocrazia. Questo significa che siamo con-tro la centralità dei mercati finanziari? Sì,se questa centralità porta a negare la de-mocrazia, come sta accadendo in Europa.Noi siamo per la centralità del lavoro e del-le persone. Di tutte le età, di tutte le razze,lingue, religioni, opinioni politiche e con-dizioni personali e sociali. Così recita la piùbella delle leggi di questa nostra Repubbli-ca, che per questo difendiamo.

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3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale 11

MARIA GUIDOTTICoordinatrice dell’Osservatorio sulla contrattazione sociale Cgil e Spi

La crisi iniziata nel 2008 è anco-ra densa di incognite e continuaad alimentare un clima di incer-

tezze e di precarietà sempre più diffu-se. I suoi effetti sono pesanti e, pur-troppo, ci sono tutte le premesse per-ché in futuro lo siano ancora di più. Leultime manovre economiche sono in-tervenute drasticamente e, spesso, ini-quamente sulle politiche di welfare.Risanare i conti pubblici ha un costoe spesso sono le politiche sociali il set-tore su cui più pesantemente la scuredei tagli si abbatte, su questo fronteniente è cambiato, tante volte abbia-mo detto che si era “raschiato il fondodel barile”. Questo era un allarme perla tendenza al disinvestimento che, o-gni volta si palesava rispetto alle poli-tiche per il welfare, e soprattutto rela-tivamente alla concezione assistenzia-listica e residuale che sostanzialmentesi attribuiva ad esse, aderendo quindi,all’idea che lo Stato sociale non è unacomponente essenziale dello sviluppo,che ne definisce anche la qualità e l’e-quità, ma un lusso, se non una con-cessione possibile solo in tempi di e-conomia florida: al contrario è pro-

prio nei duri tempi della crisi che si ri-chiedono efficaci politiche e investi-menti sociali affinché i suoi effettipossano essere più equamente suddi-visi e resi socialmente più sopportabi-li, nonché per concorrere alla ripresadello sviluppo economico e sociale.Quel grido di allarme è diventato unainconfutabile realtà: dal 2008 ad oggii dieci principali canali di finanzia-mento (dal fondo sociale, a quello perla non autosufficienza, per l’affitto e iservizi all’infanzia, ecc.) hanno subitouna riduzione di oltre il 78%. Dai 2miliardi e 527 milioni stanziati, com-plessivamente quattro anni fa siamoarrivati ai 538 milioni di oggi. Alcunicapitoli di spesa sono stati semplice-mente azzerati: il fondo per la non au-tosufficienza, il fondo per i servizi al-l’infanzia, ecc.Nel frattempo la ricchezza si è semprepiù polarizzata e le disuguaglianze so-no aumentate a ritmi crescenti Leconseguenze, documentate dalla dif-fusa attività di negoziazione socialeterritoriale del sindacato si traduconoin meno servizi per i disabili, per glianziani, tagli ai programmi di inseri-mento per gli immigrati, ai trasporti,ai servizi per l’infanzia... e l’elenco èmolto più “ricco” e le persone, di con-seguenza, più povere.

Diritti, tutele, welfare. Nel cuore vivodella contrattazione sociale

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Ancora una volta a fare le spese del ri-gore sui conti pubblici sono i soggettipiù deboli, quelli per cui i servizi diwelfare sono una sostanziale e insosti-tuibile occasione di miglioramentodella qualità della vita e delle condizio-ni reddituali.Non si può più far finta di non sapereo sottovalutare che, tra le ragioni chehanno determinato la grave situazionedelle nostre finanze, ci sono una eleva-tissima componente di evasione fiscale(oltre il doppio della media europea) euna altrettanto diffuso sistema di cor-ruzione e di illegalità che, oltretuttorendono l’Italia inaffidabile nel conte-sto internazionale.Sono queste le principali zavorre cheinchiodano il nostro Paese, che gli im-pediscono di crescere e di farlo secon-do equità, nel rispetto e nel persegui-mento della dignità delle persone, se-condo i principi della nostra CartaCostituzionale, e non i costi dello sta-to sociale o i diritti delle lavoratrici edei lavoratoriNon è più sufficiente indignarsi difronte al fatto che chi paga le tasse fi-nanzia servizi a cui, troppo spesso,non può accedere perché i redditi di-chiarati sono “più alti” della soglia chedà diritto alla fruizione gratuita o aduna compartecipazione proporzionalealla propria capacità di spesa. I contri-buenti onesti finanziano i servizi pergli evasori, che anche per questa viaaccrescono il loro benessere personale.La negoziazione sociale territorialenon è solo un sensore sensibile e at-tendibile di queste dinamiche e dei lo-ro effetti, ma anche lo strumento chepuò contribuire a ristabilire condizio-ni di maggiore equità intervenendo

sulle modalità di allocazione della spe-sa (che già in quanto tali incorporano,ex ante, una funzione redistributivadella ricchezza), di organizzazione deiservizi, di attivazione dei necessari si-stemi di controllo e monitoraggio del-la spesa per valutarne non solo l’effi-cienza ma, anche, se non soprattutto,l’efficacia.Una buona negoziazione sociale terri-toriale è necessaria per costruire un si-stema fiscale in cui si allarga il numerodei contribuenti che pagano volonta-riamente, per dare carattere strutturalee permanente alla loro contribuzioneal gettito fiscale: la funzionalità di unsistema si valuta dal rapporto fra im-poste spontaneamente pagate e impo-ste potenzialmente riscuotibili.La lotta all’evasione e all’elusione fi-scale è, nella situazione italiana oltreche un obbligo sociale, un imperativomorale, ma non può essere il fine, de-ve servire a definire un equo sistemafiscale in cui l’accertamento dell’im-posta evasa è l’eccezione dell’attività i-nerente le politiche fiscali, e non lanorma.Il rapporto ci dice che su questi temi“ci siamo”, ma contestualmente, ci se-gnala che l’importante è anche il “co-me” il “perché” oggi è così necessariodare impulso e rilevanza/pregnanzapolitica a queste attività del sindacatoche sempre più deve trovare nell’azio-ne che svolge sul territorio, oltre chenei luoghi di lavoro, il consenso e la le-gittimazione del suo agire. Il lavoronon è più, in quanto tale, garanzia digodimento dei diritti sociali (per nondire di chi il lavoro non ce l’ha). Que-sta è una realtà con cui misurarsi. Almodello lavoristico non si è sostituito

Diritti, tutele, welfare

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un altro modello, “semplicemente” so-no sempre di più le esigenze che nontrovano risposte, i diritti negati. Se il“fai da te” territoriale, dove ci sono lecondizioni sociali, politiche, organiz-zative, riesce a dare risposte che allevia-no questo disagio, dall’altro contribui-sce a un welfare “modello arlecchino”che aumenta le differenze territoriali.Servono scelte che orientino con de-terminazione le priorità, il quadrocondiviso entro cui possono esprimer-si le differenze territoriali cui è necessa-rio fare rifermento: tutela dei redditi,sistema dei servizi, modalità di accesso,casa/territorio/ambiente, risorse, rap-porto pubblico/privato.Questi sono alcuni dei temi che deb-bono esplicitamente contribuire, in ra-gione delle proposte che facciamo, adefinire insieme alle politiche per e dellavoro, il riconoscibile profilo sociale epolitico delle proposte negoziali delsindacato. Anche per questa prospetti-va debbono essere attivate coerenti po-litiche formative e dei quadri. L’attivitàe i processo negoziale debbono esseresostenuti, sia nei contenuti che nellemodalità. Il “come” diventa sostanzademocratica, la partecipazione effetti-va dei lavoratori e dei cittadini unacomponente non marginale del raffor-zamento della democrazia sostanziale,della trasparenza delle scelte, della rivi-talizzazione del senso civico e della re-sponsabilità sociale.La confederalità che deve esercitarsifattualmente sul territorio, ha nella ne-goziazione territoriale un’opportunitàda non mancare per rimotivare le ra-gioni del suo essere l’unica scelta capa-ce di far interagire davvero, non solo alivello enunciativo, diritti del lavoro e

diritti di cittadinanza, per recuperarel’unitarietà della persona, del suo esse-re lavoratore/trice, cittadino/a, uten-te/operatore/trice dei servizi.La spia della debolezza del “come” stanel numero veramente esiguo di piat-taforme, cioè dello strumento che deiprocessi di autonoma elaborazione epartecipazione dovrebbe essere prota-gonista irrinunciabile. Diversamente irischi di una rottura corporativa sonotutti davanti a noi, alcuni già concre-tizzati, per esempio con la diffusionedelle variegate forme di welfare azien-dale: non si deve demonizzarlo, maneanche far finta che non esista: è unarealtà con cui riflettere e proporre i no-stri contenuti ed orientamenti, sia perle opportunità che può rappresentare,ma anche per i rischi che ha insiti e peri riflessi sul welfare pubblico (finanzia-mento, sostitutività, ecc,)Una delle preoccupanti evidenze diquesto rapporto è il rilevante aumentodelle richieste di strumenti di contra-sto alla povertà. Ancorché limitati nel-la qualità e nella quantità essi affronta-no solo il problema del reddito, checerto è una ineludibile priorità, ma an-che in questo contesto, sono solo eco-nomici gli strumenti di cui abbiamobisogno? Come si combattono l’esclu-sione e l’emarginazione sociale chel’impoverimento (che si manifesta intante forme) porta con sé?Certo, il lavoro, l’identità e la dignitàdella persona sono strettamente con-nessi, ma il tema del lavoro e del red-dito sono credibilmente e giustamenteriproponibili secondo il vecchio mo-dello? O non dobbiamo invece pensa-re anche ad una realtà in cui il lavoropotrebbe essere sempre meno ma non

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

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Diritti, tutele, welfare14

necessariamente questo debba signifi-care mancanza di reddito e di diritti?Qual è la crescita che vogliamo?Quanta e quale qualità sociale ne ècomponente peculiare? Quanto l’inve-stimento sociale ne è (o dovrebbe es-serne) motore?L’osservatorio sulla contrattazione so-ciale territoriale non è né il luogo, nélo strumento che può dare le risposte,ma una attenta lettura delle attivitàche rileva può essere una utile bussolaper le scelte politiche necessarie.La giustizia sociale e la dignità dellepersone si fondano sulle loro capacitàinterne (personali) che debbono esse-re sostenute attraverso un efficientesistema educativo e formativo, un a-deguato sistema di servizi sociali e sa-nitari, sostegno alla cura, adeguatainformazione insieme a condizionisocio-politiche esterne che consento-no l’espressione e l’attivazione di talicapacità.Sono queste a mio avviso le direttriciche devono sostenere le nostre scelte;con una doppia centralità: la persona eil suo empowerment e le condizioni dicontesto che possono/debbono avva-lersi di queste risorse, di come posso-no/debbono esprimersi.Per coglierne tutta la rilevanza è suffi-ciente fare rifermento ad alcune situa-zioni: l’aumento della povertà, non so-lo economica, le difficoltà che incon-trano politiche per l’immigrazione ve-ramente inclusive, la conciliazionetempi di vita e tempi di lavoro che nonriesce a fare passi avanti, le politicheper l’infanzia, la mancanza di investi-menti in questa direzione e la sostenu-ta tendenza ad esternalizzare i servizicome strumento di contenimento dei

costi a detrimento della qualità, ecc.È il territorio il luogo deputato al vir-tuoso incontro di queste esigenze e ilsindacato deve esserne sempre più unindiscusso protagonista proprio attra-verso una negoziazione sociale e terri-toriale che assuma sempre di più lapratica della confederalità come suotratto distintivo.

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3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale 15

MARIA LUISA MIRABILEIres

Anche solo sul piano della sem-plice deduzione logica, l’attua-le crisi economica e i contem-

poranei processi di ridimensionamentoe crescente privatizzazione del welfaredei servizi dovrebbero fornire elementisostanziali sia per lo sviluppo che per laconsiderazione di quanto il sindacato,sotto vari profili, realizza attraverso lapropria azione negoziale territoriale. Sitratta infatti di un’azione – non occor-rono molte parole per dirlo – che ha laduplice valenza di tutelare il potere rea-le d’acquisto e le condizioni di vita dellavoro e della cittadinanza tutta, im-mettendo allo stesso tempo con forzanella dialettica decisionale agita dalleamministrazioni pubbliche locali unimportante punto di vista, espressione– ancorché non unica – della cosiddet-ta domanda sociale. In relazione a ciò varrà la pena di ricor-dare che retrostanti all’Osservatoriosulla contrattazione sociale, sono statifinora due principali obiettivi. Il primomuoveva dall’ipotesi che l’induzione diun’attività di analisi e codifica da partedelle strutture sindacali regionali (e ter-ritoriali) del proprio operato in funzio-ne di un progetto di monitoraggio a

scala nazionale potesse contribuire apromuovere attività relazionali e nego-ziali probabilmente non sempre soste-nute da un’adeguata consapevolezzacirca la loro effettiva valenza all’internodei sistemi sociali locali. Il secondomuoveva dall’ipotesi che una riorganiz-zazione su scala nazionale di questa im-ponente massa di azioni potesse contri-buire allo sviluppo di un processo dimaggiore riconoscimento da parte delsindacato stesso – al di là naturalmentedelle scelte congressuali e d’azionecomplessiva già effettuate – del proprioruolo e potenzialità in questo ambito. E in effetti i dati e le analisi forniti daquesto terzo Rapporto sulla contratta-zione sociale offrono importanti ele-menti in tal senso. Soprattutto però,forniscono – forse in prospettivadeformata dall’ottica di chi scrive – l’e-videnza di una mole sempre più consi-stente di dati che sottolineano la ricor-renza, e dunque la stabilità, di alcunidei tratti già rilevati attraverso i moni-toraggi delle annualità precedenti, at-traverso cui si confermano in questoambito relazioni fra gli attori caratte-rizzate dall’articolazione (anche se nonsempre dall’apertura) delle partnershipsindacali e sociali, da una struttura dipriorità delle materie oggetto dei ne-goziati e degli accordi che ovviamente

L’azione sociale territorialedel sindacato:fra cambiamenti e continuità

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continuano a privilegiare le materie so-cio-sanitarie e di tutela dei redditi (main cui la composizione interna sembralasciar spazio ad argomenti non sem-pre tradizionali e consolidati), da dina-miche che sembrano riproporre unastruttura delle relazioni negoziali appa-rentemente anomala: primo fra tutti, ildato della numerosità degli accordi (al-meno in apparenza) conclusi in assen-za della definizione di autonome piat-taforme occorrerà riflettere ancora, svi-luppando ulteriormente le analisi giàpresenti nel Rapporto. E proprio in re-lazione alle potenzialità che il lavorodell’Osservatorio offre in qualità distrumento per l’azione sindacale è ilcaso evidenziare come un aspetto di si-gnificatività delle informazioni fornitedall’Osservatorio derivi proprio dallaloro natura longitudinale. Non è infat-ti banale oggi poter dire, qui a costo diun’estrema semplificazione, che leinformazioni ottenute sulla contratta-zione sociale del sindacato nel 2011,confrontate con quelle degli anni pre-cedenti, consentono l’individuazionedi due grandi tendenze: una certa rica-libratura - dettata dal contesto dellacrisi, ma anche da processi di vera epropria innovazione - delle priorità intema di materie del negoziato o degliaccordi a fronte di una sostanziale co-stanza della struttura del processo ne-goziale, per quanto modestamente ri-levabile dallo strumento posto in esse-re (a tal proposito si confermano lapluralità delle partnership e una forteprevalenza – almeno sotto il profiloformale, degli accordi raggiunti sullepiattaforme impiantate). Si rilevano,in altri termini, strutture d’azione ed e-lementi di continuità e discontinuità

(qui solo accennati) che iniziano a co-stituirsi come elementi solidi di unasempre più necessaria e attenta rifles-sione del sindacato sulle proprie linee ecapacità d’azione in questo ambito. Aver, almeno come iniziale e parzialemassa critica, consolidato un nucleo diinformazioni e ricorrenze crea le condi-zioni (in parte già colte in questo Rap-porto) per poter allargare lo sguardo adulteriori campi di osservazione, affi-nando allo stesso tempo ulteriormentela capacità di interpretazione del mate-riale rilevato, determina oggi possibilitàulteriori (nel Rapporto qui presentatogià presenti almeno in nuce) di analisiqualitativa sulle trasformazioni sociali ela natura delle scelte e delle prassi sin-dacali adottate. Oltre alla evidente riduzione degli ac-cessi e dell’offerta di welfare, fra le con-seguenze della crisi e dei tagli alla spesapubblica locale è infatti in corso un im-ponente (allo stesso tempo culturale estrisciante) di riorganizzazione dei si-stemi di governance del welfare territo-riale, che si configurano per essere sem-pre più articolati e complessi per mo-dalità delle relazioni pubblico-privato,varietà e capacità dei soggetti in campo,fonti di finanziamento, assetti e condi-zioni (ivi compresi i costi) dell’offertadelle prestazioni e dei servizi. In rela-zione a ciò risulterebbe del tutto ap-propriato che, anche ad esaltare la ma-trice storica e culturale propria della C-gil in quanto ‘sindacato generale’, sem-pre maggiori sforzi possano in prospet-tiva andare verso la creazione di mag-giori gradi di coinvolgimento della cit-tadinanza tanto nei momenti di defini-zione degli orientamenti per politiche emisure inclusive ed efficaci, quanto nei

Azione sociale territoriale

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momenti di restituzione alla cittadi-nanza circa gli esiti raggiunti dall’impe-gno sindacale. Pensando a tutto questo, e omettendoqui totalmente, anche di necessità, o-gni riferimento puntuale ai contenutipiù specifici del Rapporto, non sembraviceversa possibile non sottolineare co-me i diversi contributi del gruppo diintellettuali richiesti e pubblicati inquesta terza edizione forniscano ele-menti preziosi di riflessione in partico-lare sotto il profilo del ruolo e delle ul-teriori potenzialità del sindacato inquesto specifico campo d’azione. Pena-lizzando inevitabilmente in poche esommarie battute la ricchezza delle ri-flessioni da essi svolte, i contributi diRegalia, Bifulco, Borghi e Montebu-gnoli offrono tasselli per uno spazio diriflessioni ampio, in cui immediata-mente spiccano i due grandi temi della(non ovvia) legittimazione dell’azionedel sindacato nel territorio (Regalia) edell’apporto decisivo che il sindacatodà, e può anche per questa via, ulte-riormente dare al rafforzamento dellepratiche di democrazia partecipativa esostanziale (Bifulco; Borghi; Montebu-gnoli: perdonino gli autori la genericitàdel riferimento). Secondo Regalia il ci-mento sta soprattutto nell’affrontareconsapevolmente e risolvere in un’azio-ne di ampliamento effettivo della rap-presentanza in chiave universalistica iltema dei limiti di legittimazione oggipresenti nel ruolo di rappresentanza so-ciale del sindacato nei sistemi locali. Se-condo Bifulco e Borghi la chiave stanella crescente attuazione, pure a fron-te delle limitazioni create dalle ‘obbli-gazioni’ determinate dalla crisi, del pro-prio contributo ai processi di democra-

zia sostanziale tramite l’azione parteci-pativa e di contrattualizzazione dellepolitiche sociali. In esplicito, ciò che inconclusione si vuol dire, è che l’Osser-vatorio sulla contrattazione sociale, dicui evidentemente si sono già andaticonsolidando profilo e operatività perle ragioni qui sommariamente accen-nate, ha bisogno oggi di compiere ulte-riori passi in un impegno dialettico conil sindacato per ‘tendere’ e allargare ilproprio spazio d’azione e d’osservazio-ne alle funzioni apparentemente solopiù contestuali o di principio, ma chein effetti un’analisi via via più maturapropone in realtà come cruciali ed es-senziali. L’aspettativa e la fiducia ripostenel sindacato – che trapelano con forzanei contributi di riflessione pubblicatial margine del monitoraggio e dell’ana-lisi dei dati intrinseci all’Osservatorio –,nel suo ruolo e nella sua capacità dicontribuire agli sviluppi democratici eprogressivi del paese è per chi scrive unulteriore stimolo a proseguire nellastrada, non sempre facile o scontata, dianalisi a suo tempo intrapresa.

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

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Parte I18

UN OSSERVATORIO NAZIONALE E TERRITORIALEPER UNA CONTRATTAZIONE “PLURILIVELLO”

Verso la stabilizzazione dell’Osservatoriosulla Contrattazione Sociale Cgil e SpiFin dal 2007, ovvero da quando lo Spi C-gil ha promosso e sostenuto un intensopercorso di ricerca e intervento per valo-rizzare l’azione sindacale di contrattazionesociale, il sistema informativo che oggi hail nome di Ocs si è basato su una forte va-lorizzazione e coinvolgimento dei territo-ri. Questo, anzitutto, perché per definizio-ne la contrattazione sociale è diffusa e ope-ra nei territori. Ma non solo; dal momen-to che la contrattazione sociale, nei diffe-renti livelli territoriali in cui agisce e neiquali si confronta con combinazioni e ge-neri differenti di interlocutori; realizza pro-fili indipendenti e integrati tra di loro. Ecioè, non è un livello superiore della con-trattazione che determina quelli inferiori,ma ciascuno di essi richiede e richiamaproprie specificità, tra le quali può esservi,naturalmente, anche quella di orientarecon linee guida o con flussi informativi eorientamenti politico-sindacali i livelli in-feriori, che a loro volta alimentano una dif-fusa sperimentalità che può essere recepi-ta dai livelli confederali superiori. Questabidirezionalità, se opportunamente valo-rizzata, è una delle specificità della con-trattazione sociale territoriale rispetto allacontrattazione di lavoro, in qualche modo“tradizionale” per la pratica del sindacato.

È in questa dimensione di necessaria in-terconnessione, rafforzamento dell’azio-ne sindacale e autoriflessività che anche at-traverso l’Ocs dovrebbe potenziarsi un’a-zione formativa, orientativa, di integra-zione – e non di pura e semplice direzione– della contrattazione sociale e territoria-le. Questo vale per la confederazione e lecategorie nazionali, come per la confede-razione e le categorie regionali, cui semprepiù è richiesto dai territori un ruolo di a-nimazione, promozione, formazione e re-visione dei profili in cui operano le orga-nizzazioni che danno rappresentanza al la-voro in rapporto ai diritti sociali di citta-dinanza, ovvero il nodo insito nella con-trattazione sociale.Questo preambolo è anzitutto destinatoa orientare la lettura delle prossime pagi-ne, a proposito di un’azione sindacale dicontrattazione sulle politiche sociali, dellavoro, del territorio e dell’ambiente, del-l’educazione, dei diritti e contro le discri-minazioni che si radica e fiorisce in uncontesto locale potenzialmente ricco epropositivo. I documenti della contratta-zione sociale, pertanto, vanno letti – equesto sarà anche il tentativo del Rappor-to, utilizzando al meglio i dati “freddi” chea prima vista esso offre – in una rete attivadi attori territoriali che l’organizzazionesindacale, a diversi livelli, può intercettaree con la quale può mettersi in relazione. I-noltre, a fronte di un’immagine – che cre-diamo né utopistica né azzardata – di un

IL RAPPORTO - PARTE I

La contrattazione sociale 2011:territori, soggetti, temi negoziali

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territorio delle politiche sociali e di cittadi-nanza quanto mai ricco di potenzialità e,allo stesso tempo, in fase di confronto conla crisi, viene offerto al sindacato un siste-ma informativo che può diventare unostrumento di base per una contrattazionesociale plurilivello, ovvero necessariamen-te integrata da un punto di vista tematicoe funzionale, e cooperativada un punto divista dei rapporti tra i diversi livelli orga-nizzativi del sindacato con la società cir-costante.

La base dati e la contrattazione sociale Cgil nel 2011L’attività svolta dall’Ocs nel corso del 2011ha introdotto in qualche modo un puntodi svolta nel percorso evolutivo del soste-gno sindacale alla contrattazione sociale,anche attraverso l’azione condotta dall’I-res nazionale. Difatti, il 2011 ha segnatol’attivazione di un consistente numero diéquipe-osservatori regionali sulla contrat-tazione, direttamente connessi con l’Ocs.Ciò significa che nelle strutture regionalidella confederazione, dello Spi e in alcunicasi della Funzione pubblica sono oggipresenti quadri sindacali che raccolgonodocumentazione e mantengono rapporticon i territori, analizzano e classificano ac-cordi e piattaforme, inseriscono i docu-menti negoziali alimentando così, dal bas-so, il sistema informativo della contratta-zione sociale. In parte, quindi, i dati pre-sentati nel rapporto di quest’anno rifletto-no questa effettiva apertura ai territori, chesi è realizzata inizialmente non senza diffi-coltà. Nella base dati analizzata nelle pros-sime pagine, difatti, sono presenti essen-

zialmente documenti provenienti da trefonti diverse, e a loro volta processati at-traverso tre canali differenti: 1. i docu-menti raccolti, classificati, inseriti da par-te delle équipe regionali; 2. i documentiraccolti dall’équipe nazionale dell’Ocs,classificati e direttamente inseriti nell’Os-servatorio; 3. i documenti frutto dell’ac-quisizione, adattamento, traduzione e in-serimento della grande mole di dati pre-senti negli osservatori sindacali regionaligià autonomamente attivi. Va reso meri-to, peraltro, agli osservatori regionali do-tati di propri dispositivi informatici di ar-chiviazione e classificazione di aver forni-to utili ispirazioni per l’avvio dell’Ocs e dimantenersi aperti a sviluppi e convergen-ze future, per quanto la loro struttura ana-litica e organizzativa si definisca a differentilivelli di specializzazione, approfondi-mento e organizzazione dei dati1.Per il Rapporto 2010 l’Ocs aveva raccolto– allora in modo esclusivamente accen-trato da parte dell’équipe nazionale – 439documenti tra piattaforme, verbali di in-contro e vari tipi di accordi e documenticonclusivi del percorso negoziale. Si eraanche potuta stimare una presenza sulterritorio nazionale di circa mille accordi;e questo considerando i documenti rac-colti, insieme a quelli contenuti negli os-servatori regionali che non era stato pos-sibile raggiungere, e soprattutto i docu-menti dei territori in cui non era stata an-cora attivata un filiera organizzativa einformativa che potesse condurre la do-cumentazione dalla periferia al centro.Con l’attivazione di molte équipe regio-

1 Si tratta dell’Osservatorio sulla Contrattazione Sociale Territoriale (Cgil, Spi Fp dell’Emilia Romagna), dell’Ar-chivio Negoziazione (Spi, Fnp e Uilp Lombardia), dell’Osservatorio della Contrattazione Territoriale (Cgil Lombar-dia), la Banca Dati della Contrattazione sociale Territoriale del Piemonte (Cgil e Ires Piemonte) e l’Osservatorio sul-la Contrattazione Sociale Territoriale della Toscana (Cgil e Ires Toscana).

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nali, con la responsabilizzazione e il pro-tagonismo delle strutture territoriali dimolte regioni e la fattiva collaborazionedegli osservatori già presenti sul territo-rio, e in sintesi con l’avvio di una rete diricerca e intervento sindacale sulla e per lacontrattazione sociale, l’obiettivo dellamessa a regime dell’Ocs senza dubbio siavvicina. I risultati sono evidenti già nelpresente Rapporto, che analogamente al-le stime quantitative espresse l’anno pas-sato, ha potuto raccogliere effettivamen-te quasi mille documenti negoziali, perl’esattezza 955 tra piattaforme, verbali diincontro e accordi.L’analisi che segue, grazie alla verifica ser-rata a cui sono stati sottoposti gli stru-menti di analisi e classificazione in sede diRapporto del 2010, rispecchia per buonaparte la struttura analitica precedente.Questo, in prospettiva, potrà consentiredi confrontare i dati diacronicamente eimpostare l’analisi anche attraverso seriestoriche e approfondimenti tematici oterritoriali. Per quest’anno, considerato ilpassaggio da un’alimentazione dell’Ocsesclusivamente nazionale a una assai piùorientata sui territori, il confronto con idati del 2010 sarà limitato e offerto conle cautele necessarie; e tuttavia, come si e-vincerà nelle prossime pagine, alcuni te-mi e tra questi alcuni nodi critici, sono ri-sultati particolarmente evidenti nel pas-saggio vissuto dalle politiche sociali e ter-ritoriali tra 2010 e 2011. La più ampia completezza territoriale haconsentito quindi di presentare l’artico-lazione dell’analisi anche per ripartizioniterritoriali, lasciando così osservare la dif-ferenziazione della contrattazione socia-le nelle diverse aree del paese; un aspettoche evidenzia le differenze strutturali e so-ciali italiane, ma interroga a un tempo le

scelte istituzionali e le strategie del sinda-cato. In particolare, il sud del paese risul-ta ancora marginale sotto il profilo delladocumentazione raccolta, per quantonon sempre ciò corrisponda a un’assenzadi attività negoziale sociale e territoriale. Dal punto di vista degli strumenti di clas-sificazione, lo schema a tre livelli fin quiutilizzato, basato su un’impostazione u-niversalistica centrata su campi e aree dipolitiche sociali territoriali, dettagliate especificate in azioni e interventi più cir-coscritti nei secondi e terzi livelli dello“schema di classificazione”, ha visto sololimitatissime innovazioni rispetto al2010, frutto proprio dell’analisi svolta peril precedente rapporto e in prospettiva diadattamento dello strumento ai cambia-menti della pratica negoziale, e non ilcontrario.

I DATI E IL PROFILO GENERALEDELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE

Tipologia dei documentiI documenti raccolti e analizzati per il rap-porto sono 955. Di questi, la grande mag-gioranza, circa i tre quarti (77%) è costi-tuita da “Accordi”. Con questa espressio-ne si intendono tutte quelle forme di do-cumenti che rappresentano il completa-mento – concordato tra gli attori coinvol-ti – o comunque la chiusura esplicita di unpercorso negoziale. L’espressione vera epropria utilizzata per classificare tali do-cumenti è tuttavia piuttosto articolata,comprendendo accordi, intese, protocol-li d’intesa e verbali d’intesa. Questa diver-sità di espressioni che si ritrova “sulla car-ta” solo a volte corrisponde, in concreto, aeffettive differenze di merito nella letteradegli accordi (o intese, o protocolli, etc.).Tali denominazioni sono utilizzate spesso

Parte I

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come sinonimi, sebbene emergano varia-zioni in base alla maggiore o minore com-pletezza dei testi, o alla vicinanza o menoalla struttura di altri generi accordi tra par-ti istituzionali – quali gli accordi di pro-gramma –. In linea generale, la gran par-te degli accordi presenta una premessa cheriprende lo stato delle relazioni tra le par-ti, evidenziando inoltre la normativa di ri-ferimento o altri accordi di livello supe-riore che forniscono il quadro di indirizzodell’accordo specifico. La parte più stret-tamente negoziata e tematica degli accor-di mostra diversi livelli di specificazione,ordine e articolazione degli argomenti; neicasi migliori questi sono strutturati per a-ree di politica sociale entro le quali sonotrattati singoli e specifici punti tematici.Anche le differenze territoriali, ovvero lavarietà delle tradizioni locali di contratta-zione sociale nonché le culture ammini-strative delle istituzioni, incidono sullastruttura dei testi. In alcuni casi, gli “ac-cordi” sono nei fatti il resoconto dell’e-sposizione, da parte dell’amministrazio-ne, delle scelte di bilancio (nel caso, so-prattutto, dei confronti sui bilanci di pre-visione) a cui il sindacato dà il proprioconsenso, esprime critiche o chiede inte-grazioni. Non a caso, molti di questi do-cumenti sono stati qui classificati nel me-rito, e quindi collocati tra i Verbali di in-contro. Nella maggioranza dei testi, inve-ce, i punti trattati sono effettivamentefrutto di accordo tra le parti, e in alcuni diquesti – una buona pratica da segnalare –oltre alle premesse politiche sono fornitidati e indicazioni circa i servizi in essere ei risultati dell’’applicazione di accordi pre-cedenti, a cui seguono i punti concordatiper l’anno in corso.Dalla prima articolazione dei dati per ti-pologia del materiale, emerge che oltre i tre

quarti dei documenti sono rappresentatida Accordi; accanto a questi vi è una quo-ta assai significativa di Resoconti e verbalidi incontro, pari al 19,2% (vd. Grafico 1).Questa espressione sta a indicare le verba-lizzazioni di incontri non confluiti in ac-cordi veri e propri tra le parti sindacali equelle istituzionali, e comunque tutti queidocumenti che si collocano nel mezzo delpercorso negoziale. Rispetto all’anno pas-sato la percentuale di Verbali di incontro èsensibilmente più alta, e ciò grazie a unamaggiore capillarità e vastità della raccoltadocumentaria; tuttavia, va segnalato che lamaggior parte dei verbali non risulta esse-re la premessa a un successivo accordo,quanto invece il punto conclusivo, sebbe-ne parziale e intermedio nei risultati, di unpercorso negoziale. In alcuni casi, si trattadi veri e propri “accordi mancati”, chegiungono fin là dove la disponibilità ne-goziale ha condotto le parti, spesso nono-stante l’intenzione sindacale. Quindi nonsempre l’approccio analitico corrispondealla terminologia applicata nei territori; ein alcuni casi territoriali la prassi è di con-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

GRAF.1 TIPOLOGIA DEL MATERIALENEGOZIALE (V.A. E PERCENTUALE, DATI 2011)

FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

Accordi, intese, protocolli, verbali di intesaPiattaforme negozialiResoconti verbali di incontri

3,9 %37

77 %735

19,2 %183

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siderare accordo anche ciò che sostanzial-mente si concretizza nella condivisionepuramente informativa delle scelte ammi-nistrative già compiute dall’ente locale.Grazie al maggiore dettaglio informativoraggiunto con la rilevazione del 2011, ri-salta ancora più la percentuale già assai li-mitata di piattaforme. Si tratta del 3,9%dei documenti raccolti (vd. Grafico 1),per un numero complessivo che sfiora le40 piattaforme. Questa grande distanzatra il numero di accordi e quello di piat-taforme è in parte dovuto a questioni fun-zionali: molte piattaforme sono di livelloprovinciale, e forniscono linee guida perla contrattazione con i comuni (specie inalcune aree del paese: Lombardia, EmiliaRomagna, Toscana, Marche). È anche ve-ro, tuttavia, che in generale la contratta-zione sociale pare soffrire di una scarsa for-malizzazione delle agende sindacali, e in-vece una certa dipendenza dalle tradizio-ni locali, ovvero da come – aldilà della pre-senza o meno di piattaforme provinciali –sono organizzate le delegazioni trattantinei singoli comuni e da quali soggetti con-creti (segretari di Camere del lavoro pro-vinciali, responsabili del welfare e/o dellacontrattazione, segretari delle leghe Spi lo-cali, etc.) realizzano la trattativa e inter-pretano l’eventuale piattaforma o le lineeguida provinciali.

Livello territorialeA conferma delle varie rilevazioni territo-riali compiute nel corso degli anni più re-centi, e anche da quelle sempre più strut-turate condotte dall’Ocs a partire dal 2009,la grande maggioranza degli accordi si con-centra sul livello comunale (l’88%, vd. Ta-bella 1). In questa dimensione territorialesi mostra il cuore della contrattazione so-ciale del sindacato: la negoziazione delle li-

nee e degli interventi di bilancio previsio-nale annuale delle amministrazioni locali.Viceversa, le piattaforme sono maggior-mente articolate, per quanto la maggio-ranza (51,4%) si collochi a livello provin-ciale, legandosi anche in questo caso alletrattative con i comuni sugli stessi bilancidi previsione. Una percentuale non irrile-vante, di circa un quarto delle piattaforme,è di livello regionale; si tratta ancora di lineeguida per la contrattazione centrata su te-mi e indirizzi specifici (ad esempio sulla sa-nità, sulla tutela e difesa del lavoro, sugliammortizzatori sociali, sullo sviluppo, su-gli accordi anticrisi) nonché su linee di in-tervento contro l’evasione fiscale e tributa-ria e per il recupero della stessa.Oscillante tra il 5% e il 6%, è la percentua-le di accordi, piattaforme o verbali che siconcentrano sul livello intercomunale, cheraccoglie in genere distretti sociosanitari,ambiti territoriali sociali, consorzi dei ser-vizi sociali, comunità montane e unioni dicomuni. In questo caso le piattaforme e gliaccordi raggiungono percentuali analoghe(per quanto limitate in entrambi i casi); eciò è comprensibile anche considerando ilfatto che ci si trova a un livello territorialedove è forte la necessità di dare indirizzi pro-

Parte I

TAB. 1 TIPOLOGIA DEL MATERIALE NEGOZIALE, PER LIVELLO TERRITORIALE(PERCENTUALE, DATI 2011)

Tipologia del materialeAccordi Piattaforme Verbali Tot.

Liv. reg. 3,3 27,0 3,3 4,2Liv. prov. 2,3 51,4 2,7 4,3Liv. intercom. 6,0 5,4 4,9 5,8Liv. com. 88,0 13,5 88,5 85,2Liv. sub-com. 0,4 2,7 0 0,4Altro 0 0 0,5 0,1Totale 100 100 100 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011))

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grammatori, sviluppare integrazione deiservizi e delle politiche, costituire tavoli tec-nici, realizzare ambiti di concertazione.Limitando lo sguardo ai soli accordi, sicompleta la lettura che vede nella grandemaggioranza dei documenti le intese suibilanci di previsione comunali. Difatti, il95,6% degli accordi (vd. Tabella 2) è asso-ciato a un solo comune. Di minore rilievogli accordi che coinvolgono più di un co-mune: l’1,2% tra 2 e 5 comuni, il 2,9% da6 a 20 comuni, solo il 0,3% oltre i 20.

Il livello di copertura della contrattazionesociale rispetto ai comuni è una dimensio-ne variabile e non univoca, e ciò a causa delgenere di contrattazione che viene svoltoai differenti livelli territoriali. È vero tutta-via, come abbiamo osservato, che la gran-de parte della contrattazione è concentra-ta proprio sui comuni e sui loro bilanci diprevisione. Come si vedrà nell’analisi del-le tematiche negoziate e anche dai desti-natari degli interventi, tale contrattazioneè rivolta a fasce consistenti di popolazionespecifica (anziani, poveri, minori) ma e-sprime anche largamente un orientamen-to universalistico, comprendendo, purcon diversificazioni, l’intera popolazione.Senza considerare la vasta platea di popo-lazione beneficiata dagli accordi di livelloregionale e provinciale – che anche quan-

do non forniscono indirizzi e linee guidapoi applicate localmente sono stati decisi-vi, in questi anni di crisi, per garantire il so-stegno al reddito e l’estensione degli am-mortizzatori sociali ai lavoratori e lavora-trici vittime della crisi – gli oltre 900 docu-menti che si concentrano sulle dimensio-ni comunali e intercomunali vanno a co-prire ben 1250 comuni, ovvero circa il15% dei comuni italiani, per una popola-zione interessata alla contrattazione socia-le di livello comunale o intercomunale cheè senz’altro in proporzione superiore, dalmomento che nella contrattazione sonosovrarappresentati i capoluoghi di provin-cia e le regioni più popolose (ad esempio,la contrattazione sociale rilevata copre il20% dei comuni lombardi, un terzo diquelli emiliano-romagnoli, il 40% di quel-li toscani; e tra tutti questi è compresa lagran parte dei comuni capoluogo).

Andamento nel corso dell’annoAnche la contrattazione sociale ha un suociclo stagionale, legato con una certa evi-denza ai periodi che sono dedicati alla ne-goziazione sui bilanci comunali di previ-sione, o – assai meno – al loro aggiusta-mento in sede di consuntivo di bilancio.Difatti, circa la metà degli accordi si con-centra nel periodo tra gennaio e marzo2011 (vd. Grafico 2). I verbali di incon-tro seguono un identico andamento tem-porale, stando a segnalare quanto essi –almeno quelli acquisiti e qui considerati– non siano in buona parte verbali pro-pedeutici a successivi accordi, quanto ilmassimo di concordanza raggiungibiletra le posizioni delle parti in sede di ne-goziato locale.Le piattaforme, per quanto limitate nei nu-meri, mostrano un andamento speculare erovsciato rispetto agli accordi: si concentra-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 2 ACCORDI, PER CLASSI DI COMUNICOINVOLTI (V.A. E PERCENTUALE, DATI 2011)

Accordival. ass. val. %

1 comune 654 95,6Da 2 a 5 comuni 8 1,2Da 6 a 20 comuni 20 2,9Oltre 20 comuni 2 0,3Totale 684 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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no in particolare nell’autunno, in prepara-zione dei confronti sui bilanci di previsione.

Parti coinvolteIl sistema di classificazione che alimental’Ocs è strutturato intorno a una serie divariabili che, una volta specificate attra-verso la lettura e la classificazione dei do-cumenti, forniscono un profilo assai va-rio della contrattazione sociale. Uno diquesti elementi sono le Parti coinvolte, ecioè i soggetti firmatari di accordi e piat-taforme. La definizione di ciascun attorepotenzialmente – e poi, in varia misura,effettivamente – coinvolto nella contrat-tazione sociale è stata di per sé significati-va del processo di lavoro e di costruzionedell’Osservatorio. Come si intuisce dallaTabella 3, la contrattazione sociale e ter-ritoriale include, almeno potenzialmen-te, attori che sono di volta in volta sog-getti di rappresentanza sociale (sindacati,imprenditori privati, lavoratori autono-mi, cooperazione, professioni, Terzo set-

tore), attori pubblici istituzionali nelle lo-ro diverse fisionomie e geometrie territo-riali, attori pubblici funzionali chiamati asvolgere azioni specifiche nel campo so-ciale, assistenziale, nello sviluppo territo-riale, nell’amministrazione, nei servizipubblici locali, etc. Questa fisionomiamultistakeholder è quindi pienamenterappresentata nella contrattazione socia-le e territoriale; sebbene con proporzioniquantitative e reciproche interazioni nonlineari, né necessariamente paritarie.Nel dettaglio della Tabella 3, emerge comel’interlocutore largamente maggioritariodella contrattazione sociale del sindacatosia rappresentato dalle amministrazionicomunali, le quali si ritrovano nel 90,9%degli accordi. Per la parte sindacale, nel79,9% degli accordi vi è la firma unitariadi Spi-Fnp-Uilp, mentre nel 52% dei casivi è anche, o esclusivamente, la firma delletre confederazioni sindacali. La più ampiapresenza delle organizzazioni dei pensio-nati può essere spiegata anzitutto per la tra-

Parte I

GRAF.2 ANDAMENTO DELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE NEL CORSO DELL’ANNO,PER TIPOLOGIA DEI MATERIALI (V.A., DATI 2011)

FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

180

160

140

120

100

80

60

40

20

0

Gennaio

Febbra

ioMarz

oAp

rile

Maggio

Giugno

Luglio

Agost

o

Settem

bre

Ottobre

Novembre

Dicembre

2011

Dicembre

2010

Accordi

Verbali

Piattaforme

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dizione di impegno dello Spi nella con-trattazione sociale e territoriale, specie inalcune zone d’Italia (Lombardia, EmiliaRomagna, Toscana), per quanto i profiliterritoriali e il coordinamento tra sindaca-ti dei pensionati, confederazioni e altre ca-tegorie sia diverso da zona a zona, anche al-l’interno della stessa regione.

La presenza delle categorie degli attivi è as-sai minore rispetto allo Spi, ma segna unvalore medio pari al 15,3% degli accordi,anch’esso sottoposto a forti differenze ter-ritoriali. L’interlocuzione con province eregioni non è ampia (rispettivamente nel2,2% e nel 2,5% degli accordi), mentre laseconda fisionomia istituzionale di riferi-mento, dopo i comuni, è rappresentatadai distretti, consorzi e ambiti sociali e so-cio-assistenziali (5,3%). Il terzo settore èpresente nel 2,4% degli accordi, come lerappresentanze dei lavori autonomi, del-l’industria e della cooperazione le qualicompaiono in percentuali analoghe.Nel tentativo di determinare la qualità de-gli accordi, ovvero la loro complessità ecorrispondenza agli articolati bisogni delterritorio, delle forze produttive e dei cit-tadini, vi è sicuramente un indicatore in-diretto che è rappresentato dal coinvolgi-mento di molteplici soggetti, oltre allacoppia amministrazioni-confederazionisindacali, nella variante che aggiunge aqueste le organizzazioni dei pensionati. Varilevato, tuttavia, che la grande parte del-la contrattazione sociale, specie quellasvolta a livello di piccoli comuni, si racco-glie intorno a questi profili “tradizionali”appena richiamati: il 49,3% degli accordi(vd, Tabella 4) è firmato da soli due atto-ri2 (generalmente amministrazioni e Cgil-Cisl-Uil, oppure Spi-Fnp-Uilp). Seguo-no 3 parti coinvolte (29,5%); mentre gliaccordi che vedono la convergenza di piùsoggetti sono assai limitati: il 18,5% degliaccordi vede 4 parti coinvolte (molti ac-cordi, specie in Emilia Romagna e Pie-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 3 ACCORDI, PER PARTI COINVOLTE NELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE

(V.A. E PERCENTUALE, DATI 2011)Accordi

val. ass. val. %Comuni 647 90,9Spi/Fnp/Uilp 569 79,9Cgil/Cisl/Uil 370 52,0Categorie lavoratori 109 15,3Distretti 38 5,3Cgil 30 4,2Altri enti 29 4,1Spi 24 3,4Altri sindacati 22 3,1Ass. dell’industria 18 2,5Regioni 18 2,5Terzo settore 17 2,4Province 16 2,2Fnp 16 2,2Ass. cooperazione 16 2,2Ass. commercioe artigianato 12 1,7Cisl 11 1,5Altre associazioni datoriali 11 1,5Aziende pubbliche 9 1,3Autonomie funzionali 8 1,1Comunità montane /Unioni di comuni 7 1,0Aziende private 4 0,6Uilp 2 0,3Anci 2 0,3Ordini professionali 1 0,1Upi 1 0,1Totale 2005 281,6FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

2 Va precisato che Cgil Cisl e Uil, oppure Spi Fnp e Uilp,quando firmatari comuni di un documento vengonoconsiderati come un soggetto solo, e così analizzati inqueste pagine.

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26 Parte I

monte, oltre ad amministrazioni, confe-derazioni e pensionati vedono la presenzadella Funzione pubblica, spesso solo C-gil). Gli accordi in cui appare sicuramen-te anche un attore non sindacale e non i-stituzionale sono rappresentati da solo il2,7% degli accordi.

Per quanto riguarda le piattaforme, non èirrilevante la percentuale di piattaforme“multilaterali”, dietro le quali vi sono do-cumenti e proposte più ampie del frontesindacale, che possono comprendere an-che altre parti sociali e di rappresentanzaterritoriale. Va comunque evidenziato chequasi un terzo delle piattaforme è siglatoesclusivamente da Cgil-Cisl-Uil, o da Spi-Fnp-Uilp.Infine i verbali di incontro, per i quali vi èuna maggiore presenza di documenti fir-mati da più parti coinvolte (circa i due ter-zi dei verbali è siglato da 3 o più soggetti);dietro a questo dato sta probabilmente lapiù grande presenza delle organizzazionidei pensionati (spesso insieme a un mem-bro della segreteria della Camera del lavo-ro provinciale) nella contrattazione che

avviene nei piccoli comuni, nei quali l’ac-cordo annuale può spesso si configura co-me un verbale di incontro che recepisce origetta, criticandolo, il documento di bi-lancio dell’amministrazione.

DestinatariL’Osservatorio sulla contrattazione socia-le ha tra le variabili di analisi dei documentianche quella dei destinatari degli interven-ti3. La contrattazione sociale e territorialemostra anzitutto un profilo che si articolatra l’orientamento universalistico e non ca-tegoriale e l’attenzione a soggetti e gruppidi popolazione specifici. Nell’82,3% degliaccordi, difatti, si riscontrano iniziative einterventi a favore della “Generalità di cit-tadini / famiglie” (vd. Tabella 5), dietro cuisi allude in particolare agli interventi sullaspesa sociale complessiva e sui servizi, sul-la fiscalità locale, i trasporti, l’ambiente e ilterritorio. Largamente presente è l’azionea favore degli anziani (81,6%), sostanzial-mente appaiata a quella rivolta ai cittadininel loro complesso. Segue la forte presen-za – in crescita rispetto al 2010 – di soggettifragili o bisognosi di sostegno: personenon autosufficienti (51,2%), disabili(42,2%) e famiglie e individui in condi-zione di povertà (41,3%). Minore è la pre-senza dei cittadini in quanto lavoratori, raf-figurati nelle diverse condizioni che li ri-guardano: la tutela o la riorganizzazione sulposto di lavoro (13,2%), il sostegno a la-voratori di aziende in crisi (36,6%), ai di-

TAB. 4 ACCORDI, PIATTAFORME E VERBALI,PER CLASSI DI PARTI COINVOLTE NELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE

(PERCENTUALE, DATI 2011)Accordi Piattaforme Verbali Tot.

1 parte coinvolta - 29,2 - 2,12 parti coinvolte 49,3 37,5 30,2 44,13 parti coinvolte 29,5 8,3 47,3 32,34 parti coinvolte 18,5 12,5 20,7 18,8più di 4 parti coinvolte 2,7 12,5 1,8 2,8

100,0 100,0 100,0 100,0FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

3 Per una più attenta lettura dei dati, va precisato chel’indicazione di un beneficiario nella scheda di inseri-mento dei documenti contrattuali avviene nel caso incui il soggetto sia esplicitamente citato nel testo, maanche nel caso in cui le iniziative e il tema di accordosiano con alta probabilità rivolte, tacitamente, a uno opiù soggetti (evidente nel caso di servizi per la disabi-lità o la non autosufficienza, oppure per l’infanzia).

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soccupati (20,6%), agli inoccupati (3,6%)e ai precari (3,2%). Questo dato, speciequello relativo ai lavoratori di aziende incrisi, si mostra più basso rispetto al 2010,e questo probabilmente per una somma difattori: l’uno, relativo alla natura dei dati,dal momento che l’ampliamento dei do-cumenti disponibili (soprattutto grazie al-l’acquisizione di una più vasta documen-tazione sui piccoli comuni) ridimensionapercentualmente il dato degli interventianticrisi; l’altro, congiunturale, può mo-strare la difficoltà di avviare nuovi inter-venti di sostegno al reddito dei lavoratori

in situazione di crisi e difficoltà, magari afronte, tuttavia, di interventi già decisi esemplicemente rinnovati da parte delleamministrazioni.Uno spazio decisamente più compresso èdedicato negli accordi ad altri soggettiportatori di bisogni e di diritti: giovani(12,2%), donne (6,8%), immigrati(11,1%). Viene così confermato un datocritico già evidenziato nel corso del 2010,specie a fronte di una più ampia presenzadi tali soggetti entro le piattaforme sinda-cali. Più in generale, nella Tabella 6 emer-ge come le piattaforme abbiano una mag-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 5 SOGGETTI DESTINATARI, PER ACCORDI E PIATTAFORME DELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE(V.A. E PERCENTUALE, DATI 2011)

Accordi Piattaformeval. ass. val. % val. ass. val. %

Generalità di cittadini/famiglie 593 82,1 33 91,7Anziani 589 81,6 26 72,2Non autosufficienti 370 51,2 20 55,6Minori e infanzia 365 50,6 19 52,8Disabili 305 42,2 19 52,8Famiglie e individui in condizione di povertà 298 41,3 18 50,0Lavoratori/trici di aziende in crisi 264 36,6 17 47,2Disoccupati 149 20,6 14 38,9Lavoratori/trici 95 13,2 12 33,3Giovani 88 12,2 12 33,3Terzo settore 80 11,1 10 27,8Immigrati 72 10,0 10 27,8Donne 49 6,8 6 16,7Imprese 34 4,7 5 13,9Inoccupati 26 3,6 5 13,9Lavoratori/trici precari 23 3,2 4 11,1Altri destinatari 9 1,2 3 8,3Lavoratori autonomi 8 1,1 2 5,6Persone lgbt 6 0,8 2 5,6Detenuti/ex detenuti 5 0,7 1 2,8Consumatori di sostanze e dipendenze 4 0,6 1 2,8Totale 3432 475,3 239 663,9FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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giore pluralità di destinatari: quasi il 50%degli accordi ha più di 5 destinatari, afronte di oltre i due terzi delle piattaforme.Va però sottolineato che oltre alla presen-za in sé – o all’assenza – di specifici soggettidestinatari dai documenti della contratta-zione sociale, risulta interessante osserva-re la complessità di visione e proposta chetraspare da accordi e piattaforme, ovveroquanto tali soggetti siano interpretati inbase ai bisogni di cui sono portatori, ven-gano ascoltati e coinvolti, e quindi ricon-dotti legittimamente tra le richieste e tra irisultati della contrattazione sociale. Ciò,ovviamente, risulta possibile da analizza-re solo nella concreta analisi dei testi.

Articolando il dato dei soli accordi per li-vello territoriale (vd. Tabella 7), emerge i-noltre quanto sia il livello comunale – no-nostante la scarsità di risorse e i limiti isti-tuzionali – quello che in genere offre la piùvasta copertura dei bisogni, quantomenonominalmente: circa il 52% degli accor-di comunali mostra 5 o più destinatari.Viceversa, negli altri contesti appaiono al-cune specializzazioni: il livello intercomu-nale (coincidente con le unioni di comu-ni e con le strutture consortili e/o distret-tuali dei servizi sociali) è assai concentratosui 3-4 destinatari, mentre il livello pro-vinciale e regionale risultano ancor piùspecializzati. Ciò mostra indubbiamentela differenza di competenze e prerogativeistituzionali dei differenti enti territoriali(tra tutti, due temi: i servizi per il lavoro ela sanità), ma può anche interrogare il sin-dacato circa la necessità di investire su u-na contrattazione di quadro, di cornice edi indirizzo che potrebbe coinvolgere piùtemi e più beneficiari anche a partire dailivelli istituzionali superiori.

Ripartizione territorialeL’elaborazione offerta per il rapporto sul-la contrattazione sociale del 2011 può gio-varsi di un ulteriore campo di osservazio-ne: la ripartizione territoriale. La maggio-re capillarità della raccolta dei documenti

Parte I

TAB. 6 ACCORDI, PIATTAFORME E VERBALI, PER CLASSI DI DESTINATARI DELLA CONTRATTAZIONE SOCIALE

(PERCENTUALE, DATI 2011)Accordi Piattaforme Verbali Tot.

1-2destinatari 19,8 13,9 30,4 21,53-4 destinatari 31,6 16,7 28,7 30,55-6 destinatari 28,3 22,2 29,8 28,37-8 destinatari 13,3 19,4 7,0 12,4Più di 8 destinatari 7,1 27,8 4,1 7,3Totale 100 100 100 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

TAB. 7 LIVELLO TERRITORIALE DEGLI ACCORDI PER CLASSI DI DESTINATARI (PERCENTUALE, DATI 2011)

Liv. comunale Liv. inter-comunale Liv. provinciale Liv. regionale Totale1-2 destinatari 18,0 9,3 35,3 71,4 19,83-4 destinatari 30,9 53,5 35,3 9,5 31,65-6 destinatari 29,8 23,3 5,9 14,3 28,37-8 destinatari 14,4 7,0 5,9 0,0 13,3Più di 8 destinatari 6,9 7,0 17,6 4,8 7,1Totale 100 100 100 100 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011))

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consente quindi di osservare, anzitutto,che circa la metà dei documenti è realiz-zata nel Nord-ovest; un ulteriore quaran-ta percento si divide tra Nord-est e Cen-tro, mentre solo il 6,5% proviene dalle re-gioni del Sud e Isole (vd. Tabella 8).

Una differenza generale (vd. Tabella 9) nel-la composizione interna dei documenti,per ciascuna ripartizione territoriale, vedeun rilievo percentuale sensibilmente infe-riore per gli accordi – a fronte di una mag-giore presenza di piattaforme e verbali diincontro – nel Sud e nelle Isole; ciò illustra,probabilmente, una contrattazione socia-le più complicata nello sviluppo di un pie-no e produttivo percorso negoziale, pur afronte di proposte articolate nelle piat-taforme e l’avvio di incontri di confronto.Viceversa, al centro-nord del paese i datisono di altro tenore: gli accordi oscillanotra il 70,6% (Nord-est) e il 85% (Centro).L’articolazione territoriale (vd. Tabella 10)del dato dei destinatari, per i soli accordi e

verbali, già illustrato in termini generali,mostra anche in questo caso differenze econvergenze tra i diversi territori. Le diffe-renze, in questo caso, possono essere mo-tivate sia da differenti approcci e prioritànegoziali, a monte, nella lettura dei biso-gni o negli orientamenti sindacali, ma an-che da diversa disponibilità di risorse perconcludere fattivamente i confronti coninterventi e investimenti. Alcuni esempirisultano evidenti, in questo senso: ilNord-est vede le più ampie percentuali diinterventi nei confronti dei soggetti fragi-li “tradizionali” destinatari di servizi socia-li e assistenziali (anziani, disabili, poveri,non autosufficienti) o i lavoratori e lavora-trici vittime della crisi; ciò viene in luce in-sieme a un impegno superiore alla mediaverso gli immigrati, le donne e i giovani.Per certi versi questo modello è ripetutonel Centro. Al Nord-est come al Centro ilforte investimento nei destinatari “tradi-zionali” e nei “soggetti specifici” pare per-tanto il segno di una congiunzione di fat-tori: sicuramente l’emersione anche in al-cune delle aree più ricche del paese di sac-che o condizioni trasversali di nuova po-vertà e fragilità sociale; accanto a questo u-na disponibilità di risorse maggiore che al-trove, a volte complementari tra i diversilivelli amministrativi (ad esempio, per lanon autosufficienza o il sostegno agli affit-ti); il tutto sostenuto da specifiche cultureamministrative e sindacali particolarmen-te proattive, almeno in alcune loro puntedi eccellenza. A questo profilo va aggiuntauna presenza significativa del Terzo setto-re che, come vedremo, risulta destinatariodegli interventi sia in termini di promo-zione e sostegno sia in quelli di coinvolgi-mento nell’erogazione di servizi alla citta-dinanza (anche in modo ambivalente: trala sussidiarietà orizzontale, partecipativa e

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 9 RIPARTIZIONE TERRITORIALE PER TIPOLOGIAMATERIALE (PERCENTUALE, DATI 2011)

Accordi Piattaforme Verbali Tot.Nord-ovest 1,2 81,2 17,5 100Nord-est 3,1 70,6 26,3 100Centro 7,0 85,0 8,0 100Sud e isole 16,1 37,1 46,8 100Totale Italia 3,9 77,0 19,2 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

TAB. 8 DOCUMENTI PER RIPARTIZIONETERRITORIALE (V.A E PERCENTUALE, DATI 2011)

val. ass. val. %Nord-ovest 486 50,9Nord-est 194 20,3Centro 213 22,3Sud e isole 62 6,5Totale 955 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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promozionale, e l’esternalizzazione, la de-lega e la remissione di funzioni pubblicheistituzionali al campo associativo). IlNord-ovest, accanto a un rilievo degli in-terventi “tradizionali” e verso i lavoratoriin crisi e disoccupati, vede invece un mi-nor peso di giovani, donne e minori. AlSud e nelle Isole, invece, gli interventi paio-no maggiormente diversificati, forse per ilfrutto di un numero maggiore di inter-venti specifici e mirati, nei singoli accordi,piuttosto che di intese ampie – ad esempiosul bilancio di previsione dei comuni –. Idati sopra la media nazionale, sempre alSud, si concentrano soprattutto su nonautosufficienti, disabili e disoccupati.Sotto il profilo delle parti coinvolte negli

accordi, emergono ulteriori differenze ter-ritoriali (vd. Tabella 11). Il dato del coin-volgimento delle amministrazioni comu-nali vede gli opposti del Nord-ovest(98,3%) e del Sud e Isole (67,5%) segnodi una contrattazione che nel meridioneha più forti difficoltà nel rapporto con icomuni, e mostra anche un profilo diffe-rente; ad esempio, assai più orientato –volontariamente o forzatamente – allacontrattazione in ambito sociale e di di-stretto sanitario sovracomunale (17,5%,vd. anche Tabella 14) o impegnato in ten-tativi di accordo sullo sviluppo e il soste-gno al lavoro (maggiore è la presenza de-gli enti regionali e provinciali, nonché del-le organizzazioni datoriali).

Parte I

TAB. 10 SOGGETTI DESTINATARI PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)Nord-ovest Nord-est Centro Sud e isole Tot. Italia

Generalità di cittadini/famiglie 84,9 84,6 84,8 43,9 83,0Anziani 85,6 83,5 62,3 65,9 79,3Minori e infanzia 47,1 63,2 54,5 29,3 51,1Non autosufficienti 47,5 58,2 37,7 46,3 47,5Famiglie e individui in condizione di povertà 38,3 59,9 30,4 36,6 40,9Disabili 45,8 28,0 27,7 48,8 38,5Lavoratori/trici di aziende in crisi 21,1 50,5 50,3 14,6 33,1Disoccupati 21,8 33,0 8,9 26,8 21,5Giovani 11,9 17,0 9,4 17,1 12,7Lavoratori/trici 3,1 18,7 26,2 22,0 12,1Immigrati 4,6 20,9 13,1 14,6 10,2Terzo settore 6,1 14,8 15,2 7,3 9,9Donne 1,9 15,4 5,2 29,3 6,6Imprese 0,8 7,7 10,5 2,4 4,4Inoccupati 2,3 4,4 4,7 12,2 3,7Lavoratori/trici precari 0,6 0,5 8,9 9,8 2,8Altri destinatari 1,0 1,6 0,5 4,9 1,2Lavoratori autonomi 0,6 2,7 0,5 2,4 1,1Persone lgbt 0,4 0,5 1,0 4,9 0,8Detenuti/ex detenuti 0,6 0,5 0,5 2,4 0,7Consumatori di sostanze e dipendenze 0,4 0,5 0,5 2,4 0,6Totale 426,4 566,1 452,8 443,9 461,7FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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Per la parte sindacale, il dato delle particoinvolte risulta decisamente interessan-te, mostrando in controluce differentimodelli di organizzazione negoziale. A

Nord-ovest, è assai larga la copertura ne-goziale garantita dalle organizzazioni deipensionati (presenti unitariamentenell’89,5% degli accordi), la presenza con-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 11 PARTI COINVOLTE PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)Nord-ovest Nord-est Centro Sud e isole Tot. Italia

Amministrazione comunale 98,3 82,4 82,6 67,5 90,4Spi-Fnp-Uilp 89,5 69,2 61,4 45,0 77,4Cgil-Cisl-Uil 42,1 54,4 77,7 50,0 52,4Categorie lavoratori 24,6 15,9 3,8 0,0 17,4Distretti, ambiti, consorzi socio-sanitari 4,4 7,1 4,3 17,5 5,6Cgil 1,1 14,8 6,0 10,0 5,3Spi 1,7 8,8 5,4 22,5 4,9Altri enti 3,6 4,9 3,8 12,5 4,3Fnp 1,7 8,2 3,3 5,0 3,5Altre organizzazioni sindacali 0,2 4,9 7,1 7,5 3,0Amministrazione regionale 0,4 3,3 7,1 5,0 2,6Terzo settore e fondazioni 3,8 0,0 1,1 7,5 2,6Associazioni dell’industria 0,6 2,2 5,4 5,0 2,2Cisl 0,6 3,3 4,3 2,5 2,0Amministrazione provinciale 1,1 1,1 4,9 2,5 1,9Associazioni della cooperazione 0,6 1,1 3,3 12,5 1,8Associazioni commercio e artigianato 0,2 1,6 4,3 2,5 1,5Aziende pubbliche 0,8 2,2 1,1 5,0 1,4Altre associazioni datoriali 0,2 0,0 5,4 0,0 1,2Unioni di comuni / comunità montane 0,2 3,3 0,5 2,5 1,0Autonomie funzionali 1,1 0,0 0,5 5,0 0,9Aziende private 0,0 0,0 2,7 0,0 0,6Anci 0,4 0,5 0,0 0,0 0,3Uilp 0,0 0,0 0,5 2,5 0,2Ordini professionali 0,0 0,0 0,5 0,0 0,1Upi 0,2 0,0 0,0 0,0 0,1Totale 277,4 289,2 297 290 284,6FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

TAB. 12 CLASSI DI DESTINATARI PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)1-2 3-4 5-6 7-8 Più di 8 Tot.

destinatari destinatari destinatari destinatari destinatariNord-ovest 22,0 35,6 29,1 11,1 2,3 100Nord-est 15,9 18,7 29,1 18,7 17,6 100Centro 23,0 32,5 30,9 7,9 5,8 100Sud e isole 39,0 26,8 9,8 14,6 9,8 100Totale Italia 21,8 31,0 28,6 12,1 6,5 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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federale è inferiore, almeno formalmentenelle firme agli accordi (42,1%); tuttavia,si registra anche la maggiore presenza del-le categorie degli attivi (24,6%, in parti-colare la Funzione pubblica). A Nord-est,le organizzazioni dei pensionati e le confe-derazioni si avvicinano (rispettivamente,sono presenti nel 69,2% e nel 54,4% de-gli accordi), mentre la categorie sono pre-senti in misura significativa per quanto in-feriore che a Nord-ovest (15,9%). Il mo-dello del Centro è ancora differente: la pre-senza confederale è superiore a quella deisindacati dei pensionati (77,7% contro61,4%), mentre le categorie degli attiviscendono al 3,8%. Va qui segnalato, so-prattutto in Lazio e Abruzzo, ma anche alSud e Isole, la presenza nella contrattazio-ne di altre sigle sindacali (7,1%, in primoluogo l’Ugl), mentre a Nord-est il datodelle Altre organizzazioni sindacali espri-me sostanzialmente la tradizionale inclu-sione negli accordi con i comuni emilia-no-romagnoli delle organizzazioni deipensionati del lavoro autonomo.

Incrociando, infine, l’intervento della con-trattazione sul livello territoriale, emergeun’azione assai concentrata su quello co-munale nel Nord-ovest (97,9%, vd. Ta-bella 14), mentre a Nord-est, e in misurapiù accentuata al Centro, pare più intensol’intervento portato nella dimensione as-sociativa tra comuni: in quella consorti-le/distrettuale sociale e sanitaria, nonchél’interlocuzione con province e regioni.

LA FISIONOMIA TEMATICA DELLA CONTRATTAZIONE SOCIALEL’analisi e la classificazione dei documen-ti di contrattazione sociale e territorialedel sindacato ha un suo centro impor-tante nelle misure e nelle tematiche con-crete che vengono poste alla discussione.Ciò verrà affrontato nelle prossime pagi-ne mediante l’analisi quantitativa e qua-litativa dei temi oggetto di elaborazionenelle piattaforme, e di confronto e con-cretizzazione negli accordi e nelle intese.In linea assai generale, le principali aree dipolitica sociale e territoriale4 oggetto di

Parte I

TAB. 13 CLASSI DI PARTI COINVOLTE PER RIPARTIZIONETERRITORIALE (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)2 3 4 Più di 4 Totale

parti coinvolte parti coinvolte parti coinvolte parti coinvolteNord-ovest 53,1 23,6 21,7 1,7 100Nord-est 38,5 37,9 22,5 1,1 100Centro 34,2 51,1 9,2 5,4 100Sud e isole 42,5 37,5 15,0 5,0 100Totale Italia 45,6 32,9 19,0 2,5 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011))

TAB. 14 LIVELLO TERRITORIALE PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)Comunale Inter-comunale Regionale Provinciale Altro Tot.

Nord-ovest 97,9 0,8 0 1,3 0 100Nord-est 84,6 9,0 3,2 1,1 2,1 100Centro 73,2 11,6 10,6 4,5 0 100Sud e isole 69,2 17,3 5,8 7,7 0 100Totale Italia 88,1 5,8 3,3 2,4 0,4 100FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011))

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contrattazione sono visibili dalla tabellasuccessiva (Tabella 15). Anzitutto vi ri-sulta una buona formalizzazione degli ac-cordi, mostrata in controluce da cenni eriferimenti alle Relazioni tra le parti (nel68,4% degli accordi: ovvero, relazionisindacali, modalità di confronto, riman-di ad altri accordi o normative, etc.).Quest’area, quindi, più che contenuti ne-goziali veri e propri esprime un indicedella proceduralizzazione della pratica dicontrattazione sociale; insieme ad atredue aree fornisce un segnale circa il radi-camento della negoziazione, insieme allasua rilevanza nel discorso pubblico e nel-le modalità di relazione tra amministra-zioni, sindacati e cittadinanza. A questoproposito, l’area 2, che raccoglie le Politi-che e strumenti della partecipazione risulta

presente nel 24,8% degli accordi e nel25,7% delle piattaforme; questo dato ri-sulta in crescita rispetto al 2010, e si ma-nifesta concretamente non solo nella co-stituzione di ambiti e spazi partecipativispecifici (consulte, resti associative, con-sultazione dei cittadini) ma, sebbene nonin modo omogeneo sul territorio nazio-nale, in più prosaici ma determinanti ri-ferimenti alla divulgazione dei contenu-ti e dei risultati degli accordi stessi.Le aree tematiche di maggior rilievo negliaccordi sono quella delle Politiche socio-sa-nitarie e assistenziali (82,7% negli accor-di, 85,7% nelle piattaforme), l’area dellaPolitica locale dei redditi e delle entrate(presente nell’87,9% degli accordi enell’80% delle piattaforme), seguite dallePolitiche abitative e del territorio (53,7%tra gli accordi, 65,7% tra le piattaforme) edalle Politiche per l’infanzia, i giovani ed e-ducative (rispettivamente 48% per gli ac-cordi, 51,4% tra le piattaforme). Va sot-tolineato che anche la rilevazione del2011, come già quella precedente, vede u-na considerevole differenza tra la presenzanelle agende sindacali di proposte per l’in-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 15 AREE TEMATICHE NEGOZIALI, PER ACCORDI-VERBALI E PIATTAFORME (V.A. E PERCENTUALE, DATI 2011)Accordi Piattaforme

val. ass. val. % val. ass. val. %1 Relazioni tra le parti 618 68,4 29 82,92 Politiche e strumenti della partecipazione 224 24,8 9 25,73 Pubblica amministrazione 267 29,5 24 68,64 Politiche di bilancio 722 79,9 13 37,15 Politiche socio-sanitarie e assistenziali 748 82,7 30 85,76 Politiche del lavoro e dello sviluppo 460 50,9 22 62,97 Politica locale dei redditi e delle entrate 795 87,9 28 80,08 Azioni di contrasto delle discriminazioni 106 11,7 10 28,69 Politiche abitative e del territorio 485 53,7 23 65,710 Politiche infanzia giovani educative 434 48,0 18 51,411 Politiche culturali socializzazione e sicurezza 343 37,9 11 31,4Totale 5.202 575,4 217 620,0FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

4 La contrattazione sociale del sindacato è stata clas-sificata e analizzata secondo uno schema di classifi-cazione dall’impianto universalistico, nel quale sonorappresentate undici aree di politiche sociali e territo-riali, a cui seguono due livelli ulteriori di dettaglio: unsecondo livello che specifica alcune linee di interven-to e un eventuale terzo livello laddove la complessitàdelle tematiche lo ha richiesto.

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tegrazione e antidiscriminazione (28,6%)e quella che si realizza negli accordi(11,7%). Una grande distanza tra richie-ste sindacali e temi tradotti in accordo si ri-trova nell’area dedicata alle politiche dellaPubblica amministrazione: se vi sono in-terventi in materia nel 29,5% degli accor-di, il richiamo nelle piattaforme si ritrovanel 68%, confermando il dato del 2010.Infine, va evidenziato un punto poten-zialmente critico, ovvero quello relativo al-l’area delle Politiche del lavoro e dello svi-luppo, in diminuzione negli accordi(50,9%) rispetto al dato rilevato nel 2010.Si tratta naturalmente di un punto delica-to, poiché sotto questa espressione tema-tica sono raccolti sia gli interventi anticri-si e di sostegno al reddito sia le azioni perlo sviluppo economico dei territori. No-nostante il segnale di allerta, per un detta-glio ulteriore, anche relativo agli sposta-menti interni a questa area tra tipi diversidi interventi e di destinatari, si rimanda alparagrafo specifico del prossimo capitolo.Il confronto con le piattaforme non risul-ta particolarmente illuminante se non peril peso congiunturale superiore – ovverolegato alla scarsità di risorse e alle difficoltàfinanziarie degli enti locali – che vi hannoi temi delle politiche del lavoro e sviluppo,ma anche delle politiche abitative e del ter-ritorio, rispetto a quanto è effettivamenteconseguito negli accordi. È al contrario undato ricorrente la maggiore presenza dipunti di programma nel campo delle pa-ri opportunità e delle politiche antidiscri-minatorie, che conseguono solitamenteben pochi risultati negli accordi. Gli effetti della crisi, i disequilibri tra bi-sogni e possibilità di intervento, come an-che le differenze di sensibilità e culture siaamministrative sia sindacali si possono ri-scontrare a un primo sguardo dei dati sui

temi della contrattazione sociale e la lororipartizione territoriale (vd. Tabella 16).Appare un profilo tematico del Nord-o-vest che – per quanto in mutamento, suquesto aspetto a partire dalla metà deglianni duemila – vede una contrattazionemeno formalizzata, ovvero che si poggiasu una tradizione informale di mutuo ri-conoscimento tra parti sociali e istituzio-ni locali, garantita da un rapporto svilup-pato fin dagli anni novanta anche aldilàdel colore politico delle coalizioni di go-verno locale. Per quanto riguarda i temicontrattati, è fortissima la presenza di ac-cordi sulle Politiche di bilancio (91%);superiori alla media nazionale i temi diaccordo sulle politiche dei redditi(92,9%) e appena inferiori quelle stretta-mente sociali (79,5%), facendo propriodella contrattazione su tasse, tariffe ecompartecipazione al welfare il nucleochiave della contrattazione sociale delNord-ovest. A Nord-est e Centro (con laforte rilevanza, rispettivamente, dell’E-milia Romagna e della Toscana) emergo-no dati superiori alla media in quasi tut-te le aree tematiche della contrattazione,segno di maggiore articolazione tematicadegli accordi. In alcuni casi, ciò è partico-larmente evidente: il 40,3% degli accor-di del Nord-est fa riferimento a politichedella partecipazione; circa i due terzi de-gli accordi sia a Nord-est che nel Centrosi occupa di politiche del lavoro e svilup-po e di politiche abitative; e ciò è partico-larmente rilevante se si pensa che in ge-nere tali politiche sono associate più fa-cilmente a entità comunali di mediagrandezza e a capacità di spesa/interven-to, quando non a livelli istituzionali su-periori a quello dei comuni. il Sud e le I-sole, invece, mostrano dati comparabilialle medie solo per le Politiche socio-sa-

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nitarie e assistenziali; un segnale certo diun’urgenza specifica rispetto a qualità equantità dei servizi di welfare per i citta-dini (66,7%), ma anche indice di accor-di più specifici, minore contrattazione suibilanci comunali, minore capacità di in-tervenire a livello micro-locale su campicome quello del lavoro e dello sviluppo(solamente nel 14,3% degli accordi).La complessità generale dei documentinegoziali si può anche dedurre da dati disintesi quali la media e la mediana delle a-ree tematiche e dalle singole voci nego-ziali coperte da accordi e piattaforme.Dalla Tabella 17 si può notare come ne-gli accordi e nei verbali si ritrovano, inmedia, riferimenti a quasi sei aree tema-tiche diverse (5,7) e a 13,5 singole voci diintervento, azione, iniziativa. La media-

na – ovvero il valore che è espresso dal ca-so collocato a metà del gruppo di docu-menti analizzati è collocata su 11 voci te-matiche. Ciò significa che a fronte dimetà degli accordi che non supera le un-dici voci tematiche, ve ne è senz’altro unaquota significativa che ne alza la media.L’articolazione delle aree tematiche affron-tate negli accordi e nei verbali per livelloterritoriale mostra ulteriormente la com-plessità e la diversificazione della praticanegoziale. Ancora una volta va sottolinea-to come questa differenziazione sia inter-pretabile come risorsa e come limite, allostesso tempo. Difatti, se è vero che a diffe-renti livelli territoriali si può operare conmaggior profitto su determinati temi, ed’altra parte il sindacato si confronta condiversi soggetti istituzionali portatori di

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 16 AREE TEMATICHE NEGOZIALI PER RIPARTIZIONE TERRITORIALE (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)

Nord-ovest Nord-est Centro Sud e Isole Tot. Italia1 Relazioni tra le parti 52,0 87,6 89,3 73,8 68,42 Politiche e strumenti della partecipazione 19,4 40,3 23,0 26,2 24,83 Pubblica amministrazione 7,7 61,3 57,1 9,5 29,64 Politiche di bilancio 91,0 75,3 66,3 38,1 80,05 Politiche socio-sanitarie e assistenziali 79,5 90,3 86,7 66,7 82,76 Politiche del lavoro e dello sviluppo 43,8 65,1 62,8 14,3 50,97 Politica locale dei redditi e delle entrate 92,9 90,3 83,2 45,2 88,08 Azioni di contrasto delle discriminazioni 5,2 25,8 15,3 7,1 11,79 Politiche abitative e del territorio 47,0 66,7 62,2 33,3 53,710 Politiche infanzia giovani educative 44,7 61,3 49,0 23,8 48,111 Politiche culturali socializzazione e sicurezza 42,0 36,6 31,6 28,6 38,0FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

TAB. 17 AREE TEMATICHE E TOTALE VOCI TEMATICHE, PER ACCORDI-VERBALI E PIATTAFORME(MEDIA, MEDIANA E MASSIMO, SOMMA, DATI 2011)

Accordi PiattaformeTotale voci tematiche Aree tematiche Totale voci tematiche Aree tematiche

Media 13,5 5,7 20,3 5,9Mediana 11,0 6,0 20,0 6,0Somma 12191 5202 711 217FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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differenti prerogative politiche e funzio-nali; è anche vero che le ricadute al livellocomunale, in termini di agende negoziali,spunti progettuali e utilizzo di risorse fi-nanziarie e ideative, e viceversa la tematiz-zazione anche a livello provinciale e regio-nale di questioni affrontate con fatica e ca-pacità sperimentale nei singoli comuni po-trebbero essere maggiormente valorizzate.Ciò detto, dalla Tabella 18 emerge come lacontrattazione a livello comunale sia la piùdistribuita tra le diverse tematiche; quellaintercomunale sia fortemente centrata sulsocio-sanitario e assistenziale (riflesso del-la presenza a questo livello delle entità con-sortili/distrettuali legate al sistema localedei servizi sociali) e che il livello regionalesi concentri sulle politiche dello sviluppo.La maggiore o minore presenza di alcunitemi negoziali è in qualche misura legata

alla minore o maggior presenza di attorinegoziali, e di conseguenza si riflette sulnumero di beneficiari degli accordi. Det-to in altri termini, accordi maggiormentediscussi e partecipati hanno maggiori pos-sibilità di affrontare temi negoziali specifi-ci, e pertanto vi è maggior probabilità chei benefici siano maggiormente diffusi siaverso l’intera popolazione sia verso sogget-ti e gruppi determinati, altrimenti poco vi-sibili nelle agende della contrattazione so-ciale. In particolare, come evidenzia la Ta-bella 19, le politiche del lavoro e dello svi-luppo sono presenti nel 37,4% degli ac-cordi che presentano solo due soggetti, eraggiungono il 77,3% degli accordi fir-mati da più di 4 soggetti. Anche la crescitadi altre aree di intervento risulta legata almaggiore coinvolgimento di attori nego-ziali: particolarmente le politiche dell’in-

Parte I

TAB. 18 AREE TEMATICHE NEGOZIALI PER LIVELLO TERRITORIALE(ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)

Liv. Liv. Liv. Liv. Tot. comunale intercomunale provinciale regionale

1 Relazioni tra le parti 66,8 76,5 90,0 82,8 68,42 Politiche e strumenti della partecipazione 25,3 29,4 15,0 13,8 24,83 Pubblica amministrazione 28,0 54,9 35,0 24,1 29,54 Politiche di bilancio 87,6 21,6 25,0 10,3 79,95 Politiche socio-sanitarie e assistenziali 84,0 90,2 70,0 44,8 82,76 Politiche del lavoro e dello sviluppo 51,9 35,3 40,0 62,1 50,97 Politica locale dei redditi e delle entrate 93,8 60,8 30,0 24,1 87,98 Azioni di contrasto delle discriminazioni 12,3 7,8 15,0 3,4 11,79 Politiche abitative e del territorio 58,5 11,8 25,0 13,8 53,710 Politiche infanzia giovani educative 52,3 21,6 15,0 3,4 48,011 Politiche culturali socializzazione e sicurezza 41,5 13,7 10,0 0,0 37,9FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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373° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

TAB. 19 AREE TEMATICHE NEGOZIALI PER CLASSI DI PARTI COINVOLTE (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)

2 soggetti 3 soggetti 4 soggetti Più di 4 soggetti Tot. 1 Relazioni tra le parti 47,4 78,5 97,0 86,4 68,32 Politiche e strumenti della partecipazione 30,5 17,3 24,6 18,2 24,33 Pubblica amministrazione 28,0 54,9 35,0 24,1 29,54 Politiche di bilancio 86,2 80,6 80,8 27,3 81,05 Politiche socio-sanitarie e assistenziali 88,2 86,2 68,9 50,0 82,66 Politiche del lavoro e dello sviluppo 37,4 57,8 68,9 77,3 51,17 Politica locale dei redditi e delle entrate 89,5 91,0 89,2 63,6 88,98 Azioni di contrasto delle discriminazioni 8,7 12,8 16,8 9,1 11,69 Politiche abitative e del territorio 53,6 55,7 56,3 27,3 54,010 Politiche infanzia giovani educative 35,1 57,4 65,9 36,4 48,211 Politiche culturali socializzazione e sicurezza 46,4 33,2 31,7 13,6 38,5FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

TAB. 20 AREE TEMATICHE NEGOZIALI PER CLASSI DI SOGGETTI DESTINATARI (ACCORDI E VERBALI, PERCENTUALE, DATI 2011)

1-2 3-4 5-6 7-8 Più di 8 Tot.destinatari destinatari destinatari destinatari destinatari

1 Relazioni tra le parti 66,7 69,3 63,0 68,5 87,7 68,02 Politiche e strumenti della partecipazione 10,8 16,2 28,3 37,0 70,2 24,53 Pubblica amministrazione 11,8 23,8 33,9 39,8 70,2 29,04 Politiche di bilancio 63,6 80,9 88,6 87,0 82,5 80,15 Politiche socio-sanitarie e assistenziali 57,9 80,9 94,9 95,4 96,5 82,66 Politiche del lavoro e dello sviluppo 26,7 41,5 61,4 73,1 89,5 50,87 Politica locale dei redditi e delle entrate 71,3 90,3 94,5 98,1 89,5 88,28 Azioni di contrasto delle discriminazioni 2,6 4,7 9,1 24,1 61,4 11,49 Politiche abitative e del territorio 22,6 49,8 63,8 77,8 86,0 53,510 Politiche infanzia giovani educative 11,3 42,2 63,0 74,1 82,5 47,811 Politiche culturali socializzazione e sicurezza 15,4 33,9 46,9 51,9 71,9 38,2FONTE: OSSERVATORIO SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE CGIL SPI (2011)

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fanzia e quelle contro le discriminazioni.Al contrario, decresce la presenza delle po-litiche culturali e per la socializzazione (nel-le quali, come si vedrà, sono fortementepresenti specie nei piccoli comuni gli in-terventi aggregativi, sportivi e per il turi-smo sociale rivolti agli anziani).La Tabella 20 mostra l’altra faccia dellacomplessità negoziale, quella riferita ai de-stinatari. Se in generale, la presenza di mol-ti destinatari (più di 8) è indice di accordicomplessi che vanno a coprire molte areenegoziali, vi sono alcune aree che risultanoassolutamente prioritarie, ovvero quasisempre presenti a prescindere dal numerodi destinatari complessivo. Difatti, è suffi-ciente che vi siano 1-2 destinatari in un ac-cordo, perché nel 57,9% e nel 71,3% deicasi ci si occupi, rispettivamente, di politi-che socio-sanitarie e assistenziali e di poli-tica locale dei redditi. Viceversa, vi sono a-ree e destinatari che risultano associati so-lo ad accordi di maggiore complessità: lepolitiche antidiscriminatorie, ma anchequelle per i giovani e l’infanzia, fino a quel-le del lavoro e dello sviluppo.

LA “MAPPA” DELLE VOCI TEMATICHE NEGOZIALIDopo aver tratteggiato il profilo generaledella contrattazione sociale 2011, ed esse-re entrati nell’articolazione delle tematichenegoziali con le variabili principali, nel pre-sente capitolo verranno delineate le di-mensioni, le caratteristiche quantitative, irapporti e le proporzioni tra le diverse areee voci negoziali utilizzate nello schema diclassificazione della contrattazione sociale(nel complesso 139 voci di classificazionedi aree e specifiche tematiche negoziali). Lo schema stesso è parte del set di variabiliidentificative e descrittive di ciascun docu-mento inserito nell’Osservatorio, ed è con-

nesso strettamente alle altre variabili: ad e-sempio, attraverso la scelta di concentrarsi,nello schema, su aree e voci specifiche rife-rite alle diverse politiche sociali e territoria-li, approntando uno schema universalisti-co e affiancando a questo la definizione diun campo dedicato ai beneficiari degli in-terventi per aggiungere specificità all’ap-proccio prescelto. Ciò ha consentito, in li-nea generale, di evitare il rischio di unoschema in qualche modo spurio, che con-tenesse sia voci strettamente tematiche estrutturali insieme a voci relative a soggettispecifici e a temi congiunturali. Le aree tematiche sono state concepite,nelle loro relazioni reciproche e nell’arti-colazione interna, per fornire una mappadelle tematiche negoziali, e cioè delle ma-terie contrattate, che fosse il più possibilerispecchiante e integrata con le forme stes-se dell’azione contrattuale sociale e terri-toriale. Pertanto, dopo l’ampia lettura eimmersione nei dati elaborati per il Rap-porto 2010, sono stati introdotti limitatima in qualche misura significativi cam-biamenti nello schema5.

Parte I

5 Precisamente, è stata aggiunta (area 2) la voce Promo-zione del terzo settore e della partecipazione sociale, per e-videnziare da una parte l’investimento delle amministrazioninello sviluppo della vita associativa e della partecipazione,accanto alla sollecitazione nei confronti del Terzo settore af-finché sia presente nel campo dell’offerta di servizi ai citta-dini. Vi è poi l’introduzione (area 3) delle Relazioni tra am-ministrazioni e gestioni associate, nell’area sulla Pubblicaamministrazione, per segnalare i rapporti emergenti di li-vello inter e sovracomunale, nell’ambito della governance edei servizi. Negli interventi sociali di contrasto alla povertà(area 5) ritroviamo la voce Contributi in servizi o beni di pri-ma necessità, alla quale sono associati interventi in qual-che misura d’emergenza sulla questione povertà. Infine, èstata definita nell’area sulla politica dei rediti e delle entra-te (area 7) la voce Altre tariffe imposte e tasse locali, nellaquale emergono interventi che pur avendo un peso limita-to nel campo della finanza locale sono risultati emergenti.

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Nelle prossime pagine si procederà, quin-di, per ogni area tematica a una descri-zione del peso e dei contenuti principalidelle singole voci negoziali presenti negliaccordi e nei verbali di incontro. Un’arti-colazione così puntuale dei risultati e del-le linee di orientamento sviluppate neiconfronti negoziali non è solo parte di u-na restituzione completa dell’attività dicontrattazione sociale e territoriale dellaCgil, ma è anche la premessa per la co-struzione di mappepratiche – per l’orien-tamento – e cognitive – per l’attribuzio-ne di senso strategico – utili all’iniziativasindacale.Oltre a ciò, si proverà a evidenziare la con-nessione tra diverse aree e voci negoziali,l’incidenza trasversale dei tagli dei trasfe-rimenti e dei bilanci, i riflessi della cultu-ra amministrativa e delle scelte sindacali,anticipando parzialmente l’approfondi-mento dei casi di studio territoriali af-frontati nella Parte II del Rapporto. Tuttoquesto per tornare a sottolineare, ancheattraverso la struttura del rapporto, lamultidimensionalità e la trasversalità dimolte materie negoziali, le quali possonoricevere ordine solo per mezzo di un’effi-cace azione di coinvolgimento e attiva-zione delle risorse presenti nel sindacatostesso, nelle società locali e nei territori.

Area 1. Relazioni tra le parti e definizione del processoL’annotazione delle premesse ai temi diaccordo nella stesura di un documentonegoziale non dovrebbe rappresentare unpuro e semplice preambolo di natura for-male, in fondo trascurabile in sede di a-nalisi. In qualche modo, al contrario, es-so consente di osservare, attraverso la for-ma e l’impostazione del testo di accordo,la qualità del processo negoziale stesso.

Dietro e oltre il dato generale, comun-que considerevole, dei temi e delle notedi relazione tra le parti ritrovate nei do-cumenti (presenti nel 68,4% di accordie verbali di incontro), è possibile osser-vare uno stato assai diversificato dei rap-porti negoziali, e di conseguenza dellaformalizzazione dei testi degli accordi.In molte Valutazioni di premessa (nelcomplesso presenti in oltre un accordosu due: 55%) emergono unicamente ri-ferimenti al riconoscimento delle partisociali e alla continuità della relazionenegoziale. In altri casi, vi è anche il rife-rimento ad accordi precedenti, al conte-sto generale e allo stato della fiscalità del-le amministrazioni locali, giudizi sulle i-niziative di politica economica e finan-ziaria dei governi nazionali e regionali,con cenni alle normative che fornisconovincoli e opportunità all’azione di bi-lancio e in generale alle politiche socialie territoriali. In altri casi, più rari, primadi entrare nel merito dei temi negoziatile premesse si articolano nella presenta-zione dello spettro di servizi del territo-rio e sui livelli di offerta, sui parametrirelativi alle entrate fiscali e tariffarie de-gli enti locali per l’anno precedente e incorso. Ciò consente una certa traspa-renza e un possibile raffronto tra la si-tuazione data e i temi discussi e negozia-ti nel corso della trattativa per l’anno dibilancio. In un numero minore di casi,come premessa all’accordo si fa riferi-mento ad altri accordi di livello superio-re (ad esempio accordi con l’Anci regio-nale sui patti antievasione, o con la re-gione per tematiche legate alla sanità,etc.) oppure ad accordi di più ampio re-spiro che impegnano le parti contraen-ti, ad esempio precedenti accordi dimandato ancora in corso.

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

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Un altro indicatore di qualità – o a secon-da dei casi, di criticità – del percorso nego-ziale è dato dalla presenza di rimandi allaComposizione di tavoli di confronto succes-sivi all’accordo stesso. Tale voce risulta pre-sente in circa un quinto degli accordi e ver-bali di incontro (21,4%), e consente di evi-denziare il livello di approfondimento tec-nico e sostanziale che diverse materie ne-cessitano successivamente a all’accordo chene ha determinato la cornice generale. Ciòpotrebbe anche alludere all’interlocutorietàdei contenuti dell’accordo stesso, nel qualesi rimanda a momenti successivi la risolu-zione di nodi critici non arrivati a una pie-na condivisione in sede di negoziato.Un indice di reale completamento delpercorso negoziale emerge nell’ultima vo-ce dell’area, quella che in tutte le aree è in-dicata con Monitoraggio, ricerca, raccoltadati, osservatori. Nella specifica area sullerelazioni tra le parti, ciò sta a indicare laprecisazione all’interno dell’accordo dimomenti successivi di verifica circa l’ap-plicazione o l’avanzamento degli inter-venti condivisi nel negoziato. È evidentequanto la formalizzazione di un momen-to di verifica nel corso dell’anno, specieper gli accordi sui bilanci di previsione, ri-sulti essenziale per esercitare un controllosul rispetto delle intese e sulle prerogativeamministrative degli enti pubblici.

Area 2. Politiche e strumenti della partecipazione e cittadinanza attivaUna delle aree generalmente meno pre-senti negli accordi di contrattazione socia-le è quella denominata Politiche della par-tecipazione e cittadinanza attiva. Con que-sta espressione si intendono anzitutto le i-niziative volte a realizzare su piani diversi –dal bilancio alla trasparenza amministrati-va, fino a immaginare forme di contribu-to attivo alle scelte pubbliche – una pienae consapevole presenza dei cittadini entroi processi e le scelte amministrative. Manon solo: tale area intende monitorare lapresenza di iniziative che oltre all’aspettoinformativo, mettano in luce anche pro-cessi consultivi, partecipativi e comunquedi attivazione della cittadinanza.In linea generale, per il 2011 si registra u-na percentuale non irrilevante di quest’a-rea (24,8%) che non è tematica in sensostretto, ma piuttosto un campo indicato-re della qualità della pratica negoziale nonvista esclusivamente attraverso lo statodelle relazioni tra le parti coinvolte nellacontrattazione, ma invece nel suo riverbe-ro sulla consapevolezza e la partecipazio-ne dei cittadini.Oltre al dato generale – in aumento negliaccordi, rispetto al 2010 – si possono os-servare alcuni elementi di dettaglio: la tra-sparenza e le pratiche di qualità ammini-

Parte I

1.Relazioni tra le parti e definizionedel processo (618/68,4%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

(e solo primo livello) (e solo secondo livello)

1.1.Valutazioni di premessa(505/55%)1.2.Composizione tavoli di confronto(196/21,4%)1.3.Monitoraggio, ricerca, raccoltadati, osservatori (221/24,1%)

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strativa (bilancio sociale, di genere, etc.)sono presenti nel 5,3% degli accordi. Leesperienze partecipative dirette, o indiret-te, alle scelte di bilancio risultano inveceun’eccezione assai rara: presente nel 0,8%.I Percorsi di informazione, consultazione ecoinvolgimento dei cittadini emergono nel15% dei documenti, sebbene la parte dimaggiore consistenza di tali iniziative siconcentri sul piano puramente informa-tivo (dagli uffici Informagiovani, alla qua-lificazione degli Urp comunali, a sportel-li informativi rivolti a donne, immigrati ealtri soggetti specifici). Va sottolineato chetali momenti di informazione si rivolgo-no prevalentemente ai soggetti che già diper sé sono poco presenti tra i destinataridegli interventi di contrattazione sociale(donne, giovani, immigrati, lavoratoriprecari). Ciò, da una parte, allude a un in-teresse delle amministrazioni per rag-giungere e promuovere la condizione digruppi specifici di popolazione; ma allostesso tempo torna a evidenziare la reclu-

sione di tali soggetti entro iniziative nonordinarie, insieme alla difficoltà di imma-ginare percorsi di partecipazione più am-pia che vadano più a fondo nel coinvolgi-mento della cittadinanza, in termini uni-versalistici, nelle politiche sociali e territo-riali (come pure avviene in alcuni casi ter-ritoriali, laddove si prevede nella letteradegli accordi la programmazione di as-semblee pubbliche per informare i citta-dini circa i contenuti degli accordi).Rilevante risulta il dato della Promozionedella partecipazione e del terzo settore(8,6% degli accordi). Si tratta in questocaso di un dato ambivalente: da una par-te in quanto sostegno alla partecipazionetramite esperienze di volontariato civico odirettamente all’associazionismo in ter-mini di servizi e anche contributi, dall’al-tra come riconoscimento e/o cooptazio-ne nell’erogazione di servizi complemen-tari – ma anche sostitutivi – a quelli pub-blici attraverso l’esplicitazione delle con-venzioni anche negli accordi negoziali.

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

2. Politiche e strumenti dellapartecipazione e cittadinanzaattiva (224/24,8%)

di cui solo I livello (4/0,4%)

2.1.Bilanci sulla qualità sociale(49/5,3%)di cui solo II livello (7/0,8%)

2.2. Bilancio partecipato,partecipativo (8/0,9%)2.3. Percorsi di informazione,consultazione e coinvolgimento deilavoratori e dei cittadini(138/15%)2.4. Promozione del terzo settore edella partecipazione sociale(79/8,6%)2.5. Monitoraggio, ricerca, raccoltadati, osservatori (8/0,9%)

2.1.1. Bilancio sociale (39/4,2%)2.1.2. Bilancio di genere(10/1,1%)2.1.3. Bilancio ambientale (0)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

(e solo primo livello) (e solo secondo livello)

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Area 3. Pubblica amministrazioneLo sguardo portato alle politiche riguar-danti la pubblica amministrazione risultadi grande importanza per valutare nelcomplesso la contrattazione sociale e ter-ritoriale. Anzitutto, per sviluppare gli in-terventi a favore dei cittadini in un conte-sto che richiede – a monte, e durante ilprocesso decisionale – la partecipazione diuna vasta rappresentanza di soggetti delterritorio, risulta essenziale poter valutaregli indirizzi, lo stato attuale, le riforme ne-cessarie e quindi le capacità di adattamen-to della macchina politico-amministrati-va. Nel complesso, l’area della Pubblicaamministrazioneva a coprire il 29,5% de-gli accordi del 2011, un dato analogo aquello del 2010.

Va anzitutto notata la presenza significa-tiva di interventi di Regolazione di appaltie subappalti (10,5%), spesso associati inalcune aree del paese a interventi di con-trasto della precarietà, del lavoro nero eper la salute e sicurezza, ovvero alla con-nessione tra appalti pubblici e clausole so-ciali, garanzie di trasparenza e correttezzadel rapporto di lavoro tra aziende fornitri-ci e lavoratori delle stesse (vd. dati Area 6).

Si segnala una leggera crescita di riferi-menti alle Esternalizzazioni dei servizi(5,7%); e su questo punto, aldilà del datopuramente numerico, si riscontrano in-terventi specie nel campo sociale (i servizie la gestione di asili nido e scuole per l’in-fanzia in convenzione, il trasporto scola-stico). Tra gli altri temi, vi sono alcunispunti emergenti sui processi e le proce-dure concrete di Accreditamentodel Terzosettore nei servizi sociali, per quanto in u-na percentuale limitata di documenti(2,8%) e specie nei servizi domiciliari che– come si vedrà nell’Area 5 – sono stati nelcorso dell’anno significativamente sog-getto di interventi regolativi, in relazioneai soggetti erogatori e a nuove modalità dicompartecipazione.

Uno degli elementi di novità nella classi-ficazione della contrattazione sociale e ter-ritoriale è stata l’introduzione della voceRelazioni tra istituzioni e gestioni associate(11,3%). Questo elemento, messo in re-lazione con le aree di II livello delle Politi-che socio-sanitarie e assistenziali, relativeai modelli organizzativi e alla program-mazione, fornisce elementi utili per osser-vare nel complesso i mutamenti della go-

Parte I

3. Pubblica amministrazione (267/29,5%)

di cui solo I livello (6/0,7%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

3.1.Politiche del personale (100/10,9%)3.2.Esternalizzazioni e internalizzazioni (52/5,7%)3.3.Regolazione appalti e subappalti (96/10,5%)3.4. Accreditamento (26/2,8%)3.5. Formazione del personale e organizzazione(28/3,1%)3.6.Aziende pubbliche e partecipate (22/2,4%)3.7.Relazioni tra amministrazioni e gestioniassociate (104/11,3%)3.8. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati, osservatori(49/5,3%)

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vernance territoriale. Anche se non vi erauna voce corrispondente, nel 2010, è pos-sibile affermare che le relazioni tra ammi-nistrazioni, specie comunali; risultano increscita. Si tratta inoltre di un indicatoredella spinta a gestioni associate di servizinon solo socio-sanitari e assistenziali (equindi polizia municipale, trasporti, ri-sorse e beni comuni); mentre di minor ri-lievo quantitativo è l’intervento sulle A-ziende pubbliche e partecipate (2,4%), untema che sarà probabilmente oggetto diconfronto e disputa nell’anno in corso enel prossimo, anche a seguito degli esitidel referendum popolare del 11-12 giu-gno 2011 e delle successive norme nazio-nali sul tema (come definito nel Dl1/2012, che modifica il Dl 138/2011). Vacomunque sottolineato che l’onda di unapiù intensa attivazione di relazioni inter-comunali con la creazione di livelli di rac-cordo istituzionale (Unioni di comuni,conferenze metropolitane dei sindaci,consorzi, etc.) per quanto sostenuta, neltesto degli accordi, da una cornice di mo-tivazioni all’insegna di una lungimiranteprogrammazione delle politiche territo-riali – verso l’integrazione di aree socio-e-conomiche e territoriali affini e valoriz-zando le condizioni di sviluppo locale –attualmente pare configurarsi prevalente-mente nella dimensione del risparmio sul-le gestioni e sui servizi, portato avanti me-diante un tentativo di impostare una mac-china amministrativa intercomunale chenon abbia i nodi critici già noti per gli al-tri livelli amministrativi. Ad esempio, seb-bene sia limitato il riferimento alle azien-de pubbliche e partecipate, in esso ricorreil legame tra regolazione virtuosa e inte-grata degli appalti e livello sovracomuna-le anche in rapporto ai possibili risparmidi spesa: attraverso la riduzione di consu-

lenze o collaborazioni professionali ester-ne, ma anche mediante la riduzione deicosti derivanti dalla proliferazione deiconsigli di amministrazione delle aziendepartecipate e multiutility.Tra i temi che riguardano i lavoratori delsettore pubblico, risulta che la Formazio-ne del personale e organizzazione rimaneun campo di intervento ancora assai limi-tato (3,1%), e inferiore alla voce Politichedel personale (10,9%) nella quale sono in-dicati interventi più di carattere gestiona-le e di relazione ordinaria che non di valo-rizzazione del lavoro pubblico in sé, e me-no quindi in termini strutturali, di serviziimplementati e di protagonismo dei di-pendenti delle amministrazioni.

Area 4. Politiche di bilancioRispetto ai dati raccolti nel 2010, la rile-vazione del 2011 mostra una maggiorerappresentatività degli accordi sui bilancirispetto al complesso degli accordi: il79,9% tratta di negoziati sulle diverse fa-si relative al bilancio dell’amministrazio-ne locale. Ciò in qualche misura è dovutoall’estensione della base dati, che includequest’tanno un numero maggiore di ac-cordi, più ramificato nei territori, e inmolti di essi approfondendo i livelli am-ministrativi inferiori e i piccoli comuni.Ciò ha consentito inoltre di evidenziare lagrande varietà di ciò che viene solitamen-te definito, nella titolazione dell’accordo,“confronto sul bilancio di previsione”. Di-fatti, è ancora piuttosto diffusa la prassi didefinire tali anche documenti che sostan-zialmente recepiscono le scelte ammini-strative degli enti locali, facendo solo rara-mente riferimento ai contributi del nego-ziato con le organizzazioni sindacali.Un indicatore del deficit di coinvolgi-mento nelle scelte amministrative di po-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

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litica sociale e territoriale è fornito anchedal dato dei Confronti sugli accordi dimandato, che risultano assai limitati econcentrati territorialmente (2,9%). Inquesto dato, peraltro, non sono presentisolamente nuovi ed effettivi accordi dimandato amministrativo, ma spesso e-merge il riferimento ad accordi prece-denti. Questo può essere visto anche inmaniera virtuosa, per quanto riguarda laforma dei documenti e la pratica nego-ziale che vi sta alle spalle: negli accordi piùvirtuosi – sotto questo profilo – vi è infattila presenza, in apertura dell’accordo sulbilancio di previsione, di riferimenti allelinee guida di un precedente accordo dimandato, la verifica degli obiettivi giàraggiunti e l’articolazione di quelli previ-sti per il bilancio di previsione dell’annoin corso.Le delicatezza del processo negoziale èriassumibile in una serie di necessità, le-gate alla specificità della pratica di con-trattazione sociale e territoriale rispetto al-le altre forme di contrattazione sindaca-le: continuità, differenziazione, aggiorna-mento e verifica. Come già accennato nelcommento all’area delle Relazioni tra leparti, l’aggiornamento e la verifica degliaccordi stipulati è essenziale, proprio perla natura di intese non immediatamenteesigibili; inoltre, un buon accordo sul bi-

lancio dovrebbe prevedere la continuitàdel processo, da un anno all’altro (ancheattraverso la stipula di protocolli specificidi riconoscimento delle parti sociali) e lasua differenziazione a seconda delle fasi,che sebbene abbiano un culmine nellastipula dell’accordo, non si esauriscono inessa. Difatti, risulta importante anche ildato dei Confronti su consuntivo e assesta-mento di bilancio (specie in vista delleprossime stagioni negoziali, legate al mu-tamento della fiscalità locale) che viene inluce nel 5,7% degli accordi del 2011.

Area 5. Politiche socio-sanitarie ed assistenzialiIl cuore delle politiche sociali e territoria-li è rappresentato senz’altro da quellestrettamente sociali, sanitarie e assisten-ziali insieme al gruppo di politiche localidei redditi e delle entrate. Il loro raccor-do, specie alla luce delle pressioni fortissi-me di natura finanziaria a cui sono statisottoposti gli enti locali negli anni dellacrisi ed entro le recenti manovre econo-miche nazionali, risulta pertanto essen-ziale. Ciò si somma a una tradizionaleprevalenza di tali campi all’interno dallacontrattazione sociale e territoriale, chenel caso dell’area 5 arriva a mostrare nel2011 una presenza dell’82,7% negli ac-cordi e nei verbali. Passando a un’osservazione di maggiore

Parte I

4. Politiche di bilancio(722/79,9%)

di cui solo I livello (6/0,7%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

4.1.Confronto sugli accordi dimandato (27/2,9%)4.2. Confronto sui bilanci di previsione(699/76,1%)4.3. Confronti su consuntivo eassestamento di bilancio (52/5,7%)4.4. Monitoraggio, ricerca, raccoltadati, osservatori (8/0,9%)

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dettaglio, la prima area di II livello si ri-ferisce alla Programmazione dei servizi edelle prestazioni (nel 24,9% degli accor-di). Questo dato risulta costante tra2010 e 2011, per quanto se osservato neldettaglio di III livello mostri una limita-tezza della programmazione e pianifica-zione sociale e sanitaria (rispettivamen-te 3,7% e 2,7%), mentre più vasta è lacontrattazione che muove verso l’inte-grazione socio-sanitaria (9,3%) e quellaintercettata a livello di pianificazione dizona (13,2%). Va specificato, tuttavia,che tali voci non esprimono in pieno la

contrattazione sociale portata negli am-biti sociali, nei distretti socio-sanitari enelle altre dimensioni della programma-zione e integrazione territoriale del siste-ma dei servizi. In misura probabilmentelimitata – e senz’altro inferiore all’entitàdei documenti prodotti sul territorio –si è intercettata l’effettiva contrattazionesociale svolta in tali dimensioni. I temi e-mersi e qui analizzati sono contenutiprevalentemente entro accordi sui bi-lanci di previsione, e stanno a indicare ilriferimento – ovvero la garanzia chel’amministrazione offre alle parti sinda-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

SALUTE FONDAMENTALE DIRITTOIl 18 novembre 2011 si è svolta la giornata diMobilitazione nazionale: “Salute Fondamen-tale Diritto”. Dal nord al sud del paese sonostate quasi 500 le iniziative. Banchetti infor-mativi fuori dagli ospedali e dai presidi sani-tari, ai mercati, nelle città volantinaggi, as-semblee, iniziative pubbliche e flash mob han-no attraversato l’Italia con un unico messag-gio: rivendicare un “servizio sanitario pubbli-co, universale e di qualità”6. La giornata di mobilitazione nazionale è statapromossa dalla Confederazione, con un parti-colare impegno di Spi e Fp, decisa per reagirealle pesanti manovre finanziarie con tagli e ticketdi dimensioni tali da mettere in discussione ildiritto costituzionale alla salute come elemen-to che unifica il nostro paese e garantisce i cit-tadini e per “unire” le vertenze aperte dal sin-dacato nelle diverse regioni. Non è stato solo un momento di protesta con-tro le politiche del governo Berlusconi, ma an-che il lancio delle sette proposte elaborate dal-

la Cgil. La Confederazione ha messo in camposette proposte per un ‘servizio sanitario pubbli-co, universale e di qualità’, con il documento“Salute Fondamentale Diritto” redatto per l’oc-casione: presentato al Presidente della Confe-renza delle Regioni Vasco Errani e al nuovo mi-nistro Balduzzi. Una risposta ai bisogni dei cit-tadini, ma anche un contributo al risanamento,per dare un nuovo volto ai piani di rientro, e persostenere la stessa crescita economica del no-stro paese. In sintesi le proposte: adeguare il finanziamentodei Livelli essenziali di assistenza in tutte le re-gioni fermando la deriva dei tagli e abolendo isuper ticket; vincolare parte dei finanziamentiall’apertura di centri socio sanitari distrettua-li h24, per potenziare cure primarie e rispostealla non autosufficienza; investire nel lavoro perfavorire il cambiamento (sbloccando assunzio-ni e rilanciando la contrattazione); superare lalogica punitiva, ragionieristica e poco efficacedei piani di rientro per farli diventare veri pianidi riorganizzazione riconversione dei servizi, ve-ra leva del risanamento economico; e perciòusare i risparmi anche per aprire nuovi servizialternativi a quelli che si devono chiudere; pe-

6 Per un approfondimento, vd. la pagina speciale presen-te sul sito Cgil: http://www.cgil.it/HtmlViewer.aspx?ID=$_18.novembre.mobilitazione.sanita.

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46 Parte I

sare i bilanci economici insieme ai Lea garan-titi ai cittadini; aprire alla partecipazione de-mocratica con una sede di confronto naziona-le e in tutte le regioni. Si tratta di proposte evi-dentemente costruite anche come linee coe-renti per la contrattazione regionale e locale.In ogni regione si sono rielaborate le “Sette pro-poste” del documento nazionale, adattandoleai diversi contesti. Peraltro piattaforme per lepolitiche socio sanitarie erano state presenta-te pressoché in tutte le regioni a fine 2010, e indiversi casi sono state aggiornate o ridefinite nel2011, anche unitariamente con Cisl e Uil (perun complesso di oltre 25 piattaforme che co-prono l’intero territorio nazionale).La quantità di iniziative organizzate capillar-mente in tutta Italia nella giornata di mobilita-zione del 18 novembre, e i contenuti delle pro-poste, confermano che sta crescendo una co-mune consapevolezza, almeno nel gruppo diri-gente che si occupa di welfare, sulla “linea” perle politiche socio sanitarie: sulla necessità di unuso rigoroso e serio delle risorse così preziosecome quelle per il welfare, sul legame tra i ri-sultati dei bilanci economici e la garanzia deiLea per qualità e appropriatezza. È ormai patri-monio comune la scelta di affrontare i nodi cri-tici (spesso scomodi perché toccano interessiconsolidati) della riorganizzazione: il potenzia-mento dei servizi distrettuali e delle cure pri-marie, l’integrazione tra sociale e sanitario, laregolazione rigorosa degli accreditamenti (cheapre problemi anche sul fronte lavoro). Così co-me è diffusa la convinzione che bisogna cam-biare un sistema sanitario ancora troppo ospe-dalocentrico, soprattutto nelle regioni più in dif-ficoltà. Questa richiesta di cambiare, di non “con-servare”, presente nelle piattaforme, viene sem-pre motivata con l’esigenza di “adeguare l’of-ferta” alle trasformazioni epidemiologiche, so-ciali, demografiche e quindi di rispondere me-

glio ai bisogni dei cittadini. E proprio così fa-cendo salvaguardare il servizio sanitario pub-blico e universale.Tuttavia nelle regioni impegnate nei piani di rien-tro la situazione è particolarmente difficile. Lemanifestazioni regionali sono state l’occasioneper rilanciare la proposta del documenti nazio-nali per rendere “socialmente sostenibili” i pia-ni di rientro e anzi per affiancare ai piani di rien-tro dai disavanzi dei veri e propri Piani di Salu-te, per garantire i Lea in modo appropriato, e co-sì facendo contribuire al risanamento e di indi-viduare risorse dedicate al sostegno della rior-ganizzazione. Qui si è tentato di superare un’im-postazione necessariamente più “difensiva” (adesempio il contrasto ai ticket regionali) con pro-poste sulla riconversione di ospedali in serviziterritoriali. In altre regioni, dove il sistema socio sanitario èpiù “solido”, perché sono già state affrontateimportanti ristrutturazioni per mantenere la so-stenibilità e la qualità dei servizi, e dove quindila contrattazione nel settore socio sanitario èmeno difensiva, la situazione sta rapidamentecambiando: i tagli a regioni e a comuni – quin-di a sanità e a servizi sociali - stanno restrin-gendo sempre di più i margini della stessa con-trattazione. E ripropongono l’esigenza di af-fiancare alla battaglia per restituire e adegua-re le risorse al welfare locale, un rinnovato im-pegno per “migliorare ancora”, per rendere an-cora più efficienti ed efficaci servizi e interven-ti. Margini ve ne sono. Allora la spending reviewnon si fa con i tagli al finanziamento ma riqua-lificando ulteriormente la spesa (“spendendomeglio”) cioè ri-organizzando il welfare sociosanitario secondo appropriatezza: più efficien-te, più efficace, più equo. Le proposte presen-tate anche nella giornata del 18 sono state uncontributo in questa direzione, ancora insuffi-ciente, ma certamente utile.

➔ SEGUE

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cali – circa il mantenimento degli stan-ziamenti di politica sociale destinati aiconsorzi/distretti/ambiti, o il riferimen-to a normative e servizi offerti dalle stes-se strutture per la popolazione di riferi-mento del comune in cui l’accordo è sti-pulato. A questo proposito, e in partico-lare per la contrattazione sociale sanita-ria, le iniziative del sindacato sono stateintense e diffuse, specie nel contesto deicomplessi “piani di rientro” dal passivodi bilancio relativo al capitolo sanitario,ma anche positivamente per lo sviluppodi “Piani per la salute” che siano in gra-do di garantire i Lea.Anche considerando la maggiore am-piezza e rappresentatività del numero diaccordi del 2011 permane di una certaconsistenza il riferimento ai Modelli or-ganizzativi e dell’offerta (26,3%). In que-sta area di II livello gli interventi specifi-ci più presenti si concentrano sulla Sem-plificazione dei percorsi di accesso (10,9%)e sulle Modalità di affidamento delle pre-stazioni (10,8%). Rispetto al primo te-ma, vengono in luce iniziative per la co-stituzione di servizi di segretariato socia-le, mediante spazi informativi, di orien-tamento e di facilitazione all’accesso aiservizi sociali. Si tratta, generalmente, diservizi gestiti internamente dalle ammi-nistrazioni, anche orientandosi a unamaggiore distribuzione territoriale di ta-li punti di accesso, specie nei piccoli co-muni consorziati che insistono su areenon facilmente collegate dalla rete deitrasporti pubblici (zone collinari, mon-tuose); vi è inoltre il caso di sportelliinformativi di segretariato sociale per iquali è stato utilizzato personale di asso-ciazioni di volontariato o di volontariatocivico. Le Modalità di affidamento delleprestazioni mettono in luce due generi di

interventi differenti: l’uno, più regolati-vo e organico fa riferimento alle moda-lità di relazione con i soggetti erogatoridei servizi, in particolare le cooperativesociali; l’altro, invece, segnala l’estensio-ne del ricorso a soggetti associativi impe-gnati in interventi di solidarietà sociale –nella forma del riconoscimento di unaconvenzione, o anche solo della segnala-zione della semplice esistenza sul territo-rio di un servizio volontario –.Il dato più evidente, in continuità con lerilevazioni precedenti, è la grande con-centrazione degli accordi sulle Prestazio-ni e sui servizi in sé, sulla loro regolazionee sull’estensione o riduzione quantitativae qualitativa degli stessi (65,8%). Va sot-tolineato, tuttavia, che la gran parte dei ri-ferimenti ai servizi e alle prestazioni è por-tato in termini di nuove e più stringentiregole di compartecipazione alla spesa daparte dei cittadini, più che in quelli di in-novazione o estensione dell’offerta. Spes-so ciò si affianca a preamboli nei quali èsostenuta la necessità di una più largacompartecipazione proprio nella pro-spettiva di garantire il mantenimento dellivello precedente dei servizi offerti, chein effetti dai testi degli accordi non vienegeneralmente toccato rispetto allo statusprecedente. Nel dettaglio, quasi un ac-cordo su due interviene sui Servizi domi-ciliari (46,8%), un campo di servizi sot-toposto nei territori a nuove sperimenta-zioni rispetto alla compartecipazione (adesempio introducendo una quota orariadifferenziata, legata all’entità del bisognodi monte-ore di assistenza, oltre a unpressoché generalizzato riferimento alreddito Isee). La voce dei Servizi territo-riali è in crescita significativa rispetto al-l’anno 2010 (nel 29,7% degli accordi) se-gnalando iniziative riguardanti centri di

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

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ascolto, ambulatori medici specialistici edi medicina generale, consultori; sebbe-ne una parte rilevante dei servizi territo-riali si concentri ancora sulla rete a sup-porto della domiciliarità: trasporti socia-li, telesoccorso, etc.

Da segnalare in alcuni contesti territoria-li la presenza di voci di accordo su inizia-tive di Prevenzione socio-sanitaria (5,4%),soprattutto in relazione alla prevenzionedei tumori, specie femminili, ma anchela presenza di sportelli e servizi di ascolto

Parte I

5. Politiche socio-sanitarie edassistenziali(748/82,7%)

di cui solo I livello(16/1,7%)

5.1. Programmazione servizie prestazioni (229/24,9%)di cui solo II livello(29/3,2%)5.2. Modelli organizzativi edell’offerta (241/26,3%)di cui solo II livello(13/1,4%)

5.3. Prestazioni e servizi(604/65,8%)di cui solo II livello(52/5,7%)

5.4. Interventi di contrastoalla povertà (266/29%)di cui solo II livello(67/7,3%)5.5. Non autosufficienza(194/21,1%)di cui solo II livello(48/5,2%)

5.6. Welfareintegrativo/mutualitàterritoriale (16/1,7%)5.7.Monitoraggio, ricerca,raccolta dati, osservatori(64/7%)

5.1.1. Piani e programmazione sociale (34/3,7%)5.1.2.Piani e programmazione sanitaria (25/2,7%)5.1.3.Piani e programmazione integrata (85/9,3%)5.1.4. Piani di zona e/o distrettuali (121/13,2%)5.2.1.Aziende speciali e società partecipate(31/3,4%)5.2.2. Modalità di affidamento delle prestazioni(99/10,8%)5.2.3. Semplificazione percorsi di accesso(100/10,9%)5.2.4.Modalità di presa in carico (35/3,8%)5.2.5. Carta dei servizi/Diritti degli utenti (26/2,8%)5.3.1. Residenziali (245/26,7%)5.3.2. Semiresidenziali (106/11,5%)5.3.3. Domiciliari (430/46,8%)5.3.4.Territoriali (273/29,7%)5.3.5. Accoglienza ed emergenza (15/1,6%)5.3.6. Prevenzione socio-sanitaria e promozionedella salute e del benessere (50/5,4%)5.4.1. Minimo vitale/Reddito minimo (30/3,3%)5.4.2. Contributi economici una tantum (169/18,4%)5.4.3. Contributi in servizi/beni di prima necessità(37/4%)5.5.1. Contributi economici (75/8,2%)5.5.2. Servizi di sostegno alla non-autosufficienza(55/6%)5.5.3.Regolarizzazione, formazione eaccreditamento lavoro di cura (49/5,3%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

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per intervenire sull’insorgere di potenzia-le disagio psichico legato alle conseguen-ze della crisi economica sulle famiglie esugli individui. La voce più marginaledell’area dedicata alle Prestazioni e ai ser-vizi – ma nel 2011 più consistente chenell’anno precedente – risulta quella de-gli interventi di Accoglienza ed emergenza.Per quanto in percentuale assai limitatarispetto al complesso degli accordi(1,6%) questi interventi si indirizzano si-gnificativamente a madri sole in difficoltàe a persone senza casa, a volte segnalandotra le cause le conseguenze occupaziona-li della crisi.Rispetto al 2010, è in leggera crescita (an-che considerando l’estensione dei dati amolti piccoli comuni, solitamente nonassociati a questo fenomeno allo stessomodo dei centri di medie e grandi di-mensioni) la presenza di Interventi di con-trasto della povertà (29%). Si tratta tutta-via in gran parte non di interventi di si-stema, e cioè di vero e proprio contrastoall’incidenza della povertà attraverso l’in-tegrazione sociale e occupazionale; mapiuttosto si rilevano contributi monetari(18,4%) diretti o indiretti – attraverso e-senzioni e riduzioni di canoni di affitto,utenze domestiche, etc. –. Va segnalatoanche un elemento di novità (rilevato an-che grazie all’introduzione, quest’anno,di una specifica voce nello schema di clas-sificazione); difatti il 4% degli accordi fapreciso riferimento a Contributi in servi-zi o beni di prima necessità: distribuzionedi alimenti attraverso associazioni di vo-lontariato e caritative, buoni, carte scon-ti e voucher per gli acquisti, operazioni dicalmieramento dei prezzi attraverso mer-cati locali con prodotti a chilometri zero.Questo appare come un indicatore di si-tuazioni maggiormente critiche di po-

vertà assoluta e condizione di grave mar-ginalità.Circa un quinto degli accordi (21,1%)segnalano interventi diretti per la non au-tosufficienza. Al livello di maggior detta-glio ciò si articola soprattutto in Contri-buti economici (8,2%) legati ai fondi re-gionali e a contributi locali; Servizi di so-stegno alla non-autosufficienza (6%) prin-cipalmente centrati su garanzie di acces-so ai servizi di trasporto, ma anche socia-lità e partecipazione alla vita sociale; infi-ne si rileva la Regolarizzazione, formazio-ne e accreditamento lavoro di cura (5,3%)soprattutto dal lato della regolarizzazio-ne, in relazione all’erogazione di contri-buti e assegni di cura, così come la for-mazione delle assistenti familiari. Va se-gnalato che in alcune aree del paese, do-ve vi è già la presenza di fondi sovraco-munali o regionali per la non autosuffi-cienza, diversi bilanci comunali hannostanziato somme aggiuntive, come già diabitudine per altri settori di intervento.Difatti, anche in altri campi di politica so-ciale e territoriale diversi fondi specificivanno a sommarsi e a confluire a livellocomunale: i fondi per i contributi all’af-fitto e i fondi anticrisi per il sostegno alreddito. In alcuni casi virtuosi, negli ac-cordi sui bilanci si inizia a impostare la di-stribuzione della spesa sociale più che at-traverso una capitolazione di vari temi edestinatari, attraverso la costituzione difondi specifici (tematici, trasversali, pro-gettuali) che sono ovviamente megliomonitorabili di anno in anno, sia rispet-to alle modalità d’uso sia rispetto agli o-biettivi da raggiungere. Naturalmente,anche attraverso esperienze più avanzatedi intervento non si riesce a eludere il pro-blema del coordinamento e finanzia-mento nazionale e universalistico delle

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politiche sociali per ribilanciare le spere-quazioni territoriali: difatti, per quanto li-mitati siano i fondi comunali integrativi,vengono costituiti in contesti relativa-mente già forniti di risorse regionali.Va segnalata infine la presenza di una pic-cola percentuale di accordi in cui sono in-dicati interventi di Welfare integrativo emutualità territoriale (1,7%). In generenon si fa qui riferimento a forme di welfa-re contrattuale e aziendale (peraltro in cre-scita), ma piuttosto a esperienze di mu-tualità territoriale e “fondazioni di comu-nità” che hanno messo in agenda approc-ci integrati di sostegno al reddito delle fa-miglie e degli individui, mobilizzando ri-sorse non completamente provenientidalle sole istituzioni locali. Ciò può realiz-zarsi anche nell’erogazione di servizi so-ciali integrativi, ma soprattutto nell’ali-mentazione di fondi specifici per il soste-gno al reddito, per la cultura e lo sport, perl’integrazione degli affitti e delle rette, peril finanziamento di borse lavoro e inseri-menti occupazionali di soggetti fragili.

Area 6. Politiche del lavoro e dello sviluppoL’area delle Politiche del lavoro e dello svilup-porisulta, se confrontata con i dati del 2010,sensibilmente ridimensionata (50,9% de-gli accordi). Ciò è forse il segno delle diffi-coltà congiunturali rispetto all’implemen-tazione di politiche – e micro politiche –locali sul tema lavoro. Ciò detto – pur contutte le cautele del caso dovute special-mente all’estensione dei dati analizzati amolti piccoli comuni nei quali è intuitiva-mente più complesso portare avanti alme-no alcuni interventi contenuti nell’area – sipuò affermare una tendenza critica che stainvestendo la dimensione più prettamen-te socio-occupazionale, produttiva e di svi-luppo delle politiche sociali e territoriali. Va

inoltre sottolineato che la finanza dei co-muni è oggi sottoposta a molteplici e con-vergenti vincoli di bilancio, che incidonodirettamente sulla capacità di interveniretempestivamente mediante spese e investi-menti: a partire dal cosiddetto patto di sta-bilità interno, senza dimenticare le ina-dempienze amministrative e politiche nel-l’utilizzo dei fondi comunitari (specie alSud, per le risorse del Fondo di sviluppo re-gionale). Sono pertanto diversi i fattori datenere in considerazione nel valutare lacontrazione degli interventi per il lavoro elo sviluppo.Sebbene la composizione interna degliinterventi – nei II e III livelli dello sche-ma di classificazione – segua in generaleil profilo di questo calo, vengono ridi-mensionati in particolare gli interventi dimaggior peso progettuale e onerosità inrapporto agli investimenti: ad esempio lapianificazione di azioni per lo sviluppolocale e gli accordi di area (4%) è assai cir-coscritta; il sostegno alle imprese (4,5%)viene limitato ad azioni spesso indiretteper favorire visibilità, valorizzazione e svi-luppo di specifici comparti dell’econo-mia locale, mentre sono pressoché assen-ti azioni più organiche e strutturali, nellequali il sistema bancario locale si possa farcarico e venga coinvolto in azioni di so-stegno al sistema produttivo. Ciò si ma-nifesta in maniera piuttosto uniforme trai differenti livelli territoriali (dal livello re-gionale, scendendo fino a quello comu-nale); mentre la disparità territoriale ap-pare significativa proprio in quest’area. Siè già osservato come la contrattazionecentrata sull’area delle Politiche del lavo-ro e dello sviluppo sia fortemente con-centrata nelle regioni del Centro e delNord-est. Più in dettaglio, se la Protezio-ne sociale e del reddito (rivolta quindi ai la-

Parte I

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voratori e alle loro famiglie, nel caso difondi anticrisi) oscilla tra il 30% circa de-gli accordi del Nord-ovest e oltre il 40%nel Nord-est e nel Centro; la pur limita-ta percentuale di interventi di sviluppolocale e sostegno alle imprese è partico-larmente concentrata nel Nord-est.Anche rispetto alle Azioni per l’inserimen-to lavorativo si registra una compressionedegli interventi (20,8%); mentre tra levoci di dettaglio sono maggiormente dif-fusi i Progetti speciali di inserimento lavo-rativo (11,7%) consistenti generalmentenell’erogazione di borse lavoro. Su questoaspetto va segnalato che potrebbe non es-servi solo un problema di risorse alla ba-se della riduzione degli interventi strut-turali per il lavoro e lo sviluppo, ma an-che un deficit progettuale. In una fase dicrisi, infatti, paiono stagnanti se non incalo anche gli interventi che implicano u-na relazione con i servizi per l’impiego (equindi le relazioni con i servizi deputatialle politiche attive del lavoro) presentisolo nel 2,6% dei casi, così come le azio-ni per la Formazione continua e professio-nale (3,2%). Riguardo all’area di II livello della Tuteladal lavoro, pare confermarsi questa so-vrapposizione di carenza di risorse e ca-renza d’iniziativa e innovazione proget-tuale. Nel complesso l’area è presente nel9% degli accordi; il dettaglio illustra che ilContrasto ed emersione del lavoro nero e ir-regolare arriva al 3,6% degli accordi (so-prattutto in relazione a clausole sociali ne-gli appalti pubblici); il Contrasto della pre-carietà e stabilizzazione del lavoro si attestasu percentuali analoghe (3,7%, in parti-colare nel riferimento a dipendenti di a-ziende pubbliche gestori di servizi sociali,a livello di ambito, consorzio o distretto);e infine i riferimenti a Salute e sicurezza

(4,5%) si concentrano sull’introduzionedi controlli e vincoli nei capitolato d’ap-palto con la pubblica amministrazione. Come si è anticipato, per l’intera area ca-lano gli interventi strutturali, e in qualchemisura tengono le azioni di sostegno di-retto al reddito. Difatti, l’area di II livellosulla Protezione sociale e del reddito man-tiene un forte peso relativo (36,2%). Il So-stegno al reddito dei soggetti interessati dacrisi aziendali o occupazionali raggiunge il34,6%, comprendendo soprattutto il rin-novo, la nuova istituzione o l’aggiusta-mento dei fondi locali anticrisi, che inconcreto hanno sostenuto a partire dal2009-2010 il reddito delle famiglie vitti-me della crisi economica attraverso un setdiversificato di interventi (esenzioni perl’accesso ai servizi; riduzioni dei canoni,delle tariffe, delle rette; contributi mone-tari diretti). Bisogna sottolineare, tuttavia,che permane una scarsa tematizzazionedelle diverse figure destinatarie di questiinterventi. Certamente questa definizio-ne sarà realizzata in altra sede, o potrebbeessere data per scontata dagli estensori del-le intese; ma in entrambi i casi va sottoli-neato il dato di fatto che la lettera degli ac-cordi non fornisce sempre indicazioni pre-cise su chi debbano essere – e con quali li-miti – i beneficiari dei fondi anticrisi. Lad-dove invece sono specificati i profili dei be-neficiari, prevalgono i soggetti la cui con-dizione occupazionale – intuitivamenteed effettivamente – possa essere ricondot-ta agli effetti della crisi economica. Vi so-no quindi indicati i beneficiari di cassa in-tegrazione – ordinaria, straordinaria, inderoga – i lavoratori in mobilità, i disoc-cupati e tutti i soggetti la cui condizionepossa essere ricondotta inequivocabil-mente alla crisi (ovvero, un licenziamentorecente). Assai minore la presenza esplici-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

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ta di condizioni di confine, per quantosempre più “tipiche”: quelle dei lavoratori(o delle famiglie) che nel complesso han-no patito una riduzione di reddito senzaricadere nelle fattispecie precedenti, i di-soccupati di lungo corso e i precari.Permane, in leggera crescita, l’elemento diqualità rappresentato dallo Sviluppo dell’e-conomia sociale e solidale (3,1%), soprat-tutto mediante la promozione di gruppi diacquisto solidale, reti di filiera corta, pro-mozione delle produzioni e distribuzione

di prodotto biologici; tutti temi spesso as-sociati – non necessariamente integrati ocoerenti – con interventi di calmieramen-to dei prezzi (farmer’s market, distribuzio-ne a chilometri zero, etc.).Assolutamente marginali infine le Azioniper la conciliazione– o l’armonizzazione –tra la struttura della vita occupazionale e lasua organizzazione con le altre attività del-la vita sociale e personale, specie delle don-ne (0,9%). Questo appare come un indi-catore indiretto di quanto la stessa presen-

Parte I

ACCORDIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

6.Politiche del lavoro e dellosviluppo (460/50,9%)

6.1. Accordi di area e pianificazioneinterventi (37/4%)6.2. Sviluppo dell’economia socialee solidale (28/3,1%)6.3.Sostegno ad aziende ecreazione di impresa (41/4,5%)6.4. Azioni per l’inserimentolavorativo (191/20,8%)di cui solo II livello (56/6,1%)

6.5. Tutela del lavoro (83/9%)di cui solo II livello (5/0,5%)

6.6.Protezione sociale e del reddito(332/36,2%)di cui solo II livello (3/0,3%)

6.7. Azioni per la conciliazione(8/0,9%)6.8.Monitoraggio, ricerca, raccoltadati, osservatori (8/0,9%)

6.4.1. Sportello lavoro/servizi perl’impiego (24/2,6%)6.4.2. Formazione continua/professionale (29/3,2%)6.4.3. Progetti speciali di inserimentosocio-lavorativo (107/11,7%)6.5.1.Contrasto ed emersione dellavoro nero e irregolare (33/3,6%)6.5.2. Contrasto della precarietà estabilizzazione del lavoro (34/3,7%)6.5.3. Salute e sicurezza (41/4,5%)6.6.1. Ammortizzatori sociali (23/2,5%)6.6.2. Sostegno al reddito dei soggettiinteressati da crisi aziendali ooccupazionali (318/34,6%)6.6.3. Sostegno all’autoimpiego emicroimpresa (5/0,5%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

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za delle donne tra i destinatari degli accor-di di contrattazione sociale, già di per sé li-mitata, si concentri soprattutto sul pianoinformativo, o nelle azioni di tutela controla violenza, e ben poco nella promozionediretta e indiretta dell’occupabilità.

Area 7. Politica locale dei redditi e delle entrateCome si è ampiamente anticipato e det-tagliato nella descrizione generale dellacontrattazione sociale del 2011, la basedei dati di quest’anno è assai più rappre-sentativa che in passato, e da un punto divista qualitativo ciò ha significato l’ad-dentrarsi maggiormente a un più capilla-re livello dimensionale e nelle diversitàterritoriali italiane. Da un punto di vistasindacale, ciò ha messo in maggior rilie-vo la presenza nel negoziato dei sindaca-ti dei pensionati. A fronte di questi cam-biamenti della base dati, l’area della Poli-

tica locale dei redditi e delle entrate accen-tua quantitativamente (con 87,9% ) unprofilo interno analogo a quello del2010, con alcune specificazioni da porta-re. Anzitutto una premessa di contesto: laseguente area di politiche di contratta-zione sociale e territoriale è quella su cuisi poggiano, direttamente o indiretta-mente, i vincoli finanziari alle azioni del-le altre aree. In qualche misura, e traguar-dando un’uscita innovatrice dalla crisi, sitratta dell’area in cui si potrebbero coa-gulare – in positivo – le potenzialità di co-niugare le politiche di welfare di cittadi-nanza con le politiche del lavoro e dellosviluppo, e di queste con l’equità socialee un nuovo equilibrio del sistema fiscale. Anzitutto si conferma l’amplissima pre-senza – confermata quindi nella sua dif-fusione fino ai piccoli comuni – dell’uti-lizzo dell’Isee (nel 63,3% degli accordi)

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

7.Politica locale dei redditi edelle entrate (795/87,9%)

di cui solo I livello (1/0,1%)

7.1.Isee (581/63,3%)7.2. Compartecipazione costiwelfare (496/54%)di cui solo II livello (78/8,5%)7.3. Tariffe servizi pubblici(538/58,6%)di cui solo II livello (48/5,2%)

7.4. Imposte e tasse locali(556/60,6%)di cui solo II livello (9/1%)

7.5. Altre imposte, tariffe e tasselocali (37/4%) 7.6.Calmieramento prezzi (26/2,8)7.7.Monitoraggio, ricerca, raccoltadati, osservatori (53/5,8%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

7.2.1. Rette servizi pubblici(353/38,5%)7.2.2. Ticket sanitari (95/10,3%)7.3.1. Rifiuti (419/45,6%)7.3.2. Utenze domestiche(169/18,4%)7.3.3. Trasporti pubblici (77/8,4%)7.4.1. Contrasto all’evasione fiscale etributaria (312/34%)7.4.2. Addizionali Irpef (319/34,7%)7.4.3. Ici (227/24,7%)7.4.4. Tasse di scopo (5/0,5)

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per la compartecipazione ai servizi socia-li, in senso stretto, ma anche per i serviziscolastici, la definizione dei contributi perl’affitto, le esenzioni delle tariffe per uten-ze domestiche, etc. Il 2011 segna in qual-che misura la generalizzazione dello stru-mento Isee; per quanto vada segnalato checiò è avvenuto in un contesto di politica eindirizzo nazionale assai critico, dovuto al-le incertezze circa la sua revisione, già de-cisa in sede di governo (con l’articolo 5della Legge 214/2011 si dovrà rivedere siala modalità di determinazione che i cam-pi di applicazione dell’Isee stesso).È legata alla generalizzazione dell’Isee la cre-scita significativa della Compartecipazioneai costi del welfare(54%), mentre – in con-fronto relativo – rimane sostanzialmentestazionario l’intervento su Tariffe e servizipubblici (58,6%) e Imposte e tasse locali(60,6%). La compartecipazione ai costi deiservizi cresce qualitativamente e quantita-tivamente: nel dettaglio il 38,5% di tutti gliaccordi fa riferimento alla determinazionedi rette e contributi per i servizi residenzia-li e domiciliari, quelli scolastici e per unasempre maggiore gamma di servizi sotto-posti al contributo dei cittadini. Nel cam-po delle tariffe – in attesa dei negoziati chenecessariamente affronteranno l’applica-zione dell’Imu – ci si concentra soprattut-to sulle tasse/tariffe sui rifiuti (45,6%), ge-neralmente con ritocchi verso l’alto. A di-stanza, ma in crescita significativa, il temadelle utenze domestiche (18,4%) che vie-ne largamente affrontato definendo con-tributi diretti, livelli di esenzione e riduzio-ne per soggetti specifici; ma anche in alcu-ni casi attraverso una tenuta delle tariffe ri-definendo accordi con gli enti e le società e-rogatrici – specie di energia elettrica – peruna maggiore efficienza ed economicitàper le amministrazioni.

Rispetto alle Imposte e tasse locali, il det-taglio degli interventi di III livello mette inevidenza una crescita di riferimenti all’Ici(24,7%) e all’Irpef (34,7%), nella grandemaggioranza dei casi per confermarne il li-vello dell’anno precedente o specifiche ri-duzioni ed esenzioni. Meno diffusi gli in-terventi sulle tariffe dei trasporti (8,4%), oalmeno quelle contrattate entro gli accor-di con il sindacato. Si evidenzia tuttavia u-na concentrazione di questi su un genera-le aumento delle tariffe di trasporto scola-stico e destinate agli studenti. Natural-mente, questo campo andrà tenuto sottoattento monitoraggio, proprio in virtù deimutamenti normativi e della pressionesulle risorse dei livelli amministrativi co-munali. Un dato, invece, in crescita quan-titativa e qualitativa riguarda il contrastodell’evasione fiscale: vi si fa riferimento inun terzo degli accordi (34%), in una va-rietà di forme più accentuata rispetto al2010, quando prevalevano sostanzial-mente le dichiarazioni di intenti e solo inaree limitate del paese (soprattutto EmiliaRomagna, parzialmente in Piemonte eLombardia) una concreta adesione e sti-pula di patti antievasione. Nel 2011, per-mangono le dichiarazioni condivise circal’esigenza di agire contro l’evasione e per ilsuo recupero, accanto a primi riferimentia somme accertate e recuperate, con l’in-dicazione della loro destinazione nei capi-toli di spesa sociale dei comuni. Inoltre, visono diversi riferimenti alla costituzione insede locale dei consigli tributari (organiconsultivi e di indirizzo, peraltro soppres-si recentemente con comma 8, art. 11 del-la Legge 201/2011).Nello schema di classificazione 2011 è sta-ta introdotta una nuova voce, relativa alleAltre imposte, tariffe e tasse locali, proprio apartire dalle evidenze emerse dalla lettura

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degli accordi del 2010, non facilmente col-locabili nelle fattispecie definite. Sotto que-sta voce, che copre un non trascurabile 4%dei documenti, vi è soprattutto il riferi-mento alla destinazione degli oneri di ur-banizzazione (in genere per sostenere la spe-sa corrente, senza una destinazione specifi-ca), ma anche alla tassa di occupazione delsuolo pubblico, all’imposta di pubblicità eper le pubbliche affissioni, alle tariffe deiparcheggi pubblici. In linea generale, que-sti interventi – quando sono citati negli ac-cordi – si sono realizzati attraverso corri-spettivi aumenti di tasse, imposte e tariffe.

Area 8. Azioni di contrasto delle discriminazioni epari opportunitàL’area tematica che comprende Azioni dicontrasto delle discriminazioni e pari op-portunità raccoglie tutti quegli interventiorientati alla difesa dei diritti civili e al con-trasto di discriminazioni – variamente ba-sate – che non consentono una piena in-clusione sociale ed espressione di sé, oltre anegare il completo riconoscimento delleopportunità e della dignità di ciascuno. È

un’area importante, anche per monitora-re – e mettere alla prova – la funzione diadvocacy realizzata dal sindacato. Ciò nonesclude – da qui la necessità di integrare nelterritorio e nelle attività di osservazionedell’Osservatorio nuove funzioni e inte-grazione dei dati – un ruolo importantedel sistema dei servizi legati al sindacato,proprio in queste materie assai impegnatoattraverso interventi di tutela individualee collettiva, in particolare nei confronti disoggetti sociali non facilmente collocabilientro l’alveo tradizionale della rappresen-tanza sindacale. Ad ogni modo, la presenza di questi teminegli accordi di contrattazione sociale nonrisulta particolarmente diffuso (11,7%),in continuità con i dati del 2010 e in coe-renza con la scarsa presenza tra i destinata-ri di soggetti quali le donne, gli immigrati,i giovani, gli ex detenuti, gli omosessuali ei transessuali. Come si è visto, un peso con-siderevole tra i destinatari della contratta-zione sociale hanno gli anziani, i minori ei disabili, ma generalmente questa associa-zione va a ricadere nel campo delle presta-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

8. Azioni di contrasto dellediscriminazioni e pariopportunità (106/11,7%)di cui solo I livello (1/0,3%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

8.1. Pari opportunità e integrazione(88/9,6%)8.2. Azioni contro le discriminazioni per età(3/0,3%)8.3. Azioni contro razzismo e xenofobia(9/1%)8.4. Azioni contro le discriminazioni di genere escelta sessuale (4/0,4%)8.5. Azioni contro le discriminazioni ai disabili(3/0,3%)8.6. Azioni di contrasto della violenza su donnee minori (10/1,1%)8.7. Monitoraggio, ricerca, raccolta dati,osservatori (6/0,7%)

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zioni e dei servizi, mentre è assai raro che siarticoli con iniziative antidiscriminatorie edi promozione dei diritti civili. Peraltro,l’attenzione a queste tematiche – come si èosservato nell’articolazione dei dati per ter-ritorio – è anche “segregata” in alcune li-mitate aree del paese. Se ciò, da una parte,può risultare sconfortante, dall’altra evi-denzia un grande margine di migliora-mento qualora le agende sindacali forzas-sero le resistenze istituzionali e si ispirasse-ro alle migliori pratiche disponibili.Nel dettaglio, le azioni per le Pari oppor-tunità e l’integrazione coprono il 9,6%degli accordi, e vi si concentrano soprat-tutto servizi per l’informazione, la forma-zione e la tutela degli immigrati stranieriin Italia; più limitatamente i destinatarisono donne, specialmente per iniziative diinformazione e orientamento occupazio-nale. Gli immigrati come destinatari ditutela contro razzismo e xenofobia com-paiono solo nell’1% degli accordi; men-tre il contrasto delle discriminazioni peretà e per disabilità raggiungono, insieme,lo 0,6%. Questi tre dati, di per sé assaimarginali, oltre a mostrare una lacuna nel-le politiche antidiscriminatorie realizzatenei territori, alludono anche al fatto chetali iniziative sono spesso intese in termi-ni “puri” e isolati: se pensiamo infatti aimargini di integrazione che avrebbero an-che nelle politiche di inserimento occu-pazionale, tutela del lavoro, contrasto allaprecarietà. Come è noto anche dalla lette-ratura disponibile, infatti, l’espulsione deilavoratori maturi, l’inadempienza versol’occupabilità dei disabili, l’articolazionedel razzismo con lo sfruttamento lavora-tivo sono fenomeni assai diffusi ben più diquanto iniziative specifiche e circoscrittealla pura – se così si può dire – discrimi-nazione lascerebbero intendere.

Area 9. Politiche abitative e del territorioCosì come l’area delle Politiche del lavoroe sviluppo, anche l’area che raccoglie le Po-litiche abitative e del territorio è in qualchemisura un indicatore della pressione fi-nanziaria a cui sono stati sottoposti gli en-ti locali ancora nel corso del 2011 – in vi-sta di ben più profondi effetti delle politi-che nazionali di bilancio sulle finanze lo-cali del 2012 e degli anni seguenti –.In maniera anche più evidente che nel ca-so delle iniziative per il lavoro e lo svilup-po, le Politiche abitative e del territoriopresentano una particolare ridefinizionedei pesi di ciascuna area di II livello e disingole voci specifiche (III livello) checonsente proprio di osservare alcuni ef-fetti dei tagli sulle politiche, sugli inter-venti e gli stanziamenti di bilancio e diconseguenza sulla progettualità stessa del-le amministrazioni locali. Nel comples-so, l’area risulta in leggera contrazione,sebbene presenti una percentuale di ac-cordi analoga all’anno precedente: il53,7%, contro il 57,4% del 2010. Tutta-via, le voci di maggiore impegno e impli-cazione finanziaria risultano quelle mag-giormente ridimensionate. In particola-re, l’area di II livello relativa a Pianifica-zione e gestione del territorio si concentrasul 13,5% degli accordi. Al suo interno,il recupero urbano e la cura del territoriosotto cui sono classificati in buona partegli interventi di manutenzione, migliora-mento, riqualificazione di aree e porzio-ni limitate di territorio – in sostanza le“piccole opere” – risulta in calo, e si limi-ta al 9,4% degli accordi; senza contareche gli interventi di infrastrutturazionedel territorio emergono solamente nel4,6% dei casi. E così accade anche in al-tre aree di II livello, ad esempio in quelladelle Politiche ambientali (16,6%), tra le

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più ridimensionate rispetto al 2010. A unlivello di maggiore dettaglio, l’organizza-zione e la manutenzione del verde pub-blico, le iniziative di raccolta differenzia-ta e risparmio energetico, l’avvio o l’e-stensione di nuove tratte di trasportopubblico locale restano tutte sotto la so-glia del 10% degli accordi. Eppure, il no-do critico non pare esclusivamente – equasi mai lo è, in esclusiva – quello dellerisorse; ma si affianca un mix di lacune diimmaginazione istituzionale e probabil-mente anche un limite di investimento intematiche forse considerate, anche dalleparti sociali, come non prioritarie in uncontesto di crisi. Laddove ciò, invece, èstato fatto, si è proceduto alla riconver-sione degli impianti di illuminazionepubblica con finalità di risparmio ener-

getico (e di spesa), si è introdotto un si-stema più capillare di trasporti verso zo-ne non facilmente raggiungibili grazie al-la riorganizzazione complessiva del siste-ma e all’implicazione di soggetti sovraco-munali come le Unioni di comuni; si è af-frontato lo sviluppo della raccolta diffe-renziata, del riciclo e del riuso medianteuna filiera innovativa che include anchel’associazionismo nel diffondere com-portamenti virtuosi e nel contrastare lacultura dello spreco e della dissipazionedelle risorse ambientali. Restano, tutta-via, casi piuttosto isolati. Spicca invece,come indicatore negativo considerata lasua marginalità, il tema dell’adeguamen-to dei tempi e orari della città alle esigen-ze dei cittadini e delle cittadine (0,5%). La tenuta complessiva dell’area delle Politi-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

9. Politiche abitative e del territorio(485/53,7%)di cui solo I livello(9/1%)

9.1.Pianificazione egestione del territorio(124/13,5%)di cui solo II livello (5/0,5%)

9.2. Politiche ambientali(152/16,6%)di cui solo II livello (6/0,7%)

9.3. Politiche per la casa econdizione abitativa(386/42%)Solo II livello (11/1,2%)

9.4. Monitoraggio, ricerca,raccolta dati, osservatori(3/0,8%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

9.1.1.Definizione, attuazione e varianti dei pianiregolatori (25/2,7%)9.1.2. Programmazione, recupero urbano e cura del territorio (86/9,4%)9.1.3. Programmi di infrastrutturazione del territorio(42/4,6%)9.1.4. Adeguamento tempi e orari della città (5/0,5%)9.2.1. Organizzazione servizi igiene urbana, raccoltadifferenziata e verde pubblico (73/8%)9.2.2. Mobilità urbana ed extraurbana (77/8,4%)9.2.3. Efficienza e risparmio energetico e idrico(63/6,9%)9.3.1. Programmazione edilizia sociale (160/17,4%)9.3.2. Risanamento alloggi (31/3,4%)9.3.3. Graduazione sfratti emergenza abitativa emorosità (68/7,4%)9.3.4. Interventi sugli affitti (288/31,4%)9.3.5. Agevolazioni acquisto prima casa (17/1,9%)

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che abitative e del territorio è garantita, in-vece, proprio dalla dimensione più stretta-mente legata all’abitare. Ciò non deve stu-pire, e anzi dà il segno di un grande sforzoper garantire un elemento di base del be-nessere dei cittadini in una fase di crisi deiredditi e delle garanzie occupazionali. L’a-rea di II livello delle Politiche per la casa econdizione abitativa, pertanto, risulta pre-sente nel 42% dei documenti. Al suo in-terno si segnala la forza dei sostegni agli af-fitti, nel 31,4% degli accordi (a volte conl’integrazione comunale di fondi regiona-li), il leggero aumento – dato critico – del-l’emergenza abitativa (7,4%), affrontata at-traverso la messa a disposizione, nei grandima anche nei piccoli comuni, di abitazionitemporanee di proprietà pubblica. Vi è latenuta della voce riguardante la Program-mazione dell’edilizia sociale(17,4%), in cuisi segnala più che un diffuso e forte investi-mento quantitativo basato sulle nuove co-struzioni e sull’uso di nuove porzioni di ter-ritorio, il dato qualitativo rappresentato daprogetti circoscritti rivolti a giovani coppie,o interventi di housing sociale destinati a-gli anziani e a soggetti fragili. Questi si rea-lizzano spesso in forme capillari e di picco-la e piccolissima dimensione. attraverso laristrutturazione e l’adeguamento di unitàabitative, nonché una molteplicità di pic-coli interventi nei comuni di dimensioni li-mitate (vi sono accordi che prevedono l’in-vestimento per recuperare, anche attraver-so il contributo dei futuri assegnatari, po-che unità immobiliari). Risultano assai marginali, in una fase incui le risorse si concentrano sul sostegnoagli affitti, le Agevolazioni per l’acquistodella prima casa (1,9%), segno indirettodello scarso coinvolgimento del sistemabancario nel sostegno della proprietà im-mobiliare dei giovani.

Area 10. Politiche dell’infanzia, per i giovani,educative e dell’istruzioneL’area delle Politiche dell’infanzia, per igiovani, educative e dell’istruzione ha vi-sto una sensibile riduzione nel passaggiodal 2010 al 2011 (risulta presente nel48% degli accordi). La riduzione degliinterventi appare orientata verso tutti gliordini e gradi di scuole: gli asili nido so-no trattati nel 27,9% degli accordi, lescuole d’infanzia nel 14,1%, la scuoladell’obbligo nel 7,1%. Si tratta peraltrodi un calo medio che va osservato anchesul piano delle sperequazioni territoriali:come si è già osservato, i temi di accordorelativi a quest’area sono nettamente dif-ferenziati tra centro-nord (e soprattuttola zona tosco-emiliana che traina il datopercentuale complessivo) e il sud delpaese che, a parte interventi sugli asili ni-do comunque non irrilevanti (circa il10% degli accordi delle regioni meridio-nali), vede una condizione critica riguar-do gli investimenti, i tentativi di miglio-rare le strutture ed estendere l’accesso aiservizi delle scuole di ordine e grado su-periore. Va segnalato inoltre che nelle vo-ci dedicate agli asili nido e alle scuoled’infanzia compaiono diversi riferimen-ti ad accordi – o comunicazioni da partedelle amministrazioni – di esternalizza-zioni del servizio educativo o di conven-zioni con strutture private preesistenti.Nel complesso, se gli interventi maggior-mente strutturali (con un aumento del-l’offerta di servizi, specie per l’infanzia) ri-sultano in una fase critica, vi è una tenutadegli interventi per il Diritto allo studio, chesi ritrovano nel 33,3% degli accordi. Ciòsi realizza, tuttavia, principalmente in in-terventi di contenimento e aggiustamen-to del servizio, spesso legati alle criticità del-le finanze locali, con l’aumento sostanzia-

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le delle tariffe per mense e trasporti scola-stici combinato con l’introduzione dellostrumento Isee per la compartecipazionedei cittadini. Più marginali sono gli altri in-terventi, di segno qualitativo più marcato:è in leggero aumento il sostegno al pre epost scuola (7,1%) e i servizi di assistenzae integrazione, rivolti principalmente a mi-nori disabili e stranieri, anche attraverso at-tività integrative extracurriculari (5,6%). Infine, nella voce Apprendimento perma-nente e università popolari si introducenell’area anche un destinatario non gio-vane o minore. Tale voce risulta nel 3,5%degli accordi, in parte riferita a iniziativeculturali pubbliche o promosse dall’asso-ciazionismo, orientate da una forte com-ponente formativa (Università popolari

e della Terza età); ma compare anche unadelle aree di intervento maggiormente e-videnti nella contrattazione sociale rivol-ta agli immigrati: le attività di insegna-mento della lingua italiana per stranieri,particolarmente concentrata in alcune a-ree del paese del centro-nord.

Area 11. Politiche culturali, di socializzazione e sicurezzaL’area delle Politiche culturali, di socializ-zazione e sicurezza rappresentava nel2010 una percentuale marginale dei do-cumenti raccolti. Tra le aree di politica so-ciale e territoriale in crescita, nel 2011, vasegnalata invece proprio l’area rappresen-tata da questi interventi, presenti nel37,9% dei casi. In generale, si può soste-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

10. Politiche dell’infanzia, per igiovani, educative edell’istruzione (434/48%)di cui solo I livello (31/3,4%)

10.1. Asili nido (256/27,9%)10.2.Scuole d’infanzia(129/14,1%)10.3. Scuola dell’obbligo(65/7,1%)10.4. Università, scuole superiori,Centri di Formazione Professionale(19/2,1%)10.5. Diritto allo studio(306/33,3%)di cui solo II livello (22/2,4)

10.6.Apprendimento permanentee università popolari (32/3,5%)10.7. Monitoraggio, ricerca,raccolta dati, osservatori (8/0,9%)

10.5.1.Pre e post-scuola(65/7,1%)10.5.2. Mense e trasporti(251/27,3%)10.5.3. Integrazione (51/5,6%)10.5.4.Convenzioni eagevolazioni per gli studenti(20/2,2%)10.5.5.Contrasto delladispersione scolastica (5/0,5%)

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nere che la crescita complessiva di que-st’area e la ricombinazione dei pesi dellesingole voci tematiche siano particolar-mente dovute al maggior dettaglio realiz-zato nella raccolta dei dati 2011. Questo aumento si concentra sulle Ini-ziative di socializzazione, presenti nel29,7% degli accordi, con un dato checonferma la forte concentrazione di talipolitiche proprio sulle azioni e i servizi diaggregazione, socializzazione, svago e be-nessere: difatti, sotto questa voce di II li-vello si ritrovano gli interventi sui centridi aggregazione (20,9%) e per il turismosociale (13,9%), mentre sono assai limi-tati i sostegni allo sport di base (3,4%).Anche gli interventi per la sicurezza (pia-ni di controllo del territorio, servizi infor-mativi per soggetti fragili, assicurazionicontro furti e truffe) risultano in aumen-to e raggiungono il 9,5%. Tutte questevoci in crescita quantitativa – sia specifi-che, sia generali –devono la loro maggio-re presenza a una più alta rappresentati-

vità della contrattazione sociale dei pen-sionati acquisita per il rapporto 2011. Di-fatti, le iniziative di socializzazione si con-figurano soprattutto in centri e occasionidi socializzazione per gli anziani, e in mi-sura più limitata per i giovani; e così il tu-rismo sociale e le iniziative per la sicurez-za vedono un quasi esclusivo indirizzo ri-volto alla popolazione anziana.In sintesi, la scarsa presenza di interven-ti più strettamente culturali quali biblio-teche e musei (1,9%) e la promozione diattività culturali in genere (6,4%) è dicerto il segno delle ristrettezze dei bilan-ci e del rischio ripetutamente segnalatodagli enti locali che il taglio dei trasferi-menti avrebbe comportato la riduzionedi servizi per i cittadini, a partire da quel-li ritenuti meno essenziali nell’immedia-to. Mentre, come si è potuto osservare, èpiù ampia la diffusione di interventi disocializzazione e aggregazione, che siconcentrano tuttavia su fasce di popola-zione ben specifiche.

11. Politiche culturali, disocializzazione e sicurezza (343/37,9%) di cui solo I livello (9/1%)

11.1. Promozione dell’offerta edelle attività culturali (77/8,4%)di cui solo II livello (6/0,7%)

11.2. Iniziative di socializzazione(273/29,7%)di cui solo II livello (12/1,3%)

11.3. Piani per la sicurezza urbana,la vigilanza ed i soccorsi (87/9,5%)11.4.Monitoraggio, ricerca,raccolta dati, osservatori (3/0,3%)

11.1.1.Biblioteche (17/1,9%)11.1.2. Promozione delle attivitàculturali e interculturali(55/6,4%)11.2.1. Promozione centri diaggregazione (192/20,9%)11.2.2.Promozione del turismosociale (128/13,9%)11.2.3.Promozione dello sportdi base (31/3,4%)

ACCORDI E VERBALIAREA PRIMO LIVELLO AREA SECONDO LIVELLO AREA TERZO LIVELLO

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L’OSSERVAZIONE SINDACALE SULLA CONTRATTAZIONE SOCIALE 2011 E L’APPROCCIO AL 2012 Per integrare la lettura dei dati e dei do-cumenti della contrattazione sociale e ter-ritoriale, si è voluto proporre un brevequestionario alle strutture regionali e alleCamere del lavoro provinciali della Cgilper analizzare alcuni andamenti qualita-tivi relativi ai temi contrattati, eviden-ziando così aspetti critici e ed elementiconsolidatisi o avviatisi nel 2011, in vistadella contrattazione del 2012.Anzitutto è stato affrontato il tema del-l’applicazione e della diffusione dell’Isee,nei suoi diversi aspetti e campi di utilizzo.Il Dipartimento welfare della Cgil, negliscorsi mesi, ha già ampiamente lavoratosul tema Isee, producendo documenti diindirizzo e di analisi che a fronte della suaampia generalizzazione – nella compar-tecipazione ai costi del welfare, e non so-lo – suggeriva inoltre linee di indirizzo peruna sua applicazione più equa e per po-tenziarne il raccordo con la verifica dellesituazioni reddituali dei cittadini, met-tendo in luce le aree di evasione ed elu-sione fiscale.Dai questionari, risulta che l’Isee non so-lo è assai presente tra gli strumenti che re-golano l’accesso al welfare locale; in trequarti dei casi rilevati si è registrato infat-ti un suo ampliamento, dal punto di vi-

sta dei campi di applicazione. In percen-tuali assai elevate si utilizza l’Isee del de-terminare la compartecipazione al costodei servizi di welfare, così come strumen-to di progressività nell’imposizione fisca-le locale – principalmente per quanto ri-guarda i rifiuti – e per le altre tariffe – a-gevolazioni utenze domestiche, contri-buti per gli affitti –. Nel dettaglio dellacompartecipazione, per la quasi totalitàdei casi l’Isee viene applicato nei serviziper l’infanzia e per gli anziani, e in una lar-ga maggioranza anche per i trasporti.Altrettanto intensa è la varietà delle moda-lità di applicazione; indice della quale è ilfatto che nel corso del 2011 in circa i trequarti dei casi si è intervenuti per una mo-difica dei criteri stessi, segnalando una con-sistente propensione all’adattamento anuove situazioni, ma anche all’instabilità.Si è intervenuti soprattutto nella ridefini-zione delle fasce di contribuzione; ma si-gnificativi interventi vi sono stati anche ri-spetto alle soglie di esenzione e ai massimi.Si conferma in circa la metà dei casi l’ado-zione dell’Isee istantaneo, quale strumen-to di riconoscimento della riduzione delreddito specie per i lavoratori e le lavoratri-ci vittime della crisi. In misura inferiore aun terzo dei casi si è intervenuti sull’Iseecontinuo. In circa un quarto dei casi e-merge l’utilizzo dell’Isee per la verifica e ilcontrasto dell’evasione fiscale e tributaria.

IL RAPPORTO - PARTE II

I percorsi, le pratiche e l’evoluzione della contrattazionesociale del sindacato

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Oltre a tratteggiare le tendenze 2011 circal’applicazione e diffusione dell’Isee, il que-stionario ha affrontato anche lo stato deiprincipali campi dei servizi sociali, educa-tivi e i servizi pubblici locali. In particolare,il campo sottoposto a maggiore pressionepare essere stato quello dei trasporti: in cir-ca due terzi dei casi vi sono stati aumentidelle tariffe, a fronte di una diminuzionedel servizio segnalata in quasi la metà deicasi. Un profilo differente è offerto dai ser-vizi per l’infanzia, in particolare i nidi e lescuole d’infanzia: l’aumento delle rette edelle tariffe per i servizi complementari dimensa raggiunge quasi l’80% dei dati rile-vati; e tuttavia, in un 20% dei casi si regi-stra un aumento dell’offerta. Analogo pro-filo si rileva per i servizi destinati ad anzia-ni e disabili, che tuttavia mostrano una per-centuale non marginale di diminuzioni delservizio (quasi un quarto dei casi) e un au-mento della compartecipazione ai costi inoltre il 50% dei territori.Comparando le risposte all’interrogativocirca la tenuta della spesa sociale e l’anda-mento della tassazione locale per il 2012,si registra a fronte di una minoranza si-gnificativa di giudizi che prevedono unatenuta della spesa sociale, nella quasi to-talità dei casi l’aspettativa è che ciò avverrà– quando dovesse avvenire – grazie a unapprofondimento della pressione fiscalenei territori.A proposito delle misure anticrisi varate,si rileva un vasto giudizio ambivalente, traluci e ombre: una definizione di inter-venti mirati e potenzialmente efficaci, an-che innovativi, a fronte di una disponibi-lità insufficiente di risorse. In un terzo deicasi, tuttavia, si rilevano anche inefficien-ze, mancata comunicazione delle misuree una debole individuazione di metodi,strumenti, obiettivi adeguati. Ovvero e-

merge un problema di metodo dell’in-tervento stesso, a fronte di risorse poten-zialmente adeguate. Le modalità degliapprocci anticrisi vedono nella gran par-te dei casi il sovrapporsi di misure direttee indirette di sostegno al reddito.Dal punto di vista delle differenze terri-toriali, l’Isee è sottoposto a un più grandeattivismo di interventi nel Nord-ovest,dove si estende in generale e si amplia laplatea di servizi a cui è applicato; accantoa ciò, si continua inoltre a modificarne icriteri. Per quanto riguarda la tenuta deiservizi: quelli per l’infanzia reggono me-glio al Centro del paese, sia in termini dicontenimento della compartecipazionesia in quelli di estensione dell’offerta. Perquanto riguarda il ridimensionamentodel trasporto – in presenza di ovvie diffe-renze dei punti di partenza quantitativi equalitativi, tra le varie aree del paese – lamaggiore pressione pare concentrarsi sulNord-ovest, anche in termini di aumen-ti delle tariffe. I servizi per anziani e disa-bili, invece, vedono una maggiore tenu-ta della minimizzazione dei costi per i cit-tadini e una limitata estensione dell’of-ferta, in particolare nel Centro. Nel complesso, la spesa sociale pare esse-re stata maggiormente attaccata al Sud enelle Isole, mentre è alta e generalizzata atutte le aree l’aspettativa di un taglio del-la spesa per il sociale nel 2012 e per un au-mento di tasse e tariffe locali. Riguardo lemisure anticrisi, infine, la congruità del-le iniziative messa in relazione alla scarsitàdi risorse è la risposta di gran lunga do-minante al Nord, mentre al Centro-Sudprevale la constatazione di misure o scar-samente finanziate o comunque ineffica-ci nonostante il finanziamento – stanzia-to effettivamente, o potenzialmente at-tingibile da fondi locali o sovralocali –.

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MODELLI E PRATICHE DI CONTRATTAZIONESOCIALE: ALCUNI STUDI DI CASOIl Rapporto 2011, con l’evoluzione dellefunzioni e delle potenzialità dell’Osser-vatorio sulla contrattazione sociale Cgil eSpi, introduce alcuni punti di novità.L’ampliamento della base dati ha con-sentito di fornire un’articolazione territo-riale generale e, pertanto, nuovi spunti dianalisi nella lettura delle differenze di pe-so e qualità delle singole aree e delle di-verse voci tematiche effettivamente og-getto di contrattazione.Ma al di là della completezza quantitati-va e della diffusione dei punti di alimen-tazione dell’Osservatorio, approfondireuna pratica sindacale a più dimensioni,come la contrattazione sociale e territo-riale, induce naturalmente a dirigersi ver-so la prassi, i processi negoziali, il campodi ideazione e le cornici culturali, le tradi-zioni (e gli habitus) sindacali e politico-amministrativi, le risorse di capitale so-ciale presenti nei diversi territori. In so-stanza, proprio per questo radicamentoterritoriale e per la sua natura intima-mente processuale – che la allontana dauna formalizzazione data una volta pertutte – la contrattazione sociale mostraassai bene, rispetto alle altre dimensionidi contrattazione più consuete e speri-mentate nella tradizione sindacale italia-na, specificità certamente molteplici. Il Rapporto del 2010 si chiudeva propriopronunciando alcune domande circa lepossibili direttrici di ricerca sulla contrat-tazione sociale: non solo intesa come am-bito di risultati, ovvero output in terminidi policies e di benefici per i cittadini; mapiuttosto come pratica che realizzandosiattiva partecipazione, implementa dirit-ti, richiama all’assunzione di responsabi-lità mentre dà voce ai soggetti del territo-

rio; e inoltre interpella storia, caratteri ecostumi consolidati anche delle organiz-zazioni sindacali.Per tale motivo, e a partire da una serie didomande chiave, si è voluto introdurrenel Rapporto 2011 sulla contrattazionesociale e territoriale un approfondimen-to qualitativo, realizzando alcuni studi dicaso regionali: Piemonte (in particolare laprovincia di Torino), Marche e Sicilia. Una fra le domande a cui si faceva riferi-mento nel rapporto, e che in parte vieneripresa negli studi di caso, ha a che farecon il nodo riguardante la contrattazionesociale e territoriale collocata in una ten-denza più ampia alla “contrattualizzazio-ne delle politiche sociali”. Questo primoorientamento di ricerca si traduce, assaipraticamente, nel chiedersi quanto il lun-go e accidentato percorso che ha condot-to alla costruzione del sistema integratodei servizi sociali, a seguito della legge328/2000, ha interagito – in entrambe ledirezioni – con la contrattazione socialedei sindacato.Un’altra domanda è inoltre: che cosa si pro-duce con la contrattazione sociale? Anzitut-to beni sociali concreti – servizi e protezio-ne sociale, sicurezza e benessere – ma an-che, in analogia con altre pratiche socialicomplesse, si realizzano relazione/parteci-pazione, autonomia e conoscenza situata.Quanto è consapevole il sindacato di que-sta doppio esito della contrattazione, chefa degli stessi “prodotti” una risorsa da uti-lizzare per ravvivare il processo negoziale?In queste pagine ci si interroga inoltre sul-la doppia – e ambivalente – domanda so-ciale che soggiace alla contrattazione so-ciale: ovvero la richiesta di servizi e garan-zie sociali, da una parte, e la domanda di ri-conoscimento di una qualità sociale e de-mocratica nei territori.

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Nel mezzo tra il contesto e gli esiti, si tro-va il percorso negoziale. Ovvero, nel cor-so di negoziati fatti di attivazione e orga-nizzazione delle strutture del sindacato,stesura di piattaforme, definizione delletappe negoziali, accordi o rotture, divul-gazione e legittimazione delle intese, cosadetermina la qualità l’efficacia e la valoriz-zazione – anche in termini di “autoconsa-pevolezza” sindacale – della contrattazionesociale nel corso del suo processo? Da qui u-na domanda ulteriore: come si può orga-nizzare al meglio la contrattazione sociale,e come si costituiscono processi negoziali ot-timali? Gli attuali modelli organizzativisindacali della contrattazione sociale pre-vedono l’interazione delle responsabilitàconfederali con il livello di elaborazionesituato al livello regionale, in alcuni casipoi declinato attraverso piattaforme pro-vinciali/comprensoriali da parte dellestrutture presenti nelle Camere del lavo-ro. Ma quali specificità andrebbero me-glio definite, nella mission di ciascun li-vello territoriale dei sindacato, e quali ruo-li e apporti per le strutture di categoria? Il Rapporto2010 si chiudeva con una do-manda decisiva, e cioè: come si può inten-dere la “rappresentanza” in questo campodell’attività sindacale?Come si è accenna-to articolando le domande circa prodot-to, processo e risultati della contrattazio-ne sociale, il tema della rappresentanzanon può certo esaurirsi nell’interrogarsisulla migliore combinazione di responsa-bilità all’interno delle delegazioni trat-tanti, ovvero a proposito dei diversi ap-porti da parte delle strutture e degli orga-ni sindacali. Il tema della rappresentanzanella contrattazione sociale, più radical-mente, interroga nuovamente il sindaca-to come già è avvenuto in altre fasi cru-ciali della sua storia (in particolare nella

spinta universalistica che percorse le or-ganizzazioni dei lavoratori tra la fine de-gli anni sessanta e i primi anni settanta)circa la sua posizione nella società, non-ché le sue “capacità” di insediarsi nel dia-logo che coinvolge le organizzazioni so-ciali, le istituzioni e i cittadini stessi, conil quale – parafrasando l’approccio di A-martya Sen – il benessere non si dissocidalla libertà e dalla realizzazione di sé, in-dividuale e collettiva.

PiemonteLa contrattazione sociale in Piemonte, co-me in altre regioni del nord Italia, ha unatradizione che affonda le radici negli anninovanta e ha basato a lungo le sue caratte-ristiche e strategie sull’iniziativa dei sinda-cati dei pensionati. Da questo punto di vi-sta, come da quello delle differenze terri-toriali interne alla stessa regione, ancoraoggi è presente una molteplicità di ap-procci alla contrattazione. Risalendo a u-na fase chiave della pratica negoziale e a unterritorio cruciale ma specifico – la pro-vincia di Torino –, un punto di svolta è da-tabile nel periodo 2005-2006, quando laCamera del lavoro di Torino ha definitouna competenza specifica sulla contratta-zione sociale e territoriale all’interno dellapropria segreteria camerale. Oggi questascelta è praticata pressoché in tutte le Ca-mere del Lavoro del Piemonte. Ciò haimpresso una spinta rinnovata all’attivitànegoziale sia in termini tematici sia in ter-mini organizzativi interni e di relazionecon le amministrazioni. La contrattazio-ne è oggi svolta generalmente dalla confe-derazione e dallo Spi, con il contributo –spesso in fase di ideazione delle piattafor-me – della Funzione pubblica. Nel pas-saggio citato è stato siglato un protocollodi relazioni sindacali tra Cgil-Cisl-Uil del

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Piemonte con l’Anci e Lega autonomie;vi si definiva una serie di impegni delleparti per la valorizzazione di un rapportoil più possibile vincolante, consolidato eduraturo per la contrattazione sociale, inparticolare sui bilanci preventivi. A casca-ta, in molti comuni si sono adottate deli-bere per regolare questo rapporto tra leparti, e in altri è comparso il rimando a unimpegno politico formale delle ammini-strazioni contenuto negli accordi stessi.Questo consolidamento formale ha coin-ciso – influenzandolo – con un rafforza-mento della contrattazione con le ammi-nistrazioni locali.Dopo la fase di consolidamento dei rap-porti tra le parti – dal centro regionale al-le singole realtà locali – nel 2007-2008 siè posta l’esigenza di fornire un input in-novativo alla contrattazione sociale svoltanei territori. La valutazione prendeva lemosse da un’analisi di fenomeni emer-genti quali il lavoro povero, la precarietà,le ristrutturazioni aziendali e la crisi di sta-bilità del tessuto industriale e produttivo.A questa analisi si è affiancata una strate-gia di contrattazione sociale che ha pun-tato a dare un indirizzo redistributivo e pe-requativo agli interventi, attraverso unarevisione delle agende sindacali presenta-te ai tavoli di confronto. A un impiantofondamentalmente basato sulla contrat-tazione sui servizi sociali e sulle esenzioni– quale strumento principale di politicafiscale e tariffaria locale – si è passati a unavalorizzazione dello strumento Isee qualepunto di accesso a politiche sociali e fisca-li più eque e universalistiche. In questa fa-se, sul tema si è adottato un secondo pro-tocollo con Anci e Lega autonomie. Daqui, ancora una volta riscendendo dal li-vello regionale a quelli inferiori, si è svi-luppata la contrattazione con i consorzi

dei servizi sociali e assistenziali, per porta-re la soglia di esenzione Isee sui servizi adomanda individuale a 8.000 euro, men-tre nei negoziati con i comuni si avviaval’estensione dell’uso dello strumento an-che ad altri campi, ad esempio alla Tarsu,ai trasporti, alle agevolazioni e ai sostegniall’affitto. Nelle successive stagioni nego-ziali l’indicazione fornita dai responsabiliprovinciali è stata quella di negoziare l’in-nalzamento progressivo delle soglie di e-senzione nella compartecipazione ai costidel welfare locale. La strategia sull’Isee siarticolava anche con l’obiettivo di esten-dere la fasciazione a redditi Isee superiorie gravitanti intorno ai 16.000 euro (defi-niti intorno alla famiglia “media” e nonsolo ai soggetti più fragili). In linea generale, l’approccio realizzato hada sempre privilegiato il livello di contrat-tazione sociale con i comuni; non tantoper un’ininfluenza del rapporto di con-certazione, programmazione e negozia-zione con i consorzi dei servizi sociali e as-sistenziali, o con le Aziende sanitarie,quanto piuttosto per una maggiore enfa-si della strategia sindacale posta sulla tute-la universalistica delle diverse componen-ti della popolazione e, di conseguenza, sulrinnovamento del sistema fiscale locale esull’equità sociale. Ciò ha consentito, ol-tre a un cambiamento dell’approccio sin-dacale, di garantire una quota sempremaggiore di popolazione attraverso lacontrattazione sociale (le dichiarazioni I-see, ad esempio, presentate in provincia diTorino sono passata da circa 50.000 nel2007 a oltre 180.000 nel 2010). Intervenendo su questo tema, venivanoanche in luce alcuni limiti dello strumen-to Isee: l’eludibilità dell’effettiva valuta-zione del reddito equivalente, le differen-ze strutturali della composizione del red-

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dito tra lavoro autonomo e dipendente,nonché le specifiche esigenze sociali postedalla crisi successiva al 2008. Ciò ha con-dotto a risposte e strategie negoziali diver-sificate e complementari: anzitutto fir-mando alcuni accordi (non generalizzati)in diverse realtà del Piemonte ( in partico-lare nelle province di Cuneo e di Torino)che indicavano soglie e scaglioni di com-partecipazione differenziati tra lavoro di-pendente e pensionati, da una parte, e la-voro autonomo, dall’altra. In alcuni con-testi, anche importanti (come Nichelino,in provincia di Torino), il tema degli ac-certamenti sull’eludibilità dell’Isee è stataaffrontata prevedendo controlli fiscali al-le dichiarazioni dei lavoratori autonomiche fossero inferiori ai livelli corrispon-denti indicati negli studi di settore. La strategia negoziale in Piemonte, neglianni della crisi, è proceduta tentando direndere versatile e di immediato beneficiol’uso dell’Isee: ad esempio introducendol’Isee “istantanea” e cioè basata sulla certi-ficazione dei redditi dell’anno in corso, in-vece che di quelli dell’anno precedente,per considerare cosÏ le molte situazioni diriduzione anche drastica del reddito dellepersone e delle famiglie. Questa innova-zione, oltre a essere stata introdotta nomi-nalmente negli accordi con i comuni è sta-ta rafforzata, nell’applicazione, da docu-menti di Cgil-Cisl-Uil provinciali – veri epropri vademecum – sulle modalità diimplementazione della misura.Questa direzione negoziale, mossa dallaspinta emergenziale di tutelare il reddito inuna fase di crisi, ha portato anche alla con-sapevolezza della necessità di interveniresul sistema fiscale e delle risorse locali: inparticolare avviando la costituzione di fon-di anticrisi locali, ma anche di livello pro-vinciale, basati sulla contribuzione capita-

ria da parte dei comuni e sullo sviluppo diprogetti di inserimento lavorativo; dall’al-tra parte, inoltre, ci si è volti al contrastodell’evasione fiscale e tributaria. A partiredal 2010, questa strategia si è sostenuta al-la stipula – in continuità con la pratica pie-montese di stabilire accordi quadro a livel-lo regionale – di un protocollo con l’Anciregionale sulla definizione dei patti antie-vasione. A seguito dell’accordo regionale ilpunto della promozione dei patti antieva-sione è stato inserito nelle agende dei ne-goziati con i comuni, e ha condotto a di-verse intese – tra cui molte città capoluogo– mentre permane la difficoltà di intro-durre intese analoghe nei piccoli e picco-lissimi comuni, di cui il Piemonte è parti-colarmente ricco. Nel complesso, da 6 co-muni del 2010 si è passati a 52 comuni del2011 che, oltre ad avere sottoscritto le in-tese, hanno messo in atto tutti gli adempi-menti necessari a dare efficacia operativa a-gli accordi antievasione.Pur basandosi sulla messa a frutto di unatradizione di lunga data e su una buonadiffusione territoriale, oramai quasi ven-tennale, la contrattazione sociale in Pie-monte mostra un considerevole centropropulsore nelle strutture camerali cen-trali (in particolare quelle di Torino, Cu-neo e Novara). La descrizione del percorso storico svilup-patosi nel corso degli anni duemila ha evi-denziato un punto chiave: la sigla dei pro-tocolli regionali con Anci, Lega autonomie,Agenzia delle entrate, ha avviato e legitti-mato percorsi virtuosi e omogenei nei ter-ritori. L’interpretazione dei bisogni in ter-mini confederali e in una prospettiva di di-fesa della cittadinanza sociale ha portato,negli anni di crisi, ad allargare progressiva-mente la cornice politico-sindacale dellacontrattazione sociale: dalla tutela di sog-

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getti specifici strutturalmente fragili – sipensi alla negoziazione a favore di anziani epensionati – a una contrattazione inten-zionata a ridefinire un nuovo quadro redi-stributivo. Questa ambizione – che ha tro-vato i punti di successo su descritti – trovaun ostacolo effettivo proprio nella necessitàdi coinvolgere il tessuto sociale complessi-vo e i suoi bisogni. Si registra quindi una ca-renza di relazione con i soggetti organizza-ti del territorio, con le istanze delle catego-rie degli attivi, e in generale un processo dimaturazione delle agende sindacali che pa-ga la forte iniziativa dall’alto – peraltro, disuccesso – con una lettura solo parziale deibisogni e una scarsa capacità di attivare,coalizzare, mobilitare i territori e i cittadininelle fasi di negoziato. Non che manchinogli ambiti di confronto interno: dagli attividei delegati alle riunioni specifiche dei re-sponsabili delle Camere del lavoro. Ma inlinea generale, questa carenza di relazioni evisibilità dell’azione sindacale sui territoriporta a ulteriori effetti paradosso: capita unbuon accordo non venga sufficientementedivulgato e quindi non consegua gli effettisperati; non tanto per un difetto di risorsee di efficacia dell’azione in sé, quanto per undeficit informativo; e ciò può riflettersi sullivello di legittimità che il sindacato stessopuò vantare in sede negoziale.La stessa lettura corretta dei bisogni risul-ta difficoltosa, in assenza di un tessutoconnettivo di base, sindacale e associativo,che consenta di cogliere sia l’umore e lenecessità di fondo – utilmente definite da-gli indirizzi concepiti a livello di Cameredel lavoro – sia il dettaglio specifico e le di-versità di ciascun territorio. A questo fine,la Cgil regionale ha incaricato l’Ires Mo-rosini di sperimentare metodi e azioni perla lettura dei bisogni che possano sostene-re la contrattazione sociale su base locale.

Il tema organizzativo chiave emerso nell’a-nalisi dell’azione negoziale è, quindi, da u-na parte nella sperimentazione di pratichedi lettura del bisogno sociale, dall’altra nelbilanciamento della filiera negoziale,rafforzando il livello locale e territoriale afronte di un buon livello di coordinamen-to e indirizzo acquisito dalle strutture cen-trali. Difatti, è stato avviato un percorsoformativo nei confronti dei responsabilisindacali che conducono concretamentela contrattazione sociale con i comuni, inmodo da poter potenziare le competenzedi interpretazione dei bilanci comunali equindi l’iniziativa propositiva.Tutto questo, tuttavia, appare come l’in-novazione possibile entro un quadro orga-nizzativo dato, nel quale le strutture di zo-na e decentrate non hanno mandato ne-goziale, mentre ci si riferisce alla strutturadella segreteria e del direttivo provinciale.In questo contesto, si sottolinea la neces-sità – proprio per realizzare un rapporto dinuova rappresentanza sociale nei territorie di relazione paritaria con gli altri sogget-ti organizzati – di sviluppare strutture con-federali locali, rappresentative e decentra-te, capaci di iniziativa. La pura e semplicecoincidenza di questo bisogno funzionalecon la struttura delle Camere del lavoro,oggi esistenti, potrebbe risultare inadegua-ta (nel caso di piccole Camere del lavorogià oberate di attività e responsabilità ne-goziali) o limitante (nel caso di quelle gran-di Camera del lavoro che incidono su unterritorio vasto e diversificato).

MarcheLa contrattazione sociale nelle Marche hacominciato ad affermarsi nella secondametà degli anni novanta, sull’onda dell’in-vestimento strategico compiuto dalla con-federazione e soprattutto dallo Spi regio-

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nale. Si trattava di una contrattazione for-temente centrata sul negoziato con i sin-goli comuni in vista della definizione deibilanci di previsione e, da un punto di vi-sta tematico, si articolava intorno ai nucleidelle politiche sociali in senso stretto (e inesse sull’assistenza domiciliare, rivolta adanziani e non autosufficienti) e sul campodelle politiche delle entrate e dei redditi, inparticolare regolando esenzioni e soglie ditasse e tariffe locali.La scelta di portare la contrattazione a unlivello territoriale capillare ha posto fin daprincipio due problemi: la formazione deiquadri sindacali deputati alla contrattazio-ne sociale nei singoli territori della regione,il coinvolgimento democratico dell’orga-nizzazione nel suo insieme e dei cittadininel valutare i passaggi del percorso nego-ziale e nel ricevere quantomeno l’informa-zione essenziale a riguardo. Insieme all’Iresregionale, lo Spi ha quindi organizzatomomenti di formazione dei responsabilidelle delegazioni trattanti. Questo modello iniziale (decentrato, for-temente in relazione con i comuni e forni-to di un’agenda tematica e dei beneficiaridelimitata) è stato in qualche misura tra-sformato nel passaggio agli anni duemila,progressivamente ma in maniera radicalein rapporto all’evoluzione del sistema inte-grato dei servizi sociali sul territorio. LeMarche e il suo “modello” di gestione ca-pillare e decentrata dei servizi sociali si sonoalimentati – per certi versi anticipandonediversi temi – agli indirizzi della legge 328del 2000. Una tendenza al decentramentoe all’attivazione delle risorse locali che pe-raltro è presente diffusamente in altri cam-pi, se si pensa all’organizzazione capillare eintegrata dei centri di servizio per il volon-tariato, tra uffici locali e centro regionale, oalla stessa organizzazione sindacale della

contrattazione sociale, con i suoi specificiapprocci e diversità territoriali.A livello regionale vero e proprio, lo Spi inparticolare di concerto con la confedera-zione si è caratterizzato essenzialmente suitemi della non autosufficienza, costruen-do con la regione una serie di confronti sutre segmenti tematici: residenze protette,assegno di cura, Sad. Un elemento di inte-resse emerso dal confronto risiede nel pro-cesso negoziale da cui sono venuti in lucequesti temi: dapprima dal basso, attraver-so diversi accordi locali fin dal 2005; poi,con la definizione di un accordo regionalequadro, nel 2008, e successivamente at-traverso la diffusione e la verifica di quel-l’accordo che ha prodotto tavoli di con-certazione a livello regionale e territoriale,all’interno dei 23 ambiti territoriali socialidella regione. Dal 2011 nel territorio diMacerata ha preso l’avvio una serie di in-contri proprio con le residenze protettedella provincia volti a verificare lo stato diattuazione della convenzione stipulata tral’Asur (Azienda sanitaria unica regionale)e le strutture in tema di tariffe e tempi diassistenza. Pur nella diversità delle situa-zioni riscontrate, sono due i risultati im-portanti ottenuti nel corso di tali incontri:uno spazio per una bacheca in cui affigge-re comunicati e volantini del SindacatoPensionati all’interno delle residenze pro-tette e, in alcuni casi, uno sportello perun’eventuale presenza del Sindacato.Più in generale, il livello di contrattazionesociale a livello regionale, fondandosi e in-teragendo con il sistema territoriale e le suedimensioni (zone territoriali sanitarie, am-biti sociali territoriali, etc.) non è risultatoalternativo, o semplicemente complemen-tare da un punto di vista tematico, entro u-na “divisione dei compiti” tra diversi livellidi contrattazione sociale. Esso ha rappre-

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sentato piuttosto una dimensione ricettivadelle spinte dei territori, a cui forniva stru-menti di intervento e occasioni di integra-zione tra i differenti livelli territoriali: cerca-va di mettere insieme i comuni tra loro, ilsociale insieme al sanitario e il sociale negliaggregati associativi dei comuni.Nel corso dei primi anni duemila si può af-fermare che la contrattazione in campo so-ciale, sanitario e integrata tra le due dimen-sioni ha trovato supporto nella fisionomiaistituzionale della programmazione e con-certazione dei servizi, fornendo alla con-trattazione sociale marchigiana il suo a-spetto più peculiare. Oggi, sostiene il sin-dacato, l’architettura socio-sanitaria già i-spirata creativamente alla legge 328/2000sta vivendo un mutamento nella cornice i-stituzionale: tra modifica dell’assetto sani-tario con cinque aree vaste in capo all’A-zienda sanitaria regionale (Asur), lo sman-tellamento funzionale delle zone territoria-li sanitarie (13 zone territoriali sanitarie acui si sovrappongono 23 ambiti territoria-li sociali che coincidono ciascuno con i di-stretti sanitari) in vista della costruzione didistretti territoriali. Oltre a ciò, fin dalla se-conda metà degli anni duemila si è assisti-to a un maggiore investimento istituziona-le nel campo sanitario a spese dell’integra-zione col sociale e con le politiche di pro-mozione territoriale. Ciò ha avuto un im-patto negativo specie nei territori in cui piùforte era stato l’investimento sindacale nelnuovo assetto di relazioni: ad esempio a Pe-saro, territorio con orientamento politico-amministrativo fornito di basi favorevoli aun rapporto con le parti sociali e al con-fronto sulla contrattazione territoriale, nel-la fase pionieristica dei primi anni duemilail contesto ha consentito l’apertura temati-ca, il rafforzamento delle funzioni di idea-zione e analisi (anche con il supporto di un

ufficio studi sindacale di livello provincia-le), nonché nuovi rapporti con il terzo set-tore ispirati al mutuo riconoscimento. In questa fase, andata dall’introduzionedella legge 328 alla metà del decennioscorso, la crescita qualitativa e quantitativadella contrattazione concentrata negli am-biti territoriali sociali non aveva esclusoquella con i comuni; questa si era, anzi, lar-gamente integrata e rafforzata grazie alle ri-cadute positive dell’esperienza formativa –e territorialmente diffusa – dei quadri sin-dacali attraverso la “palestra” dei tavoli diprogrammazione a livello di ambito. Nonsolo, l’integrazione e l’accumulo di espe-rienze tra i soggetti – sindacato, sistema deiservizi, Terzo settore – si sono accresciuteanche attraverso le norme stesse del Pianoregionale per un sistema integrato di inter-venti e servizi sociali della regione Marche(Deliberazione amministrativa n. 306 del1 marzo 2000) che ha istituito in ogni am-bito territoriale l’Ufficio di promozione so-ciale. Secondo le linee guida elaborate dal-la regione Marche gli Uffici di promozio-ne sociale sono il punto di accesso unifica-to per interventi e servizi sociali e di inte-grazione socio-sanitaria. In questo senso,concertazione, programmazione e con-trattazione vera e propria hanno potuto a-limentarsi a vicenda.Differente è il quadro successivo, nel qua-le indirizzi e impegni regionali più blandiverso l’integrazione e il decentramentohanno ridimensionato le occasioni di con-fronto tra sindacato, istituzioni del sistemadei servizi e Terzo settore. A questo va ag-giunto il sopravvenire della crisi, a partiredal 2008, che ha comportato un’accen-tuazione della contrattazione con i comu-ni, con l’obiettivo urgente di garantire so-stegno specie per la tutela del reddito per-sonale, la protezione sociale, l’equità del fi-

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sco locale. Ciò si è concentrato, specie tra2009 e 2010, nell’istituzione dei fondi an-ticrisi a livello regionale e territoriale, nelladefinizione di fasce Isee per la comparteci-pazione ai servizi a domanda individualeche tenessero conto dei soggetti maggior-mente colpiti dalla crisi. Questo ha potu-to basarsi, tra l’altro, su ricorrenti accordiche hanno coinvolto a partire dal 2008l’Anci Marche, l’Agenzia delle entrate, laregione Marche, in ordine a fornire diret-tive e linee guida per la realizzazione di po-litiche antievasione. Questo è stato ripresonelle piattaforme provinciali della contrat-tazione sociale e a cascata è stato riportatonelle trattative con i comuni, tentando divincolare eventuali risorse recuperate a ca-pitoli di spesa sociali, anche nell’attivazio-ne di interventi di tutela del lavoro e pro-mozione dell’occupazione.Ciò, da una parte è stato ovviamente unascelta obbligata, per mobilitare risorse –materiali e progettuali – che la dimensio-ne comunale poteva intercettare e attivareattraverso le trattative sui bilanci. Dall’al-tra, questa strategia ha offuscato la con-trattazione a livello di ambito territorialesociale, mettendone in luce peraltro le dif-ficoltà intrinseche dovute anche alla man-canza di un quadro normativo regionaleche avrebbe potuto stabilizzare – specie inun contesto di crisi economica e di riflus-so istituzionale rispetto alle politiche sociali– il quadro dei servizi. Tali tendenze istitu-zionali, avviate fin dalla seconda metà de-gli anni duemila dopo la fase pionieristica“dal basso” in cui si è definito il modellomarchigiano di politiche sociali, hannocondotto a diverse conseguenze, tra le qua-li un’accentuazione delle differenze terri-toriali: a partire dalle diversità sociali e dal-le culture amministrative che caratterizza-no la regione Marche, specie lungo la linea

nord-sud, ma anche tra la costa e l’interno,e tra piccoli e grandi centri.Dal punto di vista dell’organizzazione sin-dacale della contrattazione sociale, le Mar-che confermano questa varietà territoriale.In linea generale, in ogni provincia vengo-no stabilmente redatte piattaforme/lineeguida per la contrattazione sociale con i co-muni in vista dei bilanci di previsione, in-sieme a piattaforme sulle tematiche sanita-rie da portare a livello di distretti e zone sa-nitarie. Le delegazioni trattanti vedonosempre la presenza dello Spi, quella dimembri della segreteria provinciale della C-gil si concentra nelle trattative con i comu-ni di più grande dimensione e nei negozia-ti con Unioni di comuni, Comunità mon-tane, ambiti territoriali sociali. Il ruolo del-le categorie si concentra sulla Funzionepubblica; questa è tutt’altro che marginalenel processo di preparazione e arricchi-mento delle piattaforme (sui temi delle e-sternalizzazioni, fondi per la produttività,collegamento tra la produttività collettivadei dipendenti e riorganizzazione dei servi-zi); inoltre, nei comuni più grandi è possi-bile ritrovare la presenza della Fp nelle de-legazioni trattanti; mentre è più frequente,con lo Spi, quando si affrontano i temi del-le residenze protette, dei servizi educativi,gli accordi sulle esternalizzazioni.In alcuni contesti, operano livelli specificidi rappresentanza sindacale sul tema dellacontrattazione sociale; ad esempio in pro-vincia di Ancona, vi sono sei zone sinda-cali in cui operano – attraverso incontri pe-riodici – comitati di zona composti dalleleghe di pensionati, da delegati di tutte lecategorie e anche dai responsabili dei ser-vizi Cgil. In linea generale, nelle altre pro-vince vi sono responsabilità camerali, a li-vello confederale, che interagiscono con iresponsabili delle categorie e con una con-

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sistente presenza dello Spi nelle delegazio-ni che negoziano sul territorio. Il tema della promozione dei risultati e del-le informazioni emerge come particolar-mente cruciale; si ipotizza di investire in u-no sportello informativo e di accesso ai ri-sultati della contrattazione sociale – in rac-cordo con il sistema dei servizi Cgil – af-finché i cittadini possano venire a cono-scenza delle risorse e opportunità nel cam-po del sociale, ottenute con il contributodel sindacato, favorendo anche il coordi-namento della contrattazione con l’interaofferta di servizi, in ambiti anche molto di-versi e suddivisi per le diverse competenzedell’organizzazione.Insieme ai temi dell’informazione rivoltaai cittadini, della formazione dei quadrisindacali, del coinvolgimento delle asso-ciazioni e degli attori del territorio, uno deiproblemi chiave sottolineato dai respon-sabili sindacali della contrattazione a livel-lo regionale e provinciale risulta quello delprocesso democratico e decisionale inter-no all’organizzazione. È vero, certo, che lepiattaforme sono decise e discusse, moltospesso, in attivi dei delegati, ma permaneil nodo critico della rappresentatività dellacontrattazione sociale stessa e della corret-ta lettura dei bisogni – condizione essen-ziale per una scelta sociale appropriata –.Vanno sottolineati anche processi di inno-vazione nell’elaborazione delle agende ne-goziali e nel coinvolgimento del territorio:ad esempio la piattaforma sindacale che hacontribuito al Piano strategico di sviluppoterritoriale “Provincia 2020”, elaboratodalla provincia di Pesaro al termine di unlungo processo partecipativo con il contri-buto delle organizzazioni sindacali, delleorganizzazioni e associazioni del territorioe di quelle di rappresentanza dell’impresae del lavoro autonomo.

SiciliaLa contrattazione sociale e territoriale si èaffermata in Sicilia, come in diverse altreregioni, a partire dalla metà degli anni no-vanta. Analogamente ad altri contesti ter-ritoriali la spinta e il protagonismo sinda-cale nella negoziazione sono stati soprat-tutto in capo allo Spi, con l’integrazionetalvolta della Funzione pubblica specienelle trattative più strettamente legate aiservizi sociali e sanitari. Questa fase, dura-ta almeno fino ai primi anni duemila, havisto svilupparsi una contrattazione a mac-chie di leopardo, coinvolgendo alcune de-cine di comuni in tutta la regione, pur condisparità territoriali tra le diverse provincee tra centri medio-grandi e piccoli comini.La contrattazione con i comuni è stataquindi a lungo fortemente orientata daun’agenda costruita intorno agli anziani eai pensionati, ottenendo anche buoni ri-sultati nel campo delle residenze protette,degli spazi di aggregazione e socializzazio-ne, delle attività culturali.Anche in Sicilia, come d’altra parte nel re-sto del paese, il passaggio agli anni duemi-la con l’approvazione delle legge 328 sul si-stema integrato dei servizi sociali ha pro-dotto un punto di discontinuità nella pra-tica di contrattazione sociale e territoriale.Se altrove ciò ha accelerato processi di in-tegrazione già presenti – avviati dal basso,come nelle Marche – o si è presto intrec-ciato con un sistema organico istituziona-le – come in Emilia Romagna – in Siciliala norma nazionale non è mai stata recepi-ta nella sua interezza. La legge 328 ha pro-dotto sì la strutturazione del territorio in55 distretti socio-sanitari, ma senza un pia-no e una norma organici che ne definisse-ro la governance precisa, le fonti di finan-ziamento, né che stabilissero un protocol-lo definito di relazioni e funzioni tra le dif-

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ferenti parti coinvolte: istituzioni ed entipubblici, organizzazioni sindacali, orga-nizzazioni di rappresentanza sociale, Terzosettore. La costruzione dell’infrastrutturatecnico-operativa, senza un adeguato qua-dro di attivazione, responsabilizzazione ecooperazione tra i diversi soggetti, non hacosì favorito una vera e profonda azione diprogrammazione socio-sanitaria, a partiredalla lettura dei bisogni del territorio finoalle modalità e attribuzioni nell’erogazio-ne dei servizi. Difatti, risulta esemplare ilrapporto stabilito, o percepito, con il Ter-zo settore siciliano. Tale aspetto, che altro-ve è stato vissuto come un arricchimento– in contesti a più alto capitale sociale, ef-ficienza amministrativa, apertura della cul-tura associativa e corrispondente forza del-le organizzazioni sindacali – consentendodi uscire così dal rapporto solo bilateralecon le amministrazioni locali in sede diconfronto sui bilanci di previsione, in Sici-lia – pur nelle differenze locali – ha gene-ralmente portato a un arretramento con-cettuale dell’azione sindacale: da una purdifficile contrattazione con le controparticomunali a una concertazione spesso solosulla carta, quando non un semplice con-fronto informativo sviluppato nei tavolitecnici dell’ufficio di piano. Ciò, peraltro,in un contesto di risorse scarse e relazioninon del tutto formalizzate di accredita-mento e trasparenza che non ha consenti-to di stabilire relazioni di mutuo ricono-scimento e collaborazione tra sindacato eTerzo settore.Se il contesto, il capitale sociale e le struttu-re sociali pregresse hanno così impattatosulla realizzazione dei distretti socio-sani-tari e dei piani di zona, ciò in una certa mi-sura ha depotenziato le aspettative di svi-luppo sindacale della contrattazione socia-le. Accanto a questo, anche altri elementi

di natura normativa hanno contribuito aostacolare le tendenze di integrazione pro-mosse dalla contrattazione sociale del sin-dacato. Se è vero che una norma regionaledel 1986 aveva anticipato l’intento organi-co della Legge 328 (si tratta della Legge re-gionale 22/1986 su Norme per la gestionedei servizi socio-assistenziali in Sicilia), iprimi anni duemila non hanno rafforzatobensì deviato e confuso quell’orientamen-to iniziale. Da una parte l’introduzione deiDistretti socio-sanitari e la definizione deiPiani di zona ha portato elementi di parte-cipazione e programmazione; dall’altra,tuttavia, nel 2003 è stata varata la Legge re-gionale 10, su Norme per la tutela e valo-rizzazione della famiglia. Questa norma,oltre a introdurre una nozione minimaledi sussidiarietà orizzontale e porre al centrodelle politiche sociali la famiglia piuttostoche gli individui, aveva un’impostazionenon coerente con la Legge 328 e con il pro-cesso di attuazione dei distretti socio-sani-tari in ambito siciliano. Difatti, più che ildecentramento e l’attribuzione di respon-sabilità gestionali e finanziarie, si venne acreare una centralità degli interventi go-vernata dall’ente regione; peraltro si tratta-va di azioni concentrate sul sostegno eco-nomico diretto (a partire dal “buono socio-sanitario”), con una logica che si sarebbe e-stesa al sostegno della genitorialità e del-l’infanzia. Si costruiva quindi un riferi-mento normativo che finanziava econo-micamente le esigenze delle famiglie, conil limite evidente di non creare contempo-raneamente sinergie con le strutture del si-stema dei servizi sociali nel territorio. Que-sto orientamento assistenziale appare an-che nel confronto con le amministrazionicomunali, laddove la spesa sociale rappre-sentava un punto critico rispetto a obietti-vi di controllo sociale e mantenimento del

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consenso politico. Inoltre, si andavanoconfermando – anche di recente – le ina-dempienze istituzionali e una mancata let-tura dei bisogni nell’uso delle risorse delFondo europeo di sviluppo regionale (As-se VI “Sviluppo urbano sostenibile”), inparticolare riguardanti i Piani integrati disviluppo territoriale (Pist) e i Piani integra-ti di sviluppo urbano (Pisu).Gli obiettivi strategici del sindacato si con-centrano oggi sulla presentazione di unaproposta di legge su Disciplina per la rea-lizzazione del sistema integrato di inter-venti e servizi sociali. La necessità di unanorma del genere risiede fondamental-mente nel fornire un quadro normativoorganico che consolidi il sistema dei servi-zi dopo oltre un decennio dalla legge 328,e che intervenga anche sulle criticità stori-che di efficacia, efficienza e appropriatez-za del sistema di finanziamento. Nel pro-getto di legge del sindacato sono presentiquesti elementi e traspare, in controluce,la storia della contrattazione sociale in Si-cilia: le sue avanzate e le impasse, l’ambi-zione di portare elementi di integrazione,innovazione e benessere (il rafforzamentodelle politiche di pianificazione e pro-grammazione), il riconoscimento di unaconcertazione non formale né opportu-nistica, ma strategica e responsabilizzanteper tutti i partner. Infine, l’eco della con-certazione “minore” e in qualche misuradagli effetti perversi che si è realizzata nelcorso degli anni duemila entro la pianifi-cazione di zona emerge in due passaggidella proposta di legge: da una parte, si so-stiene la promozione – con garanzie e ob-blighi – del ruolo dei diversi soggetti dirappresentanza sociale nella partecipazio-ne – ciascuno con le proprie specificità –alla programmazione, alla gestione deiservizi, alla tutela dei cittadini e degli u-

tenti (attraverso carte di servizio, parteci-pazione al controllo di qualità, etc.). Dal-l’altra, il degrado della concertazione e lastrategia di riaffermazione per via norma-tiva delle relazioni sindacali portano neltesto di proposta di legge anche uno spe-cifico articolo, nel quale si sostiene per ilsindacato il diritto di “informazione, con-sultazione, concertazione e contrattazio-ne sindacale”, non dissociando da questodiritto “la concertazione anche con le or-ganizzazioni sindacali in merito agli atti dinatura programmatoria e regolamentare”.In sostanza, lo scotto pagato in oltre diecianni di normative disorganiche con ri-svolti consociativi ed accentratori si tra-duce in un riflesso sindacale di massimarichiesta di garanzie nella distinzione diruoli tra le diverse organizzazioni sociali enella tutela delle specificità sindacali nel si-stema dei servizi sociali – ovvero, il dirittodi concertare e la garanzia di contrattazio-ne autonoma –. Oltre a ciò, la legge do-vrebbe stabilire linee chiare di finanzia-mento, specificare le rispettive prerogati-ve di intervento dei diversi livelli istituzio-nali, definire norme per l’accreditamentodei soggetti gestori ed esecutori, nonchétratteggiare i campi di intervento e i sog-getti destinatari prioritari.Nella sostanza, si punta a una legge orga-nica che definisca una governance precisa,legittimi e responsabilizzi i soggetti che de-vono svolgervi una funzione pubblica (at-traverso norme stringenti per l’accredita-mento), tracci un sistema di finanziamen-to che riduca l’arbitrarietà degli interventie degli investimenti – mediante un fondosociale regionale, un fondo regionale per lanon autosufficienza e canali chiari di fi-nanziamento regionale verso gli enti loca-li e le strutture della programmazione e ge-stione dei servizi –.

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Sul piano organizzativo, in Sicilia la con-trattazione sociale nasce nel contesto delleCamere del lavoro, intorno alla metà deglianni novanta. Fin da principio, questaspinta dal basso si è giovata delle riserve diattivismo dello Spi e della capillarità dellesue leghe. Ciò ha dovuto fare i conti con lescarse risorse delle Camere del lavoro stes-se, specie le più piccole. In questi contesti,i quadri e funzionari sindacali spesso rico-privano – e ricoprono – diversi incarichi efunzioni contemporaneamente, per cuil’azione negoziale e la costituzione delle de-legazioni trattanti è stata di frequente e alungo delegata allo Spi. Oggi, specie neicomuni più grandi e nei distretti socio-sa-nitari, la contrattazione viene svolta di con-certo tra Spi e confederazione.Sul territorio, il processo di formalizzazio-ne del percorso negoziale appare ancora ar-retrato rispetto alle aspettative. Difatti, nondi frequente a ogni trattativa corrispondeuna piattaforma formalizzata e costruitaattraverso ambiti rappresentativi e parteci-pativi. Al contrario, la gran parte della ne-goziazione procede da una definizioneinformale delle piattaforme, a livello di se-greteria provinciale della Camera del lavo-ro. Un maggior numero di piattaformeformalizzate – per quanto allora più con-centrate sulla negoziazione dei pensionatie sui temi delle tasse, tariffe, servizi sociali– era diffusa fino ai primi anni duemila,quando prevaleva la contrattazione socia-le con i comuni. Successivamente, l’emer-gere dei distretti socio-sanitari e della con-certazione ha corrisposto a una minoreformalizzazione delle proposte (in un con-testo, tuttavia, percepito a volte come im-produttivo, cerimoniale e al più solo infor-mativo). Oggi, sono consegnati al sinda-cato siciliano diversi interrogativi circa l’as-setto organizzativo della contrattazione so-

ciale: su quale possa essere il migliore o-rientamento partecipativo nella fase ci pre-parazione delle piattaforme, su come tro-vare un ambito rappresentativo interno alsindacato – le Camere del lavoro, l’intrec-cio con i servizi, o altre istanze intermediee trasversali – capace di legittimare e pro-muovere la contrattazione sociale comepratica all’interno dell’organizzazione; einfine viene in luce l’interrogativo su qua-le sia la fisionomia organizzativa ideale pernon caricare una struttura già oberata, a li-vello territoriale, ma che piuttosto concor-ra a liberare nuove energie per la praticasindacale della contrattazione sociale.

Domande e direzioni per il futuroNei sintetici paragrafi precedenti sono sta-ti messi in luce alcuni aspetti chiave dellacontrattazione sociale e territoriale del sin-dacato: la storia e la periodizzazione, il pro-filo tematico e la sua evoluzione verso unamaggiore complessificazione, i caratteri emutamenti del profilo organizzativo dellanegoziazione sindacale, l’influenza del con-testo tra cui il sistema dei servizi sociali nel-le sue articolazioni pratiche e normative fi-no a elementi di capitale sociale, culturaamministrativa e sindacale. Si è evidenzia-ta l’interazione tra questi elementi: sia l’in-fluenza sulla contrattazione sociale, sia l’in-terazione e la complementarietà con essa. Tutto questo, ovviamente, è emerso attra-verso le differenze territoriali tra le diverseregioni italiane osservate, senza contare ul-teriori diversità interne alle stesse regioni.Ciò rende la contrattazione sociale e terri-toriale una pratica sindacale la cui riduzio-ne a un modello unico risulta assai diffici-le. Ciò non significa che sia sufficienteprendere atto della diversità intrinseca, ne-gli aspetti positivi o negativi, o puramentesegnalarne i punti di eccellenza e di inno-

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vazione. Si tratta piuttosto di ricercare uninedito equilibrio tra un prototipo di con-trattazione sociale che necessità di prassi u-nificanti e un orientamento necessario alcambiamento e all’adattamento nei con-fronti del contesto (sistema dei servizi,quadro amministrativo, bisogni sociali e dirappresentanza). In tutti i contesti osservati gli impulsi e ledimensioni originarie della contrattazionesociale del sindacato si possono ricondur-re all’iniziativa dello Spi, che ne ha segna-to a lungo, almeno fino ai primi anni due-mila, le caratteristiche tematiche (servizisociali, tasse e tariffe locali, la calibraturadelle agende sui bisogni di anziani e pen-sionati) e il profilo negoziale. L’azione del-lo Spi ha definito anche la dimensione e-lettiva della contrattazione sociale, almenoin questa prima fase: sostanzialmente quel-la della negoziazione con i comuni sullaspesa sociale, al momento della definizio-ne dei bilanci annuali di previsione.Come è risultato evidente dai paragrafi pre-cedenti dedicati ai casi regionali, uno sno-do chiave è stato rappresentato dalle rica-dute territoriali della legge 328/2000. A se-guito dell’implementazione della 328 –con differenze chiave legate all’anticipo, omeno, di normative regionali riguardanti ilsistema dei servizi, e poi la successiva defi-nizione, o meno, di una normativa regio-nale attuativa della 328 stessa – va segnala-ta la tendenza della contrattazione socialeverso la dimensione sovralocale e un’opzio-ne programmatoria maggiormente con-certativa rispetto al modello consueto del-la contrattazione bilaterale tra sindacato eamministrazioni. Questa dialettica tra con-certazione e contrattazione vera e propriaha alimentato altre dimensioni evolutivedella contrattazione sociale: un rapportoambivalente con il Terzo settore – o meglio,

le differenti e variegate scene associative pre-senti nei territori –, accanto a una necessitàdi maggiore confederalità dell’organizza-zione sindacale e un più ampio universali-smo dell’approccio ai temi e alla definizio-ne delle agende negoziali. Questi processi,va sottolineato, possono essere letti solo ar-ticolandoli con le diversità locali, ovverocon i caratteri del sistema regionale dei ser-vizi sociali, non disgiunto dai limiti e dallevirtù dei soggetti sociali organizzati e dallecapacità dell’organizzazione sindacale di in-fluenzare e modificare le condizioni date.Ad esempio, nelle Marche si è registrato unflusso a due vie, per il quale le esperienze nelcampo della contrattazione sociale di am-bito e distretto hanno arricchito quelle checon continuità si sono realizzate nella di-mensione comunale, e viceversa. In tal mo-do, la concertazione entro le strutture delsistema servizi deputate alla programma-zione è stata una sorta di palestra formativaalla contrattazione sociale. In Piemonte, èprevalsa la tradizione di contrattazione coni comuni centrata sui focus della politica deiredditi, del lavoro e redistributiva; mentrela contrattazione e la concertazione con ilsistema dei servizi hanno mantenuto unapropria fisionomia autonoma. In Sicilia, siè assistito a una sorta di travaso di energieed esperienze dalla contrattazione con i co-muni a quella con i distretti socio-sanitari– in assenza, non a caso, di una normativaorganica regionale sul sistema dei servizi –con la conseguenza indiretta di una man-cata spinta alla crescita della cultura ammi-nistrativa locale, insieme a un più ristrettoorizzonte della prospettiva sindacale di con-trattazione sociale.Preso atto delle differenze territoriali, an-che nei contesti più avanzati si manifesta ilpericolo di un influsso regressivo basatosulla centralizzazione delle politiche socia-

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li. Analogamente a quanto avvenuto nelcampo della sanità – su spinta dei piani dirientro dai deficit sanitari, ma anche dellacrisi attuale e della scarsità di risorse – sicorre il rischio di mortificare le origini par-tecipative e “dal basso” di alcuni percorsi diwelfare locale seguenti l’applicazione dellalegge 328. Emerge quindi l’importanza –o quantomeno si registra l’influenza – del-la formalizzazione di un quadro normati-vo coerente delle politiche sociali sulla con-trattazione sociale stessa. Tra le innovazioni introdotte sulla scia delcontrasto della crisi economica vi è il ritor-no a una contrattazione sociale e territo-riale che tenta di coniugare entrambi i ter-mini della definizione: attraverso iniziati-ve concertate di sviluppo locale e con l’im-plicazione di molteplici soggetti. Questo,nella dimensione più strettamente comu-nale, ha significato anche l’estensione del-le agende a capitoli di intervento semprepiù centrati sui temi della giustizia fiscale,della redistribuzione delle risorse, della tu-tela e della garanzia del reddito per gli in-dividui e le famiglie. Tutto ciò, ad ognimodo, riporta al centro della scena il pro-blema irrisolto di un ampio coinvolgi-mento degli attori locali e della rappresen-tatività delle decisioni nella condivisionedella scelta sociale più adeguata. Nella fasevissuta dalla contrattazione sociale neglianni della crisi si è assistito pertanto a unduplice movimento: da una parte, le im-passe legate alla carenza di risorse e allapressione dovuta ai tagli dei trasferimenti,insieme alla tensione creativa per un’inte-grazione delle politiche, per portare la di-scussione fin nella struttura dei bilanci, perincidere sulle linee di sviluppo e sulla go-vernance degli enti locali.Diverse questioni rimangono senz’altro a-perte. Tra le più rilevanti per l’azione sin-

dacale vi è la domanda su quale organizza-zione adottare per la contrattazione socia-le – o in che direzioni modificarla – e qua-li strategie per una più profonda rappre-sentanza delle istanze sociali. Ma aldilà deimodelli organizzativi, spesso gli approcciregionali e territoriali del sindacato si sonobasati su percorsi personali e competenzee motivazioni biografico-sindacali chehanno inciso sulle “tradizioni” locali dicontrattazione sociale. Sotto questo aspet-to, ovvero la riproducibilità delle esperien-ze aldilà degli apporti di specifici quadri ogruppi di lavoro sindacali consolidati neltempo, non c’è ancora una garanzia dicontinuità e di diffusione di una cultura edi una pratica condivisa all’intera organiz-zazione nelle sue articolazioni locali. La ricerca di una fisionomia stabile, radi-cata e inclusiva deve tener conto dello sta-to delle strutture territoriali, e in particola-re delle Camere del lavoro, la cui condi-zione organizzativa, il radicamento, le ri-sorse umane e materiali sono assai diverseda territorio a territorio. Ciò dovrebbe an-dare nella direzione di liberare energie sen-za sovraccaricare velleitariamente le strut-ture locali e, di fatto, quelle dello Spi. Lostimolo proveniente dai territori va invecenella direzione di pensare a dimensioni in-termedie e trasversali, partecipative e insie-me decisionali, che coniughino negozia-zione sul campo sociale, sul lavoro e i dirit-ti sociali di cittadinanza, in cui ci sia inte-grazione con il sistema dei servizi Cgil enon sovrapposizioni con le deleghe gene-rali confederali o con le categorie. Tutto ciò dovrebbe coincidere con il coin-volgimento delle diverse categorie degli at-tivi e dei livelli confederali nelle fasi ideati-ve e negoziali; ma anche procedere a unadifferenziazione attraverso l’integrazionedelle competenze dei livelli territoriali: il re-

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gionale che dà linee guida attraverso pro-tocolli – Anci, ente regione, etc –; il livelloprovinciale che traccia piattaforme “qua-dro” aperte ai contributi locali e sigla ac-cordi specifici con l’ente di riferimento –trasporti, territorio, igiene ambientale –; ilivelli comunali che si raccordano conquelli superiori nelle delegazioni trattanti,eventualmente anche con il confronto o-rizzontale tra territori di confine implicatiin analoghe caratteristiche territoriali, do-mande sociali e temi critici.Rispetto al rapporto di rappresentanza e direlazione con la cittadinanza e il territorio,si è sottolineata la necessità di realizzare unpunto di accesso attraverso il coinvolgi-mento tecnico del sistema dei servizi Cgil,con una sorta di “sportello del territorio edel sociale”, rafforzando l’informazione ri-volta ai cittadini. Sono emerse inoltre di-verse formule per avviare un processo sin-dacale partecipativo e inclusivo, che pro-ceda lungo tutta la filiera negoziale, dallepiattaforme agli accordi. Accanto a ciò sipone l’esigenza di una formazione per iquadri sindacali – tecnica e non solo, con-tinua e adattiva – che accompagni una let-tura dei bisogni capace di coniugare il sa-pere esperto del sindacato con un’opzione“partecipativa” aperta alla cittadinanza e al-le altre organizzazioni sociali.

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Parte III. Contributi78

I contributi che seguono nelle prossime pa-gine rappresentano riflessioni di studio-si e studiose che, da lungo tempo, si sono

concentrati sui processi di partecipazione so-ciale, governance, democrazia applicati neicontesti territoriali e aventi effetto – nonchésuscitando azioni e reazioni – sui soggetti so-ciali organizzati e sugli individui che intera-giscono, cooperano e/o entrano in conflittonella complessità della dimensione territo-riale stessa.L’occasione contingente di questi contribu-ti – che crediamo abbia aggiunto a essi sfu-mature nuove e dialogicità – proviene dal-lo scambio diretto avuto durante un semi-nario di studio tenuto il 22 febbraio 2012a Roma, nell’ambito delle attività di ap-profondimento che l’Osservatorio sulla con-trattazione sociale intende svolgere. L’inte-razione tra prassi negoziale, organizzazio-ne sindacale, raccordo scientifico dell’Iresnazionale e spazi di riflessività ulteriori –sia nel campo della ricerca sia in altri cam-pi del discorso e del dibattito pubblici – rap-presenta senz’altro un’opportunità crucialeper lo sviluppo di un pensiero autoriflessivosulla contrattazione sociale e territoriale.

Quali prospettive per lanegoziazione sociale. Note amargine delle rilevazionidell’Osservatorio sullacontrattazione sociale di Cgil e Spi

IDA REGALIA7

1. PremessaPer chi scrive l’interesse per il tema dellanegoziazione o contrattazione sociale (suitermini ritorno tra breve) ha una duplicevalenza: il vivo personale apprezzamentoper un’attività ricca, innovativa, piuttostoinconsueta, inattesa, un po’ sorprendente– e per di più fondamentalmente unitaria– dei sindacati italiani; e la tendenza dellostudioso a cercare di capire al di là delle in-tenzioni, a porre e a porsi delle domande,anche scomode, sugli esiti, le contraddi-zioni, le prospettive di tale attività, e più ingenerale sul suo senso nell’attuale scena-rio delle relazioni industriali.In queste note, sollecitate dal vivace efranco dibattito che si è sviluppato nelcorso di un seminario che si è tenuto aRoma sul tema nel febbraio 2012 con lapartecipazione di responsabili sindacali estudiosi dell’Ires e dell’università, inten-do concentrarmi su alcuni degli aspettipossibili8. In particolare svolgerò qualche

IL RAPPORTO - PARTE III

Contributi sulla contrattazionesociale: partecipazione,governance, democrazia

7 Dipartimento di Scienze sociali e politiche, Universitàdegli studi di Milano.8 Per ulteriori approfondimenti, si rimanda a Regalia(2003) e a Colombo e Regalia (2011).

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breve considerazione senza preoccupa-zioni di completezza, ma a mo’ di ap-punti, sulla logica della negoziazione so-ciale, sui risultati che se ne possono osser-vare alla luce dei rapporti dell’Osservato-rio nazionale della contrattazione sociale,sulle criticità di cui occorre tener conto ele potenzialità che se ne possono delinea-re per l’azione di un sindacalismo a rap-presentanza generale, inclusiva, a orien-tamento universalistico.

2. Sulla logica della negoziazione socialeCredo sia opportuno intendersi megliosu ciò di cui si parla, dal momento che ilcampo è nuovo9 e il ruolo che il sindaca-to vi svolge per nulla scontato. La primacosa, anzi, che colpisce l’osservatore è loscarto tra la diffusione delle esperienze ela bassa e confusa percezione e consape-volezza di questo genere di attività pressoil pubblico bene informato di cose sinda-cali e lo stesso mondo sindacale non di-rettamente coinvolto.In effetti, le definizioni non abbondanoe rimangono per lo più implicite e allusi-ve. Si può probabilmente concordare sulfatto che la negoziazione sociale sia un’at-tività negoziale in cui si confrontano i sin-dacati (che ne sono i promotori) e le am-ministrazioni locali, o altri interlocutoriistituzionali, intorno a tematiche di tipo‘sociale’. In altri termini, essa si svolge su un terre-no che va oltre il luogo di lavoro e il con-flitto sulla distribuzione del reddito da la-voro – va quindi al di là del terreno tradi-zionalmente considerato più tipicamen-

te proprio del sindacato – per allargarsi al-le politiche di protezione sociale e alla sal-vaguardia, in senso lato, del reddito com-plessivo dei cittadini, in ciò coinvolgen-do controparti istituzionali, diverse daquelle ‘naturali’ delle relazioni sindacali.Operativamente, si tratta di attività chehanno luogo principalmente a livello lo-cale e territoriale. Il metodo è quello delnegoziato con le amministrazioni pub-bliche competenti, a cui i sindacati, in ge-nere unitariamente, presentano richieste(spesso precisate in piattaforme), che co-stituiscono poi la base di intese per lo piùformalizzate in accordi. Concretamente,questo confronto, che non è richiesto daspecifiche normative, ha luogo da annisoprattutto intorno ai momenti di previ-sione finanziaria e strategica delle istitu-zioni interessate, ma anche in altre occa-sioni quando necessario. Dal punto di vi-sta di queste ultime partecipare al con-fronto equivale a adottare/accettare mo-di negoziati di policy-making anziché a-gire quali decisori unici.Se si tiene conto della particolarità delcontesto, delle peculiarità della contro-parte, della specificità del ruolo che di fat-to il sindacato si trova qui a svolgere, del-la sostanziale volontarietà infine di unprocesso che non è richiesto da particola-ri disposizioni, né può facilmente essereoggetto delle forme di pressione e sanzio-ne tradizionali (per il sindacato), e chetende pertanto a svilupparsi quando ap-paia sufficientemente vantaggioso a en-trambe le parti, diviene probabilmentepiù chiaro perché a chi scrive sembra piùappropriato parlare in questo caso di ne-goziazione anziché di contrattazione: ne-goziazione da intendersi nel significatopiù ampio e generale di formazione delledecisioni attraverso il confronto tra due

9 In realtà l’attenzione a tematiche ‘sociali’ non è affat-to nuova nella tradizione del sindacalismo italiano e bi-sognerebbe incominciare a rifletterci. Piuttosto recente ètuttavia l’esperienza cui si fa riferimento con l’espressio-ne “contrattazione” o “negoziazione sociale”.

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parti che hanno interessi diversi, rispettoa contrattazione nel significato più ri-stretto di processo per il raggiungimentodi una soluzione di compromesso a pro-blemi critici tra parti che hanno interessialmeno parzialmente contrapposti. Al-trove ne ho parlato più esplicitamente co-me di prassi di concertazione sociale sulterritorio (Regalia 2003).Al di là delle questioni nominalistiche, ciòche conta è che si tratta di un’attività chenon si può semplicemente mettere sullostesso piano di alle altre attività sindacalipiù consolidate, in particolare della con-trattazione collettiva. Sono le caratteristi-che di fondo del processo a essere diverse;per cui, anche se la forma del negoziatopuò essere simile a altre, il senso di ciò cheè in gioco e avviene è diverso. Ne sono consapevoli i sindacalisti chehanno preso parte a questi negoziati,quando si accorgono che non è la stessacosa che negoziare in azienda o con le as-sociazioni degli imprenditori. E ne pos-sono risultare anche un po’ frustrati, dalmomento che ci si accorge di non di-sporre in questo caso dei soliti modi concui fare pressione; non solo, ma che l’esi-to dei negoziati è spesso difficile da iden-tificare e riconoscere – in genere rimaneanzi un po’ nascosto entro le logiche deiprocedimenti amministrativi – e che tut-to il processo apre problemi e difficoltà dicomunicazione.Nelle non molte riflessioni sindacali sultema si tende a soffermarsi soprattuttosulle finalità che si vogliono perseguirecon la negoziazione sociale più che sullalogica, sulla dinamica di questo genere diiniziativa. “La contrattazione sociale è di-ventata, nei territori e nelle intenzionistrategiche della Cgil, un’attività centraledelle pratiche negoziali per la difesa dei

diritti di cittadinanza, per l’inclusione so-ciale, per l’universalismo dell’accesso aidiritti sociali”, si legge in una nota del-l’Osservatorio nazionale della contratta-zione sociale. È indubbio che queste sia-no le finalità dal punto di vista del sinda-cato. Non si può tuttavia presupporre chesia ovvio, che sia scontato e accettato da-gli altri – dalle ‘controparti’ ma anche dacoloro che si intende rappresentare – cheil sindacato sia titolato, legittimato a agi-re su questo terreno.Che ciò tuttavia avvenga – e spesso consuccesso – richiede pertanto di esserespiegato. E, più precisamente, richiedeche si individuino le convenienze dei sog-getti coinvolti (in primo luogo delle isti-tuzioni) a accettare/cercare il confronto. Su questo e sulle potenzialità, ma anche iproblemi, che ne derivano ritorno più a-vanti. Ma è evidente che qualunque di-scorso di interpretazione di ciò che si rie-sce a fare e dei risultati che se ne ottengo-no, e che ritroviamo documentati nei da-ti dell’ Osservatorio della contrattazionesociale, dipende da come ci si pone difronte a questo punto.È su questi risultati che mi volgo ora bre-vemente perché aiutano a inquadraremeglio il problema più generale.

3. Sui risultati della negoziazione socialeIn senso proprio10 la negoziazione socia-le, che ha eminentemente luogo sul terri-torio, riguarda, come si diceva, tematicheche vanno oltre il classico terreno, per l’a-

Parte III. Contributi

10 Occorre infatti fare delle distinzioni rispetto alla con-trattazione collettiva di tipo territoriale, che rientra nellacategoria della contrattazione collettiva tra sindacati dicategoria e imprese, benché i confini con quella ‘sociale’possano essere talvolta sfumati. Anche su questo ritornopiù avanti.

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zione sindacale, della produzione e di-stribuzione della ricchezza e che toccanoaree che altrove, o in passato, sono, o era-no, di competenza principalmente delleistituzioni dello stato sociale. Secondo quanto emergeva nel SecondoRapporto sulla Contrattazione Sociale Ter-ritoriale dell’Osservatorio della contrat-tazione sociale del 2011 (e relativo al2010), destinatari delle proposte e delle i-niziative sono infatti in primo luogo lageneralità dei cittadini e delle famiglie ein secondo luogo, più specificamente, ilavoratori delle aziende in crisi, l’infanzia,gli anziani, i disabili e le persone non au-tosufficienti, le persone e le famiglie incondizione di disagio economico e po-vertà. Se si eccettua la categoria dei lavo-ratori delle aziende in crisi, si tratta certa-mente di uno spaccato molto ampio, eche non si sarebbe immediatamente por-tati a ricondurre all’azione di rappresen-tanza del sindacato.Nello stesso Rapporto si osservava peral-tro che non sufficiente capacità di otte-nere (rispetto alle richieste presentate nel-le piattaforme) sembra si registri nei con-fronti di soggetti che stanno pesante-mente subendo gli effetti della crisi, e che,aggiungo io, potrebbero essere invece piùnaturalmente oggetto di attenzione daparte del sindacato: donne, migranti, gio-vani, lavoratori precari. Per comprendere pienamente il senso diquesto deficit, occorrerebbero delle anali-si qualitative approfondite degli accordi,anzi, dei processi negoziali, dal momentoche le stesse categorie di destinatari po-trebbero essere ricomprese negli accordiin altro modo. In base ai dati così come sipresentano, se ne ricava tuttavia l’impres-sione di un’azione sindacale che è allo stes-so tempo sovrabbondante e deficitaria:

sovrabbondante e deficitaria con riferi-mento ai soggetti che tradizionalmentecostituiscono la base dei rappresentati dalsindacato. Su questo occorre tornare. Quanto ai contenuti degli accordi, le areetematiche su cui si è negoziato si possononell’ordine ricondurre ai seguenti princi-pali ambiti di policy11: relazioni tra le par-ti (84%), politiche locali dei redditi e del-le entrate (83%), politiche socio-sanita-rie e assistenziali (76%), politiche del la-voro e dello sviluppo (75%), politichedell’infanzia, dei giovani e educative(63%), politiche abitative e del territorio(57%), politiche di bilancio (56%). Questo elenco ci suggerisce quali siano agrandi linee i terreni su cui il sindacato hapiù probabilità di poter far sentire la pro-pria voce nella negoziazione sociale sulterritorio. Si noti subito come a aver lamaggior diffusione sia la tematica dellerelazioni tra le parti, quella che riguarda iltema fondamentale del riconoscimentoe delle regole procedurali di riferimentonei rapporti reciproci: punto questo chefa da prerequisito a tutti gli altri data la so-stanziale volontarietà di questi processi.Quanto alle altre, si potrebbe mostrarecome esse tendano a ricorrere con più fre-quenza a un livello territoriale o a un al-tro (livello comunale, intercomunale,provinciale, regionale) a seconda dellecompetenze specifiche delle diverse am-ministrazioni. Ci sono degli ambiti in cui l’azione sinda-cale quale traspare dagli accordi è menoincisiva, come nel caso delle azioni di con-trasto alle discriminazioni. Ma in ogni ca-so il ventaglio dei temi è assai ampio e con-ferma quanto si è detto circa il notevole al-

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11 Cito solo quelli che ricorrono in oltre la metà degli ac-cordi.

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largamento delle aree di intervento delsindacato: dalle politiche sanitarie e socio-assistenziali a quelle di bilancio e delle ta-riffe locali, dalle politiche abitative a quel-le dell’infanzia e educative, eccetera. Tutto questo richiede di riflettere sul per-ché questo ampliamento del terreno d’a-zione del sindacato possa aver avuto luo-go: perché soprattutto dal punto di vistadelle amministrazioni (che non sono cer-to tutte, ma sono comunque molte) chehanno accettato un confronto non ri-chiesto dalla normativa.Oggi si tende a sottolineare da questopunto di vista l’influenza esercitata dallacrisi economica degli ultimi anni. Inrealtà la negoziazione sociale incominciaa diffondersi prima; anche prima dellalegge quadro di riforma dell’assistenza del2000, che, assegnando maggiori compe-tenze agli enti locali, crea i prerequisiti peruna disponibilità diffusa delle ammini-strazioni a confrontarsi con soggetti rap-presentativi della società civile per megliosvolgere i propri nuovi compiti12. È tut-tavia indubbio che la crisi recente, con lesue drammatiche, contraddittorie impli-cazioni di aumento dei bisogni e di re-strizione delle risorse, possa ulteriormen-te ampliare l’interesse di molte ammini-strazioni a accettare, forse cercare, il con-fronto con il sindacato. Ma perché dunque? Non certo per nego-ziare la distribuzione di maggiori risorse.Al contrario, per essere facilitati nel diffi-cile compito di definizione e ridefinizio-ne delle priorità e delle urgenze in un con-testo di pressioni e domande crescenti edi disponibilità in diminuzione. Dal sin-

dacato dunque, in quanto soggetto rap-presentativo di tipo generale, in quanto“portatore di istanze e rappresentanza so-ciale” sul territorio, come si dice in un’in-tesa con l’Anci Lombardia del 2006 (Co-lombo e Regalia 2011: 137), ci si atten-de, più o meno consapevolmente, che,negoziando con le amministrazioni nel-la fase di impostazione dei bilanci o co-munque di formazione delle decisioni,contribuisca responsabilmente a orienta-re l’amministrazione a fare le scelte più a-deguate ai bisogni e alle aspettative piùurgenti della popolazione presente sulterritorio alla luce dei vincoli esistenti. Si può anche in altro modo dire che dalsindacato ci si attenda che concorra a farfunzionare al meglio, entro le compatibi-lità date, i programmi di welfare pubbli-co in materia di politiche sociali.È del tutto evidente che, messa in questitermini, la negoziazione sociale al sinda-cato apra opportunità nuove, ma ponganon pochi problemi.

4. Problemi e opportunitàVorrei concludere queste note con qualcheconsiderazione che riguardano tre puntialmeno in parte critici. E più precisamen-te: il tipo di legittimazione a agire di cui ilsindacato può godere in questo caso e leimplicazioni che ne derivano, il rapporto,il possibile aggancio, con altre forme sin-dacali d’azione; le potenzialità della nego-ziazione sociale per il futuro del sindacato.Il primo punto – quello della legittimitàa agire del sindacato – è fondamentale. Eprenderne consapevolezza è indispensa-bile perché la strategia della negoziazionesociale non diventi puro volontarismo,attivismo un po’ velleitario o solo rituale,in ultima analisi ininfluente, sterile. In base a quanto s’è detto, dovrebbe esse-

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12 Per un approfondimento anche in chiave storica si ri-manda ai capitoli introduttivo e conclusivo di Colombo eRegalia (2011).

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re chiaro che, in questo campo d’azionemeno consueto, per il sindacato la legit-timazione a agire si fonda sulla capacità difarsi portatore di istanze sociali diffuse, ilpiù possibile di tipo generale, in una pro-spettiva fortemente inclusiva. È in quanto le organizzazioni del lavorohanno, mostrano di avere, una capacitàdi rappresentanza molto ampia, il piùpossibile universalistica, che per le am-ministrazioni può aver senso accettare diconfrontarsi con esse e ammetterle entroi processi di definizione delle politiche so-ciali sul territorio. Si noti che ciò non ri-guarda solo la propensione a coinvolgereil sindacato anche nelle politiche che nonriguardano direttamente il lavoro (e i da-ti che ho citato prima danno un’idea diquanto questo coinvolgimento possa es-sere esteso e articolato). Ma riguarda an-che il coinvolgimento del sindacato nel-le politiche che tradizionalmente piùrientrano nel suo raggio d’azione.Ciò che infatti viene qui richiesto al sin-dacato non è di svolgere un ruolo dagruppo di pressione a favore dei ‘suoi’rappresentati in una competizione di ti-po pluralistico. Specie quando il negozia-to con le istituzioni avviene nelle fasi didefinizione dei bilanci, ciò che più o me-no consapevolmente ci si attende è alcontrario che esso agisca in un’ottica tra-sversale, in rappresentanza di interessi ge-nerali, disponibile a individuare le com-patibilità, i punti di equilibrio possibili inuna logica d’insieme. E ci si attende quin-di che, partecipando al policy-making, a-gisca ‘per’ (per la difesa dei diritti di citta-dinanza, per l’accesso universalistico ai di-ritti...) più che contro; e che in questo difatto assuma un ruolo di facilitatore deiprocessi decisionali delle istituzioni loca-li, orientando e cercando di vincolarne,

secondo la logica dei ‘vincoli benefici’(Streeck 1994), le scelte, in una prospet-tiva di buona amministrazione orientataal bene comune. Si può in altri termini dire che il ruolo chequi il sindacato chiamato a giocare è quel-lo di influire, con immaginazione, sulledecisioni di utilizzo dell’ammontare di ri-sorse disponibili per le politiche sociali,alla luce delle domande e dei bisogni del-la popolazione rappresentata, che è poi lapopolazione locale. E non è invece quel-lo di rivendicare qualcosa di altro rispet-to ai programmi del welfare pubblico13.Il senso della sua azione – e la base dellasua legittimazione – è dunque la capacitàdi agire da incentivo, da stimolo al buongoverno in un’ottica di giustizia, solida-rietà e inclusione sociale.Se ciò corrisponde al vero, diventano for-se più comprensibili i dati prima citati su-gli accordi presenti nell’Osservatorio, chesembravano indicare come l’azione sin-dacale tenda a presentarsi qui allo stessotempo come sovrabbondante e come de-ficitaria in relazione ai soggetti che tradi-zionalmente costituiscono la base di rap-presentanza dei sindacati. E ciò perchéappunto diversa è la logica di rappresen-tanza che fa da base al riconoscimento daparte delle istituzioni nel caso della nego-ziazione sociale. Si può in altri termini di-re che in questo caso il sindacato è indot-to a sottorappresentare gli interessi speci-fici dei lavoratori in quanto tali, ma perdar voce a più ampi diritti di cittadinan-za per tutti.

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13 Si noti per inciso che è perché quest’azione di stimo-lo avviene all’interno delle logiche del procedimento am-ministrativo che la negoziazione sociale tende struttural-mente a avere scarsa visibilità e, un po’ paradossalmen-te, scarso riconoscimento sociale.

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Ciò apre prospettive nuove al sindacali-smo trasversale e confederale, dilatando-ne il campo di intervento; ma insiemesolleva la questione del rapporto, delcoordinamento, dell’aggancio tra questanegoziazione e le altre forme più tradi-zionali di negoziazione del sindacato, inparticolare quelle delle categorie. Sia che contrattino a livello nazionale, siache contrattino a livello aziendale, le lo-giche cui si rifanno le organizzazioni dicategoria nelle relazioni con le contro-parti sul mercato sono infatti largamentediverse, talvolta anche contrastanti, ri-spetto a quelle adottate dalle struttureconfederali e dei pensionati nella nego-ziazione sociale con le istituzioni.Si noti che ciò vale anche in relazione a te-matiche nuove della contrattazione col-lettiva – quali quelle del welfare azienda-le o contrattuale – su cui da tempo si di-scute e che a prima vista possono sem-brare più affini alla negoziazione sociale.Il welfare di cui si parla in questi casi sipresenta infatti come aggiuntivo rispettoa quello di tipo pubblico, ha carattere oc-cupazionale e per sua natura, com’è statoopportunamente osservato (Ferrera,2009), è esclusivo e selettivo. Al di là deitemi considerati, è la logica della rappre-sentanza a essere nettamente diversa inun caso e nell’altro.In generale va detto che il raccordo vir-tuoso tra i processi di negoziazione socia-le e le esperienze della contrattazione col-lettiva è in gran misura da inventare, da ri-trovare e da costruire attraverso una mes-sa a confronto franca delle diversità di fon-do che caratterizzano gli uni e le altre. Possibili prospettive di aggancio si posso-no tuttavia immaginare forse soprattuttoin relazione ai problemi nuovi di governodel mercato del lavoro che stanno emer-

gendo in conseguenza delle profonde tra-sformazioni che interessano l’economia ela società. Le implicazioni delle crisi produttive eoccupazionali sono sotto gli occhi di tut-ti, e ormai sono divenute chiare le conse-guenze del moltiplicarsi di forme d’im-piego temporanee, più o meno volatili,che pongono problemi di sicurezza del la-voro almeno in parte diversi da quelli cuisi è stati abituati. A ciò si possono ag-giungere le esigenze nuove di lavoratori lacui vita lavorativa, anche a seguito del-l’aumento della partecipazione delle don-ne e dell’intensificarsi dei processi migra-tori, è variamente segnata da molte tran-sizioni: dalla fase dell’istruzione a quelladel lavoro (per il mercato) e viceversa; daun posto di lavoro a un altro; dalla con-dizione di occupato a quella di disoccu-pato in cerca di nuova occupazione; daun tipo di contratto a un altro, o da chicerca di muoversi da una posizione di la-voro sommersa a una regolare, o dal la-voro in un paese a un altro; dal lavoro peril mercato al lavoro di cura e viceversa, odalla vita ‘attiva’ a una condizione ‘inatti-va’ spesso ricca di altre attività.Sia per rispondere alle domande di chi siritrova disoccupato, sia per fronteggiare irischi nuovi dei nuovi occupati, sia per fa-cilitare la soluzione dei molti problemi diconciliazione, il sindacato potrebbe forseinvestire in modi di partecipazione al go-verno e alla tutela appunto delle transi-zioni sul mercato del lavoro in modo darendere tali transizioni socialmente piùsostenibili. Ciò equivale a cercare di indi-viduare i modi di proteggere i lavoratoridai vecchi e nuovi rischi in cui essi posso-no incorrere nelle diverse circostanze del-le loro storie di lavoro e di vita, così checambiare, spostarsi, lavorare anche con

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contratti temporanei, affrontare periodidella propria vita più centrati su attivitàdi cura possa il più possibile non trasfor-marsi in fonte di disagio sociale e povertà. Riuscirci richiede molti e continui inve-stimenti in politiche per il lavoro, passivee soprattutto attive, come avviene neipaesi in cui più ci si è avvicinati al rag-giungimento dell’obiettivo. Natural-mente richiede ancor prima strategie dipromozione della crescita e dello svilup-po che chiamano in causa prioritaria-mente altri soggetti. Ma per il sindacatoè forse su questo terreno che si può salda-re il rapporto tra la negoziazione socialesul territorio e la contrattazione delle ca-tegorie a livello nazionale e nelle aziende,e che si possono così pure trovare legamiefficienti con attività trasversali specialiquali quelle svolte dai sindacati dei lavo-ratori atipici.Del terzo punto, che riguarda le poten-zialità che si aprono al sindacato attraver-so la negoziazione sociale, ho già ampia-mente detto, anche se in modo disordi-nato. Qui vorrei solo aggiungere ancoradi sfuggita che questo genere di interven-ti, che corrispondono a logiche d’azionedi tipo inclusivo, ha il grande merito diandare, almeno in via di principio, oltre iconfini della rappresentanza tradiziona-le, superando le barriere strutturali tra chivi rientra, perché occupato o perché è sta-to comunque attivo sul mercato del lavo-ro, e chi vi rimane fuori, perché non lo èo non lo è stato. È questo il senso, sul piano della rappre-sentanza, della capacità come si diceva diagire da incentivo, da stimolo al buon go-verno in un’ottica di giustizia, solidarietàe inclusione sociale. Non va tuttavia sottovalutato il fatto chea questa dilatazione del campo d’azione

corrispondono questioni nuove di rap-porti con altri soggetti della società civile,in particolare con le organizzazioni delterzo settore, dal momento che sul terre-no delle politiche sociali il sindacato nonpuò vantare una capacità di rappresen-tanza sostanzialmente monopolistica, co-me nelle relazioni di tipo collettivo con gliimprenditori14. Come a dire che a unampliamento della possibilità di influen-za fa da contrappeso un ridimensiona-mento del proprio riconoscimento dirappresentante unico. È sulla capacità di prenderne atto, e di de-finire di conseguenza in modo costrutti-vo e soprattutto nuovo le proprie strate-gie, che mi pare si giochino le prospettivedi sviluppo non rituale dell’azione sinda-cale sul territorio.

Riferimenti bibliografici

Colombo S. e Regalia I. (2011), Sindacato e welfare lo-cale. La negoziazione delle politiche sociali in Lombar-dia nel primo decennio degli anni Duemila, Milano, Fran-co Angeli

Ferrera M. (2009), Luxottica e i rischi dell’azienda-mam-ma, “Corriere della sera”, 14 febbraio 2009, p. 36

Regalia I. (2003) (a cura di), Negoziare i diritti di citta-dinanza. Concertazione del welfare locale a tutela del-la popolazione anziana, Milano, Franco Angeli

Streeck W. (1994), Vincoli benefici: sui limiti economicidell’attore razionale, “Stato e mercato”, n. 41, pp. 185 -213

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14 È vero peraltro, che, come osservato soprattutto in Co-lombo e Regalia (2011), il sindacato può godere di unaposizione di riconoscimento particolare nella misura in cuile amministrazioni hanno convenienza a coinvolgerlo nel-le fasi di impostazione e non tanto di implementazionedelle politiche, come può invece avvenire più frequente-mente nei confronti delle organizzazioni del terzo settore.

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Programmazione negoziale,giustizia sociale e democrazia

LAVINIA BIFULCO15

1. Premessa Nello sviluppo delle pratiche negoziali dicui dà conto questo rapporto sulla con-trattazione sociale territoriale, confluisco-no e si intrecciano fattori propulsivi di-versi: la tradizione di concertazione che haalimentato il confronto tra istituzioni epartner sociali principalmente sui temi dellavoro; la diffusione di strumenti e meto-dologie della programmazione negozialeche dagli anni 90 ha interessato più di unsettore delle politiche (lo sviluppo locale,le politiche socio-assistenziali, la rigenera-zione urbana: Bifulco, 2010); le spinte al-la democratizzazione che hanno dato im-pulso ad approcci e processi decisionalipartecipati, inclusivi e “a più voci” (Bob-bio, a cura di, 2004). I cambiamenti im-plicati negli stili e nei meccanismi del po-licy-making sono solo in parte specificidell’Italia, riallacciandosi a un quadro eu-ropeo più complessivo e a spinte esogenedi diverso tipo che operano da circa ventianni. Il quadro è quello della crescita distrumenti dell’azione pubblica impernia-ti sulla mobilizzazione e sul coordina-mento degli attori (Lascoumes, Le Galès,dir. 2004), nella cui scia prende formaun’intera stagione contraddistinta da po-litiche contrattuali e partecipate. Pur essendo apprezzabili e note le dina-miche virtuose che possono scaturirne –sul piano dell’efficacia, del rafforzamen-to dei potenziali cooperativi e del miglio-ramento del processo democratico – lepratiche negoziali e partecipate presenta-

no alcuni problemi, a cominciare daquelli relativi al tipo e grado di legittimitàassociati a situazioni in cui gli attori chepartecipano ai processi decisionali nonsono sottoposti ai dispositivi di controlloche normalmente regolano il rapportofra rappresentanti e rappresentati (Papa-dopoulos, 2000). Una questione di fondo e trasversale èquella che ruota attorno al rapporto fraparticolare e generale. Infatti, uno dei no-di cui le pratiche della programmazionenegoziale e partecipata sono chiamate a farfronte è il rischio di piegature particolari-stiche. In altri termini, in che modo e aquali condizioni le istanze specifiche e par-ziali trattate ai tavoli negoziali approdanoa un orizzonte di generalità. Un problemacentrale in Italia, caratterizzata da una lun-ga storia di pratiche negoziali di naturaspartitoria e collusiva. In teoria, un ele-mento di differenza importante rispetto aquesta storia – che farebbe pensare a unasorta di tara originaria –è la trasparenza: l’i-dea o l’intenzione è, infatti, che la negozia-zione debba svolgersi non più all’ombradella gerarchia ma in piena luce e secondoprincipi di accountabilityche impongonodi render conto di ciò che si fa e che si con-segue (Bifulco, de Leonardis, 2003). Inol-tre, la negoziazione dovrebbe mirare arafforzare le logiche integrative, fondate sucomportamenti reciprocamente orienta-ti, anziché favorire quelle distributive, o-rientate alla spartizione di risorse.In queste note vorrei affrontare il temaparticolare-generale privilegiandone alcu-ni aspetti “sostantivi” anziché di processo.Mi concentrerò, precisamente, su que-stioni di giustizia sociale e di disegua-glianze. Premetto immediatamente chenon penso che principi e dinamiche dellagiustizia sociale siano in opposizione o

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15 Dipartimento di Sociologia e Ricerca sociale, Univer-sità di Milano Bicocca.

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contraddizione con principi e dinamichedecisionali di tipo partecipato e inclusivo.Al contrario, la redistribuzione di risorse edi poteri sono compenetrate fra loro. Edè su questa compenetrazione che si reggo-no la cittadinanza sociale e la messa in o-pera dei suoi principi universalistici. Cer-to, si tratta di un orizzonte teorico/nor-mativo che ha faticato non poco a trovareapplicazione. Tuttavia, le traduzioni inrealtà empirica non mancano. Per di più,questo orizzonte oggi è particolarmenteimportante, come riferimento possibiledelle agende pubbliche che obbliga i deci-sori a interrogarsi su come far sì che beni,servizi, entitlements, protezioni e poterisiano non prerogativa di soggetti o cate-gorie particolari, perciò impregnati di par-ticolarismo, ma dotazioni comuni alla ge-neralità degli individui in quanto cittadi-ni. O, per dirla con Robert Castel (2003),se e come sia ancora possibile una societànon di eguali ma di simili “in cui tutti imembri possono intrattenere delle rela-zioni di interdipendenza perché dispon-gono di un fondo di risorse comuni e didiritti comuni” (p. 33). Comincerò con il delineare brevementealcune coordinate concettuali per inqua-drare la compenetrazione fra giustizia so-ciale e negoziazione. Prenderò poi in esa-me il rapporto fra l’agenda pubblica e iltema delle diseguaglianze. Su queste ba-si, preciserò perché e in che senso è im-portante occuparsi di giustizia sociale ediseguaglianze. Chiuderò tornando agliambiti della programmazione negozialee della concertazione per evidenziare al-cuni risvolti meritevoli di ulteriore ap-profondimento.

2. Alcune coordinate concettuali Da più parti e in diverso modo viene e-

spressa la preoccupazione che l’interessedi cui gode la partecipazione nell’ambitodel disegno e dell’implementazione dellepolitiche di welfare in molti paesi europeistia andando a scapito dell’offerta di benie servizi. In effetti, in tempi di restrizionesevera dei bilanci pubblici la partecipa-zione può sembrare una prospettiva me-no onerosa, perciò finanziariamente piùsostenibile, dello sviluppo o del semplicemantenimento delle dotazioni esistenti.Ma la partecipazione ha bisogno di risor-se, altrimenti è un lusso per pochi, per dipiù futile. Così come la giustizia socialeha bisogno della possibilità di sviluppareed esprimere voice, altrimenti allignanoimpotenza e sudditanza. Il rapporto fra la giustizia sociale e la par-tecipazione alla vita pubblica non è digiustapposizione ma di interdipendenza.Questo è un punto acquisito in una par-te importante della teoria normativa delwelfare. Per Thomas H. Marshall, che neè il padre fondatore, la cittadinanza so-ciale include il diritto a partecipare pie-namente al retaggio sociale e a vivere la vi-ta di persona civile, secondo i canoni vi-genti nella società. In che, in un’accezio-ne non restrittiva, significa anche la par-tecipazione alla vita pubblica. L’approccio delle capabilities di AmartyaSen (1999) è senza dubbio il riferimentopiù prezioso e pertinente. Al centro vi èl’idea che siano importanti non solo le ri-sorse, le opportunità e i diritti ma anchele libertà individuali di scegliere la vita cuisi ha motivo di attribuire valore. Le capa-bilities, da questo punto di vista, com-prendono il coinvolgimento dei cittadi-ni nel dibattuto pubblico in cui le opzio-ni e le priorità vengono discusse e fissate.Perché quando la scelta riguarda opzionipredeterminate, secondo Sen non c’è ve-

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ra libertà. La libertà che conta, infatti, èquella di agire come cittadini la cui voiceha un peso “piuttosto che vivere comevassalli benvestiti, ben pasciuti e intratte-nuti” (Sen 1999, p. 288). È in questa spe-cifica prospettiva sulla libertà che la voiceassume rilevanza come espressione “poli-tica” delle capacità. Più precisamente, lacapability for voice è “la capacità che o-gnuno ha di esprimere la propria opinio-ne e il proprio pensiero e di farli pesarenell’ambito di una discussione pubblica”(Bonvin, Thelen, 2003). In questo sensoSen evidenzia che la voice non è un ac-cessorio ma è una parte integrante delben-essere. Le condizioni che permetto-no un’effettiva partecipazione delle per-sone alle decisioni che le riguardano so-no, infatti, complementari a quelle ne-cessarie per avere una buona salute, un’a-deguata nutrizione, ecc.. Un altro riferimento prezioso è il concet-to di capacità di aspirare che Arjun Ap-padurai (2004) ha elaborato nel dialogosviluppato per l’appunto con Sen. Si trat-ta di una capacità culturale che concerne“il modo in cui gli essere umani mettonoin gioco il loro stesso futuro (p. 61) e iquadri normativi da cui prendono formadesideri e immaginazioni sul futuro. Conuna metafora molto efficace, Appaduraiparla di una “navigational capacity” chesi nutre della possibilità di usare le map-pe delle norme per esplorare il futuro, “diformulare ipotesi e contestazioni rispettoal mondo reale” (ibidem). Appaduraimette a punto questo concetto occupan-dosi – come Sen, del resto – di povertà incontesti in cui le opportunità per aspira-re e immaginare il futuro sono decisa-mente scarse. Il suo interesse è dimostra-re che è possibile alimentare queste op-portunità. La capacità di aspirare, a suo

parere, cresce attraverso “la pratica, la ri-petizione, l’esplorazione, la congettura eil rifiuto” (p. 66). Detto altrimenti, attra-verso la voice, che è precisamente “la ca-pacità di dibattere, contestare, indagare epartecipare criticamente”. Il punto importante è che sia Sen, sia Ap-padurai propongono una prospettiva chesostiene la redistribuzione, in contempo-ranea, di risorse e di poteri. Benché prio-ritariamente collegata a contesti di gravepovertà, questa prospettiva ha un raggiodi applicazione molto ampio che abbrac-cia anche situazioni di “normalità”.

3. L’agenda pubblica Occorre poi considerare i modelli e gli ap-procci che hanno ispirato le scelte di policyin tempi abbastanza recenti. Per come èstato disegnato sulla carta dalla legge 328del 2000 – la cosiddetta riforma dei servi-zi e degli interventi sociali – il welfare lo-cale in Italia è un congegno quasi perfettoper accrescere da un lato l’equità e la qua-lità dei servizi, dall’altro lato la democra-zia (de Leonardis, 2006) e per invertire, inquesto modo, una storia che ha cumula-to scarsità dei servizi, incertezza dei dirit-ti, logiche istituzionali accentratrici e top-down. rapporti assai asimmetrici fra am-ministrazioni e cittadini/utenti. È in que-sta cornice che va colto il potenziale inno-vativo del Piano sociale di zona, lo stru-mento chiamato dalla riforma a realizza-re un modello negoziale della governancelocale in grado al tempo stesso di costrui-re un sistema dei servizi e degli interventisociali appropriato e commisurato su ri-sorse e bisogni delle comunità territoriali(la sostanza delle politiche), e forme par-tecipate di programmazione (le logichedelle politiche). Pur essendosi inceppato più di una volta,

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non si può dire che questo congegno ab-bia deluso tutte le speranze di cambia-mento che vi erano riposte. Tuttavia, oc-corre rilevare una situazione sbilanciatafra l’anima “redistributiva” e quella “de-mocratizzante” del welfare locale. La pri-ma langue sotto gli attacchi inferti dallescelte nazionali di finanza pubblica as-sunte nell’ambito degli ultimi governi na-zionali. La riduzione della spesa per poli-tiche e servizi sociali è inesorabile e co-stante negli ultimi anni (il Fondo per lepolitiche sociali è passato dai 584 milio-ni del 2009 ai 435 del 2010 e si stima chesi ridurrà nel 2013 a 44 milioni16). La se-conda anima, dopo una fase di fioritura,si è stabilizzata in pratiche di program-mazione negoziale che, insieme, a qual-che ombra persistente, presentano molteluci (Bifulco, 2010). A distanza di più didieci anni, le potenzialità innovative han-no preso corpo più sul versante degli ap-procci e strumenti di governance che suquello della giustizia sociale e delle sueimplicazioni redistributive. Basti pensarealla centralità persistente della famigliacome soggetto responsabile del ben-esse-re e della protezione delle persone in as-senza (anch’essa drammaticamente per-sistente) di trasferimenti e sostegni checorrispondano adeguatamente a tale cen-tralità. O alla fragilità e alla frammenta-zione degli interventi rivolti ai giovani ealla loro emancipazione. Due limiti chemostrano i loro effetti più deleteri oggi,riducendosi complessivamente la capa-cità di tenuta e compensazione delle fa-

miglie per i noti problemi che stanno in-teressando il nostro paese.La dinamica redistributiva, in realtà, èsempre stato un punto assai debole delwelfare italiano, come rilevava MassimoPaci anni orsono parlando di processi di-storsivi e di redistribuzione alla rovescia.Anche in questo caso si potrebbe parlaredi una tara originaria ma non sembra chevengano profusi molti sforzi per provarea lasciarsela alle spalle. Infatti, benché nonmanchino né l’attenzione da parte dellastampa né rilevazioni aggiornate, l’inte-resse che le diseguaglianze suscitano neldiscorso pubblico rimane rapsodico enell’agenda delle politiche il tema spiccada tempo per la sua assenza. Lo scarso interesse suscitato dalle dise-guaglianze chiama in causa non solo leculture e le scelte politiche di casa nostrama anche il quadro normativo e cogniti-vo in cui negli ultimi anni hanno presoforma il discorso e l’agenda europea. Ilmodo in cui questo quadro ha elaboratoil tema della coesione ha portato a relega-re quello delle diseguaglianze in secondopiano. Pur avendo ispirato gli stessi trat-tati costitutivi dell’Unione, è da poco piùdi dieci anni che la coesione ha assunto ilrilievo di un’idea-guida in ambito euro-peo, grazie alla strategia di Lisbona. Sicu-ramente, la sfida che questo tema rappre-senta per la costruzione di un modello so-ciale europeo è molto impegnativa: riu-scire a coniugare competitività e inclu-sione, sviluppo economico e sviluppo so-ciale. Il punto è che ultimamente il fuo-co dell’agenda della coesione si è sposta-to e sembra prevalere una prospettiva e-conomica incardinata sulla competiti-vità. Sullo sfondo di questo spostamen-to, s’intravedono le divergenze e i conflit-ti di cui è espressione lo stesso modello so-

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16 Si veda su questo il Rapporto sui diritti globali curatoda Associazione Società Informazione (2011). Fra gli altridati da segnalare vi è la scomparsa del Fondo per l’inclu-sione sociale degli immigrati e del Fondo per la non auto-sufficienza.

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ciale europeo. In particolare, il conflittofra attori che si ispirano a soluzioni dimercato e attori che provano a trovarecontrappesi agli effetti socialmente inde-siderabili di quelle stesse soluzioni. Comeosserva Leonardi (2009) la dimensionesociale è poco valorizzata anche a causadella stessa predominanza degli attori po-litici economici − cioè dei ministri dell’e-conomia – al livello europeo. La sfida hacomunque riguardato solo marginal-mente le diseguaglianze, una questionerimasta costantemente sotto traccia nelvocabolario e nelle scelte europee di po-licy. Per molti aspetti, la debolezza dellepolitiche sulle diseguaglianze è contem-poraneamente un effetto e un indicatoredella debolezza della dimensione socialedel modello sociale europeo tout court.

4. Le diseguaglianze: perché e come Tuttavia occorre occuparsi delle disegua-glianze. Innanzitutto perché le disegua-glianze sono cambiate. In un saggio di al-cuni anni fa, Robert Castel (1997) ha svi-luppato una riflessione ancora oggi pre-ziosa incentrata sul declino della questio-ne delle diseguaglianze nella scena pub-blica e sulla complementare ascesa dellaquestione dell’esclusione sociale. Sonochiamati in causa, a suo parere, due mo-delli sociali differenti. Quello cui fa rife-rimento la diseguaglianza è la società sa-lariale: “un continuumdi posizioni gerar-chizzate all’interno del salariato” (p. 48),basata sulla differenziazione e sulla conti-nuità, e in cui “non ci sono differenze ir-riducibili di statuto ma solo differenzia-zione e diseguaglianze” (ibidem). L’esclu-sione sociale si riallaccia invece a un mo-dello duale basato sulla contrapposizionefra gli in e gli out, fra chi è dentro e chi èfuori. Si tratta anche di due prospettive

“politiche” diverse. “Voler ridurre le dise-guaglianze significa inscriversi nellatraiettoria ascendente di una società ca-ratterizzata dalla centralità del lavoro sa-lariato e alimentata dalla crescita econo-mica e dalla fiducia nel progresso sociale.Una volta spezzata questa dinamica, in-vece, il problema diventa tentare di ri-durre i rischi di disgregazione sociale” (p.42). Il primo modello non trova più cor-rispondenza nella realtà. Il secondo na-sconde i processi di erosione che riguar-dano le situazioni intermedie fra le dueposizioni estreme dentro/fuori. Situazio-ni di vulnerabilità che rimandano a tra-sformazioni profonde del lavoro e dellerelazioni di lavoro: precisamente ai pro-cessi di destabilizzazione di chi è stabile,all’insediamento nella precarietà, alla ri-comparsa di una popolazione in sovran-numero. Castel ritiene che il timore su-scitato dai nuovi rischi sociali derivanti daquesti cambiamenti abbia soppiantato lapreoccupazione di migliorare la propriaposizione sociale, dalla quale aveva trattoalimento la lotta contro le diseguaglian-ze. Questo cambiamento, secondo Ca-stel, corrisponde sicuramente a un cam-biamento della realtà sociale. Ma è im-portante rendersi conto che le disegua-glianze sono cambiate. Occorre perciòriformulare il problema in modo diversosia dal modello di promozione del sala-riato, sia dal modello duale dell’esclusio-ne, focalizzando il concetto e i fenomenidella vulnerabilità legati alla metamorfo-si della società salariale.Il dibattito scientifico sul cambiamento esulla complessificazione delle disegua-glianze è ovviamente estremamente am-pio e ricco ed è impossibile rendere con-to qui (fra i contributi più recenti, si vedaChecchi, a cura di, 2012). Ma un punto

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abbastanza chiaro e semplice da fissare èil seguente: le diseguaglianze in Italia so-no cresciute e sono cambiate, assumendocaratteristiche tali da risultare (in parte) i-naccettabili (Franzini, 2010). C’è poi ilproblema del peso specifico che oggi ri-vestono le diseguaglianze economiche.L’Italia è un paese a diseguaglianza eco-nomica alta e persistente (ibidem). La di-suguaglianza di mercato è cresciuta mol-to negli ultimi venti anni del secolo scor-so, a fronte di una bassa capacità redistri-butiva delle politiche di welfare. Alla finedegli anni 90, si può rilevare una vera epropria polarizzazione: crescono gli stra-ti estremi, in alto e in basso, i più ricchi ei più poveri; si riducono gli strati inter-medi. Il divario in termini di ricchezzacomplessiva è davvero molto alto. I dieciindividui più ricchi posseggono unaquantità di ricchezza quasi pari a quelladei tre milioni di italiani più poveri (D’A-lessio, 2012). Il peggioramento – di red-dito e di opportunità complessiva- ha ri-guardato in modo schiacciante i lavora-tori dipendenti appartenenti alla classemedia e medio-alta. Queste disegua-glianze rischiano di compromettere se-riamente la coesione sociale e hanno con-seguenze difficilmente giustificabili dalpunto di vista della giustizia sociale (Fran-zini, 2010).

5. Per concludereÈ importante perciò che siano portate alcentro politiche capaci di effetti redistri-butivi incisivi. Oltre alle misure che clas-sicamente rientrano nel novero delle po-litiche socio-assistenziali, i settori di in-tervento sono diversi: la scuola, il soste-gno al reddito, l’occupazione, la salute. Sitratta anche di istituire o rafforzare le si-nergie fra queste politiche e altre normal-

mente tenute a distanza, quali le politicheeconomiche (così come indicato, alme-no per un certo periodo, dalla stessa poli-tica europea per la coesione).Questo non significa che si debbano re-legare in secondo piano istanze di demo-cratizzazione delle arene decisionali. L’ac-cesso a un paniere ampio di opportunitàe la possibilità di discutere le opzioni cheorientano le decisioni collettive sono en-trambe determinanti sia per il ben-essereindividuale sia per la qualità della vitapubblica (Sen, 1999). A quel che è dato di vedere, le agende lo-cali della programmazione sociale fanno,rispetto a questo, di più di quelle nazio-nali. Sia le amministrazioni pubbliche siagli attori sociali (incluso il sindacato)coinvolti nei tavoli locali giocano perciòun ruolo decisivo che si misura sulla ca-pacità di tenere assieme principi di giu-stizia sociale e il miglioramento del pro-cesso democratico, contribuendo in que-sto modo a porre le condizioni perchécontinuino a sussistere una società di si-mili e una vita in comune. Ma vi sono limiti e vincoli che localmen-te non possono essere aggirati o superati,e questioni che chiamano in causa peri-metri di azione e responsabilità più am-pie. In effetti, un problema molto serio ècome far sì che la territorializzazione incorso dei sistemi di welfare, che pure pre-senta indubbi aspetti positivi, non esa-speri le criticità dei meccanismi redistri-butivi esacerbando disuguaglianze terri-toriali antiche. Non mi pare che il federa-lismo, nelle proposte circolate e discussefinora, dia molte assicurazioni in merito. Vi è poi, drammatica, la questione dellerisorse. Non ho molto di propositivo dadire al riguardo. Solo un’avvertenza. È as-solutamente necessario evitare che le dif-

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ficoltà finanziarie legittimino anche danoi quella versione peculiare (e capziosa)di disimpegno pubblico che nel mondoanglosassone va sotto il nome di big so-ciety. L’idea è che la società, forte delle suevirtù civiche e delle sue propensioni soli-daristiche, si faccia carico di una serie difunzioni di interesse collettivo tradizio-nalmente assolte dalle autorità pubbliche.Un orientamento in questa direzione è giàrilevabile in Italia, in un contesto regiona-le in particolare. Celebrare la società per lesue capacità di provvedere al benessere ealla protezione delle persone, scaricandosu di essa la responsabilità relativa, è soloun modo per condannarla all’estinzione.

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Questioni della nuova governanceterritoriale: note per unaesplorazione

VANDO BORGHI17

Attraverso queste note, niente più che u-na riflessione a voce alta, vorrei provare adindicare alcuni terreni problematici –molte domande, poche risposte – che so-no chiamati in causa laddove si voglia o sidebba cercare di delineare il profilo di u-na nuova governance. Sono terreni assaicomplessi, cui la schematicità e la brevitàdelle considerazioni che mi accingo ad e-sporre non rendono certo giustizia; mal’obbiettivo, raggiunto il quale sarei piùche soddisfatto, è solamente quello di farintravedere, attraversando diversi grap-poli di questioni, una chiave interpretati-va che non ci consegni alla paralisi del-l’incomprensione o della mera riprodu-zione dell’esistente.

1. Questioni di vocabolarioUna prima modalità per interrogare cri-ticamente i processi e i problemi che cicircondano consiste, per riprendereun’immagine di Walter Benjamin, nelpassare la storia “contropelo”. La trama incui siamo immersi – fatta, per dirla conWittgenstein, del mondo, cioè “tutto ciòche accade”, e della realtà, cioè le catego-rie e le forme dell’esperienza che ci con-sentono di comprendere ed agire in mo-do adeguato entro (e riprodurre) l’ordinedelle cose18 – viene così percorsa in dire-zione opposta rispetto al verso con cui si

presenta e si afferma, aprendo così la pos-sibilità, nel riflettere sul presente, di pen-sare anche il possibile. L’esigenza di inter-rogare le parole, il registro cui rimandanoe il vocabolario che si trascinano è ap-punto uno dei modi in cui questa inter-rogazione può essere intrapresa. I terreniproblematici qui richiamati ruotano at-torno a due termini in particolare, su cuirapidamente provo a mettere in eviden-za i punti che mi premono. Il primo è quello di governance: ciò che oc-corre sottolineare in questo caso è che, aldi là del dibattito interpretativo, in giocoqui è la questione del potere. Pur avendouna storia assai lunga, rintracciabile nel-l’etimologia latina nella quale si identifi-cava con il dirigere una nave (gubernume-ra il timone stesso della nave), il terminegovernance ha acquisito nel dibattito con-temporaneo un significato specifico incontrapposizione a government, cioè allostampo di un esercizio e di una ammini-strazione del potere pubblico tipico del-l’Europa continentale. Laddove quest’ul-timo chiama in causa un decisore unico e,per quanto articolato in una pluralità di i-stanze istituzionali, centralizzato, che agi-sce entro forme di coordinamento di tipogerarchico, a partire da una posizione so-vraordinata rispetto agli altri soggetti e chefa perno sull’applicazione di procedureamministrative, la governance evoca uninsieme di soggetti, che insiste su un peri-metro più ampio di quello descritto dalleistituzioni e dalle procedure burocratico-amministrative, che concorre alla gestio-ne del potere di decisione. Un termine cherimanda, dunque, ad un piano relaziona-le e di coordinamento tra questa pluralitàdi soggetti di tipo orizzontale, che a suavolta ha un ruolo centrale nelle trasfor-mazioni cui mi sto riferendo, vale a dire

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17 Dipartimento di Sociologia, Università di Bologna.18 È proprio laddove mondo e realtà entrano in frizione,in conflitto che, secondo il modo in cui Boltanski (2009:93 e ss.) riprende questa distinzione di Wittgenstein, si ge-nera lo spazio e l’opportunità della critica.

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quello della rete19. Molto ci sarebbe da di-re, a questo proposito, circa il riprodursidi una parabola già altre volte osservatanella storia e che Weber descriveva conl’immagine di un caldo mantello (nel no-stro caso: l’idea di una società sempre piùcapace di auto-organizzarsi tramite di-spositivi di organizzazione sociale che ri-tiene di poter fare a meno dei vincoli ver-ticali istituzionali, normativi; De Leonar-dis, 2008), che si trasforma in una “gab-bia di ferro” (nella nostra esperienza con-temporanea: un insieme di target, vinco-li oggettivi – le “leggi di mercato” – stan-dard, indicatori quantitativi; Supiot,2011) a cui le istituzioni della democraziaed i cittadini nei loro diversi ruoli sociali elavorativi vengono sempre più subordi-nati, per esigenze di “sincronizzazione ca-pitalistica” (Sheuermann, 2004). L’intrin-seca ambivalenza del termine in questio-ne fa sì che, a partire da circa vent’anni,“mentre il pensiero e la pratica politica inEuropa continentale si entusiasmano perle valenze tanto euristiche quanto norma-tive” di esso, nei paesi sottoposti alle curedi Banca Mondiale e Fondo MonetarioInternazionale (Africa, America Latina) –che andavano affrontando allora ciò chesiamo oggi, anche qui, “invitati” ad appli-care – “il termine viene trattato, dall’intel-lighenzia critica, alla stregua più o menodi una parolaccia” (Sebastiani, 2010: 64).Territorioè il secondo dei due termini chesono al centro delle questioni qui affron-tate. Qui ad essere in gioco è una dimen-sione chiave della ricerca sociale, laddoveessa identifica nella analisi di “fatti socia-li formati nello spazio” (Bagnasco, 1994)

una delle pratiche che maggiormente lacaratterizzano. L’organizzazione socialedello spazio, detto in altre parole, costi-tuisce una chiave fondamentale per lacomprensione dei principi che regolanoil funzionamento dell’insieme sociale. Ladimensione territoriale rappresenta ap-punto una delle modalità attraverso lequali i processi di spazializzazione si ma-nifestano concretamente ed in cui è pos-sibile rintracciare quei principi e quellelogiche di funzionamento, indagarne lariproduzione e il mutamento. Si tratta diuna dimensione che è stata ed è tuttoraoggetto di profonde trasformazioni, nel-le quali l’interazione tra dinamiche glo-bali e istanze locali produce nuovi “as-semblaggi”, cioè nuove combinazioni traterritori, autorità e diritti (Sassen, 2008).Tra le molte cose che si potrebbero sotto-lineare in tema di territorializzazione, mipreme mettere l’accento su una tendenzain corso nei processi di spazializzazioneche segnano la società contemporanea eche si riflettono poi in concrete dinami-che territoriali: la proliferazione di confi-ni, muri, barriere che, come è stato fattoautorevolmente notare (De Leonardis,2012), pare andare ben oltre obbiettivi ditipo strettamente funzionale ed acquisireappunto lo statuto di una vera e proprialogica di organizzazione sociale. “Possia-mo dire che nella diffusione dei nuovimuri si condensa un disegno (design) so-ciale che organizza la società organizzan-do lo spazio; e che è una logica della sepa-razione che dà l’impronta a tale organiz-zazione” (De Leonardis, 2012).Queste prime, generali considerazioninon ci servono certo a dare delle rispostee a esprimere delle considerazioni con-clusive. Semmai, dovrebbero aiutarci aformulare delle domande: come si confi-

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19 Anche questo è un termine che genera mondi: per u-na sua prima esplorazione, mi sia concesso di rimandarea Borghi, 2011b.

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gura attualmente la connessione tra l’or-ganizzazione sociale del potere, nei modie nelle forme della governance, e l’orga-nizzazione sociale dello spazio, per quan-to essa si manifesta nei processi di territo-rializzazione? Quali sono le principali ca-ratteristiche di questo rapporto? In chemodo questi processi di fondo sono rein-terpretati nel momento in cui vengonoalla superficie della situazione del nostropaese, a sua volta profondamente carat-terizzato da disuguaglianze che trovanonella dimensione territoriale una delleprincipali modalità di manifestazione?

2. Capitalismo democratico, riproduzione socialee individualizzazione: tre terreni di trasformazioneL’esplorazione che possiamo intraprende-re a partire dalle domande appena avan-zate deve tenere conto di ulteriori proces-si, che a loro volta impongono una nuo-va, diversa struttura di vincoli e di oppor-tunità rispetto a quelli che hanno caratte-rizzato l’evoluzione della governance ter-ritoriale e dello stato sociale fino ad oggi.In termini estremamente schematici, vor-rei richiamare l’attenzione su tre fattori inparticolare di tale nuova struttura:1. si manifestano oggi, con drammatica e-videnza e portata, gli effetti di un proces-so in corso da diversi decenni, vale a direla metamorfosi radicale (la crisi definiti-va?) del “capitalismo democratico”(Streeck, 2011). Quest’ultimo, per quan-to diversificato a seconda dei confini na-zionali e degli impianti istituzionali attra-verso cui di volta in volta si è concreta-mente manifestato, ha rappresentato l’as-setto socio-economico all’interno delquale si è potuto produrre un complessi-vo, relativo, equilibrio sociale tra interes-si, obiettivi e pressioni differenti e poten-zialmente in conflitto. Un assetto che ri-

manda ad una economia politica ali-mentata dalla coesistenza di “due princi-pi o regimi di allocazione delle risorse inconflitto tra loro: uno fondato sulla pro-duttività marginale, o su ciò che secondo‘il libero gioco delle forze di mercato’ si ri-vela come merito; l’altro basato sul biso-gno sociale o gli entitlement, così comevengono certificati dalle scelte collettivedella politica democratica” (Streeck,20011: 7). Questo assetto, l’equilibrio sucui si reggeva e l’economia politica che apartire da quest’ultimo ha potuto svilup-parsi, è ciò che attualmente non è piùpossibile dare per scontato: il confrontosulle nuove strategie dello stato sociale edella governance territoriale, la sua esten-sione, ne escono quindi dilatati ed am-plificati, la posta essendone parte dellescelte complessive e di fondo su un nuo-vo assetto da ricercarsi, un nuovo equili-brio da costruire;2. le dinamiche e gli esiti della trasforma-zione appena richiamata, si intreccianocon un secondo processo, il cui profilo èforse meno evidente dal momento che isintomi concreti che ne indicano il decor-so sono da rintracciare in terreni e feno-menologie disparati e non sempre messiin relazione tra loro; tuttavia l’identità piùincerta non implica affatto una minore ri-levanza, che anzi esige a mio parere unapresa in carico analitica da parte dellescienze sociali più sistematica di quantonon sia avvenuto fin qui. Mi riferisco adun processo consistente nella profonda ri-configurazione di un impianto, insiemesimbolico e materiale, sul quale si è lunga-mente fondata la nostra organizzazionesociale, in generale, e che ha innervato lostatuto sociale del lavoro e delle politichesociali, vale a dire la distinzione tra pro-duzione e riproduzione sociale (Sebastia-

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ni, 2012). Senza che da tale riconfigura-zione ne sia derivata la scomparsa della di-visione di genere del lavoro (anzi), si trat-ta di una distinzione che segue oggi lineediverse da quelle del passato, che si è fattaporosa e labile in molti punti – in diversisegmenti delle catene globali del valore ledimensioni e le facoltà comunicative e re-lazionali tradizionalmente associate ad at-tività riproduttive svolgono un ruolo de-cisivo, senza che questo abbia implicatonecessariamente una qualificazione del la-voro stesso – e si è socialmente ristruttu-rata per altri versi (si pensi ad esempio alcrescente ruolo di donne migranti nell’e-rogazione di servizi in passato delegati allavoro non remunerato delle donne in fa-miglia). Questa trasformazione chiama incausa direttamente le questioni centralidella definizione dei soggetti, di cosa dob-biamo intendere oggi per individuo, delfatto che abbia ancora senso, o meno, in-sistere sull’idea (che pure continua ad es-sere il baricentro assunto implicitamentenelle politiche del lavoro) del soggetto co-me individuo astratto indipendente, sucui mi soffermerò ancora nell’ultima par-te di questi appunti. Ma già qui è possibi-le vedere come, in generale, essa implicauna revisione, tanto profonda quantoquella che si impone con la prima trasfor-mazione sopra richiamata, del modo incui vengono costruite e messe all’opera lenostre classificazioni e le basi informativeche orientano le scelte di policy: la consa-pevolezza di una tale profonda ristruttu-razione del rapporto tra produzione e ri-produzione sociale dovrebbe immediata-mente rendere evidente tutta l’inadegua-tezza di una impostazione, come quellaprevalsa nel modo convenzionale in cuitale rapporto è venuto istituzionalizzan-dosi, che definisce un investimento la spe-

sa nelle politiche per la produzione e uncosto in quelle per la riproduzione;3. infine, le domande che emergono a ri-dosso dei tentativi fin qui condotti di e-splorazione delle questioni in gioco si so-vrappongono all’ambito del terzo proces-so di trasformazione cui occorre qui ac-cennare, vale a dire il processo di indivi-dualizzazione. Esso non solo costituiscestoricamente un pilastro delle nostre so-cietà e dei modi in cui esse sono venute(auto)rappresentandosi (Dumont, 1984),ma il suo perseguimento è divenuto nelcorso degli ultimi decenni il perno stessodelle principali trasformazioni economi-che (sistemi produttivi sempre più orien-tati alla “personalizzazione del prodotto”)e dello stesso stato sociale. Basti qui pensa-re all’enfasi che sull’individualizzazione èstata posta, in questi ultimi decenni, tra-sversalmente a diversi ambiti istituzionali:la libertà di scelta e la centralità del clientenel New Public Management; l’indivi-dualizzazione dei servizi e l’insistenza sul-la “employability” (che è appunto unaproprietà degli individui, laddove il “lavo-ro” su cui invece insistevano le policies tra-dizionali è un esito sistemico e collettivo)nelle politiche di attivazione; la flessibiliz-zazione e la rincorsa a ridisegnare il peri-metro delle condizioni occupazionali fa-cendole aderire puntualmente alla presta-zione individuale nelle politiche del lavo-ro. Il tema dell’individualizzazione è ve-nuto assumendo, per stare nella sfera deifenomeni che riguardano più strettamen-te il territorio della nostra esplorazione, u-na rilevanza cruciale per l’evoluzione deisistemi di welfare e di quello spazio di am-pia sovrapposizione tra politiche sociali epolitiche del lavoro (Paci, 2005; in part.Cap. 1). E tuttavia, proprio il crescente as-sorbimento del progetto di individualiz-

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zazione nelle logiche produttive si è verifi-cato attraverso una pervasiva ridefinizionedel suo stesso significato: da progetto qua-litativo finalizzato al perseguimentodel’autorealizzazione e della emancipazio-ne, l’individualizzazione è venuta semprepiù configurandosi in un prerequisito si-stemico; da obiettivo da costruire colletti-vamente, essa si è trasformata in terreno dimessa alla prova e di responsabilizzazione(moralizzante, nell’ambito delle politichesociali) degli individui; da progetto di au-todeterminazione a nuovo terreno di eser-cizio del dominio (Boltanski, 2010; The-venot, 2010). “Con le trasformazioni isti-tuzionali che negli ultimi due decennihanno interessato il capitalismo occiden-tale, l’agognato ideale pratico-esistenzialedell’ autorealizzazione si è trasformato inideologia e forza produttiva di un sistemaeconomico deregolato (…) Da questoprocesso di rovesciamento di ideali in co-strizioni, di pretese in richieste, si sono svi-luppate forme di disagio sociale e di soffe-renza che fino ad oggi, nella storia delle so-cietà occidentali, non si erano mai presen-tate come fenomeni di massa” (Honneth,2010: 52-3). Si tratta di un capovolgi-mento di senso, di uno sviluppo parados-sale particolarmente evidente nell’ambitodelle politiche sociali (Borghi, Van Berkel,2007; Borghi, 2011a). Quali le conse-guenze dell’intreccio delle due trasforma-zioni sopra accennate con quest’ultima e-voluzione in tema di soggettività? Se sonoabbastanza chiare le criticità di tale intrec-cio, quali sono invece le opportunità chesi dischiudono? In altri termini, come èpossibile reintepretare questi passaggi sto-rici in una chiave di ripensamento e ripro-gettazione degli obiettivi di uguaglianzasociale e autoderminazione individuale?A conclusione di queste considerazioni,

vorrei dedicare soltanto un rapido incisoad una questione, in realtà troppo rile-vante per poter essere qui approfonditacome richiederebbe. Si tratta della problematica concernentela partecipazione e il ruolo che, in rela-zione agli orizzonti fin qui tratteggiatidella governance territoriale vecchia enuova, dovrebbe avere a tale proposito lacosiddetta “società civile”. Assistiamo in-fatti in questi anni alla proliferazione e aldominio di retoriche sulla centralità del-la società civile20. In queste retoriche la so-cietà civile viene intesa come un corpo so-ciale virtuoso in sé, omogeneo, impoliti-co (o pre-politico) e, anzi, virtuoso pro-prio in quanto separato dall’agire politi-co e animato dalla condivisione di valoridi fondo. La dimensione territoriale (inparticolare, lo spazio urbano) risulta spes-so quella in cui tali retoriche sono più per-vasive, assunte implicitamente grazie aduna loro potente forza inerziale, comepremesse naturali e irriflesse della discus-sione sugli indispensabili cambiamentidella nostra vita collettiva. La partecipa-zione è spesso riletta attraverso queste re-toriche, che la orientano ad obiettivi dicoesione sociale e di disinnesco del con-flitto sociale. Ma se si riflette criticamen-te rispetto a questa impostazione, ci si ac-corge immediatamente che la società nonè civile ma, eventualmente e a determi-nate condizioni, lo diventa (Cassano,2004). Al contrario, ciò che spesso è ac-

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20 Ho provato a fornire, in modo un po’ provocatorio, al-cuni spunti di riflessione in forma di “decalogo” di difesada tali retoriche in un intervento seminariale intitolato“Contro la società civile, per una civile società” che (insie-me ad una preziosa relazione di Chiara Sebastiani) puòessere scaricato al seguente indirizzo: http://www.labo-ratoriourbano.info/wp-content/uploads/101108-docu-mento_sebastiani_borghi.pdf

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caduto è che l’invocazione alla coesionesociale ha presto preso le forme della di-fesa di “piccole patrie” e l’invocazione al-la società civile, depurata di ogni proget-tualità politica, è stata sovente tradotta inpopulismi e “plebeismi” (Donolo, 2011)di effetto non certo virtuoso. La doman-da da porsi, allora, diviene: in che modi –attraverso quali pratiche, in base a qualidispositivi di organizzazione sociale – u-na società diviene dunque civile? sulla ba-se di quali modelli relazionali tra gli atto-ri in campo (individui, associazioni,gruppi, movimenti, attore pubblico...)?All’opposto di quanto spesso sostenutonelle retoriche sulla società civile, ali-mentatesi attraverso la diffusione di con-cezioni di quest’ultima che enfatizzano ladimensione dell’orizzontalità e dell’auto-organizzazione (una matrice sociale ap-parentemente nuova, ma in realtà am-piamente ricalcata dall’archetipo delloscambio di mercato; si veda quanto giàdetto prima a proposito del temine go-vernance), le analisi più approfonditemostrano che la partecipazione e l’attiva-zione virtuosa di cittadini e società civilesi realizza laddove esiste una regia autore-vole e competente dell’attore pubblico(Bifulco, 2008).

4. L’orizzonte della governance territoriale:ripensare la coppia “autonomia/dipendenza”Questi diversi fattori e processi (le loroambivalenze, ambiguità, contraddizioni)costituiscono la foresta che, con questi ra-pidi appunti, ho soltanto iniziato ad e-splorare. Ma le trasformazioni, in quan-to tali, sono in ogni caso un processo dimetamorfosi mai univoco e lineare: ad es-sere ridefiniti, come ho già scritto, sonocertamente i vincoli e le condizioni di ne-cessità, ma anche le possibilità e le strut-

ture di opportunità. In questo senso, lapossibilità di orientarsi in una foresta dicui ho già provato a mettere in evidenzaalcuni dei pericoli e degli ostacoli più ri-levanti, mi pare abbia a che fare con l’esi-genza di identificare i segni di un nuovosentiero, che ci faccia uscire da una con-dizione di immobilità di fronte alle mi-nacce stesse, certo non trascurabili, dellaforesta stessa. Credo che questo sentierovada rintracciato in relazione ad un no-do, profondo e decisivo rispetto ai modiin cui le istituzioni dello stato sociale, inquanto in “relazioni che producono rela-zioni” (De Leonardis, 1998: 122) e per-tanto veri e propri “contesti formativi”(Unger, 1987), contribuiscono a prefigu-rare la domanda cui sono poi chiamate arispondere. Questo nodo, la cui defini-zione è caratterizzata da elementi di con-tinuità ma anche di significative trasfor-mazioni nel quadro dei fenomeni fin quirichiamati, attiene al rapporto tra auto-nomia e dipendenza. Un rapporto il cuitrattamento rimanda alle questioni toc-cate da questi appunti, in particolare conquella del rapporto tra produzione e ri-produzione sociale. “Si tratta di smetter-la – ha di recente scritto efficacemente aquesto proposito Alisa Del Re (2012:168) – di pensare ad un soggetto astrattoe perfettamente autonomo, paradossoche diventa evidente in situazioni in cui irapporti di dipendenza, di affetto e auto-rità sono leggibili solo assumendo la par-zialità e la concretezza del punto di vista,che fa riconoscere relazioni complesse inrapporto ai bisogni e alla loro soddisfa-zione (madre/figlio, infermiera/pazienteecc.). Non è solo questione di rivendica-re dei diritti, ma anche di riconoscere deibisogni. Il diritto tende a negare che sia-mo tutti reciprocamente dipendenti da

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qualcuno e accentua la dipendenza dipersone che sono “diverse”, poiché comeriferimento c’è l’individuo autonomo.Infatti, assistiamo al paradosso di politi-che del lavoro e di politiche sociali e fa-miliari che operano con una concezionedell’individuo “indipendente”, cioè coluiche opera sul mercato del lavoro libero daimpegni familiari. In realtà la possibilitàstessa di questo individuo di agire sulmercato dipende dal lavoro di cura, dallavoro riproduttivo di qualcuna che, vi-ceversa, è concepita come “dipendente”(sovente dal salario altrui)”.Nel corso dello sviluppo dello stato so-ciale (ammesso che per un istante sia leci-to ragionare in termini così generali, cheprescindono da differenze di percorso le-gate a storie e cornici statuali e nazionaliinvece assai rilevanti), il concetto di auto-nomia è stato prevalentemente pensatoin contrapposizione a quello di dipen-denza: si è autonomi in quanto non si di-pende da nessuno, secondo quella rap-presentazione di una individualizzazione“per eccesso” – la concezione di individuiautosufficienti nel senso “che hanno in sestessi, o credono di avere in se stessi, i sup-porti necessari per affermare la loro indi-pendenza sociale” (Castel, 2009: 431) –che ancora oggi continua ad essere il fra-me interpretativo dominante del rappor-to tra autonomia e dipendenza. Che sitratti del tradizionale modello “ingegne-ristico-burocratico”, il cui paradigma co-gnitivo si basa su un rapporto top-downtra istituzione e cittadino e nel quale la di-pendenza è una condizione di deficit pre-valentemente associabile alla non inte-grazione nella “società salariale” (Castel,1995), rispetto alla quale l’intervento dipolicy si configura come un’azione o-rientata da rigide classificazioni ammini-

strative; o che si tratti invece di un mo-dernizzante modello “ingegneristico-dimercato”, che fa riferimento ad un para-digma cognitivo in cui l’autonomia siconfigura in termini di performance direte (la capacità di stare nelle, e attivare le,reti in quanto modi di coordinamentoproprie del contemporaneo capitalismoreticolare; Boltanski, Chiapello, 1999;2002) e in cui pertanto la dipendenzacoincide con il fallimento di tale presta-zione di rete, rispetto al quale prende for-ma un intervento di policy inteso comeimposizione di obiettivi, target da rag-giungere, in chiave di responsabilizzazio-ne degli individui (e delle famiglie – nel-la versione comunitarista pienamente e-semplificata nel ‘”Libro verde” del prece-dente Ministro del lavoro e del welfare, su“La buona vita nella società attiva”–; Bor-ghi, 2009). In entrambi i casi, pur nelleprofonde diversità di cornice politico-i-stituzionale, prevale una impostazionefondata sulla definizione per contrappo-sizione di autonomia e dipendenza. Inambedue questi impianti istituzionali èall’opera inoltre un paradigma cognitivoper cui i cittadini sono sempre oggetto,mai soggetto, di conoscenza. Sulla base ditale paradigma, la partecipazione dei sog-getti alla costruzione delle soluzioni aiproblemi di cui fanno esperienza o nonha ragione di esistere (il primo modello),oppure è tradotta in termini di responsa-bilizzazione, di messa alla prova del citta-dino stesso (il secondo). In entrambi i ca-si, i cittadini sono, al massimo, portatoridi domande, le cui risposte sono sempredefinite altrove (da categorie burocratica-mente predefinite, nel primo caso; da sa-peri tecnici ed esperti, nel secondo). Nonsi tratta di modelli leggibili meccanica-mente in termini diacronici: per quanto

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sia evidente una periodizzazione secondola quale, in termini di prevalenza relativa,il secondo succede al primo, è altrettantovero che il presente è fatto tanto di persi-stenze quanto di rotture, di combinazio-ni (diverse anche per contesto territoria-le e ambito istituzionale) tra, e coesisten-za di, pratiche e logiche d’azione che ri-mandano all’uno o all’altro.Ed è sempre nelle pieghe di questo pre-sente, nel pulviscolo di innovazioni e mu-tamenti ispirati a obbiettivi di trasforma-zione – che talvolta, in determinate cir-costanze, si condensa nelle forme più so-lide ed estese del mutamento strutturale(in questo senso, ad esempio, la vicendadel movimento di de-istituzionalizzazio-ne dei manicomi ha una valenza appun-to paradigmatica21) – che vanno cercatele tracce del sentiero cui sopra accennavo.Un sentiero che, per nostra fortuna, si av-vale di un patrimonio di elaborazione eanche di ricerca sociale ormai molto am-pio, per quanto complesso e problemati-co: mi riferisco all’approccio della capaci-tazione22. Al di là appunto delle diversechiavi interpretative che ad esso possonoispirarsi e delle questioni che esso pone intermini di applicazione sociologica (epratica), l’approccio delle “capacità” di-

schiude la possibilità di ridisegnare signi-ficativamente il significato del rapportotra autonomia e dipendenza e le modalitàin cui esso è assunto nelle pratiche istitu-zionali e negli interventi di policy, con-sentendo “se non di bloccare, almeno diarginare la tendenza al ribaltamento tramezzi (economici) e fini (umani)” che di-viene sistematica nel capitalismo con-temporaneo (Supiot, 2011: 109). Il pa-radigma cognitivo è infatti sottoposto quiad una significativa riconfigurazione: l’in-sistenza di tale prospettiva sulla centralitàdella relazione tra la dimensione indivi-duale (le capacità, i funzionamenti) ed isuoi presupposti collettivi (sociali e isti-tuzionali), cioè i “fattori di conversione”in assenza dei quali quelle capacità ri-mangono del tutto irrealizzabili, dischiu-de un orizzonte progettuale in cui auto-nomia, in quanto libertà di scegliere la vi-ta cui si ritiene di attribuire valore, e di-pendenza come fattore insopprimibile euniversale, fisiologicamente costitutivodell’autonomia stessa (ovviamente, inmisura diversa a seconda del contesto divita, dell’estrazione sociale, dell’istruzio-ne, del genere, e così via), possono esserepensate uscendo da una logica dicotomi-ca e di mera contrapposizione. La dipen-denza, infatti, non è (soltanto) limite evincolo, ma anche legame e relazione at-traverso cui prende forma e si evolve l’e-laborazione stessa di quel progetto di vi-ta cui si ritiene di attribuire valore. Lega-me e relazione che travalicano ampia-mente la sfera privata dei soggetti e cheappunto chiama in causa l’insieme del-l’ambiente sociale e istituzionale in cui lecapacità emergono (o vengono impove-rite). L’intervento di policy è allora decli-nato in chiave di azione di capacitazione,che investe insieme l’autonomia e la di-

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21 Si veda, a questo proposito, il modo in cui De Leonar-dis (2011) ne ha recentemente ripreso alcuni aspetti difondo per riflettere sul tema della “capacità di aspirare”,che è a sua volta, uno degli aspetti cruciali dell’approccioche mi accingo a richiamare nelle righe successive.

22 Come noto, il lavoro di Amartya Sen che ha elabo-rato questo approccio, è molto vaso ed articolato. Unachiara esposizione delle sue tesi di fondo si trova in Sen(2009). Per coglierne le implicazioni (e le problematiz-zazioni) più significative da un punto di vista sociologi-co e in relazione alle questioni che più ci interessanoin questa sede, si vedano Bonvin, Favarque, 2008; DeMunck, Zimmerman, 2008; Bifulco, Mozzana, 2011).

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pendenza degli individui e che assumecome campo di riferimento i “fattori diconversione” da cui tale capacitazione di-pende; questo implica, tra le altre cose, lanecessità di ripensare i confini delle ma-terie oggetto delle politiche e delle logi-che operative che da questa definizionediscende: per non fare che un esempio intal senso, “le politiche per l’occupazionenon possono soltanto prevedere di inter-venire entro i confini del mercato del la-voro, perché le capacitazioni nel lavorosono collegate ad altre che maturano fuo-ri del mercato del lavoro: l’abitazione, lamobilità geografica, la salute, l’inseri-mento in reti sociali, una divisione socia-le del lavoro non discriminante, ecc.”(Leonardi, 2009: 38). È dunque eviden-te lo scarto significativo, rispetto all’im-postazione degli altri due modelli sche-maticamente delineati, sia per quantoconcerne l’interpretazione del processo diindividualizzazione (che rimane centra-le, ma che viene reinterpretato nella suastretta relazione con i ‘fattori di conver-sione’ sovra-individuali), sia rispetto alparadigma cognitivo che alimenta le scel-te di policy le cui basi informative sonosottratte a definizioni prevalentementeburocratico-amministrativo (come nelprimo caso) o formulate prevalentemen-te da saperi esperti ed espresse sotto for-ma di target oggettivi (come nel secon-do). L’approccio della capacitazione si ca-ratterizza, infatti, sia per la rilevanza con-ferita al dibattito pubblico23, sia la cen-tralità che entro tale cornice viene accor-data alla capacità di voice dei soggetti, al-la possibilità di esercitare la propria agency

e quindi di non limitarsi ad essere ogget-to di conoscenza, ma al contrario di pro-durre conoscenze pertinenti (anche daparte cittadini più deboli e marginalizza-ti) relativamente alla definizione ed altrattamento dei problemi sociali di cui es-si fanno esperienza. Un sentiero molto complesso, dunque, ela cui percorribilità non è garantita da nul-la se non dalla volontà di volerlo effettiva-mente battere. Ma comunque una pro-posta di esplorazione che ci consente dinon sentirci del tutto spersi nella foresta.

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3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

23 Su questo aspetto, cfr. le pagine dedicate a Valuta-zione e riflessione pubblica in Sen (2009: 251 e ss.) eSalais, 2008.

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Partecipazione: non bastala parola24

ALESSANDRO MONTEBUGNOLI25

1. IntroduzioneIl bisogno di ‘contrattazione sociale’ è og-gi molto maggiore di quanto non fosseieri e, per aspetti centrali, si tratta di un bi-sogno affatto inedito. Purtroppo, tutta-via, non basta indicare un’esigenza, né af-fermare che occorre soddisfarla, per met-tersi all’altezza di un problema. In questocontributo, dunque, mi interrogo sullecondizioni da rispettare affinché un’atti-vità di contrattazione sociale possa real-mente dirsi ampia, efficace, produttiva.Naturalmente, molte delle condizioni ri-levanti sono di tipo reale (i rapporti di for-za, le condizioni finanziarie, ecc.), e suqueste, in sede di ricerca, non si possonooffrire soluzioni. Ma ne esiste anche ungruppo riguardante piuttosto la coeren-za interna dei processi partecipativi di cuivi è bisogno, vale a dire le forme in cuiconviene realizzarli, circa le quali, vice-versa, un lavoro di ricerca può aiutare a fa-re qualche passo avanti. Tale, appunto, ilsenso delle considerazioni che mi appre-sto a svolgere.Dico subito che in questo proposito nonsi è molto aiutati dai quadri di regolazio-ne attualmente vigenti. Anzi, è propriol’attuale stato dell’arte a suggerire lo sfor-zo di compiere qualche passo avanti. Siprenda ad esempio un provvedimentopure avanzato come la legge 328 del2000. In essa, mi sembra, una certa reto-

rica della partecipazione – variamente de-clinata come coinvolgimento, concerta-zione, co-progettazione, ecc. – copre lasostanziale assenza di un disegno dei pro-cessi nei quali quella parola d’ordine do-vrebbe prendere corpo; e un rilievo dellostesso genere si può formulare circa il pri-mo Piano nazionale attuativo della legge,al quale, forse, si intendeva demandare ilcompito. Non è questione di “dettagli o-perativi” (che una legge e un piano, cer-tamente, non possono contenere). Amancare, in effetti, è una sufficiente con-sapevolezza intorno a due punti che, vi-ceversa, mi sembrano essenziali (essendoanche, per certi aspetti, simili):1. in che modo il coinvolgimento degli at-tori sociali – riguardante, si noti, la stessaprogrammazione della rete dei servizi edegli interventi sociali – si concilia con lecompetenze degli organismi elettivi chepure, alla fine, devono approvare i piani?2. in che modo attori sociali che sono por-tatori di interessi diversi, e senza dubbiopotenzialmente conflittuali, possonoprodurre qualcosa che sia meno ovvio emeno contingente di un puro e semplicecompromesso circa i pesi delle rispettiveistanze, al quale, in un modo o nell’altro,sempre si perviene?Per entrambi gli aspetti sembra che l’ideadella partecipazione sia accreditata dellacapacità di costituire in sè la soluzione deiproblemi, quasi che questa consista nelfatto stesso di mettere insieme le istitu-zioni pubbliche e gli attori sociali. Natu-ralmente, non sarò io a negare il poten-ziale di sviluppo presente in una strategiadi intensificazione dei rapporti tra istitu-zioni pubbliche e attori sociali, ovvero amettere in discussione l’orientamento ge-nerale della legge 328. Ma si tratta ap-punto di un potenziale, che deve essere

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24 Questo testo riprende ampiamente i contenuti di unlavoro che Servizi Nuovi ha realizzato per conto delloSPI, pubblicato da LiberEtà sotto il titolo Contrattazio-ne sociale e pratiche di comunità.

25 Associazione Servizi Nuovi.

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messo in grado di dispiegare i propri ef-fetti, facendo uscire i ruoli dei soggetti,nonché i tempi e i modi in cui vengonoesercitati, dalla complessiva situazione diincertezza nei quali vengono lasciati –perché notoriamente nulla è più perico-loso o inefficace che chiamare in causa u-na pluralità di attori senza offrire loro, altempo stesso, un quadro di riferimentonel quale sia sufficientemente chiaro ciòche possono aspettarsi gli uni dagli altri.Questo, mi sembra, è un primo, anzi ilprimo terreno sul quale può svilupparsil’iniziativa sindacale. Se per un verso, in-fatti, la definizione del suddetto quadrodi riferimento è di precipua competenzadelle istituzioni pubbliche, per un altronulla impedisce che il sindacato avanzi,in materia, specifiche proposte e ne ri-vendichi la realizzazione: proposte, dipreciso, che riguarderanno la strutturadei processi partecipativi (in un certo sen-so, si potrebbe dire, le “regole del gioco”),e apparterranno quindi a un piano diver-so da quello delle posizioni che sarannopoi espresse stando, in concreto, all’inter-no di quei medesimi processi. Se si vuo-le, si tratta della distinzione tra la rivendi-cazione di un metodo, riguardante la ne-cessità di organizzare bene il coinvolgi-mento degli attori sociali, e la rivendica-zione di specifici orientamenti nel meri-to delle questioni che via via verrannoconcretamente all’ordine del giorno. Nel-la convinzione, s’intende, che l’azione suquesto secondo terreno potrà essere tan-to più ampia e incisiva quanto più, sulprimo, si potrà contare su spazi disegnatiin modo razionale.

2. La formazione di una visione condivisaIl mio intento, dunque, è quello di arti-colare un percorso lungo il quale la pres-

sione delle tante istanze e delle tante com-petenze che fin dall’inizio affollano la sce-na di un “piano sociale” abbia modo ditrasformarsi in una serie di apporti, perquanto possibile, coerenti e produttivi.Al riguardo, la prima cosa da dire è chenon si deve cominciare dalle “cose da fa-re” e neppure – affermazione che forse ri-sulterà meno scontata – dalla cosiddetta“analisi dei bisogni”. Ove si proceda inquesto modo, ogni attore – comprese leistituzioni pubbliche – è subito portato,per così dire, a chiudersi nella propria spe-cificità: se si tratta delle cose da fare, con-centrerà la propria attenzione sugli assetdi cui dispone, dei quali, ragionevolmen-te, cercherà di massimizzare il rilievo; se sitratta dell’analisi dei bisogni, qualcosadello stesso genere accadrà per quanto ri-guarda le informazioni che possiede e lesituazioni alle quali queste si riferiscono(nelle quali, presumibilmente, è coinvol-to). In entrambi i casi è difficile immagi-nare che il risultato finale possa esserequalcosa di diverso da un equilibrio ine-vitabilmente debitore delle posizioni piùforti e più consolidate. Anzi, se l’ordinedel giorno è quello che si è detto, in certicasi può risultare perfino innaturale chie-dere agli attori sociali di condividere, at-torno allo stesso tavolo, le proprie idee ele proprie informazioni: basti pensare apiù cooperative sociali che concorranoper l’acquisizione di risorse pubbliche.In alternativa, il punto di partenza che misento di proporre è la ricerca e, possibil-mente, la formazione di una visione con-divisa dei problemi, espressione che im-piego in senso specifico, ispirandomi alleteorie del new management: una visionedeve dar forma ai modi in cui i diversi at-tori colgono la natura dei problemi, i si-gnificati che vi associano, i criteri con i

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quali intendono affrontarli, le direzioniche intendono imprimere alle politichesociali – muovendo dalle lacune e dalle ri-sorse, dalle minacce e dalle opportunità,che caratterizzano il contesto nel quale sitrovano a operare.

2.1. Il primo passo: l’approccio ai problemiPiù in particolare la formazione di una vi-sione condivisa comincerà con un’opera-zione di chiarimento circa gli assunti che siritiene debbano orientare la lettura dei fe-nomeni e la selezione degli obiettivi. Per fa-re un esempio, nel caso della non autosuf-ficienza si dovrebbero mettere a tema prin-cipi come la natura multidimensionale deifenomeni, la conseguente necessità di in-tegrare le politiche (e, prima ancora, di al-largare lo spettro di quelle pertinenti), l’im-portanza di ragionare “per casi”, l’impor-tanza che gli assistiti, per quanto possibile,non siano separati dai propri ‘mondi vita-li’, la valorizzazione delle loro capacità re-sidue. Dove conviene osservare:1. che in parte si tratta di veri e propri giu-dizi di valore, ma in parte, anche, della ri-levazione di nessi causali (o simili) ritenu-ti particolarmente significativi;2. che per entrambi gli aspetti si può fareriferimento a molteplici fonti (le nostreintuizioni morali, le nostre esperienze, laletteratura, ecc.);3. che a questo livello ciò che si afferma a-spira a una validità non contingente (evi-dentemente, ad esempio, la prescrizione diragionare per casi non vale soltanto in que-sto o quel contesto, ma ovunque si affron-ti il problema della non autosufficienza).Talvolta (almeno in parte è il caso dellanon autosufficienza) assunti come quelliai quali faccio riferimento possono giàgodere di un largo consenso all’interno di

una policy community, sicché, per que-sto aspetto, una visione condivisa può ri-sultare subito disponibile. Proprio situa-zioni di questo genere, tuttavia, conten-gono un rischio, vale a dire che gli ap-procci che alla fine diventino scontati –slogan che a forza di essere ripetuti smar-riscono il senso vivo del loro contenuto.Anche quando ci si trovi di fronte a unampio consenso di partenza, occorrequindi compiere uno sforzo di riscoper-ta, affinché gli assunti che guidano le va-lutazioni riacquistino lo spessore che pos-sono aver perduto trasformandosi in sen-so comune. Quanto alla loro validità noncontingente, va osservato che – una vol-ta enunciati e, se del caso, recuperati a u-na diversa evidenza – la policy commu-nity che ha compiuto tali operazioni puòtuttavia riconoscerli come un patrimonioideale che contraddistingue il suo propriomodo di affrontare i problemi: per que-sto aspetto, cioè, il risultato consiste pre-cisamente nel fatto che una certa comu-nità, in base a un’attività compiuta in pri-ma persona, giunge a condividere deter-minati assunti di carattere generale.Più in concreto, il lavoro di messa in chia-ro, di verifica e ricerca del consenso, se ne-cessario di riscoperta di un senso più au-tentico e profondo di quello trasmessodalle formulazioni correnti, può avveni-re a partire da un set di proposizioni ini-ziali, utili anche per mostrare il tipo di di-scorso che i partecipanti, in questa fase,sono invitati a portare avanti. Quanto ailoro contenuti, è opportuno che non sitratti di proposizioni apodittiche. Di o-gni affermazione, cioè, è bene esplorare icontrari che risultano comunque plausi-bili (e che in genere non mancano): soloda un tale sforzo di problematizzazione cisi può aspettare che gli assunti escano

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rafforzati e recuperati a un senso positi-vamente non scontato, ovvero che ven-gano compiute scelte consapevoli e signi-ficative proprio in quanto riguardanti al-ternative imbarazzanti. (Il tutto, osser-viamo di passaggio, ricorda il metododella scienza, che procede per continuitentativi di falsificazione, ritenendo unateoria tanto più vera quanti più ostacoliriesce a superare.)Questa prima parte del lavoro si conclu-derà con un set di proposizioni finali che,per quanto si è detto, dovrebbero poterrisultare generali ma non generiche, e an-zi pregnanti, selettive, dirimenti. Certo, ènella natura delle cose che si tratti di pro-posizioni collocate a un elevato livello diastrazione (proprio questo le protegge dauna presa troppo immediata degli inte-ressi in gioco). Ma qui è importante co-minciare a dire quello che nel seguito,spero, diventerà più chiaro: si tratta ben-sì di proposizioni astratte, ma formulatein funzione di tutte le successive attivitàdi piano, che ne risulteranno condizio-nate fino all’ultimo dettaglio.Da ultimo, se una visione condivisa si for-ma attorno a un tavolo (o a più tavoli te-matici), e se l’obiettivo è quello di valoriz-zare tutti i saperi che maturano in seno auna comunità, converrà che la partecipa-zione sia la più ampia possibile, fino a in-cludere tutti coloro che ritengono di ave-re qualcosa da dire (ferma restando la ne-cessità di organizzare il lavoro di discussio-ne in modo metodologicamente evoluto).Fermiamoci un momento a commen-tare la situazione appena delineata. Due,soprattutto, sono i punti da mettere inrilievo.In primo luogo, naturalmente è possibi-le, o anche probabile, che nel proporrequesto o quell’assunto, nell’aderire a que-

sto o quell’orientamento, gli attori sianoinfluenzati dalle conseguenze che ne in-travedono circa i ruoli che potranno as-sumere o circa la promozione degli inte-ressi che rappresentano. In parole povere,può ben darsi che siano portati a sceglie-re posizioni che ritengono favorevoli aipropri interessi. E tuttavia la necessità disostenerle in linea di principio – nellaquale vengono di fatto a trovarsi, a causadel piano sul quale sono chiamati a pro-nunciarsi – non consente loro di manife-stare preferenze, come si usa dire, idio-sincratiche. In parte si tratta di un effettoconnesso alla pura e semplice circostanzadi trovarsi nel contesto di un discorsopubblico: come osserva Jon Elster, “vi so-no determinati argomenti che semplice-mente non possono essere affermati pub-blicamente”, poiché il fatto stesso di im-pegnarsi in un pubblico dibattito rende“pragmaticamente impossibile asserireche una data soluzione è scelta semplice-mente perché favorisce se stessi o il grup-po al quale si appartiene”. È qui il luogo, anche, di riprendere la di-stinzione tra rivendicazioni di metodo edi merito. La previsione di una fase ini-ziale dedicata alla formazione di una vi-sione condivisa, e al suo interno della sot-to-fase sulla quale ho finora concentratol’attenzione, attiene evidentemente al pri-mo aspetto: corrisponde alla rivendica-zione che una comunità sia messa nellacondizione di intraprendere le attività dipiano con tutta la calma e il respiro chemeritano. Per questo aspetto, direi, il sin-dacato si impegna affinché sia reso dispo-nibile una sorta di “bene pubblico”, delquale tutti godranno allo stesso modo.Dopodiché, ognuno dei partecipanticonterà in base al filo da tessere che mo-strerà di avere, alle sue proprie capacità ar-

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gomentative, e in questo senso, nello spa-zio discorsivo che ha contribuito a istitui-re, il sindacato potrà senz’altro far valereistanze determinate, orientamenti di me-rito, preferenze sostanziali circa gli assun-ti che dovranno guidare le successive at-tività di piano. Le due cose, come già di-cevo, sono al tempo stesso distinte e con-nesse: distinte perché la forma di un di-scorso pubblico intorno ai principi lasciaimpregiudicati i contenuti che questi, difatto, assumeranno; ma anche connesse,perché l’intera strategia può essere soste-nuta soltanto da chi abbia abbastanza fi-ducia nelle proprie ragioni per essere po-sitivamente interessato a una situazionenella quale a contare, in ultima istanza, èla forza dell’“argomento migliore”.In secondo luogo, tutto quello che si èdetto fino a questo punto può essere rias-sunto nei termini di un lavoro collettivointorno al senso delle politiche sociali, lequali, in effetti, di un senso pregnante echiaramente percepibile hanno massi-mamente bisogno anche da un punto divista ‘pratico’: per motivare gli operatori,per generare consenso presso i cittadini,per mobilitare sufficienti risorse di atten-zione politica.

2. 2. Il secondo passo: l’analisi del contestolocale e delle politiche in corsoUn volta resi espliciti, gli assunti conte-nuti nel set di proposizioni validato al ter-mine della sotto-fase precedente possonoe devono essere messi all’opera comechiavi di lettura del contesto locale e del-le politiche che, in esso, sono già in corsodi realizzazione. Dove chiavi di lettura si-gnifica due cose:1. strumenti per selezionare definiti temid’attenzione, ovvero per individuare i fe-nomeni importanti;

2. strumenti per attribuire a questi ultimidi un segno positivo o negativo (o, natu-ralmente, ambiguo).Così, ad esempio, se degli assunti fa partela convinzione che gli anziani non auto-sufficienti debbano essere assistiti senza se-pararli dai loro mondi vitali, l’attenzionedovrà concentrarsi sulle capacità di curadelle famiglie (nonché sulla loro propen-sione a esercitarle), sull’entità dei suppor-ti di cui dispongono, sul grado di maturitàdegli interventi a sostegno della domici-liarità, ecc.; e tutti questi elementi – ap-prezzati nella loro consistenza – dovrannopoi essere calcolati tra i lati positivi e nega-tivi della situazione. Il risultato, allora, saràl’individuazione di un insieme di punti diforza e di debolezza che incorporano defi-niti criteri di valutazione, ovvero un insie-me di punti di forza e di debolezza rispet-to al raggiungimento di obiettivi ritenutimeritevoli di essere perseguiti in ragione diprincipi formulati, per quanto possibile,in modo “chiaro e distinto”.Detto questo, non sembra necessario en-trare in troppi dettagli tecnici. Piuttosto,vale la pena di segnalare alcune questio-ni, di diverso genere, che possono risulta-re non scontate.La prima riguarda un certo rischio dischematismo del percorso finora delinea-to. In effetti, il rispetto di una rigorosa di-stinzione tra la definizione degli assunti ela loro messa in opera presuppone un e-levato grado di maturità e di autodisci-plina della comunità impegnata nell’unae nell’altra operazione. In altri termini èpossibile, o anche probabile, che conven-ga cominciare con la valutazione di que-sto o quel problema “concreto”: ma, an-che così facendo, presto si vedrà che le di-verse prese di posizione rinviano a diver-si modi d’intendere i problemi e, soprat-

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tutto, che le posizioni stesse possono es-sere discusse in modo produttivo soltan-to se i principi e i criteri che le ispirano so-no portati alla luce e confrontati, esplici-tamente, in quanto tali. Di più, da uncerto punto di vista è comprensibile, oaddirittura inevitabile, che un principioo un criterio venga scoperto soltanto nel-l’atto stesso di applicarlo: in fondo è sem-pre la realtà a sollecitare le nostre facoltàdi giudizio. Ma ciò non toglie che questeultime debbano dar conto del modo incui vengono impiegate, chiarendo i con-vincimenti che le orientano. Pertanto,anche quando gli assunti non siano defi-niti prima della loro messa in opera, a uncerto punto devono comunque essere e-nucleati per quel che sono e trovare e-spressione in un set di proposizioni chene restituisca la sostanza.In secondo luogo, se ancora non si trattadelle “cose da fare”, l’analisi del contestolocale e delle politiche conterrà certa-mente una parte riguardante la “rileva-zione dei bisogni” (o della “domanda”).D’altra parte, adesso, dovrebbe risultaredefinitivamente chiaro che soltanto aquesto punto del percorso (non prima)ha senso proporsi un simile obiettivo. Al-le ragioni già indicate all’inizio del para-grafo, infatti, si può aggiungere ora cheanche l’identificazione dei bisogni impli-ca l’impiego di determinati criteri di va-lutazione, sicché, in assenza di un chiari-mento intorno a questi ultimi, neppuresi saprebbe bene cosa rilevare.

3. Dalla visione condivisa ai progettiPer una parte più o meno significativa, ilrisultato della fase che precede può benessere una validazione delle politiche edelle attività correnti, che vengono quin-di confermate nella loro impostazione

(comprese le loro “dimensioni”) e nei lo-ro contenuti. Né vale obiettare che qual-siasi politica e qualsiasi attività può sem-pre essere migliorata, perché questo è cer-tamente vero, ma ragionevolmente alrango di veri e propri “obiettivi di piano”assurgeranno soltanto gli interventi sucriticità o opportunità distintamente per-cepite come tali – e come tali in grado dimobilitare sufficienti risorse materiali epolitiche. Del resto, la validazione dellepolitiche e delle attività correnti non co-stituisce affatto un risultato di poco con-to; soprattutto se conferma significa riap-propriazione delle ragioni che stanno die-tro i modi di operare già messi in pratica. Ma un piano, naturalmente, si fa soprat-tutto per intraprendere corsi d’azione di-versi da quelli già sperimentati. In gene-re, se davvero ha spostato in avanti lacomprensione dei problemi e la ricercadelle soluzioni, la visione guadagnata altermine della fase precedente avrà biso-gno di essere implementata attraverso i-niziative che modifichino l’impostazionedelle attività correnti o inaugurino inter-venti e servizi senz’altro nuovi: cioè attra-verso la realizzazione di un certo numerodi progetti. Il termine, come si vede, è u-sato in senso ampio: in pratica, si riferiscea qualsiasi sforzo di cambiamento che ab-bia carattere intenzionale e almeno inparte formalizzato, soprattutto per quan-to riguarda la previsione di risultati ‘mi-surabili’ e di risorse positivamente vinco-late allo scopo. La fase di analisi del contesto e delle poli-tiche, per come è concepita, fornirà ma-teria sufficiente a selezionare le situazionibisognose dell’introduzione di vere e pro-prie novità (alle quali devono appuntocorrispondere specifici progetti). Conun’avvertenza: tanto la riflessione teorica

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quanto l’esperienza di campo portano amettere in guardia circa il pericolo diun’eccessiva moltiplicazione delle inizia-tive, indotta più dalla volontà di dare “se-gnali d’attenzione” a questo o quel setto-re della società che dalla effettiva possibi-lità di produrre cambiamenti significati-vi. Insomma, una certa prevalenza di ciòche è rappresentato rispetto a ciò che èrealmente agito non manca di responsa-bilità nel prodursi delle situazioni di in-gorgo alle quali ho già fatto cenno, equindi, tra l’altro, risulta controprodu-cente anche sul terreno dei messaggi chevengono trasmessi. Non si tratta di un a-spetto marginale. Qualsiasi politica ha ilproblema di raggiungere una certa mas-sa critica, dalla quale dipende la possibi-lità di spostare le cose in modo percepibi-le: condizione da rispettare soprattuttonel caso delle politiche sociali, sempre arischio di marginalità. Dunque, atten-zione al rischio di privilegiare il numerodei progetti rispetto alla qualità di ognu-no di essi: naturalmente non perché la lo-ro molteplicità non sia, essa stessa, un va-lore, ma perché il vincolo deve comun-que essere costituito dalla realizzazione diiniziative “spesse”, le uniche in grado di

trasmettere segnali davvero positivi. E sic-come in un quadro di risorse scarse quan-tità e qualità possono di fatto essere inconcorrenza, l’indicazione di garantireinnanzi tutto la seconda non sembra deltutto priva di mordente.

3.1. Le risorse attivabiliIn parte, nel passaggio dalla formazionedella visione condivisa alla definizione deiprogetti, le risorse chiamate in causa oltrei confini del settore pubblico cambiano ca-rattere. Non si tratta più, infatti, soltantodegli apporti cognitivi che gli attori socia-li possono fornire alla scelta delle strade dapercorrere, ma anche delle risorse ‘mate-riali’ con le quali possono concorrere allarealizzazione dei cambiamenti ritenuti ne-cessari. I progetti, appunto, riguardano“cose da fare” – con l’immediata conse-guenza che occorre stabilire chi può fareche cosa, in base ai mezzi che possiede –.Al riguardo, il primo dato da rilevare èche le risorse in questione presentano unelevato grado di eterogeneità, del qualeconviene tener conto anche perché com-porta modalità di attivazione a loro voltaassai differenziate. Un primo inventariopuò essere tentato come segue:

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

PROSPETTO 1LE RISORSE DELLA SOCIETÀ ATTIVABILINELL’AMBITO DELLE POLITICHE DI WELFARE

(a) Le disponibilità di lavoro volontario (o me-glio gratuito). In ogni conteso locale, la loro esat-ta consistenza deve essere oggetto di valuta-zioni ad hoc, ma la loro importanza, in genera-le, può ritenersi senz’altro fuori discussione.(b) Le risorse (umane e finanziarie) imputabi-li alle forme di auto-organizzazione della so-

cietà civile, ovvero dei cittadini in quanto di-retti interessati ai problemi da risolvere. Il ri-ferimento, per l’essenziale, è al ricco tessutoassociativo che caratterizza la maggior partedei nostri territori (con particolare riferimentoall’associazionismo di promozione sociale).(c) Le reti formate dai presidi locali di orga-nizzazioni che possono vantare una diffusio-ne territoriale di tipo capillare, ai quali, ad esem-pio, si può immaginare di affidare funzioni dicarattere informativo o, più in generale, di “sup-

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3.2. La regolazione dei rapportiCome ho già accennato – e come a que-sto punto, forse, risulta già più chiaro –

diversi tipi di risorse comportano diversemodalità di coinvolgimento. Le princi-pali sembrano le seguenti:

Parte III. Contributi

PROSPETTO 2GLI STRUMENTI DI COINVOLGIMENTO DEGLI ATTORI SOCIALI NELL’ELABORAZIONEE NELLA REALIZZAZIONE DEI PROGETTI

1. In presenza di attori sociali che manifesta-no una disponibilità a impegnare risorse pro-prie (di tipo monetario o reale), così come pre-visto dagli art. 3, comma 2, lettera b, e art. 19,comma 3, della legge 328/2000, si tratta di

attivare vere e proprie procedure di “concer-tazione”, i cui risultati saranno direttamenterecepiti negli accordi di programma che ap-provano i piani. Il caso tipico è quello del pun-to (h) del prospetto precedente, ma anche icasi (a), (b) e (c) si prestano a considerazionianaloghe, fermo restando che gli accordi diprogramma dovranno prevedere “convenzio-ni accessorie” destinate a regolare gli aspettioperativi dei rapporti.

porto all’accesso” (per esempio, le leghe del-lo Spi, oltre al ruolo che possono svolgere nel-la formazione della visione condivisa, rientra-no in questa categoria).(d) Le capacità di ascolto, di ideazione e di ve-rifica che i presidi locali delle stesse reti pos-sono esprimere nelle varie fasi del ciclo di vi-ta di un progetto (dunque, per questo aspet-to, risorse cognitive più specifiche di quellemesse in campo nella formazione della visio-ne condivisa).(e) Le risorse di tipo reale (competenze, ener-gie personali, disponibilità di tempo) e rela-zionale (legami di reciprocità, fiducia, appar-tenenza) ordinariamente possedute dai de-stinatari delle politiche pubbliche (cioè, in ge-nerale, dalle famiglie) e caratterizzate da unelemento propriamente informale (ossia nongià auto-organizzate su base collettiva). Com’èevidente, ad esempio, l’intera strategia del so-stegno alla domiciliarità riposa in modo deci-sivo su asset di questo tipo.(f) Le quote dei redditi familiari chiamate acontribuire al sostegno finanziario dell’offerta

pubblica, oppure incentivate a esprimersi co-me domanda effettiva su mercati apposita-mente amministrati (così è, ad esempio, quan-do “buoni”, “assegni servizio” e simili possonoessere acquistati a un prezzo inferiore al loropotere di acquisto).(g)Ancora, le quote dei redditi familiari mobili-tate da iniziative imprenditoriali direttamenterivolte ai consumatori finali in ambiti ai quali,pure, si riconosce rilevanza sociale. E’ il caso, adesempio, dei servizi offerti dalla cooperazionesociale sul mercato privato (non amministrato),attualmente, per altro, di scarsa consistenza.(h) Investimenti ai quali possono rivelarsi di-sponibili varie categorie di operatori privati. Alriguardo, in genere, si pensa al ruolo di orga-nizzazioni non profit che dispongano di cospi-cui mezzi finanziari (soprattutto, dunque, lefondazioni). Non meno rilevante, tuttavia, è iltema del possibile coinvolgimento dei “nor-mali” operatori profit, nei riguardi dei quali, ingenere, le amministrazioni locali possono farvalere importanti asset strategici (ad esempiocirca le condizioni di utilizzo del territorio).

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L’elenco che precede non è necessaria-mente esaustivo. Ad esempio, non com-prende le strategie di mera incentivazio-ne, che pure possono riguardare moltedelle fattispecie considerate nel Prospet-to 1 (si può incentivare l’offerta, la do-manda, l’auto-organizzazione dei cittadi-ni) e possono pur sempre dar luogo a spe-cifiche forme di coinvolgimento nellaprogettazione degli strumenti da adotta-re (in particolare si può immaginare chela scelta di questi ultimi sia preceduta damomenti di consultazione dei diretti in-teressati, i quali, aggiungiamo, sono con-sigliabili anche quando si tratti della mo-dificazione di procedure, regolamenti o

assetti organizzativi comunque incidentisulla popolazione). Il punto-chiave, però,non sta né nella completezza dell’esamené nel modo in cui sono trattati i singolicasi ai quali mi sono riferito, bensì nell’i-dea che uno sforzo di segmentazione siain effetti indispensabile affinché, al di làdel generale concorso alla formazionedella visione dei problemi, ogni attore so-ciale sia messo in grado di partecipare al-la definizione e alla realizzazione delle po-litiche sulla base di ruoli definiti con suf-ficiente chiarezza e, perciò stesso, in mo-do davvero efficace e trasparente. Di più,riconoscere la diversità delle situazioni edegli strumenti che a queste devono cor-

3° rapporto sulla contrattazione sociale territoriale

2. Ove emergano questioni sulle quali sembriinnanzi tutto utile sollecitare nel modo più am-pio possibile le capacità ideative degli attorisociali, lo strumento appropriato è quello del-l’istruttoria pubblica per la co-progettazionecon i soggetti del Terzo Settore, di cui all’art. 7dell’“Atto di indirizzo e coordinamento sui si-stemi di affidamento dei servizi alla personaprevisti dall’art. 5 della legge 8 novembre 2000,n. 328”. I piani conterranno allora la decisio-ne di bandire le istruttorie, definendo i relati-vi “temi di progettazione”.3. Ove emerga la necessità di progetti per ela-borare e realizzare i quali le amministrazionidevono dialogare con uno o più “interlocuto-ri naturali” (tipico il caso di un’associazionerappresentativa dei cittadini di un quartiere),la negoziazione degli impegni può avvenirenel quadro degli ordinari strumenti di con-venzionamento (a meno che i suddetti inter-locutori non siano portatori di risorse propriesufficienti a configurare la prima fattispecie).Il piano potrà recepire direttamente i terminidegli accordi.

4. Nel caso delle attività che si prestano a ‘nor-mali’ operazioni di esternalizzazione le proce-dure di selezione dei contraenti delineate dal-l’art. 6 del citato “Atto di indirizzo e coordina-mento” forniscono tutti i riferimenti di cui vi èbisogno, consentendo che il processo concor-renziale attivi, anche in questo caso, capacitàdi tipo propriamente progettuale. I piani, natu-ralmente, conterranno soltanto la scelta dellaforma di gestione, mentre l’espletamento del-le gare avverrà in esecuzione dei medesimi.5. Ove emerga la necessità/opportunità di undiretto coinvolgimento delle famiglie nella va-lutazione e nella riprogettazione dei servizi, alfine di individuare i modi in cui le risorse ‘or-dinarie’ delle prime e quelle tecnico-profes-sionali organizzate dai secondi possono inte-grarsi nel modo più produttivo, converrà spe-rimentare forme innovative – mutuate dalleesperienze di urbanistica condivisa – del tipo“laboratori di politica sociale”. Strumenti diquesto stesso genere, in particolare, possonoessere utilizzati per quanto riguarda la fatti-specie di cui al punto (d) del Prospetto 1.

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Supplemento al n. 24/2012 di Rassegna Sindacale Direttore responsabile Paolo Serventi Longhi

Chiuso in tipografia il 28 giugno 2012Stampa Macofin, Roma

rispondere sembra indispensabile affin-ché il principio della partecipazione siriempia di contenuti determinati, decli-nandosi di volta in volta nel modo piùappropriato, al di là di un generico riferi-mento alla sua ‘intrinseca’ bontà.

Perciò, anche, passando dalla visione aiprogetti, le presenze attorno ai tavoli do-vranno articolarsi in base alle materie indiscussione, agli interessi in gioco e alleforme di regolazione di volta in voltaprescelte.

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