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Un trattamento ragionato della stipsi cronica deve mirare ad alleviarne i sintomi in un paziente spesso provato e deluso dalle terapie già sperimentate.

Va da sé che l’efficacia dell’intervento si traduce in un parallelo miglioramento della qualità di vita e del tono dell’umore, in una riduzione delle complicanze e, aspetto da non trascurare nei tempi attuali, in un vantaggio anche per la collettività.

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Così come la raccolta anamnestica dovrebbe seguire un proprio schema, mirato ad acquisire informazioni di carattere non soltanto generale ma anche sulle abitudini di vita, allo stesso modo l’approccio dovrebbe essere strutturato “a gradini”.

Il primo obiettivo è innanzitutto la rassicurazione: spesso il paziente chiede aiuto quando non ha ottenuto risultati da tentativi ripetuti con soluzioni che potrebbero essere perfino controproducenti.

Il secondo e il terzo step sono strettamente interconnessi, in quanto finalizzati a correggere gli errori e suggerire modelli comportamentali positivi, sia nella vita quotidiana sia nella gestione degli eventuali farmaci, la cui individuazione caratterizza la fase successiva.

Il percorso non può ritenersi concluso senza il monitoraggio dell’efficacia, invitando il paziente a fornire un aggiornamento dopo qualche giorno, e, ove opportuno, senza una valutazione delle possibili ragioni di un mancato miglioramento della stipsi.

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I lassativi sono normalmente classificati in relazione al meccanismo d’azione. Si distinguono così quelli formanti massa, quelli a effetto lubrificante, gli osmotici, gli stimolanti, gli emollienti e infine una classe di recente introduzione nell’armamentario terapeutico: gli agonisti del recettore 5-HT4.

Come già ripetutamente affermato, l’approccio al paziente deve essere personalizzato in quanto la strategia non può prescindere da un’attenta caratterizzazione della “sua” stipsi.

È inoltre opportuno sottolineare che il farmaco è un valido strumento di supporto ma non è l’unico elemento responsabile del successo o dell’insuccesso del trattamento.

Tale considerazione trova un riscontro ancora più immediato quando la stipsi è associata a disturbi del tono dell’umore o ad altre condizioni che richiedono un intervento su più fronti.

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Le fibre transitano quasi del tutto intatte nel tubo digerente fino al colon, ed esplicano la propria azione per lo più aumentando l’adsorbimento di acqua.

Sono fermentate dai batteri, dando luogo alla produzione di gas, tra cui l’acido butirrico, che stimola la peristalsi.

Grazie all’aumento del volume fecale promuovono la percezione dello stimolo evacuativo e ammorbidiscono le feci, rendendo la defecazione più agevole.

Va sottolineato che la crusca, pur legando minore quantità di acqua rispetto alla pectina, produce un maggiore volume fecale perché meno digerita dai batteri del colon rispetto alla seconda, che per tale ragione perde parte dell’effetto lassativo.

Per quanto la dose di crusca raccomandata sia in genere di 20 g/die, può rendersi necessario un aumento del 30-50%.

Il polycarbophil è un polimero non fermentabile dell’acido acrilico, che gelificando nell’intestino adsorbe 60 volte acqua rispetto al proprio peso.

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La supplementazione di fibra può ripristinare la soglia percettiva rettale e promuovere così la percezione di urgenza e la sensazione di evacuazione.

Il miglior candidato al trattamento con questa classe di lassativi è perciò il paziente con normale velocità di transito intestinale, mentre l’efficacia nei pazienti con velocità di transito ridotta è minore.

L’impiego non è raccomandato ai pazienti costretti a letto e a quelli che non sarebbero in grado di aumentare l’apporto idrico.

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I lassativi ammorbidenti sono tensioattivi di superficie che favoriscono una maggiore omogeneità delle feci, rimescolandone il contenuto.

Vengono spesso impiegati a livello ospedaliero, soprattutto dopo interventi chirurgici o nel postpartum, ma secondo l’ACG Task Force i dati disponibili non sono sufficienti a raccomandarne l’impiego nella stipsi cronica. La loro efficacia può essere inferiore a quella dello psillio.

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I lassativi osmotici sono sostanze scarsamente assorbibili o non assorbibili, delle quali alcune ad azione esclusivamente osmotica (magnesio, sali fosfati, polietilenglicole), mentre altre (lattulosio e lattitolo) vengono fermentate nel colon.

Potrebbero pertanto subentrare problematiche di tollerabilità nell’utilizzo cronico con lattulosio e lattitolo.

Il polietilenglicole accelera il transito colico nei pazienti con sindrome dell’intestino irritabile con transito rallentato, ed è ben tollerato ed efficace sia nel breve che nel lungo termine.

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Questa tabella illustra le prerogative essenziali di alcuni lassativi osmotici, evidenziandone le differenze nel meccanismo d’azione.

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Questi lassativi sono spesso autoprescritti per la loro efficacia e rapidità d’azione, ma sono per lo più indicati nella stipsi occasionale.

La melanosis coli è l’espressione di morte (per apoptosi) dei colonociti, con deposizione di pigmento brunastro nei macrofagi. Anche se questo non costituirebbe di per sé un danno, di fatto essa viene riscontrata nei pazienti che hanno fatto largo uso di lassativi e soffrono di stipsi cronica severa. La melanosis coli sembrerebbe essere reversibile dopo alcuni mesi di sospensione del farmaco.

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Questa tabella illustra le prerogative e le differenze essenziali dei principali lassativi stimolanti, vale a dire bisacodile, sodio picosolfato e il gruppo degli antrachinonici, che comprende i derivati da aloe, cascara, frangula e senna. Va ricordato che quest’ultima può essere impiegata in gravidanza e in allattamento.

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L'olio di ricino viene ricavato dalla spremitura a freddo dei semi di Ricinus communis, una pianta della famiglia delle Euforbiacee.

L’acido ricinoleico stimola la secrezione di acqua nell’intestino tenue e promuove così l’accelerazione della peristalsi. L’effetto lassativo, caratterizzato dall’emissione di feci profuse semiliquide, è autolimitato.

L’aspirazione accidentale può causare polmonite lipoidea.

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Gli oli minerali, impiegati sia per via orale che per clisma, vengono emulsionati nella massa fecale rendendola più morbida e, passando immodificati lungo tutto il tubo digerente, lubrificano anche il retto.

Negli anziani possono indurre piccoli fenomeni di incontinenza con perdita di olio e di piccole quantità di liquido acquoso.

Non né è raccomandato l’uso in prossimità dei pasti sia per la scarsa palatabilità sia per evitare interferenze con l’assorbimento di micronutrienti e di vitamine liposolubili.

Possono essere considerati coadiuvanti di altri trattamenti in caso di feci dure.

Le supposte di glicerina producono una stimolazione meccanica sul retto ma esplicano anche un blando effetto irritante sulla mucosa rettale, con miglioramento della soglia percettiva all’evacuazione.

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I pazienti trattati con analgesici oppioidi sono malati terminali affetti da neoplasie non operabili, da broncopneumopatia cronica ostruttiva all’ultimo stadio, enfisema, insufficienza cardiaca, malattia di Alzheimer con demenza, infezione avanzata da HIV e anche quelli con patologie croniche quali lombalgia, dolori articolari e neuropatici.

Oltre che dagli oppioidi – i cui effetti sono riassunti nella slide – la stipsi è favorita da numerosi altri fattori, quale lo stato avanzato di malattia, l’ospedalizzazione, la disidratazione, l’iperkaliemia nonché lo stato psicologico.

Per questa forma di stipsi è indicato metilnaltrexone, un’amina quaternaria con scarsa capacità di superare la barriera ematoencefalica specificamente mirata a contrastare l’effetto periferico degli oppioidi sul tubo digerente senza interferire sul loro effetto analgesico nel sistema nervoso centrale.

Un altro farmaco, approvato però solo dalla FDA americana con l’indicazione per l’ileo paralitico post-intervento chirurgico, è alvimopan: è in grado di accelerare il ripristino della funzione intestinale normale nei pazienti adulti ospedalizzati sottoposti a chirurgia di resezione dell’intestino tenue e crasso.

In alcuni Paesi, tra cui l’Italia è approvata l’associazione tra un oppioide, ossicodone, e un antagonista puro, naloxone: si tratta in realtà di una profilassi della stipsi indotta da uno specifico oppioide, ossicodone.

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Un’indagine americana condotta su oltre 24mila individui mediante somministrazione di un questionario con 45 domande ha raccolto giudizi importanti sui vari trattamenti della stipsi. Il 47% della popolazione reclutata ha rivelato di non essere soddisfatta dei propri rimedi. Nell’82% dei casi la ragione indicata era la mancanza di efficacia. Altri fattori ritenuti importanti erano la continuità del trattamento, gli effetti indesiderati e il costo. Questo diagramma riassume le valutazioni relative ai lassativi da banco, a quelli da prescrizione e alle fibre.

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Il meccanismo d'azione di prucalopride agisce su una delle cause della stipsi, cioè la mancanza di motilità del colon, stimolando il rilascio di acetilcolina.

Quale farmaco procinetico, si posiziona nella terapia della stipsi cronica dopo il fallimento di precedenti trattamenti con lassativi di varia natura, illustrati nel corso di questo modulo.

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L’indicazione approvata per prucalopride è la stipsi cronica nelle donne in cui i lassativi non riescono a fornire un adeguato beneficio clinico.

Per questa specifica indicazione attualmente non sono disponibili opzioni di trattamento, il che determina un sostanziale bisogno terapeutico insoddisfatto in questo gruppo di pazienti.

I pazienti con stipsi cronica trattati con lassativi insoddisfatti dal trattamento in atto potrebbero trarre beneficio dal trattamento con prucalopride.

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La dose di prucalopride negli adulti è di 2 mg una volta al giorno. Negli anziani quella iniziale è pari alla metà.

Analoga considerazione vale per i pazienti affetti da grave insufficienza renale: come riportato, infatti, per loro la posologia è di 1 mg una volta al giorno, ma non è richiesta alcuna modifica nella dose per pazienti affetti da insufficienza renale da lieve a moderata.

I pazienti con insufficienza epatica grave devono incominciare con una dose di 1 mg una volta al giorno, che può essere aumentata a 2 mg se necessario per migliorare l’efficacia e se la dose di 1 mg è ben tollerata.

Non è richiesta alcuna modifica nella dose per i pazienti affetti da insufficienza epatica da lieve a moderata.

Se l’assunzione di prucalopride una volta al giorno non è efficace dopo 4 settimane di trattamento è opportuno esaminare nuovamente il paziente e valutare l’opportunità di proseguire il trattamento.

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L’efficacia di prucalopride (2 mg/die e 4 mg/die) è stata valutata in tre studi multicentrici, randomizzati, in doppio cieco, di 12 settimane controllati con placebo in soggetti affetti da costipazione cronica (Drugs 2009;69:2463-76).

L’endpoint primario era rappresentato dalla percentuale di soggetti che raggiungevano la normalizzazione dei movimenti intestinali (≥3 movimenti) per settimana nell’arco del periodo di trattamento.

Entrambe le dosi hanno mostrato una differenza superiore (p <0,001) rispetto al placebo. In tutti e tre gli studi, il trattamento con prucalopride ha comportato anche significativi miglioramenti nelle valutazioni di una serie di sintomi addominali, defecatorie rettali.

Inoltre è stato osservato un beneficio significativo rispetto a un determinato numero di parametri riguardanti la qualità della vita, come il livello di soddisfazione rispetto al trattamento, alle abitudini intestinali e alle preoccupazioni, i fastidi e i disagi fisici e psicosociali.

Nei trial prucalopride non ha mostrato fenomeni di rebound e non ha indotto dipendenza.

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I tre principali studi randomizzati controllati hanno confrontato prucalopride e placebo in quasi 2000 pazienti di età media pari a 47 anni, di cui l’88% donne, affetti da stipsi cronica persistente in media da 20 anni e trattati per 12 settimane.

La maggior parte dei pazienti (85,6%) aveva assunto lassativi in passato, che nell’82,8% dei casi si erano rivelati inefficaci.

I pazienti sono stati randomizzati, dopo un periodo di run-in della durata di 2 settimane in cui non potevano assumere lassativi, a ricevere prucalopride 2 mg/die o 4 mg/dieoppure placebo.

Rispetto al placebo prucalopride ha raddoppiato la percentuale di pazienti con almeno tre defecazioni spontanee complete alla settimana (24% vs 11%).

L’effetto, evidente già entro le prime 4 settimane, è stato mantenuto per tutta la durata del trattamento. Il dosaggio di 4 mg non ha dimostrato vantaggi rispetto all’effetto dei 2 mg. L’EMA, dato il basso numero di uomini inclusi nei trial (12%), ha approvato per ora l’uso del farmaco solo sulle donne.

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Uno studio randomizzato controllato di fase III ha reclutato 303 pazienti anziani (età media 76 anni), prevalentemente donne (70%) con stipsi cronica da 15 anni.

Dopo 2 settimane di run-in essi sono stati randomizzati al trattamento con prucalopride1, 2 o 4 mg/die per 4 settimane.

L’endpoint primario (almeno 3 defecazioni complete spontanee/settimana nelle 4 settimane), è stato raggiunto dal 39,5% (1 mg), dal 32% (2 mg) e dal 31,6% (4 mg) dei pazienti trattati con prucalopride rispetto al 20% del braccio placebo.

Il risultato è risultato significativo, rispetto al placebo, nel braccio al dosaggio più basso (p <0,025), corrispondente al dosaggio autorizzato per questa classe di pazienti.

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Le reazioni avverse più frequentemente segnalate nei tre studi di 12 settimane già citati con prucalopride 2 mg, cioè alla dose autorizzata, sono state mal di testa (in media 26% vs 14% con placebo) e sintomi gastrointestinali tra cui nausea (13% vs 11%), dolore addominale (21% vs 18%), diarrea (13% vs 5%) e flatulenza (10% vs 8%).

Va sottolineato che per la maggior parte tali eventi sono stati di grado lieve-moderato.

Anche nello studio in pazienti anziani gli eventi avversi più frequenti sono stati dolore addominale (9,2% con prucalopride 1 mg – dose autorizzata per tale popolazione – vs 5,6% con placebo), diarrea (6,6% vs 0%), nausea (5,3% vs 2,8%) e cefalea (6,6% vs 4,2%).

L’incidenza di eventi avversi gravi è stata relativamente bassa e simile nei due gruppi (1,9% vs 2,1%).

Questa tabella, tratta da un poster presentato a un congresso internazionale, mostra invece una sostanziale sovrapponibilità del profilo di sicurezza in pazienti adulti e anziani.

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Dopo il primo giorno di trattamento le reazioni avverse più comuni sono state riportate con frequenza analoga (incidenza inferiore all’1% di differenza tra prucalopride e placebo) a quella osservata durante il placebo, fatta eccezione per nausea e diarrea che hanno continuato a manifestarsi più frequentemente durante il trattamento con prucalopride (differenza nell’incidenza tra prucalopride e placebo compresa tra l’1% e il 3%).

Palpitazioni sono state riportate nello 0,7% dei pazienti trattati con placebo, nell’1,0% dei pazienti trattati con 1 mg di prucalopride, nello 0,7% dei pazienti trattati con 2 mg di prucalopride e nell’1,9% dei pazienti trattati con 4 mg di prucalopride.

La maggior parte dei pazienti ha continuato l’impiego di prucalopride. In caso di comparsa di palpitazioni o di nuovi sintomi è importante il consulto del medico curante.

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Questo grafico, tratto da un poster presentato nel 2010 al congresso europeo di gastroenterologia di Barcellona, illustra il livello di soddisfazione dei pazienti estrapolato da tre identici studi pilota di fase III, randomizzati, controllati della durata di 12 settimane.

Come si può notare, prucalopride ha determinato un effetto da moderato a elevato sul gonfiore e sul disagio addominale.

Il piccolo effetto sui sintomi rettali è dovuto alla loro presenza molto ridotta nei pazienti studiati.

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