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Dottorato in MEDICINA VETERINARIA Trasmissione della malattia di Aujezsky nel cinghiale (Sus scrofa ) e possibili conseguenze nella demografia e gestione della specie in provincia di Pisa Candidato Relatori Dr. Paolo Varuzza Prof. Alessandro Poli Mat. 431758 Dr. Antonio Felicioli AA. 2007 2010 SSD VET03 BIO 10

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Dottorato in MEDICINA VETERINARIA

Trasmissione della malattia di Aujezsky nel cinghiale (Sus scrofa) e possibili conseguenze nella demografia

e gestione della specie in provincia di Pisa

Candidato Relatori Dr. Paolo Varuzza Prof. Alessandro Poli Mat. 431758 Dr. Antonio Felicioli

AA. 2007 – 2010 SSD

VET03 BIO 10

Pagina | 2

Indice …………………………………………………………………………………………………………... 2

Introduzione …………………..…………………………………………………………………………….. 3

Malattia di Aujeszky …………………………………………………………………………………….. 9

Il Cinghiale (cenni di biologia) …………………..……………………………………………….. 32

Area di studio ………………………………………………………………………………………………. 46

Materiali e metodi ………………….………………..……………………………………………….. 51

Risultati ……………………………………………..……..……………………………………………….. 64

Discussione ………………………………………..……..……………………………………………….. 83

Conclusioni ………………………………………..……..……………………………………………….. 91

Bibliografia ………………………………………..……..……………………………………………….. 93

Ringraziamenti ………………………………..……..……………………………………………….. 115

Pagina | 3

CAPITOLO 1 INTRODUZIONE

Pagina | 4

1. INTRODUZIONE A partire dagli anni ‘80 il cinghiale ha assunto in Italia un interesse sempre

maggiore per motivazioni di tipo economico, sociali e biologiche. Dal punto

di vista venatorio la specie è probabilmente, insieme al fagiano, la più

importante nel panorama italiano: la caccia al cinghiale, attira infatti

sempre più, un grande numero di cacciatori, ed oltre a costituire una

profonda eredità di tipo culturale, rappresenta una notevole fonte di

introiti a beneficio dell’economia locale e nazionali. La nascita del “mito”

cinghiale è stata supportata dall’incredibile espansione territoriale e

numerica della specie che nel giro di trent’anni ha quintuplicato l’areale di

distribuzione italiano, favorita da una straordinaria adattabilità e da vari

fattori, tra i quali le numerose immissioni a scopo venatorio operate in

varie parti del Paese. Di pari passo sono cresciuti i danni e le

problematiche connesse che fanno del cinghiale una delle specie

selvatiche più difficili da gestire nel panorama italiano. Per avere un’ idea

delle proporzioni raggiunte dalla caccia al cinghiale basti pensare che nella

sola Toscana durante l’ultima stagione venatoria sono stati abbattuti oltre

75.000 capi.

Alla luce di queste considerazioni è sempre più opportuno pensare ad una

sua gestione a 360°, che contempli il maggior numero di informazioni sulla

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specie non solo comportamentali, biologiche, o di abbondanza, ma anche

sanitarie.

In gran parte d’Italia poco si conosce sulla demografia della specie,

soggetta a forti oscillazioni periodiche, probabilmente riconducibili solo in

parte alle disponibilità alimentari stagionali. Alcune malattie infettive da

sempre fungono da regolatrici delle popolazioni selvatiche. Studi condotti

per la malattia di Aujezsky in provincia di Pisa hanno fatto emergere nel

cinghiale valori alti di siero prevalenza che necessitano di essere

approfonditi per potenziali conseguenze sugli allevamenti suinicoli della

provincia ed per la demografia del cinghiale. La virosi infatti, di notevole

interesse nell’industria suinicola, dove causa ingenti danni economici legati

alla perdita di capi, potrebbe avere un impatto notevole anche sulla

fecondità del cinghiale. Il virus in tale specie potrebbe essere un ulteriore

elemento di regolazione demografica andando ad incidere in particolare

sul numero di feti concepiti e non sulla mortalità in soggetti post

svezzamento come avviene per il suino. Indagini condotte recentemente

presso il Dipartimento di Patologia Animale, Profilassi ed Igiene degli

Alimenti dell’Università di Pisa hanno consentito di acquisire informazioni

sulla presenza dell’infezione nelle popolazioni di cinghiali viventi in

Maremma e nella provincia di Pisa, dimostrando una sieropositività

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superiore al 50% .È stato inoltre possibile dimostrare la presenza di

antigene virale nelle tonsille e nel tessuto linfoide di tali soggetti,

testimoniando una diffusione attiva dell’infezione nelle popolazioni di

cinghiale in Toscana.

Tale dato non esclude inoltre una potenziale trasmissione dell’infezione ai

suini di allevamento, specialmente di razze rustiche ed allevate al brado

che con facilità entrano in contatto con i cinghiali.

A questo scopo sono stati effettuati prelievi a campione sui cinghiali

abbattuti nell’arco di poche ore dalla morte grazie alla collaborazione delle

squadre di caccia al cinghiale. Per ogni animale abbattuto è stata

compilata una scheda riepilogativa con peso pieno e vuoto, età, sesso,

data e luogo di abbattimento. Si è proceduto poi alla raccolta di campioni

di siero, tonsille, linfonodi e apparati riproduttivi, tamponi nasali, vaginali,

prepuziali e faringei. Per le femmine, quando possibile è stato prelevato

tutto l’apparato riproduttivo ed i feti e successivamente analizzati e

studiati in laboratorio. Le indagini in precedenza svolte hanno dimostrato

la validità di questa metodica di raccolta. Per raggiungere inoltre

l’obiettivo ci proponiamo di allestire una metodica di identificazione dei

virus della malattia di Aujeszky basata su indagini virologiche su tamponi

nasali e genitali.

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Gli obiettivi di questa ricerca si possono ricondurre a due tipologie: lo

studio delle demografia e la ricerca della malattia di Aujeszky con le

possibili relazioni tra produttività e malattie.

Nel primo caso avremo:

lo studio della produttività del cinghiale in provincia di Pisa;

confrontare la sex ratio al momento della nascita e quella desunta

dai dati di abbattimento;

stabilire la correlazione tra numero di feti e peso ed età delle

femmine;

Fig. 1.1 Obiettivi di studio

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Per lo studio sanitario:

verificare la prevalenza della malattia di Aujeszky;

stabilire eventuali correlazioni con le varie classi di sesso ed età;

indagare sulle modalità di trasmissione della malattia in special

modo tra femmine e feti;

correlare la fertilità con la presenza dell’infezione nella popolazione

studiata;

valutare se e quanto la malattia di Aujeszky possa influire sulla

dinamica di popolazione del cinghiale.

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CAPITOLO 2 MALATTIA DI AUJESKY

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2. MALATTIA DI AUJESZKY o PSEUDORABBIA

2.1 Eziologia

Nel 1902 A. Aujeszky descrisse una nuova malattia che causava disturbi

nervosi distinta dalla rabbia. Questa entità morbosa fu definita in Europa

“Morbo di Aujeszky” mentre nel nuovo continente fu preferito il nome di

“Pseudorabbia” per distinguerla appunto dalla malattia causata dal

Rabdovirus agente infettivo della rabbia.

Nel 1910, Schmeidhofer, dimostrò tramite prove di filtrazione su lisati

cellulari di animali infetti che la patologia, così come la rabbia, era causata

da un agente di natura virale. Il virus fu classificato nel 1934 da Sabin e

Wright come appartenete al genere Herpesvirus. Il Comitato

Internazionale per la Tassonomia dei Virus classificò successivamente l’

Aujeszky Disease Virus (ADV) come appartenente alla sottofamiglia

alphaherpesvirinae.

Sebbene il suino sia l’ospite naturale del virus, definito anche PRV

(Pseudorabies Virus) molti altri animali possono fungere da ospiti

accidentali e venire infettati da questo, è nel suino comunque che le

manifestazioni morbose possono esplicarsi con una varietà di quadri

clinici. Il decorso clinico è prevalentemente determinato da una parte

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dall’età del soggetto infettato e dal suo stato immunologico , dall’altra

dalla virulenza del ceppo e dalla dose infettante.

La malattia si esplica in modo grave in popolazioni che non sono mai

venute in contatto con PRV ed in particolar modo nei suinetti dove la

mortalità si attesta sul 100% nelle prime 2 settimane di vita, abbassandosi

però al 50 % nella terza e quarta settimana.

Nei suinetti inoltre si osservano diversi sintomi neurologici al contrario

degli animali adulti che mostrano ipertermia, mancanza di appetito, tosse,

e dispnea marcata.

Negli adulti la mortalità è generalmente inferiore al 5%.

Nei verri e nelle scrofe si possono osservare anche disturbi della fertilità,

solitamente correlati a periorchiti e metriti che possono portare ad

infertilità e ad aborto gli animali.

2.2 Classificazione

PRV ha la tipica architettura dei virioni appartenenti al genere

Herpesvirus. Le particelle virali mostrano una conformazione pressoché

sferica con un diametro di 150-180 nm con un core centrale circondato da

tre strati.

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Il core del virus contiene acido desossi-ribo-nucleico organizzato in doppio

filamento con una lunghezza approssimativa di 140 Kb. Il capside ha

natura proteica ed è organizzato in simmetria icosaedrica.

Il virus presenta anche un envelope che riveste l’intera particella formato

da un doppio strato fosfolipidico nel quale sono incluse le proiezioni

esterne del virus di natura glicoproteica.

2.3 Epidemiologia

La Pseudorabbia è una affezione principalmente del suino, serbatoio e

fonte più importante di infezione naturale per un ampio gruppo di ospiti

secondari che comprendono bovini, pecore, capre, cani, gatti e molte

specie animali selvatiche (Thedford e Wright, 1980). A motivo

dell’evoluzione e dell’esito della malattia, tutte le specie animali diverse

dai suidi sono considerate ‘fondi cechi epidemiologici, che però

potrebbero contenere il virus e diffonderlo se mangiati da carnivori o altri

animali selvatici.

L’infezione da PRV diffonde lentamente e prevalentemente per contagio

diretto naso-naso o per via oro-fecale, ma può anche avvenire attraverso

alimenti contaminati, acqua, ingestione di tessuti infetti o attraverso

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calzature, abiti e veicoli contaminati. Trasmissione indiretta avviene

solitamente per inalazione di virus in aerosol. Il virus può rimanere

infettante fino a 7 ore nell’aria con umidità relativa >55%. Esperienze

condotte in Gran Bretagna, Danimarca e USA indicherebbero che il virus

può viaggiare via aerosol fino a 2 km di distanza. Oltre che per via

respiratoria, la trasmissione può realizzarsi anche attraverso il latte delle

scrofe infette, il seme del verro (anche se impiegato per una sola

inseminazione artificiale) e per via diaplacentare.

Una fonte insidiosa d’infezione sono i suini convalescenti, malati cronici ed

infetti in forma latente, che si possono conservare a lungo eliminatori.

L’infezione latente da herpesvirus può essere definita come fase di

persistenza del virus nell’ospite non associata a replicazione né a reazione

immunitaria (Thedford e Wright, 1980). In suini con infezione latente, a

seguito di condizioni stressanti quali il parto, sovraffollamento o trasporti,

possono riprendere la moltiplicazione e dell’eliminazione virale, non

sempre associate alla comparsa della sintomatologia clinica.

Altri studi hanno dimostrato che il virus può sopravvivere fino a 7 ore in

acque di pozzo non clorate, per due giorni negli effluenti di vasconi di

decantazione così come nell’erba verde, nel terreno, nelle feci e nelle

granaglie, per tre giorni nei liquidi di lavaggio nasale, sulla plastica e sul

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mangime pellettato, per quattro giorni nella lettiera di paglia. Il virus è

munito di envelope e per questo è inattivato dall’ essiccamento, la luce

solare diretta, dalle alte temperature e a tutti i solventi che sciolgono i

grassi.

La malattia, prima degli anni ’60, risultava localizzata nell’Europa orientale,

ma dal 1989 ha avuto una distribuzione mondiale raggiungendo 43 Paesi

(http:WWW.Defra.gov.uk/animalh/diseases/notifiable/disease/aujeszkys.1

989). Ci sono diverse ragioni per spiegare l’aumentata incidenza della

malattia: lo sviluppo, negli ultimi decenni, di ceppi nuovi e più virulenti; i

miglioramenti nelle tecniche diagnostiche con l’identificazione dei casi di

pseudorabbia precedentemente diagnosticati come peste suina; e

cambiamenti nella gestione dell’allevamento suino, con confinamento di

molti animali in ambienti chiusi e dove i parti si succedono a ciclo

continuo.

Ospiti a fondo cieco, come il cane, gatto, ma anche ratti e altri roditori

selvatici sopravvivono solo 2-3 giorni dall’infezione e possono trasmettere

il virus tra le aziende se mangiati da altri suini. Il ruolo degli insetti come

potenziali vettori è oggetto di indagine. Uccelli non sembrano ricoprire

alcun ruolo nella trasmissione.

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Il virus della pseudorabbia è stato isolato da cinghiali in Texas e Florida e la

positività sierologia è stata dimostrata in numerosi paesi Europei, Italia

compresa. La diffusione del virus dal cinghiale al bestiame domestico è

stata riportata in numerose occasioni in Florida e Texas, dove è stata

sospettata la contaminazione da parte di cinghiali di foraggio distribuito a

bovini sul terreno. Questa trasmissione dal cinghiale a bestiame domestico

è vista come un serio ostacolo ai programmi di eradicazione della malattia

(http://texnat.tamu.edu/symposia/feral/feral-12.htm 1993).

L’unico metodo di controllo della pseudorabbia nei selvatici è a tutt’oggi il

controllo della popolazione.

2.4 Patogenesi

2.4.1 Ingresso del virus nella cellula

PRV si replica all’interno delle cellule suscettibili alla sua infezione tramite

l’aggancio del virione alla membrana cellulare e la conseguente fusione

della membrana stessa con quella dell’envelope virale.

Ad oggi si è arrivati alla caratterizzazione di 7 glicoproteine dell’envelope

virale (gB, gC, gD, gE, gH, gI e gL) che giocano un ruolo fondamentale

nell’adesione e nell’adsorbimento del virus alla cellula.

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Il primo contatto del virus con la cellula ospite è mediato dalla

glicoproteina gC che si lega alle molecole di eparan-solfato (HS) presenti

sulla superficie cellulare (Mettenleiter et al., 1990). L’interazione gC-HS

viene inoltre modulata per mezzo della glicoproteina gD la quale converte

rapidamente la bassa affinità di legame HS-dipendente in un legame più

stabile HS-indipendente (Karger and Mettenleiter, 1993). La stabilità di

legame della particella virale alla cellula infettata è fondamentale e

necessaria per la successiva serie di processi che portano alla definitiva

fusione dell’envelope con la membrana cellulare. Le quattro glicoproteine

gB, gD, gH e gL formanti un complesso, ed in combinazione singolarmente

con gH e gL mostrano di essere attive durante il processo di penetrazione

nella cellula (Rauh and Mettenleiter, 1991; Peeters et al., 1992; Peeters et

al., 1992; Klupp et al., 1992; Klupp et al., 1994) anche se la precisa

sequenza delle cascata che porta alla formazione del complesso proteico

non è stata ancora chiarita. Nonostante ciò, si è arrivati alla conclusione

che gB, gD e gH sono indispensabili per il processo di ingresso nella cellula,

mentre gC non risulta fondamentale per questo.

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2.4.2 Replicazione virale

Le modalità per cui il capside si disintegra ed il materiale genomico

raggiunge il nucleo non sono ancora perfettamente comprese.

Una volta che il DNA di PRV viene a trovarsi all’interno del nucleo inizia la

sua trascrizione.

I primi geni ad essere trascritti vengono indicati con il nome di IE

(Immediate-Early). Fino ad oggi soltanto uno dei geni IE è stato

identificato. Questo gene, nominato IE180 (Cheung et al., 1990) codifica

per una proteina che a sua volta riconosce specifiche sequenze del

genoma virale e porta alla trascrizione di una altro gruppo di geni

denominati geni E (Early) (Workman et al., 1988).

Questi codificano per un gruppo di proteine che sono attive durante la

sintesi del DNA. L’ultimo gruppo di geni espressi, codifica principalmente

per glicoproteine strutturali. Una volta che sono stati prodotti tutti i

componenti strutturali, le nuove particelle virali vengono assemblate

tramite passaggio attraverso la membrana nucleare interna (Pol, 1990). I

neo-virioni passano quindi attraverso il reticolo endoplasmatico,

l’apparato del Golgi e quindi secreti all’esterno della cellula.

Il rilascio del virus all’esterno della cellula è influenzato dalle glicoproteine

gC, gE e gI (Schreurs et al., 1988 Zsak et al., 1989). La produzione del virus

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è stata studiata in diverse linee cellulari dove la produzione di nuove

particelle virali appare evidente già 5 ore post-inoculazione (PI)

(Nauwynck, 1993).

I titoli del virus quindi crescono rapidamente 7 ore PI raggiungendo il

valore di 107.5 TCID50 per 106 cellule inoculate.

2.4.3 Diffusione diretta del virus da cellula a cellula

Un’importante ed alternativa via di infezione tramite il liquido

extracellulare è quella della trasmissione diretta del virus da cellula a

cellula dopo fusione delle membrane cellulari. Prima però che la fusione e

quindi il passaggio del virus possa avvenire, le cellule devono essere in

contatto l’una con l’altra. Sia l’adesione tra cellule che la fusione delle

membrane è mediata dalle glicoproteine dell’ envelope virale che

cominciano ad essere espresse sulla superficie delle cellule già 5 ore PI

raggiungendo un massimo 11 ore PI. Le principali glicoproteine coinvolte

nel processo di adesione cellulare sono gB, gC ed in grado minore gD

(Nauwynck, 1993). Una volta che le cellule sono in contatto può partire il

processo di fusione (Hanssens et al., 1993) in cui le glicoproteine coinvolte

sono principalmente gB e gH, in maniera minore gD e gE, mentra gC non

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è coinvolta (Peeters et al., 1992a, Peeters et al., 1992b; Rauh and

Mettenleiter, 1991; Zsak et al., 1992).

2.4.4 Interazioni virus-ospite in assenza di immunità specifica

La virulenza di PRV è determinata dalla sua capacità di replicarsi ed

invadere le cellule del suino. Il sito primario di replicazione virale è senza

dubbio l’epitelio delle cavità nasali, le tonsille palatine, l’epitelio della

faringe e dei polmoni (Sabo et al., 1968; Sabo et al., 1969; Wittmann et al.,

1980; Miry and Pensaert, 1989; Pol, 1990; Kritas et al., 1994a; Kritas et

al.,1994b). Dopo la replicazione a livello delle cellule epiteliali dei suddetti

apparati, il virus diffonde nel connettivo sottostante in breve tempo. 24

ore PI, l’antigene virale può essere già ritrovato in gruppi di cellule

epiteliali, fibrociti e cellule nervose. 48 ore PI l’antigene virale viene

riscontrato in larghe placche che vanno incontro precocemente a necrosi e

che si estendono sopra gli epiteli interessati, il connettivo sottostante, le

cellule nervose e persino l’endotelio dei vasi sanguigni e linfatici della zona

sito di replicazione.

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Il virus a questo punto può diffondersi dal sito primario di inoculazione a

tutti i livelli guadagnando il torrente ematico, la circolazione linfatica o

transitando passivamente lungo gli assoni dei nervi periferici.

La replicazione virale a livello dei siti secondari come linfonodi drenanti,

milza, bulbi olfattori, reni, ovaie ed utero inizia pressoché 48 ore PI.

Nonostante la presenza di immunità di tipo sia umorale che cellulo

mediata, il virus può essere isolato dalle tonsille dal 18° giorno PI (Sabo et

al., 1969) e dai secreti nasali dal 13° giorno PI (Pensaert et al., 1990

Vannier et al., 1990).

Il ruolo che giocano nel processo di replicazione le glicoproteine virali è

stato studiato ed interpretato tramite esperimenti di delezione sui geni

codificanti le suddette proteine creando dei ceppi mutati mancanti

appunto di una o delle altre proteine.

2.4.5 Interazione virus ospite in presenza di immunità specifica

Il grado in cui la replicazione virale può essere tenuta sotto controllo nel

suino dipende dalla situazione immunitaria dell’animale. Nonostante una

inibizione totale alla replicazione possa essere riscontrata a livello delle

cavità nasali e della faringe in suini reinfettati 1 o 2 mesi dopo la prima

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inoculazione, l’antigene virale può essere ritrovato in un certo numero di

cellule alveolari nel polmone (Miry e Pensaert, 1989). Da queste dati è

stato ipotizzato che in prima istanza siano i macrofagi alveolari ad

infettarsi e quindi a trasmettere il virus all’epitelio alveolare e al

connettivo sottostante tramite contatto diretto tra cellula e cellula. In

suini immunizzati tramite vaccino la protezione immunitaria è meno

efficiente rispetto all’infezione naturale poiché l’antigene virale non solo

viene riscontrato a livello respiratorio profondo ma anche nell’epitelio

delle cavità nasali, tonsille e faringe (Miry e Pensaert, 1989; Wittmann et

al., 1980). Nonostante la presenza di immunità vaccinale, si può sempre

ritrovare una viremia cellulo-associata (Wittmann et al., 1980). Questo

permette a PRV di raggiungere organi profondi ed in caso di gravidanza

anche la placenta dove esplica azione lesiva che si può concludere in

interruzione della gestazione ed aborto ( Nauwynck e Pensaert. 1992).

Una volta infatti raggiunta la circolazione uterina, i leucociti veicolanti il

virus, aderiscono ai vasi sia tramite processi fisiologici sia tramite

l’espressione delle glicoproteine virali sulla superficie cellulare.

Dopo l’adesione dei leucociti ai vasi placentari, PRV è capace di

diffondere, sempre in associazione a queste cellule, attraverso l’ endotelio,

lo strato di fibrociti e quindi l’epitelio uterino(Hanssens et al., 1993).

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Con questo meccanismo patogenetico definito a “cavallo di troia”, il

virus, anche in presenza di immunità vaccinale può essere veicolato per via

ematica e linfatica nell’organismo e quindi passare intatto, nelle scrofe,

attraverso la barriera placentare dove esplica la sua azione patogena sul

feto con conseguenze spesso fatali per questo.

2.5 Sintomatologia

Nella specie suina il quadro clinico dipende dallo stipite virale coinvolto,

dalla dose infettante e soprattutto dall’età dei colpiti. I suinetti sono molto

suscettibili, e le perdite possono raggiungere il 100% in quelli con meno di

7 giorni dove, in generale, sono osservati segni di malattia del sistema

nervoso centrale (tremori, pedalamento). La sintomatologia nervosa, pur

essendo occasionalmente segnalata in soggetti in fase di

magronaggio/ingrasso, è propria dei lattonzoli e dei suinetti appena

svezzati. Inizialmente, i suinetti mostrano astenia, anoressia e ipertermia

(41 °C). I sintomi neurologici possono già manifestarsi nelle prime 24 h con

tremori, scialorrea, atassia, nistagmo, opistotono, gravi crisi convulsive

epilettiformi. È anche possibile la paralisi del treno posteriore con

caratteristica posizione di cane seduto, o movimenti di rotazione su se

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stessi con pedalage di tutti gli arti. Il prurito, costantemente presente nelle

altre specie sensibili, si manifesta molto raramente nel suino. Nella

maggior parte dei casi la morte sopraggiunge nell’arco di 24-36 ore.

Nei maialetti già svezzati i sintomi respiratori sono il principale problema

clinico, soprattutto per il sopraggiungere di complicazioni da germi di

irruzione secondaria. È stato riportato che il virus della pseudorabbia

inibisce la funzionalità dei macrofagi alveolari riducendo così la loro abilità

a spostarsi e distruggere i batteri. Nei suini magroni e nei grassi, la forma

respiratoria spesso poco pronunciata dal punto di vista clinico, talvolta

confusa con altre patologie, oppure comunemente definita ‘sindrome

influenzale, è in grado di condizionare altre infezioni respiratorie, con

perdite rilevanti in termini di incremento ponderale. È caratterizzata da

elevata morbilità (anche 100%) e, in assenza di complicazioni, bassa

mortalità (1-2%). La sintomatologia compare dopo un periodo di

incubazione di 3-6 giorni con ipertermia (41-42 °C), depressione, anoressia,

grave rinite con starnuti e secrezione nasale, che evolve in polmonite con

tosse secca e dispnea. Occasionali sono i casi di coinvolgimento del

sistema nervoso centrale. L’evoluzione della malattia in allevamento è

estremamente variabile con forme che diffondono rapidamente a tutti i

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suini presenti indipendentemente dall’età e forme inapparenti,

diagnosticabili solo sierologicamente.

Nei riproduttori oltre alle manifestazioni respiratorie, compaiono disturbi

della sfera riproduttiva: nei verri è possibile osservare edema scrotale ed

azospermia totale o parziale; nella scrofa i sintomi variano a seconda del

momento dell’infezione, se si infetta nel primo terzo di gravidanza, può

riassorbire gli embrioni e ritornare in estro, mentre nel secondo e terzo

periodo della gestazione i sintomi vanno dall’aborto alla natimortalità.

2.6 Lesioni anatomo patologiche

Nei suini colpiti dalla forma nervosa, le lesioni macroscopiche sono spesso

assenti o poco significative, e si limitano alla iperemia delle meningi,

aumento del liquido cefalo-rachidiano, congestione della mucosa naso

faringea, tonsillite, necrosi puntiforme epatica e splenica. Sempre presenti,

anche in suini asintomatici, le lesioni microscopiche a carico del SNC. I

reperti istologici più frequenti sono la meningoencefalite non suppurativa

e la ganglioneurite, che possono coinvolgere tanto la sostanza grigia

quanto la bianca a seconda della via di ingresso del virus. È stata anche

osservata la presenza di manicotti perivascolari di monociti, necrosi

neuronale e ispessimento delle meningi per infiltrazione monocitica.

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Tipica, oltre alla comparsa di focolai di necrosi cariorettica, la comparsa di

grossi inclusi nucleari.

Negli altri mammiferi, le sole lesioni macroscopicamente apprezzabili sono

quelle traumatiche indotte dal prurito; i reperti istologici non differiscono

da quelli che si riscontrano nel suino.

La forma respiratoria è caratterizzata dalla flogosi della mucosa delle

prime vie respiratorie e dalla comparsa di ampi focolai polmonari di

consolidazione, soprattutto a livello dei lobi craniali e del lobo cardiaco. Il

quadro istologico consiste in una bronchiolo-alveolite necrotizzante, con

essudazione alveolare fibrinosa ed emorragica. Nelle prime fasi

dell’infezione è anche possibile notare la presenza di tipici inclusi nucleari

all’interno delle cellule epiteliali. Nelle razze a cute chiara è frequente la

cheratocongiuntivite.

Nelle scrofe l’aborto è seguito da una leggera flogosi della mucosa uterina

che si presenta edematosa. I feti abortiti, se non mummificati, presentano

edema sottocutaneo, versamenti essudatizi nelle cavità splacniche, necrosi

puntiforme epatica e splenica, focolai necrotici polmonari e tonsillari.

Nei verri è possibile osservare lesioni degenerativo necrotiche a carico dei

tubuli seminiferi, della tunica albuginea del testicolo e la presenza di

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spermatozoi anomali, che potrebbero anche essere una conseguenza

dell’ipertermia.

A livello epatico, PRV, come altri virus erpetici, è in grado di produrre

focolai necrotici (2-3 mm di diametro) sparsi su tutta la superficie. Queste

lesioni sono più tipicamente ritrovate in soggetti giovani (< 7 giorni). Nel

suino, ma anche nel bovino, nel cane e nel gatto, si possono inoltre

osservare fenomeni di miocardite non purulenta, di tipo interstiziale, con

focolai di necrosi. Altre lesioni possibili sono la gastrite catarrale acuta e

l’enterite emorragica.

Lesioni macroscopiche da virus della pseudorabbia sono spesso invisibili. Si

possono ritrovare rinite sierosa, tonsillite necrotica o emorragie ai

linfonodi polmonari e talvolta edema polmonare e lesioni polmonari

secondarie a batteri patogeni.

2.7 Diagnosi

La diagnosi clinica è relativamente semplice solo nei mammiferi diversi dal

suino, l’isolamento del virus consente una diagnosi nel caso di forme fatali

della malattia o forme cliniche dei maiali, mentre altre tecniche e test

sierologici sono richiesti per la diagnosi delle forme latenti.

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Nella specie suina, il rilievo clinico deve necessariamente essere integrato

da una accurata indagine anamnestica, dall’esame necroscopico e da

specifici esami di laboratorio. L’esame istologico può essere molto utile,

ma solo le indagini di laboratorio, dirette e indirette, costituiscono

elementi di certezza.

Prove dirette cercano di mettere in evidenza il virus mediante isolamento

su substrati cellulari e/o dimostrazione dell’antigene presente nei

campioni. La natura dell’antigene virale può essere dimostrata con test

immunoenzimatici (ELISA, immunoperossidasi), prove di

immunofluorescenza diretta, siero neutralizzazione. Rientrano tra le prove

dirette anche quelle che, attraverso reazioni di amplificazione del genoma

(Polymerase Chain Reaction) o l’impiego di sonde a DNA (tecniche di

ibridazione in situ), si prefiggono di dimostrare la presenza del genoma

virale.

Cervello, milza, e polmoni sono gli organi di scelta per isolamento virale.

Tamponi nasali possono essere utilizzati per l’isolamento virale solamente

in caso di soggetti in fase di infezione acuta. Il test di immunoflurescenza si

può fare su tonsille o cervello.

Le prove indirette svelano la reazione immunitaria specifica dell’ospite nei

confronti dell’agente virale, tuttavia molti animali colpiti non vivono

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abbastanza a lungo per produrre una marcata risposta anticorpale. Sono

quindi praticabili solo nella specie suina e vengono prevalentemente

utilizzate a fini epidemiologici, piuttosto che diagnostici. Ogni tecnica

sierologia usata dovrebbe essere sufficientemente sensibile per dare un

risultato positivo con il siero standard internazionale di referenza dell’OIE.

In caso di commercio internazionale, il test dovrebbe essere abbastanza

sensibile per reagire con il siero standard diluito ½.

Il test di sieroneutralizzazione è stato riconosciuto come metodo di

referenza per la sierologia, anche se, per motivi di diagnosi generale e per

comodità in caso di analisi su larga scala, è stato ampiamente rimpiazzato

dal test ELISA (http: www.oie.int/eng/normes 2000), che può tuttavia

avere scarsa specificità. Risultati falsi positivi sono riesaminati con un test

di sieroneutralizzazione. Anche la sieroagglutinazione in latex, nonostante

sia un test sensibile e rapido, ha poca specificità. Questo test permette di

ritrovare gli anticorpi specifici dopo 6-7 giorni dall’infezione, utilizzando l’

ELISA ne occorrono 7-8 e con la sieroneutralizzazione 8-10. Anticorpi

colostrali per la pseudorabbia possono essere presenti fino a 4 mesi di età.

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2.8 Profilassi

2.8.1. Azione immuogena delle glicoproteine di PRV

Da quanto descritto fin ora risulta chiaro come le diverse glicoproteine

virali sono responsabili di importanti interazioni tra PRV e le cellule

dell’ospite. Pertanto non sorprende che l’immunità indotta da queste

specifiche glicoproteine è molto efficace nella protezione del suino, non

solo clinicamente ma anche virologicamente. L’immunità specifica verso le

glicoproteine dell’envelope consiste di due meccanismi: l’immunita’

umorale specifica e quella cellulare mediata da linfociti T citotossici. Per

quanto riguarda gli anticorpi, questi possono agire singolarmente (via

diretta) o mediare attività antivirali tramite l’attivazione del sistema

complemento o per mezzo dell’ interazione con cellule immunitarie come

i leucociti (via indiretta).

Gli effetti diretti vengono ottenuti tramite l’azione competitiva sui siti di

legame delle glicoproteine durante l’ingresso del virus, l’adesione cellulare

e la fusione delle cellule infettate. È stato inoltre dimostrato che alcuni

anticorpi sia di natura monoclonale che policlonale diretti contro gB, gC e

gD, bloccano PRV anche in assenza del sistema complemento (Wathen et

al ., 1985; Ben-Porat et al., 1986; Eloit et al., 1990; Marchioli et al., 1988;

Coe e Mengeling, 1990), che sieri monoclonali specifici per le glicoproteine

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gB e gC , inibiscono l’adesione virale in cellule infettate (Hanssens et al.,

1993) ed infine che anticorpi monoclonali diretti verso gB, gD e gE,

riducono la larghezza delle placche di lisi in monostrati cellulari in coltura(

Nauwynck e Pensaert, 1995b). Gli effetti indiretti della reazione

immunitaria sono possibili non solo attraverso l’azione dei suddetti

anticorpi ma anche tramite l’azione di anticorpi diretti verso regioni

inattive delle glicoproteine dell’envelope. Inoltre il legame degli anticorpi

(IgG, IgM) può attivare il sistema complemento, causando un danno alla

membrana in cui sono ancorate le glicoproteine dell’envelope e questo

può a sua volta portare a lisi cellulare, liberazione del virus in ambiente

extracelluare con conseguente in attivazione di questo. Questo è il motivo

per cui anticorpi monoclonali non neutralizzanti e diretti verso gB, gC, gD e

gE , possono concorrere alla clearence virale in presenza delle frazioni del

sistema complemento (Wathen et al., 1985; Fuchs et al., 1990; Nakamura

et al., 1990). Gli anticorpi una volta legati alle frazioni delle glicoproteine

espresse sulla superficie delle cellule infette, possono causare la morte

cellulare anche tramite l’interazione con i recettori Fc espressi dai fagociti

(monociti, macrofagi e granulociti neutrofili). Nonostante sia provata

l’esistenza di anticorpi diretti verso altre proteine virali come gG o IEP180,

questi risultano immunologicamente di scarsa importanza. Il motivo di

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questo può essere spiegato con il fatto che le proteine in questione

svolgono la loro attività e vengono espresse all’interno delle cellule infette

risultando quindi irraggiungibili dai corrispondenti anticorpi (Zuckerman

et al., 1990).

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CAPITOLO 3 IL CINGHIALE

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3. Il CINGHIALE (cenni di biologia della specie)

3.1 Tassonomia

Unico rappresentante selvatico in Europa della famiglia dei Suidae, il

cinghiale rappresenta probabilmente la specie più importante nel

panorama faunistico venatorio in Italia. Da esso discendono i maiali

domestici originatosi indipendentemente in Asia ed in Europa circa 9000

anni fa. Le specie sono interfeconde tra di loro e in diverse parti dell’areale

del cinghiale, così come in Italia, si trovano popolazioni pure, ibride o solo

ibride. Numerose sono le sottospecie di cinghiale conosciuto in Eurasia,

alcune delle quali ritenute per molto tempo delle vere e proprie specie a

sé stanti. L’inquadramento sistematico delle varie sottospecie di cinghiale

risente della possibilità di incrociarsi sia con le razze domestiche di maiale

sia con varietà di cinghiale adattato a diverse aree geografiche della sua

distribuzione. I profondi spostamenti operati negli ultimi 50 anni dall’uomo

non hanno certo agevolato la situazione creando incroci tra cinghiali

centro-europei o dell’est Europa.

Attualmente sono riconosciute 16 sottospecie di cinghiale, sei di queste

interessano l’Europa.

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3.2 Distribuzione

In Cinghiale è una specie cosmopolita, diffusa ampiamente in tutto il

Paleartico, e in alcune regioni dell’emisfero australe dove è stato

introdotta. Nel continente Eurasiatico, se pure con sottospecie differenti,

questo suide è riuscito a colonizzare ogni tipo di ambiente dalla macchia

mediterranea fino alle zone inospitali dell’Asia centrale. A nord rimane a

cavallo tra il 50° e 60° parallelo, mentre a sud l’areale della specie tocca

l’Africa mediterranea, su pure scomparsa dalla Libia e dall’Egitto, e arriva

fino all’India e alcune isole indonesiane a cavallo dell’equatore. In pratica è

presente dalla Penisola Iberica fino ad alcune isole del Giappone, ad

eccezione della regione Caucasica, dove si è estinto, e delle territori

desertici della Cina e della Mongolia.

Fig. 3.2.1 Distribuzione in Eurasia del cinghiale.

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Nel Nuovo Mondo fa la sua comparsa in Florida nel 1532, attualmente è

presente in 19 stati degli Stati Uniti, e in Canada. L’azione umana ha

portato questa specie in Nuova Guinea e in molte isole limitrofe, in Nuova

Zelanda, e in Australia dove fu introdotta nel insieme a maiali, poi

rinselvatichiti e incrociati con il cinghiale.

In Europa il cinghiale è assente del tutto in Islanda, Danimarca, Norvegia e

Irlanda. Sparito nel 1650 in Gran Bretagna sta ricomparendo con

pochissimi nuclei isolati, frutto di immissioni illegali o di fughe da aziende

di caccia o allevamenti nel sud del Paese.

In Europa le dimensioni della specie crescono spostandosi dalla Spagna e

dall’Italia verso l’Ucraina. Non è un caso che i cinghiali dell’Est Europa

possano raggiungere i 350 Kg di peso, mentre in Sardegna o Spagna

toccano di rado gli 80-90 Kg. I fattori climatici giocano infatti, un ruolo

importante nella morfologia della specie, una taglia maggiore favorisce la

conservazione del calore in inverno e fa si che si possa muovere meglio.

Oggigiorno in Italia il cinghiale è l’ungulato selvatico con la più ampia

distribuzione e abbondanza. La specie è presente lungo tutto l’arco

appenninico, fino a raggiungere le Alpi occidentali senza soluzioni di

continuità. Nel resto dell’arco alpino la distribuzione risulta frammentaria,

probabilmente frutto di immissioni, e molto localizzata in alcune vallate

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prealpine, ma sempre al di sotto del limite della vegetazione arborea.

Risulta assente nella Pianura Padana e lungo la fascia costiera adriatica,

fino in Puglia ad eccezione della Foresta Umbra. In Sardegna la specie è

presente in maniera diffusa, mentre in Sicilia è ritornato grazie a

immissioni operate negli ultimi decenni, così come in molte isole minori:

l’Elba, l’Asinara e Caprera.

Nel nostro Paese il cinghiale risulta presente in 90 province su 103 con un

areale complessivo di circa 170.000 Km2 corrispondenti a poco più della

metà del territorio italiano.

In quasi tutte le province dove è presente la specie è cacciata, ben 87 su

90, in altre è sottoposto a controllo numerico. Un calcolo grossolano,

basato sul numero di capi abbattuti, stima la popolazione italiana tra

300.000 e 500.000 cinghiali.

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Fig. 3.2.2 Distribuzione in Italia del cinghiale.

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3.3 Habitat e home range

Il cinghiale può vivere in quasi tutti gli ambienti naturali: dalla costa fino

limite del bosco in montagna, arrivando a frequentare aree a ridosso delle

grandi città o aree paludose.

Le condizioni richieste dal cinghiale si possono riassumere con poche

parole: un minimo di copertura vegetazionale e cibo ed acqua.

Quest’ultima risulta essere un elemento fondamentale non solo per

dissetarsi ma per quotidiani bagni per liberarsi dai parassiti e con funzione

termoregolatrice. Il bosco rimane l’ambiente prediletto del cinghiale. Qui

la specie trova rifugio durante il giorno, ci

L’Home range annuale è estremamente variabile da 3 km2 fino a 150 km2.

L’attività giornaliera si concentra in aree di circa 65 ha con distanze medie

espIorate per notte di 7 km. maschi solenghi hanno home range più ampi

rispetto alle femmine. Differenze in termini di estensioni degli home

ranges possono essere dovute all’influenza negativa determinata dalla

caccia in battuta.

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3.4 Alimentazione

Dal punto di vista alimentare il cinghiale viene considerato una specie con

regime alimentare onnivoro a forte consumo vegetale e con costumi

opportunisti. La sua dieta annuale è composta quasi totalmente da

vegetali, di norma dal 98 al 100%, la rimanente parte può essere

rappresentata da invertebrati e, non di rado anche da vertebrati che

entrano nella dieta in maniera più o meno significativa. La composizione

del suo ampio spettro alimentare è molto variabile in funzione dell’annata,

della stagione e dell’area geografica. In pratica in cinghiale opera delle

scelte di volta in volta approfittando della disponibilità dei vari alimenti,

prediligendo sempre cibi al alto contenuto energetico. Si può affermare

che non esista un’alimentazione tipo, piuttosto una o due categorie

alimentari principali che variano periodicamente e che vengono integrate

a seconda della disponibilità. Gli alimenti di origine vegetale comprendono

erbe e parti sotterranei di piante, funghi, ma soprattutto frutti in

particolare castagne, faggiole e ghiande. Le castagne vengono quasi

sbucciate, mentre le ghiande e faggiole sono consumate per intero. La

parte animale è rappresentata da insetti, molluschi, lombrichi, rettili,

anfibi, uova e nidiacei, pesci morti, roditori, insettivori e piccoli di altri

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mammiferi e carogne. Raramente arriva al 10%, ma è quasi sempre

presente per garantire proteine all’animale.

3.5 Organizzazione sociale

L’unità sociale di base è costituita dal gruppo familiare con una femmina

anziana dominante.

Spesso le femmine sono imparentate tra di loro. All’interno del gruppo

vige un ordine gerarchico ben preciso, ma non invariabile. I gruppi possono

esser anche molto numerosi 40-50 esemplari che raggruppano più unità

familiari.

La composizione dei gruppi può essere classificata in otto tipologie

differenti e può variare durante il corso dell’anno.:

Maschi solitari;

Gruppo di maschi giovani;

Femmine solitarie;

Gruppo di femmine senza piccoli;

Femmine adulte con piccoli (fino ad un anno) o giovani;

Gruppo familiare esteso ai giovani ed alle femmine dell’anno

precedente con o senza piccoli;

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Gruppo familiare aggiunto, femmine con o senza piccoli

Gruppo multifamiliare composto da varie femmine anche non

imparentate, con piccoli.

3.6 Biologia riproduttiva

La biologia riproduttiva del cinghiale testimonia la sua capacità di

adattamento. Tra le varie specie di ungulati il genere Sus è quello con il più

alto tasso riproduttivo. Inoltre al contrario degli altri ungulati selvatici

italiani che hanno un periodo riproduttivo prestabilito e che dura poche

settimane il cinghiale non presenta un ciclo riproduttivo stagionale, ma gli

accoppiamenti avvengono tutto l’anno con un picco tra dicembre e

febbraio che coinvolge fino ed oltre 80% degli animali. Questa situazione è

stata amplificata nel corso degli ultimi decenni dagli incroci con le razze

domestiche che hanno portato all’aumento del numero di piccoli per parto

ed hanno sfatato il periodo dei parti.

Le femmine possono raggiungere la maturità sessuale prima dell’anno di

età, intorno agli 8-10 mesi, più in generale a 18 mesi. Per i maschi pur

essendo biologicamente maturi alla stessa età delle femmine, raggiungono

la piena maturità sociale solo intorno ai 4-5 anni.

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La maturità sessuale delle femmine dipende da numerosi fattori, primi fra

tutti il peso e la disponibilità alimentare. Una buona percentuale di

femmine sotto l’anno si riproduce se raggiunge il 30kg di peso ma la

maggior parte ha bisogno di avere un peso tra i 30 ed i 40 Kg. Anche il

periodo di nascita, l’abilmente in cui vivendo da piccole e la quantità di

latte ricevuto influenzano l’età del parto. Un femmina nata alla fine

dell’inverno in un ambiente ricco dal punto di vista alimentare potrà avere

il suo primo calore prima del compimento dell’anno, mentre se nata a fine

primavera difficilmente all’inizio del periodo riproduttivo avrà raggiunto un

peso adeguato ad affrontare la riproduzione.

L’abbondanza di cibo determina sulle femmine diversi effetti:

permette l’accumulo di grasso e di riserve permettendogli di

affrontare al meglio l’inverno;

accelera la crescita nelle prime fasi di vita anticipando i tempi in cui

le giovani femmine raggiungono il peso soglia;

aumenta il tasso di fecondità, portando le femmine ad avere 3 parti

in due anni;

aumenta la prolificità e diminuisce il tasso di mortalità dei piccoli.

È dimostrata una correlazione positiva tra peso delle femmine e

percentuale di femmine gravide così come del n° di feti, mentre a

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sua volta il numero di piccoli per parto risente dello stato di salute

generale delle femmina.

Le femmine anziane si accoppiano prima e di conseguenza anticipano il

parto rispetto alle primipare ed alle giovani. Il ciclo estrale dura 21-23

giorni e si ripete in caso di mancato concepimento, ma può essere anche

assente ad alte densità o con scarsezza di cibo. L’estro vero e proprio dura

50-60 ore. Le prime ad entrare in calore sono le femmine dominanti che

fungono da stimolo per le altre femmine del gruppo. Il ciclo estrale si

arresta durante l’estate fino ai primi dell’autunno. Per animali di 2-3 anni

di età si riproducono 80-90% delle femmine.

Le femmine in calore comunicano il loro stato alle altre femmine ed ai

maschi marcando la corteccia degli alberi con un secreto lacrimale. I

maschi adulti eccitati dall’odore delle femmine in estro marcano il

territorio con la saliva ed urina per scoraggiare gli altri maschi ad

avvicinarsi. La sincronizzazione dell’estro permette alle femmine del

gruppo di partorire ed allattare i piccoli nello stesso periodo determinando

una maggiore coesione del gruppo ed allo stesso tempo migliora

l’allevamento e la sicurezza.

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L’ovulazione, fecondazione e sopravvivenza dei piccolo sono strettamente

legati al peso ed alle condizioni di alimentazione delle femmine.

I maschi individuano la femmina in estro dall’odore e la seguono

attivamente. Non sono rari gli scontri ed i combattimenti con altri maschi

che possono essere spettacolari con cariche, spinte e morsi. Il vincitore

avrà diritto ad accoppiarsi con la femmina. Il maschio accarezza la

femmina con il muso sui fianchi e sul ventre invitandola all’accoppiamento

che dura diversi minuti. Successivamente il maschio si allontana alla

ricerca di altre femmine.

La gestazione dura in media 115 giorni con un intervallo che oscilla tra 100

a 140 giorni.

Il numero dei piccoli varia da 2-3 a 5-6 per parto ed è proporzionato al

peso ed all’età delle femmine, di conseguenza l’aumento di un

popolazione dipende in gran parte dalla struttura di popolazione delle

femmine e dal tipo di ambiente.

Il cinghiale si riproduce una volta l’anno. Tuttavia se la disponibilità delle

risorse alimentari è alta, specie nel periodo invernale, aumenta il tasso di

ovulazione delle femmine, e in annate particolari i si possono avere due

parti nello stesso anno solare nella tarda primavera ed all’inizio

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dell’autunno. Di norma il 50% dei piccoli in Italia, nasce tra aprile e maggio

con un picco ad aprile, e due minore a febbraio ed ottobre.

Fig. 3.6.1 Ciclo riproduttivo annuale del cinghiale. In alto annate normali in

basso annate eccezionali

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CAPITOLO 4 AREA di STUDIO

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4. AREA di STUDIO La ricerca è stata condotta in tutto il territorio della provincia di Pisa

suddividendolo in aree campione in base alla distribuzione del cinghiale,

delle caratteristiche ambientali e delle aree di caccia.

La provincia di Pisa si estende su una superficie di 244.587 ettari, occupati

da boschi per circa il 37 %.

Fig. 4.1 Aree boscate in provincia di Pisa

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La distribuzione del cinghiale interessa gran parte del territorio provinciale,

se pure con densità differenti. Manca infatti solo in alcune parti

pianeggianti e con assenza copertura boschiva nella parte settentrionale

della provincia. Mentre in aree con caratteristiche ambientali simili, ma

situate a ridosso di corpi di bosco è considerato presente in quanto

utilizzate spesso come zone di spostamento o di foraggiamento.

Fig. 4.2 Distribuzione del cinghiale in provincia di Pisa.

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Purtroppo mancano informazioni precise sulle densità raggiunte dalla

specie nei vari comprensori. Le uniche informazioni in nostro possesso

sono i dati degli abbattimenti.

Le zone dove il prelievo del cinghiale è organizzato in squadre di caccia

sono concentrate in sei aree principali.

Fig. 4.3 Distribuzione del cinghiale in provincia di Pisa e,in rosso, le aree di caccia

in battuta

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Le stesse aree sono state utilizzate come base del campionamento. Per

poter confrontare i dati degli abbattimenti è stata divisa un’area nella

parte meridionale della provincia a cavallo tra i due ambiti territoriali di

caccia. Pertanto il campionamento si è svolto in sei aree che

raggruppavano più zone di caccia di diverse squadre.

Fig. 4.4 Aree di campionamento

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CAPITOLO 5 MATERIALI e METODI

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5. MATERIALI e METODI

5.1 Organizzazione del campionamento

Il periodo di campionamento è coinciso con l’arco temporale di caccia al

cinghiale in battuta previsto dal Calendario venatorio provinciale dal 1°

novembre al 31 gennaio.

Le squadre hanno cacciato tre giorni a settimana (mercoledì, sabato e

domenica).

I cinghiali abbattuti sono poi macellati un stanze attrezzate o in rari casi,

direttamente sul posto. Prima dell’eviscerazione degli animali, sono stati

prelevate le seguenti tipologie di campioni:

sangue;

tampone nasale;

tampone vaginale/prepuziale;

tonsille palatine;

linfonodi inguinali superficiali;

feti ed utero.

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Sangue- Il sangue è raccolto per gocciolamento durante le operazioni di

pulitura dell’animale o dalle cavità interne direttamente nelle provette di

vetro fornite. Da preferire i campioni non contaminati da altri liquidi

interni. Le provette, una volta tappate sono poste verticalmente in

frigorifero o all’aperto, se la temperatura risulta adeguata ( 4 - 10° C ),

facendo attenzione a non agitarle in qualsiasi momento per permettere al

sangue di sierare.

Tampone nasale- Tamponi sterili da passare nelle narici degli animali.

Preferibilmente in narici non imbrattate per la fuoriuscita di sangue. I

tamponi sono conservati nell’apposito porta tamponi con soluzione

fisiologica sterile, antibiotata e congelati in breve tempo in posizione

verticale in modo che il cotone rimanga immerso.

Tampone vaginale/prepuziale- Tamponi sterili da passare nella vulva fino

ad arrivare alla lunghezza totale del tampone o nel prepuzio cercando di

raccogliere materiale di desquamazione. I tamponi sono conservati

nell’apposito porta tamponi con soluzione fisiologica sterile, antibiotata e

congelati in breve tempo in posizione verticale in modo che il cotone

rimanga immerso.

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Tonsille palatine- Il prelievo

viene effettuato tagliando con il

coltello od il bisturi tra le ossa

mandibolari e ribaltando la

lingua inferiormente in modo

da rendere visibile la faringe. Gli

organi si trovano alla base della

faringe e sono ben localizzabili Fig. 5.1.1 Tonsille

come due placche cribrate di circa 2x3 cm

o lievemente più piccole nei soggetti più giovani.

Linfonodi inguinali superficiali-

Il prelievo di questi organi viene

effettuato dopo lo scuoiamento

dell’animale. I linfonodi si

trovano a livello dell’inguine

lateralmente al pene nel

maschio ed immersi nel grasso

inguinale contiguo al tessuto Fig. 5.1.2 Linfonodi inguinali superficiali

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mammario nella femmina. In alcuni animali questi risultano di dimensioni

notevoli (3-4 cmx2) in altri sono più piccoli e nascosti dal tessuto adiposo.

Al taglio mostrano una struttura caratteristica (diversa dai tessuti

circostanti e dal grasso), ben scapsulabili e di colorito tendente al grigio.

Feti e utero- Se la femmina risulta gravida è preferibile asportare

direttamente tutto l’utero lasciando i feti all’interno. Nell’eventualità che

la femmina non sia gravida o comunque che la gravidanza non sia

valutabile è comunque preferibile asportare direttamente l’utero senza

farne fuoriuscire il contenuto.

Fig. 5.1.3 Utero con feti

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Ad ogni cinghiale è stato attribuito un codice univoco per località di

prelievo, e compilata una scheda riepilogativa dei dati del capo abbattuto

e sui campioni prelevati.

Per le modalità di caccia e di eviscerazione dei capi abbattuti non è stato

possibile avere le cinque tipologie di campioni per tutti i cinghiali

esaminati. Ad esempio è abitudine consolidata l’asportazione

immediatamente dopo l’abbattimento dell’apparato riproduttivo dei

maschi. Altrettanto spesso gli animali sono stati portati nel centro di

macellazione dissanguati .

La distribuzione del campionamento tra le varie aree di studio è stata

effettuata basandosi sugli abbattimenti delle stagione venatoria

precedente (2007/2008) considerando un 5% sul totale per area.

L’età degli animali abbattuti è stata stimata attraverso la valutazione del

grado di eruzione o di consumo dei denti. Gli animali campionati sono stati

divisi in tre classi di età: 0-1 anni, 1-2 anni, > 2 anni.

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Squadra di caccia_____________________ ATC ________

Comune di

__________________________ Distretto___________

Resp. squadra Sig. _________________________Tel.____________

Resp. prelievo campioni Sig._____________________Tel. _________

Dati Abbattimenti Campioni prelevati (indicare sì o no)

Dat

a

CO

DIC

E

Sess

o

Età

Pe

so

San

gue

(2 p

rove

tte)

Ton

sille

Tam

po

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nas

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Tam

po

ne

pre

pu

zial

e/va

g.

linfo

no

do

ingu

inal

e

Ap

par

ato

rip

rod

utt

ivo

Ecto

par

assi

ti (

Zecc

he

ecc.

)

Alt

ro

Per informazioni si prega contattare il Sig.____________________________

Fig. 5.1.4 Scheda riepilogativa dei campioni prelevati

Pagina | 58

Fig. 5.1.5 Scheda riepilogativa di valutazione dell’età dei cinghiali. (Jagd und Fischerei modif.)

Pagina | 59

5.2 Feti

L’età dei feti campionati è stata valutata mediante il lavoro di Henry

(1968).

Giorni di età Morfologia del feto

30 appendici presenti, bocca aperta, occhi apparenti;

33 dita presenti, leggero sviluppo dell’orecchio che presenta l’apertura;

40 narici aperte, orecchio ancora piccolo e sottosviluppato, perdita delle sembianze di embrione;

50 zoccoli presenti, palpebre presenti, capezzoli visibili, orecchio molto piccolo in proporzione al corpo, ma tutte le altre strutture esterne si presentano nella stessa proporzione della nascita, scomparsa del sacco embrionale;

60 Orecchie proporzionate al corpo, zoccoli lunghi e orientati verso il ventre, follicoli piliferi visibili intono alle narici, sopracciglia e mento;

70 peli sul muso e sopracciglia lunghi 1-2 mm e di colore bianco, pigmentazione scura intorno al muso e alle zampe;

80 presenza di denti, peli sul mento, muso, sopracciglia, e sulle guance lunghi 3 mm o anche meno e di colore scuro, peli sull’estremità della coda, orecchie e linea mediana dorsale pigmentata di scuro;

90 peli sul mento, muso, sopracciglia e sulle guance lunghi 6-10 mm, follicoli piliferi evidenti sull’intero corpo, linea mediana dorsale pesantemente pigmentata , denti chiaramente visibili;

100 peli scarsi su tutto il corpo, striature longitudinali presenti sul corpo;

110 pelo sull’intero corpo, striature ben evidenti.

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5.3 Analisi Sierologica

È stata ricercata la presenza di anticorpi specifici anti-PRV utilizzando un

test commerciale ELISA (CEDITEST PRV-gB, Cedi- Diagnostic B.V, Lelystad,

Olanda), seguendo le istruzioni della casa. In ogni test nelle piastre veniva

distribuito 100 μl di siero di riferimento PRV-1 nei pozzetti A1 e B1; 100 μl

di siero di riferimento PRV-2 nei pozzetti C1 e D1; 100 μl di siero di

riferimento PRV-3 nei pozzetti E1 e F1; e, nei pozzetti rimanenti i sieri da

testare. Dopo aver agitato delicatamente, le piastre sono state incubate a

37°C per 1 ora. Dopo aver effettuato 6 lavaggi con 200 μl del buffer di

lavaggio a pozzetto, nelle piastre sono stati distribuiti 100 μl a pozzetto del

coniugato diluito 1:30 con buffer di diluizione. Le piastre sono state

nuovamente agitate ed incubate per un ora a 37°C. Dopo altri 6 lavaggi

come riportato precedentemente, in ogni pozzetto sono stati distribuito

100 μl di cromogeno. Le piastre sono state incubate per 20’ a temperatura

ambiente e successivamente la reazione è stata arrestata con 100 μl a

pozzetto di stop solution. L’ intensità della reazione è stata letta mediante

uno spettrofotometro (Tirtek Multiskan Plus MK2, Made in Finland by

Eflab a Joint Venture Company Lab System and Flow Laboratories),

misurando la densità ottica dei pozzetti a 450 nm entro 15' e non oltre 60'.

Le densità ottenute sono state calcolate utilizzando la seguente formula:

PI= 100- [(OD450 test serum/OD450 maximun) x 100]

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Il test è stato considerato valido quando: il valore massimo di densità

ottica (OD) non superava 1000; il valore della percentuale di inibizione del

siero di riferimento 1 era >50%; il valore della percentuale di inibizione del

siero di riferimento 2 era <50% ; quando questi criteri non erano rispettati

il test è stato considerato non valido. I campioni con una percentuale di

inibizione (PI) < 50% sono stati considerati negativi, mentre con la PI >

50%.

Per confermare i risultati della sierologia e per confrontare la presenza del

virus tra apparato nasale e genitale sono state effettuate analisi dei

tamponi attraverso nested-Pcr. Come controllo positivo è stato utilizzato

del tessuto nervoso di cane naturalmente infetto con herpesvirus suino e

confermato tramite IIC. Il bersaglio della nested-Pcr e delle successive real-

time Pcrs è stato il gene codificante per la glicoproteina virale di superficie

Gb ed un prodotto di 334bp e 196bp è stato ottenuto dal primo e dal

secondo passaggio rispettivamente.

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5.4. Analisi virologica

Ulteriori analisi virologiche sono state effettuate per determinare la

localizzazione del virus nell'apparato nasale e/o genitale mediate tecnica

di SYBR Green PCR.

Il protocollo di PCR ha utilizzato la coppia di primer

Fwd2: 5’ - ACGGCACGGGCGTGATC-3’

Rev 2: 5’- GGTTCAGGGTACCCCGC-3

descritti da Ruiz-Fons et. al. 2007, che generano un prodotto di

amplificazione di 196bp. La specificità delle reazioni è stata valutata

tramite melt curve analysis.

Tutte le reazioni sono state effettuate in duplicato in un volume totale di

25μl utilizzando 5μl di templato costituito dal surnatante ottenuto da una

soluzione fisiologica sterile nella quale erano stati immersi i tamponi nasali

o genitali.

I campioni non idonei per eccessiva presenza di muco o sangue sono stati

scartati e per i casi dubbi le analisi sono state ripetute una seconda volta e

Pagina | 63

i prodotti di amplificazioni sono stati corsi su gel di agarosio come ulteriore

verifica della specificità del prodotto di amplificazione.

Come controllo positivo è stato utilizzato del tessuto nervoso di cane

naturalmente infetto con herpesvirus suino e confermato tramite IIC.

Controlli negativi sono stati effettuati utilizzando come templato 5

microlitri di soluzione fisiologica.

Le reazioni sono state effettuate utilizzando il ciclizzatore Rotorgene 6000

(Corbett research).

5.5 Produttività e dinamica di popolazione Nelle femmine che durante il campionamento erano palesemente gravide

è stato prelevato l’utero ed i feti e subito congelati a -40° C.

In una seconda fase i feti sono stati singolarmente pesati, misurati, sessati

e di ognuno è stata stimata l’età in giorni.

5.6. Statistica Le differenze tra i gruppi sono state verificate con il test del Chi quadro e

con il test di student.

Pagina | 64

CAPITOLO 6 RISULTATI

Pagina | 65

6. RISULTATI

6.1 Abbattimenti di cinghiale

Gli abbattimenti di cinghiale in provincia di Pisa sono soggetti ad

oscillazioni tipiche per questa specie.

Nella stagione venatoria 2009/2010 si è assistito ad un calo considerevole

spiegabile dagli abbattimenti in regime di controllo operati al di fuori del

periodo di caccia tradizionale.

Fig. 6.1.1 Andamento dei prelievi in battuta dei cinghiali in provincia di Pisa

Il campionamento è stato programmato per area sulla base dei capi

abbattuti nella stagione venatoria 2007/08.

0

1000

2000

3000

4000

5000

6000

7000

cap

i pre

leva

ti

Stagione venatoria

Pagina | 66

6.2 Campionamento

Durante la stagione venatoria 2008/2009 sono stati campionati 281

cinghiali grazie alla collaborazione di 22 squadre di caccia al cinghiale

operanti in provincia di Pisa.

Un totale di 13 capi in più rispetto ai 268 previsti basandoci sul 5% del

prelievo della stagione venatoria 2007/08. La percentuale di

campionamento per la stagione venatoria 2008/2009, quindi realizzata, è

stata del 4,63%, a fronte di un aumento del prelievo di 712 capi.

Fig. 6.2.1 A sinistra n° di cinghiali abbattuti per area nella stagione

venatoria 2007/08 e a destra la ripartizione del campionamento

Pagina | 67

La distribuzione del campionamento in tutte le aree è stata superiore alla

soglia del 100% del previsto, ad eccezione di due dove si è campionata una

percentuale rispettivamente del 95 e del 96%.

Fig. 6.2.2 Percentuale di campionamento realizzato per area rispetto al

previsto

0,00

20,00

40,00

60,00

80,00

100,00

120,00

140,00

1 2 3 4 5 6

Per

cen

tual

e

Zone di campionamento

campionamento

Pagina | 68

Tra le tipologie di campione il tampone nasale è risultato quello più

abbondante (n. 260), mentre il tampone genitale (prepuziale o vaginale) è

stato quello meno campionato (n.139).

Zona sangue tonsille t. nasale t. gen. linfondi

1 22 20 22 22 20

2 10 19 19 12 18

3 51 46 49 30 21

4 38 45 46 32 46

5 33 73 75 35 36

6 43 33 49 8 23

totale 197 236 260 139 164

Tab. 6.2.1 Tipologie di campioni per area di campionamento

I motivi di tale differenza sono spiegati dal fatto che spesso si disponeva

solo della testa dell’animale abbattuto, quindi si potevano prelevare le

tonsille e si effettuava il tampone nasale. In altri casi il cinghiale era stato

eviscerato nel bosco e non era possibile effettuare il tampone

sull’apparato riproduttivo.

I campioni completi sono stati 80.

Per quanto riguarda i sessi sono stati campionati 114 maschi, 138 femmine

e 29 cinghiali di cui non è stato possibile determinarne il sesso. La sex ratio

Pagina | 69

è stata di 1:1,21- La ripartizione dei sessi campionati nelle varie zone è

riportata nella tabella successiva.

Zona Maschi Femmine Indeterminati

1 8 14 0

2 6 10 3

3 12 43 14

4 23 23 0

5 33 30 12

6 32 18 0

totale 114 138 29

Tab. 6.2.2 Campionamento per sesso e aree di studio

Il campionamento delle tre classi di età ha visto la classe giovanile meno

rappresentata con un numero di animali di circa la metà rispetto agli adulti

o alla classe dei piccoli. Di 28 cinghiali non è stato possibile stimare l’età, e

di tre non abbiamo l’età ed il sesso. Come era facile prevedere la maggior

parte degli animali indeterminati per sesso sono animali piccoli di solito

sotto i 10 Kg di peso, mentre per gli altri casi si è trattato di animali già

macellati, dei quali abbiamo avuto a disposizione solo la testa.

Pagina | 70

Età Maschi Femmine Indeterminati totale

0 - 1 40 37 21 99

1 - 2 11 33 3 47

> 2 57 49 2 108

Ind. 6 19 3 28

Tab. 6.2.3 Campionamento per sesso ed età ripartito nelle aree di studio

6.3 Feti

Le femmine risultate gravide in maniera evidente sono state 24 (17,39%)

suddivise in 5 aree. I feti identificati sono stati 151 con una media per

femmina di 6,29. Nelle diverse aree la media varia da un minimo di 5,5 feti

per femmina (area 2) ad un massimo di 7,5 (area 5). Il numero medio di

feti nelle femmine infette è risultato di 4,75.

Area N° femmine con feti

percentuale F feti /tot F

N° feti

Media feti/ femmine

1 12 85,71 78 6,5

2 2 20,00 15 7,5

3 4 9,30 22 5,5

4 2 8,70 13 6,5

5 4 13,33 23 5,7

totale 24 20,00 151 6,29

Tab. 6.3.1 Campionamento per sesso ed età ripartito nelle aree di studio

Pagina | 71

Di 117 feti è stato possibile stabilire il sesso, di questi 72 erano maschi e 56

femmine. Il rapporto sessi risultato di 1:0,77.

Il peso medio dei feti è stato di 317,05 grammi, non risultano differenze

significative tra i due sessi (t student P = N.S.).

Non sono emerse differenze significative tra il peso delle femmine ed il n°

di feti.

6.4 Risultati analisi sierologica

Per 127 campioni raccolti durante il campionamento è stato possibile

effettuare l’analisi sierologica. La loro distribuzione nelle 7 aree di indagine

è riportata nella tabella sottostante.

Area N° campioni

totali N° campioni

sierologia % campioni con

analisi sierologica

1 22 16 72,73

2 19 7 36,84

3 69 44 63,77

4 46 18 39,13

5 75 14 18,67

6 50 28 56,00

totale 281 127 45,20

Tab. 6.4.1 Ripartizione per area dei campioni utilizzati per l’analisi

sierologica

Pagina | 72

Tab. 6.4.2 Positività alla malattia dall’analisi sierologica per area (valori

assoluti)

La positività alla malattia è risultata variabile nelle diverse aree dal 50 al

85,71%

Tab. 6.4.3 Positività alla malattia dall’analisi sierologica per area espressa

in percentuale

Area Positivi (n°) Negativi (n°)

1 8 8

2 1 6

3 12 32

4 5 13

5 4 10

6 4 24

totale 34 93

Area Positivi (%) Negativi (%)

1 50,00 50,00

2 14,29 85,71

3 27,27 72,73

4 27,78 72,22

5 28,57 71,43

6 17,39 82,61

totale 26,77 73,23

Pagina | 73

Dall’analisi sierologia non emergono differenze di positività significative tra

i due sessi.

Fig. 6.4.4 Positività alla malattia dall’analisi sierologica per sesso

Al contrario esiste una differenza tra le differenti classi di età.

Fig. 6.4.5 Positività alla malattia dall’analisi sierologica per classi di età.

0,00

20,00

40,00

60,00

80,00

100,00

120,00

M F Ind

Pe

rce

ntu

ale

Sesso

Negativi

Positivi

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

< 1 1-2 > 2

Pe

rcen

tual

e

anni di Età

Pagina | 74

Fig. 6.4.6 Positività alla malattia dall’analisi sierologica per classi di sesso e

ed età.

0,00

10,00

20,00

30,00

40,00

50,00

60,00

70,00

M F

Per

cen

tual

e

Sesso

< 1 1-2 > 2

Pagina | 75

6.5 Risultati analisi virologiche

Sono stati analizzati mediante Real PCR 399 tamponi nasali e genitali

rispettivamente 260 tamponi nasali e 139 genitali (dei quali 48 maschi, 88

femmine e 3 cinghiali di sesso indeterminato).

Fig. 6.5.1. Ripartizione dei campioni per tipologia e sesso

I tamponi nasali sono stati prelevati quasi in misura uguale (111 maschi,

127 femmine), al contrario i tamponi vaginali sono numericamente quasi il

doppio rispetto ai tamponi prepuziali rispettivamente: 90 e 49.

Gli animali di sesso indeterminato sono stati 22.

I campioni positivi alla PCR sono stati 43 dei quali 17 (6,54%) tamponi

nasali e 26 (18,71%) tamponi genitali.

0

20

40

60

80

100

120

140

M F Ind M F

Tamponi Nasali Tamponi Genitali

Per

cen

tual

e

Pagina | 76

Fig. 6.5.2 Positività alla malattia per tipologia di campione

Nei tamponi nasali positivi la ripartizione tra i due sessi è leggermente

spostata a favore dei maschi 9, 7 femmine ed 1 cinghiale di sesso

indeterminato. Al contrario per i tamponi genitali sono le femmine ad

essere sensibilmente superiori ai maschi: 23 campioni contro 3 maschi.

Fig. 6.5.3 Positività alla malattia per tipologia di campione e sesso

6,53

18,70

0

2,5

5

7,5

10

12,5

15

17,5

20

Tamponi Nasali Tamponi Genitali

Per

cen

tual

e

Tipologia di tampone

0

5

10

15

20

25

30

35

Tamponi Nasali Tamponi Genitali

Pe

rcen

tual

e

Tipologia di tampone

Ind F M

Pagina | 77

Due soli campioni, entrambi tamponi nasali di due femmine una giovane

ed una adulta, sono risultati positivi alla sierologia ed alla PCR.

Tamponi genitali e Tamponi nasali hanno mostrato una diversa

distribuzione della positività alla malattia tra le tre fasce di età

considerate.

La positività dei tamponi genitali è pressoché simile nei maschi piccoli

(meno di un anno) e negli animali adulti. Differentemente le femmine

registrano un valori differenti nelle tre classi con un massimo nella classe

piccola e poi valori crescenti nel passaggio da giovani a femmine adulte.

Fig. 6.5.4 Positività alla malattia dei tamponi genitali per sesso ed età

0,00

5,00

10,00

15,00

20,00

25,00

30,00

35,00

40,00

45,00

< 1 1-2 > 2 Ind

Pe

rcen

tual

e

Anni di Età

Maschi Femmine

Pagina | 78

Al contrario la positività nei tamponi nasali aumenta nei maschi con il

progredire dell’età, mentre le femmine non risultano positive sotto l’anno

e presentano valori simili nelle altre due classi di età. Il confronto è stato

ottenuto da un numero di campioni analizzato per le diverse classi e sessi è

molto simile.

Fig. 6.5.5 Positività alla malattia dei tamponi nasali per sesso ed età

0,00

2,00

4,00

6,00

8,00

10,00

12,00

< 1 1-2 > 2

Pe

rce

ntu

ale

Anni di Età

Maschi Femmine Ind.

Pagina | 79

6.6. Risultati analisi virologica sui feti Delle 24 femmine con feti, 4 sono risultate positive all’analisi tramite PCR

(16,67%), così come 6 dei 19 feti totali. La percentuale di feti positivi per

ogni femmina è variata dal 20 al 40% con una media di 31,58.

Fig. 6.6.1 Positività alla malattia nei feti di quatto femmine positive.

0,00

5,00

10,00

15,00

20,00

25,00

30,00

35,00

40,00

45,00

1 2 3 4

Per

cen

tual

e

Femmine

Pagina | 80

6.7 Effetti della malattia sulla popolazione In provincia di Pisa mancano dati di censimento della specie. Pertanto

abbiamo ipotizzato due diverse percentuali di prelievo pari al 60 e 70%

della popolazione, e basandoci sul dati del nostro campionamento

abbiamo stimato maschi e femmine.

Prelievo

popolazione

Popolazione

stimata

Femmine

stimate

60 % 10.123 5307

70 % 8677 4549

Tab. 6.7.1 Stima della popolazione di cinghiale e delle femmine in provincia

di Pisa.

Sulla base del n° di femmine abbiamo calcolato il n° di piccoli prodotti

ipotizzando che si riproducano il 50% delle femmine giovani e del 90%

femmine adulte, se pure con un n° medio di feti differente nelle due classi.

La ripartizione delle femmine nelle tre classi di età ed il n° di feti per le

femmine adulte sono stati basati sul nostro campionamento, mentre il n°

medio di feti per le femmine giovani è stato ipotizzato inferiore del 50%

rispetto alle adulte.

Sono state formulate due ipotesi a seconda della stima del n° di femmine

presenti nella popolazione di cinghiali della provincia di Pisa.

Pagina | 81

Ipotesi A n° femmine 4.549

Anni di età

Femmine (% che si riproducono)

Media feti Piccoli stimati

0-1 0 0 0

1-2 50 3,0 1.892

> 2 90 6,29 10.603

Tab. 6.7.3 Stima della n° di nuovi nati - ipotesi A.

Ipotesi B n° femmine 5.307

Anni di età

Femmine (% che si riproducono)

Media feti Piccoli stimati

0-1 0 0 0

1-2 50 3,0 1.892

> 2 90 6,29 10.603

Tab. 6.7.4 Stima della n° di nuovi nati - ipotesi B.

Nella prima ipotesi il totale del n° di piccoli potenziale è 12.495, nella

seconda ipotesi 14.577 piccoli, con una differenza di 2.082 capi.

Pur ipotizzando una mortalità dovuta a cause naturali ed alla malattia di

Aujezsky del 50% avremmo una popolazione in entrambi i casi in crescita

Pagina | 82

con valori che supererebbero abbondantemente il prelievo medio

annuale.

Dal 2005 al 2010 in provincia di Pisa sono stati abbattuti nei due ATC dalle

squadre di caccia in battuta, in media 4.500 cinghiali l’anno.

Stando al numero medio di feti registrato in questo studio e dalla

bibliografia (Massei et al., 2006; 1996) basterebbero un numero di

femmine tra 700 e 900 capi per produrre un numero sufficiente di piccoli

tale da mantenere stabile la popolazione.

Pagina | 83

CAPITOLO 7 DISCUSSIONE

Pagina | 84

7. DISCUSSIONE La sieroprevalenza della Malattia di Aujeszky nella popolazione di cinghiali

in provincia di Pisa mostra un’elevata variabilità negli anni e tra le diverse

aree. Analoga indagine nel 2006 aveva evidenziato una sieroprevalenza del

49% (Verin et al., 2006), passata a distanza di tre anni a circa il 27%.

Questo risultato può essere spiegato anche dalla maggiore dimensione del

campione rispetto alle precedenti indagini (Lari et al., 2006).

La differenza di positività alla malattia nelle sei aree oggetto di indagine è

statisticamente significativa (P < 0,05) e fa registrare valori estremi nelle

due aree dove vengono abbattuti meno cinghiali con una positività

massima nell’Area 1 (Monti Pisani) e di poco più del 14% nell’Area 2, a

cavallo dei comuni di S.Miniato, Palaia e Peccioli. Nel resto della provincia

la media si attesta a valori intorno al 25% di sieroprevalenza.

Le oscillazioni dei valori di sieroprevalenza sia negli anni che nelle aree

possono essere spiegate dagli alti tassi di prelievo cui la specie è

sottoposta dall’attività venatoria che possono raggiungere punte del 100%

della popolazione pre-parti.

Non esistono differenze significative di sieroprevalenza tra i sessi, mentre

questa risulta statisticamente rilevante nella classi di età in particolare nei

piccoli e soprattutto nei cinghiali adulti.

Pagina | 85

Fig. 7.1 Positività alla malattia nelle sei aree

Dall’analisi virologica tramite SYBR Green PCR emergono diversi dati

interessanti. Per esempio dal nostro studio si evince che l’escrezione del

virus è massima per via venerea rispetto alla via respiratoria.

La positività dei tamponi genitali è infatti circa tre volte superiore alla

positività dei tamponi nasali, rispettivamente 18,71 e 6,54 ed è

statisticamente significativa (P = < 0,01).

Le vie di escrezione del virus della malattia di Aujeszky nel cinghiale sono

simili a quelle osservate nel suino, dove però la via di trasmissione

principale risulta quella respiratoria.

Altro dato interessante registrato in questo studio è costituito dalla

differente positività dei tamponi genitali nei sessi.

0

10

20

30

40

50

60

1 2 3 4 5 6

Pe

rce

ntu

ale

Area

Pagina | 86

Questo dato molto più alto nelle femmine (P < 0,01) può trovare

spiegazione nella biologia riproduttiva della specie. Nel cinghiale se pure

entrambi i sessi raggiungono la maturità fisiologica ad un anno di età, i

maschi difficilmente prendono parte agli accoppiamenti prima del 4° -5°

anno di età, quando conquistano la maturità sociale. La specie è poliginica

pertanto aumenta la possibilità dei maschi di contrarre la malattia man

mano prendono parte agli accoppiamenti.

Diversamente nei tamponi nasali non vi sono differenze significative tra i

sessi, mentre emerge un aumento della positività nei tamponi nasali con il

progredire dell’età dei maschi ( anche se non significativo).

I valori di positività alla malattia registrati attraverso le tre metodologie

evidenziano come una percentuale importante della popolazione di

cinghiali sia venuta a contatto con il virus di Aujeszky e come una gran

parte di essa funga da escretrice del virus per via venerea o aerea.

26,77

6,54

18,71

0

5

10

15

20

25

30

sierologia Tamponi nasali Tamponi genitali

Per

cen

tual

e

Fig. 7.2 Percentuali di positività alla malattia registrati con le tre

diverse metodologie

Pagina | 87

Per quanto riguarda l’analisi della produttività e la ricerca della malattia di

Aujeszky nei feti, le femmine trovate gravide sono state in percentuale

bassa probabilmente a causa del periodo di campionamento legato

necessariamente al prelievo in battuta e di conseguenza al calendario

venatorio.

Nell’ambito degli ungulati italiani il cinghiale è sicuramente la specie quella

con il più alto Incremento utile annuo. Tuttavia le condizioni ambientali

sono determinanti sulla percentuale di femmine che prende parte alla

riproduzione e sul numero di piccoli prodotti.

Nel nostro studio il rapporto tra i sessi è notevolmente differente prima

della nascita rispetto a quanto campionato e ai dati degli abbattimenti

realizzati in regime di controllo da febbraio a settembre (Abbattimenti art.

37 L.R.3/94).

Feti

Campionamento Abbattimenti in controllo

Rapporto M: F

1 : 0,77 1 : 1,21 1 : 1,24

Tab. 7.1 Rapporto sessi nel cinghiale in provincia di Pisa registrato con tre

metodologie differenti

Pagina | 88

Pedone et al., 1995 hanno registrato un rapporto sessi uguale tra maschi e

femmine in quattro diverse aree della Toscana tra cui l’Alta Val di Cecina

compresa in tre delle nostre aree di studio.

È probabile che anche per il cinghiale vi sia una diversa mortalità in fase

giovanile come registrato per altre specie di ungulati ad es. il capriolo

(Varuzza, 2005).

Per quanto riguarda l’influenza della malattia di Aujeszky, dal nostro studio

è stata rilevata una differenza di n° medio di feti tra femmine sane (6,6

feti/femmina) e malate (4,74 feti/femmina). Nonostante questo i dati in

nostro possesso si riferiscono a poche femmine probabilmente

insufficiente per trarre delle conclusioni.

A prima vista la differenza è di poco superiore al 10% in termini di piccoli

prodotti.

Ipotesi A Ipotesi B

Femmine sane

12.495 14.577

Femmine infette

11.025 12.864

Differenza N° feti

1.470 1.713

Tab. 7.1 Differenza del n° di feti prodotti da femmine sane e femmine

infette per la provincia di Pisa sulla base dei risultati di questo studio.

Pagina | 89

È ragionevole ipotizzare che la popolazione sia regolata soprattutto dal

numero di femmine che si riproducono, condizione fortemente influenzata

dall’ambiente e dal peso per le primipare. Purtroppo il dato non è oggetto

di verifica da parte delle squadre di caccia.

Pagina | 90

CAPITOLO 8 CONCLUSIONI

Pagina | 91

8. CONCLUSIONI La malattia di Aujeszky nel cinghiale rimane ancora poco conosciuta in

particolare la specie sembra aver raggiunto una certa resistenza al virus

tale da non subirne i gravi effetti che si registrano nel suino domestico.

Dai nostri dati emerge che l’escrezione della malattia avviene

prevalentemente per via sessuale, e interessa in misura maggiore animali

adulti.

Probabilmente gli alti tassi di prelievo sulla specie condizionano

pesantemente non solo la diffusione della malattia, ma anche il suo

campionamento e lo studio dell’incidenza nei sessi e nelle diverse età.

Tra le metodologie di indagine sia l’analisi sierologica che l’analisi

virologica con SYBR Green PCR possono essere impiegate con ottimi

risultati anche su larga scala, fornendo un buon rapporto risultati-

sforzo/metodologia campionamento e costi. Il campionamento attraverso

la raccolta del sangue e dei tamponi nasali e o genitali può essere

effettuato con l’aiuto dei referenti delle squadre di caccia al cinghiale

previa formazione sulle modalità di campionamento e di conservazione dei

campioni.

Pagina | 92

Rimangono da approfondire le relazioni di positività tra feti e femmine, in

particolare in aree chiuse tali da permettere e verificare una adeguata

sperimentazione.

Per quanto riguarda la dinamica di popolazione la gestione di una specie di

così grande importanza nel panorama faunistico italiano non può

prescindere da una raccolta di dati biologici indispensabili per pianificarne i

piani di prelievo.

Parametri come peso delle femmine, stato riproduttivo, n° di feti e classi di

età degli animali abbattuti devono entrare nella norma dei dati raccolti su

tutto il territorio provinciale solo così nel giro di pochi anni potremmo

sopperire alla mancanza di informazioni sull’entità della popolazione di

cinghiali su base provinciale, informazione essenziale per definire la

gestione della specie.

Pagina | 93

CAPITOLO 9 BIBLIOGRAFIA

Pagina | 94

8. BIBLIOGRAFIA

AA.VV. 1989.

http://www.defra.gov.uk/animalh/diseases/notifiable/disease/auje

szkys. htm 1989; Aujeszky’s disease in pigs – Notifiable Diseases

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sud- est de la péninsule ibérique. Mammalia 56: 245-250.

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812.

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CAPITOLO 10 RINGRAZIAMENTI

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10. RINGRAZIAMENTI Un grosso aiuto al campionamento è stato dato dal Dott. Ranieri VERIN e

dalla Dott.ssa Daniela GIUSTINI, le analisi sierologiche e virologiche sono

frutto del prezioso aiuto dei Dott. Ranieri Verin e Maurizio Mazzei.

Si ringraziano, gli Ambiti Territoriali di Caccia della provincia di Pisa: ATC 14

e 15, il Dr. Vito Mazzarone Responsabile dell’Ufficio Fauna della Provincia,

e le squadre di caccia al cinghiale della provincia Pisa, in particolare i Sigg.

Silvio Azara,

Ivanio Berti,

Lorenzo Biagiotti

Giorgio Bocelli,

Paolo Buselli,

Egiziano Cheli,

Giulio Cheli,

Riccardo Donati,

Sergio Fabbri,

Massimo Giannelli,

Ercoli Maurizio,

Ivo Giusti,

Alfiero Manetti,

Marco Martini,

Maurizio Mariotti,

Giorgio Nerli,

Carlo Panizzo,

Francesco Prato

Marco Rossi,

Michele Ruotolo,

Francesco Salutini,

Gabriele Stefanucci,

Andrea Vaghetti,

Alessandro Valori,

Andrea Vivarelli,

Un grazie particolare va ad Antonio Felicioli per avermi coinvolto e

incoraggiato in questo progetto ed al prof. Poli per aver supportato dal

primo momento questo studio fornendo spunti e preziosi suggerimenti.