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STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE 16 SPECIALE UCC La Unified Communication and Collaboration si fa strada tra le imprese, iniziando dalle grandi organizzazioni. IL FUTURO È MOBILE "Mobility" è il nuovo paradigma della tecnologia aziendale. Spinto dalle esigenze degli utenti ma anche dall'Internet delle cose. 42 25 NUMERO 8 | APRILE 2014 CARTUCCE GRIFFATE Prove di laboratorio mostrano come le ricariche originali delle stampanti diano maggiori garanzie di qualità e durata. Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE” TORNA A PULSARE IL CUORE HI-TECH DELLA CATTOLICA L'Università riporta l'IT dentro le mura storiche dell'Ateneo. Per creare valore e recuperare efficienza.

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Magazine Technopolis N°8 aprile 2014

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Page 1: Technopolis 8

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

16 SPECIALE UCCLa Unified Communication and Collaboration si fa strada tra le imprese, iniziando dalle grandi organizzazioni.

IL FUTURO È MOBILE"Mobility" è il nuovo paradigma della tecnologia aziendale. Spinto dalle esigenze degli utenti ma anche dall'Internet delle cose.

4225

NUMERO 8 | APRILE 2014

CARTUCCE GRIFFATEProve di laboratorio mostrano come le ricariche originali delle stampanti diano maggiori garanzie di qualità e durata.

Distribuito gratuitamente con “Il Sole 24 ORE”

TORNA A PULSARE IL CUORE HI-TECH DELLA CATTOLICA

L'Università riporta l'IT dentro le mura storiche dell'Ateneo. Per creare valore e recuperare efficienza.

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SOMMARIO 4 STORIE DI COPERTINA

Torna a pulsare il cuore hi-tech: Università Cattolica

09 IN EVIDENZA

L’analisi: la spending review al digitale

I nuovi processori Intel Xeon

Windows Xp va in pensione

Netapp parte all’attacco sul Software Defined Storage

L’opinione: Il monito del Clusit

16 SCENARI Il delicato passaggio da mobile a mobility

Pmi e innovazione: a quando la svolta?

La sanità diventa smart e vuole essere virtuosa

La flessibilità è soft

27 SPECIALE

Comunicare di più per lavorare meglio

A ognuno la sua Ucc

Un nuovo modo di produrre e collaborare

36 ECCELLENZE.IT

Grandi Navi Veloci - Retarus

Penny Market Italia - Check Point Eni - Ibm

39 ITALIA DIGITALE Startup, via alla fase due con le promesse del Mise

Nuove imprese, il vademecum degli imprenditori

42 OBBIETTIVO SU

Consumabili Hp

47 VETRINA HI TECH

Smartphone: salto di qualità e di velocità

Pillole digitali

STORIE DI ECCELLENZA E INNOVAZIONE

N° 8 - Aprile 2014

Periodico bimestrale registrato

presso il Tribunale di Milano al n° 378

del 09/10/2012.

Direttore responsabile: Emilio Mango

Coordinamento: Gianni Rusconi

Hanno collaborato: Piero Aprile,

Valentina Bernocco, Carlo Fontana,

Paolo Galvani, Maria Luisa Romiti,

Laura Tore

Progetto grafico: Inventium Srl

Sales and marketing: Marco Fregonara,

Francesco Proietto

Foto e illustrazioni: Istockphoto,

Martina Santimone.

Editore, redazione, pubblicità: Indigo Communication Srl

Via Faruffini, 13 - 20149 Milano

tel: 02 36505844

[email protected]

www.indigocom.com

Stampa: RDS Webprinting - Arcore

© Copyright 2012

Indigo Communication Srl

Tutti i diritti di proprietà letteraria

e artistica riservati.

Il Sole 24 Ore non ha partecipato alla realizzazione di questo periodico e non ha responsabilità per il suo contenuto.

Pubblicazione ceduta gratuitamente.

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4 | APRILE 2014

STORIA DI COPERTINA | Università Cattolica del Sacro Cuore

Cercando efficienza e ottimizzazione, l'Università Cattolica ha ottenuto anche una maggiore affidabilità dell'infrastruttura e livelli di servizio più alti. Rinunciando al full outsourcing per riportare all'interno apparati e competenze.

Sul fronte dell’infrastruttura informatica, l’Università Cat-tolica viene da anni di full outsourcing, a cui l’Ateneo

aveva fatto ricorso per riuscire a tenersi al passo con i tempi in un momento di grande sviluppo tecnologico. Negli ulti-mi anni, però, i processi di gestione e svi-luppo dei tanti servizi erogati a studenti e docenti necessitavano di una maggiore efficienza, per poter affrontare le nuove sfide competitive del mercato dell’Edu-cation.Così, il management dell’Ateneo ha deciso di riportare all’interno dei confi-ni dell’organizzazione il know-how e le capacità di generare valore, delegando a un partner solido ma allo stesso tem-po flessibile tutta la gestione operativa dell’infrastruttura degli utenti e delle applicazioni It.

“Quella di Università Cattolica”, dice Lorenzo Cecchi, Cio di Università Cat-tolica del Sacro Cuore, “è una macchi-na molto complessa ed eterogenea, che deve girare come un orologio svizzero. Ci sono i portali, utilizzati da decine di migliaia di studenti, ci sono i servizi ero-gati ai docenti (che sono a tutti gli effetti degli stakeholder dell’Ateneo) e poi c’è da garantire l’operatività degli oltre mille addetti tecnico-amministrativi. Il tutto in un contesto geografico certamen-te non facile: cinque campus (Milano, Roma, Brescia, Piacenza e Cremona) che contengono un totale di 12 facoltà, più i collegi dove alloggiano oltre 1.500 studenti”.Il delicato compito di Cecchi è, quindi, quello di ricostruire un ponte tra uten-ti e It, aumentando la soddisfazione dei “clienti” (studenti, docenti, personale) e

TORNA A PULSARE IL CUORE HI-TECH

Alcuni totem per i servizi agli studenti

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Cinque campus, 12 facoltà, oltre 40mila studenti e 4mila docenti. Questi, in sintesi, i numeri di Uni-versità Cattolica del Sacro Cuore, l’ateneo non statale più grande d’Europa.Fondata nel 1921 da padre Ago-stino Gemelli, Università Cattolica viene scelta tutti gli anni da circa 10mila studenti, che possono contare su un approccio interdi-sciplinare garantito anche dalle numerose attività di ricerca (51 istituti e 72 centri di ricerca, oltre al Policlinico Gemelli di Roma).Negli oltre 600mila metri quadrati complessivi delle varie sedi si muove, studia e lavora quotidia-namente una popolazione equiva-lente a quella di una piccola città.

riportando la capacità progettuale all’in-terno delle solide mura della sede cen-trale, ovviamente senza costi aggiuntivi.

La soluzione“L’idea di base”, racconta Lorenzo Cec-chi, “è stata di cambiare paradigma: da full a selective outsourcing, una formula che ci avrebbe permesso, e per certi versi costretto, di recuperare il controllo e il know-how della componente a più alto valore aggiunto, e allo stesso tempo di rispondere in maniera più rapida ed effi-cace alle nuove sfide di mercato”.Vengono così fissati gli Sla (livelli di servizio), decisamente severi, e vengo-no analizzate, nell’ambito di una gara, diverse proposte. Al termine del con-fronto, Università Cattolica sceglie di affidarsi a Fujitsu Italia che, in colla-borazione con il partner Beta 80, ha presentato il progetto più aderente alle esigenze dell’Ateneo e di minor impatto in termini di costi.“Lo scopo della nuova partnership con Fujitsu”, spiega Cecchi, “è di affidare

all’esterno la gestione dell’infrastruttura, degli endpoint e del software, mante-nendo all’interno le capacità di sviluppo applicativo e la programmazione dell’e-voluzione dell’It in linea con le esigenze strategiche dell’alta direzione”.Per arrivare a questo obiettivo, Fujitsu ha dapprima stabilizzato e messo in si-curezza l’infrastruttura e di conseguenza i servizi, realizzando la migrazione delle piattaforme legacy su macchine Intel, in particolare server Primequest 1800, e coordinando la presenza di nuove tec-nologie e partner tecnologici terzi, come NetApp e Oracle. Poi ha proseguito nel processo di virtualiz-zazione, costruendo insieme a Università Cattolica solide fondamenta per la fase

CINQUE SEDI: UNAPICCOLA CITTÀ

di transformation prevista per il triennio successivo (il contratto di outsourcing ha una durata di quattro anni).

I beneficiMantenendo ben dritta la barra del ti-mone in direzione degli utenti, il ma-nagement It di Università Cattolica è riuscito quindi a cambiare modalità di outsourcing senza pagare nessuno scotto in termini di continuità operativa, anzi, mantenendo l’efficienza attraverso Sla severi a costi più contenuti.“Abbiamo fissato il valore della availabi-lity a 99,6%”, spiega Cecchi, “e il tempo di ripristino a meno di due ore. Sono Sla cumulabili tra loro e sicuramente molto severi, viste anche la complessità

Il nuovo data center presso la sede milanese

dell’Università Cattolica.Sotto, una delle aule

dell’Ateneo, connubio perfetto tra antico e

moderno

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6 | APRILE 2014

STORIA DI COPERTINA | Università Cattolica del Sacro Cuore

Lorenzo Cecchi, Cio dell’Università Cattolica del Sacro Cuore

TUTTO L’ATENEO IN MOBILITÀSe l’infrastruttura è il cuore tecnolo-gico di Università Cattolica, il front end dovrebbe “scaricare a terra” tutta la potenza erogata dai sistemi. Molto spesso, come mostrano gli ultimi trend, le applicazioni in mo-bilità rappresentano il modo miglio-re per consegnare agli utenti finali i servizi più evoluti.L’app iCatt, a disposizione degli studenti dell’Ateneo e sviluppata dalla Direzione dei Sistemi Infor-mativi dell’Università, è un chiaro esempio di questa evoluzione: con un qualsiasi smartphone lo studente è in grado di gestire tutti gli aspetti della vita accademica: esami, voti, appuntamenti coi docenti, e perfino la prenotazione degli alloggi.

della nostra infrastruttura e l’eteroge-neità del parco macchine e applicativi. Ora che sui circa 5mila endpoint e sugli oltre cento server virtuali viene esercita-to un monitoraggio continuo, l’It può pensare ai prossimi passi, uno dei qua-li riguarda la sicurezza e in particolare l’implementazione di una soluzione di disaster recovery, prevista per il 2014”. La migliore gestione delle risorse It non è stata però l’unico obiettivo di Cecchi, che ha puntato anche, traguardando un arco temporale un po’ più ampio, a re-stituire all’Università quelle capacità di visione e di progettazione essenziali per offrire ai propri utenti servizi sempre più efficaci, e per attirare studenti e docenti alla ricerca di un ambiente dove coltivare i propri desideri e le proprie ambizioni. “Per questo”, dice Cecchi, “abbiamo dato vita a un piano dell’innovazione che pre-vede in tre anni oltre 15 progetti strategi-ci, per i quali è indispensabile coniugare il disegno di soluzioni applicative con l’implementazione di nuove infrastruttu-re tecnologiche. La gestione integrata dei diversi ambiti It (server, endpoint, appli-cazioni e rete dati) consente a Fujitsu di avere un ruolo centrale nella pianificazio-ne e nell’implementazione dei progetti, garantendo un tempo di risposta in linea con le esigenze del mercato. La nuova organizzazione dell’infrastruttura, otti-mizzata e dimensionata ora sul numero di studenti e docenti e non più in base al numero di dispositivi, viene gestita da Fujitsu in totale autonomia, anche sul fronte delle altre partnership necessarie al corretto funzionamento della macchina It, come quelle instaurate con Vmware, Oracle o Netapp”.Al termine di un anno di lavori (il pro-getto è stato avviato il primo gennaio del 2013, dopo soli tre mesi di transizione), la maggior parte dei processi sono a regi-me e l’It di Università Cattolica si è già ri-appropriato della progettualità e dell’en-tusiasmo necessari per prevedere una roadmap di nuove attività, oltre che per assicurare un funzionamento efficiente di tutti i servizi e i portali. Affidata a Fujitsu

la gestione dell’infrastruttura, l’Ateneo può infatti dedicarsi alla definizione di progetti innovativi, alla creazione dei re-lativi gruppi di lavoro e ad avere su tutto questo un controllo e un’integrazione per gestire il cambiamento e il miglioramen-to continuo dei servizi. “Siamo un Ateneo agile e competitivo”, chiosa il dottor Cecchi, “per questo chie-diamo sempre il massimo ai nostri part-ner, in nome di una cultura del servizio votata a soddisfare completamente gli utenti e i clienti. Devo dire che le aziende che abbiamo coinvolto hanno risposto in modo ottimale a questa richiesta, già dal primo anno, mostrando da subito un ap-proccio fortemente orientato alle esigen-ze degli utenti, oltre a soddisfare i livelli di servizio dovuti. Per arrivare a questo importante risultato, ha pesato molto la capacità di Fujitsu di proiettare sulla no-stra realtà le metodologie e le best practi-ce sviluppate a livello internazionale. Ora che siamo a regime possiamo cominciare a lavorare per costruire qualcosa che duri nel tempo, a tutto beneficio dell’Univer-sità e del suo patrimonio”. E. M.

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Classe 1969, Federico Rajola è professore di Project Mana-gement e Organizzazione alla

Facoltà di Management dell’Università Cattolica. Delegato del Rettore per l’in-novazione e i sistemi informativi, è anche Direttore Scientifico del Cetif (il centro di ricerca su tecnologie, innovazione e servizi finanziari dell’Ateneo).

Professore, quanto è importante la tec-nologia per un’organizzazione dalle ra-dici così solidamente ancorate a valori tradizionali?È determinante, direi, e lo sta diventan-do sempre di più. In questi giorni stiamo lavorando al piano strategico dell’Univer-sità, e molte delle linee guida si basano proprio sull’innovazione. Nel concreto, questo significa servizi ancora più effi-cienti per gli studenti, i laureati (il pro-getto Alumni ha una grande importanza in questo ambito) e i docenti. Sviluppere-mo soluzioni ad alto valore aggiunto per tutti coloro che entrano in contatto con

la Cattolica, ma non trascureremo nean-che il miglioramento e l’automazione dei processi interni.

Quanto incide la tecnologia dell’Universi-tà sull’intelligenza delle città dove opera?La Cattolica contribuisce sicuramen-te a rendere più “smart” le città, anche in virtù del fatto che è una delle poche università, se non l’unica, ad avere una distribuzione così ampia sul territorio: ben cinque diverse sedi, ciascuna delle quali è focalizzata su un settore differen-te. A Roma si concentrano, ad esempio, le tematiche legate alla sanità, mentre a Piacenza si studia l’innovazione in ambi-to agrario e soprattutto Agribusiness. A Brescia la ricerca verte sulla fisica. Mila-no, invece, è il punto di riferimento per il tessuto finanziario, economico e indu-striale italiano ma è anche un ponte verso l’Europa, grazie all’attività internazionale di molti docenti. Un esempio di innova-zione in ambito economico e finanziario è il Cetif, che è un punto di riferimento

La ricerca rende più smart le città

Federico Rajola

per le aziende del settore bancario e assi-curativo.

Riuscite a sfruttare la spinta propulsiva dei giovani?Certo, a questo proposito stiamo per lan-ciare un incubatore per i giovani laureati dell’Università, ma anche per i docenti, che avrà la funzione di aiutare la ricerca di fondi e progetti per il non-profit,- e allo stesso tempo di stimolare la creatività e l’imprenditorialità dei giovani: mette-remo a disposizione spazi, tecnologie e banda, ma soprattutto il know-how dei professori, che saranno i “business angel” delle attività di startup.Più in generale, abbiamo sempre investi-to molto anche nelle infrastrutture, per offrire ai giovani gli strumenti adatti alla loro cultura digitale. Abbiamo da anni integrato, con i sistemi informativi di Ateneo, la piattaforma leader mondiale di e-learning (Blackboard), che copre cir-ca il 90% dei corsi attualmente previsti nelle cinque sedi: in pratica, gli studenti non usano più materiale didattico carta-ceo ma, attraverso i tablet, interagiscono e apprendono con le logiche tipiche del digitale e dei social network. La soluzione adottata stravolge i canoni della didattica ma rappresenta una formidabile occasio-ne per automatizzare processi e servizi per gli studenti.

La tecnologia è anche business per voi?Sì, la tecnologia è pervasiva. Fa parte della vita universitaria ma è anche un potente strumento di efficientamento. Permette di razionalizzare i costi e allo stesso tem-po di elevare i livelli di servizio. Non è un caso se in questi anni gli investimenti in tecnologia sono aumentati costantemen-te, e rappresentano circa il 20% dei costi. Uno sforzo importante che però è stato ripagato: pensi che abbiamo calcolato che un nostro laureato costa al Ministero dell’Istruzione molto meno rispetto a un suo coetaneo dell’università pubblica. E gran parte di questa efficienza passa at-traverso l’It.

Emilio Mango

Gli investimenti in tecnologia della Cattolica permettono di recuperare efficienza, ma creano anche valore sul territorio.

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Ricoh Managed ServicesLa strada verso l’efficienza

Concentrati sul business. Ricoh pensa a progettare e gestire l’infrastruttura IT.

Progettare soluzioni personalizzate e ottimizzate dal punto di vista dei costi, della produttività e della gestione è alla base dei Ricoh Managed Services, che includono servizi di Gestione Documentale, di Outsourcing e IT.Managed Document Services Migliorare l'ambiente di stampa e la gestione documentale è possibile grazie al supporto consulenziale e progettuale di Ricoh che garantisce un’ottimizzazione continua.

Document Process Outsourcing I professionisti Ricoh si occupano della gestione dei processi documentali cartacei e digitali delle aziende, con l’obiettivo di ridurre i costi e ottimizzare le risorse interne.

IT ServicesRicoh offre un supporto completo one-stop per la fornitura e la gestione di pc e server, sviluppando progetti innovativi chiavi in mano che includono anche un servizio di help-desk telefonico.

DPO

ITS MDSRICOH MANAGED SERVICES

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9APRILE 2014 |

IN EVIDENZA

l’analisiLA SPENDING REVIEW AL DIGITALE CHE NESSUNO SEMBRA VOLER FARE

Il punto è, da mesi, sempre lo stesso: il ritardo nell’attuazione dei piani previsti dall’Agenda digitale. Poche le scadenze rispettate, e di iniziative per accelerare i tempi non se ne vedono ancora all’o-rizzonte. Intanto c’è stato, a fine marzo, l’incontro di commiato fra il premier Matteo Renzi e il commissario uscente Francesco Caio: un’occasione per fare il punto soprattutto sulle cose non fatte, più che su quelle già portate a termine o almeno avviate. Secondo il servizio stu-di della Camera, il bilancio aggiornato al 24 febbraio 2014 del provvedimento per la digitalizzazione del Paese (nato sotto il governo Monti e incensato da quello di Enrico Letta) è in sintesi il se-guente: dei 55 adempimenti necessari ad attuarla, solo 17 hanno visto la luce mentre per molti dei mancanti, 21 su 38, sono ormai scaduti i termini.Al momento in cui scriviamo non sap-piamo come verrà riorganizzata la go-vernance dell’Agenda, anche se è molto probabile che a tirarne le fila, sotto la regia diretta di Palazzo Chigi, ci sarà una figura di coordinamento di matrice politica. Il ministro dello Sviluppo Eco-nomico, Federica Guidi, questa invece è cronaca, nel corso di una recente au-dizione alla Camera ha assicurato che “l’impegno sarà massimo per sbloccare il processo di digitalizzazione a vantag-gio dei cittadini e delle imprese”. Nella sua agenda, lo ricordiamo, c’è soprattutto la questione strategica del-la banda ultralarga, per cui occorrerà utilizzare i fondi Ue 2014-2020: l’Italia deve, però, inviare entro il 22 aprile a Bruxelles l’ultima e definitiva versione dell’Accordo di partenariato, tenendo conto dei rilievi (molto critici) eviden-

ziati dalla Commissione europea per ciò che concerne i piani sul digitale. Tornando all’Agenda, è stato lo stesso Renzi a riportarla sotto la luce dei ri-flettori in chiave europea in relazione all’ormai vicino semestre di presidenza italiana – “un’occasione per rimetterci in regola” – e all’incontro di luglio a Ve-nezia concordato con Angela Merkel e Francois Hollande. Ma come e quanto si impegnerà il governo per avviare un

piano il cui impatto sull’economia del Paese è paragonabile a quello di una piccola manovra finanziaria?L’elemento nuovo è arrivato dal com-missario straordinario per la spending review, Carlo Cottarelli, che ha quanti-ficato in circa 2,6 miliardi di euro annui il saving ottenibile complessivamente, a partire dal 2016, da tre misure previste dall’Agenda: fatturazione elettronica, pagamenti elettronici e razionalizzazio-ne dei Ced (Centri elaborazione dati) della PA nazionale. Sommando a tale cifra i 200 milioni derivanti dall’obbligo di pubblicazione telematica di tutti i bandi e gli appalti pubblici si sfiorerebbero i 2,8 miliardi. Sono solo numeri sulla carta, ma se ci fosse un’entità in grado di farli digerire ai ministeri coinvolti, e renderli iniziati-ve concrete, sarebbe già un passo avanti.

Gianni Rusconi

Dal Governo ci si aspetta un segnale forte sul tema dell’Agenda Digitale,italiana ed europea. Le priorità sono la banda ultralarga e la razionalizzazione della Pubblica Amministrazione.

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10 | APRILE 2014

IN EVIDENZA

Big Data e in-memory computing sono le due macro tendenze dell’It moderno che hanno indotto Intel a progettare e rendere disponibile la nuova famiglia di processori Xeon E7 v2, “l’annuncio più importante degli ultimi tre anni”, come lo ha definito Carmine Straga-pede, direttore generale di Intel Italia.Per il mondo delle imprese, la novità è veramente significativa, se è vero come è vero che le prestazioni di questi chip pensati per i server sono doppie rispet-to alla generazione precedente, e che la

VELOCI ED ECONOMICI, ARRIVANO I NUOVI PROCESSORI INTEL XEON

La famiglia Intel Xeon E7 offre prestazioni doppie rispetto alla serie precedente.

LA STAMPA 3D CHE PIACE A HPLa società californiana lancerà nel cor-so dell’estate le sue prime stampanti tridimensio-nali destinate al merca-to commercial.

continuità di funzionamento è garan-tita quasi al 100% grazie all’adozione della tecnologia Run Sure di Intel. Senza entrare troppo nei dettagli tecni-ci, la nuova gamma di Cpu si pone in

diretta concorrenza con le architetture di tipo Risc, promettendo prestazioni comparabili ma con un costo totale di possesso (Tco) abbattuto fino all’80%. Tra i partner di Intel che hanno spo-sato da subito la nuova famiglia di processori ci sono ovviamente Dell, Fujitsu e Hp, che ora possono offrire ad aziende e provider sistemi con un massimo di 8 Cpu e 12 Megabyte di memoria incorporata.Nel corso della presentazione ufficia-le, Intel ha portato la testimonianza di alcuni grandi clienti (tra cui Tele-com Italia e Unipol Sai) che hanno già provato con successo le versioni di test delle nuove macchine, registrando miglioramenti in termini di prestazioni compresi tra il 25 e il 40% rispetto ai server dotati dei processori di prece-dente generazione.Luigi Bellani, infrastructure architec-ture & engineering director di Tele-com Italia Information Technology, ha addirittura espresso l’intenzione di migrare sulle piattaforme X86, nell’ar-co di due anni, più dell’80% delle ap-plicazioni attualmente in ambiente Unix. Un percorso reso oggi possibi-le anche dal più favorevole rapporto costo/prestazioni dei nuovi processor Xeon E7 v2.

“Cloud e device mobili sono la stessa cosa. Un device che non è connesso al cloud non è completo, ma un cloud senza device non serve a niente”.

Satya Nadella,Ceo di Microsoft

Lo ha confermato il Ceo di Hp, Meg Whitman, secondo cui i pro-blemi tecnici che finora hanno af-flitto questi sistemi (lentezza e qua-lità di stampa) sono stati risolti. A detta della manager, il mercato

d’elezione del printing 3D sarà in primis quello delle imprese, per le fasi di prototipazione e produzione di parti e compo-

nenti. In gioco c’è un mer-cato potenziale desti-nato a raggiungere

gli 11 miliardi di dollari en-tro il 2021.

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Una data che epocale forse non è, ma che nella storia di Microsoft sarà sicu-ramente ricordata. L’8 aprile 2014 è infatti terminato ufficialmente il sup-porto tecnico a Windows Xp, e questo significa che i computer con a bordo il vecchio sistema operativo non godran-no più degli aggiornamenti di sicurezza (le cosiddette “patch”) rilasciati perio-dicamente dal gigante di Redmond a partire dal 2001, anno del lancio di Xp. Il software, che nel mondo vanta anco-ra oggi una diffusione pari al 30% del totale dei Pc in attività, diventa di fat-to vulnerabile, e di conseguenza mol-to più facilmente esposto agli attacchi malware. Ci saranno, quindi, problemi? Sì, an-che se Microsoft ha deciso di prolun-gare fino al luglio 2015 il supporto del programma antivirus Security Essen-tials. E sono gli stessi portavoce della società a confermarlo. Carlo Mauceli,

WINDOWS XP VA IN PENSIONE: BANCOMAT, PA E PMI A RISCHIO

per esempio, digital officer in Micro-soft Italia, ha detto chiaramente che molte aziende dell’amministrazione pubblica centrale e locale non si sono messe ancora al passo migrando alle nuove versioni del software, cioè Win-dows 7 e Windows 8. Il problema non interessa ovviamente solo la PA ma anche le Pmi, le banche e gli utenti privati. Nel complesso par-liamo di circa sei milioni di macchine che in Italia girano ancora su Windows Xp, di una piccola impresa su quattro che utilizza l’obsoleta piattaforma su oltre l’80% del proprio parco instal-lato (indagine di Idc su 850 realtà) e di un 16% di consumatori che a tutto febbraio non aveva voluto saperne di cambiare computer o di aggiornare il

VODAFONE ACCOGLIE LE AZIENDE NEL LABORATORIO CREATIVO

Il vecchio sistema operativo è andato in pensione.Le aziende italiane? Non si sono preparate.

sistema operativo (sondaggio del por-tale Msn su 13mila utenti). Si diceva delle banche, e in questo caso il rischio aleggia sui circa tre milioni gli sportelli bancomat operativi nel mon-do, la maggior parte dei quali ha un’età superiore ai vent’anni e il 95% (dati di Ncr) sfrutta Windows Xp. Secondo la rivista americana Businessweek l’avve-nuta migrazione a Windows 7 prima del 9 aprile ha interessato solo il 15% degli Atm installati negli Usa. A detta degli esperti, ancora più vulnerabili, perché più esposti, sono e saranno (se non aggiornati) i Pc in esercizio nelle banche, e cioè le “macchine” che gesti-scono le movimentazioni di denaro. I correntisti sono avvisati.

Gianni Rusconi

Inaugurato l’11 marzo e costato tre milioni di euro, si chiama Vodafone Experience Center e si tratta di un laboratorio interattivo di 700 metri quadri il cui fine è quello di sviluppare soluzioni e servizi “su misura” capaci di accrescere la produttività delle imprese clienti dell’operatore. Le aziende saranno accompagnate in un percorso che va dall’analisi delle priorità strategiche fino al disegno di soluzioni (reti dati, cloud, app mobili, machine to machine) costruite sulle loro specifiche esigenze.

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12 | APRILE 2014

IN EVIDENZA

MAINFRAME, MA QUANTO MI COSTI?

LA PASTA BARILLA?SI ORDINA ALLA STAMPANTE 3D

Le aziende non lo abbandoneranno, ma dovranno sempre più mettere mano al portafoglio per sostenere spese di ag-giornamento crescenti. Pur rappresen-tando per certi versi il “passato” rispetto alle innovazioni del cloud, il mainfra-me – cioè il sistema centrale a cui ven-gono affidate le applicazioni critiche – è destinato a rimanere indispensabile per le organizzazioni almeno per un altro decennio. Lo afferma un’indagine com-missionata da Micro Focus a Vanson Bourne, nella quale sono stati intervi-stati quasi 600 professionisti It. Dov’è il problema? Secondo le stime degli intervistati, aggiornare le applica-zioni mainframe (per esempio in ottica di accesso mobile) costerà in media 11 milioni di dollari ad azienda. Solo un anno prima, un analogo studio stima-va questa previsione intorno agli 8,5 milioni di dollari. C’è poi la questio-ne del gap di competenze: il 14% del-

lo staff attualmente responsabile della manutenzione di queste applicazioni andrà in pensione entro cinque anni, e le Università non fanno abbastanza per formare le nuove leve (sottovalutando, per esempio, l’insegnamento della pro-grammazione Cobol). Valentina Bernocco

L’indagine ha interpellato in nove Paesi 590 fra chief information manager e responsabili It di aziende con oltre 500 dipendenti. Un terzo di loro è convinto che il mainframe rimarrà una tecnologia mission-critical anche dopo l’anno 2023.

La società emiliana, riferisce il sito specia-lizzato 3dprinterplans, ha avviato una sperimentazione finalizzata all’utilizzo di stampanti tridimensionali in alcuni, selezionati ristoranti. L’idea è quella di offrire ai clienti la possibilità di degustare pasta di qualsiasi forma, prodotta sul mo-mento. I test vanno avanti da due anni, in collaborazione con l’olandese Tno, e qualche stampante 3D è già in esercizio in alcuni ristoranti di Eindhoven. I di-spositivi sono ancora un po’ lenti, ma la strada del “printing food” e della perso-nalizzazione esasperata è aperta.

Office per iPad, il jolly di MicrosoftLa suite per ufficio più famosa e redditi-zia della casa di Redmond è disponibile dal 27 marzo anche per il tablet di Apple. Chi possiede un abbonamento a Office 365 può scaricare l’applicazione dall’App Store e utilizzare senza ulteriori costi Word, Excel e PowerPoint. Per chi non è già utente della suite, la versione per iPad (con iOs 7.0 e superiori) sarà accessibile gratuitamente ma solo per leggere e con-sultare i documenti online. Microsoft ha rilasciato anche gli aggiornamenti di Of-fice Mobile per iPhone e di Office Mobile per Android, completamente gratuiti per uso privato, e l’Enterprise Mobility Suite, che riunisce le soluzioni Intune e Azure Active Directory in un’unica offerta.

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Le aziende italiane spendono abba-stanza per proteggersi da attacchi e incidenti informatici? La risposta è sì e no. A margine dell’annuale rapporto stilato, in quest’ultima edizione, ana-lizzando 1.152 attacchi noti e per la prima volta anche dati rilevati dal Se-curity Operations Center di Fastweb, il Clusit (l’Associazione italiana per la sicurezza informatica) ha anche in-terpellato 438 organizzazioni, 81 del-le quali fornitrici di tecnologia. Sulle questioni di budget, il responso è in parte confortante: il 53% delle azien-de quest’anno confermerà i livelli di spesa del 2013, mentre il 47% prevede di spendere qualcosa in più. Nessuno dunque – almeno fra coloro che hanno risposto al sondaggio – intende spen-dere di meno. Ma il dato va preso con le pinze. “Le aziende che hanno par-tecipato a questa edizione del report”, precisa Alessio Pennasilico, membro del comitato direttivo del Clusit, “sono tendenzialmente medio-grandi e non affrontano il problema sicurezza solo con un firewall, ma si preoccupano anche della compliance. Come sappia-mo, il panorama italiano è composto di tante piccole e piccolissime aziende che non prevedono lo stanziamento di un

Secondo i dati raccolti e i casi ana-lizzati dal Clusit in Italia, nel 2013 sono diminuiti del 3,8% gli episodi di cybercrime e del 41,9% i casi di cyber warfare, mentre al contrario sono au-mentati gli attacchi causati dall’attivi-smo (+22,5%) e quelli di spionaggio

IL MONITO DEL CLUSIT: NESSUNO È IMMUNE DAL RISCHIO IT

Le 438 aziende interpellate dal Clusit nel 2014 confermeranno, nella metà dei casi, oppure aumenteranno il budget destinato alla sicurezza. Ma il rischio che le realtà più piccole sottovalutino il problema è reale.

l’opinione

budget per la sicurezza. E oggi, in ogni caso, molti responsabili It devono lot-tare con il management per ottenere di volta in volta una conferma del budget dell’anno precedente”. La possibilità di spesa è, dunque, uno degli elementi in gioco per determi-nare i livelli di esposizione al rischio It. Ma non è l’unico: oggi si assiste a un graduale cambiamento “culturale” all’interno delle imprese. “Quello che comincia a mutare è la visione azienda-le sulla sicurezza”, riflette Pennasilico, “e su quanto impatti, anche dal punto di vista economico, non solo sull’It ma su tutto il business”. Fra le preoccupa-

non governativo (+131%). Continuano a crescere, inoltre, gli assalti ai danni del settore pubblico (+7,5%) e soprat-tutto quelli contro il settore finanziario (+83%). Dal punto di vista delle tec-niche di assalto, crescono sicuramente quelle tradizionali, che passano dalle

vulnerabilità conosciute o da configura-zione errate (+80%), ma il vero boom ri-guarda gli attacchi complessi e sofisticati delle Advanced Persistent Threat, più che quadruplicati. Calano, invece, gli episodi attestati di phishing (-85,7%) e i cosiddetti “zero-day” (-62,5%). V. B.

zioni di manager e professionisti It, in cima alla lista c’è sicuramente il cloud, un tema che divide le aziende in due fi-loni: c’è chi lo vede come la fonte e chi come la panacea di tutti i mali, mentre la questione è certamente più comples-sa. “Oggi qualsiasi azienda è un poten-ziale bersaglio di attacchi informatici”, conclude Pennasilico, “perché questi fenomeni si riversano su ogni tipo di device e di piattaforma operativa. Non esiste soggetto che non debba iniziare a proteggersi meglio. Insomma, per dirlo con uno slogan: non importa chi sei, non importa che cosa fai e quali tecno-logie usi. Nessuno è al sicuro”.

IL BOOM DELLE MINACCE SOFISTICATE

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IN EVIDENZA

Nove mesi, al massimo, per recupe-rare l’investimento. È questa la pro-messa commerciale che Netapp fa ai suoi vecchi e potenziali clienti per l’acquisto dei nuovi storage della serie Fas8000 e del software Flexarray.La multinazionale, che di recente ha premuto sull’acceleratore per correre nella direzione dello “unified storage” (cioè l’integrazione di dispositivi di tipo e marca diversi), delle architettu-re di cloud ibrido e della partnership con i service provider, ha così sfidato imprenditori e Cio a seguire la pro-pria visione dell’It aziendale. Una vi-sione dettata da quello che viene chia-mato “software defined storage”, vale a dire sistemi che vengono configurati in modo flessibile ricorrendo ad ap-positi programmi di gestione.“Per molti versi”, ha dichiarato Ro-berto Patano, technical manager di Netapp Italia, “la nostra può essere definita una società di software e non un hardware vendor, perché la com-ponente a più alto valore aggiunto,

NETAPP PARTE ALL’ATTACCO PER VINCERE LA BATTAGLIA DEL SOFTWARE DEFINED STORAGE

nonostante la percezione del mercato, è proprio il sistema operativo”.L’ambiente Clustered Data Ontap, che nel frattempo è giunto alla ver-sione 8.2.1, è in effetti il vero patri-monio della multinazionale, lo stru-mento che oggi permette alle aziende di realizzare incrementi dei sistemi di storage in modo indolore, integrando anche “pezzi” di altri brand, e di ga-rantire la continuità operativa.In questo contesto si posizionano i nuovi prodotti appena annuncia-ti. Flexarray è proprio lo strumento pensato per realizzare il software defi-ned storage (è già integrato nell’ulti-ma versione di Data Ontap), mentre la famiglia Fas8000 incarna appieno la filosofia di Netapp: scalabilità ver-ticale, utilizzo più efficace della me-moria flash, grandi prestazioni (fino a 2,6 milioni di operazioni di input/output al secondo), grande capacità (fino a 4 Petabyte) e soprattutto un drastico taglio del 50% ai consumi energetici.

Arrivano i nuovi sistemi Fas8000, ma soprattutto un nuovo ambiente per l'integrazione di dispositivi di marche diverse.

PIRATERIA E MALWARE: IL CONTO È SALATISSIMO

Uno studio condotto da Idc in collabo-razione con la National University of Singapore evidenzia come gli attacchi informatici legati all’utilizzo di softwa-re contraffatto costino alle imprese fino a 500 miliardi di dollari l’anno solo per risolvere i problemi di malfunzio-namento di siti, reti e computer. Poco meno di due terzi delle perdite, e quin-di 315 miliardi, sono imputabili alla mano dei criminali organizzati men-tre circa il 20% dei programmi pirata presenti nelle aziende viene installato direttamente dai dipendenti.

“La sicurezza dei pagamenti mobili va gestita a livello di architettura It della banca, e non a livello di singolo device”.

Eva Chen,founder e Ceo di Trend Micro

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Rendere più belli i Google Glass: questo l’obiettivo primario alla base dell’accordo ufficializzato a fine mar-zo da Luxottica con la società di Mountain View, accordo che vedrà l’azienda italiana mettere a disposi-zione del colosso californiano tutte le competenze necessarie per svilup-pare la nuova generazione di occhia-lini intelligenti a marchio Ray-Ban e Oakley. Sodalizio di prestigio, che va inquadrato nell’ottica di una collabo-razione strategica di ampia portata, finalizzata alla creazione di dispositi-vi indossabili innovativi e iconici. In una parola, rivoluzionari. Al di là delle dichiarazioni d’intenti, si tratta di un matrimonio importante per almeno due motivi. Il primo: la casa di Agor-do si butta su uno dei fenomeni del momento, il “wearable computing” per l’appunto, e lo fa a braccetto con l’azienda che più di tutte sta spingen-do su questa frontiera delle tecnologie digitali. Un’azienda che vuole – per dirla con le parole di Astro Teller, re-sponsabile del progetto Google Glass – “convincere le persone a indossare un computer sul viso”. Il secondo: coniugare moda, lifestyle e tecnolo-gia, dando vita a un gruppo di lavoro

LUXOTTICA E LA SCOMMESSA DEGLI OCCHIALI INTELLIGENTI

Il gruppo di Agordo si lancia nelle tecnologie indossabili alleandosi con Google. E pensa anche all'e-commerce 3D.

fatto di esperti in materia di design, strumentazione e ingegneria, apre nuovi orizzonti a un’industria (quel-la degli accessori sportivi e di lusso) che ha regalato molte soddisfazioni al made in Italy. Luxottica esempio virtuoso da segui-re, quindi? Sì, in veste di azienda che, come ha ricordato il Ceo del Grup-po, Andrea Guerra, “negli ultimi anni ha significativamente investito in innovazione per strutturare piat-taforme tecnologiche e soluzioni di-gitali da combinare all’eccellenza dei suoi prodotti”. Tradizione (artigiana) e innovazione (digitale) si possono incontrare, e Luxottica può essere un autorevole testimonial di questo matrimonio. La recente acquisizione di Glasses.com, portale americano di e-commerce che permette di provare virtualmente gli occhiali in modalità 3D, del resto va in questa direzione.

LA CARTA D’IMBARCO ORASI INDOSSAPorta le firme della compagnia aerea spagnola Vueling e di Sony la prima applicazione che consentirà ai passeg-geri di avere al polso la propria carta di imbarco e tutte le informazioni ine-renti il volo. Progettata in esclusiva per lo SmartWatch 2 della casa nipponica, l’app opera tramite un codice a barre 2D ed è disponibile in download nel Play Store di Google. Fra l’altro Vueling offre, già da qualche settimana, la possibilità di utilizzare i propri dispositivi mobili du-rante tutte le fasi del volo, compresi il decollo e l’atterraggio.

Telecom Italia a tutto seedUn investimento di 4,5 milioni di euro nei prossimi tre anni (1,5 milioni all’an-no fino al 2016) in opzioni o nel capi-tale sociale delle startup più innovative in campo digital e Internet, mobile e green Ict. Questi i termini del debutto nel “seed investment” dell’ex operatore incumbent, che punta a quote di mino-ranza di nuove imprese attraverso finan-ziamenti compresi tra i 100 e i 500mila euro. Prosegue, intanto, l’attività di Working Capital, che dal 2009 a oggi ha incubato e finanziato 19 startup.

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SCENARI |

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Il successo di un segmento di mer-cato si vede anche dal fiorire di nuovi acronimi che ne identificano le soluzioni. Quello della mobilità

aziendale, termine ormai desueto e so-stituito dai nuovi Mobile Device Mana-gement (Mdm) ed Enterprise Mobility Management (Emm), è quindi in piena salute.Lo conferma anche Gartner, che assegna alla mobility la palma della piattaforma tecnologica del futuro (le “ere” prece-denti erano state dominate, nell’ordine, da mainframe, architetture client-server, Pc e Web). Si spiegano quindi le grandi

Entro il 2015 in Europa oltre 4 milioni di persone si occuperanno di applicazioni per smartphone e tablet. È solo uno degli indicatori di una transizione, sottile ma dirompente, fra il semplice utilizzo dei device portatili e la definizione di una vera strategia aziendale, che consideri i problemi di sicurezza e di privacy.

SCENARI | Enterprise mobility

IL DELICATO PASSAGGIO DA MOBILE A MOBILITY

manovre del mercato, che ha visto l’in-gresso di big come Ibm, Citrix, Sap e Ca Technologies e la nascita di outsider come Mobileiron e Airwatch, quest’ul-tima recentemente acquisita da Vmwa-re (ma tutte nel “quadrante magico” di Gartner per l’Mdm).Ma quali sono i trend che negli ultimi mesi hanno fatto esplodere un segmen-to, soprattutto sul fronte del mercato delle imprese, che per la verità era già in forte crescita? “Sicuramente l’Internet of Things, la connessione di miliardi di oggetti alla Rete”, spiega Luca Rossetti, senior business technology architect di

Ca Technologies, “ma anche l’utilizzo sempre più pervasivo dei device mobili in un’ottica che va anche oltre il Bring your own device (Byod). Non è un caso se oggi solo in Europa ci sono almeno 800mila persone che si occupano di ap-plicazioni in mobilità, un numero desti-nato a quintuplicare entro il 2015”.I numeri non si esauriscono qui: secon-do una ricerca di Vanson Bourne realiz-zata per Ca Technologies, nei prossimi tre anni, gli investimenti delle aziende italiane in soluzioni di mobilità cresce-ranno del 50%, mentre oltre il 76% dei Cio del Belpaese ha già pianificato lo

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sviluppo di una o più app.Cifre impressionanti, che però fanno subito pensare a tre temi altrettanto impattanti sull’operatività e sul busi-ness delle aziende: la sicurezza dei dati e dei sistemi informativi, la privacy degli utenti e la gestione sia dei dispositivi sia delle relative applicazioni. La sicurezza e la privacy, in particola-re, sono viste da Vanson Bourne come

il principale ostacolo, sempre in rela-zione alle imprese italiane, alla crescita del settore: il 39% degli intervistati cita infatti questo tipo di problemi (insieme alla necessità di riprogettare le strategie e le policy) come la sfida più importante all’adozione di una vera ed estesa enter-prise mobility.“Uno dei punti chiave di questo passag-gio da mobile a mobility”, dice Rossetti, “è offrire agli utenti un’esperienza traspa-rente e personalizzata, coinvolgendoli in modo emozionale ma riuscendo a man-tenere il business al centro dell’utilizzo dei device. Fattore ancora più importan-te per il definitivo successo di una strate-gia di mobility aziendale è la federazione sia dei contenuti sia delle identità, in modo da rendere il più fluido possibile l’utilizzo quotidiano e quindi l’efficacia delle soluzioni”.Secondo Ca Technologies, i pilastri di un ambiente di enterprise mobility sono sostanzialmente quattro: solide fonda-menta tecnologiche (un’architettura performante e pronta per gli sviluppi futuri), focus sulle soluzioni cloud, sem-plificazione della gestione (ad esempio integrazione di più ambienti e di più de-vice) e una suite a livello enterprise che abbracci tutte le fasi dello sviluppo di ap-plicazioni mobili e che sia perfettamente integrata nei processi aziendali.Per rispondere a queste esigenze, Ca ha introdotto a febbraio la soluzione Ca Management Cloud for Mobility, che è in realtà un insieme di tre suite: un mo-dulo Emm (Enterprise Mobility Mana-gement) che permette di gestire applica-zioni, contenuti e dispositivi, l’ambiente Mobile Devops per la cura di tutto il ci-clo di vita delle App e il framework En-terprise Internet of Things, che consente di occuparsi in totale sicurezza delle con-nessioni machine-to-machine.La suite Emm è già disponibile, così come Mobile DevOps (anche se a giu-gno arriveranno nuove componenti). Per Enterprise Internet of Things, invece, bi-sognerà aspettare ancora qualche mese.

Emilio Mango

Attaccata su più fronti, molte vol-te data per acquisita, Blackberry non molla, forte di una tradizione ineguagliabile nel segmento, ora caldissimo, della mobility. A febbra-io la multinazionale ha annunciato nuovi device, in particolare lo Z3, un full touch destinato ai mercati emergenti, e il Q20, detto anche “Classic” per via del ritorno della tastiera fisica e del tanto amato (in passato) trackpad. Ma gli annunci più importanti in un’ottica di mobili-tà aziendale sono stati quelli relativi alla piattaforma Blackberry Enterpri-se Service (Bes) 12, che arriverà sul mercato alla fine di quest’anno. Su Bes12 dovrebbero convergere tutte le piattaforme precedenti, che infat-ti saranno oggetto di una strategia di migrazione piuttosto aggressiva dal punto di vista commerciale.“La vera sfida della mobility”, ha di-chiarato Diego Ghidini, director bu-siness sales di Blackberry Italia, “non è tanto la scelta dei device, ma la loro gestione con criteri enterprise. La piattaforma Bes12, grazie anche al supporto dei dispositivi Windows Phone (che si vanno quindi ad ag-giungere a quelli Android e iOS) è ora l’unica che permette ai clienti di scegliere un solo fornitore per tutto l’Enterprise Mobility Management.

BLACKBERRY NON SI ARRENDE

Sopra, una schermata dell’ambiente Mobile Device Ma-

nagement di Ca. In basso, Luca Rossetti, senior

business technology architect di Ca Technologies

Diego Ghidini

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SCENARI |

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SCENARI | Enterprise mobility

BYOD: UN OSTACOLO CHIAMATO SICUREZZAIl 44% delle imprese europee è ancora contrario all’uso dei device per-sonali in chiave business, o lo consente solo in circostanze eccezionali. L’Italia è fra i Paesi con maggiori resistenze.

Il Bring your own device è un fe-nomeno maturo? Sì, dal lato della propensione dei dipendenti, e in

parte delle stesse aziende, a utilizzare smartphone, tablet e computer portatili personali a fini lavorativi. Meno, molto meno, lo è dal punto di vista pratico, e non certo per l’acerbità “tout court” delle tecnologie mobili. L’adozione dei modelli Byod in molte aree dell’Europa è ancora faticosa per via di altri fattori: da un lato, la difficoltà di integrare più piattaforme operative in seno ai siste-mi informativi esistenti, e dall’altro la sicurezza dei dati e delle applicazioni aziendali che risiedono e girano sui di-spositivi.Lo studio European Byod Index, condot-to, per conto di Oracle, dalla società di ricerca Quocirca su un campione di 700 aziende, si è concentrato proprio su quest’ultimo aspetto, evidenziando risultati tutt’altro che incoraggianti. Il 44% delle imprese censite si è dichia-rato ancora contrario all’uso dei device personali in chiave business o lo con-sente solo in circostanze eccezionali, mentre più della metà “confessa” di non gestire gli smartphone nell’ambito del proprio programma Byod. E ancora: poco meno di un terzo delle imprese (il 29%) ne restringe l’utilizzo ai soli dipendenti senior, il 22% vieta tassativamente la possibilità che i dati o le informazioni aziendali risiedano sui dispositivi di addetti e manager e il 20% non ha definito, per il momento, alcuna regola o policy in merito.Perché c’è ancora una generalizzata diffidenza verso l’uso dei dispositivi di

computing personali, nonostante diver-si studi confermano ritorni tangibili, sul piano della riduzione dei costi infor-matici e dell’aumento della produttività degli utenti, per chi investe nel Byod? Il perché si spiega, sembrerà banale, con la questione sicurezza. Le aziende nu-trono timori per i loro dispositivi (nel 45% dei casi), per le loro applicazioni (53%) e per i loro dati (63%). Non bastassero questi numeri a gettare ombre sul fenomeno, ecco che l’inda-gine evidenzia come molte di queste preoccupazioni siano collegate a una scarsa consapevolezza delle funziona-lità offerte dalle soluzioni di security. Un esempio? Il 37% del campione mo-nitorato non ha mai sentito parlare di “containerizzazione”, e cioè dei tool che permettono di separare i dati aziendali da quelli personali; il 22% è totalmente all’oscuro in fatto di strumenti per la gestione delle applicazioni mobili.

Aziende italiane dietro alla lavagnaCome si comportano le nostre imprese in quest’ottica? Il Belpaese, con Spagna e Portogallo, registra la maggiore diffu-sione di aziende catalogate come “op-positori” ed è, purtroppo, alle spalle di tutte le altre nazioni quanto a maturità della visione sul fenomeno Byod, scon-tando una limitata consapevolezza del fatto che la sicurezza dei dispositivi per-sonali in azienda (e dei dati critici) pos-sa essere concretamente gestita. Byod sì, dunque, ma occorre fare un passo in avanti a livello culturale. Come spesso capita in tema di nuove tecnologie.

Gianni Rusconi

MOBILE WORKER ALL’ATTACCOLa nuova generazione di dipendenti “mobile” sta modificando i modelli di lavoro tradizionali, sollecitando le aziende ad adeguarsi: lo dice una ricerca condotta su scala mondiale, su oltre 5mila intervistati, da Aruba Networks. La maggior parte dei nuovi mobile worker, il 62%, pos-siede tre o più dispositivi collegati, mentre il 57% si sente più efficace quando lavora da casa (con Usa e Regno Unito in testa ai Paesi in cui l’home office è ritenuto il modello più produttivo professionalmente) e in due casi su tre preferisce il WiFi alle connessioni su rete mobile e ca-blate. Gli esponenti della cosiddetta “GenMobile 2” si aspettano, inol-tre, che i datori di lavoro adottino le policy strutturali necessarie per garantire loro la modalità di lavora-re che preferiscono. Un terzo degli intervistati, addirittura, preferireb-be vedersi pagato dall’azienda lo smartphone preferito piuttosto che avere uno stipendio più alto del 5% o la mensa aziendale gratuita. La ri-voluzione Byod passa anche da qui.

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MOBILITÀ IN AZIENDA FRA APP E BYOD: ECCO COME AFFRONTARLA

Una strategia di enterprise mobility paga solo se...?Sulla base delle indicazioni che riceviamo dai Cio italiani emerge come la soddisfa-zione degli utenti sia fondamentale per il successo di una strategia di questo tipo. Dal punto di vista aziendale, la soluzione si ripaga velocemente grazie alla maggio-re efficienza e produttività dei processi di lavoro. Diverso è il caso di una strategia mobile indirizzata a clienti e consuma-tori, dove una user experience semplice e coinvolgente diventa preponderante. Un’applicazione di servizio deve essere un lavoro congiunto degli esperti di marke-ting, dei sistemi informativi, dei designer di app: non si deve costruire semplice-mente riportando sul mobile l’operatività che si può avere su un sito Web.

Quali i passi da compiere per implemen-tare un progetto Byod?Il Byod, quando si estenderà, potrà de-terminare impatti positivi e aumentare di vari ordini di grandezza la produttività

Il Byod, nelle aziende italiane, è dif-fuso oppure no? La domanda apre il campo a una discussione certo non

priva di contraddizioni. E una survey condotta nel 2013 da The Innovation Group, come ci conferma Elena Va-ciago, research manager della società di consulenza milanese, lo dimostra. Dei 70 Cio intervistati, appartenen-ti a medie e grandi imprese di diver-si settori verticali, l’82% permette o prevede il Bring your own device, ma l’utilizzo del dispositivo mobile per-sonale è concesso, in media, solo al 7% della forza lavoro complessiva. Che cosa si desume da queste percen-tuali? Che l’impatto del Byod non è an-cora significativo e che attività specifi-che per questa “tecnologia” sono svolte solo in una minoranza dei casi.

La mobility è considerata una tecnologia innovativa dalla maggior parte dei ma-nager di linea. Anche dai Cio?L’area It è profondamente consapevole dell’importanza del nuovo paradigma mobile, anche perché è partita molto prima del business sul tema della mobi-lity, quando ancora venivano usati ter-minali ad hoc da fornire alla forza ven-dita e agli addetti attivi sul territorio. Quello che è cambiato negli ultimi anni è l’effetto della disponibilità di app su smartphone e tablet molto più efficaci e semplici da utilizzare. È la cosiddetta consumerizzazione dell’It, una tendenza che può essere di vantaggio anche per i Cio, se utilizzata per sollevare lo staff informatico da una serie di incombenze legate all’assistenza degli utenti.

Didascalia

La consumerizzazione dell’It, le policy di gestione dei device personali, i costi per lo sviluppo e il mantenimento delle applicazioni: il lavoro dei Cio si complica. Ma le soluzioni tecnologiche non mancano.

sul lavoro, ma deve essere inserito in una strategia di mobility e di security. Si par-te da un’approfondita conoscenza di che cosa fanno i dipendenti, di quali termi-nali utilizzano, di quali sono le loro pre-ferenze anche in termini di utilizzo per-sonale, e si arriva ad allineare le misure di sicurezza per il Byod con le procedure interne, variabili da settore a settore.

La spesa per lo sviluppo delle app è spes-so vista come un ostacolo alla mobility. Che cosa significa?Il costo delle app, non solo in fase di sviluppo ma anche di successivo mante-nimento, è spesso rilevante e obbliga le aziende a fare delle scelte, per esempio concentrarsi su un minor numero di si-stemi operativi. La situazione di mercato costringe a valutare più alternative, non ultima quella che si è affermata in Italia per il sistema Windows Phone, legata al successo dei Lumia di Nokia, a discapito dei più costosi iPhone di Apple.

Gianni Rusconi

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CON DEVICE MOBILE DI PROPRIETA’ DELL’UTENTE, PERMESSO DALL’AZIENDA (BYOD)

CON DEVICE MOBILE FORNITO DALL’AZIENDA

LA DIFFUSIONE DEL BYOD - Fonte: The Innovation Group, 2013

Quota dei mobile workers rispetto al totale della forza lavoro

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SCENARI |

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IMPRESE E INNOVAZIONE, A QUANDO LA SVOLTA?

L’intesa siglata a metà marzo tra Piccola Industria e Smau è un buon segno. Sperando che si tratti per davvero di un soda-

lizio capace di sviluppare un ecosistema in cui far convergere, all’insegna del digi-tale, le startup e le Pmi imprese italiane. Il monito lanciato da Alberto Baban, presidente dell’organismo che fa capo a Confindustria, è di quelli da segnarsi in rosso: “Una nuova occasione per accele-rare il passaggio verso quel neomanifat-turiero che può dare all’Italia un futuro vincente. Grazie alle tecnologie digitali, infatti, è possibile raggiungere un mer-cato vastissimo in tempi rapidissimi, mi-gliorando e accelerando l’internaziona-lizzazione e l’innovazione delle imprese”. Ricetta, sulla carta, perfetta. E il ragiona-meno non vale solo per le Pmi nostrane. Jean-Philippe Courtois, presidente di Microsoft International, ha ricordato a un recente incontro organizzato da Asso-lombarda i dati di uno studio condotto da Boston Consulting Group: ebbene, se più imprese utilizzassero le soluzioni Ict si genererebbe una crescita aggregata di ricavi pari a 770 miliardi di dollari e 6,2 milioni di nuovi posti lavoro in soli cinque Paesi, ovvero Stati Uniti, Germa-nia, Cina, India e Brasile. Tale effetto sarebbe replicabile in tutte le altre eco-nomie del mondo, compresa la nostra, e questo perché esiste una stretta corre-lazione tra investimenti in innovazione e crescita. Le piccole e medie imprese italiane che hanno abbracciato il digi-tale e le nuove tecnologie (cloud, mobi-le, business intelligence e social) hanno registrato nel periodo 2010-2013 una

Aziende sprovviste di It manager e addirittura di una strategia Web, scarsa propensione a investire. Sono alcuni degli ostacoli all'adozione di tecnologie che gioverebbero al business.

SCENARI | Pmi

crescita del 12% sui ricavi e del 9% in termini di occupazione rispetto a quelle che le utilizzano poco.

I limiti (tecnologici e non) delle imprese italianeIl punto, tristemente noto, è che il tes-suto delle Pmi italiane non è uniforme-mente sensibile a certi richiami. Nel 42% dei casi, per esempio, e lo dice un’indagine Ipsos Mori, sono sprovviste di un It manager mentre solo il 56%, stando a a una rilevazione a campione di Doxa, è sul Web per fare business. C’è quindi ancora una buona metà di picco-le imprese del Belpaese che non si avvale internamente di competenze specifiche in materia tecnologica e che non crede

nell’efficacia degli strumenti di marke-ting ed advertising digitale. Il rapporto fra Pmi e nuove tecnologie è, per certi versi, lo specchio della contraddizione tutta italiana fra la semplice propensione all’uso e l’utilizzo concreto di tool, pro-dotti e servizi digitali. Forse la fotografia più realistica della si-tuazione arriva da uno studio dell’istitu-to Oxford Economics, secondo cui l’in-novazione è vista dal 46% delle imprese come strumento per il raggiungimento dell’efficienza e per il contenimento dei costi. Ma il 47% delle realtà censite af-ferma di investire in innovazione tecno-logica solo quando esiste un chiaro ritor-no sugli investimenti.

Piero Aprile

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UNA NUOVA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE GUIDATA DALLE TECNOLOGIE DIGITALI

fatture in piccoli volumi e in sintonia con le richieste di personalizzazione del mercato. Alcune applicazioni industriali di successo mostrano come la tecnologia sia addirittura pronta anche per produ-zioni di media serie di componenti e prodotti finiti. L’americana Ge Aviation, per esempio, realizza e utilizza in eserci-zio circa 100mila pezzi all’anno tramite stampa 3D, mentre l’Italia, quasi a sor-presa, detiene circa il 4% delle macchine professionali per la stampa tridimensio-nale (con prezzo superiore a 5mila dol-lari) globalmente installate, superando Francia, Spagna, Svezia e Canada.

Sebbene diversi segnali sugge-riscano che la crisi del sistema produttivo italiano è ormai alle

spalle, è altresì evidente che lo scenario competitivo in cui le aziende superstiti si trovano a operare è radicalmente dif-ferente rispetto al contesto pre-crisi. E questo per almeno due motivi principa-li: la modifica degli equilibri geografici dei mercati mondiali, in cui la Cina è divenuto il primo Paese di sbocco per molti comparti industriali (automobili-stico e tecnologico in primis), e i diversi comportamenti di acquisto del cliente finale, sempre più orientato a richiedere prodotti personalizzati e, molto spesso, da progettare e realizzare ad hoc.Alla luce di questo mutato scenario, fonti autorevoli quali The Economist e McKinsey Global Institute hanno acce-so i riflettori su un insieme di tecnolo-gie digitali, viste come leve “disruptive” e con impatti potenziali così grandi da poter realmente rivoluzionare il modo di produrre e quindi di fare impresa. Di che cosa si tratta? Stampa 3D, Internet delle cose, social manufacturing, realtà virtuale, realtà aumentata, intelligenza artificiale e nanotecnologie. È davvero possibile che questi filoni tecnologici (in particolare i primi due) stiano innescan-do una nuova rivoluzione industriale? Forse sì, e ci sono vari indizi a supporto di tale tesi. La stampa 3D rappresenta di per sé una rivoluzione, che permette di passare di-rettamente dalla fase di design a quella di produzione, eliminando i passaggi intermedi di realizzazione di utensili e stampi e garantendo all’azienda la con-venienza economica associata a mani-

Andrea Bacchetti

Massimo Zanardini

Anche le Pmi, e non solo le grandi aziende, possono “democratizzare” le attività manifatturiere sfruttando tecnologie come la stampa 3D, la realtà virtuale o l’Internet delle cose. Ecco come.

Grazie all’Internet delle cose, invece, tutti gli oggetti possono diventare intel-ligenti, e quindi in grado di raccogliere informazioni dall’ambiente circostante, modificare il proprio stato e agire su quello di altri oggetti interconnessi.A oggi solo l’1% degli oggetti è connes-so, ma entro il 2020 si stima che saranno 50 miliardi. Con quali applicazioni e be-nefici per l’industria? Maggiore control-lo sui processi di produzione, completa tracciabilità dei materiali lungo la filiera, raccolta di informazioni sulle prestazioni dei prodotti durante il loro esercizio. Il caso del produttore di turbine Rolls Royce è eclatante, nella misura in cui mostra come sia possibile passare da un modello di business orientato al pro-dotto a uno rivolto, invece, al servizio: i clienti non acquistano più la turbina in quanto oggetto fisico, bensì pagano le ore di volo della stessa, i cui parametri di utilizzo sono monitorati grazie alla sen-soristica di cui sono dotate. I casi citati sono relativi a esperienze pro-gettuali di grandi o grandissime aziende. La convinzione di fondo, però, è che la rivoluzione associata a queste tecnologie possa davvero venire (anche) dal basso e possa essere utilizzata dalle Pmi come leva competitiva. A patto che ci sia reat-tività nell’agire. Tutti gli analisti, infatti, sono concordi nell’affermare che questa nuova rivoluzione industriale sarà più rapida delle precedenti. Chi non saprà muoversi, e in fretta, verrà inesorabil-mente spazzato via.

Andrea Bacchetti eMassimo Zanardini,Università di Brescia

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SCENARI |

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SCENARI | Telemedicina

Accedere a esami, prescri-zioni, radiografie, referti e quant’altro. Online. Anche via smartphone o tablet.

Questa è la telemedicina, queste sono le possibilità offerte dalla digitalizzazio-ne della cartella clinica, dal processo di informatizzazione e dematerializzazione che ha coinvolto la sanità pubblica e pri-vata, promettendo (e in vari casi anche portando) maggiore efficienza nei servi-zi di cura. Ci sono però diverse ombre che rallentano lo sviluppo del progetto telemedicina in Italia, “ostaggio” di un pericoloso vuoto normativo. L’intesa fra Stato e Regioni sulle linee guida per armonizzare i modelli di erogazione e fruizione dei servizi a distanza (dalle prenotazioni online alla cartella clinica elettronica) è stata finalmente raggiunta e si spera possa segnare la fine dell’era delle tante sperimentazioni mai messe a sistema. Digitalizzare la sanità nazionale, utilizzando in modo diffuso le tecnologie

La digitalizzazione della cartella clinica e la telemedicina migliorano i processi di cura e il servizio ai pazienti. Ma c’è ancorauna sfida da vincere: quella dell'efficienza.

Ict, genererebbe risparmi più che consi-stenti, ovvero (secondo l’Osservatorio del Politecnico di Milano edizione 2013) di circa 7 miliardi di euro l’anno.

Un servizio sostenibileLa valenza “produttiva” della telemedi-cina verte sostanzialmente sulla capacità di mantenere a casa il paziente affetto da malattia cronica, facilitando il rapporto fra territorio e struttura ospedaliera e, soprattutto, riducendo gli spostamen-ti. Per soddisfare tali obiettivi entrano in gioco sistemi più o meno complessi come la telecardiologia, la telediabeto-logia, la teleassistenza domiciliare per gli anziani o i teleconsulti clinici tra gli operatori sanitari. Di aziende specializ-zate che hanno fatto dell’erogazione di servizi direttamente al paziente (o a isti-tuzioni sanitarie private o pubbliche) la loro attività primaria ce ne sono ancora poche. La strada però, secondo gli esper-ti, è tracciata. Anche perché la sanità

deve essere un servizio sostenibile per le finanze pubbliche: l’incidenza della spesa sanitaria sul Pil, negli Usa, ha superato il 15% mentre in Europa è tra l’8 e il 10%. E continua a crescere. Trovare una risposta tecnologica, nonché a livello di processo, alla problematica è vitale. In Italia, se si utilizzasse in modo esteso la cartella clinica elettronica, si potrebbe evitare di spendere oltre un miliardo di euro l’anno, 860 milioni grazie alla de-materializzazione di esami e radiografie e 370 milioni tramite la distribuzione dei referti via Web. Ben tre miliardi di euro verrebbero, invece, risparmiati grazie alla deospedalizzazione dei pazienti cronici. Numeri che però si scontrano con altri numeri, quelli – in calo – della spesa in Ict per la sanità, scesa nel 2012 a 1,23 miliardi di euro. La strada della teleme-dicina è appena iniziata; i servizi cloud, gli open data e gli strumenti di analisi predittiva ne tracciano il futuro. Ma van-no adottati. P. A.

LA SANITÀ DIVENTA SMART E VUOLE ESSERE VIRTUOSA

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LA TELEMEDICINA CHE C’È MA CHE (ANCORA) NON PIACE

consentirà a milioni di loro concittadini di fare lo stesso senza spostarsi, contri-buendo a ridurre l’impatto ambientale dei voli a lungo raggio. Se oggi siamo costretti a sopportare lunghe code in ospedale per conoscere l’esito di una ba-nale radiografia, domani la riceveremo in modo semplice via email sul nostro account personale. Se oggi dobbiamo spendere 50 euro per fare una visita di controllo dal dentista, domani li rispar-mieremo del tutto collegandoci con il medico tramite un’app fornita gratuita-

Agli italiani la medicina a distan-za non piace. A prima vista par-rebbe una pessima notizia per

chi progetta e vende tecnologie capaci di aiutare i pazienti a guarire e a curarsi più in fretta, e con un’efficienza maggiore. Miliardi di euro investiti sembrerebbero pronti a finire in una bolla di sapone e la telemedicina, soprattutto nei suoi svilup-pi più recenti, destinata a rimanere lon-tana da una diffusione reale sul territorio. Ma sono migliaia i ricercatori che lavo-rano quotidianamente in questo settore. Così come migliaia sono gli esperimenti, i progetti pilota e le soluzioni già ope-rative. E si tratta di meccanismi che funzionano davvero, che davvero sono in grado di curare non un paziente ma decine, migliaia, potenzialmente milio-ni, con un incremento di efficienza che secondo Price Waterhouse Cooper con-sentirebbe all’Europa di risparmiare nei prossimi tre anni 99 miliardi di euro.Se oggi gli emiri arabi volano negli Stati Uniti per farsi curare nei migliori ospe-dali newyorkesi, domani la telemedicina

Enrico Tantussi

In Europa, nell’arco dei prossimi tre anni, il settore sanitario potrebbe risparmiare 99 miliardi di euro grazie alle nuove tecnologie. Ma serve un passo avanti. Dei pazienti.

mente dal Servizio Sanitario Nazionale.Tutto questo potrebbe già accadere oggi. Ma non accade. E il perché, al di là delle problematiche (non certo trascurabili, ma risolvibili) legate agli investimen-ti in tecnologia, dipende in gran parte proprio da quel pregiudizio naturale con cui ci avviciniamo alle novità, alla tecnologia che non conosciamo, all’in-novazione. Ci sono voluti decenni, ma oggi la tele-medicina è una realtà. Qualunque ospe-dale, qualunque Asl, qualunque centro di cura privato può acquistarla e iniziare a farne uso. Da subito. Sono i pazienti a non essere ancora pronti. Gli stessi che hanno in tasca almeno un telefono cellu-lare, lo stesso telefono cellulare verso cui si era tanto diffidenti non più di un de-cennio fa. È per questo motivo che, oggi più che mai, investire nella telemedicina è fondamentale, tanto per chi la produce quanto per chi, presto o tardi, la userà.

Enrico Tantussi, country manager di Econocom Italia

I BIG DATA PER L’HEALTHCARELo studio, condotto da MeriTalk, un’associazione americana pubblico-privata specializzata in tema di e-go-vernment, guarda solo agli Usa ma è indicativo di una nuova tendenza in atto. Quella che vede i Big Data ave-re un impatto crescente nel settore della sanità. Ad alimentare il feno-meno contribuiranno, in particolare, tecnologie quali il “mobile health”

e il machine to machine. Per il 63% dei dirigenti sanitari intervistati, i grandi dati aiuteranno a monitorare e gestire più efficacemente la salute della popolazione, mentre il 60% è dell’idea che aumenterà la capacità di fornire cure preventive. Più della metà degli intervistati, il 59%, ritie-ne che il raggiungimento dei propri obiettivi nei prossimi cinque anni dipenderà dal saper trarre valore dai Big Data. E ancora, un’agenzia federale su tre afferma di aver lan-

ciato almeno un’iniziativa in tal senso per migliorare la cura dei pazienti, ridurre i costi di assistenza e aumen-tare le diagnosi precoci. Per contro, solo una su cinque si dice già pronta a lavorare con le tecnologie abilitanti per i Big Data e poche (meno di un terzo) hanno investito in soluzioni per ottimizzare il data processing, preparato il personale It a gestire e analizzare i Big Data e sensibilizzato il management rispetto a queste te-matiche.

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SCENARI | Software defined enterprise

Per capire quale potrebbe essere il prossimo paradigma vincen-te del mondo It bisogna con-centrarsi sul software. Questa,

in sintesi, la ricetta di Alberto Bullani, country manager di VMware Italia, alla guida della filiale di una delle aziende che meglio hanno saputo interpretare (e indirizzare) i cambiamenti delle in-frastrutture tecnologiche negli ultimi dieci anni. Naturale, quindi, chiedere a lui di spiegare più in dettaglio che cosa ci aspetta, a livello di It in azienda, nel prossimo futuro.

Qual è il segnale più importante fra i tan-ti che arrivano in questi mesi dai fornitori di tecnologia?L’intelligenza dei sistemi si sta spostan-do dai chip, e quindi dal firmware, al software. È questo, sicuramente, il pas-saggio più importante per capire che cosa ci aspetta. Sono quei fenomeni che ricadono sotto il nome di “software defined datacenter” o di “software defi-ned network”, ma che noi preferiamo etichettare più in generale con la for-mula “software defined enterprise”, che dà più l’idea del cambiamento in atto anche nei processi aziendali e nel time-to-market.

Quindi l’hardware cambierà di conse-guenza?Certo, si va nella direzione di un har-dware il più standard possibile, con ar-chitetture x86 e storage opportunamen-te suddiviso tra memoria flash, molto performante, e dischi a basso costo. Ma l’importante, ripeto, è che l’intelligenza non sia più “cablata” nei circuiti bensì inserita nel software, in modo da poter rendere più flessibili i sistemi.

Trasferire l'intelligenza dall'hardware al software. È il segreto delle nuove architetture flessibili che permettono di riallocare le risorse in tempi brevissimi. La visione di VMware.

E quali sono i vantaggi di queste archi-tetture?Se pensiamo alle reti, vediamo che gli apparati specializzati e complessi, i brid-ge e i router, fanno benissimo un solo mestiere. Se invece posso contare su macchine su cui riprogrammare le Cpu via software, riesco a usarle in modo flessibile, destinandole di volta in volta a compiti diversi dove c’è più necessità di potenza. Per fare un esempio, se ho a disposizione mille di questi dispositivi “general purpose”, un giorno ne posso utilizzare 500 per governare storage e reti e 500 come server. Il giorno dopo, se dovessi avere necessità di maggiore po-tenza di calcolo, potrei riprogrammare una parte delle macchine per destinarne 600 alla funzione di server. È un concet-to molto semplice ma estremamente di-rompente, perché tocca il core business di tanti fornitori di sistemi. D’altronde, le grandi organizzazioni di successo, come Google, eBay e Facebook stanno già operando in questo modo.

In questo contesto, che fine faranno se-condo lei i “sistemi ingegnerizzati”, che

ultimamente sono molto spinti da alcuni big dell’informatica?Naturalmente i sistemi ingegnerizzati, che fanno benissimo un singolo com-pito (ad esempio la gestione dei data-base), possono coesistere con le nuove architetture. Il nostro software, peraltro, funziona anche su quei dispositivi, ma il loro utilizzo penso sarà limitato ad alcuni ambiti verticali: il nuovo paradigma della “software defined enterprise” è pervasivo.

In Italia a che punto siamo con questo tipo di architetture?Siamo indietro, anche se sul fronte della virtualizzazione il nostro Paese non ha nulla da invidiare agli altri. Ci sono molti bei progetti di software defined datacen-ter, sia per la Pubblica Amministrazione sia per imprese private, ma al momento c’è ancora un po’ di inerzia nel passare dalla carta all’attuazione. I più interessati a queste formule flessibili di gestione dei sistemi sono quelli che hanno picchi irre-golari di lavoro: pensiamo allo streaming audio e video o agli editori di testate, giornalistiche che il lunedì hanno più ac-cessi che in tutto il resto della settimana.

La formula del cloud ibrido sembra si adatti meglio delle altre alla software de-fined enterpise. È d’accordo?Certamente, il cloud ibrido è l’evoluzio-ne più naturale in un’ottica “software de-fined”. La nostra idea è che i nuovi stru-menti come quelli presentati da VMware costruiscano un ponte fra il data center aziendale e i provider esterni. Il risul-tato è una gestione senza soluzione di continuità, estremamente fluida, nello spostamento dei carichi di lavoro tra un ambiente e l’altro. Una sorta di data cen-ter elastico.

LA FLESSIBILITÀ È SOFT

Alberto Bullani

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I BIG DATA DIVENTANOINTELLIGENCE

I Big Data sono ormai una realtà. Ma non la stessa per tut-te le aziende o tutti gli utenti. L’esplosione dei dati si tra-duce infatti in problemi e opportunità. Secondo un recen-te sondaggio Gartner condotto su 720 aziende, relativo ai piani di investimento in raccolta e analisi dei Big Data, quasi due terzi hanno intenzione di partire quest’anno, con le imprese di comunicazione e finanza in pole posi-tion. La società di ricerche indica che il 2013 è stato l’an-no delle sperimentazioni e delle prime implementazioni: meno dell’8% degli intervistati conferma di aver adottato soluzioni Big Data, il 20% le sta sperimentando, il 18% sta sviluppando una strategia, il 19% sta raccogliendo informazioni e il restante 35% non ha ancora fatto nulla.

Si tratta, quindi, di una fase critica nell’evoluzione dei Big Data. La questione non riguarda solo la scelta di quali dati conservare e dove, ma come estrarne valore. E poi come proteggere, organizzare e accedere a queste informazioni, diversificate ma critiche, che sempre più includono email e documenti, ma anche file rich media ed enormi repository di dati a livello transazionale?

Al centro di una strategia Big Data di successo vi è la capacità di gestire i diversi requisiti di conservazione e accesso, abbinati a diverse fonti e gruppi di utenti. Molte organizzazioni stanno adottando una politica di “collect everything” sulla base del fatto che lo storage cloud-ba-sed è economico e che i dati avranno un valore a lungo termine. Ma la realtà è che, sebbene si possa pensare di archiviare tutti i dati nel cloud, anche con connessioni ra-

TECHNOPOLIS PER COMMVAULT ITALIA

pide recuperare 5 TB di dati richiederebbe tempi troppo lunghi. Inoltre, i costi del cloud sono in crescita, mentre le ancora più economiche opzioni di backup su nastro in outsourcing comportano comunque un aumento nelle spese di energia e gestione.

Infine, l’impatto dei dati inutilizzati archiviati su storage primario va ben oltre i più elevati costi di backup, e l’ac-cesso difficoltoso degli utenti porta a inefficienze operati-ve ed eleva il rischio di non-conformità.

Per conservare le informazioni ed evitare l’esplosione dei volumi di dati, le aziende devono impiegare un approccio strategico per archivio e backup. Cancellando la sorgente locale del dato e spostandola su un repository virtuale, un’organizzazione è in grado di evitare duplicati e incoe-renza, pur garantendo che le informazioni possano essere recuperate in modo tempestivo e semplice.

Il modello di conservazione intelligente deve essere sup-portato da un efficace recupero dei dati. Il cuore di questo processo è l’indicizzazione del contenuto, che permette agli utenti di applicare semplici ricerche in base a parole chiave per accedere ai dati. Associare policy di storage intelligenti all’indicizzazione riduce i volumi di dati, per-mette alle aziende di utilizzare i media storage più appro-priati per ogni oggetto e facilita l’accesso a informazioni business critical.

Le chiavi per trasformare i Big Data in intelligence sono contenuto e contesto. Gestendo la conservazione dei Big Data e lo storage sulla base del contenuto e del suo va-lore intrinseco per il business, le imprese potranno sfrut-tare tali dati non solo per problemi contingenti ma per migliorare la conoscenza strategica. Dalla previsione di domanda di nuovi prodotti e servizi alla trasformazione della velocità con la quale ciascun utente può recuperare i documenti aziendali, le imprese che pensano dal primo giorno alle strategie di conservazione dei dati saranno quelle meglio posizionate per cogliere le opportunità del-la vision Big Data.

Rodolfo Falcone,country manager di CommVault Italia

Rodolfo Falcone

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TECHNOPOLIS PER BT E CISCO

I MANAGER VOGLIONO LA VIDEOCOLLABORATION

Sempre più, oggi è di fondamentale importanza per gli imprenditori riuscire prendere le decisioni migliori nel modo più tempestivo. Non sempre è possibile farlo attraverso incontri di persona, e quindi sta di-ventando molto chiaro che chi saprà sfruttare al meglio l’intera gamma dei canali di comunicazione e collaborazione godrà di un innegabile vantaggio competitivo. Una recente ricerca condotta da BT (British Telecom), che ha coinvol-to in tutto il mondo mille executive di grandi aziende nei principali set-tori, mostra un crescente interesse per l’Unified Communication, e una tendenza per cui le conference call, audio e video, stanno diventando frequenti quasi quanto le riunioni tradizionali. Il 58% degli amministra-tori delegati e dei direttori generali, per esempio, fa in media più di una telepresence a settimana. L’indagine BT mostra anche che l’84% dei manager stanno chiedendo soluzioni di Unified Communication sempre più integrate con i sistemi esistenti di instant messaging, email, telefo-no, videoconferenza, soluzioni che li aiutino a essere più efficienti e allo stesso tempo più flessibili.Oggi più che mai non si tratta solo di acquistare un dispositivo o un pez-zo di software, ma si tratta di fare in modo che gli investimenti esistenti siano intercorrelati e di far confluire in un unico ambito, efficace e sicu-ro, tutti gli strumenti e i canali così da consentire di risparmiare tempo e denaro, migliorando il benessere dell’individuo nel “business as usual”.Il nuovo portfolio BT One offre un unico sistema per tutti i dispositivi, un’unica soluzione per tutte le piattaforme legacy e una sola rete glo-bale per gli utenti in tutto il mondo.

BT è anche leader nella fornitura e gestione (24x7) di servizi di video-conferenza in telepresenza immersiva (Full HD), supportando attraverso la sua piattaforma di Global Video Exchange (GVE) l’impressionante numero di 25mila endpoint registrati. Al di là di una rete affidabile e potente, la forza della proposizione di Unified Communication di BT risiede nella solida esperienza di lavoro con partner quali Cisco.“Cisco Jabber, alla base della piattaforma di comunicazione unificata BT One Cisco”, dichiara Michele Dalmazzoni, collaboration architecture leader di Cisco Italia,“è ora disponibile anche quando non si è connes-si alla Vpn aziendale, per garantire, con la massima semplicità d’uso un’eccezionale esperienza ovunque ci si trovi. Oggi, infatti, è essenziale assecondare la necessità di mobilità e collaboration, perché i vantaggi di business sono evidenti: dalla possibilità di lavorare conciliando vita privata e professionale, alla capacità di accedere e condividere informa-zioni senza limiti e preclusioni o vincoli temporali. A tale proposito ab-biamo integrato l’innovativa funzionalità beta Intelligent Proximity nei nuovi sistemi di TelePresence recentemente annunciati. Grazie a essa il sistema video di Cisco è in grado di rilevare qualsiasi smartphone e ta-blet portato in riunione, e consente all’utente di aggiungerli come parte dell’esperienza. Una volta abbinati, l’utente può facilmente visualizzare i materiali condivisi, salvare le slide desiderate e rivedere i contenuti precedentemente condivisi senza chiedere al presentatore di tornare indietro – tutto direttamente dallo schermo del dispositivo mobile. Si tratta di un modo completamente nuovo di rendere disponibile l’espe-rienza video collaborativa anche ai dispositivi mobile”.“Oltre a un portfolio in continua evoluzione sulla parte video,”, sottoli-nea Enrico Baricchi, conferencing sales specialist Emea di BT Global Services, “dove BT certifica i nuovi prodotti Cisco, tra cui Jabber e We-bEX, per inserirli in un ambiente gestito e sinergico alle installazioni e tecnologie esistenti, l’alta qualità è diventata un concetto finalmente applicabile anche alle audio conferenze. Sono finiti i tempi in cui queste erano un’esperienza acustica a volte frustrante dove, con fatica si riusci-va ad ascoltare gli interlocutori. BT ha stretto una partnership in esclu-siva con Dolby, da cui abbiamo ereditato una serie di caratteristiche uniche: soppressione dei rumori di fondo, virtualizzazione degli speaker, qualità audio in alta definizione, il tutto calato su una piattaforma BT MeetMe già scelta delle più grandi multinazionali fino alle aziende di professionisti per la completezza e flessibilità dei suoi servizi”.

www.bt.com/italiawww.cisco.com/IT

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Videoconferenza, telefonia Voip, instant messaging, applicazioni per la condivisione di contenuti e progetti: sempre più le aziende di ogni dimensione stanno adottando le tecnologie che annullano le distanze. Incrementando la produttività.

SPECIALE | Unified communication and collaboration

COMUNICARE DI PIÙPER LAVORARE MEGLIO

Idc definisce la Unified communica-tion & collaboration, o Ucc, come l’integrazione di diverse tecnologie che comprendono le connessioni

voce aziendali e le applicazioni per la col-laborazione. Al primo gruppo apparten-gono i “customer premise equipment” (dotazioni e sistemi presenti in azienda) e i servizi voce su IP, come il VoIP, la Unified communication in hosting e la Unified communication-as-a-service, o Ucaas; del secondo fanno invece parte i servizi di messaging, email, telepresence, videoconferenza e i social network azien-dali.Si tratta, in pratica, di “una piattaforma dove le funzioni di comunicazione one to one si fondono, perdono la loro ca-

ratteristica in termini di accessibilità e di apparati diversi, e devono essere inglo-bate in un sistema unico senza confini o limitazioni legate al tipo di device, ai costi e al luogo in cui i soggetti si trova-no”, afferma Daniela Rao, Tlc research & consulting director di Idc Italia. “Le aziende medio-grandi stanno affrontan-do una trasformazione nelle loro comu-nicazioni. Dapprima, voce, video e dati erano appoggiati su piattaforme, device e sistemi operativi diversi. La mobilità è il driver di questa evoluzione, ma centrale è il ruolo della voce. Su questo nessuno è disposto a fare sconti in merito al livello del servizio, tanto che il 40% della spesa è dedicato alla qualità e alla gestione dei servizi voce fissi e mobili, con una forte

richiesta di efficienza”. Secondo l’Hype Cycle di Gartner, che prende in esame le tecnologie chiave del-la Unified communication & collabora-tion e stila previsioni circa l’effetto che avranno sulle prestazioni in ambito con-sumer e business nei prossimi dieci anni, il 70% di queste maturerà entro cinque anni e il 60% avrà un elevato impatto se la loro implementazione sarà guidata da vere esigenze di business. Ma quali sono? Da uno studio commissionato da Ricoh a Forrester Consulting emerge come le nuove generazioni di professionisti abbiano la necessità di strumenti per la collaborazione, quali l’instant messa-ging e la videoconferenza, per gestire le comunicazioni in maniera integrata e in

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tempo reale. “Parallelamente a questa esigenza, le imprese si stanno rendendo conto delle potenzialità insite in un ri-pensamento delle comunicazioni viste in quest’ottica”, sottolinea Davide Oriani, Ceo di Ricoh Italia, “Nelle aziende ita-liane la diffusione delle soluzioni di Uni-fied communication & collaboration è in forte crescita, anche grazie a un’offerta tecnologica che è ormai completa”.

Previsioni di crescitaIdc stima che a livello globale il mercato delle soluzioni Ucc (apparati, software middleware e applicativo) abbia genera-to nel 2013 ricavi in crescita dell’8,8%, superando i 19 miliardi di dollari, men-tre i ricavi sui servizi professionali Ucc

hanno segnato un incremento del 5,4%, arrivando a 6,7 miliardi di dollari. Nel periodo 2013-2017, sempre a livello mondiale, è prevista una crescita media annua dei ricavi pari al 10%. Parlando di dimensioni del mercato più ampio delle tecnologie Ucc (comprese le soluzioni, le applicazioni e i servizi business), le stime Idc parlano di oltre 21,5 miliardi di dol-lari di fatturato nel 2014. E nei prossimi due anni i responsabili dei dipartimenti It delle grandi aziende spenderanno 53 milioni di dollari per servizi di supporto al piano di comunicazione e collabora-zione unificata, visto come opportunità strategica di crescita aziendale: questo in base alle previsioni riportate nello Studio Globale Ucc 2013 che Dimension Data

L’Italia: un mercato maturoDai dati emersi dall’indagine di Di-mension Data-Ovum, l’Italia può essere considerata un mercato Ucc maturo, in particolar modo se rap-portata allo scenario globale, in merito all’adozione di soluzioni Ucc come Lync telephony, team wor-kspace, content tool ed enterprise social software. La telefonia IP tra le aziende italia-ne ha una penetrazione pari al 78%,

contro una media globale del 75%. I decision maker nostrani si dimostra-no interessati all’implementazione di standard Ucc (unified messaging, presenza, soft phone), ma ancor più al mobile Ucc, con un quarto di tutti gli intervistati che sostiene di ave-re piani per connettere i dispositivi mobili a una piattaforma corporate Ucc via mobile client nei prossimi due anni.

ha commissionato alla società di ricerche Ovum. Notevoli opportunità anche in Italia, dove nelle grandi aziende i servizi base hanno raggiunto una buona penetrazio-ne (circa 6-7% del totale della spesa in servizi Tlc), sono aumentati i volumi e si sono ridotti i prezzi. Secondo Marco Pennarola, responsabile marketing en-terprise di Fastweb, “Per i servizi di Uni-fied communication evoluti c’è ancora ampio potenziale di crescita. In futuro, infatti, è attesa una risalita della spesa, dovuta sia al ricambio tecnologico delle centraline telefoniche Pbx, sia all’utilizzo della Ucc nel cloud. La quota di merca-to di Fastweb su questo segmento è di circa il 25%. Anche le previsioni per il segmento delle piccole e medie imprese sono di una crescita significativa”.

Opportunità strategicaA detta dell’indagine Dimension Data-Ovum, oltre il 78% dei responsabili del settore It dispone di un piano strategico e di un budget per implementare “par-ti selezionate” del sistema Ucc, mentre il 42% ha risorse sufficienti a portare avanti investimenti in “tutto o la mag-gior parte” del sistema. Fino a poco tempo fa l’idea di formu-lare e implementare una strategia Ucc, anche presso le grandi aziende, non era

SPECIALE | Unified communication and collaboration

SOLUZIONIUCC

8,8%

CRESCITA 2013

SERVIZIUCC

5,4%

CRESCITA 2013

SOLUZIONIE SERVIZIUCC

10%

CAGR2013-2017

IL MERCATO DELLA UNIFIED COMMUNICATION AND COLLABORATION SECONDO IDC

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minimante presa in considerazione. A dirlo è Craig Levieux, direttore gene-rale del gruppo Dimension Data per le Comunicazioni Unificate. “Questo è un cambiamento sorprendente,” afferma, “specialmente in un momento in cui le condizioni economiche e i vincoli ope-rativi frenano gli investimenti nel settore delle comunicazioni aziendali”. Un punto di forza per le aziende che adottano le tecnologie di Unified com-munication è sicuramente la possibili-tà di contenere i costi ottimizzando la produttività, oltre alla capacità di rag-giungere gli utenti sempre, ovunque e praticamente su qualunque dispositivo scelgano di usare. E Microsoft ne è con-sapevole, come spiega Tamara Zancan, product manager unified communica-tions and collaboration: “Consolidando i sistemi di messaggistica, conferencing e telefonia in una piattaforma è possibile

ridurre i costi di gestione di infrastrut-tura e quelli di telefonia”. Tant’è che i clienti dell’azienda affermano che Mi-crosoft Unified Communications con-sente di ridurre drasticamente i costi: si risparmiano cinque milioni di dollari ogni mille dipendenti, in poco meno di sei mesi (fonte: white paper Total Econo-mic Impact of Microsoft Unified Commu-nications pubblicato da Forrester Rese-arch).

Dominio delle grandi e medie aziende“La domanda di soluzioni è espressa pre-valentemente da aziende medio-grandi”, afferma Daniela Rao di Idc, “perché quelle piccole e piccolissime hanno un approccio più destrutturato e mirano ad avere molta mobilità risparmiando sui costi”. Semplificando al massimo, la riduzione dei costi e l’aumento delle

I SERVIZI FASTWEB PER COMUNICARE SEMPRE E OVUNQUEUniFAST Communication è la soluzione FASTWEB ideale per le imprese di medie e grandi dimensioni che richiedono strumenti semplici e flessibili per rendere più efficienti i sistemi di comunicazione aziendali. L’offerta, progettata interamente da FASTWEB, consente di utilizzare allo stesso modo servizi e terminali di rete fissa e mobile nell’ottica della completa convergenza. UniFAST Communication permette infatti di integrare servizi tradizionalmente verticali (telefonia, posta, applicazioni Web, fax, videocomunicazione) con nuovi servizi evoluti di comunicazione, come Presence, Instant Messaging, Conferencing&Collaboration e Vi-deocommunication, rendendoli disponibili su qualsiasi tipo di termi-nale (telefono fisso, mobile, web, softphone, portale, client, fax, apparati video, ecc.). Attraverso un unico applicativo software il cliente può, così, gestire tutti gli strumenti di comunicazione in modo facile e veloce, ade-guandoli ai propri bisogni. Oltre a garantire notevoli risparmi in termini di tempo e di risorse relativi all’infrastrutttura e ai servizi per l’ultente finale, UniFAST Communica-tion è basata su piattaforme aperte ed è, quindi, in grado di integrarsi perfettamente con i sistemi It aziendali esistenti. Ai clienti che scelgono UniFAST Communication FASTWEB offre consulenza professionale per l’implementazione e la gestione del servizio e la qualità di comunicazioni digitali e integrate di ultima generazione grazie a una infrastruttura a ban-da ultra larga, sicura e ad altissime prestazioni. Per offrire ai propri clienti

TECHNOPOLIS PER FASTWEB

soluzioni di Unified communication sempre più innovative e al passo con l’evoluzione dei servizi Ict, FASTWEB sta lavorando, inoltre, all’integrazio-ne dei servizi UC con la tecnologia cloud computing, e sta investendo in un’infrastruttura centrale e integrata tra le più avanzate in Italia.

performance, grazie alla disponibilità di strumenti più efficaci per comunicare e collaborare, sono fattori comuni dei quali potrebbe beneficiare qualsiasi orga-nizzazione. “Ci sono, però, aziende che si trovano in una posizione più avanzata nella roadmap di adozione”, precisa Al-berto Lugetti, head of portfolio Italia di BT Global Services. “Per esempio, quel-le a vocazione internazionale con sedi sparse a livello globale, oppure aziende con molti dipendenti che si trovano a lavorare in mobilità, imprese molto dina-miche che hanno necessità di condividere contenuti e informazioni per poter pren-dere decisioni in tempo reale, ma anche aziende che hanno ormai raggiunto il li-mite nello sfruttamento delle soluzioni di comunicazione più tradizionali, legacy, e che quindi si trovano in un’interessante finestra di opportunità”.

Maria Luisa Romiti

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MICROSOFT PUNTA SULLA COMUNICAZIONE UNIVERSALE

Una Unified Communication and collaboration che punta a distinguersi dalla concorrenza poiché totalmente libe-ra da legami e vincoli di hardware. Microsoft richiama i concetti di “libertà dall’hardware” e di “comunicazione universale” per descrivere la sua offerta, incentrata su un prodotto trasversale e ubiquo come Lync. “Siamo entrati nel mercato dell’Ucc scegliendo un approccio distintivo rispetto ad altri vendor”, spiega Vieri Chiti, direttore della divisione Office di Microsoft Italia, “ovvero tutto incentrato sul software, utilizzabile su qualsiasi computer e indipendentemente dalle scelte compiute dal cliente in fatto di hardware”. La piattaforma Lync è dunque fruibi-

Non ci sono confini o barriere di applicazione per l’offerta di Unified communication di Microsoft. “I nostri clienti spazia-no dal settore pubblico a quello bancario, al manifatturiero, alle università”, spiega Tamara Zancan, product marketing manager Ucc di Microsoft. “In questi contesti Lync viene utilizzato sia per incrementare la produttività e l’efficienza delle comunicazioni interne, sia per risparmiare sui costi di viaggi e trasferte, sia per meglio comunicare con l’esterno”. Gli ambiti di adozione sono disparati: dall’Education (recente è il caso del Politecnico di Milano), al settore bancario (Unicredit), al manifatturiero (Azimut Benedetti, Caprari), alla Pubblica Amministrazione (Regione Emilia Romagna, Mini-stero degli Affari Esteri), ai servizi (Deloitte), al mondo previdenziale (Inail). Una case history recente è quella di Scavolini: l’azienda marchigiana, titolare del più noto marchio italiano di cucine e arredamento, ha fatto convergere la propria piattaforma telefonica legacy con il mondo di Office e di Lync. Scavolini ha ottenuto con Lync un’integrazione nativa nell’infrastruttura esistente e una completa interoperabilità con le tecnologie di collaborazione e di messaggistica già presenti in azienda.

le su qualsiasi device e sistema operativo, abbracciando i prodotti Windows ma anche iOS e Android. “Il secondo valore che ci contraddistingue”, prosegue Chiti, “è quello che chiamiamo ‘comunicazione universale’: grazie all’in-tegrazione di Lync con Skype abbiamo creato un sistema di comunicazione, di messaggistica e di videoconferenza utilizzabile sia dal mondo business sia da quello consu-mer”. Le due piattaforme di proprietà di Microsoft (Skype è stata acquisita circa tre anni fa) sono federate, ovvero possono “vedersi” l’una con l’altra creando un sistema di comunicazione che è trasparente al prodotto. Lync, inoltre, è interoperabile con altri software utilizzati nei contesti aziendali, come i sistemi di Crm o le piatta-forme di customer service: questo significa, per esempio, il poter contattare un collega o un cliente senza dover uscire dal programma o dalla pagina Web in cui si sta la-vorando. La logica dell’integrazione si applica, a maggior ragione, fra Lync e gli altri prodotti Microsoft dedicati alla collaborazione e alla produttività, come Office e Share-Point. “Quello che offriamo”, sottolinea il direttore della divisione Office, “è un sistema a tutto tondo”. “Lync non si lega a nessun settore merceologico preciso ma è un abilitatore di comunicazione che vale indipen-dentemente dal tipo di organizzazione”, aggiunge Tama-ra Zancan, product marketing manager Ucc di Microsoft Italia. Per portare al maggior numero di aziende la sua offerta di Ucc, in Italia Microsoft sfrutta in modo strategico sia le partnership strette a livello internazionale (come quelle con Hp, Plantronics e Polycom), sia gli accordi con i system integrator operativi sul territorio, per esempio Italtel.

Un solo prodotto, tanti scenari di adozione

TECHNOPOLIS PER MICROSOFT

Vieri Chiti

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A OGNUNO LA SUA UCC

Lo scenario complessivo della Ucc è sicuramente molto affollato da vendor, telco, Ott (over the top content) che si “contendono” so-

prattutto le grandi aziende messe a dura prova dalla crisi. Le stesse che oggi hanno imparato a destreggiarsi e a fare confron-ti su soluzioni diverse, che implicano a volte scelte di discontinuità rispetto al passato. L’offerta è certamente ampia e variegata proprio per andare incontro a esigenze e a budget diversi. Quella di Mi-crosoft, per esempio, fa leva su Exchan-ge per la gestione di mail, calendario e contatti su Pc, telefono o browser, e su Lync per i servizi di audio-video e Web conferencing, messaggistica istantanea e telefonia integrati in un’unica piatta-forma e utilizzabili da un unico client. “Microsoft, grazie anche alla federazione Lync-Skype, sta portando la comunica-zione a un livello ancora più alto”, spie-ga Tamara Zancan, product marketing manager Unified Communications and Collaboration. “La possibilità di utilizza-re Lync per contattare su Skype clienti, partner e il proprio network permette a un’azienda di essere più efficace ed effi-ciente nei rapporti con clienti e fornitori,

Le tecnologie non mancano: l'offerta di Unified communication & collaboration oggi è ampia e articolata. La vera sfida, per le aziende, è quella di identificare le funzionalità e le soluzioni che davvero rispondono alle proprie necessità di business.

e di estendere la comunicazione a nuovi scenari di business”. Il posizionamento di Fastweb è basato sulla scelta di piattaforme multivendor e su un approccio fortemente consulenzia-le. “Le soluzioni sono tagliate su misu-ra, scalabili, integrate alle infrastrutture pre-esistenti dell’azienda (VoIP e VdC), con garanzia di servizio end to end e con modelli di governance flessibile, dalle soluzioni on premise a quelle hosted-managed, fino al cloud”, afferma Marco Pennarola, responsabile marketing en-terprise. “Per le medie aziende abbiamo offerte a pacchetto, con alcune possibilità di personalizzazione e funzionalità com-plete ed evolute (VoIP, servizi presence, C2C, video, contact management tool, collaboration) su tecnologie selezionate. Per le piccole aziende integriamo la so-luzione Uc di base come un’opzione di offerta aggiuntiva rispetto ai servizi Tlc”. British Telecom propone soluzioni per incrementare la produttività dei team e migliorare la qualità delle conversazioni (per esempio, la nuova piattaforma di conferencing in HD sviluppata con Dol-by Laboratories) non solo in azienda, ma anche con clienti, partner e fornitori. E

non perde di vista aspetti come la facilità di utilizzo degli strumenti e altre carat-teristiche da non sottovalutare, come “la compatibilità con i dispositivi, la sicu-rezza degli accessi e dei dati, un’adeguata copertura WiFi, le prestazioni della rete e delle applicazioni”, puntualizza Alberto Lugetti, head of Portfolio Italia, BT Glo-bal Services. L’offerta di Cisco spazia dalla Web con-ferencing di Webex alle soluzioni Unified communication di Jabber, alla videocol-laboration, con un’ampia serie di termi-nali che vanno dai sistemi personali da scrivania a quelli da sala riunione. “Re-alizziamo la promessa della collaboration di abbattere i silos”, precisa Michele Dalmazzoni, collaboration sales leader di Cisco Italia, “ovvero di riunire il mon-do video, voce, unified communication e Web conferencing per dare all’utente e alle aziende un’esperienza pervasiva e unificata”.

Videoconferenza avanzataRicoh propone una gamma di videopro-iettori, soluzioni per la videoconferenza in cloud e lavagne interattive che con-sentono di condividere i contenuti scritti

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32 | APRILE 2014

SPECIALE | Unified communication and collaboration

su altre lavagne, su Pc o tablet. Questi prodotti e servizi (consulenza, supporto) sono integrati nella soluzione “Room-in-a-Box”, come spiega Davide Oriani, Ceo di Ricoh Italia: “Basata sulla semplicità di utilizzo, è in grado di garantire sicurez-za nella trasmissione dei dati ed è inte-roperabile con strumenti di altri brand. Per rendere fruibile il servizio anche a chi lavora da remoto, Ricoh integra l’of-ferta con app installabili su Pc, tablet e smartphone”. Le soluzioni Polycom si basano sulla RealPresence Platform, un’infrastruttura software completa, e su Api comples-se che interagiscono con la più ampia gamma di applicazioni e device. Da una recente ricerca effettuata con Wainhouse è emerso che la videoconferenza “on the road” è quella che cresce più velocemente. “Ecco perché la disponibilità della Real-Presence Platform come soluzione di mo-bile app è un elemento chiave del nostro futuro”, commenta Claudio Mignone, country manager di Polycom Italia. “Ciò insieme alla suite software RealPresence CloudAxis, che permette collegamenti in videoconferenza indipendentemente dal-le applicazioni, sistemi e device utilizzati. Web-Rtc è un altro importante driver, che dà la possibilità di aggiungere audio e video in un’applicazione Web”.Gli ultimi aggiornamenti Vidyo hanno permesso di portare la videoconferen-za al “livello 3.0”. Che cosa significhi lo spiega Fabio Tessera, vice presidente Semea: “Un sistema completo che, oltre a fornire una qualità video in Hd multi-point e a ottimizzare le prestazioni delle

connessioni, unisce l’utilizzo da mobile e da dispositivi personali, la chat, il VoIP e la condivisione di materiale. Attraverso le soluzioni VidyoMobile e VidyoDesktop, la videoconferenza si slega dagli ambienti dedicati e diventa pienamente accessibile per abbattere le distanze fisiche e i costi e per migliorare la qualità delle comuni-cazioni”.

Unified communication in mobilitàLe soluzioni di punta Avaya sono Aura Collaboration Environment, Ip Office 9.0 e Messaging Service. Secondo il di-rettore commerciale Patrizio Di Carlo, “offrono affidabilità, sicurezza e apertura all’integrazione con l’esistente infrastrut-tura It. Ulteriore elemento distintivo è la semplicità di utilizzo ottenuta anche grazie all’armonizzazione delle interfacce utente tra i diversi dispositivi quali Pc, ta-blet, smartphone e telefoni fissi”.A dare corpo alla visione di Unify è Project Ansible, una piattaforma di ul-tima generazione disponibile da ottobre 2014. Sviluppata in collaborazione con Frog Design, è compatibile con tutti i de-

vice e può aggregare informazioni e dati da ogni canale, inclusi social network, applicazioni aziendali (come Sap o Sa-lesforce), video, testi, statistiche, e la tra-dizionale comunicazione telefonica. “La nostra offerta Uc vanta alcune peculiari-tà”, puntualizza Gianfranco Ulian, diret-tore business development di Unify Italia (già nota come Siemens Enterprise Com-munications), “flessibilità nell’adozione, semplicità d’uso e gestione, open stan-dard e quindi integrazione con prodotti e applicazioni anche di nostri concorrenti, velocità di adattamento ai mutevoli mo-delli di mobile consumption”. La vera sfida per la Unified communi-cation è rappresentata dall’enterprise mobility. Lo sostiene Alessandro Cozzi, head of indirect sales e deputy enterprise business group director di Huawei Italia. “Saranno, inoltre, centrali la semplicità di utilizzo e installazione, potenzialmente plug & play, e i costi di accesso idealmen-te assimilabili a soluzioni di tipo consu-mer”. Ne è un esempio TE30, un sistema di videoconferenza HD multifunzione, con connettività WiFi e funzione Voice Dial, che rende possibile attivare o pren-dere parte a una videoconferenza sempli-cemente pronunciando il nome dell’u-tente da raggiungere.

Compatibilità universaleSnom è focalizzata sulla produzione di terminali Sip universalmente compatibi-li. “Questa caratteristica dei nostri termi-nali consente alle aziende, per esempio, di avvalersi contemporaneamente delle soluzioni Uc di Microsoft Lync, inclu-C

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so Skype, e di centralini e piattaforme Uc basati su Sip”, dice Fabio Albanini, managing director di Snom Technology Italia, ”una facoltà attualmente non ri-scontrabile in alcun terminale qualificato od ottimizzato per Lync al mondo. Allo stesso modo, non vi sono limitazioni per l’uso di applicazioni Uc basate su stan-dard aperti: piattaforme installate on premise, autoprodotte o pacchettizzate, o soluzioni fornite in modalità SaaS”. La compatibilità è un tema importante anche per LifeSize, come spiega il count-ry manager Marco Lupi: “Tra i focus di LifeSize c’è quello della compatibilità e collaborazione con tutta una serie di strumenti che compongono la soluzione di Unified communication. Per esem-pio, la nostra stretta collaborazione con Microsoft non fa che sottolineare questo aspetto, ma senza sottovalutare la volontà di utilizzare sempre quei protocolli di co-municazione standard che ci permettono la piena compatibilità con il mondo che ci circonda. Inoltre crediamo, ormai da tempo, che le soluzioni di videoconferen-za debbano essere di facile utilizzo e fru-ibili da tutti quei dispositivi oggi molto diffusi: Pc, Mac, iOs, Android”. Secondo Stefano Osler, Ceo di Wildix, “I vendor hanno una certa difficoltà a in-tegrare i nuovi protocolli con le proprie soluzioni. Noi riusciamo a farlo e Kite, la soluzione basata su protocollo Web-Rtc e Web-based, ne è la dimostrazione. Nella nostra offerta sono compresi anche servizi in cloud, che consentiranno un’accelera-zione dei processi di vendita della Unified communication e un’ulteriore semplifica-zione di installazione e utilizzo”.

Focus sul cloudIbm ha attuato negli ultimi anni una strategia basata su quattro direttive: le comunicazioni “estese”, che prevedono la condivisione in modalità social di diversi tipi di contenuto; il mobile per accede-re ai servizi da qualsiasi dispositivo e da ogni luogo; gli analytics, per compren-dere meglio i dati ed essere propositivi verso gli utenti; e infine il cloud, per dare

flessibilità nelle modalità di fruizione dei servizi. Come spiega John Campitelli, responsabile collaboration solutions e Ucc, Software Group di Ibm Italia, “Ibm SmartCloud comprende tutte le soluzio-ni di social communication, sia per la parte di comunicazione unificata sia per la parte social. Le soluzioni sono modu-lari e disponibili on premise, in ambienti cloud o ibridi”. Per Marco Pasculli, regional director Central Mediterranean countries di Alcatel-Lucent Enterprise, “la novità più interessante è la disponibilità delle piattaforme OpenTouch Office e Open-Touch Enterprise in modalità cloud, alle quali si aggiunge una terza, indipendente dalla tecnologia e dal fornitore di comu-nicazione installata. L’offerta compren-de OpenTouch Office Cloud per Pmi, OpenTouch Enterprise Cloud per azien-de medio-grandi e una basata solo su ap-plicazioni di collaborazione multimediale (OpenTouch Personal Cloud) per fornire soluzioni Uc in modalità as-a-service”.Anche secondo Cesare Bracchi, country business development manager di Mitel Networks, la nuvola ha un ruolo fonda-mentale: “Da un sondaggio commissio-nato da Mitel, per l’89% degli It manager italiani il futuro della telefonia e della Uc risiede nel cloud. La nostra azienda si è mossa da tempo in questo ambito, ar-rivando a portare le applicazioni di Uc anche al desktop virtuale, quindi a livello utente e non solo centralizzato”. La suite di moduli software di Mitel è disponibile in modalità standard oppure SaaS, essen-do virtualizzabile in ambiente Vmware.

Connettività e sicurezza“L’elemento distintivo della nostra pro-posta è l’architettura di servizio che nasce integrata alla connettività a larga banda di Telecom Italia, e che beneficia in ter-mini di elevata disponibilità e sicurezza delle caratteristiche del nostro servizio di data center”, afferma Enrico Trovati, responsabile marketing business di Tele-com Italia. “Le nostre proposte, Nuvola It Comunicazione Integrata per clienti enterprise/large enterprise/top customer ed Evoluzione Ufficio per small enter-prise, hanno un portafoglio di soluzioni innovativo, che include tutte le sfaccetta-ture della Ucc”. Secondo il manager, l’of-ferta di Nuvola Italiana si muoverà verso l’integrazione di un numero sempre mag-giore di partner tecnologici e verso nuove feature di servizio. “Abbiamo puntato con decisione su so-luzioni di Unified communication grazie ai nostri servizi Rete Unica e Rete Unica Dati, che consentono di integrare age-volmente telefonia mobile e fissa e di implementare strumenti come il centra-lino virtuale”, spiega Sabrina Baggioni, responsabile marketing corporate di Vo-dafone Italia. “Tutti i servizi per le azien-de sono offerti in cloud, dalla voce fissa alle applicazioni e soluzioni aziendali, alla sicurezza gestita, per consentire maggio-re efficienza, modularità e flessibilità. In aggiunta, con Cable & Wireless anche l’hosting, l’Infrastructure-as-a-Service e i servizi correlati sono entrati a far parte del nostro portafoglio per le aziende a livello internazionale”.

Maria Luisa Romiti

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SPECIALE | Unified communication and collaboration

UN NUOVO MODO DI PRODURRE E COLLABORARE

Il mondo delle comunicazioni e dell’information technology sta at-traversando una fase di profondo cambiamento, spinta dalla persona-

lizzazione dei prodotti It, dal lavoro in modalità Byod (Bring your own device), dal ruolo dei lavoratori più giovani (la generazione “Millennial”) e dalla sempre maggiore ubiquità del lavoro: si sta defi-nendo, essenzialmente, un nuovo modo di operare. Questi molteplici sviluppi e cambiamenti del mercato hanno spinto i decision maker a formulare, spesso per la prima volta, strategie complete di Uni-fied communication and collaboration e a investire significativamente in quest’a-rea. In Italia, così come nel resto del mondo, la diffusione massiccia di smartphone e tablet ha reso l’attenzione nei confronti di questi dispositivi mobili un aspetto centrale nelle dinamiche aziendali: la ten-

Un numero sempre maggiore di organizzazioni valuta positivamente e ritiene strategica la Unified communication & collaboration per migliorare i processi aziendali e aumentare la produttività. Il tutto con una visione più ampia che contempla il fenomeno Byod, il mobile, la social collaboration e il cloud.

denza, quindi, è che questi device diven-tino parte anche dell’ambiente di Unified communication, integrandosi in maniera sicura all’interno delle reti. Secondo una ricerca Dimension Data-Ovum, il 41% delle aziende italiane sta già supportan-do gli smartphone e i tablet di proprie-tà dei dipendenti e il 27 % anche quelli introdotti non ufficialmente, mentre un ulteriore 33% prevede di farlo entro i prossimi 12 mesi, concedendo almeno l’accesso alla corporate email: in pratica, entro un anno sarà supportato il 60% dei device Byod. “Bt sta lavorando sia al modello di de-livery – rimuovere le barriere sfruttando le competenze consulenziali di Bt Advise per progettare le soluzioni e il modello cloud più adatto – sia all’aumento delle funzionalità e degli strumenti disponibi-li”, spiega Alberto Lugetti, head of por-tfolio Italia di Bt Global Services. “I de-

vice mobili di ultima generazione stanno cambiando il modo di lavorare. È quindi fondamentale per le aziende far confluire in un ambiente efficace e sicuro questi strumenti così da mantenere il controllo dei dati aziendali e risparmiare tempo e denaro. Dal punto di vista applicativo, nell’ambito nel nuovo portfolio Bt One, il vendor ha di recente presentato le nuo-ve app per smartphone e Web client ca-paci di ridurre significativamente le spese del cellulare (taglio fino al 45% dei costi di roaming) di quelle aziende con di-pendenti che viaggiano frequentemente all’estero o che fanno telefonate interna-zionali”.

Servizi gestiti: un modello diffuso di deliveryIn base ai dati emersi dall’Hype Cycle di Gartner, sebbene più del 95% delle soluzioni Uc sia on premise, l’utilizzo

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dell’hosting e dei servizi gestiti da gran-di data center virtualizzati è in aumen-to. Guardando al futuro, la presenza e l’evoluzione di soluzioni alternative come la Unified communication-as-a-service spinge le grandi aziende a creare piattaforme ibride, ovvero un compro-messo tra on premise e soluzioni cloud. Anche nel nostro Paese si evidenzia una preferenza per i servizi gestiti. Infatti dalla ricerca Dimension Data-Ovum emerge che attualmente in Italia solo un terzo delle implementazioni Ipt sono premise-based e gestite internamente, con una tendenza ad affidare alla ge-stione esterna alcune applicazioni, quali quelle team workspace, Lync telephony e standard Uc. Sul fronte del metodo di delivery preferito, in linea con la media riscontrata a livello globale, gli intervi-stati italiani hanno affermato di essere ancora fortemente interessati alle solu-zioni premise-based con gestione trami-te una terza parte (managed service). Le aziende nostrane sembrano nutrire una preferenza per un approccio cloud, sia esso pubblico o privato. La disponibilità a valutare la nuvola per alcune applica-zioni ha raggiunto il 42% per il modello private e il 30% per il public (contro

il 14% riscontrato a livello globale). È chiaro, quindi, che in molti prendereb-bero in considerazione Ucc provider, in grado di fornire una solida offerta di private e public cloud, oltre ai normali servizi gestiti.

Il cloud facilita l’adozioneCloud computing e social networking diventano sempre più importanti per le aziende e sono fattori chiave nel guida-re le trasformazioni di business, come spiega Tamara Zancan, product mana-ger Unified communications and colla-boration di Microsoft: “Il cloud facilita la diffusione degli strumenti di Unified communication perché sempre di più le aziende chiedono di poterne sfruttarne i benefici senza dover gestire l’infra-struttura all’interno dell’organizzazio-ne. Non a caso la nostra offerta è anche fruibile in modalità cloud grazie a Mi-crosoft Office 365, che integra Office, SharePoint Online, Exchange Online e Lync Online. La proposta di Unified communication di Microsoft intende proprio inaugurare una nuova produt-tività e un nuovo modo di lavorare per restare sempre connessi, ovunque e in qualunque momento, attraverso tool di

comunicazione e condivisione, e l’in-tegrazione con applicazioni di business che migliorano l’efficienza dei processi”.È in crescita la proposizione di Ucc-as a-service multitecnologia, con bassi inve-stimenti iniziali per le aziende, massima flessibilità in termini di profili d’utenza (anche su device personali) ed elevata scalabilità. A dirlo è Marco Pennarola, responsabile marketing enterprise di Fa-stweb, che aggiunge: ”Fastweb integra le soluzioni Ucc nella propria strategia più ampia di evoluzione dei servizi Ict - e in particolare di quelli cloud - e investendo in un’infrastruttura centrale e integrata, a partire da un nuovo datacenter che è stato certificato Tier4. La nostra offer-ta permette l’integrazione dei diversi strumenti di comunicazione utilizzati all’interno e all’esterno delle aziende, garantisce una soluzione completa end-to-end e strumenti di vantaggio compe-titivo per i clienti in un mercato sempre più globale. Fastweb ha anche investito molto nel know-how delle risorse: il Competence Center supporta infatti le aziende nella scelta e implementazione della soluzione Ucc più efficiente e ade-guata alle reali esigenze”.

Maria Luisa Romiti

MOBILITÀ E CLOUD, I NUOVI MUSTSupportare l’attività dei dipendenti non basta: la tecnologia oggi deve anche favorire lo scambio di informa-zioni con l’esterno, con un “ecosiste-ma” fatto di partner, fornitori e clien-ti. E poiché la forza lavoro è sempre più distribuita e virtuale, migliorare l’efficienza nei processi di collabo-razione non è più un’opzione, come spiega Daniela Rao, Tlc research & consulting director di Idc Italia: “Molte aziende stanno guardando con crescente interesse a soluzioni di comunicazione che permettano di accelerare il passaggio verso una più intensa collaborazione. Grazie alla

maggiore flessibilità, sicurezza e scala-bilità dei servizi di comunicazione e col-laborazione basati sul cloud, le aziende possono affrontare questo percorso di evoluzione contenendo i costi operati-vi e di proprietà, abbattendo le barrie-re tecnologiche e cogliendo tutti i van-taggi di una più completa esperienza mobile per gli utenti”. In pratica le aziende stanno passando – soprattutto negli Stati Uniti e in buo-na parte dell’Europa – da piattaforme on premise, ovvero ubicate dentro la propria sede, a forme di hosting de-dicato (infrastrutture ospitate presso un fornitore esterno) fino alla Unified communication-as-a-service. “A secon-da dei casi saranno il vendor, il forni-tore di servizi oppure il provider a ge-

stire la piattaforma”, commenta Rao, “erogando un servizio all’azienda (una sorta di ‘shared hosting’) e ga-rantendo un Service level agreement calibrato sulle esigenze del cliente”. In base ai dati Idc (Idc Survey Emea, 2013) il 49% delle aziende europee mantiene soluzioni Ucc on premise, il 38% ha adottato la modalità in ho-sting, mentre il 25% si è orientato ver-so piattaforme Uc basate sul cloud.

Daniela Rao

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ECCELLENZE.IT | Grandi Navi Veloci

Partire con animo sereno, senza stress né contrattempi, è un buon modo per iniziare un viaggio. Per

i suoi clienti Grandi Navi Veloci, una fra le principali compagnie di navigazione italiane oggi nel suo ventiduesimo anno di attività, ha scelto un metodo di comu-nicazione e di servizio molto tempestivo, elementare, efficace: l’Sms. Oggi i mes-saggi di testo raggiungono i telefoni di chi ha effettuato prenotazioni (o è in pro-cinto di partire o fa parte della clientela) per segnalare cambi di orario, di location, annullamenti, modifiche alle condizioni di viaggio e altre informazioni. Semplice a dirsi (così come è semplice, per l’utente, usufruire di questo servizio), ma si tratta del punto di arrivo di un progetto che partiva da necessità complesse: sostenere la crescita del business – negli ultimi anni Gnv ha ampliato su scala internaziona-le le proprie rotte, introducendo nuove destinazioni – e sgravare il call center da un carico di lavoro che stava diventando insostenibile. Tutte le attività sopra citate erano gestite attraverso comunicazioni telefoniche dirette, che comportavano tempi lunghi, esiti incerti e costi ecces-

sivi. L’obiettivo della compagnia di navi-gazione era anche quello di migliorare il servizio clienti senza dover aumentare il numero degli addetti al call center.Sotto la guida del suo It system manager, Bruno Ceradelli, l’azienda ha selezionato una serie di potenziali fornitori a cui ha sottoposto il proprio business case, per poi far ricadere la scelta finale su Reta-rus e sul suo servizio Webexpress: una decisione che si è basata sulla capacità del vendor di proporre una soluzione estre-mamente flessibile, e dunque in grado di adattarsi alle esigenze peculiari di Gran-di Navi Veloci. Attraverso Webexpress l’azienda ha sostituito le chiamate tele-foniche con messaggi Sms che hanno il triplo vantaggio di essere tempestivi, di poter essere inviati in blocco a determina-ti gruppi di destinatari e di rappresentare una forma di comunicazione tracciabile. In questo processo la “componente uma-na” del supporto clienti non è scomparsa, ma è meglio sfruttata: gli addetti al call center vengono impiegati per le preno-tazioni e per le attività di supporto, per esempio quando i clienti chiamano per chiedere informazioni aggiuntive.

FIN DALLA PARTENZA, NAVIGAZIONE SERENA CON RETARUS

La compagnia di navigazione ha adottato il servizio Webexpress per inviare ai propri clienti Sms di avviso in caso di modifiche del viaggio in programma. Risparmiando sui costi di call center e migliorando la tempestività delle comunicazioni.

LA SOLUZIONE

Il servizio Webexpress di Retarus è stato adattato alle specifiche esi-genze di Grandi Navi Veloci, che lo utilizza principalmente per in-viare Sms ai propri clienti attraver-so liste di distribuzione. L’azienda sfrutta, inoltre, il servi-zio Sms4 Application via Xml per l’invio di Sms da ambienti appli-cativi. Oltre che per la messaggistica, We-bexpress può anche essere utilizza-to per le comunicazioni via email e via fax.

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LA SICUREZZA IT, MERCE PREZIOSA SUGLI SCAFFALI DEL SUPERMERCATOCheck Point garantisce una protezione a tutto tondo, flessibile e modulare, all’azienda parte del gruppo Rewe e presente in italia con una sede principale e sette centri di distribuzione. Dalle appliance, ai prodotti di rete, fino alle soluzioni contro il data loss.

Da vent’anni è uno dei nomi affermati della Grande Distri-buzione Organizzata nostrana.

Dal suo sbarco in Italia, nel 1994, Penny Market ha costruito gradualmente una rete che oggi conta 315 punti vendi-ta distribuiti in 17 Regioni e serviti da sette centri di distribuzione, e una se-rie di piattaforme logistiche ubicate tra Piemonte, Lombardia, Toscana Puglia e Sicilia. Per proteggere questo sistema, Penny Market Italia (azienda da tre-mila dipendenti, appartenente al grup-po Rewe) ha scelto di affidarsi a Check Point Software Technologies, adottan-do l’approccio “multi-strato” che carat-terizza l’offerta del vendor. “Con Check Point”, commenta il responsabile sicu-rezza e telecomunicazioni di Penny Mar-ket, Mirko De Dominicis, “abbiamo sempre avuto piattaforme stabili e per-formanti al tempo stesso, con prodotti che si sono evoluti nel tempo, sempre al passo con le nostre esigenze di business”. Prima affidata ad altri fornitori, l’archi-tettura di sicurezza perimetrale di Pen-ny Market Italia è stata riprogettata nel

2007 attraverso la tecnologia Check Point. Con la crescita dell’infrastruttura, il passo successivo è stata l’adozione del-le diverse Software Blade Check Point. “Abbiamo adottato le nuove appliance Utm Check Point nei siti dell’headquar-ter e in quelli di disaster recovery”, spe-cifica De Dominicis.” I security gateway integrati nel nuovo network a 10 Gb sono oggi il fulcro della rete aziendale, con nuove funzionalità di Application Control, Identity Awareness e Data Loss Prevention”. Agli strumenti in uso si aggiungono le appliance 4800, che non solo bloccano le minacce operando come firewall, ma sono anche in grado di rilevare attacchi sofisticati. L’azienda, inoltre, sta valutando l’adozione di solu-zioni di Data Loss Prevention e Threat Emulation. “Con Check Point abbiamo a disposizione un’infrastruttura stabile ed evoluta, e possiamo gestire in manie-ra semplice e centralizzata la sicurezza a tutto tondo. Non da meno, possiamo contare sulla presenza e sul supporto ef-fettivo dell’azienda che ci segue a livello locale”, conclude De Dominicis.

ECCELLENZE.IT | Penny Market Italia

LA SOLUZIONE

La lista delle soluzioni Check Point utilizzate include le Software Blade relative a Firewall, Mobile Access, Intrusion Prevention System e Data Loss Prevention, accanto alle ap-pliance Utm (Unified Threat Mana-gement) e quelle delle serie 4200 e 4800. I gateway Check Point, inoltre, grazie alla loro impostazione e alla ge-stione unificata permettono di sfrut-tare al meglio le risorse, mettendo in sicurezza sia le connessioni in modali-tà “site-to-site” (da una sede aziendale all’altra, tramite Virtual Private Net-work) sia quelle “site-to-client”.

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ECCELLENZE.IT | Eni

COME GESTIRE I BIG DATA? CON IL COMPUTING COGNITIVO

I grandi dati sono una materia che i Chief information officer delle grandi aziende devono metaboliz-

zare, e in fretta, per generare benefici in molti campi dell’organizzazione. In Eni la questione dei Big Data ruota intorno ad attività “core” con elevato quoziente di complessità gestionale: esplorazione petrolifera, sistemi di Crm, risk management integrato al trading, manutenzione predittiva degli impianti, sensoristica integrata al controllo delle campagne. Come non farsi travolgere dalle informa-zioni e renderle una risorsa? La risposta che si è data la multinazionale italiana è in due parole: cognitive computing. O meglio, in una: Watson, il supercompu-ter di Ibm, il cervellone che ha già porta-to le sue doti di calcolo nel campo della diagnostica medica e in quello finanzia-rio, e che si appresta a farlo anche in al-tri settori, fra cui quello energetico. Ed è qui che entra in gioco Eni. “Lo scopo di lavorare su enormi quantità di dati “, spiega Gianluigi Castelli, executive vice president Ict della società del cane a sei zampe, “è quello di costruire informazio-

ni che arrivino a migliorare la conoscen-za di ciò che si fa in azienda. Il problema è gestirne la complessità e creare modelli di analisi adeguati: per questo ci viene in soccorso il cognitive computing, che rappresenta un salto quantico e stabili-sce una nuova santa alleanza tra uomo e macchina, in cui il computer agisce come un advisor in uno schema di in-terazione continua nel quale il dialogo avviene in linguaggio naturale”.Per massimizzare il valore dei Big Data, Eni ha quindi puntato sulle capacità di Watson, dando vita a un team di lavo-ro cross-funzionale ad hoc, denominato W@eni, volto a sperimentare le possibili applicazioni della tecnologia di Big Blue in diversi ambiti, comprese l’esplorazio-ne e la ricerca di nuove riserve di idrocar-buri e la diagnostica e la manutenzione degli impianti. Un progetto ambizioso, che si specchia in un patrimonio di in-frastrutture e sistemi di calcolo fatto di oltre 7mila server per l’informatica “ge-neral purpose” e 3 petaflop (milioni di miliardi di operazioni aritmetiche al se-condo) di High performance computing per l’analisi dei dati sismici. Un progetto

che nasce dopo un certosino lavoro di razionalizzazione e consolidamento degli asset informatici (il portafoglio applica-tivo è stato ridotto da 575 a circa 400 applicazioni ed è stato migrato su nuove piattaforme blade in ambienti operativi Linux) e la creazione di un nuovo mo-dello di gestione operativa di tipo IaaS (Infrastructure as a Service).

Il motore del supercomputer vince la sfida dei grandi datiParlando di Big Data, Castelli fa notare come in realtà le applicazioni aziendali siano ancora “molto convenzionali e uti-lizzino tecniche algoritmiche, anche nel caso delle soluzioni di analytics. Poiché è la natura dei dati stessi a essere radi-calmente cambiata negli ultimi anni, il dilemma di chi si trova, nelle aziende, a dover fare il salto di qualità nella ge-nerazione di informazioni sempre più raffinate è però proprio questo: come penetrare la complessità e generare vera conoscenza di dominio. Oggi la strada più promettente è il ricorso a sistemi cognitivi, in grado cioè di imparare, di applicare regole inferenziali, di collo-care le risposte nel corretto contesto”. Eni, operativamente, non abbandonerà gli schemi consolidati di analisi dei dati, ma li affiancherà sempre più a un mo-tore cognitivo, soprattutto negli ambiti più complessi. Se allo stato attuale, af-ferma Castelli, “il cognitive computing non può essere la soluzione per qualsiasi necessità, man mano che i processi di ap-prendimento automatico si raffineranno sono certo che, a ragion veduta, lo appli-cheremo in modo sempre più pervasivo. E non solo per trattare i Big Data”.

Rendere le informazioni una risorsa a supporto di attività core quali l’esplorazione di nuovi giacimenti petroliferi e la manutenzione degli impianti. Per farlo Eni ha abbracciato le capacità di calcolo del supercomputer di Ibm, Watson.

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Federica Guidi, nuova titolare del Ministero dello Sviluppo Economico, non è intervenu-ta di persona agli “Stati Gene-

rali dell’Ecosistema Startup Italiano”, evento tenutosi nel mese marzo nella nuova sede di Regione Lombardia. Il Ministro, però, non ha mancato di inviare un articolato messaggio di so-stegno al “movimento”, definendo le neoimprese “un tessuto imprenditoriale che può rappresentare il nuovo made in Italy”. Le potenzialità delle startup,

Le giovani imprese innovative sapranno ridare

valore al marchio Italia? I titolari del Ministero dello

Sviluppo Economico ne sono convinti. Ma alcune delle misure già tradotte

in realtà sono ancora poco conosciute, molte

agevolazioni ancora non sfruttate.

STARTUP, VIA ALLA FASE DUECON LE PROMESSE DEL MISE

ITALIA DIGITALE

ha scritto ancora la Guidi, sono ancora tutte da sfruttare e tale assunto va regi-strato a un anno dall’approvazione del decreto “Crescita 2.0” e dei successivi provvedimenti attuativi, in primis la norma che consente importanti sgravi fiscali per chi investe nelle giovani im-prese innovative.Per quanto frastagliato e ancora in fase embrionale, lo scenario italiano delle startup è fatto anche di incubatori, in-vestitori, parchi scientifici e tecnologici: l’Osservatorio curato dal Politecnico di

Milano e dall’Associazione Italia Star-tup ha calcolato che sono oggi disponi-bili oltre 200 milioni di euro di capitali di rischio per le nuove imprese tecno-logiche (da investor istituzionali) e che esistono aziende di medie e grandi di-mensioni pronte ad allocare fondi. Ma al mosaico, per dirsi completo, manca-no ancora molti tasselli.

Agevolazioni ancora poco sfruttateDa Stefano Firpo, a capo della Segrete-ria Tecnica del Ministero per lo Svilup-

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ITALIA DIGITALE

La crisi non è finita ma la voglia di fare (nuova) impresa sembra non esserne contaminata, forse anche grazie alle agevolazioni fiscali e alle misure di semplificazione previste dal Decreto Crescita 2.0 approvato alla fine del 2012. Stando infatti agli ultimi dati resi noti da Infocamere, nella sezione “startup innovative” del registro del-le imprese tenuto dalle Camere di Commercio, a un anno esatto dalla sua istituzione, avvenuta il 17 marzo 2013, figuravano 1.792 realtà. Sono quindi cinque, in media, le nuove aziende che hanno preso vita ogni giorno con l’obiettivo di sviluppare, produrre o commercializzare “pro-dotti o servizi innovativi ad alto valo-re tecnologico”. La Lombardia guida in valore assolu-to la classifica delle Regioni con 355 startup, seguita dall’Emilia Romagna con 202 e dal Lazio con 187. Fra le Regioni meridionali è la Campania quella più virtuosa, con 83 aziende registrate, davanti a Puglia (76) e Si-cilia (63). La metà delle imprese inno-vative italiane, 896 per la precisione, sono concentrate in quattro Regioni

po Economico, è arrivata una precisa e dettagliata analisi sullo stato di avanza-mento del progetto startup in seno alle istituzioni. Dove siamo? “La prima fase del quadro normativo", ha detto Firpo, “è conclu-sa, manca solo l’ultimo passaggio per rendere esecutiva la legge sugli incentivi fiscali”. Ma c’è un problema di fondo: “Le decine di strumenti messi a disposi-zione dal decreto Crescita 2.0 non sono conosciuti e utilizzati a sufficienza. Non è noto quanto sia stato fatto per rendere più flessibile la corporate governance di una startup innovativa e i contratti di lavoro, per garantire l’accesso al credito bancario e per utilizzare le stock option come sgravio fiscale”. C’è una evidente voglia di fare, e di fare meglio, da parte del segretario del Mise, una voglia di numeri più consistenti e su più fronti, dall’internalizzazione (per cui sta lavorando un gruppo ad hoc) alle piattaforme di ethical funding ed equity crowdfunding, per cui la Con-sob auspica una riduzione dei vincoli. Il dogma che Firpo desidera condivide-re con gli altri attori dell’universo star-tup è, in sintesi, il seguente: “Scaricare a terra tutto il potenziale delle agevola-zioni della fase uno è il punto di parten-za della fase due. L’azione del Ministero non è per una nicchia ma è politica in-dustriale volta a espandere la domanda di innovazione del Paese”. Fissando dei paletti alla voce selettività, perché “si deve valorizzare il meglio”.

Dove lavorare facendo squadra E le prospettive future? Intanto dovreb-be essere incoraggiante, secondo Firpo, il fatto che il nuovo Ministro dello Svi-luppo Economico a breve si appresti, per la prima volta, a fare una relazione in Parlamento sulle startup innovati-ve. Fuori dall’aula di Montecitorio, gli obiettivi dichiarati sono quelli “di ren-dere questo ecosistema il più aperto pos-sibile, anche nell’ottica dei visti (a breve partiranno i lavori di costruzione di una piattaforma informatica direttamente

e tutte al Centro-Nord (oltre alle tre già citate c’è il Veneto). La Provincia più attiva è quella di Milano, grazie alle 236 startup registrate nell’albo gestito da Infocamere, ma bene si comportano anche Roma (con 167 nuove imprese), Torino e Trento, ri-spettivamente con 115 e 73 unità at-tive. Nel complesso, 99 Province su 105 vedono la presenza di almeno una startup innovativa nata nel loro territorio. In termini di forma giuridica, nella quasi totalità dei casi, il 96%, gli star-tupper hanno scelto la formula del-la società a responsabilità a limitata (Srl), mentre modesto è il numero delle società per azioni (Spa) e delle cooperative, rispettivamente di 33 e 27 unità.Quanto all’attività intrapresa dalle nuove startup, oltre il 30% di quelle nate negli ultimi dodici mesi è impe-gnata nella produzione di software e nella consulenza informatica, per un totale di 546 imprese. Molto ben rappresentato è anche il comparto della “ricerca & sviluppo”, che vede all’attivo 312 aziende, il 17,4% del totale.

gestita dal Mise, ndr) per chi dall’estero vuole dare vita a una startup innovati-va in Italia, di promuovere la cultura dell’imprenditorialità nelle scuole, fron-tiera a oggi completamente inesplorata, e di fare più sistema a livello di relazione fra enti pubblici locali e nazionali e as-sociazioni di categoria”. Nel presente c’è dunque molta carne al fuoco, mentre all’orizzonte ci sono appuntamenti fondamentali per il siste-ma-Paese, per recuperare credibilità e ri-prendere a crescere. Come il semestre di presidenza italiano della Commissione europea e l’Expo 2015, per cui il mini-stro Guidi auspica per l’Italia un ruolo di “hub dell’innovazione”, e ancora,

eventi di grande portata come il Global Entrepreneurship Congress. “Abbiamo l’importante opportunità, ha concluso Firpo, “di mettere in vetrina la grande vena di imprenditorialità inno-vativa italiana. Siamo molto visibili in Europa, abbiamo una buona reputa-zione per ciò che riguarda le policy di incentivazione per le nuove imprese, ma siamo indietro nell’uso dei fondi e nell’assegnazione dei bandi. Bisogna fare più squadra, collaborare di più e meglio. Lasciando da parte gli indivi-dualismi. Abbiamo fatto un esercizio di politica economica seria. L’impegno del Ministero, in tal senso, è assicurato”.

Gianni Rusconi

STARTUP INNOVATIVE, SIAMO A QUOTA 2000

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NUOVE IMPRESE, IL VADEMECUM DEGLI IMPRENDITORI

orientate le eccellenze territoriali. L’exit delle nuove imprese deve essere di na-tura industriale e non solo finanziaria”. Sul tema del come legare nuove e vec-chie imprese si è espresso anche Alber-to Baban, presidente di Piccola Indu-stria di Confindustria, secondo cui il mercato di destinazione delle startup in Italia “va inventato e strutturato. Non basta solo incubare le nuove im-prese, ma bisogna trovare per queste lo sbocco finale. In Italia ci sono 240mila imprenditori al timone di medie e pic-

Più del 50% delle nuove imprese in Lombardia non supera i pri-mi cinque anni di vita. L’allar-

me, se tale si può definire, lo ha lancia-to pubblicamente Roberto Albonetti, Direttore Generale Assessorato Attività Produttive di Regione Lombardia, che alle startup ha rivolto un bando di 30 milioni di euro (di cui sette milioni a fondo perduto) premiandone la com-ponente innovativa e la sostenibilità del business plan. La precaria stabilità delle nuove iniziative imprenditoriali è bilanciata, fortunatamente, dai quat-tro milioni di posti di lavoro che ogni anno vengono generati dalle nuove aziende in Europa, e dai finanziamenti in materia previsti dai programmi Ho-rizon 2020 (80 miliardi di euro in sette anni per la ricerca e l’innovazione)e dai fondi strutturali Ue (70 miliardi, una parte di questi già spesi per le nuove Pmi). A Bruxelles sono convinti che ci sia bisogno di nuova imprenditorialità. E in Italia, come la pensano in materia i diretti interessati, e quindi gli impren-ditori?La visione di Riccardo Donadon, fondatore di H-Farm, è improntata all’ottimismo perché, a suo dire, “è cre-sciuta nei giovani la consapevolezza di poter fare impresa, e ciò si è tradotto in piccole aziende innovative. Potremmo avere in Italia anche un milione di star-tup, ma dobbiamo far crescere la con-vinzione di poter innovare nel sistema e nelle grandi imprese”. La ricetta per farlo? Eccola servita: “L’energia delle startup”, sostiene Donadon, “va inca-nalata dentro il tessuto imprenditoriale esistente e in questa direzione vanno

L'energia innovativa delle startup va inserita nel tessuto imprenditoriale esistente. Varare nuovi progetti, inoltre, non basta: bisogna anche pianificarne lo sbocco sul mercato.

cole imprese pronte ad accoglierle, ma vanno create le condizioni per sfruttare tale tessuto esistente, con un modello tutto italiano”. Da dove partire? Secondo Baban “si deve puntare alla coabitazione fra im-prese neonate e adulte ricalcando, in chiave ecosistema, il successo degli spin-off dei distretti. Il sistema-Italia, però, oggi non offre condizioni favore-voli per la nascita e la crescita delle im-prese”. Il sasso nello stagno, l’ennesimo, è lanciato. G. R.

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OBBIETTIVO SU | HP

U na cartuccia di toner con-tiene il 70% della tecnolo-gia complessiva di un siste-ma di stampa, mentre una

di inchiostro dura mediamente il 50% in più dell’equivalente prodotto com-patibile, oltre a realizzare immagini più longeve. Sono solo alcuni dei dati snocciolati da Hp in un recente “mi-ni-tour” condotto da Thom Brown, personaggio affascinante ed eclettico, nonché responsabile dell’analisi com-petitiva nel settore ink-jet dei labora-tori Hp. Lo scopo, ovviamente, è quel-lo di dimostrare che ogni euro speso in più per acquistare un prodotto consu-mabile originale vale l’investimento. Ma non è finita qui, perché ai cosid-detti “refill” o “ricondizionati” e ai prodotti non originali, legalmente venduti sul mercato, si affianca oggi un fenomeno sempre più preoccupante legato alla contraffazione delle cartuc-ce, una seria minaccia per il business della multinazionale, che proprio dai ricambi ottiene una buona fetta dei suoi utili. “Abbiamo calcolato che circa il 7% del-le cartucce vendute sono contraffatte”, dice Tino Canegrati, vice presidente e general manager di Hp Pps Italia, “e che solo il 6% dei clienti è consapevole di comprare prodotti realizzati e com-mercializzati illegalmente”.

L'INCHIOSTROGRIFFATO VA ANCORA DI MODAI laboratori di ricerca di Hp aprono (parzialmente) le porte per dimostrare come le cartucce originali delle stampanti ink jet e laser valgano effettivamente di più dei cloni.

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PER STAMPARE UNA LETTERA "A" DEL TESTO CHE STATE LEGGENDO SONO NECESSARIE PIÙ DI 1.500 GOCCE DI INCHIOSTRO.

Alcune immagini dei laboratori Hp e dei reparti di produzione e stoccaggio.I ricercatori eseguno test e studiano formulazioni sempre nuove e più efficaci per i pigmenti. Il primo a sinistra, sfocato dietro alla boccetta d’inchiostro, è Thom Brown, uno dei maggiori esperti della tecnologia ink-jet nonché testimonial della campagna itinerante di Hp contro i prodotti compatibili e la contraffazione.

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LE CARTUCCE PRODOTTE USANDO PLASTICA RICICLATA GENERANO IL 33% IN MENO DI EMISSIONI DIANIDRIDE CARBONICA, RISPETTO AI RICAMBI REALIZZATI CON MATERIALI NUOVI.

RICICLO ORGANIZZATOFinito l'inchiostro, la plastica delle cartucce può essere efficacemente riutilizzata. Per questo motivo i produttori di stampanti come Hp hanno da tempo organizzato la raccolta degli articoli esausti, gestita dalla stessa catena distributiva che si occupa della commercializzazione di quelli nuovi. Fino a oggi, con il programma Hp Planet Partners, la multinazionale ha generato più di un miliardo di cartucce usando plastica riciclata.

OBBIETTIVO SU | Hp

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Gli ultimi modelli di stampanti e multifunzione Hp utilizzano la tecnologia Page Wide Array, che prevede una testina di stampa larga tanto quanto la pagina. In questo modo è possibile fare scorrere il foglio, con un solo passaggio, lungo il sistema di stampa invece di muovere la testina. Risparmiando così molte parti meccaniche e velocizzando il processo.

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VETRINA HI-TECH

peculiarità? Combinare la possibilità di installare circa il 75% delle app dell’e-cosistema di Google (escluse quelle “proprietarie” come Gmail, Maps o il motore di ricerca di BigG) con quella di accedere ai principali servizi online di Microsoft (Skype, OneDrive e outlook.com). Il tutto attraverso un’interfaccia utente che richiama le “tile” animate di Windows Phone. Scommessa vincente o mossa azzardata? Gli analisti, in pro-posito, sono divisi. Ma quanto sono diversi gli smartphone di oggi dal primo Melafonino uscito dal cappello di Steve Jobs? L’ultima edizione del Mobile World Congress ha risposto, almeno in parte, a questa domanda. In-nanzitutto dicendoci che sotto il profilo delle caratteristiche hardware (schermi, processore, memoria, ecc.) i prodotti top di gamma sono fra loro equivalen-ti o quasi. Per questo, la sfida per pri-meggiare si gioca su altri attributi, per esempio sulla dotazione di sensori e

I telefonini sono ormai dei piccoli computer tascabili. O forse di più. Oggetti che diventano veri e propri assistenti personali. Capaci, grazie alla tecnologia Lte Advanced, di viaggiare in Rete in banda ultralarga.

SMARTPHONE: SALTO DI QUALITÀ E DI VELOCITÀ

In soli sette anni, dal 2007 (anno di lancio dell’iPhone) a oggi, il mon-do mobile è cambiato moltissimo. Per certi versi anche troppo. Apple

è salita sull’Olimpo degli smartphone; Google ne ha seguito la strada e ha “im-posto” Android al mercato, catturando attualmente l’80% delle vendite di te-lefonini intelligenti; Samsung ha spo-destato Nokia dal trono e marchi sto-rici come Motorola e BlackBerry hanno subito la concorrenza di marchi asiatici come Lg, Htc, Sony, Huawei, Zte e Le-novo. Di “made in Europe”, nei cellula-ri, è rimasta la sola Nokia, finita come ben sappiamo nella pancia di Microsoft. Porta la firma di Nokia, però, una delle novità più interessanti del 2014, la fa-miglia X. Si tratta di smartphone “low cost” destinati ai mercati emergenti, con prezzi dagli 89 ai 109 euro (il modello XL da 5 pollici) e progettati intorno a una versione profondamente adattata del sistema operativo Android. La loro

sulle capacità di interazione tra utente e dispositivo.

Sensori, app e comandi vocaliIl Galaxy S5 di Samsung ha un sensore per rilevare il battito cardiaco e fa pen-dant con il nuovo bracciale digitale della casa coreana, il Gear Fit, per offrire di-verse applicazioni per il fitness. L’Xperia Z2 di Sony, sia in versione smartphone che tablet, si combina a un altro device indossabile, il braccialetto Smartband, e rende disponibile un app (LifeLog) che permette di ripercorrere visivamente le attività svolte nel corso della giornata. Quanti passi abbiamo fatto, quando ab-biamo scattato una foto (e quale), quan-te ore abbiamo dormito. Il telefonino re-gistra tutto ciò che facciamo per renderci utenti e consumatori più consapevoli, meglio preparati ad affrontare le attività future. Il fenomeno del computing in-dossabile è quindi reale e tangibile, an-che se la prima generazione di dispositivi

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Dagli smartphone low cost ai dispositivi indossabili passando per BlackBerry e Windows Phone: con Carolina Milanesi, chief of research and head of US business di Kantar Worldpanel ComTech, proviamo a fare luce sui possibili scenari futuri dell’universo mobile.

Telefonini e phablet hi-end potranno

scendere sotto i 400 dollari?

Per i marchi più importanti, ne dubito. Avremo invece più funzio-nalità allo stesso prezzo, e il Galaxy S5, se paragonato con l’S4, ne è un esempio. Per i vendor di seconda fascia, come Huawei, senza dubbio: i loro prezzi sono già più bassi e ri-marranno costanti. Ogni brand avrà comunque a portafoglio un modello o due a costi sopra la media.

Si può ipotizzare un trend simile anche

per i tablet?

Sul mercato si trovano già molti prodotti sotto marca a 99 dollari,

IL FUTURO MOBILE IN CINQUE PASSI

SAMSUNG Galaxy S5 Punta sulla qualità fotografica del sen-sore da 16 megapixel e sulle capacità di videoregistrazione in 4K. Il valore aggiunto è il sensore biometrico per il riconoscimento dell’impronta digitale.

Il difetto, la cover in plastica.

HTC One (M8)Chassis in alluminio, doppio sensore fotografico, schermo ancora più gran-de (5 pollici) del modello precedente e la primizia di comandi “gesture”, per interagire con lo smartphone anche a schermo spento.

non ha convinto gli utenti e neppure gli addetti ai lavori. Ora siamo alla secon-da, e su questo treno ci sono saliti un po’ tutti i big dell’industria mobile (Huawei ha lanciato il Talk Smart Band B1, brac-cialetto con schermo a tecnologia Oled flessibile e connettività wireless Blueto-oth e Nfc) e anche veri e propri speciali-sti come la vicentina I’m Spa con il suo smartwatch dotato di Gps.Se fra gli ambiti di innovazione più im-portanti in campo smartphone c’è la capacità di interagire con il dispositi-vo, i comandi vocali sono un attributo ormai dato per assodato nei modelli di fascia alta, e i sensori per riconoscere le impronte digitali la nuova frontiera per la sicurezza del device. L’iPhone 5S di Apple ha aperto la strada con il “touch ID” posto sul tasto home, che permette di sbloccare il telefono senza password e di effettuare pagamenti su iTunes. Il Ga-laxy S5 di Samsung, oltre alla soluzione Knox 2.0 in chiave Byod, offre un siste-ma simile per quanto riguarda l’identità e la sicurezza e si appoggia alla piattafor-ma di PayPal per i pagamenti mobili: in oltre 20 Paesi si potrà, cioè, usare l’im-pronta digitale per fare shopping online su tutti i siti (e in alcuni negozi fisici) dei venditori partner. Lg, infine, ha in-trodotto sui propri nuovi smartphone la

tecnologia “Knock Code”: al posto della password si può accedere al dispositivo componendo un quadrato sullo scher-mo, in qualsiasi punto (oltre 80mila le possibili combinazioni utilizzabili).

Lte Advanced e chip a 64 bit Reti e device più veloci, potenti e intelli-genti: questa è la strada maestra dell’in-dustria mobile e questa è la sfida cui sono chiamate le aziende che lavorano nel campo del silicio. Al Mobile World Congress gli annunci di peso non sono mancati, soprattutto in direzione della nuova frontiera delle reti 4G, e cioè la tecnologia Lte Advanced categoria 6, che promette velocità in download pari a 300 Megabit al secondo. Hanno presentato novità in tal senso sia Intel, con la piat-taforma Xmm 7260, sia Qualcomm. La casa californiana ha messo in campo una demo del primo terminale, un Galaxy Note 3, capace di sfruttare le prestazioni del nuovo modem Gobi 9x35 su infra-struttura di rete Ericsson. Non bastasse la banda larghissima, per gli utenti di smartphone e dei tablet sono in arrivo le capacità computazionali delle Cpu a 64 bit, e cioè gli “octa core” Snapdragon 615 e gli Intel Atom “Merrifield” e “Moore-field” (per Android).

Gianni Rusconi

SONY Xperia Z2Display e capacità di registrazione video in formato 4K sono i suoi punti di forza. Sfoggia un pannello Trilu-monos Full HD da 5,2 pollici, con tecnologia Live Colour Led, e una fotocamera da 20,7 megapixel.

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sia nei Paesi emergenti sia in Europa e Asia, ed è indubbio che i tablet sia-no arrivati a prezzi ben più aggressivi molto più velocemente dei telefonini. La fascia alta delle tavolette da 10 pollici e oltre rimarrà costosa fino a quando i vendor li posizioneranno come un pc facendo pagare ai consu-matori un extra costo per il formato ibrido.

Windows Phone ha oggi tutti i requisiti

per emergere? Come si spiega il lancio

dei Nokia X con Android?

Il problema di Windows Phone è duplice: non ha abbastanza applica-zioni e per i Paesi emergenti i prezzi dei suoi prodotti non sono ancora sufficientemente bassi. I Nokia X non rappresentano tanto l’adozione di Android da parte di Microsoft, quan-to la decisione di Nokia di creare una piattaforma che possa supportare le applicazioni Android. Per Microsoft è un’opportunità di portare utenti al suo ecosistema piuttosto che lasciarli a Google. L’importante è che il lancio dei prodotti sia mirato e che agli sviluppatori continuino ad essere

garantiti incentivi per focalizzarsi su Windows Phone.

Blackberry è destinata a soccombere

anche in campo aziendale?

Io non vedo un futuro. Il Byod è dap-pertutto e se Microsoft gioca bene le sue carte il mercato del mobile enter-prise sarà suo semplicemente perché le aziende vedono l’opportunità di usare Windows su più device.

Capitolo wereable device: diventeran-

no un prodotto di massa, anche

nella logica di oggetti “compa-

nion” per uso professionale?

Tutto il 2014 sarà a mio avviso un “trial and error year”.

Per gli utenti mass market questi oggetti non sono oggi essenziali e per tanti non sono nemmeno un prodotto “nice to have”. I vendor si stanno muovendo in fretta più per la necessità di trovare una novità da proporre al mercato che non per sod-disfare un bisogno reale da parte dei consumatori. Se i prezzi scendono, il design migliora e l’utilità diventa più evidente, allora i dispositivi indossabili riscuoteranno sicuramente maggior interesse. G.R.

LG G2 MiniVersione in formato ridotto del top di gamma della casa coreana, costa 300 euro e si “limita” a uno schermo da 4,7 pollici. Del fratello maggiore con-serva il design, i pratici tasti posteriori e il sistema di sblocco “Knock”.

ASUS FonePad 7 Lte Più tablet che telefonini per ovvie ragioni dimensionali (schermo da 7 pollici), i FonePad sono prodotti votati all’intrattenimento e allo streaming online di musica e video. Nel motore hanno i nuovi chip Atom di Intel.

HUAWEI MediaPad X1 Ha il pregio di essere leggero (240 grammi) e sottile (7,2 millimetri) no-nostante lo schermo da 7 pollici Full HD. Permette di effettuare lo “swipe” anche quando si tiene più di un dito appoggiato sullo schermo.

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pillole digitali

EPSONWorkForce-5110DWEpson porta su nuove inkjet pensate per l’ufficio la tecnologia delle testine di stampa PrecisionCore, che potenzia la qualità, la durata e la velocità delle stampanti. Diciotto le nuove Work-Force, distribuite su due diverse serie per il formato A3+ (WorkForce Pro WF-8000, con i modelli 8590DWF, 8090DW, 8510DWF e 8010DW) e per l’A4 (WorkForce Pro WF-5600, con i modelli 5690DWF, 5190DW, 5620DWF e 5110DW). Tutti pro-mettono un consumo energetico ri-dotto fino all’80% rispetto ai dispositi-vi laser a colori della concorrenza, e un costo per pagina inferiore fino al 50%. Il modello entry-level WF-5110DW è completo di funzioni per il mobile printing e di tecnologia WiFi-Direct, per stampare in wireless senza doversi collegare a un router.Prezzo: da 218 euro

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D-LINKDir-510LIl nuovo gadget presentato da D-Link permette di cogliere due pic-cioni con una fava: collegare al Web un dispositivo dotato di connettività WiFi o Ethernet e, allo stesso tempo, mettere in ricarica uno smartphone o un tablet. DIR-510L è un router e

insieme un caricatore portatile, che trasforma una qualsiasi connessione in un hotspot WiFi wireless AC per condividere file, trasmettere video in streaming e navigare sulla rete. La sua batteria integrata da 4000 mAh può essere sfruttata per ricaricare un dispo-sitivo mobile senza doverlo collegare a una presa di corrente. Due porte Usb integrate permettono, inoltre, di con-dividere file o connessioni 3G/4G/Lte tra più dispositivi. La tecnologia Dual Band consente di evitare problemi do-vuti a interferenze o alla congestione del segnale radio e, grazie all’utilizzo combinato delle bande 2,4 GHz e 5 GHz, di raggiungere una velocità di 750 Mbps. Prezzo: da 119 euro

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KODAKi4200 PlusUna nuova fotocamera a due sensori, un’elettronica rinnovata e la capacità di acquisire velocemente immagini a 300 dpi fanno dello scanner i4200 Plus di Kodak Alaris la soluzione ottimale non solo per le classiche attività di trasferi-mento, digitalizzazione e archiviazione delle immagini, ma anche – nello spe-cifico – per il riconoscimento ottico. La maggior parte delle applicazioni di Optical Character Recognition (quel-le che estraggono e traducono in un formato leggibile i testi salvati come immagine) sono progettate per otte-nere risultati ottimali a partire dai 300 dpi. Lo scanner i4200 Plus arriva ad acquisire cento pagine al minuto a 200 e 300 dpi a colori e in bianco e nero, per un volume consigliato di 30mila

pagine; il modello più grande, l’i4600 Plus, arriva a elaborare 120 pagine al minuto, con una media consigliata di 50mila pagine giornaliere.Prezzo: 10.495 euro

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BUFFALOLinkStation 200LinkStation 200 è la prima serie di sistemi Network Attached Storage espressamente progettata per i dispo-sitivi mobili, mai presentata sul merca-to. Al pari di altri modelli di Buffalo, la promessa è quella di combinare si-curezza, semplicità di gestione ed ele-vate capacità di archiviazione, ma con la peculiarità di un’interfaccia utente ottimizzata per smartphone e tablet. Il Nas può essere attivato in pochi mi-nuti, anche eseguendo il processo di configurazione con uno smartphone, e diventa da quel momento completa-mente gestibile tramite app su tutti i terminali iOS e Android. Due le tipo-logie di Nas proposte, a singolo drive (LinkStation LS210) e a doppio drive (LS220), con capacità che vanno dai 2 agli 8 TB. I prezzi partono da 134,90 euro per arrivare a 524,90 euro.Prezzo: 134,90 euro

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