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Università degli Studi di Roma “La Sapienza” DOTTORATO DI RICERCA IN BIOCHIMICA - XVII Ciclo Dipartimento di Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli” STUDIO DEL RICONOSCIMENTO MOLECOLARE IN PROTEASI TROMBINO-SIMILI DA VELENI DI SERPENTE GIOVANNA BOUMIS Docente guida: prof. ANDREA BELLELLI Dipartimento di Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli” Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Coordinatore: prof. PAOLO SARTI Dipartimento di Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli” Università degli Studi di Roma “La Sapienza” Docenti esaminatori: prof. MAURIZIO PACI - Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” prof. GIOVANNI ANTONINI - Dipartimento di Biologia Università degli Studi “Roma Tre” prof. NAZZARENO CAPITANIO - Dipartimento di Scienze Biomediche Università degli Studi di Foggia

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Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

DOTTORATO DI RICERCA IN BIOCHIMICA - XVII Ciclo

Dipartimento di Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli”

STUDIO DEL RICONOSCIMENTO MOLECOLARE IN PROTEASI TROMBINO-SIMILI DA VELENI DI SERPENTE

GIOVANNA BOUMIS

Docente guida: prof. ANDREA BELLELLI Dipartimento di Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli”

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Coordinatore: prof. PAOLO SARTI Dipartimento di Scienze Biochimiche “A. Rossi Fanelli”

Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Docenti esaminatori: prof. MAURIZIO PACI - Dipartimento di Scienze e Tecnologie Chimiche

Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” prof. GIOVANNI ANTONINI - Dipartimento di Biologia

Università degli Studi “Roma Tre” prof. NAZZARENO CAPITANIO - Dipartimento di Scienze Biomediche

Università degli Studi di Foggia

SOMMARIO

1 INTRODUZIONE 1 1.1 I veleni di serpente 1 1.2 Le proteasi a serina 1 1.2.1. generalità 1 1.2.2. specificità delle proteasi tripsino-simili 3 1.3 Cenni sul sistema emostatico 4 1.4 La trombina 8 1.4.1. generalità 8 1.4.2. struttura e meccanismi molecolari della trombina 9 1.5 Il fibrinogeno 12 1.5.1. generalità 12 1.5.2. eterogeneità a livello molecolare 13 1.5.3. conversione del fibrinogeno in fibrina 13 1.5.4. meccanismo di polimerizzazione della fibrina 14 1.6 Interazione tra α-trombina e fibrinogeno 15 1.7 Le proteine di veleni di serpente 18 1.7.1. azione sull’emostasi e utilizzo diagnostico o clinico 18 1.7.2. la famiglia delle SVTLE 19 1.7.3. aspetti evolutivi 20 1.7.4. caratteristiche strutturali 21 1.8 La contortrixobina 22 1.8.1. caratteristiche strutturali 22 1.8.2. caratteristiche funzionali 23 2 SCOPO DELLA TESI 24 3 MATERIALI E METODI 25 3.1 Libreria di cDNA 25 3.2 Clonaggio dei cDNA 25 3.3 Espressione 26 3.4 Purificazione della MBP-5TLE 26 3.5 Immobilizzazione del FXa su AffiGel e taglio della proteina di fusione 26 3.6 Saggi funzionali: attività su piccoli substrati sintetici 27 3.7 Saggi funzionali: attività su substrati macromolecolari 27 3.7.1. fibrinogeno 27 3.7.2. proteina C 28 3.7.3. plasminogeno 28 3.8 Modello di struttura tridimensionale 28 3.9 Determinazione delle caratteristiche strutturali del gel di fibrina 28 3.9.1. analisi di diffrazione elastica della luce laser 28 3.9.2. coniugazione della trombina con fluoresceina isotiocianato per analisi 30 in microscopia confocale 3.9.3. analisi di microscopia confocale 30 4 RISULTATI 31 4.1 Clonaggio, espressione e caratterizzazione della 5TLE 31

Introduzione 3 4.1.1. clonaggio dei cDNA per le TLE 31 4.1.2. espressione 33 4.1.3. saggi funzionali: piccoli substrati sintetici 34 4.1.4. saggi funzionali: substrati macromolecolari 35 4.1.5. taglio della proteina di fusione 35 4.2 Attività della contortrixobina 37 4.2.1. attività idrolitica sul fibrinogeno umano 37 4.2.2. attività su altri substrati 38 4.2.3. modello di struttura tridimensionale 39 4.3 Studio della struttura del coagulo di fibrina 43 5 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI 47 5.1 Clonaggio, espressione e caratterizzazione della 5TLE 47 5.2 Caratterizzazione e modello strutturale della contortrixobina 47 5.3 Struttura dei coaguli ottenuti con enzimi diversi 51 6 BIBLIOGRAFIA 54

1. INTRODUZIONE 1.1. I veleni di serpente

Attualmente sulla terra esistono più di 200 specie di serpenti velenosi, classificati in quattro famiglie principali: Hydrophiidae (serpenti marini), Elapidae (cobra), Viperidae (vipere e vipere dalla fossetta) e Colubridae (colubridi).

Nei serpenti velenosi sono presenti, oltre alle ghiandole salivari, le ghiandole del veleno, che sintetizzano, immagazzinano e secernono, in forma attiva o come precursori, una miscela di proteine e peptidi con differenti strutture e funzioni, in grado di interferire con diverse attività fisiologiche.

I componenti del veleno sono abbastanza simili all’interno della stessa famiglia di serpenti (ad esempio le neurotossine si trovano generalmente nei veleni di Hydrophiidae e di Elapidae, mentre le tossine emorragiche e quelle mionecrotiche sono presenti per lo più nelle altre due famiglie), ma si differenziano da specie a specie.

Sulla base della loro attività funzionale, questi composti ad azione tossica possono essere classificati in: neurotossine, citotossine, cardiotossine, lectine, disintegrine, peptidi che potenziano la bradichinina, peptidi natriuretici, macromolecole in grado di formare complessi con alcuni fattori della coagulazione (col fattore von Willebrand, col fattore IX, col fattore X, con la glicoproteina Ib), diversi tipi di enzimi (soprattutto proteasi a serina, metalloproteasi e fosfolipasi, ma anche proteasi a cisteina e ad aspartato, amminotransferasi, catalasi, ialuronidasi, ATPasi), ed inibitori enzimatici [1].

In questo lavoro, l’attenzione sarà focalizzata sulle proteine che interagiscono con il sistema della coagulazione umana, ed in particolare sulle proteasi a serina con attività trombino-simile indicate nella letteratura internazionale come Snake Venom Thrombin-Like Enzymes (SVTLE). Queste proteine sono interessanti sia dal punto di vista applicativo, nel campo della terapia e della diagnostica della coagulazione, sia da quello della ricerca sui meccanismi di riconoscimento molecolare. 1.2. Le proteasi a serina

1.2.1. Generalità Gli enzimi proteolitici vengono classificati in famiglie diverse a seconda del meccanismo

catalitico che utilizzano; si distinguono così le famiglie S, T, C, A, M, rispettivamente per serina-, treonina-, cisteina-, aspartico- e metallo-proteasi. Il meccanismo catalitico prevede in tutti i casi l’attacco nucleofilo del sito catalitico dell’enzima al legame peptidico da scindere; nelle proteasi a serina, a treonina ed a cisteina il nucleofilo è il gruppo ossidrilico o sulfidrilico di un amminoacido dell’enzima, mentre nelle aspartico- e nelle metallo-proteasi è una molecola d’acqua attivata. Solo nelle Ser/Thr/Cys proteasi si formano quindi degli intermedi acilati.

2 Capitolo 1

Le famiglie delle proteasi a serina sono una quarantina, raggruppate in 7 clan sulla base della loro struttura terziaria e della successione dei residui catalitici nella struttura primaria. Il loro meccanismo catalitico prevede, oltre alla serina che costituisce il nucleofilo, un donatore di protoni, che nei clan SA, SB, SC ed SH è un residuo di istidina; per espletare l’attività enzimatica è inoltre in genere richiesto un terzo residuo, per cui si parla di triade catalitica [2]; questo terzo componente, per lo più di aspartato o di asparagina, contribuisce ad ottimizzare l’orientazione dell’anello imidazolico dell’istidina.

Nel clan SA, l’ordine della triade catalitica nella sequenza proteica è His, Asp, Ser e la struttura terziaria è costituita principalmente da foglietti β. Le proteasi di questo gruppo sono costituite da due domini con la struttura definita con il termine inglese a β−barrel, ed hanno la tasca che ospita il sito attivo all’interfaccia tra i due domini. Gli enzimi tripsino-simili appartengono alla famiglia S1 del clan SA delle proteasi a serina, che ha come capostipite la chimotripsina, la prima di cui è stato descritto il sito catalitico ed il meccanismo d’azione, nel 1967 [3].

In queste proteasi l’atomo di azoto di His57 (la numerazione convenzionale è quella relativa alla sequenza del chimotripsinogeno [4]) attira verso di sé l’idrogeno dell’ossidrile di Ser195 (che viene in tal modo polarizzato) e nello stesso tempo Asp102 aiuta His57 ad effettuare al meglio la polarizzazione; è questa la base di partenza per un forte attacco nucleofilico sull’atomo di C del legame peptidico che va incontro a idrolisi (pannello 1, Fig. 1.1.a). Questo atomo di C (che ha inizialmente ibridazione sp2) viene convertito in una forma tetraedrica nello stato di transizione del processo proteolitico. La distorsione della conformazione locale della proteasi, imposta dalla formazione dell’intermedio tetraedrico, fa sì che l’ossigeno carbonilico del legame peptidico destinato all’idrolisi, che è ora carico negativamente (pannello 2, Fig. 1.1.a), si approfondi in un anfratto nella struttura proteica, precedentemente vuoto, chiamato cavità dell’ossianione (Fig. 1.1.b). In questa cavità l’ossianione (cioè l’intermedio caratteristico dello stato di transizione) viene stabilizzato da due interazioni a idrogeno con due gruppi NH della catena carboniosa dell’enzima, interazioni che contribuiscono ad orientare il substrato nel modo ottimale per la catalisi. L’azoto del legame peptidico a cui è interessato l’intermedio tetraedrico accetta un atomo di idrogeno da His57, cosicché si ha l’indebolimento e la successiva rottura del legame peptidico (pannello 3, Fig. 1.1.a). In seguito a questo evento la porzione C-terminale del substrato viene rilasciata dall’enzima, mentre l’altra porzione rimane legata in modo covalente alla proteasi, costituendo l’intermedio acilato o acil-enzima (pannello 3, Fig. 1.1.a). L’attacco nucleofilico di una molecola d’acqua catalizza la deacilazione (pannello 4, Fig. 1.1.a) dell’enzima, con il rilascio del secondo prodotto di reazione (il frammento N-terminale del substrato), ristabilendo allo stesso tempo l’assetto originario della triade catalitica (pannelli 5 e 6, Fig 1.1.a) [5].

Introduzione 3

Figura 1.1. Schema del meccanismo catalitico delle proteasi a serina (a) e stabilizzazione dello stato di transizione (b).

1.2.2. Specificità delle proteasi tripsino-simili Nel descrivere la specificità delle proteasi si utilizza una terminologia in cui il sito

catalitico è visto fiancheggiato da un solo lato o da tutti e due i lati da subsiti di specificità, ciascuno dei quali è in grado di accogliere la catena laterale di un singolo residuo aminoacidico. Questi subsiti sono numerati ed identificati a partire dal sito catalitico (o sito di specificità primaria) con la seguente simbologia: S1, S2,…Sn, verso l’estremità N-terminale dell’enzima e S’1, S’2,…S’n verso l’estremità C-terminale. I residui del substrato che sono accolti nei siti di specificità dell’enzima sono invece numerati rispettivamente P1, P2,…Pn, e P’1, P’2…P’n.

(a)

(b)

4 Capitolo 1 Il sito catalitico è dunque identificato dagli accoppiamenti tra substrato ed enzima nel modo seguente, dove + indica il legame da scindere:

Substrato - P3 - P2 - P1 + P’1 - P’2 - P’3 - Enzima - S3 - S2 - S1 + S’1 - S’2 - S’3 -

La tasca di specificità primaria S1 è altamente conservata all’interno della stessa classe di proteasi: così le proteasi chimotripsino-simili presentano in S1 una fessura idrofobica che può alloggiare la catena laterale aromatica di Phe, Tyr o Trp, che costituiscono quindi l’estremità carbossilica del legame da scindere, mentre l’elastasi presenta una depressione idrofobica più ristretta, che le conferisce specificità per residui piccoli e apolari, in particolare Ala, in P1.

Nelle proteasi a serina tripsino-simili il sito S1 ospita il residuo di Asp in posizione 189 che forma un legame ionico con la catena laterale cationica del residuo P1 del substrato [6]. La tripsina taglia quindi con grande efficacia quei substrati in cui il gruppo ammidico segue un residuo di Arg o Lys, così come fanno la trombina e le altre proteasi a serina che intervengono nella coagulazione, tutte tripsino-simili.

1.3. Cenni sul sistema emostatico

L’emostasi è un complesso di reazioni biochimiche e cellulari che, pur mantenendo il sangue allo stato fluido in condizioni fisiologiche, permette di rispondere prontamente alla perdita ematica dovuta ad un danno vascolare, occludendo la rottura nella parete del vaso [7]. In condizioni fisiologiche la fluidità del sangue è mantenuta grazie alla funzionalità dell’endotelio vascolare che, oltre a costituire un’efficiente barriera tra il sangue e molecole altamente reattive presenti negli strati più profondi della parete vasale, inibisce la coagulazione del sangue e l’aggregazione piastrinica, e promuove la fibrinolisi.

In seguito ad un danno all’endotelio, dovuto ad azione meccanica o chimica o ad un processo infiammatorio, si ha dapprima una vasocostrizione locale (fase vascolare) che non solo riduce l’emorragia, ma, rallentando il flusso ematico, favorisce l’esposizione delle cellule e dei diversi fattori plasmatici ad una serie di componenti subendoteliali (collagene, fibronectina, vitronectina e Fattore von Willebrand, VWF) che attivano le fasi successive (fase piastrinica e fase coagulativa) stimolando la formazione di un tappo emostatico e poi di un coagulo stabile; una volta che il danno vasale è stato riparato, il coagulo verrà poi dissolto nella fase fibrinolitica.

Le piastrine, interagendo tramite proteine recettrici di membrana dette integrine con il collagene subendoteliale, vengono “attivate”, favorendo ulteriormente l’aggregazione piastrinica sul punto della lesione. Questa stimolazione innesca l’attivazione di una serie di vie metaboliche nelle piastrine, con il rilascio del contenuto dei granuli, in particolare ADP e serotonina, che portano, tra l’altro, all’attivazione della Fosfolipasi A2 (PLA2) e quindi alla produzione di trombossano A2 (TxA2), uno dei più potenti agonisti dell’attivazione delle piastrine, con conseguente amplificazione della risposta piastrinica. Nello stesso tempo l’endotelio libera anche sostanze antagoniste, quali la prostaciclina (PIG2) ed il monossido d’azoto (NO) che hanno azione vasodilatatoria ed inibiscono la risposta piastrinica (fig. 1.2 a).

Introduzione 5

Oltre ad attivare le piastrine, il danno all’endotelio determina l’esposizione del plasma al Fattore Tissutale (TF) subendoteliale, che attiva la fase coagulativa dell’emostasi, che culmina nella conversione del fibrinogeno in fibrina e contribuisce a convertire il tappo piastrinico in un coagulo stabile (fig. 1.2 b).

Figura 1.2. Risposta piastrinica al danno vascolare con attivazione, secrezione ed aggregazione dei trombociti (formazione del tappo piastrinico) (a) e stabilizzazione del coagulo con una rete di fibrina (b). Per le sigle, vedi il testo.

Il TF è una proteina intrinseca di membrana che, una volta esposta nell’endotelio dannneggiato, interagisce con il Fattore VIIa. Questo fattore fa parte di un gruppo di proteine vitamina K-dipendenti insieme ad altri componenti del sistema coagulativo, come i Fattori IX e X, la protrombina, la proteina C e la proteina S. Caratteristica comune di queste proteine è una modificazione post-traduzionale che avviene negli epatociti ad opera della glutammato carbossilasi e richiede vitamina K, che aggiunge un gruppo carbossilico ai residui di glutammato all’estremità N-terminale, convertendoli in acido γ-carbossiglutammico (Gla). I due carbossili dei residui Gla legano ioni calcio, fondamentali per l’interazione di queste proteine con i fosfolipidi delle membrane e quindi per la loro funzionalità. Queste proteine (con l’eccezione della proteina S, che è un cofattore privo di attività enzimatica) sono zimogeni che vengono attivati da un numero limitato di tagli proteolitici in proteasi a serina ed amplificano l’attivazione delle proteine più a valle nella cascata.

Il complesso TF/FVIIa, che si forma sulla superficie dei monociti o delle cellule endoteliali danneggiate, ha come substrati i Fattori IX e X, che vengono attivati a FIXa e FXa e rimangono associati ai fosfolipidi di membrana, dove interagiscono con altri cofattori: il FIXa interagisce con il FVIIIa per attivare il Fattore X a Xa, e quest’ultimo interagisce con il

6 Capitolo 1 Fattore Va formando, insieme ai fosfolipidi e agli ioni calcio, il cosiddetto complesso della “protrombinasi”, che converte la protrombina (o Fattore II) in trombina (fig. 1.3).

L’attivazione del Fattore IX si può avere anche attraverso un’altra via, indipendente dal Fattore tissutale e dal Fattore VII, innescata interamente da componenti presenti nel plasma, e perciò detta “via intrinseca”. Questa via viene attivata in vitro quando il sangue entra in contatto con una superficie estranea carica negativamente, e lo zimogeno Fattore XII, o Fattore di Hageman, si autoattiva ed agisce sui suoi substrati, la precallicreina ed il FXI, convertendoli in callicreina e FXIa; il FXIa, a questo punto attiva il Fattore IX, in presenza di ioni calcio ma senza l’intervento di altri fattori di membrana.(fig. 1.3) (L’attivazione da contatto del FXII è però importante soprattutto in vivo perché partecipa all’innesco della risposta infiammatoria, all’attivazione del complemento, all’attivazione del chininogeno ed alla fibrinolisi).

Il Fattore Xa, che può essere attivato sia dal complesso TF/FVIIa che dal FIXa, con o senza l’intervento del TF, costituisce l’elemento cataliticamente attivo del complesso della protrombinasi, che converte la protrombina, o Fattore II, in trombina. Il processo è finemente regolato dall’azione della stessa trombina che, da un lato, attiva i cofattori VIII e V, accelerando quindi la sua stessa attivazione, e dall’altro attiva la proteina C, che invece inattiva proteoliticamente i fattori VIII e V, risultando nella modulazione negativa della produzione di trombina.

La protrombina, come gli altri fattori vitamina K-dipendenti, è costituita da diversi domini strutturali: una regione N-terminale ricca di residui Gla che legano il Ca2+, deputata all’interazione con i fosfolipidi, una regione a cui si lega il cofattore, FVa, la regione del peptide di attivazione e il dominio catalitico. L’intervento del Fattore Xa provoca prima la rimozione proteolitica del dominio ricco di Gla ed il distacco della (pre)-trombina dalla superficie fosfolipidica e poi, con un secondo taglio, l’attivazione della pre-trombina ad enzima attivo (α-trombina), costituito da due catene legate da un ponte S-S.

Nella fase finale della cascata coagulativa l’α-trombina agisce sul fibrinogeno, una glicoproteina solubile ad alto peso molecolare, rimuovendo per digestione proteolitica quattro brevi peptidi, i fibrinopeptidi A e B, che essendo carichi negativamente, mantenevano il fibrinogeno in soluzione per repulsione elettrostatica; la loro rimozione trasforma il fibrinogeno in fibrina che va incontro ad un processo di aggregazione spontanea. Le fibre di fibrina inglobano il tappo piastrinico e formano il coagulo. La trombina agisce inoltre sul Fattore XIII, attivandolo a FXIIIa, una transglutaminasi che forma legami crociati tra le fibre di fibrina, e in tal modo stabilizza il coagulo. I dettagli dell’interazione tra trombina e fibrinogeno e la polimerizzazione della fibrina saranno descritti più avanti.

Dopo la formazione della rete di fibrina, una volta che la perdita ematica è stata bloccata, si attiva il sistema fibrinolitico che dissolve gradualmente il coagulo (fig. 1.3). Responsabile della rimozione del coagulo è un’altra proteasi a serina, la plasmina, che degrada il reticolo di fibrina producendo frammenti solubili a più basso peso molecolare che vengono liberati nel circolo sanguigno. La plasmina è prodotta in seguito all’attivazione del plasminogeno da parte

Introduzione 7 di specifici attivatori, come l’attivatore del plasminogeno di tipo tissutale (t-PA) e l’attivatore del plasminogeno di tipo urochinasi (u-PA).

La dissoluzione del coagulo permette la deposizione di nuovo collagene, la formazione di tessuto fibroso e la riparazione della lesione.

Altri sistemi di controllo del processo emostatico sono costituiti dall’inibizione da parte di altre proteine plasmatiche (PAI-1, TAFI e PCI nella figura 1.3) e dalla presenza sulla superficie delle cellule endoteliali di trombomodulina (TM), una proteina che legandosi alla trombina ne impedisce l’interazione col fibrinogeno mentre aumenta la sua attività sulla proteina C, con effetto anticoagulante, e di eparansolfato, che aumenta l’attività dell’AT-III.

Figura 1.3. Rappresentazione schematica della cascata coagulativa e della via fibrinolitica. Sono riportate le principali interazioni ed i meccanismi di retroazione che conducono alla conversione degli zimogeni (incorniciati da rettangoli) a proteasi attive (riportate entro ovali). Le reazioni procoagulanti sono riportate in verde, quelle con inibitori di proteasi con linee nere tratteggiate, la via anticoagulante mediata dalla proteina C in rosso. Le proteasi vitamina K-dipendenti (trombina o fattore II, fattori Xa, IXa, e VIIa, proteina C attivata) sono tutte regolate dagli ioni Na+ (in giallo). Abbreviazioni: aPC, proteina C attivata; PCI, inibitore della proteina C; PL, fosfolipidi; PS, proteina S;; TF, fattore tissutale; TFPI, inibitore della via iniziata dal fattore tissutale; TM, trombomodulina; tPA, attivatore tissutale del plasminogeno; Uk, urochinasi; Sk, streptochinasi; PAI-1 inibitore dell’attivatore del plasminogeno.

L’emostasi è dunque un processo molto complesso e, qualora si verifichi un danno alla parete vasale, la coagulazione viene attivata in modo esplosivo per impedire un’eccessiva perdita di sangue. Di conseguenza, se il controllo dello stimolo emostatico non è ben regolato, per uno squilibrio nel sistema di inibizione o perché aumentano i fattori procoagulanti, possono verificarsi malattie tromboemboliche.

8 Capitolo 1 1.4. La trombina

1.4.1. Generalità La trombina svolge un ruolo chiave in diverse tappe del processo emostatico con effetti sia

procoagulanti, attivando i fattori V, VIII e XIII e la conversione del fibrinogeno in fibrina, che anticoagulanti mediante l’attivazione della proteina C che a sua volta, insieme con la proteina S, rende inattivo il fattore Va. Oltre al suo ruolo primario nella coagulazione, la trombina ha vari importanti effetti su diverse linee cellulari a seguito del suo legame con specifici recettori [8, 9]. In particolare, induce l’aggregazione delle piastrine e stimola la loro secrezione; determina la mitogenesi nei fibroblasti e nelle cellule della linea macrofagica; si lega agli endoteli e alla matrice subendoteliale extracellulare.

Nel sangue, la trombina ha un’emivita molto breve, dell’ordine di pochi minuti, a causa della rimozione da parte dell’antitrombina III, che forma un addotto inattivo con la proteasi in presenza di eparina [10].

Tutte la reazioni della trombina sono influenzate dall’equilibrio tra due conformazioni: una forma detta lenta ed una detta veloce, in base alla rapidità con cui taglia i fibrinopeptidi dal fibrinogeno. La transizione tra le due conformazioni (lenta→veloce) è innescata dal legame dello ione Na+ ad un sito specifico (Fig. 1.4 a), che stabilizza la forma veloce e determina un innalzamento della specificità nei confronti di diversi leganti sia sintetici che fisiologici [11].

La forma veloce, cioè quella che ha il Na+ legato, mostra una maggiore affinità per il fibrinogeno, per i recettori cellulari, per la trombomodulina e per l’antitrombina III, mentre la forma lenta, priva di Na+, è più specifica per la proteina C [12]. Si comprende perciò facilmente come la ripartizione della trombina fra le due conformazioni rivesta grande importanza per lo stato di salute. In condizioni fisiologiche di pH e di temperatura, la concentrazione di dissociazione all’equilibrio degli ioni Na+ è 110 mM, un valore che si avvicina molto alla concentrazione del NaCl nel sangue (145 mM). Questo fatto rende le forme veloce e lenta della trombina ugualmente popolate in vivo (in un rapporto di 3:2), ed assicura che la posizione dell’equilibrio sia collocata in modo ottimale per la sua regolazione allosterica mediante cofattori, come la fibrina (procoagulante) e l’eparina (anticoagulante).

Sia nella trombina che in altre proteasi a serina della famiglia S1, un residuo fondamentale per il legame del Na+ è Tyr225. Infatti la mutazione Tyr225Pro abolisce il legame del Na+ e stabilizza l’enzima nella forma lenta [13].Questo residuo riveste anche un importante significato evolutivo e funzionale: in tutte le proteasi a serina la posizione 225 è occupata unicamente da una tirosina o da una prolina, ed il residuo presente corrisponde ad una suddivisione filogenetica delle proteasi in due grandi gruppi. Gli enzimi che presentano Tyr225, come la trombina, sono presenti solo tra i vertebrati, e sono coinvolti in funzioni specializzate, come la coagulazione del sangue o il sistema del complemento; tutte queste proteasi sono regolate allostericamente dal legame del sodio. Nelle proteasi che presentano Pro225, invece, il Na+ non può legarsi e la loro attività è insensibile alla concentrazione di tale ione; queste proteasi, come la tripsina, hanno per lo più funzioni digestive e sono presenti

Introduzione 9 anche in organismi primitivi come gli eubatteri [13]. Anche le proteasi di serpente appartengono a questo gruppo.

1.4.2. Struttura e meccanismi molecolari dell’attività della trombina La α-trombina (o semplicemente trombina) è una proteasi a serina costituita da due catene

polipeptidiche denominate A e B (rispettivamente di 36 e 259 residui), legate covalentemente da un ponte disolfuro [4].

La catena A si trova in posizione opposta rispetto alla tasca del sito attivo sulla catena B, in posizione topologica simile al peptide di attivazione del chimotripsinogeno, ma la sua funzione è rimasta a lungo poco chiara. Studi sulla catena B isolata hanno però rivelato una marcata riduzione dell’attività proteolitica ed amidasica della proteina, e indagini recenti su mutanti naturali di protrombina con la delezione di due residui contigui di Lys nella catena A [14] hanno permesso di ipotizzare un ruolo di regolazione allosterica per questa catena non catalitica, come già osservato nell’attivatore del plasminogeno e nell’urochinasi [15].

Gli epitopi (o siti di riconoscimento) funzionali dell’enzima si trovano tutti sulla catena B, che mostra il tipico arrangiamento tridimensionale delle proteasi a serina tripsino-simili, costituito da due domini a β−barrel aventi struttura simile e disposti in modo asimmetrico così da accomodare nell’interfaccia i residui della triade catalitica: His57, Asp102 e Ser195 (Fig. 1.4).

Rispetto alla tripsina ed alla chimotripsina, nella trombina sono presenti numerose inserzioni sotto forma di anse che connettono i foglietti β presenti nella catena B (Fig. 1.4).

Figura 1.4. Struttura tridimensionale della catena B della α-trombina umana nella sua forma veloce (a), con i residui più importanti per il riconoscimento evidenziati, e della β-tripsina bovina (b), dove sono evidenziati i residui della triade catalitica. L’ansa intorno alla Tyr76 nella trombina è topologicamente corrispondente all’ansa che lega il Ca2+ nella tripsina.

Due di queste inserzioni, l’ansa Trp60d e l’ansa di autolisi, delimitano e nello stesso

tempo restringono l’accesso al sito attivo. L’ansa Trp60d definisce il margine superiore del sito attivo ed allontana il solvente da His57 e Ser195. Quest’ansa è costituita da nove residui,

(b)(a)Ansa di autolisi

Sito di legame del

Na+

Esosito I

Esosito II

Trp215 Trp60d

Tyr76

Arg75

Sito arilico

C

N

10 Capitolo 1 da Tyr60a a Ile60i, e sporge nel solvente con la voluminosa catena laterale del Trp60d, responsabile dell’ingombro sterico che riduce l’accesso al sito attivo; è fondamentale per l’inibizione della trombina da parte dell’ATIII [16] e concorre all’interazione con il fibrinogeno [17, 18].

L’ansa di autolisi, così chiamata per la sua suscettibilità al taglio proteolitico, delimita il margine inferiore dell’accesso al sito attivo. E’ costituita da nove residui, più estesa rispetto alla corrispondente regione della tripsina, per l’inserzione di cinque residui, da Ala149a a Lys149e.

Oltre a queste due inserzioni, la zona di accesso al sito attivo comprende anche il residuo Glu192, la cui carica negativa gioca un ruolo determinante nel discriminare substrati con gruppi acidi in prossimità del legame peptidico che va incontro a idrolisi, come accade per la proteina C e per il recettore I della trombina.

La specificità dell’α-trombina è simile, ma più ristretta rispetto a quella della β-tripsina. Tali restrizioni nel riconoscimento molecolare sono il risultato di a) l’occlusione parziale del sito attivo dovuta all’ansa Trp60d e alla maggiore estensione dell’ansa di autolisi, che limitano l’accesso di substrati macromolecolari, b) una maggiore selettività per i residui P3, P2, P’2 e P’3, e c) l’impiego di estese aree di interazione, dette esositi, distanti dal sito attivo.

Nella tabella 1.1 sono riportati alcuni tratti della sequenza di substrati naturali della trombina ed il punto dell’attacco proteolitico.

Tabella 1.1. Siti di taglio dell’α-trombina su substrati naturali

Substrato Sequenza Catena Aα del fibrinogeno FLAEGGGVR ↓ GPRVVVERH Catena Bβ del fibrinogeno NEEGFFSAR ↓ GHRPLDK Fattore XIII TVELEGVPR ↓ GVLNQQ Fattore VIII LSNNAIGPR ↓ SFSQNSRHP Fattore V RLAAALGIR ↓ SFRNSSLNQ Fattore VII RNASKPQGR ↓ IVGGKVCPK Recettore 1 della trombina ATNATLDPR ↓ SFLLRNPND Recettore 2 della trombina LAKPTLPIK ↓ TFRGAPPNS Proteina C NQGDQVDPR ↓ LIDGKMTRR

Fatta eccezione per il residuo cationico (Arg o Lys) in posizione P1, l’intorno del legame

tagliato sembra essere scarsamente conservato. La specificità tripsino-simile per i residui basici in P1 è conferita a questo enzima dalla presenza di Asp189 nel sito S1 che occupa il fondo della tasca di specificità primaria. Dal confronto delle catene del fibrinogeno con la proteina C emerge una netta differenza: la proteina C presenta Asp in P3 e P’3, mentre il fibrinogeno ha Gly o Ser in P3 ed un residuo basico (Arg) in P’3. Tutto ciò suggerisce che il sito S3 della trombina non possa essere lo stesso per i due substrati e che quando la trombina passa dallo stato procoagulante della forma veloce a quello anticoagulante della forma lenta debba aver luogo un cambiamento conformazionale in questa regione.

La specificità della trombina verso i suoi substrati fisiologici di tipo procoagulante o di tipo anticoagulante è regolata allostericamente dall’interazione di substrati, inibitori ed effettori macromolecolari con uno dei due siti di legame fortemente elettropositivi, esosito I

Introduzione 11 ed esosito II, che si trovano in posizioni quasi opposte sulla superficie enzimatica, e con il sito arilico, o sito di legame apolare (Fig 1.4 e Tab. 1.2). Tabella 1.2. Amminoacidi che costituiscono i siti di legame al di fuori del centro catalitico dell’α-trombina.

Esosito I Esosito II Sito arilico Arg35 Arg93 Leu99 Lys36 Arg97 Ile174 Arg67 Arg101 Trp215 Lys70 Arg126 Arg73 Arg165 Arg75 Lys169 Tyr76 Arg 173

Arg77a Arg 175 Lys81 Arg233

Lys109 Lys235 Lys110 Lys236 Lys149e Lys240

L’ansa che protrude verso il solvente ed è centrata intorno a Lys70 è omologa all’ansa che nella tripsina e nella chimotripsina lega il Ca2+ [19] (Fig. 1.4) e costituisce, insieme ad altri residui, il cosiddetto Esosito I (o sito di riconoscimento per il fibrinogeno o anche ABE I da Anion Binding Exosite I). Questo esosito, distante circa 20 Å dal sito attivo, è caratterizzato da un’abbondante presenza di residui carichi positivamente (Tab. 1.2), il cui campo elettrostatico totale favorisce l’interazione dell’enzima con il fibrinogeno [20], con la fibrina I e II, con la trombomodulina [21], con dodici residui C-terminali dell’irudina [22] e con i recettori cellulari dell’α-trombina [23].

Sul lato opposto rispetto all’esosito I, è localizzata una struttura elicoidale C-terminale, anch’essa ricca di residui carichi positivamente, che costituisce il cosiddetto Esosito II (o esosito per l’eparina o anche ABE II da Anion Binding Exosite II) (fig. 1.4a). Questo è il sito responsabile dell’interazione con leganti polianionici come l’eparina [24, 25], altri glicosamminoglicani e la porzione costituita da condroitinsolfato della trombomodulina [26]. Esistono infine alcuni substrati macromolecolari - come i fattori V, Va ed VIII -oltre alla glicoproteina Ibα delle piastrine ed alla botrojaracina (un inibitore purificato dal veleno di Bothrops jararaca [27]) che interagiscono contemporaneamente con ambedue gli esositi.

Molto importante per l’interazione con i diversi substrati è anche il cosiddetto sito arilico, in prossimità del sito attivo, costituito da residui apolari che accolgono catene laterali idrofobiche o aromatiche. Questo sito è fondamentale per l’interazione con il fibrinogeno [28].

Anche l’ansa di autolisi, che si trova tra il sito di legame per il Na+ e l’esosito I, è determinante per le proprietà della trombina: il taglio proteolitico della sola inserzione Ala 149a-Lys149e non sembra produrre cambiamenti funzionali rilevanti, mentre la delezione dell’intera ansa da Glu146 a Lys149e produce la perdita dell’attività sul fibrinogeno riducendo

12 Capitolo 1 solo leggermente quella sulla proteina C; la trombina priva dell’ansa di autolisi risulta quindi essere un enzima prettamente anticoagulante [29]. 1.5. Il fibrinogeno

1.5.1. Generalità Il fibrinogeno è una grossa glicoproteina di circa 340 kDa prodotta dal fegato e secreta nel

plasma. I primi dettagli della sua struttura sono stati forniti da osservazioni in microscopia elettronica [30] che hanno rivelato una molecola allungata, di circa 45 nm e larga 6-9 nm, costituita da due domini globulari distali (domini D) connessi ad un dominio centrale più piccolo (dominio E) tramite due regioni allungate, che si sono poi dimostrate essere avvolgimenti di tre catene polipeptidiche (fig. 1.5).

Analisi biochimiche hanno dimostrato che la molecola è formata da tre paia di catene diverse (Aα2Bβ2γ2) rispettivamente di 610, 461 e 411 residui. Le tre catene sono legate tra loro da numerosi ponti disolfuro in modo tale che le sei estremità N-terminali sono unite nella regione centrale. A questo livello sporgono i brevi tratti N-terminali delle catene Aα e Bβ che costituiscono i fibrinopeptidi, FpA e FpB, che vengono tagliati quando inizia il processo di gelificazione.

Figura 1.5. Rappresentazioni schematiche del fibrinogeno: a) modello semplificato tracciato sulla base dei dati di microscopia elettronica (immagine in alto a destra); b) dettagli strutturali (anche in termini di dimensioni) dedotti da studi biochimici e biofisici. Per il significato dei simboli vedi il testo.

Domini D

Dominio E

(a)

(b)

Introduzione 13

La proteina è dunque un dimero covalente con un asse binario centrale da cui le tre catene si dipartono in direzioni opposte. Le regioni globulari distali sono costituite dalle regioni C-terminali delle catene Bβ e γ, [31] mentre le catene Aα hanno una regione C-terminale distinta dal dominio globulare D e molto esposta ad attacchi proteolitici. Esperimenti di proteolisi limitata con plasmina, tripsina ed altre proteasi hanno prodotto frammenti simili, ed hanno permesso di confermare la struttura multidominio del fibrinogeno [32].

1.5.2. Eterogeneità a livello molecolare Il fibrinogeno circola nel sangue come una popolazione proteica eterogenea costituita da

una varietà di molecole che differiscono le une dalle altre per caratteristiche più o meno importanti [33]. Sia le catene Aα che le catene γ si trovano in due forme differenti. Così, una piccola percentuale (1-2%) di molecole di fibrinogeno presenta un’estensione di 237 amminoacidi nell’estremità C-terminale delle catene Aα (tale forma è nota come Fib420, per la sua massa molare che è appunto di 420kDa). In circa il 10% delle catene γ (dette anche γA), gli ultimi quattro residui del tratto C-terminale sono sostituiti da un peptide di 20 amminoacidi e questa catena più estesa è indicata come γ’.

Per quanto riguarda le modificazioni post-traduzionali, si possono ricordare: la fosforilazione (che interessa il 25% di Aα3Ser e Aα345Ser), l’ossidrilazione (che riguarda il 20% di Bβ31Pro), l’ossidazione delle metionine (la cui percentuale varia in funzione degli stress ossidativi e del fumo di sigaretta dallo 0 % al 20%) e la glicazione (specialmente in soggetti diabetici).

Esistono molte forme di fibrinogeno degradate da attacchi proteolitici limitati, specialmente da parte della trombina, della plasmina, dell’elastasi leucocitaria e di varie metallo-proteasi della matrice.

Le catene Aα possono essere accorciate proteoliticamente alle due estremità: nella parte N-terminale può mancare il primo residuo, una alanina, nel 10% delle catene, mentre nella zona C-terminale possono essere eliminati da 27 a 340 residui; la popolazione del fibrinogeno circolante può pertanto essere distinta nelle forme HMW, con massa molare normale, pari a 340kDa, LMW, di 305 kDa e LMW’, di 270 kDa. Nelle persone sane le tre forme di fibrinogeno rappresentano il 70%, il 25% ed il 5% del totale che circola nel plasma, ma una maggiore preponderanza di forme troncate è associata a diverse patologie della coagulazione.

Le catene γ possono essere parzialmente degradate nella regione C-terminale: nel 6% di queste catene mancano gli ultimi 110 amminoacidi.

1.5.3. Conversione del fibrinogeno a fibrina La conversione del fibrinogeno circolante nel sangue in coagulo di fibrina è dovuta alla

proteolisi limitata catalizzata dalla trombina a livello dei due residui Arg-Aα16 e dei due residui Arg-Bβ14 del fibrinogeno.

Questi due eventi proteolitici determinano la liberazione di due molecole di FpA e due di FpB dalla regione N-terminale delle catene Aα e Bβ del fibrinogeno, la conversione del fibrinogeno in fibrina I e fibrina II e la loro polimerizzazione, secondo lo schema di reazione:

14 Capitolo 1

dove k1 e k2 indicano le costanti cinetiche dei processi di liberazione dei fibrinopeptidi A e B, mentre kp e k -p sono le costanti cinetiche di polimerizzazione e depolimerizzazione [34]. Le reazioni associate alle costanti k3 e k4 sono possibili, ma di gran lunga meno importanti per la liberazione di FpB rispetto alla reazione relativa alla k2, che è quella sperimentalmente predominante (vedi oltre).

1.5.4. Meccanismo di polimerizzazione della fibrina Il modello cinetico di polimerizzazione indicato nello schema precedente è confortato da

numerosi dati cristallografici e biochimici [35, 36]. Si tratta di un processo altamente ordinato, che inizia con l’idrolisi del legame tra i residui Arg16 e Gly17 delle catene α, con liberazione di un peptide N-terminale di 16 amminoacidi (FpA). il monomero di fibrina I che ne risulta espone al solvente la nuova estremità amino-terminale, con sequenza Gly-Pro-Arg, che costituisce un sito di polimerizzazione al centro del dominio E, detto EA. Il dominio EA tende a combinarsi con un sito complementare di legame che si trova sulla regione C-terminale delle catene γ, nel dominio D di un altro monomero di fibrina (Da); l’associazione EA:Da ha fondamentalmente carattere elettrostatico e dà luogo alla formazione di oligomeri (protofibrille) costituiti dall’accoppiamento di due filamenti di monomeri di fibrina associati l’uno all’altro, ma sfasati di mezza molecola (Fig. 1.6) che si accresce in lunghezza fino a 10-15 monomeri Il doppio filamento della protofibrilla è rinforzato da legami crociati isopeptidici di ε-(γ-glutammil)lisina introdotti dal Fattore XIIIa tra le catene γ di due monomeri di fibrina I adiacenti (fig. 1.6).

Figura 1.6. Formazione delle protofibrille di fibrina I dopo il rilascio dei FpA, con interazioni elettrostatiche EA:Da e legami crociati γ:γ .

Il taglio proteolitico tra Arg14 e Gly15 dalle catene β della fibrina I nelle protofibrille, porta alla liberazione del fibrinopeptide B, di 14 residui, e converte la fibrina I in fibrina II, che espone la nuova sequenza N-terminale Gly-His-Arg-Pro (β15-18). Questa nuova estremità della catena β costituisce il sito di polimerizzazione EB che tende ad interagire con i siti

Protofibrille(αΒβγ)2 Fibre Fibrina II

(αβγ)2

FpA

k1

k p

k -p

2 FpB

k2 Fibrinogeno

(AαΒβγ)

FpB Aαβγ

k3

Fibrina I (αΒβγ)

FpB αβγ

k4

Da

EA EA:Da γ:γ

γ:γ

Introduzione 15 complementari Db nella regione C-terminale delle catene β, nel dominio D della stessa protofibrilla o di protofibrille diverse, che tendono così ad interagire in senso assiale. Anche i domini C-terminali delle catene α, che nel fibrinogeno stabiliscono interazioni intramolecolari, sono coinvolte nell’interazione intermolecolari tra protofibrille in seguito al rilascio dei FpB. L’intervento del Fattore XIIIa inserisce infine ulteriori legami crociati tra i domini D di protofibrille adiacenti (fig. 1.7).

Figura 1.7. Rappresentazione schematica dell’accrescimento della fibra di fibrina in seguito all’associazione assiale di protofibrille.

A questo punto, se da un lato è generalmente assodato che la liberazione del FpB favorisce l’aggregazione laterale delle protofibrille e quindi l’ispessimento della fibra, il meccanismo di associazione laterale tra le protofibrille è più controverso. Infatti, proteasi di veleno di serpente, quali l’ancrod e la batroxobina, che sono note liberare esclusivamente i FpA, portano comunque alla formazione di coaguli di fibre, anche se differenti nelle loro caratteristiche fisiche da quelli ottenuti con trombina; è inoltre dimostrato che i meccanismi di polimerizzazione laterale possono variare notevolmente in vitro a seconda delle condizioni ambientali, quali pH, forza ionica, concentrazione di ioni Ca2+, conducendo a fibre più o meno spesse. Il coagulo che si forma ha, in genere, un notevole contenuto di solvente, pari a circa l’80 %; questa elevata idratazione, è fondamentale per la funzionalità dei meccanismi di coagulazione e fibrinolisi, in quanto consente la permeabilità ad una grande varietà di agenti plasmatici, come trombina, Fattore XIIIa, plasminogeno, t-PA. la diffusione di queste macromolecole all’interno del coagulo dipende in varia misura dalla struttura delle fibre, e quindi dalle condizioni ambientali e dal meccanismo secondo cui esse si formano [Yang et al. PNAS 2000]. 1.6. Interazione tra α-trombina e fibrinogeno

I determinanti del riconoscimento del fibrinogeno da parte della α-trombina sono stati identificati mediante studi di mutagenesi sito-specifica, integrati con le conoscenze fornite da varianti naturali del fibrinogeno associate a disturbi della coagulazione e dai risultati cristallografici e di spettroscopia NMR [37, 38]. Sulla base di queste conoscenze è stato possibile costruire un modello di interazione della trombina con un tratto molto ampio del fibrinogeno, corrispondente rispettivamente ai residui 20-62 e 31-72 (la numerazione inizia dal peptide segnale) all’estremità N-terminale delle catene Aα e Bβ [28].

Circa un quarto di tutta la superficie della α-trombina (35 nm2) è interessata all’interazione con le catene Aα del fibrinogeno. In particolare, secondo questo modello,

Fattore XIIIa

16 Capitolo 1 (Fig. 1.8) i residui 20-25 (considerando per la numerazione anche il peptide segnale) della catena Aα interagiscono con l’esosito II; i residui 26-38 si legano nell’intorno del sito attivo; i residui 39-48 si inseriscono nel solco di connessione tra il sito attivo e l’esosito I, ed i residui 49-57 contattano l’esosito I.

27 30 34 37 | | | | 20-ADSGEGDFLAEGGGVR↓GPRVVE-RHQSACK-DSDWPFCSDEDWNY-62 Esosito-----sito- -----solco di---esosito------ --II-------attivo ---connessione----I--------- 31-QGVNDNEEGFF-----SAR↓GHRPLDKKREEAPSLRPALPPISGGGYR-72 | | | | 37 41 43 46

Figura 1.8. possibile allineamento tra catene Aa e Bb e zone di interazione con la trombina umana, secondo il modello di Rose e Di Cera (2002)

Analogamente, i residui N-terminali 31-39 delle catene Bβ interagiscono con l’esosito II; i residui 40-47 si legano al sito attivo; i residui 48-58 si dispongono nel solco di connessione tra il sito attivo e l’esosito I, ed i residui 59-72 contattano l’esosito I (fig. 1.8).

Figura 1.9. Modello tridimensionale dei siti di interazione tra l’α trombina umana (residui in nero) e la catena Aα (blu in A e B) e Bβ (magenta in C e D) del fibrinogeno. In A e C la struttura è orientata in modo da avere il sito attivo al centro, mentre in B e D è centrata sull’Esosito I. In verde sono rappresentati i peptidi derivati dalle strutture cristallografiche in interazione con la trombina: A): fibrinopeptide A, codice pdb 1BBR; B) e D): peptide C-terminale dell’irudina, codice pdb 1HAH. C): peptide N-terminale LDPR del recettore trombinico sulle piastrine, codice pdb 1NRS. In E sono elencati i principali contatti fibrinogeno-trombina (da Rose and Di Cera 2002).

Introduzione 17

Nella figura 1.9 sono riportati i contatti tra le due molecole. Oltre alla canonica coppia ionica tra i residui di Arg in P1 delle catene Aα e Bβ del fibrinogeno con Asp189 in S1, tre interazioni intorno al sito attivo sembrano rivestire particolare importanza per il legame del fibrinogeno con l’enzima:

1) l’interazione idrofobica data da Aα-Phe27 in P9 e da Bβ-Phe41 con il sito arilico delineato dai residui W215, I174 e L99 della trombina è quella più rilevante;

2) l’interazione idrofobica di diversi residui del fibrinogeno con l’ansa 60 della trombina (Aα-Val34 in P2 e Aα-Leu28 in P6 con i residui Y60a e W60d, ed Aα-Pro37 in P2’ con W60d; per le catene Bβ i contatti simili possono essere dati da Bβ-Ala 43 in P2 e da Bβ-His46 in P2’);

3) un ponte salino tra Aα-Glu30, in P6 e Arg173 dell’enzima, nell’ansa 174; secondo questo modello questo contatto è stabilito, nelle catene Bβ, dal Bβ-Glu37.

Fondamentali per la specificità di interazione trombina-fibrinogeno sono poi i contatti con l’esosito I, la regione a forte carica positiva nella trombina; In questa zona il residuo fondamentale per il riconoscimento sembra essere Tyr76, che stabilisce interazioni apolari con entrambe le catene; le interazioni elettrostatiche avrebbero pertanto il ruolo di consentire il corretto orientamento dell’ansa Lys70-Glu80.

La localizzazione topologica di tutte le regioni funzionalmente rilevanti sulla superficie della α-trombina è riassunta nella fig. 1.10.

Figura 1.10. Siti di interazione della trombina. In (a) la superficie della molecola è suddivisa in regioni funzionalmente rilevanti ed in (b) i singoli residui sono mostrati nella loro localizzazione approssimata. L’orientazione della molecola è tale che un substrato peptidico va da sinistra a destra lungo la cavità centrale in cui si trova la triade catalitica; Simboli: ▼, triade catalitica; S1-S6, subsiti di specificità N-terminali per il riconoscimento del fibrinogeno; A, sito arilico; F, esosito I; H, esosito II; G, sito di glicosilazione; S’1-S’3, subsiti di specificità C-terminali per il riconoscimento del fibrinogeno.

Alcune di queste interazioni sono conservate nelle proteasi da veleno di serpente, mentre

altre sono ridotte o assenti; per questo motivo possono essere ipotizzati, per queste proteasi, meccanismi di riconoscimento alternativi (vedi oltre).

(a) (b)

18 Capitolo 1 1.7. Le proteine di veleni di serpente

1.7.1. Azione sull’emostasi e utilizzo diagnostico o clinico I veleni di serpente contengono una gran quantità di proteine che agiscono sull’emostasi

(fig. 1.11).

Figura 1.11. Rappresentazione schematica dei processi dell’emostasi e della fibrinolisi. Sono indicati i punti in cui intervengono i fattori di attivazione (in fucsia) o di inibizione (in azzurro) da veleni di serpente.

Molte di esse sono enzimi, nucleotidasi, fosfolipasi A2 (PLA2), metalloproteasi, proteasi a serina, mentre altre, come le disintegrine o le lectine di tipo C, non hanno attività enzimatica. Alcune proteine sono poi multidominio, come molte metalloproteasi, che, oltre al dominio catalitico, possiedono anche un dominio di disintegrina [39].

In alcuni casi l’effetto delle proteine di serpente sull’emostasi è evidente: ad esempio, le nucleotidasi, idrolizzando l’ADP, sono potenti inibitori dell’aggregazione piastrinica; così come alcune PLA2, che idrolizzano i fosfolipidi cofattori dei complessi della tenasi e della protrombinasi, con effetto anticoagulante. Molte metalloproteasi e proteasi a serina degradano o attivano specificamente alcuni fattori della coagulazione o della fibrinolisi, o agiscono su proteine delle cellule endoteliali.

A differenza dei corrispondenti componenti fisiologici del sistema emostatico dei mammiferi, gli enzimi di serpente che agiscono sull’emostasi non sono in genere influenzati dagli inibitori plasmatici. Questa caratteristica li rende particolarmente utili per lo studio dei meccanismi della coagulazione ed alcuni di essi vengono comunemente usati in test diagnostici [39] (tab. 1.3).

Introduzione 19 Tabella 1.3. Componenti di veleni di serpenti utilizzati per lo sviluppo di test diagnostici della coagulazione.

test Tipo di test Proteina Attività biologica Ref.

Reptilasi Titolazione reazione fibrinogeno-fibrina

Batroxobina (proteasi a serina)

Rilascio FPB dal fibrinogeno 40

Ecarina Determinazione di protrombine patologiche

Ecarina (metalloproteasi) Attivazione protrombina 41

Stypven Misurazione livelli di FX RVV-X (metalloproteasi) Attivazione Fattore X 42

Protac Titolazione proteina C ACC-C (proteasi a serina) Attivazione Proteina C 43

Botrocetina Diagnostica della malattia di von Willebrand

Botrocetina (lectina tipo C)

Agglutinazione piastrine in presenza di vWF 44

Le proteasi di serpente possono essere utili anche a scopo terapeutico, specialmente nel caso di proteasi che agiscono sul fibrinogeno, come l’ancrod isolata dal veleno di Calloselasma rhodostoma e la batroxobina, purificata dal veleno di Bothrops atrox. Queste due proteasi, agendo in modo diverso dalla trombina, perché tagliano solo i fibrinopeptidi A, anziché entrambi i fibrinopeptidi A e B dalla molecola di fibrinogeno, e non attivando il Fattore XIII, producono monomeri di fibrina che polimerizzano in modo poco stabile, e vengono facilmente rimossi dal circolo tramite il sistema reticolo-edoteliale. La loro azione si traduce, quindi, in un abbassamento del livello di fibrinogeno nel plasma, molto utile in quei pazienti che presentano iperfibrinogenemie oppure, a scopo profilattico, per aumentare la fluidità del sangue nei pazienti a rischio di malattie tromboemboliche [45]. L’ancrod è stata utilizzata con successo come anticoagulante in alternativa all’eparina in pazienti sottoposti ad angioplastica [46]. Un effetto collaterale dell’uso di eparina è infatti una trombopatia che si associa ad uno stato di ipercoagulabilità ed induce complicazioni trombotiche, per cui la terapia con eparina deve essere sospesa. L’ancrod, per la sua rapida azione riducente la fibrinogenemia e non inducendo trombopatia come l’eparina, può costituire una valida alternativa per trattamenti brevi, ed è stata usata di recente anche nel trattamento terapeutico della trombosi cerebrale acuta [47].

L’uso delle proteasi di serpente come anticoagulanti è però limitato dalle reazioni immunologiche del paziente, per cui una stessa proteasi non può essere utilizzata per tempi prolungati [48]. Trovare altre proteasi con attività fibrinogenolitica ma immunologicamente differenti tra loro, può essere utile in termini farmacologici ed interessante dal punto di vista della ricerca di base.

1.7.2. La famiglia delle SVTLE Il primo enzima di serpente che è stato descritto interagire con la coagulazione è stato la

reptilasi (che viene ora chiamata botrombina), dal veleno di Bothrops jararaca, nel 1957 [49]. Da allora, secondo le classificazioni più recenti delle SVTLE del 1998 [50] sono stati isolati e caratterizzati oltre 40 enzimi trombino-simili da veleni di serpente provenienti per lo più dalla famiglia dei Viperidi, soprattutto dalla sottofamiglia dei Crotalini, (generi Agkistrodon, Bothrops, Crotalus, Trimeresurus e Lachesis), ma anche dalle sottofamiglie dei Viperini e

20 Capitolo 1 dalla famiglia dei colubridi. Il numero di proteasi trombino-simili da veleni di serpente riconosciute è stato ulteriormente incrementato negli ultimi 5 anni anche grazie a diversi lavori di clonaggio molecolare; in una recente review [51] Castro e coll. hanno cercato di riunire le attuali conoscenze su questi enzimi.

1.7.3. Aspetti evolutivi Le SVTLE costituiscono una famiglia di enzimi derivanti da un progenitore comune

tripsino/callicreino-simile presente nelle ghiandole sottomandibolari che avrebbero poi originato le ghiandole velenifere. Il fatto che le SVTLE, pur svolgendo funzioni trombino-simili siano derivate dalla tripsina e non dalla trombina è evidenziato anche dall’organizzazione genica: come per la tripsina e la callicreina, i geni per le SVTLE sono costituiti da 5 esoni e 4 introni; l’esone 1 codifica per la regione non tradotta al 5’ e per il peptide segnale, mentre la proteina matura è codificata dagli esoni 2-5 con i residui della triade catalitica presenti su tre esoni separati [52]. L’organizzazione del gene per la protrombina è invece differente [Itoh et al 1988], ed anche la separazione delle famiglie di enzimi regolati o meno dagli ioni sodio vede le SVTLE appartenere al gruppo della tripsina, anziché a quello della trombina.

Come era stato già osservato per i geni per le fosfolipasi A2 di serpente [53], i geni per le SVTLE avrebbero subito un’evoluzione accelerata, per cui mutazioni significative si sono accumulate nella regione codificante del gene, mentre le regioni fiancheggianti al 5’ ed al 3’ sono rimaste molto più conservate [54]. Di conseguenza il veleno dei serpenti contiene un gran numero di mRNA differenti che codificano per diverse varianti proteiche con struttura globale molto simile, in cui la topologia del sito attivo, dei ponti disolfuro e degli elementi di struttura secondaria sono sovrapponibili alle proteasi tripsino/callicreino simili, ma che differiscono per la specificità di substrato e per l’efficienza catalitica. Questa molteplicità funzionale può aver costituito un vantaggio evolutivo per un più efficiente e rapido adattamento ai cambiamenti ambientali. E’ stata proposta [55] un’evoluzione delle proteasi di serpente in tre sottotipi enzimatici, gli enzimi coagulativi (CL), gli attivatori del plasminogeno (PA) e gli enzimi che liberano la bradichinina dal chininogeno (KN). Gli enzimi di tipo CL meglio caratterizzati, ancrod, batroxobina e crotalasi, tagliano solo le catene Aα del fibrinogeno e sono altamente glicosilati; più della metà degli enzimi tipo KN agiscono sulle catene Aα, o Bβ, o entrambe, del fibrinogeno, ma con un effetto più debole delle proteasi CL, e hanno la proprietà callicreino-simile di tagliare il chininogeno (KN-BJ, alistasi, trimucasi), con effetto ipotensivo; infine le proteasi tipo PA, come TSV-PA e Haly-PA, attivano il plasminogeno e facilitano la dissoluzione della fibrina. Le proteine dei sottotipi KN e PA hanno in genere un peso molecolare inferiore alle CL, perché scarsamente o affatto glicosilate. Nelle proteasi glicosilate (ancrod, acutobin), comunque, la presenza degli zuccheri sembra avere un ruolo più strutturale che funzionale [56].

Introduzione 21

1.7.4. Caratteristiche strutturali Allineando tutte le sequenze note di SVTLE risulta evidente che il grado di omologia

all’interno della famiglia è molto elevato e tutti i residui fondamentali per la funzionalità dell’enzima e per la stabilizzazione della struttura si trovano in posizioni conservate: i residui della triade catalitica tipica delle proteasi della classe S1, His57, Asp102 e Ser195 (riferendosi alla numerazione del chimotripsinogeno comunemente usata, [4], il residuo di aspartato in posizione 189 che costituisce il sito di specificità primaria, ed i 12 residui di cisteina che si assumono tutti impegnati a formare 6 ponti disolfuro come dimostrato sperimentalmente per la bilineobina e la contortrixobina [57, 58] ed evidenziati dalla struttura cristallografica dell’attivatore del plasminogeno dal veleno di Trimeresurus stejnejeri, TSV-PA, l’unica finora pubblicata relativa ad una proteasi a serina da veleno di serpente [59].

Figura 1.12. Struttura tridimensionale del TSV-PA (codice pdb: 1BQY). Sono evidenziati in blu i residui della triade catalitica ed in giallo i residui di cisteina che formano i ponti disolfuro.

La struttura del TSV-PA (fig. 1.12) è tipicamente tripsino-simile, costituita da due β-barrel di 6 foglietti connessi da tre segmenti trans. La superficie è occupata da diverse anse e da due brevi segmenti ad α-elica. La tasca del sito attivo e i residui della triade catalitica sono disposti all’interfaccia tra i due β-barrel. Rispetto alle proteasi di mammifero, il TSV-PA presenta un’estensione C-terminale di sette residui, tipica di tutte le SVTLE, e stabilizzata da un ponte disolfuro con l’ansa 99 situata in vicinanza del sito attivo; il ruolo di questa estensione altamente conservata non è stato finora chiarito.

Tipica della struttura del TSV-PA è la presenza di un aminoacido aromatico ingombrante (Phe) in posizione 193, generalmente occupata, nella trombina, tripsina, e molte proteasi di serpente, da una Gly. Questo residuo, in stretta prossimità del sito catalitico, restringe l’accesso al sito S2’ e potrebbe essere responsabile della specificità di substrato per il plasminogeno e della mancata interazione di questa venombina con altri substrati macromolecolari e con l’inibitore pancreatico della tripsina (BPTI).

C

N

22 Capitolo 1

Non sono molte le informazioni strutturali sulle altre proteasi di serpente: attualmente, oltre al TSV-PA sono disponibili nel Protein Data Bank (PDB) solo le coordinate di altre due strutture di proteasi glicosilate dal veleno di Agkistrodon acutus (cod. 1OP0 e 1OP2), ma non sono ancora state pubblicate e discusse [60]. Di altre SVTLE, come la acutrombina B da Agkistrodon acutus [61], la jararacussina da Bothrops jararacussu [62], e la bothrombina da Bothrops jararaca [63], si sono ottenuti cristalli, ma non sono finora stati pubblicati dati di diffrazione.

Data la difficoltà di ottenere strutture dalla diffrazione cristallografica ai raggi X, negli ultimi anni si è cercato di ottenere informazioni da modelli tridimensionali elaborati sulla base delle diverse sequenze note e della struttura del TSV-PA, [64]. E’ stato proposto un modello per una proteasi di Bothrops jararaca, KN-BJ, che attiva il chininogeno ed il fibrinogeno, che è stata confrontata con il TSV-PA e con la callicreina porcina [65] ed ha rivelato una notevole somiglianza strutturale con l’enzima di mammifero; per due enzimi da Bothrops jararaca, la botrombina, che attiva le catene Aα del fibrinogeno, ed il PA-BJ, un attivatore delle piastrine, sono stati identificati, tramite analisi computazionali, i putativi esositi che, come in molte TLE, compresa la contortrixobina, sono più ristretti di quelli della trombina [66]. Un modello della crotalasi costruito sulle strutture della trombina, tripsina e callicreina, ha portato a suggerire un esosito alternativo per l’interazione del fibrinogeno con le proteasi di serpente, a livello di una fessura sulla superficie formata da quattro residui basici, molto conservati nelle TLE [67]. 1.8. La contortrixobina

1.8.1. Caratteristiche strutturali La contortrixobina è una proteasi purificata nel nostro laboratorio dal veleno della vipera

testa di rame Agkistrodon contortrix contortrix. Questo enzima è stato caratterizzato dal punto di vista strutturale e funzionale [58]. E’ costituito da una singola catena polipeptidica di 236 residui, e presenta la struttura primaria caratteristica delle proteasi a serina da veleno di serpente, con la tipica estensione C-terminale e la stretta conservazione topologica dei residui della triade catalitica e del sito di specificità primaria (Asp189). E’ stato dimostrato tramite analisi di spettrometria di massa di frammenti triptici della proteina che i dodici residui di cisteina formano sei ponti disolfuro, corrispondenti a quelli che stabilizzano la struttura del TSV-PA.

Una caratteristica strutturale interessante di questo enzima, piuttosto rara tra le SVTLE, è quella di non avere siti di glicosilazione. Nelle SVTLE glicosilate, comunque, la presenza di zuccheri legati sulla superficie della molecola non sembra avere particolare rilevanza funzionale, mentre può contribuire alla spiccata risposta immunitaria alle proteasi di serpente di uso terapeutico. La mancanza di carboidrati nella contortrixobina rende quindi questo enzima potenzialmente meno immunogenico di altre proteasi della stessa classe.

Introduzione 23

1.8.2. Caratteristiche funzionali La funzionalità della contortrixobina non è influenzata dalla concentrazione del Na+; come

in tutte le proteasi di derivazione tripsinica, infatti, la presenza di un residuo di Pro in posizione 225 impedisce la regolazione allosterica tipica della trombina [13].

L’enzima possiede attività esterolitica ed amidolitica su substrati a basso peso molecolare, preferenzialmente su tripeptidil-ammidi che presentano Arg in P1, ed è inibita in modo competitivo dalla benzamidina, un analogo strutturale di un’arginina legata ad un anello aromatico, anche se più debolmente della tripsina, e dal DAPI (4’,6-diamidino-2-fenilindolo), un derivato della benzamidina. Questi piccoli substrati ed inibitori sintetici si legano esclusivamente al sito attivo.

La contortrixobina ha attività fibrinogenolitica, rilasciando sia il FpA che il FpB secondo un meccanismo di interazione apparentemente equivalente con entrambe le catene Aα e Bβ; è inoltre in grado di attivare il fattore V ed il fattore XIII con un’efficienza 250-500 volte minore della corrispondente azione esercitata dall’α-trombina. Nessuna attività della contortrixobina è stata invece osservata né sul fattore VIII, né sull’attivazione piastrinica.

L’interazione della contortrixobina con gli inibitori macromolecolari tipici della trombina e della tripsina è piuttosto diversa rispetto agli enzimi di mammifero, in virtù delle diverse caratteristiche strutturali della venombina. La contortrixobina non è inibita dall’antitrombina III, sia in presenza che in assenza di eparina, ed è molto debole anche l’interazione con l’irudina, che è invece un potente inibitore della trombina umana. Una certa inibizione è invece esercitata dal BPTI, un inibitore pancreatico della tripsina; l’effetto sulla contortrixobina è però molto più debole rispetto a quello esercitato sulla tripsina e simile a quello ottenuto sulla trombina.

L’attività funzionale della contortrixobina è stata indagata più in profondità e pertanto i dettagli della sua interazione con il fibrinogeno e con altri substrati saranno descritti tra i risultati, nel capitolo 4 e discussi sulla base di un modello tridimensionale dell’enzima.

2. SCOPO DELLA TESI

I veleni di serpente contengono un gran numero di proteine che interferiscono con il sistema della coagulazione umana; queste proteine sono interessanti sia dal punto di vista applicativo, nel campo della terapia e della diagnostica della coagulazione, sia da quello della ricerca sui meccanismi di riconoscimento molecolare. In particolare, la classe delle proteasi trombino-simili (TLE) è costituita da una famiglia di enzimi altamente omologhi, derivanti da un progenitore comune che si sono poi differenziati nella loro funzione per evoluzione accelerata. Queste proteasi presentano diverse funzioni trombino-simili pur avendo una struttura piuttosto diversa da quella della trombina, mancando di molte delle anse e dei determinanti strutturali implicati nel riconoscimento tra l’enzima di mammifero ed i suoi vari substrati ed inibitori. Le proteasi di serpente devono pertanto adottare strategie di interazione con le altre macromolecole diverse da quelle della trombina, ed ancora piuttosto oscure, per la scarsezza di strutture cristallografiche note.

Uno degli aspetti più interessanti dal punto di vista applicativo dello studio delle proteasi di serpente consiste nel loro diverso meccanismo di conversione del fibrinogeno in fibrina, rispetto alla trombina, che porta a coaguli di fibrina con struttura non usuale, con importanti implicazioni fisio-patologiche nei disordini della coagulazione e nelle malattie tromboemboliche.

Lo scopo di questa tesi è consistito nella ricerca di nuovi strumenti di indagine sulle relazioni struttura-funzione nelle proteasi a serina da veleni di serpenti e sui meccanismi di riconoscimento molecolare in questa classe di enzimi, e nell’analisi di alcuni aspetti del meccanismo di polimerizzazione della fibrina, per dare un contributo allo studio dei processi di coagulazione e fibrinolisi.

Sono stati seguiti diversi approcci sperimentali: si è cercato di ottenere proteasi con caratteristiche diverse da quelle finora disponibili, clonando dal cDNA della ghiandola salivare del serpente Agkistrodon contotrix contortrix una nuova proteasi, scelta in base alla sua interessante struttura primaria, ed è stata intrapresa la sua caratterizzazione funzionale; si è inoltre cercato di approfondire e di razionalizzare, con un modello di struttura tridimensionale, le conoscenze sulla contortrixobina, una proteasi dal veleno dello stesso serpente, già caratterizzata nel nostro laboratorio; si sono, infine, analizzate alcune caratteristiche fisico-chimiche di gel di fibrina ottenuti con trombina e con enzimi di serpenti che seguono un diverso meccanismo di taglio del fibrinogeno.

3. MATERIALI E METODI 3.1. Libreria di cDNA

La libreria di cDNA della ghiandola velenifera di A. contortrix contortrix costruita nel fago λgt 10 in corrispondenza del sito Eco RI ci è stata fornita dal prof. Francis Markland della Southern California University, Los Angeles..

Per isolare il cDNA corrispondente all’RNA messaggero per la contortrixobina potevamo disporre della sequenza aminoacidica della proteina matura, e tentare di costruire degli oligonucleotidi corrispondenti alle estremità N- e C-terminali della proteina, da usare come stampo per un appaiamento casuale su tutti i frammenti presenti nella library. A causa della degenerazione del codice genetico, però, questo approccio avrebbe costretto a sintetizzare un gran numero di oligonucleotidi degenerati da usare poi per uno screening sulla library. Nel nostro caso è stato possibile seguire una strategia più semplice e diretta che evitasse questo approccio, più lungo e laborioso. E’ riportato infatti che nei geni per le SVTLE le regioni non tradotte al 5’ e al 3’ sono altamente conservate, mentre mutazioni significative si sono accumulate nelle regioni codificanti, portando così, per evoluzione accelerata, ad una grande differenziazione funzionale dei prodotti genici. [54]. Questa caratteristica, presente anche nella famiglia genica delle fosfolipasi A2 di serpenti crotalini, è stata sfruttata per sintetizzare oligonucleotidi non degenerati, corrispondenti alle sequenze nucleotidiche delle regioni non codificanti al 5’ ed al 3’, da usare come primers per l’appaiamento in PCR dei frammenti corrispondenti alle TLE, usando come stampo il cDNA totale della library.

3.2. Clonaggio dei cDNA

Il pool di frammenti isolati per PCR è stato clonato in E. coli, per vedere quanti frammenti diversi si fossero prodotti. Per il clonaggio è stato usato il vettore pBlueScript SK+ (Stratagene). Questo tipico vettore plasmidico presenta un’origine della replicazione (ori), un gene che conferisce al batterio la resistenza all’ampicillina, ed un polylinker con diversi siti di riconoscimento per enzimi di restrizione, a livello del quale viene inserito il frammento di DNA esogeno da amplificare. Il polylinker è inserito in un segmento del gene lacZ di E. coli che codifica per la β-galattosidasi, ma non ne interrompe la fase di lettura; se il plasmide si trova in un ceppo di E. coli mancante del gene lacZ che viene fatto crescere su un terreno contenente il substrato X-gal, il gene plasmidico produrrà β-galattosidasi che idrolizza X-gal, con accumulo di un prodotto blu insolubile. Pertanto, le colonie che cresceranno su piastra con ampicillina saranno quelle che, avendo il plasmide, saranno resistenti all’ampicillina, e risulteranno blu per l’idrolisi di X-gal. Se però il plasmide presenta DNA estraneo nel polylinker, questo in genere interrompe la fase di lettura del gene lacZ, la β-galattosidasi non viene prodotta e le colonie, non potendo idrolizzare X-gal, risultano bianche. Questo permette

26 Capitolo 3 di discriminare facilmente in base al colore le colonie di interesse, con il frammento esogeno inserito nel plasmide.

Sono stati ottenuti diversi cloni positivi; per ciascuno di essi l’inserto è stato estratto dal DNA plasmidico e sequenziato, e ne è stata quindi dedotta la sequenza aminoacidica.

3.3. Espressione

Il frammento di cDNA è stato inserito nel vettore di espressione pMal C2 (New England BioLabs).

pMAL è un plasmide che permette l'espressione citoplasmatica in E. coli di prodotti di fusione con la proteina maltose binding protein (MBP). L'espressione della proteina di fusione è controllata dal promotore tac e dal segnale di inizio della traduzione del gene per la MBP. Il polylinker si trova a valle del gene malE che codifica per la MBP e l’inserimento di un frammento estraneo provoca l’interruzione della continuità con il gene lacZ; quindi anche in questo caso, come per il vettore di clonaggio, è possibile discriminare tra plasmidi che presentano un inserto (colonie bianche) e quelli che ne sono privi (colonie blu) piastrando le cellule su un terreno contenente X-gal [68].

Il frammento è stato inserito a livello dei siti per EcoR1 e Sal1 del polylinker, ed è stato inserito nella sequenza del frammento anche un sito di taglio proteolitico specifico per il Fattore Xa. In questo modo viene prodotta una proteina di fusione MBP-Ile-Glu-Gly-Arg-Proteina che ha un duplice vantaggio: grazie alla presenza della MBP può essere facilmente purificata dall’estratto cellulare crudo tramite cromatografia di affinità su una colonna di amilosio, e può essere poi idrolizzata specificamente dal Fattore Xa a livello del legame Arg-Proteina, producendo la proteina di interesse libera dalla MBP.

Il costrutto in pMAL C2 è stato trasformato nel ceppo Origami di E. coli (Novagen), che avendo un citoplasma ossidante permette la formazione dei ponti disolfuro necessari per il corretto folding della proteina.

3.4. Purificazione della MBP-5TLE

Le cellule batteriche raccolte per centrifugazione sono state sonicate in tampone Tris/HCl 20 mM, NaCl 0,2 M, EDTA 1 mM, pH 7,4 ed il lisato cellulare è stato caricato direttamente su una colonna di amilosio. Le proteine che interagiscono con la resina, MBP e MBP-5TLE, sono state eluite con lo stesso tampone contenente maltosio 10 mM.

Infine, la MBP-5TLE è stata separata dalla MBP libera per cromatografia di affinità su Arg-Sefarosio in tampone Tris/HCl 50 mM, NaCl 30 mM pH 8.0 ed eluita con tampone acetato 50 mM, pH 4.0.

La concentrazione della proteina eluita è stata determinata con il metodo colorimetrico di Bradford.

3.5. Immobilizzazione del FXa su AffiGel e taglio della proteina di fusione

1 mg di Fattore Xa (Haematologic Technology) è stato diluito in 500 µl di tampone Hepes/NaOH 0.1M, NaCl 0.3M, pH 7.5, CaCl2 80mM ed è stato incubato con 500 µl di resina

Materiali e Metodi 27 Affi Gel 10 (Bio Rad), opportunamente lavata e risospesa nello stesso tampone, per 14 ore a 4°C in agitazione.

Per bloccare i siti della resina che non avevano reagito con la proteina, la resina è stata lavata con tampone senza CaCl2 e risospesa in etanolammina/HCl 1M, pH 8, incubando per 1 ora a 4°C.

Dopo tre lavaggi in Hepes/NaOH 50 mM, NaCl 0.15 M, pH 7.5, CaCl2 5 mM la resina con l’enzima immobilizzato è stata utilizzata per tagliare la MBP-5TLE ed è stata conservata a 20°C nello stesso tampone con glicerolo al 50%.

L’efficienza di legame del FXa alla resina è risultata di circa il 60%. L’attività dell’enzima immobilizzato, saggiata con un opportuno substrato cromogenico,

pGlu-Gly-Arg-pNA, è risultata pari a circa il 10% di quella dell’enzima libero in soluzione. Tale attività si è mantenuta costante anche dopo diversi cicli di utilizzo della resina, con lavaggi con tampone e conservazione in tampone con 50% di glicerolo tra un ciclo e l’altro.

E’ stata saggiata l’attività di taglio del FXa immobilizzato utilizzando come substrato MBP-paramiosina: 50 µl di resina risospesa in 500 µl di tampone Hepes/NaOH 50 mM, NaCl 0.15 M, CaCl2 5 mM, pH 7.5, tagliano 50 µg di proteina dopo 16 ore di incubazione a temperatura ambiente.

Per tagliare la proteina di fusione MBP-5TLE, 1,5 ml di proteina eluita dalla colonna di amilosio sono stati incubati con 500 µl di resina per 16 ore a temperatura ambiente in Hepes/NaOH 50 mM, NaCl 0.15 M, CaCl2 5 mM, pH 7.5. 3.6. Saggi funzionali: attività su piccoli substrati sintetici

L’attività esterolitica della 5TLE sul substrato carbobenzossi-Lys-p-Nitrofenilestere (Z-Lys-Onp) è stata misurata in tampone fosfato 50 mM, NaCl 0,1M, pH 6,8 ed è stato seguito spettrofotometricamente il rilascio del p-Nitrofenolo a 360 nm [ε (M, 1 cm) = 4500].

L’attività ammidolitica è stata determinata su tripeptidil-p-Nitroanilidi (-pNA) in tampone Tris 50 mM, NaCl 0,1 M, pH 7,4 a 37°C ed è stato seguito il rilascio della p-Nitroanilina a 405 nm [ε (M, 1 cm) = 9920]. I punti sperimentali sono stati elaborati con il programma di analisi non lineare Grafit (Erithacus - London, U.K.).

3.7. Saggi funzionali: attività su substrati macromolecolari

3.7.1. Fibrinogeno Fibrinogeno umano (Calbiochem) 1,5 - 10 µM è stato incubato con contortrixobina 80 nM

o con α-trombina 0,1 nM in tampone Tris/HCl 50 mM, NaCl 0,1 M, pH 7,4, a 37°C e diviso in aliquote da 250 µl. A diversi intervalli di tempo (0, 5 min, 10 min, 30 min, 60 min, 90 min, 3 ore) alla relativa aliquota sono stati aggiunti 2,5 µl di TFA ed il campione è stato congelato a –20°C.

Per poter essere analizzati in HPLC, i campioni sono stati scongelati e centrifugati a 12000 rpm per 20 min a 4°C per far precipitare il fibrinogeno e la trombina, mentre solo i fibrinopeptidi rimanevano in soluzione e caricati (200 µl) su una colonna in fase inversa C18 (Vydac 218 TP 54). Per la separazione è stato applicato un gradiente lineare di acetonitrile al

28 Capitolo 3 70% in TFA allo 0,2 %, al flusso di 0,8 ml/min. I picchi rivelati a 220 nm corrispondenti ai FpA e FpB sono stati identificati con degli standard e dall’integrazione delle aree dei picchi è state determinata la concentrazione dei peptidi, sulla base di una curva di calibrazione. I picchi minori del FpA, corrispondenti alla forma fosforilata ed a quella priva del primo residuo di Ala, erano stati identificati tramite spettrometria di massa.

3.7.2. Proteina C Per determinare la potenziale attivazione della proteina C il substrato (8 µM) è stato

incubato con la proteina fusa MBP-5TLE 700 nM in tampone Tris/HCl 50 mM, NaCl 0,1 M, pH 7.4, a 37°C per 24 ore ed è stata poi determinata la sequenza N-terminale delle proteine presenti nella miscela, per verificare se, oltre alle sequenze attese dell’enzima e della Proteina C, fosse presente anche l’N-terminale del frammento prodotto dall’idrolisi.

L’attivazione è stata determinata anche con un saggio funzionale dell’attività idrolitica della Proteina C attivata sul substrato cromogenico specifico piro-Glu-Pro-Arg-pNA in tampone Tris/HCl 50 mM, NaCl 0,1 M, pH 7.4, a 37°C.

3.7.3. Plasminogeno La potenziale attivazione del plasminogeno da parte della contortrixobina è stata

determinata con l’analisi delle sequenze N-terminali delle proteine e dei frammenti presenti dopo incubazione dell’enzima (500 nM) con il substrato (10 µM) in tampone Tris/HCl 50 mM, NaCl 0,1 M, pH 7.4, a 37°C per 2 ore o 20 ore. Dopo separazione per SDS-PAGE ed elettrotrasferimento su membrana PVDF, la sequenza N-terminale è stata determinata tramite degradazione di Edman con un sequenziatore automatico. 3.8. Modello di struttura tridimensionale

Il modello tridimensionale della contortrixobina è stato costruito per omologia utilizzando il software WHAT IF; la sequenza è stata allineata con il programma BLAST di EXPASY su quella dell’attivatore del plasminogeno da veleno di serpente TSV-PA (pdb: 1BQY), con la quale è risultata un’identità del 69%. Nel modello è stato inserito il FpA, assumendone le coordinate dalla struttura del complesso tra il peptide e la trombina umana (pdb: 1FPH). Per orientare correttamente la struttura della contortrixobina rispetto al FpA si è imposta la sovrapposizione della triade catalitica della proteasi di serpente su quella dell’enzima umano legato nel complesso. La struttura è stata poi minimizzata con il programma INSIGHT/DISCOVER. 3.9. Determinazione delle caratteristiche strutturali del gel di fibrina

3.9.1. Analisi di diffrazione elastica della luce laser E’ stata studiata la struttura del gel ottenuto da fibrinogeno umano convertito in fibrina

dall’idrolisi da parte della trombina umana, dell’ancrod o della contortrixobina. E’ stata utilizzata, in collaborazione con il gruppo del prof. Arcovito dell’Istituto di Fisica dell’Università Cattolica, la tecnica della diffusione elastica della luce laser, che permette di

Materiali e Metodi 29 ottenere informazioni strutturali sul gel di fibrina fra cui il diametro medio delle fibre, e quindi il numero medio di protofibrille per sezione di fibra, e il grado di complessità tridimensionale dovuta alle ramificazioni delle fibre presenti nel gel.

Le tecniche di diffusione elastica della luce (ELS) si basano sulla misura della distribuzione angolare dell’intensità della luce diffusa elasticamente (cioè alla stessa frequenza della luce incidente) da un campione. Secondo la teoria, la diffusione è dovuta a fluttuazioni locali della costante dielettrica del mezzo nell’intero volume del campione. In molti casi, come nei colloidi, in sistemi di macromolecole o nei gel, queste fluttuazioni sono dovute ad altrettante fluttuazioni della densità del campione [69]. Dalla misura di distribuzione dell’intensità della luce diffusa a diversi angoli, normalizzata per una serie di parametri costanti che dipendono dal set sperimentale, si può ricavare il così detto “rapporto Rayleigh”, R(q) che rappresenta la potenza diffusa dal campione per unità di angolo solido, per unità di potenza incidente e per unità di lunghezza del volume che diffonde, ed è comunemente espresso in cm-1.

Nello studio del gel di fibrina ci si è basati su un modello [70] secondo il quale il gel è costituito da una serie di unità di massa (nel modello indicate in inglese come “blobs”) di grandezza ξ e dimensione frattale di massa Dm (la dimensione frattale è correlata alla complessità tridimensionale), strettamente impacchettati a riempire l’intero volume del campione, con distanza media tra i blob indicata da ξ0. Ogni blob è un assemblaggio di numerosi segmenti unitari di lunghezza l, diametro d e densità ρ, legati testa-testa a formare lunghe fibre semiflessibili e poco ramificate.

Determinando con un apparecchio di Light Scattering il parametro R(q), conoscendo il

valore di l si può derivare dall’equazione R(q) = K [Fib] µ l1-Dm πDm q-Dm

il valore di µ, e definendo come µ0 il rapporto massa/lunghezza del singolo segmento (la protofibrilla), si può ricavare dal rapporto N = µ/µ0 il numero medio di protofibrille per sezione di fibra.

Per le analisi è stato utilizzato fibrinogeno umano (800 nM) con trombina umana a concentrazioni in rapporto 1:10000 fino a 1:1 con il fibrinogeno (quindi da 0.08 nM a 800 nM), o con ancrod (da 0.08 nM a 8 µM), o con contortrixobina (da 8 nM a 8 µM) in Tris/HCl 50 mM, NaCl 100 mM, pH 7.4, a 30°.

ξ0

ξ

gel blob

l

d ρ segmento

30 Capitolo 3

3.9.2. Coniugazione della trombina con fluoresceina isotiocianato per analisi in microscopia confocale

1 mg di α-trombina umana (Haem-Tech) è stato diluito in 530 µl di Hepes 0.1 M pH 7.5, in presenza di benzamidina 10 mM ed è stata aggiunta Fluoresceina-isotiocianato in celite 4 mg/ml. La FITC-celite è Fluoresceina isotiocianato inglobata in una sabbia di diatomee; è stata preferita alla FITC perché più solubile e perché dà una maggiore resa di legame alla proteina. Nella FITC-celite solo il 10 % del peso è costituito da FITC.

I rapporti molari finali erano: trombina 50 µM, benzamidina 10 mM, FITC 1 mM.. La miscela è stata incubata al buio a 4°C in agitazione per 16 ore; in queste condizioni di

pH e temperatura ci si aspetta che solo le estremità N-terminali delle catene A e B dell’α-trombina reagiscano.

Dopo centrifugazione a 10000 rpm per 5 min a 4°C, per eliminare la celite, la proteina marcata è stata purificata dal fluoroforo non reagito e dalla benzamidina tramite gel filtrazione su una colonna G25 equilibrata con Bis-Tris 20 mM pH 6.5 + PEG 6000 0.1%, il tampone più adatto per la conservazione della trombina. E’ stata ottenuta trombina marcata alla concentrazione di 12.5 µM, con un rapporto di coniugazione con la FITC medio di 1,75 molecole FITC per molecola di trombina. L’enzima è stato conservato in aliquote da 50 µl a -70 °C.

L’attività della trombina-FITC sul fibrinogeno è stata saggiata seguendo la cinetica di rilascio dei fibrinopeptidi A e B tramite HPLC a fase inversa. Non è stata riscontrata alcuna differenza nell’attività della trombina coniugata rispetto a quella nativa.

3.9.3. Analisi di microscopia confocale Le analisi sono state effettuate su gel preparati con fibrinogeno umano 3 µM e trombina 3

nM (in rapporto 1:1000 con il substrato) o 30 nM (1:100) in tampone tris 50 mM, NaCl 0,1 M, pH 7,4, utilizzando un microscopio Leika SP2, con un set di filtri per la fluoresceina (λex = 494nm; λem = 518 nm).

4. RISULTATI 4.1. Clonaggio, espressione e caratterizzazione della 5TLE

4.1.1. Clonaggio dei cDNA per le TLE Per isolare i cDNA codificanti per le proteasi a serina ci si è basati sull’osservazione che

in questa classe di geni le regioni non codificanti sono molto conservate, mentre le regioni codificanti hanno subito un meccanismo di evoluzione accelerata, con accumulo di mutazioni significative. Pertanto sono stati sintetizzati dei DNA primers corrispondenti alle regioni non tradotte conservate che sono stati utilizzati come sonde contro il cDNA totale della libreria fagica della ghiandola salivare di A. c. contortrix. I cDNA isolati sono stati quindi amplificati per PCR e sequenziati.

Due delle 15 sequenze dedotte sono risultate corrispondenti a due enzimi noti del veleno di A. c. contortrix, la contortrixobina e l’attivatore della proteina C, mentre i rimanenti 13 non corrispondono a strutture pubblicate (fig 4.1).

Tutti i cloni presentano un segmento identico di 24 residui all’N-terminale, corrispondente al peptide segnale (18 aa) ed al propeptide (6 aa), ed una sequenza molto simile, nella quale sono conservati in posizioni identiche i residui corrispondenti alla triade catalitica, l’aspartato nel sito di specificità primaria tipico delle proteasi tripsino-simili e le 12 cisteine tipiche dei TLE di serpente, che probabilmente formano 6 ponti disolfuro come dimostrato nella contortrixobina [58] (fig 4.1).

Alcuni dei cloni isolati presentano lunghi tratti di sequenza identici a quelli di proteasi note, non solo nelle zone genericamente conservate tra tutte le SVTLE, ma anche nelle regioni in cui la variabilità tra tutte le proteasi di serpente note è maggiore (dati non mostrati).

32 Capitolo 4

10 20 30 40 50 60 70 | | | | | | | 29 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELIIGGDECNINEHRFLVALYTFRSRRFHCSGTLINQEWVLTAAHCDR 32 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYTNGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 36 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYLNG----LCGGTLINQEWVLTAAHCDR 38 MVLIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYANGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 44 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYANGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 49 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYANGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 50 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYTNGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 53 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYANGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 59 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYTNGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 60 MVLIRVLANLLILHLSYAQKSSELVIGGDECNINEHRFLALVYANGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDR 64 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYANGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG 69 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVV--DECNINEHRFLVALYDVWSGSFLCGGTLINEEWVLTAAHCNM 70 MVMIRVLANLLILQLSYAQKSSELVVGGDECNINEHRFLALVYANGS---LCGGTLINQEWVLTARHCDG * 80 90 100 110 120 130 140 | | | | | | | 29 -KYRISIGMHST-MYNEDVQHRVRKE-IFCLNRRNNIKWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPHSLPSNAPSV 32 GNMRIYLGVHNRKVPNKHGLRRFPKEKYFCLNTRNDTIWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPLSLPSNPPSV 36 KNIRIKLGMHSTNVXNEDVQTRVAKEKFFCLRSKTYTKWDKDIMLIRLKRPVNKSTHIAPLSLPSSPPSL 38 GNMLILLGMHNLKVLNKDALRRFPKEKYFCLNRRNNIKWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPHSLPSNAPSV 44 GNMLILLGMHNLKVLNKHGLRRFPKEKYFCLNRRNNIKWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPHSLPSNAPSV 49 GNMLILLGMHNLKVLNKDALRRFPKEKYFCLNRRNNIKWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPHSLPSNAPSV 50 GNMRIYLGVHNRKVPNKHGLRRFPKEKYFCLNRRNNIKWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPHSLPSNAPSV 53 GNMLILLGMHNLKVLNKDALRRFPKEKYFCLNRRNNIKWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPLSLPSNPPSV 59 GNMRIYLGVHNRKVPNKHGLRRFPKEKYFCLNRRNNIKWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPHSLPSNAPSV 60 GNMLILLGMHNLKVLNKDALRRFPKEKYFCLNTRNDTIWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPLSLPSNPPSV 64 GNMLILLGMHNLKVLNKDALRRFPKEKFICPNKKNDEVLDKDIMLIKLDSRVSNSEHIAPLSLPSSPPSV 69 SNIYIYLGMHNQSVQFDDEERRYPKEKYLFRCSKNFTKWDKDIMLIRLNKPVRNSEHIAPLSLPSSPPIV 70 GNMLILLGMHNLKVLNKDALRRFPKEKYFCLNTRNDTIWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPHSLPSNAPSV * 150 160 170 180 190 200 210 | | | | | | | 29 GSVCRVMGWGAITSPNETLPDVPHCANINILDYEVCRAASKRLP--ATTLCAGILEGGKDTCGGDSGGPL 32 GSVCRIMGWGTITSPNATLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA--ATTLCAGILEGGKDTCKGDSGGPL 36 GSVCRVMGWGTITSPDETYPAVPHCANINLLDYSVCRAAYPQLPVRSRTLCAGILEGGKDSCKGDSGGPL 38 GSVCRVMGWGAITSPNETLPDVPHCANINILDYEVCRAASKRLP--ATTLCAGILEGGKDTCGGDSGGPL 44 GSVCRVMGWGAITSPNETLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA--ATTLCAGILEGGKDTCGGDSGGPL 49 GSVCRVMGWGAITSPNETLPDVPHCANINILDYEVCRAASKRLP--ATTLCAGILEGGKDTCGGDSGGPL 50 GSVCRVMGWGAITSPNETLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA--ATTLCAGILEGGKDTCGGDSGGPL 53 GSVCRIMGWGTITSPNATLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA--ATTLCAGILEGGKDTCKGDSGGPL 59 GSVCRVMGWGAITSPNETLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA--ATTLCAGILEGGKDTCKGDSGGPL 60 GSVCRIMGWGTITSPNATLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA—-ATTLCAGILEGGKDTCKGDSGGPL 64 GSVCHIMGWGSITPIEVTFPAVPHCANINLLDYSVCRAAYPQLPVRSRTLCAGILEGGKDSCKGDSGGPL 69 GSVCRVMGWGTITSPNATLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA--ATTLCAGILEGGKDTCKGDSGGPL 70 GSVCRVMGWGAITSPNETLPDVPRCVNINLFNYTVCRGVFPRLPARSRILCAGVLEGGIDTCKRDSGGPL * * 220 230 240 250 260 | | | | | 29 ICNGQFQGILSLGGNPCAKPRKPGLYTKVFDYTDWIQSIISGNTDATCPP 32 ICNGQFQGILSVGGNPCAQPRKPGIYTKVFDYTDWIQSIIAGKTDATCPP 36 ICNGQFQGIVSWGGDPCAKPHVPGHYTKVFDYTDWIQGIIAGNTDATCPP 38 ICNWTIQDV-SWGGDPCANLIVPGHYTKVFDYTDWIQGIIAGNTDARCPP 44 ICNGQFQGIVFWGHDPCAHRVSPALYTKVFDYTDWIQGIIAGNTDARCPP 49 ICNGQFQGILSLGGNPCAKPRKPGLYTKVFDYTDWIQSIIAGNTDATCPP 50 ICNGQFQGIVFWGHDPCAQPREPALYTKVFDYTDWIQSIIAGNTDATCPP 53 ICNGQFQGILSLGGNPCAQPRKPGVYTKVFDYTDWIQSIISGNTDATCPP 59 ICNGQ--------------------------------------------- 60 ICNGQFQGILSVGGNPCAHPRKPGVYTKVFDYTDWIQSIISGNTDATCPP 64 ICNGQFQGIVSWGGDPCAKPHVPGHYTKVFDYTDWIQGIIAGNTDATCPP 69 ICNGQFQGILSVGGNPCAQPRKPGVYTKVFDYTDWIQSIISGNTDATCPP 70 ICNGQFQGIVSWGPKRCAQPRKPGIYTKVFDYTDWIQSIISGNTDATCPP

Figura 4.1. Allineamento delle sequenze aminoacidiche dedotte dal DNA dei 13 cloni ottenuti. Sono evidenziati in blu i residui della triade catalitica, in verde il residuo del sito di specificità primaria ed in rosso le cisteine.

Risultati 33

In particolare, il clone n. 64 codifica per una proteina matura, che verrà denominata 5TLE, la cui sequenza è un mosaico di porzioni identiche alle due proteasi note dal veleno di Agkistrodon contortrix contortrix, l’attivatore della Proteina C (Acc-C) e la contortrixobina, anche in alcune regioni generalmente variabili, insieme a regioni simili, ma non identiche, ad entrambi gli enzimi (fig. 4.2).

La sequenza del clone n. 64 (fig. 4.2) ci è parsa particolarmente interessante per indagare sulle relazioni tra struttura e funzione, e pertanto ne è stata intrapresa l’espressione in E. coli.

10 20 30 40 50 60 | | | | | |

Contortrixobin VVGGDECNINEHRFLVAIFN--SNGFVCSGTLINQEWVLTAAHCDSTDFQIKLGAHSKKV Clone 64 VVGGDECNINEHRFLALVYA---NGSLCGGTLINQEWVLTARHCDGGNMLILLGMHNLKV Acc-C VIGGDECNINEHRFLALVYA---NGSLCGGTLINQEWVLTARHCDRGNMRIYLGMHNLKV 70 80 90 100 110 120 | | | | | | Contortrixobin LNEDEQIRNPKEKFICPNKKNDEVLDKDIMLIKLDSRVSNSEHIAPLSLPSSPPSVGSVC Clone 64 LNKDALRRFPKEKFICPNKKNDEVLDKDIMLIKLDSRVSNSEHIAPLSLPSSPPSVGSVC Acc-C LNKDALRRFPKEKYFCLNTRNDTIWDKDIMLIRLNRPVRNSAHIAPLSLPSNPPSVGSVC 130 140 150 160 170 180 | | | | | | Contortrixobin HIMGWGSITPIEVTFPDVPHCAYINLLDDAACQPGYPEVLPEYRTLCAGILEGGKDTCNY Clone 64 HIMGWGSITPIEVTFPAVPHCANINLLDYSVCRAAYPQLPVRSRTLCAGILEGGKDSCKG Acc-C RIMGWGTITSPNATLPDVPHCANINILDYAVCQAAYKGLA--ATTLCAGILEGGKDTCKG 190 200 210 220 230 | | | | | Contortrixobin DSGGPLICNGQFQGIVSYGAHPCGQSLKPGIYTKVFDYNDWIQSIIAGNTAATCPP Clone 64 DSGGPLICNGQFQGIVSWGGDPCAKPHVPGHYTKVFDYTDWIQGIIAGNTDATCPP Acc-C DSGGPLICNGQFQGILSVGGNPCAQPRKPGIYTKVFDYTDWIQSIISGNTDATCPP

Figura 4.2. Allineamento della sequenza del clone n. 64 con la contortrixobina e l’Acc-C. Sono evidenziati in blu i residui identici a quelli della contortrixobina, in rosso quelli corrispondenti all’Acc-C ed in viola quelli identici in tutte e tre le sequenze. I tratti di sequenza più conservati sono in grassetto. Le regioni incorniciate sono quelle generalmente più variabili tra tutte le sequenze note di SVTLE.

4.1.2. Espressione Il frammento di cDNA del clone n.64 è stato inserito nel vettore di espressione pMal-C2,

che permette di ottenere proteine di fusione recanti la molecola di Maltose Binding Protein all’N-terminale, ed è stato espresso nel ceppo Origami di E. coli, che viene utilizzato per avere una efficiente formazione di ponti disolfuro.

La proteina di fusione tra la MBP e la proteasi di serpente, che da qui in poi verrà chiamata MBP-5TLE, è stata ottenuta in forma solubile con una resa di circa 8 mg per litro di coltura, ed è stata purificata dall’estratto cellulare batterico per cromatografia di affinità su resina di amilosio insieme alla MBP batterica libera. E’ stata poi separata da quest’ultima grazie alla capacità, tipica di tutte le proteasi a serina tripsino-simili, di interagire con una resina di Arg-Sefarosio tramite il residuo di aspartato del sito S1. Tale interazione, oltre a permettere la purificazione della proteina, dimostra che l’enzima ricombinante è correttamente strutturato, almeno nella regione intorno alla tasca di specificità primaria.

34 Capitolo 4

La massa molecolare della proteina, dedotta dalla sequenza aminoacidica, è di circa 65 kDa, in accordo con la sua mobilità elettroforetica su SDS-PAGE. (fig. 4.3) 1 2 3 4 ← MBP-5TLE

← MBP

Figura. 4.3. SDS-PAGE al 15%: 1) Marcatori di peso molecolare (KDa); 2) proteina totale eluita dalla resina di amilosio; 3) frazione non legata all’Arg-Seph.; 4) frazione legata all’Arg-Seph, eluita con tampone acetato, pH 4.0

4.1.3. Saggi funzionali: piccoli substrati sintetici L’enzima ha mostrato attività idrolitica su esteri ed anilidi a basso peso molecolare: in

particolare, l’efficienza catalitica si è dimostrata maggiore sull’estere della lisina rispetto alle anilidi di tripeptidi, come già osservato per la contortrixobina (tab. 4.1) [58]. Tra i substrati tripeptidici, una certa attività è stata dimostrata sui composti che presentano Arg in posizione P1 ed un residuo apolare ingombrante (Pro o ac. pipecolinico) in P2, analogamente a quanto già osservato per la trombina e la contortrixobina (Tab. 4.2) [58].

Tabella 4.1. Parametri cinetici di stato stazionario per l’attività esterasica o amidasica della proteina MBP-5TLE.

substrato kcat (sec-1) Km (µM) kcat/ Km (M-1sec-1)

Z-Lys-ONp 0.018 55.3 322

Phe-Pip-Arg-pNA 0.015 223 68

Tabella 4.2. Attività amidasica relativa su tre substrati anilidici

substrato Attività relativa

Phe-Pip-Arg-pNA 1

Sar-Pro-Arg-pNA 0.73

Tosyl-Gly-Pro-Arg-pNA 0.47

97.4 66.2

45.0

31.0

21.5

14.4

Risultati 35

4.1.4. Saggi funzionali: substrati macromolecolari Come è stato già osservato nella figura 4.2, la sequenza della proteina 5TLE ha un alto

grado di identità con quella della contortrixobina e dell’Acc-C. Per verificare se questa elevata omologia strutturale fosse accompagnata da una analoga somiglianza funzionale, è stata indagata la capacità della proteina fusa MBP-5TLE di interagire con i substrati macromolecolari della contortrixobina e dell’Acc-C, fibrinogeno e proteina C, rispettivamente. La proteina non sembra avere attività idrolitica su tali substrati proteici. Questa mancata interazione può essere dovuta all’ingombro sterico costituito dalla MBP, che comunque non preclude l’accesso al sito attivo per i substrati piccoli, oppure alla mancanza di esositi di riconoscimento sulla superficie della proteina.

4.1.5. Taglio della proteina di fusione Per indagare sulla mancata funzionalità della proteina di fusione nei confronti dei substrati

macromolecolari si è cercato di separare la proteasi di serpente dalla proteina tag. Questo può essere ottenuto grazie alla presenza, tra il C-terminale della MBP e l’N-terminale della proteasi di serpente, di un breve tratto di sequenza, Ile-Glu-Gly-Arg, riconosciuto specificamente dal Fattore Xa, una delle proteasi a serina del sistema della coagulazione, che viene sfruttata in questo caso come “enzima di restrizione per polipeptidi”, grazie alla sua elevatissima specificità.

Il Fattore Xa è pertanto usato comunemente nel sistema di espressione pMal C2 per tagliare le proteine di fusione ed ottenere le proteine di interesse. Generalmente, per allontanare Il Fattore Xa dalla miscela dopo il taglio, si usano resine di affinità molto simili all’Arg-Sefarosio; nel nostro caso però questa procedura standard non ha avuto successo, poiché anche la proteina di serpente interagisce con la resina, con un’affinità molto simile all’enzima di restrizione. Anche la separazione per cromatografia a scambio ionico non è stata soddisfacente, dato il punto isoelettrico simile tra le due proteasi.

E’ stata pertanto seguita una strategia diversa, immobilizzando il Fattore Xa su una resina Affi-Gel, in modo da poterla utilizzare per tagliare la proteina di fusione ed eliminarla poi per centrifugazione. L’enzima immobilizzato è risultato attivo ed ha inoltre mantenuto la sua attività anche dopo diversi cicli di incubazione con il substrato.

La proteina di fusione è stata quindi tagliata e le prime analisi funzionali sono state effettuate sulla miscela totale.

Rispetto ai risultati ottenuti con la proteina fusa, dopo il taglio con FXa-Affi-Gel la Km dell’enzima per Phe-Pip-Arg-pNA è diminuita di quasi 7 volte, passando da 223 µM a 34.2 µM, mentre la kcat non è cambiata in modo sostanziale (circa 0.015 sec-1), suggerendo che l’eliminazione dell’ingombro sterico costituito dalla MBP legata all’N-terminale aumenta l’affinità per il substrato, ma non l’efficienza catalitica. (tab. 4.3)

36 Capitolo 4

Tabella 4.3 parametri cinetici allo stato stazionario per l’idrolisi del Phe-Pip-Arg-pNA

kcat (sec-1) Km (µM) kcat/ Km (M-1sec-1)

MBP-5TLE 0.015 223 67.3

5TLE 0.015 34.2 438.6

L’eliminazione della MBP, inoltre, riesce a conferire alla TLE tagliata la capacità di convertire il fibrinogeno in fibrina, proprietà che invece manca del tutto alla proteina fusa, ed incubando fibrinogeno 5 µM con TLE 500 nM a 37° si è ottenuto un coagulo dopo circa 5 ore. Ciò sta a suggerire che per l’interazione con i substrati macromolecolari la mancata attività della MBP-5TLE sia dovuta in modo preponderante all’ingombro sterico costituito dalla proteina estranea MBP.

Nella figura 4.4 è riportata l’analisi all’HPLC del rilascio dei fibrinopeptidi.

0

10

20

30

40

50

16 17 18 19 20 21 22 23 24

tempo (min)

mV

zero13 min30 min1 ora2 ore3 ore5 orecon trombina

Figura 4.4. Profili cromatografici della separazione in RP-HPLC dei fibrinopeptidi A e B prodotti nel tempo dall’azione della 5TLE e dalla trombina. Nell’inserto è riportato l’aumento nel tempo delle aree dei tre picchi cromatografici relativi ai FpA.

Come si può osservare, in seguito all’azione della 5TLE solo i picchi corrispondenti al

FpA nelle sue tre forme (dovute all’eterogeneità del fibrinogeno umano, con una certa frazione di FpA fosforilati oppure troncati in Ala) aumentano nel tempo (fig. 4.4); l’enzima, quindi, taglia solo le catene α del fibrinogeno e non le β. Questa interessante caratteristica funzionale è comune ad un numero limitato di proteasi di serpente, tra cui l’ancrod e la batroxobina (vedi introduzione).

Anche dopo il taglio con FXa l’enzima non ha invece mostrato attività nei confronti della proteina C, suggerendo che, per questo substrato macromolecolare, effettivamente manchino sulla superficie della TLE i determinanti strutturali per il riconoscimento.

0

100

200

300

400

500

0 1 2 3 4 5 6

tempo (ore)

Are

a pi

cchi

FpA

FpA des-Ala

P-FpA

FpB

FpA

Risultati 37 4.2. Attività della contortrixobina

4.2.1. Attività idrolitica sul fibrinogeno umano La contortrixobina attiva il fibrinogeno a fibrina rilasciando entrambi i fibrinopeptidi A e

B. Rispetto alla trombina, però, il meccanismo catalitico è differente: mentre la trombina agisce in modo sequenziale, attaccando inizialmente le catene Aα e successivamente le Bβ (paragrafo 1.5.3), la contortrixobina sembra agire su entrambe le catene indifferentemente fin dall’inizio del processo, come evidenziato dall’analisi in HPLC dei frammenti liberati dal fibrinogeno in presenza dell’enzima di serpente a due diverse temperature (fig. 4.5, pannello a). La velocità di rilascio dei prodotti è paragonabile tra FpA e FpB a diverse concentrazioni di substrato, come si osserva nel pannello b della figura 4.5, ed i parametri cinetici di stato stazionario possono essere calcolati come due curve identiche per i due substrati.

Figura 4.5: Rilascio dei fibrinopeptidi dal fibrinogeno umano da parte della contortrixobina. In a) è riportata la cinetica a due diverse temperature, in presenza di fibrinogeno 5 µM e contortrixobina 80 nM; in b) è rappresentata la curva secondo Michaelis e Menten della velocità di rilascio dei FpA e FpB a diverse concentrazioni di substrato, da parte di contortrixobina 80 nM, a 37°C.

I fibrinopeptidi A e B si comportano come due substrati che competono tra di loro per il

sito attivo dell’enzima e quindi l’affinità misurata in termini di Km è solo apparente.

+ AαγβB E:AαγβB (Fp)A + αγβB + E E + AαγβB AαγβB:E (Fp)B + Aαγβ + E

I valori delle costanti di Michaelis e Menten per il rilascio dei fibrinopeptidi a 37°C e a 20°C

sono riportati nella tabella 4.4.

Tabella 4.4. Parametri catalitici apparenti di stato stazionario a due temperature per il rilascio dei fibrinopeptidi da parte della contortrixobina (Condizioni sperimentali: tampone Tris 50 mM, NaCl 150 mM, pH 7,4).

Temperatura kcat (s-1) Km (µM) kcat/ Km( M-1 s-1)

37°C 0,077 12,2 6,3 x 103

20°C 0,033 2,9 11,4 x 103

(a) (b)

38 Capitolo 4

La bassa efficienza catalitica della contortrixobina, se confrontata con l’attività della trombina, è sorprendente, specie se si considera che la Km è relativamente bassa e indica una valida interazione tra la contortrixobina ed il fibrinogeno umano. A questo proposito si possono anticipare due considerazioni che saranno più estesamente sviluppate nella discussione. In primo luogo, i dati presentati nella tabella 4.5 (paragrafo 4.2.2) dimostrano che la contortrixobina presenta efficienze catalitiche minori di quelle della trombina anche nei confronti di substrati sintetici. In secondo luogo il confronto tra i parametri di stato stazionario dei due enzimi può essere fuorviante perché la Km e la kcat sono tra loro correlate e la rassomiglianza delle due Km potrebbe essere casuale: nella frazione

che peraltro è applicabile solo in modo approssimativo alle proteasi, i contributi relativi dei termini k2 e k3 potrebbero essere molto diversi nella contortrixobina e nella trombina.

4.2.2. Attività su altri substrati Nella tabella 4.5 sono stati riportati i valori dei parametri di stato stazionario per la

contortrixobina e per la trombina relativamente alle catene α e β del fibrinogeno nelle stesse condizioni sperimentali (37°C) insieme a quelli ottenuti per i due enzimi sui substrati proteici riconosciuti anche dalla contortrixobina e su piccoli substrati tripeptidici.

Tabella 4.5 Parametri cinetici di stato stazionario per la trombina e la contortrixobina su substrati proteici e su tripeptidil-anilidi

α-Trombina Contortrixobina Substrato

Km (µM) kcat (s-1) kcat/Km (M-1s-1) Km (µM) kcat (s-1) kcat/Km

(M-1s-1) Aα fibrinogeno (Gly-Gly-Val-Arg) 7,2 84 11,7 x 106 12,2 0,077 6,3 x 103

Bβ fibrinogeno (Phe-Ser-Ala-Arg) 9,7 38 3,9 x 106 12,2 0,077 6,3 x 103

Fattore V (Leu-Gly-Ile-Arg)

-- -- 9,3 x 106 -- -- 1,9 x 104

Fattore XIII (Gly-Val-Pro-Arg)

-- -- 1,5 x 105 -- -- 6,4 x 102

Tosil-Gly-Pro-Arg-pNA 4,2 47,8 1,1 x 107 18,7 2,1 1,1 x 105

Sar-Pro-Arg-pNA 107,2 51,7 4,8 x 105 28,7 5,6 1,9 x 105

Phe-Pip-Arg-pNA 1,4 31,4 2,2 x 107 411,2 2,8 6,8 x 103

Tosil-Gly-Pro-Lys-pNA 40,3 21,6 5,4 x 105 105,2 0,1 1,3 x 103

Dai dati riportati emerge che la venombina è oltre 1200 volte meno efficiente dell’α-trombina sul fibrinogeno, in termini di costante di specificità di secondo ordine, ma che questo effetto è dovuto soprattutto ad una minore kcat, quindi ad una minore efficienza

Km = k2 + k3 k+1

Risultati 39 catalitica, piuttosto che ad un effetto sulla Km, intesa come affinità per il substrato. La proteasi di serpente è attiva anche sul Fattore V e sul Fattore XIII, con un’efficienza 250-500 volte inferiore rispetto alla trombina, mentre non è attiva sulle piastrine, né sul Fattore VIII [58].

Il riconoscimento molecolare tra contortrixobina e fattore V è simile, ma non uguale, a quello che si stabilisce tra trombina e fattore V, come risulta del fatto che dei tre legami peptidici che sono idrolizzati dalla trombina (Arg709, Arg1018 ed Arg1545) solo due sono attaccati anche dalla contortrixobina (Arg709 ed Arg1018), mentre un terzo taglio, caratteristico dalla contortrixobina e non riscontrato nel caso degli altri attivatori da veleni di serpente, è operato a livello di Arg1765 (dati non mostrati).

Confrontando la Km per il fibrinogeno con quella di diversi substrati a basso peso molecolare che interagiscono solo con i siti S1-S3 dell’enzima si osserva che è dello stesso ordine di grandezza rispetto al Tosyl-Gly-Pro-Arg-pNA ed al Sar-Pro-Arg-pNA; il Tosil-Gly-Pro-Lys-pNA, probabilmente per la presenza di Lys in P1, è poco affine ad entrambe le proteine, mentre il Phe-Pip-Arg-pNA, che è un substrato ottimo per la trombina, è invece molto poco adatto alla contortrixobina. Questa osservazione, che è coerente con la diversa origine evolutiva delle venombine (dalla tripsina, vedi introduzione) dimostra che la contortrixobina differisce dalla trombina non solo a livello degli esositi, che sono sufficienti a far interagire efficacemente questo substrato macromolecolare con la venombina, ma anche nell’intorno del sito attivo.

Le proprietà di riconoscimento di substrati macromolecolari da parte della contortrixobina sono state ulteriormente indagate con saggi di attivazione della proteina C e del plasminogeno. Quest’ultima attività è stata saggiata, pur non essendo direttamente una proprietà trombino-simile, perché è invece tipica di diverse proteasi di serpente, ed alcune posizioni individuate come cruciali per l’interazione con il substrato da parte di due attivatori del plasminogeno (DDE 96a-98 nel TSV-PA e DDD 95-97 nel tPA umano [71]) sembrano conservate nella contortrixobina, che presenta in queste posizioni la sequenza DEV. Non è stata però osservata attività su nessuno dei due substrati proteici, almeno nelle condizioni sperimentali impiegate.

Queste osservazioni rafforzano l’idea che il riconoscimento tra macromolecole non è sempre riconducibile a pochi residui critici, ma richiede invece interazioni anche in siti distanti dal centro catalitico, e difficilmente individuabili in mancanza di una struttura tridimensionale di riferimento.

Per ovviare a questa difficoltà, si è cercato di elaborare un modello strutturale della contortrixobina, prendendo come riferimento il complesso trombina/fibrinopeptide A e modelli di complessi trombina/fibrinopeptide B, oltre a dati funzionali, attinti dalla letteratura.

4.2.3. Modello di struttura tridimensionale

Interazione con il fibrinopeptide A L’interazione tra la catena Aa del fibrinogeno e l’intorno del sito attivo della trombina è

abbastanza ben delineata dal complesso cristallografico con il fibrinopeptide A (codice pdb: 1FPH) e dal modello con il peptide 20-62 [28] descritto nell’introduzione e riproposto nella

40 Capitolo 4 figura 4.6. Si può osservare che il sito arilico formato dai residui W215, I174 e L99 che ospitano Phe27 in posizione P9 nel fibrinopeptide, si trova in realtà molto vicino ai subsiti S2-S3 del sito attivo della trombina; pertanto il FpA si ripiega formando un’ansa che porta i residui P4-P8 lontano dal sito attivo, a interagire con l’ansa 174, per poi riportare in esso il residuo P9.

Figura 4.6. Struttura del complesso tra trombina, in celeste, e FpA, in arancio. Sono evidenziati in ball & stick i residui dell’enzima che giocano un ruolo importante nell’interazione: la Phe27 del FpA interagisce con il sito arilico (residui W215, I174 e L99, in verde); la Val134, in P2, con i residui Y60a e W60d (celeste); il Glu30, in P6, forma un ponte salino con Arg173 (blu). In rosso sono mostrati I residui della triade catalitica e l’Asp189 nel sito S1.

Dal modello costruito per la contortrixobina in interazione con il fibrinopeptide A si

evidenzia che l’alloggiamento della Phe27 del fibrinogeno in un sito apolare può essere conservato anche nella contortrixobina; infatti dei tre residui della trombina Trp215, Ile174 e Leu99, quest’ultimo è invariato, mentre gli altri due presentano mutazioni conservative (W215Y e I174V). L’interazione della Aα-Val34 con l’ansa 60 della trombina sembra essere invece completamente persa nella contortrixobina; in questa proteasi infatti, come del resto nella tripsina e nelle altre proteasi di serpente, quest’ansa è del tutto assente. Infine, l’interazione elettrostatica tra Aα-Glu30 e Arg173 dell’enzima è impossibile nella contortrixobina per la sostituzione dell’Arg in questa posizione con un residuo acido di Glu (fig. 4.7).

V34

F27

E30R173

Risultati 41

Figura 4.7. Modello per la contortrixobina, in grigio, in complesso con il FpA, in arancio. I residui evidenziati in verde costituiscono l’equivalente del sito arilico della trombina. L’ansa-60 e’ assente. In blu, il residuo Glu173 sostituisce Arg173 della trombina. In rosso sono mostrati I residui della triade catalitica e l’Asp189 nel sito S1.

Interazioni con il fibrinopeptide B Per l’interazione tra la trombina e il fibrinopeptide B non sono disponibili strutture

cristallografiche ed i fibrinopeptidi A e B presentano una sequenza piuttosto diversa, quindi l’alloggiamento del FpB nell’intorno del sito attivo della trombina è meno chiaro: se infatti è stato proposto un modello di interazione per il peptide 31-72 della catena Bβ [28], come descritto nell’introduzione, sembrano possibili anche allineamenti ed interazioni alternative.

Di seguito sono riportati tre possibili allineamenti tra FpA e FpB, che descrivono tre diversi tipi di interazione attesa tra FpB e trombina:

FPA: 20- ADSGEGDFLAEGGGVR -35 1) FPB: 31- QGVNDNEEGFF-----SAR -44 FPA: 20- ADSGEGDFLAEGGGVR -35 2) FPB: 31- QGVNDNEEGFF----SAR -44 FPA: 20- ADSGEGDFLAEGGGVR -35 3) FPB: 31- QGVNDNEEGFFSAR -44

Il primo modello è quello proposto da Rose e Di Cera [28], con la Phe41 in P4, allineata

con la posizione P9 del FpA, che interagisce con il sito acrilico; il secondo è simile al primo, ma è la Phe40 in P5 ad alloggiarsi sito arilico; il terzo allineamento mantiene ugualmente questa interazione ed il fibrinopeptide B forma un’ansa, come nel caso del FpA. L’interazione idrofobica tra il residuo in P2 del FpA con l’ansa 60 sembra persa per il FpB in tutti e tre i modelli, così come il ponte salino della posizione P6; Tuttavia, nel terzo modello, che conserva l’ansa presente nel FpA, il residuo Glu38 in P7 può arrivare a stabilire un ponte salino con Arg173 della trombina a seguito di un piccolo riarrangiamento della catena carboniosa. I tre modelli sono rappresentati nella figura 4.8.

E173

Y215

V174

42 Capitolo 4

Figura 4.8. I modelli per i complessi trombina-FpB, costruiti sulla base degli allineamenti 1, 2 e 3, e mostrati in blu, fucsia e viola, rispettivamente, possono tutti accomodare una Phe nel sito arilico, in corrispondenza della regione occupata, nel FpA (in arancio), dalla Phe27. La struttura del complesso trombina-FpA e il modello del complesso trombina-FpB, basato sull’allineamento 3, presentano entrambi un’ansa sui residui P4-P8 e sono mostrati con una rappresentazione a nastro.

Modello di interazione a livello dell’Esosito I L’esosito I, o esosito di riconoscimento del fibrinogeno, dista circa 20 Å dal sito attivo; è

una regione ricca di residui basici ed idrofobici, elencati nella tabella 1.2 e riportati nella tabella 4,6, che nella trombina interagisce con l’irudina e con la regione del fibrinogeno 14-22 residui oltre il sito di taglio (fig. 1.8), oltre che con la trombomodulina ed i recettori cellulari della trombina. Nella contortrixobina solo quattro degli 11 residui basici sono conservati e la Tyr76, che stabilizza l’interazione con i substrati (vedi anche fig. 1.9) non è presente.

Tabella 4.6. Aminoacidi che formano l’esosito I nella trombina e residui corrispondenti nella contortrixobina.

Trombina contortrixobina Arg35 Lys36 Arg67 Lys67 Lys70 Arg73 Lys73 Arg75 Lys74 Tyr76

Arg77a Lys81 Arg83

Lys109 Lys110 Lys149e

La mancata interazione con la trombomodulina e con i recettori sulle piastrine, e la minore

sensibilità all’inibizione da parte dell’irudina sono in accordo con la più debole carica elettrostatica della contortrixobina in questa regione. Per la contortrixobina, d’altra parte, è possibile ipotizzare il coinvolgimento di una regione superficiale carica positivamente poco

L99

I174

W215

Risultati 43 distante dall’esosito I, per l’interazione con il fibrinogeno; in questa zona, evidenziata all’interno del cerchio nella figura 4.9, sono infatti esposti i residui di Lys85, Lys87 e Lys107, che potrebbero svolgere tale ruolo, come già proposto per Arg60f, Lys85, Lys87 e Arg107 della crotalasi [67].

Figura 4.9. a) rappresentazione dell’Esosito I nella trombina. L’orientamento della molecola è lo stesso della figura 1.4.a. Sono evidenziati in magenta i residui basici ed in blu la Tyr76 che interagiscono con l’irudina (marrone), ed in rosso la triade catalitica. b) rappresentazione della regione corrispondente all’esosito I nella contortrixobina: in blu sono rappresentati i quattro residui basici; la Tyr 76 è assente. In marrone è rappresentata l’irudina, nella stessa posizione rispetto al pannello a). Nel cerchio in viola sono evidenziati i tre residui basici della putativa estensione dell’esosito.

4.3. Studio della struttura del coagulo di fibrina E’ stata studiata la struttura del gel ottenuto da fibrinogeno umano con trombina umana o

con ancrod o con contortrixobina in diverse condizioni di rapporti molari tra substrato ed enzima. E’ stata utilizzata la tecnica di diffusione elastica della luce laser, che permette di

(a)

(b)

44 Capitolo 4 ottenere informazioni sul diametro delle fibre, e quindi sul numero di protofibrille per fibra (vedi paragrafo 3.9.1).

TrombinaAncrodContortrixobina

Prot

ofib

rille

per s

ezio

ne d

i fib

ra

[Enzima]/[Fibrinogeno]

1E-4 1E-3 0.01 0.1 1 10

10

100

Figura 4.10. Dipendenza del numero di protofibrille per fibra in funzione del rapporto enzima/fibrinogeno per la trombina, la contortrixobina e l’ancrod. La concentrazione di fibrinogeno è costante e pari a 800 nM. Le attività specifiche degli enzimi sono: 3,4 U/µmole per la contortrixobina; 33,3 U/µmole per l’ancrod e 64 U/µmole per la trombina. I dettagli sono descritti nel paragrafo 3.9.1.

Dai risultati riportati in figura 4.10 è emerso che, a parità di concentrazione di fibrinogeno, il diametro delle fibre dipende dalla concentrazione e dal tipo di enzima: con le due proteasi di serpente vengono prodotte fibre più sottili all’aumentare della concentrazione di enzima. Nel caso della trombina, invece, la variazione del numero di protofibrille per fibra in funzione della concentrazione di enzima segue un andamento apparentemente parabolico, raggiungendo un valore minimo di 20 protofibrille per sezione di fibra quando il rapporto molare enzima:fibrinogeno è pari a 1:100; aumentando la concentrazione di trombina fino ad un rapporto 1:1 il diametro delle fibre aumenta di nuovo.

Questi dati suggeriscono che l’accrescimento equatoriale della fibra dipenda dal meccanismo con cui il fibrinogeno è attivato a fibrina monomerica.

Nel caso della trombina il processo è noto avvenire in due tappe: nella prima si ha il rilascio dei FpA, con produzione di monomeri di fibrina che aggregano in modo testa-testa; la seconda tappa, molto più lenta in assenza di ioni calcio, prevede il taglio dei FpB e l’associazione delle protofibrille sul piano equatoriale, ispessendo la fibra. I monomeri des-FpA sono tanto più abbondanti quanto maggiore è la concentrazione dell’enzima, e questo favorisce la formazione di un maggior numero di centri di nucleazione, a sua volta seguita dalla produzione di un maggior numero di fibre più sottili. Questo è quanto avviene in condizioni di rapporti trombina:fibrinogeno inferiori ad 1:100 ed anche in presenza di Ancrod, che taglia dal fibrinogeno solo i FpA. Aumentando la concentrazione della trombina oltre il

Risultati 45 rapporto 1:100 con il fibrinogeno, la maggiore concentrazione di monomeri des-FpA già aggregati favorisce, anche in assenza di calcio, l’interazione tra enzima e substrato, quindi anche il rilascio dei FpB avviene più velocemente, vengono scoperti i siti di interazione laterale sulla molecola e questo potrebbe favorire l’ispessimento della fibra. Nel caso dell’ancrod non vi è rilascio dei FpB, quindi ci si può attendere che l’aggregazione laterale e l’ispessimento della fibra risultino meno efficienti, in buon accordo con i dati sperimentali.

Quando invece il fibrinogeno è tagliato dalla contortrixobina, i dati sulle cinetiche di rilascio dei fibrinopeptidi ottenuti finora suggeriscono che questo enzima non segua un processo sequenziale, ma che entrambe le catene possano essere riconosciute e tagliate in modo casuale ed alla stessa velocità. In questo caso l’aggregazione dei monomeri di fibrina sarebbe più disordinata, e per questo motivo, pur tagliando i FpB, ed anche a concentrazioni elevate di enzima, il processo di ispessimento equatoriale sarebbe sfavorito.

Un modello quantitativo, ancorché semplificato, dell’effetto della concentrazione di enzima sulla struttura del coagulo sarà presentato nella discussione.

Per verificare se l’aumento di spessore delle fibre a concentrazioni elevate di trombina fosse un processo dovuto in modo specifico all’attività enzimatica e non ad un generico “effetto affollamento” che potesse favorire l’interazione tra monomeri di fibrina, sono state effettuate prove di polimerizzazione con trombina e fibrinogeno in condizioni tali da avere trombina cataliticamente attiva alla concentrazione pari al rapporto 1:100 con il substrato (la condizione che produce fibre sottili) ed aumentando la pressione colloido-osmotica mediante aggiunta di molecole non cataliticamente attive, come trombina inattivata irreversibilmente con pefabloc, oppure albumina, fino ad un rapporto molare finale di 1:2 con il fibrinogeno. L’osservazione che il diametro delle fibre in queste condizioni non è maggiore rispetto al valore di circa 20 protofibrille/fibra indica che l’effetto delle alte concentrazioni enzimatiche è specifico e non può essere spiegato dall’effetto di affollamento molecolare.

Tutti i risultati finora descritti sul processo di polimerizzazione sono ricavati da un modello matematico che interpreta i dati di scattering della luce del coagulo di fibrina; una prova più diretta della validità delle ipotesi si può avere osservando in microscopia confocale la localizzazione della trombina all’interno del coagulo in formazione. A questo scopo la trombina è stata coniugata con la fluoresceina-isotiocianato e sono state effettuate osservazioni in diverse condizioni sperimentali di rapporto trombina-FITC:fibrinogeno. Ne è emerso che la trombina si trova effettivamente associata alle fibre, mentre le molecole libere nel mezzo sono in quantità trascurabile; inoltre è facilmente osservabile il diverso spessore delle fibre in condizioni diverse (fig. 4.11).

46 Capitolo 4

Figura 4.11. Analisi di microscopia confocale di gel di fibrina ottenuti incubando fibrinogeno 3 µM con trombina 30 nM (pannelli in alto) o 3 nM (pannelli in basso) in tampone Tris 50 mM, NaCl 0,1 M, pH 7,4. Le tre immagini di ogni condizione sono riferite rispettivamente al segnale ottenuto in fluorescenza, (assegnando un colore arbitrario al segnale), in trasmissione, e alla sovrapposizione dei due.

5 DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

5.1. Clonaggio, espressione e caratterizzazione della 5TLE E’ stata ottenuta una nuova proteasi dal veleno di Agkistrodon contortrix contortrix in

forma solubile da E. coli. Questo è già di per sé un risultato positivo, in quanto sono riportati diversi dati di proteasi di serpente espresse in E. coli come tali o con una coda di His, ma si ritrovano in genere nei corpi inclusi, anziché nel citoplasma batterico [72, 73] e il loro refolding in vitro è molto difficoltoso, per la presenza dei numerosi ponti disolfuro; questo problema è stato superato in questo caso grazie all’espressione della proteina in forma fusa con la MBP, nel ceppo Origami del batterio.

La proteina MBP-5TLE è correttamente strutturata intorno al sito attivo ed alla tasca di specificità primaria, come è dimostrato dalla sua interazione con l’Arg-Sefarosio e dall’attività idrolitica su piccoli substrati sintetici.

L’omologia di sequenza della 5TLE con la contortrixobina e con l’attivatore della proteina C non corrisponde però ad una omologa specificità di substrato macromolecolare: la nuova proteasi non attiva la proteina C e taglia il fibrinogeno sulle catene Aα; potrebbe quindi trattarsi di una proteasi con caratteristiche nuove, in accordo con l’ipotesi di evoluzione accelerata di questa famiglia di enzimi.

C'è comunque da osservare che la proteina dopo il taglio dalla MBP risulta poco stabile e tende a precipitare. Questo potrebbe dipendere da un folding non perfetto della 5TLE, nonostante la buona solubilità della proteina fusa alla MBP. Indicazioni in tal senso potrebbero aversi utilizzando un costrutto diverso oppure esprimendo la proteina in cellule eucariotiche, come è stato fatto di recente per la batroxobina, espressa in Pichia pastoris [74].

5.2. Caratterizzazione e modello strutturale della contortrixobina Dai risultati esposti in questa tesi emerge che, secondo la classificazione usata per le

proteasi trombino-simili da veleni di serpente, la contortrixobina è una venombina AB, in quanto rilascia entrambi i fibrinopeptidi dalla molecola di fibrinogeno. Questo contrasta con quanto affermato in base ai risultati ottenuti in precedenza nel nostro laboratorio [58], secondo cui questo enzima avrebbe una preferenza per il rilascio dei FpB rispetto ai FpA. Va però notato che in quell’occasione, con l’apparato sperimentale disponibile, i picchi cromatografici ottenuti all’HPLC fornivano una sottostima della quantità di FpA totale, in quanto non era possibile osservare distintamente le specie fosforilata e des-Ala, che erano pertanto trascurate nel calcolo dell’integrazione delle aree.

Inoltre, le condizioni sperimentali di tampone e temperatura differivano da quelle adottate in questo lavoro e poiché è noto che l’attività sul fibrinogeno è dipendente da fattori ambientali (temperatura e eventualmente ioni Ca2+), i diversi risultati possono essere dovuti anche ad altri fattori.

48 Capitolo 5

È noto che tra le p-nitroanilidi, quelle che si comportano come migliori substrati della trombina hanno una prolina in posizione P2 [75]; analogamente, si sono rivelati buoni substrati per la contortrixobina le tripeptidil-anilidi che possiedono un residuo apolare ingombrante nella stessa posizione. È interessante notare che la sostituzione della tosil-glicina con la metil-glicina (sarcosina) in posizione P3 non riduce la specificità dell’enzima, come avviene per la trombina. Questa evidenza sperimentale implica che, in contrasto con la proteasi umana, la venombina non ha bisogno di sostituenti aromatici ingombranti in posizione P3 per ottimizzare l’interazione catalitica con i substrati, e dunque che il subsito S3 della contortrixobina deve essere strutturalmente diverso da quello della trombina. La bassa attività della venombina in confronto alla trombina è prevalentemente da correlarsi alla bassa kcat; poiché la contortrixobina è poco attiva su substrati a basso peso molecolare sui quali la trombina mostra notevole attività si può concludere che l’enzima di serpente è intrinsecamente meno efficiente della trombina.

La relazione tra Km e kcat merita in questo confronto una discussione approfondita: come si vede dalla tabella 4.5, i due enzimi hanno Km molto simili per gli stessi substrati, seppure con alcune eccezioni connesse con la diversa specificità in P3, già discusse. Se si assume, almeno provvisoriamente, che le Km riflettano le Ks, cioè le affinità per i substrati, si può stimare che le energie di legame apparenti per il complesso enzima-substrato sono dell’ordine di

∆G0 = -RT ln K = -7,2 kcal/mole. Questo valore è evidentemente molto basso per un substrato di natura peptidica, che forma

interazioni deboli multiple con i residui del sito catalitico. La ragione della bassa energia di legame è da ricercarsi nella deformazione imposta al substrato nel complesso di Michaelis, deformazione che indebolisce il legame forte sul quale la proteasi esercita la sua attività idrolitica. In tal senso si può ritenere che la somiglianza tra le Km della contortrixobina e della trombina sia casuale e non dia indicazioni sul meccanismo di riconoscimento molecolare tra enzima e substrato. Infatti, il nostro ragionamento suggerisce che la trombina, con un’efficienza catalitica da 10 a 1000 volte maggiore della contortrixobina (si vedano i valori di kcat riportati nella tabella 4.5), formi un maggior numero di legami deboli con il substrato, la cui energia libera è utilizzata per distorcere la struttura in maggior misura che nella contortrixobina e di conseguenza per consentire un più rapido atto catalitico.

Non va inoltre dimenticato che il meccanismo catalitico delle proteasi a serina è complesso e coinvolge un intermedio enzima-prodotto covalente (l’acil-enzima) la cui idrolisi contribuisce in maggiore o minor misura a determinare la kcat. Questo fatto complica ulteriormente il confronto tra trombina e contortrixobina, perché queste potrebbero differire per eventi successivi all’idrolisi del substrato, che non si riflettono sul meccanismo di interazione col substrato. Ulteriori studi di cinetica rapida mediante stopped-flow sono attualmente in corso per chiarire il meccanismo catalitico della contortrixobina ed i suoi passaggi limitanti.

Alcune proprietà funzionali della contortrixobina possono trovare una spiegazione dalle caratteristiche strutturali dell’enzima. La scarsa inibizione da parte del BPTI, ad esempio, potrebbe essere dovuta al restringimento dell’accesso al sito attivo da parte della Tyr193 della

Discussione e conclusioni 49 contortrixobina; questa posizione è occupata nel TSV-PA da una Phe, mentre nella trombina, nella tripsina e in molte proteasi di serpente da una Gly. La presenza di un residuo ingombrante in questa posizione è considerata la causa della mancata sensibilità del TSV-PA al BPTI, poiché la mutazione Phe193Gly aumenta molto l’inibizione [71]. La scarsa inibizione della contortrixobina da parte del BPTI è simile a quella osservata per la trombina: in questo caso sembra essere la presenza dell’ansa 60, assente nelle proteasi di serpente, ad intralciare l’accesso dell’inibitore al sito attivo [4].

Anche la diversa interazione della contortrixobina con il Fattore V, rispetto alla trombina, può essere spiegata sulla base di alcune evidenze strutturali. Il Fattore V interagisce con la trombina a livello di entrambi gli Esositi I e II, siti fortemente carichi positivamente. Come è stato già osservato (Tab. 4.6) l’esosito I nella contortrixobina è fortemente ridotto, e l’esosito II, oltre a mancare di molti dei residui implicati nel legame con i substrati della trombina, nelle proteasi di serpente è oltretutto coperto dall’estensione C-terminale tipica di questi enzimi (confrontare le figure 1.4.a e 1.12), che può spiegare anche l’insensibilità della contortrixobina all’eparina, il più importante ligando dell’esosito II della trombina. Queste evidenze suggeriscono la possibilità di una differente geometria di associazione tra fattore V e contortrixobina rispetto a quella che si instaura con l’enzima umano.

Per quanto riguarda l’interazione della contortrixobina con il fibrinogeno, l’osservazione del modello descritto nel paragrafo 4.2.3 in confronto alla trombina è di grande aiuto.

L’importanza del ponte salino tra Arg173 della trombina e Glu30 del fibrinogeno è stata evidenziata anche da Stubbs e coll. [38] dall’osservazione della struttura cristallografica del complesso trombina/FpA e la mutazione Arg173Glu nella contortrixobina potrebbe essere di grande rilievo nella distorsione della catena del substrato.

La sostituzione del Trp215 nella trombina in Phe nella contortrixobina è, in senso lato, di tipo conservativo, ma è da notare che questo residuo ha un ruolo fondamentale nel riconoscimento, trovandosi sul fondo del subsito S4 e che il Trp ha un ingombro maggiore di Phe, quindi il sito S4 potrebbe essere troppo ristretto nella contortrixobina. Inoltre è importante notare che il residuo Trp215 è conservato in quasi tutte le proteasi di serpente che tagliano il fibrinogeno, mentre è mutato in Arg nell’ancrod, che taglia solo FpA, nella flavoxobina (in Tyr) e in venombine che hanno diversa specificità, come acc-C (in Val), PA-bj e rvv-V (in Gly) (per l’allineamento delle proteasi di serpenti, si veda la ref. 58).

L’osservazione del modello costruito per la contortrixobina suggerisce alcune possibili mutazioni sito-specifiche che potrebbero portare ad un aumento di attività della venombina; inoltre, sia tramite le stesse mutazioni che operando sulle molecole dei fibrinopeptidi, con la costruzione di opportune chimere FpA/FpB, si potrebbe chiarire l’interazione della trombina con il fibrinopeptide B, per cui ad oggi sono disponibili solo ipotesi, non supportate da dati strutturali.

Mutazione E173R: Ammesso che l’interazione del FpA col sito attivo della contortrixobina sia analoga a

quella osservata per la trombina, l’interazione tra Glu30 del fibrinogeno e Glu173 della

50 Capitolo 5 venombina dovrebbe essere piuttosto sfavorita e la mutazione E173R dovrebbe invece ripristinare una situazione più favorevole.

Questa mutazione può anche aiutare a discriminare tra i possibili allineamenti (o modelli di interazione) per il FpB, che vale la pena riproporre, per maggiore chiarezza.

FPA: 20- ADSGEGDFLAEGGGVR -35 1) FPB: 31- QGVNDNEEGFF-----SAR -44 FPA: 20- ADSGEGDFLAEGGGVR -35 2) FPB: 31- QGVNDNEEGFF----SAR -44 FPA: 20- ADSGEGDFLAEGGGVR -35 3) FPB: 31- QGVNDNEEGFFSAR -44

In particolare, se vale l’allineamento 1, proposto da Rose & Di Cera (o l’analogo

allineamento 2), la mutazione E173R non dovrebbe avere alcun effetto sul riconoscimento del FpB da parte della contortrixobina. Il FpB, infatti, secondo questo allineamento, mancherebbe dell’ansa che interagisce, oltre 15 Å al di sopra del sito attivo, con l’ansa-174. Al contrario, se vale l’allineamento 3, la mutazione E173R potrebbe avere un effetto favorevole sul riconoscimento del FpB, per la possibile interazione tra E38, in P7, e residuo 173, come ipotizzato per la trombina.

Mutazioni nel sito arilico: V174I La contortrixobina dovrebbe accomodare facilmente la mutazione V174I, che d’altra parte

dovrebbe portare ad una ottimizzazione dell’interazione tra una Phe dei substrati (F27 in FpA, F40/41 in FpB) e il sito arilico, analogamente a quanto avviene nella trombina.

Y215W+ I227F(L/V) Data la posizione strategica occupata dal residuo 215, sul fondo del sottosito S4, e il fatto

che un triptofano sia largamente conservato anche nelle SV-TLE, sarebbe interessante testare l’effetto della mutazione Y215W sull’affinità della contortrixobina per il Fg.

La mutazione precedente dovrebbe probabilmente essere associata ad una mutazione nella posizione 227, dove la trombina presenta una Phe, e la contortixobina una Ile. Il modello tridimensionale della contortrixobina mostra infatti che la Ile227 occupa parte dello spazio necessario per accomodare un Trp in 215, nella orientazione trombino-simile, in luogo di una Y. E’ interessante notare come in effetti, in tutte le sequenze di proteine omologhe analizzate, la coppia W215/I227 non è mai osservata. Un W in 215 è invece generalmente associato ad una L o ad una V in 227 o, in un certo numero di casi, che comprendono la trombina ma anche alcune SV-TLE, ad una F227 (in qualche caso anche H o S). L’anello aromatico di tale Phe potrebbe interagire con quello del W215, orientandolo opportunamente per il riconoscimento del fibrinogeno.

Discussione e conclusioni 51

Costruzione di peptidi chimerici FpA/FpB Il modello di interazione con il fibrinopeptide B proposto da Rose & Di Cera [28]

(allineamento 1), può essere testato agendo sul substrato e in particolare costruendo un peptide chimera FPA/FPB di sequenza:

QGVNDNEEGFFLAEGGSAR Se infatti il modello di interazione FpB-trombina è quello descritto dall’allineamento 1, e

se tale modello può essere esteso alla contortrixobina, tale peptide-chimera dovrà essere agevolmente accomodato dalla contortrixobina nel suo sito di legame. Infatti, i residui LAEGG del FpA formerebbero un’ansa, assente nel FpB, che punta fuori dal sito attivo, non interferendo col corretto riconoscimento del FpB con quest’ultimo.

Il riconoscimento di tale substrato chimerico da parte della contortrixobina potrebbe quindi fornire un’indicazione piuttosto chiara che il modello proposto da Rose & Di Cera vale per l’interazione FpB- contortrixobina, e nello stesso tempo costituirebbe una conferma indiretta della validità di tale modello per l’interazione FpB-trombina.

5.3. Struttura dei coaguli ottenuti con enzimi diversi L’interpretazione quantitativa dei risultati presentati nella figura 4.10 è complessa e, per

ora, incompleta. Il ramo discendente della parabola che descrive la relazione tra spessore medio della fibra e concentrazione di trombina è confrontabile con l’intera curva ottenuta per ancrod e contortrixobina e può essere descritto in termini di un equilibrio eterogeneo richiedente un processo di nucleazione. Infatti, un modello dell’evento semplificato, ma capace di descrivere la relazione tra diametro della fibra e concentrazione di enzima è il seguente: l’enzima produce monomeri di fibrinogeno attivato a flusso costante, in misura direttamente proporzionale alla sua concentrazione. I monomeri si accumulano in soluzione e vanno incontro ad un processo di polimerizzazione reversibile finché si forma un nucleo di dimensione tale che la sua dissociazione sia irreversibile; a questo punto, piuttosto che ulteriore nucleazione, si osserva prevalentemente la deposizione di ulteriori monomeri attivati sui nuclei già formati, e l’accrescimento dei nuclei stessi. La concentrazione dell’enzima e la sua efficienza catalitica determinano il flusso di monomero e conseguentemente la quantità di centri di nucleazione; più questi sono numerosi, più sottili sono le fibre formate: infatti la concentrazione del fibrinogeno nell’esperimento è costante ed i monomeri attivati si distribuiscono tra i centri di nucleazione formati.

Per dimostrare questa relazione è stata eseguita una serie di simulazioni al computer, utilizzando il seguente sistema di equazioni cinetiche:

1) E + Fg E : Fg 2) E : Fg ⎯→ E + Fib 3) 2 Fib Fib2 4) Fib2 + Fib Fib3 5) Fib3 + Fib ⎯→ Cog

6) 2 Fib2 ⎯→ Cog 7) Fib2 + Fib3 ⎯→ Cog 8) Fib + Cog ⎯→ Cog 9) Fib2 + Cog ⎯→ Cog

10) Fib3 + Cog ⎯→ Cog

52 Capitolo 5

In questo modello le equazioni 1 e 2 descrivono il processo di attivazione del fibrinogeno, le equazioni 3 e 4 la formazione di aggregati iniziali di fibrina, solubili e reversibili, le equazioni 5 – 7 la nucleazione con formazione dell’iniziale coagulo insolubile e irreversibile e infine le equazioni 8 – 10 l’accrescimento dei centri di nucleazione.

Questo modello, basato su studi già effettuati su altre proteine che danno precipitazione ordinata, quali l’emoglobina S [76], la tubulina e gli immunocomplessi, è sovrasemplificato, in quanto sia il processo di digestione del fibrinogeno che quello di aggregazione della fibrina sono assai più complessi ed il nucleo irreversibile ha dimensioni molto maggiori di quelle ipotizzate (circa 40 molecole contro le 4 qui utilizzate). Per semplificare ulteriormente il modello si è usata una sola costante per descrivere l’aggregazione della fibrina (reazioni 3 – 10) ed una sola per descrivere la dissociazione degli aggregati solubili (reazioni 3 e 4).

I risultati di alcune delle simulazioni effettuate sono riportati nella figura 5.1 e dimostrano, come atteso, che il braccio discendente del grafico dei punti sperimentali è compatibile con un semplice modello di nucleazione eterogenea.

[enzima]10-9 10-8 10-7 10-6

[mon

omer

i / p

olim

ero

inso

lubi

le]

0

20

40

60

80

Figura 5.1. Simulazione di un modello di nucleazione eterogenea, secondo le equazioni riportate nel testo Le differenze osservate tra trombina, contortrixobina e ancrod possono essere ascritte a

due fattori non mutuamente esclusivi: i) la minore attività della contortrixobina rispetto alla trombina e all’ancrod e ii) il diverso meccanismo di attivazione del fibrinogeno rispetto all’ordine di idrolisi dei FpA e FpB.

Per ciò che attiene al primo fattore, si può considerare che la trombina è circa 1000 volte più attiva della contortrixobina, in termini di kcat, e pertanto è atteso uno spostamento verso destra della curva della venombina di 3 unità su scala logaritmica, abbastanza coerente con l’osservato; per contro le kcat della trombina e dell’ancrod sulle catene Aα sono rispettivamente 84 s-1 e 12 s-1.

Riguardo al secondo fattore, occorre riconoscere che i dati disponibili in letteratura non consentono di predire l’effetto del taglio contemporaneo dei FpA e FpB operato dalla contortrixobina sulla struttura del coagulo e sull’efficienza della enucleazione, mentre è noto che il taglio selettivo dei FpA prima dei FpB condiziona la struttura del coagulo prodotto dalla trombina, come descritto nell’introduzione.

Il braccio ascendente osservato per la curva della trombina nella fig. 4.10 è un risultato “non banale” dei nostri esperimenti, e per ora non trova un’interpretazione soddisfacente. E’

Discussione e conclusioni 53 un risultato riproducibile, ma questo non esclude il rischio che sia in parte dovuto ad un artefatto e legato ad una diversa struttura del coagulo formato in queste condizioni sperimentali. In effetti non può essere riprodotto o simulato con modelli di nucleazione eterogenea semplice e suggerisce un cambiamento nella struttura del coagulo che stiamo indagando mediante esperimenti di microscopia elettronica e a forza atomica.

Un’ipotesi è che la dipendenza inversa della dimensione della fibra dalla concentrazione della trombina possa essere dovuta ad un rapido aumento della ramificazione delle fibre che, anziché accrescersi prevalentemente in una direzione, si accrescerebbero anche mediante ramificazioni multiple.

I risultati qui riportati possono essere importanti nello studio dell’approccio terapeutico alla dissoluzione dei coaguli: se infatti è diffusamente accettato che i coaguli costituiti da fibre sottili sono lisati più difficilmente di quelli con fibre spesse, è importante considerare che fibre di uguale sezione possono essere prodotte, in situazioni fisio-patologiche, anche in condizioni molto diverse.

Aspetti applicativi: Livelli elevati di numerosi fattori della coagulazione – dal fibrinogeno al Fattore XI, dal

Fattore VIII alla protrombina – sono stati correlati con un aumentato rischio di trombosi. In particolare è stata descritta una mutazione del gene per la protrombina che sfocia in un’elevata concentrazione plasmatica di questo proenzima [77]. A sua volta è stato dimostrato che questo alto livello iniziale influenza numerosi parametri della generazione della trombina, compresa la velocità iniziale e la quantità totale di trombina che si forma [78].

Tutto ciò però non suggerisce, di per sé, un meccanismo biochimico diretto per spiegare l’aumentato rischio di trombosi. La trombina infatti partecipa sia al processo della coagulazione che a quello anticoagulante [12]. I risultati riportati in questa tesi aprono una visione nuova e concreta: la possibilità di spiegare l’incremento della malattia tromboembolica con una struttura ben precisa del coagulo, che qui si diostra dipendere dal rapporto tra molecole di trombina e di fibrinogeno. Questa osservazione è in linea con i dati di letteratura. Infatti, studi in vitro hanno dimostrato che coaguli molto compatti, formati da fibre sottili di fibrina, possiedono un’elevata resistenza alla fibrinolisi. Ed inoltre [79], coaguli anomali prodotti da pazienti con fibrinogeno mutato o da pazienti con mieloma multiplo sono ritenuti responsabili della loro resistenza in vivo alla fibrinolisi e della maggiore tendenza alla trombosi osservata in questi soggetti: si ipotizza sulla base dei risultati ottenuti in questa tesi che una simile situazione può nascere nei pazienti con elevati livelli di protrombina.

Pertanto, come prospettiva di lavoro sperimentale, mirato al prosieguo di questa tesi, c’è lo studio di coaguli preparati con plasma di vari pazienti al fine di verificare la relazione – per ora solo epidemiologica – tra elevata concentrazione di protrombina, struttura della porzione fibrinica del coagulo e trombosi.

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