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Sommario PRIMA PARTE: INTRODUZIONE .................................................................... 1
I LEZIONE SOCIOLOGIA E SOCIOLOGIA DELL’EDUCAZIONE ................................ 1
1.1 Che cosa sono e a cosa servono la sociologia e la sociologia
dell‟educazione ..................................................................................................... 1
1.2 Sintesi storica della sociologia dell‟educazione ........................................... 8
SECONDA PARTE: LE CRITICITA’ DEL SISTEMA SCOLASTICO
ITALIANO NEL MONDO GLOBALIZZATO ................................................ 41
II LEZIONE - EDUCAZIONE, LAVORO, ECONOMIA ............................................... 41
2.1 il sistema scolastico, l‟economia e il mercato del lavoro ........................... 41
2.3 Confronto con i sistemi innovativi europei ................................................ 70
III LEZIONE EDUCAZIONE CIVILE E POLITICA ................................................... 82
3.1 Educazione all‟essere cittadini ................................................................... 82
3.1 Educazione alla partecipazione politica ..................................................... 94
IV LEZIONE EDUCAZIONE E MASS MEDIA ......................................................... 136
4.1 Educazione ai media tradizionali e nuovi ................................................. 136
V LEZIONE LA CULTURA, L’EDUCAZIONE, LA SOCIETÀ NELLA STORIA. NUOVE
METODOLOGIE DIDATTICHE, MORALE E AUTO CREATIVITÀ ............................. 177
5.1 Nuove metodologie didattiche .................................................................. 177
5.2 Cultura, educazione, visione del mondo nelle varie società della storia .. 184
5.3 Stimoli al processo di auto creazione e principi morali ........................... 227
BIBLIOGRAFIA ..................................................................................................... 232
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PRIMA PARTE: INTRODUZIONE
I LEZIONE Sociologia e Sociologia dell’Educazione
1.1 Che cosa sono e a cosa servono la sociologia e la sociologia
dell’educazione
La sociologia studia le relazioni tra gli individui, i processi mediante
i quali i soggetti (definiti attori sociali), con le loro relazioni, strutturano e de-
strutturano i gruppi in cui vivono e come gli stessi gruppi e le stesse relazioni
stabili formano la struttura più grande della società. In sostanza, la sociologia
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studia come è organizzata la società, (le diverse società) le sue origini, il suo
sviluppo nella storia, la società attuale, il suo funzionamento, le prospettive futu-
re. Ancora oggi società diverse sono organizzate diversamente e funzionano in
modo molto differenziato, nonostante l‟affermarsi del fenomeno che ci integra di
ci condiziona tutti: la globalizzazione. Molto spesso gli uomini non considerano
che siamo noi stessi che facciamo la società, la sanità, la scuola, la politica, la
finanza ecc. tutti i giorni, con le strutture che creiamo attraverso le nostre rela-
zioni quotidiane ed alle quali diamo un senso, un significato. Gli uomini si rela-
zionano tutti i giorni, ma non sempre riflettono sulle conseguenze di queste loro
relazioni, sulle strutture che queste relazioni determinano.
In sintesi: la sociologia è uno studio complesso che cerca di suggerire come
creare un’ organizzazione sociale razionale in funzione del BENE dell’UOMO
La società attuale è il risultato, è lo sviluppo delle società preceden-
ti. Per capire la società attuale, dunque, occorre capire quelle precedenti e com-
prendere come si è arrivati fino ad oggi, individuare il percorso, la logica attra-
verso la quale siamo arrivati fino al presente. Una logica che poteva svolgersi
diversamente. Il passaggio tra la società tradizionale e la società industriale, ad
esempio, poteva avvenire diversamente da come è avvenuta, la cultura del profit-
to poteva esser sostituita da un‟altra cultura più incentrata sullo sviluppo delle
qualità umane. Se adottiamo questo schema di possibilità alternative, fissiamo il
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senso della nostra vita e di quella collettiva, la inquadriamo in un cammino per-
sonale e sociale (facciamo e siamo in grado di capire la storia).
La sociologia fa, dunque capire la società ed è estremamente utile per-
ché:
1) dà immagini diverse, alternative rispetto a quelle diffuse dai media e
dai gruppi interessati a mantenere le loro posizioni sociali;
2) guarda al di là delle idee predominanti e analizza diverse idee alter-
native;
3) critica radicalmente le immagini convenzionali e cerca di sostituirle
con immagini più generali, più scientifiche, più controllate (con pro-
cedure valide e validate).
Se vogliamo vedere la società in modo diverso occorre:
1) osservarla, analizzarla come se fossimo osservatori provenienti da un
altro mondo o come bambini che scoprono quotidianamente il mondo;
2) confrontare sempre i vari tipi di società, attuali e precedenti;
3) osservare ciò che rimane e ciò che muta nelle strutture sociali;
4) essere curiosi, andare al di là, non accettare il senso comune.
Questo approccio scientifico è molto utile anche e soprattutto nella socio-
logia dell‟educazione e nelle sue implicazioni pratiche.
Se apriamo la pagina di un dizionario di filosofia, dove si definisce che
cos‟è l‟educazione, troveremo una definizione di questo tipo: “l‟Educazione è il
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processo di trasmissione di un sistema di conoscenze e di valori, di norme e mo-
delli di comportamento, finalizzato alla strutturazione della personalità umana e
all‟inserimento dell‟individuo nella società”. Potremmo dire che la stessa filoso-
fia dà una chiara definizione dell‟Educazione in chiave sociologica. Vale a dire
che l‟educazione e la società sono due termini collegati, inscindibili. Questo fat-
to induce chi si accosta a studiare l‟Educazione a non poter fare a meno di ap-
profondire la Sociologia dell‟Educazione.
In sintesi: la sociologia dell’educazione è quella parte della sociologia che
studia come le istituzioni scolastiche ed i relativi processi formativi producono
effetti sulla società.
Gli obiettivi generali perseguiti delle istituzioni scolastiche, negli
Stati civili e democratici, dovrebbero ispirarsi ai seguenti principi fondamentali:
1) preparare buoni e coscienti cittadini, in grado di interagire e partecipa-
re al processo di costruzione di una buona società sul piano morale,
politico, economico;
2) ridurre e riequilibrare, almeno a livello culturale e come punto di par-
tenza, le disuguaglianze sociali ascritte (dalla nascita e dalla famiglia
d‟origine) e acquisite con le successive esperienze;
3) favorire lo sviluppo delle capacità intellettive, operative, creative e au-
to – creative degli studenti;
4) informare, formare ed addestrare al mondo del lavoro.
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La sociologia dell‟educazione non si sofferma esclusivamente a consi-
derare i fenomeni relativi al sistema scolastico, di cui peraltro si è tradizional-
mente occupata, ma estende il suo ambito di osservazione anche ad altri feno-
meni per accentuare il proprio carattere di conoscenza sociologica applicata alla
pluralità delle istituzioni e dei processi educativi. L‟educazione, storicamente, è
oggetto di studio di differenti discipline, ciascuna delle quali è caratterizzata da
specifici paradigmi e specifiche metodologie di analisi.
Educazione, istruzione, personalità dell’uomo
A differenza della pedagogia, che cerca di studiare metodologie di
formazione e di istruzione, la sociologia dell‟educazione cerca di capire, inter-
pretare i processi e le istituzioni educative, offrendo dati e prospettive a tutti
gli operatori interessati.
Non bisogna dimenticare che l’istruzione scolastica - periodo forma-
lizzato ed istituzionale - va inserita nel più ampio processo dell’educazione,
processo che si svolge in tutta l‟esistenza di un individuo e che inizia con la na-
scita e l‟apprendimento di valori, norme di comportamento formali ed informali,
costumi, modi di pensare, agire, sentire, di nutrirsi, di amare, modi di apprendere
la cultura in cui si è nati e vissuti, modi di vivere in generale e confronto con al-
tri modi (educazione interculturale) in un mondo sempre più globalizzato e che
richiede di saper conciliare il “genius loci” con il sapere di altri luoghi e di quel
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luogo generale che sembra indistinto: il luogo, mentalmente percepito e sintetiz-
zato, del cosiddetto villaggio globale.
Oggi avviene un contatto tra diverse memorie dei viventi, tra le culture
del fare e dell’esistere, che ha portato un ampliamento delle facoltà di memo-
rizzazione e un‟espansione di conoscenze senza precedenti.
L‟educazione forma, mantiene e sviluppa la personalità dell’uomo che è
insieme:
1) prodotto della natura, di sé come vivente;
2) prodotto di sé come stadio ultimo di una certe serie di generazioni, che
si sono succedute nel tempo:
3) prodotto degli altri uomini con i quali interagisce, specie di quelli per
lui significativi;
4) prodotto di sé stesso, che si realizza nella dimensione tempo e, cioè,
prodotto del modo singolare con il quale avviene la formazione della
propria coscienza: il riconoscimento di forme, attraverso la rappresen-
tazione del pensiero (parole, icone, immagini, simboli ecc.); il ricono-
scimento semantico degli oggetti (loro classificazione in un universo di
significati).
L‟uomo assume gli oggetti come simboli, come archetipi. La mente umana
produce racconti, strumenti concettuali, teorie scientifiche, istituzioni sociali,
opere d‟arte e produce, soprattutto, linguaggio.
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Quando si a che fare con lo strumento educativo, si ha a che fare con
tutto questo universo che gli uomini hanno costruito e costruiscono incessante-
mente, dentro sé stessi e nell‟immaginario collettivo.
Con l‟educazione viene fornita all‟uomo una bussola, una mappa men-
tale e si indicano regole di comportamento per essere sé stessi, orientarsi nella
vita; si danno strumenti di difesa, si indicano percorsi alternativi, per fare in mo-
do di non cadere negli stessi errori e negli stessi circoli viziosi.
Sociologia dell’educazione e studio interdisciplinare
Lo studio dell‟educazione, oltre alla sociologia e alla pedagogia va in-
tegrata, in modo interdisciplinare, con altre scienze: la storia (delle istituzioni
scolastiche, ad esempio), la politologia (per implementare le politiche scolasti-
che), l‟antropologia (che studia l‟ educazione nelle varie culture), la psicologia
(tipi di apprendimento, emozioni, relazioni affettive ecc.), le scienze comunica-
tive (che indicano abilità pratiche ed essenziali, come quelle di comunicare (farsi
capire dagli alunni, capire che hanno capito, capire che sono in grado di ricorda-
re le cose più importanti che hanno capito e che sono in grado di utilizzarle),
l‟economia (organizzazione finanziaria della scuola, rapporti con il mercato del
lavoro, rapporto scuola e sviluppo economico ecc.).
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Tema centrale focalizzato dalla sociologia dell’educazione è l’analisi del rap-
porto tra educazione e società, attraverso la contestualizzazione e la storiciz-
zazione di tale rapporto e attraverso lo studio del nesso tra le azioni educative e
la formazione della struttura sociale complessiva.
Intorno a questi temi vi è un dibattito sempre più vivo e sono nate storica-
mente diverse scuole, tendenze, orientamenti. Attualmente, ad esempio, negli
Usa, vi è un dibattito che, tra l‟altro, distingue tra sociologia educativa (costitui-
ta dalle basi per un programma d‟azione) e sociologia dell’educazione (che sa-
rebbe il complesso dei fenomeni educativi in ambito storico e nel presente ed il
complesso delle linee strategiche future).
1.2 Sintesi storica della sociologia dell’educazione
Nel passare in rassegna alcuni autori che hanno compiuto studi ed hanno
elaborato teorie interessanti per quanto riguarda la sociologia dell‟educazione,
dobbiamo tener conto di una diversa cronologia. In sostanza, alcuni studiosi ri-
tengono che “l‟inventore”, se così si può dire, della Sociologia dell‟educazione,
sia il sociologo francese (ma ebreo d‟origine e alsaziano di residenza) Emile
Durkheim. Altri fanno risalire la materia ad autori come Saint – Simon, Owen e
Spencer. Diamo quindi prima un accenno al pensiero di questi precursori.
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Il pensiero educativo di Saint - Simon, si potrebbe definire "tecnocrati-
co"; egli infatti immagina un rinnovamento radicale della società, promosso dal-
la collaborazione tra industriali, scienziati e tecnici. Questi ultimi avrebbero le
competenze per progettare una società equa e razionale e perciò avrebbero il
compito di educare le masse, rendendo tutti partecipi del progresso e contri-
buendo a superare le disuguaglianze sociali. L'educazione diventa il diritto di
tutti di poter arrivare ad una piena emancipazione umana. Nell'opera di Saint
Simon, appare chiaro il tentativo di conciliare l'espansione della borghesia capi-
talistica con l‟affermazione della giustizia sociale. Tale tentativo sarà duramente
criticato da Marx che lo definirà “utopistico”: per questo e per la difficile possi-
bilità di realizzare storicamente nel tempo in cui venivano esposte le loro idee,
autori come Saint – Simon verranno chiamati “utopisti” o anche “socialisti uto-
pistici”, in contrapposizione con il “socialismo scientifico” di ispirazione marxi-
sta.
Robert Owen (1771-1858) è stato uno dei primi propugnatori dell'istitu-
zione delle scuole popolari, oltre che un attivista che si è battuto per concrete ri-
forme a sostegno delle madri lavoratrici.
Nella sua fabbrica a New Lanark, in Scozia, mette in pratica le sue idee,
promuovendo condizioni di lavoro più umane e istituendo una scuola per i figli
dei suoi operai.
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Robert Owen fa sua la dottrina dei materialisti dell'illuminismo, secondo la
quale il carattere dell'uomo è, da una parte, il prodotto dell'organizzazione in cui
nasce e, dall'altra, prodotto delle circostanze che lo circondano durante la sua vi-
ta e, specialmente, durante il periodo del suo sviluppo. Le condizioni ambientali
determinano in modo decisivo la vita morale, culturale e materiale degli indivi-
dui. Per questo motivo Owen ritiene indispensabile lavorare affinché queste
condizioni siano ideali per un condizionamento positivo.
Il modello pedagogico di Robert Owen prevede scuole e officine affian-
cate le une alle altre. Si tratta di un modello pedagogico che avrà un notevole
influsso sullo sviluppo dell‟educazione socialista.
Owen crea, a New Lanark, l'Istituto per la formazione del carattere, dove,
oltre all'istruzione impartita a figli di operai (leggere, scrivere, fare di conto), si
sperimenta anche una pedagogia dell'infanzia molto precoce, cercando di antici-
pare i guasti che il capitalismo industriale selvaggio provoca già in età infantile.
Herbart Spencer (1820-1903), filosofo, psicologo, pedagogista e socio-
logo, ha un influsso profondissimo sullo sviluppo della pedagogia e delle scienze
umane. Nel suo testo "Educazione intellettuale, morale e fisica", coerentemente
con i principi della civiltà positivista e con la mentalità tecnico-industriale, pone
l'utile al centro dell’educazione. Egli suddivide gerarchicamente in ordine di
importanza decrescente gli insegnamenti in attività che:
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1) servono direttamente alla conservazione della vita (attività fisica, fisio-
logia, igiene);
2) servono indirettamente alla conservazione della vita (matematica, fisi-
ca, biologia, scienze sociali);
3) hanno lo scopo dell'allevamento e della felicità della prole (scienze pe-
dagogiche);
4) hanno per scopo il mantenimento dei corretti rapporti socio politici
(storia e sociologia descrittiva).
L'educazione procederà dal semplice al complesso, dall'omogeneo all'ete-
rogeneo, dal concreto all'astratto. Anche l'educazione morale si ispira al princi-
pio dell'utilità. Il metodo proposto dovrebbe essere quello di lasciare il bambino
libero di agire e di sopportare le conseguenze naturali dei suoi gesti, intervenen-
do solo se questa conseguenze sono troppo onerose per l'allievo o mettono in pe-
ricolo la sua incolumità. Secondo Spencer, dunque, il controllo degli insegnanti
non deve essere troppo coercitivo, in quanto questo tipo di controllo pregiudi-
cherebbe l'adeguamento all'ambiente reale e quindi l'evoluzione naturale.
Come si vede, il concetto di evoluzione naturale, di ispirazione darwinia-
na, è fondamentale in Spencer. L'autore è convinto, coerentemente con la legge
di Haeckel, che lo sviluppo dell'individuo ripeta lo sviluppo della specie. Anche
l'educazione fisica deve essere curata lasciando che agisca il principio di evolu-
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zione e adattamento naturale. Esporre il corpo all'ambiente e rafforzarlo con
esercizi ginnici, prepara l'individuo a probabili più dure prove nel futuro.
Emile Durkheim (1858 – 1917) viene considerato da molti sociologi co-
me il vero “inventore” della sociologia (anche qui gli studiosi si divino, perché
per alcuni autori gli iniziatori della sociologia sarebbero, invece, Comte, Marx,
Spencer). Abbiamo già visto che alcuni studiosi lo considerano anche come il
primo sociologo che ha analizzato scientificamente la sociologia
dell‟educazione, avendo posto il problema pedagogico come principio fon-
damentale in capo ai doveri della società. Per Durkheim il fattore sociale ha
origine dalle singole vicende dell'individuale. Ma, dopo, acquista leggi proprie a
livello superiore. L'individuo entra in società, facendo violenza sulla sua natura,
subendo, dunque, una coercizione dall'esterno. Il problema posto da Durkeim è
di dimostrare la necessità di tale coercizione. Il compito della sociologia è di os-
servare questo problema ed offrire una soluzione stabilizzatrice. Egli non dà co-
me facilmente acquisibile il livello individuale nel livello, più alto, del sociale.
Quello che lui descrive è un uomo doppio: un uomo che si muove tra due poli
opposti, la sua natura individuale o profana, e la sua natura sociale o sacra.
Come aveva osservato Gustave Le Bon (Lo psicologo sociale che ha elaborato
le teorie sulla psicologia delle masse, cui avrebbero fatto riferimento molti poli-
tici del Novecento e anche i grandi dittatori), la coscienza dell'uomo come indi-
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viduo è diversa da quella dello stesso in quanto membro di un organismo collet-
tivo. Le Bon aveva osservato che il comportamento collettivo può anche essere
migliore, ma molto spesso, nelle sue manifestazioni pubbliche, è peggiore di
quello individuale. Durkheim ritiene, invece, che la società possa rendere i
comportamenti collettivi migliori nella massima parte dei casi, purché la stessa
società intervenga attivamente perseguendo questo scopo. Anche essendo “l'or-
gano di un organismo”, l'uomo è nettamente inferiore. Solo una costrizione
esterna può portarlo ad un piano più elevato, ma una costrizione intesa come fat-
to costruttivo che riesca a liberarlo dalla casualità.
Per Durkheim l‟educazione dipende, quindi, dalla società. La società è
un’autorità morale, superiore all’individuo in grado di integrare gli uomini
attraverso legami di solidarietà, in quanto condividono valori comuni (coscienza
collettiva). L‟individuo deve seguire questi valori nello sviluppare la propria
personalità.
L’educazione avviene tramite la società di riferimento, permette la
formazione dell‟individuo (differenziato e specifico), la sua integrazione (coor-
dinamento reciproco delle azioni) con gli altri soggetti, attraverso l‟adattamento
alle norme sociali condivise e costituisce la base per il controllo sociale (struttu-
re che inibiscono i comportamenti devianti). L‟educazione è trasmissione di
norme, valori, stati d’animo di una determinata società. Le linee educative se-
guite dalle varie società sono discutibili, differenziate e anche contrastanti, ma
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per Durkheim non è importante questo, ma è, invece, fondamentale che vi sia
un‟autorità morale che rappresenti la società e che inculchi nei giovani un qual-
che sistema educativo. Tale impostazione pedagogica sembra assolutamente re-
lativistica, ma non è così: Durkheim ritiene che i diversi modi di essere delle so-
cietà sono espressioni differenti e singole fasi di un unico processo evolutivo.
La società moderna, con la divisione del lavoro e la specializzazione in
ogni campo, crea individui differenziati che, se coordinati, sono utili
all‟integrazione e al mantenimento dell’ordine sociale (idea cardine di Dur-
kheim, che temeva la disgregazione sociale ed i cui sintomi premonitori credeva
di ravvisare al suo tempo (fine Ottocento) con vaste forme di anomia sociale
(mancanza di regole o regole contraddittorie o non coerenti). L‟anomia condu-
ceva al suicidio diverse persone e questo suicidio (scoperta di Durkheim e, forse,
questa scoperta sarebbe, per diversi studiosi, la vera scoperta della sociologia)
assumeva i caratteri di un suicidio tipicamente anomico e cioè sociale, profon-
damente diverso da quello psicologico o biologico. Da ricordare che gli studi di
Durkeim e dei successori sull‟anomia, sul suicidio, sulla non integrazione socia-
le sono diventate pietre miliari per capire i fenomeni della devianza, della crimi-
nalità, del disadattamento e dell‟alienazione, soprattutto dei gruppi giovanili. Il
processo educativo deve fare i conti quotidianamente con individui, specie gio-
vani, che presentano, in modo più o meno latente e/o più o meno intenso, questi
problemi.
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Marx e Weber
Karl Marx (1818 – 1883) ritiene che le leggi che governano
l‟economia, e che condizionano quindi la società, sono da ricercarsi nei conflitti
tra le classi sociali. Questi conflitti sono diversi nelle varie fasi storiche. I con-
flitti avvengono in modalità diverse perché ogni fase storica ha i suoi propri mo-
di di produrre e di distribuire la ricchezza. Da una fase storica si passa all‟altra
quando la fase precedente sviluppa al massimo le sue possibilità e contiene già
in sé i germi del cambiamento. (Passaggi storici secondo lo schema marxista:
dalla società schiavistica a quella feudale, da quella feudale a quella capitalistica
e, infine, da quella capitalistica a quella finale o comunista).
Per Karl Marx è la struttura economica che condiziona tutta la società
e quindi anche l‟educazione che, al suo tempo, viene vista come mezzo di domi-
nio della borghesia sul proletariato. Ma Marx dà molto rilievo al ruolo
dell’educazione come strumento di emancipazione e come processo per una
completa umanizzazione.
Max Weber (1864 – 1920) ribalta le tesi di Marx (ritenute non di valo-
re assoluto, ma solamente una tra le diverse teorie), analizza gli stessi elementi
(lavoro, salario, profitto) secondo schemi concettuali basati sui concetti di moti-
vazione e cultura e correlandoli con il concetti di razionalità. Il sociologo e sto-
rico tedesco è importante anche dal punto di vista metodologico, perché sostiene
che la società può essere studiata estraendo da tanti fatti e concause un fattore
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specifico che serva per interpretare la realtà: è il tipo ideale (es. artigianato, capi-
talismo, Chiesa, Stato ecc.) Weber, a differenza di Marx, vede l‟organizzazione
sociale come interazione tra cultura, politica (potere) ed economia. Il modello
educativo è condizionato dalla struttura di potere (politico, economico e cultura-
le) esistente.
Il potere, infatti, è la capacità di far eseguire comandi, sia a livello cari-
smatico, tradizionale o legale (società moderna con l’estensione
dell’educabilità a tutti i cittadini, non solo ai ceti privilegiati). I ceti (culturali,
economici o politici) dominanti in un‟epoca condizionano i modelli educativi.
Il ceto è la considerazione che la società ha di un gruppo di persone,
attribuita in base al modo di condotta della vita (ad esempio si vedano i valori ti-
pici e i modi di vivere della nascente borghesia ottocentesca).
Simmel, Mannheim, Parsons
Simmel (1858- 1918) afferma che l‟educazione è essenzialmente pro-
mozione dell‟umanità (uomo pienamente uomo, in grado di sviluppare al mas-
simo tutte le sue potenzialità). Ogni uomo cerca la propria individualità e la pro-
pria specializzazione.
Occorre quindi, nell‟insegnamento, perseguire gli obiettivi
dell‟autonomia di pensiero e dell‟individualità dello studente, tenendo conto che
la sua possibilità di essere inserito nella società e di avere una sua posizione de-
riva dalla professionalità, da sviluppare insieme all‟individualità.
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Per Mannheim (1893 – 1947) l‟educazione influisce sul sistema di vita
e sul modo di pensare delle persone. L‟educazione ha un valore funzionale al ti-
po di società in cui è praticata. I due obiettivi dell‟educazione devono riguardare,
da un lato, l’autonomia del soggetto e, dall‟altro, il suo adattamento sociale.
Il pensiero di Parsons (1902 – 1979) risente dello spirito del tempo basato
sulle esigenze pratiche della società nordamericana. In questo senso Parsons è
spesso criticato, con la motivazione che le sue teorie tendono a giustificare il si-
stema economico, politico e culturale americano. Invece, il suo tentativo è quello
di capire come una realtà composta da gruppi etnici molto diversi (con culture e
contraddizioni proprie), si sia potuta integrare, almeno per alcuni requisiti fon-
damentali, nella grande società americana.
Questa grande esperienza americana era portata ad esempio per il riuscito
modello integrativo, economico e sociologico, da vari studiosi. “Gli Stati Uniti
continuano a funzionare come un crogiuolo, a fondere le caratteristiche di tutti i
popoli in un amalgama speciale, versato poi nello stampo della vita e della na-
tura americana e temperato con le idee americane. Fu il più esteso e notevole
esperimento dopo le invasioni barbariche.” Così scrivevano gli storici Morrison
e Commager nel 1961. Importante è notare che questo miracolo americano di
integrazioni tra vari popoli e varie culture è stato ottenuto con processi di socia-
lizzazione nazionali ispirati ai nuovi valori della società americana. Per molto
tempo, però, questa integrazione, non ha riguardato alcune minoranze, anzi le
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popolazioni nere sono state segregate e discriminate (le scuole per i neri erano,
ad esempio, scuole a parte e di infimo grado e così i trasporti, i divertimenti ecc.)
fino alla fine degli anni Settanta del Novecento. Oggi molti personaggi di colore
hanno raggiunto, invece, i più alti gradi della società e della politica (L‟esempio
più eclatante è costituito dal Presidente degli U.S.A. B. Obhama).
Talcott Parsons, nell‟ambito della sociologia, ha elaborato il modello A.
G. I. L. In questo paradigma A. significa Adattamento, G. (in inglese sta per
Goal) significa Fine, I. vuol dire Integrazione e L. sta per Latenza. Queste sono
le funzioni svolte dai sottosistemi particolari per mantenere il sistema sociale
generale.
Parsons ritiene che l‟integrazione sociale avvenga tra i diversi sistemi:
1) nel sistema sociale, attraverso l‟interazione tra posizioni e ruoli;
2) nel sistema culturale, come insieme di modelli culturali presenti nella
società;
3) nel sistema della personalità;
4) nel sistema biologico. L‟educazione e, più in generale la socializza-
zione, è il processo che crea legami di interdipendenza tra il sistema
della personalità, quello della cultura e quello del sistema sociale.
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Integrazione e conflitto
Fino alla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso, l‟educazione vie-
ne vista come dipendente dalla società, secondo una visione funzionalista (come
in Durkheim, Weber e Parsons).
In questo periodo, in Italia, la scuola è ancora elitaria e serve come
trampolino per la mobilità sociale ascendente. Negli anni Sessanta si assiste ad
un vasto processo di scolarizzazione, a profonde mutazioni sociali della società
industriale ed alla femminilizzazione del mercato del lavoro.
La società diventa complessa e policentrica e l‟educazione cerca di
adeguarsi. Il rapporto tra educazione e società assume connotati conflittuali. In
questo periodo, la sociologia dell‟educazione diventa critica verso la società.
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Sono gli anni della contestazione giovanile, studentesca, operaia, dei grandi mo-
vimenti collettivi per l‟affermazione dei diritti umani giuridici, politici e sociali,
delle masse che chiedono ai governi la pace.
Negli anni Ottanta si pone al centro dello studio il soggetto, l‟analisi
dell‟individuale, dei problemi micro - sociali (interazione tra gli individui, co-
municazione tra discenti e docenti) e si sminuiscono i temi macro – sociali o,
nella migliore delle ipotesi, si integrano con essi.
Educazione e Socializzazione
I problemi fondamentali affrontati dagli studi della sociologia
dell‟educazione riguardano: la socializzazione, la formazione del Sé sociale,
l‟identità e l‟integrazione sociale, le disuguaglianze sociali, la stratificazione del-
la società e l‟istruzione.
L’educazione viene formalizzata nelle istituzioni (famiglia, scuola
ecc.), ma esiste un’educazione informale che è costituita da tutte le relazioni
che producono un effetto socializzante.
Socializzazione ed educazione vanno perciò distinte, anche se sono due
aspetti dello stesso processo. L‟educazione, quindi, riguarda gli aspetti forma-
lizzati della socializzazione, mentre la socializzazione riguarda il rapporto tra
gli elementi della struttura sociale e la formazione della personalità individuale.
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L‟approccio alla socializzazione è stato storicamente visto attraverso
tre schemi concettuali: 1) funzionalista; 2) conflittualista; 3) interazionista - fe-
nomenololgico.
Funzionalismo e conflittualismo negli schemi dell’educazione
Lo schema funzionalista fa riferimento alle idee di Durkheim e a quelle
di Parsons. Nello schema durkheimiano si ritiene che la società debba essere
armonica e ben organizzata ed ognuno debba occupare il posto giusto. La società
educa l‟individuo formandolo al tipo sociale collettivo. Senza questa azione
l‟uomo è asociale.
Parsons integra questo schema con l‟approccio psicanalitico di Freud e
quello psico - sociale di Mead. In particolare distingue una socializzazione
primaria che forma la personalità fondamentale dalla socializzazione seconda-
ria che specializza i ruoli sociali.
Che cos’è la socializzazione
La socializzazione e' il processo attraverso il quale gli individui entrano
in rapporto con la società di riferimento e ne diventano membri effettivi, acqui-
sendo i sistemi di significato e i modelli di comportamento in essa consolidati e
le abilità e le competenze necessarie a svolgere molteplici ruoli sociali. Si tratta
quindi di un processo che riveste un‟importanza fondamentale sia per gli indivi-
dui (per la loro formazione e immissione nei normali rapporti sociali) sia per le
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sorti della società, per la capacità del sistema sociale di riprodurre le sue condi-
zioni di esistenza, garantendosi la sopravvivenza da una generazione all‟altra.
Con la socializzazione i modelli culturali vengono trasmessi tramite
apprendimento e interiorizzazione. La socializzazione viene distinta convenzio-
nalmente in socializzazione primaria e secondaria, ma ha luogo per tutto l'arco
dell'esistenza dell'individuo. Si sviluppa mediante i meccanismi psicologici
dell'imitazione, dell'identificazione e del premio/punizione.
La socializzazione primaria copre i primi anni di vita del bambino, in
genere fino al raggiungimento dell‟età scolare e costituisce la base di ogni futura
forma di socializzazione.
Si può definire la socializzazione primaria l‟insieme di quei processi che
sono volti ad assicurare la formazione delle competenze sociali di base. Durante
questa fase il bambino apprende e fa propri i modelli sociali e culturali attraverso
cui percepire il mondo e organizzare i propri bisogni, apprendendo al contempo
le forme di comunicazione (linguaggio), gli orientamenti di valore e i modelli
normativi.
La socializzazione secondaria si colloca nella fase temporale successi-
va a quella primaria, e prosegue per tutto l‟arco del ciclo di vita.
Si può definire come l‟insieme di quei processi volti alla formazione delle
competenze specifiche richieste dall‟esercizio dei vari ruoli sociali, così contri-
buendo alla formazione complessiva della personalità sociale. Si parla di socia-
23
lizzazione secondaria anche nel caso in cui si assimilano il linguaggio, i valori,
le norme e le regole di un nuovo contesto socioculturale in età adulta.
Questa distinzione appare netta soltanto a livello concettuale, tra le due fa-
si, in realtà, non vi è una drastica soluzione di continuità e il passaggio dall‟una
all‟altra avviene, di fatto, in modo graduale.
Le pratiche di socializzazione sono estremamente variabili non solo nel
tempo (nella società vista in epoche diverse) e nello spazio (in società diverse),
ma anche all‟interno della stessa società in ogni dato momento storico. Varie ri-
cerche hanno mostrato che la collocazione di classe, la condizione professionale
e la natura specifica del lavoro svolto influenzano i valori, gli atteggiamenti e le
pratiche educative dei genitori.
L‟ingresso nella scuola segna convenzionalmente l‟inizio della socializza-
zione secondaria. La figura dell‟insegnante è quella del portatore di un ruolo so-
ciale specifico; nell‟interazione con l‟insegnante il bambino impara prima di tut-
to modelli di comportamento adeguati ad una situazione definita in termini di
autorità assai più impersonali di quelli esperiti nella situazione familiare. Inol-
tre, in questa sede, il bambino imparerà a strutturare la propria azione in termini
di rapporto mezzi/fini. Le sue prestazioni infatti saranno valutate e sanzionate
negativamente o positivamente mediante un sistema di disincentivi e incentivi.
Lo scolaro viene quindi indotto al confronto, alla competizione, oppure viene
24
stimolato a cooperare con i suoi compagni per il raggiungimento di un obiettivo
comune.
Nel gruppo dei pari si instaurano relazione simmetriche tra gli indivi-
dui, poiché non esistono rapporti sanzionati da autorità o di subordinazione. I
rapporti all‟interno di un gruppo di pari si collocano tra le due polarità della so-
lidarietà e della competizione. L‟agire solidaristico si fonda sul sentimento di
appartenenza, in virtù del quale i membri di un gruppo sottolineano ciò che li ac-
comuna e quindi li rende uguali; l‟agire competitivo si fonda, invece, sul senti-
mento di individualità e tende a differenziare tra loro i membri del gruppo.
Il momento nel quale un individuo entra a far parte di un gruppo è rituali-
sticamente, segnato dal superamento di una prova (da osservare, ad esempio, i ri-
ti di passaggio tra un gruppo di età e quello successivo in molte società premo-
derne), oppure da cerimonie solenni che segnano la transizione e l'ingresso in
una nuova condizione come, ad esempio, i riti di iniziazione.
Lo schema conflittualistico vede al centro dei rapporti sociali la lotta dei
singoli e dei gruppi per l‟affermazione del dominio e considera l‟educazione
come riproduzione dei rapporti di forza sociali e dei meccanismi di distribuzione
delle risorse esistenti. La vera educazione consiste, pertanto, nella critica
dell’ordine sociale esistente. Lo schema conflittualistico erroneamente viene
spesso associato alle concezioni marxistiche, in realtà si tratta di uno schema non
ideologico, che abbraccia posizioni molti diverse: basti pensare alle concezioni
25
conflittuali come rapporti di tra i gruppi sociali della soceità moerna teorizzate
dal sociologo liberale contemporaneo Darhendorf.
Schema interazionista fenomenologico
In sintesi, i principi fondamentali di questo schema sono:
1) la realtà sociale è costruita dall‟uomo, attraverso la sua capacità
mentale di riprodurre simboli;
2) l‟elemento base dell‟analisi sociale non è il comportamento sociale,
bensì la relazione;
3) tra natura e cultura vi è una netta differenziazione;
4) la struttura sociale è capace di attribuire significato e far acquisire
senso, orientamento.
Il mondo in cui viviamo è per noi significativo non solo per la sua fisicità,
ma per il suo carattere simbolico. Il linguaggio è il più potente, ricco e flessibile
sistema simbolico ed è attraverso il linguaggio e altri simboli (gesti, modi di ve-
stire, oggetti, azioni ecc) che le persone definiscono e interpretano il mondo e
organizzano le loro reciproche relazioni.
La differenza tra l‟uomo e le altre specie animali starebbe proprio nella ca-
pacità simbolica: gli uomini non reagiscono meccanicamente alle azioni degli al-
tri, ma reagiscono ai significati che per loro assumono quelle azioni. Le intera-
zioni tra uomini sono “incontri” e “scontri” tra diverse “visioni del mondo”, e
ciò a tutti i livelli, non solo nel caso macroscopico di rapporti tra membri di cul-
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ture radicalmente diverse, ma anche nel caso di tutti i normali incontri della no-
stra vita quotidiana (tra uomini e donne, giovani e vecchi, alunni e insegnanti,
bianchi e neri ecc) all‟interno di una stessa società e cultura. Il sociologo, quindi,
non deve tanto fornire spiegazioni “oggettive” dei vari modelli di comportamen-
to ricorrendo a concetti (ad es.; “classe”, “ruolo” ecc) che reificano il mondo in
fatti sociali intesi come cose. Ma deve cercare di analizzare i processi attraverso
i quali i vari attori in una concreta situazione costruiscono la loro realtà sociale, e
individuare quali tra i vari significati possibili questi specifici attori attribuiscono
all‟azione.
A questo schema si ricollegano diversi autori: Mead (i significati simboli-
ci sono l‟interiorizzazione soggettiva delle strutture oggettive di senso), Blumer
(che focalizza lo studio della dimensione soggettiva del significato negli aspetti
microsociali), Khun (il quale ritiene che i comportamenti delle persone rappre-
sentino la realtà sociale di appartenenza), Berger e Luckman. Questi ultimi, nei
loro studi, affrontano il nodo tra socializzazione primaria e secondaria. Posto che
la struttura sociale è la somma dei modelli di interazione ricorrenti, il bambino
interiorizza questi modelli utili per le sue azioni quotidiane.
Nella socializzazione secondaria i modelli acquisiti, soprattutto dalla fa-
miglia, si scontrano con altri modelli prima sconosciuti: ne deriva una crisi che
viene risolta (positivamente o negativamente) come passaggio da un mondo di
significati ad un altro. In questo senso, socializzare (ed educare) significa riela-
27
borare e trasformare la realtà, (dare) capacità di accomunare e differenziare si-
gnificati.
I neomarxisti
Alcuni studiosi della corrente neo –marxista sono critici (particolar-
mente, ad esempio, Althusser, Bowles e Gintis), verso la tesi funzionalista, se-
condo cui la funzione della scuola sarebbe quella di convertire “capacità” in
“competenze” e l‟espansione dell‟istruzione sarebbe spiegabile con l‟aumento
della domanda di qualificazione tecnica proveniente dall‟economia. A differenza
dei funzionalisti, questi autori pensano che occorra capire i sistemi scolastici
moderni considerando non i bisogni del sistema sociale o la domanda economi-
ca, ma i rapporti di produzione e la lotta tra le classi sociali.
Inoltre, mentre i funzionalisti considerano la scuola come un canale di
mobilità sociale, essi sostengono che essa è, al contrario, uno strumento di man-
tenimento delle disuguaglianze fra le classi, uno strumento che opera non tanto
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con mezzi coercitivi (premi/punizioni) ma con mezzi “simbolici”, con una “vio-
lenza simbolica”. Per S. Bowles e M. Gintis la scuola perpetua e riproduce il
sistema capitalistico in almeno due modi:
1) promuovendo la credenza, tipica della “ideologia meritocratica”, che il
successo economico dipenda esclusivamente da determinate capacità e
competenze;
2) trasmettendo agli studenti non tanto conoscenze quanto quegli attributi
non cognitivi (tratti della personalità, modi di presentazione, atteggiamenti
ecc) che permettono agli adulti di svolgere il loro lavoro riproducendo co-
sì la divisione gerarchica del lavoro.
In altre parole, la scuola premierebbe, in coloro che sono destinati a lavori
poco qualificati, la propensione alla “docilità”, alla “passività” e
all‟obbedienza”, e scoraggerebbe la “spontaneità” e la “creatività”. Questo effet-
to non è il frutto di una scelta deliberata da parte degli attori scolastici, ma l‟esito
di una “corrispondenza oggettiva” tra i rapporti sociali tipici dell‟istituzione sco-
lastica (ad esempio la gerarchia intercorrente tra allievi/insegnanti/presidi) e
quelli che sono propri del mondo del lavoro (ad esempio le gerarchie aziendali).
Gli studenti, come i lavoratori sul loro lavoro, non hanno potere sul loro curricu-
lum vitae. Sia l‟istruzione che il lavoro, inoltre, sono concepite come attività pu-
ramente “strumentali” che vengono svolte non secondo logiche di piacere o se-
condo il senso di realizzazione personale, ma per ottenere ricompense (voto, sa-
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lario) o per evitare punizioni (bocciatura, licenziamento). L‟estrema divisione
del lavoro nel mondo produttivo è un processo che si accompagna ad una eleva-
tissima competizione fra gli studenti causata dal sistema di valutazione in atto.
I neo – weberiani
Questi autori si riferiscono a Max Weber in una nuova prospettiva di stu-
dio neo – idealista. L‟autore più noto in questo senso è certamente R. Collins.
Secondo Weber al potere legale - razionale corrisponde l‟ideale dello “speciali-
sta”. La preparazione specialistica è promossa dallo sviluppo
dell‟amministrazione burocratica, che “esercita un potere in virtù del sapere”. E‟
qui che istruzione ed esami assumono la massima importanza, come scrive We-
ber: “La configurazione dei titoli di studio […] serve alla formazione di un ceto
privilegiato negli uffici e nelle amministrazioni contabili. Il suo possesso sorreg-
ge la pretesa […] soprattutto alla monopolizzazione delle posizioni di vantaggio
sociale ed economico a favore degli aspiranti muniti di titolo di studio. Quando
sentiremo esigere ad alta voce l‟introduzione del procedimento disciplinato di
formazione e delle prove di qualificazione in tutti i campi, ciò non costituirà na-
turalmente un‟ “ansia di cultura” […], ma il tentativo di limitare le assunzioni al-
le cariche e di monopolizzarle a favore dei possessori del titolo di studio.
L‟esame è oggi il mezzo universale di questa monopolizzazione.”
I neoweberiani , come Parkin e soprattutto Collins, non avversano
completamente le posizioni dei neomarxisti come Bowles e Gintis, secondo le
30
quali la scuola serve a fornire agli imprenditori una forza di lavoro “docile” e
“disciplinata”. Sostengono invece, che quelle posizioni sono solo una teoria
“parziale” dell‟istruzione. In particolare, la tesi neomarxista:
a) è applicabile alla moderna istruzione di massa;
b) può essere applicata solo alle fasce inferiori dei sistemi scolastici
c) non è sufficiente a spiegare le profonde differenze esistenti fra i si-
stemi scolastici dei diversi paesi capitalistici.
Secondo Collins, lo sviluppo dell‟istruzione avvenuta nella società mo-
derna è dovuto all‟azione dei vari ceti sociali nell‟ottica del mantenimento e del
miglioramento della propria posizione nel sistema di stratificazione sociale.
Queste azioni (non solo delle classi sociali, ma anche dei vari ceti e gruppi di po-
tere) hanno generato il cosiddetto “credenzialismo” , cioè l‟affermazione del
monopolio dell‟accesso alle professioni più remunerative e alle maggiori oppor-
tunità economiche da parte dei detentori di lauree e di altri elevati titoli di studio.
Sono anche questi ceti che, attraverso l‟uso di credenziali educative, hanno
conquistato il diritto di decidere chi può erogare certe prestazioni e servizi e so-
no in grado di influir sul contenuto e la struttura dei curricula scolastici. Secon-
do Brint, “una volta che i titoli si sono affermati come base necessaria
all‟impiego, si è verificata una situazione inflazionistica, poiché gli studenti e le
loro famiglie hanno capito che disporre di titoli di studio significa avere maggio-
ri opportunità. L‟aspirazione democratica alla mobilità ascendente provoca la
31
conseguenza che i titoli di studio assumano una importanza altrimenti impensa-
bile. Ne è risultato una proliferazione di titoli e specializzazioni professionali del
tutto inspiegabile se non appunto nell‟ambito del sistema credenzialistico. Asso-
ciazioni professionali, governi, istituzioni scolastiche: tutti hanno svolto la loro
parte nel trasformare la struttura occupazionale nel mosaico di nicchie speciali-
stiche che vediamo. Tutte queste istituzioni hanno un preciso interesse
nell‟espansione della società delle credenziali.”
Identità e formazione del sé
Uno dei processi fondamentale della socializzazione (e
dell‟educazione) consiste nell‟aiutare l‟individuo a formarsi una propria iden-
tità e a diventare una persona responsabile delle proprie azioni, ma anche
nell‟incentivare la formazione di un sé sociale, cioè nel formare una persona in
grado di interagire pienamente con gli altri.
Secondo Mead, nel formarsi l‟identità (sé unitario), l‟individuo deve
sintetizzare e mediare tra diversi aspetti:
1) il me che interiorizza gli atteggiamenti altrui (la sua parte socializzata);
2) l’io, vale a dire la capacità di un soggetto di essere sempre qualcosa di
diverso dalla situazione che vive;
3) l’altro generalizzato, cioè il modo di vedere gli altri in generale e
strutturare i legami sociali;
32
4) la personalità modale, cioè i vari tipi di personalità che si osservano
in un dato sistema sociale.
Non sempre l‟educazione e l‟istruzione scolastica tengono conto di
questi elementi che sono fondamentali soprattutto nella scuola primaria e se-
condaria e, particolarmente, durante la fase adolescenziale, considerata dalla
psicologia una seconda nascita e quindi osservata come una fase di grande novi-
tà e apertura alla vita, ma anche analizzata come fase traumatica, bisognosa di
forti incentivi motivanti per l‟affermazione positiva dei processi di adattamento
e sviluppo.
Uguaglianza ed istruzione
Uno dei temi più dibattuti nell‟ambito della sociologia dell‟educazione
è senz‟altro quello relativo all‟uguaglianza di opportunità nei confronti
dell‟istruzione.
Per la corrente conflittuale, determinante per la riuscita scolastica è il
background culturale dei singoli allievi e la scuola sarebbe una mera istituzione
riproduttiva degli ambiti sociali e culturali esistenti. Ma, come abbiamo prece-
dentemente osservato, la scolarizzazione di massa ha superato questo problema,
almeno per quanto riguarda l‟accesso. L‟istruzione viene considerata indispen-
sabile per tutti e, nel tempo, si afferma la scuola di massa che, però, innesca il
dibattito tra selezione e origine sociale.
33
Secondo diversi autori, la famiglia di origine delle classi popolari non
metterebbe a disposizione degli allievi né i valori, né le capacità linguistiche per
la riuscita negli studi e così, mancando le motivazioni di fondo, si assisterebbe a
numerosi fallimenti scolastici. Secondo alcuni sociologi, come Bourdieu, sono
gli stili di comportamento delle classi medio/alte che incentivano il successo
scolastico; questi stili vengono erroneamente scambiati per doti naturali. Bour-
dieu introduce due concetti importanti:
1) il “capitale culturale”, trasmesso precocemente dalla famiglia di origi-
ne, ovvero un complesso di conoscenze, informazioni,”gusti”, stile di
vita, valori che influiscono sul rendimento scolastico.
2) un “ethos di classe”, cioè un insieme di atteggiamenti verso la cultura e
in particolare verso la scuola e la cultura scolastica, che influenza so-
prattutto la durata della carriera scolastica. L’eredità culturale è ap-
punto l’insieme di “capitale culturale” e “ethos di classe”. In so-
stanza la scuola tratta tutti gli allievi, di fatto diseguali, come uguali
nei diritti e nei doveri, e in questo modo non fa che sancire le disugua-
glianze iniziali di fronte alla cultura, inducendo gli individui a pensare
che le disuguaglianze sociali siano dovute solo alle “doti naturali”, e
che il risultato scolastico sia dovuto solo ad esse. Trasforma in so-
stanza il “privilegio” in “merito”.
34
Boudon, invece, ritiene importanti anche le scelte individuali
dell‟allievo, le sue aspettative individuali e non solo i meccanismi sociali esi-
stenti e condizionanti. Boudon arriva alla conclusione che l‟istruzione non riduce
le disuguaglianze sociali, anzi riproduce “effetti perversi”, perché, per ottenere
lo stesso status occupazionale occorre sostenere costi e sacrifici, in termini di
tempo e denaro, sempre più alti. Ma l‟istruzione ha anche effetti perversi perché
l‟aumento della scolarizzazione genera inflazione dei titoli di studio, che, a sua
volta, contribuisce a neutralizzare gli effetti positivi sulla mobilità sociale che ci
si poteva aspettare dalla democratizzazione della scuola”.
Mobilità sociale, differenza di istruzione, interazione scolastica
Fino agli Settanta il titolo di studio è importante e costituisce un requi-
sito indispensabile per la mobilità sociale ascendente. Successivamente il tito-
lo di studio perde questo valore (inflazione di titoli), pur restando
un‟opportunità. La non riuscita scolastica non viene più collegata direttamente a
discriminazioni sociali verso i ceti meno abbienti, quanto alla possibilità degli
appartenenti alle classi agiate di cogliere più opportunità degli altri nella vi-
ta sociale.
Fino agli anni Ottanta la scuola italiana tende a garantire omogeneità
nei percorsi educativi, poi la richiesta di itinerari educativi personalizzati diventa
più pressante. Ma il problema, persistente ancora oggi nei processi educativi e
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nelle metodologie, è: come conseguire risultati scolastici omogenei nel rispet-
to delle differenze delle singole carriere di vita.
I sociologi contemporanei tendono a superare schemi rigidi (vecchie
scuole funzionalista e conflittuale) riconoscendo le disuguaglianze ancora esi-
stenti, ma sminuendo il fattore provenienza sociale per studiare maggiormente i
progetti di vita degli allievi. L‟obiettivo è quello di entrare nel mondo concreto
della scuola e analizzare come gli allievi la vivono e come in essa si comporta-
no: recenti studi sui meccanismi interattivi interni alla scuola evidenziano la
presenza di forti motivazioni personali, al di là del condizionamento delle strut-
ture sociali (generate dagli stessi meccanismi).
Le problematiche sociali dell’educazione scolastica italiana
Da questa sintesi, effettuata seguendo il percorso storico delle tesi
espresse dalla Sociologia dell‟Educazione, dovremmo concludere che
l’attenzione alla Scuola dovrebbe essere, indubbiamente, l’elemento centra-
le dell’azione politica e culturale di una società, perché riguarda la sua essen-
za stessa, la sua capacità di produrre cittadini preparati ad affrontare la vita, sia a
livello individuale che collettivo.
Non è così in generale nel mondo odierno e non lo è in Italia dove la
Scuola , soprattutto primaria e secondaria, presenta le seguenti criticità:
1) è ancora, in gran parte, staccata dal mondo del lavoro e dell‟economia;
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2) non si pone l‟obiettivo esplicito di formare pienamente il cittadino a livel-
lo politico e civile;
3) non educa al‟interpretazione critica dei media (tradizionali e nuovi) che,
attraverso i loro messaggi informativi, educativi e di intrattenimento sono
una potente agenzia di socializzazione (insieme al gruppo dei pari, hanno
ormai surclassato abbondantemente le tradizionali agenzie come la Fami-
glia e la Scuola, mentre il fattore religioso aveva già perso peso durante
l‟avvento dell‟epoca moderna);
4) molte metodologie didattiche sono obsolete, perché non integrano il tradi-
zionale modo di far apprendere con nuove modalità (che sono invece spe-
rimentate, ad esempio, a livello aziendale nel management, nella leader-
ship, nel lavoro di gruppo e nella vita lavorativa in generale).
Educazione scolastica ed extra - scolastica
Da diverso tempo si dibatte in Italia sull‟educazione scolastica e
sull‟educazione extra - scolastica. Molti ritengono che il modello scolastico sia
prevalente su quello «extrascolastico». Ne consegue che l'attività non svolta
nell‟ambito scolastico (ad esempio l‟educazione permanente, continua e
l‟educazione ricorrente) è in posizione di inferiorità e viene considerata un plus
accessorio. Invece è diventata molto importante e le istituzioni scolastiche devo-
no rapportarsi a questa realtà. Di recente anche la scuola ufficiale sta sperimen-
tando attività extra- scolastiche e sta effettuando corsi di recupero per diverse ti-
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pologie di alunni. La scuola aperta all‟esterno è un fenomeno recente e si posso-
no citare, a livello di esprienze, l‟Attivismo o Movimento delle Scuole Nuove, le
pedagogie critiche o non direttive. Invece, l‟attività extra scolastica ha tradizioni
lontane e variegate: influssi della pedagogia di Dewey, l‟esperienza di don Mila-
ni che critica la scuola come luogo di perpetuazione di disuguaglianza, la
contestazione dell‟azione svolta dalla scuola da parte di Illich (che sostiene
l‟ipotesi della descolarizzazione evidenziando il ruolo educativo che anche il
territorio deve svolgere), l‟opera di educazione preventiva svolta da don Bosco
con la pedagogia dell‟oratorio o il metodo educativo scout.
Oggi occorre un approccio sistemico. Ogni agenzia educativa, in particola-
re la scuola, ha bisogno di una collaborazione con famiglia, istituzioni, ambiente
sociale. Con l‟espressione extra scuola si intende l‟educazione intenzionale ge-
stita da associazioni sportive o culturali, gruppi di volontariato, parrocchie, co-
munità di ambito ecclesiale, cooperative, che, appunto, svolgono una serie di
compiti educativi, di animazione, recupero scolastico, prevenzione e tante altre
attività.
E‟ chiaro allora che, alla formazione generale dell‟individuo concorrono
oltre alla scuola, altre istituzioni che offrono opportunità formative permanenti,
esperienze di crescita in diversi campi dell‟esistenza umana, percorsi nei quali
soggetti adulti e anziani possono continuare ad apprendere ed arricchirsi in ter-
mini di umanità. La coscienza dell‟importanza dell‟educazione extrascolastica è
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cresciuta negli ultimi anni con la scoperta che la maggior parte degli apprendi-
menti avviene fuori della scuola.
Oggi si assiste al continuo proliferare di iniziative extrascolastiche di vario
tipo: recupero, animazione e socializzazione di bambini e adolescenti (dopo-
scuola, centri di animazione ed altre realtà con denominazioni diverse). Risulta
che quasi la metà dei bambini italiani, dai 6 ai 13 anni, svolge un‟attività extra-
scolastica nelle ore pomeridiane (sport, musica, lingue, associazionismo). La lo-
ro giornata si presenta sempre più pianificata, a somiglianza di quella degli adul-
ti, così che hanno sempre meno un "tempo libero" da dedicare al gioco, alla let-
tura, alle amicizie.
La diffusione di una nuova rete di offerte culturali conduce ad un sistema
formativo ramificato ed allargato che costituisce indubbiamente un arricchimen-
to delle proposte per bambini, ragazzi e giovani, che così possono avvalersi di
più «luoghi di cultura». Ma porta anche ad un'estrema polverizzazione delle of-
ferte, talvolta attente solo ad una logica di mercato e, perciò, non in grado di
soddisfare le reali esigenze infantili.
In Italia, l‟educazione extra - scolastica è stata oggetto di attenzione in due
diverse fasi. La prima inizia dalla metà degli anni Sessanta, dove si sviluppano
critiche verso la scuola (l‟istituzione risulta come parte del sistema di emargina-
zione che crea lo svantaggio) e nascono diverse esperienze parallele (doposcuo-
la) o concepite come alternative (contro scuola).
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Negli anni Settanta - Ottanta si è sottolinea soprattutto il rapporto tra edu-
cazione e territorio. Proprio negli anni Ottanta, si privilegia l‟interpretazione del
rapporto tra scuola ed extrascuola all‟interno del cosiddetto sistema formativo
integrato, che sul piano istituzionale, prima ancora che pedagogico, propone un
nuovo tipo di rapporto tra la scuola e le risorse formative esterne. Il ruolo di
coordinamento degli interventi viene attribuito all‟Ente locale, a cui è affidato
anche un compito di tipo propulsivo; vengono enfatizzate le risorse del territorio
e le possibilità di usufruire di servizi sociali e culturali in senso formativo.
Il punto debole, tuttavia, è costituito dal problema del centro del coordi-
namento, individuato nell‟Ente locale, con il limite di subordinare scuola ed ex-
trascuola ad una gestione esterna. Il nodo è fare in modo che gli Enti locali recu-
perino veramente una propria centralità e che possano gestire direttamente i
nuovi servizi per i bambini e gli adolescenti. È evidente che sarebbe limitativo se
si volesse pensare gli Enti locali solo come enti erogatori di finanziamenti a fa-
vore dell'arcipelago privato delle diverse offerte formative. Appare ormai indif-
feribile una politica di coordinamento da parte degli Enti locali, che garantisca
l'attivazione di un reale sistema formativo integrato, al cui interno tutte le agen-
zie possano portare un contributo alla formazione degli individui.
In questa prospettiva di integrazione, la scuola è sollecitata a stabilire rap-
porti per elaborare progetti comuni, in un‟ottica di partecipazione attiva ad un
lavoro di rete. Per realizzare ciò, è necessario che esplori la complementarità dei
40
ruoli, ma soprattutto definisca i contenuti di tale collaborazione. E‟ necessario un
approfondimento di ipotesi di continuità o di integrazione tra i diversi ambienti
di vita che abbia al centro la globalità della persona.
Di fronte, quindi, ai diversi punti del sistema formativo ed ai profondi mu-
tamenti culturali che possono portare anche all'attivazione di un sistema cultura-
le a domanda individuale, occorre impegnarsi per realizzare un effettivo coordi-
namento tra le agenzie formative: famiglia, scuola, enti locali, associazionismo,
le quali devono stipulare un patto per arrivare all'integrazione (raccordo, reci-
procità e interdipendenza formativa).
La scuola è chiamata soprattutto a connotare le proprie finalità cognitive
e di socializzazione; la famiglia a esplicitare, con maggiore aderenza storica e ri-
gore scientifico, le proprie finalità etiche e affettive; gli enti locali a dare centra-
lità ad esperienze espressive e l'associazionismo giovanile a precisare i contenuti
e i modi di esperienze aggregative.
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SECONDA PARTE: LE CRITICITA’ DEL SISTEMA
SCOLASTICO ITALIANO NEL MONDO GLOBALIZZATO
II LEZIONE Educazione, Lavoro, Economia
2.1 il sistema scolastico, l’economia e il mercato del lavoro
Ribadiamo il concetto che l‟istruzione è una parte, formalizzata e specia-
lizzata, del percorso educativo generale, che si svolge su tutta la vita di un indi-
viduo, un percorso teso ad apprendere la propria cultura (ma oggi, nel mondo
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globalizzato e dopo vasti spostamenti migratori in atto tra le aree del mondo, an-
che le altre culture) e rivolto alla formazione della propria personalità. La forma-
zione della personalità è la risultante:
1) dell‟intreccio bio - psichico (disposizioni di base ed esperienze);
2) di una determinata cultura;
3) della rete di interrelazioni sociali nelle quali un individuo è inserito.
Osservavamo che il sistema scolastico e gli insegnanti non sempre tengono
conto, nel loro agire, sia dei problemi relativi al piano dell‟istruzione che di
quelli inerenti al piano dell‟educazione, soprattutto nell‟interazione quotidiana
con allievi che stanno passando dalla socializzazione primaria (famiglia di pro-
venienza e vicinato) a quella secondaria.
La scuola, in questa fase, dovrebbe essere lo snodo più importante, quel
crocevia che consente al giovane di collegare la sua socializzazione primaria con
quella che sta acquisendo dai pari e dai mass media e con quella a cui si sta pre-
parando, spesso con grande angoscia, oggi: quella del lavoro, che dovrebbe con-
sentirgli di realizzarsi pienamente come sviluppo della sua umanità e non solo di
mantenersi economicamente. Rispetto alla realizzazione tratteremo il tema più
avanti. Rispetto al mondo del lavoro, osserviamo che la scuola italiana sconta
ancora una mancanza di formazione corrispondente a questo mondo, dove non
dimostra di essere ancorata.
43
Finalizzazione dello studio
Rispetto ad altri sistemi scolastici nord – europei (alcuni andremo ad esa-
minarli nel prossimo paragrafo), la scuola italiana sconta un divario forte tra la
realtà produttiva, il mondo del lavoro e l’insegnamento scolastico, divario
che si sta tentando, ultimamente, di ridurre.
L‟angoscia, di cui si parlava precedentemente, deriva dalla visione del
mercato del lavoro che i giovani hanno fin dall‟inizio della scuola secondaria:
tale visione condiziona anche la motivazione (spesso demotivazione) del giova-
ne a studiare e spiega molti fallimenti scolastici e diverse patologie psichiche
che trovano, per la maggior parte, origine nei rapporti sociali e nei valori correnti
della società post industriale.
Molti giovani (e non sono i peggiori, anzi essi dimostrano spesso di posse-
dere una coscienza più avanzata e un livello morale più alto degli altri, al di là
delle conseguenze negative del loro atteggiamento) si chiedono che cosa signifi-
ca studiare ed istruirsi, quando il successo nella vita sociale viene determinato
dal perseguimento e dall‟ottenimento conseguente del solo profitto e si basa sul
motivatore universale del denaro, diventato fine e non mezzo (tutti vedono i ri-
sultati disastrosi e di rischi per il futuro della finanziarizzazione del mondo e del-
le speculazioni impunite a livello di transazioni internazionali). Altri giovani si
domandano come potranno trovare un lavoro soddisfacente, viste le scarse ri-
sorse economiche a disposizione e le basse o nulle relazioni sociali influenti
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possedute dalla famiglia d‟origine (condizione per trovare un posto di lavoro
oggi) e considerato lo stato precario, illegale e disumanizzante del mercato del
lavoro giovanile italiano.
Il sistema formativo e i giovani di fronte al mondo globalizzato della
società post – industriale.
Nella società post industriale, sono state incrementate le possibilità di
scelte a disposizione degli individui. Queste aumentate potenzialità si sono pe-
rò accompagnate ad un aumento notevole di incertezze. Nell‟era post moderna
si sono indeboliti i meccanismi di integrazione sociale, rendendo, in generale,
l’uomo ancora più libero di scegliere tra tante possibilità, ma molto ancor più
incerto nelle scelte e, soprattutto, in quelle scelte fondamentali legate al proprio
vissuto. Nell’analisi delle trasformazioni sociali, la sociologia evidenzia come
la società sia regolata da meccanismi di integrazione sociale, cioè da tutti
45
quegli strumenti che tengono insieme gli uomini, attraverso regole di comporta-
menti reciproci: ad esempio le leggi formali approvate da uno Stato, oppure le
norme informali di un gruppo che considera un comportamento individuale con-
forme alle abitudini del gruppo e quindi definito accettabile o meno. Lo studio
della sociologia per quanto riguarda la cultura analizza come gli uomini si
riconoscono in varie forme di identità sociali: ad esempio i simboli che rap-
presentano uno Stato come la bandiera, l‟inno nazionale ecc..
L‟evoluzione della società moderna ha portato ad una differenziazione più
marcata tra società e cultura, mentre nell‟epoca della società tradizionale queste
dimensioni risultavano molto più vincolate reciprocamente. Nella società post
moderna si sono differenziati ulteriormente i meccanismi di integrazione sociale
tra di loro (ad esempio: la religione si è differenziata dal sistema educativo) e si
sono ancora più distinti dalla forme di riconoscimento sociale, diventando più
soggettive, variegate e globalizzate (multiculturali, costruzioni sociali diverse
nelle giovani generazione ecc). Gli studiosi che enfatizzano gli effetti culturali
della globalizzazione affermano che, nella società tradizionale, il punto di rife-
rimento era la comunità locale, nella modernità, lo Stato – Nazione, nella post –
modernità il punto di riferimento per le persone diventa sempre di più il
mondo nella sua globalità. Dunque, i modelli culturali di riferimento sarebbero
sempre più simili, indipendenti dalla loro nazionalità. Le persone guarderebbero
gli stessi programmi televisivi, gli stessi film, indosserebbero gli stessi abiti e si
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comporterebbero in modo simile ad una gran massa di individui conviventi in
tutto il mondo (ma con scelte vaste di prodotti, servizi e stili di vita). In questo
senso la globalizzazione culturale sarebbe molto simile a quella economica. Le
tradizioni, le feste si stanno globalizzando. Ad esempio la festa di Halloween
(delle streghe) si festeggia, da qualche anno, anche negli oratori cattolici italiani!
La pizza italiana ha conquistato il mondo, ma viene distribuita da una catena
americana e molti, nel mondo, la credono inventata dagli Usa. Nel passaggio
dalla modernità alla post – modernità i protagonisti sociali diventano i consu-
matori globali, che hanno sostituito i produttori (che garantivano la riproduzio-
ne economica della società) e i soldati (che garantivano la difesa dai nemici in-
terni ed esterni). Oggi gli addetti alla produzione diretta di beni industriali o
agricoli sono molto diminuiti, mentre sono diventati maggioranza i produttori
di servizi. La difesa non è più formata dall‟esercito di massa, ma da specialisti.
Produttori e soldati, un tempo, avevano ruoli molto precisi, con obblighi e re-
sponsabilità. I consumatori globali non hanno ruoli precisi nella società o
impegni definitivi. Questi impegni durano solo il tempo necessario a consumare
gli oggetti del desiderio. Anche i legami tra gli uomini sono più precari. Quel-
li affettivi sono caratterizzati dal piacere e dalle esperienze positive, sono desti-
tuzionalizzati e più a rischio (ad esempio ha perso di valore il matrimonio, si af-
ferma la convivenza e le separazioni ed i divorzi sono aumentati).
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Nella società moderna la libertà era importante, ma diventavano più im-
portanti la sicurezza e le appartenenze. Nella post - modernità è aumenta la li-
bertà individuale, ma diminuisce la sicurezza sociale e l’appartenenza.
L‟uomo è libero di muoversi dove vuole e di girare il mondo, di scegliere gli og-
getti, gli eventi le persone che più lo interessano. E’ un consumatore di merci
come attore economico, è un collezionista di piaceri e di sensazioni a livello
culturale (come afferma Bauman). Nella modernità, la gestione dell‟incertezza
esistenziale viene socializzata: scuole, caserme, fabbriche danno senso e certez-
za agli individui, quelli che hanno problemi hanno strutture come le prigioni, gli
ospedali, gli ospizi, le cliniche psichiatriche. Nella post modernità l’incertezza
è privatizzata, l‟uomo è meno condizionato dalle istituzioni, che diventano me-
no oppressive, ma è più solo, non ha un‟identità duratura per non assumersi im-
pegni, ma la mancanza di identità aumenta l‟incertezza esistenziale riguardo al
proprio ruolo nel mondo e nella società.
Vi sono aspetti paradossali in questa società. Ad esempio, anche le reti di
protezione sociale, che sono beni pubblici, tendono a diventare privati (previ-
denza, sanità ecc.) e dovrebbero così essere scelte libere da parte dei cittadini -
consumatori globali; molti non sono in grado di pagarsi questi servizi e questi
cittadini non hanno più la sicurezza sociale; lo Stato, aumentando la spesa pub-
blica, deve intervenire di nuovo per garantire i servizi a tutti, ma le risorse finan-
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ziarie sono insufficienti. Il paradosso della società post moderna può essere così
sintetizzato:
1) gli individui sono diventati più forti,
2) la loro maggior forza rende la società più debole,
3) questa debolezza aumenta l’insicurezza sociale
4) l’insicurezza sociale rende l’individuo più insicuro.
I modi di dire (assorbiti dai media internazionali), le musiche distribuite da
cd, da internet, dalle trasmissioni radio televisive, le cucine, le tradizioni, gli sti-
le delle costruzioni tendono ad assomigliarsi sempre di più, in tutto il mondo.
Vi è un processo di omologazione culturale. Le culture dei vari popoli si
sono mescolate in un insieme confuso, anche se per molti anni si è imposta la
cultura di massa americana (che, al suo interno era già un “melting pot”, cioè un
contenitore dove si erano mescolate varie culture provenienti da tutto il mondo).
Oggi che l‟America ha perso il primato di Stato – guida del mondo, tentano di
affacciarsi alla ribalta internazionale altre culture (giapponese, cinese, ad esem-
pio). Anche numerose parti urbanistiche (quelle recenti) delle grandi città tendo-
no ad assomigliarsi nello stile architettonico dei palazzi, nei mega centri com-
merciali, nei negozi di marca. Nella società moderna, l‟individuo aveva il pro-
blema di uniformarsi ai fini e ai mezzi ritenuti positivi dalla società, di non esse-
re diverso, deviante. Il comportamento deviante era emarginato insieme
all‟uomo che lo esprimeva.
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Nella società post moderna il problema, invece, diventa come orientar-
si tra tanti modelli di vita, fra tanti stili di comportamento e come superare
l‟incertezza della propria appartenenza. L’individuo ha paura di non essere
adeguato nell‟affrontare diverse situazioni e diversi ruoli che gli sono richiesti
da una società composta da varie realtà e da diversificati modi di interpretarle e
da un‟organizzazione sociale costruita sull‟immagine. Proprio l‟immagine di-
venta il motore sociale delle relazioni. Non è importante che cosa si è, diventa
importante come ci si presenta, diventa indispensabile far colpo, apparire e, di
conseguenza, occorre modificare il corpo, adeguare il modo di comportarsi,
spessissimo costruendo artefatti, elementi artificiali). La varietà di scelte e di
modelli di comportamento a disposizione dei singoli potrebbero essere viste co-
me ambito di grande libertà, ma la mancanza di un orientamento rende insicuri,
la non consapevolezza di un‟appartenenza crea non senso ed espone gli indivi-
dui non adeguati a possibili inganni di venditori che promettono di risolvere il
problema con prodotti che garantiscono l‟adeguatezza, naturalmente venduti da
loro o ad inganni, ancora peggiori, di tipo psicologico, politico, culturale.
Anche per quanto riguarda il rapporto con l’altro ego, l’individuo di-
venta un consumatore. L‟altro è visto come oggetto di attenzione solo in fun-
zione dell‟interesse suscitato. L‟incontro è basato su un possibile piacere (avven-
tura sessuale, colloquio con una persona brillante, serata piacevole, emozione
immediata di un evento, affare vantaggioso ecc.). Se vi fono forti aspettative di
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questo tipo, vi possono essere anche dispiaceri, delusioni, oppure piaceri com-
pletamente consumati nell‟immediato, perché effimeri. Tuttavia, alcune incer-
tezze e paure potrebbero diventare positive, se conosciute e valutate, in parte lo
sono già. Si pensi allo sfruttamento intensivo dell‟ambiente che, gradatamente
diventa violento. Gli individui cominciano a capire che non si può manipolare ed
utilizzare tutto il mondo, la materia, l‟energia in modo selvaggio e a proprio pia-
cimento. Si sta finalmente acquisendo il senso del limite, si accresce la re-
sponsabilità di un uso più corretto delle risorse, nella nostra società ad alto
rischio.
Nella post modernità si sono allargate le differenze tra le varie generazioni
e sono diminuite quelle all‟interno della stessa generazione, rispetto a valori,
esperienze e comportamenti. I più avanzati studi psicologici e sociologici, com-
missionati principalmente ai fini delle strategie di marketing, hanno dimostrato
che gli individui nati nello stesso periodo hanno un comportamento generaziona-
le simile, dalla fase adolescenziale alla vecchiaia. In base a questi studi sono stati
suddivisi stili di vita, esperienze, valori, lavoro, istruzione, politica tra le varie
generazioni. Questi studi dimostrano la trasformazione culturale rilevante avve-
nuta tra i decenni terminali del Novecento e quello iniziale del Duemila. Questi
studi, avvertiamo, vanno visti in generale, poi vanno integrati con l‟osservazione
delle singole culture, dei gruppi sociali diversi e delle differenti singole persona-
lità degli individui.
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I giovani assorbono questi modelli, questi modi di vivere, queste tendenze
e questi valori. Ecco quindi l‟immensa importanza della Scuola e
dell‟Educazione nel formare un uomo sicuro, non disorientato o alienato. Ecco
perché l‟educatore deve rendersi conto del condizionamento che opera il conte-
sto sociale nel quale vivono i giovani e dei problemi nati dal passaggio dalla so-
cietà moderna a quella post moderna. Questi problemi coinvolgono le genera-
zioni mature e gli stessi insegnanti appartenenti a quelle generazioni.
Giovani e mercato del lavoro
Una delle contraddizioni più evidenti nel mercato del lavoro deriva
dall’aumento consistente del livello di istruzione dei giovani rispetto alle pre-
cedenti generazioni, ma le possibilità di impiego per loro risultano del tutto in-
soddisfacenti.
In secondo luogo, l’inserimento nel mercato del lavoro avviene, in mas-
sima parte, in tarda età, quando i giovani non sono più giovani ed hanno subito
un lungo periodo di frustrazione nella ricerca. Siamo, in Italia, tra gli ultimi in
Europa, non solo per quanto riguarda l‟inserimento tardivo nel mercato del la-
voro, ma anche per quanto concerne il salario d’ingresso, ridottosi drasticamen-
te nell‟ultimo decennio. Questo salario, spesso, si protrae in modo permanente
diventando salario effettivo, aumentando così la precarietà di persone ormai ma-
ture.
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Il lavoro stesso è diventato imprevedibile, precario, volubile, discontinuo,
insicuro, non consente previsioni di carriera e di vita. Conseguenza della non si-
curezza e dello scarso reddito da lavoro è la scarsa e ritardata formazione delle
famiglie nei giovani e, di conseguenza, i tassi di fecondità italiani sono tra i
più bassi d’Europa, con conseguente invecchiamento (fisico e mentale) della
popolazione, fenomeno a sua volta generante una evidente situazione di sclerosi
politica ed economica.
Il giornalista inglese Richard Donkin, nel suo ultimo libro “Il futuro del
lavoro” (in Italia edito dal “Gruppo 24 ore”), compie un altro tipo di analisi ed
immagina il lavoratore del futuro come un professionista che si impegna a fondo
e che lavora ovunque, senza limiti di tempo né soluzione di continuità con la
propria vita privata. Donkin parte dal convincimento che “il lavoro va ridefinito
per renderlo uno stile di vita più gradevole e appetibile”. Un passaggio che
l‟opinionista Walter Passerini, autore della prefazione all‟edizione italiana, iden-
tifica come quello che avviene dal lavoratore dipendente al lavoratore intrapren-
dente: “Contrariamente a quanto preannunciava Jeremy Rifkin in „La fine del la-
voro, quest‟ultimo continuerà ad esserci e aumenterà.
E il futuro non sarà solo per i lavoratori dipendenti, ma anche e soprattutto
per i lavoratori autonomi. Il lavoro è oggi il problema più grande che abbiamo,
ma insieme anche la più grande opportunità per le persone”.
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L‟impatto pervasivo della tecnologia e uno dei fattori da tenere maggior-
mente d‟occhio per capire come si evolverà il mondo del lavoro. Secondo Passe-
rini “La tecnologia da un lato fa sparire posti di lavoro, ma dall‟altro ne crea in
misura aggiuntiva. Quello che cambia è la qualità di questi posti, che richiedono
elevate competenze, altrimenti si diventa dei „drop out‟, dei „paria‟ delle tecno-
logie ambulanti. In questo senso, il futuro dovrebbe appartenere alla classe dei
giovanissimi, educati e professionalizzati senza subire devastanti determinismi
tecnologici, ma riempiendo le tecnologie di contenuti, di valori e di significati”.
Sempre secondo Passerini “Teoricamente potremmo lavorare molto di meno e
meglio. Ma così non è. Nonostante le tecnologie lavoriamo di più e siamo per-
manentemente connessi 24 ore su 24 con le tecnologie, sia durante il lavoro, sia
nel periodo del cosiddetto “tempo libero”. L‟invasione del lavoro nella sfera pri-
vata sta creando diverse reazioni: quella degli alcolisti del lavoro, i cosiddetti
„workaholic‟, e quella dei fuggitivi che si chiamano fuori e diventano dei margi-
nalizzati.
Natalità, ricambio, abbandoni scolastici.
Il declino della natalità inizia, in Italia, negli anni Settanta e modifica
sensibilmente la struttura demografica della popolazione. Nel 1981 i ventenni
superano gli 800 mila, nel 1991 superano il milione, nel 2001 sono meno di 700
mila e nel 2011 superano di poco i 500 mila. Essendo diminuiti, in generale, i
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giovani, questi dovrebbero trovare più facilmente lavoro, anche perché l‟Italia è
il paese europeo con il più alto tasso di ricambio (rapporto tra gli adulti dai 60
ai 64 anni e i giovani tra i 15 e 19 annui) che è del 119,9 (dati 2009) contro la
media europea dell‟ 89,9. In realtà si verifica, paradossalmente, il fenomeno op-
posto.
Rispetto all‟Europa, l‟Italia registra i più alti tassi d‟abbandono
nell‟istruzione secondaria e i più alti tassi di abbandono nell‟Università, dove
permane una durata abnorme della lunghezza degli studi. Da notare che le donne
hanno superato i maschi a livello di scolarizzazione e sono più proficue nei ri-
sultati, ma trovano ugualmente più difficoltà a trovare lavoro ed ad avere un la-
voro sicuro (influiscono le prospettiva maternità, lo scarso utilizzo del part-time,
abissale rispetto al nord Europa, i sottolavori come proposta, ecc.)
I giovani sono in maggioranza lavoratori precari, con contratti atipici (oltre
il 43%, dai 15 ai 24 anni, ed il 18%, dai 24 ai 35), derivati dall‟esigenza per le
aziende di contenere gli alti costi del lavoro. In Italia vi è una fortissima econo-
mia informale (irregolare), accanto a quella formale, ufficiale. Con l‟economia
informale ed il sommerso si crea anche il lavoro sommerso. Il modo di lavorare
in questi contesti è molto vario. Si può distinguere, in generale, un lavoro nero
ed un lavoro grigio. Il lavoro nero è quel lavoro che viene svolto da quei lavo-
ratori che forniscono la loro prestazione fuori da qualsiasi rapporto di lavoro
formalizzato. Sono lavoratori di aziende totalmente sommerse o aziende emerse
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che non rispettano gli obblighi di registrazione. Vi possono essere anche lavora-
tori autonomi che non dichiarano ufficialmente la loro attività. Il lavoro grigio
comprende le irregolarità parziali di aziende o lavoratori dipendenti ed indipen-
denti che dichiarano la loro attività in modo distorto (un profilo occupazionale
più basso di quello realmente praticato, meno ore dichiarate rispetto a quelle pra-
ticate ecc). Lavoro grigio e lavoro nero, lavoro regolare e lavoro irregolare
non hanno precisi confini e, a volte, possono verificarsi insieme: c‟è chi lavora
di giorno regolarmente e legalmente e, alla sera, si dedica a traffici illegali, ci
sono professionisti insospettabili che riciclano denaro sporco, ci sono lavoratori
con un lavoro regolare ed uno sommerso. Giustamente il lavoro è diventato più
flessibile, meno dipendente, ma non si sono affrontate le problematiche legate
agli esiti della flessibilità e della mobilità, non si sono riformati adeguatamente
gli ammortizzatori sociali e le possibilità di riqualificazione e di formazione
permanente.
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Un altro fenomeno che caratterizza la società post – industriale è la consta-
tazione che il lavoratore assume sempre meno le caratteristiche del lavorato-
re dipendente e diventa sempre di più imprenditore di sé stesso. Questo fe-
nomeno, definito da alcuni imprenditorializzazione o da altri studiosi profes-
sionalizzazione del lavoro richiede al lavoratore un maggior impegno ed un ag-
giornamento continuo e, in cambio, da un lato, maggiori soddisfazioni dal lavo-
ro. D‟altra parte, però, il lavoratore rischia di perdere le garanzie ottenute prece-
dentemente, perché assume sempre di più il rischio d’impresa come
l’imprenditore, ma non avendone il potere decisionale, anche perché i lavorato-
ri, il sindacato e le associazioni che li affiancano non pesano sul mercato del la-
voro come le epoche susseguenti al boom economico e si sono maggiormente
individualizzati.
Quando dalla società fordistica rigida si passa alla società post fordistica
flessibile, anche il lavoro tende ad essere considerato non più un diritto , ma
un impegno individuale. Il lavoro cessa di essere un problema sociale, diventa
un problema individuale, esistenziale, la cui responsabilità grava totalmente
sull‟individuo e non più sulla società nel suo complesso. La gran parte dei lavo-
ratori deve quindi porsi sul libero mercato del lavoro, come fa ogni professioni-
sta. Negli ultimi tempi il futuro del lavoro, soprattutto per i giovani è al centro di
dibattiti, studi, iniziative di largo respiro, ma ha prodotto pochi risultati sul piano
pratico. Uno di questi studi, conclusosi nel 2011, viene riportato in sintesi da due
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giornali e merita quindi di essere ripreso per la sua sinteticità. Gli articoli affer-
mano che, se è vero che il lavoro è una delle maggiori preoccupazioni per i gio-
vani d'oggi, è altrettanto vero che appare sempre più necessario superare i vecchi
schemi. Con un imperativo di fondo: quello di superare il concetto di "posto" di
lavoro per arrivare a una logica che, ovviamente senza rinunciare alla necessaria
componente di reddito, privilegia la dimensione del "percorso", in cui forma-
zione e prestazione si integrano in entrambi i momenti della vita della per-
sona. Gi Group Academy, con la collaborazione di Od&M consulting, ha sonda-
to il parere di un gruppo di 24 superesperti del lavoro, integrati da tre docenti
universitari, per capire come sarà il futuro del lavoro in Italia nei prossimi cin-
que anni. “Abbiamo individuato sei grandi parametri”, spiega Mario Vavassori,
coordinatore della ricerca, “chiedendo agli esperti di fare un viaggio tra lo sce-
nario attuale è quello prevedibile, integrato con lo scenario desiderabile. Ne è
uscita una mappatura del cambiamento nei prossimi cinque anni (2012 – 2017)
In primis si è parlato di “settori economici”: nei settori economici del
nostro Paese avverrà il passaggio da un'economia fortemente ancorata ai settori
tradizionali verso i nuovi settori industriali e verso il maggior peso dei servizi
più innovativi. Sul fronte delle “relazioni industriali”, altro parametro che rien-
tra nell‟analisi, si può sicuramente dire che oggi questo sistema sia il setto-
re più ancorato alla tradizione, con una forte e predominante presenza di contrat-
ti nazionali e una ridotta influenza della contrattazione aziendale. Il futuro previ-
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sto e desiderabile sarà quello di un sistema con un contratto nazionale più legge-
ro e una maggior partecipazione e coinvolgimento dei lavoratori nelle aziende.
Passando a parlare di “organizzazioni” in generale, la previsione è che dal-
le organizzazioni basate sulla gerarchia e sul controllo dei lavoratori passeremo a
una maggiore autonomia e a un maggiore "empowerment" dei lavoratori e a
nuovi modelli di rappresentanza degli interessi. Da una concezione del lavoro di
tipo strumentale si passerà a una concezione più valoriale, basata sulla condivi-
sione, mentre al lavoro come dovere e come fatica subentrerà una concezio-
ne basata sulla possibilità di realizzazione personale e di riconoscimento so-
ciale. In ultima battuta, si passa alla definizione dei “compiti”: al governo si
chiede un intervento soprattutto sui nuovi settori dello sviluppo, ai sindacati una
funzione di ammodernamento delle relazioni industriali, alla scuola e alle agen-
zie del lavoro un ruolo di orientamento formativo e culturale. Ma è soprattutto
alle imprese e alla loro rappresentanza che si chiede un ruolo di leadership attiva
nel cammino del cambiamento economico e culturale.
Fonti: La Stampa – edizione del 13 giugno 2011
Il Sole 24 Ore – edizione del 13 giugno 2011
Nonostante tutte queste analisi e ricette varie proposte da politici, giusla-
voristi, economisti ed altri ancora, il problema del lavoro non potrà dirsi piena-
mente risolto lasciandolo alle mutevoli condizioni economiche, ai cicli espansivi
e recessivi, alle fluttuazioni delle varie e perniciose crisi finanziarie. Il lavoro
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tende a ridursi e, nonostante nuove opportunità fornite dal terziario e dal terzia-
rio avanzato (informatica, robotica ecc.) il lavoro in Italia e nel mondo non sarà
offerto a tutti. Anche i paesi ad alta crescita economica (Brasile, Russia, India,
Cina, Sudafrica – il cosiddetto BRICS) o quelli che stanno per emularli (il co-
siddetto CIVET: Colombia, Indonesia, Vietnam, Egitto, Turchia) tra qualche an-
no, con le innovazioni tecnologiche introdotte, saranno costretti a diminuire
l‟occupazione. Sembra un problema senza soluzione. Una indicazione per risol-
vere la questione essenziale per la vita degli individui (non solo per mantenersi,
ma anche per realizzarsi), la indica il sociologo De Masi. Secondo il noto socio-
logo, il lavoro va suddiviso, altrimenti diventerà un privilegio. Affrontando il
problema nelle istituzioni scolastiche ed extra – scolastiche, bisognerà prospetta-
re ai giovani le questioni scuola – lavoro e quelle legate al futuro che impongono
scelte diverse dal passato.
La scuola e la formazione in generale devono così educare ad un diverso
tipo di approccio al lavoro ed esaltare al massimo le qualità creative, di autono-
mia e di responsabilità, nonché lo studio e la possibilità per battersi, in modo so-
lidale tra le giovani generazioni per una redistribuzione del lavoro, accompagna-
ta anche ad una maggiore redistribuzione economica, una più equa redistribuzio-
ne del potere e della cultura.
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Nuove disuguaglianze e nuove povertà
Lo sconvolgimento creato dalla globalizzazione, dall‟era tecnologica e dai
modi di vivere della società post - moderna ha portato all‟insorgere di nuove di-
suguaglianze (e nuove povertà ), tra chi ha il posto sicuro e chi non lo ha, tra gli
occupati, gli scarsamente occupati e i disoccupati, tra il lavoro regolare, quello
grigio e quello nero, tra le alte e le basse remunerazioni. Intanto, le conseguenze
della crisi economica internazionale, iniziata nel 2008 dopo l‟emergere del disa-
stro finanziario mondiale, hanno determinato per i giovani italiani una disoccu-
pazione giovanile record che è arrivata (nel 2012) alla cifra record del 39%!
Le politiche di flessibilità e di deregolamentazione hanno fallito, per-
ché non accompagnate da vere riforme di forme certe di assicurazione contro la
precarietà e la disoccupazione e da una vera politica attiva della formazione e
del lavoro, mirante a garantire la sussistenza, accompagnata dalla riqualifica e
formazione del lavoratore nello stesso tempo. Qui, oltre al sistema scolastico, la
critica maggiore va indirizzata al sistema della formazione professionale, in ge-
nerale ancora troppo disorganico ed anacronistico ed al welfare familistico (gio-
vani mantenuti dalla famiglia), anziché sociale (la società complessivamente de-
ve farsi carico, per tutti, del problema del lavoro). E‟ diminuita la capacità di
creare lavoro, di incentivare in modo organico l‟imprenditorialità diffusa (tipica
dell‟Italia del boom economico), ed il suo potenziamento aziendale ed organiz-
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zativo, accompagnata dalla capacità di formare e di addestarrei giovani al lavoro,
in alternanza con la Scuola.
Evoluzione del legame istruzione - occupazione nei paesi industrializ-
zati ed in quelli non industrializzati o in via di sviluppo.
Il rapporto tra istruzione e occupazione nei paesi industrializzati è sta-
to rafforzato dalla competitività nel mercato del lavoro e dalle conseguenti ten-
denze meritocratiche che si sono sviluppate in breve tempo. Le statistiche sulla
disoccupazione affermano che essa è stata prolungata e questo prolungamento è
stato associato per lungo temo al livello di istruzione.
Il rapporto tra occupazione e istruzione ha avuto un'evoluzione per
certi versi differente nei paesi in via di sviluppo. Dopo il conseguimento
dell'indipendenza, in questi paesi si è posto il problema di creare una struttura
amministrativa moderna e di espandere vari settori della pubblica amministra-
zione: sanità, istruzione, ecc. I colonizzatori dovettero essere rimpiazzati, e l'esi-
genza di fornire un'adeguata preparazione professionale ai nuovi quadri mise
sotto pressione il sistema di istruzione universitaria locale.
In molti paesi in via di sviluppo quanti accedono agli studi universitari
provengono spesso dai ceti sociali inferiori. In queste società la percentuale di
giovani che passano dal settore agricolo al settore terziario attraverso gli studi
universitari è assai più alta che nelle società industrializzate. Ciò si spiega in par-
te col fatto che una volta formatasi una classe di professionisti e di pubblici fun-
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zionari, questa nuova élite tende a 'cristallizzare' un sistema di sostegno per i
propri figli che determina un vantaggio nella competizione per i livelli più eleva-
ti di istruzione. La nuova classe tende a perpetuarsi attraverso l'istruzione, ossia
attraverso il capitale sociale acquisito.
Sia nei paesi industrializzati che nei paesi in via di sviluppo si punta molto
sui benefici derivanti dall'espansione dell'istruzione superiore; per i secondi que-
sta riveste un'importanza ancora maggiore, in quanto le differenze salariali sono
più strettamente legate al livello di istruzione.
Sia i genitori che gli studenti vedono nella scolarizzazione un mezzo
per sfuggire alla povertà e al duro lavoro dei campi. La stretta connessione che
sussiste tra livello di istruzione e mercato del lavoro ha determinato la "sindrome
del diploma": il possesso di un titolo di studio assume un'importanza fondamen-
tale per l'accesso ai posti di lavoro e per la determinazione del livello salariale.
Nei paesi industrializzati, in cui di solito il divario tra la percentuale dei diplo-
mati e laureati e il resto della popolazione è minore, vi è nondimeno una notevo-
le competizione per i posti di lavoro, soprattutto per quelli più qualificati. A in-
centivare la competizione non sono solo considerazioni di prestigio, ma anche
l'ampiezza e la varietà di opportunità che si offrono a quanti riescono ad arrivare
ai livelli di istruzione più elevati. Il possesso di un titolo di studio superiore ri-
duce la probabilità di diventare disoccupati.
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Nonostante le ovvie differenze che sussistono tra i paesi industrializzati e quelli
in via di sviluppo, per quanto riguarda il rapporto tra istruzione e occupazione,
si può quindi affermare che essi hanno percorso storicamente la stessa esperien-
za. L'istruzione diventa sempre più un fattore decisivo ai fini della selezione per
i posti di lavoro e per le possibilità di carriera. I vantaggi che derivano dal pos-
sesso di un titolo di studio sono tali che la competizione per l'accesso ai livelli
più elevati del sistema educativo viene considerata opportuna anche quando gli
incentivi materiali sono piuttosto modesti. Recentemente, soprattutto in Italia, la
grande massa dei diplomati ha perso questo privilegio e nella stessi studi univer-
sitari si assiste allo stesso fenomeno, ma i dati sono contrastanti, specialmente
perché alcune facoltà, come ingegneria o medicina, assicurano più sicuramente i
lavoro, forse anche per l‟istituzione del numero chiuso.
Secondo la teoria del capitale umano lo sviluppo economico richiede
maggiore istruzione, ma vi è un eccesso di giovani istruiti che vanno ad occupa-
re posti di lavoro per cui sono richieste competenze inferiori: questo crea dequa-
lificazione professionale, ma anche declassamento sociale. Molti giovani
istruiti aspettano un lavoro coerente con il livello di istruzione e sono mantenuti
dalla famiglia. La disoccupazione colpisce le famiglie dei ceti inferiori, ma an-
che quelli delle classi medie, al di là delle loro condizioni di vita. In Italia è an-
cora netta la percezione della differenza tra lavoro intellettuale e lavoro manuale
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e la mobilità di carriera sul lavoro è ancora molto bassa. Le professioni intellet-
tuali ad alta qualificazione sono le meno esposte alla disoccupazione, quelle
poco qualificate sono le più esposte, quelle manuali specializzate si collocano
nel mezzo.
L’alternanza tra scuola e lavoro
Nella fascia di età compresa tra i 25 e i 35 anni, più del 50% dei giovani
svolge un lavoro che non ha attinenza con l’educazione ricevuta. L‟Italia è
agli ultimi posti in Europa (anche del Sud Europa, in questo caso!) per quanto
riguarda l‟alternanza scuola/lavoro, nonostante grandi dibattiti che si sono svi-
luppati all‟interno del sistema scolastico e tra questo e il mondo delle imprese.
Si è sempre insistito sulla necessità di raccordare mondo della scuola e
mondo del lavoro, di integrare l‟insegnamento teorico e quello pratico, di unire
istruzione, informazione, comunicazione, formazione e addestramento.
Ma i vari tentativi e le esperienze in atto sono frammentari, episodici e
non fanno parte della logica del sistema scolastico italiano. In gran parte i
giovani non sono orientati verso i reali bisogni del mercato del lavoro attuale,
potenziale, presente e futuro. Solo da alcuni anni si sono potenziati gli stage
aziendali (tra l‟altro, concentrati nell‟Italia del Nord e del Centro) con il contri-
buto di Confindustria che ha offerto l‟azienda come ambito formativo incenti-
vante l‟incontro tra giovani e lavoro.
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Educazione interculturale
Un nuovo dibattito educativo emerso negli ultimi anni in Italia è quello
dell‟incontro con nuove culture, sia a causa dei flussi migratori, sia in vista
dell‟integrazione europea. Questo problema ha investito direttamente la scuola.
In molte zone gli studenti non italiani sono numerosi e nelle zone più sviluppate
il rapporto con i locali supera il 50% degli alunni nelle scuole elementari e me-
die. La sociologia dell‟educazione è chiamata in causa quando si tratta di stabili-
re il grado di vicinanza o lontananza delle culture che si incontrano. Inoltre biso-
gna verificare il rapporto che intercorre fra queste culture per evitare che, invece
di coesistere, si imponga una di queste facendola diventare cultura assolutamen-
te dominante. Altro discorso è quello delle leggi da rispettare nel nostro Stato.
Le culture, quando si incontrano, possono produrre acculturazioni e civiliz-
zazioni (un tempo si poteva prevedere una convivenza tra due culture separate,
oggi è molto più difficile). Le civilizzazioni vedono il predominio di fattori di
mutamento interni alle culture che si arricchiscono con lo scambio con altre cul-
ture. L’acculturazione vede elementi esterni alla cultura dominare su quella loca-
le – nazionale. . L’acculturazione globalizzata in tante parti del mondo è sta-
ta violenta ed ha ucciso le culture autoctone o le ha ridotte al rango di cul-
ture inferiori. In genere la cultura occidentale si impone alle culture locali for-
nendo modelli culturali, attraverso la scuola, i media e l‟effetto pratico dei suoi
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consumi esportati (automobili, vestiti, divertimenti di massa ecc.) che le altre
culture hanno apprendono ed accettano, approvandoli.
Non sempre l‟acculturazione produce dipendenza economica e politica e,
molto spesso, i valori occidentali della libertà e del rispetto dei diritti umani di-
ventano armi per le rivoluzioni e le lotte di liberazione di interi popoli. In diverse
realtà le culture occidentali si sono ibridate con quelle locali, come ad esem-
pio in Giappone, in Cina, in molti paesi del Sud – Est asiatico e in alcuni nazioni
islamiche. Queste culture si sono modernizzate e globalizzate, pur conservando
tratti culturali specifici.
Le culture caratterizzate da grandi religioni universali consolidate nei
secoli e da istituzioni politiche secolari (grandi imperi, retti da grandi burocra-
zie) hanno creato ibridazioni che hanno mixato successi economici, anche grandi
(il riferimento è principalmente al modello Giapponese) insieme alla conserva-
zione dell‟identità nazionale. Altre culture con religioni particolari, tradizioni
meno radicate e con società primitive (particolarmente in Africa e America
Latina) sono invece scomparse, non hanno prodotto un sufficiente sviluppo eco-
nomico e sociale. La convergenza delle società del mondo verso un unico mo-
dello culturale trova ostacoli nei tipi di cultura e di organizzazioni sociali locali
(rapporti tribali, lotte fra etnie, strutture arcaiche ecc.). Questo modello viene cri-
ticato da chi ritiene sia omogeneizzante, esaltato da chi vede un progresso verso
una moderna civiltà, caratterizzata da istituzioni in grado di garantire uguaglian-
67
za, partecipazione, sviluppo e consumi elevati. Anche i prodotti consumati da
masse di persone in tutto il mondo hanno assunto un significato culturale,
simbolico condiviso. Certi prodotti sono diventati degli status symbol globaliz-
zati: jeans, coca cola, soap opera, star internazionali del cinema, della moda,
giocattoli e cartoni animati. Le religioni cercano intese globali su comuni prin-
cipi di base, la comunità degli scienziati è del tutto globalizzata ed usa linguaggi
comuni (inglese standard e linguaggi specialistici e formalizzati), vi sono banche
dati, archivi, bibliografie informatiche diffuse in tutto il mondo. Le produzioni
artistiche, di elite e di massa, sono fruite globalmente.
La scuola ed i media possono socializzare gli abitanti del mondo al nuo-
vo modello culturale globalizzato (codici di comunicazione simili), così come
hanno, nella società moderna matura, aumentato l‟alfabetizzazione, forgiato idee
innovative e creato personalità motivate, alla ricerca della realizzazione per-
sonale, anche lasciando il proprio paese d‟origine.
All‟interno dei vari Stati la prospettiva interculturale, con la sua accetta-
zione attiva e positiva della diversità, viene ritenuta come la più idonea a ri-
spondere alle esigenze di una società multietnica che possa esprimere la propria
identità culturale nel rispetto di quei principi universali che sono sintetizzati dai
diritti dell‟uomo. In Italia la questione è più problematica rispetto agli altri paesi
europei, perché il nostro paese è sempre stato caratterizzato da una forte emigra-
zione e quindi si è trovato in difficoltà quando, negli ultimi decenni, ha accolto
68
successive ondate di immigrati da ogni parte del mondo (prima i marocchini, poi
i senegalesi, gli albanesi, i rumeni ecc.). Per quanto riguarda la scuola sono posi-
tivi gli inserimenti e le integrazioni dei bambini e dei ragazzi con gli italiani,
mentre rimane assolutamente inadeguata l‟educazione scolastica ed extra – sco-
lastica degli adulti, specie delle donne. Secondo dati dell‟Istat, all‟inizio del
2010 gli stranieri residenti in Italia sono 4,3 milioni, dei quali 550 mila sono nati
nel paese. Molti stranieri occupano lavori che, in gran parte, sarebbero rimasti
scoperti. Ma rispetto a questo fenomeno vi sono paure (legate a nuove forme di
criminalità) e comunque non si è affrontato a tutto campo il problema della loro
integrazione.
Le relazioni interculturali esigono di capire le altre culture. La sociologia e
la sociologia dell‟educazione cercano educare tutti i cittadini a comprendere le
mappe mentali dei cittadini immigrati, appartenenti ad altre culture. In questo
modo, si può osservare meglio la propria cultura (non sempre edificante e da
imitare per quanto riguarda i valori sociali tendenti al possesso, al consumo indi-
scriminato, al successo concepito solamente in chiave economica o di celebrità e
non come sviluppo integrale della persona), capire le differenze e quindi stabilire
una mediazione culturale proficua e poter convivere serenamente.
Istruzione ed educazione per il cambiamento
La scuola non può non farsi carico di questi problemi. Se è vero che il
cambiamento del sistema scolastico, lo sviluppo dell‟economia e del mercato del
69
lavoro sono macro-problemi sociali, è anche vero che la scuola e l’educazione
possono cambiare le stesse strutture sociali. L‟educazione consiste anche nel
far capire all‟allievo che studia soprattutto per sé stesso, per auto - realizzarsi.
Far prendere coscienza agli allievi, incentivare le loro capacità di cambia-
mento, fare in modo che i giovani diventino massa critica cooperativa: sono tutte
azioni tipiche dell‟educazione dei giovani per risolvere le contraddizioni che ab-
biamo esaminato. I grandi movimenti degli anni Sessanta (contestazioni, prote-
sta giovanile, legame rivendicativo tra studenti e operai, richiesta di un mondo
nuovo ecc.) insegnano che le vere rivoluzioni sono quelle culturali, perché la-
sciano il segno nella mentalità dei cittadini. Di questo avrebbero bisogno
l‟Italia e l‟Europa e questo fenomeno non può che partire dai “maestri”, dagli in-
segnanti, dalla Scuola, come è sempre stato e come dimostrano, ancora oggi, le
ribellioni ai regimi dispotici africani ed asiatici.
A differenza dell‟Italia, però, quasi tutti gli altri paesi europei hanno in-
vestito ed investono sull’istruzione e sull‟educazione, innovando fortemente
teorie e pratiche, mentre in Italia gli investimenti economici sono drasticamente
diminuiti e le innovazioni sono, perlopiù, sperimentazioni sporadiche.
Diamo, adesso, uno sguardo ad alcuni tra i sistemi scolastici europei avan-
zati per capire le differenze che ancora permangono con quello italiano che, da
tenta, a volte con originalità e sperimentazioni positive, a volte malamente, di
adeguarsi agli standard europei.
70
2.3 Confronto con i sistemi innovativi europei
Nell‟U.E. si investe, in media, circa il 5% del PIL. L’Italia è al ventune-
simo posto (4,5%). I paesi che maggiormente investono sono: Danimarca 8,3%,
Svezia 7% , Finlandia 6,3. Nelle linee sintetiche che presentiamo non abbiamo
incluso gli studi universitari, che meriterebbero un discorso a parte e che non ri-
guardano la scuola dell‟obbligo o i corsi precedenti alla maggiore età.
L’Inghilterra
Nella scuola secondaria inglese, controllata da autorità decentrate sul terri-
torio, vi è grande flessibilità nello studio, con classi diverse e orari diversi. In
sostanza, è lo studente che costruisce il proprio curriculum.
Gli studenti sostengono esami differenziati a seconda del percorso scelto
nei corsi post – diploma (2 anni dopo i sedici anni di età e cioè dopo la fine
dell‟obbligo scolastico) e con materie scelte dallo studente, che può precedente-
mente mixare nello studio materie generali e materie professionali e può sceglie-
re un’alternanza stabile tra scuola e lavoro (da mezza giornata a due giornate
settimanali) Questa alternanza trova applicazione sia durante l'istruzione obbli-
gatoria, sia negli studi superiori, rispettivamente nelle modalità dell'alternanza
formativa, chiamata work-related learning o extended work-related learning, a
seconda della durata dell'attività lavorativa svolta e nell'alternanza lavorativa ve-
ra e propria.
71
Negli ultimi due anni dell'istruzione obbligatoria, coincidenti con i primi
due anni di istruzione secondaria superiore (key stage: dai 14 ai 16 anni di età),
questo tipo di formazione è stata recentemente integrata nel National Curricu-
lum ed è diventata obbligatoria. Essa prevede che gli alunni svolgano periodi di
stage per 2 settimane all‟anno.
Per gli studenti che seguono un percorso scolastico prevalentemente di ti-
po generale, il work-related learning può essere integrato nell‟apprendimento
delle varie materie, oppure attraverso l‟educazione alla carriera (career educa-
tion) o, infine, si può realizzare attraverso l‟alternanza lavorativa vera e propria.
Per gli altri studenti viene offerto attraverso un corso che conduce al consegui-
mento di una qualifica professionale come lo Young Apprenticeship programm.
Nell'istruzione secondaria superiore non obbligatoria, l'alternanza lavorativa è
prevista limitatamente alle National Vocational Qualifications (NVQs), qualifi-
che professionali che prevedono principalmente, ai fini del loro conseguimento,
lo svolgimento di un‟attività lavorativa.
E‟ previsto anche il lavoro part-time dove lo studente è sempre affiancato
da un lavoratore esperto.
72
Scopi dell’educazione – istruzione del sistema scolastico inglese
Gli insegnanti sono ben pagati (in media 32 mila euro annuali contro le 23
mila italiane), inoltre sono incentivati con premi e gratifiche varie, in base al
rendimento e sono valutati (pubblicamente) con criteri standard. Prima di diven-
tare effettivi devono svolgere un periodo di prova.
L‟alternanza scuola/lavoro avviene fin dalla scuola dell‟obbligo. Negli ul-
timi due anni della scuola obbligatoria (14 – 16 anni) sono prescritte 2 settimane
di stage aziendali. In tutti i gradi di istruzione sono previste diverse valutazioni.
Lo work-related learning nel key stage mira a rendere i giovani capaci di:
1) realizzare le loro potenzialità accademiche e professionali;
2) applicare il loro apprendimento al contesto lavorativo;
3) acquisire le competenze, le attitudini e i comportamenti richiesti
nel luogo di lavoro, compresi quelli inerenti alla salute e alla
sicurezza;
4) essere intraprendenti e sostenere l'iniziativa altrui;
5) sviluppare, oltre ad abilità, conoscenze e comprensioni, anche la
motivazione ad una vita adulta soddisfacente ed equilibrata, contri-
buendo così al benessere economico del paese e diventando citta-
dini responsabili.
Un sistema di opportunità per tutti
73
Le scuole devono assicurare che gli studenti siano capaci di riflettere
sulle loro esperienze di alternanza formativa. La riflessione e l'analisi sono
una parte essenziale dell'apprendimento dall'esperienza. È importante anche che
gli studenti sappiamo riconoscere ciò che hanno appreso e sappiano anche
esprimerlo in modo chiaro.
I programmi per l‟istruzione e per i reinserimenti sono tanti altri. Ad
esempio, per i giovani dopo i 14 anni che hanno abbandonato gli studi, sono di-
soccupati o non hanno più fiducia nel sistema di istruzione e di formazione,
vi sono dei percorsi di preapprendistato, per aiutarli ad entrare nel mondo del la-
voro.
Vi sono programmi di collaborazione pubblico/privato per fornire le
competenze più richieste dalle industrie e dal mondo del lavoro, programmi per
la riqualificazione degli adulti; per i giovani dai 18 ai 24 anni che sono disoccu-
pati da più di sei mesi, sono previsti programmi e corsi scuola/lavoro presso
aziende private o in associazioni di volontariato, con costi a carico del pubblico
e del privato.
74
Sistema scolastico francese e lavoro
Nel sistema francese notiamo alcune particolarità che, brevemente, espo-
niamo. Nell‟educazione primaria vi è un periodo chiamato “classe di scoperta”
dove gli alunni fanno scuola in un ambiente diverso da quello scolastico: al ma-
re, in montagna o anche all‟estero.
A undici anni tutti gli allievi devono frequentare un college (istruzione se-
condaria di primo grado), dove vi è, nei primi anni, un ciclo di osservazione e
negli ultimi (14 e 15 anni) un ciclo di orientamento (verso criteri generali o di
indirizzo professionale). Successivamente, vi è un ciclo di due anni dove lo stu-
dente può scegliere di conseguire un Certificato di Attitudine Professionale, un
Brevetto di Studi Professionali, oppure il titolo di Baccalaureat (simile alla no-
stra maturità).
L'istruzione professionale, suddivisa in due livelli di formazione
corrispondenti a due livelli di qualifica, prevede tre indirizzi di studio:
quello corrispondente alla preparazione del CAP (Certificat d'aptitude
professionnelle – Certificato di attitudine professionale), quello corri-
75
spondente alla preparazione del BEP (Brevet d'études professionnelles –
Brevetto di studi professionali) e quello corrispondente alla preparazione
del baccalauréat professionale. Il primo livello di formazione comprende
le classi che preparano in due anni al CAP e al BEP.
Il secondo livello di formazione corrisponde al ciclo terminale e
comprende gli ultimi due anni che conducono al conseguimento del bac-
calauréat professionale. In una comunicazione del marzo 2000 vengono
definiti i contenuti e l'organizzazione di questa formazione gestita in col-
laborazione con le parti sociali nel contesto dell'insegnamento professio-
nale integrato, che non può essere concepito senza il partenariato con i
settori professionali afferenti alle varie specializzazioni offerte. L'istituto
scolastico, l'alunno e l'impresa devono essere legati da un vero e proprio
contratto, che indica le attività professionali che l'alunno dovrà svolgere,
le modalità del suo inquadramento attraverso la figura di un tutor e gli
obiettivi che dovranno essere raggiunti e valutati al termine del periodo
in impresa. Negli istituti scolastici viene designato un coordinatore, a li-
vello di Académie, che servirà da collegamento con i settori economici.
Si accede a questo tipo di istruzione a 14 anni, dopo aver concluso il ci-
clo di istruzione secondaria di primo grado (Collège).
76
Il corso per conseguire il CAP o il BEP ha una durata di due anni
(15-17), mentre il corso per conseguire il bac professionale dura 4 anni o
2 anni se lo studente è già in possesso di un CAP o di un BEP. Le ore
destinate agli insegnamenti generali, a quelli tecnologici e professionali
e ai periodi di apprendistato in impresa sono suddivise nel seguente mo-
do: per il CAP 14,30/16 ore settimanali di insegnamenti generali e
12/17 di Insegnamenti tecnologici e professionali, con 12 settimane
all'anno di apprendistato in impresa; per il BEP 14/22 ore settimanali di
insegnamenti generali e 16/20 di insegnamenti tecnologici e professio-
nali, con 8 settimane all'anno di Apprendistato in impresa; per il BAC
pro 12/14 ore settimanali di Insegnamenti generali e 16/18 di Insegna-
menti tecnologici e professionali, con 16/20 settimane all'anno di Ap-
prendistato in impresa. Dopo il conseguimento del CAP o del BEP è pos-
sibile accedere al mondo del lavoro o proseguire gli studi per il conse-
guimento del Bac professionale o accedere al 2° anno del percorso tecno-
logico (première di adattamento) per il conseguimento del Bac tecnologi-
co.
Dopo il conseguimento del Bac professionale è possibile accedere
al mondo del lavoro o proseguire gli studi a livello superiore.
77
Il sistema tedesco
In Germania il sistema scolastico è ampiamente decentrato a livello re-
gionale e locale, mentre lo Stato assume solo un ruolo di coordinamento. Dopo
la scuola di base (dai 6 ai 10 anni di età), già nella scuola secondaria di primo
grado, vi sono diversi indirizzi formativi culturali, tecnici, professionali (anche
se il primo biennio è comune a tutti gli allievi). I corsi durano dai 6 ai nove an-
ni.
Tra i 14 e i 16 anni gli alunni compiono uno stage obbligatorio in azien-
da di 3 settimane. Dai 16 ai 19 anni si articola la secondaria superiore, con in-
dirizzo a carattere generale, professionale (questo indirizzo prevede il sistema di
alternanza scuola/lavoro, chiamato sistema duale) o misto. Tra l‟altro, tra le ma-
terie obbligatorie previste vi sono sport e religione.
In sostanza il sistema tedesco è interessante per il forte legame tra scuola
e mondo del lavoro, per la varietà dell’offerta formativa, per il carattere
qualificante e specialistico dei vari indirizzi. Gli studenti possono (e la mag-
gioranza di essi lo fanno) proseguire la formazione professionale con il sistema
duale, dove lo studente stipula un contratto di apprendistato biennale o triennale
con l‟azienda ospitante che lo paga. Nel sistema duale, 3-4 giorni sono dedicati
al lavoro, 2-3 giorni a scuola. La scelta del duale con apprendistato può avvenire
sia prima della maturità, sia dopo.
78
Il sistema danese
Il sistema danese è giudicato dagli esperti il migliore d’Europa. Lo stu-
dente ha l‟obbligo di istruirsi fino a 16 anni, ma non è obbligato ad andare a
scuola. Può benissimo essere istruito a casa o in una scuola privata, secondo gli
stessi criteri stabiliti per la scuola pubblica (frequentata, tuttavia, dall‟89% degli
studenti). Gli edifici hanno molti spazi aperti e pochissime aule. L'obiettivo è
quello di incentivare il lavoro di gruppo tra gli studenti, ma anche di stimolare i
professori all'utilizzo di metodi didattici differenti dalle classiche lezioni fronta-
li.
Gli obiettivi formativi sono: la crescita individuale di ogni allievo; lo svi-
luppo di una personalità indipendente e matura; la preparazione di ognuno ad es-
sere membro di una società basata sulla libertà, sull'uguaglianza e sulla demo-
crazia.
Gli allievi possono rimanere insieme per tutta la durata degli studi obbliga-
tori. Un insegnante li accompagna per tutti i primi 9 anni, conoscendone così
personalità, attitudini, sistema famigliare e personalizzandone l‟insegnamento.
Inoltre, vi sono insegnanti specializzati che si dedicano alla consulenza - allievi.
I contenuti formativi sono decentralizzati al massimo (si stabiliscono a livello di
Comune che finanzia direttamente la Scuola). Vi è un Comitato Scolastico for-
mato dal Preside, da due insegnanti, due studenti e da 5/ 7 genitori. Il rapporto
scuola – famiglia è molto forte.
79
Un modello ottimale di crescita personale e sociale
Le materie obbligatorie nel sistema scolastico danese, per tutti gli allie-
vi, sono le seguenti: lingua materna, matematica, religione ed educazione fisi-
ca a tutti i livelli; arte dal primo al quinto livello; musica e scienze dal primo al
sesto livello; storia dal terzo all'ottavo livello; inglese dal quarto al nono livello;
economia domestica ed altre attività pratiche per almeno un livello dal quarto al
settimo livello; geografia e biologia al settimo e all'ottavo livello; fisica e chi-
mica dal settimo al nono livello; tedesco (o francese) dal settimo al nono livello;
studi sociali al nono livello. Inoltre, nel curriculum devono essere inclusi an-
che i seguenti argomenti: educazione stradale; educazione alla salute e sessuale;
orientamento all'istruzione di livello superiore e al mercato del lavoro.
Dall‟ottavo al decimo livello viene anche offerta una serie di materie
opzionali, che prevedono: lingue straniere, informatica, fotografia, teatro ecc.
Gli allievi devono scegliere almeno una materia opzionale tra un gruppo di 20
materie. Al decimo livello gli studenti che lo desiderano possono studiare anche
latino. Molto incentivato dalla scuola danese è l'utilizzo del computer: i compi-
ti in classe e il materiale per le lezioni si trova tutto online; durante i compiti in
classe i professori e gli studenti si possono contattare reciprocamente via chat
per chiedere delucidazioni o chiarimenti.
80
Scuole professionali e non professionali
Nella scuola secondaria superiore quasi tutti i giovani danesi riman-
gono a scuola dopo aver finito l'obbligo. Circa il 45% sceglie di frequentare il
1decimo anno opzionale della Folkeskole; solamente il 5% smette di studiare al-
la fine della scuola dell'obbligo. Il 50% dei giovani si iscrive ad un corso di studi
professionali (tecnico o commerciale); mentre il 45% si iscrive alla scuola se-
condaria superiore.
Gli istituti di istruzione secondaria superiore sono amministrati dai
consigli provinciali e l'85% di essi sono di proprietà dello Stato.
In Danimarca esistono due tipi di scuola secondaria superiore non pro-
fessionale: il gymnasium, che dura 3 anni e che prepara gli studenti per gli studi
a livello universitario o equivalente; e i corsi HF (Höjere Forberedelseseksa-
men), che preparano gli studenti ad affrontare gli esami a livello superiore in una
o più discipline.
81
Scuola e Lavoro
L'istruzione professionale in Danimarca è suddivisa in due indirizzi
(tecnico e commerciale) che si concludono con esami. Altrimenti, esistono corsi
sandwich della durata di tre o quattro anni che preparano gli studenti al mondo
del lavoro. Molti di questi ultimi corsi danno anche accesso all'istruzione supe-
riore.
I corsi professionali sono destinati ai giovani tra i 16 e i 20 anni e riguar-
dano una vasta gamma di programmi (per il settore sociale, kil settore commer-
ciale, settori tecnici, marittimi, agrari ecc.). Vi sono oltre 200 specializzazioni.
Alternano formazione teorica (40-50%) e pratica (50-60%) svolta nelle im-
prese. Sono coordinati dal Ministerodell‟Istruzione e dai Consigli di Commercio
Centrali, ma gli Istituti hanno una larga autonomia, in cooperazione tra le parti
sociali e i Consigli di Formazione a livello locale, i quali assistono gli Istituti
nella programmazione scolastica, perché corrisponda pienamente e si adatti alle
esigenze locali del mondo del lavoro. Gli studenti possono provare, nel corso dei
loro studi, più programmi per familiarizzare con le materie scelte.
Per accedere ai programmi di istruzione e formazione professionale, in ge-
nere, è necessario aver concluso l'istruzione obbligatoria. In principio l'ammis-
sione è libera, ma è possibile che sia limitata nei casi in cui il numero di iscri-
zioni a determinati programmi ecceda le richieste del mondo del lavoro di per-
sonale qualificato all'interno di una certa specializzazione.
82
III LEZIONE Educazione Civile e Politica
3.1 Educazione all’essere cittadini
Da sempre, uno dei temi più dibattuti in Italia è senz‟altro quello
dell‟educazione alla cittadinanza, che dovrebbe essere un percorso svolto in tutta
la durate degli studi di ogni ordine e grado. Si è sempre trattato di una grossa
contraddizione perché tale compito, prioritario per una formazione civile e poli-
tica, è sempre stato declamato, inserito nei programmi scolastici e quasi sempre
disatteso. Il risultato di questo paradosso è stato che gli italiani sono sempre sta-
ti, in larga parte della loro storia recente, cattivi cittadini, mancanti di senso civi-
co e comunitario (salvo esprimere la loro emotività durante l‟emergenza, durante
83
devastanti catastrofi nazionali), protestatari e qualunquisti, ignoranti di politica e
lontani dalla partecipazione alla vita pubblica, non formati all‟autonomia e per-
tanto facili ad essere manipolati dalla finanza, dalla politica e dai media. Questa
analisi impietosa (poco propagandata) è confermata da una serie di indagini con-
dotte negli ultimi trent‟anni e di cui daremo conto più avanti, corroborata dal pa-
re di eminenti esponenti del mondo della cultura.
Questa grave colpa è stata sovente rimproverata al sistema scolastico (non
sempre a ragione) ed ha determinato reazioni infantili da parte degli stessi opera-
tori del sistema: per alcuni, l‟educazione civica sarebbe una materia opzionale (il
più delle volte veniva insegnata da docenti in materie letterarie “con mal di pan-
cia” e poco informati e formati sulla complessità della materia); per altri, la co-
siddetta educazione civica sarebbe sparsa tra le varie materie; per altri ancora,
sarebbe costituita da un insieme di troppe materie intrecciate per poter essere in-
segnata con successo (educazione costituzionale, educazione alla guida, al sesso,
alla legalità, alla protezione civile ecc. ecc.), per altri ancora corrisponde al dirit-
to (ma notiamo che questa materia esiste solo in alcuni Istituti Professionali),
ecc.
La cittadinanza
Nei sistemi scolastici europei, esaminati precedentemente, si è visto quan-
to l’educazione alla cittadinanza sia centrale e, se si va a verificare
l‟attuazione in quei sistemi, si scopre che questa educazione viene eseguita con
84
passione, rigore scientifico e professionalità, sia che il sistema la preveda come
materia autonoma, oppure come integrazione di altre materie o trasversale a tutte
le materie. La “cittadinanza” è un concetto che in ogni paese europeo ha un pro-
prio significato. Ogni nazione ha una propria politica educativa che riguarda
l‟educazione alla cittadinanza e la promuove tramite il sistema scolastico. A di-
versificarsi sono i contenuti e gli obiettivi e i modi di affrontare la tematica sono
molteplici: questa infatti può essere presentata come materia separata, integrata o
trasversale.
Con il termine materia separata ci si riferisce a una disciplina autonoma
che può essere obbligatoria o che è presentata come materia opzionale. Per mate-
ria integrata si intende una disciplina che è parte costitutiva di una o più materie
differenti, quali ad esempio la storia o la geografia. Con il termine tematica tra-
sversale, infine, ci si riferisce a un insieme di contenuti inerenti l‟educazione alla
cittadinanza che sono distribuiti in tutto il curriculum degli studi.
Vediamo come viene affrontato l‟insegnamento della materia in vari paesi
europei. In Spagna l‟educazione alla cittadinanza viene proposta sia come mate-
ria integrata sia come tematica trasversale in tutti i livelli di istruzione. Nella
scuola primaria viene presentata agli studenti sia attraverso la materia Ambiente
Naturale, Culturale e Sociale sia tramite Letteratura Spagnola. Nella scuola se-
condaria inferiore viene affrontata all‟interno dell‟insegnamento di Etica, di
85
Scienze sociali, di Geografia e Storia. Nella scuola secondaria superiore, a se-
conda dei vari indirizzi scelti dagli alunni, l‟educazione alla cittadinanza rientra
tra le tematiche analizzate durante l‟insegnamento del Latino e di Economia.
In Francia l‟educazione alla cittadinanza è affrontata in maniera differente
a seconda dei diversi gradi di istruzione. A livello dell‟istruzione primaria è pro-
posta come tematica trasversale dal terzo al quinto anno di scuola assicurando
almeno un‟ora alla settimana. Nella scuola secondaria inferiore viene insegnata
per mezz‟ora alla settimana come materia integrata alle lezioni di Storia e Geo-
grafia. Per quanto riguarda la scuola secondaria superiore invece la materia è sia
separata che integrata, assume il nome di Educazione Civica, Giuridica e Sociale
e viene affrontata per un‟ora alla settimana.
In Belgio il termine “cittadinanza” è riferito alla partecipazione del cittadi-
no a tutti gli aspetti della vita politica, sociale, economica e culturale della socie-
tà di cui egli è parte. Viene insegnata a livello primario come materia separata
obbligatoria Orientamento Mondiale e come tematica trasversale di educazione
alla cittadinanza nelle materie Educazione Religiosa e Morale, Storia e Geogra-
fia, Scienze Naturali e Sociali.
In Inghilterra durante gli anni della scuola primaria la materia Cittadi-
nanza non è obbligatoria, ma gli stessi concetti li troviamo integrati in Educa-
86
zione Personale, Sociale e alla Salute. Nella scuola secondaria inferiore e in
quella superiore è invece materia separata e l‟insegnamento dura cinque anni.
In Germania il concetto di cittadinanza viene spiegato nell‟art. 33 della
Grundgesetz (legge fondamentale): “Tutti i tedeschi hanno, in ciascun Land, gli
stessi diritti e doveri civici”. Ma in Germania esiste anche un forte legame tra
l‟educazione alla cittadinanza e la religione: nell‟articolo 1 della Prima Legge
sull‟Ordinamento del Sistema Scolastico del Land del Nord Reno – Vestfalia, in-
fatti, rientra tra gli obiettivi fondamentali dell‟istruzione il “rispetto di Dio”. A
livello di scuola primaria, l‟educazione alla cittadinanza è inclusa
nell‟insegnamento di Geografia Regionale ed Educazione Scientifica e Tecnica
di Base. A livello di scuola secondaria inferiore e superiore è un‟opzione del
curriculum e fa parte di Studi Sociali/Politica.
In Grecia il concetto di cittadinanza è legato alla condizione legale e poli-
tica tramite la quale il cittadino acquisisce diritti e doveri in quanto individuo.
Nella scuola primaria, Educazione Civica e Sociale è una materia separata ob-
bligatoria e copre una lezione alla settimana durante il quinto ed il sesto anno di
studi. Nella secondaria inferiore oltre a essere svolta separatamente in Educazio-
ne Civica e Sociale (una lezione a settimana durante il terzo anno) è anche inte-
grata ad altre materie quali Letteratura Greca antica e moderna, Storia, Psico-
logia, Diritto Civico, Civilizzazione e Radici Europee e Scienze dell’Ambiente.
87
Nella scuola secondaria superiore nel corso del secondo anno vengono dedicate
due lezioni alla settimana come disciplina separata, denominata Introduzione al-
la Legge e alle Istituzioni.
In Polonia uno dei valori più significativi da far acquisire tramite
l‟insegnamento dell‟educazione alla cittadinanza è il Patriottismo. Durante la
scuola primaria è materia integrata a Educazione alla Vita in Società, Storia e
Società. A livello di scuola secondaria inferiore è materia separata, prende il
nome di Conoscenza della Società, e viene insegnata nel corso di una lezione al-
la settimana per tre anni. Tuttavia è anche integrata ad altre materie ad essa col-
legate fra le quali: Educazione Europea, Cultura Polacca nel Contesto della Ci-
viltà Mediterranea e Educazione Regionale - Eredità Culturale della Religione.
Nella Repubblica ceca l‟educazione alla cittadinanza viene vista come
mezzo per rafforzare la democrazia e promuovere la cooperazione tra le nazioni
europee e mondiali. Lo scopo è quello di far sviluppare agli studenti non solo
conoscenze teoriche, ma competenze e capacità pratiche tali da metterli in grado
di vivere in maniera sana, responsabile e ispirata all‟interno della collettività.
Nella scuola primaria l‟educazione alla cittadinanza è presentata come materia
integrata: all‟inizio alla materia Ambiente Locale poi a Storia Nazionale e Geo-
grafica. Nel corso della secondaria inferiore è materia separata e prende il nome
di Educazione Civica. Durante gli anni della secondaria superiore è di nuovo
88
materia integrata ai Fondamenti di Scienze Sociali. Su un periodo che dura due
anni nel corso della scuola secondaria superiore viene insegnata come materia
separata: Conoscenza della Società.
In Finlandia, dove la partecipazione attiva nella vita della comunità e lo
sviluppo delle attitudini e dei valori riveste un ruolo fondamentale, lo scopo
principale dell‟educazione è la crescita armoniosa e sana degli studenti al fine di
renderli cittadini capaci di rispettare la vita, la natura e i diritti umani. Nella
scuola primaria infatti l‟educazione alla cittadinanza è integrata nella materia
Studi Ambientali e Naturali, insegnamento nel quale è posta particolare atten-
zione alla protezione dell‟ambiente e allo sviluppo sostenibile. A livello di scuo-
la secondaria inferiore e superiore è sia materia integrata in Storia e Studi Sociali
sia materia trasversale a tutte le discipline.
In Italia non si parla di educazione civica fino al 1958, anno in cui l‟allora
Ministro della Pubblica Istruzione, Aldo Moro, introduce l‟educazione civica
nelle scuole medie e superiori: due ore al mese obbligatorie, affidate al professo-
re di storia, senza valutazione. L‟educazione civica, come educazione a diventa-
re cittadini, come studio delle forme di governo di una cittadinanza con par-
ticolare attenzione al ruolo dei cittadini risale, in Occidente, a Platone,
nell‟antica Grecia, e, in Oriente a Confucio, nell‟antica Cina!
89
Il Ministro della pubblica istruzione del passato governo Berlusconi, Ma-
riastella Gelmini, aveva proposto di istituire un‟ora settimanale nelle varie scuo-
le della materia “diritto alla cittadinanza”, come disciplina a sé stante, obbligato-
ria, ma la materia, in prima battuta,veniva proposta come sperimentazione
(ancora!), a decorrere dall‟anno scolastico 2008/2009. Se leggiamo il decreto
capiamo che non si tratta di una cosa seria. Infatti così recita il decreto:
“1. A decorrere dall’inizio dell’anno scolastico 2008/2009, oltre ad una
sperimentazione nazionale, ai sensi dell’articolo 11 del decreto del Presidente
della Repubblica 8 marzo 1999, n. 275, sono attivate azioni di sensibilizzazione
e di formazione del personale finalizzate all’acquisizione nel primo e nel secon-
do ciclo di istruzione delle conoscenze e delle competenze relative a «Cittadi-
nanza e Costituzione», nell’ambito delle aree storico-geografica e storico-socia-
le e del monte ore complessivo previsto per le stesse. Iniziative analoghe sono
avviate nella scuola dell’infanzia.
2. All’attuazione del presente articolo si provvede entro i limiti delle ri-
sorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente”. Il
Ministro sembra aver raccolto, in prima battuta, le varie petizioni, proposte e
vere e alcune proprie intimazioni, provenienti da tante associazioni e sembra
aver voluto, successivamente, tacitare queste richieste con un provvedimento di-
scutibile.
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Gli insegnanti, soci UAAR, stanno in effetti confermando che, a quanto ri-
sulta alle autorità scolastiche, nulla è sostanzialmente cambiato rispetto al passa-
to: l‟educazione civica va insegnata all‟interno di altre materie. Il decreto del go-
verno non individua peraltro nemmeno i contenuti di “Cittadinanza e Costituzio-
ne”. E così sono ritornate le proteste e le richieste di reintrodurre la materia ob-
bligatoria, pur se in varie forme. Ad esempio, un‟iniziativa che ha avuto una cer-
ta risonanza è stata promossa dalla Fondazione “Prima Persona”, e Dario Vassal-
lo, presidente della Fondazione, ha lanciato la campagna di raccolta firme per la
petizione popolare “L‟educazione civica torna a scuola”. In questo modo si
chiede al Ministero dell‟Istruzione l‟introduzione, nelle scuole secondarie di
primo e secondo grado, dell‟educazione civica, di elementi del diritto comunita-
rio e di una seconda lingua europea. La raccolta di firme è in corso.
Al convegno è intervenuto anche il vice presidente del Parlamento Euro-
peo. "La scuola – ha dichiarato Gianni Pittella, vicepresidente del Parlamento
Europeo - ha la funzione fondamentale di formare il cittadino alla piena parteci-
pazione alla vita pubblica, a essere attore della lotta all'illegalità e alla criminali-
tà organizzata, a essere a pieno titolo, cittadino europeo”. “L' educazione civica
– scrive Dario Vassallo sulla pagina Fb della Fondazione - è una disciplina fon-
damentale, non solo per la scuola, ma per la Società tutta. E' una materia fonda-
mentale per una società civile, che vuole migliorare lo stato sociale e culturale
dei propri cittadini. […] È una condizione che ti permette di crescere non solo
91
economicamente, ma anche culturalmente. È il rispetto delle regole, delle perso-
ne meno abbienti, dei diversamente abili. Significa il rispetto dell'ambiente, della
natura, delle nostre bellezze, del nostro passato, della nostra storia.”
Qui di seguito ecco riportato il testo della petizione:
“In Italia le ragazze e i ragazzi devono poter crescere pensando al bene
della società e riconoscendosi pienamente cittadini europei. Ciascuno deve esse-
re chiamato a dare il meglio di sé nei confronti della collettività, ma per far que-
sto è necessario partire dalla scuola e dalla formazione. Perciò chiediamo al Mi-
nistro dell‟Istruzione un impegno concreto:
per introdurre nelle scuole un‟educazione civica:
che sia strumento di un nuovo civismo diffuso,
che ispiri atteggiamento propositivo verso le istituzioni,
che insegni rispetto tra i generi e le pari opportunità,
che suggerisca il rifiuto di ogni forma di discriminazione,
che sia orientata a principi non violenti,
che restituisca alla scuola italiana il compito di promuovere buoni cittadini.
per prevedere una scuola dalla visione europea:
92
che insegni i primi elementi di diritto comunitario,
che faccia conoscere il funzionamento delle istituzioni europee,
che renda obbligatorio lo studio di una seconda lingua comunitaria”.
Visitando i siti del Ministero si scopre che esiste, ad esempio, un ufficio
scolastico della Lombardia denominato"educazione alla cittadinanza e alla so-
lidarieta': cultura dei diritti umani". In uno studio avviato da questo ufficio si
afferma, tra l‟altro:
“L'educazione civica insegnata oggi nella scuola appare inadeguata alle
esigenze di un mondo in rapida trasformazione: la globalizzazione,
l‟individualismo civico, lo sviluppo del grande mercato del mondo, il multicultu-
ralismo, le reti di comunicazione che hanno mutato il volto delle nostre società.
Non si tratta però, soltanto di aggiornare la scuola per affrontare queste trasfor-
mazioni. E‟ necessario un patto tra la società e la scuola che permetta di rinnova-
re e rafforzare quel grande progetto pedagogico che è l‟educazione alla cittadi-
nanza e che si colloca oggi esattamente in questo passaggio tra il dire e il fare, in
un momento di riforma della scuola (ma quando la scuola italiana non è stata in
corso di riforma?) e di mutamenti sociali, tra iniziative vivaci e creative delle
scuole e dibattito sulle nuove Indicazioni nazionali.”
93
Educare alla cittadinanza significa educare gli studenti ai diritti umani,
alla cultura e alle differenze culturali, alla morale, all‟identità nazionale e locale,
alla libertà e all‟uguaglianza, alla partecipazione politica, al pluralismo, al pen-
siero critico, alla responsabilità, alla società globale.
Contratto società – scuola
Un insegnante che voglia insegnare, far capire e motivare all‟educazione
civica si trova di fronte ad un compito complesso. Occorrono forti dote cogni-
tive, emotive e valoriali, critiche, comunicative, pratiche, di esempio agli alunni
nei comportamenti.
Molti insegnanti sono consapevoli di questo, chiedono di essere formati a
questo compito e richiedono che sia reintrodotta l’educazione civica come
materia obbligatoria centrale nelle scuole primarie e secondarie (vedere, ad
esempio, l‟inchiesta condotta dal MIUR sul territorio lombardo), molte associa-
zioni stanno raccogliendo petizioni per ottenere questi obiettivo. Diversi settori
della società italiana si sono resi conto che il fallimento della politica (al di là
della capacità di risolvere problemi, oggi la classe politica è largamente squalifi-
cata per il modo di presentarsi ai cittadini (come tutti i sondaggi degli ultimi anni
dimostrano), per l‟impotenza di dare risposte sociali e non solo economiciste alla
crisi finanziaria, per il mancato raggiungimento dell‟Italia al livello di tanti stan-
dard sociali ed educativi nord europei. Bisogna ricordare che la formazione delle
classi dirigenti di una nazione (politiche, economiche e culturali) dipendono dai
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valori introiettati nell‟infanzia e nella giovinezza dai sui cittadini. Socializzare
ed educare alla cittadinanza diventa un compito fondamentale, deve diventare un
contratto tra società e sistema scolastico, tra sistema politico e sistema educativo.
3.1 Educazione alla partecipazione politica
In alcuni paesi avanzati, la prima ora scolastica viene dedicata alla lettura
critica del giornale e/o dei media. E‟ il modo migliore per far sentire gli allievi
cittadini del proprio paese e del mondo e per invogliare i futuri cittadini alla
partecipazione politica.
La partecipazione civile e politica è l’insieme di azioni, competenze e di-
sposizioni con cui il cittadino manifesta il suo impegno nel governo della so-
cietà. Il cittadino va educato a questo impegno. Nella scuola italiana questa edu-
cazione manca totalmente, salvo l‟azione personale che viene svolta in tal senso
di alcuni meritevoli docenti.
Gli italiani non educati, negli anni scorsi, all‟identità della Repubblica Ita-
liana, come faranno oggi ad educarsi alla cultura europea, al pluralismo, alla
multidimensionalità, all‟uguaglianza, all‟autonomia? In un famoso saggio il so-
ciologo Adorno, uno dei principali fondatori della Scuola di Francoforte, nel
1949, spiegava l‟affermarsi del nazismo e del fascismo (che furono sostenuti, fe-
nomeno da non dimenticare, da forti movimenti popolari) in Germania ed in Ita-
lia con una sbagliata educazione dei bambini e dei giovani orientati verso una
95
personalità autoritaria ed etnocentrica, interiorizzata precedentemente
all‟avvento delle dittature in questi paesi, mentre negli altri paesi nord europei si
educavano i giovani alla personalità individualistica, autodeterminata, critica e
democratica. Genitori ed insegnanti, secondo Adorno, sono stati i responsabili
principali dei due diversi tipi di educazione.
Democrazia è partecipazione
Autori come Bruner, Dewey, Lipman sostengono che la scuola deve riu-
scire a rendere capaci gli allievi di sviluppare un pensiero creativo ed un pen-
siero critico autocorrettivo, attento al contesto ed in grado di pervenire ad un
giudizio attraverso criteri logici e universali (che loro chiamano metacriteri) e
nell‟ambito di un confronto responsabile, attraverso la connessione di fatti ed
idee. Questo significa liberarsi dai pregiudizi, dalle chiusure, dalle abitudini ed
empatizzare con gli altri, vivere in comunità.
Politica, diritto, economia, morale: queste discipline intrecciate dovreb-
bero formare la base dell‟educazione civica e politica delle persone. Il disprezzo
continuo verso la politica, soprattutto operato dai media e accettato dalla Scuola
in generale, ha portato alla non partecipazione civica, al disinteresse verso i
grandi temi di fondo della società, alla delega in bianco proprio ai politici che,
tra l‟altro, la gente non sente come loro rappresentati. La politica, così concepi-
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ta, è diventata succube di altri poteri forti (finanza interna ed internazionale, or-
ganismi più o meno occulti, magistratura) non democratici, ma autocratici, auto -
referenti, controllori e controllati, che decidono la vita di milioni di persone, in
base a propri interessi di casta.
La democrazia è partecipazione e controllo delle decisioni. La politica
costituisce la scienza e l‟arte più nobile, in quanto si interessa del bene pubblico
(Res - pubblica). La partecipazione dei cittadini alle decisioni riguardanti il bene
pubblico inizia dal Comune, dal quartiere, ed ha come base una corretta infor-
mazione ed una buona educazione al bene comune. La scuola deve stimolare
questa partecipazione e questa conoscenza. Senza questi presupposti non si può
parlare, neanche in generale, di educazione tout court nella scuola. Motivare e
far appassionare gli studenti di ogni ordine e grado attraverso l‟insegnamento
centrale dell‟educazione alla cittadinanza alla partecipazione politica significa
far appassionare i giovani ai problemi sociali per affrontare e risolvere positiva-
mente gli stessi problemi.
Gli educatori dovrebbero ricordare, a propostito, la famosa frase di Don
Lorenzo Milani, elaborato nella Scuola di Barbiana: “il problema degli altri è
uguale al mio, sortirne insieme è la politica, sortirne da soli è l‟avarizia”. In que-
sta prospettiva i giovani troverebbero un senso pieno della loro vita e con questa
impostazione la società combatterebbe l‟acuirsi del disagio giovanile di massa,
superando varie forme di asocialità, diverse forme violente attuate da gruppi sel-
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vaggi, sarebbe in grado di prevenire la criminalità dei cittadini nazionali ed extra
comunitari. In questa ottica l‟educazione, scolastica ed extra scolastica, deve
essere vista non solo in chiave di riuscita socializzazione, ma anche in chiave
preventiva, rispetto ai mali collettivi, ai disagi sociali e giovanili. L‟esempio di
alcune scuole del Nord Europa a questo proposito è illuminante: le deviazioni
gravi riscontrate in questi paesi, da parte dei giovani, sono sensibilmente inferio-
ri rispetto a quelle dei paesi Sud – europei. E‟ questo un divario che attiene alla
cultura, ma anche alla decisione politica di investire nella formazione del perso-
nale docente e dotare la Scuola di strumenti psicologici e sociologici di supporto
educativo e formativo durante tutto il periodo della scuola dell‟obbligo.
Gli strumenti messi in campo dalla sociologia, a tale proposito, non solo
permettono di capire i fenomeni dell‟anomia e della devianza, soprattutto della
devianza grave ed universalmente ritenuta tale, ma consentono anche azioni pra-
tiche per prevenire o “curare” questi fenomeni. Esaminiamo i concetti ed i criteri
di definizione e di intervento della disciplina sociologica.
L’anomia e devianza
L’anomia può essere definita come l‟assenza di punti di riferimento, la
mancanza o la contraddittorietà di regole e valori socialmente condivisi, il diva-
rio esistente tra i fini proposti da una società e i mezzi prescritti per raggiungere
questi fini, la mancanza di senso della società e quindi della vita. Questi punti di
riferimento sono indispensabili per orientare la nostra vita e quella degli altri e
98
sono necessari per preservare la nostra identità personale. La devianza si veri-
fica quando un soggetto si discosta da un comportamento standard, da norme
sociali formali (leggi scritte) o informali (saluti. consuetudini, ecc.) dominanti o
praticate da un gruppo significativo della società, quando un individuo devia dal-
le aspettative di status/ruolo o anche quando si discosta da idee e credenze con-
divise. La devianza deriva dalle aspettative altrui e viene punita con varie san-
zioni, formali e informali: discredito, stigmatizzazione, isolamento, discrimina-
zione, cura, correzione, punizione, reclusione, rieducazione (elementi del con-
trollo sociale). Ogni società vuole che ogni cittadino segua le norme di compor-
tamento stabilite, i valori della cultura dominate, che l‟individuo non diventi de-
viante ma si integri, collabori attivamente per raggiungere i fini voluti, concorda-
ti insieme o imposti da chi detiene il potere.
La sociologia studia i comportamenti anomali o devianti, (es. indossare
calzini di colore vistosamente diversi è un comportamento anomalo, anche se
innocuo) o anormali (crimini, es. omicidio, stupro); analizza i danni arrecati agli
individui e alla società; cerca di comprendere i percorsi sociali che hanno por-
tato persone con alcuni disagi sociali a diventare devianti gravi (es. emarginati,
malati di mente, tossicodipendenti, criminali). Studiando i contesti, le strutture
sociali, le diverse culture e socializzazioni, cerca di capire le cause e si impe-
gna nella ricerca di soluzioni adeguate e indica strumenti utili di aiuto alle
persone protagoniste della devianza o vittime di essa. Ma tra le varie società e
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culture cambiano i concetti di devianza. Qualche secolo fa, quando veniva vio-
lata la proprietà del re da parte di un suddito (magari solo per il furto di un fa-
giano) si decretava la morte immediata per il suddito reo del fatto; oppure il si-
stema giudiziario praticava un trattamento molto diverso se il reato riguardava
l‟omicidio di un nobile, da parte di una persona comune, punito con la morte e,
invece, l‟omicidio di un popolano da parte di un nobile, a volte punito, see
quando veniva punito, con pene lievi. Altri esempi dimostrano la relatività della
devianza. Solo qualche secolo fa, lo stupro non solo era permesso, ma incentiva-
to durante le conquiste militari (pena la dequalifica del soldato); la malattia ve-
niva ritenuta una iettatura, la conseguenza di una colpa; l‟omosessualità era pu-
nita; in alcuni paesi le bambine era ritenute inutili (nella Cina interna, fino a
qualche anno fa, venivano uccise se nate in proporzioni superiori ai maschi).
Così, sono cambiati tanti modi di osservare, approvare o criminalizzare va-
ri fenomeni: prostituzione, fumo, alcolismo ecc.. Gli stessi concetti o le leggi
possono essere ambigui, imprecisi (ad esempio: attraversare le strisce pedonali
vien considerato ancora un comportamento deviante? E regalare qualche ogget-
tino a funzionari pubblici?). La devianza, lo ribadiamo, non si identifica con la
criminalità, ma con la diversità (di abitudini, di vestire, di mangiare, di avere
opinioni particolari, ecc.). Ci può essere disaccordo sulle aspettative di ruolo tra
gruppi (ad esempio le leggi razziali emanate dal fascismo hanno avuto scarsa
applicazione da parte degli italiani, rispetto all‟applicazione di tanti cittadini te-
100
deschi) e quindi ne derivano diversi concetti di devianza. Nelle società pluraliste
un comportamento può essere deviante per una persona e non per un‟altra (ad
esempio l‟omosessualità, il tradimento, l‟alcolismo, l‟aborto, la poligamia, le
droghe leggeri, ecc.) La devianza viene giudicata solitamente dal cittadino co-
mune ( e molto spesso anche dalla Scuola) mettendosi dalla parte di chi osser-
va e giudica, non dalla parte del “deviato”: questo atteggiamento costituisce un
grave errore, perché non fa capire le motivazioni che hanno portato una persona
a diventare deviante e le condizioni del contesto sociale ove è avvenuta la de-
vianza. Coloro che si mettono a giudicare tali comportamenti applicano varie
etichette al deviante: etichette generali sull‟atto (male, peccato, malattia, sfortu-
na ecc.) e particolari sul deviato (delinquente, matto, maledetto, spostato, iettato-
re ecc.).Il giudizio è sempre relativo e la dimostrazione avviene raffrontando
piccole o grandi mancanze. (Un esempio è costituito dalla trasgressione delle re-
gole in un convento dei frati: parlare durante le preghiere è considerato un fatto
gravissimo, mentre non è così grave per i credenti che assistono, bisbigliando, ad
una cerimonia religiosa).
Le leggi, e quindi le devianze, riflettono la cultura prevalente di una socie-
tà e molto spesso riflettono anche gli interessi dei gruppi dominanti che influi-
scono affinché queste leggi siano costruite e approvate a loro favore. Questi
gruppi si ingegnano nell‟opera di convincimento dei cittadini, con vari messaggi
tendenti a dimostrare che queste leggi sono emanate nell‟interesse generale, si
101
ispirano ai valori fondamentali della società (pensiamo alle tante guerre combat-
tute per la patria). Un buon educatore, un buon insegnante riesce a dare strumen-
ti di giudizio attraverso i quali l‟allievo decide autonomamente, in base ai prin-
cipi morali universali, se un comportamento è deviante, strano, oppure crimina-
le, antiumano, ecc.
Conformità e devianza
Per il sociologo, conformità e devianza sono due facce della stessa me-
daglia, sono naturali entrambe in una società. Vi sono e vi debbono essere in
ogni società, anche come strumento di raffronto e conoscenza. Se ci sono regole,
ruoli assegnati, culture dominanti, poteri costituiti, sistemi cui fare riferimento,
deve esistere, in modo corrispondente, la possibilità di violarli, di cambiarli. E’
la diversità di reazione a questi elementi che qualifica un individuo, un
gruppo, una società. La capacità di contenere le anormalità (devianze gravi), di
prevenirle, di correggerle, di reinserire le persone devianti, di integrarle nel con-
teso e di reintegrale sono azioni che costruiscono una buona società ed una buo-
na Scuola. Una buona comunicazione a livello di rapporti sociali, una soddisfa-
cente socializzazione ed una relativa educazione, una cultura insegnata ed incen-
trata sui valori umani (non sull‟alienazione dell‟uomo che si identifica con gli
oggetti che lui stesso ha creato), una vera integrazione economica e sociale: tutte
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queste azioni derivano da istituzioni che mettono al centro l’educazione ver-
so la realizzazione dell’uomo e della solidarietà sociale, sono conseguenze di
una Scuola che elimina le barriere di ogni tipo, sono determinate da un sistema
di lavoro auto e realizzante per tutti, da un sistema politico che incentiva la li-
bertà dei cittadini, (in grado di comportarsi secondo diritti e doveri giusti e con-
divisi). Una società deve riuscire ad organizzarsi in modo tale da avere ridotte
disuguaglianze di reddito, di sapere, di accesso alle informazioni, al potere, ai
mezzi di comunicazione e deve avere un forte spirito di condivisione culturale
dei suoi fini generali, dei suoi valori di fondo, degli ideali educativi.
Questi elementi sono un esempio di organizzazione e di funzionamento di
una buona società, che costituiscono il patrimonio di base di alcuni paesi del
Nord Europa. Non si capisce perché anche altri paesi non possano seguirli. Que-
sti principi generali vanno tradotti nelle buone azioni quotidiane. Il crimine
è più alto dove le strutture sociali e culturali sono deboli ed i rapporti tra gli uo-
mini sono poco solidali o conflittuali, dove si stigmatizzano “le persone diverse”
senza capire, dove il sistema repressivo è inumano, non rieducativo e integrati-
vo. Le responsabilità maggiori non sono individuali, ma sociali, della società
collettivamente intesa e degli apparati di controllo, in particolare. Basti pensare
che, ancora oggi, secondo i sondaggi, la maggioranza degli italiani vorrebbe
reintrodurre la pena di morte per i crimini più efferati, mentre in tutto il mondo
si sta tentando di eliminarla in quei pochi Stati che ancora la praticano! Oppure
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vorrebbero carceri più dure ed inumane per i condannati, quando tutte le statisti-
che dimostrano che reprimere e inculcare odio rappresentano manifestazioni di
debolezza e costituiscono azioni che ingigantiscono il risentimento e determina-
no nuove criminalità. Se un popolo come quello italiano, comunemente giudica-
to, (secondo una visione stereotipata e obsoleta) come composto da brava gente,
coltiva, in realtà, queste convinzioni anti – umane, occorre ricercare le cause
proprio nell‟educazione ricevuta dai bambini e dai giovani.
Spiegazioni della devianza
La spiegazioni della devianza e della criminalità hanno sempre impegnato
medici, biologi, psicologi e sociologi, educatori. In estrema sintesi accenniamo
ai risultati prodotti dagli studi in proposito. Vi sono spiegazioni biologiche della
devianza e della criminalità: per Lombroso, Sheldon e altri studiosi, la devianza
va fatta risalire all‟aspetto fisico presentato dalle persone, per altri ancora ad una
questione genetica (cromosomi diversi). Ma queste spiegazioni si sono dimostra-
te fallimentari: sono stati trovati, infatti, gli stessi caratteri fisici e la stessa serie
di geni, sia in alcuni gruppi di santi, sia in altri gruppi formati da persone dedite
abitualmente al crimine grave. Vi sono spiegazioni psicologiche: mancanza di
inibizioni, complessi sessuali, turbe psichiche, immaturità emotiva, aggressività
(ma come spiegare i più grandi reati relativi all‟evasione fiscale?, oppure l‟ ec-
cesso di velocità alla guida di un‟autovettura da parte di persone “perbene”?). Vi
possono essere ragioni nella personalità e nelle diverse motivazioni (spiegazioni
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combinate), ma le analisi biologiche e psicologiche non sono riuscite a spiegare
le devianze gravi come la criminalità. Come hanno dimostrato diversi sociologi,
le cause sono anche quelle precedentemente esaminate, ma queste si integrano,
quasi sempre, con cause di natura sociale. Vediamo allora, in estrema sintesi, le
spiegazioni sociali. La teoria dell’anomia di Durkeim, già vista precedente-
mente, rileva la mancanza o la contraddizione tra i valori sociali che determina
spaesamento, crisi e comportamenti autolesionisti, fino a determinare il suicidio.
La teoria dell’anomia di Merton si basa su uno schema nomico (tabella di re-
gole, di valori socialmente approvati) e sulle capacità di adattamento dei cittadi-
ni. In sostanza, la differenza tra i fini di una società ed i mezzi istituzionalizzati
per raggiungere questi fini porta ad un disagio che può tradursi in criminalità; ad
esempio, l‟autore dimostra che la criminalità americana era dovuta prevalente-
mente, negli anni Trenta del Novecento, a cittadini di origine italiane (Al Capo-
ne ecc.), irlandesi o francesi meridionali, popolazioni dai forti valori della civiltà
contadina che, arrivati in America, non erano riusciti ad integrarsi nella cultura e
nella società del “sogno americano”, così erano si erano trovati ai margini della
società e, quindi, avevano applicato i valori portati dalla loro società tradiziona-
le di provenienza (solidarietà, mutuo soccorso, parola data ecc.) in attività orga-
nizzata deviante, in gruppi di emarginati delusi e rancorosi, che si sono poi svi-
luppati in bande criminali. La spiegazione di Sellin della criminalità è costitui-
ta dal processo di apprendimento contrapposto dei valori culturali appartenenti a
105
gruppi diversi da quelli dominanti. Miller ritiene la devianza grave sia ispirata
e motivata dall‟imitazione, da parte dei giovani, dei tipi preferiti
dall‟immaginario giovanile: ad esempio il tipo idealizzato e mitizzato dello stu-
dente duro, del ragazzo bullo scelto da molte coetanee per il suo ardire nello sfi-
dare i potenti, ecc. Shuterland afferma che la criminalità si apprende
dall‟ambiente in cui si è nati e in cui si è stati socializzati. Colin/Ohlin sosten-
gono che la criminalità permette ricompense di potere, di prestigio, di posizione,
di immagine sociale tali che inducono i giovani a perseguirla: basti osservare
l‟immagine di prestigio e di potere verso la camorra presente in molti giovani
che vivono in alcuni quartieri delle città partenopee, ben descritta dallo scrittore
Saviano e poi tradotta efficacemente nel relativo film.
Possiamo fare il punto e sintetizzare le cause che incentivano la de-
vianza grave, secondo i risultati di vari studi e di diverse indagini sociologiche
effettuate dagli studiosi e sociologi contemporanei.
1) Disorientamento sociale, anomia, disgregazione di un gruppo o di una
società. La società moderna ha messo in crisi i rapporti umani, i valori e le
norme tradizionali, ma non li ha sostituiti pienamente con nuovi valori e
nuove regole adatte al tempo e basate sui valori umani di fondo (felicità,
auto e etero realizzazione, libertà, creatività, solidarietà, comunità).
2) Contesto ambientale. Troppa gente vive in piccoli spazi, in aree margi-
nali, inquinate, con culture diverse e contrastanti. Nei ristretti spazi a di-
106
sposizione mancano o sono precari i servizi essenziali. Questa situazione
porta a conflitti tra gli abitanti, a tensioni singole e di gruppo,
all‟alcolismo diffuso, a violenze domestiche ed extra domestiche, a suicidi
ed omicidi. Diverse famiglie vivono e sono condizionati, in larga parte, in
ambienti controllati dalla criminalità organizzata.
3) Divario mezzi/fini di una società. Nelle società moderne occidentali i fi-
ni (impressi nella cultura generale e nelle aspettative della popolazione)
sono: il successo, l‟affermazione economica, la carriera professionale,
l‟elevato tenore di vita. Ma i mezzi (risorse) sono scarsi, sono distribuiti
male, pochi ne hanno a disposizione in numero sufficiente per condurre
una vita abbastanza agiata, la maggioranza della popolazione ne ha pochi
e alcuni soggetti sono completamente tagliati fuori dal contesto sociale e
vivono ai margini. Così molti individui sono frustrati, insoddisfatti e que-
sta situazione porta al disorientamento, all‟ansia, di fronte ai successi, più
o meno leciti, di altri. Alcuni perseguono gli stessi fini sociali approvati
dalla società con mezzi illegittimi non approvati, non regolari (successo
proveniente da varie attività: racket, prostituzione, gioco d‟azzardo, corru-
zioni, sequestri, truffe, ecc.)
4) Subculture. Sono processi di socializzazione che formano culture partico-
lari, distinte e/o alternative a quelle generali della società. Ad esempio,
molti giovani crescono in quartieri napoletani come Scampia, oppure in
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paesi calabresi come Platì, dove la malavita detta legge, protegge le per-
sone e le mantiene economicamente, dove un diffuso sistema locale è col-
luso con la criminalità: questi giovani hanno, di fronte a loro, tre scelte:
allontanarsi da questo ambiente ed emigrare, nella speranza che, nel frat-
tempo, il loro ambiente d‟origine cambi profondamente; integrarsi e se-
guire le regole criminali del sistema; combattere il sistema a rischio della
propria vita. Non si tratta, in questo caso, di problemi connessi al disorien-
tamento, alla mancanza di regole o valori, ma di una cultura che permea
gruppi locali ben definiti, in grado di trasmettere ai nuovi cittadini valori
opposti a quelli ufficiali, considerati negativi, mentre i valori alternativi
vengono interiorizzati fin da piccoli (mito dell‟uomo duro che si oppone
alle istituzioni e sfida la morte, grande successo economico ottenuto fa-
cilmente con scorciatoie varie, ecc.). A volte questa subcultura si identifi-
ca con una minoranza etnica tagliata fuori dal successo ed inizia con pic-
coli furti, vandalismo, scontri etnici per poi diventare, progressivamente,
criminalità organizzata.
5) Costruzione sociale del crimine. In questo caso il crimine è prodotto dal-
la definizione della società con stigma, sanzioni, isolamento. Queste defi-
nizioni e discriminazioni non danno possibilità a diversi cittadini, facenti
parti di gruppi discriminati, di vivere alla pari con gli altri, allora alcuni
cercano espedienti diversi per far fronte alla situazione, producendo, di
108
fatto, un‟ulteriore emarginazione o marginalizzazione. Il soggetto si iden-
tifica con le definizioni che la società, le istituzioni o gruppi significativi
gli conferiscono (drogato, criminale, delinquente ecc.), quindi lo stesso
soggetto (spesso giovane) assume su di sé il marchio che altri significativi
gli continuano ad imprimere, cambia la sua personalità sotto la pressione
sociale, perché l‟unica possibilità che egli ha a disposizione per liberarsi
dallo stigma è avere una nuova identità di criminale o di deviante cor-
rispondente a quello che vuole la società e svolgere così un nuovo ruolo
adatto a tale identità. Anche se, in partenza, questo soggetto è un innocuo
cittadino “normale”, il contesto lo induce e lo incita a diventare crimina-
le.
6) crimine come progetto razionale. In questo caso il crimine diventa una
libera scelta dell‟individuo. Costituisce una strategia intenzionale per ot-
tenere vantaggi economici, di potere, di prestigio. Si tratta di soggetti con-
sapevoli dei benefici (superiori) e dei rischi (minori) che si corrono nel
commettere questi atti. Essi attuano una efficiente pianificazione del cri-
mine e svolgono analisi (a volte di grande spessore scientifico e strategi-
co) della situazione adatta per poterlo commettere. Ne sono esempio le
grandi e spettacolari rapine del secolo o le colossali truffe verso migliaia
di società o milioni di risparmiatori. Da notare che tutte le cause esami-
nate dagli studiosi sopra richiamati, molto spesso, si intrecciano, a diversi
109
livelli. Un aspetto da sottolineare deriva dall‟influenza di comportamenti
criminali proposti al gruppo dei pari da alcuni giovani che riescono, com-
portandosi da veri leader, a trascinare gli altri componenti del gruppo (o la
maggior parte) in imprese audaci e fortemente trasgressive.
Scuola, devianza, socializzazione e risocializzazione
Negli anni dell‟adolescenza, è essenzialmente la Scuola che potrebbe ren-
dersi conto di questo fenomeno e prevenirlo o, se è il caso, stroncarlo. Eviden-
temente deve essere una Scuola non sola capace di perseguire primariamente il
“completamento del programma proposto dal Ministero”, ma una Scuola in gra-
do di ascoltare, capire e indicare al gruppo dei pari motivazioni e azioni positive,
impegna doli praticamente in modo interattivo. Come ripetiamo in diverse parti,
tale Scuola ha bisogno di avere a disposizione risorse, strutture relative, tempo
adeguato per educare e socializzare i bambini e i giovani, insegnanti formati a
questo compito e collaboratori specializzati di supporto.
Nelle società moderne ci deve essere un necessario equilibrio nei vari tipi
di controllo (repressivi e integrativi) e una vasta tolleranza delle diversità e delle
devianze culturali minori, una prevenzione ed una efficace ed efficiente opera di
repressione delle grandi devianze sociali e della criminalità, insieme alla possibi-
lità di un organico sistema di risocializzazione, di reinserimento sociale per tut-
ti. In questo senso, alcune nostre carceri presentano situazioni tra le più orrende
d‟Europa.
110
Chi ha insegnato in carcere e chi vi lavora, a vario titolo ( educatori, guar-
die, docenti ecc.) può testimoniare che il trattamento riservato alla popolazione
carceraria è, in generale, antiumano, è ancora imperniato sull‟odio, sul razzismo,
sul risentimento e sulla vendetta. Tale clima aumenta la recidiva (ripetizione dei
reati) ed incentiva la cattiveria di chi è stato detenuto e quindi, quando viene li-
berato, sfoga ancora questi risentimenti contro la società che lo ha segregato e
maltrattato. A questo si aggiungano le scarse possibilità lavorative presenti
all‟interno di strutture ormai obsolete e si capirà quanto l‟istituzione carceraria
sia anticostituzionale (sono inapplicati, infatti, i principi basilari dell‟umanità nel
trattamento e del reinserimento nella vita sociale). Un aspetto positivo avviatosi
negli ultimi decenni riguarda la delinquenza minorile che, per fortuna, evita di
inserire i minori nelle carceri (luoghi di apprendimento di ancora più alti livelli
delinquenziali) e cerca in ogni modo di aiutarli con l‟educazione e l‟integrazione
in strutture territoriali adeguate.
Se è giusto privare momentaneamente un individuo del grande bene della
libertà personale è anche giusto che una società possegga norme e leggi che ga-
rantiscono rapporti sociali equi e stabilità collettiva. Le leggi ingiuste possono
difficilmente essere rispettate. I soggetti-attori sociali, i giovani che partecipano
ai diritti di status, di protezione, di sicurezza, di reddito ecc. devono, naturalmen-
te, accettare anche i doveri sociali, applicare le norme giuste e ricevere le san-
zioni adeguate in caso di infrazioni. Occorre, a tal proposito, educare il citta-
111
dino ad uscire dal senso comune, a formarsi una cultura attiva del vivere in so-
cietà, conoscendone l‟organizzazione sociale, il suo funzionamento e parteci-
pando attivamente alla vita delle istituzioni.
Stereotipi, pregiudizi, discriminazioni
Spesso le problematiche esaminate nascono da profondi e radicati ste-
reotipi e da forti pregiudizi che alterano le conoscenze, i rapporti economici,
sociali e politici, con conseguenti discriminazioni, violenze, delinquenze. Com-
pito fondamentale della Scuola rimane quello di far superare gli stereotipi ed i
pregiudizi, cause di molti disagi e di violenti conflitti sociali. A questo proposito
vediamo come la sociologia studia lo stereotipo, il pregiudizio e la discrimina-
zione e quali rimedi indica agli educatori e alle istituzioni apposite per superarli.
Gli stereotipi sono schemi di pensiero (credenze, opinioni rigidamente
connesse tra di loro) che rappresentano in modo troppo semplice la complessa
realtà sociale in cui viviamo o l‟ambiente che ci circonda. . Possono essere basati
su un fondo di verità che viene, però, categorizzato e generalizzato. Lo stereo-
tipo è necessario perché serve a organizzare l’esperienza e a conoscere la
realtà complessa del mondo, raggruppa le informazioni elementari in gruppi, in
mappe concettuali, in schemi mentali. Serve ad orientarsi attraverso la categoriz-
zazione e la generalizzazione. Ci difende dall‟ignoto. Ma è sempre grossolano,
rigido: è una scorciatoia per conoscere troppo in fretta noi stessi, gli altri e la
realtà che ci circonda. Lo stereotipo, potremmo dire, è necessario in prima battu-
112
ta, poi va sempre superato: bisogna conoscere veramente, riflettere, analizzare
l‟oggetto, il luogo, il contesto, il vero significato, la persona, il gruppo. Per supe-
rare gli stereotipi occorre sperimentare l‟educazione a vedere l‟altro, ad immede-
simarvisi, a capire le varie azioni che diversi soggetti mettono in atto in un de-
terminato contesto ( da con – tessere = tessere insieme), a comprendere l‟effetto
complessivo di queste interazioni e a saperle definire autonomamente, non se-
guendo e accettando passivamente le facili e comode definizioni offerte dalla
tradizione, dal senso comune, da persone importanti che dettano le opinioni pre-
valenti.
L’uomo ha la capacità di conoscere la realtà non in modo diretto, ma
mediato dalle immagini mentali che di quella realtà ciascuno si forma e che poi
riproduce mentalmente. Le nostre immagini mentali sono anche mediate social-
mente, vengono imparate dalla famiglia, dagli amici, dalla scuola, dai sistemi
sociali in cui siamo inseriti. Lo stereotipo semplifica l‟ambiente, ma annulla le
differenze. Coincide con il sentito dire, il senso comune: tutti sono così, così fan
tutti ecc. E‟ facile da applicare nelle argomentazioni della vita, non costa niente,
non si fa fatica a generalizzare, è comodo criticare in modo qualunquistico, anzi
questa critica diffusa dà una certa soddisfazione, un certo prurito compiacente.
Lo stereotipo, per la sua presa sull‟immaginario collettivo, si usa abbondante-
mente in pubblicità, nell‟arte, nelle sit-com e in tante espressioni sociali.
113
Lo stereotipo è anche un’idea (o rappresentazione) socialmente condi-
visa da un gruppo verso individui che appartengono ad un gruppo sociale diver-
so, che hanno caratteristiche e qualità diverse. Queste rappresentazioni (stereo-
tipi collettivi) determinano, spesso, differenti comportamenti sociali. Conside-
riamo ad esempio il Gruppo A e il gruppo B. Attraverso una obiettiva analisi,
possiamo considerare come A raffigura B, poi come A pensa di essere raffigu-
rato da B, ma anche come A raffigura sé stesso ed, infine, come A pensa che B si
raffiguri. E viceversa possiamo considerare le stesse fasi, nel processo di consi-
derazione che abbiamo osservato in A per il gruppo B.
Spesso i componenti di un gruppo possiedono opinioni e atteggiamenti
condivisi estremamente semplici della realtà o di un altro gruppo (ad esempio si
dice che: “gli italiani sono dei musicisti e dei cantanti.. i tedeschi sono rigidi e
militareschi.. gli americani sono bamboccioni.. gli ebrei sono avari, così come
lo sono i genovesi e gli scozzesi.” ecc.). Categorizzare, misurare è tipico
dell‟uomo e quindi naturale. Vi possono essere, però, diversi tipi di stereotipi,
Alcuni sono neutri, ad esempio: “gli italiani gesticolano molto quando parlano”.
Altri sono stereotipi positivi: “gli italiani sono degli inventori, hanno molta fan-
tasia”. Altri sono negativi: gli italiani sono disorganizzati, sporcaccioni e fannul-
loni ecc. Nello stereotipo tendiamo spesso ad attribuire ai singoli individui le ca-
tegorie con le quali abbiamo definito un‟intera categoria. Poi li estendiamo a ca-
ratteri e qualità che non c‟entrano nulla con le ragioni che hanno originato lo ste-
114
reotipo, ad esempio: gli italiani gesticolano (fatto in generale vero per diverse
persone, ma non per tutte), perché sono disorganizzati (la disorganizzazione non
c‟entra nulla con la causa del gesticolare e la mancata organizzazione, comun-
que, è un‟altra generalizzazione) e non riescono a controllarsi perché sono emo-
tivi ( il controllo e l‟eccessiva emotività non sono manifestazioni legate al gesti-
colare che, semmai, ne è conseguenza).
In molti comportamenti tendiamo ad una accentuazione percettiva imme-
diata, rispetto ad un‟analisi ragionata, e questo determina un‟alterazione della
realtà, una serie di illusioni ottiche, la prevalenza dell‟apparenza e non della
realtà vera. Pertanto, fare esperienza costituisce sempre un problema di verifica
della realtà, che si supera con una diversa visione, con un diverso punto di os-
servazione, con una riflessione ragionata (come testimonia la fenomenologia di
Husserl, la psicologia della percezione e la scuola psicologica della Gestalt).
Figura 1
115
Figura 2
Nelle figure 1 e 2 mostriamo alcuni esempi di percezioni ottiche illusorie:
le lunghezze dei segmenti della figura 1 sono uguali, ma sembrano diverse per-
ché inserite in contesti diversi. Nella figura 2 vi sono percezioni ottiche fisiche e
psicologiche:i due mostriciattoli sembrano di grandezza diversa, ma in realtà,
se li misuriamo, sono perfettamente uguali (è la diversa posizione dello sfondo
che li diversifica, all’apparenza); non solo, il mostriciattolo in fondo sembra
116
l’inseguitore cattivo e quello davanti appare l’inseguito debole che scappa:
magari, invece, stanno scappando entrambi da un pericolo comune, come po-
trebbe essere un incendio, una persona pericolosa ecc. Oltre a considerare
l’opposizione apparenza - realtà nei fenomeni naturali di osservazione (pensia-
mo alla teoria della relatività di Einstein), consideriamo i fenomeni di costru-
zione della realtà operata, ad esempio, dai media. Il principio gestaltico afferma
che l’atto della percezione è regolato da vere e proprie nome che strutturano la
visione e che gli oggetti sono diversi in base a come vengono presentati (si pensi
a due persone dalla forme uguagli ma che indossano due magliette diverse, una
con le strisce verticali, l’altra con le strisce orizzontali: la prima tenderà ad es-
sere vista come magra, l’altra più robusta, come insegna una delle principali
regole della moda). Questo modo diverso di presentare gli oggetti, le persone e
anche le idee può dar adito a varie manipolazioni,a stereotipi collettivi. si pensi,
in proposito, alle possibilità offerte dall’uso di raffinate tecniche dei mass me-
dia, come in seguito, vedremo.
Gli stereotipi sono duri a morire, ad esempio, osserviamo quelli ancora
oggi persistente sulla donna (considerata, da alcuni, inferiore rispetto ai maschi),
sugli omosessuali (considerati naturalmente degenerati), sugli italiani ecc.) Data
la loro persistenza in forma singola e collettiva e per la loro intensità sono atten-
to oggetto di studio, per capire come l‟uomo vede la realtà in prima approssima-
zione e come può vederla con adeguate informazioni, osservarla da differenti
117
punti di vista, attraverso un percorso analitico e sintetico, di tesi e antitesi, con
un processo che educa allo spirito critico.
La sociologia dimostra l‟infondatezza di queste schematiche rappresenta-
zioni, perché esse generalizzano i comportamenti di alcuni individui o gruppi
particolari. Purtroppo troppi cittadini ragionano in base agli stereotipi che ven-
gono tramandati. E‟ più comodo, non si fa fatica a dire e a pensare quello che
“tutti dicono o pensano”, oppure a condividere quello che “è stato sempre così,
“si è fatto sempre così” o, ancora, a diffondere pettegolezzi tramandati con per-
sonali integrazioni o diffusi ad arte per delegittimare o colpire determinate per-
sone: il tutto senza verificare la veridicità e l‟autorevolezza delle informazioni e
delle fonti. Questo fenomeno, spesso, viene assunto dai media che si adeguano
ai pruriti e alle pulsioni più basse della massa per compiacerla, accarezzarla
mentalmente e sfruttarla in base a vari fini.
Lo stereotipo viene costruito scegliendo un bersaglio, etichettando questo
bersaglio in base alle conoscenze precedenti, alle convenienze del linguaggio
corrente, ai nostri e ai giudizi dominanti o di moda; poi si selezionano certe ca-
ratteristiche fisiche o culturali del bersaglio scelto (negri, biondi, troppo riflessi-
vi o troppo effimeri, ecc.) per attribuire a queste caratteristiche qualità morali o
idee anomale. Lo stereotipo è necessario all‟inizio di ogni nuova esperienza, ma
lo dobbiamo (soprattutto lo devono fare gli insegnanti e gli educatori) far supe-
rare, attraverso le pratiche dell‟esplorare, del conoscere, del cercare sempre di
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capire, di ascoltare, di elaborare, di rappresentarci meglio l‟altro, i gruppi e la
realtà, di superare il facile, il comodo, il parlar male, delk liberarsi
dall‟educazione sbagliata ricevuta , dell‟uscire dalla comoda abitudine di ade-
guarsi alle idee circolanti. E‟ necessario adottare questa mentalità ed adoperarsi
per far capire tutto questo agli studenti, ai gruppi di allievi verso i quali è rivolta
l‟azione educativa.
Vediamo ancora meglio come possiamo superare gli stereotipi radicati
e sedimentati nella nostra mente. Analizziamo prima i seguenti elementi, le se-
guenti tendenze:
1) La nostra mente, per necessità, deforma la realtà,
2) il contesto socio-culturale in cui siamo cresciuti (dove ci siamo forma-
ti) e in cui viviamo ci condiziona e ci invita o ci costringe ad accettar-
lo,
3) il gruppo, lo spirito collettivo ci condiziona e ci invita ad uniformarci
al comportamento prevalente di una data epoca o di un determinato
gruppo,
4) il periodo storico in cui viviamo ci condiziona e ci plasma.
Allora occorre uscire da questi condizionamenti attraverso questi metodi di
comportamento:
1) non fidarci dei nostri sensi (come ci mostrano le illusioni percettive
prima raffigurate e spiegate),
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2) essere critici verso la società e la cultura, verso i mezzi di socializza-
zione e le agenzie relative che non sono sempre adeguate o che hanno
interessi, tradizioni, idee radicate ecc. (famiglia, scuola, media, religio-
ne),
3) essere critici verso i gruppi di appartenenza (non subire il processo di
intruppamento, di de - soggettivizzazione, del gregge, del branco, o,
peggio, del branco selvaggio, ma interagire in un vero gruppo solidari-
stico),
4) capire il periodo storico in cui si vive ed essere critici, guardarlo, per
un momento, come se fosse un altro periodo e, nello stesso modo,
guardare fatti, che sembrano insignificanti, come fatti importanti da
storicizzare e da inserire in un contesto. Ognuno deve portare, nei vari
livelli di appartenenza sociale, il proprio originale contributo.
Rispetto allo stereotipo, il pregiudizio, invece, è precedente
all‟esperienza, è conoscenza senza possesso di dati certi e verificati e, in ogni ca-
so, produce sempre conseguenze negative . E‟ anche la tendenza a giudicare in
modo negativo le persone che appartengono ad un determinato gruppo sociale,
spesso svantaggiato o minoritario.
Il pregiudizio è, in sostanza, uno stereotipo negativo. L‟uomo tende a
conoscere le altre persone e il mondo circostante usando una griglia di categorie
derivanti dalla sua tradizione culturale, in questa possono, e avviene molto spes-
120
so, trovare posto pregiudizi. Le immagini negative attribuite ad alcuni gruppi so-
ciali sono perlopiù proiezioni delle proprie inadeguatezze interne: paure, rabbie,
frustrazioni, aggressività. I gruppi oggetto di pregiudizio diventano colpevoli (e,
a volte, veri e propri capri espiatori) dei nostri problemi che non riusciamo a ri-
solvere pienamente, dei nostri disagi interiori che non riusciamo a superare. La
marchiatura impressa condurrà al verificarsi reale di determinati comportamenti
negativi profetizzati, perché frutto di aspettative: il gruppo marchiato si compor-
terà secondo quanto gli altri si aspettano da lui e così il gruppo giudicante può
dirsi soddisfatto: aveva ragione! E‟ quello che voleva vedere. Ma quali sono le
conseguenze di questa profezia avverata?). Il Pregiudizio deriva anzitutto dal
non ascolto. C‟è una sostanziale differenza tra sentire ed ascoltare (che è
un‟azione attiva e vuol dire partecipare ai problemi, alle sensazioni, alle idee al-
trui, empatizzare con l‟altro e gli altri).
L’incontro tra culture diverse diventa pericoloso se un gruppo è con-
vinto di appartenere ad un mondo di valori più giusto dell‟altro, assolutamente
migliore. I pregiudizi di genere come l‟ antisemitismo, la svalutazione dei gio-
vani, la considerazione della scarsa utilità degli anziani, la condanna dei tossico-
dipendenti ecc. a volte avvengono in modi sottili e mascherati. Possiamo osser-
vare il buonista apparente, che appare così nell‟atteggiamento, il quale può di-
ventare il peggior razzista nel comportamento effettivo, così come il peggior
razzista nell‟atteggiamento, può comportarsi invece, sul piano pratico, in modo
121
alquanto tollerante. E‟ quanto è accaduto durante la segregazione razziale verso
la popolazione di colone negli Stati Uniti d‟America dove alcune persone colte e
benestanti, apparentemente aperte verso i neri, disdegnavano la loro presenza nei
luoghi pubblici, mente altre persone appartenenti al ceto popolare, apparente-
mente razzisti nei loro discorsi, accorrevano quando famiglie di neri avevano bi-
sogno mezzi per il loro sostentamento.
Il pregiudizio può essere individuale (biologico, psicologico), sociale,
normale o eccezionale. L’ostilità verso ciò che non si conosce, verso quello che
è diverso da noi (l‟uomo ha la tendenza a riconoscersi in oggetti simili e diversi
rispetto ad altri) manifesta un atteggiamento di per sé non negativo, tendente alla
protezione del proprio territorio, dei propri simili ed è presente in noi così come
lo è la tendenza alla cooperazione verso gli altri uomini, verso l‟esplorazione,
verso l‟apertura e la conoscenza del nuovo.
L‟uomo, socializzato e maturo, sa scegliere. Il soggetto cresce socializzan-
dosi tra identità personale e appartenenza sociale, tra la realizzazione delle
proprie esigenze e la costrizione sociale.
L‟immagine che una persona ha di sé stessa non nasce da una riflessione
solitaria, ma da un continuo confronto tra il sé e gli altri, che considera non solo
come singoli ma anche dividendoli in categorie sociali (in base al reddito, alla
professione svolta, alle considerazioni sociali in voga in un determinato tempo,
in base al ceto, alla classe, al potere). L‟individuo tende al favoritismo di grup-
122
po, che si estrinseca nell‟autostima, nei linguaggi usati, nelle immagini colletti-
ve, negli atteggiamenti e nei comportamenti.
L‟individuo tende a dividere il mondo in “Noi e loro”. Se, ad esempio, os-
serviamo le squadre di calcio e le loro tifoserie, tra quali gli estremisti e, a vol-
te, pericolosi ultras, vediamo, nei loro comportamenti, l‟espressione, a volte an-
che naturale, che si richiama ad appartenenze comuni, a tradizioni, frequentazio-
ni comuni ecc., a volte, invece, gli ultras vanno più in là, mettendo a ferro e
fuoco gli stadi e sfogando, con la violenza, le loro repressioni e frustrazioni.
Analogo fenomeno può accadere tra gli allievi nelle istituzioni scolastiche verso
le strutture educative, verso gli insegnanti e verso i coetanei discriminati dalle
idee sociali comuni.
In sintesi:
lo Stereotipo è un ’immagine mentale riduttiva.
il Pregiudizio è uno stereotipo negativo.
la Discriminazione è un comportamento effettivo di esclusione, di divisione, di
emarginazione verso altri singoli o gruppi.
Stereotipi e pregiudizi diventano strumenti forti, da sfruttare da parte di
personaggi interessati per aizzare conflitti di gruppo, per escludere una parte di
popolazione dalla lotta competitiva nell‟accaparramento di risorse scarse in un
certo territorio. Derivano anche da confronti all‟interno di un gruppo nelle varie
123
epoche. “Eravamo meglio allora”, “stavamo meglio prima” dicono, ad esempio,
alcuni capi arabi fondamentalisti, oppure alcuni gruppi di serbi che si sono voluti
vendicare dei mussulmani per una battaglia persa con i turchi (che non erano
mussulmani) dopo un millennio. I gruppi discriminanti cercano di additare la
colpa di un malessere, di un disagio che percorre la loro società, all‟esterno del
gruppo (se non ci fossero loro, saremmo i primi).
La persecuzione ebraica da parte del regime nazista si fondava su questi
presupposti. Il fenomeno che abbiamo descritto viene denominato deprivazione
relativa. Il gruppo confronta la propria vita attuale con quella precedente, con
quella ideale, con quella degli altri. Se vi è un disagio sociale forte, questo si
scarica sul gruppo antagonista o sulle minoranze interne.
I pregiudizi sono persistenti e pericolosi. Se interagiamo con altri gruppi
in base alle nostre aspettative, queste aspettative continue potrebbero verificarsi.
E‟ il caso, già citato, delle diverse profezie autoavverantesi. Se ci aspettiamo
dagli altri che siano deviati e continuiamo a bollarli in questo modo, essi lo di-
venteranno sul serio e, probabilmente esibiranno la propria deviazione in modo
vistoso, lo possiamo vedere, ad esempio, nelle manifestazioni pubbliche dei gay.
Un altro esempio, sul fronte educativo, avviene nella stigmatizzazione del ragaz-
zo che sbaglia. Si tratta di fenomeni sottili, ma non isolati presenti in molti at-
teggiamenti degli insegnati (e non sempre tali atteggiamenti si possono qualifi-
124
care come atteggiamenti spontanei o in buona fede): è quello che viene chiamato
effetto Pigmalione.
In questo quadro, gli insegnanti interagiscono in modo diverso verso gli
studenti. Con quelli bravi e profittevoli mostrano comprensione, aiuto nel risol-
vere carenze e difficoltà, incoraggiamenti, premi ecc. Questi studenti percepi-
scono la differenza verso gli altri, si sentono seguiti e capiti, perciò sono moti-
vati ad aumentare il loro rendimento, mentre la propria immagine si accresce fi-
no a diventare molto positiva, la loro autostima si eleva ed il livello degli obiet-
tivi da raggiungere si innalza ulteriormente. Avviene il contrario per gli altri,
quelli cattivi, che non studiano, trattati con noncuranza o con disprezzo, etichet-
tati malamente, valutati negativamente: così essi riducono drasticamente la loro
già scarsa motivazione, aumentano la tendenza alla disistima verso sé stessi e le
proprie capacità, intensificano il disinteresse per lo studio e per la Scuola.
Culture diverse ed educazione alla cittadinanza
Come risolvere i problemi dei pregiudizi e delle discriminazioni?
L‟uomo non può rimanere senza schemi interpretativi, che sono la base per
la conoscenza. Bisogna, allora, fornire schemi interpretativi alternativi che
preservano la propria identità sociale, ma aumentano anche la conoscenza di al-
tre identità. E‟ quanto affermavamo rispetto all‟incontro tra culture: mettersi nei
panni di altre culture e poi fare un raffronto. Vi sono alcuni processi nei mecca-
nismi di incontro: assimilazione (a volte minacciosa), dove il gruppo forte as-
125
sorbe quello minoritario che rinuncia ai propri modi di vita; fusione, dove diver-
se culture o razze forniscono gli elementi positivi della propria cultura ad una
cultura superiore che li sintetizza Le due strategie, anche se in modo diverso,
portano a ridimensionare o ad annullare le differenze culturali. Il pluralismo
culturale mantiene, invece, le differenze ed arricchisce il patrimonio collettivo
culturale complessivo, tra confronti e coesistenze di culture diverse, come av-
viene negli Stati Uniti, dove si impara ad essere americani, al di sopra delle pro-
venienze etniche che pure permangono e sono valorizzate. E‟ questa la strategia
più efficace e produttiva, ma vi sono alcuni rischi: rifiuto del contatto (facciamo
parte della stessa società, va bene, ma ognuno stia a casa sua) e relativismo spin-
to (rifiuto dei valori assoluti ed universali dell‟umanità, tutto viene accettato, an-
che le perversioni ed i valori sono considerati sempre relativi. Occorre favorire i
contatti tra i diversi, superare gli errori di valutazione e di aspettativa e creare
rapporti di amicizia, solidarietà, nell‟ottica di apprezzamento delle differenze
positive.
Per fare questo occorre, in anticipo, una buona griglia interpretativa, al-
trimenti si favoriscono le ostilità. Occorre una interazione lunga, approfondita e
soddisfacente, un rapporto cooperativo inteso a valorizzare le qualità reciproche,
uno status simile ed un supporto istituzionale e culturale. Molti bei programmi
sono falliti perché i loro fautori pensavano che bastasse far convivere diverse
culture insieme per ottenere una buona integrazione. La Scuola, per le sue carat-
126
teristiche di incontro, per l‟interazione in classi di allievi potenzialmente simili,
per la possibilità di costruire progetti comuni è il luogo ideale per sperimentare
una positiva interazione tra culture divers. E’ sbagliato, però, ignorare le diffe-
renze, perché non viviamo tutti allo stesso modo, non abbiamo lo stesso modo
di fare esperienza del mondo e degli altri. Annullando le culture di provenienza,
si tende a reintrodurre stereotipi e pregiudizi, anche per interpretare le differen-
ze esistenti e, in ogni modo, alcune differenze culturali sono necessarie, perché
ognuno ha bisogno di appartenenza, di valorizzare le proprie radici e la propria
cultura. Si tratta di innescare un dialogo paritario tra le differenze, rispettandole.
Questo confronto analizza i migliori aspetti di un gruppo e dell‟altro, si dispone
alla tolleranza. Ma le esperienze positive degli incontri tra culture vanno genera-
lizzati, non circoscritti a sperimentazioni, altrimenti il riflesso sulla società sarà
effimero.
Ribadiamo che lo Stereotipo è semplicemente una categoria per ordinare in
classi i fenomeni delle nostre esperienze (è naturale, ma le prime impressioni
possono essere falsate). Lo stereotipo non necessariamente diventa pregiudizio.
Il pregiudizio non necessariamente discriminazione. Lo stereotipo è neutrale o
minimale se non è fortemente emozionale ( allora presenta un eccesso di ansie,
di paure che possono tramutarlo in disprezzo e questo disprezzo può diventa
pregiudizio e poi discriminazione). Lo stereotipo è un fenomeno naturale se sle-
gato da interessi particolari. Lo stereotipo ed il pregiudizio possono dare luogo
127
al dislocamento, che consiste in una rabbia pretestuosa verso oggetti che, in
realtà, non sono causa dei nostri mali o alla proiezione, cioè un‟inconscia attri-
buzione ad altri, delle nostre paure, dei nostri desideri, delle nostre caratteristi-
che che riteniamo negative. Pesanti frustrazioni o stringenti controlli dei desideri
non sono riconosciuti dal soggetto che li proietta su altri. Gli studi sociali ineren-
ti il rapporto dei neri americani con donne bianche veniva visto dai bianchi co-
me minaccia, in quanto i neri riuscivano a corteggiare le loro donne e a fare
l‟amore naturalmente, senza avere problemi tipici dei puritani protestanti bianchi
di matrice culturale inglese.
L‟educazione alla cittadinanza e l‟educazione alla politica ed alla parteci-
pazione delle decisioni pubbliche, che poi ricadono sull‟organizzazione e sul
funzionamento delle società, richiede di formare i giovani alla conoscenza del
funzionamento delle istituzioni politiche e di formarli all‟abitudine della parteci-
pazione alla politica. Invece, oggi, la distanza tra la politica ed i cittadini è di-
ventata enorme, il disinteresse verso la politica è generale, la critica qualunqui-
stica è diventata una moda. L‟educatore deve far capire che cos‟è la rappresen-
tanza politica e come può controllarla, perché sia democratica. La rappresen-
tanza politica costituisce la modalità con la quale i cittadini eleggono o desi-
gnano, in qualche modo, i loro rappresentanti nelle istituzioni.
In base al passaggio delle varie forme di società, vi sono corrispondenti
forme di rappresentanze politiche: rappresentanza per mandato (società tradizio-
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nale), rappresentanza indipendente (società liberale), rappresentanza ideologica
(società di massa), rappresentanza funzionale (società di massa in transizione),
rappresentanza pluralistica (società post – moderna). Nella società tradizionale
medioevale si ha una rappresentanza per mandato.
Questo tipo di rappresentanza è basata sul ceto (arti, mestieri e corpora-
zioni). I cittadini che fanno parte di un ceto possono destituire, in ogni momen-
to, i loro rappresentanti, se ritengono che questi non svolgano in modo soddi-
sfacente la loro funzione: ad esempio se essi non riescono a far ridurre le tasse,
non ottengono privilegi fiscali, non riescono a proteggerli da concorrenze esterne
o altri benefici richiesti. La rappresentanza indipendente si ha nella società
liberale, è indipendente perché i rappresentanti non possono essere destituiti
prima delle successive elezioni, anche se gli elettori non condividono più le opi-
nioni e le azioni degli eletti. Gli scopi della rappresentanza non sono più quelli
corporativi del medioevo, ma quelli relativi all‟interesse generale o pubblico. Il
rappresentante non rappresenta i suoi elettori, ma l’interesse generale della
nazione per un determinato periodo e perciò deve essere indipendente da
ogni interesse settoriale o di breve periodo. Inoltre viene eletto su base territoria-
le, perché la rappresentanza della nazione avvenga in tutto il suo territorio.
All‟inizio del liberalismo, i rappresentanti sono eletti per censo: vota chi
dispone di un certo reddito. Con l‟affermazione della società di massa, nei primi
decenni del Novecento, si afferma la rappresentanza ideologica. E‟ il periodo
129
in cui si allarga il numero di cittadini che eleggono i propri rappresentanti. Viene
istituito il suffragio universale, votano tutti e non più solo quelli che posseggono
un certo reddito e un certo livello di istruzione, anche se in molti paesi, ad
esempio l‟Italia, votano solo i maschi; le donne voteranno solo il 2 giugno 1946,
per decidere nel referendum tra monarchia e repubblica e per eleggere i rappre-
sentanti all‟Assemblea Costituente. In questo periodo vi è un contesto politico
sensibilmente mutato, dove sono presenti identità collettive autonome (partiti,
sindacati, associazioni), rappresentanti interessi diversi: capitale e lavoro, città e
campagne, credenti e non credenti, progressisti e conservatori ecc. La politica
rappresenta queste identità collettive, piuttosto che interessi concreti, e quindi
rappresenta un‟ideologia. L‟ideologia si basa su rappresentazioni simboliche del
bene comune di una collettività da parte delle rappresentanze collettive, che
esprimono idee precise, simboli di identificazione che servono ad un gruppo so-
ciale per il loro riconoscimento. I programmi esposti da queste identità colletti-
ve, e le conseguenti proposte di legge dei loro rappresentanti, si basano su gran-
di e suggestivi temi di riforma della società. Per i progressisti tali temi sono: la
fine delle disuguaglianze sociali, la fine (graduale o immediata) del capitalismo,
il diritto allo studio per tutti, la piena occupazione ed il diritto ad un lavoro grati-
ficante, ecc. Per i conservatori i grandi temi sono: il merito individuale come af-
fermazione sociale, la libertà d‟impresa per il benessere collettivo, il comporta-
130
mento morale dei cittadini ecc. Con l‟affermarsi del ceto medio globale, si passa
alla rappresentanza funzionale.
Abbiamo già visto che i partiti, in questo periodo, non hanno più
l‟obiettivo di integrazione sociale dei propri militanti, diminuiscono o quasi si
annullano le contrapposizioni di classe ed i programmi dei partiti non si diffe-
renziano molto tra di loro. Le organizzazioni degli interessi diventano centrali,
tutti i loro interessi sono legittimi e si possono negoziare politicamente.
Alcuni studiosi definiscono questa fase neocorporativistica, simile alla
prima, quella della rappresentanza per mandato delle corporazioni e dei ceti
medioevali. La rappresentanza funzionale riguarda dunque gruppi di interesse
che portano in politica forme di potere non di origine politica, ma economica,
culturale e sociale (grandi gruppi imprenditoriali, grandi associazioni di profes-
sionisti, il potere “separato” dei magistrati”, i sindacati, i gruppi di pressione cul-
turali e ambientali ecc.). Questi gruppi non puntano al bene comune, ma
all‟ottenimento concreto di benefici immediati per i loro aderenti.
La difficoltà di mediare politicamente tra i tanti interessi divergenti, che
mutano continuamente al loro interno e si diversificano nel rapporto con gli altri
gruppi di interesse (cioè aumentano o diminuiscono il loro potere o, addirittura,
spariscono del tutto e vengono sostituiti da altri), mette in crisi la rappresentan-
za funzionale. Si passa alla rappresentanza pluralistica, i partiti si adeguano,
intendendo rappresentare tutti gli interessi presenti nella società. Gruppi più di-
131
sparati, movimenti religiosi, ambientalisti, animalisti, omosessuali, gruppi di sti-
le di vita alternativo ecc. hanno il potere, oltre che il diritto, di rendere pub-
bliche le loro posizioni ed il loro stile di vita e di chiedere di essere rappre-
sentati nelle sedi politiche. Il dibattito sulla nuova forma di rappresentanza è
aperto. Possiamo far notare che, per molti versi, la rappresentanza pluralistica
sembra in perfetta sintonia con quella funzionale: se tutti gli interessi sono le-
gittimi e negoziabili, lo sono maggiormente in una società pluralistica. D‟altro
canto, alcuni sostengono che vi sarebbe una rottura tra le due forme di rappre-
sentanza, perché quella pluralistica, a differenza di quella funzionale, vede la po-
liticizzazione del privato ed una nuova forma di differenziazione funzionale,
con la regolamentazione giuridica estesa e applicata ad istituzioni (scuola,
famiglia, medicina, politica) che prima decidevano autonomamente e/o fa-
cevano rispettare a tutti le regole autonomamente decise. Con questa logica, al-
cune forme di autorità non sono più riconosciute.
Un genitore non può educare i figli come crede, un medico non può essere
insindacabile se una cura non porta giovamento al paziente o, addirittura, porta
dei danni. Un politico non può prendere qualunque decisione in modo discrezio-
nale. Molti interessi privati possono diventare oggetto di interessi rilevanti, an-
che sul piano giudiziario, ricorrendo al giudice. Questo tipo di rappresentanza
nella società post –moderna è valida se l‟orientamento generale della società,
dell‟economia e della politica si rivolge ai grandi valori umani universali, al-
132
trimenti ritorneremmo in una perfida razionalità strumentale, dove i rappresen-
tanti politici, negoziando tutti gli interessi che si evidenziano nella società plura-
lista, per rimanere a galla, cerano di accontentarne, almeno in parte, tutti i gruppi
di interesse. In questo caso, potrebbe essere minacciata la stabilità economica e
sociale. La rappresentanza pluralistica ha bisogno del marketing politico.
Si tratta di una serie di attività indirizzate ad ottenere più voti possibili,
tramite uno scambio tra il partito politico e gli elettori (mercato – target): pro-
grammi adeguati, simboli, messaggi, finanziamenti, sovvenzioni, appelli pubbli-
ci, tempo dedicato, attività di persuasione. Per riabilitare o mostrare gli aspetti
positivi della rappresentanza politica nella società post- moderna, possiamo mo-
strare un aspetto nuovo nel modo di partecipare alla politica. Si tratta di un modo
diretto, continuo ed immediato, chiamato democrazia continua, tramite inter-
net. senza ipotizzare scenari fantascientifici, si può immaginare la democrazia
diretta della piazza, in questo caso di una piazza virtuale ben più ampia, attra-
verso la rete di internet.
Democrazia diretta virtuale?
La piazza virtuale può diventare il nuovo luogo della libera discussione.
Riduce la distanza tra rappresentanti e rappresentati. I rappresentanti possono
essere interpellati in tempo reale sulle decisioni più importanti da prendere.
L‟interazione consentita da internet tra rappresentanti e rappresentati e, a livello
133
territoriale, tra amministratori ed amministrati, potrebbe diventare veramente in-
teressante per la vita democratica e per il pluralismo sociale.
Vi sono problemi però nell‟applicazione della democrazia deliberativa. Il
primo riguarda chi è in grado di usare i nuovi strumenti informatici e, ad oggi,
molta parte della popolazione è ancora, a questo proposito, “analfabeta”. Quindi
il peso sulle decisioni politiche sarebbe riservato ad una parte della popolazione.
Un altro problema consiste nelle pressioni presenti sulla politica da parte di cit-
tadini che portano interessi immediati o per niente ispirati agli interessi generali.
Internet riduce certamente la distanza tra individui e gruppi, ma un gruppo, un
movimento collettivo può intervenire, manifestare, protestare, proporre, criticare
senza spostarsi fisicamente ed essere più influente di altri. Internet consente, o
almeno può rendere possibile, una distribuzione democratica del potere, aumen-
tando la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni politiche ed economi-
che. Un altro aspetto critico riguarda il possesso dei programmi e delle tec-
nologie emittenti dei nuovi mezzi o anche il loro utilizzo da parte dei gruppi in
grado di usare linguaggi settoriali o di proporre e di imporre stili di vita pratica-
ti dal loro gruppo, particolarmente influente e pressante. L‟interazione e la di-
scussione sulla piazza, secondo alcuni critici, alla lunga, sarebbe appannaggio,
quasi esclusivo, di questi gruppi.
Altro aspetto non secondario sarebbe la valutazione delle forme di con-
trollo sugli individui, da parte di un’entità più grande (il richiamo è alla me-
134
tafora del Grande Fratello paventata da Orwell nell suo libro diffuso nel 1984),
che controllerebbe ogni azione individuale, in modo occulto, in violazione di
ogni diritto alla privacy. Questo ulteriore aspetto sarebbe da tenere in grande
considerazione, perché le nuove modalità comunicative elettroniche rappresen-
terebbero un pericolo, invece che un‟opportunità (i grandi “centri di ascolto” lo-
calizzati nel Nord America e i conseguenti scandali scoppiati, hanno reso evi-
dente questo pericolo, fino a qualche anno fa solo ipoterico).
Con le nuove tecnologie, la cosiddetta “opinione pubblica” potrebbe
diventare una realtà immediata, attraverso sondaggi d‟opinione in tempo rea-
le, con feedback immediato e non deduttivo (l‟opinione dei cittadini su un certo
tema verrebbe visualizzato subito, senza aspettare l‟elaborazione dei sondaggi,
molto spesso manipolati). Ormai molte trasmissioni radiofoniche e televisive,
attraverso il telefono, sfornano sondaggi immediati o quasi. Molti politici si
servono dei sondaggi per prendere decisioni importanti, cambiare linea di partito
o semplicemente cambiare opinione su un tema.
Il sondaggio è diventato fonte di manipolazione, di influenza sugli elet-
tori e si presta a interpretazioni diverse. I telespettatori, ad esempio, non pos-
sono controllarlo, non sanno qual è il campione scelto o le domande proposte, a
volte condizionanti, che inducono certe determinate risposte. Basta osservare, in
popolari trasmissioni televisive messe a confronto sullo stesso tema, risultati
sensibilmente diversi. Il potere della televisione, di internet e dei sondaggi di
135
opinione è pericoloso, perché può influenzare l‟elettorato. Ad esempio, una del-
le tattiche adottate consiste nel condizionare gli elettori indecisi, affermando che
il proprio partito è sensibilmente davanti nelle intenzioni di voto degli elettori.
Oggi, senza più ideologie, molti elettori votano chi vince, o, meglio, chi è
in grado di convincere gli elettori che il proprio partito o il proprio schieramento
(coalizione di partiti) sta nettamente vincendo sugli altri. Nel prossimo capitolo
analizzeremo meglio il potere dei media.
136
IV LEZIONE Educazione e mass media
4.1 Educazione ai media tradizionali e nuovi
A livello europeo, il Comitato delle Regioni, nel 2008, rivolgeva una dura
critica alla Commissione dell‟Unione Europea per aver fatto poco o nulla riguar-
do l’educazione ai media dei cittadini europei, in materia di diritto d‟accesso e
di utilizzo, di affermazione di un reale pluralismo, per facilitare la comprensione
del loro funzionamento e la valutazione critica dei loro contenuti. Il Comitato ri-
teneva urgente incoraggiare gli enti locali e regionali a sviluppare partenariati
137
misti, pubblico – privati, a lungo termine, a favore dell'educazione ai media nei
settori dell'istruzione e della formazione formale e non formale.
La comunicazione di massa è un processo che vede la produzione, la tra-
smissione e la diffusione di testi, notizie, brani musicali, sequenze di immagini.
Gli effetti di questo processo sono in grado di raggiungere una notevole quantità
di persone non in relazione fra loro, in tempi molto brevi, o addirittura, imme-
diati (si tratta della comunicazione istantanea, in tempo reale) . I mezzi in grado
di fare questo vengono comunemente chiamati mass media e sono: stampa, libri,
riviste, giornali, manifesti, radio, televisione, cinema, nuovi media (personal
computer, internet), e vari altri strumenti multimediali, in continua evoluzione.
Convergenza telematica
Negli ultimi decenni, dopo la rivoluzione informatica che ha contribuito a
cambiare il mondo di fine millennio, tutti i mass media stanno procedendo ver-
so un processo di convergenza telematica. Diversi studiosi sostengono che
questa convergenza, che viene definita “infocommunication”, sta cambiando e
cambierà proprio il contesto comunicativo, quando sarà intervenuta una definiti-
va integrazione tecnologica tra i media. In effetti, ogni società, come la storia ci
insegna, ha potuto svilupparsi attraverso l‟apporto determinante delle forme tec-
nologiche dei suoi mezzi di comunicazione; le innovazioni più significative, a
questo proposito, hanno dato il via a progressi economici e sociali sconvolgenti.
Al di là dei messaggi forniti dagli emittenti e fruiti dai riceventi, i canali della
138
comunicazione hanno sempre svolto un ruolo fondamentale, dalla pietra rupe-
stre della preistoria, ai satelliti e alle fibre ottiche del mondo contemporaneo.
Alcuni massmediologi (Innis, in particolare) raffigurano le varie tipologie
dell‟uomo nella storia, abbinate ai mezzi di comunicazione maggiormente usati
nella propria epoca: l‟uomo antico è collegato alle incisioni rupestri, l‟uomo
dell‟antichità classica al papiro o alla pergamena, l‟antico cinese all‟invenzione
della carta e dei primi caratteri tipografici, l‟uomo rinascimentale all‟invenzione
della stampa, quello moderno ai primi mezzi di comunicazioni di massa (giorna-
li, poi cinema e radio) e quello post moderno alla presenza pervasiva della tele-
visione, fino ai figli della televisione digitale e del computer di oggi.
Innis ritiene che noi siamo stati e siamo essenzialmente immagine e somi-
glianza dei mezzi di comunicazione che usiamo. A di là di queste affermazioni,
in ogni caso, nessuno può negare che nella nostra società supertecnologica, dota-
ta da una miriade di strumenti comunicativi a disposizione, il rapporto uomo –
macchina (da quelle elettriche a quelle elettroniche) diventa sempre più delicato
e centrale per la vita del singolo e dei gruppi. Nella nostra epoca, per la prima
volta, i diversi elementi che compongono una comunicazione (la voce umana, lo
scritto, l‟immagine) possono essere trasmessi in modo numerico, dopo essere
stati convertiti in bit, vale a dire negli elementi di base del linguaggio informati-
co binario. L‟avvento dell‟informatica diffusa, alla fine del Novecento, ha con-
sentito di trattare le informazioni nello stesso modo in cui le elabora un compu-
139
ter. Così la trasmissione dei messaggi diventa sempre più complessa, interattiva,
integrata e può viaggiare a distanze siderali.
Media e realtà
Oggi più che mai i vari media contribuiscono in modo determinante a
creare continuamente la nostra realtà di riferimento, addirittura costruen-
do una nuova realtà dentro i media (realtà virtuale che si mescola o sostituisce
la nostra realtà vera, come vedremo).
A questo proposito, nel processo di convergenza telematica sono interessa-
ti altri mezzi, da alcuni studiosi considerati media di massa e da altri non consi-
derati tali (che comunque vengono definiti prodotti di massa, non media di
massa, in quanto mancherebbe loro la simultaneità della comunicazione: ma la
questione è discutibile), come software per computer, vhs, cd, tablet, telefonini
sofisticati ecc. Il computer e gli strumenti del linguaggio multimediale consen-
tono comunicazioni a distanze impensabili fino a pochi decenni fa, permettono
di compiere varie e vaste esperienze comodamente (o meno) seduti ad un tavoli-
no, producono ipertesti, libri elettronici ed interattivi, reperti fotografici immen-
si, collegamenti internazionali con banche dati di ogni genere (soprattutto trami-
te internet). E‟ possibile anche frequentare corsi, integrare le ricerche scolasti-
che, essere assistiti dalla Scuola e dall‟Università in modo personalizzato e stu-
diare, diplomarsi o laurearsi a distanza. Pensiamo a tutta una serie di modalità
diverse di insegnamento e tutoraggio offerte da nuove strutture educative.
140
Vedremo, più dettagliatamente, rischi e opportunità connessi all‟uso dei
media ed il loro riflesso sulla scuola e sulle capacità e modalità di apprendimen-
to. Intanto, in prima battuta, notiamo alcuni grandi rischi a livello sociale: una
forte frammentazione delle relazioni tra persone, una grande dispersione socio-
logica, una divisione tra i soggetti e la tendenza al loro isolamento (non più im-
parare insieme, divertirsi insieme ecc. ma attività da casa, nel privato). Questo
fenomeno si accompagna all’individualizzazione della vita, a lavorare meno
in gruppo (anche per il cambiamento delle modalità lavorative: migliaia di ope-
rari alla catena di montaggio durante il boom economico lavoravano insieme ed
erano solidali nelle loro lotte), a pensare al proprio privato e meno alle grandi
questioni sociali.
Media, istruzione, educazione
Un altro dei problemi riguardanti l‟apprendimento è costituito dai mezzi
scelti per l‟istruzione e l‟educazione. Gran parte di giovani, nel loro tempo libe-
ro, tendono a privilegiare i nuovi media, ad usare ancora, selettivamente, televi-
sione e radio (specie per ascoltare musica o vedere trasmissioni ideate apposita-
mente per loro), ma rifiutano di leggere, con calma, un buon libro, di leggere e
riflettere su vari articoli di un giornale (e se lo leggono rifiutano di leggere le
parti politiche e culturali del giornale) e dimostrano di scegliere solamente alcu-
ni generi di film, relegando, a volte, veri capolavori classici al ruolo di “film per
gli anziani”, oppure rifiutano di vedere grandi film in bianco e nero solo perché
141
sono abituati al colore. Molti insegnanti tentano di integrare i vari strumenti, tra-
dizionali e nuovi e cercano di far capire l‟importanza del loro uso non alternativo
e di un loro positivo collegamento. Se ha ragione Mc Luhan (il sociologo cana-
dese che preconizzò l‟avvento del famoso “Villaggio Globale”) secondo il quale
il linguaggio massmediatico condiziona la nostra visione del mondo, non tanto
per i contenuti espressi, quanto per le modalità di trasmissione
dell’informazione, (Mc Luhan dice che “il medium è il messaggio”) allora que-
sti potenti mezzi sarebbero in grado di condizionare direttamente il nostro com-
portamento. Ma avviene proprio automaticamente questo condizionamento, o
potrebbe avvenire questo condizionamento a certe condizioni di esposizione ai
media, di possesso o meno di un certo bagaglio culturale e del necessario spirito
critico?
Da considerare che l‟invenzione e poi la diffusione della stampa (fine
Quattrocento), successivamente anche a livello di massa (in America nei primi
decenni dell‟Ottocento con i “giornali strillati”), ha fatto superare alla società lo
spirito della società tradizionale e, a volte, tribale ancora persistente ed ha aperto
le menti degli uomini allo spirito scientifico ed analitico. Ma oggi, invece, si cor-
re il rischio che i messaggi globali della televisione e di alcuni nuovi media ten-
dano a ripristinare una conoscenza intuitiva e sintetica, facendo riemergere lo
spirito tribale. Naturalmente queste modalità hanno un impatto notevole sul pro-
cesso di apprendimento e dell‟educazione e gli studiosi si sono occupati delle
142
componenti socio-psicologiche conseguenti, analizzando le componenti informa-
tive, emotive, la natura dei soggetti riceventi, la natura degli stimoli emittenti, i
fattori predisponenti (tecnici, ambientali e personali), la personalità del riceven-
te, i mutamenti indotti e si sono posti i problemi di quali sono gli effetti a livello
cognitivo, percettivo, affettivo e comportamentale.
Abbiamo notato precedentemente che, in ogni caso, i mass media (insie-
me al gruppo dei pari e nell‟interazione di questi gruppi con essi) hanno grada-
tamente superato la famiglia e la scuola come attori principali nel processo di
socializzazione primaria, e soprattutto, in quella secondaria. Questo surclassa-
mento è dovuto principalmente al fatto che questi potenti mezzi impressionano
i sensi ed il subcosciente più che la ragione, che l‟estetica e lo spettacolo che li
pervadono mettono in fondo le questioni etiche, che i loro messaggi imprimono
nella psiche più effetti che valori. In questo senso i mass media tendono a dif-
fondere senso comune, idee schematiche, pregiudizi, anche perché l‟utente, in sé
stesso, è fondamentalmente conservatore e si compiace se i media rafforzano
sentimenti collettivi generici, idee e stereotipi mentalmente resistenti che egli
possiede. Sempre in generale, i media si soffermano meno nell‟analisi effettuale
dei fatti, appagano, invece, immediatamente i sensi con continui stimoli: così, in
un modo più sofisticato, tendono a riprodurre le modalità tribali di comunicazio-
ne. Un altro rischio importante cui siamo esposti risulta quello di de - soggetti-
vare e de - responsabilizzare la persona e di rappresentare tutta la società come
143
puro gioco spettacolare, la politica come teatrino mediatico dei conflitti tra i suoi
esponenti rappresentati, i quali, spesso, giocano interattivamente con ruoli pre-
stabiliti e si insultano in modo crescente e programmato in diretta, per far au-
mentare l‟audience e far così in modo che le emittenti vendano i telespettatori
agli inserzionisti pubblicitari (attraverso la valutazione degli indici di ascolto dei
vari programmi).
Il livello degli indici di ascolto, l‟importanza della struttura emittente e il
tipo di programma con conduttori e/o ospiti famosi, fanno tariffare gli spot e le
telepromozioni.
Rischi dei mass media, scuola ed educazione critica
Abbiamo esposto alcuni rischi potenziali, in generale, che potrebbero pro-
durre i mass media (internet, tv, radio, cinema, giornali), ma le conseguenze di
questi rischi, senza adeguata educazione d‟uso per i riceventi, possono diventare
più gravi per quanto attiene la cittadinanza e la convivenza sociale e per la
stessa democrazia e, ancora di più, per le fasce più deboli della popolazione
(bambini, adolescenti, psicolabili, anziani) inducendo bisogni e desideri artificia-
li, stimoli sconvolgenti che si innestano, a volte, su precari equilibri psichici.
Nei dibattiti sui rischi cui esporrebbero i media, altri ricercatori paventano un li-
vellamento della cultura verso il basso, una massificazione dei messaggi, ma la
realtà dei fatti ha dimostrato che questo non avviene nei sistemi mediatici vera-
mente pluralisti e che è possibile districarsi nel labirinto dei messaggi, che il te-
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lespettatore può scegliere, può fare zapping e costruirsi un indice dei programmi
da vedere, può manipolare il medium, non farsi informare, formare, illuminare o
ammonire, ma può, volendolo, imporre le proprie esigenze (soprattutto con la tv
digitale e specialistica che offre canali con una infinità di tematiche o canali spe-
cializzati di settore). Inoltre, seguendo la storia della radio e poi della televisione
italiana, non si può non riconoscere il ruolo culturale svolto da questi grandi
mezzi. La tv, negli anni Cinquanta e Sessanta, ha fatto imparare agli italiani la
lingua nazionale. Parallelamente, la Scuola unificava i giovani anche nella lin-
gua scritta. La televisione ha formato gli italiani anche politicamente (pur tra ap-
partenenze diverse e tra forti opposizioni) e ha diffuso modelli culturali di massa
che hanno portato a nuove conoscenze e alla alfabetizzazione di tanti analfabeti.
La Scuola ha utilizzato le conoscenze acquisite dai telespettatori che vedevano,
dalla metà degli anni Cinquanta, la prima tv nazionale con un unico canale (Rai
1) e la condividevano a gruppi (quasi sempre nei bar), come base per completare
l‟istruzione. Anche oggi, l‟interazione tra i media usati dai bambini e dai giovani
e l‟istruzione ed educazione praticata nella Scuola, dovrebbe avere percorsi pa-
ralleli.
Nei vari gradi dell‟educazione scolastica, secondo programmi graduali e
ben strutturati, si dovrebbero educare i giovani ad esaminare la comunicazio-
ne mediatica in modo critico, attraverso un‟analisi ragionata, a capire che costa
sta dietro alle strutture emittenti, ai fini manifesti o latenti della proprietà o della
145
direzione, all‟attività degli operatori, dei giornalisti, dei pubblicitari, ad esamina-
re le tecniche seguite, ad analizzare il mercato della produzione e dei finanzia-
menti, ad andare oltre la realtà rappresentata, a far classificare i contenuti (in-
trattenimento, cultura, arte, istruzione, informazione, educazione ed educazione
ai media, quest‟ultima, per gran parte mancante nei programmi), a far compren-
dere i generi, le questioni trattate (attualità, sport, scienza, arte, musica, spetta-
colo, teatro ecc.), ad essere attivi e creativi nell‟interazione con questi potenti
media. Questa indispensabile educazione ai media eviterebbe il plagio, la for-
mazione di uomini gregge o componenti di un branco selvaggio. Eviterebbe
l‟assembramento mediatico di masse di persone che si muovono insieme, imi-
tandosi vicendevolmente.
Nuove tecnologie, educazione ed insegnamento
Per quanto riguarda specificatamente la scuola e le problematiche educati-
ve, i nuovi mezzi incidono sulle tecnologie e sulle modalità di educare, intacca-
no la già scarsa capacità della scuola italiana di essere fattore di garanzia e di
sviluppo della democrazia (come notavamo nel precedente capitolo) e della li-
bertà di crescita dei cittadini. Scuola, famiglie e società devono poter controllare
il potere dei media in modo critico, per evitare forme di manipolazione delle
comunicazioni che possono influire sullo stesso modo di percepire la realtà rap-
presentata in particolari modi che guidano e, a volte, distorcono la realtà stessa.
Ad ogni buon conto, tanti contenuti e tante rappresentazioni mediatiche tentano
146
volontariamente, al di là dell‟effetto spettacolo, di colpire il subconscio per in-
durre certi comportamenti conformistici, atteggiamenti di rassegnazione, di ac-
cettazione passiva della situazione così com‟è, oppure diffondono sentimenti di
risentimento, di protesta sterile con bersagli falsi da colpire (il vecchio motto
“piove, governo ladro” si è amplificato con la condanna di tutta la casta politica,
per depistare l‟attenzione del pubblico verso responsabilità reali e precise).
Vi è altresì un problema, per l‟uomo della civiltà post – industriale, di sa-
turazione della comunicazione mediatica. La quantità e l‟intensità dei messaggi
continuamente introiettati ormai rischiano di far implodere l’individuo (che
“scoppia dentro”, gira a vuoto con la mente, si estranea da sé stesso e si perde
nelle immagini virtuali) come già affermava il sociologo canadese Mc Luhan
qualche decennio fa. L‟educazione scolastica potrebbe utilmente formare la ca-
pacità di usare i vari media, di filtrare i messaggi e sistemare adeguatamente la
comunicazione mediatica nella mente degli allievi. Non bisogna dimenticare, e
non lo devono dimenticare gli operatori scolastici, che la Scuola ha, tra i suoi
compiti fondamentali, quello di “elaborare strategie di insegnamen-
to/apprendimento finalizzato a formare gli strumenti per decodificare le in-
formazioni e dare loro un giusto significato” (Così sta scritto proprio nei pro-
grammi ministeriali) . Si tratta di un‟importante funzione di decodificazione so-
ciale. Agli insegnanti si richiede una formazione professionale adeguata rispetto
alle nuove tecnologie e ai nuovi linguaggi ed una capacità di mediazione tra co-
147
municazione sociale mediatica e processi di insegnamento/apprendimento scola-
stico. L‟insegnante stesso può, paradossalmente, diventare un medium alternati-
vo ai vari media, i quali possono rappresentare insegnanti virtuali, mentre la
Scuola pone davanti agli allievi l‟insegnante reale, che è in grado di interagire ed
esaminare i feed – back immediati e mediati degli alunni ed è capace di rendere
protagonisti gli alunni stessi della comunicazione. L‟insegnante costituisce un
valore fondamentale rispetto alle trasmissioni, anche culturali ed educative, dei
media. Il computer, ad esempio, possiede programmi rigidi, non è in grado di
dare senso ai comportamenti, non si adatta alla realtà di ogni studente, non è cer-
tamente in grado di capire, di contestualizzare la comunicazione. L‟insegnante
può tutto questo. Può decodificare i messaggi degli allievi, può tradurli, può sti-
molare e stimolare l‟allievo alla loro ricodifica.
In sostanza, la trasmissione educativa ed istruttiva massmediale può inte-
grare l‟insegnamento della scuola, mai sostituirlo. Questo non vuol dire che
l‟insegnante debba rimanere legato alla tradizione orale e scritta, anche perché le
nuove tecnologie rischiano di soppiantarla, perché esse sono in grado di incurio-
sire maggiormente gli studenti, di interessare i ragazzi e quindi queste vanno
usate insieme agli strumenti tradizionali. A proposito, dobbiamo constatare che
l‟uso del computer nelle scuole italiane è, però, avvenuto in modo assolutamente
limitato. Si è trattato semplicemente di introdurne l‟uso per quanto riguarda
l‟apprendimento dell‟informatica, in ausilio della matematica o nei laboratori di
148
chimica ecc. In realtà bisognerebbe estenderne l‟uso a tutte le materie, per fare
comporre testi, per far eseguire lavori di gruppo, per progettare, fare ricerche,
creare immagini e tante altre applicazioni creative e pratiche.
Come vedremo nel prossimo capitolo la tecnica dell’apprendere facendo
è una tecnica innovativa che riesce a motivare gli alunni nell‟istruzione, a far
imparare in modo personalizzato e soddisfacente. Ma l‟uso del computer come
strumento normale in ogni classe richiede un cambiamento di mentalità degli
insegnanti nel modo nuovo di reperire le informazioni, nell‟utilizzo di nuovi
linguaggi e nei processi di insegnamento/apprendimento. I docenti, quindi, attra-
verso queste metodologie e queste tecniche, devono capire il vantaggio di impa-
rare insieme agli studenti, costruendo in gruppo progetti comuni. Gli alunni sono
sottoposti, fuori dalla scuola, ad una quantità enorme di messaggi naturali e arti-
ficiali, umani e mass mediatici (che trasmettono un fac simile di realtà, non la
realtà stessa), sono immersi nel mondo dell‟informazione. Ma chi li aiuta a de-
codificare i linguaggi e poi ad elaborarli? Chi spiega loro il complesso ed intrica-
to linguaggio sociale? Chi è in grado di coglierne gli elementi grammaticali e
sintattici? Chi riesce a spiegare le funzioni comunicative? Anche qui deve esse-
re principalmente la Scuola ad occuparsi di questi problemi e di dare queste
competenze, durante il processo educativo/istruttivo normale. Ma non deve esse-
re solo l‟insegnante dell‟area linguistico – espressiva a svolgere questo ruolo,
che va svolto, partendo da diverse prospettive, anche dagli altri insegnanti.
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La Scuola deve riuscire ad educare all‟immagine e conciliare la compren-
sione della lingua scritta (generi letterari, strutture narrative, storia) con la co-
municazione orale sociale, massmediologica, multimediale che non hanno le
medesime corrispondenze e non producono gli stessi effetti. Ad esempio, spie-
gando il messaggio pubblicitario, si dovrà far osservare agli allievi l‟uso, da par-
te delle strutture emittenti, di un forte ed impattante linguaggio visivo collegato,
in modo suadente e seduttivo (da sé – ducere, condurre a sè), con lo status sym-
bol potenzialmente appartenente ad un gruppo in grado di acquistare un determi-
nato prodotto, si dovrà far capire che il ricorso continuo alle metafore e alle me-
tonimie, tipico degli spots pubblicitari, è finalizzato semplicemente a motivare
all‟acquisto di un determinato prodotto. Così si dovrebbe, in classe, far smontare
e rimontare dagli allievi lo stesso spot, i film, gli sceneggiati, i talk – show e gli
spettacoli, per capirne i messaggi, le trame di base, gli effetti scenici ecc. e poi
realizzare, con questi strumenti, progetti di apprendimento e proposte di soluzio-
ni alternative ai vari programmi.
L‟insegnante deve mettersi nei panni del bambino, del ragazzo, del giova-
ne, secondo il loro livello scolastico e di sviluppo epigenetico, perché solo così
sarà in grado di capire quello che loro capiscono, di sentire quello che loro sen-
tono. La sensibilità di questi soggetti è, in genere, molto più forte di quella degli
insegnanti. La persuasione dei media (data la loro capacità di “fascinazione”),
per queste categorie, può diventare facilmente manipolazione. I pochi secondi o
150
minuti di uno spot, spesso, sono più efficaci di un dibattito o di un commento te-
levisivo. Da notare, ad esempio, che diverse ricerche condotte all‟epoca, hanno
dimostrato che i giovani dei paesi dell‟Est, che protestavano contro i loro regimi
comunisti, venivano contagiati fortemente dalle idee diffuse dai mass media oc-
cidentali, ma non dai continui e a volte pedanti messaggi ideologici che emitten-
ti americane trasmettevano, ma dagli spots televisivi, molto suadenti: queste
pubblicità o promozioni mostravano il modo di vivere spregiudicato della gio-
ventù occidentale, il loro modo di vestire, i mitici indumenti popolari in voga, le
autovetture lussureggianti, gli stili di vita e di successo.
Conoscenza ed uso: aspetti negativi e positivi dei media.
Esaminiamo ancora altri elementi potenzialmente negativi che i media
potrebbero creare. Nel mondo globalizzato, dove dominano certi modelli di
vita, i media potrebbero creare l‟apprendimento di un linguaggio standard omo-
geneizzato per tutto il mondo, a scapito di quello locale che verrebbe sepolto
nella storia passata. Questa considerazione poteva considerarsi abbastanza valida
nel secondo dopoguerra, quando il mondo europeo, ad esempio, veniva condi-
zionato dallo stile di vita americano, essendo gli USA il paese più potente eco-
nomicamente e militarmente e perciò diventava traino economico e culturale del
mondo.
Successivamente, altre nazioni e gruppi di nazioni sono emerse alla ribalta
internazionale ed oggi il mondo è diventato policentrico. Anche osservando i
151
linguaggio mondiale prevalente espresso dai media, si nota che esso presenta
differenziazione culturali notevoli, soprattutto dopo l‟introduzione delle televi-
sioni digitali, specialistiche e trasversali e, d‟altro lato, si osserva, ormai da de-
cenni, una reazione veemente all‟omogeneizzazione globale attraverso la risco-
perta forte del carattere locale, delle caratteristiche etniche, territoriali (non sem-
pre positive, come insegnano gli stermini attuati in alcuni paesi ex comunisti o in
alcuni stati tribali africani, oppure come dimostra il terrorismo internazionale
diffuso da alcuni gruppi di matrice islamica).
Oggi, infatti, per contrassegnare il nostro mondo, si usa il termine glocali-
smo, un misto di elementi e rappresentazioni globali e locali che convivono nella
mente delle persone, permeano i mercati ed i consumatori, sono presenti nelle
comunicazioni dominanti. Anche in queste tematiche la Scuola diventa
l‟istituzione più consona per educare al superamento di assurde barriere ed as-
surdi confini e, nello stesso tempo, per educare alla scoperta, alla valorizzazione
delle tradizioni culturali, alla riscoperta delle risorse territoriali di una determi-
nata zona, alla possibilità di collaborare per fare sistema e risolvere problemi di
istruzione, economici, di lavoro in un determinato territorio.
Un altro rischio paventato riguarderebbe la costruzione a tavolino
dell’opinione pubblica. In pratica, alcune strutture emittenti potrebbero costrui-
re in modo manipolatorio alcune modalità di dare o non dare informazioni, di
diffondere credenze ed abitudini standardizzate e stereotipate, di indicare solo
152
alcune soluzioni relative ai più grossi problemi sociali che le persone devono af-
frontare quotidianamente. Notiamo che questo può avvenire solo in presenza di
un accordo oligopolistico dei diversi media presenti in una società che, insieme,
si pongono gli stessi obiettivi ed attuano tecniche simili di informazione e di
persuasione. In un mondo mediatico pluralista questo fenomeno dovrebbe rive-
larsi difficile, anche se, in alcuni periodi, si ha l‟impressione che quasi tutti i
media di una nazione svolgano gli stessi dibattiti, riflettano gli stessi programmi
e non vogliano affrontare a fondo, con ricerche vere, problemi quali la crisi eco-
nomica e finanziaria mondiale, da presentare fuori dagli schemi consolidati e
dalle solite analisi politiche ed economiche offerte comodamente all‟opinione
pubblica.
In questo senso, internet ha costituito una risorsa alternativa (insieme a
tanti libri critici, che però sono meno letti) per contrastare questo clima ed ha co-
stretto anche altri media, come la tv, ad allargare gli orizzonti, in alcuni pro-
grammi di indagine. Naturalmente, come tutti i mezzi, tutti i rischi vengono
neutralizzati dalla preparazione culturale e dalla loro capacità d’uso.
Altri rischi riguarderebbero la costruzione di una realtà artificiale e una
marcata alienazione di quella reale, con conseguenti stimoli a false reazioni e a
false azioni costruite su questa realtà vicaria. Inoltre, attraverso i media, spe-
cialmente quelli nuovi, si diffonderebbe la convinzione che tutta la vita sia da in-
tendere come spettacolo, inclusa la trasmissione delle informazioni (infotain-
153
ment) e questo modello sarebbe molto ben visto dalle giovani generazioni. Av-
verrebbe, inoltre, a livello bio-psichico, una forte alterazione delle normali fun-
zioni neurovegetative, determinato dalla continua esposizione del corpo e del
cervello a continui stimoli elettrici. In aggiunta a questo, gli stimoli fisici elettri-
ci, insieme ai messaggi forti ed impattanti sulla psiche, porterebbero
all‟incentivazione e all‟esplosione di patologie latenti con induzione a compor-
tamenti violenti. I risultati di studi ultra quarantennali, svolti dall‟Associazione
degli Psicologi Americani, proverebbero che l‟uso della tv e dei nuovi media per
un tempo prolungato, stimolano comportamenti aggressivi, al di là delle imma-
gini rappresentate che potrebbero non essere tali, con conseguenti esasperazioni
e conflitti tra persone.
Tali effetti avverrebbero anche con la continua drammatizzazione dei fatti,
l‟ingigantimento delle questioni, non per una volontà malefica degli apparati
emittenti, quanto per spettacolarizzare il più possibile le immagini, al fine, sem-
pre, di aumentare l‟audience, di fare usare siti web il più possibile, di convincere
ad acquistare prodotti e servizi.
Per bilanciare i discorsi potenzialmente pessimistici affrontati precedente-
mente, occorre dire che la potenza di questi mezzi di comunicazione apre va-
ste possibilità positive nei dibattiti su grandi temi, nelle nuove conoscenze, nel-
la possibilità di comprensione e di integrazione sociale, nella fantasia,
nell‟apprendimento, nell‟apertura al mondo, nel sentirsi finalmente cittadini del
154
villaggio globale – mondo. Abbiamo visto il loro variegato utilizzo istruttivo –
educativo nei sistemi scolastici nord - europei, soprattutto per quanto riguarda i
nuovi media, in particolare con internet. Dobbiamo inoltre ricordare che i media
hanno permesso di far lavorare moltissime persone in posizioni professionalizza-
te, in nuove professioni (grafico, tecnico del suono, tecnico delle luci, fotografo,
cameramen, montatore, regista, tecnico di studio, giornalisti specializzati in vari
campi, critici, ecc.).
Formazione delle opinioni
Qualche intellettuale estremamente critico commette l‟ingenuità di affer-
mare che egli, non usando i media o usandoli raramente, non ne subirebbe
l‟influsso. Tutta la realtà che ci circonda è plasmata da essi e quindi tutti noi ne
siamo condizionati, se non altro per l‟uso che ne fanno gli altri, che poi si riflette
nelle nostre interazioni quotidiane. Occorre capire che, per comunicare bene a
tutti i livelli (con noi stessi, con il partner, nel gruppo, nelle organizzazioni e nel-
la società in generale ed oggi con la realtà virtuale), bisogna saper usare bene
ogni medium ed essere educati ed addestrati alla sua ricezione e fruizione.
La potenza esercitata dai media riguarda anche la loro capacità di condi-
zionamento. La formazione della nostra opinione, però, viene filtrata dagli Opi-
nion leader, dalla nostra memoria che è selettiva (tante informazioni svanisco-
no), dalla stessa esposizione selettiva ai media (abbiamo preconcetti, opinioni di
155
base, schemi mentali pregressi ecc.) e dalla percezione selettiva che ci fa vedere,
sentire, immaginare quello che ci è congeniale (in sintonia con i nostri interessi,
i nostri atteggiamenti, mentre vengono evitati o sottostimati elementi discordan-
ti) ed, infine, filtriamo quello che ci viene introiettato confrontandolo con il no-
stro tessuto di interazioni quotidiane e con i componenti dei gruppi in cui ope-
riamo attivamente (scuola, lavoro, tempo libero).
Gli studi di Katz e Lazarsfeld hanno dimostrato che la reazione nei con-
fronti delle comunicazioni di massa sono influenzati dai gruppi (formali e in-
formali) cui i soggetti appartengono e alle norme (formali e informali) che sono
in vigore in questi gruppi.
Questi gruppi possono rafforzare opinioni, atteggiamenti e comportamenti
appresi dai media, ma possono metterli in crisi o possono addirittura, se il grup-
po è in crisi o assente, favorire un assorbimento passivo dei messaggi. In secon-
do luogo, ad esempio Kappler, fa notare che vi è una tendenza diffusa a raccon-
tare quello che veicolano i mass media nelle comunicazioni tra amici o tra per-
sone che posseggono una certa comunanza di opinioni. Si tratta di una propaga-
zione interpersonale che crea una esposizione selettiva secondaria, di gruppo,
che fa aumentare l‟audience, perché suscita interesse, ma si tratta di una selezio-
ne di persone che già condividono visioni e concetti e sui quali i media possono
agire in modo critico, teso al cambiamento, oppure cercando di accontentare pia-
156
cevolmente quello che i componenti di questi gruppi percepiscono a livello co-
municativo.
In ogni modo, nell‟interazione con i media e tra gruppi, bisogna che si
formi una “opinione pubblica” prevalente che partecipa attivamente al controllo
dei media e che nascano o si potenzino le associazioni di consumatori dei mes-
saggi mediatici.
Negli Stati Uniti vi sono forti associazioni di utenti televisivi che riescono
a condizionare la programmazione delle tv pubbliche e private, vietando, o fa-
cendo sopprimere, ad esempio, pubblicità e programmi dannosi per l‟infanzia. In
Italia vi era stato qualche tentativo, ma non abbiamo realtà organiche di questo
tipo. In compenso la RAI TV ha, da tempo, creato una discreta Consulta per la
Qualità dei programmi con al suo interno una rappresentanza pluralista della so-
cietà e del mondo dell‟educazione. Vi sono, inoltre, Autorità Garanti anche con
decentramento regionale (si veda, in proposito, l‟attività di indagine, di control-
lo, di sanzione dei Vari Comitati Regionali per la Comunicazione – Co. Re.
Com.).
Indirizzati in questo senso i media, specie quelli nuovi, possono arricchire,
aprire la mente, fare interagire con il mondo, aiutare gli allievi
nell‟apprendimento e nel superare schemi e mappe mentali cristallizzate.
157
Giovani e potenza dei media
In ogni caso, gli ultimi studi sugli effetti massmediologici affermano che i
media agiscono sulla società, sull‟educazione e sugli individui con un forte pote-
re e con una certa influenza. Gli studi passati, iniziati nei primi decenni del No-
vecento, sopravvalutavano il potere dei media, definendo i loro messaggi e le lo-
ro modalità tecniche di trasmissione come proiettili che potevano colpire tutto
quello che volevano, compresi gli strati più profondi dell‟uomo e quindi inne-
scare le reazioni volute dagli emittenti (sfruttando le teorie di Pavlov sui riflessi
condizionati o introducendo filmati subliminari: piccoli quadri foto grammatici
che l‟occhio non vede pienamente, ma che il cervello percepisce interessando ed
eccitando il sub conscio). Poi, altri studi, hanno sminuito il loro potere affer-
mando che i media, in realtà, si limitano a rafforzare situazioni esistenti a livello
sociale e personale, oppure creano solamente una visione di vita effimera, spet-
158
tacolarizzando tutti gli eventi. Oggi (è la tesi che Carlo Sartori ha proposto in
tanti suoi scritti) vanno analizzati nel loro potere di determinare ciò che è im-
portante per noi (la nostra agenda, come spiegheremo più avanti) e per la realtà
nuova che sono in grado di creare. Gli effetti dei media sul pubblico, in base
agli studi recenti, possono essere sintetizzarli in alcuni punti fondamentali che
esaminiamo di seguito.
1) I media moderni sostituiscono la realtà, creano una realtà vicaria, a
volte del tutto nuova, mediandola attraverso appositi apparati. Quello che ve-
diamo alla televisione o attraverso internet non è il tale personaggio o il tale pa-
norama, ma un fac –smile, più o meno corrispondente al vero e comunque esso
viene focalizzato in un certo modo e magari solo su certi aspetti scelti come si-
gnificativi, inquadrato da una certa posizione e non da altre. La televisione è en-
trata amichevolmente nelle case e, spesso, tutti noi, parlando con conoscenti, ri-
portiamo le nostre esperienze televisive come se fossero avvenuti nella nostra
famiglia: personaggi dello spettacolo, giornalisti, politici diventano amici quoti-
diani, parliamo di loro come se li avessimo veramente incontrati seduti con noi,
al nostro tavolo di casa.
2) I mezzi di comunicazione di massa accelerano la realtà della comu-
nicazione, la velocizzano (da secoli la trasmissione delle informazioni avveniva
in forme e con mezzi molto lenti, come si vede osservando la storia, dagli uomi-
ni - messaggeri al telegrafo) la intensificano, ne riducono le distanze fisiche.
159
Consentono, tra l‟altro, l‟immersione, anche in tempi reali, in ambienti lontani,
sconosciuti, esotici, con ritmi temporali nuovi, ad esempio producendo salti nel
tempo del passato e in quello del futuro e producono salti sociali, allargando
l‟audience partecipata a tantissimi popoli e situazioni.
3) I mas media certificano o falsificano la realtà, riconfermando o meno
la percezione diretta del reale, ad esempio, con strumenti televisivi raffinati:
zoom per vedere i particolari, replay per notare particolari sfuggiti e ralenti per
rivedere meglio, rallentato, lo svolgimento di un‟azione con un “occhio migliore
di quello umano”. Qui la mente va alle discussioni accese dai tifosi di calcio o di
altri sport, in televisione, come spettatori rappresentati da opinionisti o ascoltato-
ri primari al bar, nelle proprie abitazioni, di fronte ad immagini che si oppongo-
no alla realtà appena vista e che scatenano ulteriori discussioni; ma gli stessi
media possono anche diffondere immagini false e tendenzialmente costruite, op-
pure ancora accendere discussioni che mettono in crisi certi avvenimenti (si veda
in proposito le supposte collusioni intorno agli attentati delle Torri Gemelle di
New York e, soprattutto, i dubbi relativi all‟aereo che si è schiantato, nella stessa
circostanza, contro una zona marginale del Pentagono (edificio strategico milita-
re principale degli U. S. A.), oppure si pensi ad alcune trasmissioni che mostra-
vano strani corpi senza vita, appartenenti ad alcuni probabili esperimenti umani
mal riusciti, ma bollati, etichettati o esaltati, di volta in volta, come zombi, alie-
ni, creature misteriose, per impressionare il pubblico.
160
4) I media sono anche in grado di modificare la realtà e la storia, di di-
latare a dismisura alcuni eventi, dando grande risonanza successiva agli eventi
stessi (fenomeno conosciuto dagli esperti come media events). In altro modo
questi eventi verrebbero sminuiti, basti pensare all‟assassinio dei Kennendy o di
Martin Luter King o l‟attentato alle Torri Gemelle di New York cui si accenanva
prima: sono subito diventati eventi storici, prima che la storia li potesse giudica-
re tali. In altro modo i media fanno sì che i protagonisti di certi eventi, ripresi
dalla televisione, ribadiscano questi eventi con azioni più marcate, più intense, in
modo progressivamente più forte. Pensiamo alla rivolta dei ragazzi palestinesi
dell‟Intifada che, con i sassi, combattevano contro i carri armati israeliani e, ve-
dendosi alla sera ripresi in televisione, si sentivano eroi ed intensificavano, di
conseguenza, le loro imprese il giorno dopo, appena appariva una telecamera
delle varie tv ( di tutto il mondo), che miravano a riprendere le immagini più
spettacolari. Possiamo dire, a questo proposito, che i media creano eventi orga-
nizzati solo per i media stessi, perché con questi eventi debbono fare cassa rac-
cogliendo pubblicità, necessaria alla stessa sopravvivenza degli emittenti (Vi so-
no tv che vivono solo di pubblicità, di televendite. Pensiamo anche al ruolo nuo-
vo di internet in termini di vendita, pubblicità, promozione, negoziazione finan-
ziaria, speculazione). I media sono anche in grado di far partecipare istantanea-
mente ed emotivamente milioni di persone a grandi riti collettivi moderni, (fe-
nomeno denominato media rituals), come matrimoni celebri di Principi, attori,
161
inaugurazioni, eventi dolori e dramamtici ecc. Tanti ricordano ancora il matri-
monio regale di Carlo e Diana nel celebre Duomo londinese, i loro dissapori ma-
trimoniali con l‟intrusione di altre persone e le lacrime sparse, in un contesto di
ampiezza mondiale, convergenti in diretta, in occasione del funerale di Diana.
Cosi possiamo ricordare, prima nelle televisioni generaliste, oggi nelle televi-
sioni digitali e specializzate, il grande evento dello sbarco americano sulla Luna,
i mondiali di calcio, le Olimpiadi, le elezioni presidenziali americane. Gli uomi-
ni partecipano, sapendo che un dato evento è visto immediatamente da milioni o
miliardi di persone, vogliono esserci, sono stimolati emotivamente, vogliono, in
qualche modo, partecipare e, a volte, intervenire, al telefono, rispondendo maga-
ri anche ai sondaggi d‟opinione interattivi e in tempo quasi reale.
5) - Con la teoria dell’agenda – setting, prima anticipata, si vuole evi-
denziare che il vero potere dei media non è determinato da influenze e condizio-
namenti diretti sulle persone, sulle loro opinioni, sui loro atteggiamenti o com-
portamenti, ma sull‟importanza data a certi eventi, personaggi, situazioni e non
ad altri. Così il pubblico sa o ignora, considera o trascura, enfatizza o non consi-
dera alcuni elementi della vita pubblica. La gente tende a dare importanza ad
eventi, personaggi, problemi in modo corrispondente all‟enfatizzazione proposta
dai media. In altre parole, i media costituiscono l’agenda quotidiana di rife-
rimento, una specie di ordine del giorno di ciò che è importante per loro, per la
società, per il gruppo, per l‟individuo, cosa è importante vedere, fare, discutere
162
ecc,. I media non propongono opinioni, ma impongono i temi su cui avere
un’opinione. La Scuola, perciò, dovrebbe educare a riconoscere le modalità con
le quali i media selezionano e presentano i problemi, gli eventi, i personaggi e
vedere le risposte (feedback deduttivo o immediato se vi è interazione in tempo
reale) che vengono dal pubblico. Quando si parla di importanza attribuita, occor-
re tenere presente che questa importanza presenta tre aspetti. Vi è
un‟importanza individuale, che è l‟importanza attribuita da un individuo ad un
problema di fondo, secondo una propria scala di priorità. Vi è un‟importanza
percepita, che è l‟importanza che un individuo crede che gli altri attribuiscono
ad un problema. Infine, vi è un‟importanza comunitaria, che è l‟importanza
che un gruppo o una società attribuisce ad un problema e che ha conseguenze
sulle azioni e sulle relazioni sociali. L‟importanza individuale e quella percepita
portano ad effetti cognitivi, mentre l‟importanza comunitaria porta ad effetti
comportamentali, in quanto le conseguenti relazioni con gli altri individui, espo-
sti agli stessi messaggi, possono portare a determinate scelte politiche, di con-
sumo, di stile di vita.
Ad esempio, le ricerche di Mc Combs e Weaver dimostrano che la gen-
te ha bisogno di orientamento e l‟effetto agenda, durante una campagna elettora-
le, influenza maggiormente chi è interessato ad andare a votare, ma non ha anco-
ra deciso per chi votare. Le scelte compiute da un individuo si basano sul patri-
monio cognitivo individuale e sull‟effetto agenda ed è il prodotto del confronto e
163
della negoziazione tra l‟agenda personale del destinatario e l‟agenda dei media, è
l‟esito del rapporto tra importanza individuale, importanza percepita, importanza
comunitaria e importanza data dai media.
6) - I media cercano di persuadere e spingono ad assumere determi-
nati comportamenti a livello sociale, politico, commerciale con un linguaggio
suadente fatto di immagini, suoni, simboli, parole, attraverso la propaganda o la
pubblicità. Da non dimenticare che i regimi dell‟Ottocento (fascismo, nazismo,
comunismo sovietico) hanno utilizzato in modo potente prima la radio e poi la
televisione per garantirsi il consenso di massa. Ma anche le nazioni democrati-
che, in modo più pluralistico, cercano di raggiungere lo stesso obiettivo. Dopo
un periodo di sottovalutazione o di depotenziamento oggi, per alcuni studiosi
contemporanei, come ad esempio Noelle – Neumann, i media devono essere ri-
valutati per la loro potenza espressa (powerful mass media), in primo luogo per-
ché sempre più pervasivi, (caratteristica dell’ubiquità) nella vita quotidiana
delle persone (ci riferiamo, ancora, alla tv e ad internet soprattutto), in secondo
luogo perché dispensatori di vastissime conoscenze ed informazioni trattati in
modo sostanzialmente omogeneo nei diversi mezzi (caratteristica della “con-
sonanza”) ed, infine, perché sono ripetitivi e ritornano a trattare personaggi,
problemi, eventi posti sempre in primo piano e imposti all‟attenzione
dell‟opinione pubblica (caratteristica della “cumulazione”). Per l‟esperta ame-
ricana, il potere persuasivo dei media è inversamente proporzionale al potere di
164
influenza delle altre agenzie di socializzazione, scuola e famiglia soprattutto, ma
anche della società generalmente intesa, come sistema che vede aumentare il po-
tere d‟influenza dei media in periodi e contesti in cui i legami sociali e le identità
dei grandi gruppi sono deboli, cioè quando le strutture sociali (e quindi le rela-
zioni umane che le creano) sono in crisi o si trovano in fasi problematiche di
transizione. Oggi, così come è accaduto durante la Grande Depressione degli an-
ni Trenta del secolo scorso, la crisi finanziaria del mondo integrato (dovuta alla
sua finanziarizzazione, a speculazioni sfrenate, a eccessivi crediti concessi, a ti-
toli tossici ecc.) il potere dei media si è accentuato e lo spirito critico delle per-
sone si è abbassato, anche perché, nella scala dei bisogni umani, vi è stato un ri-
torno, per necessità, ai bisogni di base (sopravvivenza fisica, nutrimento, difesa e
sicurezza, sopravvivenza psichica ecc.) e si sono messi in secondo piano quelli
superiori (compimento delle persona, autorealizzazione – vedere, a questo pro-
posito, la famosa scala dei bisogni di Maslow). Mettere in secondo piano i biso-
gni superiori è un grave errore ed una contraddizione in termini, anche se, in par-
te, questo atteggiamento risulta comprensibile e stimolato dalle necessità
7) - I media hanno una forte influenza sul prestigio, la fama,
l’immagine, l’autorità di una persona o di un gruppo.
8) - I media, a livello politico tendono a premiare coloro che si sanno
presentare meglio, non i messaggi e le idee espresse e questo costituisce un ul-
teriore rischio per la democrazia, succube della video -crazia.
165
9) - A livello sociale, i media tendono ad alterare la sfera dei bisogni e
desideri. Soprattutto la pubblicità, oltre alla proposta di vendita di prodotti e
servizi di mercato, reclamizza modi di vita, qualità di vita, mode, gusti. Influen-
zati ne sono la famiglia, i giovani ed i bambini (che a volte condizionano i geni-
tori negli acquisti e nei programmi da vedere).
Nuovi media ed apprendimento
In particolare, recenti studi sui news media hanno accertato i modi in
cui questi strumenti modificano le modalità di apprendimento e di esperienza.
Ne citiamo alcuni in punti essenziali.
1) I new media modificando conoscenze, linguaggi sia scritti che orali,
costruendo forme nuove di comunicazione, con l‟impressione dei sensi, per dare
una rappresentazione fortemente emotiva della realtà.
2) I new media stimolano il primato del vedere sugli altri sensi, modifi-
cando così le tendenze visive, auditive e cenestetiche degli individui.
3) I new media stabiliscono un collegamento sensoriale nuovo tra cervello
e sensi, come se agisse un cyborg dentro al nostro corpo.
4) I new media vendono prodotti, esperienze virtuali e giochi. Alcune
aziende venditrici, ad esempio, sono in grado di proporre mezzi automatizzati in
grado anche di fornire assistenza agli utenti 24 ore su 24, completando quella
delle persone nelle ore di lavoro. Al servizio automatizzato “lavorano” persone
virtuali che rispondono con un linguaggio naturalizzato (Avatar). Internet con-
166
sente alle aziende produttrici di avere un feedback immediato da parte dei con-
sumatori e degli utenti (esperienze positive o negative) ed essere così in grado di
migliorare il servizio costantemente, selezionare i clienti, ridurre i costi, vedere e
misurare ciò che ha avuto successo (KPI), usando a fini commerciali, Chat, fo-
rum, blog, avatar, comunità virtuali, come fanno i giovani per entrare in rappor-
to di amicizia. Non bisogna stupirsi se i giovani sono poi così esigenti con la fa-
miglia e con la Scuola che non sembrano dare queste possibilità.
5) I new media, coinvolgono più zone corporee e mentali rispetto a quelli
tradizionale della lettura e sono meno accademici, meno impegnativi, più diver-
tenti e più interattivi nell‟apprendimento, che, come dicevamo prima, avviene
per “immersione” e non più per astrazione. Negli anni Ottanta, il massmediologo
Robert Pitmann aveva studiato la nascita del network MTV (ancora oggi vista in
tutto il mondo da milioni di giovani) ed aveva capito che questa emittente era
nata ed era stata impostata per adeguarsi al modo nuovo con il quale i giovani
trattavano le informazioni: facevano i compiti a casa mentre guardavano la tv,
ascoltavano la radio (con le cuffie), parlavano al telefono, mandavano messaggi
con internet, tutto in contemporanea.
Questi ed altri studi sui giovani indicano che essi, attraverso l‟uso fre-
quente dei media, non trattengono più le conoscenze ricevute in modo lineare,
logico - sequenziale, ma le assorbono a grappolo (in clusters caotico – puntati-
vi,), ricevono continui impulsi ed emozioni, che li stimolano a reazioni imme-
167
diate e, a loro volta, richiedono analoghe reazioni (umorali ed emozionali) a ge-
nitori e insegnanti, che non sono abituati a simili comportamenti, a volte si sen-
tono a disagio, non riescono ad imitarli e vengono, quindi, bollati come incom-
petenti, superati, o disinteressati ai loro problemi. Lo stesso linguaggio di molti
media è trasgressivo dei meccanismi tradizionali causa/effetto e della continuità
spazio/tempo, della ragionata costruzione psicologica dei personaggi; questo
linguaggio non procede per citazioni, ma per successive, casuali incorporazioni.
L‟esempio di tutto questo sta nei video musicali: i loro ritmi, le loro scansioni, le
improvvise accelerazioni, le loro creazioni, a volte impetuose, a volte afasiche,
hanno contagiato vari generi televisivi, compresa la pubblicità che, a sua volta,
ha contagiato gli altri generi televisivi o della rete.
Media, nuovi media e ruolo degli insegnanti
Da tutto questo ne deriva che gli educatori, in particolar modo gli inse-
gnanti, si devono adeguare a queste nuove modalità di comunicazione da un lato,
ma, dall‟altro, devono anche essere capaci di far imparare ai giovani modali-
tà logiche di apprendimento e far analizzare anche soddisfazioni mediate e
ragionate dei sensi, accanto a quelle istantanee e immediatamente reattive, at-
traverso l‟uso ordinato ed emozionale delle parole ed insegnando, in modo nuo-
vo, corrispondente in parte ai nuovi media, ad usare la forma narrativa. Passare
dalle prime modalità alle altre, miscelare i due aspetti: queste sono le nuove
168
competenze e le abilità necessarie per gli impegnativi compiti che devono af-
frontare gli educatori.
Il noto politologo Giovanni Sartori (noto anche in tv per avere più volte
espresso le sue idee sarcastiche sulla politica italiana), nel libro “Homo videns”
citato nella bibliografia a fine capitolo) parla dei rischi della democrazia in rela-
zione ai nuovi media: Questa nuova formka di democrazia ci viene prospettata
come “cyber democrazia” o “democrazia elettronica”. Si tratterebbe di una sorta
di autogoverno, di un esercizio diretto del potere, di una libertà pressoché infini-
ta: tutto questo via computer. Ma il politologo obietta che, alla base, vi è un po-
polo italiano ignorante, che sempre più dimostra di non sapere nulla di politica.
Dal nulla – egli sostiene - nasce il nulla, oppure il caos. Anche in America
un‟inchiesta del 1987 (composta da 38 domande elementari) effettuata dal pro-
fessor Hirsch, evidenziava allarmanti conoscenze (o non conoscenze) dei giova-
ni tra i 16 e 18 anni: Roosevelt veniva collocato come Presidente Usa durante la
guerra del Vietnam, oltre il 50% degli studenti non sapeva chi fosse Stalin e via
di questo passo. In Italia, il professor Pivato, dell‟Università di Urbino, ha posto
a 527 studenti di quattro note Università italiane, iscritti ai corsi di Storia Con-
temporanea, un questionario sulla storia del Novecento. I risultati non sono me-
no sconfortanti di quelli americani accennati prima: la maggioranza delle matri-
cole non sa che cosa sia il New Deal, la Guerra Fredda, il Piano Marshall, la Re-
pubblica Sociale Italiana e ritiene che Badoglio sia stato un capo partigiano, non
169
sa le date di fondazione della Repubblica Italiana e della Costituzione, invece il
95% degli studenti intervistati sanno benissimo chi è Bob Dylan e Maria Callas
(dimostrazione, secondo Sartori, di chi fa veramente la cultura giovanile). Non
solo, ma chi non sa che cos‟è il piano Marshall, a volte risponde a casaccio e
spiega che sarebbe “un piano per esportare oppio in Francia”! Anche vari son-
daggi elaborati dal noto Mannheimer hanno mostrato un‟ignoranza colossale
della stragrande maggioranza del popolo italiano che ha mostrato di non sapere
che cos‟era la Commissione Bicamerale, mentre questa era all‟opera (intesa tra
Massimo D‟Alema e Silvio Berlusconi) per cambiare parti importanti della Co-
stituzione Italiana (tentativo fallito, come tanti altri tentati a questo livello).
Giovanni Sartori imputa tale ignoranza alla prevalenza del tele vedere sul-
la cultura scritta, sulla cultura fondata sulla parola. Ancora nel 2000, il 65% de-
gli italiani dichiara di non leggere mai un libro ed il 62% ammette di non leggere
niente, nemmeno giornali sportivi o riviste scandalistiche. Il 18% dei giovani tra
i 15 e i 24 anni non acquista nessun quotidiano e quindi più dell‟80% di essi o
non sa nulla di politica, oppure sa quel tanto che apprende dalla video – politica
che, sempre secondo Sartori, equivale a non capire nulla. Notiamo che i nostri
rappresentanti in Parlamento non sono da meno. La trasmissione “Le Iene” ne ha
intervistati almeno un centinaio, mentre uscivano o entravano a Montecitorio o a
Palazzo Madama. Solitamente erano deputati chiamati “peones”, quelli meno
importanti e, quindi, meno anziani di carica e più rappresentanti, secondo alcuni,
170
della cosiddetta “società civile”. Si trattava di domande serie, in realtà, con con-
vinzione, gli intervistati rispondevano come gli studenti avevano definito il pia-
no Marshall (chi confondeva il Darfur con lo Slow Food, chi non sapeva i con-
cetti elementari di economia, chi non conosceva gli articoli fondamentali della
Costituzione della Repubblica Italiana, chi non sapeva il nome di vari ministri in
carica, ecc. ).
Sartori ritiene che le giovani generazioni usino un “linguaggio brodaglia”
e vivano in una “melassa mentale”, che siano impregnati, dentro, del “video –
bambino” che non cresce, che non diventa mai un vero adulto, con una persona-
lità autonoma sviluppata, anche perché i genitori sono come loro e, in ogni caso,
non costituiscono più una struttura di autorità, perché dicono sempre di sì, anche
di sì al tele - vedere per diverse ore al giorno. Fin da bambini, i giovani hanno
imparato a vedere immagini provenienti da tutto il mondo (anche tanti cartoni
animati di origine giapponesi, particolarmente angoscianti e violenti che, in
Giappone, vengono costruiti per la fruizione degli adulti), poi hanno imparato a
navigare in internet per il gusto di navigare, non tanto per conoscere.
In questo modo hanno imparato in modo frammentario, privo di inqua-
dramenti generali e senza un lavoro di sintesi. Bisogna evitare che i giovani di-
ventino animali multimediali che, secondo Giovanni Sartori, sono descritti bene
nei manuali di schizofrenia, esseri dissociati, che associano gli stimoli in modo
arbitrario, mossi da un pensiero labile non diretto da un orientamento vero e im-
171
pregnati di simboli onirici senza senso. Molti hanno criticato queste posizioni
del noto politologo, ma noi ribadiamo che, anche se queste analisi possono risul-
tare non del tutto condivise, un rischio per il futuro certamente esiste. Sartori
ammette che per conoscere una città, un‟opera d‟arte, una paesaggio bisogna ve-
derlo e quindi l‟immagine gioca certamente un ruolo importante nella nostra vi-
ta. Ma conoscere veramente è molto di più del vedere, è la capacità di astrarre, di
concettualizzare, (a volte, cose invisibili e importanti come nazione, Stato, So-
vranità, democrazia, rappresentanza ecc.), è la predisposizione a ragionare, a sin-
tetizzare.
Anche la politica e la società vanno capite ed elaborate in questo modo e
non solo per immagini o spot. Allora Sartori, per quanto riguarda la conoscenza
conclude che: 1) il vedere non è conoscere (o è conoscere in senso debole); 2) il
conoscere può essere aiutato dal vedere; 3) il che non toglie che conoscere per
concetti (il conoscere in senso forte) si dispiega tutto quanto oltre il visibile. Per
quanto riguarda la realtà virtuale Sartori compie il ragionamento che esponiamo
di seguito e, alla fine di questo, si pone una serie di domande che elenchiamo. Il
virtuale ha cambiato il nostro modo di situarci nel mondo. Prima l‟uomo ha ri-
specchiato il mondo reale. Oggi viene proiettato nella creazione di mondi virtua-
li. Nell‟ipertesto, i fautori di questo strumento dicono che il bambino, utilizzan-
dolo, diventerebbe un autore-creatore, in modo da spezzare la logica lineare del
passato, del discorso ordinato.
172
E‟ un fatto di creatività e di libertà? Ma come facciamo a vivere senza un
prima e un dopo, senza capire causa ed effetto? Si può parlare senza tener conto
di premesse e di conseguenze? Si può parlare di prodotto senza parlare prima di
strumento per produrlo? La risposta di chi esalta la multimedialità è ancora quel-
la che si entra in una nuova logica circolare senza centro e questo sarebbe un fat-
to liberante, ma lo è per il nostro interno, per liberarci delle nostre nevrosi, ma,
all‟esterno, come vita sociale, come vita democratica di cittadini come facciamo
a pensare e ad agire così? Possiamo immaginare i cittadini come una molteplici-
tà di animali interattivi giocanti tra loro a caso? Ad animali post – pensanti affi-
deremo il governo dei territori e degli Stati? E‟ pensabile continuare ad accelera-
re la storia e perseguire continue fughe in avanti? Tutto quello che vediamo e
sperimentiamo diventa subito vecchio, trans, post, si affermano continue novità
e così bisogna, per esser al passo, andare oltre, superare, sorpassare. Ma l‟uomo
riesce ad inseguire tutto questo, correndo in avanti velocissimamente, senza at-
tribuire un senso al vissuto ed essere ancora sé stesso?
Dissertando apertamente della rete, l‟opinionista Roberto Cotroneo, sul
settimanale “Sette”, supplemento del Corriere della Sera, del 27 luglio 22012,
sostiene che la rete è cambiata negli ultimi anni. In rete tutto deve esser cono-
sciuto o banale, quello che non si conosce o non si capisce viene cancellato. La
rete rafforzerebbe le identità fragili. Nella rete si pongono certe informazioni
queste interesseranno solo coloro che vogliono leggere proprio quelle informa-
173
zioni. Le idee sono isole in cui riconoscersi e rifugiarsi. Secondo Cotroneo
l‟esperienza nel web rischia di essere il contrario dell‟esperienza nella vita prati-
ca. Sul web si cercano esperienze da ripetere, per realizzare e ripetere desideri
già conosciuti per rafforzare identità fragili, confermandole. Il corpo sarebbe as-
sente e silente nelle nuove relazioni sociali del web. L‟assenza è fuga, è rifiuto,
cancellazione di sé stesso. Silenzio è come coprirsi con un velo e non essere vi-
sti. Nell‟esperienza reale il corpo è presenza ed assenza e il silenzio è empatia.
La parola, la scrittura sono verbo, racconto e dunque verità e falsificazione in-
sieme. Col web siamo passati dal piacere del teso al testo come piacere. Con il
suo articolo Cotroneo fa notare che il corpo non è più da nessuna parte e non si
incrociano più percorsi e spazi, si incrociano invece parole che, per non smarrirsi
nei silenzi e nelle attese, si moltiplicano, generando testi che sono richieste di
aiuto tra naufraghi di questo tempo.
Ambivalenza dei media
Abbiamo visto critiche e lodi, pericoli e opportunità, visioni scaramantiche
o pessimiste sul problema dei potere dei mezzi di comunicazione di massa vec-
chi e nuovi, abbiamo tutto questo dal punto di vista dell‟apprendimento e
dell‟educazione, del vivere insieme, del tipo di uomo che si sta creando per il fu-
turo. In conclusione, vorremmo sottolineare che essi vanno considerati solo, ap-
punto, dei mezzi. I loro effetti comunicativi dipendono dalle capacità del loro
174
utilizzo e dal grado di educazione che gli agenti di socializzazione, e la società
nel suo complesso, sono in grado di fornire agli utenti.
I media sono strumenti formidabili, ma ambivalenti. Sono in grado di
far fare praticamente tutto. Se ci soffermiamo ancora ad analizzare l‟utilizzo del
media di gran lunga ancora più importante, la tv, e di vederne l‟utilizzo da parte
di una serie di persone a noi vicine, di diverse età e condizioni sociali, scopriamo
quante modalità d‟uso possono esistere. La televisione può: divertire, informare,
educare, drogare mentalmente, manipolare coscienze o orientare positivamente,
far compagnia o annoiare, integrare o disintegrare singoli, gruppi, società, creare
arricchimento culturale o instupidire, stimolare l‟ attenzione critica sui fatti, ri-
lassare o eccitare gli animi e le menti, massaggiare gli occhi e i nostri sensi (in
questo senso il medium non è solo il messaggio , ma diventa un massaggio),
contribuire ad un ascolto distratto o essere base per fantasticherie varie, concilia-
re il sonno, far passare il tempo e tante altre cose ancora. La tv può diventare
oggetto di gioco positivo o malefico: giocano giornalisti, programmisti, attori,
politici, sportivi, commentatori, guerrafondai, sadici, degenerati, ecc.
L‟arte e la capacità di usare i media è in diretta relazione a coloro che li
usano e ai loro fini: apparati emittenti, pubblico ricevente, critici, legislatori, or-
gani di controllo, agenti di socializzazione come la famiglia e la scuola.
L’educazione è, da sempre, fortemente legata alla comunicazione. Da non
dimenticare, infatti, che si educa comunicando (con parole gesti, azioni) e che
175
la scrittura è nata come canale comunicativo artificiale al quale gli uomini si so-
no adeguati, imparando ad usarla con le loro capacità innate, vale a dire in modo
creativo, non certamente facendosi fuorviare da essa. Così bisogna fare oggi con
i media a base di onde elettromagnetiche e di immagini digitali, non dimentican-
do che le ricerche e i dibattiti sui media non vanno focalizzati solamente concen-
trandosi sul loro potere, sulla loro influenza, sui loro effetti a medio e a lungo
temine o sulle tecniche usate.
Infatti, uno degli argomenti centrali deve essere quello relativo alle
questioni morali che riguardano il tipo di società, i suoi valori, le sue leggi, la
responsabilità degli operatori e la responsabilità degli utenti nel decifrare i mes-
saggi, nel reagire di fronte a comunicazioni perverse, irrispettose dei diritti del
pubblico (a cominciare dal diritto fondamentale ad essere informati, da più fonti,
nel modo più obiettivo possibile) e nel rispetto della persona umana.
Le comunicazioni pericolose, soprattutto per le categorie più deboli, ri-
guardano la responsabilità dei critici massmediologi e tutti coloro che sono
chiamati ad esprimere giudizi e dare consigli, che poi vengono trasmessi a tante
persone, riguardano gli organismi politici e di controllo e a chi fa imparare a di-
ventare cittadini, educando, tra l‟altro, ad una giusta fruizione dei media. Le
questioni etiche e morali sono dunque prioritarie. Non possiamo accettare la tesi
di chi vorrebbe mass media asettici, che trasmettono “la realtà così com‟è”, nuda
e cruda, al di là dl bene e del male, mescolando elementi utili all‟uomo insieme a
176
quelli dannosi. A tutti si impongono scelte, libertà e limiti, responsabilità di
quello che si scrive, di quello che si mette in onda, si veicola, si insegna.
177
V LEZIONE La cultura, l’educazione, la società nella storia.
Nuove metodologie didattiche, morale e auto creatività
5.1 Nuove metodologie didattiche
Il sistema scolastico e formativo italiano si muove all’interno di varie
contraddizioni e inadeguatezze rispetto alla società e al mondo del lavoro, ma
anche rispetto alle problematiche della società post industriale che abbiamo pri-
178
ma esaminato. Le innovazioni necessarie, per adeguare la Scuola a queste pro-
blematiche vengono dibattute da anni ad ogni livello (dal Parlamento agli Istituti
scolastici). Successivamente, vengono promosse iniziative legislative, variamen-
te approvate e si attuano alcune sperimentazioni interessanti (compresa quella di
aver dato maggior autonomia ai singoli Istituti, oppure di recepire le esigenze del
territorio in cui gli Istituti insistono, con il coinvolgimento dei livelli locali ecc.).
Ogni scuola elabora i P. O. F. ma tutti questi tentativi non sono diventati modi di
organizzazione e funzionamento normali e strutturali del sistema.
A livello di metodologie didattiche, generalmente, negli Istituti Scolastici i
docenti seguono il programma di studio praticando metodologie “di cattedra”,
come avveniva quaranta o cinquant‟anni fa. L‟insegnamento vien svolto in edi-
fici scolastici che sono, in gran parte, inadeguati per insegnamenti innovativi ed i
dirigenti mancano dei necessari finanziamenti per ausili didattici, tecnologie,
consulenti. I docenti sono tra i meno pagati dei paesi europei. Le aziende adotta-
no tutt‟altro approccio nel praticare la formazione, perché si sono adeguate alle
trasformazioni economiche e culturali e perché ritengono fondamentale per la lo-
ro mission aziendale formare, istruire, addestrare adeguatamente il personale, al-
locando risorse significative per questo scopo.
A livello di metodologia didattica, bisognerebbe emulare metodi formativi
simili ai sistemi scolastici dei paesi nord europei prima esaminati e introdurre
metodi praticati nei corsi aziendali più avanzati, dove gli allievi (o corsisti)
179
vengono tutti adeguatamente motivati e si verifica, con test progressivi,
all‟inizio, in itinere ed in fase finale, la loro preparazione e la loro capacità di ri-
solvere problemi.
Interazione tra docenti ed allievi per una visione positiva
Le stesse materie di studio sono inadeguate, sia come obiettivo di realizza-
zione personale dell‟allievo, sia come gerarchia al loro interno, problema cui ac-
cenneremo nel prossimo paragrafo.
Per quanto riguarda la metodologia didattica ci rendiamo conto che, per
applicare l‟insegnamento tradizionale insieme a quello innovativo, ci vorrebbe
un a scuola a tempo pieno, dove si insegna interattivamente, si rappresenta, si
gioca creativamente. In ogni caso, il principio di fondo cui ispirarsi dovrebbe es-
sere quello che la Scuola deve diventare un piacere, un’interazione continua
tra docenti ed allievi, non una cattedra che emana il sapere ad un gruppo assor-
bente.
Purtroppo la Scuola può risultare solo in parte colpevole
dell‟atteggiamento inculcato nell‟educazione dei giovani per secoli. Ci riferiamo
ai fini dell‟apprendimento, quasi sempre costruiti sull‟atteggiamento negativo
verso i problemi e sull‟idea assoluta del dovere. Agli allievi, per troppi anni, si
sono fatti imparare i doveri e non i piaceri. Si sono insegnate moltissime cose
che essi non dovevano fare e pochissime cose che volevano fare. Si sono fatte
apprendere e definire le cose come mancanza e non come positività. E questo at-
180
teggiamento si è riflesso sulla società e sull‟opinione pubblica. Se chiedevamo
ad una persona, qualche anno fa, che cos‟è la salute, questa tendeva a rispondere
che è era la “non malattia!” o l‟assenza di malattia. Oggi le idee di benessere
propagandate, tra l‟altro dalla pubblicità, hanno, in parte, fatto cambiare atteg-
giamento e sentiamo finalmente risposte diverse. Un atteggiamento positivo oggi
è quello che vede rispondere, invece, che salute vuol dire star bene, è il benesse-
re. Noi allarghiamo il discorso e definiamo la salute (mutuando la definizione,
ad esempio, dalle leggi italiane sulla sicurezza) come star bene con la propria
mente, con il proprio corpo e con gli altri, cioè dialogare bene con sé stessi,
saper sentire le vere esigenze, non quelle indotte, del proprio corpo ed avere
buone e soddisfacenti relazioni sociali. Basterebbe qui notare come sia importan-
te, nella Scuola, insegnare i vari livelli di comunicazione: materia presente in
migliaia di corsi, ma sottovalutata negli insegnamenti scolastici non universitari.
Tutti noi, e i giovani in particolare, hanno bisogno di definire al positivo le
cose, oggi più che mai. Bisogna ragionare e far ragionare in senso positivo, im-
parando ad esplorare la nostra mente, a visualizzare noi stessi, ad empatizzare
con gli altri, a giocare con i nostri pensieri e con noi stessi, ad imparare a raccon-
tare agli altri le nostre esperienze. Ma le persone fanno fatica, tendono al negati-
vo e questa situazione è eredità di una educazione attuata da moltissimi anni.
L‟attività scolastica tendente alla visione positiva, al piacere ed al gioco viene,
solitamente, praticata nella Scuola Materna, mentre non la si ritiene opportuna
181
negli altri gradi di istruzione. E‟ questa una visione distorta: si pensi, invece,
quanto hanno bisogno di questa impostazione gli adolescenti che stanno attra-
versando un periodo “post seconda nascita”, pieno di contraddizioni e di disagi e
che si devono socializzare come cittadini adulti e responsabili.
Una visione positiva nell‟insegnamento non è uno slogan e richiede uno
sforzo notevole per sradicare dalle menti degli insegnanti e degli allievi idee
preconcette, schematiche, negative di cui la nostra cultura è ancora impregnata.
La società moderna (con i suoi presupposti riconducibili alla cultura illuministi-
ca, all‟avvento della società industriale, alla differenziazione funzionale e allo
sviluppo dei media), rispetto all‟evoluzione storica, è iniziata da meno di trecen-
to anni in paesi come l‟Inghilterra, gli Stati Uniti e via, via si è diffusa anche a
paesi nord europei. Ma i paesi dell‟Europa mediterranea, tra cui l‟Italia, l‟anno
sperimentata veramente solo dopo la seconda Guerra Mondiale e per poco tem-
po, perché la rivoluzione informatica e la globalizzazione ne hanno cambiato su-
bito i connotati. Il dramma che viviamo oggi è proprio quello che siamo ancora
impregnati di molte idee, valori, pregiudizi legati alla società tradizionale ed
oscilliamo tra i valori della civiltà industriale e quelli della società post moderna
(o post industriale come viene variamente chiamata), con grandissime opportuni-
tà mai possedute nella storia degli uomini e altrettanti grossi rischi.
Queste contraddizioni colpiscono gli uomini del nostro tempo, ma soprat-
tutto gli adolescenti. La scuola deve affrontare queste problematiche e dare una
182
visione positiva del futuro, altrimenti l‟uomo arretra mentalmente nell‟idea del
negativo. L‟idea del negativo, che si è affermata nella storia, era legata alla non
comprensione e al non controllo di troppi fenomeni della vita, da qui un interes-
se ossessivo per il negativo, cioè per quello che gli uomini non riuscivano a
capire. Quelli che capivano o intuivano qualcosa cercavano di lasciare la gran
massa della popolazione nell‟ignoranza, sfruttando le conoscenze a proprio van-
taggio. Ancora oggi, alcuni centri di potere vorrebbero e riescono ancora (vedere
la crisi economica e sociale di vastissima portata che ci perseguita dal 2008) a
dominare le masse, con la diffusione di pensieri negativi produttori di malessere
sociale e di paure (vedere le amplificazioni e lotte sbagliate contro il terrorismo
internazionale). Gli uomini passati non distinguevano fenomeni naturali e so-
prannaturali, scoperte e invenzioni, tra segreti e misteri. Ha dominato per centi-
naia d‟anni, nonostante l‟avvento del cristianesimo, il mito, la magia e la conce-
zione del destino cui tutti dovevano inchinarsi. Il dovere ed il potere erano con-
siderati di natura divina o, comunque di origine metafisica e perciò, quasi sem-
pre, giustificabili, anche nelle loro manifestazioni peggiori. Le cose non doveva-
no cambiare e le azioni erano dominate dal mito e dalla tradizione.
La modernità ha coinciso con l‟idea del destino modificabile e delle capa-
cità creative ed auto creative dell‟uomo. Ma la società si dibatte tra grandi con-
traddizioni, nella post modernità, dove è tornata l‟incertezza per il futuro. La sto-
ria dell‟uomo non riesce ad accumulare i progressi verso la positività e la realiz-
183
zazione. L‟uomo ritorna spesso sui suoi passi. Ad esempio l‟idea della guerra,
nel passato, era ritenuta inevitabile, poi, dopo la bomba atomica di Hiroshima e
la Guerra Fredda, era stata bandita dalle nazioni più avanzate (a parte vecchi
conflitti tribali ancora esistenti) e recentemente è tornata a manifestarsi in quasi
tutte le zone del mondo accompagnata dalla sua stupidità e dai suoi orrori, nono-
stante l‟umanità abbia chiara la percezione che il mito negativo della guerra pos-
sa portare alla distruzione della razza umana. Abbiamo, nel corso di questa espo-
sizione, definito socializzazione, sistema sociale ecc.
Cultura, società, educazione
Dobbiamo ben definire, nell‟ottica sociologica dell‟educazione il termine
cultura. In questo senso riteniamo che il significato più classico definisca la cul-
tura come attività che si compiere per promuover l’umanità che la persona
custodisce e che si manifesta nell’autonomia, nella creatività, nella solidarie-
tà umana. Questa definizione fa coincidere il termine cultura, come fine, con
l‟attività educativa, come processo inesauribile per far avviare a questo fine le
giovani generazioni (e gli adulti con l‟educazione permanente) e con la costru-
zione di una buona società, come fine collettivo. Ma vi sono altre definizioni
inerenti al termine cultura legato all‟educazione. Apprendere cultura esige la
piena partecipazione del soggetto da educare, altrimenti non si educa, si comuni-
ca ad una sola via o si cerca la manipolazione.
184
Cultura è anche, perciò, un patrimonio immenso di conoscenze e di va-
lori da trasmettere alle nuove generazioni, ed è anche un sistema di vita, un
insieme di modelli di vita che si tramandano alle giovani generazioni attraverso
rapporti sociali, linguaggi, usi, costumi, tecniche e migliaia di altre esperienze
comunitarie. Cultura, educazione e società si intrecciano lungo la storia, come
vedremo di seguito, attraverso un‟esposizione sintetica dei tipi di cultura e di
educazione e della corrispondente visione del mondo nelle varie società avvi-
cendatesi nella storia.
5.2 Cultura, educazione, visione del mondo nelle varie società della
storia
Solitamente gli storici distinguono varie epoche. In campo sociologico si
studiano invece varie società: da quelle primitive a quelle degli ultimi secoli. Le
società primitive di caccia e raccolta sono costituite da piccoli gruppi di perso-
ne dedite alla caccia di animali, alla pesca e alla raccolta di piante commestibili
per assicurarsi l‟alimentazione. Nel gruppo vi sono poche disuguaglianze di po-
sizione, basate solo sull‟età (bambini, adulti e vecchi) e sul sesso (uomini e don-
ne). La divisione del lavoro è semplice e riguarda le caratteristiche biologiche
ereditate dalla natura: gli uomini sono cacciatori e le donne raccolgono le piante
commestibili e curano i figli (avendoli partoriti). La popolazione è nomade e si
185
sposta dove i vasti territori disponibili offrono, anche secondo le stagioni, le
maggiori opportunità. Poco tempo viene dedicato al lavoro vero e proprio e mol-
to ad altre attività ludiche, “artistiche” e “religiose”. L‟Educazione viene prati-
cata durante i riti di iniziazione che si svolgono soprattutto durante il periodo
della pubertà, con forme e stili differenti da gruppo a gruppo, ma secondo criteri
autoritari e basata su rigidi principi morali e religiosi. Questa forma di società è
iniziata circa 50mila anni fa e sta del tutto scomparendo (forse è rintracciabile in
alcune zone inesplorate dell‟Amazzonia). Ma alcune convinzioni e pregiudizi
sono presenti anche nella nostra società e alcune modalità di fruizione dei media,
come abbiamo visto, rischiano di farci tornare indietro, con modi di impressio-
nare i sensi tipici della società primitiva di caccia e raccolta.
Le società agricole sono formate da piccole comunità rurali, non urbaniz-
zate. La caccia e la raccolta di piante commestibili sono minimali e la principale
forma di sostentamento è rappresentata dall‟agricoltura, avendo gli uomini impa-
rato ad allevare le piante ed a raccoglierne i frutti (a volte anche a conservarli).
La piccola popolazione è stanziale. Le disuguaglianze sono più marcate rispetto
alle società di caccia e raccolta; vi sono capi e qualche figura ti tipo magico -
religioso, cui sono demandate le funzioni di istruzione ed educazione della co-
munità. La divisione del lavoro è più specializzata, secondo le abilità apprese,
ma è solidale e comunitaria. Diverse parti del tempo sono dedicate a cerimonie
comunitarie. Queste società sono nate circa 12mila anni fa. Vi sono tracce ai no-
186
stri giorni, ma sono state integrate in organizzazioni politiche più ampie e stanno
perdendo la propria identità. (vedere gli studi sulla comunità dei Valser, vicino
al Monte Rosa, tra Italia e Svizzera).
Le società pastorali sono formati da gruppi composti da alcune decine di
individui fino a qualche migliaio di persone. Hanno imparato ad addomesticare
gli animali e da loro dipendono per la loro alimentazione e per il loro lavoro.
Queste società hanno disuguaglianze più nette: i capi hanno potere assoluto e
giudicano la vita degli appartenenti; vi sono collaboratori dei capi (i capi, in al-
cune società numerose, diventano re - guerrieri) e soldati. Sono società nomadi
(relativamente) che si stanziano in alcuni territori per brevi periodi, principal-
mente dove vi è abbondante alimentazione per il bestiame. Il periodo di queste
società è simile a quello delle società agricole (dai 12mila anni fa ai giorni no-
stri). Le società pastorali sono state inglobate, in parte, da Stati nazionali e le lo-
ro tradizioni stanno scomparendo. Se ne possono osservare alcuni tratti in gruppi
che vivono accampati nei deserti (v. Sahara) o presso sistemi montuosi partico-
larmente elevati (v. Nepal).
Le società o civiltà tradizionali antiche vedono l‟agricoltura diffusa co-
me principale base del sistema economico, con coltivazioni sempre più differen-
ziate e complesse. Vi sono città anche notevoli, di centinaia di migliaia di abitan-
ti con attività specializzate nel commercio e artigianato. Sono società più aperte
agli scambi con altri popoli. Nascono gli Stati (non in senso moderno con precisi
187
confini e senso di appartenenza), di diverse dimensioni (composti perlopiù da al-
cune decine di tribù, ma vi sono grandi Stati di alcuni milioni di persone). Gli
Stati tradizionali possiedono distinti apparati di governo (scribi, sacerdoti, fun-
zionari, amministratori, governatori) , sono comandati da un potere centrale, al
cui vertice si trova il re o imperatore. Tra le diverse classi (produttori, filosofi,
sacerdoti, scribi, funzionari, militari ecc.) vi sono forti disuguaglianze di ceto e
di reddito. L‟istruzione e l‟educazione è impartita da maestri – filosofi che cer-
cano di educare e conformare gli allievi al senso ed ai valori della comunità di
appartenenza Il lavoro è diviso secondo le classi. I lavori più umili sono svolti da
servi e schiavi, valutati questi ultimi con denaro e scambi di beni. Iniziano dal 6
mila avanti Cristo e corrispondono alle grandi civiltà (Egitto, Mesopotamia, In-
dia, Cina ecc.)
Gli Stati o civiltà tradizionali comprendono anche le civiltà greca e ro-
mana, chiamate anche civiltà dell‟epoca classica. L‟educazione e l‟istruzione so-
no svolte in vere e proprie scuole con maestre ed allievi, secondo i tipi di socie-
tà: alcune addestrano alle pratiche del lavoro, altre fanno riflettere su grandi te-
mi umani, altre affrontano questi temi in chiave quasi esclusivamente religiosa.
Gli stati tradizionali sono ormai del tutto scomparsi, dopo la nascita dello Stato
moderno. Dopo la civiltà tradizionale si è soliti distinguere la società tradizio-
nale che, di solito, viene datata tra il Medioevo e la Rivoluzione Francese. Si
tratta della società feudale con l‟Imperatore a cui vari popoli ed etnie fanno rife-
188
rimento, in pratica i feudi sono proprietà di signorotti locali. Si ricorda la classi-
ca divisione in classi tra nobiltà, clero ed il cosiddetto “terzo stato”, antecedenti
alla Rivoluzione Francese, ma in realtà le differenziazioni sono accentuate
all‟interno delle singole classi (ad esempio vi è un clero ricco o ricchissimo e un
clero povero). I greci hanno per primi introdotto il metodo educativo individuali-
stico e personalizzato, basato sul valore dell‟uomo e delle sue qualità (valentia,
eccellenza, superiorità e dotato di volontà e libertà. Ma i greci ritenevano
l‟attività manuale indegna di un cittadino libero. Non possiamo approfondire le
differenze tra l‟educazione rigida e militaresca spartana e quella umanistica di
Atene, dove lo Stato aveva funzioni fondamentali dirette (Sparta) o di controllo
(Atene) dove vi erano scuole specializzate di lettere, di musica, i ginnasi e
l‟efebia (educazione ginnico –militare). Nella Roma arcaica l‟educazione era ba-
sata sui valori dell‟educazione campestre, della famiglia e della patria. Poi
l‟educazione viene ellenizzata, con un percorso che va dalle elementari (per tut-
ti) alla scuola di grammatica (per i figli di famiglie aristocratiche, dopo i 12 anni,
mentre i figli dei poveri vanno al lavorare). E‟ una cultura fondata sul diritto e
sulla praticità, vi sono altre specializzazioni, ma la base dell‟educazione è rivolta
a scoprire l‟indole del fanciullo e alla trasmissione dell‟amore per le occupazio-
ni, creando attorno al discente un ambiente positivo, rispetto del fanciullo e sua
comprensione ed esempio da parte dei maestri.
189
Il crollo dell‟impero romano d‟Occidente (476 d. C.) ha visto travolgere
un‟intera civiltà e di un‟intera cultura. Si deve alla cultura cristiana, che prima si
era innestata in quella romana, il recupero della cultura classica e la conversione
progressiva dell‟animo barbarico che poi ha dato il via all‟esplosione artistica e
intellettuale del medioevo. In questo periodo vi sono diversi ideali educativi:
monastico, cavalleresco, religioso, scolastico. Durante l‟epoca dei Comuni in
Italia avviene un grande rinnovamento spirituale, sociale, economico e politico.
Perdono potere papato e impero e nasce una cultura laica che razionalizza la ve-
rità, anche quella di fede. L‟umanesimo che ne segue sviluppa l‟educazione ad
un uomo nuovo, forgiato in una personalità potente ed autonoma, attraverso lo
studio dei classici, il recupero nell‟insegnamento della grammatica e della retori-
ca, lo studio del greco e del latino (in un‟Italia ormai “italianizzata”). Vale la pe-
na di notare che questi processi riguardano fasce ristrette di popolazione, in stra-
grande maggioranza analfabeta.
La cultura illuministica accompagna la nascita della società moderna, con
le idee del precursore Rousseau, che voleva una comunità di individui autosuffi-
cienti e prima ancora del filosofo Kant, che concepiva l‟educazione come domi-
nio sulla natura e sugli impulsi della sensibilità, perché l‟individuo possa uni-
formarsi all‟impostazione della vita morale, composta dalla disciplina esteriore
che porta a quella interiore liberatrice degli impulsi sensibili. Kant pensava ad
190
un‟educazione mista privata e pubblica (questa per l‟educazione del cittadino),
religiosa e pratica.
Differenziazione funzionale, sviluppo dei media, società e cultura di
massa
Le due grandi trasformazioni che hanno aperto le porte alla società mo-
derna, le quali hanno consentito l’industrializzazione, l‟affermarsi del capita-
lismo industriale, la società di massa e, a loro volta, altre grandi modificazioni
dell‟economia e della società, sono: la differenziazione funzionale e lo svilup-
po dei mezzi di comunicazione. Possiamo definire la differenziazione funzio-
nale come quel processo di vasta specializzazione che si afferma in diversi set-
tori della società. E‟ un processo generalizzato: i diversi settori si differenziano
tra di loro. Ad esempio: la scienza si stacca e si distingue dalla religione; il pote-
re politico assoluto, concentrato nelle mani del re, si suddivide (secondo quanto
teorizzato da Montesquieu) in potere legislativo (con propri rappresentanti eletti
dai cittadini che diventano soggetti di diritti, non più sudditi), esecutivo e giudi-
ziario. Il potere assoluto e generalizzato si specializza nel diritto. Tutta la società
si differenzia e specializza ruoli e funzioni. La specializzazione determina la di-
visione del lavoro . Nelle società tradizionali esistevano una ventina di mestieri
artigianali differenti, più una serie limitata di altre attività specializzate (ad
esempio: mercanti, soldati, sacerdoti). Il lavoratore artigiano provvedeva a co-
struire tutto il prodotto, dall‟inizio alla fine, realizzando ed esprimendo il suo
191
capitale umano e concorrendo, con gli altri artigiani, ad incrementare il capitale
sociale (conoscenze, abilità, creatività, fantasia collettivi, della categoria,
dell‟associazione).
Con lo sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa, nel periodo tra la
fine del Settecento e l‟inizio dell‟Ottocento, si cominciano ad avere notizie da
tutto il mondo. Stampati, libri e giornali, prima di elites e poi di massa, aiutano
soprattutto il formarsi della borghesia che ha i mezzi per poter leggere o farsi
leggere e consigliare dai colti, dagli intellettuali. Il processo che stiamo descri-
vendo è solo iniziale e circoscritto in alcune zone del mondo, ma culturalmente
nasce qui il concetto di massa. Non solo i mezzi di comunicazione diventano di
massa, anche la produzione artistica diventa di massa, replicabile e duplicabile,
come lo era quella della produzione dei beni. La massa diventerà la protagonista
degli ultimi duecento anni. Cultura di massa (usata spesso per distinguerla da
quella alta o colta), forme di comunicazione di massa, ideologie di massa, con-
sumi di massa. La massa diventerà protagonista sia dei regimi totalitari, sia dei
movimenti riformatori e rivoluzionari operai, sia della grande espansione dei
consumi.
Il sistema comunicazione – persuasione – propaganda, nato con il pro-
gressivo affermarsi della società di massa, assumerà un ruolo centrale per la so-
cietà, l‟economia, gli scambi, la vendita di beni e servizi in un sistema nuovo di
distribuzione a larga scala, destinato a soppiantare la competizione del libero
192
mercato individualistico. Diverse energie fisiche ed intellettuali saranno impie-
gate nel mondo della stampa e dell‟informazione, tutte orientate nel soddisfare il
pubblico. Il pubblico sembrerebbe colpito dalla propaganda e dalla pubblicità,
apparirebbe inebetito, passivo esecutore dei messaggi ricevuti e introiettati, a li-
vello conscio o subconscio. La gente sarebbe indotta a comprare e a pensare in
modo automatico. Notevoli studi scientifici svolti nel Novecento, come abbiamo
visto nel capitolo precedente, ridimensioneranno queste iniziali teorie, ma altri
avvenimenti economici e sociali confermeranno, in parte, la passività della mas-
sa di fronte a diverse forme di comunicazioni svolte dai moderni mass media.
Alla grande rivoluzione materiale del mondo contemporaneo non è corri-
sposta un altrettanto grande adeguamento “spirituale” nell‟uomo e negli uo-
mini e questo crea difficoltà notevoli nella psiche degli individui e nella capacità
di vita sociale. Non riflettendo a sufficienza su questo divario, l‟uomo non riesce
a risolvere vari problemi esistenziali.
La logica della differenziazione funzionale e dello sviluppo dei media tro-
vano un‟integrale espressione, soprattutto nel campo dell’educazione e in altri
campo della vita sociale. Sorgono così la scuola pubblica (poi diventata
dell‟obbligo), l‟esercito circoscrizionale di leva, il manicomio, l‟ospedale e altre
forme di controllo sociale. Vi è un generale processo di regolazione della socie-
tà. Un‟altra grande trasformazione riguarda la scienza e la religione. La scienza
diventa fonte di verità e viene equiparata alla religione, poi predomina su di essa.
193
Si inizia una differenziazione funzionale tra verità di fede e verità scientifica e
viene distinta la comunità scientifica (che diventa autonoma) da quella religiosa.
Gli stessi media differenziano i messaggi delle due comunità. E‟ questo
uno degli elementi più importanti che connotano il passaggio dalla tradizione
alla modernità che implica una serie di ricadute profonde sulla vita sociale ed
economica. In primo luogo cambia la stessa concezione del mondo. Non vi è
più, necessariamente, un contesto comune condiviso, cioè non c‟è più una rap-
presentazione comune dell’ordine dell’universo, supposto che ne esista uno e
che l‟universo sia ordinato. Non esiste più un‟autorità assoluta che detiene il po-
tere della verità , non vi sono principi validi universalmente e valori assoluti
per tutti gli uomini. Tra il Settecento e l‟Ottocento inizia un processo di “dema-
gificazione” del mondo. La Scienza richiede ipotesi, verifiche, prove confutabili,
osservazione contrarie per validare una teoria: tutto questo lo può fare una co-
munità specializzata. Si assiste, così, al formarsi di linguaggi specialistici:
nessuno è in grado, però, di comprenderli tutti e non esiste una lingua superiore
che li comprenda.
Comunità specializzate e linguaggi specialistici si imporranno anche nella
cultura, nell‟economia, nella politica e nella società. Secondo Weber si diffonde
un “politeismo di valori”: scompare,quindi, il credo comune. Con il nuovo po-
tere della scienza ed il nuovo modo di concepire la religione cade il carattere
del sacro che caratterizzava la società tradizionale. La materia non è più sacra o
194
magica, non ha origini divine o mitologiche, per cui gli uomini la possono do-
minare a piacere, utilizzare, consumare, plasmare come lo desiderano e secondo
i loro fini economici, funzionali. Questa nuova concezione fa cadere pregiudizi,
tabù, maledizioni, credenze assolute per tradizione, abitudini antiche e apre il
mondo ad un grande sviluppo tecnico, economico, produttivo, liberale e di rela-
zioni sociali nuove. Il mondo diventa sempre più scientifico e tecnico. La reli-
gione diventa un fatto più privato che collettivo, riguardante la coscienza
dell‟individuo.
Le trasformazioni esaminate fin qui, che determinano il passaggio dalla
società tradizionale a quella moderna, influiscono sull‟uomo, sul suo modo di
pensare e concepire se stesso e il mondo: sulla sua soggettività. L‟uomo moder-
no così trasformato, a sua volta, influirà sullo sviluppo economico, sul lavoro e
sulla vita sociale. Fasi della vita umana prima ignorate e sottovalutate, come
l’infanzia e l’adolescenza, sono adesso oggetto di attenzione. Possiamo dire che
queste fasi sono un‟invenzione della cultura moderna. Prima, nella società tradi-
zionale, i bambini erano considerati dei piccoli adulti incapaci. Erano prodotti in
grandi quantità, sia per farli lavorare in campagna, sia perché la loro mortalità
era elevata. Non erano soggetti di diritti, venivano sfruttati, anche sessualmen-
te. Venivano spesso abbandonati, se non risultavano utili.
Solo con l‟avvento della modernità, in seguito al pensiero illuminista e con
il sorgere dell‟idea di educazione scolastica nazionale, i bambini e gli adole-
195
scenti vengono tutelati ed educati, nascono libri appositamente per loro ed istitu-
zioni sociali di tutela, specie per quelli abbandonati o con problematiche esisten-
ziali e sociali.
Lo sfruttamento dei bambini e delle donne è particolarmente intenso nelle
prime fabbriche, ma le nuove mentalità acquisite daranno vita a dure lotte per
limitarne l‟uso e ridurre l‟orario e il tipo di lavoro (lavori meno pesanti per i
bambini e per le donne in gravidanza). L‟amore romantico ed il matrimonio sono
anch‟essi fenomeni moderni e tipicamente borghesi. Prima i matrimoni veniva-
no, in gran parte, combinati, soprattutto per ragioni economiche o di potere,
sia nelle classi aristocratiche e ricche, sia nelle classi popolari. L‟aspetto affetti-
vo, per chi poteva, trovava espressione nelle relazioni extra – coniugali (concu-
binato, prostituzione). Una nuova concezione del matrimonio, dell‟amore e del-
la famiglia produrrà effetti sull‟impresa famiglia – unità produttiva che cesserà
di essere la principale unità di produzione economica, non più estesa (parenti
che vi vivono). Con la modernità la famiglia è basata su scelte libere.
Un altro concetto, oggi considerato naturalmente acquisito, quello
dell’autonomia individuale, nasce in concomitanza con le trasformazioni eco-
nomiche e sociali. Il concetto di autonomia individuale si era fatto strada durante
l‟Umanesimo e nel capitalismo mercantile. Ma è con la fase del capitalismo
industriale che si afferma nella società: c‟è bisogno di un individuo capace di
razionalità, di calcolo, di scelte strategiche, al di là della posizione che ricopre
196
nella società e soprattutto senza guardare alle origini della famiglia. L‟economia
capitalistica, la nuova mentalità moderna e la creazione dello Stato – nazione
democratico fanno capire all‟uomo che non dipende da fattori strani, magici, dal
tempo atmosferico, o dal potere del re e dell‟arbitrio di chi ha il potere; vi è pro-
tezione contro le passate e continue invasioni straniere. Le leggi sono certe.
L‟uomo, in questo contesto, è reso direttamente responsabile delle sue azioni e
ne risponde alla società organizzata. L’individuo autonomo moderno modifica
e dà forma al mondo esterno, alla natura attraverso il lavoro e, nello stesso tem-
po, dà forma a se stesso, alla propria personalità, alle proprie qualità umane con
la sua volontà. Queste nuove concezioni del pensiero umano conseguenze dello
sviluppo del pensiero scientifico e della secolarizzazione. L‟uomo moderno ha
imparato a diventare critico, a cambiare in senso innovativo, cioè ad uscire da
una sola visione del mondo ereditata. I costumi e le abitudini non vengono più
accettati perché lo dice un‟autorità o perché e così, per tradizione. Le abitudini di
vita diventano razionali, utili, giustificate, provate, scelte.
Cambiano le forme di pensiero, ma anche i contenuti delle idee: le idee
di autopromozione, libertà, eguaglianza, partecipazione democratica hanno inne-
scato grandi processi di sviluppo nell‟economia, nella politica e nella società.
L‟uomo moderno partecipa alla vita sociale ed è informato su quanto accade nel-
la sua società e nel mondo. Queste idee sono innovative perché non accettano
197
di perpetuare le forme di vita ereditate dal passato, ma impongono continue revi-
sioni con l‟obiettivo di migliorare continuamente la condizione degli uomini.
Certamente la vita di fabbrica e di azienda incentiva questa visione mo-
derna del mondo. Ricordiamo sempre che questi processi non sono stati istanta-
nei per tutte le società e si sono affermati lentamente in diverse parti del mondo.
Anche nello stesso Occidente, la modernizzazione ha avuto sviluppi diversi da
paese a paese: questa differenziazione, oltre a risorse differenti tra gli stati, si ba-
sa sulla storia delle società che l‟hanno ereditata.
La società moderna viene, di solito, compresa tra l‟inizio
dell‟industrializzazione ed il periodo degli ultimi anni del Novecento. Si ritiene
corretto suddividere la società moderna in società moderna vera e propria (per
alcuni ha origine con la scoperta dell‟America – 1492, per altri con l‟invenzione
della stampa – 1459) e società post moderna o postindustriale, che inizia alla fi-
ne del Novecento – 1989 caduta del muro di Berlino - per altri con la rivoluzio-
ne dell‟Informatica e della Robotica – anni Ottanta e Novanta del „900 e prose-
gue ai giorni nostri.
Società e cultura moderne e post moderne
Uno dei dibattiti più pregnanti tra sociologi è incentrato sulla definizione
di modernità e post – modernità e su quella di società industriale e società
postindustriale. Risulta più facile il compito di stabilire il confine tra industriale
e post – industriale. In questo caso tutti sono concordi nel definire il post – in-
198
dustriale quel cambiamento che ha portato alla fine del fordismo. Elen-
chiamo le caratteristiche di questo cambiamento.
1) Il passaggio dalla domanda rigida alla domanda variabile e, di con-
seguenza, crisi della produzione standardizzata e affermazione dei gu-
sti personali dei consumatori.
2) La rivoluzione robotica e informatica con i conseguenti cambiamen-
ti nell‟organizzazione del lavoro (modello giapponese della qualità to-
tale e del lavoro in gruppo), nei processi produttivo – logistici (produ-
zione neo – artigianale e snella, magazzino quasi zero), nelle relazioni
di lavoro (più orizzontali e meno verticali).
3) Impresa a rete, globalizzata che deve fare i conti con il mercato glo-
bale in cui opera o che, comunque, la condiziona.
4) Società opulenta e civiltà dei consumi, in un periodo di grande pro-
sperità, anche se disuguale, unico nella storia. All‟interno di questa so-
cietà o civiltà nasce la contestazione del modello di vita.
Questo modo di produrre, consumare e vivere connota il passaggio dal-
la società industriale a quella post – industriale, ma anche quella di un tipo di so-
cietà, quella moderna a quella post – moderna, essendo la produzione ed il con-
sumo collegati, in gran parte, ai modelli di vita. Nell‟era postindustriale
(chiamata anche in vari altri modi: “società della rivoluzione informatica”,
“dell‟automazione” ecc. ), i lavoratori possono eseguire lavori meno ripetitivi e
199
più creativi, anche fuori dalla fabbrica. Ne consegue una più marcata valorizza-
zione del capitale umano (occorrono più conoscenze per il nuovo tipo di
produzione) e del capitale sociale (lavoro di qualità e di gruppo avviato come
modello produttivo in Giappone e uso delle conoscenze collettive accumulate).
Tuttavia, la distinzione tra società moderna e società post moderna, soprattutto
tra i sociologi, presenta problemi e trova molti studiosi in disaccordo sul termi-
ne e sui suoi contenuti.
Alcuni autori considerano il periodo moderno concluso, altri non sono
d‟accordo. Tra questi ultimi il sociologo francese Touraine parla di modernità
esplosa e non di postmodernità, Giddens e Luhmann di modernità radicale e
Habermas di progetto incompiuto. Per progetto incompiuto, gli autori che so-
stengono questa tesi sostengono che esiste ancora oggi un consistente divario
tra gli ideali propagati dall’illuminismo (libera espressione del pensiero, liber-
tà dall‟autorità politica e religiosa, uguaglianza effettiva di tutti gli uomini) ed il
modo in cui storicamente questi principi si sono realizzati. Questo contrasto
rende la modernità un progetto incompiuto, non ancora integralmente realizza-
to.
Gli autori che definiscono il periodo che stiamo vivendo “modernità radi-
cale” sostengono invece che alcuni principi illuministici sono stati estremiz-
zati. Un esempio del principio di libertà dall‟autorità religiosa estremizzato può
essere quello della manipolazione della vita (clonazione umana). In questo caso
200
molti scienziati ritengono che non vi debba essere morale nella scienza, la
quale deve sperimentare tutto ciò che risulta tecnicamente possibile. Tra
questi autori vi è chi (ad esempio Luhmann) mette in evidenza che la radicaliz-
zazione moderna consiste nella differenziazione funzionale estrema che porta
alcuni sotto - sistemi sociali (il diritto, l‟istruzione, la scienza ecc.) a specializ-
zarsi fortemente e ad agire solo in base alle regole interne del loro funzionamen-
to, considerando gli uomini un altro sistema, un sistema psichico fuori dal siste-
ma sociale (fatto di comunicazioni auto referenti ed auto poietiche) e di cui co-
stituirebbe l‟ambiente. Oltre alla differenziazione funzionale, vi è anche un mo-
do totalmente diverso di fare esperienza del mondo, non più diretta (vivere
quello di cui si fa esperienza diretta), ma in base alle “visioni” di quello che
viene trasmesso in tv, al cinema o tramite internet, come ampiamente documen-
tato precedentemente.
Coloro che definiscono la nostra epoca “modernità esplosa” evidenziano la
crisi dell’idea di scienza. Entra in crisi, cioè, quel settore del pensiero che do-
vrebbe risolvere i problemi della nostra società. Secondo gli autori dei modelli
riguardanti la modernità radicale e la modernità esplosa, questi modelli sono ca-
ratterizzati dallo sviluppo fortissimo della tecnologia e dei media e della ra-
dicalizzazione dei vari sotto – sistemi sociali. Lo sviluppo tecnologico mette a
disposizione dell‟uomo una serie di possibilità quasi infinite. Si afferma la con-
vinzione, in molti scienziati, tecnologi, imprenditori, che, con le conoscenze e le
201
loro applicazioni pratiche, si può fare tutto ciò che si vuole. Lo sviluppo dei
mass media vecchi (tv, cinema, radio, giornali) e nuovi (internet) porta
l‟uomo a vivere in un tempo ed in uno spazio esterni alla sua realtà: si tratta di
vivere in un “non – luogo”, senza confini e in un “non – tempo”, essendo tutte le
esperienze vissute al tempo presente.
Ogni sotto – sistema sociale si divide ulteriormente in altri sottosistemi
che si specializzano al loro interno (per esempio l‟economia nella finanza,
nell‟amministrazione ecc..) I sotto – sistemi hanno loro regole interne, non
comunicanti con quelle di altri sottosistemi, da cui possono subire qualche debo-
le perturbazione che non turba tuttavia la loro logica sistemica. Hanno loro lin-
guaggi specialistici, conosciuti da chi vive all‟interno del sistema, incomprensi-
bili dagli altri. Questo porta all‟impossibilità di trovare punti di convergenza tra
sistemi, di effettuare una sintesi tra prospettive diverse. La differenziazione fun-
zionale esaminata ci richiama alla prima differenziazione funzionale, quella
del passaggio dalla società tradizionale a quella moderna: la tecnica era di-
ventata tecnologia ed il capitalismo industriale era diventato finanziario. Prima
l‟uomo agiva secondo i fini (salvezza eterna, principi etici del bene e del giu-
sto), poi l’attenzione dell’uomo si è spostata sui mezzi (fare più cose nel mo-
do più efficiente). Horkeimer e Adorno (Scuola di Francoforte) hanno chiamato
questa situazione razionalità strumentale. Nella nostra epoca la separazione del-
le modalità di funzionamento dei vari sotto sistemi dai suoi effetti comples-
202
sivi sulla società è diventato evidente. La razionalità strumentale porta
un‟azienda a seguire la logica dell‟efficienza nel suo funzionamento, a scapito
della salute (fisica, psichica e relazionale) dei suoi lavoratori. Oppure porta
un‟industria a produrre al massimo con costi minimi. Tante industrie fanno così
seguendo la logica del profitto (propria del sotto – sistema “aziende industria-
li”). Ma questa logica porta ad un inquinamento ambientale complessivo che
mette a rischio la salute degli stessi imprenditori e lavoratori che partecipano al
processo produttivo. Anche la scuola segue, spesso, questa logica,
Habermas e Offe definiscono la modernità un progetto di emancipazione
dell’uomo da forze che attaccano la sua dignità: la tradizione, il potere assoluto,
la religione dogmatica, la povertà materiale. Questi ideali sono stati realizzati at-
traverso il principio della razionalità strumentale, dell‟efficienza, del successo,
della produzione. Habermas e Offe propongono di ricercare sempre questi idea-
li moderni, ma nell‟ottica di un‟autentica emancipazione dell‟uomo. Distinguono
due fatti. Un fatto positivo: la modernità contrassegnata dagli ideali positivi di
emancipazione umana ed un fatto negativo: il reale processo di modernizza-
zione, dominato dalla razionalità strumentale e che riguarda solo una parte
dell‟umanità (i paesi occidentali). E‟ questa la tesi della modernità tradita dal
processo di modernizzazione. Habermas evidenzia una grossa contraddizione
nella società contemporanea: grande sviluppo dei media che mettono in comu-
nicazione persone in tutto il mondo, in grado di relazionarsi e capirsi, da un la-
203
to e, dall‟altro, l’agire strumentale (principio della razionalità strumentale) nel-
le concrete relazioni umane. Il sociologo tedesco propone invece l‟agire comu-
nicativo al posto dell‟agire strumentale, che significa dialogare liberi dalla sot-
tomissione della tecnica, del risultato, della prestazione, dell‟utilità. Per Offe il
problema diventa quello delle conseguenze della tecnicizzazione del mondo.
Tutto ciò che è fattibile non è sempre sostenibile, a livello ecologico, re-
lazionale - sociale, etico, fisico, psichico. Ma molti autori sostengono che la no-
stra era sia effettivamente quella che possiamo definire della post - modernità.
Esaminiamo ora le caratteristiche generali, che consentono di definire la società
in cui viviamo post – moderna, in quanto segnano una rottura, una discontinuità
con la società moderna. Queste caratteristiche sono essenzialmente: la questione
ecologica correlata al senso del limite; la società post – industriale; il costi-
tuirsi di una cultura post moderna. Vediamoli meglio.
La questione ecologica mette in evidenza che non vi possono essere setto-
ri della società che rispondono solo a sé stessi (sulla base, ad esempio
dell‟efficienza produttiva, della logica del profitto, del soddisfacimento dei biso-
gni personali ecc.) comportando conseguenze negative complessive per tutta la
società (ad esempio: inquinamento ambientale e danni per la salute, guadagni a
scapito della morale umana e quindi del bene dell‟uomo, appagamento momen-
taneo dei sensi personali con sostanze stupefacenti e danni alle persone circo-
stanti ecc.). La definizione di società post – industriale (Touraine e Bell) è più
204
complessa e secondo Dahrendorf si può chiamare addirittura post capitalistica.
Si intende comunque una società non più basata sulla produzione industriale, ma
sul lavoro svolto nell‟ampio settore dei servizi (pubblica amministrazione, in-
formazione e telecomunicazioni, spettacolo, istruzione e conoscenza, pubblicità,
ricerca scientifica, marketing, finanza, commercio e distribuzione ecc.). Gli oc-
cupati in questo settore nelle società sviluppate (dal 60 all‟80%) confermano
questa realtà, anche se pongono il problema del principio della prestazione e
quello del principio del piacere, dell’evasione, della qualità della vita, in rela-
zione all‟esperienza di tutti i giorni, negli affetti, nel tempo libero. Si tende a su-
perare il problema con un mix di vita e lavoro, di piacere e prestazione. La cul-
tura post – moderna, secondo alcuni autori, si inserirebbe nella società postin-
dustriale e costituisce senza dubbio un grande elemento di rottura e di disconti-
nuità. Questa cultura, per Lyotard, si basa sulla sfiducia nel sapere scientifico
e delle grandi narrazioni (della religione dogmatica, della tradizione secolare).
Anche la scienza si basa su determinate condivisioni conoscitive e sociali e la
stessa razionalità strumentale è di origine prettamente borghese (si vedano, a
questo proposito le analisi sull‟affermazione del ceto sociale della borghesia).
Quando entra in crisi il primato scientifico della razionalità strumentale si rompe
anche la condivisione del sapere scientifico. La cultura dell’agire strumentale
di stampo borghese entra in crisi perché non è più condivisa da diversi settori
della società.
205
La scienza e la tecnologia non sono più in grado di calcolare l’effetto
delle loro prestazioni. Ad esempio, la scoperta dell‟energia atomica ha portato
alla scoperta di un‟energia molto efficace, dagli effetti, all‟atto della scoperta,
del tutto ignoti. Dopo si sono visti gli effetti pratici: la bomba di Hiroshima, ad
esempio, in negativo e le centrali nucleari, in positivo, ma oggi ancora in discus-
sione; oppure gli organismi geneticamente modificati, i cui effetti sulle genera-
zioni future sono oggi sconosciuti perché non controllabili adesso. Sostanzial-
mente, la scienza moderna non riesce più a dimostrare le regole di convalida
e di verifica, non sa che cosa controllare, essendo gli elementi controllabili
estremamente complessi. Gli stessi scienziati non hanno più delineate le regole
che dovrebbero essere oggetto di dimostrazione. Che senso ha allora avere esal-
tato la scienza moderna come strumento di emancipazione rispetto alla religione
e alla tradizione? La scienza viene percepita in modo analogo ad un dogma,
come la religione tradizionale, così subendo un processo di snaturazione.
Scienza e tecnologia sono strumenti in grado di funzionare alla perfezione, ma
non siamo in grado di valutarne i costi per l‟umanità.
La rottura della post – modernità con la società moderna è determinata,
inoltre, dalla constatazione che la società e la cultura post moderna non sono
in grado di rappresentare un’idea di futuro. La società industriale moderna e
la relativa cultura indicavano che, attraverso la scienza e la tecnologia,
l‟emancipazione umana ed il progresso sarebbero avanzati costantemente nel
206
tempo. L’idea di progresso, concepito come generale miglioramento
dell’umanità basato sulla scienza e sulla tecnica, viene meno. In futuro, le
nuove generazioni non sono sicure di vivere meglio delle precedenti. La società
futura potrebbe non portare ad un benessere diffuso, ma, visti alcune tendenze
odierne (terrorismo internazionale, mancanza di lavoro, gravissime crisi specula-
tive e finanziarie che provano stagnazione e recessione), potrebbe veder crescere
disparità ed emarginazioni maggiori, creando forti problemi di convivenza. Del
resto, la crisi delle ideologie non ha portato la pace nel mondo, come si sperava,
ma nuove divisioni e nuovi pericoli globali.
Considerando però la situazione da un‟altra prospettiva, questi rischi e
queste paure potrebbero rivalutare i valori umani. Riconoscendo criticamen-
te il percorso effettuato dall‟umanità, attraverso la riflessione sui fatti positivi
(forte emancipazione di tanti popoli) e sugli errori commessi (conflitti e valori
strumentali), si aprirebbero nuove prospettive. Da questo nuovo modo di pensare
potrebbe, infatti, formarsi un nuovo grande senso di responsabilità collettiva,
che condizionerebbe in modo virtuoso i comportamenti individuali e di gruppo,
determinando un cambiamento delle strutture sociali ed una comunicazione ba-
sata sul dialogo, la tolleranza, lo sviluppo integrale degli uomini, la loro realiz-
zazione ed una nuova comunità solidale.
Educazione, capitale umano e capitale sociale
207
Nella società attuale, definita post industriale o post moderna, per combat-
tere l‟emarginazione di molte persone in difficoltà nel sostenere la sfida globale,
si punta sempre di più sulla continua riqualificazione e formazione delle ri-
sorse umane e del capitale sociale. Lo fanno le aziende, lo dovrebbe fare mag-
giormente la Scuola nell‟educazione e nell‟istruzione dei bambini e dei giovani.
Il capitale umano di un individuo è costituito dall‟insieme di conoscenze, com-
petenze, abilità, emozioni, esperienze, schemi mentali, modi di relazionarsi e di
socializzare, che servono per conseguire obiettivi economici o sociali. Il singolo,
le istituzioni scolastiche e le aziende sostengono costi economici (monetari,
tempo impiegato) per sviluppare il capitale umano. Questi costi sono investi-
menti essenziali per il futuro dei giovani, di una società, di uno Stato o di una
comunità, per il suo benessere fisico, psichico e ambientale presente e futuro. Il
capitale umano dei singoli, immesso nell‟intreccio delle relazioni interpersonali
(formali e informali), genera il capitale sociale di una comunità, di un territorio,
di una nazione.
Il capitale sociale può essere definito come l‟insieme delle risorse di tipo
duraturo che un individuo, un gruppo, un ceto, una classe, una comunità può uti-
lizzare e combinare con altre risorse per raggiungere determinati fini. Il capitale
sociale è l'insieme di quegli elementi dell'organizzazione sociale - come la fidu-
cia, le norme condivise, le reti sociali – che possono migliorare l'efficienza della
società nel suo insieme, nella misura in cui facilitano l'azione coordinata degli
208
individui. Dal punto di vista collettivo, il capitale sociale è una componente
razionale dell’umanità che viene attuata non in modo individualistico ( secon-
do i principi dell‟economia classica e neoclassica imperante nella globalizzazio-
ne), ma in modo sociale, comunitario. Il capitale sociale è il prodotto di uno
scambio reciproco di relazioni, non basate essenzialmente sull'utilità indivi-
duale. Il soggetto che entrerà in contatto con gli altri porterà con sé il proprio
"capitale" che metterà in comunione con gli individui, ricevendo da essi il pro-
prio “bagaglio sociale”. In questo modo si creerà uno scambio di esperienze, di
conoscenze e di informazioni che renderanno possibile il raggiungimento di sco-
pi altrimenti non perseguibili limitatamente a livello individuale. Secondo il so-
ciologo James Coleman per produrre, vivere insieme, raggiungere determinati
obiettivi, occorre una collaborazione collettiva all‟interno di un determinato
contesto che genera un vincolo solidaristico basato su un capitale sociale.
Maggiore è la collaborazione, maggiori diventano le risorse collettive alle quali
una persona può affidarsi. Per questo ragioni, il capitale sociale viene visto come
base per un nuovo modo di vivere, di educare, di produrre, di consumare nell‟era
postfordista e post industriale. Abbiamo visto, nel secondo capitolo, che gli Stati
che investono molto nell‟educazione, nella formazione, nell‟istruzione,
nell‟addestramento sono quelli vincenti, competitivi, sia per quanto riguarda la
crescita e lo sviluppo economico, sia nella lotta contro le povertà. La carenza di
risorse indirizzate verso questo obiettivo, la non valorizzazione di talenti presenti
209
determina l‟impoverimento del capitale umano e di interi territori e comunità.
Nelle aziende moderne è essenziale, ad esempio, sia nell‟organizzazione interna,
sia nelle relazioni con i consumatori, possedere una risorsa fondamentale del ca-
pitale sociale che è la fiducia. Tutto si basa sulla fiducia. La stessa moneta è una
fiducia, a volte tradita per fini meramente speculativi o per truffe più o meno oc-
culte. Ed anche la motivazione ad avere fiducia e a creare relazioni reciproche
all‟insegna di questo obiettivo si impara, gradatamente, durante il processo edu-
cativo. Persino le imprese multinazionali, che sono orientati alla massimizzazio-
ne del profitto, devono essere in grado di capire e di inserirsi nel contesto in cui
operano, devono possedere una leadership di coordinamento in grado di valoriz-
zare al massimo le risorse umane a disposizione, devono avere all‟interno ottime
relazioni tra i reparti e gli individui, una buona distribuzione delle responsabilità
e del potere e devono riuscire ad ottenere una buona comunicazione e diffonde-
re una positiva immagine di sé stesse. Tutto queste risorse costituiscono un capi-
tale sociale collettivo. Il raggiungimento di obiettivi privati, tenendo conto di un
contesto, dipendendo per questo da altri individui e dal funzionamento delle isti-
tuzioni, rappresenta una risorsa pubblica per ottenere obiettivi privati, senza
danneggiare nessuno. Esiste anche un capitale sociale privato ed è la capacità
degli individui di conseguire un obiettivo attraverso l‟instaurazione di determi-
nati legami: frequentare un corso con insegnati innovativi, stabilire relazioni ap-
paganti in termini economici e umani. E questo dimostra che, nella scuola come
210
nell‟economia economia, non esistono azioni puramente individuali. Conside-
riamo, in sintesi, i fattori del capitale sociale:
1. fattori fiduciari, defezione economica (propensione all‟illecito eco-
nomico), indicatori di performance delle politiche finanziarie locali
(capitale fiduciario e affidabilità del tessuto sociale);
2. fattori istituzionali (civicness);
3. fattori di coesione comunitaria (densità sociale: reti comunitarie;
reti solidali; associazionismo);
4. fattori infrastrutturali: (dotazione di beni pubblici: spazi comuni
urbani; centri pubblici di aggregazione, università; centri di eccel-
lenza; etc.);
5. fattori politico-amministrativi, indicatori di performance politi-
co/istituzionali (offerta e qualità dei beni e dei servizi pubblici:
amministrazione, giustizia, sanità, istruzione, assistenza sociale);
6. fattori di competenza situata: (capitale umano: comunità professio-
nali; formazione - scolarizzazione).
Tra gli studiosi, vi sono diversi modi di vedere il capitale sociale. Mentre
Putnam, ad esempio, considera il rendimento delle istituzioni pubbliche dipen-
dente dal civismo, la performance delle istituzioni pubbliche viene vista in altri
211
approcci, non solo come possibile risultato ma anche come variabile che in-
fluenza e rafforza la presenza di capitale sociale. Del resto, la stretta relazione tra
civicness e rendimento delle istituzioni individuata da Putnam, consente di con-
siderare il funzionamento delle istituzioni come un indicatore di presenza del ca-
pitale sociale. Nell‟ottica di Coleman, l‟inserimento di indicatori di efficienza
sociale della PA come proxies del capitale sociale è criticabile. L‟autore consi-
dera il capitale sociale come generalmente associato al bisogno di aiuto recipro-
co tra persone. Anche Fukuyama critica la legittimità di questo tipo di proxies,
egli compie un‟analisi comparata degli assetti istituzionali dei diversi capitalismi
nazionali e arriva alla conclusione che l‟attuale convergenza delle politiche eco-
nomiche verso un modello simile di capitalismo fa emergere l‟importanza delle
differenze culturali, che si fondano in primo luogo sulla concezione della fami-
glia e della religione, in quest‟ottica il ruolo delle istituzioni pubbliche rimane
circoscritto.
Il capitale sociale è, comunque, fondamentale per la Scuola, per il funzio-
namento delle istituzioni pubbliche e per la creazione di una nuova forza lavoro,
per lo sviluppo di territori locali, altrimenti marginalizzati, nell‟epoca della glo-
balizzazione.
La rappresentazione della società nella mente
Ogni uomo si rappresenta nella mente la società. Importante, per gli educa-
tori è analizzare come gli allievi si rappresentano la società nella propria mente.
212
Che cosa ne pensano della loro società? Come la sentono? Come se la rappresen-
tano nella loro mente? Se le rappresentazioni sono condivise da un certo numero
di pari si hanno, ad esempio, le rappresentazioni collettive dei gruppi giova-
nili nelle varie generazioni. Le immagini sociali così create dai giovani e dagli
uomini in generale hanno risvolti pratici: determinano la condotta dei giovani e
degli uomini. Le rappresentazioni collettive sono quelle della socializzazione e
quelle costruite. Le rappresentazioni collettive che si formano con la socializza-
zione sono più naturali, soprattutto quelle della socializzazione primaria (primi
anni di vita, quando si struttura la personalità, l‟orientamento di una persona),
poi vi sono quelle più costruite della socializzazione secondaria (scuola, lavoro,
associazioni, reti sociali) e terziaria.
Queste rappresentazioni sono condizionate: 1) dalla classe, dall‟età, dalla
situazione cognitiva e affettiva, dalla famiglia, dal vicinato, dal gioco, dal lavo-
ro, dalle feste, dai riti, dalle religioni, dalle associazioni ecc; 2) dal linguaggio;
3) dal modo in cui si percepiscono le esperienze; 4) dalle condizioni di spazio
strutturale in cui vive l‟individuo.
Le rappresentazioni costruite sono quelle elaborate da persone specializza-
te in questa costruzione, create per difendere ed incentivare interessi vari (di par-
titi, associazioni, aziende, sindacati, movimenti e, spesso, anche del sistema sco-
lastico.).
213
Molte rappresentazioni costruite sono diffuse dai media, oltre che da lezio-
ni, corsi, trattati, romanzi, film, riviste, lezioni, omelie, pubblicità, comizi, vi-
deogiochi, pettegolezzi ecc.) e sono condizionate dal sistema di comunicazione,
dal regime politico in cui si vive, dal periodo storico, dalla classe sociale di
appartenenza. Le immagini costruite vogliono e tentano di sostituire quelle na-
turali in modo che l‟agire politico, economico, culturale sia orientato verso
gli interessi espressi nelle immagini collettive. Il tentativo è quello di “acca-
parrarsi” più persone possibili, di convincere la maggioranza dei cittadini
(l’opinione pubblica) o dei consumatori (target, mercato). Le rappresentazioni
collettive costruite sono: secondarie (tante), fondamentali (poche, da non met-
tere in dubbio), a volte conflittuali, il più delle volte convenzionali (fondate su
una specifica intesa comune per un gruppo significativo di persone, spesso igno-
rate da altre).
Abbiamo dato uno sguardo alle società succedutesi nella storia, alla loro
cultura (ideali, valori, modi di lavorare e di vivere, strumenti tecnologici creati),
ai sistemi educativi che tramandano la cultura. Concludendo questa carrellata,
dobbiamo, in sintesi notare che la cultura, l’educazione e la società attuali so-
no il risultato, lo sviluppo delle società precedenti. Per capire, dunque, occor-
re capire quelle precedenti e comprendere come si è arrivati fino ad oggi, indivi-
duare il percorso, la sua logica, così come abbiamo cercato di fare. Così siamo in
grado di capire perché la nostra società e noi stessi siamo così come siamo e non
214
altrimenti, così siamo in grado di collocare la nostra vita e quella collettiva, gli
diamo un senso, la inquadriamo in un cammino personale e sociale (storia). Il
percorso che abbiamo seguito è il percorso da far intraprendere alle giovani ge-
nerazioni durante l‟apprendimento scolastico.
L’educazione è suscitare il desiderio di imparare
Un‟altro degli obiettivi di fondo che devono impegnare gli insegnanti deve
essere quello di conoscere gli allievi, le loro esperienze, le loro aspirazioni, ap-
plicando il principio socratico maieutico dell‟educazione (educare = e - ducere =
tirar fuori e poi condurre l‟allievo). Molto spesso, nonostante più anni vissuti in-
sieme nelle aule, i docenti non conoscono gli allievi e non si curano di sapere
cosa pensano, cosa sentono, da che cosa sono motivati. Il metodo di far narra-
re a voce, a livello personale e/o in gruppo, per iscritto, oppure davanti ad una
telecamera o a un registratore le tappe fondamentali della loro vita dovrebbe es-
sere la base per una buona conoscenza. Questo processo lo può fare opportuna-
mente un insegnante dedicato a questo e interagente con gli altri docenti, oppure,
per mancanza di tali figure, dovrebbe essere praticato da tutti gli insegnanti, se-
condo varie prospettive poi convergenti nel progetto generale di conoscenza di
ogni singolo allievo.
Con il dovuto tempo a disposizione, si dovrebbe finalizzare quello che si
impara e insegnare facendo fare. Ad esempio costruendo un giornale o uno
sceneggiato, un film, si impara ortografia, grammatica, regole di lavoro, regole
215
di critica. Diversi insegnanti ripetono che “manca il tempo e bisogna finire il
programma”. Ma, spesso, è una scusa per continuare nell‟insegnamento tradi-
zionale, escludendo diversi allievi dalla possibilità di apprendere.
Con l‟insegnamento innovativo, si apprende e si lavora in modo cooperati-
vo. Risolvere un problema matematico in senso astratto non motiva che pochi al-
lievi, applicarlo ad un semplice problema economico motiva, dà un senso pratico
e così dovrebbe accadere per le scienze ecc. La classe diventa laboratorio
istruttivo e creativo. L‟apprendimento procede (e viene valutato, assicurandosi
che ogni allievo progredisca) a livello personale e a livello di gruppo, così come
sarà poi nella vita lavorativa.
L‟insegnamento deve suscitare il desiderio di imparare, indicandone i mo-
tivi, deve essere un continuo far domande stimolando risposte, accompagnando
gli allievi nella ricerca delle risposte. Quando un allievo non sente il bisogno di
imparare, allora occorre creare le condizioni perché lo senta. E‟ strano come la
pubblicità riesca a farlo e la scuola no! (ad esempio, per vendere bevande in un
cinema si crea il caldo fisico o si propone l‟alimento che induce a bere o imma-
gini che evocano il desiderio di bere).
Dare senso e far superare gli ostacoli. Alcune metodologie didattiche
innovative.
Un insegnamento così impostato è in grado di spiegare sempre quello che
si insegna. Ogni conoscenza è utile se è inserita in un progetto di vita che deve
216
interessare tutti gli allievi, miscelando apprendimenti individuali e collettivi,
dando sempre senso all’attività che si va facendo.
Il docente (e/o insieme al tutor, consulente ecc.) deve assicurarsi che ogni
allievo superi gli ostacoli all’apprendimento, che vanno visti come opportuni-
tà di risolvere problemi e di trovare soddisfazioni, non solo personali, ma collet-
tive, superiori (risultati del lavoro di gruppo, principio etico).
Le metodologie didattiche innovative sono tante e non possiamo qui illu-
strarne tutti i contenuti. Ne accenniamo brevemente.
Cooperative learning: metodo didattico - educativo che punta sulla
collaborazione tra gli studenti, mettendo in comune il loro sapere e le
loro competenze, è l‟apprendere in gruppo a livello cognitivo e socio –
relazionale. Il metodo consente di far accrescere l‟autostima, responsa-
bilizza tutti gli allievi che cooperano per conseguire obiettivi comuni.
Brain storming: metodo per risolvere un problema tra partecipanti ad
un gruppo dove, entro limiti prefissati, ognuno esprime le proprie idee
liberamente e con la massima spontenaità, senza che l‟insegnante
esprima giudizi sulle idee manifestate. Tutte le idee raccolte, vengono
analizzate e sistematizzate per arrivare alla soluzione del problema.
217
Debriefing: è una riflessione autocritica di ciò che si è imparato su un
determinato argomento, attraverso domande agli allievi (che cosa hai
imparato? Come? Quando? Come ti auto valuti? (da 1 a 10) Perché ?
Come valuti l‟attività? Le risposte permettono all‟insegnante di capire i
concetti acquisiti dagli allievi, la qualità delle competenze raggiunte, i
loro diversi stili di apprendimento, così da far praticare diverse tipolo-
gie di lavoro ogni volta e coinvolgere sempre tutti gli allievi, il gradi-
mento verso l‟attività svolta e le motivazioni.
Didattica laboratoriale: dato un problema, lo si deve riconoscere e
definire esattamente; si individuano strumenti formativi per analizzare
i dati e per sistemarli; si applicano i migliori metodi di socializzazione
per lavorare; si sceglie uno strumento logico per la costruzione consa-
pevole della conoscenza; si propone, infine, il de briefing per la meta
cognizione e l‟autovalutazione.
Circle – time: gli allievi sono disposti in cerchio e dibattono, secondo
l‟ordine del cerchio, un argomento. L‟insegnante o l‟animatore ha il
compito di stimolare la discussione, facendo rispettare i tempi e for-
nendo risposte appropriate. Serve quando si costituisce un nuovo grup-
po ed è efficace nell‟educazione socio – affettiva, facilita la comunica-
218
zione circolare, la conoscenza di sé, la libera e fattiva esposizione delle
idee, delle opinioni e dei sentimenti, facilità un clima sereno condiviso.
Documentazione: insieme di materiali preparati dall‟allievo che do-
cumentano il suo percorso di apprendimento e le attività svolte, sia per
valutarlo, sia perché il suo contributo serva agli altri per progetti co-
muni.
Individualizzazione; dati obiettivi comuni, si diversificano gli itinerari
di apprendimento, la gradualità dei contenuti e le modalità di appren-
dimento.
Interdisciplinarietà: modalità che favorisce la conoscenza globale da
parte dell‟allievo analizzando un fatto, una questione, attraverso più di-
scipline, in modo interattivo e dinamico.
Lavoro di gruppo: tecnica fondamentale per la crescita umana e per la
socializzazione degli alunni. I gruppi vengono formati in base
all‟attività da svolgere e possono formarsi liberamente, decisi
dall‟insegnante in base a livelli di competenze, di estrazione sociale,
misti ecc.
219
Mastery learning; è un metodo di apprendimento personalizzato, la-
sciando ad ogni allievo il tempo che gli è necessario.
Metodo euristico; ha l‟obiettivo di condurre gradatamente l‟alunno a
scoprire da solo ciò che si desidera egli conosca, coinvolgendo sempre
nei percorsi di ricerca e di interpretazione. Così l‟alunno è in grado di
padroneggiare le conoscenze acquisite e di utilizzarle nelle successive
fasi di apprendimento.
Metodo sperimentale: è l‟applicazione scolastica del classico metodo
di Galileo attraverso l‟osservazione di un fenomeno, la formulazione di
un‟ipotesi (spiegazione da verificare), la verifica della validità
dell‟ipotesi con esperimenti e ulteriori osservazioni e la conclusione,
dove i risultati confermano o meno l‟ipotesi che diventa, se conferma-
ta, tesi.
Personalizzazione: metodo che consente di dotare ogni allievo di una
propria eccellenza cognitiva, attraverso la coltivazione di un proprio ta-
lento, sviluppando le proprie attitudini. Gli obiettivi vengono negoziati
tra insegnante ed allievo (contratto formativo)
220
Problem posing: definita la priorità di un argomento si procede per
negazioni successive di un dato, valutando le alternative e instaurando
così un processo di rielaborazione creativa per la soluzione di proble-
mi.
Problem setting o problem finding: da una situazione confuse si enu-
clea il problema da affrontare (che cosa mi si chiede di fare?), i dati da
utilizzare e quelli da scartare. Si procede identificando tutti i problemi,
si raccolgono informazioni sui problemi e quindi si sceglie il problema.
Problem solving: attività di scoperta per la risoluzione dei problemi.
E‟ preceduto dal problem posing, dove l‟alunno trova i termini della si-
tuazione problematica e poi costruisce la strategia risolutiva. Si proce-
de definendo il problema, raccogliendo informazioni, individuando le
cause più probabili, formulando le cause possibili, sviluppando opera-
tivamente le analisi e controllando i risultati.
Schiumaggio: si cercano i dati utili per risolvere un problema, scartan-
do quelli sovrabbondanti.
221
Ricerca-azione: sia gli insegnanti che gli allievi sono alla ricerca della
conoscenza, partendo da un problema. Il sapere nasce dalla ricerca,
non c‟è prima la teoria e poi la pratica, ma si conosce facendo, si riflet-
te sulle azioni svolte e si formalizza. Si procede con l‟azzeramento del-
le difficoltà di contenuto, la formulazione della consegna, il non inqui-
namento della prova, poi si socializza, si organizza la conoscenza at-
traverso strumenti vari (tabelle e grafici), si sistemizza la conoscenza
con l‟uso di tabelle ed infine si costruisce la conoscenza con una rela-
zione scritta.
Role playng: si applica di solito a conclusione di un‟attività, dove gli
alunni si mettono nei panni di uno dei personaggi e diventano capaci
di giocare nel cambiare i personaggi, per assumere punti di vista diver-
si. L‟insegnante deve far emergere spontaneità e creatività nel racconto
dei ruoli.
Team teaching: gli insegnanti lavorano insieme, non divisi per classe
ed ognuno di loro si occupa di uno specifico ambito disciplinare e coo-
perano con pari dignità e responsabilità professionale per l‟educazione
di un gruppo di alunni.
222
Analisi transazionale: basata sull‟apprendimento inteso non tanto
come trasferimento di contenuti, ma aumento dell‟efficacia delle com-
petenze dell‟allevo a livello conoscitivo, relazionale, negoziale ecc.
L‟analisi transazionale utilizza tecniche psicodrammatiche (o autocasi)
e tecniche analogiche e metaforiche: fantasia dell‟allevo guidata, cioè
percorso stimolato dall‟insegnante attraverso situazioni e simboli forti
per farlo entrare in contatto con emozioni, sentimenti e altro materiale
psichico, oppure attraverso la costruzione di favole individuali o di
gruppo su indicazioni dell‟insegnante. L‟allievo esprime il vissuto rea-
le della sua vita o fa emergere vissuti inconsapevoli. Così può fare il
gruppo. Solitamente si fanno riprodurre in classe, il più fedelmente
possibile, casi significativi ed emblematici, si recita l‟episodio, si
commenta e l‟insegnate e gli altri allievi analizzano e discutono gli sta-
ti dell‟io dell‟allievo durante la rappresentazione, le transazione, i gio-
chi, i tornaconti, le emozioni, i bisogni psicologici, i vissuti. Con il
termine vissuto si intende ciò che la coscienza vive nell‟immediato, ciò
che non è ancora sottoposto all‟introspezione e vale anche per ciò che è
ancora vivo nella coscienza collettiva. L‟analisi transazionale è molto
complessa ma, in sintesi, nella parte delle tecniche psico - drammati-
che, ha l‟obiettivo di rafforzare alcuni concetti teorici e di mostrare va-
rie opzioni alternative per affrontare una situazione. L‟insegnante deve
223
esser capace di far emergere l‟opzione più interessante e più praticabile
per l‟allievo e/o per il gruppo. Nella parte delle tecniche analogiche
intende far acquisire consapevolezza dei vissuti psicologici, correlate a
tematiche legate al proprio ruolo e alle proprie aspirazioni professiona-
li. Con le tecniche metaforiche si elaborano, costruendo favole, alcune
chiavi di interpretazione per superare problemi, crisi, paure latenti del
gruppo che si risolvono con l‟individuazione di ciò che il gruppo per-
cepisce come principale punto di forza (risorsa).
Psicodramma di gruppo: attraverso una libera discussione s tenta di
far liberare le potenzialità inespresse degli allievi, si ricercano le in-
formazioni di gruppo rispetto a quelle individuali, ogni alunno acquisi-
sce una sua coscienza storico – evolutiva che viene amplificata nel
confronto con gli altri. Lo scopo è quello di empatizzare nel gruppo.
Sociodramma: mentre nello psicodramma si rappresenta un‟azione
individuale in un determinato ruolo, nel sociodramma si rappresenta
con l‟azione un evento sociale e si svolgono riti collettivi con
l‟obiettivo di mettere il soggetto nel gruppo, il soggetto è gruppo. Il
ruolo recitato è composto sia di elementi soggettivi privati, sia di ele-
menti collettivi (ideologie, aspettative, pressioni sociali riservato a quel
224
ruolo). L‟insegnante (o lo psicologo) fa giocare, ma non gioca, perché
deve essere attento osservatore e stimolatore.
Tutte le tecniche più significative sopra menzionate si basano sul grup-
po, sulla collaborazione, sul gioco in senso generale. Il gioco è, a differenza di
quello che si può pensare, molto esteso nella società: dai giochi tradizionali ai
giochi di ruolo virtuali, dai giochi di carte ai giochi di simulazione, ma costitui-
sce anche un‟esperienza comune quotidiana: durante un colloquio giochiamo
con le parole, con i gesti (ammiccamenti, strizzata d‟occhi battute ecc.) e ci gio-
chiamo noi stessi, magari la carriera, l‟amore, il nostro futuro. Ci ricorda la pe-
dagogia che il gioco è essenziale per sviluppare la conoscenza del bambino.
Questo principio è stato ripreso nei corsi per manager, per la leadership, per la
formazione aziendale, ma è entrato, solo di striscio, nelle attività scolastiche (per
le carenze che, più volte abbiamo evidenziato nel sistema scolastico italiano) e la
stessa educazione fisica viene spesso concepita, assurdamente, senza un carattere
di gioco. Se vi fosse alla base della Scuola la Comunicazione (a vari livelli, co-
me abbiamo affermato) si capirebbe che questa materia si basa sul gioco. Se si
studiasse bene, col metodo sociologico spiegato nei capitoli precedenti, la for-
mazione delle strutture sociali, si capirebbe che le attività originali della società
umana sono tutte intessute di gioco. IL gioco è un pre – requisito della socievo-
lezza. L‟incertezza e la paura della società post – industriale sono determinate
dal fatto che, nonostante l‟aumentato cosiddetto “tempo libero”, esiste poco spa-
225
zio per lo svago vero, per il divertimento, per il sano spirito competitivo. Il
mondo è confuso, la società è diventata iper complessa, l‟uomo non trova sé
stesso, non trovando l‟appartenenza alla propria comunità. Il gioco deve esser
parte della vita quotidiana e della scuola, si integra con la vita quotidiana, ma si
separa anche da questa, in una realtà diversa da quella solita. Purtroppo gli uo-
mini del nostro tempo giocano per lasciare il mondo, per fuggire dalla realtà. Bi-
sogna invece concepire il gioco come spazio in cui i significati vengono costruiti
insieme, attraverso la partecipazione all‟interno di un luogo condiviso e struttu-
rato, anche se diverso da quello quotidiano, un gioco che dà fiducia e sicurezza ,
che consente di sganciarsi dalla vita reale senza rischi di alienazione, perché è
attività dotata di senso, governata da regole. E‟ un‟attività però di regole sempli-
ficate, più chiare da apprendere rispetto alla minuta regolazione della vita collet-
tiva e della complessità moderna. Il gioco esalta la libertà, la spontaneità, educa
l‟individuo alla padronanza di sé. Naturalmente si può giocare bene o male, co-
me esemplificavamo nell‟analisi dell‟uso televisivo. Vi sono interessanti espe-
rienze, post scolastiche, di giochi di simulazione, di negoziazione, di comunica-
zione, di risoluzione di conflitti, di creazione di alleanze, di risoluzione di pro-
blemi imprevisti. Obiettivi di queste esperienze sono: far studiare in modo diver-
so, migliorare il clima di classe, l‟allegria, la collaborazione con gli insegnanti e,
complessivamente il rendimento scolastico. Così come si fa nelle aziende, in
questi stage residenziali si punta molto sulle risorse emotive necessarie ai diri-
226
genti scolastici e agli insegnanti. Per innovare l‟educazione e l‟insegnamento
nella scuola occorre ripensare e riprogettare seriamente tutto l‟impianto ed il
modo di funzionare e di gestire le varie attività, non ogni due o tre anni introdur-
re qualcosa che si chiama riforma scolastica e che, in realtà, confonde maggior-
mente tutti gli operatori per le applicazioni pratiche e non corrisponde le risorse
finanziari necessarie.
Il gruppo storicamente è nato per affrontare esigenze o emergenze nelle
società primitive (gestione del fuoco, caccia degli animali, colonizzazione della
terra). I primi gruppi si formavano su omogeneità (simpatie, abilità, coppia, fa-
miglia. L‟uomo sapiens ha creato una grande innovazione puntando sulle diver-
sità (decine di abilità diverse nella caccia di diverse prede e nella raccolta di di-
verse piante). I gruppi moderni come strutture di comunicazione non possono
formarsi spontaneamente, ma in modo culturale, costruito, consapevole. E‟ un
passaggio fondamentale tra natura e cultura, dal branco, dalla famiglia, dalla tri-
bù si passa al gruppo culturale. Così devono fare gli insegnanti: trasformare la
classe (indifferenziata) in gruppo (valorizzazione di tante diversità per consegui-
re progetti comuni e diventare cittadini di una comunità).
227
5.3 Stimoli al processo di auto creazione e principi morali
Affermavamo, nell‟introduzione, che gli obiettivi fondamentali
dell‟educazione consistono nel favorire lo sviluppo delle capacità intellettive,
operative, creative ed auto creative e nel formare, mantenere e sviluppare la per-
sonalità. Se gli allievi non percepiscono il senso dell’ educazione e
dell’istruzione e la conseguente finalizzazione personale e sociale, non saranno
motivati allo studio (sono necessarie, come accennavamo prima, risorse emotive
dei dirigenti e degli insegnanti che trasmettono agli studenti) o lo saranno in
modo del tutto strumentale ed egoistico. La crisi di motivazione è la base delle
crisi nei processi di socializzazione della scuola e della società.
Oltre alle nuove metodologie, è importante che l‟educatore indichi con
chiarezza gli obiettivi personali e sociali educativi, i valori universali da far inte-
riorizzare agli allievi, attraverso l‟interazione didattica. La capacità di creare,
di auto – crearsi, di superare i limiti devono essere alla base del processo edu-
cativo.
L‟uomo, oltre alla sua dimensione biologica di partenza è prodotto della
società, ma soprattutto è prodotto di sé stesso, forma da sé la propria coscienza e
sviluppa le proprie capacità: in questo processo di sviluppo l’uomo si auto -
crea e crea le cose, con possibilità infinite. Basti pensare a quante risposte può
fornire alle varie situazioni. Lo stesso linguaggio creato dall‟uomo è infinito. Far
228
capire questo è già un modo per stimolare e far crescere l‟ auto - valorizzazione
dell‟allievo.
Autostima e arricchimento reciproco
Solamente creando sé stesso, auto - progettandosi, sviluppando al massimo
le proprie capacità, diversità e originalità , l‟uomo può arricchire anche gli altri
e, insieme, contribuire a creare una vera comunità. Tra docenti e allievi deve
potersi creare un ambiente di arricchimento reciproco, pur tra ruoli diversi. Se
gli insegnanti e gli allievi non riconoscono le loro enormi possibilità umane, il
loro valore, non potranno produrre stima di sé stessi e tra di loro. La formazio-
ne di un sé solido, di una forte identità cognitiva ed emotiva deve andare di
pari passo con qualsiasi altro apprendimento. La forte autostima dà sicurezza
nell’affrontare bene ogni problema, anche quelli relativi ai conflitti. Se, inve-
ce, essa è bassa, determina incertezza ed inadeguatezza verso le situazione, di-
pendenza da altri, rifiuto, isolamento, concentrazione sui propri errori, fallimen-
ti, difetti, opportunità mancate e distrugge le proprie qualità e le proprie azioni
positive. Non avendo ancora la Scuola italiana insegnanti sufficienti e dedicati a
questo scopo, occorre che tutti gli insegnanti si formino per poter trasmettere au-
to motivazione e creatività nell‟insegnamento.
229
Materie fondamentali
Se da un lato il sistema educativo scolastico deve adeguarsi al mondo eco-
nomico e del lavoro, dall‟altro deve valutare in modo critico le mode, le idee
di successo, gli pseudo – valori proposti. La formazione all‟autonomia e allo
spirito critico sono indispensabili.
Da anni sono state introdotti nella Scuola materie importanti come
l‟inglese e l‟informatica. Ma non ci sono, se non in alcuni corsi e non insegnate
in modo in modo critico, altre discipline fondamentali per capire ed essere par-
ti attive nella vita individuale e sociale.
Tra le materie obbligatorie, anche in modalità trasversali a tutte le materie,
ma con contenuti precisi, deve figurare l‟Etica. L’educazione morale dovreb-
230
be essere in capo a tutto. In secondo luogo devono figurare nei programmi sco-
lastici di ogni ordine e grado discipline essenziali, con risvolti teorici e pratici:
Comunicazione, Politica e Sociologia, Finanza ed Economia.
Un discorso particolare va fatto per la Religione, oggi relegata ad
un‟ora facoltativa di relax. Nel Nord Europa è, generalmente, materia obbligato-
ria.
Religione, morale
La Religione (o le Religioni, o la Storia delle Religioni) dovrebbe essere
reintrodotta nel sistema come materia obbligatoria, critica, essendo altamente
formativa per la costruzione identitaria degli alunni, specie in fase adolescenzia-
le (uno studente imparerebbe meglio a conoscersi e a porsi il problema di capire
da dove viene) e per sviluppare la consapevolezza e la conoscenza dell‟altro e
delle diversità.
L‟etica e/o la morale, cui accennavamo prima, dovrebbe costituire un per-
corso, dalla materna alla maturità, verso la realizzazione e l‟autorealizzazione. Si
dovrebbe far capire che il successo economico non equivale alla maturità morale
ed ogni attività economica deve realizzare il bene dell‟uomo e della comunità.
Vale la pena di notare che molte persone di successo sono immature moralmen-
te!
Il percorso verso la maturità morale inizia con il superamento dei compor-
tamenti egoistici, utilitaristici (per paura della punizione o per il premio), valo-
231
rizza le sincere approvazioni altrui, le regole sociali (criticandole se ingiuste),
l‟appartenenza ad un gruppo e ad una cultura valide (altrimenti si lotta per cam-
biarle) fino alla realizzazione del principio etico universale del bene e del giusto,
indipendentemente da interessi personali. Ad esempio: ogni persona va rispettata
e valorizzata in sé, al di là di ceto, potere, razza, status, etnia; oppure: non rovi-
niamo l‟ambiente per rispetto delle future generazioni. Da ricordare: il bene è
bene anche se pochi lo fanno, il male è male anche se in molti (magari in mag-
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232
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