saper vedere l'ambiente

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I.Insolera

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Page 1: Saper Vedere l'Ambiente
Page 2: Saper Vedere l'Ambiente

JT ALO INSOLERA

SAPER VEDERE L'AMBIENTE

Page 3: Saper Vedere l'Ambiente

ITALO INSOLERA

SAPER VEDERE L'AMBIENTE

Page 4: Saper Vedere l'Ambiente

SOMMARIO

8 Introduzione

PARTE T

L'invenzione dell'ambiente divino

Capitolo l 14 Dalla tenda alla domus: la simulazione dell'ambiente

Capitolo 2 32 Dall'imperatore a dio: Roma, Gerusalemme, Betlemme

Capitolo 3 52 Barbari e bizantini: da Ravenna a Costantinopoli

Capitolo 4

72 Islam, Normannz; santi e ponte/ici: da Palermo all'Anno Santo 1300

PARTE TT

L'autonoma rappresentazione di un ambiente prorano

Capitolo l 90 La continuità di una immagine tra simbolo e natura, tra

secoli e civiltà: i 'girali'

Capitolo 2

104 Il ciclo dei mesi

Capitolo 3 118 Il ciclo della corte feudale

Capitolo 4 132 Il racconto di una giornata: Ambrogio Lorenzetti

PARTE TTT

Un viaggio durato mille anni: i Re Magi

Capitolo l

148 Dal lontano Oriente al medioevo europeo

...

Page 5: Saper Vedere l'Ambiente

Capitòlo 2

160 Le leggende popolari e l'evoluzione iconografica

Capitolo 3 174 Il corteo imperiale

Capitolo 4 192 Dall'Impero alle Signorie, tra i personaggi e l'ambiente

PARTE IV L'immagine del sacro alla ricerc~ dell'ambiente rea le

Capitolo l

208 San Francesco e la necessità di una nuova visione: Assisi

Capitolo 2

228 Prediche, leggende e storia

Capitolo 3 243 La Leggenda della Vera Croce: Agnolo, Cenn~ Piero

Capitolo 4 264 Il 'panteismo' come ipotesi per la conoscenza dell'ambiente

PARTE V n paesaggio come descrizione dell'ambienle reaJe

Capitolo l

278 La sacralizzazione del territorio: i Sacri Monti

Capitolo 2

294 Il ritratto delle persone: dal protagonista all'infinito

Capitolo 3 316 Il ritratto dei luoghi: Venezia, Roma

Capitolo 4 334 I: ambiente come 'impressione':

dalla Grenouillère alla Gare Saint-Lazare

PARTE VI 349 AlJe origini della moderna cultura leiJ'an1biente:

de Saussure, Goethe, Stcndhal

367 Indici dei nomi e dei luoghi illustrati

Introduzione

a Matteo Marangoni Saper vedere, Milano 1933

a Bruno Zevi Saper vedere l'architettura, Torino 1948

Page 6: Saper Vedere l'Ambiente

8 SAPER VEDERE L'AMBIENTE

N ella introduzione a un libro che si propone come obiettivo di "Saper vede­re l'ambiente" potrebbe trovar posto la ricerca di una definizione del so­

stantivo che ne è alla base: !'"ambiente" appunto. Ma tale argomento sarà invece evitato perché sarebbe lungo, prolisso, pieno di periodi al condizionale e, soprattutto, potrebbe generare l'equivoco di un libro scritto per dimostrare la validità della definizione infine preferita, mentre le pa­gine che seguono hanno come scopo di aprire dei problemi, non di proporre delle soluzioni. Occorre solo anticipare due punti che ritroveremo più volte nel libro: l - Le parole "ambiente" e "paesaggio" sono spesso usate indifferentemente e molti ritengono che tra le due vi sia poca differenza: più scientifico !"'ambien­te", più "estetico" il "paesaggio". Ma i due termini non possono essere consi­derati equivalenti; l'ambiente- naturale, costruito, dipinto, descritto o sempli­cemente vissuto - ha un riferimento "sociale" che comunque lo si voglia inter­pretare o studiare ne è alla base: può essere riferito a un solo individuo, a un momento storico, a una collettività, a un modo di vita; può essere quello inter­no o quello esterno. 2 - Nella seconda metà del XX secolo il termine "ambiente" è stato sempre più usato. Agli inizi del XXI esso rappresenta una precisa cultura, cioè un modo- di­verso da altri - di organizzare i valori del mondo e della società, attribuendo ruo­li primari a fatti ed elementi che altre culture - o altre civiltà in altri tempi- rite­nevano secondari e subordinati. Un bosco, per esempio, è stato considerato per secoli come il luogo in cui vivevano gli animali da cacciare, poi come produttore di legna; oggi lo consideriamo prioritariamente come produttore di ossigeno. Le associazioni e i movimenti- a tutti i livelli e di tutti i tipi- che hanno assunto tale cultura come strategia per una corrispondente strutturazione della vita as­sociata dell'umanità sulla terra, rappresentano ormai il punto di riferimento di ogni tentativo ideologico, sia a favore sia contro l"' ambientalismo" e le sue ma­nifestazioni. "Ambiente" non è dunque, all'inizio del XXI secolo, solo una cosa da vedere. Anzi l'aspetto figurativo non è il principale; può essere però una valida chiave di lettura. Invece che "Saper vedere l'ambiente" questo libro potrebbe intitolarsi "Saper ve­dere come ambiente" cose e fatti che si possono vedere - e sono stati per secoli visti- con altre ottiche. E possono essere cose e fatti direttamente esistenti: mon-

INTRODUZIONE 9

ti, laghi, fiumi, alberi, case ecc. O possono essere cose e fatti composti dall'atti­vità degli uomini sotto forma di pittura, letteratura, musica ecc. "Vedere" diventa allora un mezzo, uno strumento per conoscere in quelle cose e in quei fatti le presenze di quella cultura che oggi chiamiamo "ambiente". L'approccio proposto in questo libro è di usare - e prima ancora di costruire­questo strumento sulla base di una tesi riassumibile in: "l'ambiente si vede". Bi­sogna perciò sa perlo vedere. Proponiamo quindi soprattutto di studiare come lo hanno visto alcuni maestri del "vedere" in varie epoche e luoghi, assumendo dei casi senza alcuna pretesa di esaustività: si possono aggiungere altri casi o addi­rittura scartare quelli qui proposti e sceglierne altri. Il titolo è anche un riferimento (presuntuoso) al fatto che due volte, nel XX se­colo, la frase "Saper vedere" è stata usata per dimostrare attraverso un approccio storico-didattico come potevano (o dovevano ?) essere considerate e realizzate le opere appartenenti al cosiddetto mondo delle arti. Marangoni e Zevi, a quin­dici anni di distanza- intorno a quegli anni '40 che hanno rappresentato nel XX secolo una svolta epocale - hanno proposto come primari dei valori delle opere d'arte che avrebbero inciso in modo determinante sulla critica, sulla storia e sul ruolo del fatto artistico nella società, con una influenza soprattutto radicale nel­la produzione architettonica. L'architetto Zevi guardava ovviamente più alla pro­duzione presente e futura rispetto allo storico dell'arte Marangoni: senza il cui lavoro teorico generale però quello specifico nel campo del costruire non sa­rebbe stato possibile. Il discorso fatto da Zevi partiva dallo spazio interno delle architetture e solo do­po averne rivendicato la funzione di elemento primo e determinante del fatto ar­chitettonico, proseguiva all'esterno considerato a sua volta insieme come con­clusione dell'architettura, e come inizio dello spazio urbanistico. Questo si è an­dato via via sempre più allargando: l'ampliamento quantitativo del costruito (che ha raggiunto nella nostra epoca dimensioni mai viste in altri tempi) ha compor­tato inevitabilmente anche cambiamenti qualitativi ed oggi sentiamo la necessi­tà di "saper vedere" un insieme ancora e sempre più grande in cui il costruito e il non costruito sono ormai incastrati l'uno nell'altro e contemporaneamente in conflitto. Oltre ai due libri ispiratori del titolo, ci sono ovviamente altri importanti riferi­menti per l'impostazione dei saggi qui pubblicati. Tra i molti voglio ricordare (rinviando per gli altri alle note bibliografiche):

Page 7: Saper Vedere l'Ambiente

lO SAPER VEDERE L'AMBIENTE

- la Storia del paesaggio agrario italiano di Emilio Sereni, Editori Laterza, Bari 1961 (Collezione storica), 1972 (Universale Laterza); -la collezione Conosci fitalia, dodici volumi editi dal TCI, Milano, dal1957 al1968. il libro di Emilio Sereni consiste in una lettura delle trasformazioni economiche e sociali dell'agricoltura in Italia dalla Magna Grecia all'Italia unita, attraverso le te­stimonianze fornite dalla pittura (con qualche breve citazione letteraria): dalla Ca­sa dei Vetti a Renato Guttuso. È evidente che la formula inventata da Sereni, e rea­lizzata riferendo centinaia di schede ad un modello storiografico che si situa tra Mare Bloch e Lucio Gambi, è quella seguita in questo libro anche se con riferi­menti più ampi di quelli costituiti dal solo aspetto agrario del paesaggio. La collezione Conosci l'Italia del TCI comprende dodici volumi: sei sono dedi­cati alla storia dell'arte (vol. IV, Italia Antica l vol. VIII-IX, Medioevo l vol. VI, Rinascimento l vol. X, Seicento e Settecento l vol. XII, Epoca moderna). Il solo fatto che metà della collezione sia dedicata alla storia dell'arte dimostra il peso che questa occupava negli anni '50 e '60 del XX secolo nell'opinione generale. L'altra metà della collezione è dedicata a temi fino ad allora considerati subal­terni (e anzi sempre più trascurati nelle successive edizioni delle classiche guide Baedeker, Guide Bleu, TCI dopo quelle iniziali pubblicate alla fine del XIX-ini­zi XX sec., che non erano esclusivamente guide d'arte); si riveleranno invece pre­ziosi precursori. Sono anzi questi i primi volumi allora usciti nella collana, co­stituenti il ciclo sugli aspetti naturalistici: vol. I, I:Italia fisica, 1957 a cura di Al­do Sestini l vol. II, La flora, 1958 a cura di Valeria Giacomini l vol. III, La Fau­na,1959 a cura di Alessandro Ghigi. Seguiti dal vol. V, I:Italia storica, 1960 di vari autori (ed è stranamente indicativo che alla storia fosse dedicato un solo vo­lume, contro i sei della storia dell'arte) l vol. VII, Il paesaggio, 1962 a cura di Al­do Sestini l vol. XI, Il folklore, 1967 a cura di Paolo Toschi. Questi libri del TCI - soprattutto quello di Valeria Giacomini - avevano due obiettivi: il primo era far conoscere all'enorme pubblico del Touring Club Ita­liano quanto è ricca- e facile -la conoscenza scientifica di quel gigantesco mon­do che ci circonda e che chiamiamo "natura"; il secondo era far conoscere quan­to questa sia complessa e ricca e come sia bello ed appassionante "vedere" que­sta ricchezza e penetrare come esseri umani in tanta varietà. Marangoni e Zevi ci hanno insegnato come vedere; Sereni e Giacomini cosa cer­care e trovare come oggetto del vedere. Nei tanti secoli e paesi interessati dai saggi qui pubblicati, si possono individuare

INTRODUZIONE 11

diversi modi di vedere l'ambiente come espressione della cultura nei vari luoghi e periodi. L'ambiente può essere proposto attraverso elementi subalterni ai personaggi e alla scena di cui questi sono i protagonisti; non c'è autonomia di quello che og­gi chiameremmo "materiale di scena", né nella sua scelta, né nella sua raffigu­razione e identità. Per questa ultima anzi basta al limite indicare ciò che serve a chi guarda per capirne il significato in rapporto all'azione centrale. Troviamo una posizione completamente differente quando da cornice o da sfondo, l'ambiente diventa soggetto alla pari con i personaggi ed anzi può essere lui a sug­gerire chi sono e cosa fanno i protagonisti, a motivarne l'azione e l'atteggiamento. Ci sono infine le opere in cui l'ambiente può assumere completa autonomia e "emanciparsi" da qualsiasi sudditanza o pretesto, fino ad essere il motivo esclu­sivo dell'opera; non più parte o completamento, ma fatto assoluto. Questo può a sua volta essere del tutto immaginario o simbolicamente stilizza­to o può corrispondere a situazioni reali, riprese dal vero o proposte come fin­zione di realtà possibili. L'ambiente non costituisce solo una chiave di interpretazione dei gusti e dello stile ma è anche un messaggio che chi guarda riceve e corrisponde all'interpre­tazione dell'ambiente esistente o desiderato in quel momento da quella società. Ovviamente per scrivere qualunque libro si devono fare delle scelte e queste com­portano delle esclusioni. Le une e le altre sono state fatte in funzione delle tesi di questi saggi e non del valore: mancano dei grandi artisti e ci sono delle opere (di pittura, di architettura, di letteratura) considerate spesso marginali, ma che tali non sono in una ricerca che ha come/il rouge !'"ambiente" e non !"'estetica".

Per scrivere questo libro sono state necessarie molte collaborazioni tra cui quelle conti­nuative e indispensabili dell' arch. Leonardo Schillaci per le illustrazioni e di Giuliana La­manda che ha seguito il lavoro con grande disponibilità. Ringrazio per le preziose consulenze e letture Carlo Blas~ Giuliana Calcan~ Giulia Caneva, Enrico Castelnuovo, Bruno Dell'Era, Andrea Emiliani, Francesco Scappo/a, Bruno Toscano. Peter Kammerer, Ekkehart Krippendor/, padre Michele Piccirillo hanno collaborato anche per la fornitura di illustrazioni e testi, per la correzione di traduzioni e trascrizioni. Ho impiegato ovviamente molti anni per elaborare questi saggz; durante i quali mi ha sem­pre aiutato Annina; personalmente il libro è quindi dedicato a lei e a Romano e Delfino che hanno passato la loro vita a fabbricare libri.

, ..,

Page 8: Saper Vedere l'Ambiente

Villa di Li via a Prima Porta. Roma, lvfuseo Nazionale Romano, Palazzo Massimo (vedi p. 30)

PARTE PRIMA

L'invenzione dell'ambiente divino

La gente -11011 solo 11011 'vede' l'arte ma neppure la natura, altro cbe da/lato utilitario (ho sempre notato, viaggiando, quanti pocbt si interessino al paesaggio) e 11011 sospetta nemmeno della bellezza che ci può essere, per esempio, in un albero o in una foglia ...... La gente è cieca alla bellezza di un albero, d'una quercia, d'tm pino, d' tm cipresso; alla meraviglia della loro corteccia, più viva e sana di qualunque epidermide. Non la vede perché non la guarda nemmeno. La gente non guarda le cose come sono, ma come le pensa la Iom coscienza praticaj non sa quindi guardare, 11011 sa 'vedere'.

Matteo Marangoni, Saper vedere, 1933

Page 9: Saper Vedere l'Ambiente

Capitolo l

Dalla tenda alla domus: la simulazione delF ambiente

Nello sviluppo storico delle società (quelle antiche in certe parti del mondo, ma anche molte recenti o attuali) si è sentita forse prima la necessità di creare in­torno a sé il proprio 'ambiente' , costruendo i manufatti necessari per ripararsi e abitare: la costruzione dell"ambiente' interno precede, o accompagna, le prime opere con cui l'uomo utilizzerà o muterà l'ambiente esterno. Un tipo di abitazione di antichissima origine, e ripetuto in tanti paesi nei se­coli- e ancora oggi- è la tenda. Compare probabiL11ente nel neolitico, sosti­tuendo grotte e capanne di frasche. La sua presenza continuerà per millenni e in tanti paesi è ancora la forma più diffusa di costruzione sia per abitare che per lavorare, anche se richiede capacità tecniche non inferiori a quelle neces­sarie per un edificio in muratura e forse una intuizione delle leggi della fisica al di là del semplice fattore 'peso' e della gravità. In una tenda infatti le parti ' tese' sono essenziali come quelle 'compresse' e nella storia delle costruzioni passeranno molti secoli prima di trovare altri sistemi di coesistenza ed equili­brio tra trazione e compressione. Per questa sua maturità costruttiva e per la conseguente importanza che ha avu­to nella storia dell'umanità la tenda è stata definita '7be Lady o/ Buildings" 1.

La tenda dei nomadi- in tutte le epoche e in tutti i continenti - è una costru­zione essenziale che con una tecnica elementare e alla portata di tutti deve for­mare uno spazio protetto dal caldo, dal freddo, dal vento, dalla pioggia. Ma la tenda non è solo il luogo in cui si ripara l'uomo. Nell'Antico Testamento è il luogo privilegiato in cui Mosè incontra Dio e poi è parte della Dimora ap­punto di Dio 2•

La contemporaneità di questo significato 'divino' con la praticità tecnica e fun­zionale, è confermata dal fatto che ancora oggi la tenda nera dei nomadi è una presenza dominante in una non piccola parte del mondo. Così ne scriveva Lawrence d'Arabia 3:

"Gli Abu Tayi riorganizzavano l'accampamento ... Per tutto il pomeriggio alzarono nuove ten­de ... Le tele oblunghe eratw spiegate e stese per terrtl, poi le corde ai capi della tela, ai lati, e presso gli anelli per i palz; venivano tirate e /issate ai paletti. Quindi la donna incaricata della tenda inseriva i pali più leggeri uno a uno sotto la tela, alzando ogni volta un tratto di tenda come una leva, / incbè tutta la tenda era montata da una sola donna, per quanto ta­gliente e impetuoso potesse essere il vento. In caso di pioggia mw fila di pali veniva piantata in terra, fino a mezza altezza, facendo sì cbe il tetto della tenda esposto alla pioggia diventasse inclinato e ragionevolmente impermeabile.

CAPITOLO 1 l DALL.tl TENDA ALLA DOMUS: LA SIMULAZIONE DELL'AJ\IBIENT/i 15

fig. 2. Tenda di alleva/ori nomadi presso Madaba (Gio:·dania). È /orma/a co~t sl?/(a di lana di capra ttitla di t~er?, sostenuta da p1111toni iutemi e tirautala all'estemo; ~~~ ~ermette molte pos.~tbtl!t~ per aprtre e chmdere le ~ate!' a secouda dei vent1; delle ore delftt giomala e delle attwtla. La lana dt capra e pm !Solaute dt quella dt pec01a e tl colore nero notoriamente protegge dai raggi del sole.

Page 10: Saper Vedere l'Ambiente

16 PARTE PRWII l L'INI'ENZIONE DELL'AMIJIENTE Dll'/ll/0

fig. 3. Tappeto da preghiera (dello ancbe Transilvano), Anatolia occidentale X\1(] J·ec·~lo C'li 177 136 C l·1 · \11/. · La · 1. · l/ 1 b , · , v , ' x . o teztone

~eJ. I/ICC7/a G e 11111.ra non e m qu~sto tappet? J-olo llllti indiCtizione per la pregbiem: essti septim 1111 timbie11te es~fllro COlli/CCt/ vegettiZIOIIe floreti!e sttltzZtllti, dti!l tiiiibtente in temo del/ti moschea dove sono m/!igumte tre COtOI/1/e: le !titem!t pori ti/IO probtibtlme!lte dei ca!lde!tibrr:

CAPITOLO I l DALLA Tt;NDA ALLA DOMUS: LA SIMULAZIONE DELL'AMIJIENTE

fig 4. Tappeto Mogbol con decomzio11e floreti!e, T11ditt, fine X\111-XVJII secolo, cm 263 x 192. Museo Naziorltl!e Kmvtiit. I: artista AI-Mansur disegnò oltre cellio fiori per desiderio dell'imperatore jaba11gir: eSJi /rtroJ/0 /ti base per l/liti qutiiifitit di tappeti i11 cui i fiori sono l'u11ico elemento e so11o retiiistictiillellte riprodolli su 1111 fondo colomlo volutti/1/eJI/e dif/erenzitiio dtiii'tllnbiente di 1111

gitirdino: qui il fondo è rosso.

D'estate le tende ambe era­no meno calde delle nostre tende di canapa, poicbè il ca­lore del sole non veniva as­sorbito da quel/oro tessuto di peli e lana, le cui maglie lar­ghe lasciavano gioco suffi­ciente all'aria e alle correnti".

Come costruire la tenda è argomento trattato am­piamente nell'Antico Te­stamento. In Esodo (26, 7-14) è scritto che la ten­da al di sopra sarà in la­na di capra e che sarà ri­coperta con un doppio strato di pelli: d i monto­

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ne sopra e di un animale di incerta identificazione sotto. In questo 'ambiente', collocato in un punto qualsiasi delle steppe o dei deserti, è una presenza co­stante e necessaria il tappeto. Posto per terra isola dalla polvere, dall'umido: ha il ruolo di un pavimento. Appeso all'interno delle pareti isola dal caldo e dal freddo. La tenda dei nomadi è nel deserto, negli spazi infiniti; può essere in un posto o in un altro a seconda dei pascoli e delle stagioni. Ma i tappeti all'in­temo formano sempre lo stesso ambiente, dovunque trasportato; possono tra­sformare lo spazio interno della tenda nella home di chi la abita rjigg. 1, 2] 4 .

Molti tappeti hanno una funzione specifica: nelle varie parti del pavimento e nelle varie ore del giorno vengono srotolati i tappeti che corrispondono a quel­lo che gli abitanti vi faranno: i tappeti su cui dormire, quelli su cui mangiare, quell i per ricevere gli ospiti e chiacchierare ecc. Il tappeto può raffigurare un giardino, quasi per trasformare il suolo nel desidera to, ma inesistente ambien­te, appunto, di un giardino; può raffigurare fiori e foglie raggruppate a mazzi o in disegni geometrici [fig. 4]; può riprodurre figure varie, ripetute su schemi geometrici; può usare svariati colori, in contrapposizione con l'unico colore-lu­ce del deserto all 'esterno 5•

Page 11: Saper Vedere l'Ambiente

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/ig. 5. Tappeto da preghiera, A11ntolin occidentale, ùuzio X1'I secolo, cm 156 x 705. Pmigt; Musée des Arts Décomti/s. Questo tipo di tappeto è Ira quelli COli t/Ila funzione specz/im e solo per essa vengono srotolati· m11o moti per ingi11occbinrsi durante In pregbiera e il dtj·egno ùtdicn la dù·ezio11e della Ka'ba co11 una semplice bordum geometrica cbe conùpo/1(/e al nmlo del nubrab nella moscben; 1111 rmuo è sospeso al celllro delmibrab e dalla parte opposta c'è li// motivo geometrico di dubbia Ù!le1pretazio11e cbiamato "sagoma di sermtura". Questo tipo di tappeto da pregbiem è anche fll'llominnto "Bel!titi", percbè dipùtto nel/507 ne/n/ratto del Doge Loredm1 da Giovanili Bellini.

Dopo la nascita deJl'Islam e la sua espansione si diffondono tappeti da srotolare per la preghiera (al-Kbomra, Sad-]a­da, Sa/ .. .) con la raffigurazio­ne del mirbab orientato verso la Ka'ba [figg. 3, 5]. Nelle Su­re meccane del Corano si leg­ge: "Allah ba disteso per voi la terra come un tappeto af/incbè la possiate percorrere . . . In Paradiso ci sono fiumi d'acque incorruttibili ... letti e coppe ben collocatz; cuscini disposti in file, tappeti distesi" 6.

PARTE l'Riti/A l 1.'/NI'ENZlONE DELL'AMBIENTE DIVINO

La conoscenza che noi abbiamo oggi dei tappeti - data la loro deperibilità - è legata quasi esclusivamente alla produzione degli ultimi secoli nel mondo isla­mico, caucasico, persiano, indiano, cinese; ma il manufatto-tappeto, come la ten­da a cui è originariamente collegato, è infinitamente più antico. Nella valle di Pazyryk, nei monti Altai, il ghiaccio ha conservato un tappeto databile al V se­colo a.C.: ed è un tappeto tecnicamente e stilisticamente raffinatissimo che ri­vela di avere alle sue spalle una lunga tradizione [fig. 6]. Questa tradizione partiva probabilmente dalla scoperta che tosando pecore e ca­pre si poteva avere un prodotto all'anno (e anche di p iù), mentre usando la lo­ro pelle occorreva ammazzare l'animale e si aveva una sola volta il prodotto con­seguente, sopprimendo oltre tutto una fonte quotidiana di latte, formaggio ecc. Le popolazioni stanziali abbandonano la tenda per costtuire abitazioni con tec­niche murarie durature e fisse, anche se diversamente condizionate dai materia­li reperibili (legno, piette, paglia, fango ... ). Una esigenza ancora diffusa per mil­lenni nei paesi intorno al Mediterraneo (e non solo) sarà proprio quella di co­struire un manufatto che abbia come essenziale uno spazio isolato dall'esterno;

CA PITOLO J l DALLA TENDA ALLA DOMUS: LA S/,\/Ul.t iZIONE DELL't iMBIENTE 19

un 'ambiente' interno alla bome anche se scoperto, acquisito ormai nello spirito e nella cultura della gente. . . . Come esempio possiamo indicare la sala di ~na ncca dimora. del Ca~ro come l 'ha dipinta a metà del XIX secolo il pittore l.n.glese J.W. _L~wls: essa e rappre-

ntativa di un tipo di ambiente che per secoh 111 una vast1ss1ma parte del mon-se b f d' , . do ha avu to come obiettivo di garantire om ra, resc~ra, co~o 1t~, prtva~ a_t,-traverso una specie di borrar vacui, per cui ogni spazio era nemplto con I pm colorati dettagli [fig. 7] 7

. . . ,

La chiusura e la difesa rispetto all'esterno devono essere evidentemente pm robu-

fig. 6. Ricostruzione gra/icn del tappeto rinvem!to a Pazy1)'k (Asia centmle, territori di T11vt1 e Altai), V-III seco­lo a.C., cm 189 x 200. Leningrado, Museo del! Emllfage.

Page 12: Saper Vedere l'Ambiente

20 Pi!IUE l'RIMA l I:IN\1ENZIONE DEI-L';L\IBIENTE DII' ! NO

fig 7. ]ohn Frederick_Lewis, Il ricevimento, 1873. Olio su tavola, C/1163,5 x 76,2. The Yale Center/or British Art Pa~d M~llou Colle~ttou. La raJfi_gumzi~ue dell'am~iente_in~en!o di qt~esta casa egizia liti è di mta precisio11e quas/ pami/O/Ca. Al centto ~ma vasca 1i/le1te tmasharabl)'a (gnglte ltg11ee dt cbiusura dei balco11i nei paesi arabi) e le pet/o"e sul gra~tde dJVtln? centrale; in tomo, sui tappett; si rt/letlouo le luci che allmvet'StlffO le vetmte dando alt m~er~ sala l ~spe~to .di uua vemnd~ pia~evolissùna, ~a cui si vedono all'e.rtemo alcuni albe1'i. Sono però le pare/t di (oud~ t! P'!"ctpale protagomsta dt questo amb~eute: esse caml/erizzauo l'in temo coll ie vetrate colomte mpenon e 1 dtsegm geO/Jielrici delle griglie di legno dei masbambl)•a al di solto.

ste in quei paesi dell'Africa e del Medio-oriente dove le condizioni atmosferiche so­no particolarmente ostiche e occorre soprattutto proteggersi dal sole, dalla sabbia, dal vento e creare ombra e frescura. In quello che sarà il mondo islamico dall'In­dia all'Andalusia, il luogo abitato deve chiudersi rispetto al mondo estem~ in mo­do ancora più rigoroso che nei paesi sulla sponda settentrionale del Medit~rraneo Radicale è infatti la differenza che deve essere creata tra l'esterno e l'interno. .

"l! giar~ino orie1~tale è ~o~truito s~egliendo un pezzo di terreno, rendendo vivo un quadrato d t ~es~1 :o ... f.o' tando~t l. acqua, mnalzando un muro che non possa essere superato dalla cunostta. A~l m temo st dtsporranno alberi a quinconce e fiori che saranno più fitti mano a mano che Jt va verso il centro dove c'è il chiosco»s (figg. 8, 8a].

Nel ~IV se~olo in A.J:dalusia così descriveva la casa-giardino dei ricchi conqui­statori arab1 un anommo poeta:

CAPiTOLO l l DIII-LA TENDA ALtA DOMUS: LA SIMULAZIONE DELL'AMBIEN1'/; 21

"Per costruire la propria casa nel giardino, si scelga il punto più alto in modo da facilitare la sorveglianza. La si orienti a mezzogiomo .. . e si innalzi un po' il luogo del pozzo e del­la vasca; meglio ancora se invece del pozzo c'è un canale che scorre all'ombra. Presso la va­sca si metteranno dei gruppi di piante di ogni tipo per mllegrare la vista e più lontano dei fiori variopinti e alberi sempre-verdi. Delle /ile di vite gireranno intorno e nella parte cen­trale dei pergola ti faranno ombm ai viali che delimiteranno i prati. Al centro si installerà per le ore di riposo un chiosco aperto da tutti i latt~ circondato da rose rampicanti, mirti e altri fiori che fanno la bellezza del giardino; questo sarà più/ungo che largo in modo che l'occhio non si a/fatichi{/ contemplarlo ... Se si metterà anche una colombaia e una torre pa­noramica, sarà ancora più bello. il giardino è /atto dal giardiniere; ma l'acqua, la luce, i fio­ri, gli alberi e i /rutti sono opera di Dio" 9 (fig. 9].

Può essere interessante notare che la Bibbia e il Corano per descrivere il para­diso ricorrono alla stessa immagine: un ambiente di oasi, di acqua, di giardini, di ombra e di fresco dove fermarsi, in contrasto con la sabbia, l 'aridità, il calo­re del deserto attraversato dai nomadi.

"Coloro che credono e operano il bene li faremo entrare in Giardini alle cui ombre scorro­no i fiumi dove resteranno in etemo, sempre, e avranno iv i spose purissime, e li faremo en­tmre in ombrosa ombra".

Nell'Antico Testamento è solo dopo aver terminato la creazione del mondo che Dio 'fece' quello che sarà poi chiamato "Paradiso terrestre":

"Or il Signore Iddio piantò un giardino in Eden, dall'Oriente, e pose quivi l'uomo ch'egli avea formato. E il Signore Iddio fece germogliar dalla term ogni sorte d'alberi piacevoli a riguardare, e buoni a mangiare; e l'albero della vita, in mezzo del giardino; e l'albero del­la conoscenza del bene e del male. Ed un fiume usciva d'Eden, per adacquare il giardino; e di là si spartiva in quattro capi" 10

Eden è parola ebraica che indica un paese non identificato, ma che significa "gioia", da cui l'ipotesi che il giardino in Eden sia il luogo di gioia per defini­zione, cioè il paradiso. Nel Nuovo Testamento non troviamo invece la raffigurazione del paradiso co­me un giardino: in Matteo (25, 34) il paradiso è "un Regno cb e vi è stato prepa­rato /in dalla fondazione del mondo"; in Luca, (17, 20-21) "il regno di Dio non è un fatto osservabile ... percioccbè ecco il regno di Dio è dentro di voi". Nell'immaginario popolare cristiano sarà il Paradiso terrestre ad essere identifi­cato con un giardino; la parola 'paradiso' ha origini persiane [fi'gg. 8, 8a] e si­gnificava 'Luogo recintato', 'Parco dei re', 'Giardino di piaceri'. Non molto dis­simile del resto il senso della parola ebraica 'eden': 'Giardino di gioia'. Una im­magine comunque poi scomparsa: il Paradiso cristiano, presente e futuro, sarà identificato con il cielo; anche i vangeli- come abbiamo visto -lo indicano co­me un fatto spirituale, non identificabile né collocabile in qualche p arte dell'u­niverso materiale.

Page 13: Saper Vedere l'Ambiente

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l'A TUE PRIMA l L' IN \1ENZIONE DELL'AMBIENTE D/1'/NO

figg. 8-8o. Toppeto·giordiuo, Persia uord-occideutole, X\llll secolo, CIII 925 x 380. Nfuseo Nazionale Kmvoit. Scbema generale di tu/lo il tappeto e de/laglio. 1/ giardino rappresentato su questo enorme tappeto è formato da due canali cbe si incrociano verso il centro solto o un padiglione; nei qua/lro riquadrifom1ati dai canali ci sono altri qualtro Ctl/lo/i minon; ugualmente intersecati al centro. Gli alberi lungo i canali sono raffigurati ù1 prospello, mentre tutta la restante vegetazione è in pianta rome se si tra/l asse di un progelto. Nei riquadri olbemti o o orto sono indicati i etma/i di irrigazione. In persiano i giardù1i come quello riprodotto in questo tappeto si chiamavano poradaiza e indicavano il giardino del re, con alberi e auùnaiT; cbiuso in me1.1.o ai deserti: LLT parentela /el/erario con il "paradiso terrestre" della Genesi e le ona/ogbe imlicazioui di altri testi religiosi o di leggende, è ovvio.

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CAPITOLO l l DALLA TEND;l A LLA DOMUS: LA SIMULAZIONE DELL'AMBIENTE 23

fig. 9. Il giovane principe e la ma amata, miniatura (pagina cm41,8 x 26,5- immagine cm 26,3 x 14,4). Collezione priucipem1 Sadmddiu Aga Kbau. È raffigurato il padiglione cbe sorgeva al centro di quasi tuili i paradaiza (vedi fig. precedente): si vedono in fondo gli alberi cbe formano quasi un bosco. Dietro ci sono due canali cbe passano solto td padiglione e formano sul davanti una serie di vasche su diversi livelli collegate dai canali cbe portano l'acqua alle varie parli del giardino.

Nel mondo romano il tipo più caratte­ristico di casa è la domus: chiusa verso l'esterno e organizzata intorno agli spa­zi aperti interni. Raramente gli edifici pubblici, e soprattutto quelli religiosi, seguivano il tipo della domus: possiamo pensare che questo sia poi assunto dai monasteri, e dentro di essi dai chiostri, quando si proporranno come isole al­l'esterno del mondo quotidiano, e for­se anche alla base di altre costruzioni popolari, (come le cumbessias sarde do­ve un muro racchiude e isola insieme il santuario, le celle dei pellegrini, il sa­grato delle processioni). La maggior

9 parte dei templi classici si proponeva­no invece come edifici aperti con i por-

tici colonnati e solo all'interno chiudevano ai non iniziati la cella del dio. La diffe­renza tra le case private (le domus che ospiteranno le ecclesiae) e i templi era pro­fonda anche nel modo di rappresentare personaggi e fatti divini e nei soggetti scel­ti. I templi completavano l'architettura con sculture (spesso colorate) di divinità o di eroi intenti nelle loro mitiche imprese, offerte alla vista di chi stava fuori; le ca­se proponevano all'esterno solo mura nude e chiuse ed era all'interno che le pittu­re decoravano cortili, porticati, stanze. Le pareti all'interno erano completamente dipinte: tecniche, stili, soggetti variavano nel tempo e nei vari luoghi, ma conser­vando un unico obiettivo: quello di aprire, allargare, "sfondare", proporre archi­tetture e paesaggi e scene oltre il limite fisico della casa, oltre i muri di confine. È inevitabile riferirsi a Pompei: l'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. segnò insie­me la sua disgraziata fine e la sua conservazione per i secoli successivi. Pompei ha permesso di avere una conoscenza completa di una città, delle sue case, del­la sua vita e di dare quindi un senso e una collocazione a quei documenti altri­menti casuali e insufficienti che abbiamo ritrovato in G recia, a Roma, nel mon-do italiota o altrove 11

A noi interessa che tra gli argomenti più frequenti per costruire !'"ambiente" di queste domus ci fossero: - La raffigurazione di una scena architettonica, fatta di colonne, archi, porticati

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24 PARTE PRIMA l L'li'\\1J;NZI08E DELL'AMBIENTE DI\'INO

fig. 10. Primavem, affresco proveniente da Stabia. Napol1; A!useo Archeologico Nazionale. Il fondo ve1de rmi/omte delltl parete propone esaustivamente il gitmlino in cui una fanciulla coglie f iori, senza bisogno di altre raf/igumzioni cbe quelle essenziali: la fanciulla e la pianta fiorita appulllo.

fig. 11. Pompet; Villa dei Misteri (decorazione del "II stile"). La parete chiusa è affrescata con1111 trompe-l'oeil cbe fù1ge 111/fl tota/e apertum: c'è 1111 primo porticato a colonne ed arcbi, dietm cui 1111 secondo portico a colonne binate precede 1111/lluro n riquadn;- al di sopra una apertura lascia vedere tdl' este m o m fondo verde un padiglione rotondo a colonne.

sfuggenti spesso su prospettive assai ela­borate, al limite di imitazioni teatrali; collegate certo agli arredi e agli usi del­le sale di cui costituivano appunto !'"am­biente" [fig. 11]. - La riproduzione di paesaggi che da una parte avevano il ruolo di annullare la chiusura dei muri e l'assenza di finestre, dall'altra riprendevano campagne e col­line e alberi del territorio intorno o ri­proponevano quei luoghi da cui Apuli,

Sanniti , Campani erano giunti a Pompei, Ercolano, Stabia ecc.: quei giardini che si sarebbe desiderato avere intorno alla propria casa o villa. Del pittore che rese abituale la pittura di paesaggio nell'antico mondo romano, sapremmo anche il nome - sia pure con qualche incertezza - : Ludus o Studius (Vitwvio e Plinio), ma di lui ignoriamo tutto. Lasciata la società - o la natura - al di là del muro esterno, questo proponeva all'interno proprio quel mondo che si era escluso, o quel mondo che si deside­rava ci fosse: erano immagini di giardini, di fanciull i e fanciulle, di danze, di al­beri, di fiori resi sempre con realismo (salvo una tarda corrente interessata a fi­gure comico-grottesche): l'azione dei personaggi era subordinata al paesaggio, nell'atteggiamento e nei colori. li mondo proposto a Pompei (anche quando com­prende degli dei- e saranno molto spesso Venere e Bacco -) è quello della vita quotidiana: un mondo assai 'borghese', reso con stile popolare: gioioso, roman­tico, sentimentale, galante, quasi sempre delicato e sorridente. Ci sono anche casi importanti in cui le pateti sono invece chiuse da un colore uni­forme: spesso appunto il famoso rosso 'pompeiana' che equivale all'assenza pro­prio di un 'ambiente' (come sarà in un certo senso l'oro per i fondi dei mosaici bi­zantini). È allora all'azione che è affidato:il compito di creare l'ambiente della sa­la, del cortile, della casa: come nella Villa dei Misteri. In questa, e in altre simili co­me la villa di Stabia da cui provengono figure femminili su fondi verdi e azzurri (Museo Nazionale Napoli) , le figure recitanti sono lì, intorno alla sala, nella stessa dimensione degli uomini e delle donne presenti [fig. 10]; le pareti-paesaggio inve­ce sono in un'altra scala con montagne, alberi, figure lontane che appunto pro-

CAPITOLO 1 1 D1iLLA TENDA ALLII DOMUS: LA SmULIIZIONE DELL'AMBIENTE 25

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figg. 12-13. Roma, Casa di Livia e Augusto sul Palatino. Come a Pompei anche qui le pareti cbiudono la casa verso l'estemo; 111n poi fingono cb e in esse si aprano grandi portali e asole aperte al di .ropra di colon11ati.

pongono all'interno l'imma­gine inventata di un paesag­gio esterno. Se l'area vesuviana consen­te una conoscenza ampia e forse sufficientemente com­pleta della domus e della sua decorazione nel perio­do tra la fine del I secolo a.C. e il 79 d.C., anche a Roma gli archeologi hanno trovato alcuni esempi di grande interesse, in ricche ville costruite tra il 30 e il 10 a.C.: la casa di Livia sul Palatino, la sua villa subur­bana a Prima Porta e il complesso della Farnesina. Il nome dell 'imperatrice ha indotto a cercare valori e

PARTE PRIMA l L'INI1ENZI ONE DELL'tlMB/liNTE DI l'l NO

simboli, dando per scontato che tutto ciò che comunque si riferiva ad Augusto dovesse raffigurarne ed esaltarne la divina regalità. Anche a Pompei del resto, per lunghi periodi dopo i p rimi scavi, ci si è preoccupati di spiegare i soggetti sco­perti cercando di quali miti potessero essere il simbolo, dimenticando che forse erano anche raffigurazioni mosse da altre motivazioni e magari dal solo gusto del pittore o del committente. Secondo Maiuri la quantità di ipotesi e di polemiche interpretative così accumulate, "/a sorridere". La casa sul Palatino era la residenza quotidiana privata di Livia, accanto a quella ufficiale di Augusto [figg. 12, 13].

In esse le pareti sono dipinte in modo da costituire una prima illusione architetto­nica. In genere composta da uno zoccolo su cui si innalzano delle colonne a for­mare un portico; dietro ad esso, il muro di chiusura presenta vani con figure di­pinte o finestre aperte su paesaggi urbani o agresti. Sono quindi almeno tre i piani successivi che costituiscono l'ingrandimento e l'apertura delia stanza: il colonnato il muro, l'esterno. In quello che si crede essere stato uno studiolo personale di Au~ gusto il colonnato è lin1itato alle zone centrali delle pareti e dalle interruzioni sugli angoli si vedono colonnati e volumi di una città, probabilmente Roma. Anche nel ricco complesso scavato (e distrutto) nel1879 per costruire gli argini del

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Ct\Pll.OLO l l DALLA TENDA 1ILUI DOMUS: U J SIMUlAZIONE DELL"1lMBIENTE 27

Tevere presso la villa rina­scimentale della Farnesina, fu scoperta lungo tutte le pa­reti nel triclinio "C" una de­cm·azione raffigurante un porticato: le esili colonnine sono appoggiate su uno zoc­colo decorato con fregi geo­metrici, mentre in alto reg­gono un fregio con figure umane. Dentro al portico le colonne reggono un festone di vite: oltre il portico sullo sfondo scurissimo sono graf­fite in bianco molte scenette che mostrano un lontano ambiente di campi o giardi­ni (adesso al Museo Nazio­nale Romano- Palazzo Mas­sin1o) [figg. 14, 14a]. In ambienti più semplici la parete è solo divisa da co­lonne o pali di legno tra cui sono stese ghirlande di fo­glie e fiori che simulano un porticato ed un giardino. Lo

stesso tipo di decorazione parietale troviamo nella villa sulla Flaminia a Prima Porta che era la lussuosa residenza di campagna di Livia; essa rispecchiava la tra­dizione delle grandi famiglie della Roma antica di privilegiare la villa in campa­gna rispetto alla domus in città (30-20 a.C.) . In essa fu rinvenuta quasi intatta una sala sotterranea rettangolare (ml 11,70 x 5,90 , con il pavimento a ml 6,00 al di sotto del p ianterreno della villa), coperta a volta (altezza ml5 ,16 al colmo), da cui si entrava solo da una porta a metà di uno dei lati lunghi, e che riceveva luce dall'alto da due lucernai posti alle estre­mità. Le pareti completamente dipinte raffigurano un giardino (ricostruite ades­so al Museo Nazionale Romano -Palazzo Massimo) [figg. 15, 15a] 12•

Non sappiamo a cosa servisse questa sala nel complesso della villa, sol? par~ial­mente immaginabile dai ruderi rinvenuti: tra le molte e spesso comphcate tpo­tesi quella che fosse un fresco triclinio estivo sembra la p iù probabile, anche per­ché il collegamento a celebrazioni funerarie o a riti particolari contrasta con l'a­spetto allegro e sereno che propone il giardino raffigurato lm~~~ le pareti; ~ato che per stare freschi si era scesi sotto terra e non si avevano pm l~to~no le ptan­te vere del giardino della villa, queste furono dipinte sulle pareti, rip rendendo una tradizione - come abbiamo visto - ampiamente diffusa.

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28 PARTE PRIMA l L'INI'IiNZTONE DELL'AMBIENTE DII'INO

/igg . . 14-1_4a. \!~1/a del/a FamesiJill, pareti del triclinio "C". Roma, lvlmeo Nazionale Ro/1/allo, Palazzo Massimo. Le ~aretr chu~se d1 qz!esta sala so11o affrescate come se /on·ero i11teramenle aperte, in modo da dare l'il/11sione di essere 1111111 padtglwne m mezzo a 1111 g:rmli11o. Un alt~ zoccolo _regge le esili colonnine di 1111 pergolato, che reggono 1111 /es~one f rondoso. l1~ alto 1111 /regw COli scene ree/late da figure e al di sopra sui capitelli alc11ne statue. Al di là sono aaemrate - lmee bra11cbe su / o11do l/ero - scene di 1111 !onta/lo ambiente rurale.

CAPITOLO l l DALLA TENDA ALLA DOMUS: LA SIMULAZIONE DEI.L'AAfniENTE 29

Comunque quello che è qui raffigurato è un giardino sullo sfondo lontano di un cielo azzurro, popolato di uccelli e in cui molte piante hanno i frut ti maturi, re­si in scala maggiore per renderli evidentemente riconoscibili a prima vista ai fre­quentatori. Questi si trovavano in un ambiente di circa 70 metri quadrati recintato da una stac­cionata formata da listelli di legno intrecciati: il tipo di staccionata forse più diffu­so nella campagna intorno. Nella staccionata si aprono solo quattro passaggi al cen­tro delle pareti: da questi si può entrare in un viale erboso dipinto tra la staccio­nata e un muro continuo e ininterrotto che presenta sei nicchie (due sui lati lunghi e una sui lati corti) senza alcuna apertura, quasi a voler chiaramente escludere la possibilità di andare al di là, dentro al bosco. Nelle nicchie ci sono querce, pini, ci­pressi, abeti (Querctts robtn; Pimts pinea, Picea excelsa, Abies alba). ll muro ha nel­la parte alta dei riquadri chiusi da una decorazione geometrica che alterna tre di­versi disegni: anche questi semplici e certamente ricorrenti. Dietro al muro, le pian­te e i cespugli sono disposti su più piani e sono ricchi di frutti e fiori, rappresenta­ti fuori scala in modo da renderli l'elemento caratterizzante alla prima occhiata. Oltre ai frutti (alcuni melograni sono maturi e aperti) altri due elementi sono pro­tagonisti in questo triclinio: i molti uccelli, in volo o fermi sui rami degli alberi (an­che loro più grandi di quanto richiederebbe il rapporto con le piante) [fig. 15a], e il vento, un vento forte che agita tutti gli alberi ed ha richiesto al pittore di gio-

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fig. 15. Villa di Livia a Prima Porta, Roma. Sala sotterranea. Roma, Aifuseo Nazionale Romano, Palazzo Massimo. Le quattro pareti di questa piccola sala sotterranea (mq 70) mppresentano un giardùw colltinno, dietro a 111111/Uro senza aperture; davanti a questo lilla staccionata di canne iJrcrociate delimita un viale, a cui si accede da quattro passaggi. Uccelli, /rutti, /iori completa110 il giardino, agitato dal velllo.

fig. 15a. Vi!! a di Livia a Prù11a Porta, Roma. Sala sotterranea. Dettaglio della parete meridionale con albero agitato 'dal vento e 1111 uccello ÙJ volo. Vedi anche a p. 12 unmelograno agitato dal vento.

PARTE PRIMA l L'INI'ENZJONE DELL'AMBIENTE DIVINO

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CAPITOLO l l DALIA TENDA ALL!I DOMUS: LA SIMULAZIONE DELL'AMBIENTE 31

care con grande bravura tra i colori della pagina superiore e della pagina inferio­re delle foglie: queste immagini sono presenti anche in altre s~e ipogee all'Audi­torio di Mecenate, nella tomba di Patron sulla via Latina, in un mitreo a Ostia, in tante domus a Pompei e nell'area vesuviana. Un vento che forse aiutava psicologicamente ad apprezzare il fresco offerto da que­sti tridinii interrati, nella calda estate della campagna intorno. E il vento rende preciso, irripetibile, non stilizzato né simbolico, ma solo e splendidamente reali­stico l'ambiente di queste sale, unificando i vari elementi, i tanti fuori-scala.

Note

1 L. Prussin, in "Mimar", n. 4, 1982 La stessa definizione potrebbe valere ovviamente anche per la ''Yurta" dell'Asia centrale: i deserti della Mongolia, con un clima assai diverso da quello africano e arabo, hanno portato alla costruzio­ne di un manufatto costituito da un reticolato di travetti, smontabile e affastellabile (kerege), Veni­va coperto da feltri uniti da spesse e resistenti strisce dello stesso materiale (ak-yurt). 2 Esodo, 25-26,33, 7-11, 36-37 -38; Nwneri, 9, 15-23; Salmi, 15, l e 76-3: "La tenda di Dio è a Salem, la sua dimora a Sion" (Salem, nella versione greca = pace; Sion = Gerusalemme) . In questo libro i testi biblici sono sempre riportati nella classica traduzione in italiano di Giovai1ni Diodati (1576-1649), 1607; con l'aggiunta di altre successive edizioni e in particolare della T.O.B., 1975 (ed. it. con note della C.E.I.) 3 T.E. Lawrence, I sette pilastri della saggezza, 1926 (trad. it. Erich Linder), Bompiani ed. 1949. -l ]o/m Frederick Lewis, Catalogo della mostra alla Laing Art Gallery, 1971, Newcastle-upon-Tyne; AA.VV., Orienti, in "FMR", n. 23, 1984. 5 AA.VV., Tapis- Present de l'orient à l'occident, Institut du Monde Arabe, Parigi 1989; AA.VV., Ki­lim anatolici, Eskenazi ed., Milano 1984; J.J. Eskenazi, Il tappeto orientale, Allemandi & C., Torino 1996 con ampia bibliografia; A. Fantò, Kilti11 curdi d'Anatolia, Akka Roma s.d.; A.E. Hangeldian, Tappeti d'oriente, A. Vallardi ed., Milano 1959; Tappeti dei Nomadi dell'Asia Centrale, a cura di E. Tsareva, SAGEP ed ., Genova 1993; AA.VV., ]ardin de l'Islam, Losanna 1983. 6 F. Gabrieli, Maometto e le grandi conquiste arabe, Newton & Compton s.r.l., Roma 1996; Il Cora­no, trad. A. Bausani, Sansoni, Firenze 1978. Per esempio: "Giardini alla cui ombra scorrono i fiumi" (Sura II, della Vacca) ; "Qual dunque dei bene/ici del Signore voi neghereste? ... il fmtto dei giardini sarà lì presso ... e altri due giardini ancora . .. verdi, verdi cupissimi ... con due fontane, fontane SOI'gi­ve copiosissime . . . e con frutti e con palme e con melo grani" (Sura LV, del Misericordioso); "A ognu­no Iddio ba promesso la Cosa pitÌ Bella ... Giardini alle cui ombre scorrono i fiumi" (Sura LVII, del ferro) ; "E i pii avranno presso il Signore Giardini di delizie" (Sura LXVIII, del Calamo). 7 Cfr. nota 4. 8 Da: La civiltà Bizantina - Oggetti e messaggio, a cura di A. Guillou, Roma 1993 9 Cfr. nota 6. 10 Genesi, 2, 8-10. A. Scafi, Il ptlradiso in terra, Bruno Mondadori, Milano 2005. Il La bibliografia è vastissima: riportiamo solo i testi più attinenti al nostro argomento che conten­gono tutti bibliografie complete. A. Maiuri, La peinture romaine, Skira, Ginevra 1953; F. Grimal, I giardini di Roma antica, ed. francese 1984, trad. italiana Milano 1990; G. Messineo, La Villa di Livta a Prima Porta, Roma 1984; M.R. Sanzi Di Mino, Palazzo Massimo alle Terme, Milano 1998; AA.VV., La Villa della Farnesina in Palazzo Massimo alle Terme, Electa 1998; G. Caneva, Ipotesi sul signifi­cato simbolico del giardino dipinto della Villa di Livza (Prima Porta, Roma), in "Bullettino della Com­missione Archeologica Comunale di Roma" ,1999; S. Settis, Le pareti ingannevoli- La villa di Livia e la pittura di gzardino, Electa, Milano 2002; A. Ciarallo, Elementi vegetali nell'iconografia pompeia­na, "L'Erma" di Bretschneider, Roma 2006; AA.VV., Rosso pompeiano1 Electa, Milano 2007. 12 Cfr. nota 11.

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Capitolo 2

Dall'imperatore a dio: Ronza, Gerusalemme, Betlemme

Quando il cristianesimo inizia la sua storia - tra i confini che il mondo classico ave­va raggiunto ad oriente con Alessandro Magno e ad occidente con l'espansione del­l'Impero Romano - è nelle domus ecclesiae che si formano i primi luoghi di culto: cioè in ambienti all'interno di case d'abitazione (più raramente e più tardi anche in altri edifici), adibiti temporaneamente o stabilmente alle riunioni, agli atti liturgici, alle altre attività che la nuova religione poco alla volta veniva elaborando. n nome stesso di domus ecclesiae indica che non c'era differenza tra questi ambienti e gli alo tri della stessa domuJ~ se non appunto per l'uso liturgico: le immagini che li deco­rano appartengono al mondo classico e accorreranno molti secoli- e variamente nelle varie parti dell'antico impero- perché la loro metabolizzazione dia un signi­ficato diverso alle stesse immagini e cerchi un modo diverso di rappresentarle. n lungo periodo in cui la cultura greca si incontrò e mescolò con le infinite antiche culture entrate nello stato imperiale romano, si protrasse ancora per molti secoli, trasmettendo simboli e modi nel cristianesimo, a oriente e a occidente. Anche il no­me di questi primi locali di riunione dei cristiani - domus ecclesiae- riprende quel­lo tradizionale della casa romana. Oggi quasi milla è rimasto di esse; ma le pitture che ne ricoprivano le pareti non dovevano essere molto diverse da quelle che de­coravano alcuni ambienti delle catacombe. Lo sfondo è neutro, le tecniche sono semplici e popolari, il verismo è necessario per la comprensione dei nuovi signifi­cati attraverso immagini note, ma con altri riferimenti. È soprattutto dal mondo contadino che derivano scene, personaggi, lavori: era il mondo dei poveri e questi costituivano notoriamente la maggioranza dei cristiani, nei primi secoli. Le catacombe di P riscilla sulla via Salaria a Roma (II-III secolo) presentano nel­la Cappella Greca decorazioni tradizionali (girali a stucco nell'intradosso degli archi, zoccolo) assieme a figure isolate o raggruppate, disposte liberamente in vari punti delle pareti [fig. 1]. Su una volta un pastore ha una pecora sulle spal­le, altre due ai lati, davanti a due alberi appena accennati, con due uccelli: il pas­saggio da "un pastore" al "Buon Pastore" era immediato [fi'g. 2]. Q uando viene costruito l'ipogeo di via Dino Compagni (sempre a Roma) siamo nella seconda metà del IV secolo e il cristianesimo è tra le religioni ammesse. Le raffigurazioni di lavori agricoli hanno meno bisogno di collegarsi ai simboli del­la nuova religione: un uomo e una donna attingono acqua da un pozzo, un ca­valiere incontra un cittadino a piedi [fi'gg. 3, 4]. Scene dichiaratamente rituali come una processione che si dirige verso una chiesa, guidata da un sacerdote, possono essere rappresentate [fig. 5] .

CAPITOLO 2 l DALL'IMPERATORE A DIO: ROMA, GERUSALEMME. BETLEMME

fig. l . Roma, Catacomba di Prisci!fa su/fa via Salm·ia, II-ID secolo. La cappe/fa detta Greca, per uua imàione iu questa lingua, è tmo degli esempi pitì completi degli ambienti delfe Ctttacombe: corridoi, pa.uaggt; piccoli spazi per le funzioui, pareti piene di locult; archi e volte. La Cappella Greca preseuta titsieme decorazioni di antica tmdizione classica come i gim/i di stucco (vedi parte Il, cap. V, assieme a piccole figure affrescate con ri/erimeuto al mondo contadino e allusioni simboliche alla nuova religioue.

fig. 2. Roma, Catacomba di Priscilla sulfa virt Sa/aria, II-Ill secolo. Affresco suuua volta raffigumnte 1111 pastore COli wlfl pecora sulle spalle, altre due pecore, due alberi e due uccelli: il "Buon Pastore".

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34 PARTE l'RIMA l L'INVCNZIONE DELL'AMBI ENTE 0/\1/NO

figg. 3-4. Roma, lpogeo di via Dino Compagni, seconda metà del IV secolo. Due arcosoli affrescati con scene di lavori rurali: 1111 uomo e 1111a donna allingono acqua da 1111 po:ao (esatlamenle decritlo il meccanismo della carru­cola, l'anfora); 1111 IIOJJIO a cavallo ne incontra 11110 a piedi ùr una zona alberata.

fig. 5. Roma, lpogeo di via Dù10 Compagm; seconda metà del IV secolo. In 1111 arcosolio è raffigurata mw proces­sione cbe occupa ancbe la f iancata dell'arco. Siamo ormai Ùl l/11 periodo in cui la religione cristiana è ammessa e la scena si riferisce ad 1111 avvenimento alla luce del sole, senza allusioni nascoste. Un sacerdote guida la processione verso t/Ila chiesa preceduta da llllfl scalinata.

CAPITOLO 2 l DALL'IMPERATORE Il DIO: ROMA, GERUSALEMME, llETLEMME 35

Nel IV secolo il cristianesimo è dapprima consentito e poi riconosciuto come reli­gione ufficiale (Editto di Milano, 313; decreto di Teodosio, 380; editto che proibi­sce il culto pagano, 391) . I cristiani quindi- di qualsiasi gruppo di appartenenza: ortodossi, ariani, ecc. - cominciano a definire una iconologia adeguata alla nuova religione (riducendo le allusioni simboliche) e una architettura che, uscendo dalla domus ecclesiae e rifiutando i templi pagani, deve essere chiara espressione della mutata cultura religiosa. La raffigurazione dei personaggi e dei fatti ha come in­dubbio riferimento i testi relativi: l'Antico Testamento, il Nuovo Testamento. Da questi libri alcuni episodi e alcuni personaggi sono per l'iconografia un riferi­mento frequente e quasi obbligatorio, mentre altri sono rari o ignorati del tutto. Dell' Antico Testamento si illustrano scene dalla Genesz: da Esodo, dal Deuterono­mio; del Nuovo Testamento si prendono episodi dai vangeli di Matteo, Marco, Lu­ca a cui si affiancano gli Apocnf~ soprattutto per la nascita e l'infanzia di Gesù. Ra­ri i riferimenti a qualche Libro dei Profeti (in funzione delle profezie riferibili a Cri­sto) e all'Apocalùse. Gli episodi neo-testamentari più ricorrenti sono: Natività, Ado­razione dei Magi, Presentazione al Tempio, Strage degli innocenti, Fuga in Egitto, Battesimo nel Giordano, Nozze di Cana, Lazzaro, Ingresso a Gerusalemme, Cac­ciata dei merçanti, Preghiera tra gli ulivi. Le scene della Passione nei primi seèoli spesso m~cano perché si preferisce Gesù taumaturgo al Cristo dolente. Meno ob~ligatori altri episodi soprattutto relativi alle storie di Gioacchino, di Giovanni, ili Maria; questi assumono spesso un posto a parte, dalla nascita alla morte e Ascensione della Madonna, con l'Annunciazione- presente solo in Lu­ca, l, 26-38- che serve come collegamento con la narrazione propriamente evan­gelica, ed occupa quasi sempre un posto privilegiato nella chiesa, a sottolineare il ruolo fondamentale nella successione delle immagini del racconto; come un posto privilegiato ha- quando c'è - il Giudizio Universale, conclusione di tut­ta la narrazione, collocato dietro al muro di facciata. Occorrevano spazi architettonici ampi per contenere l'elevato numero di scene ri­chiesto: soprattutto in Occidente, dove si è preferito moltiplicare gli episodi all'in­terno degli avvenimenti noti anziché proporre scene con più episodi raggruppati, come in Oriente. Questo criterio sembra essere stato valido per secoli: dalla nava­ta di Santa Maria Maggiore a Roma, alla Cappella degli Scrovegni a Padova. Lo stesso vale per i personaggi estratti dagli episodi e proposti per il loro valo­re 'assoluto': ovviamente essi sono principalmente Gesù Cristo e la Madonna. È probabile che se si facesse una statistica completa, l'immagine della Madonna (con o senza il Bambino) in certe aree e in certe epoche supererebbe numerica­mente l'immagine di Cristo da solo. Questi può essere sostituito dalla Croce o dall'agnello o da altri simboli. Tutti gli altri personaggi hanno una collocazione abbastanza costante e gerar­chicamente prestabilita, che consente al fedele di riconoscerli per il posto che occupano: San Pietro e San Paolo, gli altri Apostoli, i santi più popolari e il ti­tolare, il papa o il vescovo in carica. È rarissimo che il posto centrale sia destinato ad altri che a Cristo (o ai suoi sim­boli) e alla Madonna: tra i pochi casi sono famosi Sant'Apollinare in abiti ve-

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36 PARTE PRJ,\ui l L' INVCNZIONE DELL'AMBIENTE DIVINO

figg. 6, 6a. Roma, Santi Cosma e Damiano: tJbside, mosaico con Cristo, Pietro e Paolo, Cosma e Damiano, Teodoro e Felice N col modello della chiesa, prima metà del VI secolo (Felice lV pesantemente restaurato nel X\fll secolo). Il cielo è scuro con 1m tappeto di nuvole rosse al centro; Ù1 basso, dtlun'estremità all'ti/tra del catino absidale, linee parallele tiZZIIrre. rappresentano il Giordano; la sua sponda Ùi primo piano è 1111 prato verde con pocbe erbe e fiori. Le pecore sono al di sotto su un semplice prato verde. Prima dei tagli seicentescbi il mosaico terminava ai lati co11 due grandi palme.

scovili al centro del catino di Sant'Apollinare in Classe a Ravenna (547 -549, ini­ziata dai Goti-Ariani nel533 e finita nel549 dai Bizantini-Cattolici; vedi p . 58, fig. 7) e Sant'Agnese nel catino della chiesa a lei intitolata sulla via Nomentana a Roma con ai lati i papi Simmaco (498-514) che edificò la basilica sulla prece­dente memoria catacombale e Onodo I (625-628), all'inizio del cui pontificato fu eseguito il mosaico 1.

Seguendo questi episodi e questi personaggi percorriamo la lunga storia della lo­ro iconografia e vediamo in quali ambienti venivano supposti e proposti come 'divini' nei secoli e nei paesi di formazione e sviluppo del cristianesimo e poi di sua affermazione e diffusione. Superati i primi tempi di predominante raffigurazione attraverso simboli, i per­sonaggi che abbiamo prima elencato sono rappresentati come figure umane. Sen­za ripercorrere le lunghissime discussioni teologiche al riguardo, l'essenza uma­na è considerata come un aspetto dell'essenza divina e come l'unica raffigurabi­le sia che si tratti di 'divinità' scese dal cielo o di 'divinità' ascese in cielo (o di esseri misteriosamente sempre celesti e sempre esistiti senza essere mai stati crea­ti, come gli angeli): c'è quasi una insistenza nel raffigurare i personaggi della nuo-

CtiPITOLO 2 l DALL'IMPERA TORE A DIO, ROMA, GE;RUStiLEMME, BETLEMME 37

va religione senza la minima preoccupazione verso le non infrequenti iconocla-stie (vedi parte II, cap.l). · Attorno ai personaggi viene quindi inventato un ambiente 'divino' ed è questo che viene proposto allo spettatore, che è il credente entrato nella chiesa per. pre­gare, non per ammirare mosaici e icone. Per inserirli in un ambiente diverso, ter­reno, si punta principalmente sulla loro azione, sulla dramatis personae· per la quale bastano pochi accenni, poche allusioni a situazioni sempre ripetute e im­mediatamente riconoscibili: come il verde prato fiorito su cui in tanti mosaici pascolano le dodici pecore del gregge degli Apostoli e dei credenti, dirigendosi verso Gesù-Buon Pastore, sulle sponde del Giordano. È dunque la terra l'ambiente di riferimento che queste figure umanizzate sot­tintendono e propongono con le loro sembianze, i loro abiti, i loro gesti. Ciò

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38 PARTE l'RL\ IA l L'INVIiNZIONE DELL'AMBib'ITE DI\'JNO

poneva agli artisti (e ai loro committenti-registi, preoccupati dei significati re­ligiosi e liturgici) un problema di base: renderli 'divini' senza far abbandona­re loro la riconoscibile immagine umana e terrena. Un modo frequente- comunemente considerato "bizantino" -consiste nell'ingi­gantire la figura di Gesù o di Maria, fuori scala rispetto alle altre eventuali perso­nae fino a far loro ricoprire tutto lo spazio architettonico disponibile: cupola e ab­side della Cappella Palatina a Palermo (1130-1143; vedi parte I, cap. 3), abside del duomo di Cefalù (1131 -1148), abside del duomo di Monreale (ultimo quarto XII secolo) ecc. Dietro al Pantokrator c'è solo oro: un materiale astratto, un colore che è rarissimo in natura e non può essere né terra, né cielo, né mare ed è altro da qual­siasi riferimento ambientale: è la sostituzione di ciò che potrebbe essere ambiente, con una indicazione assolutamente astratta. Per dare un senso 'neutrale' a questo oro nelle chiese cattoliche, lo si raffigura a volte come un tendaggio (per esempio sull'arco trionfale di Santa Prassede a Roma: fig. 8c). L'oro accompagna- negli ul­timi secoli dell'impero -l'immagine dell'Imperatore quando questi cerca altri rife­rimenti per il suo potere rispetto a quelli classico-pagani che conosceva ed usava per esempio Augusto quattro secoli prima: un riferimento che deve dimostrare la potenza, la ricchezza con simboli terreni, come appunto l'oro che qualsiasi cittadi­no considera espressione di ricchezza, di grandezza, di potenza. Ciò che i cristiani vedono sulle pareti degli edifici di ctùto che dalla metà del IV se­colo cominciano a sostituire le domus ecclesiae è l'invenzione di un ambiente ben diverso dai trompe-t' oeil attraverso cui Livia immaginava di vedere pergola ti e giar­dini della sua villa; adesso il mondo al di là di quei muri è una proposta di trompe­l'oeil verso immagini che supponiamo possano essere l'ambiente 'divino'. Anche all'esterno l'ambiente della città 'classica' (o 'pagano-classica') sta mutan­do: 1\ùtima costruzione 'classica' nel Foro Romano è una colonna ('una' sola: al­zata come omaggio a un centurione eletto Imperatore d 'Oriente nel602 , Foca; do­po infiniti massacri da lui operati fu a sua volta decapitato e brucia to nel 610) . Il fatto che all'inizio del VII secolo si riuscisse ad onorare un imperatore traspor­tando una sola colonna da un altro edificio (tre secoli prima per onorare Costan­tino si spogliarono abbondantemente i monumenti-omaggio elevati addirittura a Traiano) non è l'unico segno che a Roma tante cose erano ormai mutate. Eletto imperatore Foca inviò le immagini sua e della moglie Leonzia in Laterano: sape­va bene che se anche l'imperatore non poteva essere più adorato, poteva aver bi­sogno di alleanze con un papa potente come Gregorio I (590-604) . Diverso al confronto l'ambiente. del Foro romano tre secoli prima (sconfitta di Massenzio, 312) o anche solo centoventicinque anni prima (deposizione di Romolo Augustolo, 476), o soprattutto ottanta anni prima quando Teodorico (493 -526) era stato protagonista della prima vera trasformazione dell 'ambiente dei Fori, assieme al papa Felice IV (526-530): ma a differenza di Foca "Teodorico avrebbe meritato una statua fra i migliori e i più valorosi romani", sebbene barbaro e ariano 2 .

Il complesso costituito da una sala rettangolare del Tempio della Pace (Vespa­siano, 78; restaurata da Severo e Caracalla dopo l'incendio del191) e dall'He­roon Romuli (edificio rotondo con due ambienti rettangolari ai lati, incompiuto

CAPITOLO 2 l DALL'IMPERATORE A DIO. ROMA, GliiWSIILEMAIE, BETLEMME 39

alla morte di Massenzio, 312), era stato dedicato durante Costantino a Templum sacrae Urbis. Con Teodorico e Felice IV questo edificio passa dal tesoro inlpe­riale a quello della chiesa cattolica ed è la prima volta che ciò avviene nel cen­tro della città, nel centro dell 'Impero: l'ambiente cattolico si sostituisce a quel­lo pagano: il papa deve solo mettere l'altare, costruire l 'abside e far venire dal­l ' oriente le reliquie dei Santi Cosma e Damiano 3.

Della chiesa di Felice IV resta oggi solo una parte dell'arco trionfale; di straor­dinario valore anche perché di tutti i mosaici delle chiese romane solo quelli lun­go le navate di Santa Maria Maggiore sono più antichi (poco dopo il Concilio di Efeso, 431 :/igg. 7, l a); per gli altri dobbiamo attendere la grande attività di Pas­quale I (817-824) . Date le vicende legate alla sua trasformazione in chiesa, a Santi Cosma e Da­miano non era proponibile un mosaico con l'oro 'imperiale' come fondo: il ca­tino è un cielo blu in cui le nuvole rosse formano la via dell 'Asèensione di Cri­sto, al di sopra delle verdi sponde del Giordano sulle cui rive Pietro e Paolo, Co­sma e Damiano, Felice e Teodoro indossano ancora i vestiti classici, portati nei secoli precedenti e evidentemente ancora allora [ji'gg. 6, 6a]. Durante i secoli che separano Costantino dalle riforme intorno al XIV secolo, al­cuni elementi sono ricorrenti nelle raffigurazioni che dominano le chiese dal fon­do delle absidi, dagli archi trionfali, anche attraverso i profondi mutamenti di stili. In alto il cielo, in basso la terra.

figg. 7, la. Roma, Santa M(/}ù Maggiore, prùno arco trionfale. Santa Maria Maggiore è il massimo monumento costruito per celebrare la proclamazione dello tbeotokos al Concilio di Efeso (431). Lo storia di Moria, dal/'Amumciozione ai Re Magi, è raccontato co11 episodi e iconografia anche 11011 consueti. In bosso ci souo le tradizionali Gemsalemme e Betlemme col/ le pecore di11a11zi alle città e rivolte verso queste, su l/11 prato verde. A ll'in temo delle due città, gli ed1/ici sembrano tutti sacri: ùHieme t empii pagani e chiese cristiane coli campanile.

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fig. 8. Roma, Santa Pmssede (Pasquale l, 817-824). Veduta d'im-ieme de!!a zona absidale. Il primo arco trionfale è avanzato e il secondo è a!l'ùlizio del catino absidale. T! primo arco è diviso in due pam: in bano m fondo oro due gruppi simmetrici di beati r1gitano rtlllli di palme (eccezionale l'effetto prmpettico delle aureole e dei capellt); lo sferro motivo è nel secondo arco dove i permnaggi sono pùì distanziati e porgono corone. Nella parte alta il fondo è 1111 prato verde con fiori rossi e sopra 1111 cielo blu scuro con nuvole bianche; al centro Gerusalemme con le mura/annate come le due città sante ai filmi i del corteo di pecore. A !l'in temo: Cristo tra due angeli, Maria, Giova11111; Prassede, Elia, Mosè, un altro angelo; a!!'estemo altri angeli; Pietro e Paolo, sacerdoti e folla. Ne/mosaico absidale Cristo, Pietro e Paolo, Prassede e Pudenziana, Pasquale e Zenone, stai/l/O tra il cielo e il prato cbe forma la riva del Giordano, Ì/1 mezzo ti due palme (m que!!a a destra del Cristo c'è la Fenice). l! cielo è blu scuro con nuvole rosse e azzurre i11 corrilponde11Ztl del Cristo e biancbe in alto affamo a!la lllfll/0 di Dio. Le pecore cbe escono da Gerusalemme e da Betlemme formano 1111 /regio sepamto .

figg. 8a, 8b. Le due città sante ai lati del/regio con il gregge degli apostoli: i loro nomi 11011 sono scritti essendo evidentemente no1t1 e sufficiente la loro immagine e co!!ocazione. Le pecore 11011

escono da!! e porte davanti a cui ci sono due alberi; gli ed1/ici all'in temo delle 11111m non banno n/erimenti riconoscibili.

PARTii PRIMA l L'INVENZIONE DELL'AMBIENTE Dli'INO

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CAPITOLO 2 l DIILL'IMPERATORE tl DIO, KOAI!l , GERUSALEMME, BETLEMME 41

fig. 8c. Al centro dell'arco trionfale che chiude l'abside, campeggia, su fondo oro con nuvole rosse e verdi, 1111

ricchissimo trono co11l'agne!lo: solto al trono il mtolo def!'llpocalifse, sopra la Croce. Il trono è dentro 1111 cerchio blu scuro cbe lo sepam dal /o11do oro, cbr• è rappresentato come una tenda, sorretta dai selle candelabri dell'Apocalisse. Dietro la tenda d'oro si affaccia in alto una sottile striscia di cielo blu, mentre in basso sull'oro sono rappresentate delle nuvole rosse e verdi e su queste ai lati quattro angeli (vedi precedente fig. 8).

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42 PARTI: PRIMA l CIN\' ENZIONE DELL', L\18/ENTE DII'INO

/igg. 9n, 9b. Roma, San/n Mnrin in 1ì-nstevere (X !l secolo). Betlemme e Gerusalemme n i lati del corteo delle pecore.

Nel cielo si distinguono tre zone: l. un fondo blu scuro con qualche raro accenno di oro, su cui si impone 2. una successione di nuvole illuminate di rosso che formano la via dell' ascen­sione di Cristo verso 3. un cerchio in alto al centro, in cui brillano le stelle a delimitare e indicare l'a­stratto "cielo" divino. La terra è rappresentata con elementi noti dell'ambiente umano: l. il prato, i fiori, le pecore, le anatre, il fiume ecc. , per essi è insieme ben co­nosciuto il significato religioso: i fedeli, il "Buon Pastore" , il Giordano, l'Araba Fenice ecc.; 2. le due città sante (Gerusalemme e Betlemme); 3. il trono su cui siedono Gesù o Maria a significare appunto che non è più il sim­bolo dell'imperatore terrestre (Giustiniano e Teodora a San Vitale sono in piedi). Nelle chiese costruite durante il papato di Pasquale I (817-824) ritroviamo i cie­li blu con le nuvole rosse, il Giordano e sulle rive prati, fiori , alberi: a Santa Pras­sede [figg. 8, 8a, 8b, 8c], a Santa Maria in Trastevere [figg. 9a, 9b] dove una pro­fusione di fiori si contrappone in basso ai colori rosso-blu che allontanano il li­mite oro nel fondo, a Santa Cecilia in Trastevere [figg. lOa, lOb], a Santa Agne­se fuori le mura (dove solo la santa appoggia i piedi su un complicato cuscino formato dai simboli del suo martirio, circondato dal verde), a San Marco (inizi: papa Marco I, 336; mosaici: Gregorio IX, 828-844), dove dei tappeti rettango­lari si sovrappongono alla rappresentazione della terra. La raffigurazione di Gerusalemme (Città Santa) e di Betlemme (Città del pane) fa parte fin dagli inizi del repertorio di base dei grandi mosaici, in tutta l'area di diffusione del cristianesimo. Le città sono viste sempre dall'esterno come se fosse implicito e scontato che i luoghi in cui si svolgono i vari eventi, storici o religiosi, sono in campagna, fuo-

CtiPITOLO 2 l DALL'I.Ill'ERATORE ; l 010 : RO,\IA, GERUSA LEMME, BETLEMME 43

ri dai centri abitati. È qui che - almeno per molti secoli e in molti paesi - si suppone che siano localizzati i fatti narrati nella Bibbia. Anche una delle scene più diffuse come l'entrata di Gesù a G erusalemme lo mostra sempre all'ester­no, prima di arrivare alla porta della città: non credo esista nessuna immagine di Gesù dentro Gerusalemme (anche il Getzemani e l'Orto degli Ulivi sono fuo-ri delle mura). Le città sono chiuse da pesanti mura, in blocchi squadrati e spesso decorati di gemme; gli archi delle porte, le lampade che le illuminano, le cerniere e i chia­vistelli sono quasi sempre esattamente descritti quasi si volesse essere certi che vengano riconosciuti. Nell'arco trionfale di Santa Maria Maggiore a Roma, costruita subito dopo il Con­cilio di Efeso (431) che proclama tbeotokos la Madonna, le pecore sono all'esterno e guardano verso le porte delle due città [figg. 7, la]. Dentro le porte delle mura si vedono in prospettiva dei colonnati che emergono al di sopra per cui le due città appaiono completamente costruite contempli classici; stùle porte è appesa una cro­ce tra due preziose lampade. È questa però una iconografia del tutto isolata: è durante l'attivo papato di Pasquale I (817-824) che le chiese di Santa Prassede e Santa Cecilia a Roma, riassumono quasi tutta l'iconografia di quel periodo e dei secoli precedenti 4• Alla base del catino absidale le due città si presentano simmetricamente con due mura­glie fatte di riquadri tappezzati d'oro e con due porte, alte quanto le mura. Per as­sicurare al fedele che quel prezioso paramento murario è proprio una città, al di sopra sporgono pochi fantasiosi volumi di edifici con tetti rossi e verdi, volte e por­tali. A Santa Prassede e a San Clemente le greggi sono già uscite dalle porte e da­vanti a queste ci sono due alberi simmetrici. Ma non è solo questa aurea e abbastanza diffusa rappresentazione di Gerusa­lemme e Betlemme a costituire l'interesse di Santa Prassede: davanti all'abside

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44 PARTE PRJ.IT!I I L'INI'ENZIONE DELL'A,\1/J/EN"/ E D/l'IN O

figg. !Oa, 10b. Roma, Santa Cecilia in Tmstevere (Pasquale l, 817-824). Betlemme e Gemsalemme ai lati del corteo del/e pecore.

figg. I la, nh. Roma, San Clemente (metà XII secolo); Betlemme e Gemsalemme ai lati del corteo di pecore, a/la base del ca t iliO absf(/ale (vedi anche parte Il, cap. 1). Le due aità sono cù1te da mm'tlture meri ate formate coli colici decorati, di~po~ti s/alsati co/Ile lle//a r~altà di un muro ef!elfivamente costruito. A/le estremità si apro11o due gra11di porte senza ehm m re, sormontate da cmque lampade e dal/e smite Betb!eem e 1-liemsalem. Ci sono altre due porte cbwse da robusti chiaviste//i (se ne può vedere ancora uno analogo nella porta del Sane/a Sanctorum al Latemllo,

CAPITOLO 2 1 DALL'IMPERATORE t! DIO: ROMA, GERUSALEMME, BETLEMME 45

Scala Santa)· quel/a di Betlemme è sormontata da 1111 arco con un a11gelo e quella di Gerusalemme da un timpano co11 la croce: Le pecore escono dal/a porta aperta su/tamburo verso l'interno dell'abside. ~'altra porta~ chit.tsa; l"ef/ello angolo' è il protagollista di questa raffigurazione. Le cillà a/l'ili temo sotro descrr!le conmr drsordmato a/fast el/arsi di torri e di te/li che formano 1111 astrailo disegno di /orme geolllelrlcbe.

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46 PARTE PRIMA l L'IN\'ENZIONE DELL'AMBIENTE DIVINO

fig. 12. Madaba (Giordania), VI secolo. Pavimento musivo nella Cbiest1 settentrionale raffigurante tutto il territorio delltl Terra Santfl da TiroeSidoneal delta de!NJ1o, dalM.editermneoal deserto. Dùnensioni: ml15,70x 5,60 (cùm mq 88), di wi restano ampifmmmenti. La città di Gerusalemme è al celltro della grande ama geogra/im: la cbiudono le 11111m li1 cui si aprono la porta settenflionale (a sù1ùtra) e quella on(mtale (in alto). Dentro la porta settentrionale 1111a pia'l.ZII con 1111a colonna; da qui/ino a sud c'è 1111a strada porticata rettHinea; su di essa è riconosdbile verso ovest la basilica del Santo Sepolcro. Una seconda via portimta parte dalla stessa piazza alla porta settentrionale e percorre !ti parte orientale di Gerusalemme. In alto la carta rappresenta il Giordano (risalito da due pesci) e illlNir Morto con due 1/tlvt:· i maniJai sono stati "de/igurati" nel peliodo iconoclasta (vedipm1e Il, cap. 1). Sulla sùJistra, la città di Ge1ico tra le palme.

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CAPITOLO 2 l DALL'IMPERATORE il DIO: ROMA, GERVSALJ.:,\1,\//:', BETLEMME 47

e al suo arco trionfale c'è un secondo più avanzato arco trionfale, sempre dei tempi di Pasquale I [fig. 8] : tra i due c'è una vol­ta raffigurante uno scuro cielo notturno pieno di stelle regolarmente disposte: al­tro tema ricorrente per secoli. Al centro di questo arco c'è di nuovo G erusalemme; in una posizione e in una rappresentazione forse uniche. La città è estesa su tutta la zona centrale più alta ed è raffigurata con lo stesso muro aureo e decorato delle due piccole città ai lati del gregge nell'abside: le stesse porte deformate ai lati, gli stessi tetti, ma dentro è tutto diverso:. nessuna casa, nessun volume, un colore verde scu­ro riempie tutta I' area dentro alle mura. La città è 'abitata ' da Gesù e due angeli al cen-

fig. 13. Gerusalemme, Il Santo Sepolcro, disegno cm 21 x 16, XVIII secolo, Codice Greco 396 (252). Accademia delle Scienze di Bucarest. Il Santo Sepolcro fu inizit~lo sotto Costfllllino, dopo il concilio di Nicea (325): era formato da diversi fllllbienti, cortl11; portico ti. Nel disegno è mppresentflfa lilla sezione ideale con richiami a elementi camtteristici come le lampade. Erti "un'opera stmortlinaria di immensa altezza e di S0/11/JJa lungbezza e larghezza" (Eusebio).

fig. 14. Gerusalemn1e, disegno cm14 x 9,5 , 1634, Codice Greco 346, Biblioteca di Stato della Baviera, Monaco. I vari motlllmenti sono rappresentati isolati e fuori scala: al centro domlilfl il Santo Sepolcro.

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48 PARTE Pl<lMA l L'IN\1/iNZIONE: DELL'AMBIENTE D/l'IN O

/igg. I5a, 15b. Ravenna, San \litale. Nell'arco trionfide al di sopra del presbiterio, Gerusalemme e Betlemme si presentano come due 1111/raglie massicce, decomte di gemme; i vani delle porte sono dei vuoti in cui pendono le tre lampade. l n alto le mura sono merlate e all'intemo prevalgono dei colonnati classici.

CAPITOLO 2 l DALL'IMP/iRATOR/i A DIO: ROMA, GERUSALf,\IM/i, BE:.TL/iMME 49

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50 PARTE PRIMA L'INI'ENZfONE DELL'AMBIENTE DIVINO

tro, rialzati in modo da interrompere l'oro del muro di fondo; Maria (con un manto giallo) e Giovanni sono dalla stessa parte, a destra di Cristo, mentre a si­nistra c'è solo Prassede; poi sei apostoli e santi che rivelano la straordinaria li­bertà e capacità dei mosaicisti del IX secolo. Infatti Cristo è sull'asse della chie­sa, ma ha otto persone allineate da una parte e sette dall'altra. Il grande recinto dorato di Gerusalemme non è quindi centrato, ma sporge a sinistra di chi guar­da l'abside più che a destra (e nel prato al di sotto ci sono sette fiori, mentre dal­l'altra parte ce ne sono nove). L'asimmetria sembra volutamente esaltata dalla presenza - dentro e fuori le mura - di persone, nuvole, prato e fiori differenti per numero e raggruppamento. Una analoga unica città è nell'abside della chiesa dedicata a Pudenziana. ll mo­saico, eseguito alla fine del IV secolo, è stato pesantemente rimaneggiato. Molti secoli dopo nelle absidi di Santa Maria in Trastevere [figg. 9a, 9b] e di San Cle­mente [figg. 11a, 11b] la raffigurazione delle due città è più astratta e fantasiosa. A San Clemente le città sono sull'angolo formato dall'arco trionfale e dal catino absidale: le porte sul fronte dell'arco sono sprangate e le pecore escono da quelle aperte sul tamburo.

La raffigurazione delle due città sante era naturalmente diffusa anche in orien­te, dove anzi la conoscenza diretta di Gerusalemme, di Betlemme e delle anti­che Galilea e Giudea permetteva di indicare con icone e lo con scritte località, santuari, edifici, con riferimenti non certo esatti topograficamente, ma meno glo­bali e simbolici dei contemporanei riferimenti occidentali. A Madaba (Giordania), nel VI secolo viene eseguito un grandioso mosaico pa­vimentale raffigurante tutta la Palestina [fig. 12]. Al centro, Gerusalemme non è vista dall'esterno delle mura, come in occidente: è rappresentata in una pa­noramica dall'alto che individua come elementi caratterizzanti la città nel se­colo di Giustiniano: una strada rettilinea centrale porticata da nord a sud (l'an­tico cardo), una seconda strada porticata, due porte principali, una piazza, e al­cune chiese, tra cui il Santo Sepolcro raffigurato al centro della strada princi­pale con la facciata verso questa. Il Santo Sepolcro fu uno dei soggetti princi­pali di tutte le raffigurazioni di Gerusalemme per secoli [fig. 13]. Una veduta di Gerusalemme, analoga a quella di Madaba, disegnata nel1634, raffigura in­vece il Santo Sepolcro dal davanti con scene del Golgota, della Deposizione, del Bambino [fig. 14] 5 .

Il grande mosaico pavimentale della chiesa di Santo Stefano a Umm al-Rasas (Giordania, VI secolo, vedi p. 92, fig. 1) ha come cornice esterna una serie di città: è rappresentato in genere un edificio caratteristico anche se in maniera mol­to sintetizzata, con intorno elementi delle mura, delle torri, dei tetti che almeno parzialmente mostrano l'interno e non si limitano a presentarci la città come qual­cosa da cui stare fuori. Rappresentazioni di altre città sono più rare, ma ci offrono degli esempi di co­me questo soggetto poteva suggerire nuovi tipi di ambienti. A Ravenna le due città ai lati del presbiterio di San Vitale, eseguite durante il periodo Goto, ri-

CAPITOLO 2 DALL'IMPERATORE A DIO: ROMA, GERUSALEMME, BETLEMME 51

propongono il modello di città chiusa dentro mura massicce con numerose tor­ri; anche qui gli edifici al di sopra delle mura hanno l'aspetto di templi classici e non esce nessun gregge [figg. 15a, 15b]. Sempre a Ravenna nella chiesa di Sant'Apollinare in Classe (vedi p. 58, fig. 7) nessun edificio emerge sopra le mura delle due città; l'ultima pecora del gregge sta uscendo dalla porta per avviarsi lungo un ondulato prato al di sotto del cie­lo nuvoloso, ma distinto da quello più scuro e tempestoso della soprastante sce­na absidale. Nella chiesa di Sant'Apollinare Nuovo, la famosa processione delle Vergini rea­lizzata durante il regno di Teodorico (496-526), comincia con un riferimento rea­le e non con una allusione simbolica (vedi p. 60, figg. 9, 9a): in continuazione sono raffigurati il porto di Classe (rappresentato da due torri, dal mare, da tre navi), e la città di Ravenna vista da fuori le mura con i principali edifici che spor­gono al disopra: dalla porta non esce un gregge di pecore, ma il corteo delle Ver­gini che raggiunge all'altra estremità della navata i Magi e la Madonna con il Bambino. La città e il corteo delle Vergini sono sul lato sinistro della navata; su quello destro il corteo dei Martiri esce dal Palazzo di Teodorico e raggiunge al­l'altra estremità Cristo in trono (vedi p. 61, figg. 10, lOa).

Note

1 Ravenna patrimonio dell'umanità, A.B.A.C.O. edizioni, Forlì 1997; Roma Archeologica- Le chie­se paleocristiane di Roma, EdR editore, n. XVI-XVII, 2003; Santa Maria Maggiore, edizioni Eu­roedit s.r.l, Trento s.d. 2 E. Gibbon, The History o/Decline and Fa!! o/ tbe Roma n Empire, Londra 1776; Storia della de-cadenza e caduta dell'Impero romano, tra d. i t., Einaudi ed., Torino 1967. 3 Nel 1600 un terremoto danneggia la chiesa di Santi Cosma e Damiano; papa Urbano VIII per rinforzarla vi costruisce attorno un giro di cappelle e la divide in due con un piano a metà altez­za; la chiesa inferiore porta via alla precedente circa ml 8 ed è alla quota d<:ll'He~oon: ~o.i quindi vediamo i mosaici come da un ponteggio di ml 8. Purtroppo in quell'occasiOne tmosatct furono manomessi e restaurati in alcune figure. 4 La Basilica di Santa Prassede, Monaci Benedettini Vallombrosani, Roma 1998. Come noto le due sorelle Pudenziana e Prassede non sono sante, anche se come tali sono indicate nelle rispettive chiese romane 5 or AGHIOI TOPOI (I luoghi santi, XVII-XVIII secolo), catalogo Museo Bizantino Atene (solo edizione in greco).

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Capitolo 3

Barbari e bizantinz> da Ravenna a Costantinopoli

Il periodo che segue all'impero di Costantino (t 337) è tradizionalmente consi­derato come una serie di 'secoli bui' da cui, se qualche avvenimento o qualche personaggio emerge, è per presentarsi come eccezione, e sottolineare così che il resto del mondo era travolto nella barbarie. È strano che questo giudizio negativo non si estenda dalla Storia (con la S maiu­scola) alla storia dell'arte: questa al contrario per tutto il millennio tra Santa Maria Maggiore (IV secolo) e gli Scrovegni (XIV secolo) elenca migliaia di capolavori. Non solo: è ormai tempo di abbandonare lo stereotipo per cui i romani (e i greci) erano 'bravi', circondati, invasi e saccheggiati da tanti 'cattivi' . Anche i romani ave­vano invaso e saccheggiato (almeno dall'Egitto alla Mesopotamia), e le nuove for­me di religione erano più perseguitate dai romani che dagli altri popoli. Cadute certe frontiere, ritirati certi eserciti, possiamo anzi parlare di un perio­do storico in cui si continua a lottare e ad uccidere, ma in cui proprio gli spo­stamenti di genti e di culture e di religioni finiscono per creare nuovi valori, nuo­vi p roblemi, nuove civiltà. Come sarà -dopo il Rinascimento- quando gli eu­ropei andranno a colonizzare terre abitate forse da popoli più civili di loro e quando (ai nostri giorni) è da queste terre che vengono quelle genti che non chia­miamo più 'barbari' o 'indigeni', ma più poveramente 'extra-comunitari'. Comunque, allora "sembrò raggiunto nel grande cielo dell'arte quell'accordo tra' barbari e romam; tra governo d'Italia e governo di Bisanzio, tra Oriente e Occi­dente, che nel terreno della politica non ebbe se non brevi momenti di vita" 1•

Due città in posizioni geografiche differenti, politicamente in contrasto o in mo­menti alterni soggette l 'una all'altra, con popolazioni diverse che credono in cor­renti reciprocamente sconfessate del cristianesimo, sono tra quelle che testimo­niano della ricerca di koinè culturale e sociale, protratta per tanti secoli dopo la crisi dell'antico impero: Ravenna e Costantinopoli, esempi singolari di città co­smopolite. Troviamo nella prima romani, bizantini, goti, longobardi; nella se­conda greci, bizantini, crociati, ottomani. È lecito considerare Ravenna come luogo di incontri tra un modo di rappresen­tazione bizantina (derivato cioè dalla corte imperiale), un modo che possiamo definire ' romano' (anche se riferito non più solo all'antichità classica, ma sem­pre più ad una cultura cristiana), un modo che gli storici cominciano ad essere incerti se chiamare 'goto' o 'ariano' (avendo capito che non ha senso chiamarlo 'barbaro'). Il mausoleo di Galla Placidia (oratorio della chiesa di Santa Croce) r}igg. 1, 2] è

CAPITOLO 3 l BA/WARI E l!/ZAN'flN/; DA RAVENNA A COSTAN'f/NOPOU

fig. 1. RmJenna, iVIrwsoleo di Galla Placidia (prima metà V secolo). Lunetta coli mosaico m/figurante il Buon Pastore. Il cielo è realisticamente azzurro, sempre più scuro ma110 a 1111mo cbe ci si allo11tana, 1111cbe perfar risaltare l'aureola di GestÌ e il raccordo con ia volta (cbe ùr altro modo rappresenta ancom il cielo). Ugualmente realistico il colore del prato e le pecore: la vegetazio11e ne accompagna spesso la sagoma in modo da far corrispondere e/feti i cromatici alla scelta delle piaute e delle rocce. In primo piano il prato si trasforma in Ull termzzo roccioso coli profo11de spaccature cbe sembra prosegua/lo oltre la com ice.

fig. 2. Raven11a, Mausoleo di Galla Placidia, braccio laterale. i\tlosaico con cervi. I due cerVI; simmetrici, JJ/a non uguab; escono da imponmti girali (vedi parte II, ca p 1) cbe fomtai!O indubbiamente col fondo blu swro la sce1111 percepita da cbi guarda: ilmosaicista sapeva che la lu11etta è in controluce, malgrado la cbiusura in alabastro della /i11estra, completata dallo specchio d'acqua (il Giorda11o?) cbe nella sua stilizzazione 11011 co11trasta però col! d realismo delle altre parti.

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forse il più famoso esempio di incontro e di coesistenza di ques~~ varie c.u~ture nella religione e nell'arte, oltre che nella movimentata vita familtate, tehgwsa, politica dell'imperatrice. . li mosaico del Buon Pastore è una desctizione minuziosa di una scena di pascolo con erba e cespugli e il realismo comprende anche il cielo azzurro: lo. sfo~do della divinità è la terra con le rocce e i cespugli. I cieli sono sempre azzurn e diVentano blu scuro quando sono il fondo delle scene decorate a gir~, con cervi che si ab­beverano ad acque assai stilizzate e circondate da una vegetazwne ora puntualmente descritta, ora geometrizzata in girali (vedi anche parte II, cap 1). I Goti fanno di Ravenna la loro capitale nell'ultimo quarto del V secolo; sono

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RAVENNA

Impero Romano (I-il secolo d.C.) È il porto della flotta romana (Classe) . Con­tatti con il Mediterraneo orientale: il suo com­mercio, i suoi culti.

Impero d'Occidente 402 - 476 Nel 402 Onorio (Imperatore d'Occidente, 395-423) trasferisce la capitale dell'Impero d'Occidente da Milano a Ravenna Nel V secolo vengono costruiti l seguenti edifici di culto romano: - Battistero Neoniano o degli Ortodossi, ini

zio V secolo; - San Giovanni Evangelista, 426-434; - Santa Croce e Oratorio di San Lorenzo

(Mausoleo di Galla Placidia) , prima metà V secolo;

- Santi Apostoli (poi San Francesco) , metà V secolo

Periodo Goto (476-540) Nel 493 Teodorico trasferisce a Ravenna la capitale del Regno Goto Alla fine del V e nel VI secolo vengono co struiti i seguenti edifici di culto adano: - Sant'Agata maggiore, fine V secolo; - Chiesa di Gesù Cristo (poi Sant'Apolli n a

re nuovo), 493-496; -Battistero degli Ariani, metà VI secolo - Anastasis, cattedrale ariana (poi chiesa del

lo Spirito Santo) , inizio VI secolo; - Mausoleo di Teodorico, dopo il520; - San Vitale, dal 526; - Sant'Apollinare in Classe, 533-549, cristiana

Periodo Bizantino (540-751) Sede dell 'Esarcato In questi due secoli vengono realizzate le se­guenti opere: - Mosaici con Giustiniano e Teodora, absi

de di San Vitale, 547-548; - Mosaici a Sant'Apollinare nuovo, 556-560

Longobardi (751-754)

Franchi (755-756)

Dal 757 Dominio della Chiesa di Roma; dal 1509 fa parte dello Stato della Chiesa

PARTE PRIMA l L'INVENZIONE DELL'AAJBIENTE DII'INO

GALLA PLACIDIA

Galla Placidia (nata intorno al390, morta il 27 novembre 450 a Roma), sepolta nel Mau­soleo imperiale presso San Pietro in Vatica­no; la sua salma sarebbe stata poi trasferita nell'Oratorio di San Lorenzo presso la chie­sa della Santa Croce a Ravenna (V secolo) che porta appunto il suo nome. Il suo cor­po sarebbe stato sepolto seduto su una se­dia di cipresso e sarebbe rimasto così per se­coli. Secondo altre fonti invece le spoglie di Galla Placidia non sarebbero mai tornate a Ravenna. (Louis-Sébastian Le Nain de Tillemont, Hi­stoire cles Empereurs; Edward Gibbon, The History o/Declin and Fall of the Roman Em­pire, u·ad. it. Giulio Einaudi, Torino 1967; John Julius Norwick, A Short H istory o/ Byzantium, trad. it. Arnoldo Mondadori, Milano 2000). Galla Placidia era: - figlia di Galla e di Teodosio I il Grande (Im­

peratore d'Oriente, 395-408) e sorellastra di Onorio (Imperatore d'Occidente, 395-423) e di Arcadio (Imperatore d'Oriente, 395-408)

- moglie del Re Goto Ataulfo (cognato di Alarico) , morto nel 415

- moglie di Costanzo III e a lui associata co­me Imperatrice (42 1)

- madre di Onoria e Valentiniano (poi Va­lentiniano III, Imperatore 425-455)

- Imperatrice reggente per il figlio minoren-ne (421-425)

Nella sua vita si alternarono Rave1ma, Co­stantinopoli, Roma; un primo marito discen­dente di Costantino, un secondo Goto; nata nella fede cdstiana-ortodossa. divenne cristia­na-ariana e poi cristiana-romana; "Augusta" una prima volta come vedova di imperatore e una seconda come madre di un figlio mino­renne futuro imperatore; "suocera" di Attila­na seconda come madre di un figlio minorenne futuro imperatore; "suocera" di Attila

CA PITOLO J l BARBARI E BIZANTINI; D1l RAI'ENNA A COSTA NTINOPOLI

fig. 3. Ravenna, San "',~afe. Abside. Mosaico mffigumnte !Impera/ore Ginstiuitnro e la SI{(/ corte con Ii vescovo Massimùmo, eseguito vivente l'imperatore nel 547-548. Sotto un portico-cornice, i personaggi s01:o 111

piedi m nn prato verde, davanft a 1111 fondo oro (consideralo appunto come il colore 'imperiale', sti11bolo del potere e della riccbez:ut). Tutti i_ , personaggi 'guardano m maccbma.

fig. 4. Ravenna, Sa11 \fi~ale. Abside. Mosaico m!figurante l'unpemtrtce Teodom e !ti sua corte, 547-548. A differenza di Giustiniano raffigumto su fondo neutro e conia scena completamente riempita dai personaggi del corteo, Teodora è rappresentata in 1111 preciso ambiente arcbitetlonico. I! imperatrice è davanti a 1111 catino absidale verde, di mi sembra quasi determinare fa geometria coli la gigauteJ·ca aureola (proporzionallllente pùì grande di quella di Gùtstiuiano: eutmmbi emno viventi e 11011 sal'tl/1110 mai santificati; t'aureola è sovrapposta alta corona). A destm due sacerdoti ricevono dalt'impemlrice lilla coppa (Giustùtiano la offre a sinistra a Massimiauo) e apro11o la tenda cbe cbiude 11/ltl porta- probabilmente delltl chiesa, precedllla da una /onte di acqua beuedetla - ; dietro c'è un nero assoluto. A sinistra di Teodoro le dame della corte avanwuo sotto 1111a tenda colorata. A di/ferenw del mosaico di Giustiuia11o, qui solo Teodora, il sacerdote a destra, due dame a sinistra 'guardano Ùi

macchina'; gli altri 'seguo11o l'azione' e l'ultima ancella guarda 'fuori campo'. Sull'orlo al fondo del11muto di Teodom sono rimmati i re Magi; il primo è in parte nascosto dalla piega del vestito.

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cristiani ariani, ma non si preoccupano troppo di convertire gli altri. C_ostrui­scono il loro battistero la loro cattedrale, il mausoleo di Teodorico (dopo il 520), la chiesa di Gesù Cris~o (493 -496, che sarà poi riconsacrata come Sant'Apolli­nare nuovo), San Vitale (dal 526) e Sant'Apollinare in Classe (iniziata dai Goti Ariani nel533 , finita dai Bizantini nel549). San Vitale era stato iniziato dal vescovo Ecdesio (522-532) "con la teofania dell'ab­side, composta durante il suo pontificato (infatti vi è ritratto senza aureola, dò _cbe la­scia supporre fosse ancora in vita). Fu continuata nella cella, forse ad opera dt botte­ghe {miste', da Ursicino (fino al5 settembre 536), e terminato dalle stesse maestran-

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56 l'ARTE PRJ,\ft! l L'INVENZIONE DELCAAIIJIENTE DII'JNO

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CAPITOLO J l Bt!RBilRI E BIZ:lNT/Nl; DII RAVENNA Il COSTANTINOPOLI 57

fig. 6. Ravenna, San Vitale. Presbiterio. Scene bibliche. Da destra: 11 Snm/icio di Abramo /erma/o dalla mano di Dio che si affaccia in alto tra le nuvole bianche, rosse, blu; I Ire angeli; Offerta e ospitnliià di Abramo. Aliamo ai personaggi l'ambiente pastorale è ricmmente desmito: tmn pecom sul prato guardt1 il sacrificio, dietro cui sono stilizzate delle rocce e accanto 1111 filbero segue In curvatura dell'arco; al centro 1111 grande albero; a sùu'stra l'ti1gresso di una casa-capanna con tetto di paglia e injii1e un altro albero a chiudere la composizione. I personaggi sono tutti della stessa dimensione, m eu tre gli altri elementi riempiono gli spazi restanti, /i tori scala con le peHone e tra di loro, !Ila in modo da descliuere esamientemente l'ambiente patriarcale di questo ep1'sodio biblico.

Alla pagù1a precedente: fig. 5. Ravenna, San Vitale. Presbiterio e abside. La ricca arcbitettura della chiesa, con il doppio porticato al piano iu/eriore e al matroneo e con la /orma planimetrica 11011 afferrabile da 11111111ico fJ/111/0 di vista, è la protagonista principale; i mosaiCI; cbe non sono con t in m; non ne moclificano né le proporziom; né In luce_

ze, che attuarono il primitivo disegno, sotto Vittore (4 aprile 538- 15 febbraio 545). Dopo la cacciata dei Goti e la conquista bizantina di Ravenna, il vescovo Massimia­no, longa manus dell'imperatore Giustiniano consacrò la e/n'esa (quasi certamente il 17 maggio 548: certo non prima dell'aprile 547); e in quell'occasione fece comporre da maestri di corte, chiamati senza dubbio da Costantinopoli, i due famosissimi mo­saici, intesi a porre il sigillo, anche ufficiale (secondo un'antica tradizione mmana) ap­punto a quell'avvenimento"2. Siamo interamente nel periodo goto: solo i due ritratti di Giustiniano e Teodora saranno eseguiti dopo e costituiranno il 'sigillo' sovraim­presso da un'altra politica (e un altro burocrate: Massimiano, che a scanso di equi­voci ha scritto ben chiaro il suo nome) [figg. 3, 4]. Collocati uno di fronte all'altro sui due lati dell'abside, lo sfondo della loro im­magine terrestre non può essere che l'oro imperiale. Ma Giustiniano e Teodora, oltre a presentarsi come imperatori grazie alla corona, ci tengono a indicare anche il loro potere ecclesiastico: hanno l'aureola, anche se non erano santi essendo an­cora vivi: né mai saranno santificati post mortem. È disegnata con una linea rossa oro-su-oro, e si distingue quindi da quella che nel mosaico absidale ha il giova­nissin10 Cristo, attraversata dalla croce. Anche l'oro dietro a Gesù, disegnato nel­l'abside vent'anni prima di quello dietro Giustiniano e Teodora, è diverso da quel­lo 'imperiale': è solcato da nuvole in prospettiva, di colore rosso, blu e bianco (gli

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58 PARTE PRIM1l l /.'INVENZIONE DELL'AMBIENTE DIVINO

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CA PITOLO 3 l BARllARI E BIZANTINI; DA RAVENNA A COSTANTINOPOLI

Alla pagina precedeute:

figg. 7, la. Ravemlfl, Sant'Apolliuare in Classe. Mosaico dell'abside, 535-549. Al ceulro il veJcovo Sant'Apollinare è raffigurato in un ambiente terres/re w fondo verde. In basso le dodici pecore Jradizionali (gli apostoli, i fedeli) calpestano gruppi di piccoli/i01i rosa e tra !'tlllfl e l'altra ci sono più graudi ciuffi di fiori hiancbi. Dielro, 1111111erosi e svariati tt!beri (pareccbi recano segni di capitozzature): intervallati da rocce con fiori e cespugli: si ricouoscono delle felci. Gli alberi più lontani sporgono co11 la cbioma nel cielo bruno­rossiccio con nuvole biancbe aliamo a due angeli. Ma il cielo veramente riconoscibile come tale è quello al centro, al di sopra del vescovo: azzurro col/ le stelle e al centro la croce gemmata. La ricchissima scena del catino è incomiciata sull'arco da due palme e in alto da un'altra scbiem di pecore che escono da Betlemme e Gemsalemme e salgono si/un terre/lo brullo verso Cristo, al ceutro di Ul/ cielo con nuvole rOJse e biancbe.

fig . Ba. RavenNa, Sant'Apollinare Nuovo. La cbiamala di Pietro e Andrea. Protagonisti di questa scma evangelica sono la barca e l'acqua de/lago di Tiberiade, pitì cbe GestÌ e l'Apostolo cbe l'accompagNa: questi sono sta/l'ci e il gesto di Gesù è del t/Ilio tradizionale. Invece il remo e la rete e i gesti dei due m !la barca costituiscono 1111 nferÙ/Iel/to preciso a un lavoro reale.

fig. 8b. Ravenna, Sani'Apollinare Nuovo. La parabola del fariseo. I due personaggi sol/O davanli alla faccia/a di 1111 palazzo co11 qua/Ira wlo1111e e l impano; la fenda rialzata e annodata è /requeule nei mosaici d'inf/uem:a bizanlù1a.

fig. 8c. Ravenna, Sant'Apol!i11are Nuovo. La guarigione del pamlilico. Da mw parte Gesù e l'accompagnatore sono ripresi in1111 gesto tradizionale di benedizione (come nella precedenle /ig 8a); dall'altm invece il/ello del paralitico, le corde con mi viene calato, il movimento dei due uomù11; il disegno del tetto rappresentano u11a scena accuratamente descrilfa. Si noti come l'architettura e sopratlllflo il paesaggio dietro Gestì siano 'disegnati' dall'andamento delle tessere.

fig. 8d. Ravenna, Sant'Apollinare Nuovo. Le pie donne al sepolcro. Il sepolcro è insolita/l/ente ra/figumto da untempietto rotondo, deutro cui 1111a porta 111ostra la lapide del sepolcro rimossa.

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60 PARTE PRIMA l L'IN\IENZIONE DELL'AMBIENTE D/l'l NO

/igg. 9, 9a. Ravenna, Sant'Apollinare Nuovo. Lnto sinistro della navata. Teana della vergù1i tm il p01to di Classe, la città di Ravenna e la i\lfadonna Ùl trono (556-560).

stessi colori si ripetono sulle cornici intorno e nelle scene bibliche late­rali), ed è dunque la raf­figurazione del cielo: il cielo come l'ambiente del dio al di sopra degli uo­mini e se l'imperatore vo­leva mostrarsi davanti a uno sfondo tutto rivesti­to d'oro (come a Santa Sofia) qui è tutto il cielo divino e umano a mostrare con altri mezzi la stessa potenza [fig. 5] 3.

Il fondo delle absidi e la concezione degli edifici cristiani come esaltazione de­gli sponsor imperiali o religiosi non è un fatto figurativo o iconografico, ma mol­to di più: ha un significato a Roma, un significato a Bisanzio, un significato quan­do qualcuno (come i Goti) si sostituisce a entrambi; e può anche darsi che del­l' oro necessario per non essere da meno, si cerchi una giustificazione simbolica (come a Santa Prassede a Roma, vedi parte I, cap. 2) Se l'oro è solo una neutra indicazione dietro agli imperatori, altrettanto il verde ai loro piedi è un colore indifferenziato. Invece il verde sotto al globo di Cris to e ai piedi degli angeli e santi nell'abside non è un semplice colore: i verdi sono tanti, da essi spuntano numerose erbe e fiori esattamente descritti che scendono tra gli ar­chi delle finestre, ai lati dei quattro fiumi biblici, tra evidenziate crepe del terreno. L'ambiente di Cristo (o della Madonna) è il cielo considerato come elemento so­vrastante la terra: anche se tra le nuvole ritroviamo l'oro, non è più un simbolo (ol-

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9a l Oa

CAPTTOLO 3 l BARBART E BIZANTTNI; DA RAVENNA A COSTANTINOPOLI 61

figg. 10, IOa. Ravenna, Sant'Apollinare Nuovo. Lnto destro della navata. Teoria dei martù·i tra il palazzo di Teodorico e Gesù in trono (556-560).

tretutto di terrene ric­chezze e valori non pro­priamente cristiani) . Se nella stessa chiesa di San Vitale osserviamo sulle pareti laterali le scene bi­bliche (Ospitalità e sacri­ficio di Abramo, Il rove­to ardente, Mosè sul Si­nai .. . ) vediamo che le nu­

vole rosse, blu e bianche (da cui esce la mano del dio) sono su un cielo grigio del­la stessa tonalità dei prati verdi davanti a cui recitano i vari personaggi; senza solu­zione di continuità, né distacco, senza nessuna linea di orizzonte che separi l'am­biente terreno da quello celeste rjig. 6] . A San Vitale (salvo i due mosaici imperiali) il colore più diffuso è il verde (un verde incredibilmente chiaro e luminoso, 'classico'). Abbiamo visto che c'è del verde nei mosaici lungo le pareti del presbiterio, nelle lunette, nel mosaico ab­sidale con Cristo al centro; verde è lo sfondo di due dei quattro riquadri della volta (e gli altri due non sono d'oro splendente) , e il verde è presente anche nel­la parete di fondo del presbiterio e ovunque in questi mosaici si arrampicano grandi girali molto regolari , partendo da vasi colorati e popolati da infiniti ani­mali (vedi parte II, cap.l) . Anche a Sant'Apollinare in Classe (iniziata dai Goti nel533 e consacrata nel549 dall'Esarcato Bizantino) prati verdeggianti e nuvole sono Io sfondo dello stiliz­zato arredo della scena absidale di pascolo [/igg. 7, l a]; nemmeno nei pannelli

.,

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Il

62 PARTE PRIMA l L'JNI' ENZJONE DELL'AMBmNTE DI \fiNO

fig. 11. Palermo, Cappella Palatil1a (1130-1143): La Natività. Cà'Cfl duecentocÙI(Jilallta anni prima del/a costmzione e decomzione dei monasteri ortodossi ili oriente, a Palermo, nel periodo il'lamico-nonnanno (vedi parte I cap.4) l'influenza bizantina è ancom evidente: come a Bisanzio e in Bucovil/(/ la Madonna è sdraiata al centro, davanti a/la grolla; a/la s11a destm la mangiatoia col Bambino e dietro il bue e l'asino; al di sopra la ste!!a con d raggio, in un cercbio colomto di vari azzurri che mppresenta il cielo divino, interrompendo il fondo d'oro (a Sucevitsa è il cielo stellato nottumo): Stm Giuseppe pensoso è a sinistm, come a Sucevit.m, mentre alla Kan)•e è al ce11tro; ti Palermo al ce litro ci sono le due levatrici (di solito apparimenti solo a/la tmdizio11e ortodossa). [Magi (assellti Ile/la Natività alla Kariye) arrivano a cava/lo da sinistra e /a11110 gli stessi gesti (verso la stella); ma poi a Sucevitsa proseguo/lo subito a piedi verso la grotta, mellire a Palermo agglÌ'ano la III0/1/aglla e arrivano alla grolla dalla parte opposta: due Magi sono sulla parete de!!tl Natività, ma il terzo è m/la parete perpendicolare; su questa del rcJ/o gim anche la molltagna e sta lino i pastori cbe ricevono l'amumcio dall'angelo cbe è illvece nel/a parete centm/e. I mo.mici ricoprono sempre tuili i muri seguendo la loro disposizione arcbitettonica: questa è per secoli 1111a tmdizione costante in tutti i paesi in tomo a!Mediten'flneo.

fig. 12. S11ccvitsa (Romania- Bucovilla), cbiesa della Remrreziolle (1583-1586), piltura dei/mte//i]oa/1 eSo/rollie di Paugamdi (terminata 11el 1596). La Natività. La scena è ricçbissùna. A sinistra Giuseppe col/versa con un anziano pastore; le sue pecore bevono a d11e abbeveratoi ri/omiti da sorgenti cbe escono dal/a /1/0lltagua; l'acqua fuoriesce dai troppo-pielli cbe /onnano due rigagnoli a cui bevono altre pecore. Al centro Maria sdmiata, il Bambino /Iella mangiatoia su cui si affacciano il bue e l'asino; siamo ili una grolta aperta nella montagna. Sopm a questa -l/e/l'arco - il cerchio divillo è mppreselllato come il sole o co/Jle una stel!a: un raggio scende dire//ammte m GeslÌ. In tomo alla /!IO/l lagna gli angeli: il gmppo a sinistra canta, quello a destra si ÙJgùwccbia verso il Bambino e dà l'amumcio ai pastori. È notte e il cielo è pieno di stelle. A destra due levatrici prepamno il bagno al neonato. Il sùus/ra i Magi danno vita a scene successive. Arrivano a cavallo, poi a pietli si avviano con i doni.

fig. 13. Sucevitsa (Romania- Bucovina), cbiesa della Resurrezione (1583-1586), pittura dei /ratei/i joan e Sofronie di Pangaradi (termÌ/l(lto nel 1596).1/ Battesimo. Ancbe questa scena è ricca di epùodi, sempre sotto all'ùwnogù1e del sole-stella-dio co11 il raggio che scende su GesiÌ, percorso dalla colomba. Cnsto è s11 Ima pietra in mezzo al Gionla11o, ricco di pesci; 11el fiume c'è 1111 vecc/)l'o (il Giordano) e 1111a don/la vestito di rosso, con in mano il modello di u11a nave, (/'imnltlgille della chie.m/utura?), mpm due grossi pesci. Sul/e sponde da una parte Giovanni, da/l'al/m quattro angeli. La scena 11o11 finisce con questa immagù1e centrale. A d est m, Giovanni battezza dei discepoli: è come se fosse ripetuta piiÌ in piccolo la scena centrale. A sinistra, in 1111 bosco appena accem/(/to, Ges1ì e tre discepoli ascoltano la predica di Giova1111i.

CtiP!TOLO J l BARIJARI E BIZANTINI; DA RAI'ENNtl A COSTANTINOPOLI 63

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64 PARTE PRf.lltl l L'/t\I'ENZIO.'IE DELL'IlMB/ENTE DII'INO

fig. 14. lstanbul , Kariye Cnmii (1312), origùwriamente Cbiem del Salvatore Ùi Cbom (A4meo di Cbora). Nartece estemo. La Natività ba al centro, iuuna grolla sulla SOI/IIllità di 1111/l/OIIfe, /11 mangiatoia con il bue e l'asùJO e al di sopra il mggio cbe scende dal cielo. Dietro a/monte gli auge/i: 11110 va a dare l'anmmcio ai pastori cbe /omtano mila destm utw diversa sce11a!ÌJ secondo piano. Davanti ù1 primo piallo Giuseppe (sempre scalzo); le levatrici cbe lavano il Bambino sono sutm altro spero/le di terreno, cbe /orti/n il p rosee n io a tutto il mcconto della Natività.

fig. 15. Tstmtbu/ , Kan)•e Ca11Jii (1312), origi11ariame11te Cbiesa del Salvatore in Cbom (AI/useo di Cbom). Nartece estemo. La Sacm Famiglia ritoma a Nawretb dall'Egitto. Come è consuetudiue ancbe in altri mosaici, la sce11a comincia a si11irtm cou Giuseppe cbe dorme e llll tntgelo cbe in sogno gli dà le istmzioui. Al centro Gùtseppe (çempre a piedi nudi) col Bambino IÌI sptdla, Al/aria e ti/la ter1.fl persona viaggiano a piedi, timndosi dietro l'asù10 cotJ il bagaglio. A destm la città è rappresentata solo da wse cotJ!elli rossi e bruni e qua!cbe albero. A di/fereuza di tante rappresentazioni in oriente e in occidente nei secoli precede11ti, dentro la àttà nou ci sono edifici religiosi. Il mosaico si conclude a sùlistm con tm albero euergicamente potato e a d es/m con una cappella e 1111 giardino cinto da 111/tra (cimitero ?), subito fuori dalle mura di Naw retb.

laterali patriarchi e imperatori hanno il fondo d'oro, ma blu scuro (su cui le fi­gure chiare in primo piano risaltano più facilmente; mentre sul fondo oro tradi­zionale per far risaltare le figure accorrevano i colori scuri). Sant'Apollinare Nuovo (dentro la città) è p receduta dalla chiesa extra-urbana di Classe di circa quaranta anni: e furono gli Ariani a iniziarla e portarla a compi­mento, decorandone le pareti con ven tisei episodi dedicati alla vita di Gesù: a si­nistra dalle Nozze di Cana alla Guarigione del paralitico, a destra dall'Ultima Ce­na all 'Apparizione agli Apostoli. Mancano alcuni episodi invece caratteristici nel­la chiesa cattolica come la Natività, il Battesimo nonché la Crocefissione, poco amata, come abbiamo visto, nei primi secoli del cristianesimo quando prevale il

CAPITOLO J l BAR/JtiRJ /; IJ/Z!lNTINI; DII RIII'ENNA il C.OSTANTINOPOU

fig. 16. Istanbu/, Knn)•e Camii (1312), originariamente Cbiesa del Salvatore in Cbom (Museo tli Cborn). Ntlrtece intemo. Giuseppe si congeda da A11aria (ancbc questa scet/(/ è mra) a!l'estemo di 111111 àttà 1udl'arcbitetturn complenw ùt alto la tenda rossa arrotolata è tesa tm il teti o e latermzza di due diverse costmzioni. Forse queste geometrie stilizztite avevano dei n/erimenti pùì realistici di quanto noi possiamo ricostmire: si veda qui la tenda con gli anelli, sollevata e /erlllnta, nella /in est m sulla destm. L'11/bero in pnino piano è ancbe qui ripetutamente scapitozzato.

fig. 17. lstanbu/, Kariye Camii (1312), originariamente Cbiesa del Salvatore Ùl Cbora (AI/useo di Cbom). Nartece in temo. I.:llmumciazione 11 Sant'Anna è situata ancb'eSia al/'estemo, fuori delle 1111/l'fl. La citltì è alle spalle di Anna e in alto su una torre ìi ripiegata la tenda rossa, pùì volte rappresentata ù1 questi mosaici. il giardino ìi insolitamente ricco per la Kariye, dove di solito ci si limita a 1111 albero: qui ci sono vari alberi frondosi con in alto uccelli e nidi di uccelli: In basso mm serie di vascbe a vari livelli, secondo 111111/ode//o frequente nei giardini islamici.

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Cristo taumaturgico e trionfante 4 . I fondi sono d'oro, ma l'aureola crociata di Cristo è d 'argento: forse non solo per stacca d a cromaticamente, ma anche per differenziare Gesù dagli imperatori. Il fondo d'oro è interrotto poche volte: la più decisa è quella della Chiamata di P ietro e Andrea con i due pescatori su una bar­ca in un mare verde, viola, azzurro, grigio, bianco. [ji'g. 8a]. Architetture compaiono nella Resurrezione di Lazzaro, nella Parabola del fariseo e del pubblicano, nella Negazione di Pietro, nel Pentimento di Giuda, nelle Pie don­ne al sepolcro (che è un tempietto rotondo a colonne), nei Discepoli verso Emmaus (dove la città si vede lontana su un monte con le consuete mura) ff igg. 8b, 8c, 8d]. Questi mosaici goto-ariani sono quasi a confronto con quelli fatti dai bizantini-

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66 P;!RTE PRIMA l L'INI'ENZJONE DELL'AMBIENTE DIVINO

cristiani negli anni 556-560,. rìconvertendo la chiesa: le famose teorie delle Ver­gini a sinistra (tra la città di Ravenna con il porto il Classe e la Madonna in tro­no col Bambino, ji'gg. 9, 9a) e dei Martiri a destra (tra il palazzo di Teodorico e Gesù in trono, figg . 10, lOa). Sono passati circa quaranta' anni; ai Goti si sono sostituiti i Bizantini; a quale scuola appartenessero i mosaicisti delle due sede non sappiamo e anche un confronto tra i soggetti non ci permette che ipotesi in assenza di più ampie conoscenze sulla cultura dei Goti rispetto a quella dei Bi­zantini (o degli Ariani rispetto ai Cattolici e Ortodossi). Resta quindi una ipote­si che i ventisei riquadri goti appartengano a tradizioni popolari e i cortei bi­zantini siano espressione dei poteri imperiale e/o papale.

Non è solo a Ravenna che Giustiniano e Teodora imposero con i loro ritratti il dominio e la cultura dell'ormai autonomo ed assoluto Impero Romano d'Oriente: per secoli l'ambiente delle raffigurazioni bizantine domina da Venezia e dalla Si­cilia fino in Mesopotamia e in Russia. Un soggetto attira soprattutto per secoli tanti mosaicisti che vi trovano una ric­chezza di scene e di ambienti altrimenti rara: la Natività. Ad incoraggiare chi af­fronta questo tema è anche la libertà che i testi evangelici lasciano al riguardo (come vedremo anche per l'episodio successivo della vita di Cristo: la visita dei Magi, vedi parte III) . I Vangeli di Marco e di Giovanni iniziano dal battesimo di Gesù e non trattano della sua nascita. Matteo dice che è nato a Betlemme (2,11). Ma in Luca due an­ni dopo i Magi lo trovano ancora nella mangiatoia e quindi tutto il testo appare contraddittorio. Più precisi sono alcuni dei Vangeli apocrifi 5 •

In quello Della Natività della Beata Maria e dell'Infanzia del Salvatore (Pseudo­Matteo), la nascita avviene in una grotta in cui non era mai penetrata la luce e il Bambino viene messo in una mangiatoia; il terzo giorno viene portato in una stal­la dove c'è il bue; i Magi dopo due anni lo trovano in una casa (XIII, 2 - XIV­XVI, 1-2). Nell'Evangelo arabo dell'Infanzia Gesù nasce in una grotta e qui è cir­conciso nell'ottavo giorno (II, V). il Corano riprende un episodio più volte pre­sente nella letteratura copta, che si riferiva a paesi di deserto e di nomadi dove non ci sono né stalle né grotte e Maria partorisce sotto una palma (Sura XIX, 24). È la grotta il luogo della natività in tutta l'area che vedrà per secoli svilupparsi la koiné bizantino-mediterranea, dalla Sicilia fino alle pendici orientali dei Carpazi. A occidente la ritroviamo nella Cappella Palatina di Palermo (1130-1143,/ig. 11) dove la tradizione bizantina continuava tra arabi e normanni (vedi parte I, cap 4). La Madonna è sdraiata su un manto all'ingresso della grotta che occupa quasi in­teramente una montagna; accarezza il bambino deposto su una mangiatoia davan­ti al bue e all'asino, con il raggio della stella che ha guidato i Magi e che parte al centro del cielo, notoriamente simbolo di dio; i Magi cavalcano a sinistra, ma poi arrivano da destra occupando anche la parete accanto su cui prosegue tutta la sce­na. San Giuseppe è da un lato e le due levatrici che lavano il bambino dall'altro. In molti monasteri ortodossi dei Balcani e della Russia mosaici e affreschi riem-

CA PIT0/.0 3 l BARBA/O E BIZANTINI; Dii R!II'ENNA Il COSJiiNTJNOPOLI

fig. 18a. Roma, Santa lviaria in p mtevere. Abside. Pietro Cavalh111, /me XII secolo, Natività. GestÌ nasce in 11/lll grotta, come in tutta l'area d'ùt/ luenza bizantina.

fig. 18b. Roma, Sant~ Maria in Tr~stevere. Abside. La presentaztone al Tempto. Le / orme geometriche delle arcbitettlfl~ sono per secoli sempre astratte; q111 Cavall1111 propone forse un limite.

fig. 18c. Roma, Santa 1\tfaria in Trastevere. Abside. I.; adorazione dei Magi. Nella montagna a sinistra Cavallini ba inserito alami n/erimenti realistici: la strada in salita, l'albero, il villaggio in cima.

piano mura e volte all 'interno e all'esterno delle chiesé. Spes­so le scene all'esterno o nei nar­teci erano le più significative: le chiese erano piccole e nei gior­ni di festa le funzioni religiose si svolgevano all'esterno ed era da qui che i fedeli dovevano ve­dere i racconti figurati, le im­magini dei profeti, degli arcan­geli, dei santi, le narrazioni del­l' Antico Testamento, delle sto­rie di Maria e di Gesù. Alla fine del XVI secolo i pitto­ri fratelli Ioan e Sofronie di Pan­garati affrescano la chiesa della resurrezione nel monastero di Sucevitsa in Bucovina. L'am­biente ripete ancora alcune sti­lizzazioni di repertorio, per esempio nelle montagne in fon­do, ma altrimenti descrive con ricchezza e precisione avveni­menti e modi della campagna circostante. Nella Natività [fig. 12] ritro­viamo l'iconografia della Cap­pella Palatina- terminata quat­tro secoli e mezzo prima - e della Kariye (eseguita tre seco­li prima): angeli osannanti ver-

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fig. 19. Assisi, San Francesco, Chiesa mperiore. 'JV/aes/ro della Cal!ura', Natività. La nasci/a di GPsiÌ avviene iu una grolla.

so il cielo scuro e stellato, un pastore tra pecore e capre, due levatrici lavano il bambino, G iuseppe chiacchiera con un pastore, i Magi arrivano a cavallo e poi a piedi si recano alla grotta: è qui infatti che c'è il Bambino nella man­giatoia con davanti la Madonna sdraia­ta su un manto rosso. Alcuni elementi sono precisi, come gli abbeveratoi da cui bevono le pecore in primo piano con i canali di adduzione in cui l'acqua entra da una sorgente nel dirupo re­

PARTE PRIMA l L'INVENZIONI;' DELL'AMBIENTE D/l' IN O

trostante e esce da un troppo-pieno disperdendosi nel terreno; un terzo gruppo di pecore si abbevera appunto nel rivolo d'acqua formato dallo scarico. Nello stesso monastero di Sucevitsa anche la scena del battesimo richiama Bi­sanzio [fig. 13]. Il cerchio che simboleggia il padre è affrescato nell'arco della chiesa e da esso parte il raggio che arriva su Gesù immerso nel fiume, La scena rappresenta come sempre una storia nei suoi vari episodi. Le figure sono di differente grandezza e quindi risultano come in prospettiva nella vastità della scena che è sottolineata anche dal colore del terreno: ocra-ver­de davanti, rosso nelle montagne in fondo, nero nel cielo notturno con le stelle. La grotta è il luogo della nascita di Gesù in tanti paesi e per lungo tempo (fino ad Assisi e agli Scrovegni). Non stupisce quindi che essa sia presente alla fine del XIII-inizio XIV secolo quando i maestri 'm usivaril' stanno eseguendo a Costantinopoli i mosaici della Kariye (terminati nel1312) 7 r.Jigg. 14, 15, 16, 17]. Alla Kariye la chiesa è preceduta da due narteci: in quello esterno ci sono la sto­ria di Gesù (senza la Passione e con molti miracoli) , in quello interno le storie di Maria (da Gioacchino alla Dormizione). La vita di Maria, l'infanzia e i miracoli di Gesù, sono raccontati anche in base a fonti non usuali in occidente, desunte da successive trascrizioni dei vangeli ca­nonici ed apocrifi (derivate principalmente dal Protoevangelo di Giacomo) che ci offrono scene quasi uniche. Una caratteristica dominante è la successione dei vari episodi. Essi non sono qua­si mai separati in 'quadri' , ma costituiscono una sequenza: in modo diverso dai contemporanei racconti della cupola del Battistero a Firenze, dove ogni riquadro rappresenta un momento e la loro successione costituisce il racconto: l'azione den­tro un singolo riquadro introduce la sequenza, che a sua volta completa il signifi­cato della singola scena. Alla Kariye non c'è divisione e- seguendo la tradizione bizantina, ma non solo, da Santa Sofia a San Marco - i vari campi murari sono in­teramente mosaicati senza divisioni interne, salvo quelle architettoniche.

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CAPITOLO 3 l BARB!I I{I E BIZANTINI; DII IVII'ENNII Il COSTIINTINOPOLI

fig. 20. Assis~ San Fmucesco, Chiesa inferiore. Tmmel/o nord.

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Gioito o Giolfesc!Ji; Natività. Lo nascita di GesiÌ avviene iuww capfllma-stalla.

fig. 21. AssiJ-1; San Fmncesco, Cbiesa inferiore. Transetto nord. Giotto o Giollescbi, Adorazione dei Magi. Accanto alla capa una-stalla, Gesù è in ww casa.

"È probabilmente dai mosaici del ciclo di San Marco a Vene­zia cbe i mosaicisti della Kariye banno tratto l'impulso alla nuo­va accentuazione paesaggistica e pittoresca, all'inconsueta am­bientazione 'naturalistica' dei personaggi, al vivace movimen­to delle figure, alla diffusa into­nazione narrativa ecc. Come a Venezia, elemento fon­damentale della rappresenta­zione è divenuto l'ambiente: non solo il grande sviluppo del paesaggio e delle architetture, ma anche la stessa continuità delle scene, affiancate l'una al­l'altra senza inquadrature pre­cise, come in un fregio ininter­rotto formante una vasta uni­tà, accentuano la piccolezza e la subordinazione delle figure, il loro rapporto quasi modemo con l'insieme ... Per la prima volta nell'arte bizantina le fi­

gure sembrano liberarsi dal giogo occulto d'tm ordine predisposto e vivono per sé: e i vol­ti, gli occhi, le mam: i moti, paiono acquistar senso non nel rapporto con un significato sùn­bolico o liturgico, ma nella diretta relazione con la propria forma singolare, con la propria vita ed azione individuali. Persino i panneggi, svincolati dalla subordinazione ai c01pi cbe t't'coprono, tendono a svolgersi liberi, banno guizzi di vita propria ... Si è detto cbe i mosaici delta Kariye, per aver abbandonata la posizione ieratica della pre­cedente arte bizantina, ed essere discesi dal piano ascetico al piano etico, sono già Rinasci­mento (Renaissance avant la renaissance): del quale anticiperebbero la curiosità naturali­stica, ambientale ed umana. 1\tfa anzitutto questa loro elementare curiosità, non è, eviden­temente, una precedenza rinascùnentale, ma solo una conseguenza di influssi gotici. Una sottile aurea gotica, un'incantata attrazione di romanzo e di epopea pervadono nel Trecen­to la cultura bizantina in tutti i suoi strati ... In realtà i mosaici della Kariye, !ungi dall'essere antibizantin~ sono il più alto vertice at­tinto dall'espressione bizantina: la quale ba in essi conservato l'identità tra simbolo e co-

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70 PARTE PRIMA l L'/NI'ENZIONE DELL'AMBIENTE DIVINO

~trttzione, portando la <trascendentalità' dell'impero d'Oriente alla sua /orma più piena ed mtensa" 8 [Sergio Bettini].

Mo~te sc~ne d~i narteci della Kariye rappresentano in modo non consueto av­vemmentl assa1 raramente raffigurati. Nelle seq~en.ze 'cinematografiche' della Kariye c'era forse la conoscenza di rap­p.resentazlO?i ~ sacre o profane - occidentali od orientali: ciò spiegherebbe la ncchezza di azwne dei personaggi e per contrasto farebbe risaltare Maria sem­pre rigida nel manto blu, [figg. 14, 15, 16, 17], quasi veramente una do~na di quei paesi del. med~o oriente, in mezzo ad altri - uomini e donne - che potreb­bero essere di ogm tempo e paese. Certo non c'è il proposito di presentare il compless~ materiale sce.nico - città, case, arredi, colori ... - come fosse la rap­presentazwne delle architetture che in quel momento costituivano effettivam"ente l'.ambiente di Costantinopoli in cui il mosaicista e i fedeli a lui contemporanei si nconoscevano. que~e f?rme geo~etriche sono necessarie per creare l'ambiente dei personag­gi, ~i cui non costituiscono il contorno, a cui non sono complementari; al con­trana sono proprio esse a sottolineare il protagonista e la sua azione a indicare dov'è il centro -o i centri- dei vari episodi. '

La grotta è l'ambiente della Natività per lungo tempo anche a Roma: Pietro Ca­vall~n~ a .san t~. Maria in .Trastever~ (fine ~III) riprende tutti i temi, le figure. le posiZlOOl delliconografia che abb1amo visto a Palermo e in tutta l'area bizanti­na, [fz~. 18a]. Ai l~ti della Natività gli altri mosaici di Cavallini ripropongono an­eh e~si personaggi, forme geometriche delle architetture, paesi arroccati e qual­che lsolato albero confrontabili immediatamente con i mosaici di cui abbiamo scritto precedentemente [figg. 18b, 18c] 9,

~d Assisi circa negli stessi anni, nella chiesa superiore di San Francesco, tro­viamo ancora un~ ~atività con il Bambino, il bue e l'asino dentro la grotta; la ~~donna da,vantl di~tesa .su un m~nto; San Giuseppe, pecore e pastori, ange­h m torno. L autore e un 1gnoto plttore della scuola romana o giottesca a cui recentemente si è dato il nome di "Maestro della cattura", dall'affresco ap­punto sulla Cattura di Gesù in cui si è riconosciuta la sua opera più caratteri­stica [fig. 19] 10•

Ma nella stessa basilica di San Francesco nel transetto nord della chiesa infe­riore vengono affrescati episodi dell'infanzia di Gesù: l'autore sarebbe Giotto o la sua bottega o qualche alunno a lui vicinissimo [fig. 20]. A noi interessa che la Natività non è più in una grotta, ma sotto una esile tettoia-stalla con una grande mangiatoia, il bue e l'asino; la Madonna è davanti su un materasso con il Bambino in braccio; davanti le due levatrici che hanno lavato Gesù· ai lati G:iuseppe, pastor~ e pecore, gli angeli; in cielo la stella ha un raggio eh~ non è duetto sul Bambmo; su questo scende un fascio di luce direttamente dal cie­lo. La stalla però è appoggiata su una roccia ed incassata sullo sfondo di una montagna, come se il pittore non avesse voluto abbandonare del tutto il seco­lare richiamo ad una grotta.

CAPITOLO J l BARBARI E BIZANTINI; DA RAVENNA A COSTANTINOPOLI 71

Nella successiva scena della Visita dei Magi, dentro la tettoia-stalla hanno tro­vato ricovero i cammelli e il cammelliere; la Madonna e il Bambino (non più in fasce) sono nel portico al pianterreno di una casa vicina [fig. 21]. Si direb­be che il pittore (o il francescano-re~ista che lo ha guidato) conoscesse il Van­gelo apocrifo dello Pseudo-Matteo. E certo che con questi affreschi cambia l'i­conografia della grotta e i due episodi della Natività e dell'Adorazione dei Ma­gi si svolgono in scene almeno parzialmente differenti: Cavallini aveva già an­ticipato la geometria fantasiosa dell'architettura, abbandonando l'ambiente ru­rale. Giotto ad Assisi, e pochi anni dopo, agli Scrovegni, confermerà questa sostanziale trasformazione.

Note

l E. Lavagnino, I: arte Medievale, Torino, U.T.E.T., 1945 p. 82 2 S. Bettini, I mosaici di San Vitale a Ravenna, Fabbri & Skira, Milano-Ginevra 1965. n vescovo Ecclesio era stato a Costantinopoli nel 525 con il papa Giovanni I, morto a Ravenna poco dopo lo sbarco: tutta la chiesa fu costruita e decorata dopo quella circostanza. La ricchezza ed il valore di San Vitale sono proprio nel fatto che per venti anni muratori, artisti, committenti non appartenevano a un gruppo definito ed unico, ma erano aperti a varie scuole e culture. 3 Siamo quindi alquanto lontani da quanto scriveva una guida di Santa Sofia del IX-X secolo: "Quando (Giustiniano) ebbe portato a termine i bei rivestimenti di marmo (di Santa Sofia) ricoprì d'oro i giunti dei rivestimenti, i capitelli delle colonne, le scritture e le comici del secondo e terzo piano. Li ricoprì tutti di oro puro, di uno spessore di due dita. Le volte delle tribune, delle navate la­terali, delnaos e dei quattro narteci furono ricoperti di uno splendidissimo mosaico d'oro", in La Ci­viltà Bizantina- Oggetti e messaggio, a cura di A. Guillou, Roma 1993. 4 Probabilmente Sant'Apollinare Nuovo fu eretta nel 493-496, appena insediatosi Teodorico e ri­consacrata al culto cattolico intorno al560. Secondo alcuni storici la costruzione fu un po' più tar­da: 520-530, cioè negli ultimi anni di vita di Teodorico (t 526). Cfr. G. Bovini, La vita di Cristo nei mosaici di Sant'Apollinare Nuovo di Ravenna, ed. Dante, Ravenna 1959 con ampia bibliografia. ~ Vangeli apocrifi- Natività e infanzia, Ugo Guanda editore, Parma 1986. 6 A. Vasiliu, I.:Architettura dipinta, Ed. Humanitas Bucarest, Ed. it. Jaka Book, :Milano 1998; M.I. Pa­scu, Bucovina ... I.:archipel monastique, Tipo Dee 1995; Il monastero di Sucevitsa, Tipo Dee 2002 7 n monastero e la chiesa di San Salvatore in Chora furono costruiti nel IV secolo, all'esterno del­le prime mura di Costantinopoli (Chora significa appunto "fuori le mura"); incorporati nel 413 dentro le nuove mura di Teodosio, furono più volte distrutti da terremoti e guerre nel VI, VIII, XII secolo e infine la chiesa fu ricostruita durante l'impero di Andronico II Paleologo (1282-1328). È questo l'edificio che esiste oggi: infatti, diventata moschea nel1511, restò intatta con i mosaici so­lo imbiancati- e perciò protetti - ed è oggi il Museo Kariye. I. Aksit, Le Musèe de Chora - Mosaiques et fresques, Istanbul, Aksit Kultur Turizm Sanat Ajans Ltd. Sti.,1995, foto Tahsin Aydogmus. 8 S. Bettini, La pittura bizantina- I mosaici, parte II, N.E.M.I, Firenze 1939; I. Aksit, op. cit., nota 6. 9 Su Pietro Cavallini (Roma, attivo dal1291 circa, morto nel1321) e .la scuola romana in quel pe­riodo la bibliografia è vastissima e il problema dei rapporti reciproci con Giotto è oggetto di ipo­tesi interessanti, ma laterali rispetto al nostro argomento. Si veda anche parte IV cap. l. 10 Tra le tante opere su Assisi si veda: E. Lunghi, La Basilica di San Francesco di Assisi, Scala, Fi­renze 1996; vedi anche parte IV, cap. l.

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CapiLolo -1

Islam, Normann~ santi e ponte/ici: da Palermo altAnno Santo 1300

Ravenna non è l'unico caso importante di koinè nella vasta area mediterranea: nei secoli V e VI è stata una città goto-bizantina, ariana-cattolica. Circa tre secoli do­po (IX-XII secolo) Palermo sarà una città arabo-normanna, islamico-cristiana. Dall'anno 83 1 è la capitale della Sicilia: un'isola che gli storici chiamano 'tri­lingue' perché vi si parla il latino, il greco, l'arabo e queste tre lingue compaiono insieme negli atti ufficiali, nei documenti, sulle monete anche durante il perio­do Normanno, dal1072 (due secoli e mezzo dopo l'arrivo dei Musulmani, ara­bi e berberi). Anche prima la Sicilia è sempre stata multietnica 1; dopo qualche feroce battaglia iniziale, Siculi e Cartaginesi, Greci e Romani, Bizantini e Van­dali, Musulmani e Normanni trovarono non solo il modo di far convivere le lo­ro culture, le loro storie e addirittura le loro religioni, ma di creare al centro del Mediterraneo una società più avanzata di molte altre 2• Occorrono sempre due parole per indicare un'epoca storica siciliana: dal IX al XIII secolo possia­mo parlare di periodo islamico-normanno, in quanto i primi continuarono ad essere tra le classi dirigenti durante tutto il periodo normanno e questi inne­starono sul robusto tronco arabo-berbero la loro egemonia 3.

La città e i suoi monumenti dovevano in gran parte essere già esistenti o inizia­ti anche se destinati ad altri usi, nel periodo esclusivamente islamico. Il rappor­to tra i Normanni e i precedenti abitanti delle terre da loro conquistate fu ben diverso nelle regioni francesi e inglesi, dove i Normanni non trovarono certo una civiltà a cui sovrapporsi analoga a quella che trovarono nelle terre mediterranee. Le grandi opere realizzate dai Normanni a Palermo sono posteriori di oltre mez­zo secolo alla conquista della città (1072) e cominciano con l'incoronazione di Ruggero II d'Altavilla (1130; ma l'incoronazione concluse un precedente perio­do in cui come Conte di Sicilia - dal 1113 - e soprattutto come membro della più potente dinastia normanna, Ruggero pose le condizioni per una piattaforma arabo-bizantina su cui appoggiare il dominio normanno). Gli arabi avevano come obiettivo la creazione a Palermo di un nuovo ambiente che potesse essere quello della loro nuova capitale e che quindi la trasformasse o riuti­lizzasse interamente. Nel punto più alto, la piccola città cartaginese-romana-bizan­tina viene trasformata in un quartiere fortificato: al-Qasr (da cui Cassero, nome at­tuale di questa parte di Palermo). Al suo centro viene ripresa da tracciati preceden­ti e unificata una arteria rettilinea lunga circa 1200 metri che collega la città al por­to ed è occupata dal mercato, secondo un diffuso modello delle città arabe ffig. l a]. Il Qasr era fiancheggiato da due torrenti: Kemonia a sud che discendeva dalle

CAPITOLO 4 l JSLAM, NORMANNI, SANTI E PONTEFICI: DA PALERMO tiLL'ANNO SANTO 1300 73

fig. la. Palermo. Pianta della città, Marchese di \lillab~anc_a (Francesco Jv!aria ~manuele e Ga~tani), rilievo. di Nicola Anita, incisione di Giuseppe Caro/alo, 1777 (nedtta 1783). La pranta e ortentata con t/nord a de~tla. È la carta che mostra meglio di ogni altra la suddivisione della città islamico-normanna e le opere suc~esswe fin~ alla fine del X\1111 secolo (via Maqueda, riempimento dei bor~hi, nuove mura efo:fl ecc.). Al centro tl Cassero e delimitato da/letto dei due torrenti Kemonia (sud) e Paptreto (nord). Il proscmgamento del pnmo ha.portat~ alla costruzione del quartiere dell'Albergheria. All' estemo: la Kalsa, affacciata sul1~10re a sud della Ca!~; t borghr (quartiere musulmano, quartiere ebreo e Quartiere Nuovo) a sud; quarttere d et Berben a nord. Al/ esterno delle mura il territorio è diviso in tante piccole proprietà coltivate.

colline di Monreale e Papireto a nord che discendeva dal monte Cuccio. Il Qasr doveva presentarsi come una roccaforte innalzata tra queste due valli, che con­fluivano al mare nell'area del porto (Cala), più grande dell'attuale. Queste due valli caratterizzano l'ambizioso obiettivo della città araba. ~e~e e~s~­re tutta "luogo di pia~er: es_te~ico _e _dei sensi ... b~sato sulla pr~sen~a _d~t, gtardz~;4, ricchi di acqua. Una cttta dz gzardtm a sua volta ctrcondata da gzardtm p tu grandt . · I giardini che letteralmente coprirono il territorio palermitano erano: la Favara, ~ Genoardo ('Paradiso della terra' con la Cuba, la Cuba soprana, la Cubula), la Zl­sa, i giardini-chiostri del Palazzo Reale, di San Giovanni d~ ~e?br~si, ,di San, Gio­vanni degli Eremiti, della Mag_ione ecc. Nel ~~ndo. ~rabo il g1ardm_o ??~ ~ un? spazio eccezionalmente vuoto m mezzo alla cltta edif1cata; al contr~no. e il . f?lardi­no' che occupa la maggior parte del territorio e gli edifici sono degli ep1sod1 m una

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74 PARTE PT<IMA l L'INVENZIONE DELL'AMBIENTE DTI'INO

fig. lb. Palermo. Pianta della cùtà, G. Bra1111 & E Hogeuberg, Civita/es orbis terrarum, Colonia 1572-1618. Questa pianta è stata rilevata e pubblicata nel/581, prima dell'ùu'zio dei lavori per l'apertura della Fio Nuova, decisa negli ultimi tllmi del '500 dal viceré Bemardino Cmdines duca di Maqueda (da cui il nome af!a via). Offre 111/tl immagùte della ciltà islamico­nomtal/na (e primo bizantina, romana, greca, fenicio .. .), come si era venuta completando e riempiendo a pm1ire dai primi m mi del XJF secolo. Molto più ta1di (inizi XIX secolo) via Maquedtl diventenì l'im'zio dell'asse md-nord su cui si/armerà la Palermo modema.

figg. le, Jd. Palermo. La zona centrale della ci/là: con/rollio tm la pianta del Vi!labianm del 1783 (fig. la) e la foto aerea zenitale alluale, 2005. Sono segnali in: -amncione: i tracciati del Cassero (zona centrale della cillà islamico-nonuaJma) -giallo, i tmcciati dei borghi (Rabad, ampliamenti della ciltà is/amico-nom?alll/0) -verde, l'edificazione mi lelliproscùJgali del Kemonia e del Papireto. Sono njJOrfati i tracciati ancom oggi esistenti e riconoscibili: l'edilizia è a11nbiata, ma i limiti ca/asta/i ù1 molte zone sono ancora validi o riconoscibili. l n particolare è tmcora presente in vari isolati la trama di vie a ml-de-sac e patii­cortile, tipici delle cùtà ii/amiche e che creavano anche 11 Palermo un clima fresco d'estate, riparato d'invemo e socialmente basato mi vicinati.

più vasta sistemazione del territorio dominata dall'acqua e dal verde: canali con zampilli, vasche con cascatelle, fiori, aranci, animali 5.

La realizzazione dell"ambiente Palermo' durante i due secoli e mezzo musulmani e il primo mezzo secolo normanno è soprattutto basata sulla costruzione di un quar­tiere direzionale fortificato accanto al porto (Kalsa) e di una serie di quartieri di abi­tazione costruiti secondo il modello edilizio arabo (case unifamiliari a solo pian­terreno intorno a un cortile protetto da un muro, raggruppate attorno a vicoli si­nuosi e quindi freschi). Questi quartieri costituivano due gruppi [fig. lb]: l. n Borgo a sud-est del Cassero, tra questo e la Kalsa, al di là del fossato del torrente Kemonia, forse in parte già coperto; comprendeva il Quartiere della mo­schea di Ibn-Siqlab diviso in una zona musulmana (al-Harat-Abu-Himaz) e una zona ebrea (al-Harat-al-Yahud) e il Quartiere Nuovo (al-Harat-al-gadibah). 2. n quartiere degli Schiavoni (abitato soprattutto dai Berberi) dalla parte op­posta, oltre il Papireto (al-Harat-as-Saqalibah, Seralcadio); il più popoloso. Nel periodo Normanno fu interrato il Kemonia e costruito il quartiere dell'Al­bergheria con al centro un rettifilo ispirato al parallelo rettifilo arabo che colle­gava da circa due secoli il Cassero con il porto; il nome originario era in arabo, al-Hagerin [figg. l e, ld] .

CAPITOLO 4 ! ISLIW, NORMANNI, SANTI E PONTEFICI: DA PALERMO ALL'ANNO SANTO 1300 75

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76 PARTE PRIMA l L'IN \'ENZIONE DELL'tl.ltll iENTE Dli' INO

fig. 2. Palermo, Palazzo dei Normamu; pianta alluale del piano terreno. Il palazzo è formato dall'insieme di mura/ure di tanti secoli, trasformate e riutilizzate secondo le /zmzio11i che nei secoli sono state svolte in questo edificio, situato nel punto pitì alto della ci/Iii. La Cappella Patatina è /orma t a dall'unione di due parti: la navata e il presb1ierio co11 le tre absidi preceduti dal nartece, an cb' esso di origù1e araba (sabn).

fi~. 2a .. Palerm~, Coppella P a/atina. Contro/acciaia. La contro/accia/a è divisa in due parti: nella superiore il Pantokrator dttrada.wne bizantlila su fondo oro, nella inferiore 1111 disegno geometrico formato con lastre marmoree, probabilmente antenore a/1130 e appartenente ad 1111 ùnportante salone in w1 edificio islamico.

CAPITOLO 4 l ISL!lM, NORMANNI, SANTI E PONTEFICI: DA PALERMO ALL'ANNO SANTO 13UO 77

A Palermo gli arabi non fecero un edificio o un palazzo: fecero la città; allora la più grande del mondo dopo Costantinopoli, la più piacevole tra giardini e fon­tane; l'ambiente era per i musulmani la città tutta. Palermo fu uno dei capola­vori dell'urbanistica islamica: cominciata con le tende nelle oasi, affrontava il confronto e la sfida con l'ambiente urbano europeo. I Normanni convissero con la città costruita dagli arabi e affidarono anzi a que­sti i lavori di restauro, recupero, manutenzione, arredamento (nel significato at­tuale di questi termini edilizi) necessari per usare la città musulmana. Profonde invece le trasformazioni nell'organizzazione economica e sociale: la Sicilia araba era basata sulla piccola proprietà e sulla diffusione urbana (furono creati in tut­ta l'isola 328 nuovi comuni) , i Normanni importarono dall'Europa occidentale la grande proprietà feudale che permise a Svevi, Aragonesi, Spagnoli di trasfor-

fig. 2b. Palermo, Cappella Paltlfina. Abside. Ancbe l'abside è dominato dal Pantokrator (le figure al di sotto sono un ri/acùllento molto posteriore). Questa parte della Cappella poteva essere precedenteme11te 11//(/ sala per udienze (diwan-i-kbas).

2b

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78 PARTE PRIMA L'IN\1ENZIONE DELL'AMBIENTE Dl\IINO

mare completamente l'isola e far quindi scomparire quell'ambiente che gli ara­bi erano stati capaci di difendere dall'accentramento bizantino e che i Norman­ni avevano ereditato. È alla fine del loro dominio che per intrighi dinastici e al­leanze con papi o antipapi, la Palermo plurietnica verrà rifiutata 6•

Il primo grande edificio che realizzarono fu il Palazzo Reale (oggi Palazzo dei Normanni) nel luogo in cui gli arabi avevano costruito nel IX secolo al-Qasr: era il punto più alto della città ed è probabile che i Normanni lo abbiano subito uti­lizzato come loro castello, rinviando al momento in cui il loro dominio si fosse consolidato la sua trasformazione. Nel complesso del Palazzo rientra la Cappel­la Palatina (1130-1143) [fig. 2]: forse l'esempio più eccezionale e famoso della koinè mediterranea 7 . Un intreccio di continuità e ritorni che è stato comune al­la storia di una ben più vasta area mediterranea. Ci sono iscrizioni in latino (L'Im­pero d'Occidente era scomparso da circa otto secoli, mosaici della navata cen­trale, 1154-1166); iscrizioni in greco (XII secolo, quattro secoli dopo l'arrivo de­gli arabi, 831); iscrizioni ku/iche e nashi (grafie arabe-persiane; i Normanni era­no già padroni da più di mezzo secolo). I mosaici appartengono a numerose scuole bizantine; il soffitto a muqarnas (sta­lattiti lignee tipiche dell'architettura fatimita) è dell143; è l'ultimo intervento nella Cappella del Palazzo dei Re Normanni ed è forse l'espressione più esclu­siva e radicale lasciata dagli arabi. L'abside potrebbe essere un iwan e la con­trofacciata un salsabil (vedi oltre a proposito della Zisa): su entrambi domina un gigantesco Pantokrator bizantino [figg. 2a, 2b]. Ernest Renan (1823-1892) così scriveva sulla "Revue de deux mondes" nel 1857 a proposito della Cap­pella Palatina:

"In Oriente i cristiani non hanno mai osato costruire una cappella sul disegno di una moschea, con una volta decorata di guglie pendenti in forma di stalattiti e amata d'iscrizioni cu/iche ... Meraviglia di grazia e di eleganza ... è una piccola moschea di Omar"

Scompaiono tra il XIII e il XX secolo i grandi giardini a sud e a ovest della vecchia città (Genoardo, Maredolce ecc.) sostituiti dall'espansione urbana, mentre altri ven­gono realizzati a nord (la Favorita) nelle tenute dei Borboni. Scompaiono anche gli infiniti patii dell'edilizia privata nella città arabo-normanna dove tutte le case era­no 'case terranee' con 'viridario' e cortile a 'pozzo e pila' 8. Gli spazi vuoti furono edificati e le case a solo pianterreno ricostruite a più piani. r.; ambiente della città arabo-normanna scompariva, ma- come in quasi tutto il mondo- era difficile far scomparire i confini catastali delle proprietà private senza grossi interventi (che a Palermo avvennero all'esterno, costruendo appunto su orti e giardini extra-urbani, soprattutto verso nord dove si estende la città moderna). li minuto tessuto viario è rimasto in gran parte nei quartieri oltre il Kemonia e il Papireto: da esso è impossi­bile ricostruire l'ambiente della città arabo-normanna, ma qualcosa l" archeologia' estesa a quel periodo ci suggerisce. Sono rimasti gli edifici che all'interno dei giardini ne completavano l'insieme: padiglioni, chioschi, casini di riposo o di caccia ecc. La loro architettura viveva col verde e con l'acqua intorno ed è perciò oggi altra cosa. Ma l'unità degli spa~

CAPITOLO 4 TSLAM, NORMANNT, SANTI E PONTEFICT: DA PALERMO ALL'ANNO SANTO 1300

fig. 3a. Palermo, La Zisa. Pianta del piano terreno. All'estemo verso est, la vasca-piscina cm1 il padiglione, accessibile dal giardino. Al centro dell'edificio è la Sala della fontana; allomo le gallerie voltate per l'aerazione.

fig. Jb. Palermo, La Zisa. La Sala del~ fontana. La decorazione marmorea delle parett e analoga a quella della conti'Ofacciata della Cappella P a/atina (fig. 2a). La parete della fontana è 1111 salsabil isla11zico da cui esce l'acqua che a/Ira versa la sala, secondo 1111 disegno diffuso in tutto il mondo islamico (vedi figg. 4a, 4b).

zi aperti e di quelli chiusi, sia nell'uso che nell'impostazione progettuale, nei paesi arabi era fondamentale: oggi possiamo ritrovare all'interno di que­sti superstiti edifici l'ambiente che era allora di tutta la città. Tra i monumenti prima elencati, anche più del Palazzo dei Normanni, sono la Cuba, Kobbah o Qubba 9 e la Zisa, Aziz 10 le testimo-

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nianze più complete. La Cuba è costruita nel1180; la Zisa è di circa quindici anni precedente (1164-1168); la Cappella P al atina è del1130-1143, ancora circa trent'anni prima: tutti que­sti edifici sono illustrati da scritte in lingua e caratteri arabi. Un secolo dopo l'arri­vo dei Normanni, Guglielmo di Altavilla inaugurando la Zisa tiene il discorso d' oc­casione in arabo; e si riferisce addirittura al Corano parlando di 'Giardino-Paradi-

3a

3b

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fig. 4a. Una lezione di musica. Tempera, oro e inchiostro su carta (cm 21 x 12,3). India Mogbo/, fii te XVI secolo. Collezione del pni1cipe e del/n principessa Sndmddùt Jlgn Khnn, Gùtevra. &ppresentnzione di 1111 ùvn11 Ù/1111 padiglione delltro Wl giardino deli111itnto dn wtmuro: al di Iii tre ciprem;· ùt rdto Zlllfl

cupola per l'aerazione. ln prùno piano 1111

cmltlle attraversa un prato e si interrompe i11 1111 bacino dove nuotano due gemiti/li: Confi·ontn con il pavimento della Sala della fontana alla Zisa.

so', presentandosi come Mu­sta'izz ('Potente per grazia di dio', 'Bramoso di gloria') e invitando ad entrare nell'Aziz "il più bel possesso del più splendido tra i reami del mondo" 11 .

Architetti e muratori fatimiti avevano costruito questi edifici non solo con il rigore geometri­co di tutta la produzione araba, ma secondo la 'Sezione aurea': dimostrando di aver ereditato gli insegnamenti dell' architettu­ra classica greca 12•

La Zisa era la casa di campagna, di riposo, di divertimenti dei re normanni e della loro corte [fig. 3a]. Ai piani superiori c'erano sei appartamenti uguali e riservati; il

PAR"J E PRIMA l L'INI'ENZIONC DELL'AMBIENTE Dll'INO

pianterreno era dedicato alle riunioni, ai banchetti, alle feste, alle cerimonie pub­bliche. Al centro c'è una sala quadrata (ml 7,50 x 7 ,50) con sui lati tre grandi nic­chie (iwan, nelle sale per uso privato; diwan, nelle sale per pubbliche udienze ori­unioni): sul quarto lato c'è l'ingresso. I.}iwan centrale rjig. 3b] è occupato da una fontana: l'acqua esce da un sifone (alimentato dall'acqua piovana o da una cister­na) in mezzo a un muro ricoperto di lastre marmoree (salsabil) e coronato da tre medaglioni a mosaico. L'acqua scorre su un piano inclinato di marmo (cadaJ~ inci­so da scanalature (shadinuan) in modo da ossigenare l'acqua, rinfrescarla, farla gor­gogliare; l'acqua prosegue sul pavimento della sala in un canaletto interrotto da tre bacini quadrati; sotto passa l'atrio d'ingresso e alimenta la peschiera esterna anch'essa quadrata (ml 20 x 20) con un padiglione dalla parte opposta a cui si accedeva quin­di indipendentemente anche dai giardini che circondavano la Zisa. La grande va­sca era ad est dell'edificio: giardini e palazzi arabi erano sempre esattamente orien­tati e ciò faceva parte dell'esattissimo sistema di aerazione che era alla base di qual­siasi progetto e che aveva nell'aria dei cortili e soprattutto nell'acqua con zampilli

CAPITOLO 4 l /SLIL\1, NORMANNI, SANTI E PONTEFICI: DA PALERMO ALL'ANNO StiNTO IJOO 81

fig. 4b. Un Kitnbkbann: lnborntorio per la scrittura e la stampa dei manosc1·itti e delle miniature. Tempern, oro e inchiostro su carta (cm 20,8 x 10,6). India Mogbol, fine XVI secolo. Collezione del principe e de/In principe.ua Sadruddin Aga Khan, Ginevra. Ti laboratorio è in un ÙVllll simile a quello di p. 65, fig. 17: il enna/e cbe esce dall'iwan si incrocia con un altro cal/(de perpendicolare li1 1111 bacino quadrato. Ancbe qui ritroviamo il modello della lisa (vedi a11cbe p. 23, fig. 9).

e cascatelle, l'antenato naturale dei complicati sistemi con cui oggi cer­chiamo di modificare la situazione me­teorologica da noi stessi creata co­struendo case e città. li modello della Zisa è un tipo di pa­lazzo diffuso in tutti i paesi islamici da secoli: rappresentato in molte illustra­zioni, ancora nell'India Moghol dove era giunto dalla Persia [figg. 4a, 4b]. La Zisa è una tipica, completa ed esclusiva opera islamica nella tradi­zione fatimita: anche il nome dato al casino di riposo e divertimento dal re normanno Guglielmo di Altavilla resterà per sempre quello arabo (Zi­sa, trascrizione da Aziz), ricordo del 'giardino-paradiso' tante volte indi­cato nel Corano.

"Nella sala di ricevimento d'un gran Signore, si/a passare l'acqua, a volte anche la si/a at­traversare, costruendo canali e bacini ... Questo c'è sempre 11elle Sale d'Udienza, e attorno si piantano deiji01'i" 13

Il disegno delle vasche e dei canali nei giardini del mondo islamico che abbia­mo appena visto alla Zisa, lo ritroviamo affrescato due secoli e mezzo dopo a Costantinopoli alla Kariye C ami i (Annunciazione a Sant'Anna, vedi p. 65, f ig. 17). Siamo agli inizi del 1300: in quegl i anni Cavallini esegue i mosaici a Santa Maria in Trastevere a Roma (p. 67 , fig. 18tt); Giotto e i giotteschi e tanti 'mae­stri' rimasti finora anonimi affrescano la Basilica di San Francesco ad Assisi (par­te IV, cap. l , 2); schiere di mosaicisti terminano a Firenze la cupola del ~at.ti­stero di San Giovanni iniziata cinquanta anni prima, nel 1240. Sono anm nc­chissimi non solo nel campo delle arti, ma in tutta l'organizzazione culturale: il XIII secolo ha forse trasformato la società più di quanto siamo abituati a cre­dere. Agli inizi "un picciotto di nome Francesco ... avrebbe provato un senso di ri-

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82 PARTE PRIMA l L'IN\'ENZ/ONE DELt'AAIBIENTE Dl\ITNO

fiuto verso una vita di corte ·troppo peccaminosa, troppo dedita ai piaceri materia­li, all'accumulo della ricchezza e all'esibizione dello sfarzo ... " 14 .

Anche Roma cambia alla vigilia del1300: le corti delle grandi famiglie stanno sem­pre lottando ferocemente, ma il pontefice Bonifacio VIII (1294-1303 , della fami­glia Ca etani) con la bolla Unam sanctam tenta la mossa del cavallo: inventa l'Anno Santo e trasforma la Chiesa in una istituzione 'popolare', nel senso politico mo­derno di questa parola. Ma non è solo la Chiesa a doversi trasformare: per acco­gliere due milioni di pellegrini; è Roma che vede avviato un generale rinnovamen­to, e poste- anche se forse inconsciamente -le premesse per più grandi trasfor­mazioni successive. Nel1300 "sembrò che realtà, ideologia e retorica avessero trova­to un punto d'incontro" 15•

Delle opere che Cavallini, Torriti, Cimabue, Giotto realizzarono (o iniziarono) in quell'occasione a Roma poco è rimasto e in genere 'restaurato' o addirittura sosti­tuito da altre opere nei secoli successivi. Se vogliamo avere una idea di quale ambiente si presentasse ai fedeli che entrava­no negli edifici religiosi in quell300 dobbiamo andare a Assisi (vedi parte IV, cap. l , 2) o a Firenze, dove l'influenza di San Francesco nella realizzazione del Batti­stero fu minore che altrove. I mosaici della cupola del Battistero di San Giovanni a Firenze sono stati rea­lizzati in un lungo arco di tempo (all'incirca almeno dal 1240 al 131 O), su uno schema generale fissato all'inizio e rimasto immutato, anche perché in gran par­te dettato dalla preesistente forma architettonica a spicchi della copertura 16• Il Battistero è a pianta ottagonale: lo spicchio sovrapposto all 'abside con l'altare è dominato da una gigantesca immagine di Cristo e i due spicchi ai suoi lati dal Giudizio finale. Gli altri cinque spicchi sono divisi orizzontalmente in sei file successive: dall'alto troviamo intorno alla lanterna centrale un fregio decorativo e poi le gerarchie angeliche; quindi le storie della Genesi, le storie di Giuseppe ebreo, le storie di Cristo, le storie di San Giovanni Battista che costituiscono ap­punto il tema specifico del Battistero [fig. 5]. Un mosaico di queste dimensioni non era mai stato tentato a Firenze (diagonale dell'ottagono della cupola ml25,60), né sarà poi ripetuto. Negli oltre settanta anni in cui viene eseguito, l'arte a Firenze è in pieno sviluppo: negli ultimi due decenni Giotto raggiw1ge la piena maturità. Ma il mosaico non ri­entrava nella tradizione degli artisti toscani, più esperti negli affreschi e nelle pale. I mosaicisti del Battistero sono probabilmente di scuola veneziana o bizantina, con qualche conoscenza romana; ma furono talmente tanti e appartenenti ad almeno tre generazioni che è forse più prudente pensare ad una scuola-cantiere autonoma ed assegnare collegialmente alle centinaia di 'maestri musivarii' che vi lavorarono il titolo di 'Maestri del Battistero'- seguendo la tradizione che battezza come 'mae­stro' questo o quello sconosciuto artista - anche se è possibile individuare l'influenza di Cimabue o del 'Maestro della Maddalena' o di tanti altri, malgrado l troppi e spesso arbitrari restauri . Domina in tutta la cupola il fondo oro, ma con due significative serie di eccezioni: 1- Nella prima scena della prima fila (La Creazione) il Creatore (che è qui sempre

CAPITOLO 4 l ISLA,\1, NORMMIN!, SANTI E PONTEFICI: DA PALERMO ALL'ANNO SANTO 1300 83

fig. 5. Firenze, Battistero di San Giovanni. La cupola ottagonale con _i mosaici realizzati tm il _1240 e i~ 13!0. Verso l'abside l'immagine di Cristo è circondata dal Giudizio Universale (111 basso uella jigura). G!J altri sptcc!JI della cupola souo divisi orizzoutalmente in sei registri. Dal centro: I, ji-egio decorativo; 11. le gerarcbie angeliche; In, Storie della Geuesi; N, Storie di Giuseppe ebreo; V, Storie di Cristo; VI, Storie di Sau Giovanni Ballista.

rappresentato come Cristo con l'aureola crociata, come in numerose raffigurazioni medievali in occidente e in oriente) è dentro ad un grande cerchio blu scuro pieno di stelle; a sinistra il sole campeggia sul fondo oro che costituisce lo sfondo di tut­ta la restante scena, mentre a destra la luna si presenta insieme piena (grigia) e al­l'inizio, appena crescente, con l'oro che dal fondo sale a formare il primo spicchio. La creazione è qui rappresentata finita: Dio ha già creato tutto, anche l'uomo e la donna. In questa prima scena si è seguito Genesi l , 1-27, dove ~ppun~o la cr~a­zione termina con la frase: "Iddio adunque creò l'uomo alla sua tmmagme; eglt lo creò all'immagine di Dio; egli li creò mascbio e femmina')(fi~. 5a,. prima fila in. alto, prima scena a sinistra). Nelle scene seguenti si descrivono i passi della Genesi sue-

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84 PARTI: PRIMA l L' INVENZIONE DI:LI.:AAIBIENTE DIVINO

fig . 5a. Firenze, Bat!il"tero di San Giovt11mi. Spiccbio della cupola con La Creazione; le Storie di Giuseppe ebreo; l'ilmumciazione, l'Incontro con E/isabella, la Natività; le Storie di Giovanni Ballisttl. Neii'Ammnciazione la vergine Mario è già rappresentata COlite ltl Madonna in trono. A/la Natività è riservato lo stesso spazio che ai/atti precedenti; costringendo gli angeli, i pastori, San Giuseppe, la mangiatoia con il Bambùto, il bue, l'asino e 1111 tmge/o nei margini lasciati ai lati dal/a Madonna che campeggia al centro. La mangiatoia è tale nel/a parte inferiore, 11111 in alto è già adornata con elementi architettonici p1·eziosi.

CAPITOLO~ l ISLtL\1, NORMANNI, SANTI E PONTEFICI: DA PALERMO ALL'ANNO SANTO 1300 85

fig . 5b. Firenze, Ballistero di San Giova1111i. Spicchio del/a cupola co11 La cacciata; ~torie di Giuseppe ebre?; ~-Magi (Adorazione, Sogno, Ritomo per mare); Storie di Giova1111i Ballista. La Madonna e 111 tro11? s?tto 1111 padtgltone diverso da quello cb e protegge i Magi. Nella scena successiva i Magi don~JOIIO sol/o 1111 padrgl1011e coperto da _una tenda cbe si a/lontana in una difficile prospettiva, che ba forse il molo dr soffolm~~re gm/tcamente!a.poln dr due, . Magi; mentre l'angelo esce da un cerchio blu che rappresenta anche qui il ciel~ dJV~no. lf qua~ro pmmteressante e rl viaggio di ritomo: è rarissimo cbe esm venga descrrtto per mare: 111 questo d mus!Varo ba duegnato realisticamente dei pesci e 1111 polipo in mezzo ad onde stilizzate.

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86 PARTE PRIMA l L'JN\1ENZIONE DELL'AMBIENTE DIII/NO

/ig. 5c. Firenze, Battistero di San Giovanni. Il sogno di Giuseppe (2a /ila, vedi anche precedente /ig. 5a). Giuseppe dorme dm tro 11/1 pala:ao coperto da Ima terra:aa: ttl di sopra 1111 padiglione e 1111 SOl/filOSO edificio CO/l /ùJestre e/o !arsie marmoree, copel1o a due spioventi con grandi tegole. Attomo i sù11boli del sogno: a destra undici covoni si Ù1chiuano affamo al dodicesùllo che resta dritto e maturo; nel cielo ilmle, la luna (contemporaneamente piena e COl! li/IO spicchio) e undici stelle. Tra tutti i riquadri del &llistero questo (attribmio alla scuoltl di Coppo di Marcova!do) è forse quello che pitì riasmme lo stile di questi mosaici.

ce.ssivi a quello della scena l, notoriamente in contrasto (Genesi 2, 15-22) dove D10 dopo aver creato il solo Adamo, crea Eva da una sua costola (idem terza sce­na a,,d~s tr~). Q~Ieste s2n~ le uniche due scene che non hanno il fondo ~ro: siamo nel gtardmo dt .Eden e il fondo è appunto costituito dagli alberi del giardino e da qualche roccia.

~ - Ne~a p~ima scena d~lla Creazione, Dio compare dentro un cerchio blu 0 nel­l atto di us~Ire dal. cerch10; ug~almente nel Sogno dei Magi l'angelo esce da un ana­lo~o ce~ch10 che Interrompe il fondo oro [fig. 5a]. Quindi sempre quando c'è il ~1elo - mteso c?me luogo della divinità- si interrompe il fondo oro e compare il c~elo not~urno: e questo- e non l'oro -l'ambiente in cui stanno e da cui si affac­ciano Cnsto e gli angeli.

L'azio~e nei vari epis~di è affi~ata ai personaggi, ai loro gesti, alloro reciproco atteggiamento: tra .essi e l'ambiente c'è una decisa differenza di metodo. Mon­tagne, .rocce, alben sono sintetizzati in forme semplici, spesso estremamente ri­as~untlve. Han~o un altro ruolo: quello di unificare i vari 'fotogrammi' in cui si svil~ppa .la sto~·1a, r~n~endo appunto riconoscibile la sequenza per la continuità dell .ambrent~ m cm s1 svolge. Decisamente secondario invece è l 'ambiente co­~trut~o.: quas~ ~empre u~a~o co1_11e co:nice ai personaggi. Cornice ricca per i fa­raom, 1 re, gl~ ~m~eraton, 1 ~ant1, ~esu e Maria. L'architettura è un privilegio che s~mbra qu~s1 ~dtcare quah sono 1 personaggi importanti, i protagonisti dei va­n momenti [jig. 5c].

Diffu.sa invece la vegetazione, anche se non sempre differenziata: ma alcuni ele­menti che possono sembrare generici perché ripetuti per secoli, in realtà dove­~ano a_vere assunto proprio nel lungo tempo un loro valore: per esempio i gira­h (vedi parte II, cap. 1).

CAPITOLO 4 l JSLAM, NORMANNI, SANTJ E PONTEFICE: DA PALERMO ALL'ANNO SANTO 1300 87

Note

1 In Sicilia le popolazioni successivamente insediate possono essere così riassunte: Siculi, Sicani, Fenici (Cartaginesi) , Greci, nell'Vill secolo; Romani, dal254 a.C. ; Bizantini, dal435 ; Vandali, V secolo; Goti, dal 491 ; Arabi, dall'827; Normanni, dal1072; Svevi, dalll89; Angioini, dal1266; Aragonesi, dal1302. All'arrivo delle popolazioni successive, quelle precedenti non se ne andava­no; continuavano a parlare la loro lingua e ad appartenere alla loro cultura. 2 È vero che alla fine gli arabi furono espulsi (Federico II, Imperatore 1212-1250); ma fu un estremo tentativo per creare altre alleanze ed erano ormai gli Svevi a comandare. In parte i musulmani furo­no trasferiti in Puglia dove i re Normanni avevano appunto bisogno della loro mano d'opera. J M. Amari (1806-1889), Storia dei Musulmani in Sicilia, Firenze, Le Monnier 1854-1872; E. Onu­frio (1858-1885), Guida pratica di Palermo, Milano, Fratelli Treves ed. 1882; C. De Seta -L. Di Mauro, Palermo, Laterza Bari-Roma 1981 (con ampia bibliografia); R. La Duca, Cartografia gene­rale della città di Palermo e antiche carte della Sicilia , Napoli 1979; D. Mack Smith, Storia della Si­cilia, Londra 1968, tmd. it. Laterza, Bari 1970; F. Gabrieli - U. Scerrato e altri, Gli A rabi in Ita­t;a, Milano 1979. 4 L. Zangheri, B. Lorenzi, N.M. Rahmati, Il giardino Islamico, L.S. Olschki, Firenze 2006 (con esaurientissima bibliografia) ; G . Bellafiore, I Giatdini-patadiso di Palermo nell'età islamica e nor­manna (827-1194), Lombardi, Palermo 1990; G . Bellafiore, Parchi e giardini della Palermo Nor­manna, Flaccovio, Palermo 1996. La parola 'giardino' è rimasta nel linguaggio corrente siciliano ad indicare le zone agricole irrigate, soprattutto gli Agrumeti nella Conca d'Oro. 5 I monumenti principali del periodo islamico-normanno oggi ancora esistenti sono cronologica­mente così distribuiti: Cappella Palatina, 1130-1143; San Giovanni degli Eremiti, 1136; Martora­na (Santa Maria dell 'Ammiraglio), 1143; la Zisa, 1164-1168; la Cuba, la Cubula, 1180; Cattedra­le, VI secolo poi moschea, poi dal1184 cattedrale cattolica; Magione (SS. Trinità) , cistercense poi Cavalieri Teutonici, 1191-1193 . Riassumendo e semplificando: nel XII secolo Palermo è norman­na per la struttura politica; normanna con permanenze bizantine per la struttura amministrativa; musulmana per l'attività produttiva, l'annona, i servizi. Si usavano anche ufficialmente tre lingue: latino, greco, arabo. La lingua 'normanna' era in Normandia una corruzione del francese e non fu praticamente esportata nelle altre terre conquistate: Inghilterra, Sicilia, Italia meridionale. 6 Per un quadro completo e senza p regiudizi nuoce certamente la sporadicità e la casualità di una 'archeologia islamica' della Sicilia. Ancora più grave nel quadro di una lunga storiografia che per secoli ha considerato mustùmani e normanni come episodi negativi inseritisi con la violenza tra greci-romani-bizantini e svevi-spagnoli-italiani ad interrompere una inesistente continuità storica chiamata 'Italia' . Può stupire che anche in recenti , voluminose, stimate collezioni, arabi e nor­manni siano sbrigati in pochissime pagine: i musulmani sono 'corsari ' che con le loro razzie inse­gnano la pirateria alle popolazioni locali; i normanni sono 'avventurieri' (Storia d'Italia vol. 2'\ Ei­naudi, Torino 1974: di arabi e normanni si parla in un paragrafo intitolato "L'anarchia politica" ). 7 S. Bettini, La pittum bizantina - I mosaici, 2 voll. , Firenze, N.E.M.I. 1939. 8 M.C. Ruggieri Tricoli e altri , Costruire Gerusalemme - Il complesso gesuitico della Casa Professa di Palermo dalla storia al museo, Milano, Edizioni Lybra Immagine 2001 9 G. Caronia - V. Noto, La Cuba di Palermo - Arabi e Normanni nel XII secolo, introduzione di M.C. Ruggeri Tricoli, Ed. Giada, Palermo 1988; S. Bellafiore, La Cuba di Palermo, G. Greco, Fa­lenno 1984. 10 G. Caronia , La Zisa di Palermo - Storia e restauro, ed. Laterza, Roma-Bari 1982. 11 M. Amari, op. cit. 12 I Fatimiti (discendenti di Fatima, figlia di Maometto) dopo essere diventati califfi della Siria, dell'Egitto e della Tunisia (X secolo) estesero la loro presenza e la loro elevata cultura alla Sicilia ed ebbero un ruolo preminente durante tutto il periodo normanno. 13 J. Chardin , Voyage en Pen e et autres lieux de l'Orient, Amsterdam 1735. Chardin estende que­sta descrizione-progetto anche alle 'Grandi Tende'. 14 A. Camilleri , Le pecore e il pastore, Sellerio editore, Palermo 2007. 15 R. Krautheimer, Roma, Profilo di una città. 312-1308 Roma, Edizioni dell'Elefante, 1981. 16 A. Paolucci, Il Battistero di San Giovanni a Firenze, Modena, Panini 1994, 2 voll.; A. Giusti, Il Battistero di San Giovanni a Firenze, Mandragora srl, Firenze 2000.

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Ambrogio Lorenzetti, Il buon governo Ù1 et1111pagna, particolare. Siena, Palazzo Pubblico (vedi pp. 140·141)

PARTE SECONDA

L'autonoma rappresentazione di un ambiente profano

Un dipinto cbe ritrae un paesaggio ci insegna a meglio osservare e apprezzare la natura.

Michel de Montaigne [1533-1592]

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Capitolo l

La continuità di una immagine tra simbolo e natura) tra secoli e civiltà: i (giralt

Tra le varie tecniche usate in tanti paesi per costruire e decorare pavimenti, pa­reti, volte, cupole, absidi, una delle più utilizzate per secoli è stato il mosaico. Questa tecnica garantisce insieme una lunga durata nel tempo, una brillantezza dei colori e una esecuzione che se richiede molta abilità è però meno soggetta di altre a imprevisti e difficoltà strutturali di esecuzione. I soggetti, i tipi di rap­presentazione sono analoghi a quelli ottenibili con altre tecniche: ma per esem­pio l'affresco - tecnica altrettanto diffusa e in certe epoche e paesi anche molto di più del mosaico- è più deperibile e l'esecuzione divisa per 'giornate' sull'in­tonaco ancora fresco è sempre stata un problema arduo, anche per i massimi pit­tori arrampicati sulle impalcature. In particolare i mosaici sono stati una tecnica molto diffusa per i pavimenti as­sieme al marmo o altre pietre, mattonelle, mattoni, legno e anche malta pittura­ta. La differenza non è però solo tecnica: salvo rare eccezioni (per grandi sale in edifici rappresentativi, in terme, in qualche ricca villa imperiale ... ) i mosaici pa­vimentali non offrono scene dello stesso soggetto e tipo dei mosaici parietali. Le raffigurazioni di Cristo, della Madonna, dei santi si evita ovviamente di rappre­sentarle sulla superficie da calpestare. I mosaici pavimentali hanno in origine come loro riferimento il tappeto: soprat­tutto il tappeto della tenda dei nomadi (vedi parte I, cap. l) che non copre un pavimento, ma è il pavimento e costituisce appunto la superficie per un buon contatto - in piedi o accovacciati - con la terra, con la sabbia. I mosaici pavimentati, anche se con schemi, colori, significati spesso diversi, han­no però in comune con i tappeti l'esigenza di coprire in modo uguale tutta la su­perficie. Il disegno dello schema è appunto la prima immagine che percepisce chi si avvia a camminare sul mosaico (e forse non guarda più di tanto quello che ha sotto i piedi). Questo spiega perché in tutti i tappeti e mosaici è chiara l'im­postazione geometrica di cui quasi sempre è disegnata la cornice che la delimi­ta, spesso con altri elementi o diverse raffigurazioni. Inoltre nel tappeto i nodi 'disegnano' la forma delle figure sottolineando ed accompagnando i contorni e i colori; lo stesso accade nel mosaico con le tessere la cui disposizione e sfac­cettatura esalta l'andamento delle linee, accompagnando le separazioni di colo­ri e soggetti sia all'interno che all'esterno delle figure, permettendone una lettu­ra a distanza, che sarebbe affidata con altre tecniche solo al tratto del disegno. Uno schema ricorrente per secoli e in tanti paesi (anche diversi e lontani) è quel­lo dei girali di vite (o di acanto, o molto più raramente di altre piante): la vite è

CAPITOLO 1 l l.A CONTINUITA DI UNA TMMAGINE TRA SIMBOLO E NATURA, 'fRA SECOLI E CIVIU'k I "GTRALI" 91

un tema antico e di lunga durata, ma sempre con valori simbolici bene auguranti anche se in culture diverse. È motivo diffuso in tutta l'area ellenistica; diventa quasi dominante anche nei sec~li.suc~~ssi~i, dalla Terra S~nt~ all'~dia ~~rs~ orien: te e a Roma verso occidente. E m se mdtpendente da nfenmenu relig1os1 e puo quindi essere frequentissi~o. nella. c~lt~ra clas.sica,. in quell~ cristiana, .in quell~ islamica, assumendo valon s1mbohc1 dtfferentl o nferendosl a soggetti profam. Spesso il suo significato sembra essere princip~lme~te decor~ti~o o addir~ttura di esclusivo significato grafico. Questo aspetto e solitamente mdtcato con il ter­mine 'arabesco', essendo stato appunto per secoli caratteristico del mondo isla­mico; ma anche prima nel lungo periodo ellenistico e in svariate regioni erano diffusi bassorilievi o graffiti formati dallo svilupparsi di disegni lineari. In molti pavimenti ritrovati negli scavi archeologici, il girale è formato da un so­lo ramo che descrive il disegno formato da cerchi perfetti; attorno al ramo si sno­dano dei tralci con poche foglie che non interrompono il disegno geometrico. Foglie e grappoli servono ad addolcire la rigidezza geome~rica ?el girale-cerchio e quindi del disegno d 'insieme, quello appunto colto a pnma vtsta e da lontano. Dentro a ogni cerchio può esserci una figura che 'entra in campo' solo a una ve­duta più ravvicinata e di dettaglio. Al limite del paradosso il mosai~o-ta~peto re­sta 'uguale' anche se la figura non c'è; se è stata cancellata nel penodo iconocla­stico (VIII e IX secolo nelle terre dell'antico Impero Bizantino) e sostituita per la funzionalità e l'uso del pavimento da una ridisposizione casuale delle stesse tesse­re che ordinate formavano una figura e disordinate l'hanno eliminata, ma senza annullare la texture, le tinte, la funzione: a volte anzi ricomponendo con le stesse tessere un elementare motivo geometrico o vegetale. Ne sono esempio i mosaici pavimentali della chiesa di Santo Stefano a Umm al-Rasas e della cappella della Theotokos a Uadi 'Ayn al-Kanisah (Giordania) , dove possiamo appunto vedere co­me alcune immagini sono state 'defigurate' dagli iconoclasti [figg. l) 2]. La defi­gurazione riguarda gli uomini e gli animali e invece lascia intatti i vegetali, quasi a voler stabilire una similitudine privilegiata dei primi due

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Le figure presenti dentro ai girali possono essere a~imali addom~sticati o s.elva­tici: uccelli, trampolieri, pavoni, galline, zebre, leom e leonesse, guaffe, bu01, an­tilopi e gazzelle ... oppure uomini intenti alla caccia o a lavori agricoli o che suo-nano il flauto ... o anche oggetti vari come vasi, gabbie con uccelli ... . Normalmente una sola figura occupa il cerchio tra i girali, ma ci sono anche epi­sodi che richiedono di dividere l'azione tra due girali contigui. Un cacciatore ti­ra con l'arco a un leone; un altro cacciatore colpisce con una lancia un leone; un ragazzo conduce un asino carico d'uva; un cane azzanna un'antilope; un uomo fa danzare un cane ammaestrato; un servo conduce al guinzaglio una giraffa. In cer­ti pavimenti dentro un solo girale ci sono più figure rappresentanti una scena completa, sempre di soggetto agreste: un cane con collare azza~a un lupo, due uomini pigiano l'uva in un torchio, una leonessa allatta un leoncmo (Mo~astero della Madonna a Beth Shean in Israele, chiese del Diacono Tommaso e di Kaya­nos nella valle di Ayoun Musa, chiese dei Santi Lot e Procopio e di San Giorgio a Khirbat al-Mukhayyat nella regione di Madaba, in Giordania) [figg. 3-9].

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92 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAI'PRESEN'fAZ/ONE DI UN AMBIENTE PJWFANO

fig. 1. Umm-al-l~asas (GiOJd(ll/ia), chiesa di Santo Stefano (/ù1e \11-Vlll secolo). Il mosaico pavimenta/e di Santo Stefano è coslliuito da tmlci di vite avvolti in gàn/1; dentm cui preva!g0/10 scene di caccia e di lavori agricoli. /;iconoclastia biuwtùld (contro le ùnmagùli religiose) e l'icono fobia islamica (contro le figure w nane e tlnùnnli, \Il![ e IX secolo) banno 'defigurnto' le i11111/(/gùli, spostando quel minimo di tessere necessario per cancellare i volti o altre parti ritenute caratteristicbe per !'individuazioue. 1\lfa le tessere venivano mene n posto in maniera cbe il pnvimelllo continuasse a svolgere la ma funzione; anzi, cosl 'defigurato' il motivo decorativo dei gli·a/i ri.raltava ancom di pilÌ.

fig. 2. Umm-ai-Rasas (Giordania), chiesa di Salito Stefano (fine VI­Vlll secolo). L: immagine 'defigurnta' di un uo1no cbe abbraccia 1111 pavone:/igura a sùtistra del cespo d'amnio centrale, simmetrica all'alt m identica n destra. Lo ;postamento delle tessere lascia riconoscibile la sagoma delle figure originarie.

Le figure sono disposte secondo un ordine basato su un equilibrio tra le varie par­ti _de! 'tappeto', preoccupato del 'peso' che i gesti danno ai personaggi; la simme­tria e ben presente disponendo rigorosamente le figure principali nei punti chia­ve del 'tappeto' o mettendo in girali simmetrici figure analoghe come soggetto e c01_ne 'peso' grafico. Le varie figure avevano certamente significati simbolici, for­se tn ~a~·te anche n~lla lo~o disposizione. Ma gli esecutori erano i responsabili e gli auton di quella raffiguraziOne della vita quotidiana agricola che era alla fine il gran­de sogge_tto di q~esti 'tappeti-mosaico'. Certo, doveva esserci un repertorio co­mune dei soggetti e delle corrispondenti raffigurazioni, ma da questo i vari artisti si discostavano non solo per la loro bra-vura, a volte straordinaria (sono centi­naia i mosaici a noi noti che costitui­scono il Cmpus della sola Terra Santa: Palestina, Giordania e Israele attuali). Variava il rapporto tra le figure e i gi­rali: a volte le figure riempivano com­pletamente l'area del cerchio tra i rami; altre volte invece quest'area era in gran parte sfondo vuoto e le figure vi appa­rivano assai piccole. Nel primo caso era

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CAPITOI.O 1. 1 1..11 CONTINUITA DI UNA IMMAGINE TRti SIMBOLO E NATURA, TRA SECOLI E CJ\f/LTA: I 'GIRALI" 93

fig. 3. Valle di !lyou11 Musa (Giorda!lia), cbiesa del diacono Tommaso, pavime11to. I gimli di vite sono rappresentati con i grappoli e le foglie. All'ùrtemo sono mf!igumti tmùuali domestici, amiuali feroct; 1111 uomo tira co111'arco a 11n leone, 1111 altro con 1111 grappolo d'uva si appoggia n un bastone e in basso l/Il 1101110 armalo di lancia (Stefano) al/acca 1m leone nel girale accanto.

fig. 4. Valle di Ayou11 Musa (Gionla11ia), chiesa del diacono Tommasa, pavime11/0. Un ragazzo ca11duce 1111 asù10 (nel girale acmnto) che porta due cesti caricbi di /rutti rotondi (uva?), 1111 mgazzo raccoglie uva, un ca11e, 1111 ragazzo si riposti appoggiato a 1111 bastone, u11n capra.

il girale che fungeva da cor­nice subalterna alle figure; nel secondo era il grande disegno geometrico del girale a domi­nare le figure declassate a completamento. La ricostruzione, nell'interno degli edifici, dell'ambiente vegetale nei suoi aspetti più ridondanti di una natura do­

minante durerà a lungo nelle terre dell'Impero Bizantino: ancora nel XII secolo un ignoto autore di lingua greca ci racconta di un personaggio chiamato Calli­maco che "scavalca le mura, cade nel cortile, vede tutte le meraviglie, i piacen; le amenità ... Apparve ai suoi occhi un giardino pieno cl'alben; clifrutt~ di /ion; di/o­glie, di delizie. L'aria procurava un indicibile piacere, l'occbio vi trovava ancor più diletto ... Bastava aprire le f inestre percbé le foglie delle piante profumate s'inchi­nassero all'intemo ... " 2•

Accanto a esempi di invadenza 'barocca' della decorazione vegetale e delle sue va­rie tonalità di verde, troviamo casi opposti: pavin1enti in cui la trama geometrica scompare e le figure campeggiano da so­le su un fondo sapientemente tessuto a livello tecnico: nel mosaico inferiore del Diakonikon a Monte Nebo (530, opera dei mosaicisti Soel, Kaium ed Elias), nel santuario della chiesa del Diacono l'om­maso a 'Uyun Musa (ugualmente prima metà VI secolo), nella zona d'ingresso della Chiesa dei Santi Lot e Procopio a Khirbat al-Mukhayyat (di poco poste­riore) rJigg. 3-9] 3. Sono gli anni del- 4

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94 PARTe SeCOND;l / L'AUTON0Mt1 RAPPR6SeNTAZIONe DI UN AMBIENTe PROFANO

fig. 5. \la!! e di Uyun Musa (Giordania), cbiesa del diacono Tommaso, pavimento. Mosaico nel preJbiterio: quaflro alberi c011 evidenti /rulli JoJtiluiscono i girali. È sempre ad un elemento della vegetazione e dell'agricoltura cbe i mosaicisti ricorrono per Ù1quadrare le figure.

fig. 6. Madaba (CioJ<Iania), Cbiesa dei Santi Apostolz: [/ mosaicista Sa lama n (578) realizza m; precisissùno disegno geometrico disponendo lo stesso uccello (unico protagonista) in modo da formare 1111a trama di quadrati (impensabili COli

elementi vegetali), cm1le code degli uccelli: nei quadrati si ripetono qua/fro tipi di fiori. È inutile ricercare sigm/icati e simboli: ancbe se c'erti/lo essi sono totalmente metabolizzati nell'invenzione di Salamflll, cbe propone il tracciato geometrico senza girali, ma conio stesso effe/lo.

l'impero di Giustiniano (527-565); ma il fondo inesistente di questi mosaici è l'opposto dell'oro dei palazzi e delle chiese di Costantinopoli o di Ravenna o della Sicilia. È cer­to che in nessun posto si è mai usato l'oro nei pavimen­ti, ma il colore di fondo a tin­ta tendente al neutro, obbli­gava ad arricchire nella loro espressione le figure consi­derate autonome: uomini animali piante.

Questa libera e autonoma disposizione delle figure dà loro una nuova impor­tanza. Soprattutto diventano protagonisti gli alberi che invece non esistono qua­si nelle composizioni a girali dove il ruolo di rappresentare il mondo vegetale è appunto svolto prioritariamente dalla vite o dall'acanto, su altra scala e con al­tra iconografia. Gli alberi sono trattati con straordinario realismo: solo la scala è ridotta rispetto a quella di uomini e animali. Gli alberi sono innestati e porta­no ben riconoscibili i loro frutti. Il mondo agricolo è l'ambiente comunque proposto e con insistente realismo nei gesti, nelle azioni, negli elementi tutti. Peccato che poco è rimasto dei mosaici che questi stessi mosaicisti avevano fatto sulle pareti e sulle absidi di quei santuari di Terra Santa, negli anni dell'impero di Giustiniano e dei suoi successori sul trono di Bisanzio (Santa Caterina al Sinai, VI secolo, descrizioni dei girali nei mosaici

CAPITOLO 1 l LA CONTJNU/T;l DI UNA JMMAGJNE '/ RA SIMBOLO E NATURA, TRA SeCOLI E CJVltTt!: l "GJRALJ"

di San Sergio di Gaza secondo Procopio). Possiamo però supplire a questa mancanza gra­zie ad uno degli edifici più importanti di Ge­rusalemme, e non solo: Qubbat al-Sa bra (La Cu­pola della Roccia), costruita alla fit:e. de~ VII se­colo in un luogo sacro alle tre rehgtom mono­teiste [fig 10] . La costruirono i musulmani, per affermare la loro superiorità su cristiani e ebrei: lo conferma la grande scritta (lunga 240 m) che corre alla base della cupola ed è la più antica iscrizione del mondo islamico (finita nel 692, settant'anni dopo l'Egira). Sotto la scritta nel tamburo corre continua una sequenza di ricchi girali che si incuneano tra le finestre al di so­pra, riempiono le arcate uscendo da volute po­ste al di sopra di p ilastri e colonne. Questa straordinaria ricchezza del motivo vegetale non

fig. 7. Monte Nebo (Giordania), Santuario di Mosè. Nel pùì antico mosaico pervenuloci nell'abside della Cella Jìicbora (N-V secolo) il disegno dei girali è costituito da 1111 solo ramo assai stilizzato con qualcbe piccola foglia alle estremità e poche coppie di fiori ai bordi. I gti'flli uscivano da 1111 gmude vaso m cui em110 nppollaiati due pavoni liigranditi/uori scala rispello alle altre figure (un gallo, due uccelli, Ullfl /or/ora nella piccoli! parte rimasta) e l'uso di scale diverse per i vmi soggetli era costante.

fig. 8. Monte Nebo (Giordania), Santuario di Mosè. Nel most/Ù:o del Diakouikon, eseguito dura n/e la rioccupnzione bizautùra nella prima metà del VJ secolo, alberi, uou;liu; animali JOIIO allineati SII qzwttro file: la pri111a iu alto mppresenla due scene di caccia a piedi, la secondtl due scene di caccia a cavallo con cani, la terZJ/1111 pnstore cbe sorveglia quattro pecore e capre interessa/e ai germogli degli alberi da /rullo (potalr), la quarta infine due servi che portano al guliizaglio tre animali addomesticati (tmo struzzo, 1111a zebra, lll1fl gli·ajfa).

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96 PAR1'1i SECONDA l L'AUTONOMA RAI'I'RESENTAZIONE DI UN AMIJIEN1'E PROfANO

/ig. 9. Kbli-bat ai-Mukhayyal (Giordania), chiesa dei Santi Lo! e Procopio (meliì del \Il secolo). Il consuelo girale esce da due grandi cespi negli angoli liJferiori e lermùw con due grandi foglie negli tmgoli superiori Oltre agli argomenti della caccia (in basso 1111 arciere 11i11 a 1111 leone), prevalgono i momenti della vendemmia: 1111 mga:ao con l/Il falce/lo taglia un gmppolo e ba tiCCtl/1/o 111! cesio pieno d'uvt1; due mga:ai pigiano l'uva ùJun torchio e nei gimli tlccanlo 1111 altro m gazzo co11duce un asùw carico di cesii d'uvt1. Si noli che i grappoli tl/lcom mila vile 11011 .\'OliO disposti secondo lt1 legge di gmvliiì.

fig. 10. Gemst~lemme, Q11bba1 td-St~bm (Cupo/ti dell" Roccia), 685-692, tlrcbitetli Rt~jg'ibn J-laywen e Yarid ibn Sala m, coJJIIIJillenle Abd al-i'v/t~lik. St~a·a a ebrei, a-islitllu; iJ!t~~nia; ancbe se furo11o questi ultimi a costmirltr e decomr/a; le seri/le in m m/Ieri ambi si rivolgono con /rasi del Com no t1l "Popolo del Libro", cioè ebrei e crislia11i Il tamburo è decomlo colli/Il motivo t1 gimli, che si trasforma nella Cllpola illllll segno geometrico di eccezio11ale elega11za. Se le seri/le volevano /eslimolliare la superioniiì morale del/'TJ-lam, l'ùllero complesso della Qubbat al-Sabra poteva /es/ÙJ/OIIiare 1111 "caso di Sllperioriliì anche es/elica".

era del resto solo nella grande, simbolica moschea di Gerusalemme: tra gli altri esempi, non meno eccezionale è la moschea degli Ommayadi a Damasco (inizio V1II secolo, quindi di poco posteriore alla Cupola della Roccia), originariamen­te tempio pagano, poi chiesa cristiana con la reliquia della testa di San Giovanni Battista, poi infine moschea 4•

Nella cupola della Qubbat al-Sabra, l'elemento vegetale è sostituito da uno straor­dinario disegno geometrico che copre quasi tutta la semisfera. Possiamo assumere la Cupola della Roccia come campione dell'uso religioso di una simbologia profana, sempre legata a varie interpretazioni. Simbologia del re­sto ben radicata da secoli anche in occidente. A metà del VI secolo nelle terre d'Africa abitate dai Vandali, troviamo un pavimento di mosaico con un ricco di­segno a girali nella cattedrale di Sabratha [fig. 11], eseguito dopo il ritorno dei bizantini con Giustiniano. Nelle terre dell'Impero d 'Occidente non si era certo atteso Giustiniano, né l'af­fermarsi della religione cristiana a Roma. Come in tutto il mondo ellenistico an­che qui il motivo del girale era presente e aveva un significato nella produzione classica ed è da questa che è stato ereditato dal nascente cristianesimo. Esso non era collegato alla tecnica del mosaico (o solo secondariamente, fatto salvo naturalmente che la nostra conoscenza è legata alla casualità della conser-

CAPITOLO I l LA CONTINUITA DI UNA IAI,\I;lGINE TRA SIMBOLO E NATURA, TRA SECOLI E Cli'ILTA: 1 "GIRALI" 97

vazione nei secoli e dei ritrovamenti archeologici). I casi che conosciamo sono costituiti da sculture appartenenti a monumenti ufficiali di grande importanza, come il fregio del Tempio di Venere Genitrice nel foro di Cesare [fig. 12], le pa­reti dell'Ara Pacis Augustae. I girali erano quindi ben presenti nel mondo romano, dove nel tardo impero fini­rono per essere un motivo decorativo in alternanza ad altri come le strigilature. Non stupisce quindi di trovare questo tema trasferito dal marmo al più modesto stucco nel doppio cubicolo del criptoportico delle catacombe di Priscilla (metà del III secolo): questo ambiente è detto "Cappella greca" per due iscrizioni in questa lingua e non aveva probabilmente funzioni sepolcrali (vedi p . 33,/ig. 1). Raffinati girali decorano i sottarchi uscendo da un cespo di acanto collocato sulla chiave del­l'arco, cioè nel punto più alto da cui scendono per concludersi dopo quattro giri geometricamente perfetti con un fiore al centro. A questa decorazione è attribuito un posto importante ed è l'unico elemento in rilievo in tutta la catacomba. Sempre in ambito cemeteriale il motivo dei girali di vite è dominante nel mau­soleo eretto nella prima metà del IV secolo (337-351) accanto a una grande ba­silica 'circiforme' (a forma di circo: attualmente solo rovine affioranti), al cimi­tero e alle catacombe sulla via Nomentana a Roma, dedicato a Costantina (fi­glia dell'imperatore, morta nel 354; più nota col nome di Costanza dato ap-

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98 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESEN1i!ZfONE DI UN AMBIENTE PROFA NO

fig. 11. Sabratba aamabn)•a), mosaico del pavimento della Cattedrale, Museo archeologico. "La meraviglia di Sabratba è il mosaico pavimenta/e della Basilica giustinianea. Vale, per questo mosaico, veder/o in Mltseo, tolto dalla stmna Basilica per cui è stato fatto. E si dice strana percbé, tutta quel/'accov:aglia di risalti, la diversa altimetria delle colo1111e, oltre alle diverse materie, dà un tale senso di raccogliticcio, cbe pare impossibile potesse esservi 1111a dimemione tutta mtova proprio in quella più umile, nel pavimento, siccbé né a Santa Sofia né a San Vitale, si è mai proposto il pitmo terra come punto di forza della decorazione delmol//1!1/ento. E qui con tutta quell'acco:aaglia di basi e di colonne di spoglio cbe fa pensare a t/1111101111/lleuto de/t'ottavo secolo, eccoti 1111

mosaico straordtitario, forse la più bella opera d'arte in via assoluta cbe sia superstite in Tiipolitania. ll tmliccio è dato da tma specie di albero di ]esse, cbe nasce da t/Il ciuffo d'acanto a volute gmsse, vol11minose. Di lì tralci di vtie in largbisstiui gira/t: Jt prete Pantaleone a Otranto, circa sette secoli pitì tardi e cbi per lui, nella Cattedrale di Taranto, svilupparono 1111 modello n//i1te. Qui i tmlci, i pampti1i, le zoccbe d'uva, sono come disegnati con lapis rosso e blu, ovvero con 1111 segno grosso, wta listatura più cbe 1111 segno. Ma fra quei pampini e zoccbe d'uva ci so11o uccelli, uccellettt; papere, pemia; ocbe, pavoncelle, e infi11e due spettacolose faraone: ma cbe dire di loro. Souo vestite a scaccbi biaucbi neri, cbe uon si sa più se sia un quadro di Klee o 1111 tailleur all'inglese. Squistie, grassocce eppure in quella veste astraflisttt, pialle colite un gioco a dama, mante11gono tu/fa via movenze assassine, improvvise, scarti, beccbettii, passettini ... In parole brevt; codesto artirta, certo di alto rango, confùwto a Sabmtba, doveva aver rieJllmato per l'occasione un suo proutuan'o di comodo, con bestiole e!leuisticbe copiate da scene ui!oticbe o di caccia, come le nostre nonne tesauri;aatJano negli sd;edari i passi salienti di un ancestrale punto-in-croce. Fanlt!Jiicaudo, vieu fatto di pensare cbe 1111

artista simi/efone in odore di eresia, e cbe sbalzato ùz Africa avesse tut/a l'intenzione di fargliela, a Giustiniano, gabellando per nuovi quei motivi decrepiti della tmdizione alesmndrina. Ma era aucbc uno di quegli artisti che stavano inveii/anelo un nuovo stile, con Jlntemio di Ii'l11les, e Isidoro di Mileto: spremevano dalla plttsticilà clanù.'t1 tutto il cbiaroscuro come Ji JlriZZti un limone. Arrivalo ml punto di inse1ire in quei ghirigori appia/liti, degli uccelletti di rilievo, non ce In fece, il cuore gli mtwcò e passò tu/lo al setaccio. Ecco i volatili, virtuosamente ellenistici nei con tomi, pealere il rilievo e no11 perdere le penne. Queste santu/te uno spreco di paste vitree, uno scinttllio di berilli e turcbese: la rota del pavone, preparato dalla fenicie, dalla pemice in gabbia (ob, anima prigioniera!) diviene un fastigio da inserire pari pari a San Vitale: e nessuno se ne accorgerebbe".

[da Cesare Brandi, "Sabratha" in CitttÌ del deserto, Editori Riuniti, Roma 2002].

CAPITOLO l l LA CONTINUITA DI UNA /MhlAGINE TRA S!t\IBOLO E NATURA, TRA SECOLI E Cli'ILTA: I •GJRJILI"

fig. 12. Roma, Foro di Ce.wre. Fregio del Tempio di \Tenere Genitrice.

punto al mausoleo, usato co­me chiesa). I mosaici perfet­tamente conservati mostrano tra i rami e i grappoli i lavori agricoli relativi alla vendem­mia; siamo stilisticamente nel­la tradizione classica, in una Roma in cui nell'ambito del cristianesimo ormai permes­so, la stessa famiglia imperia­le seguiva ora la linea del ve­

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scovo di Roma o di Alessandria o di Costantinopoli, ora quella diArio [fig. 13]. Circa un secolo dopo viene realizzata la decorazione a mosaico delnartece del Battistero Lateranense, ormai residenza del papa e centro del cattolicesimo (pa­pa Sisto III, 432-440). Attualmente rimane intatto il mosaico dell'abside destra (cappella dei Ss. Cipriano e Giustina) [fig. 14]; è interamente costituito da due girali che escono simmetricamente da un grande cespo centrale e si ramificano a formare su quattro registri quindici tondi in cui il ramo gira tre volte e termi­na con fiori di due tipi: a rosetta, a campanula. Il fondo è scuro; nei girali pre­valgono verde e ocra, nei fiori rosso e bianco (ma tutto il mosaico richiedereb­be di essere pulito e restaurato). In alto un semicerchio delimita quello che in tanti altri mosaici absidali sarà lo spazio del cielo e della mano benedicente del Padre: qui invece c'è un altro giardino - separato dai girali sottostanti - ; tra i fiori quattro uccelli e al centro l'agnello, appoggiati sul cerchio da cui pendono sei croci. La lussureggiante vegetazione di questo eccezionale mosaico invade an­che il suo centro, dove non c'è nessuna immagine di Cristo o della Madonna, nessuna croce o altro simbolo: ancora e solo vegetazione con un tronco (?) drit­to attorno cui si avvolgono quattro girali ellittici assai spogli. L'abside del nartece del Battistero lateranense è solo la raffigurazione di un am­biente verde, mentre normalmente questo è un elemento presente, ma non prin­cipale rispetto alle immagini di Cristo, della Madonna, dei santi, del gregge ecc. Un valore analogo alla rappresentazione del girale si ritrova in molte raffigura­zioni durante tutto il Medioevo. Nella formella XV del battente di settentrione della porta bronzea di San Zeno a Verona (secolo Xl, cm 55 x 50) le pie donne si recano al sepolcro di Cristo, sorvegliato da un angelo, attraverso una intrica­ta massa di girali che costituisce la vera scena (fi'g. 15] 5 .

Per ritrovare in Occidente un valore analogo alla rappresentazione del girale dob­biamo guardare il mosaico absidale di San Clemente a Roma, eseguito nei primi de­cenni del XII secolo, sette secoli dopo il Battistero Lateranense e quattt"O secoli do­po la Cupola della Roccia (fig. 16] 6. Ci sono qui altre influenze oltre quelle diret­te della Roma classica: la produzione bizantina certamente non è ignota a chi rico­struisce San Clemente dopo la distruzione durante l'invasione di Roberto il Gui-

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100 P1iRTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN AMBiENTE PROFANO

fig. 13. Roma, Santa Costanza. La volta de/mausoleo di Santa Costanza è interamente decorala co11 e11ormi t miei di vite, t m cui volano uccelli. L'uva è matura e ragazzi nudi raccolgono i grappoli. In bano i grappoli sono stati raccolti ù1 cesti cbe altri ragazzi (vestiti) scarica/lo dentro carri tirati da buoi o muccbe verso l/1/(/ telloia dove l'uva vie11e pigiata. La rappresentazione è realisticanella mffiguraziolle del lavoro: lo sforzo per tirare i cam; il vino cbe esce dalla vasca e cola11elle an/ore. Sono i fatti cbe la gente riconosceva: invece poco importa cbe i carri abbiano 111/tl

mota sola, e il tetto della tettoia non sia in prospettiva.

scardo (1084). li fondo è d'oro, anche se i tanti elementi sovrapposti quasi ne an­nullano l'importanza, riducendolo ad un riferimento cromatico; il tracciato geo­metrico è rigoroso, preoccupato di non lasciare sfuggire nulla alle regole della sim­metria. I due girali escono da un grande cespo e formano venticinque tondi per parte, su cinque registri. Dentro ai girali c'è una varietà straordinaria di fiori e frut­ti, ma nessun essere vivente. Questi affollano invece lo spazio tra i girali: due grup­pi di uomini e tre persone singole nel primo registro, fiori con angeli e putti nel se­condo, svariatissimi uccelli negli altri. In alto il cerchio che rappresenta il cielo non ha più il colore oro del fondo dietro ai girali, ma è blu scuro con nuvole bianche e rosse; il cielo è cioè rappresentato co­me un ambiente diverso e distinto: è l'ambiente del dio simbolizzato al centro dal­la mano, ma è reso invece con immagini reali del cielo nuvoloso che possiamo ve­dere dalla terra. Questo arco di cielo è diviso in settori da trofei vegetali alternati ad agnelli mistici e al di sopra si chiude con una serie di fregi decorativi. Al centro quell'elemento che nel Battistero lateranense era un tronco lineare, a San Clemente è diventato la Croce [fig. 16a] , che esce dal cespo di àcanto come fosse un tronco o un ramo della stessa pianta a cui appattengono tutti i girali; invece di rigirarsi su sé stessi i due rami centrali abbracciano con una doppia ellisse la Cro-

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CtlPlTOLO l l LA CONTINUITA DI UNA IMMAGINE TRA SWBOLO E NATURA, TRA SECOU E C/ I'ILTA: l "GTRALI" 101

fig. 14. Roma, Latera no. Battistero, nartece, abside destro (cappella dei Ss. Cipriano e Giustina). Realizzato durante il papato di Sisto lll ( 432-440) è 11110 degli esempi pùì integrali di 11so di 1111 girale come unica decorazione, senza alcrma altra immagine.

fig. 15. \femna, San Zeno. Porta bronzea secolo XI, formella X \l del battente se/fentrio11ale: le pie do!/1/e e il sepolcro di Cristo si affaccitlno da una ùrtricata massa di girali cbe costituisce tutta la scena.

ce. Questa è piena di colombe bian­che che escono dall'acanto in cui è piantata la Croce, proporzional­mente assai ridotta: non è la figu­ra centrale dominante della tradi­zione bizantina. li Cristo è nell'i­conografia non sofferente ed è ap­poggiato su una tavoletta-cuscino d'oro, mentre ai lati Maria e Gio­vanni hanno i piedi su un prato ver­de che si stacca con eccezionale sfu­matura dal lontano oro: sono qui, sulla terra. E qui sulla terra sono tutte le persone intente ai mestieri agricoli, raffigurate con una chia­rezza presente anche in tanti altri mosaici a Roma, a Ravenna, a Fi­renze, a Palermo ... Ma a San Cl e-

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102 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN ; L\IBIENTE PROFANO

fig. 16. Roma, San Clemente. Abside (inizio XJT secolo). È forse la piiÌ illlegrnle e completa decorazione di un'abside con il motivo del gù·ale. ll/ondo è d'oro, anche se i tanti elementi sovrapposti quasi ne awmllauo l'importanza, riducendo/o a 1111 riferimento cromatico; il tracciato geometrico è rigoroso, preoccupato di IlO!! lasciare sfuggire nulla alle regole della simmetria. l due gùwli escono da 1111 grande cespo e formano venticiÌique tondi per parte, su cù1que registri. Tu basso i quattro fiumi dell'Eden esco110 dal cespo di acanto e fomiti/lO il bordo inferiore di tutta la composizione. All'in temo dei gimli ci souo solo /i01'i o/rutti o altre ùmuagini tenmiwli del girale stesso. 7ì·a gli uni e gli altri c'è ùwece una stmordinaria ricchezza difigure.

mente il discorso è assoluto: l'espressione religiosa si esprime attraverso l'ambien­te in cui è raffigurata, la Croce è insieme il luogo di Cristo e delle colombe tra la terra e la mano del dio.

Nole

1 S. Ogni bene, Umm a!-Rasas: la e/n'esa di Santo Stefano acl Umm al-Rasas ed il problema iconofo­bico, "L'Erma" di Bretschneider, Roma 2002; M. Piccirillo, E. Alliata, Mount Nebo. New archeo­logica! excavations 1967-1997, Studium Biblicum Franciscanum, Jerusalem 1998; R. e A. Ovadiah, He!lenistic-Romalt ancl eal'l)' By:t.antine Mosaics Pavements in Israel, "L'Erma" di Bretschneider, Roma 1987; Les ]ardins de l'Is!am, esposizione, Losanna 1983 ; L. Zangheri, B. Lorenzi, N.M. Rah­mati, Il giardino islamico, L.S. Olschki 2006. 2 Da A. G uillou, La civiltà bizantina- Oggetti e messaggio, "L'Erma" di Bretschneider, Roma 1998. 3 Mount Nebo. New arcbeological excavations 1967-1997, Studium Biblicum Franciscanum, Jeru­salem 1998. ~ J .D. H aag, in Arcbitettura Islamica, Electa, Milano 1973. 5 In altra formella della stessa porta di San Zeno e in molti casi, in occidente e in oriente, il 'gira­le' diventerà l'Albero di Jesse con la genealogia biblica da Jesse a Gesù. 6 Mosaico di San Clemente, Collegio di San Clemente, Roma 1988; San Clemente, Roma, Collegio di San Clemente, Roma 1992; Cardinale J. Ratzinger, Immagù1e di speranza, Edizioni San Paolo 2006.

CAPITOLO l l LA CONTINUl'fiÌ DI UNA IMMAGINE TRA SIMBOLO E NATURA, TRA SECOLI E CJI'ILTA: l "GIRALI"

fig. 16a. Roma, San Clemente. Particolare dell'abside. Al centro del mosaico la ma11o del Padre sovrasta la Croce, al ce11tro del cielo, reso cou t/Il colore blu scuro e nuvole rosse e azzurre. La Croce esce dal cespo di acanto al ce11tro della composizioue: iu questo ilmosaicista ba evidentemeute immagi11ato cbe ci sia il nido delle colombe che risalgono la Croce. Provengo110 quindi dalla terra e si incontmno in alto, oltre la figum del Cristo, co11 quelle cbe sceudouo dalla 11111110

divina.

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Capitolo 2

Il ciclo dei mesi

Accanto ai cicli proposti dai testi e dagli av­venimenti religiosi, altri soggetti, con origini e motivazioni differenti, sono presenti nei seco­li che vedono lo sviluppo della ricerca del­l'ambiente divino nel segno del cristianesimo: dal tardo Impero alla fine del Medioevo, in oc­cidente e in oriente. Anzi, per questi soggetti profani la fine delle re­ligioni classiche (definite adesso "pagane", in se­guito appunto all'avvento della nuova religio­ne) non rappresenta una traumatica e assoluta chiusura, premessa alla ricerca di una forma espressiva conispondente a nuovi e diversi va­lori. La continuità col mondo e i modi raffigu­rativi delle regioni dell'Impero Romano (e del­le varie civiltà in esso presenti) è un fatto ormai accertato a livello storico e di cui le più signifi­cative testimonianze sono evidenti soprattutto in alcune regioni periferiche dell'Impero: in oc­cidente in quell'area gallo-romana che fu la 'Provincia' (e poi la 'Provenza'); in oriente tra Siria e Gerusalemme e da qui a Costantinopo­li, nei Balcani, nell'Europa orientale dove l'ela­bm·azione dei modelli 'bizantini' si prolungò per almeno un millennio. Tra i cicli profani di lunga durata, due hanno una posizione di grande rilievo e suggerisco­no un loro specifico ambiente. Possiamo ge­nericamente intitolarli: - "Ciclo dei mesi". - "Ciclo della corte feudale" (vedi capitolo se-guente). Questi cicli non sono rigidamente separati; spesso anzi la raffigurazione dei mesi accom­pagna le scene della vita di corte, mentre al-

I SIMBOLI DEI lVIESI AL TEMPO DI CARLO MAGNO

È interessante leggere nella Vita Karoli (biografia di Carlo Magno, databile dopo 1'830, attribuita tradizionalmente al monaco Egi­nardo, ma di cui è più probabile autore Notker I detto Balbulo, San Gallo 840-912) i riferimenti iconografici suggeriti appunto per i vari mesi:

gennaio febbraio marzo aprile maggio giugno luglio agosto settembre ottobre novembre dicembre

mese d'inverno mese del fango mese di primavera mese di pasqua mese di gioia mese di aratura mese del fieno mese della mietitura mese ventoso mese di vendemmia mese d 'autmmo mese santo

Tre mesi sono intitolati alle sta­gioni (gennaio, marzo, novem­bre): manca l'estate i cui mesi sono tutti occupati da lavori agricoli. I lavori agricoli occu­pano quattro mesi (giugno, lu­glio, agosto e ottobre) . Ricor­renze religiose occupano due mesi (aprile e dicembre) riven­dicando la prevalenza di pasqua e natale su qualsiasi altra attivi­tà in quei due mesi. Fatti me­teorologici sono la prerogativa di altri due mesi (febbraio e set­tembre), mentre il mese di mag­gio è dedicato alla gioia.

CAPITOLO 2 1 IL CICLO DEI MESI

tre raffigurazioni possono accompagnare e decorare qualsiasi serie di sculture o pitture, come i segni del­lo Zodiaco, gli Zoomorfi, i mostri, altre figure allego­riche. Ma soprattutto le tecniche, i modi, i colori, i ti­pi di immagini si ritrovano ugualmente in un ciclo o in un altro. Frequentemente inoltre questi cicli, che abbiamo definito 'profani', sono scolpiti o dipinti sul­le facciate o all'interno di edifici religiosi, dove af­fiancano soggetti ' divini' [fig. 1]. Tra tutti questi soggetti quello dedicato ai mesi dei­l' anno è forse il più diffuso e popolare, presente in tanti paesi, per lunghissimi periodi. Esso prende origine da narrazioni mitologiche- pres­so molte religioni- e si collega al tentativo di spiega­re contemporaneamente il succedersi delle stagioni (cioè il mutare del sorgere e del tramontare del sole) con la regolare ripetizione delle fasi della luna. Questi fatti danno vita da una parte alle ricerche astro­nomiche e alla invenzione e raffigurazione dei calenda­ri e dall 'altra determinano e guidano il lavoro agricolo, cioè il lavoro di base per l'umanità durante millenni. È al lavoro agricolo che le raffigurazioni dei mesi sono strettamente collegate, tanto che potremmo chiamare questo ciclo anche "Ciclo dei lavori", invece che dei me­si (anche se è meglio riferirsi ai mesi perché - come ve­dremo - non sempre tutti i mesi sono raffigurati da un lavoro). Possiamo risalire a miti e a testi religiosi del mon­do classico e di quello biblico e se c'è anzi un argomento in cui la continuità tra le raffigurazioni 'pagane' e quel­le del cristianesimo è più consistente e di lunga durata è proprio quello del lavoro. Nella mitologia greca il la­voro è legato agli dei: è Demetra che fa nascere le mes­si, è Vulcano che lavora alla forgia. Sopratutto è inte­ressante Ercole: le sue "fatiche" sono la trasformazione da fatto soprannaturale in lavoro umano della caccia (leo­ne di Nemea, cinghiale dell'Erimanto, cerva di Cerina, uccelli dello Stinfalo), della pesca (idra di Lerna), del-

fig . 1. Parma, Battistero. Beuedetto Ante/ami (circa 1150-1230), portale occidentale, stipite destro: Allegoria della parabola della vigna, Matteo 20, 1-16. La vigna è raffigurata co11 selle sceue racchiu.re dentro mw serie di girali co11 grappoli d'uva (vedi parte II cap. 1): Dio istmùce vari contadini. Dio è sempre !Iella zo11a più alta, me11tre gli uomi11i in fila (uno, due, 11ella sce11a terminale in alto sette) si piegano per occupare le zo11e più basse. Dio è 1111a figura barbuta sempre pùì grande degli IIO!Itùu;· questi ha1mo spesso i11 ma11o o sulla spalla gli strume11ti di lavoro.

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106 PARTE SECONDA L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE D/ UN AMBIENTE PROFANO

l'allevamento del bestiame (stalle di Augia, toro di Creta, cavalle di Diomede, buoi di Gerione) dell'agricoltura (cane Cerbero, pomi delle Esperidi) 1• Nella Bibbia in­vece il lavoro è presentato come una maledizione, conseguenza di una confusa con­danna: è solo perché cacciati dal Paradiso Terrestre che Adamo e i suoi discendenti lavoreranno ed Eva e le sue discendenti partoriranno con dolore. Questa conce­zione religiosa si perde comunque nei secoli e nei millenni o resta all'interno di più ampi cicli celebrativi di dei e di santi. In altri casi i mesi sono raffigurati da una figura intera: un uomo o - più rara­mente- una donna, intenti ad effettuare i lavori o partecipare alle feste di quel mese o perlomeno ad alludervi. Queste figure servono quasi sempre solo come supporto per i simboli specifici di quel mese ed è da questi che derivano i gesti, la posizione, il vestito ecc. Spesso anzi c'è una esaltazione di scala per i falcetti, le roncole, le vanghe, le spighe, i grappoli e quant'altro rappresenta il lavoro as­sunto come "logos" di quel mese: è questo ambiente di lavoro che definisce il personaggio e le sue caratteristiche, anche se a prevalere figurativamente sarà sempre l'armonia della composizione (per cui i buoi, i cavalli, il tino del vino, gli alberi saranno fuori scala in riduzione anziché in aumento in base alla loro funzione espressiva e non alla loro realtà fisica). I collegamenti tra la lista collegata a Carlo Magno (vedi pag. 104) e le più cor­renti rappresentazioni dei mesi sono immediatamente riscontrabili grazie ai la­vori agricoli: aratura, fienagione, mietitura e vendemmia sono temi obbligati e corrispondono ai quattro più pesanti e determinanti momenti dell'anno rura­le; potremo trovare degli spostamenti a seconda della latitudine con anticipi o avanzamenti (in particolare in certi casi sarà indicata l'aratura autunnale inve­ce di quella primaverile). Gli altri mesi della lista possono suggerire delle raf­figurazioni simboliche (le stagioni), dei richiami a momenti religiosi (Pasqua, Natale), oppure rimandare a situazioni meteorologiche con diretta influenza sui lavori agricoli (fango e vento). L'abbinamento maggio-gioia lascia spazio al­la nostra fantasia; all'inizio del XII secolo Walther von der Vogelweide cante­rà la festa di maggio celebrata da tutti gli uomini che chiedono gioia, cantano e ballano (vedi parte II, cap. 3) e nel repertorio popolare toscano il "Cantar maggio" è ancora oggi una festa in giro per i campi appena terminati i lavori primaverili 2•

Guardiamo qualcuna delle infinite serie di mesi scolpiti o raffigurati a mosaico o ad affresco su cattedrali, chiese, battisteri, palazzi, o miniati su codici o comunque abitualmente rappresentati durante i tanti secoli che vanno dagli ultimi anni del­l'Impero Romano alle trasformazioni della società alla fine del Medioevo. Occorre notare che il ciclo dei mesi è in genere collocato in posizioni impor­tanti, ma è raramente al centro delle raffigurazioni di cui fa parte. La colloca­zione più frequente è all'esterno, sugli stipiti e sugli archi scolpiti dei portali delle cattedrali o dei battisteri dove forma una successione di figure analoghe per soggetto, dimensioni, disposizione, tipo di scultura ecc. Spesso il ciclo dei mesi si accompagna ad altri cicli come quello dello Zodiaco o affiancati in due file parallele, o sistemati nello stesso modo a decorare due portali d'ingresso

CAPITOLO 2 /L CICLO DEl MESI 107

fig. 2. ''erbania- PallanZtl, Chiesa di San Remigio, XII secolo. I.: abside è affrescato con Cristo (seduto) al celllro e i dodici apostoli in tomo (in piedi). Poiché al centm geometrico c'è una finestra, Cristo è spostato e l'artista ha dovuto stringere gli apostoli, sovrapponendo addirittura i loro piedi. Sotto gli apostoli sono raffigurati i mesi: 11011 sappiamo se ci fosse una relazione specifica tra mese e apostolo.

diversi, o anche uniti insieme nel­lo stesso complesso scultoreo [fi'g. 1]. Questi accostamenti e la disposizione a fianco dei portali sembrano accentuare il valore de­corativo, anche perché le varie fi­gure sono quasi sempre racchiuse tra decorazioni geometriche o flo­reali che le uniscono insieme e ne sottolineano la serialità.

Tra i rari esempi di collocazione dei mesi al centro delle raffigurazioni e in imme­diato rapporto con il soggetto principale ci sono alcuni casi in chiese romaniche in Piemonte e Lombardia. Gli affreschi nell'abside centrale della chiesa di San Remigio a Pallanza (secolo XII, dedicata a Remigio, personalità della corte carolingia nel IX secolo) [fig. 2] comprendono due fasce sovrapposte: nella superiore e più grande sono allinea­ti i dodici apostoli attorno a Cristo in trono (e la loro disposizione è di partico­lare interesse: al centro infatti c'è una delle due finestre dell'abside che ha ob­bligato a spostare Cristo fuori del centro: sei apostoli lo affiancano sulla sua de­stra mentre sulla sua sinistra la finestra centrale lo separa da altri quattro apo­stoli e gli ultimi due sono ancora al di là di un'altra finestra). Nella fascia infe­riore sono raffigurati i mesi, immediatamente accostati a Cristo e agli apostoli e proposti ai fedeli ad altezza d'occhio, proprio tutto intorno all'altare. Sono pur­troppo assai rovinati, ma si legge che rappresentavano i lavori agricoli e forse at­tività ad essi connesse da parte dei signori; non sappiamo invece ricostruire l'e­ventuale parallelismo con gli apostoli, anche perché la striscia dei mesi conti­nuava sotto le finestre. Uno dei cicli di massimo interesse è quello scolpito da Benedetto Antelami (1150 ca.-1230 ca.) nel Battistero di Parma: non aveva uno scopo solamente decorativo, come tanti altri cicli, ma fu concepito e realizzato con un ruolo importante, se non principale, nell'insieme dell'interno del Battistero [fig. 3] 3. .

La letteratura sul cantiere di Benedetto Antelami è vastissima e tra i problemi su cui si continua a studiare e dibattere ci sono anche (e forse soprattutto) i mesi. I dodici mesi erano infatti scolpiti assieme alle quattro stagioni in quindici bloc­chi marmorei di uguale dimensione originaria e una statua a tutto tondo (gen­naio). Perché il vecchio che rappresenta gennaio, seduto dignitosamente su una sedia curule ornata da leoni, rivestito di manto e tunica, con due teste barbute

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108 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN AMBIENTE PROFANO

f ig. 3. Parma, Battistero. Le statue dei mesi e delle stagioni so11o collocate nel primo loggiato. Origù~ariamente erano sedici (dodici mesi e quattro stagioni), ma ne sono rimaste quattordict;- Ù1 alcune mancano i segni zodiaco/i cbe le complt:tavano solto e sopra. Qui souo rappresentate le tre statue di una delle logge. A sinistra 1111 bolla io balte 1 cerchi per preparare la bolle per il vino; a destra c'è la vendemmia e al di solto il segno della Bilancia. Al centro llll llll/es/oso signore pitì grande e imponente delle altre figure, C0/11111 f oglio srotolato tra le 1/ll//Ji e dietro 1111 grande gimle; dovrebbe e.uere l'Autu11110. A l di sotto del loggiato è mumto 11n riquadro col/l/l]{/ do11na che raccoglie frutti; è pitì largo dei gruppi dei mesi e qui11di dovrebbe essere stato originariamente da un'altra parte.

(l'anno vecchio e l'anno nuovo? Immagine ricorrente anche se non molto diffu­sa: la ritroveremo nel libro Les très Ricbes Heures di J ean de Berry, fine XIV-ini­zio XV secolo) è del tutto diverso dalle altre stagioni e mesi per dimensioni, ti­po della scultura, appartenenza ad un ambiente autorevole e solenne? Perché es­sendo a tutto tondo con una faccia dietro è collocato come le altre sculture in modo che lo si vede solo di fronte? Perché le sculture sono collocate nel primo loggiato dove sono viste da molti metri più in basso, mentre sono scolpite sen­za deformazioni prospettiche e con uguale rifinitura anche nelle parti più basse, come per essere appunto viste a distanza molto minore (mentre Antelami cono­sceva bene le leggi della prospettiva-scultorea)? A parte questi e tanti altri problemi che notoriamente accompagnano la nostra conoscenza del Battistero di Parma, l'ambiente del ciclo dei mesi è descritto esclu­sivamente attraverso il lavoro e l'eventuale oggetto di questo. I riferimenti al­l'ambiente sono minimi, ma precisi : solo un accenno ai prodotti dei campi o agli strumenti di lavoro bastava per evocare tutto quel tipo di lavoro, il tempo, il cli­ma e le condizioni della campagna coltivata. Nelle altre chiese ed edifici con rappresentazioni dei mesi i soggetti prescelti non

CAPITOLO 2 l I L CfCLO DEI MESI

sono molto dissimili: a volte sono l'occasione per opere di grande va­lore. Così sul portale della Pieve di Santa Maria e Donato ad Arezzo, l 'arcata della porta principale [figg. 4a, 4b] è stata scolpita nel XIII se­colo con una serie di figure disposte secondo una originale regìa, sia per ogni singolo mese, sia nella loro suc­cessione a spirale. Le figure sono vi­vacemente colorate. Quando il ciclo dei mesi non è rea­lizzato con sculture, ma con rap­presentazioni pittoriche che occu­pano interi saloni, il soggetto è an­cora il lavoro, ma non è stilizzato nel gesto di un solo personaggio, bensì è composto con più episodi che de­scrivono le fasi successive con ric­chezza di personaggi e con precise indicazioni degli ambienti. Un esempio sono gli affreschi nella Torre dell 'Aquila nel Castello del Buonconsiglio a Trento. Tra il1390 e il 1407, il principe-vescovo Gior­gio di Lichtenstein fa affrescare da un pittore boemo di nome Venceslao, le pareti della stanza interna alla Torre con una serie continua di scene in cui una moltitudine di figure compie i la­vori agricoli corrispondenti ai dodi­ci mesi, introdotti al di sopra da un sole splendente accompagnato dal nome del mese [figg. 5a-5j]. L' am­biente qui non è più accennato da un riferimento simbolico, ma descritto con ricchezza di episodi e particola­ri. Le montagne sono assai stilizzate nello sfondo, ma su di esse i molti al­beri fanno già realisticamente parte della scena: a dicembre cinque bo­scaioli li stanno tagliando, legando in fasci e montando su un carro [fig. 5e] . La scena di settembre è tutta at-

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figg. 4a-4b. A rezzo, Pieve di Santa Maria e Donato, XIII secolo. Arco sopra t1 portale centrale. I mesi sono raffigurati da statue colorate raggruppate tre per tre.

f ig. 4a. I11 basso: Marzo (1111 signore coronato sumltlt/1/a tromba), Febbraio (un uomo co11 falcetto si appresta probabilmente a potare un albero), Gennaio (un uomo barbuto bifronte- ciò è seri/lo ancbe ne/titolo in latino­COlli/Il ' anfora aperta in mano; si sta forse avviando verso 1111 ti11o; dietro 1111 a/faccapmmi COli 111/fl sciarpa arrotolata?). In alto: Ouobre (zm 1/0//JO semina), Novembre (tm uomo raccoglie rape o zucche da 1111 cespo), Dicembre (i111111

edificio con tre colonne un uw11o ammazza il maiale).

fig. 4b. In basso: Giugno (un uomo - mutilo delle braccia­forse miete o prepam dei covoni), Maggio (un 1101110 a cavallo), Aprile (t m llomo con un f iore- o un falcone?). In alto: Luglio (1111 1101110 mutilo al braccio destro- compie un'operazione ritenuta la battitura del grano; un sacco è appeso a/ muro?), Agosto (mruomo con un grosso mazzuolo batte una botte, dietro un albero), Settembre (un uomo raccoglie l'uva e la melle in t/11 cesto).

4a

4b

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110 PARTC SECONDA l L'AUTONOMI! RAPPRESEN1ilZIONE DI UN A .H BI ENTE PROFANO

/i~ .. 5n. Trento, Cast~llo d~/ Buonconsig/io. Torre dell'Aquila (1390-1407). Mese di Giugno: La fienagione. In alto n .1:11mtra tre contnduu /a!CJano 1111 prato; a destra tre contadini e 111/fl contadina rastrellano il fimo. Le falci (a 1/J!PUgl~atura angolata a metà manico e a semplice maniglia per pressio11e all'estremità) rappresenttulo 111/IIIOde//o dmfl!mcamente perfetto, tmcora oggi l/Jato Ìlitutte le valli alpù~e; anche la presenza tra cbi rastrella di una donna teslù!lonùi la frequenza ~011 c~ri questo lavoro era affidato appunto alle donne (vedi ancbe pp. 271, ss., La/ienagiolle d1 Bmege/) .. Nella parte m/enore del/n parete le scene genencamente riferite alla vita di corte sono separate dalla parte superiOre da 1111 piccolo lago con 11/UI barca.

traversata da linee parallele che rappresentano i solchi per la semina, aperti da un aratro tirato da due mucche e due cavalli (così doveva avvenire evidentemente nel­le valli trentine); e il passo delle due coppie di animali è diverso corrispondendo ai cavalli un'andatura più tesa e ai buoi uno sforzo più pesante [fig. Jc]. Sono uo­mini e donne nel mese di ottobre a rendere con gesti diversi lo sforzo richiesto d~i vari lavori della vendemmia; da quello gentile delle dame che tra le vigne si divertono a raccogliere qualche grappolo, allo sforzo dei ragazzi che girano il tor-

CAPITOLO 2 l IL CICLO DHI MESI 111

fig. 5b. Jì-euto, Castello del Buonconsiglio. Torre dell'Aquila (1390-1407). ì\tiese di Luglio: La mietitura. Il mmpo in cui i contadini sta11110 mietendo e /onnamlo i fustelli è chiuso da 111/fl s/accionaltl formala con canne e paglia incrociate: presenti anche Ù!lllolti altri dipinti indimno che era un tipo usato per proteggere le messi mature da animali (p 121, figg. 2, 3, volta di Sant'Antonio di Ranverso e p. 270, La mietitura di Bmege/); al centro i fustelli sono stati caricati su carri e avviati verso l'aia. La scena tli corte ù1 basso è limitata a poche figure in1111 giardino, davanti alle mura di u1z castello.

chio, disegnato con una precisione tecnica da progetto esecutivo [fig. Jd]. I mesi non sono più un richiamo simbolico: sono anzi l'occasione per rappre­sentare la vita completa e complessa di tutti i giorni, il titolo di una ricca sce­nografia. Il riferimento al calendario può diventare lo sfondo per avvenimen­ti specifici, per anniversari e il mese essere solo un riferimento, accanto ai se­gni dello Zodiaco, per avvenimenti che ritroveremo nel capitolo successivo su~ Ciclo della corte. Nella parte inferiore di ogni parete c'è a Trento una scena dt

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fig. 5c. Trento, Castello del Buoncomiglio. Torre dell'Aquila (1390-1407). Mese di Sellembre. Il suggello è l'aratura: 111/tl coppia di cavalli e t/liti coppia di mucche tirano, con andatura diversa, 1111 carrello con l'aratro; llllliO!llO guida gli animali e 1111 altro spinge il vomere. La scena è domi11ata dal motivo geometrico dei solchi paralleli cbe l/liti contadina pareggia co11 la zappa. l11 basso: tma scena di caccift.

PARTE SECONDA / L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN AMBIENTE PROFANO

corte, come troveremo in molti castelli e palazzi (vedi nel capitolo successivo il casino di Schifanoia a Ferrara), Il mondo che le grandi famiglie principesche (i Lichtenstein erano padroni delle terre dalle Alpi alla Boemia) vogliono rap­presentare per sé e per i loro ospiti, ha la ricchezza come soggetto principale ben ostentato: una ricchezza fatta di lavoro e di ozio, di prodotti della terra, di natura rigogliosa e rappresentata dalle migliori scuole pittoriche. A Trento alla corte del Principe di Lichtestein lavora Venceslao, venuto dalla Boemia. In quegli stessi anni (subito prima del1416) i fratelli Poi, Jean e H er­man de Limbourg illustrano con miniature Les Très Ricbes Heures del duca Jean

Cill'lTOLO 2 / IL CICLO DEI MESI 113

fig. 5d. 1ì·ento, Castello del 13uonconsiglio. Torre dell'Aquila (1390-1407). lvlese di 01/obre: La vendemmia. La scma della vendemmia presenta 1111 ciclo lavorativo completo. È divisa in due parti: a destra la raccolta dell'uva, a si11istra la pigiatm-n. Sono le donne cbe mccolgo11o l'uva; poi 1111 ragazzo lungo 1111 sentiero celllrale che divide la vig11a, la t m sporta de11tro 1111a "bre11ta", appoggia11dosi a 1111 bastone. A sù1irtra 1111 altro uomo versa la sua "bre11ta" de/l/l'O n l/11 tino dove l'11va viene rigirata e schiacciata; la stessa opemzione avviene subito dietro in1111 secondo tino, dove è 11110 donna n scaricare l'uva da 1111 mnstcllo. In/ù1e sol/o 11110 telloia c'è 1t torchio di cui flue uomini/an/lo girare la vite senza /in e che abbassa il braccio premendo mlle macine; dava11ti esce il vino. I del/agli degli episodi della Torre dell'Aquila a Tre11to so11o sempre raffigllrati co11 assoluta esallezza. La sce11a di corte è qui limitata all'a11golo inferiore destro e sono le dame cbe si divertono a ve11demmiare anche loro: In vendemmia è sempre stata Wl

momento di npertum e partecipazione.

de Berry (1340-1416, Musée Condé, Chantilly, vedi anche parte III cap. 3). Era­no nati dopo il 1385 a Nimega e si erano trasferiti a Parigi alla corte di Philip­pe de Berry, duca di Borgogna, Alla sua morte nel1404 passano al servizio del fratello Jean de Berry; muoiono nel febbraio 1416 di peste. Tra le loro eccezio­nali miniature spiccano quelle di Les Très Riches H eures, 1413 -14 16 (non com­pletate e montate solo più tardi con la partecipazione di altri artisti: Berthélemy d'Eyck, Jean Colombe: sarebbero sicuramente dei Limbourg 60-70 miniature) . L'opera comprende tra l'altro un calendario con i dodici mesi, ritenuto una del­le espressioni più alte del Gotico internazionale.

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114 PARTE SECOND; l l L';lUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN tlh!BIENTE PROFANO

fig. 5e. Ii·ento, Castello del Buoi/consiglio. Torre deli'Jlqwla (1390-1407). Mese di Dicembre: La mccolta della legna. Cinque uomini stmmo tagliando 1111 bosco; dal terreno sporgono i tronchi tagliati ;1 sinistra due boscaioli tagliano 1111 rdbero a colpi di accetta. Un altro boscaiolo sta accatasfa!ulo i tronchi già tagliati;· una catasta già formata e legata è trascinata in prù11o piallo. Infine a destm w1 boscaiolo sta legando la legna su un carro a quattro mole, pronto a portare il carro co11 i lmncbi de11/1'0 la città, CÙifa da doppie 11111/'tl e un fossato che rdimenta un mulino. È la desaizione completa di un ciclo di lavoro.

Il soggetto dei vari mesi è la Francia agli inizi del XV secolo: un ritratto esattis­simo dei luoghi con i con­tadini e i signori, distinti negli abiti e negli atteg­giamenti (i primi lavorano sempre, i secondi mai) ri­presi nell'ambiente reale, di cui nessun elemento de­ve essere trascurato. Ciò che caratterizza l'opera dei fratelli de Limbourg è proprio che persone e co­se sono comunque indi­spensabili per creare e ca­ratterizzare l'ambiente ed è questo a costituire insie­me la scena e i personag­gi, formando dei quadri completi, precisissimi nei dettagli e nell'insieme 4•

Tutti i mesi sono sormontati dal cielo stellato con i segni dello Zodiaco racchiu­si dentro semicerchi. Esaminiamone qualcuno (tra quelli sicuramente dei de Lim­bourg). L'anno comincia con un grande pranzo di Capodanno in cui il duca, il vescovo altri dignitari (tutti uomini) siedono attorno a una tavola imbandita: si potrebb~ studiare quali cibi mangiano e quali vini vengono versati da coppe e boccali. Aprile [fig. 6a]: siamo davanti a uno dei castelli dei Berry quello di Dourdan con il borgo a destra; davanti c'è un lago con delle barche, d~lle piantate, un pra~o. A ?est~a ~n orto recintato con allineate coltivazioni. In primo piano quattro persone m p1ed1 e tre che raccolgono fiori. Probabilmente è un fidanzamento: tra J ean de Bourbon et Marie de Berry nel1400, o tra Charles d'Orleans e Bonne d'Armagnac

CAPITOLO 2 l IL CICLO DEI MESI 115

fig. 5/ Ii·ento, Castello del Buonconsiglio. Torre dell'Aquila (1390-1407). Mese di Febbraio: La neve. In tomo alle mura del castello la neve ha imbiancato H terre110: le dame e i cavalieri si tirano palle di neve. Sulla destra due contadini con i cani cercano qualche animale da cacciare. Dentro alle m ma del castello (circondato da 1111 fossato) l'atmosfera sembra essere già primaverile: ci sono piante sempreverdi, la neve è caduta dai tetti, l'uomo che apre la poi'! a sembra in abiti più leggeri.

nel 1410. I vestiti sono perfetti: sembrano pronti per una sfilata di altissima moda. Giugno [fig. 6b]: è dominato dalla Cité e davanti sono rimasti sotto il sole solo i contadini: gli uomini falciano , le donne rastrellano. Luglio [fig. 6c]: due contadini tosano le pecore e altri falciano un campo di gra­no dentro cui si distinguono papaveri e altri fiori; intorno file di salici potati; al di là di un fiume si accede attraverso un ponte di legno coperto a uno dei gran­di castelli dei Berry: quello di Poitiers. Agosto [fig. 6d]: il duca e i suoi amici cavalcano in vista del castello di Etampes, per andare alla caccia col falcone: davanti alle mura del castello dei contadini mietono (probabilmente un secondo raccolto per mangime), caricano su un car­ro e alcuni fanno il bagno. Chi è sotto l'acqua è dipinto in grigio (tutto o in par-

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116 PARTE SECONDA / L'AUTONO.IIA RAPPRES/iNTAZIONE DI UN ; L\JBIENTE PROFANO

fig. 6a. Frères de Limburg, "Les Très ricbes heures" del duca de l3eny (1413-1416). Cbautill.J\ Musée Condé. In Apnle, elegantissime dame cbù1ccbierano col duca di Berry sui prati in tomo al castello di Dourda11. Due donne, di cui 1/1/(/ conu11 interminabile strascico rosso, colgono fiori. Davanti al castello c'è 1111 lago con due bm·cbe tra cui è tesa 11/Ja rete di cui i Lilllhourg banno realiJticamente disegnato i galleggia/Ili. Altrettanto preciso è il disegno del borgo accanto al castello e dell'orto recintato sulla destra: c'è una vite a spalliera co!Jiro il muro, dei riquadri tra alberi e fiori (siamo in aprile) e una staccionata co11 cam1c incrociate.

fig. 6b. Frères de Lù11burg, "Les Très ricbes beures" del duca de Ben)• (1413-1416). Cbamill)\ Musée Coudé. A Giugno il duca e la sua corte banno ceduto Il posto ai contadini: tre uomini falciano e due donne mstrellauo il fieno e lo raggmppauo in covo11Ì. Anche qui si 11oti il realismo: tra l'area falciata da 1111 coutadù10 e l'adiacente resta1ma sfiÙCÌa di erba alta, come avviene Ùl realtà. Lt1

differenza tra l'erba tagliata e 11011, è resa con due verdi diversi. Il campo è lùmitllo da una fila di alberi lungo 1111

canale; al di là le !lttn·a della Cité di Parigi. I teti i sono blu, (salvo due torri rosse); per sepamrli dal blu del cielo, untbiarore sottolù1ea l'orizzollle.

te) mentre chi è fuori o sta uscendo è color carne nella parti fuori dell 'acqua. Anche nelle tantissime miniature non riferite ai singoli mesi - accanto alle tra­dizionali scene teligiose - sono molte quelle che descrivono la Francia e i fran­cesi all'inizio del Cinquecento, imitando anche per i Magi, la Madonna o Gesù, gli abiti e i modi dei contemporanei; non dimenticando mai che può nevicare, che c'è la legna da tagliare, che le pecore vanno ricoverate sotto una tettoia, che se fa freddo donne e uomini si riscaldano attorno a un camino, e che attorno al nostro mondo e alla vita di ricchi e poveri, gli alberi fanno frutti e poi perdono le foglie e gli uccelli volano e cercano cibo. La tecnica della miniatura permette una precisione quasi fotografica per cui ogni parte delle scene si presenta come una scena completa senza momenti di maggiore o minore importanza. L'opera dei de Limbourg è una delle più im-

CAPITOLO 2 / IL CICLO DU ,\/CSI

f ig. 6c. Frères de Limburg, "Les 1ì·es ricbes beures" del duca de Berry (1413-1416). ChautilfJ\ Musée Condé. Anche a Luglio SO/lO i contadini a occupare la scena: tosano le pecore, mietono il grano: tra le messi i Limbourg banno dipinto i papaveri rossi e blu. Si noli la differenza degli abiti e degli stmmenti a seconda del lavoro. Il luogo è descrillo col! precisione: siamo davanti al castello di Poitiers incaiSato tra due montagne e circo!!dato da zm fossato, alimentato da/torrente che scorre dai campi in primo piano. Al castello si accede da Wl ponte in legno.

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fig. 6d. Frères de LriNburg, "Les 1ì·es ricbes beures" del duca de Berry (1413-1416). Cbantill)\ Musée Coudé. In Agosto dame e cavalieri tomano in scena davanti al castello di EtampeJ~· ancbe qui c'è un torrente ù1 cui alami uomini /anno il bagno, dopo essersi spogliati e aver lasciato sulla riva il vestito blu. Nelle terre i11tomo al castello si raccolgono ancora delle messi che vengono mggmppate in fustelli e poi raccolte ùttm carro a qua/11'0 mole, tirato da due ai/Ùlla!t: Una delle donne siede all'tlllltiZZOIIe Ùi groppa allo stesso awtlllo del cavaliere che ha in mano Wl falcone per la caccia (come gli altri cavalieri). Il guardiacaccia che precede a piedi i cavalieri ba intttano due falconi e una lunghissima pertica.

portanti testimonianze dell 'esigenza, nei primi decenni del Quatttocento, di elevare a protagonista indispensabile, autonomo e completo quello che si chia­merà ambiente.

Note

1 G . Calcani, Urmticbità marg;,1t1!e, "l'Erma" di Bretschneider, Roma 1993. 2 E. Powel , Medieval People, London, ed. italiana: Vita ne/medioevo, Einaudl1966; Tre cronache medievali, Bompiani 1943; L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, Einaudi 1977. J C. Frugoni e altri, Il Battistero di Parma ro, FMR 1992; C. Frugoni e altri, Benedetto A nte/ami e il Battistero di Parma, Einaudi 1995; G. Scbianchi e altri, Il Battistero eli Parma, II, Vita e pemie­ro, Milano 1999. 4 AA.VV. Les Très Ricbes Heures et l'enluminure en France au debut du X\1 siecle, Somogy, Parigi, 2004.

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Capitolo 3

Il ciclo della corte feudale

I castelli e i palazzi costruiti e affrescati dalle grandi famiglie principesche nel mosaico di feudi (o di stati) che costituiva l'Europa alla vigilia delle grandi tra­sformazioni politiche del XV e XVI secolo, sono una delle più ricche testimo­nianze su cosa quella società riteneva fosse il suo ambiente; e di come se ne compiacesse con ostentazione e senza falsi pudori. Purtroppo palazzi e castelli sono stati oggetto di distruzioni e di trasformazioni per gli usi più svariati nei secoli successivi, quando l'orgoglio, la sicurezza e le ricchezze di quelle grandi famiglie non servivano più a nulla. Leggere anzi le vicende di questi palazzi nei cinque-sei secoli da allora ad oggi, sembra da una parte l'illustrazione del mot­to "sic transit gloria m undi", e dall'altra la scoperta che la distruzione di tante opere d'arte non fu opera del tempo e dell 'incuria, ma quasi sempre proprio di quelle istituzioni che oggi consideriamo per definizione le custodi dei valori , storici ed artistici. Gli eserciti con tante reciproche occupazioni hanno certo la maggiore responsabilità; ma le istituzioni civili che li seguivano non furono spes­so da meno. Tutta la società moderna è stata ben lieta di trovare dei 'conteni­tori ' da utilizzare per i suoi nuovi 'contenuti': da Avignone dopo i papi, all 'Ita­lia dopo l'Unità. Durante i tanti e tanto diversi secoli che raggruppiamo sotto la parola Medioe­vo, marchesi, conti, baroni e cavalieri hanno proposto una immagine del loro mondo e della loro vita, motivata dal desiderio di creare - per sé e per i loro sudditi innanzitutto - un quadro moralmente e culturalmente valido che faces­se passare in secondo piano le violenze, i massacri, i saccheggi, i genocidi, le cru­deltà di cui l'epoca della 'cavalleria' fu invece ricca. Dalla fine del Duecento al­la fine del Quattrocento, castelli e residenze principesche sorsero all'uscita del­le valli alpine, verso la pianura del Piemonte, della Lombardia, del Veneto da una parte e verso le terre della Savoia, di Ginevra, del Tirolo dall'altra. Mentre l'aristocrazia affidava la rappresentazione del suo mondo alle sale dipinte dei suoi palazzi, i poveri trovavano forme più effimere di teatro giullaresco o di canzoni che però sapevano influire a volte sulle ricerche di nuovi modi da par­te delle scuole pittoriche. Tra i più antichi castelli sopravvissuti c'è la Rocca di Angera che domina l'usci­ta del Ticino dal Lago Maggiore, da secoli appartenente alla famiglia Borromeo, cui fu infeudata nel 1439 dai Visconti, che ne erano padroni dal XIII secolo. Ottone Visconti, arcivescovo di Milano dal 1262 al 1295, aveva costruito una nuova ala della Rocca (chiamata appunto Viscontea o Ottoniana) formata al pia-.

CAPITOLO 3 l IL CICLO DELLA CORTE FEUDA LE 119

no superiore da un unica grande sala (detta poi Sala di Giustizia) , originaria­mente illuminata da quattro finestre e accessibile da una scala esterna. La sala è interamente affrescata con uno dei più importanti "cicli di rappresen­tazioni profane che la Pittura medievale ci abbia lasciato" (Pietro Toesca) 1 [fig. 1]. Il soggetto degli affreschi è l 'episodio chiave della vita di Ottone Visconti che fu insieme condottiero e arcivescovo, grande feudatario e capo di una grande fa­miglia, ricchissimo di terre, soldi e soldati a piedi e a cavallo. Della sua vita l'a­nonimo pittore (indicato come 'Maestro di Angera ') ritrasse la lotta contro i Del­la Torre fino alla vittoriosa presa di Milano.

fig. 1. Jlngern, Rocca Borromeo. Sala di Giustizia. La grnnde sala è formata da due volte a crociera Ùlteramenle ricoperte da motivi geometrici vivacemente colorati; le pareti SOl/O formate da sei campate interrotte al centro dalle finestre e dalle porte di accesso alle adiacmti tom: si/om1ano così dodici spazi per altrettante scene della storia di Ottone. Al di sopra della finestra o della porta lo spazio è unitario e spesso gli episodi descritti a sinistra e a destrn si riuniscono in alto, al di sopra dell'arcbitrave, soffolù1eando la successione delle varie scene e accompagnando il passaggio da tma all'altra.

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120 PAIO'/, SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESEN'lì lZIONJ: DI UN AMBIENTE PROF; INO

fig . l a. Angem, Rocca Borromeo. Sala di Giustizia. A sinistm della /ii1estra: Ottone parla ai nobili milanesi. A destra: Ingresso trionfale di Ottone a cavallo a Milano: dietro ai notabili a pietli; la citlà è m/figumta co11 pocbi teti i e to1'!'i. I vessilli e gli scudi dei milanesi SOl/O biancbi ùt seg11o di sof/omissio11e a 01/one, cbe vi porrà il mo stemma. In alto: i carri del sole e della luna, tirati da cavalli di diversi colori.

Le scene sono piene di personaggi: le armate o il seguito di Ottone entrano sem­pre da sinistra e si confrontano con una uguale massa di soldati (nelle prime sce­ne) o di frati e nobili (nelle scene a Milano successive alla vittoria) . I personag­gi sono raggruppati in modo da formare delle masse compatte che tendono a disporsi verticalmente con straordinario effetto figurativo [fig. la]. L'esaltazione di un uomo, delle sua gesta e delle sue virtù; l'ostentazione del suo potere e l'illustrazione di come lo aveva raggiunto (e/o meritato) e soprattutto l'insistenza sulla doppia autorità signorile e religiosa: questi i soggetti proposti, questa la società che si ritiene valida e migliore, questo l'ambiente che si pro­pone esteticamente, negli ultimi anni del XIII secolo, quando l'ormai invecchiata corte medievale ha iniziato- tra chiesa e comuni- ad assimilare usi, modi, am­biente del modello im pedale. Circa un secolo dopo l'opera dello sconosciuto 'Maestro di Angera ', saranno i pittori della scuola di Giacomo J aqueiro (attivo dai primi del1400, morto ante 1453) a proporci la summa del tema cortese dell 'amore nella sala baronale del Castello della Manta presso Saluzzo (1420 circa) . Probabilmente il maestro Jaqueiro non ha lavorato a La Manta, ma ha insegna­to cosa si poteva intendere per ambiente in quell'inizio del XV secolo, cento an­ni dopo Giotto, negli anni in cui il Beato Angelico dipingeva a Firenze. J aqueiro aveva poco prima affrescato le Storie di Sant'Antonio nell'Abbazia di Sant'Antonio di Ranverso (Avigliana, Torino). I personaggi sono indubbiamen­te i grandi, drammatici protagonisti delle storie evangeliche: in certi casi riem­piono totalmente lo spazio senza lasciare posto neanche per il cielo (''Salita al Calvario"). I monti, le rocce e anche le città e le mura sono comparse stilizzate ancora attribuibili ad un tardo gotico pan-europeo. Ma un terzo elemento è de­scritto in maniera precisa ed è alla fine quello che resta nella memoria dello spet­tatore: potremmo chiamarlo 'l'arredo ambientale '. "La preghiera nell'Orto de­gli ulivi" di J aqueiro è riconoscibile tra le infinite altre perché l 'orto è recintato,.

CAPITOLO 3 l IL CICLO DELLA CORTE l'EU DALE 121

ji'g. 2. Abbazia di Sant'Antonio di Ranverso (Avigliana), 1410-1420. Jacopo.Jaquerio, ~omzione nell'orto d~gli ulivi. Accanto alla tradizionale m/figurazione degli apostoli addormentali e d1 Cmto 111 preghzera, ]aqueno ba IIISISttto a dipingere la staccionata di cbiusum dell'orto, fon/lata colli/Ila ùtcai/IIIICciata intrecciata, come ~'i u.mva evidentemellfe nelle campagne piemontesi. All'estemo della staccionata Ùi primo piano a destra sale 1111 ramptcante, forse un'edera.

davanti e in fondo, da una palizzata di vimini intrecciato [fig. 2]. Nella Sacrestia i troni dei quattro evangelisti enfatizzati non sono in cielo, ma appoggiati su un terreno arido pieno di spaccature da cui escono ciuffi di erbe [fig. 3]. Nel Castello della Manta la sala principale è dominata da un grande camino con lo stemma dei Marchesi di Saluzzo e il loro curioso motto: "leit-leit" (adagio-adagio). A destra del camino nove personaggi maschili (Ettore, Alessandro Magno, Giu­lio Cesare, Giosuè, Giuda Maccabeo, Artù, Carlo Magno, Goffredo di Buglio­ne) seguiti da nove personaggi femminili (Delfila, Sinope, Ippolita, Semiramide, Etio p a, Lam peto, Tamiramide, T eu ca, Pantesilea) [/lg . 4] .

fig. 3. Abbazia di Sant'Antonio di Ranverso (Avigliana), 1410-1420. ]acopo Jaquerio, ~a volta del~a sac~esf~'a con i quaf/ro evangelisti (de/laglio). Gli evangelisti scompaiono dentro a troni moll /111/elltab. Attomo a! trom ~ e. mt terre11o arido, dalle cui spaccature esco11o ciuffi d'erba; a//'estrelllliiì dove lo spazio per dtpmgere s1 assotligba, ]aquerio ha 'sezionato' la roccia.

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122 PARTE: SECONDA l I:tiUTONOMtl RtlPPRESE:NTtiZIONE Dl UN AMBIENTE: PROFANO

/igg. 4, 5. Saluzzo, Castello di La Ma11ta. !;ambiente i11 cui si svolgono queste due scene (I diciotto perso11aggi e la "Fontana della giovi11e:t.za") è raffigurato a !t'aperto, in mezzo ad rma natura verdeggitmte. I diciotto personaggi so11o suu1t prato rigoglioso cbe si prolunga dietro di loro fino a terminare sullo sfondo bin1tco-neutro con la silhouette accumta delle foglie di a/eu/te specie; ùt primo piano molte erbe so11o in fiore. l personnggi sono separati da alberi le cui cbiome si uniscono i11 alto a concludere l'n/fresco con continui/ii. La descrizio11e 11011 può 11011 ricercare una precisione realisticn percbé solo questa può gimti/icare l'ambiente di 11110 allegra corte principesca. Ancbe se la corte di Saluzzo era tutt'altro cbe allegra e i personaggi tutti - donne comprese- ben armnti ed esaltati nelle didascalie con curriculn 11011 propriamente gentilescbi: "De1phile aveques sa suer/Arguie, quyfu de gmnd cuer/A !'ttide du due d'Ateinnes/ Fist a ceu/x de Tbebes grans peines!Car 10111e la cile pillercnt! Et /es citoiens tuerent/Les mures a usi tou abatierent/ E de puis !tt cile ardierent". [De/fila co11 la sorella Argia (definita per/or/una 'di gran cuore') apportò grandi pene ai t ebani: saccheggiarono tutta la cittiì, uccisero i cittadim; abbalterono le 1111/l'a, titcendiarono la ctltiì]. "Tamaris la royne d es ctles!Qui moul m n/ /ors gens e despiles/CyrtmJ roy de Perse et de Mede!Prist e ocist sans nu/ remjede,/Et des ses gens bien li. C mille/Puis mis la teste eu u11e pi!le/ De sane p/e in ne e dist 'Boy assés!Du sane don/ oncques ne fu lassés"'. [Tamaride prese e uccise Ciro re di Persia e di Media con duecentomila dei suoi e prima gli mise !ttlesta Ìltlllln pentola piena di sangue ordinandogli di bere]. Solo Teuca forse è descritta ùtmodo pitì benevolo - anche se con 11110 slmno /t'naie- perché dopo aver/alto guerra ai Romani e averli sconfitti "tanto accrebbe la sua bontiì da vivere in castitiì": "Teucba, sefonles anciens/Regna sur !es Yri!iens/Gens de moul grani cbevalerie!Mainte terre out en sa segnorie/Et nus Romains gmns guerres /ist!Tant qu'en maintliules descon/ist/ Et de /an/ acmi sa buntè!Que elle vesqui e n cbastitè". Quest'ultima virtiÌ 11011 è sicura me/Ile nella /t'losofia della "Fontana della giovùtezza": anche qui so11o i personaggi a creare l'ambiente cbe è senza alctma ombra di dubbio quello della massùna senstmltliì dove giovùte:t.za è intesa solo come se.uo: ancbe le figure più gentili negli abiti, 11egli atteggiamenti, nelle espressioni ostentano in qualche dettaglio gesti piacevolissimi, ma estremamente espliciti (tmcbe senza bisogno dei '/umetti').

CAPITOLO J l IL CICLO DELLA COR'J'Ii J·liUDALE 123

A sinistra del camino una lunga scena con al centro la "Fontana della giovinez­za" [fig. 5] : da sinistra arrivano i vecchi trasportati su carri e carretti, a destra escono dal bagno ringiovaniti e si danno a ben esplicite scene d'amore e poi a ca v alca te e cacce 2•

Anche il pittore di La Manta non 'ritrae' i personaggi che rappresenta (che spa­ziano dalla guerra di Troia e dalla Genesi fino a Goffredo di Buglione per gli uo­mini e in mondi ancora più mitici e leggendari per le donne). Il pittore si rivolge (qua~i certamente e per almeno qualche figura) a persone viven~i cui attrib.uisce l'onore di fungere da modelli per questo eroe o per quella e roma: ma no t non sappiamo andare oltre qualche supposizione. Come era avvenuto per i Minnesanger un secolo prima - come vedremo-, an­che qui c'è un riferimento preciso ad un testo le.tterario che ~ trasc~·itt? sotto i diciotto personaggi e che è tratto da una volummosa opera 111 vers1 e 111 prosa dettata tra il 1394 e il 1396 dal marchese Tommaso di Saluzzo (1356-1416) nel carcere di Torino: Le Chevalier Errant. Il figlio di Tommaso, Valerano (1370-1443) ordinando poco dopo gli affreschi di La Manta volle spiegare chi fosse­ro quei personaggi, rendendo contemporaneamente omaggio a~a non troppo eccezionale opera letteraria del padre. Di questo rapporto tra pr.ttu.ra e le~tera­tura una prova è l'affresco che rappresenta la "Fontana della gwvmezza :. ~el titolo e nella ricca rappresentazione è una testimonianza del nuovo modo dt m-

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figg. 6, 7. Ferrara, Casino di Scbifauoia, 1465-1 471. Sala cosidde/la dei Mesi; la teoria delle dame e la teoria dei cavalieri.

p,lRTE StCONDA l L'AUTONOMtl RAPPRESENTAZIONE DI UN AMDIENT/i PROFANO

Sono passati cinquanta amti dagli affreschi di La Jvfanla (vedi/igg. 4, 5) e si possono riscontrare analogie e differenze. A ncbe qui sol/o nove i personaggifenmuilili e 1/ot!e quelli mttscbili; le nove fanciulle sono solto 1111 portico, i nove uomini nell'eu/rata di 1111 castello. Le donne sono armatimine: spade, spado111; piccbe, !ance, scudi e ostentano tale Iom stato. Gli uonJÙJi banno le stesse armi e scudi, 1/Ja le loro espressioni sembrano meno minacciose. Cinque uomini e cinque donne hanno la corona, gli altri 1111 cappello o 1111 velo o 1111 elmo. 6

tendere la vita e il modo d'essere di uomini e don­ne [fig. 5], L'orgia della "Fontana della giovinezza" si svolge in un ambiente naturale (interrotto solo dalla fon­tana che è invece un kitsch di geometrie architettoni­che): un grande prato mol­to realistico, nella stessa scala di donne e di uomi­ni e di cavalli. Dietro, roc­ce e alberi sono presenta-ti diversamente dalla se- 7

quenza dei diciot to perso­naggi: più. stilizzato il terreno e fuori scala gli alberi che corrispondono però a specie e tipologie forestali assai bene accennate dal ceduo al bosco fitto, all'e­semplare isolato. Come a Ranverso l'ambiente non è uno degli elementi, complementare o prin­cipale: ma è una presenza capace di essere dove occorre e - se occorre- con mo­di ed espressioni diversi.

Il Palazzo di Schifanoia a Ferrara (1465-1471) può essere assunto come straor­dinaria summa conclusiva delle tante descrizioni ed esaltazioni della vita di cor­te, dei suoi personaggi, dei suoi luoghi, e soprattutto del principe: che era qui l'erede della grande dinastia Estense 3 . Ma Schifanoia è anche un esempio delle vicende e delle distruzioni avvenute nei cinque secoli seguiti alla costruzione. Scomparsi gli Estensi, dopo qualche passaggio di proprietà, il palazzo diventa

CAPI TOLO 3 / JL CICLO DELLl CORTE FEUDALE 125

fig. 8. Ferram, Casùw di Scbi/anoia, 1465-1471. Ii·a i vari lavori mppresentali nella Sala dei mesi uno dei piiÌ dettagliati è la potatum della vile. Sui troncbi si vedono i segui dei rami to!tt; mentre i qual/ro uomini al lavoro sta/l/lo tagliando con falcetti i rami della vile o dell'albero accanto; l/ Il quinto contadùw con 11110 robusta accetta li spezza per preparar/i per il camillO. Sull'e dJ/i cio li1 fondo è stata costruita tma piccionaia di legno.

Manifattura Tabacchi; poi lo occupa l'esercito napo­leonico e quindi una so­cietà francese. Passato in uso e poi in proprietà del

Comune diventa sede dell'Istituto per i sordomuti, del Liceo musicale, del La­boratorio di igiene, infine della Università che lo usa per i laboratori della Fa­coltà di Chimica fino al1976. Quello che resta ci dà una idea straordinaria della villa di campagna costruita da Borso d'Este tra il 1465 e il1471, ampliando e trasformando un precedente edi­ficio, sempre degli Estensi. Noi oggi possiamo vedere una parte del Salone dei mesi con sette mesi su­perstiti sulle pareti est e nord: marzo, aprile, maggio, giugno, luglio, agosto, settembre. Pochi frammenti sulle altre pareti. Le varie scene sono state di­pinte dai grandi maestri della scuola ferrarese: Cosmè Tura (circa 1430-1495), Francesco del Cassa (circa 1435-1478), Ercole de' Roberti (circa 1450-1496), su un programma generale preparato dal letterato Pellegrino Prisciani (circa 1435-1518), A ogni mese è riservata una striscia verticale, al di sopra di uno zoccolo-balau­stra ripartito da colonne. Ma nella striscia i mesi sono solo uno degli elementi. Al centro c'è una fascia con segni zodiacali; al di sopra scene ispirate alla mito­logia greca (''Trionfi" di Minerva, Venere, Apollo, Mercurio, Giove, Cerere, Vul­cano), al di sotto scene della vita di Borso, della sua corte, dei suoi sudditi. Sono le dame e i cavalieri a costituire l'ambiente della corte estense: sono una quan­tità straordinaria, sia nelle scene in alto che in quelle in basso. I loro abiti, il loro raggrupparsi, i loro gesti costituiscono il complesso mondo di Schifanoia. Sono sem­pre all 'aperto, o tra ruderi, o davanti ad architetture assai semplici e ridotte ad in­dicazioni allusive (le absidi di una chiesa, le logge di un palazzo, una bottega, dei balconi con tappeti esposti ecc.) [figg. 6, 7], Più affrettata la rappresentazione degli elementi naturali: i monti sono accenni stilizzati e fantastici mentre più accurata è la raffigurazione di alberi e di giardi­ni che generalmente contornano i personaggi e fanno cornice ai loro gruppi. Intorno all'eleganza degli svaghi e del far-niente, di lavoro ce n 'è poco: a marzo, alcune dame tessono a un telaio e cuciono (fascia superiore, accanto al carro

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126 PARTE SECONDA l L 'AUTONO.If,1 RAPPRESENTAZIONE DI UN IlM/l/ENTE PROFANO

fig. 9. Ferrara, Casino di Scbi/anoia, 1465-1471. Una allegorica scena dei Trionfi; attorno al carro, grendto di persone e arredi simbolici, ci sono molte figure cbe interpretano varie scene. Una grande qua11tità di comg,/i riempie la scena dove lo sfondo è 1111 gmnde speccbio d'acqua. Tm tante dame vestite in fondo si a/facciano le Ti·e Grazie, del tu/lo nude.

CAPITOLO 3 l IL CICLO DELLA COR1"E FEUDALE

fig. 10. Fermra, Casino di Scbi/anoin, 1465-1471. De/laglio del mese di Seltemhre: Marie e Ylin so11o n !ello, solto u11o stropicciato lenzuolo. Al lato del le/lo il vestito di lei e In corazza di lui JIOII larcia11o dubbi sul /atto cbe i due stanno facendo /'amore.

fig. 11. Alessa11dria, Sa11 Francesco; da Fmgarolo (mscùltl Ln Torre), feudo di Andreino Toni, 1395-1400. Lnncelot e GùJevm, Galebot e Madame de Malobaut a /ello, solto due coperte n zig-ZIIg e ti onde e dietro due tende maliziosamente aperte.

trionfale di Minerva), dei con­tadini potano una pergola di vi-

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te (fascia inferiore) [fig. 8] ; a 10

maggio, pochi frammenti indi­cano lavori agricoli (fascia inferiore); a giugno, delle merci vengono scaricate (fa­scia inferiore) ; a luglio sono raffigurate alcune fasi della preparazione della ca­napa (fascia inferiore); ad agosto vengono scaricati dei sacchi di grano (fascia su­periore) e dei cavalli trebbiano il grano (fascia inferiore). Queste scene sono in genere molto accurate ed esatte, ma sempre laterali rispetto ai gruppi dei corti­giani e delle dame. Ci sono dei nudi, ben in evidenza: le tre grazie (aprile) [fig. 9], una schiera di bambini (maggio), Marte a letto con Ylia (settembre) con i vestiti dei due de­posti in perfetto ordine davan­ti al letto [fig. 1 O]. Il mondo che viene proposto ai cortigiani degli Estensi in visi­ta in questo casino di diverti­menti è la cornice alla descri­zione della vita di Borso d 'Este, che non sembra davvero né eroica, né cavalleresca, ma al­quanto banale. Alla fine del XV secolo questo evidentemente offriva - e chiedeva - il mondo signorile: il Medioevo sarebbe finito sul calendario; pochi an­ni dopo, il Rinascimento se ne era già liberato. Non occorre attendere però gli ultimi decenni della cronologia ufficiale del Medioevo perché proprio nelle pagine delle Cbansons des gestes, tra batta- 11

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128 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESEN"ti lZIONE DI UN AM/3//:,NTE PROFANO

fig. 12. fliltbolt von Schwangen è bloccalo nel/a co!! a e col cimiero come fosse in ballaglia. Ma prende per ma110 duefancùt!le, con cui danzerà al suoJJo del violino monato dal/liti terza fanciu!!a. Questa minitllura può essere considerala 1111 sùnbolo del/a nuova vita a cui si riferiscono i Mùmesanger (e non solo) per almeno due motivi: l. Il cavaliere ba ancora l'armatura, ma pensa e desidera 111/tl vita diversa; 2. Il pittore 11011 considera la camice del/a miniatura come 1111 vincolo obbligato, ma tiiiZi ne esce fuon; proprio per sollolineare l'oggello cbe costifllisce la novità: il violino.

glie, tornei, duelli, assedi e quant'altro, il prode cavaliere sognerà sempre la donna amata e ci andrà anche a letto. Circa settanta anni prima di Marte ed Ylia nel letto di Schifanoia, Lancelot e Ginevra dormivano nudi dietro le cor­tine maliziosamente aperte in una tor­re a Frugarolo, feudo dei Visconti (af­freschi adesso a San Francesco, Ales­sandria) [fig. 11].

Il ciclo dell'amore profano aveva trovato espressione completa ed autonoma fin dai versi di quello che è considerato il primo trovatore: Guglielmo IX duca di Aquitania (1071-1137). Ritroviamo probabilmente in Provenza, nell'area rena­na, nell'Italia del Dolce Stil Novo antiche influenze classiche in latino, canzoni popolari e la conoscenza della società islamica soprattutto attraverso il califfato di Cordoba durante gli Omayyadi (756-1031), ma anche attraverso la Sicilia. Va­lori fino ad allora considerati 'peccato' e nascosti o contrabbandati misticamen­te, vengono invece assunti come elementi autonomi che esaltano sentimenti or­mai ritenuti necessari per vivere bene con se stessi e con la società. Innanzitutto l'amore: non per dio o per astratte e lontane virtù, ma tra gli uo­mini e le donne; e anche se saranno soprattutto gli uomini ad esprimere il desi­derio, questo è talmente accompagnato dalla venerazione verso la donna e dal­la rassegnazione alla insoddisfazione e alla pena d'amore, da esaltare in definiti­va di più l'oggetto del desiderio che le motivazioni di chi desidera. Questo nuovo atteggiamento si esprime contemporaneamente in molti campi: in quello letterario-poetico soprattutto coincidendo con l'abbandono degli ultimi residui del latino - ed isolando con ciò indirettamente il mondo centrato sulla chiesa cattolica - e parlando e scrivendo nelle nuove lingue. Ne è una conferma il fatto che qualsiasi testo di storia della letteratura italiana o francese o tedesca, anche a livello scolastico, comincia proprio il capitolo sui primitivi o le origini con gli scrittori di questo periodo. Se c'è un'epoca in cui la documentazione del nuovo ambiente avviene contemporaneamente in tutte le espressioni dell'opera­re umano è certo quella che si situa tra il XII secolo e l'inizio del XIV. Il caso forse più documentato è quello che riguarda il bacino del Reno e insie-

CAPITOLO J l IL CICLO DELLA CORTE FEUDALE

fig. 13. \'(la/t ber von der \fogelweide (11 70- 1230 circa) è forse il più famoso dei Mùmesange1: Compose negli anni 1198-1203, selle poesie definite come ''poesie della natura'~ cbe iniziano appunto co1r 111/tl

descrizione della 11t1tura con prati in fiore e uccellini clilgue//anti a cui si aggùmge lt1 descrizione dei rapporti d'amore (e dopo il/205 compornì dieci poesie, delle "delle fandu!!e"). "Sedevo Slllllltl roccia l accavallai le gambe, l vi t1ppoggit1i sopra il gomito l e mila mti!Jo tiCCOIIJodai l il melito e la guflncifl. l E pe11savo intensamente l al modo di vivere nel mondo".

me la lingua tedesca e il mondo caval­leresco dell'Impero. Merito del noto "Grande manoscritto di Heidelberg" (Heidelberg, Bibliote­ca Universitaria, Codex Palatinus Ger­manz'cus 848, noto anche come Mano­scritto C e come Codice Manesse): 426 fogli con 137 miniature a piena pagi­na (cm. 35 x 25) con insieme il ritrat­to e le poesie dei Minnesanger, i can­

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tori dell 'amor cortese attivi tra la Svizzera settentrionale, l 'Austria e la Valle del Reno tra la prima metà del XII e l'inizio del XIV secolo. Il Grande manoscritto di Heidelberg fu realizzato a Zurigo all'inizio del XIV secolo ed è una antologia a posteriori di quanto era stato cantato e scritto nei circa centocinquanta anni precedenti 4•

Per conoscere questo nuovo ambiente si devono contemporaneamente leggere le strofe stampate sulla pagina di destra e guardare le miniature sulla pagina di sinistra che ne ritraggono l'autore. L'artista non conosceva ovviamente tutte le persone che ritraeva: forse non ne aveva mai vista nessuna, o di qualcuna aveva visto dei ritratti; è quindi dalla stilizzazione degli elementi da loro cantati che ha inventato questi personaggi, presentandoli anagraficamente con il loro stemma e il loro nome miniati e numerati nella parte superiore di ogni pagina, ma affi­dando il loro riconoscimento da parte del lettore all'immediato richiamo dei te­sti letterari stampati a fronte e comunque assai noti e popolari. Alcuni personaggi sono in ambienti interni e questi sono resi con il disegno di alcune volte trilobate come dei baldacchini al di sopra dei Minnesanger (Kon­rad von Wurzburg (1225/ 1230-1287) , Reinmar von Hagenau detto il Vecchio (attivo alla corte di Vienna) , Hiltbolt von Schwangen (prima metà XIII secolo) [fig. 12]: è rarissimo che questi siano soli (e se lo sono è perché la solitudine è uno dei temi della loro poesia che il pittore vuole mettere in risalto: come per il famosissimo Walther von der Vogelweide) [fig. 13]. Di solito la dama desidera­ta e cantata li accompagna e sono queste le miniature che più ci raccontano l'am­biente dei trovatori tedeschi. È innanzitutto l'atteggiamento reciproco dei due che ci dice in che ambiente si

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PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN AMBIENTE PROFANO

fig. 14. Der Scbenk von Limbourg (seconda metà del XIII secolo; e sappiamo quale scuola di miniaturisti/oSie il Limburgo) è rappresentato li1ginoccbiato davanti alla sua dama cbe gli l/teti e Ùl testa il cimiero COli cui egli monterà sul cavallo cbe lo al/ende: dietro a questo, 1111 albero se1peggiante COli pocbe evidenti/aglie (forse un /i co) serve come appoggio per due uccelli allusivi (mi pavone e un /alca) e come sostegno alle redini del cavallo: straordinaria raffinatezza realistica Ù!

1111 insieme ancora tanto stilizzato da 11on preoccuparsi nellll/lello cbe l'albero stesso arrivi fino a terra.

fig. 15. Ko11md vo11 Altstetten è rappresentato in 1111a scena d'amore con i due amtmti strettamente abbracciati:· l'ambiente è coerentemente rappresentato da un albero cm1 mormi/im'i rossi tra giravolte di rami, mentre alcuni /imi so11o a11com in gemmglio e 1111 falco ma11gia dalla maJw di Konrad.

fig. 16. Heùnicb von Monmgen (forse morto nel 1217; avrebbe partecipato alla III Crociata e sarebbe rimasto alu11go in Palestina) è forse il pilÌ grande dei Mi11nesiùJge1; mwo origi11ale e profondo di \f!alter von der Vogelweide, ma più multi/orme e poetico; si altema11o la spwsieratezza e la depressione, lo scberzo galante e l'insoddisfazione: la natura assiste al desiderio ed è bella come la dom!tl desiderata. "Ab, potrò ancora rivedere l risplemlere 11ella 1/olte, l pùì bia11co della neve, l il bel cmpo di lei? l I miei occhi si erano illgan11ati l bo pensato cbe fosse l la luce chiara della Irma". l È l'alba. l "Ab, potrà a11cora egli a/tendere l qui co11 me il mattùw, l senza ripetere, qua11do la notte l ci lascia, il lamento l contro il giorno cbe sorge? l Cosl egli/ece tristemente l l'ultùlltl volta acca11to a me". l È l'alba. l "A/;, mille baci ella mi diede l mentre dormivo, l e calde lacrime l le correva11o. l Io la co/Isolai l finché non pianse pi!Ì l e mi strinse a sé". l È l'alba. l "Ab, qua11te volte l si è perso a co!ltemplarmi, l quando mi scoptiva l per vedere senza velo l nude le mie braccia. l E miracolosamente l mai se ne saziava". l È l'alba.

fig. 17. Konrad von \'(/urzburg (morto a Basilea nel1287) è raffigurato mentre detta a 11110

scrivano d;e è pronto a scrivere sia col/lilla pelli/a, sia C0/11111 penuello (de/taglio).

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CAPITOLO 3 l IL CJCLO DELLA CORTE FEUDALE 131

trovano attraverso la presentazione di ciò che essi stanno 'recitando'. La stilizzazione è negli oggetti intorno ai personaggi (spesso questi sono seduti su rocce o su letti: ma il manto erboso o le coperte sono trattate nello stesso mo­do iconografico), ma nessuna stilizzazione invece è nei personaggi, dove l'e­spressione del volto è accompagnata da quella delle mani, dall'atteggiamento, dal rapporto con la dama o con l'insieme. È tutto un nuovo mondo che - con una esclusione totale di qualsiasi riferimento religioso imprevedibile pochi anni prima - esplode nei Minnesanger [figg. 14-17].

Note

1 P. Toesca, La pittura e la miniatura nella Lombardia, dai più antichi monumenti alfa metà del Quat­trocento, Milano 1912 pag. 156-170; Gregari e altri, Pittura tra il11erbano e il lago d'Orta dal Medioevo al Settecento, Milano 1996; M. Natale, La Rocca di Angera, Silvana editoriale, Cinisello Balsamo 2000. 2 Un analogo tema era stato trattato dal 'Maestro del Trionfo della Morte' nel Camposanto di Pi­sa (circa 1360): ne Il giardino dell'Amore sono allineati seduti uomini e donne con strumenti mu­sicali in un bosco, su un prato fiorito. 3 R. Varese, Il Palazzo di Scbtfanoia, Bologna 1992; R. Longhi, Officina Ferrarese, ed. ampliata, Fi­renze 1956 . .J FMR, 1983; L. Mittner, Storia della letteratura tedesca, Einaudi Torino 1977.

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Capitolo 4

Il racconto di una giornata: Ambrogio Lorenzetti

Un ruolo di straordinaria importanza nella ricerca e raffigurazione dell'ambien­te ha la Sala della Pace nel Palazzo Pubblico di Siena, originariamente Sala dei Nove: qui si riuniva infatti il governo di nove membri, popolani e mercanti, che resse lo stato senese dal1287 al 1355. Per giudizio unanime dei contemporanei e degli storici, fu il miglior governo di Siena e gli affreschi che decorano appunto la sala in cui aveva sede, hanno un riferimento preciso con la conduzione della cosa pubblica e con la vita che essa garantiva nella città e nel territorio. Li eseguì nel1338-1339 Ambrogio Lorenzetti (attivo dal1319, morto nel1348 durante la peste che uccise anche il fratello Pietro, più anziano di circa venti an­ni). La Siena dei Nove, dalla fine del secolo precedente, era uno dei centri più importanti d 'Europa per la ricerca di una qualità urbana anche formale e figu­rativa, considerata come elemento essenziale della conduzione politica; esisteva la carica di "Primo Pittore della città" affidata prima a Duccio di Boninsegna , poi a Simone Martini, infine ad Ambrogio Lorenzetti 1.

Al 'Primo Pittore' spettavano i lavori nel Palazzo Pubblico: qui Duccio dipinse alcuni castelli e città conquistati da Siena (Sala del Mappamondo), Simone Mar­tini dipinse la Maestà e altri castelli assediati da Guidoriccio da Fogliano (sem­pre nella Sala del Mappamondo). Ambrogio Lorenzetti oltre all 'intera Sala dei Nove dipinse delle Storie Romane, una Maestà nella loggia all'ultimo piano, il mappamondo murale girevole che diede il nome alla sala (tutti scomparsi). Anche sul mappamondo erano raffigurate le terre e i castelli del dominio sene­se che erano evidentemente il tema dominante del Palazzo e dell'immagine che il governo voleva dare. Questa pittura dedicata alla presentazione del territorio senese costituì quasi un genere a sé: "pittura topografica" 2 • Era un tema ben di­verso dalle pale d 'altare con Cristo, la Madonna, i santi su fondo oro che la scuo­la senese produceva al massimo livello e quasi di routine: diverso il soggetto, ma anche le dimensioni (intere pareti), le tecniche (affresco), il rapporto con i cit­tadini sia simbolico che figurativo. Nelle pale i grandi personaggi dominavano da soli in posizione trionfante, fos­sero sul trono o sulla Croce: episodi e scene della loro vita o miracoli post mor­tem, erano relegati nelle predelle, nelle zone laterali e negli sportelli, spesso nel verso. Questi quadri di piccole dimensioni rappresentano in genere delle scene in ambienti urbani di straordinario interesse e valore e sono ancora una volta il collegamento tra il mondo divino e quello presente e quotidiano. Nel grande affresco della Sala del Mappamondo nel Palazzo Pubblico di Siena de-

CAPITOLO 4 l IL RACCONTO DI UNA GIORNATA: J!,\/BROGIO LORENZETTI 133

dicato a Guidoriccio da Fogliano (1328) [{igg. 1, la, lb], Simone Matt ini limiterà l'interesse per i castelli e le fortezze al ruolo di scenografia, lasciando campeggiare al centro la gualdrappa che ricopre cavallo e cavaliere; ma ai lati, quasi fuori scena, dipinge le tende, i pergolati, il paesaggio naturale. Questo è sgombrato da ogni for­ma vegetale e il profilo dei luoghi è accentuato. L'immagine ha altri protagonisti da esporre in modo gerarchico: il predatore (il cavaliere), la preda (le città murate) e la dinamica della predazione (assedio e palizzate difensive). Tuttavia si può percepire con chiarezza almeno un aspetto emblematico del-

fig. l. Simone Marti11i, Guidoriccio da Fogliano, 1328, Siena. Palazzo Pubblico, Sala del mappamo11do. C'è solo u11 perso11aggio in scena: Guùloriccio. Per esaltarlo Sintone ba dipù1to ugualmente la veste del cavaliere e la gualdmppa del cavallo, con 1111 forte disegno geometrico, 1111ico nel qu(/(lro, cbe altrimenti t end(~ alla 11101/0Cromia, sin dei terreni, sia delle case e castelli:

fig. la. Simone Martù1i, Guidoricdo da Fogliano, 1328, Siena. All'estrenuià sinistra dell'affresco è mppresentato Montemassi: mum, torri, case so110 tut/e dello steno colore smorto, cbe è il colore della monltlgJw.

fig. Ib. Simone Martin i, Guidoricdo da Foglia11o, 1328, Siena. T n tomo alla montagna cbe cbùtde l'affresco a deslm Simone ba disegnato tende e ves si/ti. Vaccampameuto ÙJ primo piano è /orma/o da gmndi tende con doppi e tripli sistemi di timnti, e da capanne di paglia. A i lati dell'accampamento due pergola ti sono 11/Ja /esiÙI!OIIÙIIIZa del/e coltivazioni anteriori all'accalllpamento.

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134 PtlRTE SECONDA l L'AUTONOMt l RtiPPRE.5EN'Ii lZIONE DI UN AMBIENTE PROFANO

l'ambiente di quei tempi: l'arroccamento e l'incastellamento dei nuclei abitati. Nel dipinto sono evidenti i tratti essenziali della struttura territoriale che hanno caratterizzato la Toscana sud-occidentale nel periodo della ripresa tardo-me­dioevale: due cittadine sulla sommità collinare (Montemassi a sinistra e Sasso­forte al centro), ben turrite e differentemente fortificate (manifestazione di un'ar­chitettura militare non ancora del tutto codificata); una campagna totalmente smantellata del bosco e con accenni di agricoltura ben strutturata (vigneti) , ma priva di presenze abitative isolate, ad eccezione - forse - delle capanne attorno alle vigne e alle tende militari. È l'ambiente che consegue al collasso amministrativo dell'assetto territoriale e al­la riduzione e dispersione demografica nell'alto medioevo che produssero signi­ficativi mutamenti nella morfologia ambientale come la contrazione e la disloca­zione delle superfici coltivate per la diminuita pressione dei nuclei cittadini sul­la campagna circostante, per l'impaludamento delle piane alluvionali e il disse­sto dei suoli più esposti al degrado, con conseguente avanzamento del bosco, con espansione delle zone acquitrinose e degli incolti. La tendenza reattiva a questo stato di cose viene individuata, intorno ai secoli X e XI, e si avverte con una pro­gressiva riaggregazione degli habitat umani, con la costituzione di nuovi agglo­merati rurali, con la rivitalizzazione dei centri urbani, con lo spostamento degli

IL "PRIMO PITTORE DELLA CITTÀ": DA SIMONE A AMBROGIO.

A Ambrogio Lorenzetti probabilmente questa carica fu data quando Simone Martini an­dò acl Avignone: ma su questa data ci sono differenti indicazioni anche se il 1336 è l'anno più probabile. Infatti G hiberti ci informa che l'anno prima Simone aveva interrotto l'ese­cuzione degli affreschi a una delle porte (Porta Camollìa o Porta Romana) per andare ap­punto in Francia dove era cominciata la costruzione del P alazzo dei Papi sotto la guida di Benedetto XII (1334-1342). Simone era al seguito del Cardinale Jacopo Stefaneschi Cae­tani (che aveva commissionato a Giotto il mosaico della Navicella nell'atrio di San Pietro a Roma) che morirà ad Avignone nel1341. Altri però collocano la partenza per Avignone nel1340 sulla base eli alcuni atti notarili riguardanti proprietà immobiliari di Simone o l'ac­quisto dei mattoni per costruire una casa; ma non c'è prova che alla redazione di quegli atti Simone dovesse essere presente. Essi testimoniano solo che non escludeva di tornare a Siena in vecchiaia - nel1340 doveva avere circa 56 anni ed era scoppiata una ennesima epidemia di peste - ; morirà invece nel 1344 a Avignone, ma la moglie tornerà nel1347 a Siena. Del resto confermerebbero la data del 13361a vastità dei lavori fatti da Simone ad Avignone e la poco credibile altrimenti brevissima durata della protezione del cardinale Stefanescbi e del papa Benedetto XII. Col successore Clemente VI (1342-1352) sarà un al­tro italiano, il viterbese Matteo Giovannetti (notizie dal1322, morto nel1368, ad Avigno­ne dal1343 all367) a diventare il principale pittore dei papi avignonesi. La partenza di Simone Martini da Siena nel1336 permette di pensare che in quell'anno la carica eli "Primo Pittore", rimasta vacante, fosse affidata appunto ad Ambrogio Lorenzet­ti: non è pensabile che la decorazione della Sala dei Nove fosse affidata ad altri che al "Pri­mo Pittore" e non è pensabile che fosse tolta a Simone Martini, talmente "P rimo Pittore" da essere appunto inviato ad Avignone nella missione del Cardinale Stefaneschi che dove­va tra l'altro "romanizzare", tramite la filo-provenzale e non-romana Siena, l'in1magine del papato avignonese.

CtiPITOLO 4 l IL RACCONTO DI UNti GIORNATA: tlMBROG/0 LORcNZI:.TTI 135

insediamenti abitativi in luoghi più vivibili e difendibili, che in genere si risolve­va con l 'arroccamento sulle sommità collinari. L'aspetto ambientale che si accompagna a queste trasformazioni, e che contras­segnerà il paesaggio rurale italiano sino ai nostri tempi, specie per le regioni del centro , è la fortificazione dei nuclei abitati. Cinte murarie sorgono sia attorno a nuclei preesistenti sia attorno ai nuovi insediamenti. Nel secolo successivo un tema analogo sarà il soggetto della copertina di una "bic­cherna" (registro delle gabelle senesi, 1479; vedi parte quinta, cap. 2): la resa di Col-

figg. 2a, 2b. Siena, Arcbivio di Stato, Gabella 11. 39: La resa di Colle \!al d'Elsa, 1479. Tempem su tavola, 111111594 x 482. Attribuita dagli studiosi a Francesco di Giorgio Marltiu; o a Benvenuto di Giovanni, o a Giovanni di Oisto/ano e Franco d'Andrea, o pùì probabilmente a Pietro di Francesw degli Orio/i. Siena wnquistò Colle Val d'EI.ra ai fioreuttiJi dopo la cougùo'tl dei Pazzi contro i MediCJ; ///(/dopo meno di due t11111i Firenze l'aveva già ripresa. in questa "biccherna" le fende de/l'esercilo seuese sono in primo piano e sono di due tipi (fig. 2b): le tende biancbe e nere (i colmi di Siena) e alcu11e più semplici teude-telloia. Nella parte superiore, al di là de/fiume, (fig. 2a) la città è divisa in due parti co/legale dal ponte .Hl cui stam1o sfilando i cavalieri senesi, rappresenlati fuori scala rispello alle case, a/le cbiese, a/le Iom: Malgmdo le modestissime dimmsioui la loro desaizione è detfag/iala e IIOIJ generica: si noli ù1 allo a sinistm, oltre le mura, Ull altro accampameu/o seuese cbe dimoslm come Col/e \!al d'Elsa/asse assediala.

2a

2b

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136 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN AMJJlENTE PROFANO

fig. 3. Siena, Palazzo Pubblico. Sala dei Nove (Sala della Pace). llfji-eschi di Ambrogio Lorenzetti (attivo da/1319 -morto ne/1348).

le val d'Elsa, probabilmente di Pietro di Francesco degli Orioli [figg. 2a, 2b] 3.

Dallo spazio ristretto degli infiniti episodi intorno alla pale che decorano gli alta­ri delle chiese di tutta l'Europa medievale, si passa alle intere pareti delle sale dei palazzi comunali e delle chiese degli ordini mendicanti. Nel Palazzo Pubblico di Siena Ambrogio Lorenzetti ha a disposizione tutte le pareti della Sala dei Nove [fig. 3]. Noi adesso vediamo i suoi affreschi su tre pareti: quella verso l'esterno, in cui si apre una finestra, è dipinta con una falsa loggia, un trompe l'oeil, come se essa fosse completamente aperta e gli affreschi sulle altre tre pareti fossero sul fon­do appunto di una loggia (nel 1340 Ambrogio dipingerà una Madonna in Maestà con le quattro virtù cardinali nel loggiato all'ultimo piano del Palazzo). Il dipinto della falsa loggia sarebbe stato eseguito nel1491 da Piero di Francesco degli Orio­li (1458-1496) che eseguì anche dei restauri sulle altre pareti. Non sappiamo cosa ci fosse ai tempi di Ambrogio e cosa vedessero i senesi su questa quarta parete nei circa centocinquanta anni tra Lorenzetti e Orioli: forse anche qui Orioli ha ripre­so quello che c'era già? O ha inventato un soggetto nuovo? Comunque da quella loggia ci si può affacciare per vedere uno dei paesaggi che Ambrogio ha raffigurato: quello degli Effetti del Buon Govemo in campagna [fig. 5 vedi anche p. 88]. Se si attraversa il Palazzo ci si può affacciare sul Campo e ve­dere l'altro paesaggio: quello degli Effetti del Buon Governo in città [fig. 4]. L'ipotesi che Ambrogio abbia in gran parte costruito le due parti dell'affresco 'dal vero' e anzi, per quello della città, addirittura facendo i cartoni dal Palazzo

CAPITOLO 4 / IL RACCONTO DJ UNA GIORNATA: AMBROGIO LORENZETTI 137

Pubblico, non ha trovato molta fortuna presso gli storici dell'arte, più interes­sati alla fantasia dell'artista, supponendo che abbia montato pezzi visti qua e là, comunque risistemati e idealizzati. La Siena e la campagna del buon governo sa­rebbero come i Nove l'avrebbero voluta, escludendo che in cinquanta anni di loro governo essa fosse ormai la realizzazione delle leggi e dei regolamenti ap­punto dei Nove e non il loro programma (e cioè anche una ammissione di aver mancato). Inoltre non c'è nulla di 'città ideale' e anzi nella Allegoria adiacente è proprio raffigurato il buon governo con le sue varie magistrature messe in paral­lelo con le corrispondenti virtù. Per cui è lecito pensare che accanto ai perso­naggi del governo dei Nove siano rappresentati la città e il territorio che essi go­vernavano da mezzo secolo 4•

Oltretutto non dimentichiamo che il buon governo è qui contrapposto al mal go­verno e non avrebbe senso 'politico' contrapporre due modelli astratti e utopi­stici; mentre ha senso proprio contrapporre all"immagine' negativa, la 'realtà' positiva, bine et mmc. Purtroppo le condizioni di conservazione della parete con il mal governo non ne permettono né una analisi né un confronto. Il nome tradizionale di Sala della Pace corrisponde alla identificazione del mal governo- nell'allegoria, nella cit­tà, nella campagna- con la guerra: infatti i 'cattivi' sono tutti in divisa e massa­crano la gente senza divisa: i 'buoni'. Dunque l'immagine del mal governo è rap­presentata da soldati invasori; nessun soldato, o poliziotto, o comunque rappre­sentante in divisa del potere è invece nella città e nelle terre del buon governo: per i senesi durante il governo dei Nove l'immagine del mal govemo coincideva con l'invasione straniera (ossia fiorentina). Certo fa parte del buon governo an­che una forca con un impiccato: ma a condannarlo era una magistratura senese e non è detto che l'impiccato non potesse essere uno straniero 'cattivo'. Che i senesi considerassero in quel periodo la loro città come il modello migliore possibile è dimostrato da molti esempi, soprattutto in predelle di pale. Basti ci­tare "quel piacevole illustratore senese del tardo Trecento" che fu Bartolo di Fre­di (1330-1410) che nell'Adorazione dei Magi (Pinacoteca Nazionale, Siena cat. 104) non esita a rappresentare Gerusalemme con il duomo, i palazzi, le mura di Sie­na (vedi p. 179,/ig. 3)5.

Gli effetti del Buon Govemo in città [fig. 4] mostrano una veduta del Campo (che era allora il Campo del Mercato: il mercato verrà spostato tra il 1348 e il1414), presa da un'altezza corrispondente all'incirca a un primo piano: non dimentichiamo che Ambrogio dipinge nel1338-1339 quando il Campo non è ancora pavimen­tato a mattoni e con la raggiera di pietra (1346) e non c'è ancora la Fonte Gaia (1343 ). In primo piano un grande palazzo grigio domina con la sua mole: al pia­no terra un arco davanti a cui un bancone si estende ad occupare tutto lo spazio lasciando solo un passaggio per entrare in una probabile osteria (due bambini escono; in fondo una donna cuce; al centro tre signori forse giocano a dadi - ma l'affresco è rovinato); al primo piano otto finestre "a colonnelli" testimoniano che questo importante edificio era di recente costruzione (sarà sostituito dall'attuale

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138 PARTii SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESEN"I~lZIONE DI UN AMBIENTE PROFANO CAPITOLO ~ l IL RACCONTO DI UNA GIORNATA: AMBROGIO I.ORENZETTI 139

fig. 4. Siena, Palazzo Pubblico. Sala dei Nove (Sala della Pace). Effe/li del Buon Govemo in citltÌ. LA crrr;l. Le case del ce11/ro di Siena .wno domiuate in alto a .ri11istm dalla cupola e dal ca!llflalllfe del Duo1no . In primo piano un gra11de palazzo grigio domi11a l'angolo /m il Campo e la Costare!la dei Barbieri ; ba o/fo fi11estre a "colonnelli". Al piano terreno c'i! l'arco di ingresso di un'osteria e dava11ti tre pe1:wne giocano a carte o a dadi -· D affresco è dominato dalle case e dai telti della grande ricca Siena: al centro riconosciamo l'abside della cbiesa cisterce11se di San Domenico, a destra la facciata della chie.ra camaldolese di San \ligi/io. In cima a 1111a casa - qua liro 11111mtori lavorano e il cantiere è descrillo con era/lezzo: due 11111110/Jali salgouo dtt sinistm cou calce e mattoni, due muratori sltiiiiiO "m1mwdo" m 1111 ponteggio soste11u/o da travi infilate nelle "buche polli aie" (se ne vede ancbe la serie so/lostante, servita per costmire il tra/lo precede/l/e della casa). All'ùlcrocio t m la via di Città e la via dei Baucbi, c'è 1111a serie di negozi : da sitliftra, 1111 orefice, un negozio co11 merci non riconoscibili e 1111 commerciante cbe vende pezze di stoffa: alcune .w no legate mi banco con w w fettuccia, altre due rone e grigie sono appe.re sol/o ww tettoia. Due cavalieri - si avviano 11ella via dei Baucbi. IL CJL\IPO DEL MERCATO. Nel Campo del Mercato entrano i contadini con gli astili e i muli - a/traversando la porta nelle mura, oltre la quale comincia il Buon Govemo uella campagna. Da destra: due asini carichi di Jfla·bi, 1111 altro forse cDII pezze di tesmti, 111/fl contadina con un'oca, 111/fl contadina c0/11111 cesto intesta, 1111 pastore con 1111 gmppo di pecore; un'asina ba già scaricato la mercanzia e allai/ti !'IIJinello. I piani terreni delle case ml Campo - sono occupati da varie allivittÌ: 1111 calzolaio, un'aula di scuota, un negozio alrillentare co1t brocche mi banco e pezzi di macelleria appesi; infine a destra l/11 sarto e davanti 1111a do1111a al telaio. A siuistm, verso il Terzo di CilltÌ, le allivittÌ di mercato cedono il posto ad allivittÌ pùì cilladiue; 1111 gmppo di fanciulle danza al ritmo di 1111

tamburello, un corteo lliiZiale si avvia verso il Bargello.

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140 PARTE SECOND;I I L'AUTONOMA RAPPRJiSENTAZIONE DI UN AMBIENTE PROFANO CAPITOLO 4 l IL RACCONTO DI UNA GIORNA1il: AMBROGIO LORENZETfl 141

fig. 5. Siena, Palazzo Pubblico. Sala dei Nove (Sala della Pace). Effe/li del Buon Govemo in campagna. LA STRADil. La strada che esce dal/n porta del Campo del Mercato è intemamente percorsa. Due riccbi cavalieri con 1111 servo e i cani - escono da Siena per andare n caccia COli il falcone. Incontrano molti co11tndi11i che vauuo al mercato COli nsiui carichi di sacchi e Ull maiale; ù1fondo n destra per salire S/11111 ponte il contadino aiuta l'nsùm tirando/o. Altri coutadini - bnnuo già scaricato n/mercato e rientrano COli gli nnùuali scarichi o co11 la roba acquistata in cilltÌ. 1 CAMPI. La maggior parte dei campi illustra i vari momeuti della coltivazione del grauo al/l'inizio dell'es/ate 11elle fasi immediatamente successive, individuate co11 differenti pennelature: in bano u11 campo deve essere ancom mietuto e dei cani slom1o /t1cendo volare gli uccelli cbe banno nidificnto trn il grano, due cacciatori n cavallo li segnano; in alto si sta mietendo: due uomini fnlcinno, Ul/uomo e una dallllfl mccolgono e nl/nstellnno; al centro quattro contadini ballano il gmno SII Ili!' n in in una zoun già mietuta, ai lati di aielli/i covo11i di paglia e una capa1mn. I vari Clllllpi souo sepamli da barriere di fmscbe spinose in modo da tenere lontani gli tmimali (e non solo). In un campo sulla deslrn - le stoppie JOIIO or111ni seccate e si ara per rigirnre le zolle meutre uu COl/tadino con1111a wppn regola i solcbi e un altro seJJIÙ/(/ per il secoudo rnccolto cbe serviva insieme per avere foraggio fresco in nuttll/1/o e per ridare sostanza a/In terra esausta. Acca11to nl se/1/Ùifllore un uccello è prouto a beccare i seuu: Sulle zone ù1 pendio -nu111erosi i campi cou colture nl!inen/e a "rillocbiuo" o a "gimpoggio", quasi sempre vigneti: In prù11o pia110 si caccia con/n balestra ù1 un vigneto di cui si vedono i grnppoli cbe stnnuo 111nturando. Nel "Buon govemo in citta", case e le/li formavano lo ~fondo del Campo; così qui lo sfondo delle Balze è rnppresenlnlo da colline assai dolci cbe digradano fino nl111are. Qua e là masserie e castelli descrifli (soprntlul/o le prime) con molta esattezza, a dùnoslmre insieme cbe il Buongovemo dei Nove interessava 11//(/ vasta regione e che il "Prùno Pilfore" la conosceva bene.

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142 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESENTAZIONE DI UN AMBIENTE PROFANO

Palazzo d'Elci nel XVI secolo). Infatti è del1297 il regolamento che dice: "Anco statuiamo et ordiniamo che se mai avverrà che alcuna casa) ovvero casamento d) in­torno al Campo del Mercato s) edificasse di nuovo) che tutte e ciascune finestre di cotale casamento e casa) le quali avessero aspetto nel Campo del Mercato) si deb­bano fare a colonnelli e senza alcuno ballatoio fare)). Il Buon governo in città è troncato nettamente dalle mura: ovviamente quelle del­l'ultima cerchia iniziata dai Nove nel1326. Questo tratto di mura e la porta di­vidono la città dalla campagna, il "tutto-costruito" dai campi aperti. Come è no­to le mura del XIV secolo includevano anche ampie zone inedificate di orti (co­me a Firenze e in tanti altri Comuni) e quindi possiamo ricercare il punto scel­to da Ambrogio tra quelli in cui invece il distacco città/campagna rimaneva net­to, ma senza pretendere troppo rigore dalla "pittura topografica" di Ambrogio. Questa caratteristica comunque si ritrova in tutte le porte da cui si raggiungeva il Campo: la porta di Val di Montone o la porta Romana (tre volte spostata in fuori). Dalla porta di Val di Montone usciva la via della Giustizia che portava al luogo dove venivano impiccati i condannati. Anche qui la posizione in cui era collocata l'allegoria della Securitas e l'impiccato era forse un segno per i senesi contemporanei di Ambrogio, più immediato e diverso da quello che non appaia a noi [fig. 4]. Certo da entrambe le porte si scendeva, come appunto avviene lungo la strada rappresentata fuori porta nel Buon governo. Si scende tra i colli denominati Le Masse, ricchi di ville, casali, conventi, chiese, torri [fi'g. 5]. Dei riconoscimenti topografici sarebbero forse possibili se si disponesse di una carta del territorio in quell'epoca: ma quale territorio? Oltre quello immediatamente fuori porta, Ambrogio dipinge anche quello più distante, avvicinando con il cambiamento di scala territori sempre più lontani fino a includere addirittura Talamone; la sua presenza era imposta dalle ambizioni dello sbocco al mare dello stato senese (Ta­lamone era stata acquistata nel1303 ), ma doveva risultare però così inaspettata agli occhi dei senesi che accanto al profilo generico di un castello fu scritto Ta­lam: unico toponimo presente in tutta la sala (forse tagliato nell'ultima sillaba dal restauro che interessò l'ultima parte destra del dipinto ad opera di F. degli Orioli nel1492). Se non siamo in grado di far corrispondere i vari luoghi descritti a episodi cer­ti, siamo però sicuri che Ambrogio ha dipinto complessi reali: troppo esatti mu­ri, porte, pergolati, tetti, torri, campanili, staccionate, cancelli ecc. e troppo di­versi assolutamente uno dall'altro per essere generiche invenzioni. Tanta esat­tezza realistica si inserisce nella corrispondente esattezza della descrizione del paesaggio agricolo che costituisce "un vero e proprio panorama agrario dell'I­talia comunale" anzi della Toscana comunale, anzi dello stato di Siena 6•

Subito fuori porta, Le Masse sono occupate da vigneti in piena vegetazione dispo­sti "a girapoggio"; più lontano su altri colli sono ugualmente coltivati altri vigneti nel nudo terreno delle Balze dove sono recintati per difenderli dagli animali (e non solo) con alte siepi arboree come il marre/o della Provenza, il bocage della Francia o la loro più vicina edizione volterrana dei "campi a p t'gola", che Lorenzetti aveva

CllPITOLO 4 / IL RACCONTO DI UNA GIORNATA: AMBROGIO LORENZETTI

fig. G. Siena, Archivio di Stato, Califfo Nero c26. Planimetria-progetto per Talamone, 4 Aprile 1306. In questo documellfo la città è

formata da quattro serie di piccoli lotti edificabili (circa 120) ùt gran parte già assegnali. Attomo 1111 muro a andamento circolare con tre torri: quella centrale ba 11110 porta allineata confa via centrale della città. In alto un chiesa (a sinistra) e mt castello (a destra). A destra il mare.

visto in Maremma e rivedeva dalla finestra-loggia della Sala dei Nove 7•

143

Nel 1425 San Bernardino predicando nel Campo così descriveva il Buon Governo: ".... veggo le mercanzie andare attorno) veggo ballz: veggo racconciare le case) veggo lavorare vigne e terre) seminare) andare a) bagni) veggo andare le fanciulle a marito) veggo le gregge delle pecore .... )). A proposito di Talamone "una sconfinata letteratura" 8 si è accumulata sul con­fronto tra il Buon Governo (con la modestissima figura di Talam) e due tavolet­te cm 22,5 x 32,5 ciascuna (conservate alla Pinacoteca nazionale di Siena n. 70, 71) che raffigurano a volo d'uccello una città con cassero e un castello isolato in riva a specchi d'acqua. La "sconfinata letteratura" ha attribuito queste due ta­volette a Ambrogio Lorenzetti (attivo dal1319- morto nel1348) o al Sassetta (attivo dal1400- morto nel1450) [figg. 6a) 6b]. Lo spostamento di un secolo non è cosa indifferente anche perché proprio in quel secolo la Repubblica di Siena mutò non poco: e non poco mutarono anche le vicende di Talamone. Siena comprò il borgo dall'Abbazia di San Salvatore sul Monte Amiata il 10 settembre 1303 come sbocco al mare; essendo mal ridotto ne avviò la ricostruzione nel1304 e fece un piano di ripopolamento con 100 im­migrati nel1306. Di questo fu redatta il 4 aprile 1306 una planimetria: "si tratta probabilmente della più antica pianta urbanistica dell'Italia medievale" [fig. 6] 9. Ai tempi di Ambrogio e del suo affresco con Talam, la cittadina doveva essere in buono sta­to e poteva essere indicata come un punto importante del territorio senese. In quanto a un rapporto tra la pianta del 1306 e l'affresco di Lorenzetti, nessun confronto è possibile data la sommarietà di questo. Ma nessun confronto può

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6a

6b

144 PARTE SECONDA l L'AUTONOMA RAPPRESENTAZiONE DI UN AMBIENTE PI<OFA NO

figg. 6a, 6b. Sima, Pinacoteca Nazionale, 1111. 70-71 . Due tavolette (ciascuna cm 22,5 x 32,5), atttibuite a Ambrogio Lorenzetli o a Sassetta (atlivo da/1400- morto ne/1450): 1111 secolo esatto divide queste due ipotesi. Le due tavole/te potrebbero derivare da u11 unico quadro. In questo caso fa fig. 6a sarebbe a destra della fig. 6b; ma tra le due llltlllcherebbe 1111 pezzo e quasi certamente anche in alto e ÙJ basso sarebbero stati segati alcuui ceutimetri, forse per ÙJcomiciare i due pezzi in comici uguali. ùr città è quasi certamente immflgùwria rmche se la sua posizione, il territorio, H mare rappresentano 1111 paesaggio tipicamente maremma no.

Cti PITOLO 4 / IL RACCON"/ O DI UNA GIORNATA: A.IIBROG/0 LORENZETTI 145

esistere neppure tra le due tavolette e la pianta: questa mostra un tessuto a schie­re di casette tutte uguali, allineate e parallele come in un castrum romano (o co­me nelle città del futuro Stato dei Presìdi sul tipo della non lontana Populonia), dentro mura continue e piuttosto circolari, con il mare lungo uno dei lati; l'al­tra tavoletta invece rappresenta una ricca città con palazzi, chiese, case disposte in vari modi, dentro mura squadrate su un promontorio che non lascia suppor­re alcun approdo. Se ci spostiamo però di un secolo Talamone era stata assediata dai Genovesi, distrutta, rifatta (esiste un esatto capitolato per il restauro del cas­sero, 20 aprile 1407), era passata da circa cinquanta abitanti (il piano del 1306 era rimasto quindi lettera morta) a solo otto. Insomma questo povero borgo non era mai stato ricco neanche un giorno e la prudenza degli studiosi nel confer­mare che sia Talamone sembra giustificata. Resta il mistero di queste due straordinarie tavolette, probabilmente segate da una unica tavola più grande: in quella con solo il castello e una chiesa siamo tra due diversi specchi d'acqua e quello scuro in alto potrebbe essere il mare che gira dietro al promontorio su cui sorge la città, il cassero, la torre: lo specchio d 'acqua più chiaro potrebbe essere uno dei tanti laghi costieri della Maremma e in esso potrebbe bagnarsi la persona che si è spogliata nell'angolo in basso a destra della tavoletta con la città. Davanti al castello isolato ritroviamo i campi a pìgola resi con gli stessi colpi di punta di pennello che abbiamo visto sulle Mas­se senesi del Buon governo e un muro protegge dei filari di vite, raccordandosi ad altri campi intorno alla chiesa. C'è dunque un modo nuovo di cercare l'ambiente, di conoscere l'ambiente, di vedere l 'ambiente, sia quello urbano che quello rurale, alla base di questo "mo­do di rappresentare il paesaggio agreste e urbano quale non si era mai visto in oc­cidente dopo il tramonto della pittura classica" 10 .

Note

1 E. Castelnuovo, Ambrogio Lorenzetti- Il Buon Govemo, Electa Milano 1995. 2 F. Henning, Landscba/ts als Topograpbiscbe Por/raet, Berna 1980. 3 Le biccherne di Siena. Arte e Finanza all'alba dell'economia modema, Bolis Poligrafiche S.P.A., Bergamo 2002. 4 E. Guidoni, Il Campo di Siena, Multigrafica Roma 1971; è uno dei pochi che dà invece valore al "realismo" del "buon governo". 5 M. Torriti, Pinacoteca Nazionale di Siena , Sagep Genova 2003. 6 E. Sereni, Storia del paesaggio agrario italiano, Laterza Bari 1961. 7 Cfr. invece: M.M. Donato, in Ambrogio Lorenzefli - Il Buon Govemo, Electa Milano 1995. 8 E. Castelnuovo, op. cit. nota l. 9 F. Scoppola, La rocca di Talamone, in "Storia della città" n. 28, 1984, da cui anche le altre noti­zie su Talamone. 1° Castelnuovo, op. cit. nota l.

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Gentile dtt Fabriano, Pala Strozzt; Santa Trinita (particolare). Firenze, Galleria degli Uffizi (vedi p. 193).

PARTE TERZA

Un viaggio durato mille anni: i Re Magi

La fnttura è capace di creare con i quadri tllt mondo visibile assai più compiuto di quanto possa essere quello reale.

Johann Wolfgang von Goethe [1749-1832] Farbenlehre

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CapiLnlo l

Dal lontano Oriente al medioevo europeo

Come è noto solo due dei tre Vangeli sinottid (Matteo e Luca) parlano della na­scita di Gesù: Marco (come anche Giovanni) inizia il suo racconto dall'incontro di Gesù, ormai adulto, con Giovanni Battista al Giordano. I due evangelisti che raccontano la nascita, la trattano in maniera molto diversa. Luca inizia con il racconto delle storie di Zaccaria ed Elisabetta, poi di Giovan­ni Battista, infine di Maria e Giuseppe. Quando racconta della natività non par­la dei Magi né delle vicende connesse (Visita a Erode, Strage degli innocenti, Fu­ga in Egitto). I Magi sono solo nel Vangelo di Matteo (Mt. 2, 1-12).

"Ora, essendo GestÌ nato in Betleem di Giudea, a' dì del re Erode, ecco de' Magi d'Oriente ar­rivarono in Gerusalemme, dicendo: "Dov'è il Re de' Giudei, che è nato? Conciossiachè noi ab­biamo veduto la sua stella in Oriente, e siam venuti per adorarlo". Ed il re Erode, udito que­sto, fu turbato, e tutta Gerusalemme con lui. Ed egli, raunati tutti i principali sacerdoti, e gli scribi del popolo, s'informò da loro dove il Cristo dovea nascere. Ed essi gli dissero: "In Bet­leem di Giudea; perciocchè così è scritto per lo Pro/eta: "E tu, Betleem, terra di Giuda, non sei punto la minima fra i capi di Giuda; perciocchè da te uscirà un Capo, il qual pascerà il mio popolo in Israele" (Michea, 5,1-3). Allora Erode, chiamati di nascosto i Magi, domandò loro del tempo appunto che la stella era apparita. E, mandando/i in Betleem, disse loro: "Andate, e domandate diligentemente del fanciullino; e, quando lo avrete trovato, rapportatemelo, ac­ciocchè ancora io venga, e l'adori". Ed essi, udito il re, andarono: ed ecco la stella, che aveano veduto in Oriente, andava dinanzi a loro finchè, giunta di sopra al luogo dov'era il fanciulli­no, vi si fermò. Ed essi, veduta la stella, si rallegrarono di grandissima allegrezza. Ed entrati nella casa, trovarono il fanciullino, con Maria, sua madre; e, gittatisi in terra, adorarono quel­lo; e aperti ilor tesori, gli offrirono doni, oro, incenso, e mirra. E avendo avuta una rivelazio­ne divina di non tornare ad Erode, per un'altra strada si ridussero nellor paese" 1.

Le rappresentazioni tradizionali della storia di Gesù hanno sempre attinto ai due Vangeli di Matteo e di Luca, sovrapponendone gli episodi ed arricchendoli spes­so con episodi o personaggi presenti nei Vangeli apocrifi dell'infanzia. Ne è de­rivata così una narrazione da Zaccaria alla Fuga in Egitto la cui immensa popo­larità ha ignorato le contraddizioni che tale sovrapposizione comporta. Una sola contraddizione ci interessa qui. Nel racconto popolare i Magi trovano il Bambino ancora a Betlemme nel luogo in cui è nato e nell'iconografia più diffusa la loro adorazione segue immediata­mente quella dei pastori. Ma secondo Matteo (che scrive il suo Vangelo in ara­maico intorno al 50 d.C.) quando i Magi arrivano in Palestina sono passati eh-

CAPITOLO l l DAL LONTANO ORIENTE AL MEDIOEVO EUROPEO 149

ca due anni dalla Natività, impiegati per compiere il lungo viaggio, dato che que­sta è l'età al di sotto della quale Erode ordina di uccidere i bambini di Betlem­me (Mt. 2, 16). I Magi non trovano quindi più Maria e il Bambino nella capan­na o grotta della Natività, ma in una casa. Del resto- secondo Matteo- Giu­seppe, Maria e Gesù abitavano a Betlemme e vanno a Nazareth solo di ritorno dall'Egitto (Mt. 2, 23). Bisogna sovrapporre Matteo a Luca (Le. 2, 1-39), per ri­costruire quello che sarà il racconto tradizionale della Natività con l'andata da Nazareth a Betlemme per il censimento, la nascita, l'andata a Gerusalemme per la presentazione al Tempio e poi secondo Luca subito il ritorno a Nazareth, sen­za né i Magi, né la fuga in Egitto, né la strage ordinata da Erode. Da questa sintesi confusa tra i testi evangelici è nato l'episodio artistico più po­polare e diffuso, che non trova uguale né nel campo delle arti, né nel campo del­le religioni: il presepe 2•

Di questo fanno parte essenziale tre episodi: la Sacra Famiglia, l'adorazione dei pastori, l'adorazione dei Magi. Nell'iconografia più ricorrente i primi due sono fusi assieme; i Magi sono invece scena a sé. Se usciamo dall'iconografia per con­siderare le sequenze liturgiche e la conseguente tradizione popolare, questa sce­na nella liturgia cattolica è ritardata nel tempo e chiude la presenza del presepe nelle chiese e nelle case: messi i Magi accanto alla Sacra Famiglia e ai pastori, al­la vigilia del 6 gennaio il presepe si disfa e "I.:Epzfania tutte le /este si porta via". Nella liturgia ortodossa la Natività è celebrata il 6 gennaio assieme all'Epifania. È per questo che in tante rappresentazioni nel mondo cristiano del medio orien­te- e non solo -le tre scene (Natività, Adorazione dei pastori, arrivo e Adora­zione dei Magi) sono rappresentate assieme. La scena dell'adorazione dei Magi si riempie di personaggi e di ricchezze: a co­minciare dal corteo in cui -venendo da un leggendario Oriente - ci possono es­sere servitori negri e cammelli e profusione di colori e ricchezze. In questa immagine popolare quelli che Matteo chiama solamente "Magi" (e non sappiamo quale parola aramaica sia tradotta con la parola greca "magoi") di­ventano "Re Magi"; questo suggestivo incoronamento sembra introdotto dai Van­geli dell'Infanzia di cui conosciamo un testo arabo e un testo armeno, derivati probabilmente da un precedente testo siriaco, non più antico degli inizi del V secolo e che rielabora testi precedenti. Questo stesso vangelo apocrifo indica in tre il numero dei Magi, deducendolo dai tre doni evangelici tradizionali 3 .

Il racconto del Vangelo dell'infanzia anticipa fantasticamente quella che sarà la ricchezza e la fastosità delle rappresentazioni successive, per cui è interessante leggerne alcuni brani 4 .

"Tre giorni dopo (la nascita di Gesù che secondo questo vangelo è avvenuta il6 gennaio) ecco cb e i Magi d'Oriente, i quali erano partiti dal loro paese, mettendosi in marcia con un folto seguito, arrivarono nella città di Gerusalemme, dopo nove mesi. Questi re dei Magi erano tre fratelli: il primo era Melkon, re dei Persiani, il secondo Gaspar, re degli Indi, e il terzo Balthasar, re degli Arabi. I comandanti del loro corteggio, investiti della suprema autorità, erano dodici. I drappelli di cavalleria cbe li accompagnavano comprendevano do­dicùnila uomini: quattromila per ciascun l'egna. Tutti venivano, per ordine di Dio, dalla

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la

150 PARTE TERZA l UN l'l AGGIO DURATO MILLE ANNI: l RE MAGI

fig. 1. 11rles, Musée de l'Arles antique, Sarcofago della Natività (/\1 secolo). Comprende qua liro sce11e: al centro la Natività (in alto) e l'Adorazione dei Magi (in basso). Ai lati: a sinistm Mosé con /e tavole dell'antica Legge e 1111 angelo con il rotolo della nuova Legge; a destra: il sacrificio di {sacco con l'ariete che prende il mo posto sacnficale.

fig. la. Ad es, Musée de l'Ari es antique, Sm-cofago della Natività (IV secolo). Il riquadro centrale con i Magi in ca!ll!liÙIO cbe fanno ampi gesti forse indicando la scena al di sopra (la Natività) o l11 stella o pizì semplicemente il Ca//l/1/ÙIO.

terra dei Magt; dalle regioni d'Oriente, loro patria. In/atti, allorcbé l'angelo del Signore eb­be annunciato alla vergine Maria la notizia cbe la rendeva madre ... nello stesso istante es­si furono avvertiti dallo Spirito Santo di andare ad adorare il neonato. Essi pertanto mes­sisi d'accordo, si riunirono in uno stesso luogo, e la stella, precedendo!t; li guidava, con i loro seguitz; fino alta città di Gerusalemme, dopo nove mesi di viaggio. Essi si accamparono nei pressi della città e vi rimasero tre giomi, coi rispettivi principi dei loro regni. Bencbé fossero /ratei/t; figli di uno stesso re, marciavano al loro seguito eserci­ti di lingua molto differente ... " 5.

Nella Legenda aurea scritta daJacopo da Varagine, tra il 1255 e il1266, al cap. XIV dedicato all'Epifania, i Magi si chiamano in ebraico Attelius, Amerius, Damascus; in greco Galgalat, Malgalat, Sarathin; in latino Caspar, Balthasar, Melchior. Di que­sti nomi- ritrascritti nel latino del XIII secolo- non è data nessuna spiegazione. Le labili indicazioni iniziali di Matteo permettono proprio che la scena dei Ma­gi si arricchisca fantasticamente con l'aggiunta e l'interpretazione di quegli ele­menti che saranno espressi da chi la racconterà con sculture, con dipinti, con te­sti letterari, con rappresentazioni e infine con i personaggi del presepio: i Re Ma­gi propongono l'invenzione di un ambiente immaginario. L'interesse della raffigurazione è innanzitutto sui tre personaggi che sono raffi­gurati quasi sempre isolati nelle numerose rappresentazioni scultoree: sarcofagi, altari, capitelli, portali e timpani, pulpiti. Risalgono al IV secolo alcuni sarcofagi gallo-romani (Musée de l'Arles antique, Ar-

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CAPITOLO I l DAL LONTANO ORIENTE AL MEDIOEVO EUROPEO 151

les) in cui i Magi sono a piedi, in cammino, si voltano e parlano tra di loro, indi­cano qualcosa intorno (la stella che li guida?), portano i doni nella sinistra o nel­la destra a seconda del senso di marcia verso la Madonna in trono col Bambino, proteso a prendere il dono offerto dal primo Mago. Sono vestiti 'alla persiana': pantaloni aderenti, tunica corta, mantello, berretto frigio. Questo loro abbiglia­mento è diverso da quello degli altri personaggi raffigurati nella stessa scena e per­metteva quindi il loro riconoscimento, assieme all'azione scenica (sarcofago stri­gilato "della Natività" [figg. l, la]). Rara la presenza di altri elementi descrittivi di

fig. 2./l rles, Musée de I'Arles antique, Sarcofago degli sposi (lV secolo). Allomo al cercbio centrale con il busto degli sposi c'è una quantità di personaggi, Ira cui i Magi.

fig. 2a. ilrles, Musée de l'Ari es antique, Sarcofago degli sposi (lV xecolo). Nella zona iu/eriore del sarcofago degli sposi ci sono Gimeppe, la J\!fadvnna col Bambino, i tre !Vfagi col! i doni. Dietro ai Magi SOl/O scolpite le teste (in alto) e gli zoccoli (in basso) dei loro tre cammelli.

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152 PARTE TERZA l UN VIAGGIO DURATO AllLI.E ANNI : l RE MAGI

fig. 3. RoiJia, Sa111a Maria Maggiore, Arco Jrio11fale della pnina basilica illiV'ala dumn/e il pontifica/o di Sislo Il[ (432-440) per celebrare i/11[ Co11cilio Ecumenico di Efeso ( 431) che aveva proclamato lvlan'a Jbeotokos (Madre di Dio). La basilica doveva JOrgere al poslo di 1111a precedenle chiesa costmila m/l'area ricoperla da lilla premuta 11evica/a IJiimcolosa i/5 agosto 356. I:arco trio11fale ce/ehm appzmlo la /Jiatemità di Maria e l'ùlizio della vi/a di Gesù co11 episodi e iconogmfia 11011 consueti e disposti 11011 seguendo !11 cm11ologia evangelica: manca la Natività. A sinistm dall'allo: l . I:Anmmciazio11e: Maria 11011 è la vergine/la sperdula, 1/ltl è in lro/10 circondali/ da 111/tl schiem di angeli; 2. I:adomzione

un ambiente: forse solo nel sarcofago "degli sposi" (così detto dal tondo centrale con i busti di due sposi) in bassorilievo dietro ai tre Magi spuntano le teste e gli zoccoli di altrettanti cammelli, resi con eccezionale realismo [figg. 2, 2a]. Nel successivo V secolo troviamo la storia dei Magi trasformata da singola sce­na in uno degli argomenti essenziali della prima esaltazione della Theotokos, nel­l 'arco trionfale e nel primo abside di Santa Maria Maggiore a Roma (iniziato do­po il III Concilio ecumenico di Efeso, nel431). Sull'arco trionfale è raccontata appunto la storia di Maria dall'Annunciazione al-

CtlPJT0/.0 I l DAL LONTANO ORIENTE AL MEDIOEVO EUROPEO 153

dei magi: Gesù è S/11111 gm11de lro11o meni re 1Vl111ia e Giuseppe so11o su due tronipùì piccoli ai !ali e i Magi so11o due da 111111 parte e 11110 dall'altra; 3. La s/rage degli ùmocenli. A deslm da l'alto: l. La prese/1/aziolle al Tempio e l/11 angelo i11 mgno dice a Gimeppe difuggire in Egitto; 2. Vari episodi relativi all'arrivo ù1 Egitto; 3. l Magi davanti ad Erode. I: arco trionfo/e termina in basso con /e immagi11i di Betlemme e Gerusalemme (vedi p. 39). All'estmmià di molte sce11e so11o m/figumle case, panici (ili alto), cillà 1111/l'a/e (all'ziu'zio delle scene lu11go l'arco), m!figumndo 1111 ambiente pùì precisa/o e ricco di quanlo lmdizionale in occide111e 11el \1 secolo.

l'arrivo in Egitto, secondo una disposizione non cronologica di cui non è stata fi­nora spiegata la chiave. I Magi sono presenti in due scene: davanti a Erode e nel­l' Adorazione del Bambino in trono, con ai lati la Madonna e il papa su troni se­parati. I Magi sono dei giovani uomini vestiti alla 'persiana', ma con abiti colora­tissimi e riccamente tessuti. Davanti a Erode hanno atteggiamenti vari, mentre nel­l'Adorazione sono separati: uno a sinistra e due a destra- cosa quasi unica alme­no fino al Rinascimento - mentre al centro domina il Bambino seduto su un lar­go trono-divano di t ipo orientale, vestito di bianco come i quattro angeli che ne

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154 l'ARTE TERZA l UN 1'/IIGG/0 DURATO MILLE ANNI: l Rli MAGI

fig. Ja. Roma, Santa Maria Maggiore, tamburo dell'abside. }acopo Ton·iti (fine XIII secolo), L'Adomzione. I magi hanno abbandonalo l'abito 'persiano' che avevano nell'arco trionfale (ci1·ca olio secoli pnina) e si presentano nell'aspe/lo regale ormai con melo. La Madonna è S/1111111'0110 gemmato davanti a 1111 portico stilizzato; in asse sopm al Bambino, la stella C0/11111 mggio verticale che può essere stato poi interpretato come la coda della cometa.

completano l'immagine dietro alla spalliera; ai lati su due troni più piccoli la Ma­donna e il papa. Nessun accenno al corteo o al viaggio: solo i vestiti li differen­ziano dai personaggi 'palestinesi'. In entrambe le scene i Magi escono da due cit­tà stilizzate con le mura, la porta, i tetti: dovrebbero essere Gerusalemme e Bet­lemme, ma solo nel tipo sono confrontabili con le immagini di Hierusalem e Betb­leem (vedi p. 39,/igg. 7, la), raffigurate alla base dell'arco. Il fondo di tutte le sce­ne è oro, con la base verde. L'ambiente in tutto l'arco trionfale è dato dall'oro do­minante, dal senso generale di ricchezza, dall'affollarsi di tanti personaggi che ri­empiono sempre le scene. Santa Maria Maggiore ci permette un confronto anticipatore. Papa Nicolò IV (1288-1292) fece distruggere l'antico abside con i mosaici e ne fece costruire uno nuovo arretrato di 6 ml. r.fig. 3]; chiamò J acopo Torriti (fine XIII secolo) per i mosaici. Tra le finestre ai piedi della grande incoronazione su fondo oro e ricchi girali che escono da due piante usate come terminali ai lati dell'abside, Torriti rifece alcune scene della storia della Madonna: l'Annunciazione, la Nascita, l'Adorazione dei Ma­gi [fig. 3a], la presentazione al Tempio. Questi mosaici sono stati eseguiti circa 850 anni dopo quelli dell'arco trionfale (e poco più di 100 anni dopo il viaggio a Colo­nia- come vedremo -; ma Roma guarda più alla lunga storia della chiesa e del pa­pato che al nuovo Sacro Romano Impero); si direbbe che Torriti 'arcaizza'. I per­sonaggi sono gli stessi disposti nello stesso modo: a destra la Madonna in trono con baldacchino e il Bambino in braccio che prende il dono offerto dal primo Mago;

CIIP/1'01.0 l l DIII. LONTANO ORIEN l'li AL MEDIOEI'O f::UROPEO

fig. 4. Rave11na, San \!itale, Sarcofago di Isacio (V secolo). l Magi corrono con i mantelli tt! vento verso la Madonna col Bambùw, seduttl su u11a modestissima sedia senza spal/iem.

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fig. 5. Ravenna, Sant'Apollinare Nuovo, Mosaico della navata (metà 'VI secolo): i Magi. Gli elementi del mcconto desunto dai \!angeli sono proposti secondo quattro temipni1cipali, iconograficamente stilizzati: a. Tre palme: immediatamente riconoscibili dalla caml/eristica forma delle foglie e dai gmppoli di datteri pendenti. Ed è l'Oriente. b. Gli ab1ii 'persiani': diveni nelle fogge e nei colori. A noi dicono poco, liNI forse ai citladùTi dell'Impero d'Oriente in quel Vl secolo posi-giustinianeo significava/lo qualcosa. Noi Ù!Vece leggiamo meglio gli speroni al/acca/i alle leggere scarpe, al /o11do dei pa11talo111:· i magi so11o appena scesi da cavallo. Ed è il viaggio. c. La stella: in cielo, Ù1 alto a destra, dinanzi ai tre fJersonaggi la stella che li aveva guidati /in lì. È l/liti stella a otto puute: la identificazione cou u11n cometa dovrà attendere nn cara alcuni secoli. E la stella .wl/alinea di nuovo sia il viaggio sia la Jde111ità dei personaggi: solo i mngi .rono collegati stabilmente alla stelln cbe li guida. d. l l p mio verde con q uni/m raffigurazioni di piante fiorite. È interessante uolare cb e il prato rappresenta la parte inferiore del fondo, rigorosamente delimitato Ù! alto, Sll /litta l'estensione del/n scena, dai mantelli dei tre magi. Basta qllesto n separare il pni11o piano, su cui i personaggi poggiano i piedi, dall'oro del fondo dotando la scena di ww profondità di campo che di solito non si riconosce alla mosaicistica bizantina.

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fig. 6. Cividale del Friuli, Stili Martli10, Sala capitolare. Altare dello di Racbi, VITI secolo. La prima impressione dei personaggi è data dalle piegbe dei loro abiti, cbe sollolineano soprattutto i movimenti del Bambino e del primo Mago. In alto l'angelo assume un atleggiamento di volo 'ori-a.olltale' per indicare li Bambino. Nel cielo 11011

c'è la stella cbe indica il Bambino, ma Ire stelle cbe raffigurano tutto Ull cielo stellato; analogamente a terra sono stiliz:zate varie erbe e piante.

PARTE TERZA l UN I'IAGG/0 DURtlTO MILLE ANNI: l RE MAGI

fig. 7. Rozier-Ci5tes d'Auree, Adorazione dei Magi (Xl-XII secolo). La raffigurazione è movimentata e accompagna l'andamelllo dell'arco. / Mtlgi salgono e scendono, camniÙJano e si inginoccbiano contemporaneamente: Cristo è 1111 adulto, ancbe se in braccio a M.aria, raffigurata con l/1/(/ veste largbinima.

al di sopra in verticale la stella; dietro gli altri Magi e in cielo l'angelo che vola oriz­zontalmente. li fondo è oro, con una base verde; i Magi non hanno più un abito 'persiano' ed hanno la corona. Le immagini di Torriti, se confrontate con quelle di otto secoli prima (e ancora di più con le storie lungo le pareti di Santa Maria Mag­giore sempre del V secolo) sembrano rappresentare un'immagine talmente perfet­ta da apparire ormai sterilizzata in un ambiente assolutamente 'divino'. Negli anni in cui veniva costruito a Roma l 'arco trionfale di Santa Maria Mag­giore, nel V secolo, a Ravenna ritroviamo a San Vitale nel sarcofago di Isacio, la stessa scena dei sarcofagi di Arles in chiave bizantina, senza più lo stile sculto­reo tardo-romano: i Magi arrivano ad offrire i doni addirittura di corsa con i mantelli che svolazzano rìempiendo il fondo della scultura altrimenti vuoto [fig. 4]. Non molto diversa è la rappresentazione dei tre Magi sempre a Ravenna, a San­t' Apollinare N uovo (metà VI secolo), nel mosaico all'inizio della teoria delle ver­gini lungo la parete destra della navata centrale [fig. 5]. Le raffigurazioni a mo­saico - o ad affresco - permettono una descrizione più ricca di quelle scultoree; non sono raffigurati solo personaggi, ma anche l'ambiente. Il mosaico ravenna­te ne è una prova e l 'ambiente proposto è insieme l'Oriente a cui Bisanzio ap­partiene e l'Oriente leggendario dei Magi evangelici. L'autore del mosaico ravennate ha voluto liberarsi subito del problema dell'i­dentificazione dei personaggi: in al to sono scritti i tre nomi +SCS BALTHASSAR +SCS MELCHIOR +SCS GASPAR. Chi li osserva dal basso sa quindi che sono i Re 9

CAPITOLO l i DAL LONTtlNO ORIENTE Al. MED/OEI'O EUROPEO 157

fig. 8. Fori~ San Mercurio/e, Portico principale, XI-XII secolo o inizi XIII. La scena de!l'lldomzione è /omlflta dal raggruppamento di nove b!occbi di marmo. Il primo rappresenta i tre lvlagi a letto sotto una pesante coperta con risvolto; i primi due Magi sembrano dormire ancbe se banno le mani stranamente aperte Ili l cuscino ti lato de!la testa; il terzo con la 1/lf/no slinstm accenna un gesto di saluto e di benedizione verso un angelo cbe occupa quasi a tutto tondo la pietra af di sopra e sporge con l'ala oltre lo spen-ore dell'li reo, al di fuori deL!'arcbitel/ura del portale. Quest'affi svolaz:zante, sollofinellta dll11ll sua ombra più /orte di ogni altro rilievo, era il primo segno visibile dll lontano li chi si llvvicinava lilla chiesa. Proseguendo verso destm, al centro del/l/ lune/la i J\1agi ocwpano due bloccbi. In 11110 ci sono due Magi in piedi che stt/11110 fevandosi le corone: uno guarda dliVllllfl; l'altro si è già voftato verso la Sacra Famiglia. Nel blocco succes.rivo c'è il terzo Mllgo in ginocchio: si è levato il mtulto e la corona e li ba appesi curiosamente alla parete re/rosta n te, riempiendo uno spazio ricbiesto /igumtivamente per collegarsi al blocco precedente co11 i Magi ancora i11 piedi. Poi arriva il blocco co11 il Bambi11o e la Madon11a, cbe ba già preso il do11o dlll Mago: sono i11troJm e so11o la scu!tum pirì "a tu/lo tondo" e quindi messa pirì in riSalto dalfe ombre più marcate. infine il blocco COli Giuseppe appoggiato al btis/oue e curvo in ava11!i: per gli anni certo, ma anche perc!Jé fa curva dell'arco cbe conclude la fu netta obbfiga tale posizione, quasi a con/erma dell'unicità del! a invenzione nelle cbiese del periodo gotico. Sulle pietre in alto emerge dentro 1111 cercbio, ti/Ili stellll ti sei punte, allineata con il dono in mano alla Mado1ma.

fig. 9. Arez:zo, S. Mlllia del!a Pieve, formella dal pulpito, Xl-XII secolo. I Magi sono in posizimte dimessa e quasi in ginocchiata di11a11Zi lld 1111a regllle Mado111/a co11 il Bambino.

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158 PARTE TERZA l UN VIAGGIO DURATO MILLE ANNI: l RE MAGI

fig. 10. Autlm, Cal!edrnle. Il sogno dei l'viagi (XII secolo). È la coperta che copre i Ire per.wnaggi incorona t t; la vera protagonista di questo capitello.

Magi e vede che camminano su un prato verde con numerose piante fiorite. È questo il tema personale, fantasticamente libero, con cui l'artista ravennate ci dice come si può descrivere e sintetizzare l 'ambiente in cui si è svolto il viaggio dall 'Oriente dei Magi e l'adorazione al Bambino: un prato, un colore verde. Come abbiamo visto (parte I , cap. 3) era del resto usuale che la base delle gran­di rappresentazioni musi ve fosse differenziata rispetto all'astratto e gloriosamente indifferente fondo oro, per rappresentare la terra su cui poggiavano i piedi i per­sonaggi non divini: il donatore, il vescovo, gli apostoli, i santi, le pecore, mentre nell'oro volavano gli angeli, dominavano le persone della Trinità, salivano Cri­sto e la Madonna. Questa base era appunto raffigurata come un prato e a indi­care tale stato realisticamente- in tanta stilizzazione simbolica - erano raffigu­rate delle piante e dei fiori che, anche se fuori scala, anzi proprio perché in tal modo sottolineate ed evidenziate, precisavano quale ambiente fosse quello in cui le figure stavano con i piedi in terra. Il paradiso terrestre? Il giardino arabo? Un luogo qualunque della nostra terra? Nell'invenzione dell'ambiente dei Magi un altro elemento è l'angelo che li gui­da verso Betlemme, indica la grotta, ordina in sogno di non tornare da Erode. È soprattutto come elemento scultoreo che l 'angelo assume un ruolo determi­nante offrendo occasioni alla fantasia degli scultori medievali, sempre più lon­tani dalla lettura delle sole narrazioni evangeliche. Nell'VIII secolo a Cividale del Friuli viene scolpito l'altare del futuro re longa­bardo Rachi (Sala capitolare di S. Martino): la Madonna è a destra su un trono

CAPITOLO l l DAL LONTANO ORIENTE il L AIEDIOE\TO EUROPEO 159

con baldacchino e tiene in braccio il Bambino proteso verso il primo dei Magi, seguito dagli altri due; in alto al di sopra dei tre Magi, alla quota del baldacchi­no, è disposto orizzontalmente l'angelo che indica con il braccio il Bambino mentre ali, testa, manto e piedi completano la scena in cui i protagonisti san~ ormai tre con uguale valore: la Sacra Famiglia, i Magi e l'angelo [fig. 6]. In Francia nel timpano del portale della chiesa di Rozier-Cotes d'Auree (XI-XII secolo) i Magi da una parte e il trono con la Madonna e il Bambino dall 'altra formano soprattutto due gruppi graficamente separati, con la stella al centro [fig. 7]; analoga (e valida quindi come riassunto delle tante immagini dei Magi scolpite nei secoli del medioevo) la lunetta del portale principale della chiesa di San Mercuriale a Forlì (XI-XII secolo o inizi XIII) [fig. 8]. Sono nove blocchi di marmo, progettati contemporaneamente in funzione della disposizione archi­tettonica, del racconto e della scultura da un artista di grandissima capacità. All'incirca coevo (XI-XII secolo) era un pulpito nella Pieve di Arezzo: una sola formella con una scultura bizantineggiante è rimasta (rimontata all'interno del­la facciata di S. Maria della Pieve). I tre Magi sono raffigurati come penitenti di­messi e quasi inginocchiati dinanzi ad una Madonna regale in trono e guidati da un angelo con enormi ali: niente di regale, niente di "Mago", semplici immagi­ni in cui il fedele poteva ritrovarsi [fig. 9]. Sono i personaggi che creano la scena (anzi le scene che si susseguono) e lascia­no dedurre da queste l'ambiente, inteso come allusione al racconto divino. Sui capitelli della Cattedrale di Autun (XII secolo) l'angelo che sveglia i Magi ad­dormentati emerge dietro alla coperta a pieghe che copre il letto e che è il vero elemento figurativo principale di tutta la scena. È l'azione scenica che in tutti que­sti secoli crea e motiva le raffigurazioni, diventando sempre più autonoma rispetto al soggetto originario: il capitello di Autun rappresenta forse un limite quasi ca­ricaturale con la assunzione del letto con la sua coperta come ambiente [fig. 10].

Note

1 Per tutti i testi biblici riportiamo in tutto il libro la classica traduzione di Giovanni Di oda ti (Luc­ca 1576- Ginevra 1649), traduzione italiana 1607; confrontandola ove necessario con la TOB, Al­liance biblique universelle, Parigi 1977 el' edizione italiana Leumann Torino s.d. (a cura della C.E.I. con molte note). 2 M. Picone, Presepi a San Martino, L'arte tipografica, Napoli 1954; M. Cabrè, Le santomtier, Ber­ger-Levrault, Parigi 1979; R. I-Iiltbrand, Presepi popolari italiani, EdiCart, Legnano 1989; T. Fitti­paldi, Il presepe napoletano del Settecento, Electa, Napoli 1995; R. De Simone, Il presepe popolare napoletano, Einaudi, Torino 1998; AA.VV., Il Presepio di Salzillo, Città del Vaticano 1999; K. Wolf­sgruber, Presepi tiro/esi, Athesia, Bolzano 1992; T. Fittipaldi, Il presepe Cuciniello, Electa, Napoli 1990; F. e G. Lanzi, Il presepe e i suoi personaggi, Jaca Book, Milano 2000. 3 Per i vangeli apocrifi vedi: I 11angeli apocrifi, a cura di M. Craveri, Einaudi, Torino 1969 e 1990; Vt~ngeli apocrifi. Natività e infanzia, a cura di A. M. Di Nola, Ugo Guanda editore, Parma 1977. " Dall 'Edizione Einaudi, cap. XI, 1-2. 5 Dall 'enorme bibliografia sui Re Magi: U. Monneret de Villard, Le leggende orientali dei Mt~gi evangelici, Città del Vaticano 1952; F. Cardini, I Re Magi. Storia e leggende, Marsilio 2000; M. Fé­lix, [re Magi, Jaca Book, Milano- Desclée de Brouwer, Parigi 2000.

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Capitolo 2

Le leggende popolari e l) evoluzione iconografica

I Magi non sono solo nelle auliche rappresentazioni delle grandi basiliche e cat­tedrali bizantine, romane, franche; sono una presenza essenziale durante tutto il Medioevo anche nelle rappresentazioni popolari. Nelle Alpi, lungo le strade che portano ai grandi passi, troviamo alcuni esempi importanti in cui è richiesta una particolare abilità di linguaggio, perché i fede­li sono montanari che poco hanno visto al di fuori della loro valle, o viaggiatori e pellegrini che vengono da altre svariate culture e conoscenze, anche figurative e iconografiche. Nel XII secolo, intorno al 1130, sulla strada del San Bernardino, a Zillis (alli­mite settentrionale della Val Schons nel cantone dei Grigioni, a 944 m slm), un santuario paleocristiano già rifatto in epoca carolingia viene ricostruito e dedi­cato a San Martino. Il soffitto piano è formato da 153 riquadri di legno, cm 90 x 90, che uno sconosciuto pittore dipinge nella seconda metà del XII secolo con storie della Bibbia da Davide e Salomone fino all'incoronazione di spine di Ge­sù, dove il racconto evangelico si interrompe per cedere il posto a pochi riqua­dri con episodi della vita di San Martino; intorno rappresentazioni simboliche di vario soggetto [fig. l] 1•

In questo straordinario documento di grande valore figurativo ben 15 riquadri sono dedicati ai Magi, su un totale di 97 che riguardano le storie dell'Antico e del Nuovo Testamento: la limitata dimensione dei riquadri obbliga a una divi­sione dei vari episodi del tutto singolare e in ogni riquadro il pittore spesso ri­pete i riferimenti all'ambiente. Le annotazioni semplicissime che precisano dove sono e cosa fanno i Magi, si ritrovano in tutti i riquadri di questa 'striscia' popolare romanica alpina, la cui lettura come accompagnamento ai più noti episodi evangelici doveva es­sere immediata. L'autore è preoccupato di comunicare essenzialmente tre co­se [figg. la) lb] : - chi sono i personaggi di ogni riquadro - cosa stanno facendo - dove sono. L'elemento p rincipale per riconoscere i Magi è la corona (nei vari riquadri le co­rone non sono sempre uguali e il tipo più ricorrente è uguale alla corona di Ero­de; può trattarsi di variazioni di restauri): ossia per i fedeli del XII secolo nel vil­laggio alpino prevaleva ormai il fatto che erano dei re anche perché una icono­grafia corrispondente al ruolo di 'Mago' era inesistente e comunque sarebbe sta-

CAI'ITOLO 2 f LE LEGGENDE l'OPOLARI E L'EVOLUZIONE ICONOGRAFICA 161

fig. l . Zillis (Grigioui, Con/ederozioue Elvetico), cbieso di San Martino, so/fitto (1130 circo). È formato do 153 riquadri di legno, cm 90 x 90, (restaurati ue/2002), di cui 15 dedicati ai Magi: dal riquadro 63 a quello 7 7, seguendo lo numertl1.ÙJIIe adottato do Poescbel, op. cit. (vedi fig. lo).

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162 PARTE TERZA l UN \l /AGGIO DURATO M/1./.E ANNI: l RE MAGI

/t~ .. la. ~illis (Grigioni, Confederazione Elvetica), chiesa di San MartliTo, so/fiito (1130 circa). Il viaggio dei Magz: Da smtstra 111 alto: 64. Pmno Mago a cavallo 111 movimento verso sinistra l guarda avanti e indica co11 la destra ili avanti. 65. Seco11do lvlago a cavallo i11 movù!lell/O verso si11istra l guarda i11dietro e indiw sempre co11 la destra i11 ava11ti l stesso terre11o e albero del 11. ?4 (i. riquadri 64 e 65 era110 origùwriamente invettiti i11 modo cbe solo il primo Mago guard~va ~ndretro n~olto agir altn due). 66. Terzo Mago a cavaf/o in movimento verso sinistra l tutto colite ilu.651 il crelo e c/;wro come 111/utti i riqu~ulr~ cenlra!i (con4 a destra e 4 a sùtislra) che si si accano così dagli allri segnando l'asse della dJtesa. 67. I Magt sono arnvalt a Gerusalemme: so11o qui raffigurati i tre Cl/valli che ellll"fii/O 11ella stalla rappresentata da u11 arco l per ferra c'è il prato co11 gli arhmti [tori ti. 68. l tre Magi scesi da cavallo si avvia11o verso destra per e~tlrare 11el palazzo di Erode raffigurato co11 due archi i11 fondo, llta so11o an com [t10ri e il terre/lo che calpesta Ilo e :rempre il prato con gli arbusti fi01·iti. 69. Erode ù1 tro11o 11el palazzo con zma guardia armata a fianco l guani~ a stmstra verso t M~gt del11. 68 l l'111temo è reso dall'arco i11 alto e dal pavime11to con la pedana de/trono. 75. Nel vwgg10d1 ntomo il pnmo Mago cavalca verso si11istra l è uscito dalla cri là che è mppresentata co11 due edifici a destra e a must~·a. 76. Il s;condo Mago cavalca verso si11istm ed è uSCiio dalla città di cui si vede su tutto il riquadro la grr~nde porta! t! ter~·eno e :t prato .. 77. Il ter:w_Mago è rapprese!llato all'i11i:ao di tma striscia dedicata ad altro episodio e cbmde la sene der rrquadn det/Jcatr at Magt l e dtwn/111 alla stessa città del n. 75, ma diretto verso destra al contrario dei due Magi precedenti diretti da!!'altm parte.

CAPITOLO 2 l W LEGGENDE POPOLARI E L"EI'OLUZIONE ICONOGRAFICA 163

fig . .l b. Zillis (Grigiom; Co11federazio11e Elvetica), chiesa di Sa11 Marti11o, so/fil! o (1130 circa). Profeti e allegorie dell'A11tica e della Nuova Alleanza. La setie dei nÌJlltldri del soffitto litizia con profeti e re della ge!lealogia di Cristo: 51. Roboamo, 931-913,/iglio di Salomone; re delle tre trihtì israelitiche sedeutarizzate a est del Giorda11o: Giuda, Be11iamillo, Simeo11e (2" Cro11ache, 11-12) l Roboamo si affaccia da tm palazzo di cui fa patta è decentmta per lasciare poslo a due discbi separati da distanziatori. 52. La Sinagoga è mppresentaltl dll 11110 donna cbe esce dalla porta di un edi/ieto religioso: ai lati due torri ci{tiJdricbe all'ili temo e due rettangolari con copert11ra a tetto afl'estemo. 53. La Cbiesa è rappresentata Ù!lllodo dano11 mellere tit risalto differenze nleva111i co11 la stimgoga: le torri cilù1dricbe so11o all'estemo e quelle retta11golari solto quaf/ro; il gesto della [tgum è lo stesso, il pan11eggio e f'espressio11e mello accentuati; si direbbe cbe l'unica vem differenza è una piccola croce sul tiJJtfJliiiO.

ta incompresa. Sotto la corona il primo e il terzo Mago hanno una chioma ric­cioluta, mentre il secondo ha sempre lunghi capelli svolazzanti anche quando è sceso da cavallo ed è all'interno (quasi tutte le figure sono riprese dagli stessi pa­tron con pochissime variazioni). H anno scarpe basse con stringhe che salgono ad avvolgere il polpaccio, rivestito da una calza aderente fino sopra il ginocchio ora nera, ora rossa; tunica corta che lascia scoperte le cosce e grande mantello svolazzante rosso, marrone o grigio usato anche per avvolgere i doni in segno di omaggio. Non c'è più nulla di 'persiano' e gli abiti e gli atteggiamenti dei Magi non differiscono da quelli dei tantissimi altri personaggi dipinti sul soffitto del­la chiesa di Zillis. Pochi, semplici e noti i gesti: indicare, benedire, offrire, tenere Je briglie, guar­dare verso gli altri riquadri per accompagnare la successione delle scene altri­menti frammentate. Anche l'ambiente è reso con pochi cenni, estremamente precisi e sempre pre­senti come se l 'autore si fosse preoccupato di dirci se siamo all'esterno (prato con arbusti fioriti), all'interno (pavimento, archi) o appena usciti dalla città (ca­se a destra e a sinistra). La suddivisione imposta dal formato ridotto serve a sottolineare i personaggi, l 'azione, il luogo: i Magi a cavallo occupano un riquadro ciascuno, ma se sono a piedi possono stare tutti e tre in un riquadro, a meno che siano con la Madon­na e allora saranno divisi uno in un riquadro e due in un altro; anche i cavalli quando sono in riposo nella stalla stanno in un unico riquadro ecc. Più a nord, sempre sulle vie che scavalcano le Alpi verso l'alta valle del Reno e il Tirolo, vengono affrescati in quegli stessi anni il convento benedettino eli Mustair nella valle omonima e la chiesa della Consolata a Merano (S. Marie Trost, Untermais); un secolo dopo, intorno al 1330, la chiesa di Vuorz (Wal-

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164 PARTé TERZtl l UN I' IAGGfO DURATO AfiLLE ANNI: l RE MAGI

fig. 2. La cappella di Sangta Goda (Sant'Agata) sull'altopiano di Disentis (Grigioni, Confederazione elvetica).

tensburg, Grigioni, 1070 m slm). In quest'ultima la pittura è stesa direttamente sulla roccia: i tetti di Gerusalemme, all 'inizio delle sto­rie di Cristo, seguono appunto l' andamento della pietra sotto­stante. Sui sentieri (tali erano all'epoca le vie che traversavano le Alpi) era­no del resto frequenti , anche den­tro e fuori modeste chiesette, gran­di affreschi illustrativi delle storie della Bibbia e dei santi. Lungo la strada che risaliva da sud il Tici­no e la Mesolcina troviamo super­stiti un eccezionale affresco con

Cristo e gli apostoli a San Remigio (Pallanza, secolo XII, vedi p . 107, f ig. 2) , una Ultima Cena all'Oratorio della Natività di Maria a Cadessino (Oggebbio, secolo XV) , affreschi con storie evangeliche nella chiesa del castello di Me­sacco (Mesolcina, secolo XIV) e nella chiesa di San Carlo a Negrentino (Val Elenio, secolo XI) ecc. Le rappresentazioni dei Magi assumevano forse un significato particolare per chi faceva il lungo e difficile viaggio di valicare le Alpi e l 'Adorazione poteva sim­boleggiare la sua felice conclusione, e il ringraziamento alla protezione accorda­ta per superare difficoltà e pericoli . Chi aveva attraversato il passo del Lucomagno per raggiungere la valle del Re­no, dopo aver disceso le ripide gole di Medel e poi risalito quelle del Reno, ar­rivava ai pascoli sull'altopiano assolato presso il villaggio di Disentis a 1200 m slm. Alla sua vista comparivano tanti piccoli edifici sparsi adibiti a stalle e fieni ­li, quasi tutti in legno. In muratura c'è una cappella dove riposarsi e ringraziare Santa Agata, protettrice dei viaggi, a cui è appunto dedicata (Sangta Cada, in reto-romancio) [fig. 2]. Costruita intorno al 1100 dalla non lontana Abbazia Im­periale benedettina, è rinnovata a partire dal 1420 e affrescata con scene della vita di Sangta Cada. Dopo il1460 (quando in Toscana e nelle Fiandre i maestri del Quattrocento hanno ormai dato vita alle grandi opere del primo Rinasci­mento) vengono aggiunte due grandi scene: una Madonna protettrice col man­to spalancato e una scena col viaggio e l 'Adorazione dei Magi [fig. 3]. Nelle go­le appena attraversate, il viaggio dei Magi era già stato proposto nella chiesa del villaggio di Piatta, dove il frammento superstite mostra le diverse tecniche usa­te per il corteo lontano - appena disegnato a contorno - e il corteo vicino - af­frescato a colori [fig. 4].

CAPITOLO 2 l LE LEGGENDE POPOLARI E L'EI'OLUZIONE ICONOGRAFICA

fig. 3. Altopiano di Disentis (Grigioni, Confederazione Elvetica). Cappe!! a di Sangta Goda. A Sa1tgta Goda il viaggio dei Magi percorre a se1pentina tutto l'affresco attraver.mndo!o tre volte tra ambienti diversi, mi11uziosa!llente caratteriuati segue11do quel tipo cbe è stato definito "prospettiva presepio/e", i11 cui gli stessi personaggi compaio110 piccoli in fondo e aumentano di dimemione mano a 111t1no cbe si avvicinano.

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I Magi arrivano per mare: i montanari in quel XV secolo 11011 avevano certo mai visto il mare e questo già indicava loro come i Magi venissero dn molto lo11!ano (dal di là dei passi alpini; n.uunti come con/ùle del sempre mitico 'Oriente'): arrivano in U/1 golfo con molte navi, Ira coste accessibili; ma subito scoscese. Tu/la !ti ptlrle superiore de!!' affresco è occupata da monti e valli assai sti!iuati e ripetuti: il corteo passa assai in disordi11e e le piccole /igtmite si mescolano con qualche contadino tra case e stalle sparse (come quelle dell'altopiano re/1{1/10): c'è 1111 mulino e il caua!e cbe ne alimenta la mota prosegue realisticamente fino a/mare. Alla fine della parte alta c'è Gemsalemme in mi si entm su u11 ponte di legno cbe i cavalli stanno percorrendo; dalla città turri! a il corteo esce per 1111 altro ponte levatoio, subito dietro alla 'capanna' della Sacm Famiglia. Il corteo attraversa la parte centrale dell'a/fresco e i cavalieri, tra cui i tre re al centro, sono prospetticamente pitì grandi,· all'inizio del corteo c'è una/anfarn con un tmmbone e due comi a serpentina. Questo tra!to centrale è separato dal primo piano so/lostante da una quinta di alberi: le loro foglie- disegnate con estrema precisione­quasi incoronano i Magi arrivati davanti aliti capanna. l n primo piano il corteo arriva da destra S/11111 pmto disegnato con llntumlistica competenza, su cui passeggiano due cani: uno ba Ùl bocca lo Jperone evidentemente appella tolto dagli stivali del padrone. Oltre ai Magi cbe campeggiano al centro, la "capanna" è l/1/t/ camera da letto con il /etto maii'ÙIIOI1ia!e ri/aflo con una coperta verde e i cuscini a roulenu. Davanti alletto c'è il focolare conmlfl pentola e una nicchia con gli utensili,· dietro una staccionata delimita In stalla con il bue e l'asù1o. A ricordnrci cbe 11011 siamo ÙJJ/1/a qualunque casa di ricchi contadini, sul tetto c'è la stella i11 corrispondenza n !la testa della Mndotma. l personaggi proposti ai mo11tnnnri della valle del Reno sono tutti riccbi signori venuti da / uon; COli i vestiti della corte di Carlo il Temerario (1433 -1 477); ancbe la Madotma è llllfl damigella delltl corte di Borgogna. Solo San Giuseppe è povero. L"Orie11te' dn cui proviene il corteo, anche se al di là del mare più che al di là delle Alp1; ba le sembianze di una corte imperiale.

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fig. 4. Piatta, villaggio ne!! a \fa! i\1/ede! (Grigiom; Confederazione Elvetica). Ne!! a cbiesa era affrescata t/Ila Adorazione dei lvlagi, di cui restano poche tracce. In questo framtnmto si vedono due Magi appena scesi da cavallo, con due cam;- in fondo, appena disegnato, il corteo si avvicina in mezzo alle montagne, avendo lasciato Gemsalemme: le case emergono dietro le Jllllra mer/ate.

Più ad est, a Pontresina lungo la strada che dal Bernina scende in Engadina (cantone dei Grigioni, a 1800 m slm), circa un secolo do­po il soffitto di Zillis , intorno al 1230, viene affrescata la chiesa di Santa Maria; in due riprese: 123 O e 1495 [fig. 5]2. Della prima decorazione sono ri ­masti (recuperati in successivi restauri sotto le tante scialbatu­re di calce sovrapposte nei seco­li) solo tre episodi della vita di Cristo: l'Adorazione dei Magi, il Battesimo al Giordano, l'Ultima Cena. Le tre scene sono raffigu­rate sotto tre arcate architetto­nìche che partecipano contem­poraneamente dell 'ambiente del­la chiesa romanica , fingendone una navata, e dell 'ambiente in­terno agli episodi: nell'Adora­zione un tendaggio accompagna l'arcata come se i Magi fossero entrati dentro una casa in cui la Madonna siede in trono. È passato circa un secolo dal sof­

PARTE TERZA l UN l' ltlGG/0 DURtlTO A//LL/3 ANNI: I RE ,\ lt \GI

fitto ligneo di Zillis, ma non pochi elementi fanno supporre riferimenti più an­tichi, influenzati dalla pittura bizantina, la cui larghissima estensione raggiunse anche le Alpi orientali. Le vesti dei Magi non seguono il corpo, non hanno pie­ghe né ombre, sono un disegno geometrico steso uniformemente e indifferente ai movimenti dei personaggi anche quando questi sono teatralmente complessi: il secondo Mago indica con la destra a sinistra e tiene con la sinistra verso de­stra il dono che offrirà al Bambino, dalla parte opposta; ma nulla di questa com­plicata coreografia appare sul vestito, anche se essa accompagna il volgersi del­la testa e lo sguardo degli occhi.

CAPITOLO 2 l LE LEGGENDE POPOLARI E L'EIIOLUZIONE I CONOGRAFICA 167

fig. 5. Pontresina (Grigio11i, Confederazione Elvetica), chiesa di Santa Maria, affrescbi (1230 e 1495). L'Adorazione dei Magi è uno dei pochi affreschi rimasti della serie eseguita nel1230: gli altri riguardano il Battesimo e l'Ultima cena.

Attraversando le Alpi raggiungiamo il luogo dove dal 1164 riposano le presunte reliquie dei Magi: una ric­chissima arca sull'altare della catte-drale di Colonia, in una delle regio­ni più centrali dell'Impero [fig. 6] 3.

È questo certamente uno dei motivi per cui la pittura fiamminga ha as­sunto l'episodio dell'Adorazione e del corteo dei Re Magi tra i soggetti più impegnativi. Roger van der Weyden (1400-1464) ha dipinto almeno due volte l'Ado­razione dei Magi: nella parte centra­le del Trittico detto di Santa-Colom­ba (1455-1459 circa, originariamente a Colonia, ora alla Alte Pinakothek di Monaco di Baviera) e nel Trittico Biadelin di poco precedente (Staatli­che Museen, Berlino) 4 [figg. 7, 8, 8a, 8b]. Nel primo la composizione è dominata dalla capanna perfetta­mente centrale: un edificio in m u­ratura assai rovinato, sormontato da un tetto di paglia anche lui malan­dato. Dentro ci sono il bue, l 'asino, la mangiatoia; davanti la Sacra Fa­miglia e i Re Magi; ai lati si affac­ciano pochi personaggi, forse spet­tatori locali più ancora che l 'inizio del corteo. Anche i Magi hanno po­co di 'orientale': non hanno la co­rona , ma dei berretti. Il personag­gio più all 'esterno forse è Carlo il Te­merario; San Giuseppe, come in tan­

te altre raffigurazioni fiamminghe, è un vecchio calvo, vestito di rosso. Tra que­sta scena in primo piano e lo sfondo lontanissimo, non c'è collegamento. È die­tro le arcate della diruta capanna che si vede un paesaggio composto e dipin­to in funzione della composizione; formato da prati, da boschi, da case (una grande chiesa in costruzione chiude il quadro sulla destra, e una città - forse la piccola città fiamminga di Middelbourg - lo chiude sulla sinistra) , senza più alcuna stilizzazione. Nel trittico Bladelin [fig. 8] la capanna-stalla non è al cen­tro ed è inquadrata lateralmente; nel fondo c'è solo una città (Gerusalemme in edizione fiamminga) e van der Weyden ne apre le mura e riprende in prospettiva

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168 PARTE Tl.iRZII l UN l'fAGGIO DU/VlTO .11/LLE ANNI: l RE MAGI

fig. 6. Colonia, cal/edmle di San Pietro. Testata del Reliquario contenente i corpi dei tre Re Magi, trasferiti ti Coloma nel l164; realizzato da Nicolas de \ferdun e la ma bottega tra i/ 1181 e i/ 1230, in oro, argento, smalti e gemme.

CAPITOLO 2 l LE LEGGENDE POPOLIIRI E L"E\IOLUZION/i ICONOGRilFICA 169

fig. 7. Roger van der \Veyden (1400- 1464), Trillico detto di Santa Colomba: pannello centrale con l'Adorazione dei Magi (1455-1459 circa), Alte Pinakotbek Monaco di Baviera. Due scene compongono questo quadro: davanti al centro Ullfl casa diroccata protegge la Sacra Famiglia e i Magi (tutti personaggi del Quattrocento no~rleuropeo); nel fondo wmpagne e paesi delle terre fiallllllillgbe. A llù1Jite tra il cielo scuro della notte e quello chiaro dell'alba o del tramonto, spunta la stella (ma potrebbe anche essere il sole).

una lunga strada [fig. 8a]. Non è questo il solo elemento inconsueto: per ce­dere il posto al donatore nella pala centrale (Natività) i tre Magi sono nello sportello destro e sono ancora lontani da G erusalemme: se ne vede poco più delle mura [fig. 8b]. Hans Memling (circa mezzo secolo dopo, 1433-1494) ha inquadrato anche lui l'Adorazione nella stessa capanna della Natività, (scena centrale del Trittico al Museo del Prado a Madrid, 1470 o dopo; scena centrale del Trittico Floreins al Hans Memlingmuseum-Sint J anshospi tal a Brugge, 1479; poJittico di Hulin de Loo, disperso tra vari musei: l'Adorazione è al Museo del Prado, fo rse 1460-1465) [fig. 9] 5• La capanna è anche qui un rudere e - salvo qualche sposta­mento -i personaggi recitano la stessa scena del quadro di van der Weyden: uno dei Magi è negro, un'altro è canuto e quasi calvo. L'edificio-capanna chiu-

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170 PARTE TERZA l UN \' /AGGIO DURATO .11/LLE ANNI, l RE MAGI

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figg. 8, 8a, 8b. Roger va n der \'Veyden, Trittico Biade/in (1450-1455 cù·ca). Berlù1o, Staatlicbe Museum. Il pannello di mezzo è occupato dalla Natività: la capanna non è al centro ed è vista nel suo intero volume dove colonne e bi/ore si accompagnano al tetto di legno e paglia ro[)inato. Dietro alla capam1a è raffigurata una città (/i g. 8a) di cui si vede in prospettiva una gmnde strada aperta nelle mura, percorsa da varie persone, con case, torri; campanili. l Magi sono nel pannello di destra [fig. 8b] e la stella (con dentro il Bambino) li sta gnùlando [)erm la scena centrale.

CAPITOLO 2 l LE LEGGENDE POPOLARI E L'EVOLUZIONE ICONOGRAFICA

fig. 9. Hans Memling (1433-1494), Trittico. Madrid, Museo del Pmdo. Pannello centrale con l'Adorazione dei Magi. L'impostazione è la stessa del precedente quadro di va n der \'Veyden (fig. 7); ancora più aulica e "Quattrocento fiammingo". l Magi arrivano da destra e uno è nero; a sinistra si af/accitmo due riccbi personaggi.

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de però quasi completamente il quadro e si apre con una serie di arcate al cen­tro, in modo da mostrare attraverso queste il luminoso paesaggio esterno: si di­rebbe che siamo dentro una esedra al di là della quale si affacciano le case di una città fiamminga. Nel grande dipinto Le sette gioie di Maria (Alte Pinakothek, Monaco di Bavie­ra, 1480) [figg. 10, lOa], Hans Memling pone la Sacra Famiglia e i Magi al cen­tro di una vastissima composizione, senza alcuna esaltazione prospettica rispet­to agli altri infiniti episodi; sono davanti, ma non in primo piano e l'occhio del­lo spettatore può spostarsi tra i tanti eventi presenti in questo quadro. Per assi­curare l'equivalenza degli avvenimenti, per banalizzarne la scelta da parte dello spettatore, per dare alla pittura il compito di guida al posto dei testi evangelici o più recenti, Memling sposta il suo punto di vista (anzi: i suoi molti punti di vi­sta) in alto, a volo d'uccello; l'ambiente è definito allo stesso modo dal mare in fondo come dai cavalli in primo piano. E l 'ambiente ha bisogno dei personaggi: anzi senza di questi e della loro azione, possiamo dire che la scena raffigurata non è 'ambiente'. Non possiamo considerare i Magi come l'argomento principale di queste Sette gioie di Maria: il titolo ci indica una chiave di lettura diversa dalla storia di Ge­sù (e manca infatti tutta la Passione) e forse quello che interessava era proprio far vedere come in questo nostro mondo terreno possono avvenire tutti gli av­venimenti 'divini'.

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IO

lOa

172 PARTE TERZA l UN l'lACCIO DURATO MILLE ANNI: I RE MAGI

figg. 10, lOti. Hans Memling, "Le .\"elle gioie di Maria" (1480), Monaco di Baviera, Alte Pinakotbek. Gli episodi evangelici si distribuiscono in una enorme campagna dolcemente verdeggiante: a sinistra i! lontano corteo dei Magi, l'Anmmciazione, l'mrmmcio ai pastori, la Natività, la strage degli innocenti,· al centro i Magi e i corter;- a de.rtm Cristo risorto, la Maddalena (cbe non è vestita di rosso: rosso è il 11/tlllto di Cristo risorto), la discesa de!!o Spirito Santo, l'Ascensione, la morte di Maria. Altri episodi accompagnano queste scene, inserendo/e in 1111

panorama largbissimo ricco di e/emellli naturali ed urbani che corrispondono sopra/lutto a due tipologie: -rocce e monti stilizzati, fuori scala, con pocbissimi alberi,· il/oro compito sembra e.uere quello di quinte tra le varie scene e tra alcune strade-sentieri che se1peggiauo verso il fondo creando wra straordùraria profondità, sopmllutto sulla d est m dove !tt strada comincia dal primo pia11o, dalla rossa figum fuori scala di Crirto risorto; -edifiCi di tuili i tipi: mden; capanne mmli con i tipici colombage di legno, castelli, torn; portici, campanili incerti /m momenti di realistico riproduzione e la fantasia pùì sfrenata: dispersi nella vastità del paesaggio e concentrati in rm/eerico agglomerato cil!adino: Gerusalemme con i Magi ed Erode. l n fondo, ma esaltato dal cielo, mffigumto come la parte pià luminosa del quadro, compare un tema sempre pùì presente nel!'amhimte della pillura rinascimentale europea: !'ntXJUa. C'è 1111 /i11111e CO//l/11 ponte trd archi a sùlistra e sopra/fu/lo c'è il mare con due velieri e altre barche che mnclude l'orizzonte sulla destm, e si risolve anche lui in luce. In questa prospelliva di profondissimo respiro, si nlltovono gli infiniti personaggi dei vari episodi t m w i, nella parte centrale, tre cortei di cavalieri armati preceduti da vessilli,· uno dei cortei, proprio sopra la capanna, è lanciato td galoppo. Un'altro corteo - il pizì importante - volge le spalle allo spella/ore e si avvia per ww valle pro/onda allllll'IJtalldo il se11so di grande rappresentazione di tutto il complesm; dalla prese111.a ù1 esso di un cammello, di alami negri col turbante e degli stendardi dei tre re, si deduce cbe probabilmente è il corteo dei Magi i11 partenza che ritoma in oriente evitando Gemsalemme.

CAPITOLO 2 l LE LEGGENDE POPOLARI E L'E\10 LUZIONE ICONOGRAFICA 173

Proprio per dimostrare questa attualizzazion~, la composizione (cm 81 x 189) insiste nell'accumulare personaggi dentro paesaggi descritti con sintetico reali­smo. In alto a sinistra [fi"gg. lOa] compare per la prima volta il corteo dei Magi, lontanissimo; si appresta ad attraversare un ponte, a valle del quale sono anco­rati tre mulini ad acqua galleggianti. Al di qua del fiume il grano è maturo e un contadino lo sta mietendo. li corteo prosegue ed entra in Gerusalemme dove si mescola con i guerrieri chiusi dentro nere armature che danno vita a numerosi episodi della strage degli innocenti. Su una collina al di sopra, pascolano delle pecore che separano l'Annunciazione (in alto) dalla Natività (in basso); a questa assistono dall'esterno di una finestra due frati con la tonaca nera Al centro il corteo dei Magi in viaggio è forse più importante dell'Adorazione; questa avviene dentro la capanna rovinata, consueta a tanta pittura fiamminga, con tetto di legno e paglia, tra i muri di un rudere in mattoni; è la stessa in cui sulla sinistra del dipinto era avvenuta la nascita del Bambino. Qui dalla finestra guarda un ragazzo. Come tre episodi di piccole dimensioni costituiscono il bor­do sinistro (Annunciazione, Annuncio ai pastori, Natività) cosi tre episodi par­ticolari costituiscono il bordo destro: la discesa dello Spirito Santo, l' Apparizio­ne a Maria e la sua morte. Ma la conclusione del racconto evangelico è spostata al fondo del quadro, ver­so l'acqua del mare, verso la luce del cielo in cui ascende Cristo, salutato da un gruppo di persone su una incredibile roccia.

Note

1 I Vangeli con le tavole di Zillis, 2 voll., FMR editore Milano, f.c. 1982; Alfons Meissen, Das Ro­mnnische Deckengemalde von Zillis, COSA Disentis CH, s.d.; E. Poeschel, Die Kunstdenkmaler des kantons Graubundeben, 1943. Il soffitto è stato restaurato a partire dal2002: la pubblicazio­ne relativa è in corso. 2 M. Bamert, O. Emmenegger, S.ta Maria in Fon/resina, Engadin Press, Samedan 1993, Foto Flury (Alfred Lochau), Pontresina. 3 M. Félix, op. cit. , p. 81. 4 F. Cardini, op. cit., p. 142 e sg.; AA.VV., L'oeuvre de Roger de la Pasture- van der \Veyden 1399-1400/ 1464, catalogue 1964. 5 AA.VV. , L'opera completa di Memling, Rizzoli editore, Milano 1969.

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Capitolo 3

Il corteo imperiale

Cosa sapevano dei Re Magi e a quali testi si riferivano, gli artisti che a Oriente e a Occidente dipinsero i Magi, dalle più antiche raffigurazioni paleocristiane fi­no a quelle romaniche nel XII secolo? In questo secolo un nuovo avvenimento - vero e pubblicizzato - si sovrappone alle antiche frasi dei Vangeli e cambia forse il senso che fino allora era stato da­to ai tre Magi. Andiamo a rileggere quello che racconta Giovanni da Hildesheim (seconda me­tà del XIV secolo) in un testo molto diffuso sui Magi: Historia trium regum. Elena (madre di Costantino, circa 257 -336) era andata solennemente a Gerusa­lemme subito dopo il Concilio di Nicea (325) per confermare la priorità del­l'Imperatore e la sua strutturale alleanza con le gerarchie religiose e con l'inten­zione di stabilire un asse Gerusalemme/Costantinopoli. A questo scopo Elena aveva fatto incetta di reliquie; anzi, si potrebbe quasi dire che aveva inventato per esse un ruolo fino ad allora sottovalutato e che avrebbe attribuito loro un valore testimoniale rispetto ai luoghi di conservazione e venerazione: Gerusa­lemme o Costantinopoli o Roma o Venezia o dovunque. In questo suo intento Elena era poco preoccupata della autenticità storica delle reliquie che acquistava; o forse chi gliele proponeva era sufficientemente abile per ingannare la pietas dell'Imperatrice. Certo è che tra le tante improbabili re­liquie acquistate per Costantinopoli in quel viaggio, i corpi dei Re Magi erano la più improbabile di tutte ed ancora più improbabile come Elena le avesse ot­tenute: nessuna difficoltà per Melchiorre e Baldassarre, ma per Gaspare dovet­te cedere in cambio il corpo dell'apostolo Tommaso. Sempre Giovanni da Hildesheim ci informa che a Costantinopoli le tre reliquie furono poste in Santa Sofia, centro del potere imperiale, per rafforzare con il so­stegno della religione l'autorità- e il 'culto'- dell'Imperatore, quasi a compen­sare la sua cessata appartenenza al pantheon pagano. Queste reliquie sarebbero rimaste però pochissimo a Costantinopoli: continua­rono a viaggiare e i loro viaggi finirono per assumere più importanza di quello che da vivi i Magi avevano fatto a Betlemme, quasi a confermare che il viaggio era la loro immagine e che la loro evocazione immediatamente si associava al corteo regale con bagagli, cavalli, servi, cammelli e quant'altro, in marcia per monti e valli. Da Costantinopoli sarebbero state trasferite a Milano dal vescovo Eustorgio I già durante l'impero di Costantino II (337-340), quindi a circa dieci anni dal viag-

CAPITOLO 3 l IL CORTEO IMPERli! W 175

gio da Gerusalemme, su un carro tirato da due vacche; ma un lupo ne mangiò una, per cui Eustorgio dovette miracolosatl(ente addomesticarlo e aggiogarlo. Gli autori di scene con i Magi durante tutto il medioevo, probabilmente non sapevano quello che sapeva, o inventava, Giovanni da Hildesheim, dieci seco­li dopo Elena e due secoli dopo il momento in cui un vescovo, nato appunto ad Hildesheim, Rinaldo di Dassel, fece uscire i corpi dei Magi dalle leggende, legittimando il dubbio che queste reliquie non fossero mai esistite, né mai ve­nute da Costantinopoli. Potrebbero essere state reinventate in un altro mo­mento storico, nella seconda metà del XII secolo, quando Federico I Barba­rossa conquista Milano nel 1162; quattro anni prima sotto il pavimento della basilica di Sant'Eustorgio erano stati rinvenuti tre corpi perfettamente con­servati, grazie a un balsamo miracoloso, legati insieme da un cerchio d'oro (se­condo la De rebus anglicis sui temporis del monaco agostiniano Guglielmo di Newburg). Questi resti furono trasferiti nella chiesa di San Giorgio, assumen­do un ruolo ideologico nella lotta di Milano contro l'Impero. La sconfitta del Comune di Milano e la vittoria degli imperiali è la causa dell'ultimo viaggio, storicamente certo e ben documentato: il 10 giugno 1164 l'arcivescovo di Co­lonia e arcicancelliere dell'Impero Rinaldo di Dassel guida il corteo che parte da Milano e per Pavia, Torino, Moncenisio, Borgogna, Lorena arriva a Colo­nia dove i Magi sono sepolti in quella che diventerà la Cattedrale, in una stu­penda arca d'argento dorato, smalti e gemme, opera dell'orafo Nicolas de Ver­dun (1181 -1230) e dono dell'imperatore Ottone IV, in cui resteranno per sem­pre (vedi p. 168, fig. 6). Se del viaggio da Gerusalemme a Costantinopoli e di quello da qui a Milano, co­me del lungo periodo milanese, non troviamo nessuna eco nell'iconografia dei Magi durante quei secoli, questo grande, imperiale viaggio influenza invece pro­fondamente le tante raffigurazioni successive. La sua immagine si aggiunge son­tuosamente alle scarne parole di Matteo e il corteo venuto dal favoloso e inde­terminato Oriente, assume entusiasticamente le ricche vesti della corte imperia­le, soprattutto nei paesi e nei periodi più influenzati dal Sacro Romano Impero e nel gusto del grande gotico internazionale, che si estende in Europa nelle ter­re in cui non è giunta (o si è ormai esaurita) l'influenza bizantina. L'ambiente che viene immaginato per i Re Magi è proposto nella scena dell'A­dorazione; dove la capanna è sempre l'elemento principale, anche se non è al centro figurativo dell'immagine; anzi deve lasciare spazio per i Magi e il loro cor­teo. Questo non è più quello immaginario che arriva da un misterioso Oriente, ma sempre di più è formato dai signori e dai sovrani europei del XIV-XV seco­lo e dai loro servi e scudieri. La regìa (interna ad ogni scena, e nella successione degli episodi) è sempre più complessa: deve tener conto di un lontano passato assai leggendario e di un pre­sente invece ben noto, indicando cosa raccontare e come: è essa che determina il ruolo dell'ambiente. A Padova, Giotto nella Cappella degli Scrovegni (1302-1305, cfr. parte IV, cap. 2) dipinge per l'unica volta l'Adorazione dei Magi [fig. lb]. La scena è inquadrata

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PARTE TERZA l UN l'ù1GGI O DURATO AULLE ANNI: l RE MAGI

figg. l a, lb. Giotto (1267?-1337), La Nativlià, !}Adorazione dei Magi (1302-1304). Padova, Cappel1a degli Scrovegni. La capanna appare gigantesca davanti ad 1111a montagna dipù1ta assai genericamente. Nella Natività la capanna è quasi al centro e lascia a destra ZII/O spazio per i paston;· nell'A dorazione la capan1w è la stessa e copre la montagna sulfondo. Giotto ha cioè accettato l'ipotesi che i Magi arrivano a Betlemme subito dopo la nascita, altrimenti non si spiegherebbe percbé la Sacra Famiglia sia ancora ne11a mstica capamw. A l di sopra la stella è cbiaramente una cometa confa coda, i11vece del consueto raggio puntato sul Bambino. La cometa di Halley era stata vista in Europa ne/ 1301 e secondo molti studiosi Giotto sarebbe stato il primo a dipingere la tradizionale ste11a coJ/le tma cometa.

CAPITOLO 3 l /L CORTEO IMPERIALE 177

nella sequenza completa del racconto evangelico: dopo la Natività [fig. l a] e pri­ma della Presentazione al Tempio l Fuga in Egitto l Strage degli innocenti: è la capanna sotto cui Gesù è nato a costituire l'ambiente comune della Natività e dell'Adorazione dei Magi. La continuità del racconto deve essere realizzata con elementi dipinti all'interno delle varie scene: possono essere i protagonisti resi riconoscibili dal ripetersi degli stessi "patron" e degli stessi colori negli abiti, ma spesso è anche - o soprattutto? -l'ambiente scenico nei suoi elementi specifici e immediatamente riconoscibili, come appunto qui la schematica tettoia sotto cui sarebbe avvenuto il parto di Maria e davanti alla quale sono giunti in ado­razione i Magi. È la stessa che Giotto (o qualche giottesco) aveva dipinto nel transetto nord della basilica di Assisi: anche qui la capanna è appoggiata alla roc­cia quasi fosse la parte esterna di una grotta. Anche l 'Adorazione dei Magi av­viene davanti alla stessa capanna. Lo stesso criterio della ripetizione dell 'ambiente scenico è seguito pochi anni do­po da Altichiero da Zevio (1320-1395) nella retro-faccata dell'Oratorio di San Giorgio sempre a Padova (1379-1384) [fig. 2]. Le scene illustrate sono cinque: Annunciazione, Natività, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, Presentazione al Tempio 1•

L'ambiente nelle due scene della Natività e dell'Adorazione è qui rigidamente lo stesso; non è ripetuta solo la capanna (come settantacinque anni prima nella stes­sa città agli Scrovegni, modello a cui si sono certamente riferiti i Lupi di Soragna per l'Oratorio di San Giorgio) . Oltre alla capanna, molto più completa della sem­plice tettoia giottesca, sono gli stessi monti nelle stesse dimensioni (e circa con le stesse divisioni in "giornate" , quindi verosimilmente ricopiati 'a spolvero' da qual­che ragazzo di bottega). Queste identiche immagini sono però slittate in manie­ra da annullare lo spazio a sinistra della capanna (obbligando Giuseppe ad avan­zare) e creare spazio a destra per i tre Re Magi, dodici persone del seguito, sei ca­valli, un cammello, tutti allineati in primissimo piano: dietro non c'è nessuno. Al loro posto nella Natività c'erano tre pastori discretamente adoranti a distanza, un cane, quattro pecore; dietro, un angelo annunciante ad altri tre pastori e altri tre angeli sul colmo della capanna ('a secco' e fuori scala rispetto a tutte le altre fi­gure) . Accanto alla capanna nella Natività c'era solo l'asino e dentro nessuno: nel­l'Adorazione dei Magi non c'è più l'asino e due angeli sono entrati nella capan­na, ai lati della Madonna e del Bambino. L'identità della scena, permette allo spet­tatore di considerare cambiati solo gli avvenimenti descritti in primo piano re­stando immutato l 'ambiente: quello povero dei pastori e quello regale dei Magi. Non c'è stato altro cambiamento che quello in primo piano: dalla capanna al gran­de corteo, da una scena vuota per isolare la Madonna e il Bambin.o, a una scena piena di figure. Un altro elemento è interessato da questo 'scorrimento' della sce­na: in alto a destra (e anche nella successiva Fuga in Egitto) c'è una città murata e turrita, ben diversa da villaggi, chiese, torri, borghi, castelli inerpicati negli sfon­di stilizzati e allusivi di tanta pittura medioevale. La città di Altichiero è parte fon­damentale dell'intera composizione e determina per contrasto l 'ambiente extra­moenia delle scene evangeliche.

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178 PARTE TEl<ZA I UN l'l AGGIO DURATO MlLLB ANNI: l RE MAGI

fig. 2. Padova, Oratorio di San Giorgio, retro-facciata affrescata negli rmni 1379-1384 da lllticbiero da Zevio (1320-1395). Gli episodi illustrati sono cinque: Anmmciazione, Natività, Adorazione dei Magi, Fuga in Egitto, Presentazione al Tempio. Nei due episodi della Natività e dell'Adorazione, la scena è esrllltl!llente la stessa, slillata per far posto al corteo dei Magi,· le montagne sono a.uolutamente bmlle. Nella Fuga in Egitto invece la vegetazione arriccbisce monti e valli.

CAI'l1'0LO 3 / !L CORTEO IMPERIALE 179

fig. 3. Bortolo di Fredi (1330-1410), Adorazione dei JVIagi. Siena, Pinacoteca Nazionale. La tavola è divisa in due parti: in primo piano l'Adorazione, gremita di personaggi in piedi, in ginoccbio, alla briglia dei cavalli,· nello sfondo, separato da fantasiosi pianori verdi, due ci/là cinte da mura. A sinistra la città cbe rappresenta Gemsalemme è Siena.

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180 PARTE TERZA l UN \T/AGGIO DURATO MI LLE ANNI: l RE MAGI

/igg. 4, 4a. Taddeo di Barto fo (1362-1422), Amumciazione e i Santi Cosma e Dallliano. Siena, Pinacoteca: scene della predella con fa Natività e l'Adorazione dei Magi. Le due scene sono mffigurate esattamente sullo stesso sfondo di montagne e alberi.

Anche la città slitta pas­sando dalla Natività (tre torrl) all'Adorazione dei Magi (quattro torri e circa il doppio di estensione del­le mura) e anzi Altichiero 'gioca' di prospettiva e co­me se avesse spostato il punto di vista verso destra, penetra con lo sguardo maggiormente tra i monti e la città e il raccordo mer­lato fuori porta è più am­pio nell'Adorazione (dove il ponte levatoio che chiu­deva la porta nella Nativi­tà è scomparso). Le due città all'interno sono ugua­

li, mentre quella che occupa l'angolo in alto a destra della Fuga in Egitto è un'al­tra città, incerta tra balconati minareti e il Santo di Padova. Lasciamo Padova e spostiamoci a Siena, ben più collegata di Padova e del Ve­neto in quel XIV secolo con l'Europa gotica e imperiale. Sono le mura di Siena che chiudono l'Adorazione dei Magi di Bartolo di Fredi (1330-1410): anzi è tutta Siena che diventa Gerusalemme [fig. 3]. Il corteo dei Magi (cavalli, cammelli, cani, scimmie, uomini bianchi e neri) passa attraverso montagne disegnate come dolcissimi altopiani, evitata una prima città turrita, en­tra a Gerusalemme-Siena, si ferma nel palazzo di Erode, esce da un 'altra porta. È per noi difficile riconoscere il porticato sotto cui Erode riceve i Magi, mentre sulla sinistra, Bartolo non ha esitato a dipingere la Cattedrale Senese che pro­prio in quegli anni veniva completata nella parte absidale. A Siena Tadcleo di Bartolo (1362-1422) , dipinge nel1409 nella predella dell'A n­mmciazione e i Santi Cosma e Damiano (oggi alla Pinacoteca di Siena) [fig. 4], in due quadretti, esattamente le stesse montagne, gli stessi alberi, lo stesso prato, la stessa mangiatoia . Una scena è l'Adorazione dei pastori, l'altra l'Adorazione dei Magi. Nella prima il Bambino è appena nato ed è nella mangiatoia, nella secon­da è in braccio alla madre. La stella si è spostata in modo da essere sempre in ver-

CAPITOLO 3 l IL CORTEO IMPERIALE

figg. 5, 5tl. Stefano di Giovanni di Consolo detto il Sassetta (1400?-1450). Il Viaggio e l'Adorazione dei Magi sono oggi due tavole divise tra il Metropolitan Museum o/ Art di New York (il viaggio) e la Collezione del Monte dei P aschi di Siena (l'Adorazione, Palazzo Cbigi­Saracini, Siena). Il corteo e i lv[agi so/Io chiaramente rappresentati come dei riccbi signori toscani del Quattrocento.

ticale sulla testa del Bambi­no; anche il bue e l 'asino si sono scambiati la posizione. L'ambiente è sempre esatta­mente lo stesso. Può riassumere questo per­corso della storia dei Magi dalla costruzione di un pae­saggio immaginato alla rap­presentazione eli un am­biente reale, un dipinto ese­guito intorno al1435 da Ste­fano di Giovanni di Conso­lo detto il Sassetta (Cortona? 1400? - Siena 1450). Siamo negli stessi anni del Beato Angelico e eli Rogier va n der Weyden. Sassetta dipinge

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una tavola oggi divisa tra la Collezione del Monte dei P aschi eli Siena [fig. 5]. Questi due pezzi appartenevano a una unica opera (forse uno sportello o un ele­mento di predella eli una pala) e sono giunti a noi divisi; le due parti delle tavo­le sono state tagliate 2 •

Siamo sicuri che questi due pezzi appartenevano a una unica composizione più grande perchè i Magi (con l 'aureola) e un altro personaggio (con manto rosso e colbacco) hanno gli stessi vestiti sia quando sono piccoli e lontani nel corteo, sia quando sono ormai arrivati in primo piano nell'Adorazione. Questa ampia composizione cominciava dunque con la Sacra Famiglia in primo piano a destra cui si collegavano direttamente i Magi al centro con pochi per­sonaggi; un breve distacco segnava l'inizio del corteo dove gli stallieri allonta­nano i cavalli da cui sono ormai smontati Magi e cavalieri; il corteo proseguiva nel tratto tagliato a sinistra e si riallacciava alla sequenza superiore del viaggio. Non sappiamo quanto e cosa ci fosse nel mezzo per completare le immagini ta­gliate e per raccordare le differenze p rospettiche della roccia e la dimensione dei personaggi. Un posto eli protagonista ha la stella: come in Taclcleo di Bartolo e in tante al­tre Natività; anche in Sassetta la stella non è in cielo, ma proiettata sullo sfon-

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182 PARTE TERZA l UN \'!AGGIO DURATO WLLE ANNL I RE MAGI

fig. 6. Giovanni di Paolo (1403-1482), Adorazione dei Magi, New ){!rk, Metropolitan Museum o/ Art. La descrizione della campagna coltivata, dietro alla capamw e ai l'vlagi è precisisstina: 1111 prato-pascolo cbiuso da siepi con le pecore e il pastore e 111/fl

più lontana pia11um a grandi campi regolari.

do della montagna, al di qua dell 'ultimo giro del corteo e serve a darci l'alli­neamento del pezzo di N ew York con la testa del Bam­bino a Siena. Si è supposto che al cen­tro del corteo i tre cavalieri e i due pedoni che non guardano nella direzione del viaggio, si voltino pro­prio a guardare la stella co­me guida; la stella sarebbe allora l 'elemento di colle­

gamento che accompagna il viaggio come in una successione 3.

Sono comunque i Magi i grandi protagonisti di questa opera di Sassetta. La Sacra Famiglia è a destra ed è trasformata in una Madonna in trono col Bambino: San Giuseppe si affaccia appena, come il bue (che ci propone le corna e un unico in­credibile occhio) e l'asino tutti all 'interno della stalla, oltre l'arco. A ridurre il ruo­lo della Sacra Famiglia, essa è attorniata da presso non solo dai Magi al centro, ma anche da due forbite figure femminili che chiudono a destra (e richiamano forse le levatrici dei Vangeli apocrifi dell'infanzia). Ben diversa la consistenza del cor­teo: oltre ai tre re (ripetuti due volte e in entrambe con l'aureola in modo da non lasciare dubbi sulla loro identità), d sono nell'Adorazione sette figure umane tra cui tre bambini, quattro cavalli e due cani; nel viaggio quattordici persone oltre ai Magi, undici cavalli, tre muli con basto (sopra cui una scimmia e un cane) , due ca­ni di cui uno a guinzaglio. Tutti questi personaggi hanno vestiti coloratissimi, viag­giano a gruppi di tre chiacchierando e gesticolando su una strada acciottolata (e i ciottoli sono grossi in primo piano in basso e sono solo punte di pennello in fon­do) tra una collina chiara davanti e una verde più scura dietro su cui pochi albe­ri, quasi tutti spogli, si alternano con due uccelli nostrani e due struzzi (?) lonta­ni. In cielo uno stormo di sei cigni (?) sorvola Gerusalemme; ma come l'Angelico nella Pala di Cortona (forse un anno prima) aveva ripreso il vero panorama della­go Trasimeno, così Sassetta qui d propone come mura di Gerusalemme le mura di Siena, con una porta di fondovalle e un palazzo sul colle sovrastante. Certo l'am­biente in cui vanno a spasso questi personaggi è quello delle colline senesi del

CAPITOLO 3 l IL CORTEO IMPERIALE

fig. 7. Giovanni di Paolo, Madonna dell'Umiltà. Siena, Pinacoteca Nazionale. Lo sfondo dietro alla Madon11a si allarga qui ancora piiÌ della pala delta fig. 6; monti e campi coltivati arrivano fino al cielo, diviso in due fasce di diversa to11alità. La Afadom1a è davanti a t/Il prato-bosco fiorito.

Quattrocento e questi cavalieri sono tutti ricchi signori toscani in gita con i loro servi. L'ambiente si allarga ancora di più, passando a un panorama totale in cui la campagna coltivata assume lo stes­so ruolo della città, delle persone, delle costruzioni: l'attenzione prag­matica agli elementi dell'ambiente prevale rispetto a quella ideologica (religiosa o principesca) . L'interesse è rivolto a quello che è stato chiamato il "panteismo" rinascimentale (G.C. Argan). È in questo periodo (secon­

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da metà del Quattrocento) che il senese Giovanni di Paolo (1403-1482) dipinge la tavola dell'Adorazione dei Magi, adesso al Metropolitan Museum of Art di New York [fig. 6]. I personaggi (la Sacra Famiglia, i tre re, due cavalli con un servo, il bue e l 'asi­no) sono pieno Quattrocento, tra Gentile e Benozzo, tra van der Weyden e Mem­ling. Al centro tre grandi rocce "arcaizzano" verso la ormai vecchia stilizzazio­ne del lungo periodo medievale; ed è per una scelta precisa di Giovanni di Pao­lo perché ben diverse sono le tre montagne nello sfondo, sotto un cielo azzurro pieno di nuvolette. Questi elementi inquadrano due descrizioni accuratissime dell'ambiente rurale: -nella parte centrale un prato-pascolo chiuso da siepi in cui un pastore gover­na un piccolo gregge; - verso il fondo una grande pianura coltivata a campi regolari con alcune piantate. Che questo genere di ambiente fosse ormai consueto, lo conferma lo stesso Gio­vanni di Paolo con la Madonna dell'Umiltà [fig. 7]: le montagne stilizzate come uguali e simmetrici coni si alternano nel fondo con campi variamente coltivati, ma tutti esattamente rettangolari: e anche i monti sembrano occupare degli analoghi rettangoli. Un fiume serpeggia dividendo in due parti questa campagna: in quella più vicina sono stilizzate due città murate. La Madonna è seduta su un cuscino, in mezzo a un prato ricco di fiori. Questo quadro non riproduce un ambiente esi­stente; è tutto inventato, ma ogni elemento dell'invenzione esiste ed è riconosci­bile, anche se non nell'ordine e nel modo imposto da Giovanni di Paolo.

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184 l'A RTf: TERZA l UN l'liiGCfO DURATO .lfll.Lf: ANNI: l Rf: AlACI

fig. 8n. Hans Memling, Madonna col Bambino e due angeli (1480-1490 circa). Monaco, Alte Piuakotbek. La Madonna è seduta davanti a 1111a siepe di rose m wi spicca per il manto rosso.

CAPITOLO J ! IL CORTf:O IMPEIVALf:

fig. 8b. Hans Memliug, Dittico di Monaco, pala sinistra, lv/ado1111a col Bambino e angeli m11sicanti (dopo 1490). Madrid, Museo dei Pmdo. Come nella precedente fig. 8a (e nella fig. 7) la Madonna è davanti a 11na siepe di rose, tra angeli musicauti.

All'incirca contemporanee dei quadri di Giovanni di Paolo sono due pale di Hans Memling (1435-1494): Madonna col Bambi­no adesso al Museo del P ra­do, e una delle tavole del dittico adesso a Monaco, Alte Pinakothek (fìgg. 8a, 8b]. In entrambe la Ma­donna è seduta al centro e circondata da angeli musi­canti: il suo manto è rosso e perciò spicca sulla siepe di rose immediatamente re­trostante. Il manto della Madonna di Giovanni di Paolo era scuro e solo tre accenni del cuscino e del­l'abito staccavano la figura da un analogo muro di ro­

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se. Memling aveva lavorato per committenti fiotentini , ma se anche aveva cono­sciuto il pittore senese e le sue opete, non sappiamo quali furono le eventuali e teciproche influenze. Cetto lo sfondo al di là delle rose è completamente diffe­rente: abbiamo visto come Giovanni di Paolo costruisse il modello di un pae­saggio agricolo, mentte Memling disegna un paesaggio assolutamente realistico, anche se forse inventato da lui.

Diversa è la formazione di Guido di Pietro 'l'osini (Vicchio circa 1400 - Roma 1455), che ptese il nome di fra ' Giovanni da Fiesole quando entrò nell'ordine dei Domenicani e passò alla stotia come Beato Angelico. Il suo ambiente non è quello delle ricche famiglie e delle loro corti, ma quello dei conventi e delle chiese che da circa due secoli i nuovi Ordini religiosi (Do­menicani e Francescani soprattutto) costruivano nei borghi periferici dei Comuni, con il ruolo - chiesa e piazza antistante - di centro dei nuovi quartieri, oltre le cerchie delle antiche mura medioevali. Il lavoro che l'Angelico affrontò nei circa trenta anni di attività, proprio per que­sta sua duplice veste di frate e di pittore, fu enorme e finì per costituire un pun-

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186 PARTE TERZA l UN \1/IIGGIO DURATO MILLE ANNI: l RE MAGI

fig. 9. Beato Angelico (1400-1453), Tabemacolo dei Linaioli. Firenze, Museo di San Marco. Adorazione dei Magi. Scena al centro della predella: la tradizionale capanna è qui 1111a casa, le 11111m rosse e merlate di Gerusalemme costituiscono 11n insolito fondale.

to di riferimento obbligato sia per l'iconografia religiosa sia per lo stile pittori­co, almeno fino alla Controriforma. Nelle raffigurazioni dei Magi molti elementi sono ricorrenti, come in tante altre scene dipinte ripetutamente dal Beato Angelico; e non avrebbe senso limitare a questo solo soggetto lo studio dell 'ambiente dell 'Angelico. Le scene dei Magi si caratterizzano comunque per alcuni aspetti [fi'gg. 9, l O, 11] 4 :

-I personaggi sono indiscutibilmente nobili e popolani toscani del '400. - li viaggio e il corteo sono subalterni alla scena dell'Adorazione, diversamente da quello che avviene in molti altri casi contemporanei (Benozzo Gozzoli a pa­lazzo Medici soprattutto). - La casa o la capanna sono una importante quinta scenografica che distacca la Sacra Famiglia dal resto della scena, assumendo una posizione centrale domi­nante; disposizione frequente nelle contemporanee pale dei pittori fiamminghi. Negli altri casi la capanna è l'elemento terminale laterale, secondo lo schema più tradizionale. - Ci possono essere, anche in primo piano, alla pari con la Sacra Famiglia e i Magi, altri personaggi aggiunti al racconto evangelico. - Il margine inferiore è quasi sempre un prato fiorito: lo è anche nelle Annun­ciazioni e in tanti altri dipinti dell'Angelico. - Il fondale della scena è in genere diviso in due piani: il primo delimita l' avve-

CAPITOLO J l IL CORTEO IMPERlALE

fig. 10. Beato Angelico, Convento di San Marco, Firenze, cella 11. 39 di Cosimo de' Medici. Affresco con l'Adorazione dei Magi: i111111 paesaggio mont11oso, i Magi 11011 banno md! a di regale; la capanna è mppresenlala da 1111 Jl/111'0 dava11ti a cui sembra si sia incontrato 1111 gruppo di amici.

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nimento con elementi quasi sempre architettonici, il secondo si profila dietro a questi ed ha le caratteristiche di un paesaggio naturale lontano con monti, città e quant'altro; riferimenti a luoghi reali probabilmente più frequenti di quanto oggi si possa ricostruire. - Nei paesaggi compaiono spesso elementi stilizzati che richiamano la pittura dei decenni e dei secoli precedenti, accanto ad altri che anticipano il pieno '400.

Questi caratteri contraddistinguono del resto tutta la pittura dell'Angelico. Osserviamo la pala per l'altare della cappella di San Nicolò nella chiesa di San Domenico a Perugia, 1437, oggi smembrata tra la Galleria nazionale dell'Um­bria a Perugia e la Pinacoteca Vaticana [fig. 12]. Le tre scene della predella (cm 34 x 60) rappresentano fatti della vita di San Nicola concentrando più scene in ogni riquadro: ciò comporta la necessità di accostare molti elementi per inqua­drare avvenimenti all'interno delle case, su sagrati fioriti, in cortili nudi, nei cam­pi davanti alle mura della città, o in una delle rare rappresentazioni marine. Que­sta complessa scena è forse l 'opera più fantastica dell'Angelico e obbliga a rive­dere la tradizionale e più diffusa immagine di una sua pittura quieta e compas­sata; possiamo al limite assumere questo dipinto come simbolo di un ruolo nuo­vo assegnato alla rappresentazione dell'ambiente. Il mare è verde, il prato è gri­gio, le montagne sono rosse o gialle, un paese domina a sinistra, un altro sem-

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188 PARTE TERZA l UN l'fAGGIO DURATO MILLE ANNI: 1 RE MAGI

fig. 11. Beato Angelico, Armadio degli argeuti, 1450. Fireuze, 1\ ifuseo di San Marco. Tra le tavolette della parete di cbiusura dell'Armadio c'è al ceutm la Adorazione dei Magi. La capamw è inquadrata da due quiute di montagua.

bra un gioco di bambini appoggiato ai piedi di un castello che domina la fran­tumazione geometrica di un'incredibile penisola tra due mari in burrasca. La rea­listica ricerca fatta sul lago Trasimeno per la pala di Cortona è solo di tre anni prima. I personaggi nella metà sinistra sono santi e imperatori e campeggiano maestosi; quelli nella metà destra sono scaricatori di porto che insaccano grano e sono piccoli anche se in primo piano come i personaggi sulla sinistra, a dimo­strare che anche le regole della prospettiva possono produrre effetti straordina­ri sia quando sono rispettate (come nel promontorio) sia quando sono strumen­talizzate per effetti teatrali. Nel cielo, luminosissimo, un tondo d 'oro rivela un San Nicola piccolissimo che interviene a governare una vela gigantesca.

CAPITOLO 3 / IL CORTEO IMPERIALE

fig. 12. Beato Augelico, Pemgia, Cbiesa di San Domenico, Cappella di San Nicola, Pala (1437). Attualmente smembrata tra la Galleria Naziouale dell'Umbria, Pemgia, e la Piuacoteca \!aticaJ/(/.

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Il mare è sempre stato un tema di grande impegno e prestigio. Si pensi al mo­saico che nella Tribuna dell 'organo a San Marco a Venezia rappresenta la barca che portava a Venezia le reliquie appunto di San Marco [fig. 13a] e alla nave di­pinta da Agnolo Gaddi a Santa Croce a Firenze [fig. 13b]5.

fig. 13a. \!euezia, Sau Marco, Tribuua dell'orgauo. Mosaico coul'arrivo a \!euezia delle reliquie di San Marco, 1200 ca. Ogni tessera de/mosaico è come m w ecceziouale peunellata: le piegbe della vela, le vesti dei personaggi, le braccia cb e non interrompono il colore della vela, infine le linee-onda del mare in cui si trasformazt fondo oro del cielo.

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190 PARTE TERZA l UN \l/AGGIO DUR1!TO MTLLE ANNI: l RE MAGI

fig. Vb. Agnolo Caddi (attivo II metà sec. XIV), Storia della Vera Croce, 1380. Fti·enze, Santa Croce. Questa barca dipti1ta da Agnolo naviga su un agitato 111are verde scuro, sotto a l/11 cielo mssiccio in cui le pennellate indicano le nuvole in movimento. La vela. le carrucole, l' m1com m no descritte con precisione, l/lenire le altre parti della nave sono accostate con grande libertà: c'è 11110 coffa sulla prua e il castello in aggetto 11011 si limita alla poppa, ma occupa circa metà dell'imbarcazione.

Note

1 Queste ultime due possono essere lette invertite se si percorrono i vari riquadri in senso orario, anzichè parallelamente: ma non è forse lecito pretendere alla fine del XIV secolo, in una cappel­la privata quel rigore della narrazione che era invece necessario nelle pubbliche chiese nei secoli precedenti. 2 !':Adorazione (cm 31 ,1 x 38,3) dovrebbe essere tagliata su tre lati: a destra e in alto perchè l'arco d'ingresso alla stalla è impensabilmente rifilato sul margine (o addirittura prima) e in alto si affaccia un pezzo di mensola che reggeva una tettoia, a sinistra perchè i due cavalli bianco e nero sono chia­ramente tagliati. Il viaggio (cm 21 ,6 x 29,8) dovrebbe essere tagliato anche lui su tre lati: in basso per­chè affiorano solo le cime di molte erbe e percbè verso il basso si dirigono i cavalli sul bordo sinistro; a destra perchè l'ultimo cavaliere del corteo è tagliato a metà e assieme al suo compagno guarda fuo­ri campo verso qualcosa lontano, a cui guardano forse anche altri personaggi più avanti nel corteo, a sinistra perchè almeno un cavallo e un albero sono tagliati. La semplice sovrapposizione (proposta da John Pope-Hennessy, Sassetta, London 1939) non è esauriente anche se certo nella più vasta compo­sizione distrutta questo era lo schema di base e su questo si sviluppavano i vari episodi in una suc­cessione analoga a quella dei contemporanei maestri fiamminghi. 3 R. Fry, The ]oumey o/ the Tbree Kings by Sassetta, in "TI1e Burlington Magazine", XXII 1912. 4 I Re Magi furono ripresi molte volte dall'Angelico, anche indipendentemente dalla sequenza del racconto evangelico. L'Adorazione dei Magi in Toscana e a Roma nel XV secolo era ormai una scena di repertorio, collegata soprattutto alle storie di Maria e all'Annunciazione. 5 S. Bettini, I mosaici medioevali di San Marco, Fabbri-Skira, Milano-Genève, 1965.

CAPITOLO 3 l IL CORTEO IMPERlALE

L'ANGELICO E I MAGI. l. Adorazione dei Magi, dal 1430 in avanti, tavola, cm 63 x 54. Collezione Abegg, Zurigo. La Sacra Famiglia è a destra davanti a una casa, a sinistra inizia il corteo tra rocce. 2. Pala dell'Annunciazione, 1430-1432. Madrid, Museo del Prado. Predella con n. 5 scene: al centro Adorazione dei Magi, cm 23 x 35. La Sacra Famiglia è al centro, davanti a una capanna inserita tra i ruderi di un edificio (motivo che ritroveremo in tanti "scogli" dei presepi napoletani), a sinistra inizia il corteo verso un paesaggio nello sfondo, a destra due personaggi maschili in conversazione. 3. Tabemacolo dei Linaioli, 1433 (fig. 9). Firenze, Museo di San Marco. Predella con n. 3 scene: al centro Adorazione dei Magi, cm 39 x 56. La Sacra Famiglia è a destra davanti a w1a casa e i Magi sono schierati lungo tutto il primo piano, in secondo piano il corteo or­mai arrivato alla meta e disperso, in fondo le mura di una città chiudono la scena, come anche nelle altre due scene della stessa predella: predica di San Pietro e Martirio di San Marco. "Riferimento alle sacre rappresentazioni" (G.C. Argan). 4. Pala dell'Annunciazione, 1433-1434. Cortona, Museo Diocesano. Predella con n. 5 scene (+n. 2 sotto ai pilastri della cornice) in continuità, separate solo dall'architettura interna a ogni scena, tot. cm 23 x 183, al centro Adorazione dei Magi. La Sacra Famiglia è a destra davanti a una casa, accenno al corteo verso uno sfondo con edificio a loggiato e roccia con alberi. Tutte le scene della predella presentano uno sfondo con paesaggio: la scena con l'In­contro alla Porta Aurea ha nello sfon'do il Lago Trasimeno, cioè il paesaggio dei dintorni di Cortona dove la pala è stata dipinta ed è sempre rimasta. In primo piano al di qua del lago la cinta delle mura e delle torri medievali di Castiglion del Lago; nel lago l'isola Polvese a destra e in fondo a sinistra l'isola Maggiore con le case del villaggio; sulla riva orientale do­mina Magione con solo poche case dipinte all'interno delle mura; gli altri castelli sui monti possono essere Castel Rigone, la fortezza di Castelnuovo, Castel Gualando e forse Cortona stessa. "Primo paesaggio rinascimento/e di diretta ispirazione dal vero" (L. Berti). 5. Pala con l'Annunciazione in alto e l'Adorazione dei Magi in basso, 1434, tot. cm 84 x 50. Firenze, Museo di San Marco, insolita composizione binata. L'Adorazione è costituita dai soli personaggi sullo sfondo di un traliccio continuo a chiusura, la Sacra Famiglia è a sini­stra, i Magi al centro, l'inizio del corteo a destra. 6. Affresco con l'Adorazione dei Magi, tra il1438 e il1446, base cm 362 x altezza al centro cm 184 (fig 10). Firenze, Convento di San Marco, cella di Cosimo de' Medici (cella n. 39). È dimensionalmente la più grande scena con i Magi, non solo per le misure generali, ma per la dimensione delle figure e della composizione. Anche la composizione è insolita: la Sacra Fa­miglia è a sinistra davanti a un muro tracciato come solo elemento geometrico, mentre il re­sto della scena è occupato da una quantità di personaggi (diciotto uomini) di cui uno con un mappamondo astronomico, un altro con uno spadone, un terzo con uno scettro; a destra tre cavalli. La composizione è in funzione della forma dell'affresco racchiuso sotto la volta della cella: la Madonna a sinistra e le ultime figure a destra sono sedute o piegate in modo da ac­compagnare la forma della cella. In fondo un paesaggio di rocce e monti astratti e stilizzati. 7. Pala detl'Ammnciazione, 1440. Convento di Montecarlo presso San Giovanni Valdarno. Predella con n. 5 scene: al centro Adorazione dei Magi, cm 17 x 26. La Sacra Famiglia è all 'estremità destra, al di la di una stalla chiusa da cui si affacciano il bue e l'asino, i Magi al centro, i personaggi del corteo a sinistra, in fondo mura merlate di una città, in basso prato con fiori. 8. Armadio degli Argenti, 1450 (fig. 11). Firenze, Museo di San Marco. Una delle 35 tavo­lette superstiti rappresenta l'Adorazione dei Magi, cm 38,5 x 37. La Sacra Famiglia è al centro, davanti a una capanna dettagliatamente rappresentata, i Magi arrivano da sinistra seguiti da un accenno del corteo, a destra tre personaggi di cui due in conversazione, gran­de paesaggio sullo sfondo. 9. Tondo con Adorazione dei Magi, diametro cm 13 7 ,4. Washington, National Gallery. Gran­de composizione con architetture e montagne, molti personaggi vari. Attribuito più pro­babilmente a Filippo Lippi.

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Capitolo 4

Dall'Impero alle Signorie, tra i personaggi e l'ambiente

Il tema del corteo cambia allontanandosi dal centro dell'Impero: invece della Corte Imperiale sono le grandi famiglie delle Signorie il soggetto da esaltare e confrontare con i Magi. La famosa Pala di Santa Trinita nella Galleria degli Uffizi viene dipinta nel1420 -1423 da Gentile da Fabriano (1370-1427) per la ricca famiglia Strozzi [fi'g. l e p. 146]. Qui c'è tutto: a sinistra la Madonna e il Bambino in trono con accanto San Giu­seppe, davanti a una casa in muratura, preceduta da una tettoia lignea che ri­chiama la capanna della Natività; ma la Natività potrebbe essere avvenuta in una grotta e questa si apre dietro San Giuseppe con il bue e l'asino e la mangiatoia (la stessa scena è nel riquadro della predella con la Natività) . Dietro alla Madon­na ci sono le due levatrici presenti in vari Vangeli apocrifi come testimoni della verginità (o delle verginità); in asse sopra al Bambino c'è la stella- senza code­che non è in cielo -lontanissimo e d'oro, per cui la stella sarebbe scomparsa­ma proiettata sui monti come la colomba dello Spirito Santo. Al centro i tre re con vesti ricchissime e colorate e l'aureola d'oro (anche se erano vivi e non risul­ta dalla loro vaga storia che siano mai stati santificati); un servo toglie gli spero­ni a quello in piedi e a ricordare il viaggio appena terminato la parte destra del­la pala è occupata da due dominanti cavalli (e un cane). Dietro, gremito di gen­te e di cavalli, il corteo. La scena è divisa in due da una zona centrale scura con prati, boschi, colline, uccelli in volo, oltre la quale il corteo riprende diretto ver­so una serie di città, di mura, di torri, di porte che concludono il quadro. Il lun­ghissimo corteo entra ed esce senza nessun collegamento con il corteo già arri­vato in primo piano: i due episodi tradizionali del viaggio e dell'Adorazione re­stano separati, attraversando tutta la scena. La strada in fondo si snoda tra siepi alberate e attraversa un territorio ben definito e descritto, non una generica cam­pitura di colore. Se c'è una certa genericità nelle mura merlate, nelle torri, nei ca­stelli è viceversa ben più precisa la descrizione degli elementi rurali (figg. la, .1b]. Tutta questa minuziosa descrizione occupa pochi centimetri in fondo, perché nella Pala Strozzi di Gentile è il corteo che costituisce la parte essenziale della pala. È la sua continuità che dà profondità alla scena, subordinando cavalli e ca­valieri ad una rigorosa prospettiva che coinvolge (ma senza eliminarli o sminuirli) gli altri elementi: prati, boschi, mura e città. Ed è la crescita in prospettiva dei personaggi del corteo che differenzia come protagonisti quelli in primo piano: cavalli, Magi, la Sacra Famiglia. Con questi si può dire che la scena termina e

Ct!PITOLO 4 l DIILL'IMPEIW ALLB SIGNORJE, TR1! II'ERSONIIGGI E L'AMBIENTE 193

fig. 1. Gentile da Fabriano (1370-1427), Pala Strozzi, Sali/ti Trinita, 1420- 1423. Firenze, Galleria degli Uffizi. In primo piano si allinermo in modo tmdizionnle In cnpmmn conia Natività, i JV[agt; il/oro corteo; questo si snodo in fondo come nell'iconogmfio tradizionale. Si noti come i Magi nel corteo in fondo- piccoli - so110 collll/1/que al centro e pe1/et1amente ollinetlli con i Magi- gnmdi- già arrivati e adomnti.

che quindi il corteo e l'ambiente che ha attraversato non è più il contorno e il completamento dell'evento evangelico, ma ne è la lontana niotivazione. Lo stile di questa pala di Gentile è indubbiamente e totalmente inizio Quattro­cento; ma la sceneggiatura ha secoli di storia. Tra i suoi componenti alcuni non potevano che restare fissi: la Madonna, il Bambino ecc. o cambiare di poco: grot­ta o capanna o casa ... I Re Magi, i loro abbigliamenti, il corteo erano invece gli elementi in cui la fantasia poteva lavorare: fino a diventare loro i dominanti della scena e condizionare le città lontane, la stella, la posizione della Sacra Famiglia, de-

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la

PARTE TERZA l UN l' fA GGIO DURATO Al/LLE ANNI: l RE MAGI

fig la. Gentile da Fabriano, P afa Strozzi, Santa Trimia, 1420-1423. Firenze, Gaf!eria degli U//izi. Predef!a, episodio centmfe: S. Giuseppe e Maria col Bambino si recano a Gerusalemme. Nef!e montagne a sinistra alberi pieni di/rulli e campiamti.

fig l b. Gentile da Fabriano, P afa Strozzz; Santa Trinita, 1420-1423. Firenze, Galleria degfi Ul/i:a; del/aglio: in afto, al centro, acca1tto a Gerusalemme. Una casa di campagna ba la porta protetta da una tefloia di paglia; davanti c'è l'aia chiusa da una staccionata Ù!lrecciata; l'orlo è di/ferenziato nelle varie colture, separate da siepi; infine le piantate di vlie e 1111 campo con piantate a /ilari che propone 1111 tipo di recinzione ancora differente. Libere, al pascolo, Ire mucche,

lb prepotentemente /z10ri scala.

terminando di volta in volta un ambiente come parte integrata nello stesso stile. La pala con i Magi di Gentile da Fabriano per gli Strozzi a Santa Trinita è stata dipinta nel1420-1423 . Passano quaranta anni e Benozzo Gozzoli tra il1459 e il 1462, dedica al Magi la cappella nel palazzo del Medici: i nuovi signori di Fi­renze e la loro corte sostituiscono i Magi (gli Strozzi si erano accontentati di raf­figurare due membri della famiglia nel corteo). In questa opera di Benozzo scompaiono Gaspare, Melchlorre e Baldassarre; al . loro posto Slgismondo Rodolfo Malatesta, Galeazzo Maria Sforza, Piero il Got­toso e il fratellastro e le figlie, Lorenzo il Magnifico e suo fratello Giuliano, Gio­vanni VII Paleologo, Giuseppe Patriarca di Costantinopoli; molti altri personaggi della corte medicea e della ricca Firenze del Quattrocento sono stati variamen­te indicati dagli studiosi tra le oltre centosessanta persone che costituiscono il corteo (tra cui anche Benozzo Gozzoli). La cappella è infatti divisa in due parti [fig. 2] :

CAPITOLO 4 l DALL'JMPERO ALLE SIGNOR/E, TRA f PERSON;IGG/ E L'AMIJIENTE 195

- Tre pareti delimitano la parte principale e su di esse è dipinto con continuità il grande corteo che comincia sulle colline in alto nella parete a destra dell'en­trata, scende in primo piano, attraversa la parete centrale, risale le colline in fon­do alla parete a sinistra per andare chissà dove. - Nella quarta parete si apre un'abside rettangolare ("scarsella") , originariamente con una pala di Filippo Lippi (attualmente alla Gemaldegalerie di Berlino) raf­figurante la Madonna che adora il Bambino (senza nessun Mago); sulle pareti in­terne della "scarsella" due schiere simmetriche di angeli (circa cinquanta in to­tale) [fig. 2a], Tra le due parti non c'è nessun legame diretto, anche se entrambe sono dovute al lavoro di Benozzo Gozzoli. Il corteo va per suo conto e ignora la "scarsella"; gli angeli voltano le spalle al corteo e guardano verso la pala con la Madonna e il Bambino. Anche architettonicamente le due parti sono separate. Nei risvolti che delimitano l'abside si aprono le porte per le due stanzette-sacrestie simme­tricamente affiancate; al di sopra sono raffigurate due scene agresti con una muc­ca a sinistra e un asino a destra, che nulla hanno in comune con il corteo da una parte, con gli angeli dall 'altra. Potremmo trovare un legame tra questi due ri­svolti e l 'ambiente nello sfondo delle tre pareti del corteo: certamente nel rife­rimento all'attività agricola, ma non nella scala degli animali e dei contadini e nella raffigurazione generale. Se non ci fossero testimonianze sulla dedica ai Magi fin dai primi tempi, se ne potrebbe addirittura dubitare. Non c'è la stella (cometa o no) anche se c'è tan­to cielo; il corteo non è diretto verso un'immagine che possa suggerire la Geru­salemme di Erode; non c'è nessuna indicazione della capanna, della Madonna col Bambino, del bue e dell'asino. In alto al centro della prima parete un castello turrito domina un colle con pra­ti, cespugli, alberi attraverso cui è tracciata la strada su cui è appena passata la cavalcata; la coda di questa esce da un bosco e passando dietro ad un'altra col­lina, comincia a scendere lungo una strada tra bianchi calanchi che occupano tutta la zona centrale e attraverso i cui valloni rigira il corteo. La scena è dun­que una zona di calanchi dell'Appennino, sormontata da boschi ed adatta alle partite di caccia: sulla destra i levrieri inseguono un capriolo, mentre una lepre resta tranquilla in un prato. Una valle con un fiume e un ponte separa questo primo complesso di montagne dalla montagna che domina al centro la parete successiva, davanti a cui sfila il cor­teo ormai giunto in pianura. Una strada sale tra fitte siepi di alberi, attraversando un ponte turrito, poi entrando in un borgo sormontato da un castello; siamo giun­ti in cima a un primo colle, ma la scena continua in un secondo piano con altri ca­stelli, .borghi, case. Attorno prati alberati, con predominanza di piantate regolari. Ancora una valle separa questo episodio centrale dall'ultimo: qui c'è un corteo che sale sopra una cresta di calanchi: quattro cammelli, sei muli (due appena affaccia­ti), un cavallo salgono stracarichi di mercanzie. Non ce ne sono altre in tutta la ca­rovana: solo qui sembra che la carovana dei Medici sia una carovana che trasporta merci. Si direbbe che Benozzo abbia sentito la necessità di proporre un pò di 'Orien-

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196 l'ARTE TERZA l UN I'IAGGIO DU/I.I!TO MILLE ANNI: I RE MAGI

te' con alcuni cammelli, dato che altrimenti qui tutto è solo Toscana; attorno a quei cammelli e asini c'è anche un po' di lavoro per compensare forse il restante corteo che è solo ostentazione di ricchezza. Il corteo ricco e colorato potrebbe quasi fini­re a metà di quest'ultima parete quando si infila dentro una valle tra i calanchi per andare chissà dove (così come all'inizio Benozzo non ha dipinto da dove viene). E un altro potrebbe essere il corteo di cammelli, asini, fagotti di merci. Davanti a questo paesaggio precisamente descritto, si innalzano degli alberi stiliz­zati: il loro lungo e spoglio tronco comincia in basso, subito dietro ai cavalieri, mentre le chiome arrivano in cima ai monti e nel cielo, proponendo per le piante isolate geometriche forme "topiarie". Il tipo di terreno calanchivo è descritto co­me una "natura morta". In basso, all'inizio dei dipinti: pietre, ciuffi d'erba. Per la straordinaria qualità del lavoro di Benozzo Gozzoli e per il grande inte­resse storico della famiglia Medici, molte sono state le ricostruzioni dell'icono­grafia complessiva, anche per riproporre la situazione originaria, manomessa dal taglio di un angolo alla fine del Seicento; ma non sono state prioritarie le pro­poste di lettura unitaria dell'insieme 1•

L'interessantissima massa di studi si è concentrata soprattutto sui personaggi del corteo: questi sono infatti i Medici, ossia in quegli anni all'inizio della seconda metà del Quattrocento forse la famiglia più ricca d 'Europa. La sua ricchezza non è legata all" impero', al 'feudo', ad aver trasportato 'crociati', non è di vecchio tipo: "non si/regia1w di nessun titolo u//iàale, ma sono di/atto Signori di Firen­ze" pur essendo sempre e solo"privati cittadini" in una struttura politico-ammi­nistrativa immutatata 2•

CAPITOLO 4 l DALL'IMPERO ALLE SIGNOR/E, TRA l PERSONAGGI E L'AMBIENTE

fig. 2. Benozzo Gozzo/i (1420-1497), Cappella della dei i\tlagi (1459-1462 ). Firenze, Palazzo Medici- Riccardi. Veduta geuemle delle pareti nella Iom COIIfillui/tÌ.

fig. 2a_ Be11ozzo Gozzo/i; Cappella delta dei Magi (1459-1462). Fire11ze, Palazzo i\tledici- Riccardi. Veduta verso la "scarse/In"; l'organizzaziulle e gli n/freschi di questa sol/o del tut/o indipendenti dagli altri lati con il corteo (vedifig 2).

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2a

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I CALANCHI

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PARTE TERZA l UN l'lACCIO DURATO ,\1/LLE ANNI: l RE AlAC I

Nella parete est della Cap­pella dei Magi, il corteo ini­zia il suo cammino uscendo da un bosco: percorre un itinerario sinuoso attraverso una zona di calanchi per ar­rivare in primo piano.

L'ambiente dipinto da Be­nozzo è tipico di grandi par­ti dell'Appennino. In To­scana ci sono estese zone ca­lanchive nel Senese, nel Vol­terrano, nella Valle del Pa­glia: sono chiamate local­mente "biancane" . Si tratta di una formazione geologica prodotta dall'ero­sione in terreni compatti formati da elementi minuti e impermeabili facilmente degradabili (argille, mame ... ): le acque piovane scor­rendo sulla loro superficie provocano delle incanalatu­re sempre più profonde e strette, tra le quali restano delle esili creste rocciose, anche molto alte.

CAPITOLO 4 l DALL'IMPERO ALLE SIGNOR /E, TRA l PERSONAGGI E L'AAIBTENTE

Benozzo rappresenta i calanchi come ambiente unico ed unitario di questa prima parete (salvo il castello in alto e una piccola area coltivata in fondo a destra): ed è il colore corri­spondente al popolare "biancane" a dominare. L'affresco di Benozzo è un accenno di te­sto di geologia: a sinistra [fig. 2b] il processo di formazione dei calanchi è in corso in una zona di argille rosse; più in basso è già in corso il processo di decolorazione e la roccia è giallo-chiaro; nella zona centrale i calanchi sono definitivamente grigi. (fig. 2c] (fig. 2d] il cielo è accompagnato da nuvole rosse in tutte le pareti; gli uccelli e gli animali terrestri sono fuori scala, ingranditi, rispetto ai personaggi umani, cani, cavalli.

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200 PARTE TERZA l UN l'I AGGIO DURATO MILLE ANNI: I RE MAGI

LA PIANURA COLTIVATA

Le valli , le zone pianeggianti e i pendii collinari sono le aree in cui si è sviluppata l'agricoltura al­ternando le colture a seconda del terreno e delle possibilità di irrigazione. Il quadro che viene pre­sentato da Benozzo è vuoto di persone al lavoro (a differenza di Ambrogio Lorenzetti, a Siena ve­di parte II cap. 4) ; sulle strade tra i campi passa qualcuno a cavallo. Un fiume è attraversato da un ponte in muratura a tre archi [fig. 2e] ; ma non è possibile individuare questa o quella parte del di­pinto con una zona realmente esistente.

2e

CAPITO LO 4 / DALL'IMPERO ALLE SIGNOR IE, TRA I PERSONAGGI E L'AMBIENTE

Benozzo ha ripreso certamente dei tipi di col­ture comuni alla Toscana di quel tempo [figg. 2e, 2fl. Ci sono zone in pianura piantate fitte per pre­parare gli alberi da trapianto e ci sono zone col­linari con alberi sparsi tra cui riconoscibili i ci­pressi. Ci sono campi coltivati a filari probabil­mente di vite; sono protetti da siepi verdi; nu­merose le strade tra i campi a testimoniare una proprietà diffusa, o di piccoli coltivatori o di co­loni delle grandi fa m i glie.

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202 PARTE TERZA l UN \11ACCIO DURATO MILLE ANNI: I RE MAGI

LE TERRE INTORNO

Nella terza parete verso ovest (tagliata a si­nistra per le trasformazioni subite dal pa­lazzo) il panorama si allarga oltre l'area oc­cupata dal corteo. Ci sono tre orizzonti successivi [fig. 2g]: - Un primo orizzonte vicino in cui prati e alberi caratterizzano una zona collinare, non coltivata, ma in cui si effettuava la fiena­gione. Lo din1ostra il fa tto che i prati sono uniformi con varie sfumature di verdi, dis­poste da Benozzo usando colori di terre a fresco; sono percorsi da sentieri e gli ani­mali, che possono essere preda di cacciato­ri, sembrano per ora abbastanza tranquilli.

CAPITOLO 4 l DALL'IMPEIW ALLE SIGNOR/E, TRA l PERSONAGGI E L'AMBIENTE

- Un secondo orizzonte (sulla sinistra) è reso con una tinta-luce uniforme e accenna co­me disegno ad un paesaggio di calanchi (come in questa stessa parete a destra e nella parete est) : due conifere si arrampicano nei crepacci e delle torri (città o castello?) so­no sintetizzate su una sommità, dalla parte opposta della valle rispetto alla direzione del corteo. - L'ultimo orizzonte è formato da campi verdi e grigi lontanissimi e solo accennati come presenza, tonalità, forma; si può parlare di un tipo di "finale" p resente anche a Siena e tra i fiamminghi? Benozzo non ha potuto mettere qui il mare, come forse appunto avrebbe fatto se fosse stato fiammingo, anche perché ai Medici forse il mare interessava solo come luogo in cui far navigare navi lontane.

[fig. 2b] Proseguendo per uscire di scena il corteo si carica di mercanzie; era completa­mente privo di qualsiasi carico all'inizio del viaggio, sulla parete opposta. Dove le ha pre­se? Dove va?

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2h

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204 PARTE TERZt! l UN l'fAGGIO DURATO MILLE ANNI: I RE MAGI

La cappella nel loro nuovo palazzo è un "messaggio politico" 3; un messaggio nel­lo stile della nuova società in cui molto più di guelfi e ghibellini, conta essere ban­chieri, cioè trasportare credito da una parte all'altra del mondo. La cappella dei Medici-Magi è al primo piano, è piccolissima, non ha finestre e quindi né luce né aria 4• Benozzo e i Medici la vedevano alla luce di candele e torce e di qualche spi­raglio dalle sale intorno: forse vi facevano passare un momento gli ospiti di ri­guardo prima o dopo una seduta d'affari o un ricevimento. L'uso privatissimo (e in parte enigmatico, anche per le troppe trasformazioni subite dal palazzo e de­formazioni imposte alla cappella) spiegherebbe forse alcuni interrogativi. Perché questi centosessanta personaggi sono tutti truci? I tre Medici-Magi più di tutti? C'è chi ha pensato alla rappresentazione del corteo come una scampagnata o una partita di caccia; ma solo due personaggi in secondo piano nella parete est e alcuni cani, ghepardi, falconi in attesa in quella ovest (dove in fondo c'è qualche animale selvaggio), rappresentano questa attività che invece era molto diffusa e il­lustrata (si pensi a tante miniature). I paggi accanto al giovane Lorenzo e al Pa­triarca di Costantinopoli mostrano preziosi oggetti liturgici; possono essere i doni dei Magi e contraddicono allora l'ipotesi di una partita di caccia. Non si va infatti a caccia con gli oggetti che arredano un altare durante la messa e che forse ripro­ducevano preziosi doni fatti dai Medici a questa o quella chiesa di Firenze. Più della metà delle pareti occupate dagli affreschi è destinata all'ambiente in cui la lunghissima cavalcata si svolge [figg. 2b-2h]. È lecito chiedersi se è la cavalcata il soggetto principale proiettato su uno sfondo, o se al contrario Benozzo non abbia privilegiato la raffigurazione delle terre di Toscana e messo il corteo a serpentina tra valli e colline, a scendere e a salire, proprio per far vedere come i Medici fos­sero di quel territorio i proprietari e i padroni e vi scorrazzassero a loro diletto. Benozzo scorrazza con la pittura: l'ambiente è "a buon fresco" a base di terre, eta­le resta la metà superiore delle scene con il paesaggio lavorato dall'uomo o inciso dalla natura. Ma sui personaggi (uomini e cavalli) ci sono vestiti, gualdrappe, gioiel­li, corone, speroni e quant'altro: e allora "oro, argento, lacca rossa e oltremare az­zurro, tutti pigmenti pregiati applicati a secco" 5.

Benozzo Gozzoli aveva spesso visto il rapporto tra i personaggi e l'ambiente co­me una specie di 'immersione' delle persone tra monti, rocce, prati, campi, case, mura, torri, castelli, alberi e specchi d'acqua: insieme resi con attento realismo o stilizzati quasi a voler proporre contemporaneamente elementi di lettura sintetiz­zati ed altri dettagliatamente analizzati.

Se vogliamo trovare dei veri Re Magi in una composizione di Benozzo Gozzoli dob­biamo lasciare il suo grande e famoso capolavoro di Palazzo Medici a Firenze e possiamo cercare una delle sue opere meno conosciuta e più modesta, ma non per questo meno eccezionale: una nicchia nella cappella dell'Addolorata accanto al duo­mo di Volterra, dove Benozzo lavorò negli anni in cui risiedeva tra San Gimigna­no e Certaldo (1464-1467), affrescata quindi poco dopo Palazzo Medici [fig. 3]. Nella cappella dell'Addolorata ci sono due nicchie con due gruppi di terracotta: a sinistra c'è la Natività (Giuseppe, Maria e il Bambino), a destra l'Adorazione (gli

CAPITOLO 4 l DALL'IMPERO ALLE SIGNORIE, TRA I PERSONAGGI E L'AMBIENTE 205

fig. 3. Benozzo Gozzo/i, Cappella dell'Addolorata (1464-1467 circa). Volterra, Duomo. Nella cappella sono state costruite due nicchie dedicate alla Natività (a sinistra) e all'Adorazione dei Magi (a destra), con statue in terracotta attribuite ad Andrea Della Robbio (1435-1528) o a Zaccaria Zacchi, detto anche Zaccaria da Volterra (Firenze 1469-Roma 1544, attivo a Volterra, Bologna, Trento, Roma). La nicchia conia Natività è stata affrescata da Benozzo Gozzo/i negli anni 1464-1467. Il racconto completo è a/fidato insieme alla pittura e alle sculture: Benozzo ha dipinto in fondo il corteo che va a Gerusalemme e gli scudieri e i cavalli che arrivano in primo piano e guardano le statue con il Bmllbino appena nato. I Magi arrivano per l'Adorazione nell'altra nicchia dove ci sono solo sculture. La figura rappresenta solo l'affresco nel fondo; la foto è stata eseguita negli anni Novanta, ù1 occasione di 1111 Natale quando il gmppo in terracotta fu tolto per essere collocato Ùl/111 presepio sull'altare maggiore del Duomo. La città raffigurata come Gerusalemme può essere Volterra o un altro dei comuni delle colline senesi. I lavori nei campi coltivati tra le aree calanchive delle Balze sono descritti con/e caratteristiche dell'agricoltura tradizionale della Toscana.

stessi personaggi e i tre Magi). Nella nicchia della Natività, dietro alle tre statue che rappresentano la Sacra Famiglia, Benozzo Gozzoli ha affrescato il viaggio dei Magi: questi sono ancora lontani e viaggiano affiancati, preceduti e seguiti da ser­vi e guardie in un paesaggio di calanchi che potrebbero essere le Balze di Volter­ra: e la città verso cui sono diretti potrebbe essere appunto Gerusalemme-Volter­ra. Tra le balze ci sono monti e alberi (cipressi toscani, palme orientali, boschi e campi), in un paesaggio in prospettiva che può forse essere assunto- meglio di opere più conosciute- come la conferma che, a metà del Quattrocento, non c'è più differenza tra protagonisti e scena: tutti e due costituiscono insieme la lettura e la conoscenza della società, completa di uomini e ambiente.

Note

1 C. Aciclini Luchinat, Benozzo Gozzo/i- La Cappella dei Magi, Milano Electa 1993; F. Cardini, I re Magi di Benozzo a Palazzo Medici, Firenze Mandragora, 2001; M. Bussagli, Benozzo Gozzo/i, Firenze, "Art Dossier Giunti", 1999. Le ipotesi avanzate in questi testi dai vari autori sono spesso differenti e relative ad aspetti parziali. Si veda anche: André Chastel, Arte e umanesimo a Firenze al tempo di Lo­renzo il Magnifico, 1959, trad. it. Einaudi Torino 1979. 2 L. Ricciardi, Simboli medicei in I re Magi di Benozzo a Palazzo Medici, op. cit., nota l. 3 F. Cardini, op. cit., nota l. 4 Da qualche anno: "L'ingresso alla cappella è limitato ad un massimo eli 7 visitatori ogni 7 minuti". 5 C. Acidini Luchinat, in F. Cardini, op. cit., nota l.

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Joncbim de Pntinil; Ln fuga in Egillo (particolare). Berlino, Gemiildegalerie (vedi p. 265)

PARTE QUARTA

L'immagine del sacro alla ricerca dell'ambiente reale

Tutto il visibile è espressione, tutta la natura è immagine, è lmguaggio, è scrittura, con un suo colore. Ogg1: pur disponendo di una sciei!Za della natura assai sviluppata, 11011 siamo veramente preparati né educati aLl'autentico vedere.

Hermann Hesse, Lt1 natum ci parla

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C1pitolo l

San Francesco e la necessità di una nuova visione: Assisi

Il più popolare racconto della vita e delle opere di San Francesco è certamente quello che alla fine del XIII secolo Giotto dipinge nella Chiesa superiore di Assi­si, per incarico del Generale dei Francescani Giovanni da Murro; quasi certamente questi è anche il regista che trasformò per Giotto la Legenda maior, scritta da San Bonaventura e assunta come biografia ufficiale di Francesco dal1266, scegliendo gli episodi e il significato da evidenziare in ognuno di essi e nel complesso del rac­conto. Ma prima di Giotto (che tornerà a dipingere le storie di San Francesco nel­la Cappella Bardi a Santa Croce a Firenze circa 25-30 anni dopo), l'iconografia francescana aveva già dato vita a molte opere: tavole da collocare sugli altari (or­ganizzate secondo lo schema tradizionale, con la grande figura del Santo al centro e le scene degli episodi in vita e post-mortem ai lati) e affreschi sulle pareti delle chiese e cappelle che l'Ordine francescano costruiva sempre più numerose. Dopo l'affresco nella cappella di San Gregorio Magno al Sacro Speco di Subia­co dipinto nel1228-29, a ricordo della visita di Francesco nel1222-23, e che ha influenzato tutta la successiva iconografia francescana, la tavola più antica era probabilmente quella perduta di San Miniato al Tedesco, dipinta nel 1228, solo due anni dopo la morte del Santo; a cui segue nel1235 la tavola di Bonaventu­ra Berlinghieri a San Francesco a Pescia, con sei scene laterali ffig. 4a]. Numerosi nel corso del XIII secolo i ritratti, con o senza scene laterali: a Santa Croce a Firenze, nei musei di Assisi, Orte, Pistoia, Pisa. Un posto particolare va riservato alla tavola esposta al Museo della Porziuncola che rappresenta il Santo davanti a una parete scura, dietro cui si affacciano due angeli: è sempre stata alla Porziuncola e ritenuta quasi un ritratto di Francesco, anche se dipinto all'incirca quaranta anni dopo la morte e se è inconsueta una sua immagine sana e grassoc­cia ffig. 4b]. L'ignoto autore sarebbe quel "Maestro di San Francesco"- forse se­guace di Giunta Pisano - che è anche autore della importantissima prima serie di affreschi nella navata della Chiesa inferiore (vedi più avanti). Un gruppo di ritratti iconograficamente analoghi sono opera di Margaritone di Arezzo (notizie 1262) conservati nelle pinacoteche di Siena, dei Musei Vaticani, di Castiglion Fiorentino, nei musei di Arezzo (Diocesano e di Arte medievale e moderna), Montepulciano, Zurigo. Per le trasformazioni dell'immagine di Francesco fino a Giotto è di particolare interesse il ritratto conservato a San Francesco a Ripa a Roma (racchiuso dal '600 dentro una straordinaria parete-reliquario lignea) 1

Ma è certamente nel cantiere di Assisi che si è venuta definendo l'iconografia

CAPITOLO l SAN FRANCESCO E Lll NECESS11'A DI UNA NUOI'A VISIONE: ASSISI 209

francescana, contemporaneamente all'elaborazione, spesso controversa, della sua biografia, da Tommaso da Celano a San Bonaventura. Per quasi cento anni sulle migliaia di metri quadrati delle pareti e delle volte delle due chiese di Assisi e delle cappelle intorno alla inferiore, hanno lavora­to i maggiori artisti operanti nella seconda metà del XIII e nel primo quarto del XIV secolo: Giunta Pisano, Cimabue, Giotto, Cavallini, Torriti, Pietro Lo­renzetti, Simone Martini e tanti altri sulla cui identità e bravura la critica sto­rica continua ad arricchire ipotesi ogni volta che campagne di restauro rivela­no nuove informazioni di base. Innanzitutto è l'edificio stesso a proporre un insieme del tutto innovativo. Ele­menti delle tipologie architettoniche dei secoli precedenti sono inseriti dentro un complesso che era allora e resterà nei secoli una immagine unica e inconfon­dibile. E la chiesa che inventa l'ambiente: e questo avviene anche all'interno. Fra­te Elia ha progettato le due chiese totalmente coperte di affreschi, senza solu­zione di continuità, senza interruzioni di sorta: pareti, volte, archi, transetti, cap­pelle, sguinci di qualsiasi apertura tutto è coperto di colori; anche le finestre so­no, da subito, chiuse con vetrate colorate in modo da non costituire una rottu­ra nello svolgersi dell' involucro murario. Due elementi acquistano un ruolo determinante (purtroppo spesso assente nelle riproduzioni che considerano ogni scena degli affreschi come un quadro a sé, au­tonomo e separabile): la volta e le cornici. Le volte sono azzurre con una maglia geometrica di stelle, per raffigurare il cielo (e le ritroviamo in quelle scene che si svolgono appunto all'interno di chiese, come il Presepio di Greccio); in qualche campata ci sono dei busti di santi o profeti e nelle vele di incrocio con le volte af­frescate dei transetti è la pittura di questi che taglia la navata, interrompendo il co­lore celeste (chiesa inferiore ji'gg. 5a, 5b; chiesa superiore /igg. 8, 9) . Grande rilievo hanno le cornici che circondano le scene, accompagnano i costo­loni, girano nei sottarchi: non solo per il loro spessore sempre notevole, ma anche per la trama geometrica o floreale, che- ripetuta per grandi estensioni- costitui­sce il primo impatto visivo per chi entra nella chiesa: un ambiente totalmente squa­drato. A tratti le cornici prendono dimensioni inaspettate e formano dei campi de­corativi equivalenti ai campi dipinti: lo zoccolo a tenda nella chiesa superiore, le scacchiere sopra i dipinti nella navata di quella inferiore. Il ruolo di queste corni­ci non è però solo decorativo; esse fanno parte delle stesse "giornate" delle adia­centi zone di affresco a testimoniare che la continuità pittorica era necessaria tec­nicamente per evitare tensioni e distacchi dell'involucro che doveva essere tutto ugualmente affrescato. Spesso i personaggi o il materiale delle varie scene si esten­devano anche sulle cornici. Forse questa concezione della continuità equivaleva, con materiali poveri, alla continuità delle pareti auree dei mosaici bizantini 2•

Ma c'è un altro ruolo importante affidato alle cornici. Nella chiesa superiore es­se formano come un colonnato che prolunga il ballatoio superiore e inquadra gli affreschi giotteschi: colonne tortili che reggono un cassettonato e appoggiano su uno zoccolo. Il tutto in perfetta prospettiva, centrata per ogni campata. Alla fi­ne del XIII secolo quindi le regole geometriche della prospettiva erano note ed

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210 l'ARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

2 3a

CAPITOLO l l S;IN FRANCESCO E Lll NECESSITA DI UNA NUO\'A I' ISIONE: ASSISI

CRONOLOGIA DELLA BASILICA DI ASSISI

Francesco è morto nel 1226; è stato santificato nel 1228 e la costruzione della basilica è iniziata il17 luglio di quello stesso anno. È frate Elia che decide di seppellire Francesco su uno sperone di roccia fuori Assisi, verso nord, in alto sopra la valle del Tescio, e inventa una gigantesca serie di arcate che lo circondano fino a formare una specie di altopiano ar­tificiale a terrazze, proteso oltre il luogo della tomba [fig. 1]. L'ultima terrazza superiore si prolunga fino alle mura della città creando una piazza-prato su cui affaccia la chiesa su­periore rJig. 2]. Almeno le tre campate della Chiesa inferiore verso l'altare erano completate nel1230 quan­do vi fu sepolto il corpo di San Francesco; il 25 maggio 1235 la basilica è consacrata dal papa Innocenzo IV, anche se non era completata; nel 1236la prima immagine esposta è il crocefisso nella chiesa superiore che sarà finita molto dopo, nel1253; i primi affreschi nel­la navata centrale della chiesa inferiore risalgono probabilmente agli anni tra il 1246 e il 1263; nel decennio 1250 -1260 vengono realizzate le vetrate della Chiesa superiore, prima degli affreschi sulle pareti; Cimabue lavora probabilmente dal 1277 e intorno al 1285 la prima decorazione della Basilica inferiore doveva essere completata; di quella superiore si era iniziato ad affrescare la zona absidale e i transetti che dovevano essere completati in­torno al1285. Giotto avrebbe lavorato a più riprese: nella chiesa superiore, nella chiesa in­feriore, nella cappella della Maddalena: prima e dopo gli Scrovegni a Padova, agli inizi e nella piena maturità. Pietro Lorenzetti dipinge circa dieci anni dopo Giotto e Simone Mar­tini affresca la Cappella di San Martino tra il1322 e il 1326: un secolo è passato dalla mor­te di Francesco. Il cantiere della chiesa di San Francesco inizia quindi poco dopo la mor­te del Santo e dura cento anni. Nel 1452 Benozzo Gozzoli inserirà in uno degli affreschi di San Francesco a Montefalco (vedi parte IV, cap. 2), una immagine di Assisi lontana, vista dalle colline ad ovest della Valle Umbra f!ig. 3a] . Giotto in LIDO degli affreschi della Basilica Superiore (TI dono del mantello) disporrà due montagne per inquadrare Francesco: raffigurerà Assisi sulla mon­tagna di sinistra e le Carceri su quella di destra f!ig. Jb] .

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3b

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212 PARTE QUrlRTA l L' IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE R/i; tLE

fig. 4a. La piiÌ allfica ttwola conservata con San Francesco e sei miracoli in vita e post-mortem è quella dipinta da Bonaventura Berlù1gbieri (notizie 1228-1274) nel 1235 per la cbiesa di San Francesco a P n-eia. ];immagine qui riprodotta è anteriore a/restauro de/1982 cbe reCIIperò l'origiuario mppuccio dei Francescani (vedi ancbe p. 229, fig . 2).

C;IPITOLO l l SAN FRANCESCO E LA NECESSITA DI UNA NUOt'il l' fS IONE: ASSISI 213

usate: non si applicavano alle scene, probabilmente perché gli altri mezzi per creare profondità e differenza di piani e di scala erano ritenuti più efficaci (di­mensionamento, colore, ombre ... ) e quando i fabbricati facevano parte della sce­na erano considerati più come 'materiale plastico' di arredo che come elemento equivalente ai personaggi e alla dinamica scenica. San Francesco obbliga quindi i pittori (soprattutto quelli operanti nei conventi del­l'Ordine secondo la regìa richiesta dai frati) a raffigurare le sue storie nell'ambiente in cui si sono effettivamente svolte: un ambiente che è ancora lì, ben visibile e no­to alla gente e che non è lecito inventare altrimenti. Oltre tutto i testi relativi a San Francesco non sono in latino (o in greco o in ebraico ... ),ma in una lingua che for­se molti non sanno leggere, ma che tutti capiscono. Possiamo quindi parlare del­la invenzione di un ambiente francescano che se anche, formalmente, utilizza mez­zi, simboli e stile della tradizione iconografica vetero e neo-testamentaria, se ne

fig. 4b. Assisi, Museo della Porziuncola, Tavola con il ritra/fo di San Francesco attribuito al "Maestro di San Francesco", autore degli af/rescbi nella navata centrale della basilica ùJ/eriore.

discosta necessariamente, dovendo trasmettere un messaggio diverso a gente che vuole essere diversa, altri­menti non sarebbe francescana. Dovrebbero risalire a poco dopo la metà del XIII secolo i primi affreschi lungo la navata della Chiesa inferio­re che confrontano parallelamente Cristo e Francesco. Cinque episodi sono dedicati a Cristo sulla parete di destra: L'apparecchio della Croce, La Crocefissione, La Deposizione, Il compianto, I discepoli a Emmaus (Si tratta quindi solo della Passione con episodi anche non consueti). Cinque episodi sono dedicati a Francesco sulla parete di sinistra: La rinuncia ai beni, Il sogno di Innocenza III, La predica agli uccelli (vedi parte IV, cap. 2), Le stimmate, La sepoltura. Erano dipinti nelle tre campate cen­trali della Chiesa inferiore, ai lati del­le finestre originarie; ma meno di cinquanta anni dopo la loro esecu­zione, al centro delle campate furo­no aperti i grandi passaggi di comu­nicazione con le nuove cappelle co­struite ai lati della chiesa, distrug­gendo le finestre e la parte centrale degli affreschi, di cui sono rimaste quindi solo le parti estreme, a destra

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214 PARTE QUARTA l L' IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE RE;lLE

fig . 5a. Anisi, Basilica inferiore, veduta del trauseflo destro. Sul primo riquadro a destra si riconosce il ritratto di San Francesco di Cimabue.

CAPITOLO l l SAN FRANCESCO E LA NECESSITA DI UNA NUO\fA \1ISIONK ASSISI 215

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fig. Jb. Assis1; Basilica inferiore, veduta de! transetto sinistro. Gli affreschi coprono completamente tutte !e murature; anche le finestre 11011 illferrompono tale contimuiii, né come stacco di luce, né come tonalità di colore.

PARTii QUARJìl l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELJ:AMBIENTE REALE CAPITOLO l l SAN FRANCESCO E LA NECESSITA DI UNA NU0\1A \11S/ONE: ASSISI 217

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218 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

e a sinistra; tagliate senza alcuna attenzione e rimaste così frammentate nei seco­li. Sono evidentemente di un unico autore tradizionalmente chiamato "Maestro di San Francesco" (autore probabilmente - come abbiamo visto - della tavola con il Santo alla Porziuncola [fi'g. 4b] e inoltre di un Croce/isso alla Galleria Na­zionale dell'Umbria, Perugia) ; è certo casuale che di questo primo grande pitto­re della 'nuova visione' imposta da Francesco (che forse contemporaneamente chiude la pittura di alcuni secoli passati e apre quella di non pochi secoli succes­sivi) non si sappia nulla anche se il nome attribuitogli sembra perfetto: "Maestro di San Francesco" perché fu lui in fondo a indicare a tutti gli altri una nuova via [figg. ~ 7 e p. 229 fig. 1].

"Si tratta probabilmente di un maestro umbro ... Le sue figure sono di una magrezza che po­tremmo quasi definire elegante, con delle piccole teste vivaci ed espressive; ed egli sa far muo­vere queste figure in grandi scene ... con una naturalezza e una libertà stupefacenti. Fra tut­ti i maestri anteriori a Cimabue, mi pare che il posto d'onore spetti a lui, ed io lo deszgnerò ... con il nome di "Maestro di San Francesco" ... Queste pitture si distinguono da tutte le ope­re del tempo per la vivacità dei volti e degli atteggiamenti. Non è rimasto quasi nulla dello schematismo dell'arte antica: tutto indica una osservazione diretta della natura, per quanto il disegno dei dettagli sia ancora ingenuo. R ispetto alle pitture convenzionali dell'epoca, c'è un progresso evidente e constderevole, che legittima pienamente il posto d'onore assegnabile al "Maestro di San Francesco", fra i precursori di Cimabue e di Giotto" (Thode 1885) 3•

Intorno alle tante coloratissime dramatis personae l 'ambiente ha una uguale par­tecipazione alla definizione dell'atmosfera delle scene; in alcune- come l'appa­recchio della Croce e la Crocefissione -l'ambiente è assente perché è intera­mente e solo alla folla di persone che è affidato il racconto. In altre invece per assolvere al ruolo voluto dal "Maestro di San Francesco" la raffigurazione del­l'ambiente abbandona le stilizzazioni tradizionali per guardare più lontano in esempi classici o più vicino nella natura e nel paesaggio intorno. Dopo il "Maestro di San Francesco" è Cimabue il secondo grande protagonista della basilica di Assisi. Purtroppo il pessimo stato di conservazione delle biac­che nei dipinti del transetto della Chiesa superiore, si è aggiunto alla complica­ta simbologia dell'Apocalisse di Giovanni per renderne difficile la lettura, anche se si intuisce la presenza di una impostazione specifica, e tutt'altro che usuale, dell 'elemento ambiente. Nella Visione degli angeli e nella Caduta di Babilonia la scena è divisa in due da una muraglia merlata, dietro cui c'è un montaggio 'cubista' di volumi architettonici deviati in ogni direzione. Gli stessi volumi Ci­mabue dipinge sulle Vele e nelle Storie di Pietro, nell'altro lato del transetto del­la Chiesa superiore, con accostamenti pittorici e di volumi architettonici e di co­lori che producono straordinari effetti fantastici. L'artista che raccoglie questi elementi e quanto prodotto durante tutto il XIII secolo nelle tante scene a cui abbiamo accennato, e che dà forma completa e co­erente all'ambiente francescano, inventando una nuova immagine di ambiente divino, diversa anche se non in rottura con quella vetero e neo-testamentaria ed agiografica, è indubbiamente Giotto.

CAPITOLO J l SAN FRANCESCO E LA NECESSITA DJ UNA NUOI'A I'ISIONE ASSISI 219

fig. 6. "Maestro di San Francesco", Deposizione. Assisi, Basilica inferiore, navata destra. La montagna a destra (l'unici/ rimasta) è color terra, piena di arbusti;- il terreno .ru cui poggùmo la Croce e le persone è 1111 prato verde con piante e fiori.

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220 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO 11U.1l RICERC,! DELL'AMBIEN TE REALE

Giotto affronta le storie di San ·Francesco con una straordinaria capacità inven­tiva basata su una lettura dei testi che suggerisce quel collegamento tra perso­naggi e scena che è il nuovo messaggio degli affreschi della Basilica superiore di Assisi: una chiesa progettata e costruita e illuminata per essere interamente af­frescata (ben diversamente da tanta architettura cistercense e gotica dove l' af­fresco o la pala sono un fatto concentrato in alcuni punti, per sottolineare gli av­venimenti topici del culto) , creando un modo di fare architettura-pittura che Giot­to riprenderà agli Scrovegni. Le storie francescane di Giotto nella chiesa superiore di Assisi per la completezza del racconto, per la coerenza dei tipi e dello stile e ancora di più per essere la più completa ed unitaria raffigurazione della vita di San Francesco, sono state assunte come la codificazione finale dell'ambiente francescano rJigg. 3b, 10, 11, 12]. Nelle varie scene affrescate dobbiamo distinguere tra l 'ambiente architettoni­co ed urbano e quello invece della natura e del paesaggio. Il primo - collegandosi direttamente ai personaggi attraverso la descrizione sto­rica degli avvenimenti- è quello più determinato. Il secondo è quello che lo sti­le iconografico da secoli ha 'codificato' in un linguaggio simbolico ed astratto (in cui si muove anche Giotto), ma che proprio per questo si rivelerà sempre più inadatto ad esprimere l'ambiente francescano ed anzi successivamente a descri­vere qualunque 'ambiente'. Gli studiosi di Giotto hanno sottolineato come fondamentali della sua pittura vari elementi (i personaggi e l'impostazione della scena soprattutto) tra cui non figura l'ambiente urbano. In questo infatti (ancor di più che nell'ambiente naturale) Giot­to non sembrerebbe staccarsi del tutto dalle rappresentazioni precedenti e prefi­gurare chiaramente quello che sarà l'ambiente raffigurato un secolo dopo. Consideriamo alcuni dipinti di Assisi dove il compito di illustrare la Legenda maior di Bonaventura (finita nel1263 e diventata l'unica biografia autorizzata di Francesco nel 1266, quaranta anni dopo la morte del Santo) porta Giotto, alla fine degli anni '90 del XIII secolo, nella Chiesa superiore, all 'invenzione non so­lo del personaggio San Francesco, dei frati, del papa e del sultano ecc. , ma an­che all 'invenzione degli elementi scenici in cui operano 4 •

Cominciamo da alcune scene che si svolgono all'esterno in ambienti urbani. In es­se Giotto era maggiormente vincolato dalla realtà degli avvenimenti di settant'an­ni prima: la piazza di Assisi, la città di Arezzo, la chiesa delle Clarisse. li pubbli­co conosceva quei luoghi e doveva riconoscerli, altrimenti avrebbe rifiutato l'inte­ra scena. Per riconoscerli non aveva bisogno di una riproduzione "fotografica" (tra l'altro il momento in cui Giotto dipinge è diverso da quello vissuto da San Fran­cesco: la Torre del Popolo nella piazza di Assisi non c'era all'inizio del XIII seco­lo ed era ancora in costruzione quando Giotto la dipinge: sarà finita nel1305) e Giotto lavora di sintesi per proporre quegli elementi specifici che appunto richia­mino nel devoto l'immagine familiare [fig. 10]. Anche in alcune scene che si svolgono all'esterno in ambienti naturali, compaiono nello sfondo case, chiese, borghi, città: Il dono del mantello, L'Estasi, Le stimma­te. Nel Dono del mantello [fig. 3b] sul colle a sinistra c'è una città: quasi certamente

CAPTTOLO l l SAN FRANCESCO E LA NECESSITA Dr UNA NUOI'II \1ISIONE: ASSISI 221

fig. 7. "Maestro di San Fnmcesco", Deposizione. Assir1; Basilica Iii/eriore, navata destra. Nel Compianto dietro al gruppo delle Marie (l'unico rimasto) c'è llllfl montagna, 'agitata' CO/Ile le persone davanti: a differenza della montagna nella Deposizioue qui i marroni sono due o tre e si a/temano per formare creste e valli su cui il disegno della vegetazione accre.rce ancora la drammaticità.

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222 PARTE QUt iRTt l l L'IMMAGINE D6L SACRO ALLA RICERCA D6LL'IL\IBIENTE REALE

figg. 8, 9. Assist; Basilica superiore. Due campale: dall'alto le storie della Genesi e di Maria, poi ancora la Ge11esi e Cristo, in basso San Fraucesco.

CA PITOLO l l SAN FRANCESCO E LA NECESSITA DI UNA NUOVA VISI ONE: ASSISI 223

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224 PARTE QU1l RT1I l L'IMMAGINE DBL SIIC/W liLLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

fig. 10. Giallo (o seguaci), Omaggio dell'uomo semplice. Assiri, Basilim superiore. Ancbe a prù11n vista, nell'insieme totalmente affrescato della Basilim Superiore, questo riquadro appare come uno deipocbiuimi ù1 cui l'ambiente urbano domina a.uolutamente. Tu/lo lo sfondo è occupato dalle facciate di edifici con a.uoluta continuità da 1111 estremo all'altro (cm 230), e gli edifici .WIJO quelli della pia:a.n principale di Assi.<i dove /'epùodio si .1·volse e cbe i fedeli conoscevano (a di/feren:w della Palestina o dei luogbi biblici): potremmo parlare di tma scena dal vero, di una "/otogm/in". Nel disporre le facciate della pia:a.n, Giallo ba dovi/lo tener collio della prese11:w nella parte alta, della mensola di sostegno di zm'arcbitmve (come di fronte, nella Liberazione dell'eretico Pietro). La mensola soste11eva u11n trave cbe allmversava tutta la chiesa e reggeva il croce/i.<so di Gùmta Pisano: em dunque 1111 elemenlu molto linporlante, 11011 1111 semplice e/eme/IlO coslmllivo mme può sembrare oggi. È utili:a.nta da Gioito come ce111ro, uun solo casuale ed estemo alla composizio11e: mrrispo11de al ce/liro de/tempio di Mù1erva e questo occupa quasi la metà dell'n/fresco. Dava !Ili 11011 c'è !leSSI/l/ perso11aggio, la scena è vuota: la prima cosa cbe osserva il fedele è questa /aa'iata classiat. Ai la t i due gmppi di perso/le e due diverse arcbitellure: i riccbi a si11istra dava111i ad 1111 ricco palazzo, i borghesi e d "semplice" a destm davtwti ad Ullfl

ca m a logge. Tra le figure e lo ~fo11do c'è un rapporto quasi reale (cosa l'ti/Ùsùua aucbc ÙJ Gioito); le figure SOlto pow più grn11di di qual/lo vorrebbe t ma rigorosrt geometria, ma 11011 è cb i aro a quale distn11zn esse sia11o dalle facciate della pia:a.n, n11cbe pcrcbé l'esaltazione del/oro molo e dellrt loro azione è a/fidata sopra/tu/lo alla /orte di/fereii:W cromatica: scuri (rom; blu) quasi tuili i personaggi, cbiari (ocre, verdt) gli edifici. E a tes/Ù710IIiare la contùmità della scena Ùl primo piallo tra Francesco e il ".l'emplice", poco mppresentata dal chiarissimo mal/lo steso per terra, spicca CO/Ile eccezio11e il pavimento i11 collo rosso del portico de/tempio di Miuerva cbe wu'sce Fra11cesco proprio alla testa del "semplice".

CAPITOLO l l SII N FRANCESCO E Lll NECESSITA DI UNA NUOI'II 1'/SIONE: ASSISI 225

fig. 11. Giallo, Il Presepe di Greccio. Assiri, Basilica mperiore. !} episodio 11011 è racco11tato ùttutti i testi relativi alla biografia di San Francesco: a11zi mal/ca Ùl qua/amo dei più diffusi e popola n; come i Fiorelli. Il racconto pitì esaurie11te (ed ufficiale) è quello contenuto nella Lege11da maior de/1266, seri/la da San Bouavelltura, gel/era/e dell'Ordine dal 1257 (cap. X, 7- Rillascimento del Libro, Fire11ze l 931): "JI terzo almo avanti cbe il beato Francesco morisse (25 dicembre 1223), gli ven11e voglia di/are memoria della 1/atività di Cristo, per coJJIIIIIIOvere la gente a divozione. E ordi11ò di/are questa msa al castello di Greccio, co11la maggiore solennità cbe /are si potesse; e accioccbè di questa cosa 11011 fosse mormorio, Ile volle la liceu:w del Papa, e avuta la licenza, si/ece apparecchiare la mangiatoia col fieno, e ivi fece venire il bue e l'asi11o, e /ecevi ve11ire molti/m ti e altra gente, e volle /are questa cosa di no/te, e /tt in quella notte bellissimo tempo, e ivi/tt grande quantità di lt1111i accest; e di ca11ti e di laude, e d'altro uf/izio sole1111e cbe vi si disse per molti religiosi cbe vi furono, di cbe tu/fa la selva, dove questa solennità si /ea:, 11e risuo11ava; e l'uomo di Dio slava dùw11zi al presepio, pie11o di somma dolcezza, spargendo i11/inite lacrime di tut/a divozione e di pietà, e mpra la mangiatoia, per l'onlig11o cbe vi/ecefare, si celebrò In messa co11 gmnde solennità, e il beato Fmncesco, /evita di Cristo, vi ca11tò I'EtJallgelio santo e predicò al popolo della 1/alività di Cristo nmlro re, lo quale aveva IÌJuso, quando lo volea uomare in questa solemuià, sì lo cbiamava il bambi11 di Betlem, perleuere:a.n di gmnde amore. E 1111 mvaliere cbe v'era, il quale era Ili/Uomo di gmnde virtù in Dio, il quale per amore di Cristo aveva abbandonate tutte le cose mo11dane e aveva grandissùna divozione al bealo Francesco, il cui 11ome era Giova1111i di Greccio, disse ed a!fen11ò come aveva i11 quel pzmlo veduto 1111 /anczitllo 11elle bmccia del beato Fmncesco, il qtlllle parea cbe dormisse, e il beato Fmncesco lo svegliava ... ".

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226 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

fig. 12. Giotto, Ilmùwcolo della fonte. Assisi, Basilica superiore. I.: ambiente gioca in questo episodio 1111 ruolo esse11zia!e: i monti sono infatti l'immagine di Wl luogo arido, senza acqua, dove appunto l'acqua può esserci solo se miracolosa. I pochi alberi (almeno in parte aggiunti "a secco") sono an cb' essi in condizioni di siccità.

Assisi vista da fuori Porta Nuova con l'abside del Duomo all'interno (?)e S. Damiano(?) all'esterno: sul colle a destra, oltre la valle, solo una chiesa (Le Carceri?). Tutti gli edifi­ci si affacciano verso sinistra e con­cludono in alto i colli sottostanti, cioè la parte 'naturale' dell'am­biente. Non sono un complemento decorativo, un elemento aggiunto. Descrivono un luogo preciso: l'Um­bria tra Perugia, Assisi e il Subasio dove la frequente presenza di case e chiese sparse nelle campagne, tra monti e borghi è appunto l'am­biente specifico in cui si può ritro­vare il fedele che ci viveva.

Tra le scene che si svolgono in ambienti interni, è nel Presepe di Greccio che la scelta giottesca dell'architettura con cui impostare tutta la scena raggiunge for­se il massimo (e anche qui ci sarà una ripetizione nell'Accertamento delle stim­mate) [fig. 11]. Il protagonista è Francesco; non siamo a una scena di Natività nelle storie di Ge­sù. Dalla tradizione- ma non dal Vangelo- Francesco ha tratto solo il bue e l'a­sino e Giotto anche; con uno straordinario intuito teatrale li dispone davanti al­la mangiatoia lasciando lo spazio principale a Francesco e al Bambino, che da intuizione del cavaliere di Greccio sembra qui diventato iniziativa di Francesco; e soprattutto lo spazio è lasciato alla folla che riempie il coro di una chiesa - si­lenti i laici, osannanti i frati -. L''ordigno' fatto fare nel castello in mezzo alla selva di Greccio da Francesco (nel racconto di San Bonaventura) viene trasfor­mato da Giotto in una completa rappresentazione dell'altare col ciborio, illeg­gìo, il pulpito, l'iconostasi tradizionali come arredo liturgico delle chiese roma­niche e quindi riconoscibili a differenza di qualche altra cosa che Giotto avreb­be potuto inventare seguendo alla lettera San Bonaventura. È in questo coro che si accalcano i personaggi, lasciando la navata più ampia oltre la chiusura della scena, verso cui si protende l'intelaiatura lignea di un crocefisso visto da dietro con il suo sostegno che ne sottolinea la prospettiva nella direzione opposta a quella con cui tradizionalmente la vedono i fedeli. La croce - rossa di minio di protezione come nella migliore tradizione della falegnameria dell'Italia centrale

CAPITOLO 1 l SAN FRANCESCO E LA NECESSITA DI UNA NUOì'A l'lSIONE: ASSISI 227

-è su un fondo blu: la volta delle cappelle e delle chiese in cui dipinge Giotto? o anche cielo - non più d'oro - dell'architettura e della pittura insieme? Tra le scene che si svolgono all'esterno in ambienti naturali due occupano i ri­quadri dietro la facciata della Chiesa superiore di Assisi, accanto alla porta (mo­tivo - assieme alla diversa esposizione verso est rispetto alle pareti nord e sud -della loro non buona conservazione). Sono due scene tra le più popolari: Il mi­racolo della fonte [fig. 12] e La predica agli uccelli (vedi p. 229, fig. 3). Nel Miracolo della fonte monti, rocce ed alberi rientrano nella tradizione pitto­rica pre-giottesca; qui però non sono solo uno sfondo, ma costituiscono la sce­na su cui si appoggiano i cinque personaggi; la differenza dei ruoli è sottolinea­ta dal fatto che le ombre portate si sommano alle ombre proprie solo nelle pie­ghe dei manti dei frati e dell'assetato; sono invece assenti sul terreno e sugli al­beri - dove sono evidenziate solo le ombre proprie, come era tradizionale - che si presentano quindi appiattiti e ritagliati. Gli alberi - dipinti 'a secco' e quindi dopo il resto del dipinto - sono sette: due sono proiettati sul terreno sopra la sorgente; cinque sul cielo scuro. Il ruolo ambientale degli alberi nel 'Miracolo della fonte' sarà svolto dagli uc­celli nel dipinto della 'Predica' (vedi parte IV, cap. 2).

Note

1 La bibliografia su San Francesco e su Giotto è ovviamente enorme e ad essa rimandiamo anche per attribuzioni e datazioni che sono marginali all'argomento di questo libro. I testi essenziali so­no: H. Thode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia, Berlino 1885, ed. italiana Roma, Donzelli 2003; C. Frugoni, Francesco e l'invenzione delle stimmate, Torino, Einau­di 1993; B. Zanardi, Giotto e Piero Cavallini, Milano, Skira 2002; oltre alle classiche opere di E. Battisti, C. Brandi, D. Gioseffi, C. Gnudi, R. Longhi, G. Previtali, R. Salvini, P. Toesca ecc. 2 I restauri dopo il terremoto del26 settembre 1997 hanno permesso una più precisa conoscenza di tutto il complesso delle chiese di Assisi. 3 Thode (op. cit.) attribuiva al 'Maestro di San Francesco' le storie di Francesco sulla parete si­nistra della Chiesa inferiore; attribuiva le storie di Cristo sulla parete destra ad un artista a me­tà strada tra il 'Maestro di San Francesco' e Cimabue; successivamente molti hanno attribuito anche queste storie della Passione allo stesso autore delle storie di Francesco. 4 Gli ambienti delle Storie di San Francesco nella basilica superiore di Assisi possono essere rag­gruppati in quattro elenchi (considerando tutti gli affreschi della serie francescana indipenden­temente dalle discusse attribuzioni totali o parziali a aiuti e collaboratori e dalla successione del­la loro esecuzione). l. Scene che si svolgono all'esterno in ambienti urbani: L'omaggio di un semplice nella piazza di Assisi l La rinuncia agli averi l La cacciata dei diavoli da Arezzo l La prova del fuoco l Il pian­to delle Clarisse. 2. Scene che si svolgono in ambienti intemi: n monito del crocifisso l La conferma della Regola l Il presepe di Greccio l La morte del cavaliere di Celano l La predica dinanzi a Onorio III l L'ap­parizione al Capitolo di Arles l L'apparizione a fra' Agostino l L'accertamento delle stimmate l L'apparizione a Gregorio IX 3. Scene che si svolgono all'esterno in ambienti naturali Il dono del mantello l L'estasi l n miracolo della fonte l La predica agli uccelli l Le Stimmate 4. Scene miste Il sogno del palazzo l Il sogno di Innocenzo III l La visione del carro di fuoco l La visione dei troni l Il trapasso l La canonizzazione.

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Capitolo 2

Prediche} leggende e storia

Possiamo assumere la popolarissima Predica agli uccelli come chiave di lettura della fortuna e della ricchezza dell'iconografia francescana. La Predica agli uc­celli era già stata molte volte dipinta prima di Giotto, anche nella stessa Basili­ca di Assisi dal "Maestro di San Francesco" [fig. 1]. Francesco sta camminando e gesticolando e contrasta col suo movimento l 'im­mobilità degli uccelli. Questi sono a terra sul prato su due allineamenti messi in risalto dal fatto che in primo piano ci sono tortore bianche e dietro gazze bian­co-nere. Un grande albero e un altro più piccolo, ceduato in tre tronconi, pre­sentano il disegno chiaro della chioma su cui sono tracciati rami e foglie: è au­tunno e sono rade le foglie rimaste mentre quelle cadute sono disegnate in bas­so, sul prato, tra gli uccelli. Il fondo è un unico colore scuro, dal verde del pra­to al blu del cielo (I fondi oro non piacciono certo ai francescani: ce ne sarà qual­cuno quando arriveranno a Assisi i pittori senesi: nel trittico con la Madonna, San Giovanni e San Francesco di Pietro Lorenzetti). La predica agli uccelli è uno degli episodi nella più antica tavola con San Fran­cesco; quella dipinta da Bonaventura Berlinghieri nel 1235 per la chiesa di San Francesco a Pescia (vedi p . 212 ,/ig. 4a) . San Francesco e due frati sono dinan­zi a una chiesa; di fronte una stilizzata montagna con fiori e alberi piena di uc­celli [fig. 2]. Giotto nella Predica agli uccelli [fig. 3] - guardando certamente al "Maestro di San Francesco" nella chiesa inferiore- propone un rapporto tra Francesco e la natura - vegetale e animale - situato in un ambiente in cui è abolito qualsiasi sfondo, qualsiasi riferimento a un luogo, a tipi tradizionali e stilizzati. Solo Fran­cesco, l'altro frate e gli uccelli (dipinti a secco sul restante affresco: le tecniche pittoriche sono strettamente funzionali al risultato dell'insieme e non solo espe­dienti di mestiere); tre alberi non sono nello sfondo, ma lì davanti con i frati e gli uccelli e profonde ombre sottolineano ali e penne, così come sottolineano le pieghe nelle tonache dei frati. Nello sfondo c'è solo il cielo; gli elementi natura­li terrestri sono in primo piano, sul proscenio, tutti alla pari alberi uccelli e uo­mini. Questa prima invenzione giottesca per creare l'ambiente naturale, consi­ste nell'annullarlo come scena autonoma e riproporlo panteisticamente tutto sul­lo stesso piano e con lo stesso valore; la scena è una sola e stacca direttamente e solo sul cielo 1•

A poca strada da Assisi, attraversata la Valle Umbra, a Montefalco, nel1452 Be­nozzo Gozzoli (1420-1497) affresca nell'abside della chiesa di San Francesco gli

CAPITOLO 2 l PREDJCEIE, LEGGENDE E STORIA

fig. 1. "Maestro di San Francesco", La predica agli uccelli. Assisi, Basilica inferiore, navata centrale, parete sinistra. Gioito conosceva certamente questo a//reico nella cbiesa ùJ/eriore, quando dipingeva lo stesso sagge/lo nella parete intema della facciata della cbiesa superiore. Un confronto JJOIJ ba molto senso (come tutti i confronti c/;e soltÙJtendono la ricerca di 1111 giudizio), ma è quasi ÙJevitabile (e non è scoli lato cbe Iia a vantaggio di Giotto!). San Francesco qui è in caJmiiÙJO e accompagna con tu/la la pe1J·ona il gesto benedicente che sembra dire/lo 11011 solo agli uccelli (divisi tra tortore ù1 primo piano e gazze dietro), lllll

anche ai fiori e agli alberi.

fig. 2. Bonaventura Berlingbieri, tavola a San Fmncesco a Peicia (1235). SceJI(/ conia predica agli uccelli (vedi anche p. 212, fig. 4a)

fig. 3. Giotto, La predica agli 1/ccei!J: Assisi, Basilica superiore. Fmncesco parla con gli uccelli con estrema naturalezza, tanto da stupti·e il/rate che è dietro a lui. Gli uccelli formano 1111 gmppo a terra, a cui sta aggùmgendosi 1/11 ritardatario in volo. Dietro c'è solo il cielo: le figure uma11e, anù11alt; tlegetali sono tutte in primo piano, tutte alla pmi. Questo epiwdio, ritenuto subito mme 11110 dei pitì significativi della vita e del pensiero di Francesco, è stato 1·ipreso tante volte nelle figure laterali alle pale con il Santo: nel!a tavola di Orte; nella tavola Bardi a Santa Croce a Fù·enze; nella tavola di Giotto al Louvre (Le stimmate, 1300 cù'Cfl) la tavoletta della predella con la predica agli uccelli riprende l'affresco di Assisi.

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230 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE RMLE

fig. 4. Benozzo Gozzo/i, affreschi, 1452. Momefa!co, Sa11 Francesco, abside. Gli affreschi sono distn'buiti s11 quattro pareti con tre xcene ognuno: la superiore termùw all'inizio delle volte della semi-cupola cou figure ùttere di sante e santi.

CAPI7'0LO 2 l PREDICI/E, LEGGENDE E STORIA 231

stessi episodi della storia del Santo raffigurati quasi due secoli prima sui muri delle due chiese di Assisi [figg. 4, 5, 6, 7, 8, 9] 2

• Mancano sette anni a quando Benozzo dipingerà la Cappella dei Magi a palazzo Medici-Riccardi a Firenze (1459, vedi parte III, cap. 4). Siamo in pieno Quattrocento e i personaggi non sono ascetiche figure calate in un ambiente comunque diverso ed esterno, anche quando non inteso solo come cornice. La scena della Predica agli uccelli [figg. 5, 8] è dominata dal Subasio: a sinistra Assisi (vedi p. 211,/ig. 3a); ai piedi del Subasio, a destra, Spello, appe­na visibile dietro Montefalco dominante in primo piano, al di qua della Valle Umbra; è accennata Bevagna. Benozzo usa sempre la prospettiva e dispone paesi e campagne su piani diversi, con dimensioni diverse, con stilizzazioni diverse. In primo piano, dominanti, i personaggi che recitano due scene in successione. Sono due benedizioni: a sini­stra Francesco - accompagnato come sempre da un frate - benedice gli uccelli; a destra benedice il vescovo e tre notabili di Montefalco. Gli uccelli qui non so­no più protagonisti, non sono con Francesco e gli altri, ma sono nel prato con cui comincia l 'ambiente realisticamente analizzato: poche erbe nello spiazzo cal­pestato dalla gente, il prato verde sotto agli uccelli , la collina che digrada con ulivi (un albero più avanti degli altri è agitato dal vento) , poi la pianura coltivata a campi. Oltre il Subasio, il cielo non è una tinta, ma tanti azzur­ri e tante nuvole. Occorre l'ambiente per capire i personaggi e anche il co­lore si direbbe che cerca di non crea­re contrapposizioni. Ma non è solo questa scena con la pre­dica agli uccelli e la benedizione dei notabili di Montefalco a permettere di studiare come è mutata la conce­zione dell'ambiente tra l'erede di Ci­mabue e il compagno di lavoro del­l ' Angelico. Sotto al riquadro precedentemente descritto c'è La rinuncia ai beni [fig. 8, in basso]: dietro a Francesco e al vescovo c'è tutta Assisi: palazzi, chie­sa, strade, pavimentazione. Nel Pre-

fig. 5. Benozzo Gozzoli:affrescbi, 1452.1'vlontefalco, San Francesco, abside. La predim agli ucce/H l vari uccelli (tortore, merli, colombi; gazze, 1111 cig11o .. .) sono sul prato ÙJ primo piano davanti a una dettagliata raffigurazione delle coltivazioni nella Valle Umbra sullo J./ondo del Subasio; si noli l'albero agitato dal vento e la città di Bevagna (vedi ancbe p. 211,/ig. 3a).

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232 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLI! RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

fig. 6. Beno:a.o Go:a.oli; ajfrescb1; 1452. Montefalco, San Francesco, abside. P1ùJta parete da sù1istra dal basso: La nascita di Maria; Francesco sostiene la cbiesa di San Damiano e Francesco presenta la Regola al papa; 1t presepe di Greccio.

CAPITOLO 2 l PREDICHE, LEGGENDE E STORIA 233

fig. 7. Beno:a.o Go:a.ob; affrescbi, 1452. Montefalco, San Francesco, abside. Seconda parete da sinistra dal basso: Francesco dona il mantello, il sogno, Pala:a.o 11eccbio a Fù·enze; la cacciata dei diavoli da Are:a.o; Francesco davanti al Sultano.

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234 PARTE QUAR1i l l L'IMMAGINE DEL SACRO liLLA RICERCA DELL'AMBIENTE REAl-E

fig. 8. Benozzo Gozzo/i, a/freschi, 1452. Montefalco, San Francesco, abside. Terza parete da sinistra dal basso: La rimmcia; La predica agli uccelli e la benedizione di lvlontefalco; le Sti111mate.

CA PITOLO 2 l PR EDICHE, LEGGENDE E STORIA 235

fig. 9. Benozzo Gozzo/i, a/freschi, 1452. Montefalco, San Francesco, abside. Quarta parete da sinistra dal basso: Salt Francesco e San Domenico in piazza San Pietro a .Ron"'; t/Il miracolo; il compianto.

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236 PARTE QUIIR'/ì \ 1 L'IMM;I GINE DEL SACRO ALLA RI CERCA DELL'AMBI ENTE REALE

sepio di Greccio [/i"g . 6, in alto] siamo invece interamente dentro all'architettu­ra di una chiesa, senza !imitarci alla sintesi giottesca, anche se forse questa era più convincente ed emozionante. Nell'affresco con Le Stimmate [fig. 8, in alto] , Francesco e un altro frate sono davanti a una cappella (a sinistra) e a un complesso monastico (a destra) , sullo sfondo un monocromo paesaggio di rocce e monti che riempie tutto lo spazio del dipinto, escludendo completamente il cielo. Anche il Serafino è "fuori cam­po ", forse perché l'ambiente descritto è la totale realtà e la presenza di un sim­bolo avrebbe rotto quella immersione del divino nel terrestre che era da più di due secoli un elemento insostituibile dell'iconografia francescana, e non solo.

Francesco non è certo l 'unico personaggio 'popolare': accanto ai protagonisti del Vecchio e del Nuovo Testamento e alle storie del santo protettore, dalle ultime pagine dei Vangeli emerge un personaggio che diventerà popolarissimo: Maria Maddalena. La sua immagine è quella di una delle pie donne (tutte di nome Ma­ria) che sono a fianco della Madonna sul Golgota e poi al sepolcro. Ancora una volta i Vangeli sono scarsi di informazioni, parzialmente contraddittorie: Maria di Magdala comparirebbe due volte. Nella prima versa lacrime e unguenti sui piedi di Gesù e li asciuga con i suoi ca­pelli, mentre questi è a cena in casa di un fariseo a Betania (Matteo, 26, 6-13 -l'unguento è qui versato sulla testa di Gesù-; Luca , 7, 36-50; Giovanni, 12, 1-8) . Solo in Luca la donna è una peccatrice, ma non sarebbe Maria di Magdala che è nominata poco dopo come persona diversa che Gesù libera da sette dia­voli. Il fariseo ospitante si chiama Simone in Matteo e in Luca; invece in Gio­vanni è lo stesso Lazzaro resuscitato e Maria è sua sorella. Negli affreschi nel re­fettorio di Santa Croce a Firenze (attuale Museo dell 'Opera di Santa Croce) [fig. 12] Taddeo Gaddi (1333-1396) segue il racconto di Luca: siamo a cena e il fariseo è a capotavola in una sala con le pareti verdi: il manto rosso della Mad­dalena risalta ancora di più perchè il suo vestito è verde e la sua chioma bionda accompagna il gesto con cui accarezza i piedi di Gesù. Il collegamento di questa donna con quella presente nell'altro episodio evange­lico è conseguenza della successiva popolarità: Maria Maddalena è accanto alla Madonna nella Passione e anzi è lei che si inginocchia ai piedi della Croce, par­tecipa alla sepoltura, è la prima testimone della Resurrezione (Matteo, 27, 55-61 e 28, 1-15; Marco, 15, 40 e 47 e 16, 1-20; Luca, 23, 55-56 e 24, 1-12; Giovanni, 20, 1-18) , svolgendo quindi un ruolo di grande importanza, tanto che questi epi­sodi nella tradizione popolare fanno parte sia del finale delle storie di Gesù che dell'inizio delle storie di Maria Maddalena. Dal primo episodio evangelico derivano due degli attributi della Maddalena: i lunghi capelli sciolti e il manto rosso che portavano le prostitute. Dal secondo episodio deriva la sua posizione di prima santa dopo la Madonna e quasi dell 'e­quivalente femminile di San Pietro. La sua storia prosegue dopo il Noli me tangere con una leggendaria traversata del Mediterraneo (e qui il raffronto è eventualmente con San Paolo); approda a

CAPITOLO 2 l PREDICHE, LEGGENDE E STORIA 237

fig. 10. Masaccio (1401-1428), Polittico per la cbiesa del Camuize a Pisa, poi disperso; la Crocefi.uione (1425-1426) è attualmente a Napoli; Gallerie Nazionali di Capodimonte. Il fondo oro mmul/a completamente qualsiasi elemento oltre le quattro figure, di cui lvf.a.wccio ba esaltato la dispemzione in modo quasi teatrale. La Maddalena allargando le bmccia - gesto inconsueto: i personaggi dolenti ai piedi della Croce sono quasi sempre raccolti- au1nenta il molo pittorico della 'macchia rossa'.

Marsiglia o a Les-Saintes-Ma­ries-de-la-Mer e si ritira come penitente alla Sainte-Baume. Viene sepolta a Vézelay (centro del suo culto nell'XI e XII se­colo) e poi le sue reliquie sono trasportate in Provenza, dove resterà per sempre la grande santa locale (per i Provenzali e per i Gitani). Per tutti i pittori la Maddalena è una pennellata rossa, disposta sempre in punti chiave delle sce­

ne: si può affermare che quando c'è la Maddalena è la sua figura che condizio­na la composizione e i contrasti inevitabili tra i colori. Il rosso condiziona la po­sizione e il panneggio del manto (che raramente lascia spazio per far vedere al­tre vesti e altri colori) e deve accordarsi con l'oro dei lunghi capelli; quasi sem­pre la Maddalena è l'unico tra i personaggi femminili a non averli raccolti sotto un velo, proprio per confermare la sua diversità. Anche in scene come la Cro­cefissione e la Deposizione quella pennellata rossa conquista la base della cro­ce, i piedi di Cristo, il centro del dramma raffigurandone la parte umana e ter­restre sotto a quella divina [figg. 10, 11]. Giotto dipinge la Maddalena nelle storie di Gesù, ma è quasi certamente anche l'autore degli affreschi nella Cappella della Maddalena nella Chiesa inferiore di Assisi, dipinti probabilmente poco dopo gli Scrovegni 3•

Oltre a molti ritratti di santi e vescovi, nella Cappella sono dipinte le storie del­la Maddalena [figg. 13, 14, 15, 16]. Le scene raffigurate sulle pareti sono: La ce­na in casa di un fariseo (Maddalena è ai piedi di Cristo); La Resurrezione di Laz­zaro (Maddalena - qui come sorella di Lazzaro - è inginocchiata davanti a Ge­sù al centro della scena e il suo manto rosso è messo in risalto dalla figura della sorella, il cui manto è verde scuro [fig. 13] ; Noli me tangere (anche qui la Mad­dalena inginocchiata è al centro della scena) [fig. 14]; Il viaggio a Marsiglia. In alto sotto le volte: La Maddalena trasportata in cielo, La Maddalena tra gli an­geli, La Maddalena riceve il manto da Zosimo [fig. 15]. In questi ultimi episodi

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fig. 11. Pietro Lorenzetti (1280/85 ca-1348?), Deposizione. Assisi, Cbiestt inferiore, tmnsel/o sinistro. La parte bassa della scena è pocbissimo cambiata n"spello alla Crocefissione: la macchia rossa della Maddalena è inginoccbiata e ùwece di sottolineare la direzione verticale -come l t ella Crocefissione- è disposta parallela al Crùlo.

fig. 12. Taddeo Gaddi(/300-1366), La cena in casa del Fariseo con la Maddalena che lava i piedi a Gestì. Firenze, refettorio della cbiesa di Santa Croce (al/uale lvfuseo deli'Opem di Santa Croce).

fig. 13. Assis1; Cbiesa inferiore, Cappella della Jvfaddalena, La resurrezione di Lazzaro. Siamo ancora lontani dalla dmmmttticità della Passione; la Maddalena è in ginocchiata al centro della scena /m il gmppo Ùl tomo a Lazzaro e quelfo co11 Geszì. La maccbia rossa del suo mantello è sotlolineala dal mantello verde scuro della sorella, di cui compare solo il bordo. Le montagne so11o di u11 colore smorto e 11111/orme e gli alberi si confondono nel cielo scuro. L'ambiente ha come protagonisti le persone.

PARTE QU;IW/il l L' /M,\IACINE DEL SACIWALLA RICERCA DEtL'AMBIENTE R/i; ll.E

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fig. 14. Assis1; Chiesa inferiore, Cappella della Maddalena. Noli me tangere. Lo sfondo non è di/ferente da quello della Remrrezio11e di Lazzaro e forma una quinta per le due scene in primo piallo. I: andamento delia montagl!aaccompagnala posizione della Maddalena, assegnando come sempre al suo manto rosso un molo dominante.

fig. 15. Assisi, Chiesa iufeliore, Cappella della Maddalena. Il vescovo Zosimo do1111 alta Maddalena penitente alltt Smirte­Baume un abito per vestirsi. L'abito è rosm a confermare cbe il colore, che colllrasseguava la peccatrice, può essere anche il colore della santità. l due personaggi SOlto qui streltamente collegati alla !1/0ittagna cbe ripropone l'andamento delle scene precedenti.

fig. l6. Assist; Chiesa iuferiore, Cappella della Maddtt!ena. I: arrivo a Marsiglia. È questo 11110 degli episodi pùì complessi delle st01ie della Maddale11a in Provenza. È un episodio cbe assegna uua posizione domiÌlllnte al mare: la cillà è sul mare e ba 1111 por/o con il/aro; nel mare navigau1w barca stilizzata con solo personaggi aureolati (/a Maddalena è al centro) e chiude lo spazio tra/a città e un promo11torio alberato in modo da eVJiare la linea mare-cielo; a siuistm m 111/a piccola isola vieue ritrovata la dama creduta anuegata nove mesi prri11a: è avvolta nel rosso, 11 colore con CIIi la Maddalenanou solo è vestita, 1110

con cui compie i miracoli.

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240 PARTE QUARTA L'IMMAGINE DEL SACRO 1lLLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

LA MADDALENA, SANTA DELLA PROVENZA

Il viaggio e la lunga vita di Maddalena penitente in Provenza non hanno una conferma sto­rica, ma la loro popolarità è dimostrata da quel testo ricchissimo di ispirazioni e di spun­ti che fu La legenda aurea di J acopo da Varagine (Varazze), composta in un periodo ante­riore al1277 (cap. XCVI) . Tra le oltre mille traduzioni e trascrizioni che ne accompagna­rono la fortuna nei secoli successivi, parecchie erano in funzione di sacre rappresentazio­ni come la trascrizione per lauda cantata (XIII-XIV secolo) usata dal complesso "La Re­verdie", esecutore di musiche alto-medievali.

Un uomo che avea meno il lume de gli occhi, andò al monastero Vigiliaco per vicitare il corpo di Maria Maddalena, e dicendogli la guida sua che vedea già la chiesa sua, cominciò il cieco agri­dare a grandi boci: "O santa maria Maddalena, Dio il voglia ch'io meriti alcuna volta vedere la chiesa tua!" Immantenente gli occhi gli furono aperti. Essendo messo uno in prigione per debito, chiamava spesse volte santa maria Maddalena in suo aiuto; ed eccoti una voce e appari/li una bella femmina la quale gli rispuose, ruppali i /er­ri di gamba e aperse t'uscio de la prigione e comando gli che fuggisse. E quelli vedendosi sciol­to, immantenente fuggìo. Alcuno scrisse in una cedola tutti i suoi peccatz; e puosela sotto il pan­no de t'altare di santa Maria Maddalena, pregando/a ch'ella gli accattasse perdonanza. E ponen­do poscia mente la cedola, trovò spenti i suoi peccati in quella cedola.

Magdalena degna da laudare, l sempre degge Dio per noi pregare Ben è degna d' esere laudata, l ke /oe peccatrice nominata: l per servire /o ben meritata, l Iesù Cristo volse seguitare. l Simon Phariseo fece convito, l a Iesù Cristo /ece uno grande convito; l ançi Ke il mangiare fosse compito, l Magdalena andava per cercare. l A li pie i de Cristo s' inchi­nòe l et molto dolcemente li basciòe; l di lagrime tutti li bagnòe, l colli capelli prese/i a 'schiu­gare. l El phariseo grande invidia avea l di ciò k' a Magdalena far vedea: verso quelli ke t otto sa­pea l col falso pensieri credea parlare: l "Se questi è propheta copioso l di scientia, non siria co­itoso: l se sapesse ciò c' à e n li e i nascoso, no la dignarebbe di guardare, l Cristo lo represe et /eli resposo: l "Falso pensiero è in te nascosto; l ben cognosco et so ke in lei è kiuso l volontà di be­ne operare. l Poi ke nel tuo albergo fui venuto, l non me desti bascio nè saluto: l questa rende tutto lo tributo, l de servire non se può satiare. l Quando Cristo /o passionato, l co li discepoli era raunata: l Maria Magdalena, in quelo stato, l lesù Cristo andò a visitare. l Magdalena avea seco portato l u11 onguento delicato: l unse Iesù Cristo d'ogne lato: l Giuda falso prese amor­morare. l Disse: "Questo è grande perdemento l ke si fa de questo pretiuso unguento: l mel/io vendere denari trecento, l et darlo a li poveri per loro consolare." Questo fo'l principio e la cascione l perké Iuda tradiscione, l et a guisa d'un vile schiavone l ven­deo Cristo e fece/o tormentare. l Puoi ke Cristo fue sepelito, l Magdalena, c'avea 'l cor ferito l del dolore ke Cristo avea patito, l unqua non potea requiare. l Colle Marie andò a lo sepulcro l ove Iesù Cristo era sepulto, l con un unguento pretioso molto l per le piage ugnare et curare. l Quando guardaro verso 'l monumento, l viddaro l'angelo chiaro più k'argento, l und'ell'ebbero grande pavento. l Vangelo prese loro a favellare: l "Di niente già non dubitate: l lesù Cristo ke voi domandate l suscitai' è, per certo lo sapiate, l et io so' qui per ciò denuntiare." l Magdalena si/o dipartita: l sença alcun retegno de sua vita, l quasi com'a guisa di remita l nel deserto an­dò ad abitare. l Molto /o de grande abstinentia l ke trenta anni fece penitençia; l contra li vitii mise sua potença: l nullo in vèr liei poterè' durare. l Sì come da Dio /o mandato,/ un omo c'a­vea ordene sacrato l a Dio era renduto et commendato l trovò la Maddalena cusì stare. l Prego­te per Dio, k'a mi venisti,/ ke tu m'arechi el c01po e'l sangue de Cristo,/ e'l libro de la fede ke credesti l e la stola ke la.uò la madre". l "Sora mia, tu sè pres'al porto l di gustare suave cum di­porto,/ et io sì t'areca quello con/orto l ke 'l tuo core à preso e desiare." l In sua mano /o con­fess'a ttanto l et con molte lagrime de pianto,/ può recevè il c01po e 'l sangue sancto; l al/or a fine non dia più demorare. l A Verdelai/o 'l suo corpo portato:! ina /one composto e consacra­to: l lesù consenta, k' è signor beato, l ben /in ire kife' questo trovare. (nota : Vigiliaco, Verde/ai= Vé:t.elay)

CAPITOLO 2 PREDICHE. LEGGENDE E STORIA 241

le consuete rocce e montagne della pittura gotica e di Giotto acquistano un to­no diverso: devono essere la Sainte-Baume, una montagna che- a differenza del Subasio e della Verna - Giotto non ha mai visto (ma forse qualche senese che dipingeva in quegli stessi anni ad Assisi e ad Avignone invece l'aveva vista). De­ve essere diversa dai monti attorno a Francesco e da quelli della Terra Santa, ed è profondamente diversa: nella plasticità, nella scala con i personaggi, nel colo­re omogeneo, nei pochi alberi (resi però ognuno con straordinario verismo). Su questo ambiente nella scena del manto ci sono solo tre pennellate di colore: il saio marrone scuro di Zosimo, i capelli che coprono Maddalena pudicamente emergente solo in parte dalla grotta, il rosso del manto che Zosimo dona a Mad­dalena (e sono due rossi: più chiaro sopra illuminato dal sole, più scuro sotto in ombra) e il colore della peccatrice diventa quello della santità, come la nudità della Maddalena dentro la grotta è forse insieme quella della prostituta e quella della penitente. I personaggi sono fisicamente dentro all'ambiente; è questo nel­la sua essenzialità che determina e spiega l'azione . La scena dell'arrivo a Marsiglia [fig. 16] è forse sotto questo aspetto anche più ricca, ma pittoricamente meno eccezionale nel suo insieme: le singole parti in­vece (soprattutto nella parte destra il faro, le mura, la città, la costa, la barca; e ancora di più nella stupenda isola la donna addormentata e vestita di rosso co­me se su di lei, miracolata, la Maddalena avesse passato la sua iconografia) non solo dimostrano che Giotto conosceva benissimo la prospettiva, ma costituisco­no una delle prime raffigurazioni del mare. Circa centocinquanta anni ci sepa­rano dalla predella delle Storie di San Nicola del Beato Angelico di cui abbiamo parlato a conclusione del lungo viaggio dei Magi (cfr. p. 189).

Note

1 Giotto ridipinge la Predica agli uccelli solo in una delle tre scene della predella nella tavola del­le Stimmate al Louvre. Alla Cappella Bardi in Santa Croce a Firenze tra i vari episodi francesca­ni Giotto non ridipingerà la Predica agli uccelli. 2 Montefalco, Guida turistica, Edizioni Porziuncola, Assisi 1997; B. Toscano, M. Montella, Guida al Museo Comunale di San Francesco a Montefalco, Electa Editori Umbri Associati, Città di Ca­stello 1999. 3 Senza entrare nel merito delle lunghe discussioni su questa cappella, cfr. H. Tbode, Francesco d'Assisi e le origini dell'arte del Rinascimento in Italia, ed. italiana Donzelli ed., Roma, 2003 (pp. 221-225).

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L''AMBIENTE' DELLA CHIESA

È necessario fare alcune considerazioni su un argomento spesso sottovalutato: la posizione in cui le singole scene sono collocate sulle varie pareti, volte, cupole. Committenti e pittori dovevano tenere conto di alcune condizioni di base che modificava­no le possibilità di visione e quindi richiedevano modi e tecniche di esecuzione appropria­te e differenziate. Si trattava sempre di almeno tre condizioni: l. L'altezza della scena dipinta rispetto all'occhio del fedele. Sulle pareti di quasi tutte le chiese medievali gli affreschi sono disposti su tre livelli: la distanza e l'angolo di osservazio­ne cambiano quindi dal più basso, al mediano, al superiore e il pittore sa come modellare le tonalità, lo spessore delle pennellate, il modo per far risaltare le figure, quanti dettagli leg­ge lo spettatore in basso e quanti in alto ecc. in modo da "correggere" la prospettiva e "av­vicinare" la scena. 2. La posizione della scena rispetto al posto occupato dal fedele-spettatore nella chiesa. Dai banchi in cui è seduto per seguire la funzione il fedele guarda: - le pareti, girando la testa a destra o a sinistra - l'arco trionfale e l'abside, guardando davanti a sé e seguendo la funzione (per cui queste immagini sono generalmente le "protagoniste" della chiesa) - la cupola e le volte, guardando in alto -la controfacciata, solo uscendo (e non a caso spesso è occupata dal Giudizio universale, come riferimento a ciò che attende il fedele fuori della chiesa) -gli affreschi delle pareti dell'abside o delle cappelle adiacenti, sono visti solo di sguincio e come quinte laterali dell'altare e della funzione che vi si svolge. 3. La luce era allora solo quella delle finestre (e delle candele e delle torce): poca, rispetto agli attuali riflettori, e variabile nelle varie ore del giorno e a seconda della presenza del so­le o delle nuvole. Alcune scene ai lati delle finestre erano comunque in controluce, altre ave­vano la luce da sinistra, o da destra, o in faccia. I pittori sapevano molto bene cosa imponevano loro queste situazioni; e sapevano quanta luce c'era nella chiesa che affrescavano o mosaicavano (La chiesa inferiore di Assisi era qua­si buia; quella superiore luminosissima). A seconda di questi parametri cambiavano disegno, colori, tecniche. Nelle scene più lonta­ne aumentavano le dimensioni (per sembrare uguali a quelle delle scene più vicine), accen­tuavano i colori o rafforzavano le ombre; le scene con molti personaggi erano in basso do­ve la gente poteva capire di più i dettagli e non in alto dove i dettagli necessariamente sa­rebbero sfuggiti ecc. Ogni epoca, ogni scuola, ogni artista aveva i suoi metodi. I mosaicisti usavano tessere diverse per dimensioni e sfaccettature (quindi riflessi) nelle varie zone delle pareti creando effetti "for­ti" dove lo richiedevano i personaggi, mentre la tecnica dell'affresco servendosi solo dei pen­nelli aveva come "strumenti" per lo stesso effetto lo spessore della pennellata, il contrasto dei colori e la loro composizione. (La storia dell'uso delle tecniche pittoriche andrebbe completa­mente riscritta dopo i grandi lavori di restauro scientifico degli anni a cavallo del cambio di mil­lennio: e non poche pagine di storia dell'arte andrebbero in conseguenza arricchite) Purtroppo tutto ciò è visibile e studiabile solo dal vero (e magari nelle varie ore della gior­nata, con la luce che cambia). Siamo abituati a vedere le singole scene separate; una dopo l'altra, come appese sui muri di un museo, o stampate successivamente sulle pagine di un li­bro; insistendo magari benissimo sui particolari, ma perdendo proprio quel primo "ambiente" che ha formato l'insieme delle pitture, delle luci, dei colori, di tutto l'edificio e per cui quei particolari sono stati fatti per costruire quella scena. Per esempio in molti cicli della vita di Cristo e della Passione, il cielo della Crocefissione con gli angeli piangenti è blu scuro e la sua drammaticità è data dal contrasto con tutti gli altri cieli azzurro chiaro, che sono lì in­torno e servono proprio a creare il contrasto. Nessuno di quegli artisti lavorava per fare "quadri", ma per fare quella chiesa, quell'edificio. Studi in merito sono stati fatti da M.Aronberg Lavin, The Piace o/ Narrative Mura l Painting in Italian Churches, 431 - 1600 A.D., Chicago 2a ed 1994; parzialmente in Piero della Fran­cesca, Skira Ginevra-Milano 2001.

Capitai 3

La Leggenda della Vera Croce: Agnolo; Cennt~ Piero

L'ambiente che ha accompagnato per secoli i vari personaggi 'divini' o, accanto a loro, quelli collegati al racconto biblico o agiografico, era quello ritenuto ne­cessario per completare la descrizione e l'azione dei personaggi stessi o al limi­te addirittura riconoscerne l'identità, tradizionalmente e popolarmente identifi­cata con elementi assunti a valore di simbolo. L'eventuale autonomia figurativa dell'ambiente era secondaria e comunque subalterna al soggetto principale. Questa rappresentazione dell'ambiente - come abbiamo visto - tende a sua volta a stilizzarsi in modo da trasmettere un messaggio sempre più complementare, no­to e scontato come cornice pittorica: una cornice che proprio per questo ruolo se­condario può diventare un elemento grafico autonomo e ripetersi in modo diver­so e indifferente rispetto al personaggio e all'azione centrale. Monti, alberi, case, città, cielo possono essere gli stessi dietro a qualsiasi scena, dando per scontato che unico è l'ambiente da Adamo alla Passione, dai patriarchi ai martiri. Proprio questa indifferenza ed astrattezza lascia campo libero a chi (per fissare molto ap­prossimativamente una data, da Giotto in poi) vuole sperimentare per motivi sva­riati una cornice non tradizionale e di repertorio e quindi proporre insieme una lettura diversa (non scontata su forme note e già viste) e un rapporto mutato tra protagonisti e ambiente che induce una presentazione innovativa dell'azione. Accanto a presumibili motivazioni interne al fatto pittorico e ad indubbi cam­biamenti nelle tecniche e nei modi di lavorazione, è determinante la volontà di inserire i personaggi di antichi avvenimenti nell'ambiente contemporaneo, noto e vissuto da chi guarda quelle raffigurazioni e vi prega davanti. I fatti (della Bib­bia, dei Vangeli, di questo o quel santo) si svolgono qui ed ora: Adamo, Salo­mone, Gesù, Costantino sono a Siena, ad Arezzo, a Firenze, in Provenza, nelle Fiandre, lungo l'Arno o il Tevere. Francesco non è più l'unico personaggio 'attualizzato', perché 'attuale' (il tenta­tivo di trattare Francesco come un santo qualsiasi è durato meno di cinquant'anni e comunque era messo in discussione nei tanti piccoli episodi raccontati nelle pre­delle e ai lati); il suo ruolo è stato fondamentale non essendo lontano nel tempo e nella geografia, ma 'contemporaneo', 'uno dei nostri'. È significativo che per questa 'attualizzazione' si assumono come testi di riferimento opere che possia­mo chiamare 'marginali': non la Bibbia, i Vangeli, ma testi che appartengono ad una letteratura religiosa secondaria o a sacre rappresentazioni di paese. Un testo soprattutto è diventato di gran lunga il più diffuso: la Legenda aurea scritta tra il 1255 e il1266 dal monaco domenicano Iacopo da Varagine (Varaz-

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244 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACTW ALLil RiCERCA DEL/.'AMBJE, 1TE REALE

ze 1228 circa - Genova 1298). Testimoniano la sua fortuna e diffusione circa un migliaio di traduzioni e trascrizioni fatte durante il XIII e XIV secolo e le ver­sioni in volgare, già cantate nel primo Trecento 1.

La Storia della Vera Croce è uno degli argomenti più fortunati tratto dalla Le­genda au1'ea (vedi pp. 260-263) . È una lunga storia di cui non esiste traccia in nessun testo biblico: in essa si racconta che il legno con cui fu poi fatta la Cro­ce, sarebbe stato segato da un albero, nato da un seme deposto in bocca ad Ada­mo morente. Dopo la crocefissione sarebbe stato diviso in infinite reliquie. Solo dopo la diffusione della Legenda aurea la storia della Croce diventa un sog­getto importante, anzi in molte chiese francescane un soggetto che si affianca ai racconti biblici e alla stessa storia di San Francesco, assumendo non di rado una importanza anche maggiore. Come tutti i temi 'liberi' da personaggi e gesti tradizionali, la storia della Croce è un'occasione per inventare un lungo racconto secondo lo stile e i costumi di committente ed esecutore in vari paesi e in vari momenti fino nel pieno Rina­scimento mittel-europeo. Tanto più che gli awenimenti evangelici sono proprio evitati nella Legenda aurea: la storia del Legno finisce con Salomone e ricomin­cia con Costantino: Cristo, la Passione, la Crocefissione, la Deposizione non ci sono. Ci sono solo la loro pre-istoria e la loro post-storia; secoli prima o dopo, senza santi - con l'eccezione di Elena - , senza nessun collegamento liturgico, senza nessuna tradizione iconografica. Tre rappresentazioni della Leggenda della Vera Croce, dipinte in chiese france­scane d 'Italia tra la fine del XIV secolo e la metà del XV, ci interessano parti­colarmente 2•

Nel1380 Agnolo di Taddeo Gaddi affresca le pareti intorno all'altare maggiore della chiesa dedicata alla Santa Croce a Firenze, confermando il ruolo di prota­gonista di questa storia al centro della maggiore chiesa dell'Ordine Francescano nella città di Firenze, in quel periodo una delle massime capitali europee rjt'gg. 1, la, 1b, 1c] . Nel1410 Cenni di Francesco di ser Cenni finisce di affrescare le pareti della cap­pella della Croce di Giorno, adiacente alla chiesa di San Francesco a Volterra [jigg. 2, 2a, 2b, 2c]. Infine tra il 1452 e il 1459 (forse con un completamento successivo) Piero del­la Francesca affresca l'abside centrale della chiesa di San Francesco ad Arezzo rjigg. 3, Ja, Jb] 3•

Agnolo Gaddi (morto nel1396) dipinge la storia della Croce in otto riquadri sul­le pareti della cappella centrale dell'abside di Santa Croce a Firenze. Le pareti laterali dell'abside, comprendono quattro scene ciascuna. A destra dall'alto: l'Arcangelo Michele dà a Seth il ramo dell'albero della futura Croce; la regina di Saba adora il ponte fatto con il legno di quell'albero; gli ebrei estrag­gono il legno da una piscina e fabbricano la Croce; S. Elena ritrova la Croce. A sinistra dall'alto la storia continua con Elena che entra con la Croce a Ge­rusalemme; prosegue alcuni secoli dopo con Cosroe che porta via la Croce; il sogno di Eraclio; la vittoria di Eraclio; il ritorno della Croce a Gerusalemme.

CAPITOLO J l Li! LEGGENDA VELLI! l'ERA CROCE: ;lGNOLO, CENNI, PIERO 245

fig . .l. Agnolo Cadrl!; Storùt della Vem Croce, 1380, Tl Riconoscimento della Croce. Fil·en•e Sflltta C1·o~e La ' tt t l' · · d · l L ~ • " ' . scena e

ne amen e~ IV/sa m ue par~l. 11 oasso, in primo piano la /o11o circonda o destra llritmvame11to delle croci e a sinistro la provn_con In l'eSIII:rez~one rh una d~1111a; ai due episodi nssiJ!e Elena, con 1111 1//{1/1/o msso e l'aureola. ]11 alto,

1111 paesngg1o de/tu/lo mcbpende11te dal/ avvenimento narrato in basso.

fig. la. Ag11olo Cade/,; Stor~a de11o Vem Croce, 1380, Il Riconoscimento della Croce. Firenze Santa Croce. Dettaglio T~n llllfl Cf/sa e un castello c! sono Ire covm~i dflvanli ai quali stnmazwno delle oche e abbaia 'un cflne, governati fl · distanza da 1111 rontadmo; m/o11do n/ben e scoiattoli.

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PARTE QUARTA l L' IMMAGINE DEL SACRO JILLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

figg. lb, le. Agna/o Gatldi; Storia della Vera Croce, 1380. 11 Riconoscimento della Croce. Fù·euze, Santa Croce. Ln vi/loria di Eme/io e il rilomo della Croce a Gemsnlemme. Aucbe qui è del tu/lo libero il rapporto tra il soggello storico, la folla e il paesaggio: il /itlllle

con il ponte in b11s.W, 1111 castello e degli alberi in alto.

CAPITOLO J l LA LEGGENDA DELLA l 'ERA CROCE: AGNOLO, CENNI, PIERO

figg . 2, 2tt, 2b. Cenni di Francesco di ser Cenni (notizie 1395-1415), Ln storia della vem Croce, 1408-1410. Lo vi/loria di Eme/io e il ritorno della Croce a Gerusalemme. Volterra, Sa11 Francesco, Cappella dei Bianchi. A trenta anni di distanza lo stesso episodio è dipinto in maniera qua.1i idelllictt da Agnolo e da Cenni. Il confronto non è solo nei personaggi e nella loro posizione e atteggiamento (fino alla lesta decapitala di Cm-roe), ma ancbe nelle rocce, negli alberi, neltorrl'llle al centro col ponte (si veda anche più avanti Piero della Francesca), nella mezza cbiesa cbe cbiude la scena a sinistra. A destra è divena Gerusalemme: 1111a città com palla in Cenni (con una osleria-cbiesa preceduta da 1111 bancone con boccale e un cane), pochi edifici appena intravisti tra rocce e monti in Agnolo.

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248 PARTE QUARTA 1 I; IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

fig. 2c. Cenni di Francesco di ser 0em~i, ~ stori~ . della vera Croce, 1408-1410. La vtttorw d t Eraclto e tl ritomo della Croce a Gemsalemme. Volterra, Sm: Francesco, Cappella dei Bianchi. San Fr~ncesco ~tceve le stimmate alla \ fema: la descrizione dt questa e riccbinima: un muro di pietra recinge tutte le celle disperse sulla montagna, percorsa da t~n.sentter~ protetto da una staccionata: Ad un m t n mio realtsmo nei fabbricati, corrisponde invece una dectsa stilizzazione nella montagna, quasi a contrapporre n_on tanto due stili pittorici, qumtto due diversi an~hie!ttl: quello rozzo e ostile della montagna e quello mvttante degli uomini.

CJ!PlTOLO 3 l LA LEGGENDA DELLA \'ERA CROCE: AGNOLO, CENNI, PIERO 249

In molte scene la folla è quasi l'unica protagonista e pochi elementi - architet­tonici o naturali - com paiono nel fondo, secondo un linguaggio che possiamo considerare gotico. Ma in alcuni episodi Agrtolo apre verso ambienti che avran­no un ruolo ancora più importante con Cenni, con Masolino, con Piero. Nella scena della morte di Adamo pochi monti stilizzati ai lati, cedono il posto al centro ad un ricco paesaggio con un fiume. La regina di Saba si arresta di­nanzi a un ponte costituito da una trave squadrata (che ritroveremo quasi ugua­le in Piero) , davanti a un fondo boscoso e a una città che si presenta come la mi­steriosa capitale di Salomone. Nel rinvenimento e fabbricazione della Croce, Agnolo ricostruisce un laboratorio di falegnami con sega, pialla, chiodi, trapani disegnati con precisione. Altrettanto avviene nello sfondo del Riconoscimento della Croce e della Vittoria di Eraclio: un fiume, percorso da anatre, è attraversato da un ponte su cui un dome­nicano sta pescando; un altro frate attinge acqua da un pozzo al limite di un frut­teto su cui si arrampica uno scoiattolo, e altre oche starnazzano attorno a tre co­voni [fig. la]. Trenta anni dopo Agnolo Gaddi, la Leggenda della Vera Croce è il soggetto che dipinge a Volterra Cenni di Francesco di ser Cenni, pittore nato a Firenze e at­tivo tra il 1400 e il 1415 circa, in vari paesi della Toscana [figg. 2, 2a, 2b, 2c] 4

Accanto alla chiesa di San Francesco, costruita subito dopo l'arrivo dei France­scani a Volterra e terminata nel1278, viene costruita nel1315 la Cappella di una confraternita di Bianchi denominata della Croce di Giorno, con fondi di due fa­miglie che ne resteranno per sempre proprietarie: Guidi e C01·sini. Quando Cen­ni dipinge la Leggenda della Vera Croce sulle pareti della cappella c'erano già, al­meno in parte, gli affreschi eseguiti da J acopo da Firenze nel13 98-1400 che ave­va anche ripartito e organizzato le altre pareti della cappella. Cenni negli anni 1408-141 O dipinge quindici scene riprese dalla storia di Maria (Annunciazione, Morte, Assunzione) , dalla nascita di Gesù (Natività, Presenta­zione al tempio , Fuga in Egitto, Strage degli Innocenti) , dalla storia della Vera Croce (Morte di Adamo, Adorazione del legno da parte della Regina di Saba, Fabbricazione della Croce, Rinvenimento della Croce, Adorazione della Croce da parte di Sant'Elena, Fuga di Cosroe, Adorazione di Cosroe e sogno e battaglia di Eraclio, Decapitazione di Cosroe e Trionfo della Croce).L'ambiente in cui Cenni colloca i vari episodi è lo stesso per i lontani avvenimenti biblici, per le storie del­la Madonna e del Bambino intorno all'anno zero, per pellegrinaggi e battaglie nel IV secolo. È sempre un ambiente dominato dall'horror vacui: i personaggi riem­piono le scene. Nella Strage degli innocenti tra madri, bambini, soldati, cavalli, angeli si possono contare circa cento figure. L'horror vacui era del resto una ca­ratteristica anche di Agnolo - come abbiamo visto -: si confrontino gli episodi di Cosroe (con la decapitazione a sinistra e l'entrata a Gerusalemme a destra): le due scene sono identiche anche nel taglio delle architetture e delle rocce. Solo den­tro a Gerusalemme Agnolo propone una chiesa e una casa tra rocce abbandona­te e Cenni invece la complessa architettura di una intera città [figg. l a, 2b]. Mentre nelle scene evangeliche i personaggi sono quelli tradizionali, tradizio-

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l'ARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO A LLA RICBRCA DELt:t l.\JBIENTE REt i LE

figg. 3, 3a,3b. Arezzo, San Francesco, pmspelli della pareti dell'absùle con la Storia del/a Vera Croce di Piero della Fnmcesca (1452-1459). Gli epiwdi sono quel/i del/a Legenda aurea /l/Oli lati i111111t1 complessa successione cbe è da sempre oggel/o di studi e di ipotesi: è certo cbe t m gli argo111enti cbe ne banno determinato la regìa, l'effe/lo pillorico complessivo è stato t m quel/i deter111inanti. Sono co/locale ù1 basso, all'altezza d'occbio degli osservatori, le grandi scene di ballaglia in CIIi tanti sono i personngg1; uomù1i e cava//1; i del/agli, i colon; le luci. In alto, nel/e scene riquadrate dal/e volte, JOIIO collocate l'inizio e la fù1e del/a leggenda: la Morte di Ada111o e l'entrala di Eraclio a Gemsalemme e sono entrambi dominati dallo stesso cielo azzurro con nuvole bianche e da colori chiari con pochi contrasti. Le scene situate

CAPITOLO J l l..tl LEGGENDA DELLA VEI<II CROCE: AGNOLO, CENNI, PIERO

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nella ptute centrale comprendono pilì episodi,· e forse ancbe In "regla" Ùilema ad e.ue ba tenuto conto del/a posizione, con Salomone e la regina di Saba da 1111a parte ed Elena da/l'altra. fu vece episodi meno importanti (e di dimma interpretazione) sono nel risvolto sulla parete di fondo. Il fedele-osservatore vedeva la Cappella absidale da lontano con l'altare e H Stlcenlote al centro e le pillure di sguincio, laterali e sfuggenti: La veduta complessiva era data dal colore azzurro chiaro (ancora pitì schiarito dal/e nuvolette bianche) uguale e domùl{ln/e in tu/te le scene (salvo nella piccola scena del sogno, dove il poco cielo è scuro perché è no/le ed è affidato a tante piccole stelle il compito di trasformar/o da 1111 astrailo colore di fondo inu11a indicazione ambientale precisa).

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252 PARTE QUAR111 l L'IMMAGINE DEL SA CRO ALLA tU CERCA DELL'AMBIENTE REALE CA PITOLO 3 l LA LEGGENDA DELL!l l'ERA CROCE: AGNOLO, CENNI, PIERO 253

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254 PARTE QUARTA l L'i MMAGiNE DEL SACRO ALLA RlCERCA DELL'A MBIENTE REALE

nalmente presentati e inquadrati, nelle altre scene della storia della Croce (con la sola eccezione di Cosroe in trono accanto al sogno di Eraclio) i personaggi so­no sempre masse compatte, sono sempre folla . Ma a differenza della Strage de­gli Innocenti, resta spazio per qualcosa oltre a uomini e cavalli: anzi l'ambiente ha un ruolo importante sottolineato dal fatto che è trattato diversamente come impostazione e come tecniche. I personaggi sono tutti alla stessa scala, con sfumature di prospettiva tra i più vi­cini e quelli subito dietro. L'ambiente invece è sempre su un 'altra scala rispetto alle dramatis personae e le varie parti dell'ambiente si confrontano tra loro su scale diverse e irreali, ignorando la prospettiva nell' insieme e nei singoli elementi: ed è una scelta voluta perché Cenni sa mettere bene in prospettiva i personag­gi, sa giocare di geometria nelle case, nelle mura, nelle torri e nei templi. Questo ambiente-sfondo è soprattutto costituito da tre elementi: l. Le montagne a balze sono usate come quinte di separazione degli episodi, rim­piccolite e sagomate in modo da far apparire ed esaltare cavalieri, sante e santi. E c'è da chiedersi se in questa edizione volterrana delle 'balze' di Cenni riecheggia la vecchia stilizzazione bizantina o gotica o non piuttosto un riferimento preci­so alle balze dell'oro grafia volterrana. 2. Gli alberi stilizzati con una piramide verde sopra un esile tronco, isolati o a piccoli boschetti, sono usati soprattutto per completare e sottolineare il disegno e il ruolo pittorico delle balze nella composizione generale. 3. I torrenti sono un segno grafico che ignora volutamente ogni possibile riferi­mento realistico alle leggi dell'idrografia: a volte invece che incassati in fondo­valle, sono addirittura sovrapposti a monti e balze. Spesso servono per propor­re come elemento più importante un ponte ad archi. L'ambiente è dunque un accenno preciso ad indicare che le folle si muovono in campagna, in territori non coltivati tra monti, alberi , fiumi: indicazione chiaris­sima è che siamo fuori dalle città, ben presenti e dipinte, ma sempre luogo ver­so cui si va o da cui si proviene, ma in cui non si svolge nessuna delle azioni.

Settanta anni dopo Santa Croce, quaranta anni dopo Volterra, trenta anni dopo Empoli (ed è bene ricordare anche i venticinque anni passati dalla Cappella Bran­cacci di Masacdo nella chiesa del Carmine a Firenze) tra il1452 e il 1459, Pie­ro della Francesca dipinge la Leggenda della Vera Croce, nell'abside centrale di San Francesco ad Arezzo che era allora la cappella della famiglia Bacci, e in cui negli anni precedenti Bicci di Lorenzo e suo figlio già avevano cominciato a la­vorare (arco trionfale, sottarco, volta) [figg. 3, Ja, Jb] . È interessante osservare la divisione delle varie scene. Queste sono infatti netta­mente separate orizzontalmente: una cornice a più listelli e con dentelli di tipo classico segna la separazione tra le tre fasce e si trasforma in alto, a separare il ciclo della Croce dalla volta, in un bellissimo fregio a più elementi. In senso ver­ticale invece non esiste nessuna separazione: episodi successivi 'dissolvono' uno nell 'altro. Le grandi scene lungo le pareti laterali e le piccole nei riquadri sulla parete di fondo , sebbene formino un angolo di 90°, non sono separate nemme-

CA PiTOLO J l LA LEGGENDA DELLA I'EEU CROCE: AGNOLO, CENNI, PiERO

fig. 4. Piero della Francesca, La vittoria di Coslautino, dettaglio. Arezzo, San France>eo. È il Tevere dello storia e della leggenda, ma non a Ponte Milvio, bensì pizì t1 monte, t1 Sansepolcro dove Piero e gli aretini lo conoscevt~no e frequentavano. Del tutto indi/ferente alla bt11taglia in primo piano (come l'osteria di Cenni 11el Trionfo della Croce t1 Volterrtl), se1peggia tra le due rive di piena; c'è un muliuo ù1 cui entrano due muli someggiati con sacchi, ci sono due persone e una terZtl sta anivando; tlccal/to c'è una casa e un'altra è di là dt~! fiume ed entmmbe bmmo sulla faccitlltl la tipica traversa di legno per assicumrci che sit~mo proprio !t; t m Toscana e Umbria nel XV secolo; ci sono tre cigni o antltre e ci sono due immt~ncabili tronchi segati per t1ssicurarci cbe è proprio Piero (o la sua bottega) ad aver dipinto quell'ambiente, ad aver dipinto il riflesso di tutte queste cose nel fiume, ad aver messo tutto ciò COllie scena de!!a vittoria di Costautliw, quù1dici secoli prima, duecel/lo c/)1/ometri più a valle.

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256 PARTE QU;lR'Iil l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMIJlENTE REALE

figg. 5n, 5b. Piero del/n Francesca, Ritrovamento del/a \fera Croce, La città di Arezzo, dettagli in alto a sinistra e a destra. Arezzo, San Francesco. Nel/n veduta da lontano la città è rappresentata come 1111 insieme di case in salita: bamto tetti altemati di tegole e di pietra, co11 finestre ad arco davanti a/le quali corre In con meta barra di legno m mensole di ferro.ln alcune case In facciata è a sbalzo, di colore rosso per denunciare i mattoni; mentre sono intonacate bianche le pareti non in aggetto. La lettura e la mppresentazioue dei tipi edilizi non lascia dubbi sul/'a.mmzione di Arezzo come Gem.m/emme, co111e modello riconoscibile e conosciuto di città; quindi come "la Città", quindi come la "Città Sttnta" non solo attualizzata, 111t1 proposta come tale ai suoi abitn11ti. In alto la mole del Duomo, davanti in discesa l'antica Pioggia di Mure//o: la cbiesa conia facciata verso est corrisponde a Santa Mariti in Grt1lb; mentre da/l'altra parte si stacca, con la facciata verso ovest, la Pieve di Santa Maria; poco tfiçcosto il rosso squadrato campanile di San Francesco. In tomo le 111111"11 degli inizi del XIV secolo. Per rappresentare vie e case all'intemo della città, Piero effettua una "zoommntn" in una via del/a città e la descrizione arriva ai dettagli costruttivi delle menmle e delle tegole sulle facciate verso occidente di una via, mentre nel panorama generale aveva ricercato la luce delle facciate verso oriente. Le case ban11o tutte la tradizionale traversa /ignea cbe doveva costituire un elemento dominante nel/e vie delle città toscane in quei tempi ln tanta precisa e renlistica doppia descrizione di Arezzo si iiiJerisce- e si propone come episodio centrale del/n sce11n -lo stilizzato disegno di un edificio n frontone cbe sembra avere lo stesso ruolo del colonnato cbe separa le due seme del/a regina di Sabn e di Salomone.

CAPITOLO J l 1.11 LBGGEND;I Dl.iLLA l'ERA CROCE: ; IGNOLO, CENNI, PIERO 257

no da una linea. Anzi, dove voluto pittoricamente, proseguono ostentatamente, come per costruire un ambiente unitario. A destr~, nella fascia intermedia con le storie della regina di Saba, la scena nel fondo, m controluce accanto alla bifora, ha lo stesso cielo e le stesse colline e i personaggi se.mbrano arrivare dall'altra parte dell'affresco. Per innalzare il legno della Croce s1 vedono tre uomini: il primo spinge il legno con la spalla destra e le br~ccia; il secondo usa un'asta-puntone che impugna con le due mani; il ter­zo spmge con le due braccia distese al massimo in alto; ma c'è un quarto uomo -fuori campo- che spinge una seconda asta-puntone che sorregge l'estremità del legno ed è dipinta più robusta e nodosa dell'altra in quanto deve sostenere uno sforzo maggiore. Un regista cinematografico avrebbe forse molto da studiare nella lunga sequenza della regina di Saba e non solo per questa parte di azione nell'Innalzamento con un protagonista fuori-campo. A sinistra nella fascia intermedia il Ritrovamento e riconoscimento della vera Cro­ce prosegue nella parete di fondo con la scena comunemente indicata come La tortura dell'ebreo (ma i dubbi avanzati su cosa rappresenti questa scena sono mal-

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258 PARTE QUA RTA l V IM tWAGINE DEL SACRO ALIA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

ti). A noi interessa osservare che il passaggio tra le estremità delle scene disposte a angolo retto è costituito da due facciate dello stesso tipo di casa in pietra gri­gia con due finestre ad arco verso La tortura e nove identiche verso Il riconosci­mento; con lo stesso tipico bastone su mensole di ferro davanti alle finestre. Adamo', la regina di Saba, Salomone, Costantino, Elena, Cosroe, Eraclio si muo­vono nella Toscana del XV secolo, nella valle del Tevere, tra Sansepolcro ed Arez­zo [fig. 4]. Gli elementi che Piero usa qui non sono diversi da quelli usati in al­tri suoi dipinti in cui i personaggi (santi o no) sono ritratti in un ambiente e non nel vuoto, nell'infinito. Ci sono degli elementi ricorrenti nelle proposte ambien­tali di tante opere di Piero: in San Gerolamo e un devoto (Gallerie dell'Accade­mia, Venezia), nel Battesimo di Cristo (National Gallery, Londra), nel San Gero­lamo penitente (Gemaldegalerie, Berlino). In molte di queste scene troviamo l'al­bero tagliato e il fiume che diventano quasi una 'firma' del maestro o della sua bottega (come ipotizzano Berenson e Longhi). Ad Arezzo l'innovazione continua in ogni personaggio, in ogni azione (tutto avreb­be potuto essere diverso) può far passare in secondo piano ad un primo sguar­do quanto sia ugualmente innovativo l'ambiente, quanto sia anch'esso inventa­to per quel racconto, per far risaltare quei personaggi così disposti. L'ambiente si presenta sempre lontano, in un'altra prospettiva, in un 'altra luce e in un'altra scala (con qualche grande albero di eventuale collegamento): proprio per que­sto tutti i personaggi sono allineati in primo piano (solo Seth e l'angelo, una da­ma nel corteo della regina di Sa ba e il vecchio a destra all'arrivo di Era clio a Ge­rusalemme si dispongono su un secondo piano). Nella prima scena della Leggenda della vera Croce, Piero ha raggruppato più epi­sodi (morte di Adamo, Seth e l'angelo, l'angelo stacca un ramo dell'albero del peccato, seppellimento di Adamo con il ramo, l'albero cresciuto), ma dietro a tutti scorre un fiume da un estremo all'altro dell'affresco: tra le gambe e le ve­sti di tanti personaggi scompare e ricompare una decina di volte prima di gira­re decisamente verso il fondo dietro alla collina alle spalle di Adamo ed Eva; prima che il fiume scompaia, lontano dall'umanità in primo piano, alle porte del paradiso, due figure bianche, lontanissime sono Seth e l'angelo, distaccati ap­punto dal racconto e dalla scena recitata dagli umani. Anche nelle scene sottostanti sono raggruppati più episodi e anche qui non è la successione cronologica che ne determina la disposizione: le due scene maggio­ri rappresentano il corteo della regina di Saba e il suo arrivo alla corte di Salo­mone (della terza scena raffigurante L'innalzamento del sacro Legno abbiamo detto prima), ma non sono in sequenza: il corteo arriva da sinistra, ma entra nel­la reggia da destra facendo supporre un voluto distacco. Certo c'è qui una de­cisa contrapposizione dei due ambienti: la reggia di Salomone è l'unica scena completamente all'interno, chiusa sotto un ricco colonnato descritto con estre­ma precisione; il corteo invece è in un ambiente che è quello delle colline ap­penniniche dove si alternano grandi macchie-pennellate di vari verdi e campi di terre-d' ombra a rappresentare l'alternarsi di boschi e calanchi, appunto di certi tratti dell'Appennino e non di una quinta qualsiasi.

CAPITOLO 3 l LA LEGGENDA DELLA l'ERA CROCE: AGNOLO. CENNI, PIERO 259

Il momento centrale di quest'episodio è la regina inginocchiata in adorazione: il sacro Legno è la stessa trave perfettamente squadrata che viene innalzata nella scena piccola accanto alla finestra, cioè al di là della fine del corteo. Ma la tra­ve n?n ~ un ponte e la poca acqua che è ,dipinta al di là non si collega al pae­saggiO ctr:~stante. Tutta questa parte dell affresco (la regina, il Legno, l'acqua) anche se e t1 centro del racconto e se è geometricamente al centro della parete sembra costretta quasi in un angolo contro il colonnato della reggia che non chiu~ de l'ambiente di Salomone, ma è prospetticamente disegnato nel paesaggio aper­to delle colline a sinistra: ed è disegnata con tanta precisione che le basi cancel­lano l'acqua e il Legno sembra quasi che sia stato buttato lì contro (riferimento all'ipotesi che dovesse servire per il Tempio?) Al centro dell'affresco sottostante, la Vittoria di Costantino, il fiume diventa pro­tagonista in quella che è forse la più straordinaria raffigurazione ambientale di Pie­ro ad Arezzo: nel poco spazio lasciato tra il primo cavallo dei vincitori e l'ultimo degli sconfitti sembra concentrata tutta la tematica paesaggistica di Piero [fig. 4]. Finora siamo andati a cercare gli ambienti proposti da Piero in basso, tra gam­be di uomini e zampe di cavalli; nel Ritrovamento e riconoscimento della Cro­ce, è in alto che dobbiamo guardare per capire che siamo fuori di Arezzo nel­l' episodio a sinistra e che siamo entrati dentro ad Arezzo nell'episodio a destra [fzgg. 5a}5b]. Arezzo è dipinta due volte: da fuori e da dentro. Se a prima vista la cappella in San Francesco ad Arezzo può sembrare una serie di eccezionali personaggi su un celestiale fondo azzurro e questo essere quindi il loro ambiente, a una lettura poco più attenta appare l'essenzialità di rappre­sentazioni ambientali, da Arezzo al Tevere, alla pari con gli elementi più appa­riscenti e noti e che testimoniano di un ruolo del fattore ambiente non più se­condario o subalterno, ma decisamente a livello di protagonista.

Note

1 G. Battelli, Leggende cristiane, Milano 1924; J. da Varagine, Legenda aurea, trad. C. Lisi, 2 voli. Libreria editrice fiorentina, Firenze 1990; G.P. Maggioni, Legenda aurea, 2 voli., SISMEL Firen­ze 1998; A. e L. Vitale Brovaronea (cura di), Iacopo da Varazze, Legenda Aurea, Giulio Einaudi editore, Torino 1995; S. Bertini Guidetti, I Sermones di ]acopo da Varazze, SISMEL Firenze 1998; S. Bertini Guidetti, Il Paradiso e la terra, SISMEL Firenze 2001. 2 E. Castelnuovo, La pitturn in Italia. Il Duecento e il Trecento, Milano 1986, 2 voli.; AA.VV., Vol­terra, La cappella della Croce in San Francesco - Fotoimmagine Volterra 1991. 3 Purtroppo durante la Seconda guerra mondiale un bombardamento aereo ha fatto quasi total­mente sparire la Storia della Vera Croce affrescata da Masolino da Panicale nella cappella di San­t'Elena nella chiesa di Santo Stefano ad Empoli, 1424. 4 Opere di Cenni sono a San Gimignano in S. Lorenzo in Ponte e annesso Oratorio; a Lucardo nel­la Pieve di S. Lorenzo; ad Argiano nella chiesa di S. Martino; a Montalbino nella Pieve di S. Giusto.

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260 PARTE QUARTA L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

LA STORIA DELLA VERA CROCE

cap. LXVIII e CXXXVII di La legenda aurea (1255-1266) diJacopo da Varagine

La Legenda aurea segue il calendario liturgico e racconta per le feste di ogni giorno gli episodi di quel santo o di quell'avveniment~, proponendo laudi da can~are ~econd~ musiche di tradizione giullaresca con un dec1so senso della rappresentaziOne m modi che richiedono la partecipazione corale dei fedeli. Possiamo immaginare che la Legen­da aurea costituisse insieme il testo su cui lo scenografo-pittore affrescava le pareti del­la chiesa e su cui il coro cantava l'accompagnamento sonoro. La Legenda aurea divide la storia della Vera Croce in due fasi: "L'invenzione della Croce" (LXVIII, 3 maggio, dove "invenzione" deve essere letta nel significato latino di 'ritrova­mento') e "L'esaltazione della Croce" (CXXXVII, 14 settembre): la prima racconta la sto­ria da Adamo alla regina di Saba e ai tempi di Elena e Costantino, saltando interamente la Passione; la seconda racconta le vicende di Cosroe ed Eraclio nel VII secolo d.C.

"Si chiama Invenzione della Santa Croce il giorno in cui si ritiene che la Santa Croce sia stata trovata. Era stata dapprima· trovata da Seth, figlio di Adamo, nel Paradiso Terre­stre, come racconteremo, poi da Salomone sul monte del Libano, dalla regina di Sa ba nel tempio di Salomone, dai Giudei nell'acqua della piscina e nella ricorrenza di oggi da Ele­na sul Monte Calvario. L'invenzione della Santa Croce fu fatta duecento e più anni do­po la resurrezione del Signore. Si legge in/atti nel Vangelo di Nicodemo 1 che essendosi Adamo ammalato, suo figlio Seth andò alle porte del Paradiso e chiese l'olio de/legno della misericordia con cui ungere il corpo del padre e riacquistargli la salute. Gli apparve l'arcangelo Michele che gli disse: - Non darti pena per aver l'olio de/legno della misericordia, perché non potresti averlo in nessun modo finché non saranno trascorsi 5500 anni- (Si crede che da Adamo fino al­la passione di Cristo siano trascorsi 5199 anm). Si legge anche altrove che un angelo gli procurò un rametto e gli disse di piantar/o sul monte del Libano. Invece, in una storia apocrifa greca si legge che l'angelo gli diede del legno dell'albero con il cui /rutto peccò Adamo, dicendogli che quando avrebbe fruttifi­cato suo padre sarebbe guarito: ma, ritornato, trovò il padre morto e piantò il ramo sulla tomba del padre, dove diventò un grande albero che visse fino al tempo di Salomone. La­scio giudicare ai lettori se queste storie siano vere, dal momento che questo racconto non è riportato da alcuna cronaca o stot·ia autentica.

Salomone poi, vedendo un albero così bello, lo fece tagliare per metter/o nel palazzo del­la foresta 2; ma, come dice Giovanni Beleth 3, non c'era posto in cui potesse essere siste­mato: o era troppo lungo o era troppo corto, e quando lo si tagliava della misura giusta, sembrava così corto da non servire più a nulla. Per la rabbia gli operai lo presero e lo buttarono su di uno specchio d'acqua, perché servisse da passerella. Quando poi venne la regina di Sa ba ad ascoltare la sapient.a di Salomone, mentre stava per attraversare quel­lo specchio d'acqua, vide in spirito che il Salvatore del mondo sarebbe stato appeso. a quel legno e dunque non volle calpestarlo e anzi lo adorò. Si legge invece nella Histona sco.­lastica 4 che la regina di Sa ba vide quel tronco nel palazzo della foresta, e dopo essere rt­tomata alla sua casa informò Salomone che a quel tronco sarebbe stato appeso un uomo per la cui morte il regno dei Giudei sarebbe stato distrutto. Salomone allora tolse il tron­co da quel luogo e lo fece sotterrare nelle più pro/onde viscere della terra.

CAPITOLO J LA LEGGENDA DELLA l'ERA CROCE: AGNOLO, CENNI, PIERO

Molto tempo dopo in quel luogo /u costruita una piscina probatica dove i Natmei lava­vano le vittime e si dice che non solo per la discesa di un angelo ma anche per la virtù di quel legno le acque in quella piscina si muovevano e guarivano i malati. Quando poi stav~ aV?ici'!andosi la passione del Signore, si dice che questo tronco fosse venuto a galla e t Gtudet vedendo/o lo presero e prepararono la croce del Signore.

Questo prezioso legno della croce rimase per duecento e più anni nascosto sottoterra ma fu poi trovato da Elena, la madre dell'imperatore Costantino. A quel tempo si era radu­nata sul Danubio una grandissima moltitudine di barbari che voleva attraversare il fiu­me per sottomettere tutte le terre verso occidente. Non appena l'imperatore Costantino lo venne a sapere, mosse le truppe e si mise con il suo esercito sull'altra sponda del Danubio. Ma ti numero dei barbari aumentava e già comin­ciavano ad attraversare ti fiume; Costantino, sapendo che ti giorno dopo ci sarebbe stato lo sc?ntro, fu p~·eso da un~ gr~nde ~aur~. Ma durante la notte un angelo lo svegliò e gli disse dz guardare m alto: alzo glt occht e vtde una croce splendidissima su cui vi era scritto a let­tere d'oro In hoc signo vinces, "con questo segno vincerai". Quella celeste visione lo con­fortò, fece lllta croce simtle a quella che aveva vista e volle che fosse portata alla testa della truppa. I.: esercito irruppe sui nemic~ mettendo/i in fuga e uccidendone un gran numero. Allora Costantino convocò tutti i ponte/ici dei templi e volle sapere a quale dio appar­tenesse quel simbolo. Quelli dicevano di non conoscerlo, ma arrivarono alcuni cristiani che gli spiegarono a fondo il mistero della Santa Croce e della Trinità. Egli credette al­lora totalmente in Cristo ed ebbe il santo battesimo da papa Eusebio, o, secondo alcuni test~ dal vescovo di Cesarea. Ma i~ q':' est~ raccont? vi. sono molti pa~si in_ contra~di~ione ~o n l'Historia tripartita 5,

con l Bistorta ecclestasuca 6, con la H1stona sanctl Sdvestn 7 e le Gesta pontificum romanorum 8. Secondo questi testi infattz; non fu questo Costantino, l'imperatore, a essere bat!ezzato da papa Silvestro e convertito alla fede cristiana, come si legge in al­cune storte, ma /u Costantino, il padre di quello in questione, come si legge in alcuni storici. Quel Costantino in/atti arrivò alla fede in un altro modo come è detto nella Historia sancti Silvestri, e si dice anche che non fu battezzato da' Eusebio, ma da Sil­vestro. Morto poi questo Costantino, il figlio Costantino, me more della vittoria che il padre aveva conseguito per virtù della Santa Croce, mandò sua madre Elena a Geru­salemme, per trovare quella croce, come diremo più oltre. La Historia ecclesiastica invece racconta in altro modo questa vittoria. Dice in/atti che avendo Massenzio invaso l'impero romano, l'imperatore Costantino stava per entrare in con/l~'tto ~on Masse~zio al P?nte Albino 9; agitato da una grande ansia alzava spesso gli oc~ht al ctelo per chtedere atuto, quando vide come in sogno risplendere nel cielo, verso arzente, un segno luminosissimo e accanto vi erano degli angeli che gli dicevano: "Co­stantino, in questo segno vincerai". Poi, come dice l'Historia tripartita, mentre Costanti­no cercava di capire che cosa fosse quel segno, Cristo gli apparve nella notte con lo stes­so segno che aveva visto in cielo e gli disse di riprodur/o, perché lo avrebbe aiutato nello scontro. Costantino allora, felice e ormai certo della vittoria, tracciò sulla sua fronte il se­gno di croce che aveva visto in cielo, trasformò le insegne militari in forma di croce e ten­ne nella mano destra una croce d'oro. Pregò poi il Signore di far sì che la sua mano de­str~ che teneva la croce non si macchiasse di sangue dei Roman~ e che concedesse la vit­torza sul tiranno senza spargimento di sangue. Massenzio intanto, per tendere un tranel­lo con le barche, le /ece disporre sul fiume come se vi fosse un ponte. E quando già Co-

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262 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELI:AMBIENTE REALE

stantino si stava avvicinando al ponte, Massenzio gli si affrettò incontro con pochi uomi­ni, ordinando agli altri di seguir/o; ma dimenticatosi che il ponte era fittizio, quando vi salì con il suo piccolo esercito cadde nello stesso inganno che aveva voluto tendere a Co­stantino, sprofondando nel fiume. Costantino allora fu acclamato da tutti imperatore.

I.:Esaltazione della Croce è solennemente festeggiata dalla Chiesa, poiché nella croce la fede fu molto esaltata. Nel 615 per volontà del Signore fu concesso ai pagani di perse­guitare il suo popolo. Cosroe, re dei Persiani sottomise al suo impero tutti i regni della terra; giunto però a Gerusalemme, se ne tornò via atterrito dalla vista del sepolcro del Si­gnore; tuttavia portò con sé una parte della santa croce che sant'Elena aveva lasciato lì. Volendo essere da tutti venerato come un dio, fece una torre d'oro e d'argento, con gem­me incastonate che brillavano; vi collocò un'immagine del sole, della luna e delle stelle, e attraverso delle cannelle nascoste faceva scorrere dell'acqua dal di sopra, come se fosse un dio; nel basamento faceva correre delle quadrighe di cavalli, che davano ai presenti l'impressione che si producesse un tuono 10• Lasciato il regno al figlio, si mise in quel tem­pio, lui che era empio, con la croce del Signore accanto a sé, e si faceva chiamare dio. A quanto racconta il Mitrale 11 Cosroe sedeva in trono come Dio Padre, tenendo la croce al­la sua destra al posto del Figlio, e un gallo a sinistra al posto dello Spirito Santo, e im­pose di essere chiamato padre. Allora l'imperatore Eraclio raccolse un grande esercito e giunse sino al Danubio per scon­trarsi col figlio di Cosroe. I due principi decisero di comune accordo che loro due soltanto si sarebbero incontrati su di un ponte e avrebbero combattuto, lasciando l'impero a chi dei due avesse vinto, senza spargere così il sangue dei salda#; stabilirono inoltre che se qual­cuno avesse osato intervenire in difesa del suo principe, gli si sarebbero tagliate le braccia e le gambe e sarebbe poi stato gettato nel fiume. Eraclio si mise nelle mani del Signore e si raccomandò, con tutta la devozione che aveva, alla santa croce. Lo scontro fu aspro, ma il Signore dette la vittoria a Eraclio, che prese sotto di sé l'intero esercito avversario; tutto il popolo di Cosroe si sottomise alla fede cristiana e ricevette il sacro battesimo. Cosroe non era al corrente del risultato della guerra, perché, essendo inviso a tutti, nessuno andò a riferirglielo. Eraclio arrivò sino a lui e lo trovò assiso sul trono d'oro, e gli disse: - Nella tua strana maniera hai onorato il legno della santa croce, e perciò, se vorrai ri­cevere il battesimo e la fede di Cristo, avrai salva la vita e il regno, a condizione che tu dia anche qualche ostaggio. Se invece non accetterai questa offerta ti colpirò con la spa­da e farò cadere la tua testa. Cosroe non volle accettare, e allora Eraclio estrasse la spad4 e gli troncò il capo. Dato che si trattava di un re, lo fece seppellire. Prese il figlioletto di dieci anni che aveva tro­vato accanto a lui, lo fece battezzare, tenendo/o lui stesso sul fonte, e gli affidò il regno del padre. Abbatté la torre e dette tutto l'argento in bottino all'esercito, riservando in­vece l'oro e le pietre preziose alla riparazione delle chiese che il tiranno aveva distrut­to. Prese la santa croce e la portò a Gerusalemme, ma mentre voleva passare col caval­lo con le bardature regali, e lui stesso con la veste imperiale, attraverso la porta da cui passò il Signore andando verso la passione, improvvisamente le pietre scesero e si dis­posero come un muro o una parete, l'una contro l'altra. Tutti i presenti furono mera­vigliati di quanto stava accadendo, quando apparve sopra la porta un angelo del Signo­re che portava in mano il segno della croce, e disse: -Il Re dei Cieli quando passò per questa porta per andare alla passione non passò con pom­pa regia, ma su un modesto asinello, e lasciò con questo un esempio per tutti coloro che vo-

CAPITOLO 3 l LA LEGGENDA DELL/1 l'ERA CROCE: AGNOLO, CENNI, PIERO

gliono essere suoi seguaci. Dette queste parole l'angelo svanì. I: imperatore piangendo si tol­se i calzari e tutti i vestiti sino alla camicia, prese la croce del Signore e la portò umilmen­te sino alla porta: la dureua delle pietre senti la forza dell'impero del cielo, e la porta siri­alzò da sola e aprì il passo a quelli che volevano entrare. Quel meraviglioso odore che al momento in cui la croce fu portata via dalla torre di Cosroe si sentì a Gerusalemme sin dal­la remota provincia della Persia, si senti nuovamente e riempì tutti della sua straordinaria dolcezza. Il re, pieno di devozione, proruppe in queste lodi della croce: O croce più brillante di tutte le stelle, venerata in tutto il mondo, amata da tutti gli uo­mini, più santa di ogni cosa, tu che sola sei stata degna di portare la dote del mondo dol­ce legno, dolci chiodi dolce punta e dolce lancia, tu che porti dolci pest; salva la fotla che qui è riunita per cantare le tue lodi, e porta il vessillo con la tua insegna".

Note

1 Con questo titolo è indicato il vangelo apocrifo originariamente indicato come Atti di Pilato con una continuazione sulla Discesa di Cristo all'Inferno in cui si narra come Cristo risorto sia sceso all'inferno per liberare alcuni profeti e patriarchi dell'Antico Testamento: la citazione della Le­ge~1a Aurea si .rif~r~sce a <;JUest~ u~tima parte? cap. III. Giovanni è il Battista, "l'ultimo dei pro­feu (trad. dali ed1ztone Emaud1 c1t. a cura dt M. Craveri): "Avendo Giovanni così ammonito coloro che erano nell'inferno, il primo creato, il progenitore Adamo, che aveva ascoltato, disse a suo figlio Seth: - Figlio mio, desidero che tu dica agli ante­nati del genere umano e ai profeti dove ti mandai quando venni sul punto di morire". E allora Seth disse:- Ascoltate, profeti e patriarchi! Una volta mio padre Adamo, il primo crea­to, caduto in punto di morte, mi mandò a rivolgere preghiera a Dio, proprio sulla porta del Para­diso, che mi facesse accompagnare da un angelo fino all'albero della misericordia e che io potes­si prendere di là olio e ungere mio padre, perché si riavesse dalla sua malattia. Così io feci e do­po la mia preghiera veune un angelo del Signore e mi disse: "Che cosa desideri, Seth? D~sideri l'olio che cura i malati o l'albero che produce tale olio, per l'infermità di tuo padre? Questo non si può trovare adesso. Va dunque da tuo padre e digli che quando saranno trascorsi dalla crea­zi?ne del mondo, cinq~emila cinquecento anni, allora scenderà sulla terra l'unigenÙo Figlio di D t? _fatto uomo, ~d. eg!t ~tes~o ~o un~e~à con questo olio, ed egli risorgerà, e con l'acqua e con lo Spm_t~ Santo purif1chera lm e 1 suo1 discendenti, e allora guarirà da ogni malattia. Ma ora non è posstbile che questo avvenga. Udendo queste parole, i patriarchi e i profeti si rallegrarono gran­demente". 2 Era così chiamata la reggia di Salomone. 3 Liturgista ed erudito attivo in Francia, XII secolo Autore di De divinis officis. 4 Scritta da Petrus Comestor, decano del Capitolo di Troyes (1147). ~Scritta da Cassiodoro (circa 485-580). 6 Scritta da Eusebio da Cesarea (circa 265-340). 7 Citazione a cui non corrisponde una opera specifica a noi nota (forse una vita di San Silvestro di Eusebio da Cesarea). 8 ~on questo titolo sono indicate numerose opere con elenchi di papi; la prima risale al 867 (da P1etro a Nicolao I). 9 Dovrebbe essere un errore per Ponte Milvio. 10 Faceva parte del palazzo imperiale di Ctesifonte; resta la facciata occidentale e la volta d es cri t­ta dalla Legenda aurea, detta Taq i Kisra, (fine IV. inizi V secolo). 11 Opera composta da Siccardo vescovo di Cremona (circa 1155-1215).

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Capitolo 4

Il (panteismo} come ipotesi per la conoscenza delF ambiente

Nel1492 Cristoforo Colombo sbarca in quelle terre che saranno poi chiamate America. Nel1563 finisce il Concilio di Trento; l'Europa- e il "Nuovo mondo" - avranno nella religione, forse ancora più di prima, una delle cause principali di divisione sulle questioni teoriche, culturali e politiche. Durante questi settanta anni vive Carlo V: nasce nel 1500, otto anni dopo la scoperta dell'America, e muore nel1558, cinque anni prima della conclusio-

fig . 1. ]oacbù11 de Patinir (1475-1524), Lt1 fuga in Egitlo. Anvers~, t:'fusées Royaux d es Beaux-Arts. Un pae~aggio vastissimo comincia con delle aride rocce contorte e tei'II/1/Ja, al d1la del mare con alte montagne lontane. 1 ra dz esse, sulla destra, tra boschi e J/11 lago, 1111 villaggio con dei contadini. Una famiglia di contadini con 1111 asino sta arrancando suu11 sentiero: sono al centro, ma proporzionalmente ridolli rispetlo alle perso/le più lontane. Se non fosse per il titolo, difficilmellte si sarebbe pensato cbe quelle figuriue sono fa Sacra Famiglia.

CAPITOLO 4 l IL 'PANTEIS,\10 " COAIE IPOTESI PER 1../1 CONOSCENZA DELL";L\IBTENTE 265

fig. 2. ]oachim de Patùzù; La fuga in Egitto, cm 62 x 78. Berlino, Gemiildegalerie. La Madonna è 1111a gmn dama elegalllissima e campeggia al centro della scena: pocbe, lontane le altre persone. Non ci sono San Giuseppe e l'asino. Nello sfondo rocce, montagne, il mare, tm fiuwe, zm ponte, tma strada in salita, due villaggi, un mulino a vento, 1111

castello, un edificio rotondo (cbiesa ?) (vedi ancbe p. 206).

ne del Concilio di Trento (ma aveva abdicato due anni prima). Nasce nella fa­miglia Asburgo come erede della corona del Sacro Romano Impero (con cui sarà incoronato giovanissimo nel 1519) e come erede delle tante terre che i nonni e il padre hanno conquistato o avuto in dote un po' dappertutto in Eu­ropa; morirà come il più grande imperatore del mondo, su terre ben più este­se dell'antico Impero romano , che era 'limitato ' ai paesi circum-mediterranei e medio-orientali. Sul suo Impero non solo "non tramonta mai il sole", ma ri­splendono le più straordinarie ricchezze, quali nessuno aveva mai neppure pensato che esistessero. L'altra grande potenza medievale, il Papa, è dapprima suo avversario (Clemente VII Medici): Carlo V non esita nel1527 ad occupare e saccheggiare Roma (con un esercito composto da spagnoli cattolici, da italiani cattolici e da pochi rifor­mati tirolesi); ma nel 1535 Paolo III Farnese lo accoglie trionfalmente, spianan­dogli apposta una via trionfale attraverso i primi scavi archeologici dei monumenti dell'antico impero, facendolo sfilare sotto gli archi di trionfo di Costantino, di Ti­to, dei Severi e sotto quelli preparati apposta lungo le vie che conducono a San

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266 PARTB QUARTA l L'IMMAGINB DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'A MBIENTE REALE

Pietro (fatti di legno e cartapesta dureranno pochi anni invece di infiniti secoli) . Accanto a tanto fulmineo splendore e a questo gigantesco e ormai definitivo cam­biamento di quello che chiamiamo "mondo", non tutto è gioia e ricchezza: i con­tadini si ribellano in Europa e saranno massacrati dai Riformati nella guerra del 1524-1525; gli abitan ti delle Americhe saranno massacrati dai Cattolici di cui ignoravano anche solo l'esistenza . Nel 1492 muore Piero della Francesca; nel 1520 muore Raffaello e viene sco­municato Lutero; nel1535 Maarten van H eemskerk (1498-1574) disegna sul suo taccuino la Roma che attraversa Carlo V; Michelangelo muore il18 febbraio 1564, pochi giorni dopo la chiusura del Concilio di Trento. Al centro di questo fondamentale periodo lavora Pieter Bruegel detto il Vecchio. Nasce tra il1520 e il 1525, quando Carlo V è stato appena incoronato Impera­tore; muore nel 1569 quando il Concilio di Trento è finito da sei anni. Nei cir­ca quaranta anni della sua vita vive quasi sempre, non a caso, in uno di quei do­mini degli Asburgo che già prima avevano un ruolo importante nell'Europa del XV secolo: le Fiandre. Inoltre Pieter Bruegel fu chiamato "Il Vecchio" dai po­steri per distinguerlo dai figli (Pieter "Il Giovane" o "dell'Inferno" e J an "dei velluti" o "del Paradiso"), ma ai suoi tempi era detto "dei contadini" proprio perché questi caratterizzarono molte delle sue opere più belle e famose; ed era­no in quei decenni la nuova classe protagonista in tante terre europee. Anche quando il soggetto centrale non è contadino, lo è l 'ambiente in cui è rappresen ­tato: questo non è più il contorno a una scena religiosa (i Magi o il Calvario) o non c'è più in primo piano come Madonna una delle floride ragazze care al Pe­rugino o a Raffaello (che comunque prestavano a Maria tipi e sembianze asso­lutamente paesane) . Già ne Le sette gioie di Maria (vedi p . 272, fig. 10) H ans Memling, circa due ge­nerazioni prima, aveva raggruppato assieme una serie di episodi in modo da crea­re come soggetto del dipinto un ambiente 'universale': gente, case, strade, torri, ponti, il mare, montagne, alberi ecc. Una generazione prima, Joachim de Patinir (o Patenier, circa 1475-1524) sem­bra addirittura obbligare !"episodio' che dà il titolo al quadro ad adeguarsi al­l'ambiente, a trovare un angolino in cui non disturbare. Almeno due volte Pati­nir prende come soggetto La fuga in Egitto (Anversa, Musées Royaux d es Beaux­Arts e Berlino, Gemaldegalerie) [figg. 1, 2]. Nel quadro di Anversa, un paesag­gio enorme comincia con delle aride rocce contorte e termina, al di là del mare, con alte montagne lontane. Tra di esse, sulla destra, un villaggio con dei conta­dini, tra boschi e un lago. Una famiglia di contadini con un asino sta arrancan­do su un sentiero, al centro, ma proporzionalmente ridotti rispetto alle altre per­sone più lontane. Se non fosse per il titolo, difficilmente si sarebbe pensato che quelle figurine sono addirittura la Sacra Famiglia (altrettanto vale per La fuga in Egitto di Bruegel del 1563 , Londra Courtauld Institute G allery, dove almeno nel­lo sconfinato paesaggio le tre piccolissime figurine e l'asino sono soli) . Nel quadro di Patinir a Berlino, la Madonna è una gran dama ben vestita e cam­peggia al centro di una scena con poche, lontanissime persone; ha accanto un

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CAPITOLO~ l IL 'PA NTEISMO' COME IPOTESI PER LA CONOSCENZA DELL'AMBIENTE

fig. 3. ]oacbim de Patiuù; Stm Girolamo, cm 36 x 34. Londra, Natio11al Galtery.

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U11 i11sieme di rocciose montagne /mrtasticbe emerge da Ul/a successione di basse colline a prati e alberi che finisce al mare. Sui mo11ti sale 1111 sentiero cbe termina davanti a alcune case signorili, in 1111 piazzale co11 due cavalli. Per far risaltare le lllO/ltagne bin11cbe, il cielo è pie110 di mi11acciose nuvole 11ere. Piccolissimo in 1111 angolo, sotto 11110 telloia malandata, c'è ancbe il "titolare" del quadro: San Gerolamo.

fig. 4. Pieter Bmegel (1525-1569), La caduta di Icaro, 1558, olio su tavola CIII 73,5 x 112. Bmxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts. Icaro 11011 c'è più: è già caduto e se ne vedono le gambe cbe si agitano in 1111 angolo del mare. Al centro, in primo piano, campeggia l/IlO

scena di aratura, descritta nei particolari degli attrezzi e delle persone e con tlll molo geometrico­figurativo determinante per tutto il quadro.

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268 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'1L\IBIENTE Ii EtiLE

fig. 5. Pieter Bmegel, Il censimento fl Betlemme, 1566, olio m tavolfl, cm 116 x 164,5. Bruxelles Mmées Royflux d es Beaux-Arts. l qufldri ùrvemali nell'opera di Bmegel sono molti e spesso m soggetti 11011 molto dif/usr; come il censùllenlo; ovviamente questo è pretesto per descrivere /ul/trla vita di U/1 villaggio in pie110 i11vemo, Ira due lagbi gbiacciau; m se, carri e tante bolli. Tuili SOl/O curvi per il freddo: forse i11 primo piano sopm u11 asino c'è la Madonna: dietro l'asino c'è ancbe il bue, forse guidato da San Giuseppe. Il Bambi11o non sembra 111/Cora nato.

sacco e un cesto, ma non c'è traccia né di San Giuseppe né dell'asino (e si fa fa­tica a immaginare le lunghe eleganti vesti e il gran manto di quella dama, acco­vacciata su un asino). Dietro la figura, rocce, montagne, il mare, un fiume con ponte, una strada in salita servono a disporre almeno due villaggi tra i campi, un mulino a vento, un castello e una chiesa (?) rotonda. In San Girolamo [fig. 3], il santo è in un angolino e non occupa più di cm 3 x 2; da un foro nella roccia potrebbe andarsene lungo un sentiero a fianco di un monte, dove salgono un uomo e il suo cane diretti verso una casa signorile, in uno straordinario paesaggio di monti e nuvole che fa dimenticare anche al più devoto fedele di San Girolamo che dovrebbe essere in un deserto. Per i quadri di Patinir, Diirer inventa la parola "paesaggio" (secondo Rainald Grosshans, Courtauld Institute of Art di Londra) e in questi "i gruppi di figure che rappresentano una vicenda sono ormai del tutto complementari" (secondo Margaret Whinney) 1•

Anche per Pieter Bruegell'ambiente contadino sembra essere la presenza es­senziale; pronto per essere da lui dipinto addirittura ridicolizzando il titolo tra­dizionale rispetto a quello che per lui è il vero soggetto. Guardiamo La caduta di Icaro [fig. 4]. Icaro non c'è più: è già caduto e solo a

C1IPITOLO 4 l IL 'PANTEISMO' COME IPOTESI PER LA CONOSCENZ1l DELL'AMBIENTE 269

fig. 6. Pieter Bruege~ Il rilomo della mandria o L:au/UIIIIO, 1565, olio su tavola cm 117 x 159. \fienna, Km!Sibistoriscbes Museum. La sce11a è come sempre divisa in due parti, qui ancora più sepamte cbe ù1 altri quadri. In /o11do l'ampia valle di un fiume; dava liti la mandria di muccbe spi11ta da vari llllllldriani, /m cui 11110 a w vallo. Fa freddo: l'uomo a cavallo è curvo dentro al mantello, gli alberi ba11no perso le foglie, la terra è gialla, rossa, marrone.

fatica si possono vedere due gambe nude che si agitano in un angolo dell'enor­me specchio d'acqua che occupa il quadro. Al centro, in primo piano, campeg­gia davanti a un pastore con il gregge, un contadino che sta arando un campo: non solo l'aratro e il cavallo sono rappresentati con esattezza, ma addirittura i solchi già tracciati, in primo piano, sono l 'elemento grafico che dà scala, pro­fondità e colore all'insieme. Non è solo il contadino che interessa Bruegel, ma il suo lavoro, la sua azione, il suo 'ambiente'. Ne I proverbi fiamminghi (1559, cm 117 x 163, Berlino, Gemaldegalerie) la raf­figurazione di 118 proverbi riempie ed anima le case e le strade di un borgo ru­rale vicino a un torrente ed al mare: il quadro potrebbe intitolarsi "Una giorna­ta al villaggio". Ne Il combattimento tra carnevale e quaresima (1559, cm 118 x 164,5, Vienna, Kunsthistorisches Museum) nella grande piazza di un altro vil­laggio, Bruegel raggruppa una quantità di persone: metà (circa) intenta a diver­tirsi e l'altra metà a pentirsi, ma in complesso si tratta di una immagine di ciò che succede nella vita quotidiana tra gente tutta uguale (nessun santo, nessuna Madonna, nessun principe ... ). I grandi numeri piacevano a Bruegel: pare che siano oltre cinquecento le per­sone dipinte ne L'andata al Calvario (1564, cm 124 x 170, Vienna, Kunsthi-

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270 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'A.IIIJIENTE REALE

fig. 7. Pieter Bmegel, Lo mietitura, 1565, olio su tavola cm118 x 160,7. New York, Tbe Metropoli/a/l i\lluseum o/ Art.

Le varie fasi d eU a mietitura sono descritte secondo due raggruppamenti:

l . L'oggello della mietitura. Messi mature pronte per il

1t1glio e tagliate a terra, dove vengono raccolte in - covo11i. Un carro - carico delmcco/to si avvia verso il villaggio al di fii del bosco. 2. l lavori effettuati dai contadini COli gfi s/ru/1/e/lti e i gesti corrispondenti. - Contadini cbe mietono e 11111 contadinecbeleganoi fuste/li; ill/ù1e 1111111'-1 contadini e contadine in una pau.m del lavoro si riposano, mangiano e bevono.

CAPITOLO~ l IL 'PANTEISMO' COME IPOTESI I'ER LA CONOSCENZA DELL'AMBIENTE 271

fig. 8. Pieter Bmegel, La raccv!ta del fieno, 1565, olio su tavola cm L1 7 x 161, Praga Nàrodni Galerie. La gente in primo piano 'attraversa' la scena cbe risulta amiuatissima, co111e sempre in campagna durante le raccolte; le persone vengono datm '~wri mmpo" e vanno "fuori campo". Ciò cbe è raffigurato nel quadro è solo 11110 parte dell'azione totale, ma anche aò cbe avviene all'estemo della rappresentazione pillorica è ntm~tto allraverso questa.

La raccolta del fieno è descritta secondo tre raggruppamenti che comprendono altri lavori effettuati in quella stessa stagione l . Il prato è stato falciato e l'erba raccolta in covo11i ; i contttdini caricano l'erba ormai seccata su un carro -; i cavalli appm/ittano della sosta per mangiare. 2. l lavori raffigurati sono due: la falciatura in/alli è /h11'ta e contadine e contadini -rastrellano o rientrano a casa con i rastrelli in spalla: sono mslrelli di legno usa/ i {iCI' secoli e ancora oggt: Un contadino 11//1. seduto sulla sinistra del quadl'o affila !tt lama della falce con la cote. 3. - Contadine e collladini bamto mccolto da altre parli de/la /rutta (melograni?) e la stamJo portando ÙJ cesti mila testa verso le case lontane - · Unti contadùw 1111 11 è a cavallo e tira 1111 carrello-slilla carico di /rulli.

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272 PARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBIENTE REALE

storisches Museum) in cui Bruegel ha rappresentato un gigantesco paesaggio con tanti episodi. Le figure umane sono per Bruegel (e per tanti altri fiamminghi) solo in fun­zione del gesto che fanno, del sentimento o della fatica che con questo espri­mono: possiamo forse riconoscere in Bruegel il primo (o il più grande tra i primi) che ebbe come suo obiettivo la creazione, attraverso la analitica rap­presentazione di molteplici elementi, di un unico sintetico ambiente. Per que­sto è necessario che il riferimento all"ambiente' non sia solo figurativo, non sia solo 'paesaggio'. Un riferimento essenziale è la stagione (soprattutto nei Paesi Bassi) con la neve, la luce, il buio. Guardiamo - dal primo dettaglio fi­no alle ultime pennellate in fondo - i grandi quadri della incompleta serie dei mesi (o delle stagioni, 1565, ognuno circa cm 117 x 160, dispersi tra Vienna, Kunstistorisches Museum; Praga, Narodni Galerie; New York, Metropolitan Museum) [figg. 5) 6) 7) 8]. Il Concilio di Trento è finito da due anni e qui sia­mo nel più assoluto "panteismo" riformista: nulla è enfatizzato, nessun ele­mento è esaltato rispetto ad un altro, tutti i gesti sono perfetti, nulla è inven­tato, ma tutto è 'ritratto'. Nell'Inverno (noto anche come I cacciatori nella neve, Vienna, Kunsthistori­sches Museum) la neve è l'elemento dominante, come in tante altre opere di Bruegel (La strage degli innocenti, 1564, Hampton Court; Paesaggio inverna­le con pattinatori, 1565, Bruxelles Musées Royaux des Beaux-Arts; Il censi­mento di Betlemme, 1566, ibidem [fig. 5]). La neve in tutti è alternata al co­lore livido di zone ghiacciate e messa in risalto dalla sagoma nera di grandi alberi spogli in primo piano. Anche le tante persone, nere o fortemente colo­rate, sono in funzione dell'ambiente nevoso: tutte voltano le spalle al pittore (salvo poche che guardano comunque altrove) quasi a sottolineare che questi è un intruso di passaggio e che, intabarrati per il freddo, hanno fretta di al­lontanarsi dentro le case; Bruegelli guarda sempre un po' dall'alto. Già da un secolo del resto Memling aveva capito - e insegnato agli altri pittori fiam­minghi -le grandi possibilità della veduta "a volo d'uccello", o comunque da un punto di vista elevato. Nelle altre stagioni si direbbe che l'atmosfera più allegra e gioiosa- 'primaveri­le' - sia resa da un avvicinarsi del pittore, e dalla presenza -in primo piano e non solo - di tante figure che guardano verso il pittore e lo fanno quasi partecipare all'azione. Bruegel è 'dentro' alla Mietitura [fig. 7], 'dentro' alla Fienagione [fig. 8], è assieme alla mandria che rientra all'inizio dell'autunno [fig. 6]. Persone, al­beri, animali, colture, case, campagne lontane, boschi, torrenti, il mare in fondo sono tutti alla giusta scala, nel corretto rapporto geometrico; non ci sono 'enfa­si', c'è un unico protagonista ed è tutto l'ambiente descritto nella tela. Il salto tra Bruegel e i grandi maestri fiamminghi delle generazioni precedenti non è certo nella qualità della pittura, ma proprio nell'aver assunto come tema espressivo del nuovo modo di essere del mondo, la predominanza dell' ambien­te di lavoro, dell'ambiente determinato dall'azione della società. Abbiamo accennato al fatto che Carlo V (e il suo tradizionale avversario Fran-

CAPITOLO 4 IL 'PANTEISMO' COME IPOTESI PER LA CONOSCENZA DELL';IMBIENTE 273

cesco I) dovettero combattere anche sulla riva africana del Mediterraneo e cer­care alleati nel mondo dell'Islam: nel1529 Solimano il Magnifico assedia Vien­na, nel1535 Carlo V conquista Tunisi. In effetti in quella prima metà del Cin­quecento, ricchissima di avvenimenti ed opere d'arte nell'Occidente europeo, anche il Medio-Oriente fino alla Persia e all'India vive un periodo di grande svi­luppo politico, militare e artistico, le cui origini sono in parte da ricercare den­tro la lunga storia del mondo bizantino: l'Impero Romano (d'Oriente) cessò di esistere solo nel1453, anche se dal VII secolo l'Islam e la sua cultura lo aveva­no progressivamente sostituito. Lo Shah Isma'il Safavi, suo figlio Shah Tahmasp, suo nipote Sultan Ibrahim Mir­za durante il XVI secolo fecero redigere nell'Uzbekistan, nel Khurasan e a Ta­briz, preziosi manoscritti illustrati con miniature che rappresentavano una delle più ricche tradizioni della Persia e dell'Oriente 2•

Se non ci limitiamo ad una occhiata superficiale, vediamo che interessi e ricer­che degli autori delle miniature orientali in quel periodo non erano molto lon­tani dal mondo dei pittori occidentali. Le miniature dei manoscritti non erano certo assenti nel mondo occidentale (p. es. Les Très riches heures), ma avevano una diffusione ristretta a poche ricche corti o conventi; alle masse si rivolgevano mosaici ed affreschi, nelle absidi e negli ar­chi trionfali e lungo le pareti delle cattedrali e delle chiese. Questi venivano guar­dati da molte decine di metri di distanza; mentre le miniature dei codici erano viste da poche decine di centimetri, come gli scritti intorno. È però il diverso si­gnificato del libro nell'Islam che assegna alle miniature un ruolo popolare. I "Li­bri dei Re" (Shahnameh), la "Riunione delle Storie" (Majma 'al Tawarikh), !"'Epo­pea dei paesi d'Oriente" (Khawara-nuameh), i "Libri delle Divinazioni" (Falna­meh), i Khamseh, e ancora di più il Corano, erano testi largamente popolari e conosciuti, scritti sempre nelle lingue parlate dalla gente e non in un lontano la­tino o greco. Non a caso quelle miniature sono indivisibili dal testo che accom­pagnano e spesso anzi si dispongono assieme nella composizione della pagina. L'iconografia calligrafica e l'iconografia grafica costituiscono insieme l'opera pro­posta al lettore. Da un certo momento può darsi che le immagini - assai ripetute e tradizio­nali- suggerissero il testo meglio ancora della calligrafia, diventata forse trop­po raffinata e quindi anch'essa poco popolare. Ciò sembra tanto più lecito in quanto la miniatura persiana, indiana, turca, araba ecc. non tende ad accen­nare o riassumere vicende e personaggi, ma al contrario concentra interi epi­sodi con tutti i personaggi, la scena, la decorazione, i fiori, gli alberi nei po­chi centimetri quadrati della miniatura, senza ricerche di sintesi, ma eviden­temente con la certezza che ogni dettaglio faceva parte delle conoscenze di chi guardava. Ogni scena si svolge nel suo ambiente e questo non è uno sfondo separato. L'ambiente è rappresentato dalla categoria: il bosco, il monte, l'accampamento ecc., mai da un luogo definito, da un paesaggio ripreso dal vero e che sarebbe noto solo a chi lo conosce. Ogni singolo elemento è realisticamente riconosdbi-

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274 l'ARTE QUARTA l L'IMMAGINE DEL SACRO ALLA RICERCA DELL'AMBI/iNJ'I? REALE

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fig. 9. Zal è avvistato da 1/lta carovaua:foglio 62v dello Sbalmameb di Sbab Tamasp, circa 1525, Tabriz, miuiat11rista 'Abd 11l-Aziz, cm 47 x 31,8 (Ho11gbtou, Britisb Librai)', 01: 2265). In un'orgia di colori fantastici, 1111 mostro co11 11110 coda enorme e 11n leoprm/o volano su 1111 fondo d'oro. Solo gli uomini so11o ripresi realisticnmeute in 1111

ambieute/eerico. Si potrebbe dire cbe i due cervi e i due orsi a si11istra escono da 1111 bosco di soli colori.

fig. 10. 11 piccione Bazù1dab s01preso dall'umga11o, 111i11iatum di Sadiqi (mece11ale e artista), Qaysi11 (Iran), 1593, da Amvar-i S11bayli (cm30 x 21). Bazindab era 1111 piccione avvenl11roso, impazie111e di co11oscere il mondo; dopo 11110 giomatr1 di volo si prepamva a dormire, quando 1111 11raga11o improvviso lo investì. Bazindab decise che era meglio starsene a casa. Oltre a Bazindah i protagonisti sono la pioggia e il vento: le m/fiche di pioggia sono diversame111e disegnate se bai/ono sulla montagna o sono nel cielo dove il temporale è ralfigllralo da Ire julmi11i rossi.

le, ma è il montaggio (la ' regìa') che è opera dell'artista. Con elementi di 'pae­saggio' questi inventa !"ambiente' di quella miniatura. La scena è sempre unitaria. I suoi vari elementi sono mescolati assieme (dal bas­so verso l'alto, più che dal primo piano al campo lungo) e trattati ognuno con oggetto della stessa attenzione di dettaglio. Il volto del principe e l'ultimo fiore nel prato sono oggetto della stessa attenzione: il 'panteismo' della pittura mi­niaturistica nella regione orientale dell'Islam è assoluto. Le regole di disposizione di questa abbondanza di elementi nella scena per for­mare l 'episodio voluto, prescindono da due pilastri della pittura occidentale:

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CJII'ITOLO 4 l IL 'l'ANTE/SAIO' COME l i'OTESI I'ER LA CONOSCENZA DELL'AMBIENTE 275

la scala e la prospettiva geometrica; o, meglio, raggiungono gli stessi obiettivi per altre vie. Nella maggior parte dei casi un osservatore occidentale non se ne rende quasi conto: salvo quando è prepotentemente presente un riferimento geometrico con linee, piani, volumi. Ma l'accostamento degli elementi della miniatura è fatto proprio in modo da evitare, o limitare, un ruolo di base a quegli elementi. Guardiamo alcune miniature dello Shahnameh di Shah Tahmasp (realizzato tra il 1520 e il 1535, Tabrlz) [figg. 9, 10]. La natura più sfrenata domina tra gli alberi e i mostri della miniatura di 'Abd ul-Aziz raffigurante una carovana che scopre l'eremita Zal [fig. 9], e ancora di più intorno al piccione sorpreso dall'uragano nel Anwar-i Suhayli miniato da Sadiqi qualche decennio più tardi nel 1593 in Iran [fig. lO] . In entrambe per motivare forme e colori diventa protagonista il vento: come quello che fa intabarrare i contemporanei infreddoliti fiamminghi? o come quello che invece rinfrescava millecinquecento anni prima le estati degli ospiti di Livia?

Note

1 Altri hanno definito "La madre di tutti i paesaggi", Mosè salvato dalle acque, di Annibale Car­racci (1560-1609) di circa un secolo posteriore ai fiamminghi. Tra le tante definizioni date per la parola "paesaggio" vogliamo ricordare solo quelle di "percezione visiva dell'ambiente" e "forma del territorio". La parola italiana deriva dal francese "paysage", ma non bisogna dimenticare che "pays" in francese ha un significato diverso da "paese": si potrebbe quasi tradurre con "ambien­te" inteso anche in senso culturale, sociale e storico: "Pays" può essere anche la Patria. Nella convenzione europea del paesaggio (testo del progetto 1998) è scritto in maniera alquanto confusa: "li paesaggio, in quanto elemento complesso dell'ambiente, della pianificazione territo­riale e dell'urbanistica, svolge importanti funzioni di interesse generale, su un piano culturale, eco­logico e sociale e costituisce una risorsa economica la cui adeguata gestione può contribuire alla creazione di posti di lavoro". 2 S. Canby, Prùtces poètes & paladins, Genève 1999; AA.W., Trèsors de l'Islam, Genève 1985.

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f.M. \V. TtmJe/; S{l/lt'Ugo invoca la vendetta m l pastore di Courmayeur in Val d'Aosta (vedi p. 332).

PARTE QUINTA

Il paesaggio come descrizione dell'ambiente reale

Una critica moderna, vivente, socialmente e mtellettualmente utile, spregiudicata, non serve soltcmto a preparare al godimento estetico delle opere storiche, ma serve anche e soprattutto a porre il problerna dell'ambiente sociale in cui viviamo, degli spazt cittadini e archztettonici entro cui si spende la maggior parte della nostra giorntlta, affinché noi li riconosciamo, li "sappiamo vedere".

Bruno Zevi, 1918-2000 da "Saper vedere l'architettura", 1948

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Capitolo l

La sacralizzazione del territorio: i Sacri Monti

In diverse epoche e in diversi paesi, in occasione di raffigurazioni religiose o pro­fane, in mosaici o in affreschi, in quadri o in disegni, dentro o fuori gli edifici -come abbiamo visto- si è raffigurato l'ambiente entro cui si voleva far svolgere la scena. A volte quell'ambiente- naturale o costruito - in cui effettivamente l'o­pera era situata, la condizionava o ne costituiva cornice o sfondo. Dobbiamo considerare adesso un fenomeno, quasi opposto, in cui si assume co­me scena proprio l'ambiente reale, il territorio e in esso un determinato luogo per collocarvi i personaggi - dipinti o più spesso scolpiti - in modo che le sto­rie dell'Antico Testamento, dei Vangeli, della Madonna, di San Francesco ab­biano come scene i boschi, i monti, i sentieri accanto ai paesi e nei campi dove la gente vive e lavora quotidianamente. Presenze di questo genere non erano assenti in certi paesi nei lunghi secoli del Medioevo: abbiamo visto - e vi riaccenneremo più avanti -le cappelle costrui­te nelle alte valli alpine, sui passi e tra i pascoli. Proprio in alcune zone alpine e pre-alpine sorgono i Sacri Monti, negli ultimi anni del XVI secolo e nei due se­coli successivi. I Sacri Monti sono una serie di cappelle in cui sono collocate delle statue- qua­si sempre di terracotta, spesso in gran quantità - in modo da costituire delle sa­cre rappresentazioni; le cappelle sono disposte lungo un itinerario secondo la suc­cessione dei fatti religiosi da cui traggono l'argomento: la Passione, la vita di San Francesco, le storie della Madonna o i Misteri del Rosario. Questo itinerario è il percorso di un pellegrinaggio o di altra funzione liturgica e termina con una chie­sa o un santuario. È quasi sempre situato in una posizione dominante e si snoda attraverso boschi con aperture panoramiche in modo da essere visto dal territo­rio intorno e da creare punti panoramici seguendo la successione delle cappelle. li modello a cui guardano frati, muratori, artisti è spesso fornito dai disegni e dal­le notizie che riporta dalla Terra Santa chi vi ha vissuto e lavorato: tra gli altri pa­dre Bernardino Amico (Gallipoli, vissuto al Santo Sepolcro e in Egitto alla fine del XVI secolo). Rientrato in Italia vengono tirate due edizioni delle sue incisio­ni su rame, soprattutto della pianta e dei monumenti di Gerusalemme 1. Un'altra pianta di Gerusalemme, dichiarata "conservata come era ai tempi di Nostro Si­gnore" è incisa in quegli stessi anni (1568-1601) da Gianfrancesco della Sala. I Sacri Monti sono stati definiti "manufatti paesaggistici, urbanistici e figurati­vi" che costituiscono "sistemi territoriali" 2•

Questa definizione si può riferire in realtà a vari tipi di opere che.accompagna­r; ..

CAPITOLO l l LA SACRALIZZAZIONE DEL TERRITORIO: I SACRI MONTI

fig. l. Alessandro Manzoni, I promessi sposi, 1827, Edizione G.B. Para via e Comp., 1906, illustrata dal pittore C. Chiostri.

no il periodo della prima Controri­forma con l'obiettivo di rendere pre­sente l'immagine devozionale nel territorio, di far fare un segno di cro­ce e recitare un'avemaria non solo nei giorni di festa e dentro le chiese o sui sagrati, ma tutti i giorni, an­dando e tornando da casa e dal la­voro. Accanto ai grandi e impegna-

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tivi complessi dei Sacri Monti (a volte indicati come "Calvari") costruiti soprat­tutto per l'azione pastorale di San Carlo Borromeo, i sentieri e le mulattiere si arricchiscono di più modeste, economiche e popolari edicole con immagini sa­cre, tra cui soprattutto la Via Crucis, per l'azione più tarda di San Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751). È una politica capillare che è stata definita come "sacralizzazione del territorio" di cui ci ha dato una straordinaria descrizione Alessandro Manzoni in alcuni passi famosi de I promessi sposi (cap . 1).

" ... Dall'una e dall'altra di quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio all'altro, correva­no, e corrono tuttavia, strade e stradette, più o men ripide, o piane; ogni tanto a/fondate, se­polte tra due muri, donde, alzando lo sguardo, non t'scoprite che un pezzo di cielo e qualche vetta di monte; ogni tanto elevate su terrapieni aperti: e da qui la vista spazia per prospetti più o meno estesi, ma ricchi sempre e sempre nuovi, secondo che i diversi punti piglian più o meno della vasta scena circostante, e secondo che questa o quella parte campeggia o si scor­cia, spunta o sparisce a vicenda ... ... Per una di queste stradicciole, tornava bel bello dalla passeggiata verso casa, sulla sera del giorno 7 novembre 1628, don Abbondio, curato d'una delle terre accennate di sopra ... Giunse a una voltata della stradetta, dov'era solito d'alzar sempre gli occhi da/libro, e di guardarsi dinanzi: e così fece anche quel giorno. Dopo la voltata, la strada correva diritta, forse un sessanta pam; e poi si divideva in due viottole, a foggia di un ipsilon: quella a destra saliva verso il monte, e menava alla cura: l'altra scendeva nella valle fino a un tor­rente; e da questa parte il muro non arrivava che all'anche del passeggero. I muri interni delle due viottole, in vece di l'iunirsi ad angolo, terminavano in un tabernacolo, sul qua­le erano dipinte certe figure lunghe, serpeggiantz; che finivano in punta, e che, nell'in­tenzion dell'artista, e agli occhi degli abitanti del vicinato, volevan dire fiamme; e, alter­nate con le fiamme, cert'altre figure da non potersi descrivere, che volevan dire anime del purgatorio: anime e fiamme a color di mattone, sur un fondo bigiognolo, con qualche scal-

. l ' " r.l· 1] 3 cmatura qua e a... v tg. .

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280 P1lRTE QUINTA l JL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REA LE

fig. 2. ì\lfado!llla del Sasso, Orselina l Locamo (Ctwton Tici11o, Svizze~a). Il Sa11f11ario della Ma~o1111a c! el S?sso risale alla fi11e del Quattrocento e furicostm ito e ù1gmndito nei secoll _mcce.~s/V/. Cappelle dechcate ali Ultlllltl c~na, alla Pietà, alla Pe11tecoste furollo realizzate nel complesso del Santuano ~m il I?~O e d 1650 a co111pletfll',/e/1f 0 d1 tma Deposizione /ignea del/11 fin e del Qua fl rocento. La Via Cmw co11 1 pdom e stata costrwta uel XJX secolo.

fig . 4. Santuario della Madonna del Sasso presso Alzo costmito nel1748-1760 a 111 . 6~8 slm a strapiombo sulle rive occidentali del Lago d'Orta, difronte al Sacro Monte emfellte da oltre 1111 secolo .10pm 01 fa.

fig. 3. ].M. \V. Tumer (1775-1851), matita e acquarello, m m 220 x 2 72, 1842, 1àte Gallery Londra. Il disegno rappresenta il Lago Maggiore visto dai monti sopra Locamo (1ì1mer ba scritto a matita "Locamo" Ùl

corrispo11de11W dei pocbi tetti della citlfÌ). Sullo schizzo a matita milo stati acquarellati tre elementi: il boxco in primo pÙIIIO (giallo), il lago in fondo (tma linea azzurm) e il Salltuario della Madonna del Sasso (in grigio).

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CA PI TOLO 1 l l.A SIICRAU ZZAZIONE DE/. TERRITOR IO: l SACRI MONTI 281

È il territorio delle valli, dei monti, dei laghi che viene assunto come ambiente di questo nuovo 'sistema'. È il territorio che diventa protagonista determinante del­l'opera e da una parte le impone il suo carattere, dall'altra trova in queste nuove presenze un ruolo storico e sociale prima inesistente. Nuovi santuari sorgono in punti paesaggisticamente dominanti, fuori e lontano da ogni centro, ed assume­ranno come toponimo proprio un riferimento a quella preminenza orografica: tro­viamo un santuario intitolato "Madonna del Sasso" a picco sul Lago Maggiore, sopra Locarno (già esistente alla fine del Quattrocento, ma ricostruito a fine Cin­quecento - inizio Seicento) [fì'gg. 2, 3] 4 e un altro con lo stesso nome di Madon­na del Sasso a picco sul Lago d'Orta presso Alzo (metà del XVIII secolo) [fig. 4]; una Santa Caterina del Sasso sulle rive lombarde del Lago Maggiore (XIII-XVII secolo) e tanti altri toponimi dedicati alle caratteristiche geomorfologiche o agri­cole (Rocche, Ronchi, Oliveto, della Neve, Castagnetta ecc.). In questi territori il Sacro Monte si insedia principalmente scegliendo un luogo paesaggisticamente importante, ombreggiato da boschi, visibile e distinguibile da lontano e che viceversa offre quindi i panorami tipici di una posizione dominan­te. Può essere al centro di una valle, su una penisola protesa in un lago, presso un antico dominante castello, su un contrafforte non troppo scosceso di una monta­gna più alta. Il Sacro Monte può essere dedicato a differenti soggetti - come ve­dremo-, ma comunque consiste in una enorme quantità di statue di terracotta, di solito di misura un po' superiore al vero (solo nei Sacri Monti del Vallese sono di legno e un po' più piccole), colorate e raggruppate molto animatamente a rap­presentare quasi sempre i soggetti relativi in modo drammatico. Nei Sacri Monti che non sono rimasti incompiuti, le statue sono centinaia e gli episodi della vita di Cristo, o della Madonna, o di San Francesco sono inseriti tra una folla di po­polani, di frati e cardinali, di soldati con cavalli, di cani, di mucche ecc. Le scene sono contenute in cappelle (a volte raggruppate) che assolvono al ruolo di odier­ni chioschi: pur essendo luoghi di pellegrinaggio, non sono previsti spazi per mol­te persone; anzi di solito dal portico si aprono poche finestre attraverso cui guar­dare all'interno e la vista è su una prima parte della cappella, libera da statue, non grande, modestamente affrescata. Anche qui c'è spazio per poche persone e que­ste guardano la seconda parte della cappella - quella strapiena di statue - attra­verso una spessa "iconostasi" di legno o una altrettanto pesante grata di ferro bat­tuto: l'uso che si prevedeva inizialmente di queste cappelle non è del tutto chia­ro perché la sola esigenza di proteggere le statue giustificherebbe una balaustra, non una così pesante separazione. Oltretutto questa disposizione ha reso quasi impossibile nei secoli la manutenzione, comunque difficilissima, o anche solo la pulizia: le statue sono contorte, pesantemente vestite, affollate, delicate. Per cuo­cerle erano state quasi sempre costruite delle grandi fornaci presso i cantieri, do­ve lavoravano pochi artisti esperti e molti manovali; per colorarle vivacemente era­no certo stati usati colori correnti e non duraturi. Ciò spiega lo stato desolante in cui quasi tutti i Sacri Monti si trovavano prima delle recenti dichiarazioni di va­lore regionale e internazionale (ma ancora molto è da pulire e restaurare). Questo insieme di cappelle era disposto lungo un percorso: esso cominciava con

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282 PARTE QUINT!l l IL PAESAGGIO COME DESCR IZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 5. 1Vfoute j\lfesmn (presso Orta), 111 576 slm: In Via Cmcis cbe sale al couvento Francesca/lo (1619).

una strada che saliva dalla valle o dalla­go fiancheggiato dalle stazioni della Via Crucis [fig. 5] , e poi in cima proseguiva con un andamento più pianeggiante, al­largandosi in piazzali panoramici o davanti al santuario o alla chiesa al termine del per­corso. Il tutto era immerso nel bosco: nor­malmente il bosco locale perché- come abbiamo visto - i Sacri Monti sorgevano in quella fascia pre-alpina, tra i 200 e i 600 metri slm circa, dove appunto il bosco ri­copre naturalmente il terreno. Certo il bo­sco veniva sistemato con radure, prospet­tive e quanto occorreva per inquadrare e collegare le varie cappelle e luoghi; mara­ramente (al Calvario di Domodossola e so­

lo dal XIX secolo) ciò comportava una radicale trasformazione a giardino 5.

Tra le ragioni che hanno portato alla formazione e al rapido sviluppo, anche se per breve tempo, del fenomeno dei Sacri Monti in questa area ristretta, tre in­teressano specificatamente lo studio del loro effetto ambientale. Innanzitutto i Sacri Monti erano collocati verso l'inizio di quei percorsi che at­traversavano i passi alpini e che da secoli erano spesso occupati da Ospizi, retti da monaci; i passi avevano preso il nome del santo a cui era dedicato l'Ospizio, seguendo l'esempio di San Bernardo (arcidiacono di Aosta, X o XI secolo) che fondò gli ospizi sui passi a chiusura della Val d'Aosta e la cui immagine è quasi divenuta sinonimo appunto della montagna, della neve ecc. I Sacri Monti ri­prendevano questa tradizione sulle strade che risalivano la Valsesia, l'Ossola, il Ticino, lo Spluga, la Val Bregaglia, la Valtellina. In secondo luogo, anche se i primi Sacri Monti (a Varallo soprattutto) , erano an­teriori alla Riforma protestante e se vi erano sui luoghi tracce di precedenti pre­senze religiose, è la Controriforma che li trasforma in strumento di penetrazio­ne e diffusione dei princìpi post-tridentini, proprio allo sbocco di quelle valli da cui la Riforma poteva scendere. Ed anzi era scesa: si pensi alla Valtellina e alla sia pur lontana presenza di Fra' Dolcino, nativo della Valsesia (morto nel1307). La Controriforma (che non a caso aveva scelto come sede conciliare Trento) cer­ca anzi di utilizzare quelle valli per risalirle, scavalcare dall'alto i passi alpini, scendere sul versante settentrionale, respingere la Riforma e dar man forte alle presenze cattoliche che scendevano dalla Baviera e dal Tirolo (incontrando fi­gurativamente il Barocco mitteleuropeo). Infine non a caso, all 'incirca al centro della regione piemontese-lombarda dei Sa­cri Monti, si innalza la statua detta "Sancarlone" , dedicata a San Carlo Borro-

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CAPITOLO 1 l LA StlCRtiLIZZtiZIONE DEL TERRITORIO: l SACRI MONTI 283

meo (Arona 1538- Milano 1584). Do­veva essere la conclusione di un Sacro Monte, dedicato appunto a San Carlo; deciso nel 1610 dal cugino cardinale Federico (1564-1631; forse più popo­lare dello zio santo, grazie a Manzoni) , iniziato nel1614, rimasto del tutto in­compiuto (una cappella finita - oggi trasformata in chiesa -, una incompiu­ta, una iniziata). Abbandonata l'idea di costruire la statua gigantesca in marmo, questa fu predisposta in rame dall'ar­chitetto-pittore-scultore Giambattista Crespi, detto il Cerano (Busto Arsizio, 1575-1632, attivo a Novara e in Valse­sia) ; ma la morte del cardinale Federi­co e la peste fecero accatastare i pezzi già fusi nella vicina cappella. Fu mon­tata, con qualche modifica, solo nel 1697 da Bernardo Falconi (Lugano, autore delle statue nella XIII cappella del Sacro Monte di Orta, Francesco tra­scinato in mezzo al carnevale di Assisi) e Siri o Zanelli (Pavia, morto 1724) [figg. 6, 6a, 6b, 6c].

/igg. 6, 6a, 6b. Sacro Moute di San Carlo ad Amna (Novam). Il progel!o di 1111 Sacro Monte dedicato n San Carlo Borromeo sulla rocca di Arona dove era nato, al centro delle terre della famiglia Borromeo, risale al 1610 e la costmzione ebbe inizio ne/ 1614. Ma/urano realizzate pocbe opere: una cbiesa (ex-cappella) e il Seminario (pesai/ti opere di Fra11cesco Maria Ricbim) cbe i11quadmno, assai povemme11te la statua di Sancarlo11e, indubbiamente l'opera più interessai/te di questo complesso, con 1111 ruolo 11011 secondario i11 tu !fa l'icol/ogra/ia dei Sacri j\lo11ti e dell'attività del Borromeo.

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284 PARTE QUiNTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 6c. Anonimo, lleduta della città di Arona con la statua di Sau Carlo Borromeo. Fa parte della raccolta ufficiale organizzota da Dominique Viva n l Denou tra il1802 e il1814 per illustrare le campagne di Napoleone I iu Italia. Parigi, Musée du Lnuvre, Département des Arts Graphiques.

I nomi di Crespi, Falconi, Zanelli sono del tutto ignorati: eppure la statua da lo­ro progettata, fusa e innalzata è rimasta per circa due secoli la più grande del mondo (poi è arrivata la Statua della Libertà): la statua è alta ml23 ,40, colloca­ta su un piedistallo di ml12,00, per cui la sommità è a 35,00 ml di altezza dalla campagna intorno che è in discesa; il Sancarlone sembra quindi anche più alto. Credo che nessun libro di storia dell'arte lo citi, anche perché ridotto a imma­gine di libro assumerebbe le dimensioni di qualsiasi altra scultura e uscirebbe male dal confronto: è opera pensata e fatta per stare in quel punto del territorio e non può essere vista e considerata se non in questo ambiente. Stendhal ha descritto il Sancarlone in una lettera a Pauline (luglio 1800), scritta su carta intestata dell"'Armée d'Italie- Premiére Division" in cui prestava servi­zio; dopo l'armistizio di Marengo si occupò di prendere in consegna sette for­tezze cedute dagli Austriaci, tra cui quella di Arona, sulle sponde ovest del La­go Maggiore. Terminati i doveri militari si imbarca:

"Le coste sono tranquille; poche case, poche coltivazioni, nessun vigneto come quelli cbe con le loro palizzate sfigurano le più celebri rive del Lemano. Usciamo dal piccolo porto, prendiamo il largo; subito una stupenda statua del buon san Carlo colpisce il nostro sguar­do, ha sessantadue piedi di altezza e il suo piedistallo venti; mostra con una mano il suo portamento maestoso e con l'altra san Carlo tiene un risvolto dell'abito. È attraverso l'a­bito che si entra dentro la statua; una persona può stare in piedi dentro al naso. La gran-

CAPITOLO l l LA SACRALTZZAZTONE DHL TERRITORIO: I SACRI MONTI

fig. 7. 'Pilone' a lato della chiesa parrocchiale di Aquila in Val Blenio (Canton Ticino, Confederazione Elvetica) a ricordo della visita pastorale di San Carlo ne/1581.

de statua è tranquilla al centm del lago. Con l'occasione ho visitato le divine Isole Borromeo; sono tre: Isola Bella, Isola Madre, Isola dei Pescatori" 6•

Tutte le opere dei Sacri Monti del re­sto (le migliaia di statue, le decine di cappelle, le centinaia di 'piloni' con la Vi'a Crucis) sono elementi di 'arredo' del territorio in cui si trovano e tolte da questo ambiente perdono qualità e sen­so, diventano altro. È sbagliato isolare le poche opere firmate da qualche gran­de nome (Gaudenzio Ferrari, 1475-1546, e Galeazzo Alessi, 1512-1572, a Varallo), promuoverne criticamente qualche altro (Antonio D'Enrico detto Tanzio da Varallo, 1580-1635, sempre

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a Varallo), citare nomi come "il Mancino", "il Morazzone", "il Tabacchetti", Cri­stoforo Prestinari, Francesco Silva, Dionigi Bussola ed esaltarne l'indubbia bra­vura sia come scultori, sia come architetti delle cappelle e dell'insieme (a cui la­voravano il cappuccino Padre Cleto, 1556-1619, e Giovanni D'Enrico, 1560-1644). Erano tutti artisti nati in quella regione, vissuti in quei conventi, operan­ti quasi esclusivamente in quella zona tra i Sacri Monti e le chiese, i santuari che si costruivano in quegli anni. Le loro opere non sono andate nei musei, sono ri­maste lì ad invecchiare 7.

Di questa situazione il Sancarlone può essere un simbolo: forse proprio per con­trasto, solo e gigantesco, tra le migliaia di statue a misura d'uomo disperse per "quelle terre, dall'alture alla riva, da un poggio all'altro". "Quelle terre" intorno al Sancarlone, erano le terre dei Borromeo. San Carlo non era solo nipote per parte di madre del milanese papa Pio IV Medici che lo no­minò cardinale (1560), lo consacrò sacerdote e vescovo (1563 ), lo nominò arci­vescovo di Milano (1564); non fu solo il grande diplomatico vaticano che portò a conclusione il Concilio di Trento e mise in marcia l'ancora esitante Controri­forma. Era anche un Borromeo (questo nome deriverebbe da "Buon Romeo" e sarebbe stato attribuito a un capostipite di nome Lazzaro per aver organizzato pellegrinaggi a Roma durante il primo giubileo del1300). Questa famiglia ori­ginaria di San Miniato in Toscana, dopo varie vicende, era diventata milanese nel1394. Nel1439 i Borromeo ebbero in feudo Arona, nel1441 Cannobio e Le­sa con il Vergante, nel1445 la Rocca di Angera, nel1446 Mergozzo e Vogogna, nel1448 le isole nel Lago Maggiore. Con infeudazioni e acquisizioni successive

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286 PARTE QUI NTA l IL PAESAGGI O COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 8. Louis Fmnçois Cassas (1756-1827), \feduta generale dell'Isola Bella, acquarello 111111 695 x 972, Parigr; Biliotbèque Mazarine, cat. 11. 289. La raffigurazione- pittoricamente modesta- offre però rma i111magùre precisa delle architetture, delle terrazze, dei giardini. Estltlissimo ancbe il panorama (ripreso dalltr riva di Carciago, presso StreJa): le cave di Baveno, il Mont'Oifano e l'Isola dei Pescatori (o Superiore). Esiste nncbe una incisione di Francesco Piranesi (1 758-1810,/iglio di Giovan Ballista). .

i Borromeo diventarono signori e padroni di un enorme territorio dal lago d 'Or­ta al lago di Como, con centro sul lago Maggiore. Questo territorio (compreso il Novarese che diventerà poi Piemonte) apparteneva alla chiesa Ambrosiana e fu per San Carlo insieme sua proprietà e sua diocesi. San Carlo lo percorse più volte: le visite pastorali erano parte essenziale del suo metodo di lavoro e ogni visita lasciava un segno sul territorio: una edicola, una Via Crucis, una cappella, la decorazione di un altare, un affresco sulle pareti di una chiesa in cui aveva detto messa e predicato. Ci furono anzi famiglie di mo­desti pittori che si specializzarono a dipingere sulle facciate di sperdute parroc­chie grandi immagini di San Carlo, a fianco o in sostituzione di quelle più vec­chie di altri santi -molto spesso San Cristoforo - ormai scolorite. Questi pitto­ri dipingevano male, con colori di poca durata e pare anche che- ottenuto qual­che acconto- se ne andassero lasciando incompiuta l 'opera loro: dal loro modo di lavorare male è venuta l'espressione "alla carlona". Nel1581 San Carlo parte dalle sue terre per una visita pastorale lunghissima che lo porta a nord delle Alpi, ad incontrare l'isola di cattolicesimo situata all'inizio della valle del Reno, a est del Gottardo. Da Arona tocca il Sacro Monte di Ghif­fa, il Sacro Monte di Brissago, la Madonna del Sasso di Locarno; poi risale la valle del Ticino e quella di Elenio, dove a decine si costruiscono subito dopo

CAPITOLO 1 l LA StlCRALIZZAZIONE DEL TERRITORIO: l SACRI MONTI 287

"p~oni" in suo onore [fig. 7], o si intitolano a San Carlo chiese e cappelle; vali­ca Il Lucomagno e per la Val Medel scende fino all'Abbazia Imperiale benedet­tina di Disentis (fonda ta nel X secolo) sul Reno Anteriore, a meno di venti chi­lometri dal punto più avanzato raggiunto nel 1527 dalla Riforma (ne è testimo­nianza la chiesa Evangelica di Vuorz-Waltensburg, decorata di più antichi affre­schi, XIV secolo). Nella parrocchiale di Disentis un altare è dedicato in ricordo a San Carlo e il motto da lui dato ai Borromeo ({(Httmilitas" in caratteri gotici) sovrasta in tal modo anche nelle montagne dei Grigioni. La scoperta del ruolo che il territorio - così come è e così come è vissuto - è l'ambiente in cui la società proietta le sue opere, non è limitata per la grande fa­miglia dei Borromeo alla 'sacralizzazione' controriformista e all'eredità spiritua­le di San Carlo. Intorno al1630 un nipote di San Carlo, che si chiama anche lui Carlo (1586-1652), inizia la trasformazione di una delle isole di sua proprietà nel Lago Maggiore in un complesso costituito da un palazzo e da una serie di ter­razze-giardino che verranno completate un secolo dopo (il palazzo fu terminato solo nel1959) [fig. 8]. Era uno scoglio chiamato Isola Inferiore (rispetto a quella situata poco più a nord denominata Isola Superiore), o !sella per la sua modesta dimensione: c'e­ra stata una chiesa fin dal secolo XI e forse un castello. Adesso in onore della moglie di Carlo, che è la contessa Isabella d'Adda, l'isola trasformata viene d­battezzata "Isabella"; circa un secolo dopo nel1735 il nome viene trasformato, per sempre, in Isola Bella. Anche qui gli autori di questa radicale trasformazio­ne di cui si conosce il nome, non sono noti per una loro specifica personalità: Giovanni Angelo Crivelli milanese, Francesco Castelli ticinese, Andrea Biffi lom­bardo, Filippo Cagnola milanese. Poco più noto Francesco Maria Richini (Mi­lano, 1583-1658) che ha pesantemente progettato e costruito anche il Seminario e la chiesa accanto al Sancarlone, e la chiesa di San Rocco a Miasino. Tutta gen­te del posto e della corte dei Borromeo; il più famoso è il ticinese Carlo Fonta­na (1634-1714) che però pare che all'Isola Bella sia solo passato a dare qualche consiglio. Alle statue lavorarono scultori chiamati Vismara, Resnati, Sip:wnetta; alle fontane il milanese Gian Maria Mora; tra i giardinieri il primo in ordine di tempo si chiamava Giuseppe Anosei. Come nei Sacri Monti il lavoro di decine e centinaia di persone, per decenni e secoli ha prodotto un'opera che colpisce per la sua totale coerenza, dovuta for­se proprio all'assunzione del territorio esistente (terre, acque, piante, colori, lu­ce ... ) come ambiente per la realizzazione di quello che si voleva proporre come ambiente ideale. L'uso scenografico dell'ambiente naturale ha forse la più integrale realizzazione nel Sacro Monte di Brissago (Canton Ticino), che inizia sulla riva del lago Maggiore per terminare in una valle boscosa. Ancora oggi la strada pedonale fiancheggiata dai piloni della Via Crucis, è chiamata "via Gerusalemme" e la cappella al suo ini­zio "Porta di Gerusalemme" [fig. 9a]. La Via Crucis [fig. 9b] termina all'Oratorio dell'Addolorata (17 67) , da cui si vede lontano, in fondo alla valle, in mezzo al bo­sco la edicola con tre crocefissi lignei che rappresentano il Calvario [fig. 9c].

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288 l'ARTE QUINT1l l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

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figg. 9a, 9b, 9c. Sacro Monte di Brissago (Canton Ticino, Confederazione Elvetica). Costruilo dal1764 per iniziativa deifr11ti fnwcescani. Comprende 11ella parte bassa t/Ila Via Cmcis cbe inizia sulla riva del Lt1go Maggiore contma cappella della "Porta di Gerusalemme". l 'piloni' della Via Cmcis alla IX stazione si trasformano in cappelle cbe terminano all'Oratorio dell'Addolorala (1767) da etti si vede in fondo alla valle unaniccbia rappresentante il Calvario con tre croce/issi /ignei raffigurati con deformazioni prospellicbe per e.uere visti da lontano e nel bosco (scultore Domenico Gelosa di [n tra, 1767); eccezionale esempio di 'uso scenogra/ico' dell'ambiente naturale.

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CAP/T0/.0 l l LA SACRALIZZAZ/ONE DEL TERRITORfO: l SACRI MON'II

IL PATRIMONIO MONDIALE DELL'UMANITÀ DELL'UNESCO

li 3 luglio 2003 l'UNESCO ha incluso i Sacri Monti nei "Patrimonio mondiale dell'umani­tà", classificando come tali nove complessi; in Piemonte !a Nuova Gerusalemme a Varallo Sesia (fig. 10], San Francesco a Orta San Giulio rjig. 12] 8, il Calvario a Domodossola [figg. 13, 13a] , la SS. Trinità a Ghiffa [fig. 14] 9, !'Assunzione a Serralunga di Crea nel Monferra­to 10, la Vergine a Oropa Il, il Santuario di Belmonte a Valperga Canavese· in Lombardia il Rosario a Varese [figg. 11, lla] 12, la Madonna del Soccorso a Ossuccio sul Lago di Como n. I Sacri Monti piemontesi sono anche Riserva naturale speciale della Regione. Per un elenco completo dei Sacri Monti dobbiamo aggiungere in Piemonte Arona e Gra­glia; nel tratto Ticinese del Lago Maggiore Brissago f/t'gg. 15a, 15b, 15c] 1~ e Orselina-Lo­carno r}igg. t 2]; nelle alte montagne del Vallese Saas-Feè e Visperterminen; in Lombar­dia il Sacro Monte di San Carlo a Oria - Val Sol da sul Lago di Lugano. Al di fuori ~ella zona orientale delle Alpi piemontesi e di quella occidentale delle Alpi 1om­barde, troviamo un complesso confrontabile con i Sacri Monti solo in Toscana nella "Ge­rusalemme" di San Vivaldo a Montaione, tra San Gemignano e Certaldo realizzata assai prima di quelle alpine, alla fine del XV- inizio XVI secolo 1'. '

Anche la "Gerusalemme" di Varallo Sesia fu iniziata negli ultimi decenni del XV secolo ma poi interrotta negli anni 1527-1528 e ripresa nell'ambito della Controriforma. a cui ap~ partengono indubbiamente tutte le altre iniziative.

fig. 10. Sacro Monte di Varallo Sesia (Vercelli). ideato dopo il1481 da padre Bernardino Caimi, milanese, francescano gitì rettore dei Luogbi Santi di Pttlestùta. con l'obiettivo di realiz.ztlre 1111a "Nuova Gemsalemme" come mela di pellegrinaggi. Il luogo fu scelto probabilmente percbé su 11110 dei tracciati di traversata alpina. TI primo proge/lo fu del Valsesia no Gaudenzio Fermri (Valduggia, 1470-1546) cbe fu architetto, pittore e scultore: le statue erauo in legno rivestite di sto/fa. lnterrol/o nel 1527-28, fu ripreso dopo il1560, ormai nell'ambito della Controriforma e sol/o l'iu/luenza di San Carlo Borromeo e del vescovo di Novttrn Carlo BasCtlpé: arcbite/lo Galeazzo A/essi (Perugia, 1500-1572). Ultimi lavori nel Settecento dopo l'annessione del NovareJe ai Savoia, con contributi di Benedello Al/ieri (1700-1767): 45 cappelle, 600 stai/le, 4000 figure negli affreschi. Racconta in maniera 11011

sistematica episodi del Vecchio e del Nuovo Testamento, con prevalenza dei/alli evangelici a cui/anno seguito due cappelle dedicate a San Francesco e a San Carlo. Termina a/la Basilica dell'Ammta con l'ultima scena appunto dell'Assunzione, con circa 140 statue. È il piiÌ grande e il pitÌ conosciuto dei Sacri Monti: si innalza al di sopra della \!al Sesia, in mezzo ai boschi cbe ricoprono i monti circostanti.

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PARTE QUINTA l IL PAES; lGGIO COMÉ DESCRIZIONE DELL'AMBIIiNTE REALE

figg. 11, lla. Sacro Monte di Varese (Varese). Su/luogo dell'attuale Santuario di Santa Maria del Monte era stata costruita mra chiesa nella seconda metà del N secolo, ampliata nel XII e divenuta luogo di eremitaggio soprattutto femminile; nel 1530 furono costruite delle cappelle con statue /ignee raffiguranti la Passione, poi distrutte. Nel1604-1605 fu iniziata/a costruzione del Sacro Monte, nel

quadro della Controriforma ambrosiana, m progetto di Giuseppe Bemascone (Varese, 1565-1631) detto "il Mancino" ed è forse uno dei progetti di Sacro Monte pùì rigorosi. Ne/1623 le quattordici cappelle era110 quasi finite e complete di statue in terracotta e affreschi dedicati ai Misteri del Rosario e alla Passione, Fu completato dopo la pestilenza de/1630 e le ultime opere /t1rono termrirate nel1717. Consiste in una lunga salita sul costone della montagna, co11 "piloni", cappelle, portali e sistemazioni panoramiche; poi la zona terminale con cappelle, edi/id conventuali, il santuario e il borgo di Santa Marù1. Data la sua posizione straordinariamente panoramica è riconoscibile da tu/la la pia/l/Ira tra la Lombardia e il Piemonte e viceversa, dalla lunga salita si domina tutta la pianura, dai vari laghi so/tostanti nella zona di Varese /t'no alle Alpi. È stata la meta di tanti visitatori stranieri nei secoli scorsi. Da qui Ste11dhal fece il programma dei suoi IJ/aggi successivi per vedere da vicino i luoghi cbe aveva scoperto.

CAPITOLO l l LA SACRALIZZAZIONE DEL TERIUTORIO: l SACRI M ONTI

fig. 12. Una piccola cbiesa tardo-roma11ica viene ricostruita ne/1590; attomo, tra i/1605 e il1617, viene costruito il Santuario della Trinità a/limite tra il bosco e i terreni coltivtrti di Ronco (topoltimo diffusissimo Ìlt tu/la l'Italia settentrionale cbe indica appunto i terrazzamenti coltivati), attuale frazione di Ghiffa (\ferbania). Nel 1646 viene costmito il campanile; nel 1647/a Cappella det/'Im:oronazione di Maria Vergine; nel l 659 la Cappetla di San Giovanni; nel 1701-1703 la cappella di Abramo, distaccala alla fine del percorso di salita da Ronco. Su questo però non fu mai costmita la Via Cmdç per cui fu invece realizzato u11 U11ico porticato ne/1752, secondo 1111 modello assai raro nei Sacri Monti e nelle altre tipologie di "sacraliZZIIzione del territorio".

fig. 13. Sacm Monte Calvario a Domodossol11 (Verbania). Iniziato ne/1656 per ùtiziativa di due frati cappuccini: Gioacchino da Cassano e Andrea da Rho. Il percorso iniziava in pianura a 1111a porta della città lungo la strada cbe dall'Osso/a conduceva tli passi del Sempione, di San Giacomo, della \!al Vigezzo. La salita è accompagnata dati/la Vìa Crucis che termina con dodici cappelle isolate e due inglobate nel Santuario fùtale con decine di statue di terracotta, soprattutto nella cappella finale della Resurrezione, o del Paradiso. Sorge tra i ruderi della fortezza lougobarda di Mattarel!a e i Rosminiani cbe lo gestiscono dal 1828 vi ha1mo realiZZIIto 1111 giardti10 botanico con piante provenieflti da tutto il mondo.

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PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 14. Sacro Monte di San Francesco a Orta (Novara). XX Cappella. Canonizzazione di Francesco: progetto di Padre Cleto da Castelletto Ticino su programma del vescovo Carlo Bascapè. Le statue dei prelati sono state scolpite da Dionigi Bussola (1600-1607).

fig. 15. Sacro Monte di San Francesco a Orta (Novara). La strada di accesso collega il centro di Orta, sulle rive de/lago, alla chiesa e convento di San Nicolao, risistemato nel1591-1595 per iniziativa del vescovo di Novara Carlo Bascapé. Il padre cappuccino Cleto, originario della vicina Castelletto Ticino (15 56-1612), progettò il Sacro Monte dedicato a San Francesco, secondo il piano del val/ombrosa no novarese Amico Canobio. Le trentasei cappelle previste furono ridotte a venti e costmite tra il1596 e il 1670, salvo due nel secolo successivo; comprendono 376 statue in terracotta. Una ventunesima cappella progettata nel 1788 e dedico t a al Cantico delle Creature si concludeva in alto con un terrav.o panoramico al di sopra del bosco, ma rimase incompiuta (arch. Giulio Francesco Santin~ valsesiano). Filari di carpini furono progettati fin dall'inizio per creare recin:doni sacra li e guidare la visita, alternando i panorami sul/ago e le prospettive verso le cappelle.

CAPITOLO 1 1 LA SACRALIZZAZIONE DEL TERR11"0RIO: I SACRI MONTI 293

Note

1 1609-10, Antonio Tempesta, Roma, 38 disegni su 20 lastre cm 29 x 21; 1620, Giacomo Callot, Fi­renze, 47 disegni su 38lastre cm 29 x 21. 2 S. Lange in AA.VV. Sacri Monti, Edizioni Universitarie Jaca, Milano 1992. Dalla vasta biblio­grafia citiamo: L. Zanzi, Sacri Monti e dintorni, Edizioni Universitarie J aca, Milano 1990; L. e P. Zanzi, Atlante dei Sacri Monti prealpini, Skira, Milano 2002; M. Centini, I Sacri Monti dell'arco alpino italiano, Friuli & Verlucca, Ivrea 1990; Carta dei Sacri Montt; Calvari e complessi devozio­nali europei, De Agostini, Novara. 3 A. Manzoni, I promessi sposi, Storia Milanese del Secolo XVII, 1827. 4 V. Gilardoni, in: I monumenti d'arte e di storia del Canton Ticino. Locamo e il suo circolo, vol. I, pagg. 418-477, Base!, Birkerhauser Verlag 1972; A. e C. Calderari, Appunti per una storia della Ma­donna del Sasso, Eco di Locarno 1982. 'A. Marzi, Guida al sacro Monte Calvario di Domodossola, Torino 1995. 6 A. Lazzarini, Stresa e il Verbano dei Borromeo, Leone libreria editrice, Stresa 1987; A. Majo, San Carlo Borromeo, Vita e azione pastorale, prefazione cardinale Dionigi Tettamanzi, Ed. San Paolo, Milano 2004; Stendhal, Correspondance, tome I, page 183, Bibliothèque de la Pléyade l Stendhal, Rome, Naples et. Florence en 1817, 28 juillet 1817, Voyages en Italie, Bibliothèque de la Pléiade. 7 G. Alessi, Il Libro dei Misteri. Progetto di piamficazione urbanistica, architettonica e figurativa del Sacro Monte di Varallo Sesia (1565-1569), edizione anastatica a cura di A.M. Brizio e S. Stefani Ferrone, Bologna 1974; S. Langé, A. Pensa, Il Sacro Monte. Esperienza del reale e spazio virtuale nell'iconografia della Passione a Varallo, Milano 1991; S. Stefani Ferrone, Guida al Sacro Monte di Varallo, Torino 1995. 8 AA.VV., Il Sacro Monte di Orta e San Francesco nella storia e nell'arte della Controriforma, Atti del Convegno Orta San Giulio, 4-6 giugno 1982, Regione Piemonte, Torino 1985; E. De Filippis, F. Mattioli Carcano, Guida al Sacro Monte di Orta, Novara 1991. 9 AA.VV., Sacro Monte di Ghzffa, Alberti libraio editore, Verbania 2000. 10 A. Barbero, C. Spantigati, Sacro Monte di Crea, Alessandria 1998. 11 F. Fontana, P. Sorrenti, Oropa. Sacro Monte, Borgosesia, s. d.; P. Strobino, Guida alle cappelle del Sacro Monte di Oropa, Biella 2000. 12 F. Restelli, P. Viotto, Sacro Monte di Varese: il Santuario, il Monastero, le cappelle, Macchione editore, Varese 1997. 13 P. Gatta Papavassiliou, Il Sacro Monte di Ossuccio, Milano s.d. 14 V. Gilardoni, I monumenti d'arte e di storia del Canton Ticino, vol. I, Il Circolo delle Isole, vol. II, L'alto Verbano, Base!, Birkerhauser Verlag 1979. 15 F. Cardini, La Gerusalemme di San Viva/do, in Archeologia Viva I, 1982, n. 6; AA.VV., Atti del Convegno: La "Gerusalemme" di San Vivaldo e i Sacri Monti in Europa, Pisa 1989.

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Capitolo 2

Il ritratto delle persone: dal protagonista altin/inito

Il ritratto di persone reali, riprese verosimilmente, si era andato diffondendo in tut­ta Europa durante il Quattrocento. Prima, gli eventuali ritratti dei committenti, del pittore, di qualche altro personaggio vivente erano mescolati a figure generiche, ve­stite come l'episodio raffigurato richiedeva. L'obiettivo non era quello di "fare il ri­tratto" riconoscibile, come lo intendiamo oggi, a meno che lo scopo della raffigu­razione fosse proprio l'esaltazione dell'in1peratore, dell'imperatrice, del papa ecc. Spetta alla pittura fiamminga il primo posto, per cronologia e per qualità, in que­sta evoluzione della pittura di ritratto. Di fronte all'autonomia di questo nuovo genere della ritrattistica, ai fini dell 'ar­gomento che ci interessa, possiamo distinguere due tipi: -I ritratti in cui dietro al personaggio c'è un fondo monocromo (spesso anche nero) o comunque una parete, una tenda di immediata chiusura che lascia come sola immagine la figura ritratta. - I ritratti in cui invece dietro al per­sonaggio si apre uno sfondo in cui l'ar­tista rappresenta l'ambiente (interno od esterno) che caratterizza la figura ri­tratta, o che il pittore ritiene sia lo sfon­do più adatto per completare l'opera. C'è anche un terzo tipo di ritratti (più frequenti di quanto si può pensare): i ritratti in cui l'ambiente collegato al personaggio non è dietro, non è nello sfondo, ma è davanti; ed è proprio il personaggio (o i personaggi) che con l'azione che compie documenta quella attività . L'esempio più antico è costituito pro­babilmente dalle Biccherne senesi. La Biccherna era un ufficio finanziario con una evoluta organizzazione ispira­ta probabilmente a modelli bizantini o tedeschi (l'etimologia è incerta: dal quartiere degli affari di Bisanzio che si

CAPITOLO 2 l IL RITRATTO DELLE PERSONE: DAL PROT!IGONISTII ALL'INFINI TO 295

chiamava blacheme o dal tedesco Bucher -libro -, o da altri etimi sconosciuti) . Costituito alla fine del secolo XII raggiunse l'organizzazione definitiva nel 1226 e funzionò fino alla seconda metà del XIV secolo. Le operazioni della Biccher­na erano segnate in registri rilegati dentro tavolette di legno che a partire dal 1258 furono decorate con titoli, stemmi, scene relative alle operazioni di cassa 0

ai santi patroni o ad avvenimenti storici (vedi anche parte II, cap. 4). Le più antiche tappresentano appunto il banco davanti al camerlengo che in­cassa dal cittadino e tegistra [fig. 1] ; qualche volta c'è la descrizione dell'inteto ambiente con leggii, calamai, casseforti, panche e corsie per il pubblico [fig. 2] 1•

Tra i ti tratti in cui l'attività del personaggio descrive insieme lavoro e ambiente numerosi sono quelli dipinri nel XVI e XVII secolo per i ricchi signori delle Fian­dre e dell 'Olanda. Maarten van Heemskerk (1498-1574) 2, dipinge i ritratti di un uomo e una donna - sconosciuti, quasi certamente marito e moglie, noti come Bicker portraits (cm 84,5 x 65, Amstetdam Rijksmuseum): lo sfondo è una pare­te marrone quasi vuota, mentre in primo piano davanti alla donna domina un ar­colaio e davanti all'uomo c'è una scrivania con penne, tamponi, calamai, oggetti vari e un libro tenuto aperto con la mano sinistra; con la destra conta dei soldi. Tra i ritratti in cui è invece lo sfondo a descrivere riccamente l'ambiente dei per­sonaggi, sono esemplari due famose opere diJan van Eyck (]an, 1385-90 l 1441, aveva iniziato a dipingere con il fratello più anziano Hubrecht, morto nel1426).

/ig. l . 13icchema 11. 15, primo semestre 1340, tempera su tavola, mm410 x 252. Siena, Archivio di Stato. l! camerlengo don Matteo riceve il denaro di llllfl tassa da un cittadino. Attribuita alla scuola di Ambrogio Lorenze//1:

fig. 2. Biccbeman. 21, primo semestre 1393, tempera su tavola, 111111430 x 326. Siena, Arcbivio di Stato. È qui rappresen/ato l'intero ufficio delle ùnposte. Davanti c'è il passaggio per i contribuenti con llllfl panca; dietro al banco lavorano il camerlengo (a sinistra) e lo scrivano (a destra); sul banco i leggii con i caltmlm; pile di denaro, una tavo/el/a LVn llllfl pietra pomice; a destra la cassaforte co/t una /t me per a prime il copercbio. 2

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296 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DJ:SCR /Z/ONE DELL'AMBIENTE REA LE

/ig. 3. ]an Vtlll Eyck (1385-90 - 1441), I coniugi Amo/fini, 1434, C/1182 x 59,5. Londra, Tbe Natio1wl Galle!)'· l due riccbi mercanti sono ritrai/i nella loro camera da letto: il tappeto, la coperta, la fii1estra conii/M mela s11l dava11zale, gli zoccoli (biancbi quelli davallli e rossi q11elli in fondo), il cagnolino, il mobile co11 tre ara11cie sono quelli reali cbe si trovavano nella stanza; come certamente realistica è l'avanzata gravidanza. È evidente anzi cbe è proprio in q11ella circostanza che gli Amol/ùli hamw voluto essere ripresi.

CAPITOLO 2 l I L RITRATTO DELLE PERSONE: DAL PROTAGONISTA ALL'INFINITO 297

Ne I coniugi Arnol/ini [fig. 3] i due ricchi mercanti lucchesi, trasferiti a Bruges, sono ritratti all'interno della loro camera da letto ed è l'intimità di questa a co­stituire l 'ambiente dipinto da van Eyck: quella è effettivamente la stanza degli Arnolfini e la precisione della pittura va di pari passo con l'osservazione del­l'ambiente. Non diverso può essere stato il ragionamento che ha portato J an van Eyck a di­pingere una Madonna in piedi col bambino all 'interno di quello che nel XV se­colo poteva essere considerato appunto come l' 'ambiente'·di Maria e Gesù: una chiesa gotica, dipinta con assoluta precisione architettonica [fig. 4a]. Qualche anno dopo (1437) van Eyck dipinge di nuovo una Madonna con Bam­bino dentro una chiesa; ma non si tratta questa volta di una cattedrale in cui è entrata Maria come un qualsiasi credente, bensì di una chiesa costruita apposta per il trono e il baldacchino; il pavimento della chiesa è coperto da due tappeti sovtapposti e la larghezza della navata è uguale alla larghezza dei tappeti e del manto della Madonna [fig. 4b]. I tappeti ebbero del resto un ruolo importante in molta pittura del Quattrocento: tra i molti fiamminghi lo stesso van Eyck in­siste nel disegnarne uno raffinatissimo nella Pala del canonico va n der Paele (1436, Bruges, Groeningen Museum) e in Italia i tappeti hanno un ruolo importante in molti quadri di Giovanni Bellini, di Vittore Carpaccio, di Lorenzo Lotto: alcu­ni tipi di tappeto hanno preso appunto il nome da questi pittori. Nel Trittico dei Sette Sacramenti Rogier van der Weyden [fig. 4c] pone l'intera scena della crocefissione al centro di una imponente cattedrale gotica a tre na­vate sul cui pavimento - senza tappeti - piangono la Madonna, la Maddalena, Giovanni e altri fedeli: tra di essi si alza altissima la Croce, innalzando il Cristo all'altezza in cui effettivamente venivano posti i crocefissi sulla traversa lignea al­l'imposta delle volte. In fondo l'abside è chiuso da una iconostasi con un altare dove un sacerdote sta celebrando l'Elevazione. Si potrebbe quasi credere che i fedeli che vedevano i personaggi sacri fino al Tre­cento raffigurati sulle ampie pareti delle chiese romaniche, adesso li possono qua­si incontrare nei larghi e luminosi spazi dell' atchitettura gotica. Nel 1435 van Eyck dipinge La Madon na del cancelliere Rolin (cm 66 x 62, Pa­rigi, Louvre) e van der Weyden dipinge San Luca ritrae la Vel'gine (Boston, Mu­seum of Fine Arts) [figg. 5a, 5b]. Pare indubbio che uno dei due conoscesse il quadro dell'altto. L'ambiente descritto è un grande paesaggio esterno. I pochi personaggi sono in una loggia completamente spalancata di cui entrambi dise­gnano il pavimento come una ricca texture. Al di là delle arcate della loggia ci sono due successivi livelli: innanzitutto una terrazza con parapetto merlato da cui si affacciano due persone (sulla terrazza di van Eyck fiori, piante, uccelli tra cui un pavone). In fondo il paesaggio dimostra la dimestichezza degli artisti fiam­minghi con la miniatura: al vero i due paesaggi sono larghi intorno a 30 cm. Al centro c'è un grande fiume, più semplice in van der Weyden, più serpeggiante e con un ponte fo rtificato in van Eyck che insiste nella minuta descrizione sul­la sponda destra di una città arrampicata su un colle con una cattedrale gotica e molti campanili, sulla sponda sinistra di un più piccolo agglomerato con una

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298 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 4a. ]an van Eyck, La Mado1111a co/Bambino, cm31 x 14, 1425 circa. Berlino, Gemiildegalen"e. Si tmtta di una pala proveniente da 1111 polittico distrutto o disperso. La Madonna è raffigurata come una n"eco dama del XV serolo: come la Madonna ancbe l'ambiellfe li1 mi van Eyck l'ba collocata 11011 finge in nesmn modo di avere dei rapporti con quello in cui Maria visse, ma con quello in cui allora veniva adorata: una cattedrale gotica.

fig. 4b. ]an va n Eyck, Trittico di Dresda, 1437, cm 33, l x 27,5. Dresda, Gemiildegalerie. Come nella fig. 4a, la Mado1ma è dentro una cbiesa: al centro, in trono e la cbiesa è m/figurata come la cornice con baldacchino e tappett:

CAPITOLO 2 1 IL RITRATTO DELLE PERSONE: DAL PROTAGONISTA ALL'INFINITO 299

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300 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'Il.IIBIENTE REALE

fig. 4c. Rogier van der \Veyden (1399-1464), 1ì-ittico dei Sette Sacramenti, 1439-1443. Anversa, Musées Royaux des Beaux-Arts. I.: intera scena della Crocefissione è rappresentata all'in temo di 1111a cattedrale a tre navate.

CAP17'0LO 2 l IL RITRATTO DELLE PERSONE, DAL PROTAGONISTA ALL'INFINITO 301

cattedrale romanica e giardini alberati. Diversi i personaggi e la loggia: i grandi si­gnori Rolin, la Madonna-Dama che gli sta di fronte, l'angelo con la corona e il Bam­bino che gioca con aurei giocattoli, anche se simbolici. La Madonna di van der Weyden seduta su una panca, allatta un neonato an­cora rigido e bisognoso di essere sostenuto. La loggia come separazione tra l'ambiente interno ed esterno è un elemento ricorren­te sia nel ritratto di personaggi reali, sia nel­le immagini sacre. Memling ha dipinto Ma­donne col Bambino in loggia-trono davanti a paesaggi larghissimi (Madonna) Bambino) angelo) donatore) San Giorgio, 1479 circa, Londra, National Gallery; Trittico di Vien­na, dopo il1480, Vienna, Kunsthistorisches Museum; Vergine e Bambino, 1485 circa, Berlino, Gemaldegalerie) [figg. Ga) 6b].

Trenta anni dopo van Eyck, nel1465 Piero della Francesca dipinge i ritratti dei duchi d'Urbino- Federico II di Monte/ eltro e Bat­tista Sforza - su due tavolette affiancate, cm 47 x 33. Nel retro dipinge i carri trionfali su cui sfilano i due duchi [figg. 7 a) 7 b] . Il paesaggio che Piero dipinge dietro ai du­chi e ai trionfi è lontano dal primo piano e arriva all'infinito, finendo contro l'oriz­zonte ed il cielo. Dietro a Federico domi­na un grande specchio d 'acqua in cui af­fluisce un fiume; dietro Battista c'è solo ter­ra coltivata, con un castello e un torrente sulla destra e il profilo di una città turrita dietro a una collina alberata. Nei trionfi lo specchio d'acqua occupa qua­si metà del pannello con il duca e passa sen­za soluzione di continuità nel pannello con la duchessa. Il paesaggio è lo stesso: una pianura da cui si innalzano delle verdeg­gianti colline, isolate una dall'altra, digra­danti nei dettagli e nel colore verso il fon­do all'infinito. Si tratta indubbiamente di un territorio inventato: né intorno a Urbi-

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302 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 5a. Jatt va11 Eyck, La Madonna del cancelliere Roltit, 1435, cm31 x 14. Parigi, Louvre. Il piccolo dipinto rappresmta t/Ilo loggia all'i11temo del pala:a.o del cancelliere Rolin, dove 1111a Madonna col Bambino in braccio vie11e incoro11ata da un angelo. Dominante è il disegno del pavimento sulle cui tinte si uni/orma la veste del cancelliere in modo da lasciare risaltare solo il manto rosso della Madonna. Al di là delle arcate della loggia, in 11110

spazio ristretto (circa cm 30 al vero), va n Eyck ha dipinto 1111 fiume che separa due diverse città e due diverse campagne, fùw a montagne accennate in fondo. La grande quantità di dettagli; sia naturali sia architettonici, dimostra che va n Eyck si riferiva a dei modelli reali, ancbe se le proposte avanzate per individuar/i non sono mai giunte a risultati valid1: Si noti che le due città sono abitate: personaggi sul ponte, sulle barche, nelle pia:a.e sono visibili a11che se al vero 11011 superano i due millimetri.

CA PITOLO 2 l EL RITRATTO DELLE PERSONE: DAL PROTAGONISTA ALL'INFINITO

fig. 5b. Rogier va n der 1fleyden, San Luca ritrae la Vergi11e, 1435-1440 circa. Boston, Museum of Fine Arts. La somiglianza c?nl'ù1qua~ra':ura ~el Cancelliere Rollin di vm1 Eyck è evidente: i personaggi e il tipo di pennellata so110 m vece ossa t dwem, malgrado la conte111poraneità delle due opere.

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304 PARTE QUINTA l IL l'AEStiGGIO COME DESCR IZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 6a. Hans Memlù1g, (!m 1435 e 1440-1494), Triflico di \fienna, dopo 1480. Viemw, Kunslbisloriscbes Museum.

fig. 6b. HmiS Memlù1g, Vergine e Bambino, 1485 circa. Berlino, Gemii!degalerie. La m!/igurazione della Madonna in trono den/ro lilla loggia con descrizione conlempamneamenle dell'ambienle inlemo ispirato alla religione e di quello eslemo raffigura/Ile terre abila/e e coltivate, è frequenlissima nella pitlura fiamminga del Quattrocenlo.

CAPITOLO 211/. RITRATTO DELLE PERSONE: DAI. l'ROI/ICONISTr! ALL'JNF/.'1/TO 305

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306 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COM E DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

figg. l a, 7b. Piero della Francesca, Federico II di Montefeltro e Battista Sforw; nel retro due triou/i SII cui sfilano i duch1; ltwolette, cm 47 x 33. Urbino, Palazzo Ducale. Nei due sportelli cou i carri trionfali il paesaggio è uuitario, mentre in quelli con i ducbi la pro.rewzione 11011 è diretta, col/le se qualche centimetro fosse stato segato; il che è impossibile vista la contiuuittì del retro. Le ipotesi avanzate souo varie, ma 11011 couvilrcenti. Comunque il paesaggio raffigurato è lo stesso: 1111 grande speccbio d'acqua, llllfl pÙilllll'a coltivata, delle colliue quasi uguali tra di loro: è l/11 fltlemggio inventato. fu vece 11011 è certamente inventata la collana della duchessa, a dimostrare che il pittore- e i committenti - sapevano benissimo dove era benvenuta la fantasia e dove il verismo era obbligato.

no, né in altre parti d'Italia (e non solo) esiste una pianura interrotta da infinite quasi uguali colline. Piero ha dunque inventato acque, terra e cielo, salvo forse a inserirvi il castello e il profilo di città ripresi da qualche caso reale. Lo sfondo è in funzione dei pro­fili e dei trionfi: l'orizzonte taglia Federico e Battista all'altezza del collo, in mo­do che le due teste emergono contro il cielo. Quando Piero è ormai anziano (muore nel1492) sono nel pieno della loro atti­vità due personaggi coetanei: il Perugino (1448-1523) e Leonardo (1452-1519). Anche nei loro ritratti e composizioni i personaggi sono raffigurati davanti a lon­tani paesaggi naturali o architettonici. Non bastano mai le sole figure umane a determinare l'azione: questa è sempre immersa in un ambiente che, anche se lon­tano, sarebbe insopprimibile. L'ambiente più congeniale e più ripetuto in tante opere del Perugino è un territo­rio delimitato dolcemente da colline ed alberi, chiuso da lontane rocce. Anche nel

CtlPlTOLO 2 / IL RITRATTO DELLE I'EI<SONE: DAL PR01ìtGONISTA ALI:INFJNI'l'O .307

Perugino non c'è probabilmente un riferim.ento diretto e completo a questo o quel punto di vista, ma è sempre assunta a modello la campagna del basso Appennino umbro e toscano, dove Piero Vannucci era nato (a Città della Pieve) e nei cui pae­si e città svolgeva tanta parte del suo lavoro. Dolci colline, pochi alberi, sia di gran­de portamento sia più piccoli, poca acqua e in genere, sulla riva, castelli o paesi (Ri­tratto di Francesco delle Opere, Firenze, Uffizi; La visione di San Bernardo, Mona­co, Alte Pinakothek; Compianto su Cristo morto, Firenze, Pitti). L'ambiente si com­plica nella Crocefissione Galitzin [fig. 8] (anni '80 del XV secolo, Washington, Na­tional Gallery); formata da tre pannelli: in quello centrale la Croce è l'unico ele­mento che si stacca sul cielo (come le teste nei ritratti delle persone). Ai lati la Ma­donna e San Giovanni e nei pannelli San Gerolamo e la Maddalena. Nella sua molteplice attività, Leonardo ha inserito anche un "Trattato della pittura" (ne conosciamo una raccolta postuma derivata da copie) in cui non insegna solo come dipingere, ma soprattutto come vedere ciò che si dipinge: persone, piante, fondo. Il fondo è "in/ra l'occhio e le montagne .. . la distanza grande rinchiude dentro sé molta aria"; occorre "porre nelle cose rimate dal­l' occhio solamente le macchie, non terminate, ma di con/usi termini". È questo il modo in cui Leonardo vede e dipinge quelle cose lontane che ci sono quasi sempre nelle sue opere (salvo in alcuni fondi neri di celebri ritratti). Possia-

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308 PARTE QUINTA l I L PAUACGIO CQ,\IE DI :'SCRiliONE DELL'ti .IIBIENTE REti LE

fig. 8. Pietro Vnuuucci dello il Pemgino (1448-1523), Croce/ issioue Gnli!ZÙI, t11111i '80 del XV secolo. Wlt1sbington, Nt~!iOIItl! Galle!)'. L'ambiente è 1111ift1rio, anche .re n cn//Sn delle comici non in strelln continuazione. Qw; in tomo t1/ Calvario, 11011 ci sono più ricbinmi t~li'Umbria; 1110 non c'è 11eppure iltelltalivo di mggerire Gerusalemme, milleciuquecel/lo a11ni prima. Tu/la la composizio11e i11izin .wl bordo inferiore co11 1111n /asciti di prato verde sCI/l'O, ricco e variato da erbe e da f iori, come abbiamo visto i11 /t1nle opere medievali. Le rocce t1i lati sono /rtlll/11/el/la/e e col/torte e In vegeltlzione si inserisce n / atictl uelle /mt111re; al celi/l'O c'è 1111 gol/o con delle navi, In torre di 1111 porto davanti ti/IliO città, 1111 fiume nllraven·ato dn wt ponte e, più in allo, 1111 <m/ello. Oltre n Cristo cbe coutrrlslrl con il cielo (c alcune nuvole bùwcbe sottolineai/o il braccio della Croce), c'è la mnccbia rossa del maulo di Sa11 Giovani/t; esnflameu/e in COI'I'ilpollllemn del pu11to centrale e pitì basso dell'orizzonte (il resto della composizione 11011 ba tinte cou/ms/allti e si prese!/ la quasi mol/ocrolllo). Sembra cbe il Pemgù10 abbia fa tto due disegni sovrnpposli: quello geometrico riferito alla fomiti del polittico con Cristo al celllro; quello cromatico spostato m San GtiJVtllllli per ''ln11ciare" tlnlln mnccbin ros.rnlo sguardo m ll'ambie111e. Questo è COII/lllltflle prolngonisln al/n pari delle persone.

mo vedere quali ambienti ci propone nei fondi di alcuni suoi dipinti: Il battesimo di Cristo (Firenze, Uffizi), ];Annunciazione (Firenze, Uffizi), La Madonna cbe por­ge il melagrana (Washington, National Gallery), La Madonna cbe porge il garofano (/igg. 9, 9a, 9b, Monaco, Altenpinakothek), San Gerolamo (Roma, Musei Vaticani), La Vergine delle rocce (Parigi, Louvre), La Madonna cbe allatta (San Pietroburgo, Ermitage), La Gioconda (Parigi, Louvre), Sant'A nna, la Madonna e il Bambino (Pa­rigi, Louvre). Salvo La Gioconda, sono tutti "ritratti" di soggetti sacri. I fondi sono abbastanza simili, secondo le indicazioni che Leonardo ha trasferito dai suoi quadri nel "Trattato della pittura": macchie, pennellate annebbiate, grado

CAPITOLO 2 l IL RITRATJ O DH LE I'ERSONE: DAL I'ROTtiGONISTA ALL'INFINITO 309

di finitura molto più approssimato che nelle persone o nei· dettagli · · · . . m pnmo ptano. Le eccezwm sono dovute alla rara p resenza di più piani di f01 d . 1 l'A . . d 1' Uff' . d 1 o. come ne -nnunczazwne eg 1 · lZI, ave Leonardo allinea quattr·o p1'an1· p t d . . , ·oponen o come semp~·e un ambtente profondtssimo, che si estende all 'infinito e in cui qual-che dettaglio serve solo per aumentare col contrasto la profondità· co L G · d. ·1 · · me ne a tocon .a 1 senttero serpeggiante sulla sinistra. L~ precisione delle pers~ne in prlino piano è esaltata dal con trasto con un senso di mistero che sembra donunare i fondi r}i'gg. 9a 9b] E lJUÒ stupire dato eh 1 · · L d ) , e o sete n-ztato eonar o avrebbe potuto entrare nell'analisi delle rocce e degli alberi con es~rer~1a competenza; ma forse è proprio per questo che sapeva individuare senza esttaztane lo specifico pittorico dell 'ambiente. Questo per Antonello da Messina (~ 430-1479~ nella Crocefissione è Io stretto tra Sicilia e Calabria, davanti alla sua cit­ta natale r}igg. 10, l Oa]. È davan~i a q~esto ambiente esistente e volutamente riconoscibile che Antonello pone _Cnst,o _e 1_due con~annati. La scena è divisa in due metà orizzontalmente: la supen~re e il c~elo. con ftgure lontane dalla parte inferiore: costituita dal 'ritratto' reale dt un terntono ben ?recisato (come anche in Piero, nell 'Angelico ... ). Occ~rrono due momenti per guardare il quadro: non è possibile con una sola o~chtata guard~rlo tutto. Se si guarda il cielo, non si mette a fuoco la terra e _ vt~eversa - se s1 g~a~·da ~uesta si possono ignorare le tre figure al di sopra. So­lo l due con_danna~l a1 IatJ sono drammaticamente agitati: sia Cristo che la Madon­na e San Gtovanm sono ieraticamente immobili. I due dolenti anzi sono distanti dali~ Cr~ce (cosa rarissima) e sono due macchie di colore stÙ fondo monocromo dell ambiente 3.

fig. 9. Leounrdo da \liuci (/452-1519), La Madouun cbe porge Li garo/ n11o, 1478-1480, cm 62 x 47. Mounco, llltellpiunkotbek. Due piaui neflnllmlle diJtiuli e C0/1/rastrllll!;- quello in tem o domiun/o da tmn ricca dama COli i .woi abiti e gioielli che netmcbe li/l'aureola cerca di lms/omNne, !rtscùmdo questo compito n! bambi11o nudo. L: al! m piano è lontano /uori dalle arcale della loggia ed è costitu!lo da montag11e "non tenmiltlle, ma di cou/ttsi termini".

alla pagina seguente /t'gg. 9a, 9b. Leouanlo da Vina; La i\tfadomltl cbe P?rge il garofano: le montagne al di In della loggia a Sllllstrn e a destra della Madonna col Bambtito. Nel quadro l'nperlum delle due logge è di circa CIII 15; In larghezza lo/a/e del quadro è cm 47.

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310 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE CAPITOLO 2 l IL RITRIITTO DELLE PERSONE: DAL PR01ì lGONISTA ALL'INFINITO 311

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312 PARTE QUTN1'ti l IL l'Al.iSAGGlO COME DESCRIZIONE DELL'AM/J/l;'NTE REA LE

figg. 10, lOa. llntonello da Messina (1430-1479), Crocefissi01re, 1475, cm 52,5 x 42,5. Anversa, .Musées Roytmx des Beaux A rts. Lo tavola è nettamente divisa in due parti quasi uguali:· in alto il cielo con le sole figure di Criçto e dei due condannati, in basso immobili la Madonna e San Giova uni davanti allo Stretto di M esstim cmrla Sicilia tir primo piano e la Calabria a destra in fondo.

L'assunzione di una sempre maggiore importanza da parte dell 'ambiente, coin­volge il rapporto con il personaggio. Anche molti personaggi divini vengono raf­figurati come uomini, donne, bambini di quel momento, di quel paese. Non so­lo negli abiti e nell'aspetto, ma anche nei simboli: scompaiono le aureole o siri­ducono solo a un lineare sottilissimo cerchio, privo di autonomia cromatica e che non interrompe la continuità della composizione. È l'azione che i personaggi compiono che permette di capire se è la Madonna, o una santa e quale; anzi spes­so neanche l'azione, ma il gesto, l'atteggiamento. Negli stessi anni il rapporto tra i personaggi e l'ambiente è fondamentale, anche se in maniera diversa, per Giovanni Bellini (1432-1516): è questo contrasto il vero ele­mento della drammaticità. Nella Crocefissione del Museo Correr, Venezia (1455 , cm 54,5 x 30) ffigg. 11, lla, llb], è stato rilevato che i tre personaggi sono ben al di sotto delle grandi capacità espresse nello stesso tema da Giovanni Bellini. Ma die­tro, senza più nessw1 riferimento a una presunta Gerusalemme o a fatti e persone

CAPITOLO 2 l IL RITRATTO DELLE PERSONE: DAL PROTAGONISTA ALL'INFINITO 313

della Passione, c'è un paesaggio vastissimo e ricchissimo: una decina di persone qua e là, due cavalli, una strada che conduce ad uno strano ponte, fiumi, isole, alberi, colline e monti. I ragionamenti che faceva Giovanni Bellini dipingendo questi pae­saggi erano quasi certamente del tutto autonomi, o guidati da motivi pittorici. Se vogliamo un esempio della ricchezza e della varietà con cui tra la fine del Me­dioevo e l'inizio del Rinascimento si poneva il problema del rapporto tra il perso­naggio ritratto e l'ambiente, possiamo guardare un quadro di un pittore quasi sco­nosciuto, vissuto alla corte degli Estensi e perciò detto Baldassarre Estense (attivo tra il1443 e il1504) : Ritratto di giovane ffigg. 12, 12a]. Qui ci sono tutti i casi pos­sibili della ritrattistica in un ritratto che- per ironia della storia -non sappiamo di chi sia. n personaggio è visto attraverso una finestra (che fa da cornice) e che è già quadro: sul davanzale sono appoggiati un libro, un anello, una perla; la finestra è chiusa all'esterno da una tenda nera impreziosita da una cimasa e da fiocchi. Se la tenda fosse chiusa il ritratto finirebbe lì ed apparterrebbe appunto alla serie di bu-

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PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

figg. 11, lla, llb. Giovanni Bellini (1432-1516), Crocefissione, 1455, cm 54,5 x 30. Venezia, Museo Corra Nel vastissimo ambiente che Bellini disegna in questo piccolo dipinto, i tre personaggi in primo piano sembrerebbero quasi degli intrusi se non fossero riscattati dal rapporto con /e altre figure. Cristo è l'unico elemento della pittum che per metà si proietta sul cielo.

sti di sola figura. Ma un lembo della ten­da - anzi tra due tende - è rialzato e al di là in uno spazio piccolissimo (cm 45 x 10 al massimo, al vero) si arriva al­l'infinito attraverso un terreno coltiva­to, con una strada su cui passa un cava­liere col servo; il mare con almeno sei navi e due isole; un castello, una città murata, le torri di una seconda città; in fondo dei monti. In alto, nei pochi cen­timetri al di sopra della tenda, sono ac­cennate delle nuvole. Si direbbe quasi che questo ritratto di una persona sconosciuta, dipinto da un artista di cui non sappiamo quasi nul­la, assuma per noi un valore simbolico. Deve ritrarre un nobile signore nella sua casa dentro cui l'artista guarda da una finestra , subito richiusa da una ten-

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CAPITOLO 2 l IL RITRATTO DELLE PERSONE: DAL PROTAGONISTA ALL'INFINITO 315

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f igg. 12, 12a. Baldassarre Estense (attivo tra il 1443 e i/1504), Ritmtto di giovane, cm 51x37. Venezia, Museo Correr. Il personaggio è visto attraverso 1111a finestra: m! davanzale sono poggiati un libro, 1111 anello, 111/f/ perla; la /inestm è chiusa all'estemo da 1111a tenda di cui 1111 /embo è rialzato per mostmre un paesaggio infinito.

da, alla cui ricchezza affida il compito di dirci che siamo in una agiata dimora. Ma poi quella tenda la alza e al di là dipinge tutto un mondo, obbligando im­mancabilmente lo spettatore a sfuggire con lo sguardo dal centro geometrico del­la figura, dal profilo del Giovin Signore e ad andare laggiù, a trovare in quel­l' ambiente il mondo - sacro o profano non importa più - in cui ormai vive la so­cietà in quegli anni alla fine del XV e all 'inizio del XVI secolo, quando gli stori­ci stabiliranno poi che si deve smettere di dire Medioevo e cominciare a dire Ri­nascimento.

Note

1 Le Biccheme di Siena- Arte e Fùwnza all'alba dell'economia moderna, a cura di A. Tornei, Reta­blo-Bolis Poligrafiche edizioni, Roma 2002. 2 Vedi p. 329. 3 M. Lucco in A ntonello da Messina - !}opera completa, Silvana editoriale, 2006.

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Capitolo 3

Il ritratto dei luoghi: Venezia) Roma

Durante la sua millenaria esistenza Venezia è stata per tutti (abitanti, visitatori, commercianti, trafficanti, artisti, poeti, dame e maschere, .. . ) un luogo unico ed il suo nome richiama sempre in chiunque un 'immagine inconfondibile e indi­menticabile. In questa immagine è difficile dire se ci sono prima i monumenti famosi , i ca­nali, la grande laguna, la tanta gente sulle fondamenta, la Piazza, la Piazzetta, i ponti, le tante barche sull 'acqua. Una statistica su tutta l 'iconografia veneziana sarebbe interessante perché probabilmente risulterebbe minoritario il numero di opere d'arte (dai grandi mosaici ed olii, agli acquarelli e ai disegni; dai pri­mi artisti bizantini agli ultimi del XX secolo) che non comprendano insieme e necessariamente persone, barche, monumenti e acqua. Qualsiasi quadro con Ve­nezia propone un ambiente in cui è assoluto l'horror vacui, non solo perché c'è tanto e tutto, ma perché di nulla si trascura il minimo dettaglio. C'è innanzi­tutto un lavoro di analisi, come in un laboratorio in cui nessun componente può essere trascurato e solo dal confronto finale e completo si può desumere quali elementi siano i più significativi. Anzi si direbbe che senza una precisa detta­gliata descrizione, le cose che sono a Venezia perdano la loro specificità; di­vengano cose qualsiasi in posti qualsiasi. Certo sarà di volta in volta l'artista, se­condo la cultura del momento, a comprendere cos'è dettaglio qualifican te e a collocarlo in modo da concentrare su di esso l'intelligenza del committente o del visitatore. Guardiamo due tele di Canaletto (Giovanni Antonio Canal, 1697-17 68; forse il più noto e il più emblematico tra i tanti grandi artis ti la cui fama è indissolu­bilmente legata a Venezia) . Per esempio: Il molo e la Riva degli Schiavoni dal bacino di San Marco (1726-28,/ig. 1) e I:ingresso al Canal Grande con la Doga­na e la chiesa della Salute (1730,/ig. 2) . I titoli corrispondono a due soggetti ri­petuti centinaia di volte (molte volte anche dallo stesso Canaletto) e che milio­ni di persone al mondo riconoscono immediatamente. Non solo le barche (gon­dole e no) sono tantissime, in navigazione od ormeggiate, ma sono piene di gen­te e ognuno si muove a fa r qualcosa come in una foto istantanea di due secoli dopo, mai "fermo in posa" . E non sono "in posa" nemmeno i monumenti fa­mosi e le altre case: gente affacciata alle finestre, una finestra chiusa e l'altra aperta, una tenda giù e l 'altra su; e non sono vuote nemmeno le strade, le sca­le, i ponti dove la gente passa o si affaccia, sale in corteo la scalinata della chie­sa o resta ferma sulle fondamenta aspettando il traghetto. A questi quadri (e a

CAPITOLO J l IL RITRATTO DEl LUOG/11: \'ENEZIA, ROMA

fi_g. 1. Canaletto (Giovanni Antonio Canal, 1697-1768), Il molo e la Riva degli Schiavoni dal Bacino di San Marc_o, 1726- 1728, cm ~6,5 x_63. Toledo- Obio (USA), Musem11 o/ Art. Nei tanti quadri cbe ba11110 come ob!elltvo la presentazwne dJ VenezJa e delle sue specifici/lÌ sono zm elemellto esremJtde le bm·cbe (gondole e altre), njHese con criteri cbe saram1o poi definiti ''fotografici". fig. 2. Canaletto, I: ingresso al Canal Gmnde con la Dogana e la cbie.m della Salute, 1730, cm 49,5 x 72,5. Houstou (USA), Museuw ojFù1e Arts. Il pzmto di maggiore attrazione è ovviamente deceutmto m/ volume ùnpoueute della cbiesa; le altre case lungo il Canal Grande bauuo il molo di quinte per le barche e i loro equipaggi; ripresi tutti ne//'amillnZiOIIe del lavoro.

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318 PARTE QUINTA l IL PAES1lGGTO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

centinaia d'altri) non possiamo togliere nulla: è impossibile immaginare un'o­pera di Canaletto senza persone, o senza barche. Per sottolineare questo o quel­l 'elemento, Venezia ha insegnato ai suoi artisti un ruolo speciale della luce: le mura delle case sono quasi sempre chiare e la base fatta di acqua riflette spes­so più luce di quanta non ne riceva dal cielo. Si direbbe che quello che era sta­to fin dagli inizi l'obiettivo 'panteistico' dei pittori fiamminghi, trovi qui la sua naturale espressione. Questo modo veneziano di essere sempre e comunque "tutto" è all'origine di una concezione dell 'ambiente che diventa dominante nel '600 e '700 e introdu­ce alla fine del XVIII secolo nuovi modi di 'ritrarre' l'ambiente, anzi di sceglie­re cosa è !"ambiente' da descrivere. Possiamo proseguire oltre Canaletto (assunto come 'prototipo'), guardando uno dopo l'altro Bernardo Belletto e William Turner. Quando Bernardo Belletto muore a Varsavia il 17 novembre 1780 all'età di 59 anni, Joseph Mallord William Turner ha cinque anni: è nato nel cuore di Lon­dra il 23 aprile 1775 (vivrà 76 anni, fino al1851) . Belletto era nato a Venezia. Ma vi aveva vissuto solo i primi ventisei anni, con frequenti e lunghi viaggi a Firenze, Lucca, Roma, Torino, Milano, Lombardia, Verona; a ventisei anni aveva lasciato l'Italia per vivere i trentatre anni successi­vi a Dresda, Vienna, Monaco, Varsavia. Eppure Belletto è considerato un pittore assolutamente veneziano e il fatto che abbia vissuto la maggior parte della sua vita artistica lontano da San Marco è di solito presentato come un elemento che non modificò più di tanto la sua ap­partenenza alla scuola veneziana (a cui era notoriamente legato anche perché ni­pote da parte di madre di Canaletto, nel cui studio cominciò a dipingere) . Era evidentemente quel modo 'veneziano' di vedere le cose che era considerato va­lido nelle corti europee ed era così che le grandi famiglie regnanti volevano ve­dere ritratte le loro capitali, le loro fortezze, i loro parchi, i loro cortigiani, i lo­ro sudditi. Del resto già a Venezia Belletto aveva dipinto la sua città natale in modo diverso da quello dello zio e degli altri tradizionali artisti della scuola veneziana. Il dise­gno, la prospettiva, la pennellata sono quelli; spesso, ma non sempre, anche il ta­glio prospettico è tradizionale. Ma è la gerarchia tra i vari componenti del quadro che sembra diversa (e che forse ha spinto Belletto a cercare soggetti nella campa­gna lombarda o a Roma). Le opere di Canaletto sono dei "paesaggi"; quelle di Bel­lotto dei "ritratti" (anche se non ha mai dipinto ritratti tradizionali di persone). I soggetti dei "ritratti" di Belletto sono i luoghi davanti a cui colloca il cavalletto o che disegna nei taccuini per poi svilupparli in studio (magari anche molti anni do­po): tutti gli elementi che vi sono raffigurati hanno quasi la stessa importanza gio­cando sulle proporzioni tra le varie architetture e tra queste e gli spazi vuoti e con le varie e tante figure, mai solo decorative e casuali e sempre in rapporto pro­spettico reale tra di loro e la composizione. Si potrebbe sostenere che la prospet­tiva di interi grandi quadri di Belletto è affidata ai personaggi e sono questi che impongono il ruolo quasi di quinta scenica ai palazzi, ai canali, alle fortezze ecc.

CAPITOLO J l IL RITRATfO DEl Ll!OGIII: l'ENEZIA, ROM!\

fig. 3. Canaletto, La Pia:aetta verso la Torre dell'Orologio fra la Libreria e il Palazzo Ducale, 1743, cm58,5 x 94. Londm, Collezioni reali del Castello diWinds01:

fig. 4. Bem(//do Bello/lo (1722-1780), La Pia:aetta, dal Molo, ve1:w Piazza San Marco, 1740-42, cm 151 x 122. Otlawa, Nat ional Galle1y o/ Canada. Canaletto e Be/lotto banno dipinto questi due quadri quasi alla stessa om: dopo me:aogiomo, d'estate. Le ombre di Canaletto sono 1111 po' pùì corte rispetto a quelle di Bellouo; Canale/lo ha dipinto prùna, Be/lotto pùì verso sera.

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320 PARTE QUINTA / IL 1'AESAGG10 COME DESCRIZIONI; DELL'AMBIENTE REALE

fig. 5. Bemardo Bello/lo, Dresda dalla riva destra dell'Elba a monte del ponte di Augusto, 1747, cm 132 x 23~ . . Dresda, Gemii/dega/erie Alte Meiste1: Bello/lo ba dipù1to IIUJ/terose volte questo sagge/lo dallo stesso punto tb vtsta coli pochissime variazioni uell'iuquadratum e i11vece con cambiamenti nel primo piallo e 11elle perso/le: barcata/i, /avmulaia che stende, il pillore cbe dipinge, carri, mucche, giochi d'acqua ecc.

Molti artisti nel XVIII secolo erano concentrati su questo aspetto e si potreb­bero allineare centinaia di dipinti (soprattutto inglesi, e Canaletto operò a lun­go in Inghilterra) con la stessa tematica di Bellotto, e forse la fortuna europea di questi derivava proprio dal suo essere dentro al "mercato" di quei decenni. Si può guardare un suo quadro cominciando (e finendo) con le figure; sono tan­tissime e nessuna è lì per caso. Chiacchierano, si incontrano, lavorano, vendono e comprano, passeggiano, giocano, attraversano la scena in carrozza, stendono i panni, pascolano pecore e mucche: il resto è quasi la scena che serve a contene­re la loro presenza e la loro recita. Provate a togliere le persone da un quadro di Bellotto: diventa incredibilmente banale. Certo corretto nella prospettiva, per­fetto nell'esecuzione, fedele nella riproduzione dei dettagli, ma quasi una carto­lina scontata. Confrontiamo due quadri quasi uguali di Canaletto e di Bellotto (non per un confronto di 'qualità' che evidentemente non ha senso): La Piazzetta verso la Torre dell'Orologio /l'a la Libreria e il Palazzo Ducale (1743, fig. 3) e La Piaz­zetta dal molo, verso piazza San Marco (1740-42 ,/ig. 4). In Canaletto troviamo da destra il Palazzo Ducale, l'angolo di San Marco, la Torre dell'Orologio, la prima parte delle Procuratie vecchie, il campanile, la Li­breria, la colonna con San Marco. Bellotto si è spostato in modo da 'stringere' la Piazzetta, avvicinando la colonna con San Marco a sinistra per chiudere il quadro; inoltre ha tolto completamente la chiesa di San Marco e ridotto a un solo spigolo la Torre dell'Orologio; sotto al campanile ha messo in evidenza la

CAPITOLO 3 / IL RJTJ{ATTO DEl LUOGHI: I' ENEZ/;1, ROM/l 321

fig. 6. Bemardo Be/lotto, La piazza del MerCtlto Nuovo di Dresda vista dallo ]udenbof, circa 1749, cm 136 x 237. Dresda, Gemiildegaletie Alte Meiste1: Sull'asse ceutmle della gmude conrposizione ci sono contempor,meameute i protagonisti del "campo luugo" (la Frauenkircbe) e del "campo medio" (la carrozza contm tiro a sei e scorta). l / bordo iu/eriore è l'ombra degli alberi situati dietro al piltore: è tllli!Jodo quasi unico di mettere in sceua tuili i quatlro lati del soggetto e di /ar risaltare nella luce solo due dei tre lati rappreseutati.

loggetta, illuminata dal sole, mentre la faccia ta della Libreria è in ombra (in Ca­naletto anche la loggetta e la base del campanile scomparivano nell'ombra); ha diminuito le tende illuminate dal sole delle Procuratie ed ha esaltato i portici scuri al pianterreno. Infine in Canaletto il campanile è altissimo, il Palazzo Du­cale un po' meno e la colonna ancora meno, ma è in pieno sole contro la gran­de ombra della Libreria. In BeJlotto la colonna, il campanile e l'angolo del pa­lazzo sono alti uguali (ed è forse una forza tura prospettica, mentre Canaletto aveva forzato al contrario allargando la Piazzetta) . Le persone presenti nei due q~adri sono quasi nello stesso numero, ma in Bellotto hanno un rapporto tra dt loro e con lo spazio, una luce, una disposizione per cui sembra che tutta la Piazzetta sia fatta per loro. Dalla loggia del palazzo Ducale con grande fedeltà entrambi hanno disegnato un paranco con una carrucola, che era lì evidente­mente per qualche lavoro; ma in Canaletto si perde sul fondo di San Marco co­me a nascondersi; in Bellotto ha come sfondo il cielo, e visto che c'è merita an­che lui il ruolo di protagonista. Nei "ritratti" delle capitali europee che Bellotto dipinge negli anni della matu­rità (Dresda, Vienna, Monaco, Varsavia), la gerarchia tra i vari elementi sembra s~omparire. Già a Venezia abbiamo visto che i monumenti potevano allontanar­si prospetticamente per liberare dei 'vuoti' per la gente e le gondole e alla fine proporre tutto alla pari, contemporaneamente e indissolubilmente. A Dresda pa­re addirittura che BeJlotto sia indifferente a ciò che il suo pennello sta coloran­do: sarà chi guarda il quadro a decidere se il titolo è il nome del palazzo nel-

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322 l'ARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZ/01 E DELL'AMBIENTE REALE

fig. 7. Canale/lo, Capriccio con cbiesa gotica e laguna, 1720-1721 circa, CIII 118,3 x 147,6. Vicenza, collezione Banca lntesa.

l'angolo a sinistra, o il fiume animato quasi solo dai riflessi, o ~a lunga ge?metria del ponte, o la riva con una alta staccionata, o la poca gente mte~ta pero a fare lavori importanti e per giunta proprio in primo piano (una sentmella, una la­vandaia che stende i panni, due muratori che costruiscono un muro, un carro con due cavalli o magari il pittore che dipinge): Dresda dalla riva destra dell'El­ba (varie edizioni 1747-1748; qui riprodotta quella alla Gemaldegalerie Alte Mei­ster, Dresda, cm 132 x 236, fig. 5). La Piazza del Mercato Nuovo di Dresda (due edizioni differenti solo per l 'ac­centuazione cromatica, Dresda, Gemaldegalerie Alte Meister [fig. 6], e San Pietroburgo, Ermitage (1749-52, cm 134,5 x 236,5; anche riprodotto in ac­quaforte) ha indubbiamente al centro la cupola della Frauenki~che, ma la com­posizione del quadro è impostata su una diagonale che tagha tutta la scena cominciando dalla strada in fondo a destra e proseguendo al centro con la sontuosa carrozza tirata da sei cavalli e sottolineata per essere l'unico elemento che proietta una decisa ombra; la prospettiva è data dalle case ai lati che so­no solo delle quinte e i punti di vista (del pittore o di chi guarda) sono ben

più di uno. Poi ci sono i "Capricci": in totale contrasto con la ricerca esatta della realtà Ca-

CAPITOLO 3 l IL RITRATTO DEl LUOGHI: VENI.:ZJA, ROM1L 323

fig. 8. Bernardo Bellotto, Capriccio C0/1 1111 arco di trionfo in rovina sulla riva della laguna, 1742-1743, CIII 40,5 x 49. Asolo, lvfuseo Civico.

naletto, Bellotto e altri dipingevano grandi e dettagliate composizioni in cui mon­tavano fantasiosamen te pezzi reali ripresi di qua e di là o si inventavano del tut­to cose e persone. Ci sono "Capricci" formati con elementi di Venezia (Cana­letto, Capriccio con chiesa gotica e laguna, 1720-1721 ,./i"g. 7), con monumenti-ru­dere di Roma (Bellotto, Capriccio con arco di trionfo in rovina sul bordo della la­guna, 1742-1743,/ig. 8), con personaggi e architetture delle corti europee (Bel­lotto, Capriccio con palazzo, cortilz: loggia, scalinata, 1762, fig. 9). Questo importante e singolare capitolo della pittura veneziana del XVII-XVIII secolo sembrerebbe avere come origine delle immagini, o dei pezzi di immagi­ni, prese nei quaderni di appunti con cui i pittori andavano in giro, e rimaste inutilizzate; riprese dopo e rimontate per divertimento (per "capriccio" appun­to) e per mostrare che quella realtà che sapevano dipingere così bene, se non ci fosse stata, Canaletto e Bellotto sarebbero stati capaci di inventarla loro e anzi di proporre ai ricchi committenti europei fantasie di architetture, parchi, scali­nate, fontane, portici e- perché no - anche principi, dame, ambasciatori, corti­giani, generali, sudditi in cui il loro gusto (non sempre ottimo!) poteva trovarsi ancora più a suo agio che nella realtà vera delle cose e della gente. I "Capricci" possono essere considerati come la proposta di un mondo ideale, avanzata ad

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324 PARTE QUJNTA l IL PAESAGGIO COM/i DESCR IZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 9. Bemardo Be/lotto, Capriccio di palazzo cou cortili; loggit1 e scalinata, 1762, cm 76 x 110. Amburgo Hamburger Kunstballe. I "capricci" sono 1111 genere di pittura cbe ebbe gmnde fortuna uel Settecento: erano fomJati con pezzi realmente esistenti e fedelmente riprodotti; raccolti dal pittore 1111 po' dappertutto (Roma cou i ruderi e \lenezit1 con l'acqua erauo tm i luogbi preferiti) e moutati iu modo faulasiom.

una Europa che proprio in quegli anni viveva le contraddizioni dell'Illuminismo pre-rivoluzionario. Voltaire era nato nel1694 (tre anni prima di Canaletto e ven­ticinque prima di Bellotto) e muore nel 1778 (dieci anni dopo Canaletto e due anni prima di Bellotto) . O possono essere considerati anche come un invito al "neo-classsico", come finale del "gran-barocco".

Certo non era interessato a questi eventuali 'inviti' il pittore ingleseJoseph Mal­lord William Turner (1775-1851) 1. Le guerre napoleoniche gli impediscono di effettuate il primo viaggio in Italia prima del1819, quando aveva già quaranta­quattro anni (ptima in Europa aveva fatto due brevi viaggi: nel 1802 in Francia e Svizzera e nel1817 in Belgio, Olanda e sul Reno con sosta a Waterloo) . Sarà ancora a lungo in Italia nel1828-29 e nel1835: in quest'anno dopo Venezia va a Vienna e Dresda, per cui conosce le opere di Bellotto. Certamente però lo in­teressò di più la Farbenlebre ("Teoria dei colori" 1809-1810) di Johann Wolf­gang Goethe (1749-1832), che studiò nella traduzione inglese di Charles Lock Eastlake, 1840-1843. Turner aveva sessantotto anni e tutta la sua opera poteva essere assunta come dimostrazione del valore assoluto del colore, unico e vero elemento che rivela la natura delle cose e del mondo, attraverso il p rincipio di base fondamentale che è la luce.

CAPITOLO 3 l IL RITRATTO DE/ LUOGHI: VENEZIA, ROMA 325

Anche Turner va a Venezia: più volte e a lungo, alloggiando all 'Hotel Europa da cui dipinge tetti e campanili e addirittura la sua stessa stanza. Non stupisce che a Venezia, Turner in centinaia di disegni e quadri si sia quasi ubriacato di luce e, attraverso questa, di colore. Se sfogliamo gli album veneziani vediamo che all 'incirca nell'SO% dei disegni e dei quadri c'è la gondola (e il restante 20% è fatto di tetti, di campielli, di calli dove proprio una gondola non pote­va passare). La gondola con la sua sagoma particolare, è una pennellata nera. Turner non insiste quasi mai sulle decorazioni di prua e di poppa: la gondola è la sagoma dello scafo con la linea traversa del remo in spinta e con la pen­nellata del gondoliere che lo regge ffigg . 10, 11]. Questa lunga macchia nera basta da sola a dire che la luce è quella di Venezia; il resto (grandi monumen­ti compresi) è ridotto a una sagoma per inquadrare e dividere i colori. E pro­prio l'unico colore su cui Turner non può scherzare è quel nero: opposto a tut­to il resto, quasi ad azzerare altri richiami cromatici. Certo anche in infiniti quadri di infiniti altri pittori ci sono le gondole e sono nere: ma il nero è uno dei tanti colori, non come in Turner il loro punto di riferimento, esterno alla tavolozza. I riflessi sull'acqua non hanno senso senza quel riferimento; le mas­se dei palazzi sono il loro sfondo sfumato (Turner aveva letto Leonardo? cer­to aveva letto Goethe - vedi fig . 21 ). Se la lettura di Goethe (e forse dell'analogo trattato Uber das Seben und die Far­ben, "La vista e i colori" , di Arthur Schopenhauer, 1816) interessa Turner ormai anziano, i disegni di Alexander Cozens (1716-1786), di suo figlio John Robert (1752-1797), di Francis Towne (1740-1816), di tanti acquarellisti e paesaggisti inglesi avevano certamente fatto parte della sua formazione giovanile; così come i dipinti del suo coetaneo John Constable (1776-1837). L'approccio dei t an ti pittori inglesi parte da una esattezza confrontabile con quel­la veneziana. Ma si direbbe che questo attento esame della realtà restava (a ma­tita o ad acquerello) sugli sketcb-book che accompagnavano sempre i loro viag­gi ed avevano ovviamente un formato tascabile. In studio, dalle loro pagine ri­prendevano spesso, come riferimento quasi simbolico, un solo elemento attorno a cui l 'artista abbandonava il metodo analitico e dimostrava la capacità e la for­za della sintesi: sintesi di colore, sintesi di luce. Anche per Turner, Venezia non è un caso isolato: la lezione studiata sul Canal Grande è valida a Roma. Confrontiamo il disegno che Turner fa nell819 dal­la Villa Barberini (oggi scomparsa) verso piazza San Pietro (matita, Rome: C. Stu­dies - 7, mm 231 x 3 72, fig. 12) con il quadro ad acquarello e tempera dello stesso formato (Rome: C. Studies - 21, fig . 13), probabilmente fatto la sera o nei giorni successivi in albergo, o al ritorno in Inghilterra. Il disegno è di una precisione eccezionale: dall ' anfora e dagli ornamenti del giardino in primo pia­no, fino alla cupola e ai palazzi in fondo , con l 'inserimento del colonnato di Bernini (e dell 'obelisco) ; Turner ha segnato una per una tutte le finestre, le co­lonne, le logge ecc. (forse con l'ausilio di una camera ottica? o solo con l'au­silio del suo occhio?). Nel quadro, Turner introduce una scelta differente: la composizione è divisa

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326 PilRTE QUIN1il l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

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fig. 10. ]osepb Mallord \'(/i/liam Tumer (I 775·1851). Foce del Canal Grande co11 la scalinata di Santa Maria della Sal/Ile (1833 o 1840). Londra, Tale Gal! el)'· Tumer /o centinaia di diiegni e quadri o Venezia, nei suoi vari soggiomi. La gondola con lo suo si11golare e be11 nota sagoma è uno pennellata 11era: quasi sempre la piiÌ /orte e centrale del dipinto. fig. 11. ]osepb Molla~·d \'(/il/iam1imlel; Tempesta a Venezia (1840). Londra, Tbe Britisb Museum.

Clll'ITOLO 3 l IL RITRATTO DEI LUOGHI: I'ENEZ/A, ROMA

/igg. 12, 13. ]osepb Malla~·d \'(!illiam Tu n ~e~; Stili Pietro da Villa Barberini. 'Jìm1er ba fatto mi posto il disegno a ma t ila; poi lo ba n'elaborato ad acquarello e tempera (entrambi a Londra, Tote Gollel:l'). Nel quadro, 1i1mer introduce uno scelta di/ferente: lo composizione è diviso in due parti. La \lilla Barberini è stacca/a in avanli e trasformata in 1111a terrazza per differellziarla dal co111plesso \lalicallo, allo11tana1o in seco11do piano. Dal diseg11o ripre11de l'ali/ora e un riccio arcbitetlo11ico e ci aggiunge due alberi, due preti e UJI ragazzo. La luce ge11era 11110

marcata ombra p01tata dall'an/ora cbe corrispo11de al limite della villa e ;-tacca il primo piano da quello cbe dovrebbe essere il vero centro del quadro: San Piefl·o. Invece fa cupola, i palazzi, la piazza milo allontanati sia cambiando la scafa rispetlo al di;-egno, sia ol/utelldo colori e luci.

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328 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBTENTE REALE

in due parti. La Villa Barberini è staccata in avanti e trasformata in una ter­razza per differenziarla dal complesso Vaticano, allontanato in secondo piano. Dal disegno riprende l'anfora e un riccio architettonico e aggiunge due albe­ri, due preti e un ragazzo. La luce genera una marcata ombra portata dall'an­fora che corrisponde al limite della villa e stacca il primo piano da quello che dovrebbe essere il vero centro del quadro: San Pietro. Invece la cupola, i pa­lazzi, la piazza sono allontanati, sia cambiando la scala rispetto al disegno, sia attutendo colori e luci.

Da almeno tre secoli prima di Turner, per molti pittori Roma era stato un sog­getto privilegiato: la nuova città che avevano cominciato a costruire Bramante e Michelangelo, e l'antica: ridotta a rudere e trasformata dalle vicende- storiche e locali - di tanti secoli. Nel1452 tra gli altri episodi delle storie di San Francesco, Benozzo Gozzoli nel­l'abside della chiesa di San Francesco a Montefalco dipinge un episodio assai ra­ro: l'incontro di San Francesco e San Domenico, accompagnati ognuno da un frate del rispettivo ordine. L'incontro avviene a Roma, davanti a San Pietro: la basilica è ancora quella costantiniana trasformata nei secoli del medioevo, sen­za la piazza berniniana, tra altissimi stereotipati palazzi, con l'obelisco ancora di lato dove era fin dai tempi dell'impero. Roma non è l'unico soggetto: la parte si­nistra dell'affresco è il panorama umbro che si vede da Montefalco con in fon­do Assisi, come a sottolineare che l'importanza di questo luogo e del suo santo è alla pari con quella di Roma [fig. 14]. Un secolo dopo, tra il1532 e il1536, è a Roma Maarten van Heemskerk (Heem­skerk 1498 - Haarlem 1574). È in quegli anni che Carlo V arriva come trionfa­tore nella città che sta riorganizzandosi tra le rovine antiche e quelle del Sacco operato dalle milizie dello stesso Carlo V nel 1527. Van Heemskerk a San Pietro trova un cantiere disordinatissimo e i suoi disegni (dall'interno e dall'esterno) sono una testimonianza dei cantieri del Vaticano tra Riforma e Controriforma, tra i Medici e i Farnese. Durante tutto il Cinquecento, la basilica di San Pietro si presentò ai pellegrini come un immane cantiere (e divenne appunto proverbiale come esempio delle cose che non finiscono mai). Era stata costruita tra il 324 e il 349: una basilica a cinque navate, preceduta da un cortile porticato. Dopo più di mille anni Ni­colò V (1447-1455) ne decise la demolizione. Bernardo Rossellino cominciò a demolire e ricostruire dall'abside (1452-1455). Interrotte per mezzo secolo, de­molizioni-ricostruzioni ripresero con Giulio II (1503-1513): Bramante iniziò i la­vori nel1506 e li condusse avanti fino alla morte nel 1513. Poi si succedettero Raffaello, G iuliano da Sangallo, Baldassarre Peruzzi, Michelangelo, Vignola, Pir­ro Ligorio, Giacomo della Porta, Domenico Fontana, Carlo Maderno: il progetto e il cantiere passarono molte volte dalla croce greca alla croce latina, incorpo­rando e adattando quanto già costruito dalla metà del XV secolo e continuando a distruggere ogni muro precedente. Infine nel1626 Urbano VIII (1623-1644) consacrava la nuova basilica, ponendo fine dopo centosettantaquattro anni al

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CAPITOLO J l TL RTTRATTO DE/ LUOGI II: VENEZIA, ROMA

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fig. 14. Beuozzo Gozzo/i, incontro di San Francesco e San Domenico, 1452. Montefalco, San Francesco, llbside. Vù1contro avviene davanti a San Pietro a Roma: si vede il porticato e la facciata medievali t m altissimi Ù!mtagù1ari palazzi~ r.: obelisco è ancora al suo posto original'io tlltlto della basilica: verrà spostato dumute il pontificato di Siffo \1 e diventerà il centro delta successiva ellittica piazza di Bemù1i. A sinistm la veduta del Subasio e di Assisi da Montefalco.

fig. 15. Marteen vau Heemskerk (1498-1574), La piaZZi! prima del trasporto dell' obelisco (Sisto \~ Domenico Fontana, 1586) e dello costmzione della piazza e del porticato di Bemini (1656-1657). La veduta è presa dalla fine di Borgo Nuovo (via Alexandniltl, via Ree/a) aperto da Alessandro \f/ Borgio (/492-1503) per il Giubileo del 1500. il B01go Nuovo em in asse conzl p01tale d'iugresso ai Palazzi \fatiami e fu l'asse cbe obbligò lui/e le fmsformazioni successive, compreso il colonnato di Bermi1i. Il .l'inistra si vede la facciata della basilica costantiniani/ e il campanile romanico. Il disegno 11011 è completo: dietm alla facciata va n Heemskerk 11011 ba disegnalo la 111/ova basilica in costmzione di w i c'erano già gli arcoui di sostegno del tamburo della cupola.

cantiere. Non c'era la piazza che Bernini costruirà nel1656-1657 , con lo stesso ruolo che nella costruzione precedente aveva il cortile porticato, adesso incluso nella nuova grande basilica. Van Heemskerk disegna tra l'altro l'arrivo a San Pietro uscendo da Borgo Nuo­vo, allineato con il portale d'entrata ai Palazzi Vaticani (su cui anche Bernini do­vrà allineare il porticato); a sinistra il loggiato- come nell'affresco di Benozzo­e più arretrata la vecchia facciata e il vecchio campanile [/t'g. 15] 2•

Un altro soggetto di grande interesse per gli artisti inglesi (e d 'Oltralpe in ge-

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330 PARTE QUINTA l /L Pi!ESAGG/0 COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE RHAW

fig. 16. Francis Towne (1739-1816), La valle sotto Civita Castellana, 1781, cm15,7 x 21,2, collezione privata. Le pocbe persone dipinte sono ww prese11zn seconda riti. Il dipù1to ba come soggetto le rocce, la vegetazione e l'ombra in pnino piallo.

nere) è la traversata delle Alpi che testimonia forse ancora più di altre opere il loro ruolo di inventori di un nuovo significato della parola 'ambiente'. John Robert Cozens attraversa le montagne svizzere nel1776. Pochi anni dopo (1780-1781) attraversò la Svizzera Francis Towne, diretto a Roma. Passeggiando per la campagna romana nel 1781 Francis Towne dipinge ad acquarello i bur­roni sotto Civita Castellana [fig. 16] e nel gioco delle rocce, degli alberi, dei co­lori autunnali, delle nuvole bianche aveva dato a tutto lo stesso valore e propo­sto un ambiente totale. Nel ritorno percorre il Lago di Como [fìgg. 17, 18]: il modo di vedere è deci­samente cambiato e la ricerca di una nuova cultura del rapporto tra natura, so­cietà, scienza (vedi i testi di De Saussure, parte VI), provoca la necessità di ap­profondite analisi e di un conseguente diverso slancio verso la sintesi che ne consegue. È interessante leggere i titoli di tanti dipinti di Turner: come già nei secoli pre­cedenti avevano fatto spesso i fiamminghi, è un piccolo episodio, magari in un angolo, che dà il titolo sontuoso all'opera: Sant'Ugo invoca la vendetta sul pa­store di CourmayeUJ; in Val d'Aosta (1803 ): in basso mucche, abbeveratoio, con­tadina, il frate, il pastore; dietro campeggia il Monte Bianco col ghiacciaio [fì'g. 19]; Annibale e il suo ese1·cito attraversano le Alpi (1812, Londra, Tate Britain); dalla gloriosa storia antica si può passare alla cronaca, altrettanto tragica: Mer­canti di schiavi che gettano in mare morti e moribondi (1840, Boston, Museum of Fine Arts: macchie nere su un mare rosso) o risalire all'antica Bibbia, dove i riferimenti alla Farbenlehre di Goethe diventano La sera del diluvio, Il matti­no dopo il diluvio: Mosè scrive la Genesi (1843, figg. 20, 21), in cui una enor­me luce bianca indica che pochi segni secondari corrispondono a grandi av­venimenti. Occorrono solo colore, luci e ombre per inventare l'ambiente degli avvenimen-

CAPJJ'OLO 3 l /L J</TlvlTTO DEl LUOGHI: VENEZIA, ROM;l

fig. 17. Francis Towne, Il Lt1go di Como verso il 111011/e Lelloni (Legnone), 1781, /11111 160 x 210. Parigi, Musée du Louvre, Déparlement de.r Art.\' Gmpbiques. All'estremità sellenlrionale del Lago di Como, nella baia presso Colico (Iii fondo).

fig. 18. Fmncis Towne, Le Réve, 1781, disegno, mm 156 x 212. Londm, Tale GalleiJ'· Ilt1iolo potrebbe essere "Un sogno" seri/lo in francese con l'accento sbagliato, oppure la trascrizione sbagliata dall'italiano "Riva" cbe potrebbe riferirsi alta costa o a qualche località. Comunque situno all'estremittì .l'el/entrionale del Lago di Como e il paese i11 fo11do dovrebbe essere Colico. I.;orogmfia e la geologia sembrano l'unico intel'esse di Townc ù1 questo disegno: da loro derivano forme e colori.

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ti scelti da Turner, quasi sempre originati da grandi tragedie o che trasformano in tragica l'atmosfera di fatti più consueti. Ma non pochi quadri e molti disegni degli sketch-book ci fanno conoscere un disegnatore precisissimo che proprio di questa precisione aveva fatto la base per l 'invenzione di quell'ambiente che per lui solo luce e colore raffiguravano pienamente. Turner fu un grande paesaggista proprio perché seppe rappresentare il passag­gio dal paesaggio all'ambiente: si potrebbe sostenere che con Turner finisce il paesaggio, come categoria autonoma della pittura.

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332 PARTE QUINTA l l L PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

fig. 19. ]oseph Malford l'(Til!iam Tzmw; Sant'Ugo invoca la vendetta sul pastore di Courmayer in Val d'Aosta, 1803, cm 67,6 x 106. Londra, Soane's i\lfusetllfl. Il Monte Bianco campeggia sopra il santo, il pastore, due comadine, le mucche, t'abbeveratoio (vedi anche p. 276).

Note

1 Tumer, Rizzoli-Skira, 2004; f.M. w: Turner, vol . "Gravures" - vol. "Aquarelles et dessins du Legs Turner", Ville de Charleroi 1994; C. Powell, Turner in tbe South, Yale University Press, New Ha­ven & London 1987; Turner et !es Alpes, Fondation Gianadda Martigny, 1999; f.M. W Tun1e1; Le Mont-Blanc et la Vallèe d'Aoste, LG.E. Musumed 2000; Venise, Aquarelles de Tumer, BibL de I'I­mage 1995; Turner and Venice, Electa 2003-2004, ed. it.; Tumer e Constable, Leonardo Arte Mi­lano, 1999; W. Hauptman, I: age d'or de l'aquarelle anglaise, Fondation de l'Ermitage Lausanne, 1999; De Turner à Cameron - Gmveurs anglais des XIXe et xxe siècles, cat. Museè d'art et d'hi­stoire, Ginevra 1989. 2 I disegni di Marteen van Heemskerk sono conservati quasi tutti nel Kupfestichkabinett, Berlino; C. Hulsen- H . Egger, Die Romischen Skizzenbucber von Marteen van Heemskerk, Berlino 1913-1916; H . Egger, Romische Veduten, Vienna 1931; M. van Heemskerk, Inventio Urbis, a cura di E. Filippi, Berenice Milano 1990; N. Dacos, Quanta Roma /uit, Donzelli ed, Roma 1995. La prima edizione della guida di Roma del TCI (1925) così commentava l'arrivo a San Pietro [fig. 15]: "La repubblica romana di Mazzini (1849) si proponeva di abbattere le case tra Borgo Nuo­vo e il Veccbio, per aprire un ampio viale di accesso, degno della piazza impareggiabile di San Pietro, ma privo, a giudizio di molti, di quel significato intimo che è pure una sopmvvivente bellezza delle antiche città".

CAPITOLO 3 l IL RITRATTO DEI LUOGHI: \ 'ENEZIA, ROMA

/ig. 20. Joseph Ma/ford 1Villiam Tume1; Ombre e tenebre: La sera del Diluvio, 1843, Cl/l 78,5 x 78. 1Vasbington, National Galle!)' o/ Art (/u dipinto in coppia con la succeSJiva fig. 21, adottando 1111 formato quadrato). I: Arca in basso appare COllie una tenda con l!II bivacco; l'onda a destm e lo stormo di uccelli in alto verso sinistra SO/IO 1111

complemento all'ambiente determinato interamente dalla luce.

fig. 21. ]osepb Ma/101-d 1Vtlliam Tztmer, Luce e colore (La teoria di Goetbe). Ilmattùw dopo il Diluvio, Mosé saive Il libro della Gmes1; 1843, cm 78,5 x 78,5. Londra, Tate Gallery•. Tztmer conosceva la Farbenlebre di Goetbe nella tmduzione inglese di C.L. Eastlake pubblicata tm Il 1840 e il1843; quindi proprio prima di questi due qua1M ]ohn Ruskin ne aveva compreso l'importanza nella stona del colore (ancbe se non ne e m entusiasta): "Innovazioni così audaci e così diverse noJI potevano essere introdotte senza t/11

corrispondente pericolo: le difficoltà insite nella maniem (di Tztmer) em110 pitì grandi di quallfo qualsiasi intelletto lfllla!IO potesse interamente superare."

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Capitolo 4

I: ambiente come 'impressione): dalla Grenouillère alla Gare Saint-Lazare

"La sua finestra si affacciava su un cortile stretto e buio, quasi un _ca~nino per tutt~ le puz-. ze delle cucine povere. Alzò gli occhi verso il piccolo quadrato dt ctelo che apparzva tra t tetti e vide un frammento di blu terso, già pieno di sole, attraversato continuamente dal volo delle rondini che si poteva seguire per un solo secondo. Pensò che da lassù le rondini dovevano vedere la campagna lontana, il verde dei boscbz: spaziare su tutto l orizzonte"

1•

"Svegliandomi una mattina, vidi dalla mia finestra, al di sopra ~egli e~i/ici int~mo, la gran­de tenda blu del cielo inondata dal sole. I canarini nelle gabbze alle /mestre cmguettavano a squarciagola; le cameriere cantavano a ogni piano; un rumore allegro saliva d~lla str~dct; e io usciz: lo spirito allegro, per andare chissà dove ... Senza sapere né come, ne perche ar­rivai alle rive della Senna" 2 •

La Senna: una meta, un riferimento, un desiderio, quasi una necessità per la Pa­rigi del II Impero e della III Repubblica, lungo tutta_ la, seconda m~t~ del XI~ secolo, per la ormai matura società borghese della cttta moderna: e 11 tema dt centinaia di racconti e novelle di Guy de Maupassant.

"Avevo nel cuore una gmnde passione, una passione divorante, irresistibile :il fiume. Quan­te volte ho avuto voglia di scrivere un piccolo libro, intitolato "Sulla Senna" per racconta­re questa v~'ta di forza e dz: spensierate~za, di allegr~a e di p~v~rt~, di festa /orte e c~~asso­sa .. . La mza grande, la mta sola, la mta totale passtone. pe1 dtect an m, fu la Senna .

Maupassant (1850-1893) era di poco più giovane della gener~zion_e degli Im~res~ sionisti· salvo Pissarro (nato nel 1830) e Manet (nel1832) gh altn erano natl nel dieci a~ni prima di Maupassant: Sisley nel1839, Monet nel 1840, Renoir nel 1841. Sono gli anni in cui - come vedremo- Balzac e Stendahl, i maestri della gene­razione precedente, discutono sull'ambiente. Anticipando quello che per Mon~t e Renoir e Maupassant e tanti altri, sarà la scena fondamentale dei loro quadn, dei loro racconti e romanzi. "La Senna è la principale arteria del paesaggio francese moderno" 4 -

Monet vivrà sulle rive della Senna a Vétheuil, a Bougival, ad Argenteuil, a Gi­vern y [fig. 1] . Una località ricorre più volte e il suo nome è diventato quasi un simbolo: la G1'e-1touillère. li nome significa un luogo abitato dalle rane, ma è usato solo come to­ponimo di un galleggiante sul fiume, variamente descritto. Si trovava sulla riva della piccola isola di Croissy: una vecchia chiatta era stata dipinta di verde e di bianco, con un balcone di affaccio. All'interno c'era una sala caffé-ristorante e

CA PITOLO 4 l L'AMBIENJE COME 'IMPRESSIONE': DALLA GRENOUILLÈR E ALLA GARE-SA/NT-LAZARE 335

fig. 1. Claude Mouet (1840-1926), Il Bacùw di Argenteuil, 1872, olio m tela, cm 60 x 80,5_ Parig1; Musée d'Orsay. Monet si era trasferito ad Argentemlnell870 ed aveva dipinta pùì volte la Senna. Questo quadro è quasi uu riassunto di quauto il fiume significò in quegli r11111i per gli impressiouisti (e per i parigini): /11 riva del fiume tagliata do/l'ambra dei pioppi che chiudono la scena sul lato sinistro, mentre l'opposto lato destro è aperto mila Senna; il ponte che chù1de il fiume e indica che siamo nell'epoca contemporanea come il battello a vapore, accanto a due vele; i galleggia/Ili m l fiume e le signore a spasso con l'ombrellù10. Il cielo è punteggiato di uuvo!e in modo da 11011 dare con un eventuale colore unitario l"'ùnpressione" di 1{1/ "ambiente" diverso d11 quello del/iume.

ai lati un locale per le barche e le cabine per i bagnanti. Si arrivava alla Gre­nouillère attraverso due passerelle [figg. 2, 3, 4, 5]. Le descrizioni più benevole parlano di "pa1'co ricreativo per i parigini in vacan­za" (C. Stuckey, cit.) o addirittura di "folla elegante, selezionata, a1'tisti e aristo­cratici, giornalistt~ ricchi proprietari delle ville intorno", riferendosi forse a un pe­riodo precedente quello descritto da Maupassant e dipinto da Manet, Monet e Renoir quando la folla che lo frequen tava era definita "un mélange de calicots, de cabotùts, d'infimes journalistes, de gentilhommes en curatelle, de boursicotiers véreux, de noceurs tarès, de vieux viveurs pourris" (Maupassant 1881). Yvette - nel racconto omonimo di Maupassant (1884)- annoiata dalla corte dei pretendenti, esclama:

"Ora andiamo alla Grenouillère ... Giunsero nella parte dell'isola coltivata a parco, ombreggiata da alberi enormi. Lungo la Senna, dove scivolavano i canottz: sotto le alte fronde, passeggiavano delle coppie: ragazze con giovanotti, operaie con i loro innamorati in maniche di camicia, con la giacchetta sul braccio, il cilindro buttato all'indietro con un'aria stanca da ubriacbi, borghesi con le / a-

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Page 170: Saper Vedere l'Ambiente

336 PARTE QUINTA l IL PiiESr\GG/0 COME DESCRIZIONE DEtL'A.IIBlliNTE REALE

fig. 2. Clnude Mouet, Ln Grenouillère, 1869, olio su tela, cm 75x700. New York, Tbe M.elropolitan Mmeu/11.

CAPITOLO~ L'Ati/13/ENTE COME 'l.lrPRESSION/i': DALLA GRENOU/LLÈRE ALLA GARE·SAIN'T-LI!Z!IRE

f ig. 4. Pierre-Auguste Reuoil; Al/n Grenouillère, 1868, olio su te/n, cm 59 x 80. Snn Pietroburgo, Ermi/age.

fig. 5. Pierre-Auguste Reuoil; La Greuouillère, l 869, olio m tela, cm 66 x 86. Stoccolmn, Natiounlmmem11.

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338 PARTE QUIN1il l IL PIIESAGG/0 COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

miglie, le donne con i vestiti della domenica e i bambini trotterellanti come una covata di pulcini intorno ai genitori. Un brusio lontano e continuo di voci umane, un clamore sordo e rombante annunciava il luogo preferito dai canottieri. Lo videro all'improvviso. Un enorme battello galleggiante, coperto da un tetto, ormeggiato contro la riva, portava una folla di femmine e di mascbi seduti al tavolino, intenti a bere, oppure in piedi, cbe gridavano cantavano, urlavano, bal­lavano, facevano capriole, accompagnati da un pianoforte lamentoso, scordato e 1-imbom­bante come un paiolo. Certe ragazzone dai capelli rossi che mettevano in mostra, di dietro e davanti, la duplice provocazione dei seni e del sedere, circolavano, giravano, con gli occbi invitanti, le labbra rosse, quasi completamente ubriache, dicendo /rasi oscene. Altre ballavano sfrenatamente con certi giovanottoni seminudi, vestiti con calzoni di tela e canottiere di lana, con in testa dei berretti dai colori vivaci; come dei/antùti. E tutto l'insieme mandava un odore di sudore e di cipria, emanazioni di profumi volgari e di ascelle. I bevitori, intorno alle tavole, mandavano gitÌ liquidi biancbi, rossi, gialli e verdi e grida­vano, scbiamazzavano senza motivo, cedendo ad un bisogno violento di /ar baccano, ad un bisogno bestiale di sentirsi le oreccbie e la testa piene di cbiasso. Continuamente dei nuotaton; in piedi sul tetto, si buttavano in acqua, facendo cadere una pioggia di spruzzi sugli avventori pitÌ vicini, che lanciavano urla selvagge. Sul fiume passava una flotta di imbarcazioni, le io le lungbe e sottili filavano via, spinte in­nanzi, con vigorosi colpi di remo dai vogatori dalle braccia nude, i cui muscoli guizzavano sotto la pelle abbronzata. Le donne al timone, vestite di flanella turchina o rossa con un ombrello rosso o turcbino an cb' esso aperto sul capo, sgargiante sotto il sole ardente, sta­vano sdraiate sui sedili di poppa delle imbarcazioni e parevano /ilare sull'acqua in pose im­mobili e indolenti" 5 •

"A la Grenouillère nasce l'impressionismo. Le pitture di Monet e Renoir a la Grenouillè­re banno delle qualità eccezionali di freschezza e di giovanilità cbe i due Maestri non su­pereranno mai"(]. Leymarie) 6•

Claude Monet (1840-1926) dipinge la Grenouillère (o i dintorni immediati) in almeno dieci quadri. Per dipingere il fiume senza avere in primo piano la riva, costruisce un battello­studio con una cabina e una tenda in modo di poter lavorare in mezzo al fiume, in qualunque punto, in qualunque ora. Manet ritrae appunto Monet mentre è dinanzi al cavalletto sul battello e Renoir dipinge più volte in coppia con Monet gli stessi punti delle rive della Senna [figg. 8, 9, 1 O]. Tra gli altri quadri dipinti da Manet sulla Senna la Coppia in tenuta da canot­taggio (1874, olio 149 x 13 1, Tournai, Musée des Beaux-Arts), sembra il ritrat­to di due clienti della Grenouillère, usciti da un racconto di Maupassant o da un un quadro di Monet o Renoir. Invece In canoa sull'Epte dipinto da Monet (1890, Sao Paulo do Brazil, Museu de Arte) [fig. 6] e La Senna a Asnière dipinto da Re­noir (1879, Londra, National Gallery) [fig. 7] sembrano piuttosto riprendere l'e­legante pubblico femminile delle domeniche sulla Senna È forse nella molteplice attività di Pierre-Auguste Renoir (1841-1919) che la Gre­nouillère (e la Senna) hanno il ruolo più importante; Renoir va a la Grenouillè-

CAPITOLO 4 l L'AMBIENFli COME ' /Ml'RESS/ONE': DALLA GRENOUFLLÈRE ALLA GIIRE-S!l /NT-LAZARE

fig. 6. Claude lvfonet, In canoa sull'Epte (a/fluente della Semrn), 1890, olio su te/n, cm133 x 145. Sao Pau/o (Brasile), Museu de Arte.

/ig. 7. Pierre-Auguste Renoù; La Senna a Asnière (La yo!e), 1879, olio su tela, cm 71 x 92. Londra, National Galle!)'. Questi due quadri ripremlono l'aspetto genttle delle domeniche sulla Senna: il cappellùto sulla testa delle rematrici si n/erisce alla folla elegante, alistocratica, ricca.

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340 PARTE QUINTA / IL l'tl f:Sti GGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTI. REALE

fig. 8. Edouard Mauet (1832-1883), Clamle Mouet conia moglie nel suo studio galleggiante, 1874, olio su tela, cm 80 x 98. lvlouaco, Neue Piuakotbek.

fig. 9. Claude i\Jfouet, Jl bai/ello-studio, 1874, olio su tela, cm 50 x 64. 01/erlo, Rijksmmeum Kro/ler-Mulle1:

re la p1·ima volta nel1868 e vi tornerà fino almeno al1888, dipingendo anche lui una decina di quadri (ji'gg. 3, 4, 5]. In molti Renoir mescola i due mondi della Senna: quello popolare (canottiera e cappello di paglia) e quello borghese (fio­ri sul cappello e cilindro) 7.

Le persone che passavano i giorni di festa sulla Senna, vivevano gli altri giorni a Parigi. Anche gli impressionisti dipinsero in città. Se sulla Senna un ruolo privilegiato assunse la Grenouillère, a Parigi uno dei luo­ghi che assunsero un analogo valore fu la Gare Saint-Lazare. Edouard Manet nel 1874 espone un olio intitolato La ferrovia: una donna e una bambina sono davanti a una cancellata della Gare Saint-Lazare, al di là della quale si vedono il fumo di una locomotiva, i binari e il Pont de l'Europe [fig. 11]. L'anno prima Manet aveva fatto un disegno dal Pont de l'Europee nel1876 Gustave Caillebotte (1848-1894) dipinge vari quadri dallo stesso pon­te verso i treni che entrano ed escono dalla stazione. Claude Monet nel 1876 affitta uno studio lì vicino, in rue Moncey; ma poi decide di dipingere dentro alla stazione, tra i treni e le locomotive a vapore. Si presenta al direttore della stazione ed ottiene di poter piazzare il cavalletto dappertutto: pare facesse ri­tardare le partenze, far sbuffare le locomotive, spostarle da un binario all 'al­tro, dove piaceva a lui.

"La stazione Saint-Lazare ha la forma di un triangolo tagliato all'estremità. I due fabbri­cati laterali sono occupati dalle gallerie coperte cbe conducono i pedoni al vestibolo ùmal­zato tredici gradini sopra il livello d'ingresso. In faccia alla scala principale, cbe termina in una sala dei passi-perduti comune a tutte le linee, c'è la biglietteria per Saint-Germaùt; in una galleria a destra, dalla parte della rue d'Amsterdam e a questa parallela c'è la bigliet-

CAPITOLO 4 L'AMBIENTE COME ' IMPRESSIONE'· DALLA GRENOUILLÈRE t!Ll.A GtiRE.-StllNT-LAZIIRE

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/i~- 10. C:laude Monet, Il bout;llo-s~udio, 1876, olio su tela cm 54 x 65, Neucbate~ Musée d'Art et d Hwmre. Mallet {/tg. ~] _b~ 11/sJstJto ll~l mo quadro sui due personaggi, il quadro, la tenda; ù1 fondo iu IIII.Pll~~o lo~r:a:ro, ll~a vmbJ!tss/1/Jo nell ~couomia del quadro ba dipinto due dminiere fumanti per camt~mZZ~It l amb1ente delle rwe del fnm1~. Monet [/tg. 10] ba insistito di 111e110 sul suo balle/lo e lo ha quas1 comiderato come tlllo maccb10 cromatica per esaltare le rive autwmali della Sem/t/.

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PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRI710NE DELL'AMBI/iN TE REALE

fig. 11. Edouard Ma nel, !llla ferrovia, 1873, olio su tela, cm 93 x 112. lflasbinglou, Natio1J11l Gal l el)' o/ Art. La siguom co/libro e il cagnolino e la bambina sono appoggiate a /1/lil cancellata: dietro la stazioue è coperta dal vapore di llllillocomotiva già passata. I: ambiente non è ancora la stazione, 11111 l'arredo nrbtwo cbe la ma presenza ba introdotto nella città.

fig. 12. Claut/e Monel, La GareSaint-Lazare, 1877, olio SII tela, CIII 54 X 72. Londra, coli. Mc Laren.

fig . 13. Clml(/e Mouet, La Gardàiut-Lazare, 1877, olio su tela, CIII 75 x 100. Parigi, Musée d'Orsay.

fig. 14. Claude Monet, La Gare Saiiii-Lazare, 1877, olio SII tela, C/Jl 82 X } 00. Cambridge, FoggA11 Muse11111.

CAPITOLO 4 l L'AMBIENTE COME 'IMPRESSIONE': DALLA GRENOUJI.LÈRE ALLA GARE-SAINT-LAZARE 343

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344 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

teria delle linee della Normandia e la sala di accettazione dei bagagli. Infine si sale a sini­stra, nel vestibolo, a una immensa sala dove si vendono i biglietti per le linee della perife­ria e la linea di Cintura" 8•

Nell'aprile 1877 Monet espone alla terza Esposizione Impressionista sette dipinti della Gare Saint-Lazare: le tele dipinte dentro o intorno alla stazione furono cir­ca dodici. Emile Zola (1840-1902) così commenta questi quadri di Monet:

Vi si sente il rumore dei treni in arrivo, vi si vedono le nuvole di fumo che debordano sot­to le ampie volte della stazione .. . I nostri artisti devono trovare la poesia delle stazioni, co­me i loro padri hanno trovato quella dei boschi e dei fiumi 9•

Nel1890 Zola scriverà La bete humaine: tragica storia di un ferroviere in servi­zio sulla Parigi-Le Havre, che inizia con la descrizione della stazione Saint-La­zare: potrebbe essere la didascalia di uno dei dipinti di Monet. Il fascio dei bi­nari, le grandi volte metalliche, gli scambi sotto al Pont de l'Europe, il tunnel di Batignolles sono sempre gli stessi: l'edificio della stazione invece era stato rico­struito nel 1886-1889, ma conservando gli stessi inconvenienti lamentati dalla Guide J oanne:

È costituita da due corpi principali. collegati da una lunga sala dei passi perduti ... La par­te verso la rue d'Amsterdam è destinata alle grandi linee; l'altra verso la me de Rome a quelle della cintura e dei sobborghi. Purtroppo si sono conservati dei lunghi scaloni, mol­to scomodi per i viaggiatori frettolosi e con bagagli e per gli handicappati e i servizi sono lontani, le sale d'attesa al primo piano, gli uffici bagagli e le uscite principali al pian ter­reno, in una specie di sottosuolo" 10•

Di fronte, sotto questa polvere di luce, le case della l't/e de Rome si confondevano, si na­scondevano, leggere. A sinistra le vetrate delle tettoie spalancavano i loro portici gi­ganteschi, con le vetrate nere di fumo, quella delle grandi linee, immensa, dove lo sguar­do si perdeva, che gli edifici della posta e delle caldaie separavano dalle altre, più pic­cole delle linee di Argenteuil, di Versailles e della Cintura; mentre il pont de l'Europe, a destra, tagliava con il suo traliccio di /erro la trincea, che si vedeva riapparire e filare al di là, fino al tunnel di Batignolles. In basso, occupavano tutto lo spazio, i tre doppi binari che uscivano da sotto il ponte, si ramificavano, si allargavano a ventaglio e mol­tiplicandosi e incrociandosi andavano a finire sotto le tettoie. I tre posti di blocco, da­vanti agli archi del ponte, mostravano i loro piccoli giardini spogli. Nella confusione dei vagoni e delle locomotive che ingombravano i binari, un grande segnale rosso spiccava nel grigiore del cielo. ... Sotto alla tettoia delle grandi linee, l'arrivo di un treno da Nantes aveva riempito il marciapiede; e una macchina di manovra, una piccola locomotiva-tender, con tre carrel­li bassi aveva cominciato ad agganciare il tt·eno con una manovra urgente per condurre i vagoni sui binari di rimessa. Un'altra locomotiva, questa volta potente, per i treni espres­si, dalle due ruote gigantesche, stazionava da sola, faceva uscire dal fumaiolo un fumo dritto, nem, lento nell'aria calma. Il treno delle tre e venticinque a destinazione Caen, già pieno dei viaggiatori, attendeva la sua locomotiva, ferma al di là del pont de l'Eu-

CIIPITOLO 4 l L'AMBIENTE COME 'IMPRESSIONE': D1!LLII GRENOUILLÈRE ALLA GARE-SAINT-LAZARE 345

rape, che domandava la via con leggeri accelerati fischi, come una persona impaziente. Un ordine le /u gridato ed essa rispose che l'aveva ricevuto con un soffio breve. Poi pri­';za di metter~~ in moto ci fu un attimo di silenzio, le valvole di scarico f urono aperte, zl vapore so//to sul suolo con un getto assordante. Da sotto il ponte usci allora come un piumone bianco di neve che si scompose dentro la carpenteria di / erro. Tutta una parte ne fu imbiancata, mentre i fumi neri di un'altra locomotiva spargevano il loro velo ne­ro. Dietro si sentivano suoni prolungati di trombette, voci d'ordini, stridii delle roton­de mobili. Rumori diversi segnalarono un treno di Versailles e uno di Auteuil; uno ar­rivava, l'altro partiva e si incrociavano 11 .

Dal XIX secolo la proposta dell'ambiente è una presenza continua. Per restare al caso della Gare Saint-Lazare, essa non è stata solo un importante momento per i grandi pittori impressionisti, come Manet, Monet, Pierre-Auguste Renoir. Suo figlio, il regista Jean Renoir (1894-1979), non ha solo guardato i quadri di famiglia o letto la biografia postuma del padre in cui aveva appunto raccontato di Monete i treni. Jean Renoir nel1938 dirige quel capolavoro del cinema rea­lista francese che è La bete humaine (edizione italiana: "L'angelo del male") con J ean Gabin, Simone Simon e J ulien Carette; la sequenza iniziale con la parten­za della locomotiva a vapore sembra illustrare le pagine di Emile Zola usando quei mezzi moderni che sono il cinema e la fotografia ffigg. 15a, 15b]. Ma an­che i mezzi tradizionali si muovono nella stessa direzione: nel 1923 un nuovo modello di locomotiva a vapore (costruito per la linea Parigi-Le Havre) è il sog­getto ed il titolo di una delle più famose composizioni del musicista Arthur Ho­negger (1892-1955): "Paci/ic 231".

fig. 15a. ]ea11 Re11oir, La bete bumaiue, 1938, ma m/es/o del film.

fig. 15b. Jean Renoir, La bete humai11e, film 19 38. ]eat/ Gabin davanti alla Paci/ic 231: la più potente locomotiva a vapore delle ferrovie /rances~ in servizio mila Parigi-Le HaVI·e è /"ambiente' del film.

15a

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15b

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346 PARTE QUINTA l IL PAESAGGIO COME DESCRIZIONE DELL'AMBIENTE REALE

MONET: LA SENNA, LA GRENOUILLÈRE

(I quadri sono raggruppati secondo i soggetti)

1. La Senno a Bougivol, 1869, olio, cm 69 x 91. New Hampshire, Currier Gallery of Art. "Bougival, il laboratorio del paesaggio della scuola francese moderna. Ogni gomito del fiume, ogni albero ricorda una mostra" (Journal des Goncourt). 2. La Grenouillère, 1869, olio, cm 79 x 99. New York, The Metropolitan Museum. 3. La Grenouillère, 1869, olio, [fig. 2]. Londra, National Gallery. 4. Le boteou-otelier, 1874, olio, cm 50 x 64 ffig. 10]. Otterlo, Rijksmuseum Kroller-Muller. 5. Le boteou-atelier sullo Senno, 1875-76. Collezione privata. 6. Le boteou-otelier, 1876, olio, cm 54 x 65 ffig. 11]. Neuchatel, Musée d'Art et d'Histoire. 7. Le boteou-atelier, 1876. Pennsylvania, Fondazione Barnes de Meyron. 8. Due donne in borca, 1887, olio, cm 145 x 132. Tokio, National Museum of Western Art. 9. Sullo "Norvegese", 1887-1890. Parigi, Musée d'Orsay. 10. In barco sull'Epte, 1887-1890, olio, cm 133 x 145 ffig. 6]; Sao Paulo, Museu de Arte.

PIERRE-AUGUSTE RENOIR: LA SENNA, LA GRENOUILLÈRE

(l quadri sono raggruppati cronologicamente)

l. Alla Grenouillère, 1868, olio, cm 59 x 80 [fig. 4] . Mosca, Museo Puskin. 2-3. L'anno dopo dipinge la Grenouillère due volte, assieme a Monet (Allo Grenouillère, 1869, olio, cm 66 x 81 [fig. 5] Stoccolma, Nationalmuseum ;Allo Grenouillère, 1869, olio, cm 65 x 93 [fig. 3]. Collezione Reinhart Wintertbur). Per Monet vedi fig. 2. 4. Allo Grenouillère, 1873, olio, cm 45 x 56. Amburgo, Thomsen. 5. Canottieri a Chotou, 1879, olio, cm 81 x 100. Washington, National Gallery of Art. 6. Alphonsine Fournoise allo Grenouillère con in fondo il pottte di Chotou, 1879, olio, cm 72 x 92. Parigi, Musée d'Orsoy. 7. La Yole o La Senna o Asnières, 1879, olio, cm 71 x 92 (jig. 7]. Londra, National Gallery. 8. La Senno a Chatou col ponte, 1880, olio, cm 74 x 92. Boston, Museum afFine Arts. 9. Colazione di canottieri al ristorante di A. Fournaise, 1881, olio, cm 129,5 x 172,5. Washington, Philips Collection. 10. La Senno o Argenteuil, 1888, olio, cm 54 x 65 (notizie dall'Archivio Venturi). 11. Canottaggio sul fiume a Argenteuil, 1888, olio, cm 54 x 65. Merion, Barnes Foundation.

MONET ALLA GARE SAINT-LAZARE

Monet ha dipinto più di dodici quadri dentro la stazione: proponendo la "poesia" del mondo moderno come richiedeva Zola.

(I quadri sono raggruppati cronologicamente)

l. Arrivo del treno dalla Normandia, 1876-1877 2. La stazione Soint-Lazore, 1876-1877 3. Il ponte di Roma, 1876-1877 4. La stazione Soint-Lazare: arrivo di tifi treno, 1876-1877 5. Veduta all'interno della stazione Saint-Lazare, 1876-1877 6. Interni dello stazione Saint-Lazare, La stazione Saint-Lazare: i segnali, 1876-1877 7. La stazione di Saint-Lazare, 1877 [fig. 12]. Parigi, Musèe d'Orsay. 8. La stazione di Saint-Lazare, 1877 [fig. 13]. Cambridge, Fogg Art Museun1. 9. La stazione di Saint-Lazare, 1877 [fig. 14]. Londra, Mc Laren. 10. La stazione di Soint-Lazare, 1877. Chicago, Art lnstitute. 11. La stazione Saint-Lazare e il ponte d'Europa, 1877. Parigi, Musée Marmottan. 12. Analogo al n. 6. USA, collezione privata. (altri quadri analoghi presso: Ryerson, Chicago; Wertheim, New York; Niedersachsiches Landesmuseum, Hannover; collezioni private).

CAPITOLO 4 l L'AMBIENTE COME 'IMPRESSIONE': DALLA GRENOUILLÈRE ALLA GARE-SAINT-LAZ;IRE 347

Note

1 Per i testi qui tradotti e per ogni notazione in merito si veda l'edizione delle opere di Maupas­sant nella Bibliothèque de la Pléiade, con apparato critico e note di Louis Forestier. Guy de Mau­passant, Les Dimancbes d'un bourgeois de Paris, II, 1880. 2 Idem, Au Printemps, 1881. 3 Idem, Moucbe, 1890. 4 C. Stuckey, Monet- I luoghi della pittura, Linea d'ombra, Conegliano 2001. 5 Guy de Maupassant, Yvette, 1884. 6 J. Leymarie, De Baudelaire à Bonnard, Skira, Ginevra 1949. 7 J . Renoir, Auguste Renoir, mon père, Parigi 1981. 8 A. Joanne, Paris illustré en 1870 et 1877, Hachette, Paris 1877. 9 Notes Parisiennes, in "Le Sémaphore de Marseille", 29 aprile 1877. 10 Paris et ses environs, K. Baedeker, Leipzig-Parigi 1900. 11 Emile Zola (1840-1902), La Bete humaine, 1890, Bibliothèque de la Pléyade, Gallimard 2001.

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Edouard Hosteù1, Strada del Sempione, disegno, 28,2 x 21, 1831. Gi11evm, Fonds Céard.

PARTE SESTA

Alle origini della moderna cultura dell'ambiente:

de Saussure, Goethe, Stendhal

Il paesaggio italiano è prima di tutto un immenso accumulo, tlll sedimento straordinario dove dimensioni di tempo e di spazio si intersecano ininterrottamente .. . Paesaggio è di/atto e di diritto ambiente, purcbé si intenda quest'ultimo come la forma complessiva, umanizzrtta e sedimentata c!Je ... allarga quella parola totale, il paesaggio appunto, cbe è vissuto tanto a lungo solitario, lontano, tnisterioso o intimo, domestico o inaccessibile, ma sempre troppo maledettamente estetico.

Andrea Emiliani, in "Urbanistica" n. 87, 1987

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350 PARTE SESlA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'AMBIENTE: DE SAUSSURE, GOETHE, STENDHAL

Tra il periodo che chiamiamo "Illuminismo" e quello che chiamiamo "Roman­ticismo", tutti gli storici collocano la prima formazione di quegli elementi che costituiranno la cultura dell'ambiente nella società moderna. Come tre secoli prima- tra Medioevo e Rinascimento, tra Riforma e Controri­forma - gli stessi soggetti sembrano quasi cambiare significato: certo si arric­chiscono di nuove conoscenze, di nuovi valori. Anche l'ambiente (questo aspetto fondamentale del nostro mondo e della sua storia, di cui abbiamo visto alcuni episodi nei saggi di questo libro) diventa og­getto di forte interesse in discipline che assumono nuovi ruoli: le scienze (natu­rali e non solo), la letteratura (per la quale l'ambiente diventa sempre più un im­prevedibile protagonista). Uno dei luoghi in cui questi fattori trovano un fertile campo di applicazione so­no le Alpi. I viaggiatori diretti dalla Francia e dall'Europa centrale verso l'Italia (Venezia, Firenze, Roma, Napoli, la Sicilia), scrittori o pittori, vedono al di là del 'pittoresco', dell"orrido'; non si limitano più a disegnare l'immancabile 'ponte del diavolo' 1.

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/i g. l . La catena del Monte Bianco vista da La Flègère (1877 1n slm), in faccia a la Merde Giace, "Panorama" da "La Sutsse et !es parties limitrophes de la Savoie e de l'Italie"- Manuel du Voyager par Karl Baedeker (Lipsia, Ia ed. 1846). Il 11om e dell' incisore dei 14 panorami fuori testo non è indicato.

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PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'AMBIENTE: DE SAUSSURE, GOETHE, STENDHAL 351

È un esempio Hans Conrad Escher von der Linth (Zurigo 1767-1823 ): inge­gnere, fotografo, cartografo, e uomo d'affari privo di qualsiasi preparazione artistica. Disegna montagne, valli e laghi come strumenti del mestiere senza nessun intento 'artistico': per disegnare in scala i monti che si vedono da una altura sopra il lago di Lugano utilizza una striscia di carta lunga metri 3,50 e alta cm 9,5 , in cui l'orografia è l'uni~a straordinaria protagonista; nessuna ca­sa, nessun albero, nessuna strada. E un "disegno geologico" (Zurigo, ETH Graphisce Sammlung). Non arriva agli estremi di Von der Linth quello che può essere considerato co­me il padre della "letteratura alpina": Borace Benédict de Saussure (Ginevra, 17 40-1799) appartenente a una famiglia di scienziati e scrittori, in una città-sta­to che era, almeno dalla metà del Cinquecento, al centro delle vicende politiche, culturali e religiose d'Europa. Le sue ricerche e le sue pubblicazioni interessa­no la botanica, la geologia, la fisica, la meteorologia: il campo dei suoi studi è soprattutto costituito dalle Alpi, ma poi si estende anche a alcune zone mon­tuose e vulcaniche della penisola e delle isole italiane 2•

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352 PARTE SL!S1i! 1 ; !LLE ORIGINI DELLA MODii RNA CULTURA DEI.L'AMTllENTii: DE SAUSSURE, GOETHE, STENDI/AL

L'osservazione diretta è la premessa per una conoscenza scientifica che, ~ulle in­dicazioni diJ.J. Rousseau, diventa sempre di più una componente essenziale del­la cultura e dell'operare nel secolo dell'Illuminismo. Scrive de Saussure:

"È soprattutto lo studio delle montagne che può far avanza~·e le conoscenz~ :ulftl teoria del­la Terra ... Bisogna abbandonare le strade conosciute e salzre sulle sommtta elevate da do­ve si può abbracciare contemporaneamente tll1fl moltitudine di oggetti ... Occorre vedere le

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rocce per osservame a natura .

De Saussure scalò il Monte Bianco nel 1786 con una carovana di diciotto gui­de e un domestico; fin dove era possibile anche alcuni muli, caricati di sva­riati strumenti. Per tararli era andato prima in Provenza, e aveva fatto s~lla riva del mare gli esperimenti che avrebbe rifatto sulla cima del Monte Bian­co: tra l' altro aveva inventato un complicato insieme di fuochi e pentole, pro­tetto dai venti dentro una specie di tenda , per misurare le condizioni di ebol-

lizione dell'acqua.

fig. 2. ]oseph Mallord \Villinm Ttmw: La mpnnua di Blt1ir mi Montenven, 180~, nc'!unrello e tcmpem su carta, CIII 27,5 x 39, l, Courtnuld GalleiJ' Londra. I.; inglese Blnir aveva costmito una capnnua-ri/ugw sul Montenven· nel l !99; 'J!'mer la riprende pitì volte come pretesto per disegnare In Mè1cde-Giace sullo sfondo del Montenven (/a ~ap~nna e quasi . invisibile sullo speroue n sinistra). I disegni furouo finiti quasi completamente s1~l po.;;o e_ qz!u;~' gufdietlfl come mto de t pùì importanti esempi di ricerca della conosceJ11.ll scientt/im attnwe_rs~ l~ descr11.1o11e nrt!~I/Ctl de/l nm~~en~e. 11 . botanico Cbarles LJ•ell del Triuity College, Ca111hritlge, ne/1815 gmdtco questo lavoro d t Tumer come ti dtsegno-studw dei gbincciai piiÌ straordinario mai visto".

PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'AMIJ/ENTE: DE SA USSURE, GOETHE, STENDHAL 353

"Chi è stato sulle alte montagne sa che il cielo sembra di un blu pùì scuro che in pianura ... Io cercai un metodo per misurnre un "campione" di cielo sul Monte Bianco. Per/are que­sto avevo dipinto su delle strisce di carta sedici differenti sfumature di blu, numerate da I - la più J'ctll·a - a 16- la più pallida-: ne avevo lasciata una a M. Senebier a Ginevra, un'aLtra a mio figlio a Chamonix e portai la terza con me. A mezzogiomo del giomo stabilito il cielo allo zenith di Ginevra corrt'Jpondeva al settimo livello, a Cbamonix ero tra il sesto e il quinto, sulla cima tra il secondo e il primo ... La grande purezza e trasparenza dell'aria sono le cause dell'intensità del colore blu e pm­ducono verso la cima del Monte Bianco un singolare fenomeno: si possono vedere le stelle in pieno giomo (se si è all'ombra)".

Un'attenzione particolare de Saussure dedicò allo studio dei ghiacciai, indican­do quasi la via delle ricerche per i due secoli successivi.

"Le caratteristiche del gbiaccio cbe riempie le alte vallate alpine dimostrano che esso non si è formato né per il congelamento di grandi masse né per la sovrapposizione suc­cessiva di lame d'acqua gelata, ma per il congelamento di neve bagnata. E evidente che si deve accumulare un'immensa quantità di neve nelle alte valli e che sono queste nevi che imbevute d'estate dalle acque delle piogge e di quelle sciolte dal sole, gelano d'in­vemo e formano i ghiacci spugnosi di cui i ghiacciai sono composti. 1\Jia questi ghiacci aumenterebbero continuamente se l'evaporazione, il calore sotterra­neo della terra e quello prodotto e/alloro proprio peso non mettessero un limite alla cre­scita. Il calore sotterraneo agisce continuamente sugli strati inferiori dei ghiacciai e /or­ma i torrenti che, ancbe nei periodi pùì /reddt~ non cessano di uscire dalla base inferio­re dei ghiacciai".

"Un pregiudizio assai diffuso tra gli ab;tanti delle Alpi è che ci siano dei periodi regolari nella crescita e ne/ritirarsi dei ghiacciai; si dice cbe per sette anni i ghiacciai crescano e per sette anni si ritirino, per cui ogni quattordici anni si ritrovano esattamente allo stesso po­sto. L: esistenza di periodi altemati è certa, ma la loro regolarità è immaginaria. Ma come si sa la regolarità piace agli uomini, dà loro l'illusione di dominare gli eventi e questo nu­mero misterioso di due volte sette anni è abbastanza grande percbé si sia cancellato il ri­cordo preciso nella memoria di questa brava gente ... Solo dopo aver raccolto molti dati e averli comparati con precisione per un lungo periodo di anni, si potrà sapere con certezza se la massa totale dei gbùtcciai aumenta, diminuisce o resta la stessa)".

Non solo da nord scendono gli studiosi: Alessandro Volta (Como 1745-1827) sale dal lago di Como fino a nord delle Alpi misurando sistematicamente ogni tre ore l'altitudine, la composizione e pressione dell'aria, raccogliendo campio­ni di minerali e rilevando - dove era il caso - la presenza di metano o altri gas sotterranei. Passano pochi anni e il viaggio attraverso le Alpi non è più riservato a pochi ric­chi, a pittori, a scienziati; Napoleone ha bisogno di far attraversare le Alpi alle sue armate e gli ingegneri francesi studiano nelle prime scuole di ingegneria (che dipendono dall'esercito e si chiamano appunto École des Ponts et Cbaussées). Nel 1798 con l'annessione della Svizzera occidentale alla Francia, l'ingegnere

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354 PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTUR;l DELL'AMBIENTE: DE SIIUSSURE, GOETHE, STENDHAL

francese Nicolas Céard (1745-1821) diventa Ingegnere-Capo del Dipartimento del Lemano e tra il1801 e il 1806 progetta e costruisce la strada del Sempione, la prima strada carrozzabile che scavalca le Alpi. Il Sempione cessa di essere uno dei tanti passi alpini e diventa il "valico con la strada". Questa sarà la protago­nista di quell' ambiente: tra i tanti disegni si veda quello di Edouard Hostein (1831) [p. 348] 3 .

Per tutti cominciano a essere pubblicate le guide (chiamate "Manuale del viag­giatore") che sono illustrate da carte geografiche, piante di città e panorami fuo­ri testo disegnati con la precisione e la neutralità dei disegni scientifici da de Saussure in poi. Uno dei primi editori di guide, Karl Baedeker (Essen, 1801-1859), fondatore del-la casa editrice omonima, pubblica la prima guida della Francia nel1846, con una raffigurazione di La Chaine du Mont Blanc vue de la Flegére [fig. 1], ripre­sa all'incirca dal punto di osservazione di Turner [fig. 2] 4 .

Contemporaneamente Baedeker pubblica la guida della Svizzera: qui le Alpi so­no uno dei soggetti principali. I panorami sono quindici, quasi tutti fuori for­mato: i più grandi sono quelli dell'Eggishorn (cm 64, fig. 3) e del Pilatus (lun­ghezza cm 66,/ig. 4). Con le guide illustrate con panorami di questo genere, che verranno stampati fi­no alle edizioni dei primi decenni del XX secolo, viene diffusa una conoscenza di base che modifica profondamente la cultura dell"ambiente'. Questa ormai si diffonde anche con altri mezzi. Di poco più giovane di de Saus­sure- e all'incirca coetaneo dei pittori inglesi (di cui alla parte V, cap. 3)- è una delle maggiori personalità dell'epoca moderna, che non solo ne caratterizza e do­mina gli inizi a cavallo tra l'Illuminismo e il Romanticismo, ma ne influenza e determina tutto lo sviluppo successivo: J ohann Wolfgang von Goethe (Franco­forte sul Meno 1749- Weimar 1832). Non era solo quel grande scrittore che tut-

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fig. 3. Panorama dall'Eggishom, (2934 m). "Panorama" da "La Suisse et !es parties limitrophes de la Savoie e de l'Italie" - Manuel du Voyager par Knrl Baedeker (Lipsia, la ed. 1846). Si osse1vi la precisione del disegno delle discese dei ghiacciai e su/lago a destra i blocchi di ghiaccio appena staccati.

PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'AMBIENTE: DE SAUSSURE, GOETHE, STEND/JAL 355

ti conoscono; anche alcuni suoi disegni sono noti (spesso almeno come illustra­zioni delle edizioni dei suoi libri), mentre è meno noto che la sua grande cultu­ra si concentrò spesso e profondamente su problemi naturalistici e geologici, o strettamente scientifici come le opere sui colori, sull'ottica 5.

Fissiamo nella sua multiforme attività due date e due fatti: il viaggio in Italia dal settembre 1786 al giugno 1788 (ma il libro relativo, Italianische Reise, sarà scrit­to tra il1815 e il1829); la partecipazione alla campagna di Francia e alla batta­glia di Valmy (naturalmente dalla parte prussiana) il 20 settembre 1792 6• Può sembrare strano parlare principalmente delle opere storiche e scientifiche di Goe­the, come se fossero importanti alla pari di quelle letterarie. Ma in realtà la na­tura e la storia sono due componenti essenziali e indissolubili nella scoperta del­la definizione moderna e attuale della parola 'ambiente' che troviamo insieme impostata e sviluppata nel pensiero di Johan Wolfgang von Goethe. Forse per lui le scienze naturali, le scienze storiche e l'invenzione letteraria erano indisso­lubili. Goethe capì l'importanza del suo modo di ragionare. Così scriveva da Fra­scati all'amico K.L. von Knebel, il3 ottobre 1787, dopo un anno dall'inizio del viaggio in Italia:

"Si era appena placata la mia prima sete di vedere, il mio spirito si era appena solleva­to dal modo di intendere limitato che più o meno vincola noi ultramontani, allorché co­minciai a volgermi intorno alla ricerca di vie migliori e più sicure. Le trovai facilmen­te, ed ora, passo a passo, proseguo lungo questo cammino, lento, ma sicuro, come s~ que­sto dovesse diventare il mio mestiere, ed in modo da avere un saldo motivo, su cui io possa però continuare a costruire con certezza, invero lentamente, persino lontano da queste regioni (italiane). Fortunatamente ho trovato anche una combinazione dell'arte con il mio modo di pre/igurar­mi la natura, cosicché entrambe mi diventano doppiamente care.

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356 PAR'fE SESTA 1 ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'AMBIENTE: DE SAUSSURE, GOETIIE, STENDHAL

Studio la botanica su strade e sentieri ... Sono sempre più certo che le regole generali da me scoperte siano applicabili a tutte le piante".

Poco prima (18 agosto) sempre a von Knebel aveva scritto:

" Se come artista ci si trova a Roma e si rimane volentieri, come amante della natura si d~;idera proseguit·e verso sud. Alcune cose che da noi soltanto supposi e cercai al micro­scopio, qui le posso vedere ad occhio nudo come indubbia certe~za. Spero che tu pure un giorno troverai gioia nella ~ni~ Hann?m.a Plantarum. attraverso la quale il sistema di Linneo viene ottimamente e/nanto, ognt dwerg~n~a sulla f?rma delle piante viene superata, anzi vengono perfino spiegate tutte le meravzglte dell~ pz~nta. . Qui nel fiore del garofano c'è qualcosa di comune, ché da una certa specze dz. garo(anz doppi nasce un altro fiore doppio e completo. Io ne ho trovato u~ esemplar.e, tn cut dal fiore principale ne spuntavano altri quattro. Nota bene, con;pletz,. con stelt e tutto, co­sicché si sarebbe potuto spezzare ognuno per suo conto. Io l ho dtsegnato accuratamen­te, anche dal punto di vista anatomico, fino al minimo dettaglio .... "

In una lettera alla baronessa Von Stein (giugno 1787) aveva scritto:

" ... Sono vicinissimo al mistero della vita ed organizzazione della pianta ed esso è molto più semplice di quanto si possa pensare. Sotto questo cielo si posso n~ fare le p i~ b~lle o~­servazioni. Ho scoperto, con tutta chiarezza e senza dubbio alcuno, zl nodo prznczpale m cui il germe si cela, cosicché posso abbracciare già anche tutto il resto, nella sua com­plessità; solo alcuni punti devono ancora diventare più chiari .... "

Proseguendo verso sud, sotto il cielo di Napoli, le riflessioni di Goethe sono qua­si una continua didascalia dell'ambiente e della sua progressiva scoperta [figg. 5, 6, 7, 8, 9, 11].

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fig. 4. Panorama dal Pilatus (Ese~ 2123 m). "Panorama" do "La Suisse et !es parties lùnitrophes de la Savoie e de l'Italie"- Manuel du Voyager por Korl Baedeker (Li p sia, la ed. 1846).

PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'AMBIENTE: DE SAUSSURE, GOETHE, STENDII;IL 357

Anche se di malavoglia, ma fedele allo spirito d'amicizia, Tischbein mi seguz' oggi nell'ascesa al Vesuvio (6 marzo 1787. Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, 1751-1829. Appartenente a una famiglia di artisti, visse a lungo in Italia e assunse la direzione dell'Accademia di Belle Arti di Napoli. Grande amico di Goethe che visse a Roma nella casa di Tischbein al Corso e fece di lui vari ritratti, tra cui quello famosissimo nella campagna romana, 1787).

"Per lui, artista della figurazione, unicamente interessato alle più belle /orme umane o ani­ma !t; capace perfino di rendere umano l'informe- rocce o paesaggi che siano- col senti­mento e col gusto, nulla può esistere di più repulsivo d'una simile massa paurosa e amor­/a, che non /a che divorare se stessa ed è nemica dichiarata d'ogni senso di bellezza ... Ai piedi della ripida china venimmo accolti da due guide, un uomo anziano e uno più gio­vane, ambedue ben piantati. Il primo rimorchiò me su per il monte, l'altro Tischbein. Ci rimorchiarono, è la parola; poiché queste guide portano intorno alla vita una cintura di cuoio, alla quale il viaggiatore s'aggrappa e vien tirato su, con minore sforzo delle proprie gambe e con l'ausilio del bastone. Così raggiungemmo il tratto pianeggiante sopra il quale si erge il cono principale, lascian­do verso nord le scorie del Somma. Ci bastò sorvolare con lo sguardo la regione a ponente perché tutti i mali dello sforzo e del­la stanchezza svanissero come in un bagno balsamico,· proseguimmo contornando il cono che fumigava incessante e gettava lapilli e cenere. Nei punti in cui lo spazio permetteva di tenerci a buona distanza, lo spettacolo era grandioso, esaltante. Dapprima un fragoroso tuono ecbeg­giò dalle profondità del baratro; poi subito grandi e piccoli lapilli vennero proiettati in aria a migliaia, circonfusi da nubi di cenere, ricadendo quindi in gran parte nella voragine, mentre gli altri/rammenti scagliati lateralmente piombavano sulla parete esterna del picco con uno strano rumore: i più grossi precipitarono per primz; rimbalzando con cupe sonorità giù per i fianchi_ i più piccoli seguirono strepitando, e infine si udì il ruscellare della cenere. Il feno­meno si ripeté a intervalli regolarz; che riuscivamo benissimo a calcolare a nostro agio.

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358 l'ARTE SESTA l A LLE ORIGINI DELLA MODERNA CULJ'URA DELL'AMBIEN rE: DE SAUSSURE, GOETHE, STEN DHAL

fig. 5. Baia disegnata durante il viaggio nell'Italia meridionale; infondo 1111 castello. Da: ]o!Jfllm 117ol/gang Goethe, Reise-Zerstremmgs-rmd Trost-Bucbleùr, 1806-1807, (Libretto di viaggio, distrazione, con/orto) preparato da Goethe per la Principessa Caroline von Sachsen \Veimar nel 1806-1807, riedito da lnsel Verlag, Frankfurt a m Meùt1978. Nel 1806 Goetbe iniziò a rivedere gli appunti e i disegni fatti durante i moi viagg1; ancbe in previsione de/libro cbe avrebbe scritto tra il 1815 e i/1829 descrivendo il viaggio ùt Italia (1786-1788).

Tra il monte Somma e il cono lo spazio era però abbastanza ristretto, e intorno a noi s'in­fittiva la pioggia di lapillz; rendendoci malagevole il cammino. L'avversione di Tiscbbeùz per il vulcano continuava a crescere, vedendo che quel mostro, non contento d'esser brut­to, stava facendosi anche pericoloso. Ma poiché la presenza del pericolo esercita sempre un certo /ascino ed eccita nell'uomo lo spirito di contraddizione, mi venne l'idea che nell'intervallo tra due eruzioni ci fosse mo­do d'ascendere il cono fino all'orlo del cratere e di tornare indietro sempre nello stesso tem­po. Consultai le guide, tenendoà al riparo d'una sporgenza rocciosa del Somma, protetti dalla quale comumammo le nostre provviste. Il più giovane si disse disposto a tentar con me l'avventura, ci foderammo i cappelli con fazzoletti di seta e di tela e ci tenemmo pron­tt; bastoni alla mano, mentre io mi afferravo alla sua cinghia. Ancora tutt'intorno a noi crepitavano i lapilli e pioveva la cenere, quando il gagliardo gio­vinetto già mi trascinava su per la petraia infocata. Sostammo davanti alla bocca formida­bile; un vento lieve spingeva lontano il fumo, che però allo stesso tempo velava l'interno dell'abt.Sso, mentre dalle mille fenditure dei fianchi usciva il vapore. Attraverso gli squarci della caligine si scorgevano qua e là pareti di roccia spaccate da crepacci. La veduta non era né bella né istruttiva, ma proprio perché non si vedeva niente indugiammo ancora, spe­rando di poter osservare qualcosa. Avevamo smarrito il conto del tempo, eravamo /ermi sull'orlo affilato della grande voragine. Tutt'a un tratto scoppiò un rombo di tuono, la ter­ribile scanà1 trasvolò s/iorandoa; e istintivamente ci mnniccbiammo, come se potessimo salvarci dal rovinìo dei massi; già riprendeva il fracasso scoppiettante dei lapil!t; e senza ri­flettere che avremmo potuto aspettare la prossima pausa, contenti dello scampato pericolo, sotto la cenere che continuavc1 a caderci addosso, ridiscendemmo fino ai piedi del cono, con i etlppelli e le spalle pieni di cenere. Ricevuto amorevolmente, sgridato e rincarato che fui da Tischbein, mi diedi a osserva-

PAR TE SEs-1:4 l t1LL/i ORIGINI DELLA MODER NA CULTUI<Il DELL'AAJBJiiN TE: DE SAUSSURE. GOETHE, STENDHA L 359

fig. 6. Veduta dall'in temo di 1111a grotta: forse ltt Grolla delmatrÙ/Ionio a Capri. Da: ]obamt \Voi/gang Goethe, Reise­Zerstremmgs-tmd Trost-Bucblein, 1806-1807.

re con speciale attenzione le lave antù:be e recenti. La guida anziana seppe indicarme­ne esattamente le varie annate. Quelle più vecchie erano ricoperte di cenere e livellate, mentre le nuove, soprattutto se la colata era stata lenta, presentavano uno strano aspet­to: quando in/attt; nel loro fluire, esse trascinano per un certo tratto alla loro supe1/icie i massi induritt; avviene per forza che questi ogni tanto si arrestino, ma poi, spinti dal torrente di fuoco, si accumulino gli uni sugli altri e s'irrigidiscano in singolarissime for­me frastagliate, ancor più di quanto accade nell'analogo accavallarsi dei gbiacci. Com­misti a tal caotico ammasso di rocce fuse si trovano altresì grossi blocchi che, se intac­cati; mostrano nel punto di rottura caratteristiche affatto simili a quelle delle rocce pri­mitive. Le guide asserirono trattarsi di antiche lave dello strato più profondo, che a vol­te vengono eruttate dal vulcano".

Il grande viaggio di Goethe prosegue in nave da N a poli a Palermo e poi per vie interne attraverso tutta la Sicilia fino a Catania, dove la sua attenzione è ovvia­mente concentrata sull'Etna.

(4 maggio 1787) "Chiedemmo al cavaliere [Giuseppe Gioeni dei duchi d'Angiò, docen­te di Storia naturale all 'Università di Catania] quale fosse il mezzo migliore per salire sul­l'Etna, ed egli ci sconsigliò in modo assoluto di tentare, specie in questa stagione, l'a­scensione della vetta. «In generale» disse, scusandosi della sua franchezza, «gli stranieri che vengono a Catania prendono la cosa troppo alla leggera; noi, che abitiamo vicino al vulcano, siamo contenti se, approfittando della buona occasione, riusciamo una o due vol­te nella vita a salire fino alla cima. Lo stesso Brydone, che con la sua descrizione accese per primo questo desiderio, non è andato molto in su; il conte Borch lascia il lettore nel­l'incertezza, ma anche lui è arrivato solo fino a un certo punto, e cosi potrei dirle di mal-

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fig . 7. Cascata formata da 1111 ton·ente; probabilmente alla s11a foce con le acque cbe si riversauo in mare; disegnata nel viaggio da Catania a Messina, probabilmente il7 o 8 maggio 1787. Da: ]ohann \'(/oljgang Goethe, Reise-Zerstremmgs­zmd Trost-B11cblein, 1806-1807.

ti altri. Per il momento la neve è ancora a livelli troppo bassi e frappone un ostacolo in­sormontabile. Se vuole ascoltare il mio consiglio, parta domattina presto a cavallo e, giun­to ai piedi del Monte Rosso, salga su questa vetta; da lì godrà il più splendido dei pcmo­rami e insieme potrà osservare la vecchia colata di lava del1669 che, sgorgata in quel pzm­to, si riversò disastrosamente sulla città. La vista è magnifica e nitida, e quanto a/resto è meglio farselo raccontare".

(5 maggio 1787) "Fidandoci del buon consiglio avuto, ci mettemmo per tempo in cammi­no e, cavalcando sui nostri muli con lo sguardo sempre rivolto all'indietro, ci portammo nella zona delle lave non ancora domate dal tempo. Attraverso i massi frastagliati e i la­strani che si rizzavano lungo il percorso, le bestie cercavano con fatica un precario passag­gio. Raggiunta una prima altura importante, facemmo tfl1(f sosta. Kniep disegnò con gran­de scrupolo ciò che ·vedevamo guardando in su: in primo piano le masse di fava, a sinistra la cima bicipite del Monte Rosso; subito sopra di noi i boschi di Nicolosi, sui quali s'in­nalzava, appena fumigante, la vetta nevosa. Arrivammo cille falde del Monte Rosso, che scalai: è un ammasso di rossi /rammenti vulcanici, cenere e sassi. Avrei potuto comoda­mente fare il giro della bocca, se un selvaggio vento di levante non avesse reso ma/certo ogni passo; per tentar di avanzare dovetti togliere il mantello, ma adesso era il cappello a correre il pericolo d'esser scaraventato ad ogni istante nel cm t ere, e io dietro di lui. Mi se­detti per riprender fiato e guardarmi intomo, ma anche da seduto la situazione non mi­gliorava: il turbine soffiava diritto da est sopra la contrada mirabile che si stendeva ai miei piedt; vicina e lontana, fino al mare. L'occhio abbracciava il largo litorale che va da Messi­na a Siracusa, con le sue curve e insenature, ora nettamente visibile, ora un poco nascosto dalle scogliere prossime a riva".

Il viaggio siciliano si conclude sulla strada tra Catania e Messina, dove un am-

PARTE SES1i i I IILLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'1L\IBIENTE: DE SAUSSURE, GOETHE, STENDHAL 361

fig. 8. "Una apocalittica visione della natura"; forse ripresa sulle coste di Wl lago in Svizzera o all'estremità settentrionale del l11go di Como. Da: ]obalm1\7o/fgang Goethe, Reise-Zerstremmgs-und TrostcBucbleùl, 1806-1807.

biente apparentemente più modesto , è però per il nostro viaggiatore straordi­nariamente ricco.

(8 maggio 1787, sulla via per Messina) "Alte rocce calcaree a sinistra, dai colori sempre pizì vividi, formano belle insenature marine; segue una sorta di minerale definibile come scisto argilloso o graywiicke. Nei torrenti si notano già detriti di granito. I tuberi gialli del Solanum, i fiori rossi dell' oleandro rendono allegro il paesaggio. Il fiume Nisi come i tor­renti successivi trasportano scisti micacei". (9 maggio 1787) "Procedemmo cavalcando sotto la sferza del vento di levante, avendo a destra il mare in burrasca e dall'altra parte le rocce cbe l'altrieri avevamo ammirato dal­l'alto, lottando per tutto il giorno con l'acqua; dovemmo attraversare una quantità di tor­renti, uno dei qua !t; il Nisi, maggiore degli altrz; si /regia del titolo di fiume; ma tanto i torrenti che i detriti trascinati dai loro letti ci ostacolavano meno del mare furibondo, che in pizì punti si frangeva /in sulle rocce scavalcando la strada e, ricadendo, copriva di spruzzi i viaggiatori. Lo spettacolo era stupendo, e la sua singolarità ci faceva dimenti­care il disagio . Frattanto non mancava materia ai miei rilievi di mineralogia. Sotto l'azione delle intem­perie gli enormi roccioni calcarei si disgregano e precipitano; le parti pizì cedevoli vengono corrose da/moto delle onde, mentre quelle di materiale misto, più dure, resistono, siccbé l' intem spiaggia è disseminata di piriti d'ogni colore, simili alla selce comea; ne raccogliemmo parecchi esemplari" 7 .

Goethe era morto da sette anni quando nel1839 Stendhal scrisse La Chartreuse de Panne. Balzac, grande ammiratore di Stendhal, più giovane ma più autorevole presso i

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362 PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELL'AMBJENTK DE SAUSSURE, GOETHE, STENDI/AL

contemporanei (Stendhal 1783-1842; Balzac 1799-1850), aveva accolto entusia­sticamente il nuovo romanzo, ma aveva inviato all'autore alcune critiche impor­tanti; tra l'altro lo aveva invitato a occuparsi di più dell'ambiente in cui agivano i vari personaggi, che - come in tutte le opere di Stendhal - avevano un ruolo fondamentale nella descrizione della società al confine tra le terre austriache e quelle piemontesi, dopo Napoleone. Stendhalnegli anni successivi scrisse varie parti da aggiungere qua e là per una nuo­va edizione, mai completata. Alcune di queste parti sono state rintracciate in vari manoscritti o trascrizioni ed una in particolare è per noi qui di grande interesse 8.

Come è noto una parte del romanzo si svolge tra il Lago di Como e il Lago di Lugano dove il marchese del Dongo aveva un castello a Griante; così descritto in nota ad una delle prime edizioni:

"Piccola località sulla costa ovest del lago di Como a 250 m di altitudine, a nord e vicino a Cadenabbia, chiamata successivamente Grianta. Il castello è situato in tl/1(( posizione qua­si unica al mondo, su un altopiano coperto di castagni secolari, e si avanza nel lago /or­mando un promontorio roccioso. Sormonta da un'altezza di centocinquanta piedi il ramo del lago cbe si estende dalla parte di Como e quello più oscuro cbe va verso Lecco. Il ca­stello fu costruito verso la /in e del XIV secolo (altrove: XV secolo)" 9•

È proprio questa "posizione quasi unica al mondo" che fu oggetto della lunga aggiunta stendhaliana. Nella prima stesura (tuttora quella di tutte le edizioni e traduzioni) il viaggio di Fabrizio del Dongo da Lugano a Grianta occupa venti­tre righe in cui non si parla affatto del lago e dei monti che Fabrizio attraversa. L'aggiunta scritta nel1840 è invece lunga centoquaranta righe di cui la metà in­teramente dedicata all'ambiente delle montagne e dei boschi tra i laghi di Lu­gano e di Como:

"Dopo poco persero di vista il lago di Lugano al di sopra del quale erano saliti a grande al­tezza. Gli alberi erano stati sostituiti da ginestre rade e stentate, alte appena due piedz;· pro­seguirono tm passaggi estremamente ripidi. Poi discesero di colpo e si trovarono in mezzo ad alberi di gmnde altezza. Queste foreste sono di una bellezza tmica al mondo. Dubito cbe, fuori d'Italia, se ne tro­vino con questo carattere. I: immaginazione di Fabrizio dopo neancbe un quarto d'ora di cammino sotto questi alber~ in­vece di pensare alle vessazioni cbe lo attendevano a Milano, vedeva immagini sorridenti. Due ore prima, /ace n do il piano del viaggio, 11011 aveva pensato alla bellezza sublime di que­ste foreste. Senza confessarselo, la sua anima impressionabile era ancora oppressa dalle pia­nure verdeggianti, ma tanto prive di specificità del Belgio e rattristata da quelle aride e tri­sti dei dintorni di Parigi e della Cbampagne, cbe, senza cbe se lo confessasse, gli avevano stretto il cuore per tre mesi. Ritmvando l'aria viva e voluttuosa delle Alpi italiane a lui ben nota, fu fuori di sé dalla felicità. Era questa capacità di gustare la bellezza fino alla follia cb e costituiva il /ascino del suo carattere. Era a questa facoltà di rasentare la follia, cbe doveva la sua espressione di ir­resistibile piacere, sensibile cmcbe alle anime a cui basta per rallegrarsi una scampagnata a Montmorency, dove aveva avuto tanti successi con le "signorine" dell'Opera.

PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DELLA MODERNA CULTURA DELJ}AMBIENTE: DE SAUSSURE, GOETHE, STENDI/AL 363

fig. 9. Tivoli vista dall'altra sponda dell'An iene; ÙJ alto il tempio di Vesta, lungo le pendici la Villa Gregoriana. Da: Johmm \Val/gang Goethe, Reise-Zerstreuungs-tmd Trost-Bucblein, 1806-1807

fig. 10. foseph Ma/ford \\7illiam Tumer (1775-1851). Tivoli vista come nellafig 9 di Goethe: il tempio di Vesta si intravede sulla sinistra in ci111a alla roccia grigia cbe precipita nella valle dell'An iene; Tumer dà grande importanza al primo piano con 1111 albero.

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364 PARTE SESTA l ALLE ORIGINI DEl-LA MODERNA CULTURA DELL'AMBIENTE: DE StlUSSVRE, GOETHE, STENDHAL

fig. 11. Una Ùllntagine artiitico-poetica ricavata da 1111a drammatica situazione 11atumle. Da: ].\V. Goetbe, Reise-Zerstreuungs-und Trost-Bucbleùr, 1806-1807. Tra i/1806 e i/1807 Goethe è andato pùì volte a passeggiare a Ho/ -!oca/rià della Baviera al confine co11ltr Boemia- ed ba vii! o progressivamente sempre priì avallwre 1111a cava di marmo in cima alla quale c'era rma bmia; ne/1807 quando Goethe regala questo libretto alla Prùzcipessa Carolina la cava aveva ormai raggiunto e distmllo la baita: "l'uomo ba tolto ww parte del mondo".

Con/esso che queste foreste sublimi che bisogna attraversare per superare la catena di mon­ti che separa la Svizzera dal lago di Como, sono di una bellezza che si cercherebbe invano altrove. Si incontrano qui due espressioni diverse: quella sublime selvaggia e dura detta Svizzera, accanto a quella voluttuosa dell'Italia che arriva a ventate con la veduta di deli­ziose ville sparse lungo il lago. A ogni istante la vista del viaggiatore, obbligato a seguire una quantità di svolte, precipita dapprima sulla go di Lugano, che si domina interamente, poi sulla go di Como, di cui inve­ce, stando al centro delle sue mmz/icazion~ non si possono scorgere le estremità e lo sguar­do è incantato dall'aspetto delizioso, simile a quello che o//re la costa della baia di Napoli. Un istante dopo, una svolta imprevista toglie la vista cost' riposante della riva del lago e vi fa trovare di fronte alle masse rocciose delle alte Alpi. La neve, che non le abbandona mai, neanche al mese di agosto, raddoppia la severità del loro aspetto, fatto per sbalordire l'ùn­maginazione più vivace. Un'aria viva e gelida vi investe e raddoppia la vostra sensibilità per questo genere di felicità. Quest'aria ricordava a Fabrizio tutte le gioie della sua in/an­zia e le passeggiate sul lago con la zia. Questi aspetti severi e che innalzano l'anima fino all'eroismo mancano al gol/o di Napoli, il più bel luogo del mondo. Tra le catene delle Al­pi italiane, l'aria è così put·a e le vedute così nette che a ogni momento si crede di essere separati solo da un quc1rto di lega da queste vette innevate di cui si distingue con precisio­ne il minimo crepaccio e i minimi precipizi su cui-sembra di veder saltare i camosci. Impmvvisamente un zig-zag del sentiero vi pone dinanzi zm rialzo di terreno prima nasco­sto, e ci si trova separati dalle vette delle Alpi da tutta la lungbezza de/lago e dalle pen­dici immense che, dai due la t~ scendono fino alle rive. Con quella delicatezza così frequente in Italia, i due accompag11atori di Fabrizio si erano accorti che in questo stato d'animo t'l silenzio gli era gradito. Durante le quattro ore cb e

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durò la traversata del grande bosco, non solo non gli rivolsero la parola, ma restarono qual­che passo indietro e non parlarono tra di loro".

Si direbbe quasi che Stendhal è talmente convinto dell'osservazione di Balzac sul suo scarso interesse per l 'ambiente da voler anche colmare una specie di de­bito verso il golfo di Napoli e sottolineare il confronto con la foresta di Mont­morency, buona per appuntamenti galanti, o con le pianure del Belgio, della Champagne, dei dintorni di Parigi, assunte come casi di ambienti opprimenti 10.

È difficile oggi a circa due secoli da de Saussure, Goethe, Stendhal, dire se la moderna cultura dell'ambiente- questo fattore fondamentale come non mai dal XXI secolo in avanti- sia cominciata con loro. Certo loro (e altri) hanno pen­sato che bisognasse guardare al mondo percorrendo strade nuove, che bisognasse porre i problemi prima delle soluzioni, che "tutte le religioni, le arti, le scienze sono rami dello stesso albero" (Albert Einstein, 1937).

Note

1 C. de Seta, L'Italia del Grand Tour da Montaigne a Goethe, Electa, Milano 1996; C. de Seta, Ve­dutisti e viaggiatori in Italia tra Settecento e Ottocento, Bollati Boringbieri, Torino 1999; AA.VV. L: ambiente nella storia d'Italia - Studi e immagini, cataloghi Marsilio, Venezia 1989; AA.VV. Pae­saggio - Immagine e realtà, Electa Milano 1981; Béat de Hennezel architecte, Les voyages en Ita­lie, 1791-1796, cat. Musée d'art et d'histoire, Ginevra 1989. 2 H.B. de Saussure, Voyages dans /es Alpes, 1774-1796, Georg Ed. Ginevra 2002. 3 Nicolas Céard (1745-1821), ingegnere francese, trasferito a Ginevra. Costruisce ponti, canali, strade: progetta anche una città nuova vicino all'antica Versoix. La sua opera maggiore è la stra­da del Sempione (1801-1806). Uno studio accurato della sua attività sarebbe interessante riguar­dando le prime infrastrutture moderne a livello regionale. Vedi Archives nationales de France, Ar­chives d'Etat de la Ville de Genève, ecc; catalogo Musée d'histoire urbaine et de la vie quotidienne genevoise, 2007. Edouard Hostein disegna la Strada del Sempione nel 1831. ~ K. Baedeker, La Suisse et !es parties limitrophes de la Savoie et de l'Italie, Lipsia 1846; Kad Bae­deker, Le sud-est de la France du jura à la M editermnée, Lipsia, s.d. 5 Per la sua gigantesca attività e per le pubblicazioni si veda la cronologia e la bibliografia curate da Roberto Fertonani nell'edizione italiana del Fiaggio in Italia, tracl . di Emilio Castellani, Arnol­do Mondadori 1983; Goethe in Italia, catalogo Electa, Milano 1986; J.W. Goethe, La storia dei co­lori, L uni editrice, lVIilano 1998; J.W. Goethe, La teoria dei colori, Il Saggiato re, Milano 1999; J.W. Goethe, Teoria della natum, Torino 1958. 6 Campagne in Frankreich, trad. italiana di E. Levi Incomincia la novella storia, Sellerio, 1981. Il titolo della traduzione italiana è tratto dalla famosa poesia "ç a ira" di Giosuè Carducci: "E da un gruppo di oscuri esce Volfango l Goethe dicendo: Al mondo oggi da questo l luogo incomin­cia la novella storia" . 7 E. Sciascia, Goethe in Sicilia, Sellerio, Palermo; A. Placanica, Goetbe tra le rovùte di Messina, Selle­rio, Palermo 1987; J.W. Goethe, Viaggio in Sicilia, tracl . e note di P. Di Silvestro, introduzione di V. Consolo, Siracusa 1987. Per la geologia di quella parte della Sicilia Goethe conosceva gli studi di Dieu­donné Dolomieu (1750-1801): di cui in italiano Memoria sopra i tremuoti della Calabria nell'anno 1783, Napoli 1785. Vedi anche: V. Consolo e G. Barbera, Vedute dello Stretto di Messina, Sellerio editore Palermo 1993, in cui è riprodotta una delle rare vedute di Messina dopo il terremoto del1783, do­vuta ad Abraham-Louis-Rodolphe Ducros: disegnata nell788-1789 (Losanna, Musée Cantonal cles Beaux-Arts) mostra tra l'altro la Porta Realbano intatta a lato della Palazzata distrutta: "Questa fila di case, una volta magm/ica, appare ora sberciata e sventrata in modo s01prendente, poiché da quasi tutte

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le finestre si vede il cielo blu; all'interno ciò che era abitazione è crollato" Q.W Goethe, op. cit.). Quando Ducros disegna Messina è passato un anno dalla visita di Goethe; è lo stesso periodo in cui sale sul Vesuvio e sull'Etna Lazzaro Spallanzani (1729-1799). Le sue descrizioni sono in certe parti sorprendentemente analoghe a quelle di Goethe. Va da Messina a Catania in due giorni, per mare (1-2 settembre 1788); Goethe era andato per terra in senso inverso (8-9 maggio 1787). Spal­lanzani sale sul monte Rosso ("che prima era un piano, dove ne/1669 si aperse la nuova voragine, e ne sgorgò la formidabile lava") e poi, più sportivamente di Goethe, prosegue fino al grande cra­tere centrale ("Passai ad essere spettatore di un'altra scena unica ella pure per la molteplicità, bel­lezza e varietà degli oggetti che ci presenta. Infatti non evvi forse regione eminente sul globo che in un sol punto ci scopra una sfera sì ampia di mare e di terre, come il giogo dell'Etna ... e l'aria sottile ch'io respirava, quasi cbe fosse interamente vitale, produceva un vigore, un brio e una leggerezza nel­le membra, e un'agilità e svegliatezza nelle idee, che a me pareva d'essere divenuto quasi celeste") da: Viaggi nelle Due Sicilie e in alcune parti dell'Appennino, Classici italiani, Tomo L Milano 1825. 8 Per i testi e per ogni annotazione si veda l'edizione completa delle opere di Stendhal nella Bi­bliothèque de la Pléiade, con apparato critico e note di Henri Martineau: Romans et nouvelles, vol. II, Appendice IV "La forèt entre Lugano et Grianta", 3 novembre 1840. 9 È interessante che Grianta non abbia incontrato molto interesse nelle guide del TCI. Nella pri­ma edizione del 1916 è solo citato come luogo da attraversare per andare alla chiesetta di San Mar­tino. In quella del1967 è descritto come "incantevole paesino formato da un nucleo di vecchie ca­se e da numerosissime ville di varie epoche, in mezzo a lussureggiante vegetazione". Nell'edizione del 2005 Grianta è ignorato. 10 È una singolare coincidenza che quei luoghi, lungo i laghi di Lugano e di Como, torneranno ad essere al centro di romanzi famosi, circa cinquant'anni dopo la passeggiata di Fabrizio del Dongo. Antonio Fogazzaro (1842-1911) ambienta in quel tratto della costa luganese chiamato Valsolda, Piccolo mondo antico (1895). La madre era di Oria e lì, in Valsolda, Fogazzaro passò molti anni; oltre a Piccolo mondo antico anche Valsolda(1876), Ma/ombra (1881), Mistero del poeta (1888), Lei­la (1910) si svolgono lungo i laghi di Lugano e di Como. Per Fogazzaro "il paesaggio è un elemento essenziale del racconto; addirittura è reso partecipe alle vicende in modo eccessivo (in Ma/ombra); in Daniele Cortis il rapporto col paesaggio è risolto con una cura letteraria che può essere scambiata per poesia; nel Mistero del poeta il paesaggio ha un va­lore determinante e il racconto comincia in vista di uno di quei lagbi che sono quasi sempre sullo sfondo delle storie di Fogazzaro. In Leila il lago è sempre presente nei momenti decisivi. Il lago è si­nistro in Ma/ombra, sereno in Piccolo Mondo Antico: qui il paesaggio non è sforzato, ma il ricono­scibile e circoscritto ambiente naturale che avvolge la storia" (Giulio Cattaneo, Storia della lettera­tura italiana, vol. VIII Garzanti 1968). Occorre però osservare che in Piccolo Mondo Antico non ci sono solo brevi e comprensibili (an­che se un po' scontati) accenni allago e al paesaggio: "A Castello le case che si serrano in fila sul ciglio tortuoso del monte a godersi il sole e la veduta della­go in profondo, tutte bianche e ridenti verso l'aperto, tutte scure verso quell'altra disgraziata fila di case che si attrista dietro a loro, somigliano certi fortunati del mondo che difronte alla miseria troppo vicina prendono un sussiego ostile, si stringono l'uno all'altro, si aiutano a tener/a indietro" (parte I cap. 3 ). "Il sole calava dietro al ciglio del monte Brè e l'ombra oscurava rapidamente la costa precipitosa e le case di Oria. Imprimeva, violacea e cupa, il profilo del monte sul verde luminoso delle onde che cor­revmto oblique a ponente, grandi ancora ma senza spuma, nella "breva stanca" (parte II• cap. 2). "Il lago dormiva ormai coperto e cinto d'ombra. Solo a levante le grandi montagne lontane del La­rio avevano una gloria d'oro fulvo e di viola" (parte II cap. 2). Ci sono anche delle pagine - non poche - in cui il dettaglio per la descrizione dei luoghi è tal­mente realista fin nei nomi - in cui anzi a tratti si esaurisce - da rendere impossibile seguire Pic­colo Mondo Antico senza una carta dettagliatissima del lago di Lugano e della Valsolda: "Toccavano allora quel gomito della viottola che svoltando dagli ultimi campicelli del tenere di Al­borgasio ai primi del tenere di Castello, gira a sinistra sopra un ciglio sporgente, nell'improvviso co­spetto di un grembo precipitoso del monte, de/lago in profondo, dei paeselli di Casarico e di S.Ma­mette, accovacciati sulla riva come a bere, di Castello seduto poco più su, a breve distanza, e là di fronte, del nudo fiero picco di Cressogno, tutto scoperto dai valloni di Loggia al cielo. È un bel po­sto, anche di notte, al chiaro di luna" (parte I cap. 3 ).

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INDICE DEI NOMI

Abd al- Malik, 96 Adamo,243 Aga Khan Sadruddin, 23 Al- Mansur, 17 Alessandro Magno, 32 Al essi, Galeazzo, 285, 289 Alfieri, Benedetto, 289 Altichiero da Zevio, 177, 178 Amico, Bernardino, 278 Andrea da Rho, 291 Anita, Nicola, 73 Anosei, Giuseppe, giardiniere, 287 Antelami, Benedetto, 105, 107, 108 Antonello da Messina, 309, 312 Arcadia, imperatore d'oriente, 54 Arnolfini, coniugi, 296, 297 Aronberg, Lavin, M., 242 Asburgo, famiglia imperiale, 265 Ataulfo re Goto, 54 Augusto, Gaio Giulio Cesare Ottaviano,

imperatore romano, 26, 38 Bacci, famiglia, 254 Baedeker, Karl, 354 Baldassarre Estense, 313, 314, 315 Balzac, Honoré de, 361, 362 Barbarossa, Federico I, imperatore, 175 Bartolo diFredi, 137, 179, 180 Bascapè Carlo, vescovo, 289, 292 Battista Sforza, 306 Beato Angelico, Guido di Pietro detto, 120,

181,185,186,187,188,189,191 Bellini Giovanni, 18, 297, 312, 313, 314 Bellotto, Bernardo, 318, 319, 320,321, 322,

323,324 Benedetto XII, papa, 134 Benozzo Gozzoli, 183, 186, da 194 a 205,

211, da 228 a 236, 328, 329 Benvenuto di Giovanni, 135 Berenson, Bernhard, 258 Berlinghieri, Bonaventura, 208, 212, 228, 229 Bernascone Giuseppe, detto il mancino, 290 Bernini Gian Lorenzo, 329 Berry, Marie de, 114, 115, 116, 117

Bettini Sergio, 69, 70 Bicci di Lorenzo, e figlio, 254 Biffi, Andrea, 287 Blasi, Carlo, 11 Bloch, Mare, 10 Bonaventura Berlinghieri, 208, 212 Bonifacio VIII, Caetani, 82 Boninsegna, Duccio, 132 Borromeo, famiglia, 118,285, 287 Borromeo, Federico, cardinale, 283 Bourbon,Jean de, 114, 115, 116, 117 Bramante Donato, 328 Brandi Cesare, 98 Bruegel Jan, dei velluti o del paradiso, 266 Bruegel Pieter, il govane o dell' inferno, 266 Bruegel Pieter, il vecchio, 266, 267, 268, 269,

270,271,272 Ca etani J acopo Stefaneschi, cardinale, 134 Caillebotte Gustave, 340 Caimi Bernardino, 289 Calcani Giuliana, 11 Camilleri Andrea, 81, 82 Canaletto, Giovanni Antonio Canal, da 316 a

324 Caneva Giulia, 11 Caniola Filippo, 287 Canobio Amico, 292 Cardines Bernardino, vice re, 7 4 Carette, Julien, 345 Carlo il Temerario, 165 Carlo Magno, imperatore, 104, 106 Carlo V, imperatore, 264,265,266, 272, 273,

328 Carpaccio, Vittore, 297 Cassas Louis François, 286 Cassiodoro, 263 Castelli, Francesco, 287 Castelnuovo, Enrico, 11 Cavallini Pietro, 70, 71, 81, 82, 209 Céard, Nicolas, 354 Cenni di Francesco, di ser Cenni, 244, 247,

248,249 Chiostri C., 279

..

Page 186: Saper Vedere l'Ambiente

368

Cimabue Giovanni, 82,209,211,218 Ciro, re di Persia, 122 Clemente VI, papa, 134 Clemente VII Medici, papa, 265 Cleto, padre cappuccino, 285 Colombe, Jean, 113 Colombo, Cristoforo, 264 Comestur Petrus, 263 Constable, J ohn, 23 5 Cosmè Tura, 125 Cosroe, re sassanide, 244, 258 Costantina-Costanza, 97, 100 Costantino, Gaio Flavio Valeria Aurelio,

imperatore, 39, 47, 52, 174, 243,244, 258

Costantino n, imperatore, 174 Cozens, Alexander, 325 Cozens,John Robert, 325,330 Crespi, Giambattista, detto il Cerano, 283,

284 Crivelli Angdo, 287 d'Altavilla Guglielmo, 79, 84 d'Altavilla Ruggero n, re di Sicilia, 72 D'Armagnac, Bonne, 114 D'Enrico, Antonio, detto Tanzio da Varallo,

285 da Cassano. Gioacchino, 291 da Fogliano, Guidoriccio, 132, 133 Dassel, Rinaldo, 175 de Berry, Jean e Philippe, 108, 112, 113, 114 de Limbourg, Paul,Jean, Herman, 112, 113,

114, 115, 116, 117 de Saussure, Horace Benédict, 330, 351, 352,

353, 354, 365 del Cossa, Francesco, 125 del Dongo, Fabrizio, 362 Dell'Era Bruno, 11 della Porta, Giacomo, 328 della Sala Gianfrancesco, 278 Della Sala Gianfranco, 278 D'Enrico, Giovanni, 285 de' Roberti, Ercole, 125 Dionigi Bussola, 285, 292 D' Orleans, Charles, 114 Di.irer, Albrecht, 268 Ecclesio, vescovo, 55 Eginardo monaco, 104 Einstein, Albert, 365 Elena, madre di Costantino, 174, 175, 258 Elia, frate, 211 Emiliani, Andrea, 11,349 Eraclio, imperatore bizantino, 244, 258

SAPER l'EDERE L'AMBIENTE

Este, Borso di, 125 Estensi, famiglia, 124, 125, 126, 127 Eusebio da Cesarea, 263 Eustorgio I, vescovo, 174, 175 Falconi Bernardo, 283, 284 Farnese Paolo III, papa, 265 Federico II di Montefeltro, 301, 306 Federico II, imperatore, 87 Felice IV, papa, 38, 39 Ferrari, Gaudenzio, 285, 289 Foca, imperatore bizantino, 38 Fogazzaro, Antonio, 366 Fontana, Carlo, 287 Fontana, Domenico, 328 Fra' Dolcino, 282 Francesco di Giorgio Martini, 135 Francesco I re di Francia, 273 Francesco Silva, 285 Gabin,Jean, 345 Gaddi Agnolo, 189, 190, 244, 245, 246, 249 Gaddi Taddeo, 236, 238, 244 Galehot, 127 Galla Placidia, 52, 53,54 Gambi Lucio, lO Garofalo, Giuseppe, incisore, 73 Gelosa Domenico, 288 Gentile da Fabriano, 146,183,192, 193, 194 Ghigi, Alessandro, 10 Giacobini, Valeria, 10 Gibbon Edward, 54 Gioeni, Giuseppe, 359 Giotto, 82, 175, 176, 177,208, 209, 211,

218, 220, 222, 223, 224, 225,226,227, 229, 237

Giovanetti, Matteo, 134 Giovanni da Murro, 208 Giovanni evangelista, 66, 148, 236 Giovanni, di Paolo, 182, 183, 185 Giulio II, papa, 328 Giunta Pisano, 208, 209 Giustiniano I, imperatore d'oriente, 42, 57,

94,96 Goethe,Johann Wolfgang von, 147,324,325,

330 da 354 a 361, 363, 364, 365 Goffredo di Buglione, 121, 123 Gregorio l, papa, 38 Gregorio IX, papa, 42 Grosshans, Rainald, 268 Guiscardo, Roberto il, 99 Guttuso, Renato, 10 Resse, Hermann, 207 Hildesheim, Giovanni da, 174

INDICE DEI NOMI

Honegger, Arthur, 345 Hostein, Edouard, 348, 354 Innocenza IV, papa, 211 Isabella d'Adda contessa, 287 Isacio, 155 Jacopo da Firenze, 249 Jacopo da Varagine, 150, 240, 243, 260,

261, 262, 263 Jan van Eyck, 295, 296, 297, 298, 299,301,

302 Jaquerio,Jacopo, 120, 121 Kammerer, Peter, 11 Konrad von Altstetten, 130 Konrad von Wurzburg, 129 Krippendorf, Ekkehart, 11 Lamanda Giuliana, 11 Lancelot, 127 Lawrence d'Arabia, 14 Lazzaro, 236, 237 Le Nain de Tillemont, Louis-Sébastien, 59 Leonardo da Vinci, 306,307,308,309,310,

311 Leonzia, moglie di Foca, 38 Lewis, John Frederick, 15, 19, 20 Leymaire,Jean, 338 Lichtenstein, principe-vescovo, 109, 112 Ligorio, Pirro, 328 Linneo, Carlo, 356 Lippi, Filippo, 195 Livia Drusilla, 26, 27, 38 Lock Eastlake, Charles, 324 Longhi, Roberto, 258 Lorenzetti Ambrogio, 88, da 132 a 143,200 Lorenzetti, Pietro, 132, 209, 211, 228, 238 Lotto, Lorenzo, 297 Luca, evangelista, 21, 35, 148, 149, 236 Ludus, o Studius, pittore, 24 Lutero, Martino, 266 Madame de Malohaut, 127 Maddalena, Maria, da 236 a 241 Maderno, Carlo, 328 Maestro di Angera, 119, 120 Maiuri, Amedeo, 26 Malatesta Sigismondo Rodolfo, 194 Manet, Edouard, 334, 335, 338, 340, 342, 345 Manzoni, Alessandro, 279, 283 Marangoni Matteo, 7, 9, 13 Marco evangelista, 35, 66, 148, 149 Marco I, papa, 42 Margaritone di Arezzo, 208 Martini Simone, 132, 133, 134, 209, 211 Masaccio, 23 7, 254

Masolino da Panigale, 249 Massenzio, imperatore romano, 38 Massimiano, vescovo, 55,57 Matteo, evangelista, 21, 35, 148, 149, 175,

236 Maupassant, Guy de, 334, 335 Mazzucchelli, Pier Francesco, detto il

Morazzone, 285 Medici famiglia, 194, 195, 196, 204

369

Memling, Hans, 169, 171,172, 173, 183, 184, 185,266,272,301,304,305

Michelangelo Buonarroti, 266, 328 Minnesanger, "Grande manoscritto di

Heidelberg",l28,129, 130, 131 Monet, Claude, 334,335, 336, da 338 a 346 Montaigne, Michel de, 89 Mora, Gian Maria, 287 Newburg Guglielmo, 175 Niccolò IV, papa, 154 Niccolò V, papa, 328 Nicolas de Verdun, orafo, 168, 175 Notker I detto Balbulo, 104 Ommayadi, 96, 128 Onorio l, papa, 36 Onorio, imperatore d'occidente, 54 Orioli, Pietro di Francesco, 135,136 Ottone IV, imperatore, 175 Paleologo, Giovanni VII, 194 PangaradiJoan e Sofronie, pittori, 62, 63, 67 Paolo III Farnese, papa, 265 Pasquale I, papa, 39, 40, 42, 43, 44, 47 47 Patinir,Joachim de, 206,264,265, 266,267,

268 Patriarca di Costantinopoli, Giuseppe, 194, 204 Peruzzi, Baldassarre, 328 Piccirillo, Michele, 11 Piero della Francesca, 244, da 249 a 259,

266, 301, 306 Piero il Gottoso, 194 Pio IV Medici, papa, 285 Piranesi, Francesco, 286 Pissarro, Camille, 334 Plinio, 24 Prestinari, Cristoforo, 285 Prisciani, Pellegrino, 125 Pseudo-Matteo, 66 Rachi re, 156 Raffaello, Sanzio, 266, 328 Raig' ibn- Ha}'\ven, 96 Ratzinger, J oseph, cardinale, l 02 Re Magi, Gaspare, Melchiorre, Baldassarre,

passim da 146 a 205

..

Page 187: Saper Vedere l'Ambiente

370

Renoir Ernesto, 78 Renoir Pierre Auguste, 334, 336,337, 338,

339,340 Renoir, Jean, 345 Richini, Francesco Maria, 287 Romolo Augustolo imperatore romano, 38 Rossellino Bernardo, 328 RousseauJean-Jacques, 352 Ruggero II d'Altavilla, re di Sicilia, 72 Ruskin John, 333 Saba, regina di, 244, 249, 257, 258 Sadiqi, mecenate e artista, 274, 275 Salomone, 243, 244, 249, 258 San Bernardo, arcivescovo d'Aosta, 282 San Bonaventura, 209, 220, 226 San Carlo Borromeo, 279,282,283,285, 286,

287 San Cristoforo, 286 San Domenico, 328 San Francesco d'Assisi, 208 e segg., 278, 328 San Giovanni Battista, 82, 83, 84, 85 San Leonardo da Porto Maurizio, 279 San Paolo, 35, 236 San Pietro, 35, 236 Sangallo, Giuliano da, 328 Sant'Apollinare, 35, 36 Sant'Agnese, 36 Sassetta, Stefano di Giovanni detto, 181, 182 Schillaci Leonardo, 11 Schopenhauer, Arthur, 325 Scoppola, Francesco, 11 Scrovegni, famiglia, 177 Sereni, Emilio, l O Sestini, Aldo, 10 Settimio Severo, imperatore, 38 Sforza Maria, Galeazzo, 194 Sforza, Battista, 306 Shah Isma'il Safavi, 273 Shah Tahmasp, 273,274,275 Siccardo, vescovo, 263 Simmaco, papa, 36 Simon, Simone, 345 Simone, 236 Sisley, Alfred, 334 Sisto V, papa, 329 Soel, Kaium ed Elias, mosaicisti, 93, 94, 95 Solimano, il magnifico, 273 Stefaneschi, cardinale, 134 Stendhal, 284, 290, 361, 362, 364, 365

SAPER VEDER E L'AMBIENTE

Strozzi, famiglia, 192 Stuckey, Charles, 335 Sultan Ibraim Mirza, 273 Tabacchetti, Jean Wespin, 285 Tabriz, miniaturista, 273 Taddeo di Bartolo, 180, 181 Teodora, moglie di Giustiniano I, 42, 57 Teodorico, re degli Ostrogoti, 38, 39, 51, 54,

55,66 Teodosio I il Grande, imperatore, 35 Tischbein, Wilhelm, 357, 358 Tommaso da Celano, 209 Tommaso, apostolo, 174 Tommaso, marchese di Saluzzo, 123 Torriti,Jacopo, 82, 154, 156,209 Toscano, Bruno, 11 Toschi, Paolo, 10 Towne, Francis, 325,330, 331 Traiano, imperatore romano, 38 Turner,Joseph Mallord William, 276,280,

318, da 324 a 328,330,331,332,333, 352,363

Urbano VIII, Matteo Barberini, papa , 328 Valentiniano, imperatore romano, 54 Valerano, marchese di Saluzzo, 123 van der Weyden Rogier, 167, 169, 170, 183,

297 ' 300, 301, 303 van Heemskerk Maarten, 266,295, 328,329 Vannucci, Pietro, detto il Perugino, 266, 306,

307, 308 Venceslao, pittore, 109, 112 Vespasiano, imperatore, 78 Vignola, J acopo Barozzi, 328 Visconti, Ottone, arcivescovo, 118, 119, 120 Vitruvio, 24 Volta, Alessandro, 353 Voltaire, 324 Von der Linth, Hans, Konrad Escher, 351 von Hagenau, Reinmar, 129 von Knebel, K.L., 355,356 Von Stein, baronessa, 356 von Wurzburg Konrad, 131 Walther von der Vogelweide, 106 Whinney, Margaret, 268 Yarid ibn-Salam, 96 Zanelli, Sirio, 283, 284 Zevi,Bruno, 7,9,277 Zola, Emile, 344, 345,346 Zosimo, vescovo, 237, 239,241

......

371

INDICE DEI LUOGHI ILLUSTRATI

Alpi, 350, 351, 354 Altai, monti, 18 Andalusia, 20 Angera, Rocca Borromeo, 18, 119, 120,285 Aquila, Val Blenio, Canton Ticino, 285,286 Arezzo, 258, 259, SANTA MARIA E D ONATO 109,

157, 159, 208, 243, SAN FRANCESCO 244, da 249 a 257

Argenteuil,334,335,346 Arles, 150, 151 Arno, 243 Arona, 285, 286 Asnière, 346 Assisi, 328, SAN FRANCEsc o 68, 69, 70, 71, 81,

177, passim da 208 a 227, PORZIUNCOLA

208, 213, 218 Autun, 158, 159 Avigliana, Sant'Antonio di Ranverso, 120, 121 Avignone, 118, 241 Beth Shean, Palestina, 91 Betlemme, 39, 42, 43, 44, 45, 50, 148, 149,

154, 174 Bevagna, 131, 134 Bianco, monte, 350, 351, 352,353 Borgogna, 175, Bougival,334, 346 Brissago, 286, 287, 288, 289 Cannobio, 285 Castiglion del Lago, 191 Castiglion Fiorentino, 208 Catania, 359, 360 Cefalù, 38 Certaldo, 204 Chatou, 346 Città della Pieve 307 Cividale del Friuli, 156, 158, 159 Colonia, 167, 168, 175, Como, lago, 362, 364 Cortona, 182, 188, 191 Costantinopoli, 52, 174, 175, SANTA So FIA 60, 174,

MUSEO DI CHORA 64, 65, 67, 68, 69, 70, 81 Crea, 289, Croissy, 334

Damasco, M OSCHEA DEGLI 0 MMAYADI, 96 Disentis, Grigioni, 164, 287 Domodossola, 282,289, 291 Dourdan, castello, 116 Dresda,318,320,321,322,324 Eggishorn, 354, 355 Empoli, 254 Ercolano, 24 Etampes, castello, 117 Etna, 359, 360 Ferrara, Palazzo di Schifanoia, 124, 125, 126, 127 Fiandre, 243 Firenze, 243, BArnsTERo DI S. GIOVANNI DA 81 A

86, MUSEO DI SAN MARCO 186, 187, 188, 191, SANTA CROCE, 189, 244, PALAZZO

MEDICI - RICCARDI da 194, a 204 Forlì, San Mercuriale, 157, 159 Frugarolo, Alessandria, 127, 128 Gaza, Palestina, San Sergio, 95 Gerusalemme, 39, 42, 43 , 44, 45, 47, 50, 95,

96,97, 148,149,154,174,182, 249,278 Ghiffa,286,289,291 Giverny, 334 Greccio, 209, 225, 226, 236 Grenouillère, 334, 335, 336, 337, 338, 340 Griante, 362 Isole Borromeo, 285,286, 287 Khirbat al-Mukhayyat, Giordania, 91, 93 Khurasan, 273 La Flegère 350, 351 Lesa, 285 Les-Saintes-Maries-de-la-Mer, 237, 239,240,241 Lm·ena, 175 Lucomagno, Grigioni, 164,287 Lugano, lago, 362, 364 Madaba, Giordania, 15, 46, 50 Madonna del Sasso, lago d'Orta, 281 Madonna del Sasso, Locarno, 281, 286 Maggiore, lago, 281 Mede!, val, Grigioni, 164, 287 Merano, S. Marie Trost, 163 Mergozzo,285 Mesma monte, lago d'Orta, 282

..

Page 188: Saper Vedere l'Ambiente

372

Mesocco, Mesolcina, Grigioni, 164 Messina, 360 Miasino, 287 Milano, 174, 175, SAN EusTORGIO 175, SAN

GIORGIO 175 Monaco di Baviera, 321 Moncenisio, 175 Monreale, DUOMO, 38, Montaione, San Vivaldo, 289 Montefalco, 211,228,229, da 230 a 235,328 Montenvers, 352 Montepulciano, 208 Monterosso, 360 Montmorency, foresta di, 362 Mustair, val, 163 Napoli,356,357,359 Nazareth, 149 Negrentino, Val Blenio, Canton Ticino, 164 Nicea, 174 Oggebbio, VB, 164 Oria in Valsolda, 289 Oropa, 289 Orta- San Giulio, 289, 292 Orta, lago, 281 Orte, 208 Ossola, 282 Ossuccio, lago di Como, 289 Pallanza, VB, 107 Poitiers, 115, 117 Padova, CAPPELLA DEGLI SCROVEGNI52, 175,

176, 211, 237, ORATORIO DI SAN GIORGIO 177, 178

Palermo 72, 73, 74, 75, 78, 359, AL Qasr 72, CALA, 13, CUBA 79, FAVARA 73, GENOARDO 73, KALsA 74, KEMONIA 72, QUARTIERE DELLA MOSCHEA, 74 QUARTIERE Nuovo 74, PAPITRETO 73, VIA MAQUEDA 74, 75 PALAZZO DEI NORMANNI 38, 62,66, 67,76,77,78,79, ZISA 78, 79, 80, 81

Parigi, GARE SAJNT-LAZARE, 340, 342, 343, 344, 345, 346 . ·, . "· .:,

Parma, BATilSTERO 105, w?:·'fb7, ''1(ì9 Pavia, 175 :1r : ;; ·~; Pazyryk, valle, 18, 19 Persia, 273 Perugia, 187 Pescia, 208, 228 Pilatus, monte, 354, 356, 357 Pisa, 208 Piatta, Val Medel, Grigioni, 164, 166 Pompei, 26, CASA DEI VETTI 10, VILLA DEI

M!STERI24

.. . 1;.

SAPER l'EDERE L'AJ\.JBIENTE

Pontresina, Grigioni, 166, 167 Provenza,243 Ravenna, 52, 54, GALLA PLACIDIA 52, 53, 54,

SANT'APOLLINARE IN CLASSE 51, 55, 58, 59, SANT'APOLLINARE Nuovo 51, 55, 59, 60, 61, 64, 65, 155, 156, 158, SAN VITALE 42, 48, 49,55,56,57,155

Roma, 174, 356, 357, CATACOMBA DI PRISCILLA 32, 33, 97, CATACOJI.ffiA DI VIA DINO COMPAGNI 32, 34, FORO DI CESARE 97, 99, FORO ROMANO 38, HEROON ROMULI 38, SANTA CECILIA IN TRASTEVERE 42, 43, 44, 45, 50, SAN CLEMENTE 43, 44, 45, 50, da 99 a 103, SANTI COSMA E DAMIANO 39, SANTA CosTANZA 97, SAN FRANcESco A RIPA 208, SAN MARCO 42, SAN GIOVANNI IN LATERANO 99, 101, SANTA lVlARIA MAGGIORE 35, 39, 52, 152, 153, 154, 156, SANTA MARIA IN TRAS'CEVERE 42, 43, 67 70 71 81, SAN PrETRO IN VATICANO 266, 328, SANTA PRASSEDE 38, 42, 43, 60, TEMPIO DELLA PACE 38, VILLA DELLA FARNESINA 26 , 27, 28, 29, CASA DI

LIVIA AL PALATINO 26, VILLA DI LIVIA A PRIMA PORTA 12, 26, 27, 30, VILLA BARBERINI 327, VATICANO 187, 208

Rozier-Cotes d'Auree, 156, 159, Saas-Feè, Vallese, 289 Sabratha, J amahriya, 98, 99 Sainte-Baume, Provenza, 237,241 Saluzzo, Castello di La Manta, 122, 123 Sancarlone, 282, 283, 285 San Gimignano, 204 San Miniato al Tedesco, 208 San Miniato in Toscana, 285 San Zeno Sansepolcro, 258 Santa Caterina del Sasso, 281 Sempione, 248, 348, 354 Senna, da 334 a 341, 346 Siena, 180,181,182,183,208,243 ~i.r)ai, Egitto, SANTA CATERINA, 94 Siyagha, Monte Nebo, Giordania, 93, 94, 95 Sqm(li~; .monte, 357, 358 Spluga, 282

i· S~$ia;,24 Stresa, 286 Subasio, 211,231 Subiaco, 208 Sucevitsa, Bucovina, Romania, 62, 63, 57, 68 Tabriz, 273, 274, 275 Talamone, 143, 144, 145 Tescio, valle del, 211

INDICE DEI LUOGHI ILLUSTRATI

Tevere,243,258,259 Ticino, 282, 286 Tirolo, 282 Torino, 175 Trasimeno, lago, 182, 188, 191 Trento, Castello del Buonconsiglio, da 109 a

115 Tunisi, 273 Umm al-Rasas, Giordania, Santo Stefano, 50,

91,92 Urbino, 301, 306, 307 Uyoun al-Kanisah, Giordania, 91 Uyoun Musa, Giordania, 91, 93 Uzbekistan, 273 Val Bregaglia, 282 Val d'Aosta, 282 Valmy, 355 Valperga Canavese, 289 Valsesia, 282 Valtellina, 282 Varallo, 282, 289 Varese, 289,290 Varsavia, 321 Venezia, 174, CANAL GRANDE316, 317, 326,

RIVA DEGLI SCHIAVONI 317, SAN MARco 189 Vergante, 285 \Terona,SanZeno, 99,101 Vesuvio, 357, 358 Vétheuil, 334 Vienna, 321 Villa Gregoriana, 363 Visperterminen, Vallese, 289 Vogogna,285 \Tolterra, 204, 205, SAN FRANCESCO 244 Vuorz, Waltensburg, Grigioni, 163, 164, 287 Zillis, Grigioni, 160, 161,162, 163 Zurigo, 208

BIBLIOTECHE DI ROMA

BIBLIOTECA GALLINE BIANCHE

Inventario N .... 2~.5.4g········

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.. , .,

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374 SAPER l'EDERE L'AMBIENTE

CREDITI FOTOGRAFICI

Tutte le immagini, ove non altrimenti specificato, sono state fornite dall'autore e provengono dall'Archivio Insolera.

BlaueVGnamm/ ARTOTHEK, fig. 8 a, p. 184 (per gentile concessione. Fotocolor © 1990. Foto Scala, Firenze)

© The Trustees of the British Museum fig. 11, p. 326 Foto Dainelli Volterra, fig. 3, p. 205 Fotoimmagine, Volterra figg. 3,3a ,3b, pp. 250-253 Gemaldegalerie Alte Meister, Staatliche

Kunstsammlungen Dresden, fig. 5, p. 320; fig. 6, p.321;fig,4b,p.299;fig.8,p.308

Gemiildegalerie, Staatliche Museen zu Berlin, Foto Ji:irg P. Anders, © 2005. Foto Scala, Firenze, Bildarchiv/Preussischer, Kulturbesitz, Berlin, fig. 8-8 b, p. 170; fig. 2, p.265

Gemiildegalerie, Staatliche Museen zu Berlin, Foto Ji:irg P. Anders, © 2007. Foto Scala, Firenze, Bildarchiv/Preussischer, Kulturbesitz, Berlin, fig. 8-8 b, p. 170; fig. 6 b, p. 305

lmaging Department © President and Fellow of Harvard College, fig. 14, p. 342

Insel Verlag, Frankfun am Mein 1978, figg. 4-10, pp. 356-360 e p. 363

A. Jemolo, pp. 9 a-9 b, pp. 42-43 Foto A. Jemolo, La Chiesa di Santa Prassede, con le

opere d'arte iv i contenute, è di proprietà del Fondo Edifici di Culto, amministrato dal Ministero dell'Interno - Dipartimento per le Libertà civili e l'Immigrazione - Direzione Generale per l'Amministrazione del Fondo Edifici di Culto, figg. 8-8c, pp. 40-41

Foto A. Jemolo per Gentile Concessione della Chiesa Rettoria San Clemente al Laterano, figg. 11a-11 h • p. 44-45

Foto A. Jemolo per Gentile Concessione del Vicariato di Roma, figg.10a- lOb, p. 44-45

KMSK Antwerp Image Courtesy of Reproductiefonds- Lukas, fig. 4 c p. 300-301

Kunsthistorisches Museum, Wien oder KHM, Wien fig.6,p.269;fig. 6,p.269

The Metropolitan Museum of Art, The J ack and Belle Linsky Collection) 1982 © The Metropolitan Museum of Art, fig. 6, p. 182

The Museum of Fine Arts Houston; The Robert Lee Blaffer Memoria! Collection, gift of Sarah Campbell Blaffer, fig. 2, p. 317

Photo © The National Gallery, London, fig. 3, p. 267; fig. 3, 296; fig. 7, p. 339

Andrew M. Collection, Image courtesy of the Board ofTrustees, National Gallery, Washington,fig. 8, p. 308; fig. 20 p. 333, fig. 11, p. 342

The Royal Collection © 2007 Her Majesty Queen Elizabeth II, fig. 3, p. 319

© Museo Nacional del Prado - Madrid, fig. 8 b, p. 185

By courtesy of the Trustees of Sir John Soane's Museum, p. 276 e fig. 19 p. 332

Studium Biblicum Franciscanum Gerusalemme, figg,l-1pp. 92-98

© Tate, London, 2007 fig. 3 p. 280 fig. 13, p. 327; fig.

12, p. 327; fig. 10, p. 32; fig. 21, p. 333; fig. 18, p.33l

Regione Umbria-Servizio Musei e Beni Culturali, Fototeca, figg. 4-9, pp. 231-235.

ARCHIVIO SCALA

© 1990. Foto Scala, Firenze: figg. 15 a-15 b, pp. 48-49; fig. 1-2, p. 53, fig. 3-4, p. 55; figg. 3-4, p. 55, figg. 5-6, pp. 56-57; figg. 18 a-18 c, p. 67; fig.19, p. 68; figg. 5-5 c, pp. 84-86; fig. 13, p. 100; figg. 6-9, pp. 124-126; fig. l, p. 133; fig. 5 • pp. 140-141; fig. 7, p. 169; fig. 10 e 10 a, p. 172, figg. l a e l h, p. 176; figg. 4-4 a, pp. 180; fig. 12, p. 189; fig. 3 b, p. 211, figg. 6-9, pp. 219-223; fig. 10-12 pp. 224-226; fig. l, p. 229; fig. 3, p. 229; fig. 11, p. 238; figg. 13 e 16, pp. 238 e 239; fig. l, p. 264; fig. 5, p. 268; fig. 8, p. 271; fig. 5 b, p. 303; fig. 9, p. 309; fig. l, p. 317; fig. 8, p. 323; fig. 4, p. 337; fig. 8, p. 340

© 1990. Foto Scala, Firenze, su concessione Ministero Beni e Attività Culturali: figg.7-10 a, pp. 58-61; figg. 5 a-5 f, pp. 110-115; figg. 4-4 a, p. 180; fig. 9-10, p. 186-187; fig. 4 a, p. 212; fig. 2,p.229

© 1990. Foto Scala, Firenze/ Fondo Edifici di Culto -Ministero dell'Interno: figg. 6-6a, pp. 36- 37; figg. 1-1 c, pp. 245-246

© 1992. Foto Scala, Firenze: fig. 14, p. 329 © 1993. Foto Scala, Firenze, su concessione

Ministero Beni e Attività Culturali: fig. 11, p . 188; figg. 2-2 a, pp. 196 -197; figg. 2-2 a, pp.196-203

© 1994. Foto Scala, Firenze: fig. 9, p. 171 © 1995. Foto Scala, Firenze: figg. 20-21, p . 69, figg.

4-5, p. 122-123; fig. 4 b, p. 2 13; figg. 5 a-5h, pp. 214-215; figg. 15 e 16, p. 293, fig. 13, p . 343

© 1996. Foto Scala, Firenze: figg. 10-10 a, pp. 312-313

© 1998. Foto Scala, Firenze, figg.5-5c, pp. 83-86: fig. 13 a, p. 189

© 2000. Foto Scala, Firenze, su concessione Ministero Beni e Attività Culturali: fig. 3, p. 179; fig. 10, p. 237

© 2001. Foto Scala, Firenze, su concessione Ministero Beni e Attività Culturali: figg. 7 a e 7h, pp. 306-307

© 2001. Foto Scala, Firenze: figg. 11-11 b, p . 314 © 2005. Foto Scala, Firenze, su concessione

Ministero Beni e Attività Culturali: p. 146, fig. l­l b, p. 193-194; fig. 4 a, p. 298

© 2006. Foto Scala, Firenze/Luciano Romano: figg. 12-13, pp. 26-27; figg. 14-14a, pp. 28-29; figg. 15-15a, p. 30; fig. 16, p. 102

© 2007 Image copyright The Metropolitan Museum of Art/ Art Resource/ Scala. Firenze: fig. 2, p. 336

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