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UNIVERSITA’ DI PISA TIROCINIO FORMATIVO ATTIVO - I CICLO CLASSE DI ABILITAZIONE A048 MATEMATICA APPLICATA RELAZIONE FINALE DI TIROCINIO È più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere [Alberto Hurtado] Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere [Francois Rabelais] L'istruzione è l'arma più potente che si possa utilizzare per cambiare il mondo [Nelson Mandela] Elisabetta Alderighi

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UNIVERSITA’ DI PISA TIROCINIO FORMATIVO ATTIVO - I CICLO CLASSE DI ABILITAZIONE A048 – MATEMATICA APPLICATA

RELAZIONE FINALE DI TIROCINIO

È più facile insegnare che educare, perché per insegnare basta sapere, mentre per educare è necessario essere [Alberto Hurtado]

Il bambino non è un vaso da riempire, ma un fuoco da accendere [Francois Rabelais]

L'istruzione è l'arma più potente che si possa utilizzare per cambiare il mondo [Nelson Mandela]

Elisabetta Alderighi

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

Introduzione

Lo scopo di queste pagine è quello di raccogliere alcuni spunti di riflessione nati durante il percorso di

Tirocinio, sia in itinere che maturati poi a posteriori, e derivanti da una molteplicità di esperienze che hanno

incluso non solo momenti di approfondimento disciplinare e metodologico bensì anche di dialogo

educativo e di confronto personale considerando l’elevato numero di figure coinvolte: docenti universitari,

tutor scolastici ed universitari, allievi e che ci hanno visto nella duplice e contemporanea veste di

docenti/discenti. Se pure i tempi complessivi di durata del Tirocinio, specie di quello diretto, non siano stati

di ampio respiro, si è potuto considerare anche questo come ulteriore spunto inducendo a riflettere su

quali potessero essere considerati obiettivi a breve termine, e quindi perseguibili, ed altri invece solamente

progettabili od ipotizzabili, ma di fatto poco esperibili in pratica. Del resto, credo che il valore e la forza di

questa esperienza sia proprio quello di non considerarla chiusa in stessa, né tanto meno un punto di arrivo,

quanto piuttosto un punto di partenza ed un valido incentivo a voler mettere in pratica, in un prossimo

futuro quanto appreso, pensato e progettato durante questo periodo altamente formativo.

Se è vero, come è vero, che la riflessività, è uno dei principali requisiti della nuova funzione docente, il

ripercorrere questa esperienza nella sua complessità non può che rappresentare un ottimo punto di inizio

in tal senso. A questo scopo, si cercherà di mettere a fuoco quelli che sono stati i suoi aspetti salienti, o

quantomeno quelli che sono stati percepiti come tali, a livello esperienziale, da chi scrive.

In particolare, il focus sarà centrato su tre aspetti principali:

- aspetti relazionali (specie per quanto riguarda il rapporto docente/discente/disciplina)

- aspetti progettuali e metodologici (nell’ottica di accrescimento di motivazione ed interesse e quindi

predisposizione a quella relazione educativa, attraverso cui passa ogni percorso di apprendimento)

- aspetti disciplinari (nell’ottica di ampliamenti/approfondimenti rivelatisi strumentali e funzionali

alla progettazione di un certo tipo di percorso)

1. Strutturazione del tirocinio diretto

Il tirocinio diretto è stato svolto in parte presso l’ITC Antonio Pacinotti di Pisa ed in parte presso l’Istituto di

Istruzione Superiore E. Santoni, sempre di Pisa. Presso il primo istituto sono state svolte 53 ore per la parte

disciplinare di Matematica Applicata (A048) sotto la supervisione della Prof.ssa Antonella Palla. Presso il

secondo Istituto sono stati svolti in concomitanza sia un periodo di supplenza (dal 3/05/13 al 08/06/13) per

la classe di Matematica (A047) che le 25 ore inerenti la didattica speciale per l’integrazione degli alunni con

disabilità sotto la supervisione della Prof.ssa Maria Gabriella Bonomi (area tecnologica AD03), anche se

parte di queste ore sono state seguite nelle classi della Prof.ssa Susanna Bucchioni.

1.1 Gli istituti

L’ITC A. Pacinotti è un Istituto Commerciale ben radicato nel territorio pisano; la sua fondazione risale al

1912 e nel corso degli anni ha subito diverse trasformazioni sia in termini dimensionali che di indirizzo a

seguito non solo delle diverse congiunture storico-politico-economiche ma anche delle svariate riforme in

tema di istruzione che si sono susseguite durante il suo secolo di vita.

Nell’anno scolastico 2010-2011, con l’entrata in vigore del riordino dei cicli proposto dall’allora ministro

Gelmini, l’Istituto Tecnico Commerciale è diventato Istituto Tecnico-Settore economico e l’indirizzo ha

assunto la denominazione di Amministrazione-Finanza e Marketing. Questo indirizzo prevede che gli

studenti, all’inizio del terzo anno, possano scegliere se proseguire nell’Indirizzo Amministrazione-Finanza e

Marketing oppure in una articolazione dello stesso denominata Sistemi Informativi Aziendali. Infine,

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nell’anno scolastico 2011-2012 è stato attivato l’Indirizzo Turismo, che ha rappresentato una novità

assoluta per la città di Pisa.

L’Istituto d’istruzione Superiore E. Santoni, con le Sezioni associate Istituto Tecnico per Geometri (E.

Santoni) e Istituto Tecnico per Attività Sociali (C. Gambacorti), nasce il 1° settembre 1999 dalla fusione

dell'ITGA Santoni e dell'ITAS Gambacorti, a seguito delle operazioni di riordino del sistema scolastico

provinciale determinato dal Regolamento sul dimensionamento delle Istituzioni scolastiche (DPR. 275/99 e

DPR. 235/07). La scuola ha attualmente due sedi di cui una in Largo Concetto Marchesi che ospita gli

indirizzi di geometri, periti agrari e dirigenti di comunità mentre nell’altra, in Via Possenti, si trova l’indirizzo

scientifico-biologico. Per quanto riguarda la popolazione scolastica, il comune pisano è il territorio

maggiormente rappresentato dall’utenza dell’Istituto, tuttavia molti sono anche gli studenti che

provengono dalla provincia ed in numero minore quelli di provenienza da province limitrofe.

1.2 Le classi

Le ore di tirocinio diretto presso l’ITC Pacinotti, sono state svolte in cinque diverse classi di cui quattro del

biennio (due del settore turistico e due del settore economico) più una classe quinta del vecchio corso

IGEA. Il mio inserimento nelle diverse attività svolte è stato notevolmente agevolato dall’ottimo contesto

educativo preesistente fra la docente Tutor e ciascun gruppo classe. A questo proposito, alcune

considerazioni sugli aspetti relazionali, ritenuti elemento essenziale per la promozione di qualsiasi azione

formativa, sono riportate nei paragrafi successivi.

Segue una breve descrizione delle classi redatta sulla base delle relazioni di fine anno predisposte dalla

docente Tutor in modo tale da avere un’idea del contesto in cui si è operato.

Classe 1A

La classe era formata inizialmente da 25 alunni, di cui uno si è ritirato nel corso dell’anno mentre altri due

non hanno più frequentato a partire dal mese di marzo. Il test d’ingresso aveva evidenziato per un buon

numero di alunni alcune lacune di base, che sono state tuttavia colmate durante il corso dell’anno anche

grazie alle attività di recupero attivate dalla scuola. I ragazzi non hanno dato particolari problemi dal punto

di vista comportamentale ed hanno mostrato nel complesso un notevole interesse sia per la materia che

per la vita scolastica in genere. Al termine dell’anno la maggior parte degli alunni (80%) ha raggiunto gli

obiettivi minimi previsti nella programmazione iniziale.

Classe 1AT

La classe era formata inizialmente da 26 alunni di cui tre si sono ritirati nel corso dell’anno mentre due si

sono aggiunti nel mese di gennaio. Il test d’ingresso aveva evidenziato per un buon numero di alunni gravi

carenze di base, che sono state recuperate da parte di alcuni anche grazie alle attività di recupero

organizzate dalla scuola. I ragazzi, non hanno dato nel complesso particolari problemi dal punto di vista

comportamentale anche se non tutti hanno mostrato interesse per la materia e per la vita scolastica. Al

termine dell’anno la maggior parte degli alunni ha tuttavia raggiunto gli obiettivi minimi previsti nella

programmazione iniziale.

Classe 2A

La classe era inizialmente formata da 25 alunni di cui due ripetenti, uno proveniente da altra scuola ed un

altro che si è ritirato nel mese di marzo. In classe si ha inoltre la presenza di un’alunna ipoacusica seguita

durante tutte le ore disciplinari da un’assistente specializzata dell’ASL; l’alunna segue il percorso curricolare

senza alcuna differenziazione in termini di raggiungimento degli obiettivi minimi. Attraverso le prove di

verifica ed i colloqui iniziali si sono rilevate per un gruppo di alunni carenze di base e difficoltà nel metodo

di studio, che per alcuni sono rimaste nonostante le attività di recupero organizzate dalla scuola. Nel corso

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dell’anno la classe non ha presentato particolari problemi comportamentali; tuttavia non sempre ha

mostrato interesse e partecipazione attiva al lavoro scolastico. Al termine dell’anno, nonostante le

difficoltà, un certo numero di studenti ha raggiunto un buon livello di preparazione, per alcuni dei quali

anche ottimo, mentre un discreto gruppo ha raggiunto gli obiettivi minimi.

Classe 2AT

La classe era inizialmente formata da 24 alunni di cui uno si è ritirato durante il corso dell’anno. Attraverso

le prove di verifica ed i colloqui iniziali si sono rilevate per un gruppo di alunni carenze di base e difficoltà

nel metodo di studio, che per alcuni sono rimaste nonostante le attività di recupero organizzate dalla

scuola. Nel corso dell’anno la classe non ha presentato particolari problemi comportamentali; tuttavia non

sempre ha mostrato interesse e partecipazione attiva al lavoro scolastico.

Classe 5BI

La classe era inizialmente composta da 19 alunni di cui uno si è ritirato durante il corso dell’anno. La classe

ha mostrato modesto interesse per le problematiche affrontate nel corso dell’anno ed il senso critico

espresso nell’approccio ai problemi si è rivelato patrimonio di un numero ristretto di alunni, limitandosi i

più ad una imitazione passiva dei concetti presentati a lezione. Nel corso dell’anno la classe non ha

mostrato particolari problemi comportamentali, eccetto qualche episodio isolato, mostrandosi nel

complesso vivace ma corretta.

Dalla breve sintesi sopra presentata è possibile dedurre le seguenti osservazioni:

- in nessuna delle classi si sono presentati particolari problemi comportamentali

- ad eccezione della 1A, sono state rilevate in tutte le altri classi da parte di alcuni gruppi di alunni

carenze di interesse per la materia e motivazionali

- nella classe 5BI si lamentata nel complesso la mancanza di una adeguato sviluppo del senso critico

nell’approccio ai problemi proposti

Queste considerazioni sono funzionali, all’approccio metodologico seguito nella progettazione di alcuni

percorsi descritti di seguito che ha avuto pertanto come obiettivo primario quello di fornire ai ragazzi una

maggiore motivazione all’apprendimento e di conseguenza un rinnovato interesse nei confronti della

disciplina.

Le ore di supplenza sulla disciplina presso l’IIS E. Santoni, si sono svolte in due classi: la 3B dell’Indirizzo

Costruzioni Ambiente e Territorio e la 2E dell’Indirizzo Agraria-Agroalimentare e Agroindustria. Per quanto

riguarda il tirocinio diretto sulla didattica speciale effettuato presso la stessa scuola, non appare rilevante

presentare una descrizione delle classi in quanto la maggior parte delle ore ha riguardato le attività del

Laboratorio di Comunicazione e Linguaggi, di cui si parlerà più avanti.

Segue una breve descrizione delle classi in cui è stata effettuata la supplenza di matematica, stilata anche

sulla base delle indicazioni contenute nel programma annuale redatto dalla docente titolare.

Classe 2E

La classe è costituita da 18 alunni dei quali 3 certificati ai sensi della legge n.104/92. Il livello della classe ad

inizio anno, si è presentato assolutamente inferiore alla media. Dal punto di vista comportamentale, gli

studenti si distraggono facilmente e devono essere continuamente richiamati e stimolati a seguire la

lezione. Tuttavia, almeno per quanto riguarda gli argomenti trattati durante il periodo di supplenza, la

risposta presentata dagli alunni è stata nel complesso positiva mostrando questi un atteggiamento

entusiasta di fondo, che in alcuni casi ha consentito anche un buon recupero in termini di rendimento.

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Classe 3B

La classe è costituita da 20 alunni. A seguito della valutazione in ingresso, Il livello medio di partenza della

classe si è rivelato piuttosto basso per cui si è evidenziata la necessità di una continua azione di controllo e

recupero. Durante il periodo di supplenza, per quanto riguarda l’andamento disciplinare si sono verificati da

parte di alcuni, episodi di comportamento non adeguati al contesto scolastico. Inoltre, per alcuni si è

evidenziato un atteggiamento di generale disinteresse verso la materia e mancanza di motivazione. Di

conseguenza, i risultati in termini di rendimento sono stati piuttosto scarsi e, fatta eccezione per pochi

alunni, è stato confermato il basso livello mediamente raggiunto nella disciplina dal gruppo classe.

Dalla breve descrizione presentata, si possono trarre le seguenti considerazioni:

- in entrambe le classi si è evidenziato un livello medio di partenza estremamente basso

- l’azione didattica è resa estremamente difficoltosa nella classe seconda per una estrema facilità alla

distrazione, se pure accompagnata da un certo entusiasmo di fondo, mentre nella classe terza da una

diffusa mancanza di interesse verso la disciplina e da scarse motivazioni generali

Sia l’esperienza di supplenza, se pure nella sua limitatezza temporale, che quella fatta nelle classi della

docente Tutor si sono rivelate per me estremamente formative per quanto riguarda l’aspetto relazionale

ponendosi l’una a completamento dell’altra; le riflessioni fatte in tal senso sono riportate nei paragrafi che

seguono.

1.3. Aspetti relazionali: dal triangolo al quadrilatero dell’insegnamento

Ormai lontani dalla concezione gentiliana del chi sa, sa insegnare nella scuola attuale dell’autonomia, del

curricolo e delle competenze, il fatto che non possa sussistere un percorso di apprendimento significativo

se non all’interno di una relazione educativa, è una visione ampiamente condivisa. Il costruire una relazione

di questo tipo fra docente e discente richiede da parte del primo disponibilità e predisposizione all’ascolto

attivo (empatia) in modo tale che ci possa essere un investimento di fiducia da parte dell’allievo nei suoi

confronti che lo faccia assurgere a figura significativa di riferimento. Dalla parte dell’alunno, invece, sono

essenziali le motivazioni all’apprendere e queste possono essere innate (per cultura familiare e/o interesse

personale) oppure in caso contrario, devono essere in qualche in modo incentivate da parte

dell’insegnante. Certo è, che la creazione di un simile contesto educativo (inteso in termini relazionali)

richiede di per se stessa delle tempistiche sufficientemente lunghe e soprattutto non si considera chiusa in

se stessa ma per sua stessa natura vive e si trasforma in itinere durante (almeno) l’intero anno scolastico.

L’instaurarsi di un simile rapporto di fiducia è funzionale al ricoprimento da parte dell’insegnante di quel

ruolo di mediazione fra l’allievo e la disciplina insegnata (nel nostro caso la matematica), come viene

efficacemente rappresentato e sintetizzato nel triangolo delle situazioni1 (o dell’insegnamento).

FIGURA

A tale proposito, sono nati in particolare due spunti di riflessione. Il primo riguarda la tempistica, ovvero il

fatto che il tempo materiale né del tirocinio diretto né di una supplenza breve sia stato in qualche modo

compatibile con lo sviluppo in senso pieno di un simile contesto relazionale. La seconda considerazione

riguarda invece le dinamiche relazionali propriamente dette, ovvero il fatto che in nessuno dei due casi,

(tirocinio diretto o supplenza breve) e per ragioni diverse, ci sia stata la creazione del suddetto triangolo

relazionale, ma piuttosto di un quadrilatero2. Ai fini di inquadrare al meglio il contesto in cui si sono svolte

parallelamente (in senso temporale) entrambe le esperienze, si illustra qui di seguito che cosa si intende

1 R. Zan, Difficoltà in matematica Osservare, Interpretare, Intervenire, Springer. Questo triangolo viene proposto in

lavori di Y. Chevallard a partire dal 1982, ma secondo D’Amore la sua origine è certamente precedente (nota pg.6). 2 Dal colloquio con la Professoressa R. Zan nell’ambito del corso di ‘Didattica della Matematica’

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per quadrilatero delle relazioni e quali possono essere le sue implicazioni sulla progettazione/realizzazione

di un percorso didattico e sul raggiungimento degli obiettivi prefissati.

1.3.1 Il quadrilatero delle relazioni: Docente Tutor/Tirocinante/Allievo/Disciplina

Per quella che è stata la mia esperienza, ritengo che il rapporto del Tirocinante con il gruppo classe e quindi

con i singoli allievi non si possa considerare in genere un rapporto diretto, bensì mediato dalla presenza del

docente tutor, e questo anche nel momento cui svolge direttamente un’azione didattica (la funzione

docente). Ciò che credo sia importante, infatti, non sono soltanto le azioni compiute bensì il modo con cui il

tirocinante viene percepito dal gruppo classe o meglio ancora il ruolo che, se pure inconsapevolmente, il

gruppo classe gli affida. Ecco quindi che il tirocinante assurge, a differenza del docente, non a ruolo di

mediatore fra l’allievo e la disciplina quanto piuttosto a ruolo di mediatore fra l’allievo ed il docente Tutor

stesso. In che senso mediatore? E perché accade questo?

A dispetto di quanto si sta cercando di promuovere negli ultimi anni da parte degli istituti scolastici

nell’ottica di una scuola attuale incentrata sul curricolo, sulla personalizzazione dei percorsi educativi e

formativi e quindi sul raggiungimento di competenze che investano l’alunno nella sua globalità, il momento

della valutazione viene ancora percepito dall’alunno e quindi a monte dalle famiglie, come un evento a

carattere essenzialmente sanzionatorio piuttosto che formativo. Questa percezione il più delle volte

rappresenta un intralcio al processo di apprendimento, in quanto fa inevitabilmente spostare il focus sul

prodotto, e cioè sul risultato finale, anziché sul processo di apprendimento stesso.

In questa ottica, al tirocinante manca pertanto una funzione docente fondamentale (agli occhi del gruppo

classe) ovvero la funzione valutativa che, unita alla consapevolezza di essere nella condizione discente egli

stesso, lo porta ad essere visto piuttosto come un ausilio esterno, un sostegno, un supporto allo

svolgimento delle attività affidate dal docente Tutor. In questo senso, svolge un ruolo di mediatore non

tanto nei confronti della disciplina insegnata quanto piuttosto del docente Tutor stesso.

Sono consapevole che generalizzare vuol dire in qualche modo banalizzare, in quanto ciascun gruppo classe

ha le proprie peculiarità ed è costituito da un insieme di diversi ‘sentire’ cosi che le percezioni sviluppate nei

confronti del tirocinante sono funzione non solo dell’età media del gruppo ma anche del tipo di contesto in

cui il tirocinante a sua volta si inserisce.

Nella mia esperienza ad esempio, i ragazzi della quinta classe, hanno instaurato con me una modalità

relazionale di tipo sostanzialmente ‘fra pari’, mentre i ragazzi del biennio hanno mantenuto un po’ di

distanza in più, vedendo in ogni caso nella mia presenza un punto di riferimento costante per lo

svolgimento delle attività a loro di volta in volta assegnante.

Al tempo stesso, nel mio ruolo di tirocinante ho osservato che, dal punto di vista della funzione docente, ci

si trova in una condizione per cosi dire privilegiata nel senso che essendo coinvolti nella relazione educativa

in modo indiretto o comunque mediato, non se ne subisce il carico emotivo. Inoltre, anche per quanto

riguarda la funzione valutativa, questa è stata assolta ma solamente in modo indiretto e sempre in un’ottica

di mediazione e confronto con la docente Tutor, non subendone pertanto il carico che altrimenti deriva da

una necessaria assunzione di responsabilità.

In base alle considerazioni sin qui fatte, e nell’ottica di analizzare le ricadute di un simile contesto su una

qualunque azione didattica intrapresa nell’ambito del tirocinio, ho raccolto le due seguenti riflessioni:

1) In qualità di tirocinante, mi sono trovata nella condizione più proficua per poter progettare e

svolgere un’azione didattica (ridotto carico emotivo, limitata responsabilità, bisogni del gruppo

classe e dei singoli in parte già analizzati ed evidenziati da parte del docente tutor, buona

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predisposizione al dialogo educativo da parte dei gruppi classe che mi hanno visto come ausilio allo

svolgimento delle attività)

2) il contesto in cui tale azione didattica è stata intrapresa si rivelato, per le ragioni sopra esposte, di

natura intrinsecamente diversa e quindi solo in parte rappresentativa di quella che è un’effettiva

esperienza di docenza in classe

1.3.2 Il quadrilatero delle relazioni: docente titolare, docente supplente, allievo, disciplina

Un contesto piuttosto diverso si viene a creare nel momento in cui si è investiti direttamente ed in prima

persona di un incarico; questa volta la funzionalità docente ci appartiene interamente in tutte le sue forme.

Anche in questo caso è opportuno fare una distinzione in base alla tempistica; per le ragioni già spiegate in

precedenza una supplenza annuale non può essere paragonata ad una supplenza breve, sia pure questa di

qualche mese. Facendo riferimento all’esperienza che mi ha riguardato ovvero di una supplenza breve che

si protragga comunque fino alla fine dell’anno scolastico (in cui si ha il momento ritenuto deputato alla

valutazione per eccellenza), ha ancora un senso parlare di quadrilatero delle relazioni: ma che cosa

significa?

Entrando in classe da supplenti, ci si trova ad occupare la posizione di uno dei tre poli del triangolo delle

relazioni detto prima, partendo però di fatto da un contesto già esistente, ovvero quello creato in

precedenza dall’insegnante titolare. Quindi, nonostante l’insegnante titolare non sia fisicamente presente

in classe, di fatto lo è nella misura in cui è riuscito a creare una serie di legami, e quindi un contesto che in

qualità di supplenti si va in qualche modo a perturbare cercando di inserirsi con il proprio modo di essere

nel tentativo di creare a nostra volta legami.

Questo tipo di situazione si è inevitabilmente presentata in entrambe le classi in cui ho svolto la supplenza,

anche se con modalità differenti. Tuttavia, ciò che è stato importante è stato averne la consapevolezza e

soprattutto accettare il fatto che una tale situazione è necessario convivere. In questo caso, in qualità di

supplenti ci si trova la svolgere la funzione di mediazione fra l’alunno e la disciplina insegnata, tuttavia non

da soli ma idealmente affiancati dal docente titolare la cui presenza virtuale si esplica nel contesto

(relazionale) precedentemente creato. In questo caso è stato fondamentale, specialmente nei primissimi

giorni, cercare di entrare in sintonia con il contesto per comprendere fin da subito il linguaggio condiviso

dal gruppo classe e potersi accordare con esso.

Anche in questo caso, come già detto in precedenza, non sarebbe corretto generalizzare in quanto ogni

gruppo classe ha la propria specificità, il proprio modo di stare in relazione con il docente derivante dalla

pluralità degli individui che lo compongono. Tuttavia, in genere il successo o meno di una qualunque azione

educativa/formativa passa principalmente dal modo di costituirsi di tale relazione.

In casi estremi, in presenza di atteggiamenti fortemente oppositori di mancanza di fiducia e totale

demotivazione da parte del gruppo classe o anche di singoli le possibilità di portare a termine un’azione

efficace sono molto ridotte. Questo mi è accaduto ad esempio con un gruppo di ragazzi della classe terza.

Viceversa, dal versante opposto, qualora si riesca a restituire quel senso di fiducia e di incoraggiamento

laddove fossero venuti meno, è possibile ottenere anche successi inizialmente insperati. Questa è stata

l’esperienza che ha caratterizzato l’esperienza con certo gruppo di ragazzi seconda classe.

Questo a dimostrazione di quanto gli aspetti relazionali siano tutt’altro che secondari rispetto a quelli

prettamente disciplinari ma che anzi costituiscano la partenza, il presupposto essenziale per la costruzione

di un percorso educativo efficace attraverso il quale veicolare conoscenze, competenze ed abilità.

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1.4 Considerazioni conclusive

Come si coniugano queste due esperienze? Ritengo sia stata un’ottima occasione il poterle condurre in

parallelo facendole vivere l’una degli spunti dell’altra, in fondo, è dalla molteplicità delle esperienze che

deriva una maggiore ricchezza. Da un lato, Il fatto di affiancare la docente Tutor durante parte delle sue ore

di lezione ha lasciato ampi spazi a momenti di osservazione (rilevare da un osservatorio privilegiato le

tempistiche del lavoro in aula e le relative modalità di conduzione, il modo di interagire con il gruppo classe

e con i singoli allievi, la gestione dei momenti di verifica) e di confronto/scambio su alcune tematiche

salienti (metodologie didattiche, strumenti, modalità valutative). Dall’altro lato, il fatto di avere

un’esperienza di docenza, ha consentito di esperire in prima persona tutti gli aspetti più prettamente

relazionali e quindi legati al contesto educativo con conseguente assunzione di responsabilità anche in

termini valutativi che, come detto in precedenza, sono stati nell’ambito del tirocinio vissuti solamente in

modo indiretto, in quanto mediati dalla presenza della docente tutor.

Ma quali sono state le ricadute di queste riflessioni in termini di azione didattica?

Da questa breve disamina, si comprende che i due contesti scolastici in cui ho svolto nel complesso la mia

attività sono piuttosto differenti fra loro; per tali ragioni, anche l’azione didattica svolta ha assunto

connotazioni piuttosto diverse. Nelle classi con l’insegnante tutor, l’azione si è incentrata principalmente

sulla progettazione e realizzazione di percorsi che avessero la finalità di stimolare l’interesse e la curiosità

verso alcuni degli argomenti trattati nell’ottica dello sviluppo di quel senso critico che in una scuola che

educhi alla complessità dovrebbe possedere ‘una testa ben fatta’3. Nelle classi in cui si è svolta la

supplenza, l’azione didattica si è configurata invece, per le ragioni sopra esposte e per il fatto che è

avvenuta nel mese conclusivo dell’anno scolastico, prevalentemente come azione di recupero.

L’attività progettuale svolta nelle/per le classi dell’insegnante Tutor verrà diffusamente descritta nei

paragrafi successivi; qui di seguito invece si riportano solo alcune brevi riflessioni relative al percorso di

recupero svolto, puntando l’attenzione più sulle strategie adottate che non sui risultati conseguiti. Ad ogni

modo, una sintesi di quanto ottenuto in alcuni momenti di verifica è riportata nell’Allegato A.

1.5 L’intervento nelle classi durante il periodo di supplenza

Quando si affronta una supplenza, le uniche o comunque le prime informazioni di cui si dispone sono quelle

che derivano dal registro del docente titolare: gli argomenti svolti ed i voti conseguiti nei vari momenti di

verifica. Nell’ottica di privilegiare il percorso di apprendimento piuttosto che il prodotto finale, appare

chiaro che i voti siano solo in parte rappresentativi del percorso formativo stesso. Ritengo pertanto che sia

fare attenzione per evitare di crearsi dei pregiudizi che potrebbero in qualche modo viziare, anche

inconsciamente, l’azione educativa successiva.

L’azione di recupero per è stata svolta limitatamente ad alcuni argomenti: nella seconda classe, la

risoluzione di equazioni di grado superiore al secondo e nella terza classe, la risoluzione di problemi di

geometria analitica con rette, circonferenze e parabole.

In entrambi i casi, ho cercato di formarmi un’idea della situazione che fosse il più possibile autonoma

rispetto alle valutazioni già espresse utilizzando alternativamente le forme dell’intervista con il singolo

allievo e della discussione collettiva, e cercando di focalizzare l’attenzione non tanto sulla risoluzione del

singolo esercizio, quanto sulle strategie di risoluzione adottate.

Il primo dato rilevato in generale è lo stato emotivo dei ragazzi; nel momento in cui si chiede loro di

risolvere un esercizio alla lavagna, scatta la classica domanda: ma mi mette il voto? Indice del fatto che ad

un tale momento viene data valenza eventualmente sanzionatoria ma non certo formativa. Di 3 E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell'insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina, Milano 2000.

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conseguenza, le strategie che l’alunno mette in campo non sono tanto rivolte alla comprensione di quel

particolare problema quanto piuttosto a rispondere correttamente alla domanda, che sono due obiettivi

completamente diversi. (ad es. se l’obiettivo è rispondere bene, una strategia da mettere in atto può essere

quella di cercare di captare suggerimenti dai compagni).

Il secondo dato rilevato, sempre per entrambe le classi, riguarda la generale attitudine nei confronti della

materia. La difficoltà principale generalmente percepita è la necessità di dovere memorizzare un numero

molto elevato di formule, fatto che personalmente ho trovato piuttosto sorprendente. A causa di questa

percezione della materia, accade che gli studenti impiegano generalmente tutte le loro energie nel

tentativo di ricordare anziché cercare di comprendere. Oltretutto, nel momento della prova, il sovraccarico

emotivo può comportare un blocco della memoria con conseguente aumento di ansia da fallimento.

Ad alimentare l’idea che i casi da risolvere (e quindi le formule da ricordare) siano molto numerosi,

concorrono molto spesso anche i libri di testo i quali, nell’intento di facilitare, guidare, condurre per mano

nella risoluzione della più ampia casistica possibile di esercizi, presentano e classificano con dovizia di

particolari caso per caso contribuendo cosi alla convinzione errata che si tratti di tanti problemi diversi.

Talvolta, e parlo principalmente per la terza classe, cercando di favorire la risposta (e non so se questo

possa essere annoverato fra i comportamenti errati del ‘bravo’ insegnante4), ho suggerito di aiutarsi con il

la rappresentazione grafica del problema ma la risposta è stata del tipo: ‘quindi allo scritto vuole anche il

disegno? ma quanti punti vale?’.Ho realizzato quindi che la rappresentazione grafica di un problema in

molti casi non solo viene percepita come elemento accessorio, ma addirittura come negativo in quanto

possibile fonte di perdita di tempo (e quindi di punteggio).

Alla luce di queste osservazioni, ho cercato di delineare alcuni obiettivi in vista di una possibile azione di

recupero:

- eliminare lo stato di ansia (e conseguente blocco), derivante dall’idea di dover ricordare molte

formule

- fornire ed evidenziare strumenti di controllo, (verifica) del problema in modo da alimentare l’idea

della possibilità di correzione dell’errore (piuttosto che la necessità di evitare l’errore stesso). E’

proprio in tale ottica che deve essere a mio avviso interpretata la rappresentazione grafica

Infine, dal punto di vista degli strumenti utilizzati per conseguire tali obiettivi, ho cercato di procedere nella

direzione di presentare situazioni che contribuissero alla formazione di una visione unificata di un problema

fornendo pertanto strade diverse che consentissero di ottenere il medesimo risultato. Quindi non tante

formule per problemi (percepiti come) diversi, ma poche formule da applicare modificando però il processo

risolutivo.

2. Modalità ed esiti del tirocinio diretto nelle classi della docente Tutor

Nelle classi della docente tutor, l’esperienza di tirocinio è stata caratterizzata da una prima se pur breve

fase informativa/osservativa avente lo scopo sia di conoscenza della composizione del gruppo classe che di

rilevazione della gestione dei tempi della lezione e delle sue modalità di conduzione.

Questa prima fase è stata considerata propedeutica alla realizzazione di alcuni percorsi didattici, in quanto

l’attenzione è stata concentrata principalmente sulle modalità di introduzione e presentazione degli

argomenti da parte della docente Tutor.

4 I danni del "bravo" insegnante. Tratto da: "Le difficoltà in matematica: da problema di pochi a risorsa per tutti", (cur.

Livorni L. e Meloni G. e Pesci A.), Atti del Convegno Matematica e difficoltà, Castel San Pietro, Bologna, 2001, Pitagora Editrice, pp. 135-141.

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

2.1 La fase osservativa

Le informazioni inerenti alla fase osservativa sono riassumibili nei seguenti punti:

1) l’obiettivo della lezione viene generalmente esplicitato dall’insegnante Tutor alla lavagna e facendo

utilizzo di esercizi guida di riferimento

2) per consentire il collegamento dell’argomento in oggetto con altri propedeutici alla comprensione

e già trattati in precedenza, il docente tutor sollecita il gruppo classe con domande opportune

invitando gli studenti ad intervenire partecipando in modo attivo

3) i diversi passaggi logici dell’argomento trattato, sono di volta in volta scanditi da diversi toni di

voce, in modo da richiamare l’attenzione sugli aspetti più significativi

4) le connessioni tra le varie parti sono talvolta esplicitate attraverso schemi tipo diagramma di flusso

5) la tempistica relativa alla introduzione dei concetti non è mai preponderante rispetto al corpo della

lezione (10-15 minuti al massimo) e questo da un lato per non indurre a tempi di ascolto e

concentrazione eccessivamente lunghi e dall’altro per lasciare maggior spazio agli aspetti

partecipativi concretizzati attraverso la risoluzione di esercizi da parte degli studenti stessi

6) alle richieste di chiarimenti emerse durante la presentazione degli argomenti, viene dedicato ampio

spazio, privilegiando le risposte ai quesiti in modo individuale e personalizzato evitando pertanto di

riproporre la spiegazione due volte nella medesima maniera

7) solo in rare occasioni, la docente ha evitato di proporre la sintesi finale dell’argomento lasciando

che questa fosse raggiunta dal gruppo classe in modo autonomo, come elemento di scoperta

2.2 L’azione didattica

La legge n.59 del 1997 ed il suo Regolamento attuativo n.275 del 1999, hanno rappresentato di fatto una

tappa fondamentale del percorso evolutivo del sistema scolastico italiano incentrando la sua struttura

sull’autonomia. In seguito a questo, il curriculum e la progettazione curricolare sono stati posti al centro del

lavoro scolastico con l’obiettivo di sostituire la più antiquata concezione di programma legato ad un modo

di fare scuola contrassegnato dalla passività, sia da parte dei docenti che degli alunni. Nonostante questa

consapevolezza, nella attuale pratica scolastica non si è ancora giunti alla piena realizzazione di simili

obiettivi. La didattica modulare, se pure di per se stessa incentivi la costruzione percorsi personalizzati,

grazie alla possibilità di combinazione con altri moduli e di conferimento quindi di una connotazione

fortemente multidisciplinare al percorso, può non essere sufficiente nella misura in cui ciascuna unità

didattica, che ne rappresenta l’unità minima di programmazione, non venga essa stessa ripensata e

riorganizzata. Questo richiede un altro requisito essenziale nella professione docente attuale: la

progettualità, che a sua volta implica ripensamento di metodologie e strumenti in un’ottica di formazione

continua e di sperimentazione sempre in corso.

In tale contesto, si inserisce oggi anche l’insegnamento della Matematica disciplina a cui da sempre è stato

riconosciuto un elevato valore formativo grazie anche alla trasversalità che le è propria e su cui si deve a

mio avviso far leva come punto di forza affinché venga vista e vissuta dai ragazzi come la chiave che può

svelare loro i fatti del mondo piuttosto che come un arido deserto di formule più o meno prive di senso da

ricordare a memoria.

Sulla base di queste considerazioni, il focus dell’azione didattica si è centrato sulla progettazione di alcune

unità didattiche con l’obiettivo principale di riorganizzare e rielaborare di volta in volta i saperi necessari,

secondo modalità che potessero favorire lo sviluppo di quelle capacità critiche e riflessive che costituiscono

le caratteristiche essenziali di soggetti consapevoli.

Le unità didattiche progettate, sono brevemente riassunte qui di seguito:

- Il metodo del simplesso: dalla soluzione grafica a quella algebrica (per la classe 5BI)

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

- Introduzione alla probabilità: dallo spazio degli eventi alla probabilità totale (per la classe 2A)

- Introduzione ad alcuni concetti di geometria piana: il Tangram (per le classi 2A, 2AT, 2E)

Di queste unità didattiche, solamente quella per la quinta classe è stata effettivamente realizzata in aula,

per le altre purtroppo non è stato possibile a causa di contingenze connesse da un lato alla tempistica

eccessivamente ristretta e dall’altro alla non sempre possibile fruibilità di spazi laboratoriali quando non

previsti dall’orario settimanale.

2.2.1 L’attività progettata e realizzata nella la Classe 5BI

Nell’ambito della programmazione per la classe quinta dell’indirizzo economico, la ricerca operativa

rappresenta un argomento molto importante; all’interno di questa, si colloca la risoluzione dei problemi di

ottimizzazione in condizioni di certezza. La risoluzione di questa tipologia di problemi richiede di per se

stessa una buona attitudine al problem posing/solving in quanto risulta fondamentale la capacità di

tradurre una certa realtà fenomenica (rappresentata dai dati del problema) in modello matematico. In un

secondo momento si richiede poi la conoscenza degli strumenti matematici necessari alla risoluzione del

problema stesso. Tradizionalmente nell’affrontare l’argomento, si parte dalla risoluzione di problemi in due

variabili (di azione) per poi passare ad una generalizzazione a problemi in più variabili.

Volendo proporre un percorso sull’argomento sono stati fondamentali i seguenti aspetti di riflessione:

- Contestualizzazione dell’argomento all’interno della programmazione didattica

- Analisi critica di testi scolastici per osservare come l’argomento viene generalmente proposto

- Documentazione su altri testi di riferimento necessari all’approfondimento disciplinare

- Osservazione delle maggiori difficoltà incontrate dagli studenti

Per quanto riguarda l’analisi dei libri di testo scolastici sono state fatte le seguenti considerazioni:

Il passaggio dalla risoluzione di problemi in due variabili (che viene comunemente affrontato per via grafica)

a problemi con tre o più variabili (risolti con il metodo del simplesso) avviene in modo brusco, lasciando

quasi allo studente la sensazione che si tratti ‘di due problemi diversi’.

Cito testualmente da Scaglianti, Chiodi, Mangiarotti Concetti di ricerca operativa e teoria dell’ottimizzazione

Ed. CEDAM:

Il metodo grafico è comodo perché permette di visualizzare i vincoli sul piano; però è limitato ai problemi di

P.L. in due variabili, o riconducibili a due variabili. Nei prossimi paragrafi esporremo il metodo generale di un

problema di P.L, in n variabili: il metodo del simplesso, messo a punto da Dantzig (1974). Si tratta di un

metodo iterativo il quale, partendo da una soluzione del sistema dei vincoli, permette di ottenere

successivamente la soluzione ottima, se esiste.

In effetti, una simile presentazione dell’argomento non suona esattamente come un invito allo sviluppo

della capacità critica.

Il metodo del simplesso viene generalmente presentato nella forma del tableau. Questa modalità se pure

ha il pregio di essere estremamente sintetica e chiaramente adatta ad una implementazione numerica,

fornisce di fatto scarsi agganci con il problema concreto rischiando di divenire un mero esercizio di calcolo

estremamente ripetitivo, monotono (e quindi anche noioso) ma di scarsa comprensione per gli studenti,

perché difficilmente contestualizzabile.

Gli esercizi comunemente proposti come applicazione del metodo, presentano generalmente una forma

‘adatta’ ad essere risolta, evitando quelle generalizzazioni che potrebbero portare a complicazioni (sia di

calcolo che relative alla introduzione di concetti di non facile portata) ,ma escludendo di fatto la risoluzione

di una serie di problemi concreti. Seguono alcuni esempi di che cosa si intende qui per forma adatta:

- Si tratta di problemi, generalmente di massimo, in cui il verso delle disequazioni è rigorosamente

concorde (cioè tutti ‘minore od uguale’ nel caso si tratti di massimizzazione)

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

- I problemi di minimo, vengono introdotti come variante del metodo del simplesso, ma in generale

non vengono proposti esercizi di risoluzione in più variabili in tal senso

- Non sono presentati problemi in cui le disequazioni di vincolo presentino un verso discorde

Per quali motivi avviene questo? Utilizzando la forma del tableau si costruisce una prima soluzione di base

ammissibile costituita dalle sole variabili fuori base che devono necessariamente risultare tutte positive e

questo in un problema di massimo con l’aggiunta di variabili slack avviene in modo automatico. Al

contrario, la risoluzione di un problema di minimo con l’aggiunta di sole variabili di surplus porta ad una

soluzione di base non ammissibile, con tutte variabili in base negative ecco perché quando il problema è

posto in questa forma si risolve utilizzando la forma del tableau passando al problema duale (al quale

generalmente si fanno al più degli accenni a livello di scuola secondaria di secondo grado) ovvero

riconducendosi, attraverso delle precise regole di trasformazione, nuovamente ad un problema di massimo

che ovviamente presenta le soluzioni del problema di partenza. In base a queste considerazioni, si capisce

che in presenza di un problema anche in due sole variabili come quello proposto, nella cui formulazione

standard compaiono sia variabili di slack che di surplus, non è possibile utilizzando il tableau ottenere una

soluzione di base ammissibile iniziale in quanto alcune delle variabili in base risulteranno in ogni caso

negative. Per tale ragione in questi casi, qualora si voglia applicare il metodo del simplesso nella forma del

tableau, è necessario ricorrere ad un ulteriore artificio consistente nella introduzione di ulteriori variabili

nel modello matematico, dette variabili artificiali, che oltre ad aumentare ulteriormente l’onerosità del

calcolo contribuiscono ad una perdita di concretezza.

Riflettendo su tutti questi aspetti, si è pertanto pensato di proporre un’introduzione al metodo del

simplesso completamente differente, presentandolo senza soluzione di continuità rispetto alla risoluzione

per via grafica, ovvero partendo da essa per spiegarne ciascuna fase.

Questo è stato possibile osservando che in altri testi, generalmente non scolastici, viene proposta una

formulazione del metodo simplesso un po’ differente che si basa sostanzialmente su un approccio algebrico

di tipo matriciale. Probabilmente tale approccio non viene riportato nei testi scolastici perché ritenuto

troppo complesso dal punto di vista formale; in realtà, attraverso un approccio operativo basato sulla

risoluzione di casi studio questo può essere inizialmente introdotto anche senza far uso di eccessivi

simbolismi. Chiaramente, una formulazione più rigorosa può anche essere proposta in chiave di

approfondimento disciplinare qualora il contesto del gruppo classe lo consenta.

Volendo parlare in termini di prerequisiti, per l’approccio proposto ed utilizzato sono sufficienti le seguenti

conoscenze di base:

- sapere che cos’è il determinante di una matrice e come si calcola

- sapere che cosa sono la matrice trasposta e la matrice inversa e saperle determinare

- saper eseguire il prodotto righe per colonne fra matrici

- condizioni di risoluzione di sistemi algebrici

- rappresentazione di rette nel piano cartesiano

Introdurre il metodo del simplesso nella sua formulazione algebrica, mostrando ad ogni passo il

collegamento e l’analogia con la risoluzione per via grafica di un problema in due variabili, ha lo scopo di

mantenere costantemente il contatto con il dato fenomenico affinché il successivo passaggio ai problemi

con più variabili ne appaia come la naturale estensione, più facilmente acquisibile ed interiorizzabile una

volta che un certo processo di apprendimento è avviato.

Ma come è avvenuta effettivamente la realizzazione dell’attività in classe?

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In una prima fase i ragazzi sono statti invitati a lavorare in piccoli gruppi, e questo è stato agevolato sia dal

loro numero, piuttosto contenuto, sia dalla buona disponibilità mostrata nei miei confronti ed espressa

dall’entusiasmo e dalla sollecitudine con cui hanno risposto ad ogni attività proposta. Per effettuare questa

parte della attività, sono state utilizzate anche parte delle ore extracurricolari dedicate al potenziamento ed

all’approfondimento di alcune parti della disciplina in funzione dell’esame di maturità. I ragazzi sono stati

poi invitati a proporre delle possibili formulazioni di problemi in due variabili, consultando in maniera critica

materiali reperiti in rete (web quest) ed il libro di testo. Questa attività si è rivelata preziosa per la presa di

coscienza, da parte di molti di loro, del passaggio necessario e fondamentale dalla realtà fenomenica al

modello matematico che la rappresenta. Inoltre ha portato una maggiore consapevolezza di quelli che

possono essere maggiori o minori elementi di complessità del problema e quindi della sua soluzione (come

ad esempio il numero delle equazioni di vincolo) e delle implicazioni che questo può avere in termini di

soluzione: una nessuna o infinite. Per ciascuno dei problemi proposti, si sono poi invitati i ragazzi a trovare

la soluzione con il metodo grafico che è quello in ogni caso a loro più congeniale, rappresentando questa

anche un’occasione per loro di consolidamento delle conoscenze già acquisite.

In una seconda fase, dalla discussione dei risultati ottenuti, si è giunti in maniera collettiva alla costruzione

del problema che servisse come caso studio, e che risultasse pertanto funzionale alle introduzione del

metodo del simplesso tramite l’approccio algebrico.

Si è costruito pertanto un problema in due variabili con cinque disequazioni di vincolo (oltre a quelle di

segno) che presentassero versi discordi; dopodiché, il punto di partenza è stato dato dalla risoluzione del

problema per via grafica proposta all’intero gruppo classe come ulteriore esercizio.

Il primo passo riguarda la trasformazione del problema nella sua forma standard. Se i versi dei vincoli sono

discordi, si necessita sia di variabili slack che di surplus. Ma qual è il loro significato? Prendiamo un punto

interno alla regione ammissibile ed immaginiamo di muoversi verso la frontiera in direzione ortogonale a

ciascuno dei vincoli. Le variabili di slack o di surplus rappresentano rispettivamente le quantità che devo

aggiungere o togliere per arrivare sul vincolo. In questo modo, il sistema di disequazioni viene trasformato

in un sistema di equazioni sempre esprimibile nella forma dove A rappresenta la matrice dei vincoli

e b quella dei termini noti.

Si possono invitare i ragazzi a costruire le matrici A e b e ad osservare le loro dimensioni in termini di righe

e colonne. Ricordando i criteri di risoluzione dei sistemi algebrici, si chiede di estrarre da A una matrice

quadrata di rango pari al numero delle sue righe; questa è la matrice AB, associata alle variabili di base B. La

sua complementare rispetto ad A è la matrice AN delle variabili non in base N.

Si chiede poi di esprimere le variabili in base in funzione di quelle non in base eseguendo a tale scopo le

operazioni fra matrici necessarie; dopodiché, ponendo le variabili fuori base uguali a zero, si ottiene una

prima soluzione di base del problema. E’ una soluzione di base ammissibile? Una soluzione ammissibile è

una soluzione che appartiene alla regione ammissibile e questo significa che oltre a soddisfare i vincoli di

uguaglianza deve soddisfare anche i vincoli di non negatività delle variabili di azione ( .

E che cosa significa porre uguale a zero le variabili fuori base?

Significa che ci stiamo muovendo lungo i vincoli (le rette che delimitano la regione ammissibile)

corrispondenti alle variabili annullate e dove questi si incontrano, si ha un vertice della regione ammissibile.

Quindi, osservando la soluzione di base costruita per via algebrica, si è in grado di identificare il vertice della

regione ammissibile che le corrisponde.

La soluzione di base trovata è anche ottima? Si chiede di sostituire le espressioni trovate per le variabili in

base anche nella funzione obiettivo; in questo caso, dovendo minimizzare, significa che si deve controllare

se sia possibile diminuire ancora il valore della funzione obiettivo facendo crescere il valore delle variabili

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

fuori base. Se questo non è possibile, significa che la soluzione di base trovata è ottima, in caso contrario, si

deve effettuare un cambio di base. Ma che cosa significa? Questa operazione corrisponde al passaggio da

un vertice del poligono che rappresenta la regione ammissibile ad un altro; una volta effettuato tale

passaggio si ripetono le medesime operazioni per la verifica di ottimalità. I dettagli dei criteri utilizzati per la

scelta delle variabili che escono ed entrano in base sono meglio specificati nell’Allegato B.

Una volta trovata una soluzione di base ottima, si chiede: la soluzione di ottimo è unica oppure ne esistono

infinite? Dal punto di vista grafico, dato che anche la funzione obiettivo è una retta nel piano, si può

considerare il fascio di rette ad essa parallelo. Facendo variare il valore del parametro che descrive il fascio,

la funzione obiettivo si muove sulla regione ammissibile, assumendo il valore minimo in corrispondenza del

vertice che rappresenta la soluzione di base ottima. Qualora la funzione obiettivo risulti parallela ad una

delle equazioni di vincolo ed uno dei vertici che si trovano su tale vincolo rappresenta l’ottimo, allora tutti i

punti compresi fra i due vertici che individuano il lato del poligono parallelo alla funzione obiettivo sono

punti di ottimo, quindi in questo caso le soluzione di base ottima sono infinite.

A conclusione di quanto esposto è stato possibile constatare che utilizzare un simile approccio ha mostrato

una serie di vantaggi cosi riassumibili:

- il fatto di richiedere un bagaglio abbastanza limitato e non eccessivamente complesso di

conoscenze in ingresso, ha reso possibile alleggerire per molti ragazzi il carico emotivo spesso

indotto dal senso di inadeguatezza provato quando posti di fronte alla risoluzione di un problema di

matematica e nella maggior parte dei casi imputato alla difficoltà di memorizzare un numero troppo

elevato di formule complesse

- ha consentito di introdurre in modo efficace un elemento di collegamento ad un argomento

interno alla disciplina che è quello appunto del calcolo matriciale che in questo modo viene ripreso

e ricontestualizzato dando nuova veste e concretezza a tutta una serie di operazioni (quelle fra

matrici) che generalmente tendono ad apparire fini a se stesse

- la necessità di eseguire operazioni di inversione di matrici con un certo numero di righe e colonne

ha richiesto l’ausilio di un foglio di calcolo elettronico (Excel), fornendo quindi l’opportunità di

trascorrere alcune ore nel laboratorio di informatica approfondendo l’utilizzo di alcune funzionalità

del programma e inducendo i ragazzi ad una partecipazione attiva

In base a queste considerazioni, sembrerebbe pertanto più opportuno introdurre il metodo del simplesso

mediante la formulazione algebrica perfettamente comprensibile nella sua trasposizione grafica in due

dimensioni (problemi a due variabili di azione) per poi estenderla a qualunque tipo di problema con un

numero superiore di variabili.

2.2.2 L’unità didattica progettata per la Classe 2A

Questa unità didattica è stata progettata ma non realizzata in classe, ad ogni modo si è cercato di tenere

presenti i bisogni specifici di quel contesto classe per il quale era stata pensata, tra i quali la presenza di

un’alunna ipoacusica. Per tale ragione, nella progettazione di tale unità didattica è stato dato particolare

risalto al possibile utilizzo di strumenti multimediali strutturandola a tal fine come un corpo base da cui

fosse possibile, attraverso una serie di collegamenti, accedere a parti riguardanti approfondimenti

disciplinari o di collegamento con altre materie, cosi come a grafici ed a simulazioni. Si è in questo caso

voluto favorire l’apprendimento attraverso il canale percettivo visivo, con lo scopo di consentire a tutti gli

alunni un livello di attenzione di maggiore durata ricordando che la memoria visiva pare non risentire

eccessivamente della fatica presentando pertanto potenzialità estremamente elevate e di gran lunga

superiori a quella uditiva.

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Nei bienni degli istituti tecnici ed in particolare per l’indirizzo economico, può essere utile introdurre i primi

rudimenti di probabilità; in questo caso l’attività sarebbe stata aggiunta a quella inizialmente preventivata.

In ambito matematico si tratta generalmente di uno degli argomenti più impegnativi ed anche in questo

caso, come nel precedente, l’obiettivo è stato quello di introdurre i concetti necessari senza gravare gli

studenti di un eccessivo carico emotivo dettato dal senso di inadeguatezza. Per tale ragione, trattandosi di

una seconda classe, si è pensato che l’elemento del gioco potesse rappresentare un aspetto essenziale per

poter introdurre tutta una serie di concetti in via prettamente esperienziale, ricorrendo costantemente alla

rappresentazione grafica dei problemi di volta in volta proposti.

Iniziando da un esperimento, si introduce il concetto di evento inteso come il risultato di una prova. Lo

scopo è quello di condurre ad una individuazione corretta dell’insieme degli eventi elementari (o spazio

campionario), in modo che gli studenti acquisiscano il concetto di evento elementare, (inteso come

necessario ed incompatibile con gli altri eventi possibili) distinguendolo da un evento composto ed

imparino ad assegnare ad entrambi le rispettive probabilità. L'approccio operativo/esperienziale proposto

non necessita di particolari prerequisiti; infatti, per come è proposta, l’attività porta a scoprire in modo

graduale concetti importanti quali lo spazio degli eventi elementari associato a un esperimento casuale,

l'evento casuale stesso, l'assegnazione della probabilità agli eventi nonché la distinzione fondamentale tra

probabilità è frequenza.

Ciascuna attività proposta, si origina dalla produzione di materiale sull'esperimento ipotizzato ovvero il

lancio di due dadi cui segue l'annotazione degli esiti realizzati e giunge infine alla simulazione

dell'esperimento stesso eventualmente mediante foglio di calcolo. Successivamente, attraverso la

costruzione di tabelle e grafici, si perviene all'assegnazione della probabilità ai diversi esiti e all'analisi dei

risultati ottenuti.

Da non sottovalutare in questo caso è anche l’interessante spunto storico in quanto l'argomento cosi

proposto offre la possibilità di introdurre la zara, un gioco d’azzardo con tre dadi, citato in una terzina

dantesca del Purgatorio e la cui risoluzione fu poi proposta da Galileo Galilei.

Gli obiettivi dell'attività progettata possono essere sinteticamente riassunti come segue:

- comprendere i concetti di probabilità e frequenza;

- conoscere il significato della probabilità e le sue valutazioni;

- costruire lo spazio degli eventi in casi semplici;

- valutare la probabilità in contesti problematici diversi;

- utilizzare i principali pacchetti software applicativi (word processor, foglio elettronico, presentazioni, ecc.)

anche in vista del conseguimento della patente informatica secondo la normativa comunitaria.

Come si è pensato di poter praticamente realizzare questa attività? Gli studenti possono lavorare in gruppi,

costruire i grafici di frequenze e confrontare i diversi risultati. Attraverso la discussione collettiva,

opportunamente guidata, possono cosi arrivare alla comprensione di problemi che non sono facili da

intuire a priori. L’uso del foglio elettronico, risulta in questa attività particolarmente efficace, in quanto la

simulazione permette sia di ripetere più volte l’esperimento con lo stesso numero di lanci sia di variare il

numero di lanci.

Per la simulazione al computer sono necessari alcuni prerequisiti di conoscenza del foglio elettronico: come

si inseriscono i dati, come si inserisce una formula, come si copia una formula, come si usano i riferimenti

relativi e assoluti alle celle, come si crea un grafico.

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Le funzioni Casuale( ) (che consente la generazione di un numero casuale in questo caso compreso tra 1 e

6) e Conta Se( ) (che somma il numero di esiti favorevoli per ogni determinazione per il numero di lanci

effettuati in ciascun esperimento) possono essere introdotte anche in questo contesto.

Qualora non sia possibile utilizzare il foglio elettronico, l’attività può essere svolta anche facendo eseguire

effettivamente l’esperimento del lancio dei dadi agli allievi divisi in gruppi; questa è in ogni caso una attività

da ritenere opportuna in quanto l’operare inizialmente in modo pratico aumenta l’attenzione e motiva

all’uso della simulazione una volta che il processo di apprendimento è avviato.

Si osserva che si sono introdotti una serie di concetti, senza appesantire la presentazione con definizioni e

formalismi che in genere hanno sull’allievo un effetto di allontanamento dal problema, perdita di interesse

ed in alcuni casi anche ansia. Tuttavia, qualora il contesto classe lo consenta, è possibile seguendo l’attività

sin qui presentata, presentare anche degli opportuni approfondimenti disciplinari. Sempre nella stessa

ottica, è stata proposta anche una ulteriore simulazione identificata come il problema dell’ubriaco.

Infine, nel tentativo di conferire completezza al percorso progettato, a corredo della attività presentata

sono stati proposti anche degli esercizi con lo scopo di ottenere un feedback su quanto è stato realizzato

cercando di avere delle prime indicazioni su quali possano effettivamente essere le maggiori difficoltà

riscontrate dagli alunni, e sulla base delle quali modificare eventualmente alcune parti del percorso stesso.

Una sintesi dell’attività progettata è riportata nell’Allegato C; la stessa è stata inoltre ampliata all’interno

del corso di Probabilità seguito durante il tirocinio.

2.2.3 L’attività progettata per la Classi 2A, 2AT, 2E

La dimostrazione di un teorema ha lo stesso valore e la stessa bellezza di un affresco o di una sinfonia di un grande

artista [Piergiorgio Oddifreddi - Una via di fuga]

La progettazione di questo percorso nasce in seguito ad alcune riflessioni fatte sul programma di

matematica effettivamente svolto per le seconde classi, e relativamente al fatto che si tende generalmente

a privilegiare l’algebra a scapito della geometria. In realtà, quest’ultima possiede non solo un valore

strumentale ma anche culturale, basti pensare al fatto che ha svolto un ruolo cruciale nella storia della

matematica (che non sarebbe male i ragazzi conoscessero almeno nei suoi aspetti essenziali).

Oltre alle esperienze che rientrano nel tirocinio svolto per la disciplina di Matematica Applicata, ho svolto

anche una docenza annuale, proprio in una seconda classe, presso l’ITC Cattaneo di San Miniato (Indirizzo

Chimica, Materiali e Biotecnologie) per la disciplina ‘Disegno Tecnico’. Se è pur vero che questa esperienza

non rientra ufficialmente tra quelle del tirocinio, è innegabile che abbia contribuito alla mia formazione ed

al mio arricchimento, suggerendomi ulteriori spunti di riflessione ed incentivandomi all’approccio di alcuni

degli argomenti trattati da molteplici punti di vista. Proprio questo ultimo aspetto, si rivela a mio avviso

essenziale nell’ottica di quella che abbiamo inizialmente definito una necessaria riorganizzazione dei saperi

in modo tale che nei ragazzi si possano attivare quei processi cognitivi atti alla scoperta dei legami che

mettono in correlazione certi fenomeni tra loro e soprattutto che non permanga in loro quella sensazione

troppo spesso ricorrente che le discipline siano organizzate per compartimenti stagni.

Pertanto, giovando dell’ulteriore arricchimento derivante da questa esperienza ed interagendo con i ragazzi

delle classi seconde sia del tirocinio diretto che nell’ambito della supplenza di matematica, sono emersi i

seguenti ulteriori spunti di riflessione:

- generalmente i ragazzi non comprendono l’importanza della geometria per la propria formazione

culturale, ed in alcuni casi addirittura finiscono per associarla ai geometri!

- molto spesso sono poco strategici nell’apprendimento

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

- se posti di fronte ad un testo in cui si descrive passo per passo una semplice costruzione

geometrica, non sono in grado di riprodurla

In base a queste considerazioni, ho pertanto pensato a come potere introdurre alcuni elementi di

geometria in una seconda classe (ed a mio avviso l’ approccio seguito potrebbe essere utilizzato sia per un

corso di matematica che per uno di disegno) in modo tale che i ragazzi possano familiarizzare/consolidare

in modo squisitamente esperienziale concetti come l’area o il perimetro di figure piane ed ancora

l’equiestensione, l’isoperimetria fino a giungere alle similitudini o all’applicazione del teorema di Pitagora

per ricavare le relazioni tra i lati dei triangoli.

In alcuni libri di testo di matematica per la seconda classe degli Istituti Tecnici (ad es. Bergamni, Trifone,

Barozzi Matematica.Verde, Ed. Zanichelli), si propone all’interno dei capitoli dedicati alla geometria, un

piccolo spazio (mezza paginetta) dedicato al Tangram, quasi fosse considerato elemento di curiosità, in

mezzo ad argomenti ben più importanti. A mio avviso invece, le potenzialità educative offerte da un

oggetto come il Tangram non sono da sottovalutare. Ribaltando la prospettiva offerta dal libro di testo si

potrebbe infatti partire dal Tangram (ovviamente con i dovuti adattamenti in funzione del contesto classe)

per introdurre certi concetti, considerando che l’attività del gioco è fondamentale per l’alleggerimento del

carico emotivo ed inoltre se fatta ad inizio anno, può essere molto utile anche come accoglienza. In una

seconda fase si potrebbe poi passare alla proposizione di problemi più strutturati esplicitando ed

approfondendo all’occorrenza gli elementi teorici sottesi.

Ma che cosa è il Tangram? E’ un gioco rompicapo cinese; il nome significa letteralmente "Le sette pietre

della saggezza". È costituito da sette tavolette del medesimo materiale e del medesimo colore (chiamati

tan) che sono disposti inizialmente a formare un quadrato: 5 triangoli (2 grandi, 1 medio, 2 piccoli), 1

quadrato, 1 parallelogramma. I triangoli, di cui è composto il tangram, sono tutti isosceli e rettangoli, infatti

sono metà quadrato. Lo scopo del gioco è di formare figure di senso compiuto. Le regole sono alquanto

semplici: usare tutti e sette i pezzi nel comporre la figura finale; non sovrapporne alcuno; i pezzi si possono

girare in qualunque modo.

Partendo da queste riflessioni e facendo tesoro, in termini di approccio metodologico, di un

approfondimento sulla Sezione Aurea realizzato all’interno del corso di Matematica e Società, ho pensato di

progettare un’attività che a partire da un semplice foglio di carta A4, potesse consentire agli alunni da un

lato di venire a conoscenza di alcuni numeri speciali del mondo della Matematica quali , il numero

d’argento e la Sezione Aurea

e dall’altro di costruire il proprio kit Tangram con il quale poter

poi realizzare una serie di ulteriori attività.

Un simile approccio metodologico, apre le porte ad una molteplicità di approfondimenti sia nell’ambito

della stessa matematica che di numerose altre discipline quali l’architettura e la pittura, la scienza ed è

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

quindi facilmente spendibile nell’ottica di una progettazione didattica di tipo modulare e come tale

dinamica, trasformabile e ricontestualizzabile. Un altro aspetto fondamentale è che potendosi presentare a

diversi livelli di approfondimento disciplinare (partendo da foglio di carta, si può arrivare a parlare delle

tassellazioni aperiodiche di Penrose!), un simile approccio è funzionale a quella personalizzazione dei

percorsi che dovrebbe tenere conto non solo dello stile cognitivo di ciascun alunno ma anche e soprattutto

dei suoi bisogni specifici.

Gli obiettivi che essa si propone possono pertanto essere cosi riassunti:

- individuare e riconoscere le proprietà di figure del piano; - individuare le proprietà e le invarianti per isometrie nel piano;

- analizzare e risolvere semplici problemi mediante l'applicazione delle isometrie;

- riconoscere e costruire poligoni equiscomponibili;

- utilizzare lo strumento algebrico come linguaggio per formalizzare gli oggetti della geometria elementare

e passare da una rappresentazione all'altra in modo consapevole e motivato.

L’introduzione del gioco classico del Tangram consente inoltre di affrontare due ulteriori aspetti.

Prendendo spunto dalle classiche figure di Tangram facilmente reperibili in rete, si possono presentare alla

classe copie di tali figure chiedendo agli allievi di ricostruirle con kit che loro stessi hanno provveduto a

realizzare descrivendo poi alcune delle loro proprietà. Generalmente già sin nella scuola media gli studenti

hanno incontrato la similitudine in ogni caso, questa può rappresentare un’ottima occasione per

introdurre/consolidare l’argomento magari avviando una discussione riprendendone i contenuti

fondamentali.

Un valido supporto per queste attività può inoltre essere rappresentato dalla L.I.M. (Lavagna Interattiva

Multimediale), anche perché fornisce la possibilità di muovere con facilità le figure, di sovrapporle e

modificarle, aiutando gli studenti a cogliere con maggiore facilità le loro proprietà.

La realizzazione dell’attività progettata è sintetizzata nelle sue parti essenziali nell’Allegato D ed è composta

essenzialmente da queste fasi:

- scomposizione del foglio di carta A4 attraverso operazioni di piegatura e rimozione

- realizzazione del kit del Tangram classico

- alcune attività con il Tangram

E’ opportuno puntualizzare che la prima fase di familiarizzazione esplicita o implicita con il Tangram ha lo

scopo di richiamare e puntualizzare la classificazione basilare delle figure piane eventualmente già

introdotta nel percorso scolastico precedente. La discussione in classe deve, quindi, puntare ad una

riorganizzazione di conoscenze pregresse di geometria euclidea, condividendo definizioni e terminologia

specifica, oltre a focalizzare l’attenzione sul cosa significhi dal punto di vista matematico classificare rispetto

a date proprietà. La possibilità di comporre vari poligoni può essere utilizzata per verificare formule per il

calcolo delle aree, per studiare e sperimentare i concetti di congruenza, equiestensione, equiscomposizione

e isoperimetria.

Nel fare questo è essenziale captare le idee interessanti degli studenti dirigendo la loro attenzione a

stimolare percorsi non intrapresi ed a condensare gli sforzi di tutti in un sapere condiviso.

Diventa pertanto fondamentale il linguaggio utilizzato ed in questo senso si può lavorare a più livelli: dal

potenziamento della capacità di definire gli oggetti in numero o tipo, definizione della loro posizione

relativa su un piano, orientamento, definizione di caratteristiche geometriche e/o componenti essenziali

fino alla capacità di argomentare in modo sintetico e tecnico (ad es. alcuni termini generici tipo ‘di là’, ‘lato’,

‘ruota’, posso evolvere in ‘a sinistra’, ‘lato maggiore’, ‘ruota di 90 gradi in senso orario’ etc).

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

Infine, se a seguito dell’attività è stato ben compreso il meccanismo del ricoprimento, come

approfondimento disciplinare si può proporre una ricerca su problemi di tassellazione (ad esempio

mediante web-quest) ed avviare cosi un’attività interessante e decisamente variegata. L’argomento si

collega a questioni di storia dell’arte (i mosaici dell’Alhambra, i quadri di M.C. Escher) o a questioni di

percezione visiva come la realizzazione di Figure Impossibili.

4 Il tirocinio per la didattica speciale

L’Istituto Santoni ospita da molti anni un elevato numero di alunni diversamente abili provenienti sia dal

comune di Pisa che dai comuni limitrofi per i quali, nel corso degli anni, sono stati elaborati numerosi

percorsi educativo - didattici di integrazione. Partendo dalle capacità dell’alunno e dall’analisi delle sue

competenze, il consiglio di classe individua il percorso scolastico più appropriato.

In base a quanto stabilito dal POF, sono possibili per gli alunni diversamente abili due diversi tipi di percorsi

di cui uno prevede il raggiungimento degli obiettivi minimi curricolari previsti dalla programmazione e che

portano al conseguimento del diploma; il secondo percorso invece, prevede una programmazione

differenziata in vista del raggiungimento di obiettivi didattici e formativi non riconducibili alla

programmazione curricolare. Nell’ambito della programmazione differenziata si ha poi la possibilità di

scegliere tra due ulteriori percorsi:

- percorso classe: l’alunno è inserito nella classe di appartenenza per tutto il suo orario scolastico e

segue una programmazione differenziata. Viene valutato con voti relativi unicamente al PEI (piano

educativo individualizzato) che hanno valore legale solo ai fini della prosecuzione degli studi. Tali

alunni possono partecipare agli esami di stato svolgendo prova/e differenziata/e omogenea/e al

percorso svolto finalizzate al conseguimento dell’attestato delle competenze acquisite (C.M. n.

125/01), utilizzabili come credito formativo per la frequenza dei corsi professionali

- percorso classe-laboratorio: l’alunno ha un orario personalizzato, frequenta parzialmente la classe

di appartenenza e partecipa alle attività del progetto Comunicazione e Linguaggi. L’alunno

consegue un attestato delle competenze attraverso la partecipazione alla/e prova/e differenziata/e

dell’esame di stato(C.M. n. 125/01).

Inoltre, nell’ambito dell’ampliamento dell’offerta formativa per gli alunni diversamente abili che rientrano

nel secondo percorso, si individuano i seguenti progetti:

- Progetto Comunicazione e Linguaggi: è rivolto agli alunni diversamente abili in situazione di gravità.

L’idea fondante del progetto è quella di una didattica flessibile capace di rispondere ai “bisogni

speciali” di questi studenti. Si inserisce “naturalmente” nel tessuto vivo della scuola,

specificatamente nel curriculum del corso Dirigenti di Comunità, rappresentando un’ opportunità

sia di formazione che di orientamento lavorativo. Questa progettazione si articola dal lunedì al

venerdì, ed è inserita sia nei Piani Educativi Individualizzati degli studenti diversamente abili sopra

menzionati che nel percorso curricolare di alcune classi del corso dirigenti di Comunità/Servizi

Socio- Sanitari.

- Progetto di Preformazione “AIDA” - Provincia di Pisa – Enti gestori ENAIP Toscana Formazione e

Lavoro – Copernico s.c.a.r.l: La scuola collabora da diversi anni con gli enti gestori del progetto per

la realizzazione di percorsi di orientamento al lavoro rivolti ad alunni diversamente abilli

- Progetto PIA “ Seminare Il futuro”: il progetto vede la collaborazione di una classe del corso Periti

Agrari, di una del corso Dirigenti di Comunità e del gruppo dei ragazzi diversamente abili. L’attività

si inserisce nell’ambito dell’agricoltura sociale.

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

Come si comprende anche dalla lettura del POF, la struttura di accoglienza che presenta l’Istituto Santoni

per i ragazzi diversamente abili è di per sé estremamente articolata, consentendo questo una estrema

flessibilità per la personalizzazione dei percorsi dei ragazzi che ne fanno parte.

Durante il tirocinio che ho effettuato presso questa scuola e che per ragioni contingenti ha avuto una

tempistica estremamente concentrata, ho svolto essenzialmente una attività di tipo formativo ed

informativo nel tentativo di comprendere al meglio il contesto in cui mi trovavo in tutta la sua complessità.

Considerando la tempistica, non c’è stata molto la possibilità di sviluppare un percorso didattico, anche in

ragione del fatto che ho partecipato ad attività prettamente laboratoriali per cui spesso ho interagito con

alcuni gruppi di ragazzi disabili senza poi avere materialmente il tempo necessario per seguire qualcuno di

loro in modo individuale.

Quando si parla di didattica speciale e di integrazione scolastica di allievi con disabilità, si è consapevoli che

occorre riflettere sull’individuazione dei bisogni specifici e sulle finalità da perseguire, considerare il

contesto integrato nel quale si deve collocare l’intervento didattico e la prospettiva per un progetto di vita

che, compatibilmente con la tipologia ed il livello di gravità della disabilità considerata, deve tendere il più

possibile al raggiungimento dell’autonomia da parte del soggetto.

Tuttavia, in questo ambito più che mai, diventa fondamentale il contesto relazionale all’interno del quale

una qualunque ipotesi di percorso si va ad inserire.

Le ore di tirocinio che ho svolto presso l’Istituto E. Santoni hanno per me di fatto rappresentato il primo

vero e significativo incontro con il mondo della disabilità ed è questa la parte a livello esperienziale che per

me ha rappresentato la maggiore fonte di arricchimento e di riflessione.

Quando ci si trova di fronte a ragazzi con un livello di disabilità grave, l’impatto emotivo può essere

estremamente forte. La sensazione prevalente che ricordo di aver provato di fronte a due ragazzi

tetraplegici di cui uno con grave ritardo mentale e l’altro con ritardo mentale medio, è stata di un notevole

disagio misto ad un senso di impotenza. Mi sono sentita piuttosto inadeguata al contesto ed anche se c’era

il desiderio di stabilire un qualunque tipo di contatto, avvertivo in quel momento la mancanza dei giusti

strumenti per farlo.

Riflettendoci a posteriori, ho capito che questa reazione può essere abbastanza comune e dettata

dall’inesperienza, certo è che per creare una relazione educativa, specie quando non si può fare ricorso ai

comuni canoni del linguaggio verbale a cui siamo abituati, ci vuole del tempo. Si deve in qualche modo

cambiare registro, traslare ad un diverso livello di comunicazione, generalmente extra-verbale, per cercare

in qualche modo di stabilire un contatto, almeno a livello empatico. Per fare questo, è fondamentale la

consapevolezza che si deve essere disposti a sopportare il carico emotivo che ne consegue. Proprio per

questa ragione, e considerando che si deve garantire agli alunni con disabilità dei percorsi estremamente

personalizzati pur favorendo la loro integrazione sociale nel gruppo dei pari e non solo, è fondamentale che

ci sia quella che è stata definita un’alleanza terapeutica 5 tra tutte le figure di riferimento che a diverso

titolo lavorano con loro.

E’ anche vero che non in tutti i casi l’impatto emotivo risulta traumatico, questo credo dipenda

essenzialmente da fattori inconsci e da che cosa il contatto con alcune situazioni particolari possa scatenare

o meno nella nostra psiche.

5 L. Trisciuzzi, M.A Galanti, Pedagogia e didattica speciale per insegnanti di sostegno e operatori della formazione. ETS

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Relazione Finale di Tirocinio Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA

All’interno dei vari laboratori del Progetto Comunicazione e Linguaggi a cui ho partecipato, ho poi avuto la

possibilità di seguire per qualche ora anche un ragazzo affetto da autismo. Nell’Allegato E, sono riportati

alcuni stralci del suo piano personalizzato (PEI).

Insieme a lui ho partecipato ad alcune ore del laboratorio inserito nel Progetto Pia, durante le quali

abbiamo partecipato alla raccolta di ortaggi in una piccola serra realizzata ai margini del campo di calcio

della scuola per poi poter allestire un piccolo mercatino biologico di vendita dei prodotti della serra

all’interno della scuola stessa. La cosa che più mi ha colpita, è stata la estrema facilità con cui il ragazzo ha

accettato la mia presenza ed il fatto che io cercassi di interagire con lui, considerando che alcuni dei tratti

distintivi con cui generalmente vengono presentati i soggetti autistici sono quelli di essere intolleranti

anche a piccoli cambiamenti nella realtà che li circonda cosi come il fatto di essere praticamente

indifferenti alle relazioni umane.

Le ore trascorse con questi ragazzi sono state pochissime, tuttavia sono state preziose per quanto mi

riguarda per acquisire delle nuove consapevolezze, tra cui in primis quella di non sottovalutare mai

l’aspetto emotivo e secondo quella dello sforzo che l’insegnante curricolare deve cercare di fare per

lavorare in sinergia con l’insegnante di sostegno. Lasciare l’interazione con il ragazzo disabile a pannaggio

solamente dell’insegnante di sostegno significherebbe in qualche modo deresponsabilizzarsi e soprattutto

non sarebbe funzionale al raggiungimento di uno degli obiettivi primari per i ragazzi con disabilità che è

quello di evitare assolutamente una crescita del vissuto di emarginazione dell’allievo.

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Relazione Finale di Tirocinio – Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA ALLEGATO A – ATTIVITA’ DI RECUPERO

CLASSE II E - 24/05/2013 – EQUAZIONI GRADO SUPERIORE AL SECONDO

Risolvi le seguenti equazioni

1)

2)

3)

4) 01332 234 xxxx

5)

6)

7)

8)

9)

10)

Come griglia di valutazione, era stato assegnato un punto per ciascun esercizio.

0

1

2

3

3 4 5 5,6 6 6,7 7 7,8 8,9

Serie1

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Relazione Finale di Tirocinio – Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA ALLEGATO A – ATTIVITA’ DI RECUPERO

CLASSE III B - 10/05/2013 – COMPITO PARABOLE

1) Determinare l’equazione della parabola ad asse verticale passante per i punti A(-1;0), B(0;5)

e C(2;3). Disegnare il grafico della parabola dopo averne determinato il vertice e le intersezioni con

gli assi.

2) Determinare le equazioni delle rette tangenti alla parabola di equazione cartesiana

uscenti dal punto P(0;2). Rappresentare graficamente il problema.

3) Dato il fascio di parabole di equazione determinare la

parabola del fascio:

a) passante per C(5, 0);

b) avente per asse la retta x = 1

tracciare il grafico delle due parabole.

4) Scrivere l’equazione del fascio di parabole tangenti nel vertice V(2;-1) alla retta di

equazione y=-1 e determina l’equazione della parabola tangente alla retta di equazione y=3x-4.

Rappresentare graficamente il problema.

5) Determinare la misura della corda staccata dalla parabola di equazione

sulla retta di equazione y=-2 (facoltativo)

In blu è riportata la distribuzione dei risultati ottenuti durante la presente verifica di recupero sulle

parabole; in rosso invece, i risultati della verifica effettuata precedentemente sullo stesso

argomento dall’insegnante titolare e che era stata però annullata.

I valori riportati rappresentano solamente dati (nemmeno oggettivi), con tutte le limitazioni di

significato già espresse; possono tuttavia essere utili in senso di monitoraggio consapevoli del

fatto che per poter trarre delle conclusioni significative sull’azione di recupero, un solo mese è un

arco di tempo eccessivamente ristretto. A ciascun esercizio sono stati assegnati 2,5 punti.

0

1

2

3

4

5

6

7

8

9

3 4 4,5 5,6 6,7

Serie1

Serie2

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Relazione Finale di Tirocinio – Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA ALLEGATO A – ATTIVITA’ DI RECUPERO

CLASSE III B – 29/05/2013 – COMPITO DI RIEPILOGO

1) Determinare l’equazione della circonferenza con centro C (-2,-3) e tangente all’asse delle

ascisse.

2) Determinare l’equazione della circonferenza passante per il punto A (-2,-2) ed avente il

centro nel vertice V della parabola di equazione

a) determinare il punti di intersezione della parabola con l’asse x

b) determinare l’equazione della circonferenza tangente in A ed in B alle rette AV e BV

rispettivamente

3) Determinare l’equazione delle rette passanti per il punto P(3/2,-2) e tangenti alla parabola

di equazione . Determinare inoltre le coordinate dei punti A e B di tangenza e la

lunghezza della corda AB.

4) Dato il fascio di rette di equazione , trovare per quale valore di k la retta risulta

tangente alla parabola di equazione e scriverne l’equazione. Determinare inoltre

il punto A di intersezione della retta tangente con l’asse delle x, le coordinate del punto di

tangenza T e le coordinate del vertice V della parabola.

A ciascun esercizio sono stati assegnati 2,5 punti.

0

0.5

1

1.5

2

2.5

3

3.5

4

4.5

3 4 5,6 6 6,7 7 7,8

Serie1

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Relazione Finale di Tirocinio – Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA ALLEGATO E – DIDATTICA SPECIALE

AREA LINGUISTICA

Descrizione attuale

L’alunno ha acquisito le abilità di lettura e scrittura anche se a livello elementare.

Utilizza lo stampatello maiuscolo, la calligrafia è leggibile ma esercita una forte pressione sul foglio.

Confonde alcuni fonemi, scrive solo sotto dettatura, non è in grado di comporre autonomamente una frase,

ma è capace di ricopiare dei testi; riconosce il corsivo nei grafemi da abbecedario classico delle elementari.

E’ in grado di riconoscere alcuni elementi da immagini, foto, disegni. E’ autonomo nella gestione del

materiale scolastico che ripone ordinatamente e con cura.

Ascolta e comprende semplici messaggi verbali: esegue consegne relative alla vita scolastica, indica oggetti

e persone nominate. La prosodia è alterata.

Manifesta la tendenza a ripetere la domanda postagli fornendo solo successivamente la risposta che è

generalmente sì.

La comunicazione verbale spontanea è limitata al saluto e ad osservazioni sul tempo meteorologico.

Chiede di andare in bagno, chiede di lavarsi le mani.

Obiettivi successivi

- Favorire la crescita delle capacità relazionali e comunicative attraverso l’attività di laboratori

espressivi.

- Ampliare le competenze linguistiche soprattutto sul piano della ricchezza terminologica utilizzando

la lettura d’immagini

- Produrre semplici testi sotto forma di lettere o comunicazioni di vario tipo, che possano essere

trascritti al computer e stampati.

- Stimolare la manifestazione dei bisogni in modo adeguato

- Sviluppare le capacità di espressione del proprio pensiero e delle proprie emozioni attraverso un

linguaggio verbale comprensibile

Modalità/Interventi/Metodologia

- Favorire la crescita delle capacità relazionali e comunicative attraverso l’attività di laboratori

espressivi.

- Progetto Comunicazione e Linguaggi: partecipazione ai laboratori di linguaggi non verbali

- Utilizzo di word e di programmi didattici multimediali (materiale Erikson)

- Utilizzo di immagini ricavate dalla rete per comprendere e valorizzare i testi scritti

- Utilizzo di testi Erikson

- Produzione del testo scritto. Partendo da foto e disegni produrre un testo descrittivo.

AREA LOGICO-MATEMATICA

Descrizione attuale

- L’alunno riesce ad accoppiare elementi per forma e colore

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Relazione Finale di Tirocinio – Classe di Abilitazione A048 – MATEMATICA APPLICATA ALLEGATO E – DIDATTICA SPECIALE

- L’alunno è in grado di leggere i numeri a due cifre e svolge operazioni d’addizione e sottrazione ad

una cifra contando oggetti

- Non conosce il valore posizionale delle cifre, è incerto nell’individuare, nelle successioni numeriche,

il numero precedente e il numero successivo a un numero dato

- Non sa confrontare quantità numeriche (maggiore, minore)

- Riconosce con qualche incertezza le monete e le banconote ma non ne conosce il valore

Obiettivi successivi

- Fornire competenze funzionali spendibili nella quotidianità: uso dell’orologio valore di monete e

banconote e collegamento con l’acquisto di oggetti di uso comune

Modalità/Interventi/Metodologia

- Saranno proposte prevalentemente attività individualizzate

- Schede didattiche